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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Giovedì 23 aprile 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 23 aprile 2015.

  Abrignani, Aiello, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Causin, Antimo Cesaro, Chaouki, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso de Caro, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Galati, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gitti, Gozi, Guerra, La Russa, Lauricella, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Merlo, Meta, Migliore, Nicoletti, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Spadoni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Abrignani, Adornato, Aiello, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonafede, Bonifazi, Michele Bordo, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Chaouki, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso de Caro, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Galati, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gitti, Gozi, Guerra, La Russa, Lauricella, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Merlo, Meta, Migliore, Nicoletti, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Spadoni, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 22 aprile 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   FERRARESI ed altri: «Modifiche agli articoli 24 e 26 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, e abrogazione dell'articolo 30-ter del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, in materia di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti previsti nell'ambito della riconversione industriale del comparto bieticolo-saccarifero» (3063);
   SBERNA e GIGLI: «Ripristino delle festività soppresse agli effetti civili» (3064);
   OTTOBRE: «Ratifica ed esecuzione del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione-quadro europea sulla cooperazione transfrontaliera delle collettività o autorità territoriali, fatto a Strasburgo il 9 novembre 1995» (3065).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

  La proposta di legge COCCIA ed altri: «Modifiche agli articoli 2 e 10 della legge 23 marzo 1981, n. 91, in materia di applicazione del principio di parità tra i sessi nel settore sportivo professionistico» (2707) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata Maestri.

Ritiro di sottoscrizioni a proposte di legge.

  I deputati Agostinelli, Nicola Bianchi, Cancelleri, Carinelli, Colletti, Colonnese, Dell'Orco, Dieni, Fico, Liuzzi, Lombardi, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Ruocco, Sarti, Sibilia, Sorial, Tripiedi, Vignaroli e Villarosa hanno comunicato di ritirare le proprie sottoscrizioni alla proposta di legge:
   BARBANTI ed altri: «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, concernenti il divieto di propaganda elettorale a carico delle persone appartenenti ad associazioni mafiose e sottoposte alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza» (660).

  I deputati Del Grosso, Gallinella e Spessotto hanno comunicato di ritirare le proprie sottoscrizioni alla proposta di legge:
   CRISTIAN IANNUZZI ed altri: «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di omicidio e di lesioni personali commessi a causa della guida in stato di ebbrezza o di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti o psicotrope» (1646).

  I deputati Ciprini, Cominardi e Fantinati hanno comunicato di ritirare le proprie sottoscrizioni alla proposta di legge:
   TURCO ed altri: «Attribuzione agli avvocati del potere di autenticazione delle scritture private e di attestazione della conformità di copie all'originale» (2172).

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   II Commissione (Giustizia):
  FORMISANO: «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, volte a rendere più efficiente l'attività dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, a favorire la vendita dei beni confiscati e il reimpiego del ricavato per finalità sociali nonché a rendere produttive le aziende confiscate. Delega al Governo per la disciplina della gestione delle aziende confiscate» (2956) Parere delle Commissioni I, V, VI, VII, VIII, X, XI, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   VII Commissione (Cultura):
  RIGONI ed altri: «Modifica dell'articolo 19 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128, in materia di graduatorie per l'assunzione del personale delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica» (2940) Parere delle Commissioni I, V, XI e XIV.

   XI Commissione (Lavoro):
  FAENZI: «Incremento della dotazione organica dei ruoli degli operatori e dei collaboratori del Corpo forestale dello Stato, di cui alla tabella B allegata al decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 201» (2900) Parere delle Commissioni I, V, VIII, XIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 22 aprile 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Raccomandazione di decisione del Consiglio che nomina la capitale europea della cultura per il 2019 in Bulgaria e in Italia (COM(2015) 166 final), che è assegnata in sede primaria alla VII Commissione (Cultura);
   Proposte di decisione del Consiglio relative alla posizione da adottare, a nome dell'Unione europea, nel Comitato misto SEE in merito a modifiche del protocollo 31 dell'accordo SEE sulla cooperazione in settori specifici al di fuori delle quattro libertà, concernenti rispettivamente la linea di bilancio 04.03.01.03 (COM(2015) 170 final), Copernicus (COM(2015) 171 final) e EaSI (COM(2015) 172 final), corredate dai rispettivi allegati (COM(2015) 170 final – Annex 1, COM(2015) 171 final – Annex 1 e COM(2015) 172 final – Annex 1), che sono assegnate in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che abroga la direttiva 76/621/CEE del Consiglio relativa alla fissazione del tenore massimo in acido erucico negli oli e nei grassi destinati tali e quali al consumo umano nonché negli alimenti con aggiunta di oli o grassi e il regolamento (CE) n. 320/2006 del Consiglio relativo a un regime temporaneo per la ristrutturazione dell'industria dello zucchero (COM(2015) 174 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite XII (Affari sociali) e XIII (Agricoltura). Tale proposta è altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 23 aprile 2015;
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione che deve essere adottata a nome dell'Unione europea in seno al Consiglio di associazione istituito dall'accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Tunisia, dall'altra, con riguardo alla sostituzione del protocollo n. 4 del suddetto accordo, relativo alla definizione della nozione di «prodotti originari» e ai metodi di cooperazione amministrativa, con un nuovo protocollo che, per quanto riguarda le norme di origine, faccia riferimento alla convenzione regionale sulle norme di origine preferenziali paneuromediterranee (COM(2015) 175 final), corredata dal relativo allegato (COM(2015) 175 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sul sistema volontario di progettazione ecocompatibile concernente le console per videogiochi (COM(2015) 178 final) e relativo documento di accompagnamento – Documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2015) 88 final), che sono assegnati in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive).

Trasmissione dalla Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

  Il Presidente della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, con lettera pervenuta in data 21 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lettera n), della legge 12 giugno 1990, n. 146, copia dei verbali delle sedute della Commissione relative ai mesi di gennaio e febbraio 2015.
  Questa documentazione è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro).

Trasmissione dal difensore civico della regione Marche.

  Il difensore civico della regione Marche, con lettera in data 22 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, la relazione sull'attività svolta dallo stesso difensore civico nell'anno 2014 (Doc. CXXVIII, n. 34).
  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2015 (DOC. LVII, N. 3)

Doc. LVII, n. 3 – Risoluzioni

   La Camera,
   esaminato il Documento di economia e finanza 2015 (DOC. LVII, n. 3);
   osservato che:
    il documento su cui il Parlamento si deve esprimere nell'arco di poco più di due settimane, entro il 23 aprile, consta di 1.005 pagine suddivise in due Tomi; questo modo di procedere da parte del Governo svilisce il ruolo del Parlamento in nome di un'apparente rapidità decisionale che, in questo caso, è solo foriera di improvvisazione e funzionale ad una politica degli annunci più che all'elaborazione di serie riforme;
   premesso che:
    la filosofia generale che sottende l'analisi di base su cui poggiano le scelte contenute nel DEF si basa sulla scommessa secondo cui ormai ci siamo lasciati la crisi e tutti i suoi nefasti effetti alle spalle, in primis l'insostenibile tasso di disoccupazione, in particolare giovanile e al Sud, e abbiamo ormai decisamente imboccato la via della crescita. Tale eccesso di ottimismo poggia su fragilissime fondamenta composte da dati e stime per il futuro soggetti a molte variabili incontrollabili come la diminuzione ritenuta «forte e duratura» almeno fino al 2020, del prezzo del petrolio, il rafforzamento del dollaro sull'euro, due variabili che scontano fortemente un'instabilità oggettiva di carattere geopolitico che non viene affrontata con sufficiente vigore e unità di intenti e interessi da parte dell'Europa;
    purtroppo, però, la disoccupazione continuerà a crescere, in particolare quella giovanile. Secondo le previsioni di molti ed in particolare quelle della Banca centrale europea (Bce), pubblicate a metà marzo, l'economia dell'eurozona dovrebbe tornare gradualmente al suo indice di crescita storico del 2 per cento (il cosiddetto potenziale) nel 2017. Ma se si guarda all'ultima riga della tabella pubblicata dalla Bce, c’è un numero che getta un'ombra nera su questa ripresa. Nel 2017 il tasso di disoccupazione sarà del 9,9 per cento, neanche due punti più basso di quello di oggi, Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera del 27 marzo 2015 ha scritto che poiché questo corrisponde alla crescita potenziale, la previsione implica che, nell'eurozona, il cosiddetto tasso «naturale» di disoccupazione, cioè quello che si realizzerà quando tutti gli occupabili avranno trovato lavoro, è quasi del 10 per cento. Questo 10 per cento non scomparirà con la ripresa e per quanto definito naturale nel linguaggio tecnico, di naturale ha ben poco e a questo 10 per cento si aggiungono le persone che non cercano un impiego attivamente in quanto scoraggiate, e si considera che questo numero è composto in gran parte di disoccupati da lungo tempo, stiamo quindi dicendo che la zona euro, una delle più ricche economie del pianeta, dovrà imparare a convivere con un esercito di esclusi dal mercato del lavoro. Questi sono i numeri di tutta l'eurozona: Nord e Sud, L'Italia è messa ben peggio. Nonostante oggi il nostro tasso di disoccupazione sia appena superiore a quello della zona euro, la sua composizione è terrificante: 40 per cento di disoccupati tra i giovani, con una concentrazione molto alta nel Mezzogiorno e tra i senza lavoro di lunga durata. La crisi per noi è stata molto costosa: dal 2007 il numero dei disoccupati è praticamente raddoppiato, passando da 1,76 milioni a 3,4 milioni e, purtroppo, è destinato a crescere, in particolare per quanto riguarda i giovani. Infatti, il FMI (Country Report n. 14/199, Euro Area Policies 2014 Article IV Consultation, Selected Issues, Luglio 2014) ha spiegato che per far scendere la disoccupazione giovanile in Italia servirebbero tassi di crescita doppi o tripli rispetto a quelli attuali. Secondo la Commissione UE (MEMO «The EU Youth Guarantee», 8 ottobre 2014), un tasso di crescita inferiore all'1,5 per cento fa correre la crescita della disoccupazione giovanile. In tale contesto, l'Italia – insieme ad altri paesi europei – sta letteralmente bruciando oltre un miliardo e mezzo di risorse per il piano Youth guarantee (Piano per i giovani), che la Corte dei conti europea il 24 marzo ha criticato per come si sta realizzando e che rischia di essere un fallimento se non vi saranno cambiamenti sostanziali del piano;
    già all'inizio della Premessa del DEF è contenuta un'affermazione, improntata a un troppo facile ottimismo su cui si basa tutta l'analisi successiva, e secondo la quale «la forte, duratura flessione dei prezzi del petrolio favorisce il miglioramento delle ragioni di scambio», affermazione già smentita dai fatti in quanto si assiste, proprio in questi giorni, ad un processo di risalita continua del prezzo del greggio accompagnata da ripetute oscillazioni;
    oltre alle fragili e sopratutto incerte previsioni macroeconomiche di carattere globale l'analisi del Governo poggia sull'assunto che l'effetto delle riforme attuate (sic !) produrrà una forte spinta alla crescita (0,4 per cento nel 2016, 1,8 per cento nel 2020, 3 per cento nel 2025 e 7,2 per cento nel lungo periodo ( ?), come la riforma del Jobs Act, della Pubblica amministrazione, della Scuola, la competitività, la Giustizia, la riduzione del cuneo fiscale e l'aumento della tassazione delle rendite finanziarie. Gli effetti di tali riforme, molte delle quali sono appena state presentate in Parlamento e altre che per essere completate devono ancora compiere tutto l'iter parlamentare, secondo le previsioni del DEF avranno un impatto significativo solo a partire dal 2025;
    il Governo con questo documento conferma la scelta di politica di finanza pubblica recessiva e iniqua in continuità e acriticamente succube ai diktat europei che hanno preteso l'equilibrio dei conti pubblici mettendo in secondo piano la crescita, il lavoro e il sostegno dei redditi. Quando il Governo sostiene di confermare gli obiettivi di indebitamento netto previsti per il triennio 2015-2017 e contemporaneamente di ridurre la pressione fiscale, al netto del bonus degli 80 euro, fa affermazioni in contrasto con i suoi stessi dati che prevedono la crescita delle entrate tributarie dal 30,1 per cento del Pil del 2014 al 31,2 per cento del 2017, mentre la pressione fiscale cresce per tutto il periodo considerato. Sempre a proposito degli 80 euro, che l'Europa considera spesa, mentre il Governo la vede come riduzione della pressione fiscale, vale la pena osservare l'impatto nullo del provvedimento rispetto alla dinamica dei consumi;
    quello delineato dal Def è un quadro sconfortante in cui non si ravvisano i cosiddetti «effetti speciali» del bonus di 80 euro, né dalla riduzione dell'Irap, né dagli sgravi di 24.000 euro in tre anni alle imprese per le assunzioni. Dall'intero quadro emerge soltanto una minima differenza tra il deficit programmatico e quello tendenziale di circa un decimo di punto percentuale pari a 1,6 miliardi, un piccolo «tesoretto» che si trasformerà in una ulteriore «mancia elettorale» in vista delle elezioni regionali di fine maggio;
    nel DEF si afferma che la manovra non conterrà tagli o aumenti di tasse, ma anzi che vi sarà una riduzione della pressione fiscale. In realtà, i dati Istat confermano che l'attuale Governo ha aumentato la pressione fiscale e la spesa pubblica. Nel 2014 la pressione fiscale è risultata pari al 43,5 per cento in aumento di 0,5 punti percentuali rispetto all'anno precedente;
    l'obiettivo dichiarato dal Documento è duplice: evitare di dover aumentare le aliquote IVA e le accise per il 2016, il cui valore complessivo è di 16,1 miliardi per effetto delle clausole di salvaguardia introdotte dalle ultime due leggi di stabilità e aspettare la ormai «mitica» ripresa economica che migliorerebbe la situazione sia dei conti pubblici che dell'economia. Tale obiettivo, secondo il Governo viene raggiunto, in modo virtuoso eliminando l'aumento tendenziale della pressione fiscale, attraverso il miglioramento, del tutto aleatorio, del quadro macroeconomico che si rifletterebbe in un aumento del gettito fiscale, la flessione della spesa per interessi sul debito pari a 0,4 per cento del PIL, tagli di spesa;
    per 9,5 miliardi, pari allo 0,6 per cento, che saranno definiti nei prossimi mesi anche se sono stati in parte già individuati nella contrazione, pari a 1,5 miliardi delle così dette tax expenditures (agevolazioni fiscali), cioè un taglio di deduzioni, detrazioni ed esenzioni che aumenteranno il carico fiscale per i cittadini, nella riduzione per 1,6 miliardi delle agevolazioni alle imprese e nel taglio per 2 miliardi sugli acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione;
    basare le ipotesi di intervento sulla base di una «zavorra» come la clausola di salvaguardia, la cosiddetta spending review 2, che ci portiamo dietro dalle manovre degli scorsi anni, la cui eliminazione dipende da fattori aleatori ed esogeni configura un vero e proprio azzardo del Governo giocato sulla pelle del Paese;
    di rinvio in rinvio il Governo continua a mancare l'obiettivo di una significativa e robusta crescita, utilizzando le scarse risorse a disposizione, riducendo i servizi ai cittadini con tagli lineari alla Pubblica amministrazione, aumentando la pressione fiscale col taglio delle deduzioni e agevolazioni a cittadini e imprese e, infine, spostando in avanti la resa dei conti costituita dal peso della clausola di salvaguardia il cui onere aumenta di anno in anno a livelli insostenibili senza dimenticare il macigno costituito dall'obbligo che abbiamo contratto con l'Europa di ridurre il nostro debito attraverso l'accettazione del fiscal compact. Tutti i provvedimenti adottati dall'attuale Governo sono stati, infatti, un anticipo di tagli certi nel futuro;
    l'attuale esecutivo usufruisce, al momento, di una congiuntura internazionale favorevole per fattori del tutto esogeni rispetto alla sua attività di governo: il Quantitative easing immettendo liquidità nei circuiti finanziari riduce lo spread, e dunque il costo del debito, deprezza l'euro nel cambio con le principali monete e in particolare il dollaro statunitense stimolando le esportazioni, mentre è calato il prezzo dei carburanti di origine fossile. Una piccola spinta alla crescita verrà anche dall'Expo e dal Giubileo; il Governo potrà usufruire, inoltre, delle opportunità offerte dalla nuova e relativa flessibilità europea sul versante della disciplina di bilancio prevista dalla «Comunicazione sulla flessibilità», resa nota dalla Commissione UE lo scorso 13 gennaio. Il Governo intenderebbe raddoppiare il margine di deficit rispetto a quello programmato dell'1,8 per cento puntando al 2,2 per cento attraverso una trattativa con la Commissione UE in merito alle «riforme», il cui esito non è affatto scontato, dipendendo sia dalla trattativa stessa che dal livello di crescita che deve rimanere al di sotto del potenziale (determinato a livello europeo per il prossimo anno dell'1,05 per cento) per poter usufruire dello sconto di aggiustamento dei conti dello 0,5 per cento strutturale, così come previsto dalle norme europee;
    si tratta in una parola di un gioco sul filo dei limiti che il Patto di Stabilità e Crescita impone ai Paesi europei. Un uso spregiudicato e tirato al massimo della famosa «flessibilità» chiesta alle istituzioni di Bruxelles. Somiglia ad una «furbata» basata su una sorta di artifici contabili che tendono ad aggirare vincoli europei, anch'essi arbitrari, per evitare il ricorso a una manovra di 10 miliardi, pari allo 0,5 per cento strutturale, che si aggiungerebbe ai 16,1 miliardi necessari per evitare l'entrata in vigore automatica della clausola di salvaguardia. Tali indeterminatezze non escludono il possibile ricorso di qui ad alcuni mesi ad una probabile manovra correttiva;
   riassumendo con il DEF il Governo scommette su due carte non prive di rischi. La prima il taglio del deficit strutturale per il 2016 (si auspica lo 0,1 per cento invece dello 0,5 per cento), già riconosciuto per il 2015 per «circostanze eccezionali» ovvero per la prolungata fase recessiva, che se confermato anche per l'anno 2016 fornirebbe una disponibilità di 6,4 miliardi. In ciò si constata una evidente contraddizione nell'impostazione del DEF che non può puntare contemporaneamente a questi margini di flessibilità ed a previsioni di crescita che certificherebbero la fine della recessione. La seconda quella di ottenere margini maggiori di flessibilità grazie alle riforme già avviate puntando ad ottenere lo 0,4 per cento. Si tratta comunque di una trattativa difficile in sede di Commissione vista la contrarietà alle nuove regole di flessibilità di alcuni Paesi secondo i quali le riforme non devono essere solo «pianificate» bensì «adottate», con un evidente «sfasamento» rispetto alla fase riformista del Governo che procede lentamente come dimostrato dall'attuazione della delega fiscale ferma da quasi due anni;
    le stime relative all'impatto delle riforme sul PIL, su cui il Governo poggia le scelte per il 2016, quantificando il loro effetto economico positivo, sono numeri di cui ogni esperto può spiegarne l'arbitrarietà e la cui accettazione da parte dell'Europa non è poi così scontata e anche se l'impostazione italiana fosse accettata in pieno, questa variabile non può sommarsi all'altra nell'auspicio di una ripresa economica più vivace delle previsioni come il Governo segretamente sembra fare affidamento. Con più crescita, infatti, Bruxelles sarebbe più severa sulle regole;
    il Governo, in attesa di quantificare più nel dettaglio sia l'effetto delle variabili esterne, dal Quantitative easing, al calo dei tassi, sia le variabili interne, come l'impatto delle riforme in termini di incremento del Pil potenziale, si attesta su una linea che definisce «prudenziale». Per il Pil si stima una crescita dello 0,7 per cento nel 2015, target leggermente superiore allo 0,6 per cento stimato a fine 2014 e dell'1,4 per cento nel 2016. Il deficit resterebbe fermo quest'anno al 2,6 per cento, per ridursi nello scenario programmatico attorno all'11,8 per cento nel 2016.
  Le stime del Governo non sono perfettamente in linea con le previsioni degli organismi nazionali e internazionali, ad esempio il FMI e la Banca d'Italia (per il solo 2015) hanno stimato un aumento dello 0,5 per cento del PIL nel 2015 e dell'1,1 per cento nel 2016. Le stime degli altri organismi prevedono per il 2016 al massimo una crescita per l'Italia dell'1,3 per cento, comunque leggermente inferiore a quanto previsto dal nostro esecutivo. L'Ufficio parlamentare di bilancio, in sede di validazione delle previsioni, ha parimenti osservato la troppo ottimistica previsione del MEF relativa alla crescita e in particolare quella relativa alla dinamica sui consumi delle famiglie che non sembra sufficientemente supportata da un adeguato aumento dell'occupazione, e relativa alla crescita degli investimenti in macchinari non sostenuta da un sufficiente miglioramento dell'andamento delle esportazioni e degli investimenti;
    dalla tabella che indica il quadro programmatico degli indicatori di finanza pubblica si evidenzia che il PIL programmatico è leggermente inferiore al PIL tendenziale sia per il 2016 (-6,2 miliardi) che per il 2017 (-1,4 miliardi) e solo nel 2018 si prevede un leggero scostamento positivo (+4,8 miliardi), come se le politiche del governo non avessero, per ammissione dello stesso esecutivo, alcun impatto positivo sulla crescita, almeno nell'immediato;
    in ogni caso, la crescita dell'Italia è strutturalmente più bassa della media europea di un punto percentuale e con il passare degli anni la distanza diventa sempre più ampia, malgrado le cosiddette «riforme strutturali» realizzate;
    come di consueto in tutti i Documenti di economia e finanza degli ultimi anni e anche nell'attuale si avanzano previsioni del rapporto tra debito e PIL crescenti nel primo anno di riferimento del documento, ovvero nel nostro caso nel 2015 da 132,1 a 132,5 per cento, per poi scendere significativamente nel biennio successivo nel nostro caso nel 2016 e 2017 a 130,9 e 127,4. Secondo il Documento a tale riduzione contribuiranno in maniera decisiva anche le privatizzazioni e le dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico; «ciò consentirà» si spiega nella Premessa di rispettare la regola del debito prevista dalla normativa europea e nazionale;
    nel programma sono reiterate le solite privatizzazioni per il triennio 2015-17. È un programma datato, ma sempre utile per dire che ci sono ancora proprietà pubbliche da svendere, anche se l'obbiettivo vero sono le 8.000 public utility che nelle intenzioni del governo dovrebbero diventare non più di 1.000. Una sfida rilevante e solo in parte giustificata;
    il DEF prevede una riduzione degli introiti da privatizzazione: dismissioni di partecipazioni in società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato attraverso piani di privatizzazioni annuali con una stima di entrate nel 2014 pari allo 0,28 per cento del Pil; nel 2015 le previsioni passano dallo 0,7 per cento allo 0,41 per cento; per gli anni 2016 e 2017 dallo 0,7 per cento allo 0,5 per cento del Pil, e allo 0,3 per cento nel 2018 per un totale di 1,7 per cento del PIL che corrisponde a circa 2,8 miliardi in quattro anni. L'apporto che le privatizzazioni hanno fornito e possono fornire al risanamento del debito pubblico appare quantitativamente modesto, se non addirittura irrisorio allorquando in un'ottica dinamica si confrontino i rendimenti delle partecipazioni con il costo debito pubblico. Si riconferma quindi la convinzione che il processo di dismissione delle partecipazioni pubbliche segue esclusivamente un'ottica miope e in scia alle imposizioni dell'Europa venendo incontro con cifre ridicole ad esigenze immediate di riduzione del debito pubblico, obliando un'ottica di lungo periodo mirante ad un risanamento strutturale della finanza pubblica. Il tutto è aggravato dalla circostanza che si tratta per lo più di imprese fornitrici di servizi di pubblica utilità (Poste italiane, Enav, Enel, Ferrovie dello Stato);
    le dismissioni del patrimonio immobiliare dello Stato sono state indicate dalle prime leggi degli anni ’90 agli ultimi annunci del governo come la panacea per fare cassa e contrastare l'aumento del debito pubblico. Secondo il Documento nel 2015 il governo è pronto a mettere sul mercato il patrimonio immobiliare alloggiativo della Difesa per circa 700 immobili con una stima di introito di 220 milioni nel 2015 e 100 milioni per ciascuno degli anni 2016 e 2017. Mentre della svendita del resto del patrimonio pubblico, incluse le caserme inutilizzate, non si dà conto. Le cifre indicate intanto sono ridicole, a fronte del livello raggiunto dal nostro debito pubblico, e inoltre assolutamente illusorie se consideriamo che nonostante le promesse di vendite miliardarie fatte dai vari governi, negli ultimi 5 anni, il Demanio ha dismesso beni per soli 660 milioni. La crisi, contraendo i prezzi e le compravendite del mercato immobiliare, si è riflessa negativamente nelle vendite degli immobili degli enti, tanto che la percentuale di vendita è scesa dal 60 per cento nel 2003 al 17 per cento nel 2012. Ulteriore negativa conseguenza della crisi, oltre il crollo dei prezzi è la lievitazione dei costi di gestione che hanno finito paradossalmente per gravare ulteriormente sul debito;
    la partita più impegnativa si conferma quella con i tagli strutturali alla spesa corrente. Nel DEF si cifra il nuovo intervento in cantiere in 9,6 miliardi dei quali 7,2 miliardi di riduzione della spesa e 2,4 miliardi da una revisione delle agevolazioni fiscali, destinati integralmente a disinnescare le clausole di salvaguardia, per il resto si farebbe fronte con il risparmio atteso dalla discesa dei tassi e dello spread. Ma saranno realmente realizzati ? I precedenti ci lasciano perplessi. Servirà dunque per gli occhiuti controllori di Bruxelles una nuova clausola di salvaguardia ? Infatti, malgrado la manovra 2015 prevedesse, ad esempio, tagli ai ministeri nell'anno in corso per 2,3 miliardi, adesso si prevede una riduzione di 1,5 miliardi, mentre la maggior parte dei tagli si è concentrata su Regioni e enti locali;
    da un recente studio della Cgia di Mestre emerge che i ministeri dal 2009 ad oggi avrebbero subito solo 6,4 miliardi di tagli, mentre le misure di austerità sarebbero costate agli enti locali e territoriali 26,4 miliardi. In compenso è salito di molto il peso delle tasse locali, che gravano sui cittadini con un aumento della pressione fiscale sempre elusa nelle analisi del Governo: solo nel 2014 i tributi regionali sono saliti di quasi il 4 per cento e quelli comunali del 9 per cento;
    l'ISTAT, nella sua audizione del 21 aprile 2015 sul Documento di economia e finanza presso le Commissioni bilancio del Senato e della Camera, ha dato cifre ben precise e assolutamente preoccupanti. L'ISTAT ci dice che il peso delle imposte dirette e indirette dei comuni sulle entrate totali è salito dal 27,1 per cento del 2011 al 43,8 per cento del 2014. L'ISTAT afferma, inoltre, che contemporaneamente la spesa sociale è diminuita rispetto al 2010 del 4 per cento, oltre un miliardo di euro. Sulle entrate totali dei comuni i trasferimenti da parte dello Stato sono scesi del 17 per cento in quattro anni;
    c’è da augurarsi che l'allentamento dei vincoli generali di finanza pubblica e la consapevolezza della sproporzione degli oneri richiesti ai comuni possano riaprire il percorso di superamento del Patto di stabilità e di autonomia finanziaria locale di cui il Paese ha bisogno;
    è ancora in corso la trattativa riguardante i tagli previsti dalla legge di stabilità del 2015 e pari a oltre tre miliardi. I problemi sono molteplici e riguardano:
     il contributo alla manovra 2015 delle Città metropolitane, contributo che necessita di un riequilibrio del carico tra le varie città (la versione definitiva ha alleggerito il carico comunque fino a quota 256 milioni). I tagli infatti si scaricano per oltre il 75 per cento su Roma, Firenze e Napoli;
     la riforma del Patto di stabilità e delle sanzioni per chi lo ha sforato nel 2014 in particolare per le Città metropolitane che hanno ereditato tale sfioramento dalle Province;
     la replica del fondo perequativo IMU-Tasi di 625 milioni, risorse distribuite l'anno scorso a 1.800 Comuni, essendo il fondo previsto per il solo 2014 ed essendo però la local tax rinviata al 2016;
     lo stanziamento di maggiori ed adeguate risorse finanziarie da parte del governo da destinare all'eventuale scostamento tra il gettito effettivamente riscosso dai comuni e le stime ministeriali del gettito atteso in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani di cui al decreto-legge n. 4 del 2015 come modificato dalla legge di conversione n. 34 del 2015 (cosiddetto Imu agricola), al fine di evitare scompensi sugli equilibri dei bilanci di competenza 2014 e i conseguenti rischi di mancato rispetto del Patto di stabilità da parte degli enti locali;
     ed inoltre, la questione delle Province e dei loro dipendenti (l'UPI denuncia che anche le poche Province che riusciranno a chiudere i bilanci nel 2015 non riusciranno a farlo nel 2016) per la parte che concerne l'assorbimento di tale personale da parte delle Città metropolitane e dei Comuni;
    secondo il Governo nella legge di stabilità 2016 non ci saranno tagli ulteriori per Regioni ed enti locali. Ma è un'affermazione collegata ai soli tagli diretti, quelli intesi come minori trasferimenti, o minori risorse utilizzabili dalle Regioni e dai Comuni. La revisione della spesa, tuttavia, non è solo questo: ci sono i tagli alla sanità, al trasporto pubblico locale, alla raccolta rifiuti ed il riordino delle partecipate. Una buona parte delle «Spending review 1 e 2» rischia di abbattersi sulla sanità e in generale sui servizi ai cittadini sul territorio;
    con la radicale revisione dell'impostazione del Patto per le regioni a statuto ordinario, sin ora basato sul controllo della spesa finale con l'esclusione di quella sanitaria, è previsto l'anticipo al 2015 dell'equilibrio tra entrate e spese finali nella fase di rendicontazione del bilancio. È inoltre previsto un incremento del contributo di 3,5 miliardi annui nel periodo 2015-2018 per le regioni a statuto ordinario e di circa mezzo miliardo ogni anno per le regioni a statuto speciale e le Province autonome, Le regioni a statuto ordinario assicureranno l'equilibrio anche in termini di previsione dal 2016. Tale revisione del Patto e l'aumento del contributo porteranno inevitabilmente a un ulteriore contenimento della spesa sanitaria e a un conseguente peggioramento dei servizi offerti ai cittadini;
    già con la legge di stabilità 2015 circa 2,3 miliardi vennero ricavati dai tagli al sistema sanitario. Ora si parla eufemisticamente di «razionalizzazione della spesa sanitaria», ma nei 7,2 miliardi di riduzione della spesa, una quota sarà a carico della sanità (circa 2,6 miliardi). Rimane in piedi la trattativa riguardante l'attuazione dei tagli previsti dalla legge di stabilità del 2015 pari a oltre tre miliardi;
    il Documento di economia e finanzia propone tagli di una decina di miliardi, e tra questi i 2,352 al Fondo sanitario nazionale. Di sviluppo e crescita c’è poco o nulla;
    come volevasi dimostrare il contributo che il Governo con la legge di stabilità 2015 ha imposto alle regioni per il contenimento della spesa pubblica, e che si somma ai tagli previsti dalle altre misure finanziarie precedenti (per complessivi quasi 5,9 miliardi), si tradurrà in un nuovo pesante taglio alla sanità pubblica;
    l'onere della manovra a carico del Servizio sanitario nazionale è stato quindi fissato in circa 2,352 miliardi a decorrere dal 2015, con conseguente riduzione di pari importo del livello di finanziamento del SSN;
    in realtà, il totale dei tagli è di 2,637 miliardi, in quanto ai 2,352 miliardi di minore stanziamento del fondo sanitario, stabilito dall'intesa Stato Regioni del 26 febbraio scorso, si sommano i 285 milioni in meno per l'edilizia sanitaria, previsti anch'essi dall'intesa di febbraio;
    le previsioni del DEF sulla spesa sanitaria, stimano una crescita inferiore a quella del PIL, con un calo dal 6,8 per cento del 2015 al 6,5 per cento dell'anno 2019, fino a raggiungere il punto più basso nel 2020 (6,6 per cento) nel rapporto fra spesa sanitaria e PIL;
    il governo prosegue con la politica dei tagli al Servizio sanitario, senza ricordare che la spesa sanitaria pubblica italiana risulta inferiore a quella dei principali paesi europei; poco meno di 2.500 dollari prò capite nel 2012, a fronte degli oltre 3.000 spesi in Francia e Germania;
    si rammenta che la stessa Corte dei Conti, nella sua recente «Relazione sulla gestione finanziaria per l'esercizio 2013 degli enti territoriali» ha ricordato come «Ulteriori risparmi, ottenibili da incrementi di efficienza, se non reinvestiti prevalentemente nei settori dove più carente è l'offerta di servizi sanitari, come, ad esempio, nell'assistenza territoriale e domiciliare oppure nell'ammodernamento tecnologico e infrastrutturale, potrebbero rendere problematico il mantenimento dell'attuale assetto dei LEA, facendo emergere, nel medio periodo, deficit assistenziali, più marcati nelle Regioni meridionali, dove sono relativamente più frequenti tali carenze»;
    il DEF 2015 in esame, conferma ancora una volta come si sia lontani dall'uscire dal paradigma dei tagli ed entrare in quello della qualità. In questi ultimi anni, il nostro paese è diventato più diseguale sul piano della garanzia delle cure, con territori periferici che negli anni si sono visti sottrarre servizi, tagliare prestazioni sanitarie e sociali, depauperare il sistema di protezione sociale. Con un sistema di prevenzione sempre più impoverito;
    non si prevedono risorse aggiuntive per lo sviluppo della rete territoriale finalizzata principalmente alla prevenzione, alla deospedalizzazione e a garantire in maniera uniforme su tutto il nostro territorio nazionale l'appropriatezza delle prestazioni. Investire oggi sulla prevenzione, l'assistenza domiciliare e territoriale, e sulla razionalizzazione delle reti ospedaliere, nella consapevolezza che questi ambiti possono davvero consentire nel prossimo futuro importanti risparmi al SSN, oltre che evidenti benefici alla collettività;
    in questo ambito vale la pena segnalare come il decreto legge 95/12, aveva previsto una razionalizzazione della rete ospedaliera favorendo l'assistenza residenziale e domiciliare. Ebbene a quasi tre anni da quel decreto non è stato ancora emanato il regolamento che doveva fissare gli standard relativi all'assistenza ospedaliera. Lo schema di regolamento che il governo aveva predisposto e inviato al Consiglio di Stato, è stato da questi «bocciato» il 6 novembre scorso, che ne ha chiesto la sua completa riscrittura;
    per i dipendenti pubblici si profila un ulteriore rinvio del rinnovo del contratto fino al 2019, anno nel quale si ipotizza il pagamento della così detta indennità di vacanza contrattuale relativa al triennio 2019-2021. Il blocco dei contratti pubblici durerà dunque 9 anni (dal 2008 al 2019);
    il DEF indica inoltre un calo delle spese per il personale dal 10,1 per cento del Pil nel 2014 al 9 per cento del 2019 con ciò configurando un calo del numero di personale dipendente dalla PA o del monte stipendi equivalente, in linea con quanto previsto dalla Riforma delle amministrazioni pubbliche, attualmente in discussione al Senato, che fa intravedere, nell'ambito di criteri e principi estremamente ampi, vaghi e generici, la possibilità di contenimento delle assunzioni e di licenziamento, oltre che della dirigenza, anche del personale dipendente e della modifica delle regole che sono alla base della contrattazione collettiva. In termini equivalenti e tenendo conto della prevista crescita del Pil nel periodo, si tratta di 0,8 punti, vale a dire circa 13 miliardi di euro in meno su una spesa che l'anno scorso ha sfiorato i 164 miliardi;
    le eventuali riduzioni di aliquote fiscali per il 2016 saranno possibili solo «se ci saranno le condizioni», si afferma nel DEF. Sembra che il ritardo dell'adozione del DEF 2015 da parte del Consiglio dei ministri sia stato dovuto alla necessità propagandistica del Premier di chiarire che la curva della pressione fiscale sia decrescente. Una nota a piè di pagina della prima versione è stata così trasformata in un Focus «Pressione fiscale: un profilo decrescente». Peccato che i dati delle tabelle restano quelli originari e rigorosamente legati – come è giusto – ai criteri di contabilità pubblica e non ai desiderata del Premier: la pressione che parte dal 43,5 per cento del 2015 salirà fino al 44 per cento del 2018 ed al 43,7 per cento del 2019. Con buona pace delle slides renziane;
    in realtà, le dichiarazioni dei redditi presentate nel 2014 certificano un aumento della tassazione del 9,3 per cento in più rispetto alle dichiarazioni 2008, mentre nello stesso periodo i redditi sono aumentati del solo 5 per cento. Pesa l'effetto delle addizionali locali alle quali gli enti territoriali sono costretti per via dei tagli ai trasferimenti e per non dover chiudere servizi essenziali;
    da metà 2014, il bonus da 80 euro segna un'inversione di tendenza molto parziale: vale un po’ meno di 9 miliardi all'anno, mentre i rincari cumulati dall'Irpef ne valevano già 14,3 miliardi l'anno scorso. Di fatto il bonus è stato più che pagato con l'aumento delle tasse locali;
    c’è anche il rischio che siano ridotti gli incentivi destinati a sollecitare il recupero edilizio ed il risparmio energetico, come del resto il Governo ha già provato a fare in altri provvedimenti;
    nel DEF l'occupazione non registra grandi scostamenti. Non si trova traccia di un piano per creare lavoro. Come l'Istat ha confermato, il lavoro che arriva dalle agevolazioni alle imprese e dal Jobs act è solo lavoro sostitutivo. Per il momento il saldo occupazionale è zero, i dati dell'Inps al riguardo sono impietosi indicando un aumento ridicolo di soli 13 contratti in un anno che smentisce ogni facile trionfalismo. Nei primi due mesi dell'anno aumentano i contratti a tempo indeterminato del 12,3 per cento considerando anche le trasformazioni di rapporti a termine e apprendisti, ma diminuiscono quelli a termine del 7 per cento e in apprendistato dell'11,3 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso portando di fatto a zero la variazione dell'occupazione sul 2014;
    il DEF dà per realizzate alcune misure previste nel Jobs act, ma che in realtà sono finanziate in via sperimentale solo nel 2015. Non sono infatti previsti finanziamenti per il decreto legislativo dedicato alla conciliazione dei tempi di lavoro e di vita, né per il decreto attuativo concernente gli ammortizzatori sociali nel quale non si prevedono finanziamenti a decorrere dal 2016 per l'estensione di ASDI e DIS-Coll;
    ed invero il Jobs act si è già rivelata un'operazione di lifting normativo che toglie forza negoziale ai lavoratori ed individua risposte sbagliate ad una crisi occupazionale che trova la sua causa principale non tanto nelle supposte rigidità del mercato del lavoro quanto piuttosto nel perdurante calo della domanda interna;
    la generalizzazione della precarietà e la liberalizzazione de facto dei licenziamenti che il decreto legislativo sulle cosiddette «tutele crescenti» da una parte e cosiddetto decreto Poletti sul contratto a termine dall'altra determineranno, daranno definitivamente il colpo di grazia alle aspettative di un'intera generazione di giovani, peraltro già provata dalla legislazione degli ultimi 15 anni tutta improntata alla riduzione delle tutele e dei diritti anche retributivi dei lavoratori, che mal si concilia con l'obiettivo dichiarato nello stesso Jobs Act di promuovere forme di occupazione stabile attraverso forme di deregolamentazione del mercato che passino da una facilitazione, anzi peggio, legittimazione dei licenziamenti;
    tutti gli indicatori economici insegnano, ed i primi dati già lo confermano, che non esiste una correlazione univoca e consequenziale tra la flessibilizzazione del mercato del lavoro e la crescita occupazionale, essendo quest'ultima strettamente legata ad una domanda di lavoro che, a sua volta, non dipende dalle condizioni dell'offerta, anche se precarie e a basso costo, del lavoro, ma dalle prospettive di vendita e di allocazione della produzione industriale. L'unico effetto ascrivibile semmai al jobs act è quello di incentivare il turn over, ma che se non corroborato da una reale ripresa economica, moltiplicherà il numero degli esclusi dal mercato del lavoro. Inoltre il jobs act, anche se combinato alle forme di decontribuzione previste nella legge di Stabilità 2015, come la deducibilità del costo del lavoro dal reddito ai fini Irap e lo sgravio contributivo per i primi tre anni di assunzione, non pare sufficiente, in costanza di una totale assenza di interventi pubblici e di politiche di sostegno agli investimenti e alla domanda aggregata, volti a stimolare l'innovazione diffusa dei processi produttivi, a determinare la tanto invocata crescita occupazionale, né s'intravede in esso, alcuna minima coerenza con la logica di fondo della cosiddetta norma-incentivo che è quella di indurre, con forme premiali o anche penalizzanti, comportamenti virtuosi che, altrimenti, non sarebbero spontaneamente adottati da imprese e operatori economici privati. Il rischio, in altri termini, e come dimostrato da taluni studi empirici sulle misure di incentivazione economica alla occupazione già promosse nel nostro Paese, è quello di avviare l'ennesimo piano occupazionale per sovvenzionare assunzioni che, comunque, sarebbero state avviate a prescindere dalla esistenza o meno di forme più o meno generose di esenzione contributiva;
    il DEF indica che le grandi opere restano nel numero di 25 e i costi scendono da 76,3 a 69,2 miliardi con un risparmio stimato nel triennio di 7,1 miliardi;
    ricordiamo che dal 2007 ad oggi in Italia abbiamo avuto un calo complessivo degli investimenti pubblici del 25 per cento. Un'enormità. Ci sarebbe inoltre l'intenzione di archiviare il primato della legge obiettivo, delle procedure straordinarie, della struttura di missione. Bene. Peccato però che alle indispensabili piccole opere degli enti locali andranno invece gli spiccioli: il Cipe ha approvato il finanziamento per soli 200 milioni di 137 piccole opere tra le migliaia segnalate dai sindaci;
    da un'analisi di Svimez sulla «Spending review e divari regionali in Italia» si evidenziano gli alti costi sopportati dal Mezzogiorno: dal 2001 al 2012 la spesa in conto capitale per le aree sottoutilizzate al Sud è scesa del 58 per cento e tale riduzione è continuata negli anni successivi, tanto che la spesa pubblica in conto capitale ha registrato al Sud riduzioni da due a tre volte in più rispetto al Centro-Nord: -1,6 per cento nel 2013 contro il -0,5 per cento del Centro-Nord; nel 2014 -1,9 per cento contro -0,7 per cento dell'altra ripartizione, arrivando nel 2015 a -2,1 per cento al Sud contro -0,8 per cento del Centro-Nord. Sempre secondo le stime Svimez «le manovre effettuate dal 2010 ad oggi dai vari Governi (il cui valore cumulato arriva a oltre 109 miliardi di euro nel 2014) in rapporto al Pil sono pesate più nel Mezzogiorno rispetto al Centro Nord. In particolare, il peso cumulato delle manovre sul Pil per il 2013 sarebbe del 6 per cento a livello nazionale, ma territorialmente le differenze sono assai più accentuate: 5,5 per cento nelle regioni centro settentrionali e 7,8 per cento in quelle meridionali. Stesse dinamiche negli anni successivi: per il 2014 l'impatto sul Pil è stimato al 6,5 per cento quale risultato del 5,9 per cento al Centro-Nord e dell'8,7 per cento al Sud. L'impatto della manovra sul Pil cresce ancora nel 2015, arrivando al 6,8 per cento a livello nazionale. Ma se al Centro-Nord il peso sul Pil si ferma al 6 per cento, al Sud sale fino al 9,5 per cento». Il DEF 2015 non prevede nessuna inversione di tendenza di tali politiche che hanno così fortemente penalizzato il Mezzogiorno;
    i dati sulla povertà in Italia sono drammatici: dal 2008 al 2014 la crisi in Italia secondo i dati Istat, ha raddoppiato e quasi triplicato i numeri della povertà relativa ed assoluta attestandosi a 10 milioni quelli in povertà relativa, il 16,6 per cento della popolazione complessiva, ed ad oltre 6 milioni, il 9,9 per cento della popolazione, in povertà assoluta. Ma oltre i dati relativi alla condizione specifica della povertà, dobbiamo comprendere nel computo finale tutte quelle fasce sociali a rischio povertà: dagli oltre 3,2 milioni di lavoratori e lavoratrici working poor ai precari, dagli over 50 senza alcun lavoro alle donne, dai migranti ai giovani, dagli anziani a coloro che hanno difficoltà abitative il numero dei soggetti a rischio potrebbe aumentare in maniera esponenziale. Nel 2013, il 12,6 per cento delle famiglie è in condizione di povertà relativa per un totale di 3 milioni 230 mila e il 7,9 per cento lo è in termini assoluti, 2 milioni 28 mila famiglie. Le persone in povertà relativa sono 10 milioni 48 mila persone, il 16,6 per cento della popolazione, mentre quelle in povertà assoluta sono 6 milioni 20 mila, il 9,9 per cento del totale della popolazione;
    il DEF conferma che non c’è nessuna inversione di rotta, e nessuna efficace e credibile politica di reale contrasto alla povertà nel nostro Paese. Una vera emergenza che dura ormai da più di sette anni, e che colpisce fasce sempre più larghe della popolazione;
    le politiche del Governo continuano a privilegiare i trasferimenti monetari rispetto ad azioni strutturali e stabili e all'incremento dei fondi per le politiche sociali, per il sostegno alla famiglia ed all'infanzia, per la non autosufficienza;
    accanto al rifinanziamento della social card, l'Esecutivo ha introdotto il cosiddetto bonus bebé, un assegno per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015 fino al 2017, purché la condizione del nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente sia in condizione economica corrispondente a un valore ISEE non superiore a 25 mila euro annui. Una misura che costerà complessivamente 3,642 miliardi di euro complessivi (fino al 2020). Anche in questo caso siamo di fronte a un trasferimento monetario alle famiglie meno abbienti che decideranno nei prossimi tre anni di metter al mondo dei figli. Sotto questo aspetto, si è scelto per un sostegno monetario diretto piuttosto che in un rafforzamento dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Cosa che avrebbe consentito (al contrario del bonus) di investire nel futuro del Paese, rispondere meglio alle esigenze reali dei genitori meno abbienti, e dare nuove opportunità di occupazione;
    allo sviluppo dei servizi socio-educativi per l'infanzia, l'ultima legge di stabilità destina solo 100 milioni di euro per il 2015, laddove sarebbe necessario provvedere al rifinanziamento del Piano straordinario di interventi per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi previsto dalla legge 296/2006;
    per quanto concerne le non autosufficienze, non si prevedono ulteriori risorse. L'ultima legge di stabilità ha stanziato 400 milioni per il solo anno 2015, e questo – tra l'altro – grazie al lavoro parlamentare, visto che il Governo aveva inizialmente previsto solo 250 milioni. Dal 2016 le risorse stanziate scendono alla ridicola cifra di 250 milioni di euro annui. Senza peraltro alcun vincolo di destinazione di parte di detto stanziamento, per i servizi di assistenza domiciliare;
    l'iniquo intervento sulle pensioni di invalidità, che porterebbe a risparmi dell'ordine di 100 milioni nel 2015 e di 200 milioni a decorrere dal 2016, si articola, nel DEF, in tre interventi distinti il primo dei quali è quello di collegare l'erogazione dell'indennità di accompagnamento, che attualmente è una misura universale che costa 12 miliardi l'anno, ad un test reddituale; il secondo prevede la sospensione dell'indennità di invalidità nei casi di ricoveri ospedalieri superiori a 30 giorni; il terzo prevede di armonizzare le soglie di reddito per l'accesso a tutte le prestazioni;
    sempre in tema di pensioni procurano allarme sociale le ricorrenti dichiarazioni del Presidente dell'Inps, che avanza l'ipotesi di un possibile ulteriore intervento sul sistema previdenziale che mira, da un lato, al ricalcolo delle pensioni in essere portandole tutte al metodo contributivo e, dall'altro, ad introdurre un ulteriore contributo di solidarietà sulle pensioni più alte (salvo poi scoprire che «le più alte» sono considerate le pensioni da 1.200 euro al mese!), facendo eco e poggiandosi sulle dichiarazioni dello stesso tenore del Capo del Governo all'epoca del suo insediamento, e che fanno intravedere il reale pericolo che il Governo, a corto di risorse, adotti tali sciagurati propositi nelle prossime manovre;
    al netto di una crescita fino al 2016 legata all'incremento delle risorse in legge di stabilità, il DEF stabilisce su una proiezione di medio-lungo periodo una previsione di spesa in istruzione che cala drasticamente, fino ad una riduzione di circa 10 miliardi. La spesa in istruzione infatti resta sempre al di sotto della media OCSE, e tocca il punto più basso nel 2030-2035 (3.3 del Pil). Il calo degli studenti per ragioni demografiche – oramai stabilizzato da due decenni – non può giustificare politiche di costante definanziamento del sistema pubblico, né riesce a rappresentare quelle fasce amplissime di dispersione (17 per cento nel nostro paese) legate ad un inadeguato sistema di diritto allo Studio e alla totale assenza di un welfare studentesco;
    la spesa per la formazione e la scuola italiana resta al di sotto della media europea e la legge di stabilità per il 2015 non ha stanziato adeguate risorse per eliminare il gap di offerta formativa col resto dell'Europa. Il governo, per supplire alla scarsità degli investimenti dello stato, con il DDL «La Buona scuola» ha introdotto le «sponsorizzazioni», con la concessione di crediti d'imposta a cittadini e imprese per donazioni alle scuole e con la destinazione del 5xmille della dichiarazione dei redditi, con il rischio di creare e accrescere le forti disuguaglianze tra scuole di aree economico-sociali diverse, con buona pace dell'uguaglianza d'accesso di tutti i cittadini al diritto allo studio e del carattere nazionale e unitario del sistema d'istruzione;
    il DDL scuola affida la realizzazione della «piena» autonomia delle istituzioni scolastiche alla figura dei dirigenti scolastici, che scelgono e valutano i propri alcuni docenti, trasformando così in maniera inaccettabile lo status giuridico dei docenti, spingendoli in un'inedita area di natura privatistica dove risponde del proprio operato al dirigente e dove la stessa libertà di insegnamento è a rischio. Ad aggravare la situazione il DDL attribuisce ai dirigenti scolastici il potere di assegnare direttamente un «bonus insegnanti» sulla base di non meglio precisati criteri di misurazione della qualità didattica. Per il «bonus» sono previsti solo 200 milioni annui, che corrispondono a meno della metà del complesso dei tagli operati sul Fondo dell'Istituzione scolastica per il riconoscimento del lavoro aggiuntivo. Il voucher di 500 euro per docente per l'aggiornamento professionale attraverso l'acquisto di libri, testi, strumenti digitali, iscrizione a corsi, l'ingresso a mostre ed eventi culturali, sembra un ridicolo contentino a un personale, sottopagato, qualificato e a cui affidiamo la formazione dei nostri giovani;
    il DDL prevede, come punto centrale, un Piano straordinario di assunzioni riferito a circa 100.000 docenti con l'assenza assoluta di ogni considerazione del personale tecnico (ATA). Ai precari che hanno contratti per oltre 36 mesi, nonostante la condanna inflitta al MIUR dalla Corte di giustizia europea per la loro mancata assunzione viene riconosciuto solo un risarcimento dei danni. In seguito si assumerà soltanto tramite concorsi triennali cancellando le attuali graduatorie provocando un aumento esponenziale dei contenziosi;
    oltre al finanziamento previsto nella finanziaria del 2015 per le scuole private, il DDL prevede una serie di risorse aggiuntive alla famiglia sotto forma di agevolazioni e di detrazioni fiscali che riguardano le spese per l'iscrizione, un credito d'imposta in caso di donazioni oltre alla possibilità di usufruire della destinazione del 5xmille;
    per ultimo il DDL scuola attraverso deroghe e abrogazioni che rilegificano il rapporto di lavoro di pubblico impiego per la scuola abolisce di fatto il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro;
    è inaccettabile infatti l'attivazione dell'albo professionale territoriale dei docenti, così come le modifiche unilaterali sulla mobilità territoriale e professionale;
    i cambiamenti climatici già agiscono con evidenza nel nostro Paese, esposto, secondo le previsioni UNFCCC, al rischio dei rilevanti impatti previsti per l'area del Mediterraneo. Nell'anno della decisiva XXI Conferenza delle parti dei Paesi aderenti alla Convenzione quadro, si ritiene che il Governo debba avere un orientamento ben più incisivo sia in sede internazionale, assumendo una chiara posizione in materia di riduzione delle emissioni da gas serra, che adottando quanto prima la Strategia nazionale di adattamento, supportata da robuste politiche di settore, con priorità assoluta per il risparmio energetico e il risanamento idrogeologico, settori ad oggi privi di risorse significative nelle scelte di bilancio;
    il governo non ha una strategia energetica adeguata alla sfida dei cambiamenti climatici. L'insistenza sulle fonti fossili, ribadita con le misure inserite nel recente decreto legge «Sblocca Italia», colloca l'Italia in evidente contrasto con gli orientamenti europei. La forzatura istituzionale compiuta sulle estrazioni di idrocarburi ha aperto uno scontro frontale con le Regioni interessate e non apporterà alcun vantaggio concreto al bilancio energetico del Paese;
    nel DEF il governo riafferma la sua scelta di politica energetica che ha delineato la Strategia energetica nazionale (SEN) puntando sui gasdotti, sui rigasificatori, sulle infrastrutture di trasporto del gas naturale e di stoccaggio e sulle attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi nel territorio con lo sblocco di investimenti stimabili in 15 miliardi. Nel campo delle energie rinnovabili è chiarissima l'intenzione del governo di non sostenere più l'ulteriore sviluppo di tali energie pulite, scrivendolo per altro a chiare lettere quando si sostiene che, l'Italia avendo già raggiunto nel 2013 con il 16,7 per cento gli obiettivi europei fissati al 2020 (17 per cento dei consumi finali), non occorre più prevedere risorse aggiuntive per la loro incentivazione;
    incoerente con il dichiarato obiettivo di invertire la rotta in materia di consumo di suolo è tuttora la politica del governo in materia di infrastrutture. Anche qui il riferimento è al DL Sblocca Italia, laddove le misure approvate non configurano segnali della necessaria drastica revisione delle scelte, a cominciare dalla necessità di mettere in discussione la logica degli interventi a pioggia che ha supportato la Legge Obiettivo;
    pressoché inesistente l'impegno del governo in materia di aree naturali protette. Parchi nazionali e riserve marine sopravvivono in stato di agonia, con riduzione delle risorse tale da azzerare le politiche di tutela e con nomine improprie che perpetuano logiche di spartizione correntizia. Occorre rilanciare questa grande risorsa del nostro Paese e inserire organicamente nel sistema delle aree protette tutte le aree Natura 2000;
    grave ritardo anche nelle politiche per la tutela degli animali, a cominciare dalla necessaria revisione della normativa penale, tuttora carente, dalla necessità di rivedere alcuni aspetti della normativa venatoria in evidente contrasto con la disciplina europea (richiami vivi), all'urgenza di un nuovo orientamento in materia di sperimentazione a fini scientifici, alla necessità di rafforzare il contrasto al traffico illegale delle specie protette;
    nella riforma della Pubblica amministrazione la previsione dell'assorbimento, nelle altre forze di polizia, di uomini, mezzi, esperienze e capacità affermate in anni di impegno nella difesa dell'ambiente, del territorio e della sicurezza agro-alimentare del Corpo Forestale dello Stato, configura la volontà esplicita del Governo di pervenire ad uno smembramento del Corpo e quindi ad una sua soppressione di fatto e di conseguenza alla dispersione di energie e di esperienze preziose e indispensabili senza le quali vengono meno quelle funzioni fondamentali e necessarie per il rispetto dei principi di salvaguardia e di tutela dell'ambiente e del territorio il rischio reale di indebolire vistosamente gli interventi di contrasto degli eco-reati;
    le politiche per il comparto agroalimentare evidenziano una permanente carenza di indirizzi nazionali, in grado di intervenire concretamente sulle crisi di settore che investono tuttora alcuni dei comparti più significativi. Abbiamo a più riprese sollecitato la dotazione di risorse idonee per i Piani nazionali di settore, già approvati dal Ministero, ma privi di qualunque stanziamento, a cominciare dal piano olivicolo e dal piano cerealicolo;
    manca completamente una politica del governo per il contrasto dei fenomeni di abbandono dell'agricoltura nelle aree interne e svantaggiate, il fenomeno si sta anzi aggravando anche per effetto delle scelte condotte in materia di IMU agricola che hanno aggravato l'imposizione fiscale sul settore;
    occorre riorganizzare e potenziare i servizi di controllo fitosanitario. La ricorrenza di gravi problematiche connesse alle fitopatie indica la necessità di dedicare ben altro impegno alla prevenzione, di consentire l'accesso alle risorse disponibili per le calamità naturali, di prevedere interventi concreti per rinviare le scadenze fiscali e previdenziali nelle aree territoriali e per i settori che risultano più colpiti dall'emergenza;
    l'EXPO deve essere un'occasione per valorizzare la straordinaria ricchezza del patrimonio agroalimentare del nostro Paese, non certo per fornire una vetrina alla grande industria e alle multinazionali del cibo;
    in questi anni, seppur dinanzi a una crisi economica sempre più forte, i fondi nazionali per il contrasto della povertà si sono sensibilmente ridotti (un miliardo e 536 milioni di euro dall'inizio della crisi al 2013);
    un DEF diverso è possibile: un DEF orientato alla crescita, agli investimenti, al lavoro, senza tagli agli enti locali, alla sanità, ai servizi sociali. Servono 23,5 miliardi per rilanciare l'Italia,

impegna il Governo

   per recuperare le necessarie risorse per una manovra di finanza pubblica alternativa:
   a) ad utilizzare tutto lo spazio esistente del rapporto deficit-pil consentito dai Trattati, portando l'indebitamento netto ad un valore pari al 3 per cento del Pil seguendo almeno in parte l'esempio francese. Siamo ancora in una fase di recessione, di deflazione e solo alla fine di quest'anno avremo forse il segno positivo del Pil. Siamo ancora in una fase di emergenza economica. Per questo dobbiamo ottenere da Bruxelles di arrivare anche per il 2016 al 3 per cento del rapporto deficit-Pil, rispetto al 2,5 per cento tendenziale. Questo permetterebbe di liberare 8 miliardi di risorse per gli investimenti, la crescita, il lavoro;
   b) ad ottenere un miliardo da una più incisiva azione di riduzione degli incentivi alle imprese;
   c) ad ottenere un gettito aggiuntivo di 3,5 miliardi dalla Tobin tax. Attualmente abbiamo una Tassa sulle transazioni finanziarie, varata dalla ultima legge di stabilità del Governo Monti assolutamente «light»; vengono tassate le transazioni finanziarie relative a poco più del 3 per cento delle azioni e solamente il «saldo di fine giornata». Tassando le transazioni di tutti i prodotti finanziari (derivati, sdo, eccetera) e tassando – anche con una modestissima aliquota dello 0,01 per cento – le singole operazioni di natura speculativa e non solo il «saldo di fine giornata», si potrebbero recuperare almeno 3,5 miliardi di euro;
   d) a recuperare 6 miliardi di euro rinunciando agli inutili e costosi F35 ed alla TAV Lione-Torino. Nel settembre del 2014 la Camera dei Deputati ha approvato una mozione che impegna il governo a dimezzare la spesa per gli F35. Questo significa un risparmio di almeno 6 miliardi di euro. Il governo non ha ancora dato seguito a quell'impegno. È vero che la spesa si riferisce non solo al 2016, ma anche agli anni successivi. È per questo che tali risorse potrebbero essere utilizzate anche negli anni a venire per finanziare misure permanenti e stabilizzare le misure di seguito indicate;
   e) ad ottenere 5 miliardi di gettito da una patrimoniale sulle ricchezze finanziarie. Oggi è pari a circa 3.500 miliardi di euro l'ammontare delle ricchezze finanziarie – escluse quelle immobiliari – detenute da società, famiglie e singoli. Quelle superiori a 1 milione di euro sono in mano ad una fascia ristrettissima della popolazione (non più del 5 per cento). Escludendo la fascia sotto il milione di euro con una imposizione aggiuntiva minima (su rendite, azioni, eccetera) dello 0,5 per cento si potrebbero recuperare ben più di 5 miliardi di euro;
   f) ad ottenere alcuni miliardi di euro derivanti dall'applicazione anche graduale delle misure di contrasto all'evasione dell'IVA proposte dal centro studi NENS, contestualmente operando per ridurre l'impatto in termini di liquidità che reverse change e split payment hanno avuto sulle PMI; un recupero di gettito la cui quantificazione avverrebbe ex-post mentre le risorse recuperate potrebbero essere trasferite ad un apposito Fondo;
  ad utilizzare questi 23,5 miliardi (e forse anche una somma maggiore) sostanzialmente per due obiettivi:
   a) un piano straordinario del lavoro, capace di attivare investimenti che possano creare almeno 500mila nuovi posti di lavoro: piccole opere, lotta al dissesto idrogeologico, messa in sicurezza delle scuole, diffusione delle energie rinnovabili, welfare pubblico. Si tratterebbe di un piano non assistenziale, ma capace di attivare una «domanda di lavoro», grazie ad un piano di investimenti pubblici;
   b) l'istituzione del reddito di cittadinanza. Si potrebbe destinare una parte delle risorse – utilizzando nel contempo in aggiunta anche i finanziamenti già destinati all'ASPI e altre forme di erogazioni di natura assistenziale – per far fronte all'introduzione di un reddito di cittadinanza inizialmente finalizzato a garantire l'integrazione al reddito di chi si trova in condizioni di povertà e di disoccupazione,

impegna inoltre, il Governo

Scuola, università e ricerca
   a predisporre un programma pluriennale per ottenere un incremento delle spese in istruzione, formazione e ricerca fino al 6 per cento del Pil, come nella media dei Paesi europei;
   ad uscire dalle enunciazioni generiche sull'elaborazione di un nuovo programma nazionale sulla ricerca che incrementando il numero dei ricercatori possa far risalire l'Italia nella classifica europea sulla ricerca, attraverso l'indicazione precisa di uno stanziamento di adeguate risorse finanziarie già a partire dal 2015, con l'emanazione immediata di misure per contrastare la precarietà dei ricercatori e degli assegnisti di ricerca;
   a prevedere un piano triennale di stabilizzazioni di tutto il personale docente ed ATA compreso, che ponga fine all'uso improprio del precariato e che tenga conto anche degli abilitati attraverso i percorsi TFA e PAS, rinviando ogni indizione di nuovi concorsi dopo il completamento del piano triennale di assunzione dei precari;
   ad aumentare gli stanziamenti previsti a favore dell'edilizia scolastica puntando prioritariamente nel contempo al recupero e alla ristrutturazione degli edifici esistenti e solo in subordine alla costruzione di nuove scuole;
   a sopprimere di tutte le agevolazioni a favore delle scuole private con l'eliminazione dello school bonus, poiché frequentare le scuole private è una libera scelta dei cittadini che deve avvenire, secondo il dettato costituzionale, senza oneri per lo Stato, della detraibilità fiscale prevista per le scuole private nonché della destinazione del 5 per mille alle stesse scuole private;
    ad eliminare ogni previsione di poteri aggiuntivi affidati ai dirigenti scolastici nella scelta dei docenti da utilizzare nella propria scuola, nella valutazione e nel riconoscimento del merito e nell'attribuzione di incrementi retributivi, in quanto tutto ciò provocherebbe lo snaturamento delle funzioni del dirigente e dell'attuale profilo così come delineato dal vigente quadro normativo e contrattuale;

Energia
   ad assumere, nell'ambito dell'Unione europea ed in vista della XXI Conferenza a Parigi nel prossimo dicembre 2015 per un nuovo accordo mondiale sul clima, un ruolo propulsore per far sì che l'Europa diventi leader nella sfida per un'economia e per una società low-carbon al 2030 attraverso la revisione dei targets previsti e realizzazione vincolante di tre obiettivi: il taglio del 55 per cento delle emissioni di CO2, il raggiungimento di una quota pari ad almeno il 45 per cento di energia da fonti rinnovabili ed ad almeno il 40 per cento di efficienza energetica;
   a garantire che il piano energetico nazionale preveda la centralità delle fonti energetiche rinnovabili e che le linee guida e le incentivazioni in esso contenute siano coerenti e conformi con le reali esigenze del Paese, attraverso la necessaria modifica della Strategia Energetica Nazionale (SEN) con il sostegno, con mezzi finanziari adeguati e procedure e misure incentivanti idonee ed efficaci, dell'innovazione tecnologica nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili;
   a prevedere interventi normativi concreti per la realizzazione di una maggior efficienza energetica da parte del comparto privato, del comparto pubblico e del comparto industriale, in linea con quanto fatto già dall'industria europea in termini di investimento e realizzazione in questo settore e al fine di ridurre il fabbisogno energetico;
   a modificare radicalmente l'orientamento delle politiche in materia energetica, assicurando il necessario impegno per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e provvedendo all'abrogazione delle disposizioni normative che configurano procedure incostituzionali e ambientalmente inadeguate per le estrazioni di idrocarburi, a cominciare dall'articolo 38 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014;

Ambiente e agricoltura
   ad adottare entro l'anno in corso la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, adeguando il dimensionamento degli stanziamenti di bilancio alla rilevanza delle emergenze in atto, con assoluta priorità per le dotazioni finanziarie finalizzate al risanamento idrogeologico;
   a calendarizzare quanto prima la revisione dell'impianto normativo della Legge 21 dicembre 2001, n. 443, in materia di infrastrutture strategiche, riorientando le risorse in direzione del trasporto pubblico e della mobilità nelle aree metropolitane, e procedendo alla modifica sostanziale delle procedure di affidamento, a cominciare dalla figura del Contraente Generale;
   a prevedere idonei stanziamenti per il funzionamento del sistema dei parchi, delle riserve naturali e delle aree marine protette, con particolare riferimento alle risorse necessarie a consentire interventi adeguati in materia di tutela della biodiversità e protezione della fauna;
   a riconsiderare la volontà espressa di uno smembramento o addirittura di una vera e propria soppressione del Corpo forestale dello Stato mantenendo l'autonomia e l'operatività del Corpo, anche integrando efficacemente nella struttura operativa dello stesso le polizie ambientali di competenza regionale e provinciale al fine di rafforzare gli obiettivi di tutela dell'ambiente e del territorio costituzionalmente garantiti, le funzioni di controllo nel campo della sicurezza nel settore agroalimentare nonché l'impegno per il contrasto dei reati in materia ambientale;
   a dotare delle necessarie risorse finanziare i Piani nazionali di settore approvati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a cominciare, nel corso dell'anno 2015, dal piano olivicolo e dal piano cerealicolo;
   a provvedere all'abolizione dell'IMU sui terreni condotti da imprenditori agricoli e coltivatori diretti, predisponendo nel contempo un'adeguata strategia fiscale rivolta a contrastare l'abbandono dell'agricoltura nelle aree interne e svantaggiate;
   a procedere, d'intesa con le Regioni, alla riorganizzazione e al potenziamento dei Servizi fitosanitari, prevedendo altresì, al fine di fronteggiare le fitopatie in atto, l'accesso alle risorse disponibili per le calamità naturali e il rinvio delle scadenze fiscali e previdenziali per i settori e nelle aree più colpite dall'emergenza;

Asili nido
   a rifinanziare il Piano straordinario di interventi per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi previsto dalla legge 296/2006;

Salute
   a incrementare sensibilmente dal 2016 le risorse destinate alle non autosufficienze;
   a invertire le politiche dei continui tagli alla sanità pubblica, implementando le risorse per lo sviluppo dell'offerta dei servizi socio-sanitari con particolare riguardo alla prevenzione, l'assistenza domiciliare e territoriale, garantendo l'uniformità su tutto il nostro territorio dell'appropriatezza delle prestazioni;

Enti locali
   a dare risposte positive a quanto chiesto dai Comuni in merito all'applicazione della legge di stabilità 2015;
   a sopprimere i tagli ai trasferimenti ai Comuni, eventualmente compensandoli con riduzioni delle spese delle amministrazioni statali;
   ad accelerare la rinegoziazione dei mutui con CDP e più in generale a rivedere le condizioni alle quali vengono erogati mutui ai Comuni;
   a ricostituire per il 2015 il Fondo compensativo di 625 milioni già riconosciuto per il 2014;
   a stanziare maggiori ed adeguate risorse finanziarie da parte del governo da destinare all'eventuale scostamento tra il gettito effettivamente riscosso dai comuni e le stime ministeriali del gettito atteso in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani di cui al decreto-legge n. 4 del 2015, e successive modificazioni;
   a rimodulare in maniera consistente verso il basso le sanzioni per le città metropolitane per lo sforamento del Patto di stabilità ereditato dalle Province;
   a garantire ai Comuni i tempi indispensabili per la redazione dei bilanci definendo ogni anno entro una data precisa le risorse a loro disposizione e dando poi loro due-tre mesi di tempo da tale scadenza per l'approvazione dei bilanci;
   a non modificare nell'esercizio in corso le disposizioni relative alla fiscalità locale ed a non ridurre per il medesimo esercizio i trasferimenti a loro favore.

Personale Province
   a rispettare i termini ed a giungere, entro il 31 dicembre 2016, al pieno ricollocamento di tutto il personale delle province al fine di evitare il collocamento in disponibilità anche di un solo dipendente e scongiurare l'avvio dei licenziamenti al termine di tale periodo;
   ad avviare un confronto serio che assicuri ai cittadini ed ai lavoratori interessati la piena sostenibilità del sistema e la salvaguardia occupazionale intervenendo, se necessario, anche normativamente per correggere i tagli finanziari a regioni, province e comuni.

Politiche comunitarie
   a prevedere l'istituzione di un Ministro per le politiche comunitarie che si occupi anche di monitorare con continuità i procedimenti sanzionatori nei confronti del nostro Paese e della gestione dei fondi comunitari in maniera organica;

Ammortizzatori
   a garantire le necessarie risorse per finanziare, a decorrere dal 2016, sia le misure previste per la conciliazione dei tempi di lavoro e di vita di cui al Jobs act che le risorse per l'estensione di ASDI e DIS-Coll;

Spending review
   ad attuare, nell'ambito delle ulteriori misure di revisione della spesa, una riforma dei regimi di esenzione, di esclusione e di favore fiscali con l'esclusione delle disposizioni a tutela dei redditi di lavoro dipendente e autonomo, dei redditi da pensione, della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell'ambiente.
(6-00131) «Marcon, Melilla, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Matarrelli, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo, con l'usuale abilità comunicativa, ha oscurato una comunicazione approfondita sul contenuto del DEF porgendo ai riflettori l'esistenza di un cosiddetto «tesoretto», che deriverebbe da migliori previsioni di PIL, riflesse in una diminuzione del rapporto deficit-PIL e quindi, a suo dire, in una maggiore possibilità di spesa. Premesso che non si sta parlando di nuove risorse ma della possibilità, all'interno dei margini concessi dall'Europa, di realizzare maggiore deficit, tutti gli analisti hanno redarguito il Governo rispetto ad un utilizzo inadeguato di tale margine, che a nostro avviso potrebbe essere altrimenti definito un «utilizzo elettorale»; per l'UPB, la Corte dei conti, la Banca d'Italia, è imprudente utilizzare nel 2015 un margine che, in corso d'anno, non si può dare per acquisito e che è calcolato sulle previsioni di PIL più rosee possibili. Per la Lc Macro Advisors dell’ex capo economista del tesoro, addirittura il tesoretto «non emerge chiaramente dal Documento»;
    nonostante il DEF sostenga la messa in atto di una politica di contenimento del debito, la Banca d'Italia ha denunciato, con le ultime rilevazioni contenute nel supplemento al Bollettino statistico: Finanza pubblica, fabbisogno e debito, un nuovo record: il debito delle Amministrazioni pubbliche è aumentato a febbraio 2015 di 3,3 miliardi rispetto a gennaio, salendo a 2.169,2 miliardi e raggiungendo il massimo storico, sopra il precedente picco di 2.167,7 miliardi del luglio 2014;
    il DEF non prevede alcuna revisione dei tagli previsti per gli enti locali e territoriali, che ammontano complessivamente tra il 2011 ed il 2015 (dalla prima manovra Monti all'ultima legge di stabilità del Governo Letta) ad almeno 25 miliardi di euro, e stanno determinando nelle prossime settimane la dichiarazione di default per molte province, il blocco totale degli investimenti per il territorio e l'impossibilità di adempiere ai servizi pubblici per tutti gli enti; non si affronta altresì il tema urgente della revisione dei parametri del Patto di stabilità interno che ha bloccato l'attività dei Comuni, soprattutto quelli virtuosi, uccidendo di fatto le autonomie locali e scaricando sugli enti locali il ruolo di esattori per lo Stato, di tagliatori di servizi e di punto di sfogo del risentimento popolare, nonostante non siano né coinvolti né responsabili dei tagli imposti dal Governo;
    dal 2010 ad oggi, tra taglio dei trasferimenti e patto di stabilità, i soli Comuni hanno fatto sacrifici per 17 miliardi di euro, nonostante incidano solo per il 2,5 per cento sul totale del debito pubblico e per il solo 7,6 per cento sul totale della spesa pubblica; dal 2011 i decreti che hanno cambiato le regole di bilancio per i Comuni sono stati ben 64, rendendo impossibile la programmazione. Nello stesso periodo, le amministrazioni centrali dello Stato hanno operato tagli molto inferiori, e addirittura il taglio delle spese dello Stato, previste del 3 per cento in stabilità, è stato ridimensionato nel DEF al solo 1 per cento con un contestuale aumento dei costi della Presidenza del Consiglio;
    le previsioni positive sull'andamento dell'economia contenute nel DEF poggiano in larga parte su condizioni esogene al Paese. Tuttavia in base anche a recenti ricerche, come quella della Fondazione per la sussidiarietà, si dimostra che con più federalismo il PIL crescerebbe in misura maggiore, come del resto avviene ad esempio in Germania. Il Governo ha tradito lo spirito del Federalismo Fiscale forzando il proprio molo di coordinamento della finanza pubblica. L'ultimo rapporto della Copaff dimostra che agli enti locali è stato chiesto uno sforzo di risanamento non proporzionato all'entità delle loro risorse, con un atteggiamento del tutto sperequato rispetto alle amministrazioni statali, per le quali non è stata mai nemmeno pensata la definizione di parametri analoghi ai costi e ai fabbisogni standard;
    il DEF non chiarisce come potranno essere evitate le clausole di aumento di IVA e taglio delle detrazioni già legiferate con la legge di Stabilità. Si tratta di ben 16 miliardi, cioè dieci volte lo sbandierato tesoretto. Il Governo si limita a ribadire che si opererà una spending review compensativa, già prevista dalla stessa legge di stabilità, ma addirittura riducendola dai 16 miliardi necessari a soli 10 miliardi, senza spiegare come e cosa si taglierà. Gli altri sei miliardi mancanti, nelle previsioni del Governo, dovrebbero arrivare spontaneamente e miracolosamente nelle casse dello Stato dalla crescita e dal calo dello spread, tutti elementi ciclici per definizione, mentre la riduzione della spesa dovrebbe essere strutturale per essere efficace;
    il Governo è stato smentito anche sugli annunci relativi alla diminuzione della pressione fiscale: l'ISTAT ha tombalmente affermato che il peso fiscale si mantiene nel 2015 allo stesso livello del 2014 al 43,5 per cento e aumenta di 6 decimi di punto nel 2016, circa 10 miliardi di euro;
    nel Documento di economia e finanza per il 2015 si annuncia per l'ennesima volta una riforma della tassazione locale sugli immobili, più volte promessa dal Governo fin dal suo insediamento; tenuto conto dell'attuale carico di imposizione fiscale, è necessario evitare che la nuova riformulazione possa divenire l'occasione per un ulteriore aumento della tassazione, quanto piuttosto lo strumento per rivedere, a ribasso, l'imposizione fiscale. È necessario dare un segno tangibile e veramente percepibile ai cittadini, al fine di rifondere loro fiducia nelle pubbliche amministrazioni, specie quelle locali, spesso ingiustamente ritenute responsabili dell'aggravio fiscale;
    il Governo sottolinea fortemente l'uscita (presunta) del Paese dalla recessione, basata principalmente sulla ripresa dell'export, favorita da un deprezzamento dell'euro e dalla diminuzione del costo delle materie prime, nonché alla politica monetaria della BCE. Il «quantitative easing», in particolare, se pure ha prodotto effetti positivi sulla riduzione del costo per il finanziamento del debito, dall'altro non ha provocato un impatto significativo sull'accesso al credito da parte delle imprese, con riguardo a quelle di media e piccola dimensione, i «nuovi esodati» di questi ultimi anni, che hanno maggiormente avvertito la crisi di liquidità legata alla contrazione dei finanziamenti bancari nei loro confronti. Gli ultimi dati della Banca d'Italia indicano infatti un calo su base annua del 3 per cento del finanziamento alle imprese;
    il Governo non è stato in grado fino ad ora di dare risposte concrete al tessuto della piccola e media imprenditoria che ancora oggi si rende protagonista della flebile ripresa del Paese, continuando ad investire in Italia e creando occupazione. Poco o nulla infatti è stato fatto per garantire loro un più facile accesso al credito e una riduzione dei carichi fiscali, sociali e burocratici;
    a queste difficoltà si aggiunge lo sproporzionato carico fiscale che grava sulle imprese, dovuto ad un sistema tributario vessatorio e vetusto che impone alle imprese una tassazione di gran lunga superiore sia alla media dell'eurozona che a quella dell'intera Unione europea. Il nostro Paese si attesta al secondo posto in Europa per incidenza sul reddito imprenditoriale del prelievo fiscale e contributivo con una percentuale che raggiunge il 42,3 per cento mentre in Francia è pari al 38,6 per cento e in Germania al 37,1 per cento;
    tale linea di politica economica sostenuta da questo Governo, ha prodotto e continua a produrre un impoverimento del tessuto produttivo, oltre che una stagnazione degli investimenti e della domanda interna, compromettendo la competitività delle imprese;
    il Governo rivendica l'aumento delle assunzioni dall'inizio del 2015, senza specificare se sia effettivamente aumentato il numero delle forze lavoro rispetto allo scorso anno, ovvero si sia trattato di una trasformazione di contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato, stante l'incentivo della decontribuzione previsto per trentasei mesi a decorrere dal 2015. Preoccupa, invero, l'opera di «macelleria sociale» in atto e che emergerà solo al termine dei vantaggi fiscali: il neoassunto sarà licenziabile in qualunque momento a fronte di un indennizzo pari a 2 mensilità all'anno;
    gli interventi fiscali sull'agricoltura hanno portato a circa 1 miliardo di euro di imposizioni come la TASI sui fabbricati rurali e strumentali, le rivalutazioni dei redditi dominicali, le norme IRPEF per la mancata coltivazione dei fondi, la tassazione sulle agro energie in campo agricolo e la riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego ad aliquota agevolata in agricoltura; l'IMU sui terreni agricoli è una nuova patrimoniale che penalizza territori che molto spesso partono già svantaggiati. Nel DEF il Governo, pur parlando di IMU, non specifica invece eventuali interventi sull'IMU agricola e sul relativo regime di esenzione;
    l'IMU è fonte di vessazione per le imprese anche a causa della confusione normativa ed interpretativa riguardo alla sua applicazione agli impianti ad uso produttivo; da tempo il mondo delle imprese chiede di mettere fine a quella che è stata definita la «patrimoniale» sui beni per l'attività produttiva poiché la determinazione della rendita catastale dei cosiddetti «macchinari imbullonati» non fa che aumentare il prelievo applicato dai Comuni con l'imposta sugli immobili, a cui si aggiunge l'ulteriore penalizzazione della deduzione limitata al 20 per cento dell'IMU delle sole imposte dirette e non dall'Irap;
    l'allegato 3 al DEF, in merito al Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) ha identificato un gruppo ristrettissimo di opere prioritarie sulle quali convogliare le risorse pubbliche e private disponibili, rimandando la revisione del programma, a valle di un approfondito confronto con le Regioni, nell'ambito del previsto aggiornamento in sede di definizione della nota di aggiornamento al DEF; tale allegato elimina dall'elenco delle opere prioritarie del PIS una serie di opere infrastrutturali importantissime per il Paese e già finanziate, come la Valtrompia, la Valdastico, le opere di Accessibilità alla Valtellina, la Pedemontana Piemontese, lasciando nel limbo opere da anni attese dal territorio,

impegna il Governo:

   ad adottare, in sede di nota di aggiornamento al DEF ed anche con provvedimenti d'urgenza, misure atte a rivedere i tagli lineari stabiliti per enti locali e territoriali, riequilibrando il contributo al risparmio di spesa pubblica tra Amministrazione centrale ed autonomie e rivedendo la ripartizione dei tagli non più su base lineare ma applicando i costi standard come criterio di efficientamento e di premio degli enti virtuosi;
   a selezionare gli interventi di revisione della spesa sulla base di più precisi indirizzi definiti in sede parlamentare in modo da consentirne una condivisione più ampia ed evitare che i tagli producano effetti recessivi e senza compromettere il livello di quella in conto capitale, salvaguardando i settori decisivi per le potenzialità di crescita del Paese;
   a rivedere il patto di stabilità interno per permettere agli enti locali e territoriali di effettuare investimenti per la sicurezza, per il territorio e per il sostegno alle economie locali;
   a provvedere ad una totale revisione del sistema di imposizione fiscale sugli immobili e i servizi al fine di prevedere un'effettiva diminuzione dell'onere e semplificazione degli adempimenti, unificando in un'unica imposta le diverse voci tributarie e assicurando la certezza delle date di scadenza e dell'ammontare dei pagamenti dovuti;
   ad adottare iniziative per favorire un più ampio e facile accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese permettendo loro di poter disporre della liquidità necessaria allo svolgimento dell'attività produttiva, sostenendo al contempo la patrimonializzazione delle stesse a supporto dei progetti di sviluppo di medio e lungo periodo;
   a prevedere un programma di riduzione dell'imposizione fiscale gravante sulle imprese, e soprattutto sulle piccole e medie, al fine di risollevarle dalla difficile situazione economica che ancora le attraversa, dando loro la possibilità di essere più competitive al pari delle concorrenti europee;
   a prevedere, nell'ambito della riforma della local tax, la piena e certa esclusione degli impianti fissi, intesi quali macchinari ed impianti installati all'interno dell'immobile, incorporati nelle opere murarie, fissati al suolo o installati in via transitoria, ai fini della determinazione della rendita catastale per gli immobili ad uso produttivo;
   a prevedere una revisione totale dell'imposizione dell'IMU sui terreni agricoli, che preveda criteri più equi e che tenga in considerazione la capacità reddituale dei terreni stessi, al fine di non gravare ulteriormente sul settore agricolo già fortemente colpito dalla crisi;
   ad adottare misure per garantire i posti di lavoro anche al termine del periodo di decontribuzione rendendo permanenti le misure di riduzione del costo del lavoro e gli interventi di defiscalizzazione finalizzati all'incremento ed al mantenimento della base occupazionale, onde evitare che il contratto a tutele crescenti si configuri un «contratto a termine finanziato»;
   a riesaminare le questioni legate alla viabilità della «Val Trompia» e inserire l'Autostrada tra le opere prioritarie del Programma delle Infrastrutture Strategiche; a tenere conto dell'importanza della «Valdastico Nord» per il potenziamento del collegamento tra il Corridoio Mediterraneo e quello Scandinavo-Mediterraneo e inserire il completamento a Nord dell'Autostrada A31 tra le opere prioritarie del Programma delle Infrastrutture Strategiche; a non interrompere il completamento delle opere di «Accessibilità della Valtellina» e ad inserire la Variante di Tirano tra le opere considerate prioritarie del Programma delle Infrastrutture Strategiche; a tenere conto della rilevanza della «Pedemontana Piemontese» per il completamento dell'asse pedemontano Veneto, Lombardo e Piemontese e ad inserire l'opera viaria tra le opere considerate prioritarie del Programma delle Infrastrutture Strategiche.
(6-00132) «Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il quadro macroeconomico descritto nel Def, nella sua versione programmatica, risulta venato da una notevole dose d'ottimismo. Com’è dimostrato dal confronto con le previsioni di tutte le principali Istituzioni internazionali: dal Fondo Monetario Internazionale alla Commissione europea. La stessa Banca d'Italia, proprio in questi giorni, nel suo Bollettino economico ne ha notevolmente ridimensionato le pretese, proprio a partire dall'anno in corso. Con evidenti effetti immediati negli anni successivi;
    gli andamenti del primo trimestre, che dovrebbe portare ad una crescita del Pil dello 0,1 sono coerenti con questi elementi di preoccupazione, considerato che l'acquisito per l'anno in corso è pari a meno 0,1 per cento. Ne deriva che, per realizzare gli obiettivi indicati dal Governo, l'economia dovrebbe crescere nei prossimi mesi dello 0,7 per cento. Prospettiva auspicabile, ma altrettanto improbabile;
    si potrebbe ancora forzare il sentiero dello sviluppo. Ma questa strategia richiederebbe una politica economica ed una visione che manca nell'ordine del giorno del Governo, che si limita solo ad incassare il dividendo che deriva dalle migliorate condizioni internazionali. Sempre che le turbolenze legate al caso della Grecia non siano destinate a mutarne radicalmente il clima. La verità è che il tema di come fare sviluppo in una situazione caratterizzata dalla scarsità delle risorse pubbliche a disposizione rimane la grande incognita, rispetto alla quale il Governo si trova impotente;
    al fine di individuare i possibili meccanismi autopropulsivi dello sviluppo sarebbe necessario avviare un grande confronto con tutte le forze presenti in Parlamento. Puntare sul dialogo e l'inclusione. Il Governo segue invece una linea opposta: quello dell’«uomo solo al comando» con un continuo restringimento della sua base parlamentare ed il tentativo di stabilire un rapporto diretto e non mediato con l'elettorato, utilizzando lo strumento della spesa pubblica – il cosiddetto «tesoretto» – come semplice «carota» per convincere i perplessi;
    eppure l'esperienza storica dovrebbe illuminare. Quando si ricorre a strumenti di questo tipo, invece di mobilitare le risorse di una sana economia, i risultati non possono che essere deludenti. Lo si è visto con l'elargizione a pioggia degli 80 euro. Dovevano determinare un impatto immediato sulla crescita del Pil. Ed invece i risultati, a consuntivo, ne dimostrano tutta l'inadeguatezza. Da un lato quasi 10 miliardi di spesa in più (oltre lo 0,6 per cento del Pil), dall'altro un impatto sul Pil, che le valutazioni più ottimistiche stimano nello 0,1 dello stesso aggregato. Ripetere l'esperimento utilizzando nuove risorse, per un valore pari a 1,6 miliardi di euro, non sarebbe solo sbagliato, ma una perseverazione diabolica, nell'errore;
    le proposte governative rischiano, pertanto, di creare un buco nell'acqua e di sprecare le opportunità di una situazione internazionale che non può durare all'infinito. La caduta del prezzo del petrolio, l'erosione del cambio, il quantitative easing rappresentano quella ”finestra”, come più volte indicata dal Ministro dell'economia, destinata a chiudersi, prima o poi. Non approfittarne con politiche ambiziose, focalizzate sul mercato e sui suoi meccanismi di funzionamento, non può che comportare un tragico errore;
    la dimostrazione di quanto appena detto, lo si ritrova nelle previsioni dei principali organismi internazionali. Secondo il Fmi, nei prossimi cinque anni (traguardo 2020) l'Italia crescerà al ritmo più basso di tutti i Paesi dell'Eurozona. Le stime parlano di uno sviluppo medio dell'1 per cento, contro l'1,6 per cento dell'Eurozona. Meglio dell'Italia non farà solo la Germania, la Francia e la Spagna, ma la Grecia, il Portogallo, Cipro, la Slovenia. Paesi cioè che hanno subito una crisi finanziaria che li ha portati sull'orlo del default;
    se questo dovesse essere l'effettivo orizzonte, l'Italia, una volta risorsa dell'intera Europa, diverrà il suo principale problema. Alla crescente insostenibilità del suo debito sovrano – checché ne dica il Ministro dell'economia – si accompagnerà un'anemia produttiva, destinata a far risaltare ancor più lo squilibrio nei suoi fondamentali. Si aprirebbe, in questo caso, uno scenario insolito. Negli anni ’80, infatti, il debito, per motivi complessi in parte legati ai mutamenti intervenuti nella politica monetaria americana (la cosiddetta rivoluzione di Paul Volcker, allora presidente della Fed), cresceva in modo preoccupante. Ma il ritmo di sviluppo dell'economia italiana era tra i più alti in Europa. E l'asimmetria di questi andamenti contribuiva ad evitare effetti cumulativi che, altrimenti, avrebbero determinato – come poi avvenne nel ’92 a seguito dell'unificazione tedesca che alimentò la crisi dello Sme – effetti distruttivi;
    memori quindi dell'esperienza storica più recente, è bene guardare al futuro con meno beota incoscienza e più determinazione. Il Governo punta a far crescere il potenziale produttivo italiano attraverso le riforme ipotizzate, che, tuttavia, come ricordava Banca d'Italia non basta annunciare. La contraddizione di questa prospettiva, con il breve periodo è evidente. I loro effetti, se mai si verificheranno nella dimensione più volte enunciata e altrettanto rimaneggiata, si avranno nell'arco di quattro o cinque anni. Nel frattempo come sarà cambiata la situazione internazionale? Il rischio di un amalgama non riuscito è del tutto evidente;
    ragioni di prudenza, miste al realismo, richiederebbero pertanto una riflessione più approfondita sui dati forniti dal Governo nella sua previsione. Secondo i valori indicati, la crescita per l'anno in corso dovrebbe essere alimentata in parte dalla domanda interna, che dovrebbe contribuirvi per lo 0,4 per cento, ed in parte dall'estero per il restante 0,4. Mentre dalle scorte si dovrebbe avere un effetto negativo dello 0,1 per cento;
    lo scorso anno la forte compressione del Pil (meno 0,4 per cento) è stata determinata, in misura rilevante, dalla compressione della domanda interna (consumi delle famiglie ed investimenti). Con una caduta, in termini di contributi alla crescita del Pil dello 0,6 per cento. È realistico ipotizzare un vero e proprio ribaltamento, che dovrebbe avere la dimensione di 1 punto di Pil, per far «quadrare» la previsione. Qualche sintomo di risveglio si intravede. Ma finora i consumi delle famiglie, in leggera ripresa, si sono concentrati solo sui beni durevoli (automobili e via dicendo). Fatto fisiologico, dopo tre lunghi anni di contenimento. Ciò che ancora manca è la diffusione del fenomeno ai beni comuni, che rappresentano il pavimento indispensabile per una loro ripresa duratura;
    gli altri elementi della previsione non sfuggono alla critica. Nel Def non viene fatta alcuna differenza tra investimenti pubblici e privati. Si prevede una loro ripresa, con un contributo alla crescita del Pil dello 0,2 per cento. Ma Banca d'Italia ha dimostrato che «mentre le uscite in conto capitale resterebbero sostanzialmente stabili, le uscite primarie crescerebbero dell'1,3 per cento». Quindi la ripresa degli investimenti è affidata solo al settore privato. Dove, tuttavia, esiste una grande capacità produttiva inutilizzata. Forse le imprese che operano sui mercati internazionali si muoveranno secondo le indicazioni fornite. Ma si tratta, pur sempre, di una massa critica (circa il 30 per cento delle imprese italiane, in termini di valore aggiunto) limitata. Se non ripartirà la domanda interna è difficile che il processo possa avere la diffusione ipotizzata;
    sul fronte dell'estero, la previsione è più realistica. Lo scorso anno esso ha contribuito per lo 0,3 per cento ad arrestare la maggiore caduta del Pil. Allora le previsioni di crescita del commercio internazionale erano del 3 per cento. Per l'anno in corso è previsto un leggero miglioramento: 4 per cento. Il dato fornito dal Governo ha quindi una sua coerenza. Ma con una controindicazione. Il contributo dell'estero è dato dalla differenza tra export ed import. L'anno passato il suo contributo alla crescita del Pil scontava una forte compressione della domanda interna. Se quest'ultima dovesse crescere, secondo le ottimistiche previsioni del Governo, le importazioni seguirebbero una traiettoria diversa dal passato. E quindi quell'attivo dello 0,4 per cento, in termini di contributi alla crescita del Pil, risulterebbe ridimensionato;
    soffermarsi sul quadro macroeconomico è stato importante a causa delle conseguenze che il Governo attribuisce alla sua evoluzione. Nel 2016, come indicato nello stesso documento, occorrerà trovare le risorse indispensabili per far fronte alle «clausole di salvaguardia» previste nelle passate leggi di stabilità, per un valore pari ad 1 punto di Pil. Le risorse indispensabili per indicare questo traguardo sono state indicate per 0,4 punti di Pil, nel miglioramento del quadro economico e per il restante 0,6 per cento, grazie ad un'ipotetica Spending review di cui non si conosce la relativa specifica;
    se le cose dovessero risultare peggiori di quanto previsto, ed i margini di incertezza ai quali si è accennato non lasciano dormire sonni tranquilli, l'intervento, in termini finanziari, dovrebbe essere ancora più massiccio. Ed i dubbi che sono stati avanzati nei vari interventi, durante le audizioni parlamentari, relativi all'andamento del deficit strutturale, della regola della spesa e del contenimento del rapporto debito-pubblico – in altri termini del rispetto delle regole europee – diverrebbero certezze. Purtroppo certezze negative, sulle quali, fin da ora, pesa la spada di Damocle della Commissione europea;
    si spiegano così le critiche unanimi, che sono state rivolte, rispetto all'ipotesi di un utilizzo preventivo di un presunto «tesoretto», che al momento esiste solo nei computer di Via XX Settembre. Se mai dovesse essere accertato, in sede di analisi del bilancio di assestamento e non prima, sulla sua possibile destinazione si dovrebbe discutere, tenendo conto del quadro complessivo dell'economia italiana. Resistendo alla tentazione di un uso solo politico del medesimo. È questione di serietà: di fronte all'opinione pubblica e all'Europa. Le risorse a disposizione possono essere usate solo quando sono state definitivamente accertate, secondo procedure e metodologie rigorose. Altrimenti si contribuisce solo ad alimentare lo sconcerto e il disincanto;
    il gruppo parlamentare Forza Italia, nella sua riflessione critica del Def, ha rinunciato alla facile demagogia, facendo emergere preoccupazioni che sono reali, quali premessa che può essere foriera di ulteriori sviluppi e confronti parlamentari, dai quali non intende sottrarsi, nella consapevolezza dei rischi prospettici che gravano sulla società italiana;
    infine, nell'ambito del Piano Nazionale di Riforma manca una proposta di politica sociale relativa a nuovi interventi che il Governo dovrebbe effettuare per porre in essere una strategia di contrasto alla povertà materiale ed educativa che garantisca effettivamente servizi orientati al benessere materiale e alla crescita educativa mirati non solo alla prima infanzia,

impegna il Governo

a soprassedere da qualsiasi decisione circa l'ulteriore distribuzione a pioggia di risorse che non sono state contabilmente certificate, impostando una strategia di politica economica che non rimandi le necessarie misure da intraprendere ad un tempo indefinito e/o disallineato rispetto alle dinamiche della congiuntura internazionale. L'obiettivo è uscire dalla genericità delle enunciazioni circa la necessità di un maggiore sviluppo, indispensabile per arrestare i fenomeni di ulteriore arretramento rispetto alla realtà internazionale. Non dimenticando che, a differenza della maggior parte dei Paesi dell'Eurozona, l'Italia deve ancora recuperare circa 9 punti di Pil, per ritornare alla situazione del 2007. Ed è questo il duro fardello che deve essere rimosso, nel tempo più breve possibile.
(6-00133) «Brunetta».


   La Camera,
   premesso che:
    il Documento di economia e finanza è documento fondamentale poiché fissa le cornici macroeconomiche della legge di bilancio e della legge di stabilità che danno coerenza alle decisioni di finanza pubblica da prendere nel corso dell'anno. Dai dati contenuti nel Def si evince che le stime di crescita sono presenti, ma non con precisione, ovvero sottostimate come sotto descritto;
    nel DEF sono contenute anche le conferme relative agli obiettivi di deficit pubblico nel triennio 2015-17. Da ciò ne discende la speranza di non aumentare l'imposizione fiscale né di ridurre le prestazioni. Nel documento è contenuta una lunga lista di riforme intraprese e da fare ma non vi è traccia di riforme di struttura capaci di dare nuove tutele ai cittadini nel mutato contesto economico sociale, riforme appresso specificate;
    il Governo ha indicato un miglioramento dell'andamento economico rispetto a quanto preventivato nell'autunno 2014 pari ad un aumento dello 0,7 per cento del PIL per l'anno 2015, il quale dovrebbe poi attestarsi su un aumento del 1,4 per cento nel 2016 per giungere all'1,5 per cento nel 2017;
    a fronte delle dichiarazioni sulla crescita, gli obiettivi di deficit per il 2015 e per gli anni a venire sono confermati, in percentuale sul Pil, rispettivamente al 2,6 per cento per il 2015, all'1,8 per cento per il 2016 e allo 0,8 per cento per il 2017. Conseguentemente, si è indotti a credere che negli anni a venire si dovrebbe assistere a una naturale discesa del deficit pubblico rispetto ai numeri preventivati l'anno scorso;
    dalle audizioni svolte nelle Commissioni parlamentari competenti è emerso il fatto che il rappresentante della Banca d'Italia e quello della Corte dei conti hanno auspicato entrambi che non venga utilizzato il cosiddetto «tesoretto» mentre il Ministro competente ha definito la dotazione di 1.6 miliardi come una «Dote per le riforme» se ne deduce che le eventuali risorse aggiuntive, prodotte dalla eventuale più rapida crescita economica, non saranno destinate a rendere meno gravoso l'onere dell'aggiustamento fiscale per famiglie e imprese. Infatti, ha specificato che «Le stime di gettito fiscale indicate nel Def potrebbero risultare sovradimensionate». Lo stesso presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, nel corso di un'audizione sul Def davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato a Palazzo Madama, ha dichiarato che «suscita forte perplessità» l'intenzione del Governo di utilizzare il “tesoretto” di 1,6 miliardi di euro derivato dal miglior andamento del deficit». A suo avviso «Sembra prematuro in questa fase dell'anno, quando ancora non si conosce l'andamento del saldo e della prima rata di acconto dell'autotassazione, pensare di utilizzare risorse, sebbene di entità limitata, reputandole già acquisite» aggiungendo che «Una decisione presa ad aprile di “spendere” nell'anno corrente l'effetto del miglioramento del quadro macro rispetto alla previsione dell'autunno precedente, senza attendere prima che tale miglioramento si materializzi, sembra contraria a considerazioni di prudenza»;
    il Presidente dell'Istat, anch'esso audito innanzi alle Commissioni Bilancio congiunte ha dichiarato che «La pressione fiscale si mantiene nel 2015 allo stesso livello del 2014 al 43,5 per cento e aumenta di 6 decimi di punto nel 2016, circa 10 miliardi di euro. Scende al 44 per cento e al 43,7 per cento negli ultimi due anni della previsione»;
    le simulazioni realizzate dall'istituto suggeriscono che i rischi relativi al quadro programmatico contenuto nel Def sono prevalentemente concentrate sul proseguimento delle condizioni favorevoli del commercio internazionale e del tasso di cambio nel 2016;
    in tema di imposizione fiscale, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promesso riduzioni di imposte, ma naturalmente si tratta di mere ipotesi poiché le riduzioni di aliquote per il 2016 si realizzeranno solo «se ci saranno le condizioni» cioè solo se la spending review produrrà effettivamente risultati di minori spese superiori rispetto ai 10 miliardi che sono necessari per realizzare gli obiettivi relativi al deficit pubblico;
    il Governo si è auto attribuito preventivamente, solo con dichiarazioni pubbliche, il merito di aver tagliato le tasse per 18 miliardi nel 2015 oltre all'eliminazione della clausola di salvaguardia, misura che vale 3 miliardi, esborso per i cittadini che verrà scongiurato solo se contenuta effettivamente nella legge di stabilità 2015;
    c’è poi il problema relativo alla veridicità del quadro programmatico descritto nel DEF. La nota illustrativa della Ragioneria generale dello Stato alla Legge di stabilità 2015 riporta un aumento ufficiale di entrate pari a 10 miliardi per il 2015, con un peso sul Pil sostanzialmente inalterato al 48,3 per cento. L'aumento di entrate poi è, a nostro avviso, inattendibile. Infatti, se si calcolano correttamente le uscite relative agli 80 euro, il cosiddetto bonus bebé e il credito d'imposta previsto per gli investimenti in ricerca e sviluppo come riduzioni di imposta e non come aumenti di spesa, la qual cosa la Ragioneria è obbligata a fare seguendo le convenzioni europee, se ne deduce che le imposte pagate complessivamente dagli italiani non sono destinate a scendere nel 2015;
    nel testo, come già sopra evidenziato, è contenuta la disposizione con la quale si è scelto nelle sedi istituzionali di non dar seguito alla misura più volte annunciata mediaticamente relativa all'aumento dell'IVA. A tal proposito si ricorda che in mancanza di tale deliberazione essa sarebbe stata aumentata automaticamente, arrivando nel 2018 a toccare l'apice con un'imposizione pari 25,5 per cento;
    a nostro avviso nonostante la misura sia meritoria, rimane una preoccupazione poiché il Governo, pur dopo aver disinnescato le cosiddette «clausole di salvaguardia», non potrà tener fede agli impegni e continuerà a far lievitare la pressione fiscale che, secondo le nostre stime, attualmente è pari al 43,5 per cento e farà registrare un aumento effettivo pari al 44,1 per cento nel biennio 2016-2017 e una piccola riduzione dello 0,4 per cento, raggiungendo un valore pari al 43,7 per cento;
    di ciò non sono consapevoli i contribuenti poiché i dati forniti dall'esecutivo, grazie al ricorso ad alcuni artifici contabili, fa apparire agli italiani un quadro opposto, naturalmente più favorevole al contribuente;
    secondo le dichiarazioni del Governo, infatti, l'imposizione fiscale sarebbe in netto calo: dichiarata al di sotto del 43 per cento per quest'anno (42,9 per cento), essa si ridurrebbe al 41,6 per cento entro il 2019. I modi usati dall'esecutivo per opacizzare l'andamento effettivo delle imposte sono, a nostro avviso, i seguenti: nel calcolo, si tiene conto di due misure che, in realtà, falsificano le valutazioni. Il primo è relativo al famigerato bonus di 80 euro, calcolato al netto della classificazione contabile. L'agevolazione, secondo il Governo, si traduce in una minore pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente. Si omette però di enunciare il fatto che il bonus degli 80 euro in busta paga interessa solo una parte limitata della popolazione. Inoltre la cosiddetta disattivazione delle clausole di salvaguardia (relative all'aumento dell'IVA e delle accise sulla benzina, oltre alla revisione delle detrazioni fiscali, che se attuate avrebbero comportato l'innalzamento della pressione fiscale), non attuandosi vengono considerate riduzioni effettive delle imposte;
    ciò rappresenta una falsificazione della realtà fattuale, poiché si ricorre all'escamotage di prospettare, prima del DEF, un aumento esponenziale delle tasse previste dalla legislazione per il futuro ma bisognose di ulteriori provvedimenti confermativi i quali non essendo ancora attuati di fatto non sono vigenti e non incidono effettivamente sull'entità complessiva della percentuale di reddito destinato al pagamento di imposte e tributi, al fine di indurre in errore il cittadino contribuente e ostentare mediaticamente una riduzione della pressione fiscale che in realtà non vi sarà poiché ancora non realizzato l'aumento solo previsto nelle norme antecedenti;
    è vero che gli indicatori di pressione fiscale calcolati sulla base di tale quadro programmatico tengono conto delle variazioni che verranno apportate nell'ambito operativo del programma di stabilità e, quindi, si discostano dagli indicatori basati, invece, sul quadro tendenziale, ossia calcolati in base alla legislazione vigente;
    vero anche che tale differenza è esplicitata nel Focus su «Pressione fiscale: un profilo decrescente», nel quale si indicano dapprima gli indicatori di pressione fiscale a legislazione vigente, sui quali producono effetto tutti i provvedimenti normativi intervenuti sino al 10 aprile 2015, data di approvazione del DEF, tra cui anche la legge di stabilità per il 2015. Tuttavia, successivamente, viene proposto un esercizio di ricalcolo di tali indicatori di pressione fiscale, tenendo conto del programma di stabilità proposto dal Governo e della riclassificazione del provvedimento. Con ciò confermando il rispetto formale della legge ma la sostanziale falsificazione della realtà fattuale rappresentata ai cittadini, elettori, contribuenti;
    è noto che le previsioni contenute nel DEF sono sempre poco affidabili tanto che viene da chiedersi se davvero valga la pena di impegnare così tante risorse umane e tempo prezioso dei lavori parlamentari attorno a questi documenti, che sono diventati ormai delle enciclopedie – si ricorda che lo scorso anno il Def si componeva di 5 parti, per un totale di 1.069 pagine, solo di poco diminuite quest'anno – che il più delle volte restano in larga parte disattese;
    per avere un'idea di quanto infondate si siano rivelate le previsioni sul prodotto interno lordo dall'inizio della crisi a oggi, basta mettere a confronto le stime fatte con i documenti di finanza pubblica nell'autunno precedente, l'anno in questione e la variazione del Pil che poi c’è effettivamente stata;
    per l'Italia la crescita dell'economia, se si fossero avverate le stime del governo fatte solo tre mesi prima che cominciasse l'anno, sarebbe stata più alta del 14,2 per cento in sette anni, dal 2008 al 2014. Insomma le stime si sono rivelate davvero poco affidabili e il gap tra previsioni e realtà sarebbe ancora maggiore se il confronto si facesse sul precedente Def rilasciato lo scorso aprile, anziché sulla nota di aggiornamento che, a settembre, puntualmente fa una prima correzione dei dati; questi confermano come l'economia sia una scienza non solo triste ma anche inesatta tanto è vero che, il gap cumulato nel periodo 2008-2014 tra previsioni e realtà, è molto alto anche quando si confrontano le stime fatte di anno in anno da Banca d'Italia, Commissione europea, Fondo monetario internazionale e Ocse;
    come sopra detto, il Def oggi in discussione contiene l'indicazione di un prudente aumento del Pil per il 2015 pari ad un tenue incremento dello 0,7 per cento e per non incorrere di nuovo in un'eccessiva sovrastima, come nei Def dello scorso anno in cui era prevista per il 2015 una crescita dell'1,3 per cento, corretta poi nella nota di aggiornamento di settembre 2014 a un dato reale inferiore corrispondente solo allo 0,6 per cento di incremento, quest'anno si è scelta la via della prudenza, forse per poter poi tirare fuori un «asso nella manica» e vantare risultati maggiori di quelli oggi indicati e avere un più alto gradimento futuro tra gli elettori. Fatto sta che, di regola, per capire come veramente si evolverà lo scenario economico è necessario attendere, come riconosce lo stesso Governo in un focus sugli «errori di previsione nelle stime ufficiali», il dato sull'anno in corso contenuto nella nota di aggiornamento pubblicata in settembre, cioè tre mesi prima che finisca l'anno, quando la sovrastima si riduce in media a 0,2 punti percentuali rispetto alla realtà. Naturalmente la nostra speranza è che la previsione di un incremento pari allo 0,7 per cento per l'anno in corso non si riveli invece sottostimato, replicando quanto accadde nel 2010;
    per quanto concerne le stime ci appaiono errate anche quelle relative alla crescita. Per capire il sistema si deve tornare a uno scritto del 1969, redatto dal Nobel per l'economia Clive Granger nel quale faceva notare che quelli che fanno le previsioni, anche i politici, «prendono posizione» sapendo di andare incontro a perdite di credibilità in caso di errori, con perdite tanto maggiori quanto maggiore è l'errore di previsione compiuto. Se gli errori per eccesso e quelli per difetto facessero perdere credibilità nello stesso modo, ci si dovrebbe attendere che in media i previsori siano affidabili, non avendo una ragione per essere esageratamente ottimisti né pessimisti. Poiché il Governo per anni ha fornito previsioni sbagliate è ipotizzabile che la previsione sia stata strategicamente e volutamente errata. A questa conclusione giunse Granger 50 anni fa, teoria poi ampiamente utilizzata con il termine tecnico di «funzione di perdita asimmetrica», per spiegare la presenza di errori sistematici, ma correggibili, nelle previsioni economiche istituzionali;
    quello che i dati dovrebbero confermare è che il Governo italiano soffre di una chiara asimmetria nella funzione di perdita degli errori di previsione che cerca di minimizzare. In fase recessiva la funzione di perdita penalizza maggiormente errori al ribasso rispetto a errori al rialzo e quindi il Governo tende ad indicare numeri superiori ai valori che si attende. È plausibile che in fase espansiva la direzione dell'asimmetria si ribalti. In fase recessiva non si vuole incidere in maniera negativa sul sentimento degli agenti economici mentre in fase espansiva il costo di essere troppo ottimisti diventa più alto di quello di essere prudenti e conservativi;
    le dichiarazioni governative sul tema sono una chiara indicazione sull'asimmetria nella funzione di perdita in fase espansiva: è evidente che nel 2015 i costi per il nostro Governo di prevedere una crescita più alta di quella che si realizzerà sono superiori a quelli di un errore del segno opposto, che si verificherebbe nel caso in cui le cose andassero meglio del previsto. Possiamo quindi inferire che il valore atteso per la crescita in Italia da parte del nostro Governo sia decisamente superiore allo 0,7 per cento e forse anche superiore all'1 per cento, come indicato da Confcommercio;
    le implicazioni pratiche sono semplici ma importanti. Se le aspettative del Governo sono corrette da oggi alla fine 2015 vedremo diverse revisioni al rialzo delle previsioni per la crescita economica. Queste revisioni non dipendono necessariamente dalla inesattezza della scienza economica ma piuttosto dalle preferenze delle autorità di politica economica, che sono preoccupate delle reazioni del pubblico in caso di discrepanza tra previsione e realizzazione;
    a nostro avviso, anche per questi motivi il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato sin dal momento del positivo voto di fiducia del Parlamento «Non ci saranno tagli alle prestazioni per i cittadini ma c’è bisogno che la macchina pubblica dimagrisca un po’ e se i sacrifici li fanno i politici o salta qualche poltrona nei cda male non fa»;
    queste dichiarazioni d'intenti sono naturalmente condivisibili, nella speranza che si realizzino poi effettivamente, ma nulla dice sull'effettivo potenziale di crescita del Paese, soprattutto se si realizzassero efficienti e efficaci riforme di struttura;
    è doloroso quindi constatare che nell'intero documento è totalmente assente un riferimento a numerose necessità prioritarie dell'intero sistema Paese, a partire dalla riforma del welfare che adegui le prestazioni sociali alle peggiorate condizioni demografiche e di crescita economica rispetto ai decenni passati, anni nei quali la legislazione sul welfare attualmente vigente è stata ideata e realizzata;
    sarebbe opportuno, a nostro avviso, che il Presidente del Consiglio dei ministri estendesse la sua «rivoluzione comunicativa» anche in questo ambito per poi tramutarla in fatti concreti. Si ricorda qui solo incidentalmente la lunga lista di importanti riforme di già incardinate nei lavori d'aula o che lo saranno (la riforma costituzionale, la legge elettorale, la riforma della Pa, la revisione del Patto per la salute, una riflessione sul ruolo delle sovrintendenze dei beni culturali, la riforma della scuola, l'attuazione del Jobs act) la quale è destinata a rimanere monca se non integrata con la nostra proposta, poiché è una componente cruciale per la tenuta economico sociale del Paese;
    come noto la spesa pubblica italiana è molto alta, e ciò è la causa dell'enorme pressione fiscale poiché la spesa, nonostante le dichiarazioni di intenti che di anno in anno si rinvengono nel DEF descritte, è poi sistematicamente superiore alle entrate fiscali, producendo negli anni un elevatissimo debito pubblico;
    a nostro avviso la spesa è concentrata soprattutto sulle pensioni e gli interessi sul debito, ma è elevata anche in molti altri ambiti a causa dei quali (ad esempio, rispetto alla Germania) l'Italia spende di più (in proporzione al Pil) e male concentrandola nelle seguenti voci: difesa, ordine pubblico, organi legislativi, esecutivi e diplomatici, sovvenzioni a settori economici non più redditizi quindi fuori mercato e non più strategici per il sistema Italia;
    complessivamente, le spese fuori linea rispetto alla Germania superano l'11 per cento del PIL. La spesa pubblica è al contrario bassa, relativamente alla Germania, soltanto in pochissimi ma fondamentali settori per garantire coesione e equità sociale: l'assistenza ai disoccupati e alle famiglie e la spesa universitaria;
    se l'Italia è uno dei primi Paesi per spesa in interessi sul debito e per i costi della politica (organi legislativi, esecutivi e diplomatici), non altrettanto può dirsi della quantità e qualità dei servizi resi. Il risultato è un'esagerata pressione fiscale che disincentiva la produzione e diminuisce la competitività della nostra economia. Inoltre la spesa pubblica in deficit ha portato al formarsi del terzo debito pubblico del mondo, con la conseguente instabilità finanziaria che caratterizza l'economia italiana, nonché l'elevata spesa per interessi da sostenere;
    nel complesso, la situazione non è degenerata quasi per caso e si vede un piccolo barlume di crescita economica grazie all'indebolimento dell'euro e al calo del prezzo del petrolio. Da considerare anche la disciplina di bilancio UE che ha allargato le sue maglie concedendoci deroghe alle norme contenute dei Trattati, acuendo però gli squilibri dei conti già presenti. Squilibri che aumentano in maniera preoccupante, soprattutto per la disuguale distribuzione dei redditi tra la popolazione;
    tra le ulteriori sofferenze del sistema Paese si segnalano in particolare le urgenze relative alle riforme necessarie da realizzare in ambiti molto importanti come quello relativo alla modificazione della legislazione, quindi delle condizioni in cui versano le cosiddette partite iva, i micro, piccoli e medi imprenditori, i liberi professionisti, i giovani e le donne, soggetti particolarmente colpiti dalla mancata occupazione, tutto il meridione che vede gran parte della propria disponibilità economica dispersa nel pagamento delle spese sanitarie contratte dai governanti precedenti, non lasciando risorse sufficienti per i malati attuali, disattendendo i principi dell'equità intergenerazionale, che ha privilegiato la generazione dei padri ai danni dei figli o quella dei nonni a danno dei nipoti. Non per caso si cerca di cercare del buono anche in questa anomalia, ricordando che il cosiddetto welfare familiare, il trasferimento di beni e denari tra generazioni della medesima famiglia, sopperisce alle carenze del welfare pubblico;
    dalla comparazione delle tabelle contenute a pagina 30 e a pagina 473 del DEF, ad esempio, emerge una pessima distribuzione del reddito prodotto poiché i dati calcolati sul medio periodo relativi all'occupazione stimano un aumento nel quinquennio compreso solo tra lo 0,2 per cento e lo 0,6 per cento con un picco pari allo 0,9 per cento previsto per il solo anno 2019, mentre i dati relativi all'aumento del pil vedono un aumento pari al solo 1,8 per cento nell'anno 2020;
    particolarmente nebuloso appare poi il tema della riforma del mercato del lavoro, nonostante il contratto a tempo indeterminato sia presentato come la soluzione, fatto opinabile, e le coperture siano indicate solo per il primo anno. A questo proposito non si dimentichi che non si è realizzata la reductio ad unum delle tipologie contrattuali perché ne esistono ben 46. Per reperire i fondi necessari alle riforme, nuovi introiti potrebbero realizzarsi con la cessione del patrimonio immobiliare, fatto cum grano salis, evitando cioè un eccesso di offerta che farebbe perdere valore di mercato ai beni, con la destinazione incentrata sul cosiddetto sociale e nuove forme di welfare alternative possibili;
    preoccupante, date le dimensioni, rimane il fenomeno della disoccupazione e inoccupazione, soprattutto per chi ha una formazione professionale che gli consentirebbe l'impiego nel settore della fornitura di servizi. Ciò è il frutto di un'abnorme incidenza del fenomeno dei fallimenti delle imprese, riconducibili a fattori come il credit crunch. Si arriva al paradosso nei casi in cui le imprese, nonostante abbiano nel proprio portafoglio commesse già acquisite, non possono produrre beni o servizi già ordinati poiché sottocapitalizzate e bisognose di credito bancario che non gli giunge, nonostante il fatto che i profitti garantirebbero la restituzione dei debiti contratti;
    l'iva per cassa, il cui utilizzo è oggi consentito e limitato alle sole imprese con un fatturato pari a 2 milioni di euro, ha reso la sua introduzione di scarso impatto poiché la misura è applicabile alle sole microimprese. Tutte le altre si trovano a dover pagare una imposta poco dopo aver emesso una fattura nonostante l'incasso, non gli giunga precedentemente. Ciò non è normale e, di fatto, essi divengono erogatori non solo di beni ma anche di credito ai loro clienti morosi, comprese le amministrazioni pubbliche. Il fenomeno del ritardo dei pagamenti è diffuso nella Pa quanto tra imprese private ed è favorita dalla disastrosa condizione in cui versa la giustizia civile, dove sono favoriti i «furbi» considerati i lunghissimi tempi necessari per ricevere quanto dovuto nel caso in cui viene adito il giudice. Ciò scoraggia quasi ogni ricorso, perché razionalmente considerato una ulteriore fonte di spreco di tempo e denaro, preferendo subire perdite economiche e morali piuttosto che sottoporsi alla gogna dei tempi biblici della giustizia, fatto conosciuto e sanzionato con multe ai danni dell'erario anche dalla Unione europea e da altre corti sovranazionali;
    è da considerare con particolare attenzione, poi, il disagio per gli intermediari creditizi di dimensioni medio piccole che son quelli che maggiormente hanno erogato credito alla spina dorsale della nostra economia, le PMI;
    in un tema fondamentale per il benessere, ovvero l'ambiente, si segnalano interventi in parte negativi ma alcuni positivi;
    quelli da migliorare riguardano la semplificazione burocratica prevista nel provvedimento, che può essere efficace solo se affiancata da un processo di partecipazione attiva della cittadinanza;
    equa ci appare la volontà di riformare il codice degli appalti e delle concessioni purché effettuato recependo correttamente le direttive in materia di appalti e concessioni (2014/23/UE, 2014/24/UE);
    utile appare la scelta di metter mano al riordino normativo in materia di protezione civile, tanto che ALTERNATIVA LIBERA, sul medesimo argomento ha presentato una proposta di legge di delega al Governo per la sua realizzazione;
    in tema di fiscalità ambientale si prevede la costituzione di comitato per una riforma fiscale ecologica al fine di riallocare il carico fiscale dal lavoro dalle imprese virtuose ai soggetti che sono produttori di inquinamento, cercando di limitare le esternalità negative e di imputarne i costi ai produttori inefficienti perché inquinanti, incentivando l'utilizzo di risorse naturali ed il passaggio ad un'economia a basse emissioni di carbonio, fornendo una speranza per un futuro migliore del Paese, ovvero per l'ambiente e quindi per i suoi cittadini,

impegna il Governo:

   ad emanare le norme ritenute più opportune ed efficaci per far diminuire il fenomeno della disoccupazione, attualmente pari al 12,7 per cento, in aumento di 0,2 punti percentuali su base annua, prova ne sia il fatto che rispetto all'anno precedente, si è registrato un aumento dei disoccupati pari a 67 mila unità;
   a realizzare in tempi celerissimi l'attuazione della legge delega in materia di lavoro recentemente approvata dal Parlamento;
   a individuare le coperture finanziarie, attualmente limitate al primo anno, relative al cosiddetto Jobs act contenenti disposizioni sul contratto di lavoro a tutele crescenti, per l'intero periodo dei tre anni iniziali;
   a prevedere una riforma dell'attuale assetto normativo su cui si basa il nostro stato del benessere, modello di welfare superato perché fondato quasi esclusivamente su uno Stato che raccoglie e distribuisce risorse tramite il sistema fiscale e i trasferimenti monetari;
   a introdurre quindi un welfare che sia in grado di rigenerare le risorse già disponibili, responsabilizzando le persone che ricevono aiuto, al fine di aumentare il rendimento degli interventi delle politiche sociali a beneficio dell'intera collettività. Si propone l'introduzione del cosiddetto welfare generativo che prevede un welfare redistributivo, ove le politiche pubbliche di inclusione sociale sono da adattare e adottare in una realtà complessa come quella attuale, passando al tipo di welfare proposto. A tal fine è necessario partire «dalla logica del costo a quella del rendimento», passare dall'enfasi sul valore consumato a quella sul valore generato. Ciò significa superare «l'amministrazione senza rendimento» con soluzioni capaci di trasformare le risorse a disposizione, puntando sull'innovazione delle risposte e non solo sul loro efficientamento. Si propone di passare dal welfare attuale che si limita a raccogliere e redistribuire, a un welfare innovativo che, oltre a raccogliere e a redistribuire, rigenera le risorse, rendendo il sistema più efficiente, grazie alla responsabilizzazione legata a un nuovo modo di intendere diritti e doveri sociali;
   a rivedere le regole del cosiddetto «Regime dei Minimi» dopo la riforma del 2012, alla luce del nuovo forfait al 15 per cento introdotto dalla Legge di Stabilità 2015. Si lamenta che ciò è stato fatto senza l'adeguamento alle nuove concessioni della Unione europea che dal 2014 consentirebbero di innalzare la soglia di reddito, ripristinando la gerarchia delle fonti del diritto che vede quello comunitario prevalere su quello domestico. L'entrata in vigore del nuovo regime forfettario sostituisce i precedenti regimi agevolati con la cosiddetto «clausola di salvaguardia» per i contribuenti «minimi», ovvero quei soggetti che nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2014 si avvalevano del regime fiscale di vantaggio di cui all'articolo 27, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 98 del 2011 e che possono continuare ad avvalersene per il periodo che residua al completamento del quinquennio agevolato e comunque fino al compimento del trentacinquesimo anno di età;
   a rivedere quindi la normativa che ha eliminato il sistema di determinazione dei redditi con codici ateco, prevedendo un unico limite di reddito di riferimento per tutte le categorie di lavoratori autonomi, pari a 40.000 euro di fatturato;
   a ridefinire la procedura di rilevazione del reddito imponibile attraverso l'applicazione del coefficiente unico di redditività fissa del 60 per cento e di mettere mano alla riforma del sistema innovativo ai fini della dichiarazione dei redditi, considerando il fatto che la capacità di fare impresa in modo competitivo è ostacolata dalla complessità amministrativa e dagli elevati oneri burocratici a carico degli esercenti una libera professione;
   a provvedere con urgenza ad emanare norme volte ad assicurare una maggiore tutela degli intermediari creditizi di dimensioni medio piccole, limitatamente a quelle che forniscono credito all'economia reale, quindi alle imprese creditizie che maggiormente hanno assicurato l'erogazione del credito durante la fase massima di stretta creditizia adottata dalle imprese finanziarie di maggiori dimensioni;
   a intervenire sul meccanismo che stabilisce l'ammontare dei contributi delle banche al Fondo unico – ora nelle bozze di Atto Delegato della Commissione Europea – che si scosta senza spiegazione alcuna dai principi e dagli obiettivi essenziali rinvenibili nella Direttiva BRR e nel Regolamento SRM che, si ricorda, sono relativi a:
    a) assicurare la protezione dei contribuenti e la stabilità finanziaria;
    b) fornire i giusti incentivi alle banche per quanto riguarda l'assunzione dei rischi e porre argini al problema del cosiddetto too-big-to-fail;
    c) assicurare un quadro di risanamento e di risoluzione delle banche coerente con il principio di proporzionalità stabilito nel Considerando 14 della Direttiva che contiene l'indicazione di tener in considerazione il tipo di attività, la struttura azionaria, la forma giuridica, il profilo di rischio, le dimensioni, la complessità delle attività degli intermediari, nonché della eventuale appartenenza a un sistema di tutela istituzionale o ad altri sistemi di solidarietà mutualistica per le società di credito cooperativo, con particolare riguardo al criterio della proporzionalità da applicarsi alle banche di piccole e medie dimensioni poiché esse sono le imprese finanziarie sane, quelle più vicine al territorio e alla produzione di beni e servizi e molto distanti dalla finanza speculativa;

   ad intervenire normativamente per una più equa distribuzione del carico fiscale sui redditi in generale al fine di migliorare la situazione attuale, individuando idonei strumenti al fine di ridurre eventuali distorsioni con particolare riguardo alle fasce di reddito medie e basse, sempre più impoverite a fronte di una ricchezza complessiva mal distribuita e dimostrata grazie agli studi disponibili resi noti dalla Banca d'Italia. Dagli ultimi dati pubblicati risulta che, alla fine del 2013, la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a 8.728 miliardi di euro, corrispondenti in media a 144.000 euro prò capite e a 356.000 euro per famiglia. Le attività reali rappresentavano il 60 per cento del totale delle attività, quelle finanziarie il restante 40 per cento. Le passività, inferiori a 900 miliardi di euro, erano di poco superiori al 9 per cento delle attività complessive. Nel 2013 il valore della ricchezza netta complessiva è diminuito rispetto all'anno precedente dell'1,4 per cento a prezzi correnti; la flessione del valore delle attività reali (-3,5 per cento), dovuta al calo dei prezzi medi delle abitazioni (-5,1 per cento), è stata solo in parte compensata da un aumento delle attività finanziarie (2,1 per cento) e da una riduzione delle passività (-1,1 per cento). In termini reali (utilizzando il deflatore dei consumi) la ricchezza netta si è ridotta dell'1,7 per cento rispetto al 2012. Dalla fine del 2007 la flessione a prezzi costanti è stata complessivamente pari all'8 per cento. Nel primo semestre del 2014 la ricchezza netta delle famiglie italiane sarebbe ulteriormente diminuita dell'1,2 per cento in termini nominali rispetto al dicembre 2013. Ciò non sarebbe eccessivamente grave se non emergesse con forza il fatto che il calo in questione ha investito in particolar modo le classi medie, determinando per queste un calo medio nel potere d'acquisto nell'ordine del 25 per cento. Segno opposto invece per i ricchi, che hanno visto il loro potere d'acquisto addirittura aumentare. Poi ci sono i poveri e i poverissimi, per i quali il calo è stato inferiore rispetto alla classe media, ma naturalmente più incidente. A fronte di una perdita di circa dieci punti percentuali, per la maggior parte delle famiglie che già nel 2007 galleggiavano appena sopra il livello di povertà, è stato sufficiente per spalancare a molte di loro le porte del tunnel dell'insolvenza. Ad oggi, quindi, il 3 per cento delle famiglie non è in grado di far fronte nemmeno alle spese più elementari, come cibo, vestiti e bollette. La distribuzione della ricchezza, si legge nel rapporto della Banca d'Italia, è caratterizzata «da un elevato grado di concentrazione». I dati sono simili a quelli di un paese in via di sviluppo, se è vero che la metà più povera delle famiglie italiane detiene il 9,4 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco ha il 45,9 per cento;
   a prevedere sistemi di incentivazione fiscale alle imprese finanziarie (e in particolare prevedendo la deducibilità in un solo anno in luogo dei 5 per le svalutazioni su crediti, e un sistema di imposizione fiscale agevolata per gli interessi derivanti da credito), al fine di diminuire il rischio di credito e quindi di facilitare la concessione di prestiti alle imprese ed alle famiglie subordinatamente all'effettiva erogazione di credito all'economia reale da parte degli intermediari finanziari;
   a prevedere la completa deducibilità dei costi ulteriori sostenuti dai lavoratori autonomi in seguito all'introduzione dell'obbligo di accettare i pagamenti superiori ai 30 euro anche attraverso le carte di debito e credito, ovvero tramite Pos, facendo aumentare i costi di più dell'1 per cento, compreso il costo della installazione e affitto dei POS e i relativi canoni mensili;
   a realizzare una semplificazione burocratica centrata sui principi del processo partecipato, della scelta delle priorità in base alla segnalazione dei territori, contenute in atti dei comuni (ordini del giorno, mozioni, consultazioni popolari) che ne attestino il senso di utilità e necessità avvertito dalla popolazione;
   a rafforzare la cooperazione tra pubblico e privato equilibrando costi e ricavi, oggi sperequati;
   al finanziamento effettivo e non solo simbolico, come è attualmente, degli interventi territoriali previsti dal «programma 6000 campanili» e altri interventi di carattere locale;
   a prevedere interventi urgenti in materia di dissesto idrogeologico considerando che è assente la quantificazione sulle risorse messe a disposizione, estendendo l'ambito non solo alle opere degli interventi strutturali, ma anche a quelli non strutturali come i sistemi di previsione e monitoraggio, i piani di emergenza, la pianificazione urbanistica resiliente;
   a prevedere ulteriori interventi normativi più incisivi per garantire la riduzione del consumo di suolo;
   a prevedere un'accelerazione dell’iter di definizione ed attuazione del Piano nazionale degli aeroporti al fine di evitare inutili sprechi come, ad esempio, nel caso dell'ampliamento dell'aeroporto di Firenze;
   a individuare in modo certo le risorse da destinare alla Mobilità sostenibile, al Trasporto pubblico locale e quello ferroviario, interventi necessari per invertire la rotta di un Paese ancora troppo legato al trasporto su gomma, sostituendolo soprattutto con quello ferroviario di cui è auspicabile un potenziamento effettivo e celere;
   a dare piena attuazione all'agenda digitale e ad individuare e realizzare le infrastrutture fisiche e digitali necessarie allo sviluppo del e-commerce e delle imprese digitali al fine di agevolare il raggiungimento dell'obiettivo del 15 per cento della quota di fatturato delle imprese derivante dalla vendita on line di beni e servizi, attualmente stimata solo prossima al 6 per cento;
   ad adottare le misure più opportune eventualmente anche in sede comunitaria al fine di introdurre in favore delle regioni del Mezzogiorno una serie di misure, anche in via temporanea, di carattere eccezionale sia di alleggerimento fiscale e contributivo che finanziarie, volte a consentire il rilancio dell'economia locale;
   a prevedere la messa a regime nei documenti di programmazione del Governo di una sezione contenente un «focus sul Mezzogiorno» che contempli, tra le altre cose, la situazione macroeconomica, l'impatto delle norme proposte sull'economia del Mezzogiorno e gli altri interventi specifici per tale area.
(6-00134) «Rizzetto, Barbanti, Artini, Baldassarre, Bechis, Mucci, Prodani, Rostellato, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che
   in materia economico-finanziaria:
    nel Documento in esame il Governo delinea scenari macroeconomici favorevoli, su cui ipotizza un trend di crescita del PIL dell'Italia, ormai uscita dalla fase recessiva già nel IV trimestre dell'anno;
    per l'area Euro la BCE prevede tassi di crescita nella misura dell'1,5 per cento, mentre per l'Italia il Governo ipotizza per il 2015 una crescita nella misura dello 0,7 per cento fino ad un possibile 1,4 per cento, nel 2016 e nel 2017 prevede una crescita del Pil nazionale nella misura del 1,5 per cento;
    è sulla base di tale supposta crescita che si costruiscono i saldi di finanza pubblica, in particolare il Governo riesce a confermare gli indici dell'indebitamento netto, come previsti nella Nota di aggiornamento al DEF del novembre 2014, pari a: 2015: 2,6 per cento, 2016: 1,8 per cento, 2017: 0,8 per cento;
    il pareggio di bilancio strutturale, che era stato già rinviato con il DEF 2014 dal 2015 al 2016, viene ulteriormente posticipato dal Governo all'anno 2017, costretto ad avvalersi del percorso di miglioramento graduale del saldo strutturale, previsto dalla clausola europea sulle riforme, ossia la possibilità di avvicinarsi gradualmente e con minore sforzo all'Obiettivo di medio Termine (MTO) in presenza di «significative riforme strutturali» in atto, tali da assicurare un processo di crescita del PIL accelerato, che consentirà al Paese di recuperare la suddetta deviazione del percorso richiesta, pari allo 0,4 per cento del PIL, circa 6,5 miliardi di euro, esattamente il costo del bonus fiscale concesso del 2014, per il quale il Governo si è autorizzato ad indebitare maggiormente il Paese; dunque lo stesso Governo si avvale delle deroghe alla rigidità dei parametri del patto di stabilità europeo, riconoscendo, in tal modo, l'impossibilità di perseverare nell'eccessivo consolidamento fiscale in uno stato di condizioni cicliche deteriorate;
    nonostante il rinvio del pareggio di un anno, le misure di rilancio dell'economia permangono deboli e con un impatto sulla crescita mediocre, in quanto il Governo continua ad essere condizionato al rispetto del limite del 3 per cento di deficit e all'obiettivo del pareggio strutturale fra due anni, che non consentono l'accelerazione della crescita del PIL italiano, decisamente inferiore rispetto ad una crescita degli Stati Uniti del 2,4 per cento nel 2014 ed una previsione di crescita dell'economia globale per il 2015 del 3,6 per cento. Inoltre, l'attuale parametro del PIL utilizzato nelle previsioni macroeconomiche non è idoneo a misurare il benessere di una economia;
    in merito alle proiezioni del debito pubblico, si constata che il Governo Renzi ha peggiorato la situazione debitoria del Paese, sprecando risorse che hanno aumentato nel 2015 il debito dal 132,1 per cento al 132,5 per cento del PIL. Il trend del debito pubblico del presente Documento sconfessa e rende assolutamente non attendibili le previsioni del Governo, in quanto si differenzia senza continuità dalle proiezioni del DEF 2014. Infatti la riduzione è prevista a partire dall'anno 2016, quando il rapporto scenderà al 130,9 per cento nel 2016, al 127,4 per cento nel 2017 e al 123,7 per cento nel 2018, mentre nel Def 2014 il debito pubblico era previsto nella misura del 125,1 nel 2017;
    peraltro la mediocre riduzione del debito è a rischio essendo strettamente condizionata alle previsioni di crescita del PIL, conseguente agli effetti delle riforme strutturali, nonché alla ripresa dell'economia internazionale. Nel Documento in esame non sono considerati i fattori di rischio derivanti dalle variabili esogene internazionali, quali l'improvviso rialzo del prezzo del petrolio, il commercio internazionale, la crisi della Grecia, gli effetti della parità dollaro/euro, che porterebbero una revisione in senso sfavorevole del trend di crescita del PIL;
    nel 2018 siamo ancora ben lontani dall'obiettivo europeo del 60 per cento del PIL, anzi le proiezioni del DEF 2015 prevedono che il rapporto debito/Pil si attesterà al 95 per cento nel 2027, dunque, fino al 2027 e oltre, avremo l'obbligo di destinare almeno lo 0,5 per cento in ogni triennio alla riduzione del debito, che equivale a circa 10-12 miliardi di manovra ogni anno per il prossimo ventennio;
    difficile condividere il clima di fiducia del Governo, se si valutano le proiezioni sulla pressione fiscale, in quanto non solo la programmazione per il triennio 2016-2018 non include un percorso di riduzione della pressione fiscale, fondamentale sia per sostenere la domanda di beni e servizi, sia per incentivare gli investimenti nel nostro Paese, soprattutto di imprese estere, ma nel Documento in esame si legge che la pressione fiscale è prevista in aumento dal 43,5 per cento del PIL del 2014 al 43,7 per cento nel 2019, con un picco del 44,1 per cento nel 2016 e 2017;
    livelli così elevati di prelievo fiscale ostacolerebbero, come in passato, il percorso di rilancio dell'economia, quindi il Governo si impegna a non attivare la clausola di salvaguardia, inserita nella legge di stabilità per il 2015, consistente nell'aumento progressivo delle aliquote IVA del 10 e del 22 per cento, e che costerebbe alle tasche dei contribuenti 12,8 miliardi nel 2016, 19,2 miliardi nel 2017 e 21,3 miliardi dal 2018;
    le manovre sulle imposte indirette sono da sempre considerate regressive e colpiscono in modo più accentuato le famiglie con redditi bassi, che hanno una propensione al consumo più elevata, riducendo il potere di acquisto delle famiglie, e di conseguenza la domanda di beni e servizi con gravi riflessi sul trend di crescita del PIL, in netto contrasto con la finalità del «bonus fiscale» sostenuto dal Governo. La misura potrebbe anche comportare non maggiori risorse ma una eventuale perdita di gettito, essendo l'IVA una imposta soggetta a forte evasione, anche se la maggiore inflazione che conseguirebbe all'aumento dei prezzi consente di «gonfiare» il PIL, correggendo l'indebitamento nel biennio di almeno 17 miliardi, come rilevano le proiezioni addotte dalla Corte dei conti, in sede di audizione;
    per compensare la disattivazione delle suddette clausole, è necessario che si verifichi un maggior gettito tributario correlato alla speranza di migliori performance del PIL, destinare le risorse derivanti dalla riduzione della spesa per interessi pari ad uno 0,4 per cento del PIL, circa 6 miliardi di euro, nonché sarà obbligatorio e non più procrastinabile adottare immediate misure di spending review, per conseguire risparmi nella misura dello 0,6 per cento di PIL, circa 10 miliardi di euro;
    laddove la spending review avrebbe dovuto essere già stata realizzata in termini più che di riduzione della spesa pubblica, come strumento di migliore allocazione delle risorse pubbliche verso gli investimenti produttivi, ora il Governo è costretto ad attuarla per scongiurare le suddette clausole, inserite nella legge di stabilità per il 2015, al solo scopo di finanziare il «bonus fiscale», che ha sottratto ben circa sei miliardi di euro nel 2014 e costa alle casse dello Stato 9 miliardi all'anno a regime;
    nonostante ciò, la pressione fiscale al netto del bonus fiscale e delle clausole di salvaguardia si attesterebbe nel 2019 al 41, 6 per cento, stesso livello dell'anno 2011, senza quindi nessuna riduzione da ben nove anni;
    la lieve crescita attesa si innesta in un quadro economico caratterizzato ad un elevato «outgap», pari al - 3,8 per cento nel 2015. Solo nel 2019 si prevede un outgap positivo pari a 0,5 per cento del potenziale, quindi è necessario attivare tutte le misure per potenziare la crescita dell'economia e l'attrazione degli investimenti nel nostro Paese, dunque evitare ulteriori misure di consolidamento fiscale, che hanno un impatto negativo sull'economia, ma le rigide regole del Six Pack condizioneranno l'Italia ancora per molti anni;
    i margini di flessibilità, in cui si muove il Governo per sostenere la crescita sono ancora stretti, con riflessi negativi sulla capacità di creare nuova occupazione; infatti il Documento prevede una lieve discesa del tasso di disoccupazione pari al 12,6 per cento nel 2014, al 12,5 nel 2015, al 12,1 nel 2016, all'11,6 nel 2017, all'11,2 nel 2018; peraltro i nuovi posti di lavoro si attendono come conseguenza della riforma del Jobs Act, dunque saranno caratterizzati da un più alto livello di flessibilità e precarietà, elementi che non hanno un impatto positivo sulla fiducia nel futuro e di conseguenza sulla potenziale crescita della domanda di beni e servizi. Ciò ci induce a temere che, anche sussistendo un quadro macroeconomico favorevole alla crescita del PIL, a causa del puntuale rispetto dei saldi di finanza pubblica, permarranno fasce di popolazione in uno stato di povertà e disagio sociale;
    il tesoretto da 1,7 miliardi di euro in gran parte se n’è già andato, se non tutto. Se, come largamente previsto, la Commissione Ue boccerà il nuovo regime dell'Iva nella grande distribuzione, incluso dalla legge di Stabilità 2015, nei conti di quest'anno si aprirà un buco da 730 milioni, che potrebbero arrivare a 1,7 miliardi se la Commissione bocciasse anche lo split payment, dal quale ci si attendeva maggiori entrate pari a circa un miliardo. Se l'Europa non dovesse dare il via libera, il Governo ha già previsto un aumento delle accise sulla benzina e sul gasolio dal primo luglio, per lo stesso importo: 1,7 miliardi l'anno. Solo che, per recuperare quella cifra in soli 6 mesi, l'aumento delle imposte sui carburanti dovrebbe essere pesantissimo. Per tale motivo già il Governo, dopo aver pubblicizzato la volontà di destinare il tesoretto a prestazioni sociali, ora rivede la propria scelta orientandola in modo prudenziale alla conservazione di tali risorse, come riserve;
    in merito al piano di privatizzazioni rivisto dal Governo, nel Documento in esame le privatizzazioni contribuiscono alla riduzione dell'elevato debito pubblico, assicurando nel 2015 maggiori entrate pari allo 0,4 per cento del PIL e nel triennio 2016-2018 all'1,3 per cento del PIL. Poiché le risorse ottenute con le dismissioni devono essere utilizzate anche per sostenere gli investimenti, si rileva la necessità di valutare la convenienza della vendita di assets redditizi e che rappresentano tutt'oggi per lo Stato investimenti idonei anche come sostegno dei livelli occupazionali;
    è evidente che il Governo confida nella debole e lenta crescita del nostro Prodotto interno lordo, come conseguenza degli effetti attesi dalle riforme strutturali, quali la riforma del lavoro prevista dal Jobs Act, la riforma della «Buona scuola» per la valorizzazione del capitale umano, la riforma della giustizia civile, la riforma della Pubblica Amministrazione, la riforma costituzionale della Camera e del Senato della Repubblica, da cui si attende un più veloce processo decisionale parlamentare;
    ma le riforme proposte dal Governo Renzi, devono essere riforme rilevanti, avanzate, in grado di migliorare significativamente nel lungo periodo i saldi di finanza pubblica, condizione che autorizza l'applicazione delle clausole delle riforme, invece, oltre ad essere tardive, presentano aspetti critici nel merito, di seguito evidenziati, e, nell'ipotesi non dovessero produrre gli effetti attesi, comprometterebbero la crescita nel medio e lungo periodo del Pil e il raggiungimento degli obiettivi di pareggio di bilancio e riduzione del debito. A tal proposito si rileva che le stime di crescita del PIL nel 2016 secondo le previsioni dei più importanti istituti di ricerca sia nazionali che internazionali sono leggermente inferiori alle stime del presente Documento;
    in particolare, si evidenzia il ritardo della revisione del sistema fiscale, nonché, come sopra riportato, la permanenza di una elevata pressione fiscale, per tutto il periodo di programmazione, che disincentiva gli investitori sia esteri che nazionali, piuttosto che attrarli;
    in merito ai vincoli rigidi del patto di stabilità per gli enti locali, permane per il periodo 2015-2018 il contributo al risanamento dei conti pubblici adottato in sede di legge di stabilità per il 2015, che ha sottratto ai comuni risorse per oltre 3,6 miliardi di euro, oltre i tagli delle spese correnti disposti dal decreto-legge n. 66 del 2014, pari a 563, 4 milioni annui dal 2015, estesi anche per l'anno 2018 dalla citata legge di stabilità;
    in merito alla finanza locale, la consistente riduzione di risorse degli enti locali, che dal 2007 al 2014 hanno contribuito al miglioramento dei saldi di finanza pubblica per circa 16,4 miliardi di euro, aggrava la situazione finanziaria dei comuni, che non sono più in grado di fornire servizi importanti ai propri cittadini, quali: asili nido, scuole e servizi connessi, assistenza ai disabili, politiche abitative e soprattutto investimenti per la salvaguardia dell'ambiente e del territorio. Infatti, il continuo taglio delle risorse ha sensibilmente ridotto le spese in conto capitale dei comuni e ridotto gli investimenti, con gravi ripercussioni sulle economie locali, rappresentate soprattutto da piccole e micro-imprese;
   in materia di giustizia:
    nell'ambito delle riforme strutturali, per quanto attiene al comparto della giustizia nel documento di economia e finanza del 2015, tra gli obiettivi del Governo è prevista la riduzione dei margini di incertezza dell'assetto giuridico per alcuni settori, sia dal punto di vista della disciplina generale, sia dal punto di vista degli strumenti che ne assicurano l'efficacia (nuova disciplina del licenziamento, riforma della giustizia civile);
    si rileva che gli interventi programmati con una tabella di marcia che tiene scarsamente conto della attuale realtà sono volti:
     a) a contrastare fenomeni di corruzione nel settore pubblico e aumentare la trasparenza anche per favorire investimenti delle imprese in Italia e che, a tal fine, si è scelto di specializzare maggiormente l'attività degli uffici giudiziari istituendo il tribunale delle imprese;
     b) ad attuare un piano di digitalizzazione della giustizia, in particolare per accelerare il completamento del processo telematico;
     c) ad introdurre nuove modalità di risoluzione delle controversie esterne ai tribunali e nuove formule di determinazione degli onorari degli avvocati al dichiarato scopo di snellire l'attività processuale;
   in materia tributaria, fiscale e bancaria:
    si può affermare che il DEF 2015 non prevede alcuna novità rispetto agli obiettivi programmati nel precedente anno. L'obiettivo principale resta sempre l'attuazione della delega fiscale, prorogata al 26 settembre 2015. La programmazione economica finanziaria non prevede dunque particolari novità per la materia tributaria. Ci si aspettava invece una programmazione fiscale più incisiva e coraggiosa soprattutto a favore delle piccole e medie imprese nonché per le nuove iniziative imprenditoriali, per le quali resta tuttora da capire il regime di favore applicabile una volta terminato il regime speciale con imposta sostitutiva del 5 per cento (si ricorda infatti che il nuovo regime forfettario introdotto con la stabilità 2015 è stato oggetto di critiche da parte dello stesso Governo che ha di fatto prorogato per un altro anno il regime speciale vigente). Anche in merito alla semplificazione fiscale ed in particolare alla fatturazione elettronica, non vengono indicate misure volte ad incentivare i contribuenti all'esercizio dell'opzione per la digitalizzazione della contabilità (quali, ad esempio, la riduzione della pressione fiscale attraverso aliquote ridotte). Quanto poi alla riduzione della pressione fiscale, non si prevede alcunché. Anzi al riguardo appare contraddittoria la scelta di reperire risorse per la riduzione fiscale attraverso la revisione del sistema delle agevolazioni fiscali. Quanto infine alla semplificazione fiscale in materia di tributi locali, l'introduzione di un tributo unico sarebbe auspicabile a condizione che esso di fatto realizzi una riduzione della pressione fiscale locale e non si trasformi nell'ennesimo strumento di compensazione del minor gettito erariale nazionale;
    la non corretta gestione delle imprese bancarie, l'aumento del volume di sofferenze, crediti inesigibili, titoli tossici implica la necessità di rivedere i criteri di vigilanza prudenziale valutando l'opportunità di introdurre normativamente il divieto per lo Stato, le Fondazioni bancarie, le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative di effettuare investimenti in strumenti finanziari derivati che implichino il rischio di perdite patrimoniali e siano pregiudizievoli per le risorse erariali e per il risparmio dei cittadini;
    si auspicavano dunque scelte di politica fiscale e bancaria differenti, soprattutto al fine di ridurre la pressione fiscale, garantire la certezza del prelievo e rilanciare il settore produttivo e dei consumi;
   in materia di scuola, università e cultura:
    il Governo collega alla decisione di bilancio alcuni provvedimenti di particolare interesse della Cultura, quali il disegno di legge di riforma della scuola, attualmente all'esame della Commissione, e il disegno di legge concernente il cinema e lo spettacolo dal vivo, non ancora presentato;
    pertanto l'unica misura immediata è quella relativa al disegno di legge la buona scuola, riguardo al quale le innumerevoli criticità sia nel merito che nel metodo si possono sintetizzare in un intervento caratterizzato dall'esiguità delle risorse previste e l'introduzione di modello aziendalistico di scuola, che di fatto compromette tutto il sistema nazionale di istruzione e formazione;
    il Documento di economia e finanza per il 2015, a fronte degli obiettivi, ovvero dei gravissimi ritardi accusati dal nostro Paese per una loro concreta realizzazione, prevede, al di là dei proclami del caso, oltre allo stanziamento di risorse assolutamente insufficienti, anche la totale assenza di una programmazione chiara e univoca;
    dal DEF ci si sarebbe aspettato una più responsabile azione volta davvero a promuovere l'investimento nell'istruzione e nella formazione, così come indicato nella strategia di Lisbona, e nei beni culturali, in quanto in un'epoca di flessione economica non solo europea ma mondiale è essenziale che ci si avvalga delle potenzialità di ciascun individuo e che si continui a promuovere un investimento più importante, più efficace e mirato all'istruzione e alla formazione di qualità («Istruzione e formazione 2020»), nonché alla valorizzazione del patrimonio culturale nel nostro Paese;
    non si intravedono nel DEF interventi capaci di rilanciare il settore e tantomeno di risolvere gli innumerevoli problemi che attanagliano il mondo dell'istruzione, dell'università e della ricerca e le misure adottate e le relative risorse sono ben lontane dal rappresentare l'inversione di tendenza pubblicizzata dal Governo;
    risulta evidente la mancanza di volontà di superare i limiti di scelte politiche risultate fallimentari, come ad esempio la quota premiale prevista per le università che si basa su un meccanismo di premialità con criteri che inevitabilmente penalizzano le università più deboli;
    non si ravvisa, infatti, alcun tipo di premialità nello stanziamento di una quota che verrà, di fatto, sottratta al Fondo di finanziamento ordinario delle università, quest'anno addirittura in misura pari al 30 per cento. Pensare che gli Atenei che oggi versano in una situazione di difficoltà economica e organizzativa, soprattutto in considerazione di quelli con una posizione territoriale svantaggiata, potranno mai garantire il loro ordinario funzionamento, ovvero una qualità dell'offerta formativa adeguata alla loro funzione, è assolutamente impossibile;
    risulta sempre più chiara, quindi, la volontà di creare un distaccamento tra Atenei, affinché solo alcuni di essi possano raggiungere livelli di eccellenza, a danno di tutti gli altri, i quali inevitabilmente regrediranno sia economicamente che qualitativamente, fino a raggiungere un punto di non ritorno;
    oggi l'attività di ogni università si basa su docenti e ricercatori che svolgono con abnegazione il proprio lavoro e che, attraverso la didattica e la ricerca, trasmettono il proprio sapere proprio a quei giovani che un giorno, grazie ad esso, potranno emergere e raggiungere un livello di eccellenza. Ogni Ateneo deve poter avere, attraverso fondi adeguati al suo funzionamento, la possibilità di creare le condizioni essenziali per raggiungere questa eccellenza;
    analoghe considerazioni valgono per il fondo premiale, a valere sul FOE degli Enti di ricerca, il quale prevede anche per quest'anno una ripartizione di circa l'8 per cento delle risorse sulla base dei risultati della ricerca (VQR) e su specifici progetti innovativi. Anche qui pochi rilievi, se non di natura assolutamente negativa, possono essere fatti. Anche il FOE, infatti, perde una quota di ordinario funzionamento per una redistribuzione delle risorse sulla base di una Valutazione della Qualità della Ricerca datata di almeno 5 anni, quindi sull'analisi di progetti e risultati ormai superati;
    è altrettanto evidente che non si affrontano nodi cruciali del mondo accademico nazionale, come il costante calo del corpo docente e il progressivo invecchiamento dello stesso tant’è che dal 2008 al 2014, secondo quanto riportato dal CUN, il numero dei professori ordinari è sceso del 30 per cento, quello degli associati del 17 per cento: in totale il 25 per cento in meno rispetto alla media europea; le cause del calo da professori sono da imputare alla riduzione dei finanziamenti pubblici degli atenei, al blocco del turnover dei reclutamenti, all'età avanzata di pensionamento del professore universitario;
    il DEF affronta in maniera del tutto insufficiente il tema dei ricercatori e del valore aggiunto che rappresentano per la crescita del nostro Paese proponendo ricette già vecchie ed inefficaci come il ricercatore tenure track introdotto dalla Gelmini nel 2010 – che, di fatto, ha precarizzato il ruolo attraverso i due percorsi distinti previsti dalla legge n. 240 del 2010 – e il potenziamento della chiamata diretta per meriti scientifici; è quindi rimasto irrisolto il tema del ricercatore precario che è costretto ad emigrare all'estero per proseguire la propria attività di ricerca vanificando, così, l'investimento sulla loro formazione e regalando il bagaglio culturale e scientifico a chi li accoglie;
    l'insensata politica dei tagli degli ultimi anni ha messo in ginocchio tutti i settori della cultura, dalla scuola all'università, alla ricerca, ai beni culturali determinando un'allarmante situazione generalizzata di regresso e di forte riduzione della mobilità sociale;
    queste continue e progressive riduzioni di spesa hanno ridotto la possibilità per il nostro Paese di reggere il confronto con gli altri Stati europei, sempre più progrediti sia dal punto di vista delle strutture che dei mezzi da mettere a disposizione di ricercatori e docenti, i quali vengono spinti a cercare all'estero l'ambiente adatto a portare avanti i propri studi e progetti con tutti gli strumenti necessari;
    nonostante l'investimento in Istruzione, Università e ricerca rappresenti la leva più solida di cui un governo dispone per centrare i suoi obiettivi di coesione sociale e sviluppo economico e che la spesa pubblica in questi specifici ambiti è ancora sotto la media europea, nonostante gli impegni assunti dal nostro Paese con il programma Horizon 2020, con evidenti riflessi negativi sui risultati scolastici, la mobilità e la coesione sociale, non si riscontra un'inversione di tendenza e il Def per il 2015, a fronte degli obiettivi elencati, nella sezione del Piano nazionale di Riforma, prevede risorse e misure del tutto insufficienti rispetto a quelle che sono le reali esigenze;
    la strada maestra per ridare slancio ad un'economia in crisi, ad un modello di sviluppo sostenibile, ad una società che metta al centro il benessere dei cittadini e la loro qualità di vita passa non solo attraverso un ripristino delle risorse economiche tagliate in questi anni al mondo della scuola italiana, dell'università, della ricerca e della cultura, ma anche e soprattutto attraverso una programmazione economica che preveda ingenti investimenti pluriennali e una valorizzazione complessiva del sistema;
   in materia di ambiente:
    è di tutta evidenza, nella sezione dedicata al programma di stabilità, la totale assenza di una visione politica e di una lettura strategica del tema ambientale come fattore trainante nell'economia nazionale; rimangono esclusi e completamente estranei i dati relativi al consumo di capitale naturale e dei servizi ecosistemici;
    sotto il profilo ambientale una particolare importanza del DEF sono l'allegato III, il quale, sulla base di quanto disposto dall'articolo 2, comma 9 della legge n. 39 del 2011, riporta lo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, e l'allegato VI, il quale, ai sensi della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (la legge obiettivo voluta dal Governo Berlusconi con la finalità di accelerare e semplificare l'iter procedurale per la realizzazione delle grandi opere pubbliche), contiene il programma delle infrastrutture strategiche e lo stato di avanzamento delle singole opere, predisposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
    il precedente DEF era caratterizzato dall'esigenza di rivedere i meccanismi della legge obiettivo in un'ottica di continuità con chi quella legge l'aveva promossa: accelerare e semplificare in tutti i modi le procedure ed attribuire tutto il potere al decisore centrale; proposito mantenuto in buona sostanza con l'approvazione del decreto «Sblocca Italia», pensato per scardinare le poche regole sopravvissute al ventennio berlusconiano; il documento del 2015 sembra essere più cauto e, pur rivendicando l'esigenza della «semplificazione burocratica», afferma l'importanza della lotta alla corruzione (la cui diffusione è purtroppo spesso facilitata proprio dall'alleggerimento delle procedure), denuncia la «mancanza di cultura di analisi di costi e benefici, sia nella scelta delle opere che nella loro progettazione» (senza pensare che è proprio l'impianto della legge obiettivo a scavalcare ed azzerare qualunque proposito programmatorio) e afferma l'esigenza di una maggiore attenzione per le opere medio piccole volte ad assicurare la manutenzione del territorio e del patrimonio immobiliare pubblico (praticamente il contrario di quanto fatto e dichiarato nel primo anno di Governo); sembra che in qualche modo il Governo stia scontando positivamente il cambio della guida del dicastero delle infrastrutture, prendendo in qualche modo le distanze dalla precedente visione marcatamente «sviluppista»; ipotesi confermata dal fatto che una delle azioni previste nel DEF 2014, finalizzata ad interventi sul mercato immobiliare e sull'urbanistica, sia scomparsa dal documento;
   in materia di lavoro:
    la NASpI appare uno strumento non rispondente al dettato della legge delega la quale recava quale criterio di esercizio della delega stessa la creazione di uno strumento unico, da estendere a tutte le categorie di lavoratori in stato di disoccupazione, indipendentemente dalla tipologia contrattuale di provenienza e che il sussidio si applichi a prescindere da qualunque requisito di anzianità contributiva e assicurativa. L’ estensione dell'Aspi ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa per i quali è stato creato un apposito strumento, peraltro solo a livello sperimentale, non rappresenta un intervento universalistico, poiché esclude tutte le tipologie di lavoro precarie, parasubordinate o falsamente autonome, che non hanno alcuna copertura né sostitutiva né integrativa; inoltre la copertura parziale quanto a tipologie di contratti o per altri requisiti sarebbe in contrasto con principi costituzionali, in particolare con quanto deriva dal combinato disposto degli articoli 3, 4 e 38 della Costituzione. La NASpI, ha esteso lo strumento, in via sperimentale, ai soli collaboratori coordinati e continuativi, incrementando la durata massima della prestazione, ovvero introducendo massimali per le prestazioni in funzione della contribuzione figurativa, limitando quindi le erogazioni a tutti quei lavoratori per i quali non siano stati versati dei contributi sociali effettivi, ma solo figurativi, circostanza che si verifica in caso di interruzione o riduzione dell'attività lavorativa dovuta a determinate fattispecie quali cassa integrazione guadagni, contratti di solidarietà, ma anche disoccupazione e mobilità;
    per l'ASDI, il riferimento alla quota dell'assegno sociale, pari a 447,61 euro mensili, circa 5.800 annui, significa scegliere di rimanere al di sotto del livello della soglia di povertà relativa, dati ISTAT, che per il 2014 è pari a 7.200 euro. Tale livello, definito anno per anno, deve pertanto rappresentare il termine di riferimento;
    in merito alla copertura finanziaria, dato che gli oneri complessivi del provvedimento sono stati individuati tramite un «tetto di spesa» e non come «previsione di spesa». Considerata la natura dei diritti soggettivi, appare paradossale che tale strumento risulti privo di una clausola di salvaguardia, ancorché aggravata dalla motivazione della Ragioneria di Stato secondo cui le valutazioni finanziarie risultano caratterizzate da adeguati elementi di prudenzialità. Il sistema di calcolo dell'indennità, cui si unisce la progressiva riduzione della stessa con il passare del tempo, finisce per essere penalizzante rispetto alla previgente disciplina in particolare per alcune categorie di lavoratori come gli stagionali. La NASPI appare svantaggiosa per i lavoratori stagionali che dal 1o maggio 2015 non potranno più coprire il proprio reddito per tutto l'anno, in quanto percepiranno l'indennità per la metà dei mesi lavorati (quindi solo per 3 mesi), con grave pregiudizio per miriadi di famiglie che vivono di turismo Non sono inoltre previste salvaguardie a favore dei 2,6 milioni di lavoratori dipendenti del settore artigiano, che attualmente risulterebbero privi di tutela del reddito in costanza di rapporto di lavoro;
    con riferimento al principio di parità di genere nel mondo del lavoro, si osserva che la perdurante carenza di effettive politiche di conciliazione tra vita familiare e lavoro ha concorso all'aumento della disoccupazione femminile con effetti negativi per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese;
    la Legge di Stabilità per il 2015 ha abrogato le agevolazioni strutturali per l'assunzione dei disoccupati di lunga durata, previste dalla legge n. 407 del 1990, con cui si consentiva alle aziende di risparmiare il 50 per cento dei contributi INPS e INAIL per trentasei mesi. Il risparmio si elevava al 100 per cento per le aziende collocate in una delle regioni del Sud, o svolgente attività artigianale;
    riguardo alla spesa pensionistica, il DEF (nella I sezione, dedicata al Programma di stabilità dell'Italia) osserva che il rapporto fra spesa pensionistica e PIL, il cui valore per il 2015 è pari al 15,8 per cento, tenderà a ridursi fino al 2030 (quando si attesterà intorno al 15 per cento), in presenza di un andamento di crescita più favorevole, nonché in virtù del processo di elevamento dei requisiti per la pensione e del progressivo passaggio al metodo di calcolo contributivo. Successivamente, la misura del rapporto percentuale tornerebbe a crescere, a causa dell'ampliamento delle tendenze negative delle dinamiche demografiche ed in ragione degli effetti derivanti dal precedente posticipo del collocamento in quiescenza sull'importo delle pensioni. Il rapporto dovrebbe raggiungere un valore massimo pari a circa il 15,5 per cento, intorno al 2044, per poi decrescere nuovamente nel successivo periodo fino al 2060;
    il programma comunitario «garanzia Giovani» ha stanziato risorse in favore dell'Italia pari a 1,5 miliardi di euro per il periodo 2014-2015, allo scopo di promuovere offerte di lavoro, tirocini, formazione, anche alla luce del fenomeno dei NET: a tale riguardo il DEF fa presente, in primo luogo, che a febbraio 2015 la Commissione UE ha proposto di aumentare dall'1 per cento al 30 per cento il tasso di prefinanziamento dell'iniziativa, con la conseguenza che si renderebbe disponibile una somma complessiva nel 2015 per l'Italia di 170 milioni (invece dei 5,6 milioni previsti); inoltre, ricorda che tra le azioni previste dal Programma italiano volte a dare attuazione alla Garanzia giovani, vi è anche la previsione del cosiddetto «bonus occupazione», un incentivo per le assunzioni di giovani con specifici requisiti;
    durante l'audizione in Commissione Lavoro, le Regioni hanno ribadito la scarsa operatività dei Centri per l'impiego, che rappresentano lo snodo principale delle misure della Garanzia Giovani,

impegna il Governo

   in materia economica e finanziaria:
   a non considerare in nessun caso come vincolante l'obiettivo di medio termine (MTO);
   a promuovere in ogni sede e con ogni mezzo la rivisitazione dei trattati internazionali, in particolare il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nella Unione europea», al fine di svincolarsi dalle deleterie morse dell'austerity;
   ad assumere iniziative, anche in sede di Unione Europea, per non inserire elementi distorsivi nel calcolo del prodotto interno lordo che rendano antieconomico il debellarli, nonché a non considerare come attività svolte «consensualmente» le attività realizzate in uno stato di sostanziale incapacità di volere, quali la prostituzione e l'assunzione di sostanze stupefacenti;
   ad assumere iniziative, anche in sede di Unione europea, per svincolarsi dall'uso di un indice poco rappresentativo del benessere di un Paese e dei suoi cittadini, quali il Prodotto Interno lordo, e quindi utilizzare, anche al fine della programmazione economica, indici alternativi quali la coesione sociale, i salari, la sicurezza dell'impiego, l'ambiente, la salute, la sicurezza, la qualità e il costo delle abitazioni, l'educazione e quant'altro possa essere in grado di rappresentare aspetti più rilevanti del benessere dei cittadini;
   a ripristinare le risorse a favore degli enti locali decurtate dalla legge di stabilità per il 2015, operando risparmi di spesa attraverso la spending review, a carico delle Amministrazioni centrali, il cui contributo al risanamento dei conti pubblici è stato di circa 6,5 miliardi di euro dal 2009 ad oggi;
   a non effettuare ulteriori riduzioni, negli anni futuri, fino a quando lo sforzo richiesto in termini percentuali agli enti locali non sia stato sostenuto anche dalle istituzioni centrali;
   a garantire in ogni caso, anche agli enti locali in dissesto, i trasferimenti necessari all'espletamento dei servizi sociali essenziali, come l'assistenza ai cittadini disabili;
   a non ridurre i trasferimenti a disposizione degli enti locali nell'esercizio in corso e a non assumere iniziative per la modifica delle norme sulla fiscalità locale;
   a svincolare dai tetti di spesa i costi di formazione del personale per delimitati settori e corsi autorizzati a livello centrale finalizzate ad incrementare la capacita di analisi sull'efficienza di spesa dei servizi, quali efficienza energetica, ricaduta socioeconomica di indotto delle azioni, digitalizzazione;
   a consentire l'utilizzo di tutte le fonti disponibili, compreso l'avanzo e la ristrutturazione del debito mediante accensione di nuovi prestiti (come previsto dal comma 2 dell'articolo 41 della legge n. 448 del 2001), assumendo un'iniziativa normativa per abrogare il vincolo di utilizzo esclusivo dei proventi da dismissioni che riguarda il rimborso dei prestiti obbligazionari;
   in merito alla posticipazione dell'introduzione della local tax, ad assumere iniziative normative per ripristinare il trasferimento integrativo di 625 milioni di euro, indispensabile agli enti locali per garantire l'erogazione dei servizi essenziali ai cittadini;
   in materia di dismissioni, ad attivare tutti gli strumenti per valutare la convenienza economica nel medio e nel lungo periodo della vendita degli assets delle partecipazioni a procedere alla vendita dei medesimi non con il mero scopo di acquisire risorse per ridurre il debito, ma valutando la necessità di preservare il livello degli investimenti pubblici, le entrate di reddito da dividendo nonché i livelli di occupazione;
   in materia di spending review, a selezionare gli interventi di revisione della spesa sulla base di precisi indirizzi, definiti in sede parlamentare, in modo da consentire una condivisione più ampia di tutte le forze politiche, in virtù di quanto disposto dall'articolo 5 della legge costituzionale n. 1 del 2012, che, nel riformare l'articolo 81 della Costituzione, al comma 4, stabilisce che «le Camere, secondo le modalità stabilite dai rispettivi regolamenti, esercitano la funzione di controllo sulla finanza pubblica con particolare riferimento all'equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità e all'efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni», ed evitare tagli che producano effetti recessivi, dando priorità alla razionalizzazione e migliore allocazione delle risorse, per riqualificare la spesa pubblica, in particolare aumentare le spese per investimenti, salvaguardando dai tagli i settori decisivi per aumentare il potenziale di crescita del paese;
   in materia di riforme costituzionali:
   in ordine alla prevista razionalizzazione delle funzioni di polizia a procedere considerando le diverse necessità dei territori in ordine ai presidi nonché tenendo conto della peculiarità delle zone di maggiore disagio e a maggior rischio di criminalità, per le quali il controllo del territorio non solo non dovrà subire depauperamento, ma dovrà essere incrementato;
   a riferire alle Camere in ordine alla suddetta razionalizzazione prima che essa sia adottata;
   a riferire a brevissimo termine alle Camere in ordine ai rapporti finanziari tra lo Stato e le province, allo stato finanziario di queste ultime, nonché sui crediti da esse vantati nei confronti dello Stato e delle Regioni;
   ad assicurare il pieno rispetto della specificità del personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, in relazione alla peculiarità delle funzioni svolte dai relativi operatori, ai sensi dell'articolo 19 della Legge n. 183/2010;
   a non prorogare gli effetti delle disposizioni di blocco degli incrementi stipendiali per il personale del suddetto comparto;
   in materia di riforma della giustizia:
   a predisporre uno stanziamento di risorse finanziarie adeguato al fine di risolvere le molteplici questioni che attengono al settore giustizia restituendo dignità e professionalità al ruolo di magistrati e avvocati spesso costretti a lavorare in condizioni disagiate, in aule sovraffollate e, ormai, come da recenti fatti di cronaca, anche poco sicure. Non si ritiene essere un meccanismo risolutorio per far fronte ai costi della giustizia e lo smaltimento dell'arretrato civile quello – finora largamente utilizzato – di incrementare il contributo unificato. Ciò costituisce, piuttosto, un aggravio eccessivamente oneroso per il cittadino e un ostacolo, in alcuni casi insormontabile, per ottenere giustizia;
   ad assumere iniziative anche normative che prevedano la riqualificazione dei dipendenti del Ministero della giustizia e del dipartimento della organizzazione giudiziaria ed altresì provvedere con sollecitudine alla velocizzazione delle procedure per il pagamento degli straordinari ai dipendenti del Ministero della giustizia e del dipartimento della organizzazione giudiziaria;
   a rendere, finalmente, attuale e non solo un mero proposito l'istituzione di sezioni specializzate in materia di diritto societario al fine di risolvere o, quantomeno, snellire il relativo contenzioso che rappresenta, tra le altre cose, una vera e propria piaga del Paese e che finisce per essere un deterrente anche per coloro che intendano intraprendere o continuare attività imprenditoriale in forma individuale o societaria; dunque si rende necessaria e va incentivata l'efficienza e la qualità della giustizia civile, in chiave di spinta economica, dando maggiore organicità alla competenza del tribunale delle imprese consolidandone la specializzazione (anche ed eventualmente con apposite procedure concorsuali che tengano debito conto di una preparazione specifica e settoriale);
   a rivedere, per quanto attiene i procedimenti di scioglimento del matrimonio, la procedura introdotta con il metodo della conciliazione, che espone a rischi il cosiddetto coniuge debole, prevedendo, comunque, tempi più brevi così come dalla originaria previsione della proposta di legge relativamente al dies a quo per la decorrenza dei termini per la presentazione della domanda di divorzio;
   a favorire, ottimizzando le risorse umane impiegate nel settore, un costante aggiornamento della formazione e dell'uso delle nuove tecnologie nonché a prevedere che sia predisposto un piano volto a coprire le carenze nell'organico relativo ai magistrati e al personale amministrativo anche attraverso concorsi che selezionino i candidati nella maniera più rapida e obiettiva possibile. Attualmente, infatti, il personale impiegato è di consistenza inferiore al cosiddetto turn over da pensionamento;
   a definire una riallocazione delle risorse destinate alle sedi dei tribunali che tenga conto non solo delle specificità geografiche e demografiche del territorio, ma anche della maggiore o minore presenza di criminalità organizzata nella zona di riferimento, reintervenendo rispetto alle storture create dalla cosiddetta riforma della geografia giudiziaria;
   a contenere i tempi per arrivare alla risoluzione delle controversie con una maggiore professionalizzazione manageriale dei presidenti dei tribunali, anche attraverso l'implementazione delle best practices già realizzate presso alcune Corti d'appello;
   a considerare un sistema di bandi nazionali con criteri di selezione uniformi, per la copertura del personale relativo ai giudici onorari e al rinnovo degli stessi che, alla luce del delicatissimo compito che gli stessi svolgono, alla competenza per materia, e al ruolo di vero e proprio giudizio di primo grado, tenga conto della tutela delle garanzie di indipendenza degli stessi, affinché non diventino facili pedine schiave del rinnovo del mandato;
   per quanto riguarda gli interventi in materia di processo civile, definiti con il decreto-legge n. 132 del 2014, (convertito in legge a novembre – legge n. 162 del 2014), a rivalutare, facendo in modo che sia considerato come extrema ratio e non come una reale soluzione, il ricorso a forme di definizione extragiudiziale delle controversie, tenuto conto che non si ritiene essere un approccio conforme al dettato costituzionale rinviare a sedi di conciliazione e mediazione la risoluzione di controversie. Il ricorso ad arbitri terzi, a carico delle parti, per la risoluzione delle cause arretrate rappresenta non solo un'inaccettabile resa del sistema Giustizia dinanzi alle proprie inefficienze ma, soprattutto, una grave lesione, sotto il profilo del precedente procedurale, del diritto al giusto processo ed alla difesa di cui agli articoli 111 e 24 della Costituzione di cui il cittadino deve poter continuare liberamente a godere, anche in ragione delle imposte da quest'ultimo pagate e volte a garantire altresì il buon funzionamento dell'amministrazione della giustizia;
   nel settore penale, per quanto attiene all'impianto processuale e ordinamentale a fare in modo che sia garantita una durata ragionevole dei processi limitando di fatto i rischi connessi alla prescrizione dei reati, tema affrontato ancora in maniera inadeguata e poco risolutiva unitamente ai reati di falso in bilancio, delitti contro la pubblica amministrazione, associazione a delinquere di stampo mafioso;
   a rafforzare il contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti e il contrasto alla corruzione attraverso un controllo più capillare del territorio, nonché con l'acquisizione dei tabulati telefonici e nelle intercettazione di comunicazioni e conversazioni telefoniche o telematiche;
   ad adottare strumenti di controllo preventivo più stringenti ed una maggiore integrazione delle banche dati oggi esistenti per contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici e ricomprendere, tra le cause di risoluzione del contratto d'appalto, anche le sentenze di condanna definitiva per gravi reati che riguardino i soggetti subappaltanti, oltre ai soggetti appaltatori;
   ad affrontare in maniera radicale e definitiva senza che ciò comporti un aumento delle strutture preposte, l'annosa questione del sovraffollamento carcerario attraverso un serio dibattito e confronto parlamentare e non con l'ennesimo ricorso alla decretazione d'urgenza. Ad oggi, gli interventi attuati sono stati solo parziali e basati, sostanzialmente, su sconti di pena, che mettono in pericolo la sicurezza dei cittadini. Gli interventi richiesti dovrebbero essere, invece, espressione di un disegno unitario, nel quale l'adeguamento delle strutture carcerarie ed il rafforzamento numerico del personale che vi lavora dovrebbe essere un criterio guida centrale;
   in materia di difesa:
   a) destinare parte dei risparmi effettuati con la riforma dello strumento militare per migliorare la gestione corrente della formazione del personale e della gestione dei mezzi, a fronte di una riduzione di nuovi investimenti in sistemi d'arma;
   b) destinare l'assegnazione delle strutture militari in dismissione, localizzate in luoghi strategici delle città, per nuove funzioni che consentano per le altre amministrazioni risparmi in contratti di locazione;
   c) abbandonare, in via definitiva, il programma per la produzione e l'acquisto dei previsti cacciabombardieri Joint Strike Fighter (F35) parallelamente ad una riconversione delle industrie che operano nella produzione degli stessi;
   d) rivalutare la necessità di ogni singola missione militare all'estero non solo dal punto di vista economico ma anche e soprattutto per rispettare il dettame costituzionale indicato dall'articolo 11;
   e) ripensare alle modalità di svolgimento di parate militari, anche in occasione di festeggiamenti nazionali, al fine di risparmiare sui costi pur non pregiudicando il tributo che le Forze Armate devono comunque dare alle ricorrenze repubblicane e storiche dell'Italia;
   in materia fiscale, tributaria e bancaria:
   evitare ogni genere di intervento dello Stato italiano, espletato in modo diretto o indiretto, finalizzato alla riduzione del volume di titoli anomali, tossici e difficilmente esigibili, nonché crediti inesigibili e sofferenze delle banche private escludendo così un impegno di risorse erariali per rimediare ad una non corretta gestione della governance delle banche, eventualmente sottoposte anche a commissariamento. Si precisa che un intervento dello Stato italiano a favore delle banche così come descritto potrebbe annoverarsi tra gli aiuti di Stato vietati dalla disciplina europea;
   ad introdurre disposizioni di carattere normativo, con annesse sanzioni, al fine di vietare allo Stato, alle Fondazioni bancarie, alle imprese bancarie, finanziarie ed assicurative di effettuare investimenti in strumenti finanziari derivati che implichino il rischio di perdite patrimoniali e siano pregiudizievoli per le risorse erariali e per il risparmio dei cittadini;
   predisporre nuovi criteri e limiti di indebitamento per le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative, riducendo in tal modo i potenziali rischi di perdite patrimoniali;
   promuovere la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, favorendo l'istituzione di banche, anche di natura pubblica, preposte al finanziamento della sola economia reale, senza la possibilità di investire in strumenti finanziari speculativi o rischiosi per l'integrità patrimoniale ed il risparmio dei cittadini;
   invitare la Banca d'Italia ad avviare indagini conoscitive e controlli sulle banche caratterizzate da consistenti volumi di sofferenze ed individuare i responsabili della non corretta gestione;
   favorire, nell'ambito delle proprie competenze, la verifica di eventuali responsabilità degli amministratori delle banche per una non corretta e non prudenziale gestione del risparmio dei cittadini ed in particolar modo accertare se l'emissione del credito sia stata affetta da compiacenze e collusioni; favorire l'accesso della magistratura all'accertamento di eventuali reati nella gestione dell'emissione del credito;
   avviare indagini conoscitive e controlli al fine di verificare il rispetto della normativa sulla concorrenza ed antitrust da parte delle compagnie assicurative ed assumere iniziative volte ad escludere l'esclusiva vigenza delle convenzioni tra compagnie assicurative e gestori di servizi medico-sanitari o di riparazione degli autoveicoli garantendo una libera facoltà di scelta del cliente tra soggetti convenzionati e non;
   ridurre l'onere e il costo degli adempimenti fiscali a carico dei contribuenti favorendo il processo di automazione e telematizzazione di tutte le operazioni contabili in materia di determinazione dell'imposta sul valore aggiunto (IVA): emissione, ricezione e registrazione delle fatture, liquidazione e versamento del tributo, redazione ed invio dei dichiarativi fiscali, attraverso la predisposizione di software gratuiti che agevolino i contribuenti nella esecuzione dei menzionati adempimenti e nella comunicazione delle informazioni all'Amministrazione Finanziaria in una ottica di normalizzazione, riduzione dei costi della compliance e di progressiva sostituzione delle attuali, obsolete modalità cartacee di tenuta delle citate operazioni;
   revisionare gli obiettivi di budget in tema di accertamenti dell'Agenzia delle entrate per il miglioramento e l'intensificazione delle attività di controllo formale e sostanziale dei cosiddetti grandi contribuenti nonché attraverso la previsione di obiettivi di produzione distinti per ciascuna categoria di contribuenti;
   ridefinire l'organizzazione interna dell'Agenzie e dei sistemi di reclutamento del personale garantendo la pubblicità dei concorsi, il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa;
   revisionare gli attuali criteri di determinazione standardizzata e presuntiva degli accertamenti (con particolare riferimento agli studi di settore ed al redditometro), sostituendoli con sistemi di controllo che incentivino una compliance preventiva tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, anche attraverso la predisposizione di strumenti informatici gratuiti che consentano agli esercenti di confrontare in tempo reale l'andamento economico e finanziario delle proprie attività rispetto ai modelli statistici standard, comprendere le cause di eventuali scostamenti e porvi rimedio, ove necessario senza attendere i termini previsti per i dichiarativi fiscali;
   intensificare le attività di controllo dell'Agenzia delle entrate, anche ampliando il campo di applicazione degli strumenti deflattivi del contenzioso nello spirito della leale collaborazione tra contribuente e amministrazione finanziaria; in ogni caso, garantire allo stesso tempo l'esercizio del diritto di difesa del contribuente anche attraverso una progressiva riduzione delle imposte in materia di giustizia che di fatto costituisco un ostacolo all'eccesso alla giustizia tributaria;
   potenziare e intensificare la lotta all'evasione internazionale ed il ricorso allo scambio di informazioni in ambito comunitario e, in generale, gli strumenti di cooperazione internazionale, con particolare riguardo all'invio di richieste di assistenza amministrativa e di scambi informativi spontanei, nonché all'attivazione dei controlli multilaterali, anche in conseguenza delle molteplici convenzioni stipulate con gli Stati della comunità europea ed internazionale in materia di scambio di informazioni e rimozione del segreto bancario;
   introdurre misure di contrasto all'evasione e all'elusione internazionale (triangolazioni societarie, tansferpricing, mispricing, sottofatturazione, società offshore e trust, ecc.) in relazione alle quali la mera stipulazione di accordi bilaterali in materia di scambio di informazioni appare inadeguata e, in alcuni casi, controproducente in assenza di una reciproca attuazione, da parte dell'altro Stato contraente, delle normative di contrasto all'elusione e all'evasione; pertanto, assumere iniziative volte a favorire la stipula di accordi multilaterali per la lotta all'evasione internazionale è la rimozione del segreto bancario e per l'introduzione di blacklist comuni ai vari Stati della comunità europea ed internazionale;
   migliorare gli strumenti compensativi esistenti anche attraverso la istituzione presso l'Agenzia delle entrate una «Camera di compensazione» preposta a compensare debiti e crediti di natura tributaria, provvedendo direttamente anche ai relativi adempimenti fiscali;
   agevolare le piccole e medie imprese e le nuove iniziative imprenditoriali anche attraverso l'estensione della disciplina del «regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità» alle società di persone o di capitali di nuova costituzione;
   incentivare, attraverso la previsione di benefici fiscali, gli investimenti in tecnologie a basso impatto ambientale nei processi di riconversione industriale dei siti di interesse nazionale contaminati, al fine di attivare crescita ed occupazione «verde», a condizione che il saldo occupazionale netto di tali investimenti sia positivo;
   introdurre misure di sostegno al reddito tali da garantire a ciascun cittadino, anche mediante integrazione del reddito percepito, un reddito minimo di cittadinanza al fine di garantire un livello minimo di soddisfacimento delle esigenze fondamentali e primarie di vita, individuali e familiari;
   incentivare forme alternative di accesso al credito tra cui l'istituto del «crowfunding» potenziandone l'utilizzo anche alle società diverse dalle «startup innovative» e gli strumenti di garanzia (come ad esempio, l'utilizzo del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese anche per garantire le operazioni di crowfunding);
   introdurre misure normative volte alla riforma del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale, ampliando le fattispecie vigenti alla luce dell'evoluzione delle pratiche societarie e delle accertate tecniche di evasione, evitando qualsivoglia forma di depenalizzazione delle condotte di reato già previste;
   introdurre misure normative volte a garantire una maggiore efficacia della lotta all'evasione fiscale ed in particolare a rimuovere i dubbi interpretativi ed applicativi della nuova fattispecie di reato di auto riciclaggio;
   riformare il regime cosiddetto dei minimi elevando il limite massimo di imponibile ai fini dell'applicazione, in armonia con gli orientamenti espressi in ambito comunitario ed alle normative esistenti negli altri Stati comunitari;
   introdurre misure normative volte a recuperare gettito attraverso la disciplina di fattispecie e pratiche commerciali, come ad esempio gli affitti brevi, ad oggi carenti di disciplina normativa e pertanto non adeguatamente ed efficacemente controllabili ai fini fiscali;
   introdurre misure normative colte all'abolizione dell'IRAP per le microimprese;
   introdurre misure normative volte a prevedere un maggiore controllo, anche fiscale, su general contractor, grandi opere, partiti politici, cooperative, assicurazioni, fondazioni e grande distribuzione;
   introdurre misure normative per la revisione del sistema nazionale di riscossione mediante l'attribuzione della funzione al Ministero dell'economia e delle finanze, con conseguente abolizione del sistema di gestione mediante concessionari della riscossione;
   al fine di scongiurare il rischio di contenzioso, con grave danno erariale per lo Stato, assumere iniziative normative per la rimozione dei profili di incostituzionalità emersi nella procedura della dichiarazione dei redditi precompilata ed in particolare nella disposizione che prevede, in caso di errore nella compilazione, l'obbligo del professionista di provvedere al pagamento delle imposte dovute dal contribuente, in chiaro contrasto con l'articolo 53 cost;
   compatibilmente con i vincoli europei in tema di libero commercio e tutela della concorrenza, assumere iniziative normative per revisionare il sistema delle accise in materia di tabacchi, aumentando il prelievo fiscale sulla componente specifica dell'accisa su quella ad valorem, evitando l'effetto distorsivo sui prezzi a favore delle sigarette della fascia più richiesta e garantendo, dunque, un'equa distribuzione del carico fiscale; introdurre altresì nuove forme di prelievo tra cui la previsione di un contributo di solidarietà in misura fissa, da porre a carico dei produttori di sigarette e derivati, calcolato sulle quantità di prodotto immesse in commercio e da destinare a copertura delle spese sanitarie nazionali connesse alla cura di patologie legate al consumo di sigarette e derivati;
   assumere tutte le iniziative necessarie, anche a carattere normativo, al fine di ridurre l'aliquota dell'accisa sulla birra così tutelando un settore in crescita e in fermento che appena due anni fa aveva fatto segnare un +4,4 per cento di occupazione, e dando peraltro credito al citato Parere della Ragioneria dello Stato del 26 luglio 2013 con il quale si invitava il Parlamento ad agire sul versante della spesa pubblica e non delle entrate;
   in materia di istruzione, scuola, università e cultura:
   a reperire le risorse necessarie e aggiuntive sottratte al comparto nelle precedenti legislature, per restituire peso e valore all'istruzione scolastica, per promuovere la formazione degli insegnanti, per valorizzare la professionalità docente e per sostenere l'innovazione didattica e organizzativa, nella consapevolezza che la scuola debba rappresentare uno dei più importanti fattori di crescita del Paese;
   ad intervenire con misure e risorse aggiuntive sottratte al comparto nelle precedenti legislature che consentano un piano pluriennale di assunzione di tutto l'organico che lo scorso anno scolastico è stato coperto da supplenze annuali, e consentano altresì interventi mirati a risolvere le problematiche relative al personale scolastico tutto, docente ed ATA, all'edilizia scolastica, all'incremento del tempo pieno, alla lotta alla dispersione scolastica, all'innovazione tecnologica della didattica e degli ambienti di apprendimento, al potenziamento degli interventi per il diritto allo studio, nella consapevolezza che la scuola dovrebbe rappresentare uno dei più importanti fattori di crescita sociale e culturale del Paese;
   ad adottare iniziative concrete per rilanciare, anche economicamente, il sistema universitario italiano, modernizzando le università italiane con la digitalizzazione dell'offerta didattica, introducendo forme sistematiche di valutazione efficace dell'utilizzo di risorse, incentivi e disincentivi con fondi premiali aggiuntivi e non sostitutivi, nella consapevolezza che l'università deve essere un motore essenziale della mobilità sociale e della crescita sociale e culturale del Paese;
   a sbloccare il turn over del reclutamento dei docenti universitari e reintrodurre il ruolo del ricercatore a tempo indeterminato;
   a stabilizzare il Fondo Integrativo per il Diritto allo Studio, rendendolo sufficiente a coprire la totalità degli aventi diritto alle borse di studio, e dunque a prevedere un limite alla contribuzione studentesca universitaria e ad integrare i fondi che favoriscano la mobilità interna per garantire il diritto allo studio anche ai meno abbienti, limitando così l'utilizzo del prestito d'onore quale forma di finanziamento per garantire il diritto allo studio;
   a reperire i fondi necessari al fine di favorire e di non penalizzare il comparto della ricerca, a partire da quella di base, con l'obiettivo di creare una nuova leva di giovani ricercatori non precari da assumere a tempo indeterminato al fine di non disperdere il know how acquisito e di investire su di essi come risorsa per modernizzare il funzionamento delle istituzioni di ricerca;
   a consolidare le strutture di ricerca attraverso un finanziamento statale attestato sulla media europea ed evitando che le misure di razionalizzazioni degli stessi possano tradursi in soppressioni degli enti di ricerca, assicurando a docenti e ricercatori l'utilizzo di strutture e strumentazioni idonee allo sviluppo di programmi e progetti che devono poter essere sviluppati ed utilizzati dal nostro Paese;
   ad effettuare investimenti nell'intero settore culturale, con strategie di lungo periodo e ad introdurre meccanismi virtuosi di reperimento e distribuzione delle risorse nel settore dello spettacolo, superando il criterio di spesa storica e introducendo parametri più oggettivi anche al fine di arginare lo sperpero dell'immenso patrimonio culturale italiano attualmente in atto;
   in materia ambientale:
   nell'ottica della dichiarata esigenza di revisione della disciplina degli appalti, prevedere un quadro normativo che punti ad una maggiore trasparenza e un'azione di controllo efficace da parte dello Stato sulla regolarità delle procedure;
   prevedere la modifica dei meccanismi che regolano il project financing al fine di evitare che con questa procedura si consenta, di fatto, la cancellazione del rischio di impresa, eliminando la possibilità di interventi successivi dello Stato che possano avvantaggiare surrettiziamente le ditte a cui viene affidata la realizzazione delle opere;
   rivedere le procedure per l'individuazione degli interventi a favore degli enti locali, estranee a qualsivoglia schema normativo di riferimento e prive di una visione strategica e programmatica;
   bloccare la perversa spirale che punta a compensare il disavanzo pubblico con la svendita dei beni demaniali, determinando un costante e progressivo impoverimento del sistema paese;
   avviare un concreto piano di intervento per la tutela e la messa in sicurezza del territorio, individuando risorse certe, anche attraverso la riallocazione degli importi attualmente stanziati per le opere infrastrutturali di cui si chiede la cancellazione dall'elenco degli interventi prioritari;
   rispettare gli impegni assunti con l'approvazione della risoluzione in commissione ambiente e bilancio con l'obiettivo di: riconoscere il diritto all'abitare; riqualificare il patrimonio immobiliare per uso abitativo; salvaguardare il patrimonio immobiliare pubblico prediligendo politiche di diritto alla casa piuttosto che politiche speculative sul patrimonio comune; bloccare sgomberi e sfratti fino all'adozione delle misure necessarie per garantire il diritto alla casa per tutti; utilizzare il patrimonio immobiliare pubblico e quello privato che non risulti abitato, quello degli enti previdenziali e dei fondi immobiliari e bloccare le vendite speculative del patrimonio immobiliare pubblico; realizzare progetti per il riuso delle città secondo politiche volte al consumo di «suolo zero», nell'ottica di una concreta rigenerazione urbana; trasferire le risorse destinate a grandi opere e grandi eventi in un apposito fondo con l'obiettivo di garantire il diritto all'abitare, al reddito, alla salute e alla mobilità; definire le modalità e attuare il censimento degli immobili vuoti ed inutilizzati su tutto il territorio nazionale; adottare una politica fiscale che disincentivi la proprietà di immobili vuoti e la conseguente speculazione; prevedere l'utilizzo immediato dei beni sequestrati alla mafia al fine di affrontare le situazioni di emergenza abitativa esistenti sul territorio nazionale;
   adottare le iniziative di competenza per l'immediato avvio dell'esame dei provvedimenti in materia di mobilità sostenibile e per l'implementazione della rete di percorsi destinati alla cosiddetta «mobilità lenta», anche attraverso il recupero e la valorizzazione delle ferrovie dismesse, nonché il potenziamento del trasporto pubblico locale e del trasporto ferroviario regionale per garantire una migliore qualità degli spostamenti dei pendolari;
   promuovere con maggiore determinazione politiche e interventi normativi finalizzati alla tutela ambientale, anche attraverso l'accelerazione, per quanto di competenza, dell'iter delle proposte di legge all'esame del Parlamento, quali la riforma delle agenzie ambientali, l'inserimento nel Codice Penale dei delitti contro l'ambiente, la norma per il contenimento del consumo di suolo, nonché di altre proposte finalizzate ad incentivare un cambiamento del modello economico di riferimento ed alla adozione di nuovi stili di vita, di consumo e di produzione, tenendo conto del risultato dell'indagine sulla green economy che ha dimostrato che il rapporto tra nuovi occupati e risorse investite aumenta in proporzione alla «sostenibilità» delle attività, passando da poche decine di occupati per miliardo investito in grandi opere inutili, produzione di energia da fonti fossili e agricoltura intensiva agli oltre 5 mila occupati per interventi sul dissesto idrogeologico, oltre 10 mila occupati per le bonifiche e oltre 15 mila occupati per l'efficientamento energetico degli edifici;
   consentire, per quanto di competenza, la rapida approvazione della proposta di legge per la tutela e valorizzazione dei piccoli comuni;
   garantire la stabilizzazione del bonus al 65 per cento per le ristrutturazioni energetiche per gli interventi di consolidamento antisismico e per la rimozione dell'amianto in modo strutturale per almeno cinque anni;
   verificare l'applicazione e il controllo dello sviluppo urbano, in ambito locale, attraverso lo strumento della Valutazione Ambientale Strategica, volta a controllare il corretto sviluppo antropico sulla base di una scientifica e approfondita analisi dei benefici ambientali ed economici del territorio;
   riformare il processo di definizione dei nuovi parametri di emissione per gli impianti industriali al fine di evitare conflitti d'interesse, deroghe ed eccezioni;
   accelerare la trasformazione verso una società a bassa intensità di carbonio, integrando parametri legati al cambiamento climatico nei processi decisionali di carattere economico e strategico;
   in materia di telecomunicazioni:
   a rivedere in termini di efficienza la governance dell'Agenda digitale italiana semplificando i centri decisionali e destinando risorse finanziarie sufficienti al raggiungimento degli obiettivi proposti nella strategia Europa 2020;
   a rivedere e coordinare gli interventi tra i vari livelli istituzionali coinvolti relativi alle risorse destinate all'implementazione dell'agenda digitale italiana ed in particolare al «Piano Strategico Banda Ultralarga» intensificando l'intervento pubblico nei cluster C e D e disponendo, attraverso la costituzione di una società della rete a prevalente capitale pubblico, senza deroghe, la proprietà pubblica delle infrastrutture realizzate;
   a rivedere il «Piano Strategico Banda Ultralarga» prevedendo l'adozione dei più elevati standard di sicurezza nella fissazione dei limiti in materia di elettromagnetismo in ossequio al principio di precauzione;
   a dare priorità nell'ambito «Piano Strategico Banda Ultralarga» alla realizzazione di un catasto pubblico delle reti e degli impianti idonei a veicolare reti di comunicazione elettronica sul territorio nazionale siano esse di proprietà pubblica o di proprietà privata;
   a rivedere la «Strategia per la Crescita Digitale» prevedendo interventi a favore delle PMI in un'ottica di incremento della domanda di servizi digitali e prevedendo a carico delle amministrazioni pubbliche di ogni ordine e grado l'obbligo di fornire accesso gratuito a reti Wi-Fi in ambiti territoriali individuati;
   in materia di trasporti:
   ad adoperare una reale revisione nonché razionalizzazione del numero complessivo degli interventi inseriti nel Programma delle infrastrutture strategiche tenendo conto della reale domanda di mobilità del paese, delle esigue risorse finanziarie disponibili e della vetustà degli studi di fattibilità nonché ad annullare la realizzazione delle seguenti opere: il nuovo collegamento ferroviario Torino – Lione; la linea AV/AC Milano Venezia; il Terzo Valico di Giovi; l'Autostrada A4 Venezia - Trieste; la Pedemontana veneta; la Pedemontana lombarda; la Tangenziale esterna di Milano, nonché il Mo.S.E; la linea ferroviaria del Brennero;
   a ridurre gli investimenti per la costruzione di nuovi corridoi e di nuove linee ferroviarie, destinando le esigue risorse disponibili ad interventi miranti al recupero, messa in sicurezza ed elettrificazione delle linee ferroviarie esistenti;
   ad adottare interventi volti a migliorare la sostenibilità ambientale ed economica dei trasporti anche attraverso una ridefinizione dell'equilibrio modale che favorisca il trasporto delle merci e delle persone su ferro;
   ad adeguare, senza adoperare una privatizzazione né liberalizzazione del settore con servizi a gara, l'offerta di trasporto pubblico locale alle reali esigenze di mobilità della popolazione, puntando sulla valorizzazione e l'efficientamento delle aziende di trasporto pubblico, da realizzarsi attraverso piani industriali credibili, stabilità del quadro normativo, certezza delle risorse finanziarie pubbliche e la definizione di criteri trasparenti di assegnazione delle stesse, ammodernamento della flotta, promozione della pianificazione integrata trasporti-territorio, nonché favorendo la trasparenza attraverso forme di partecipazione degli utenti nella programmazione e nel controllo;
   a rivedere l'attuale impostazione relativa al project financing e agli altri istituti del Partenariato Pubblico Privato al fine di ridimensionare il coinvolgimento dei capitali non pubblici nella realizzazione delle opere pubbliche e di pubblica utilità in Italia;
   a sospendere ed annullare, poiché risulta essere totalmente assente una politica seria di lungo periodo mirante all'abbattimento del debito pubblico, gli interventi di c.d. privatizzazione messi in campo dal governo, soprattutto per quanto concerne Poste S.p.a., Enav e Ferrovie dello Stato;
   in materia di attività produttive:
   a promuovere una vera conversione della politica economica, attraverso nuove misure di sostegno in favore dello sviluppo delle vere fonti energetiche rinnovabili e dell'efficienza energetica, puntando in modo netto sulla valorizzazione dell'economia verde anche attraverso la definizione di una «carbon tax», ampliando gradualmente la base imponibile fino a comprendere gli impatti sanitari associati all'utilizzo di alcune fonti energetiche fortemente inquinanti;
   adottare una norma interpretativa autentica volta ad estendere l'imposta municipale propria anche agli immobili costruiti su strutture artificiali ubicate nel mare territoriale;
   ad attuare con gli strumenti della politica nazionale un'efficace lotta alla contraffazione nelle dogane e sul territorio, in difesa dei consumatori e della produzione nazionale;
   a certificare, in tempi brevi, i debiti della pubblica amministrazione ai fini della compensazione con i crediti fiscali da parte delle imprese, assumendo iniziative per prevedere delle sanzioni nei confronti degli enti inadempienti;
   ad adottare ogni iniziativa in sede europea, finalizzata a concordare con la Commissione europea un piano straordinario, di natura una tantum, per il pagamento dei debiti pregressi delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese creditrici, che preveda che l'uscita di cassa non vada ad incidere sul pareggio di bilancio strutturale del nostro Paese per tutto il periodo ritenuto necessario per l'azzeramento dei debiti pregressi accumulati;
   a rendere stabile e certa la detrazione fiscale per interventi di efficienza energetica/ristrutturazione edile, prevedendo una premialità nei confronti degli interventi che massimizzano l'efficacia rispetto al costo per la collettività, e garantendo un riequilibrio della capacità d'accesso agli incentivi che li renda convenienti anche per i contribuenti a minor reddito;
   in materia di lavoro:
   a porre in essere una concreta razionalizzazione ed una semplificazione degli strumenti di sostegno al reddito attualmente esistenti al fine di pervenire, al pari di altri paesi europei, all'introduzione del reddito di cittadinanza quale meccanismo di protezione sociale universale, per contrastare la marginalità, garantire la dignità della persona e favorire la cittadinanza attiva, per dare coerenza alle prestazioni erogate, attuando il diritto fondamentale sancito dall'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e ai principi di cui agli articoli 2, 3, 4 e 38 della Costituzione;
   ad adoperarsi con ogni strumento utile ad aumentare il tasso di occupazione femminile, in modo tale da favorire il suo allineamento all'obiettivo di Lisbona (60 per cento, rispetto all'attuale 46 per cento) mediante la detassazione selettiva dei redditi di lavoro femminile, in particolare nelle regioni del Sud, dove il tasso di occupazione femminile è più basso;
   a ripristinare le agevolazioni in favore delle aziende che assumono disoccupati di lunga durata;
   nell'ambito della manovra di bilancio per il prossimo triennio, anche al fine di favorire un ricambio generazionale, ad avviare un intervento strutturale che garantisca maggiore flessibilità nell'accesso ai trattamenti pensionistici, individuando prioritariamente, già nell'ambito della legge di stabilità 2016, interventi volti a fronteggiare le situazioni di maggiore criticità che interessano specifiche categorie di lavoratori, nonché specifici correttivi alla normativa vigente, quali quelli tesi ad escludere la riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici per i lavoratori che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, prescindendo dal requisito della prestazione effettiva di lavoro, nonché a riconoscere la possibilità di avvalersi dell'opzione per la liquidazione del trattamento pensionistico secondo le regole di calcolo del sistema contributivo per le lavoratrici che maturino i requisiti previsti dalla medesima disposizione entro il 31 dicembre 2015, a prescindere dalla data di decorrenza del trattamento pensionistico, nonché prevedere un regime di contribuzione previdenziale di tipo figurativo, a salvaguardia delle lavoratrici dipendenti, parasubordinate e autonome, che siano state costrette a interrompere il rapporto di lavoro per dedicarsi alla cura dei figli o per grave malattia di un familiare o convivente;
   a favorire una maggiore trasparenza circa la gestione delle risorse destinate alle politiche per l'occupazione e la formazione e ad implementare, anche a livello nazionale, apposite misure di responsabilizzazione degli enti locali, anzitutto le Regioni, per l'impiego efficace di tali risorse attraverso misure premiali e/o sanzionatorie, con un meccanismo che preveda l'istituzione di un registro della trasparenza, sul quale vengano annotati non solo le iniziative realizzate con i fondi strutturali, peraltro raccolte, aggiornate periodicamente e pubblicizzate sul sito Open Coesione, ma anche i dati relativi alla quantificazione e alla qualità in termini occupazionali a livello territoriale;
   ad adoperarsi presso le sedi competenti della Commissione europea, per promuovere un'iniziativa legislativa, analoga a quella dello IOG, finalizzata ad aumentare il tasso di prefinanziamento iniziale del FSE per tutti i programmi operativi, in particolare a favore dei POR (Programmi Operativi Regionali), al fine di avviare e pagare con celerità i beneficiari delle azioni programmate attualmente nei POR, comprese quelle che sostengono in vario modo la Garanzia Giovani.

  Con riferimento alle raccomandazioni del Consiglio dell'Unione europea in materia di mercato del lavoro, si valuti l'esigenza di:
   a) effettuare un monitoraggio circa gli effetti del quadro di contrattazione salariale sulla creazione di posti di lavoro e sulla competitività di costo, in modo tale da prevedere nell'ambito della prossima Legge di stabilità, misure concrete contro la diseguaglianza salariale, in particolare attraverso l'istituzione di un salario minimo per tutti i contratti nonché la predisposizione di una specifica normativa che stabilisca un rapporto salariale equo tra il trattamento economico degli amministratori delle società pubbliche, società partecipate e le società partecipate e delle imprese sociali e/o cooperative sociali, e quello della retribuzione dei dipendenti delle stesse;
   b) procedere nella direzione di un potenziamento del legame tra le politiche attive e passive del lavoro, al fine di promuovere l'occupazione dei lavoratori;
   c) introdurre misure volte a semplificare e favorire il ricorso ai contratti di solidarietà difensivi, quale strumento di tutela dell'occupazione e di salvaguardia delle professionalità maturate nelle imprese;
   a rivedere la legislazione sul lavoro degli ultimi quindici anni, a partire dal «pacchetto Treu» del 1997 fino alle disposizioni relative al «contratto a tutele crescenti», con l'intento di porre nuovamente il mercato del lavoro al centro di una politica economica che garantisca una domanda interna solida, alti salari reali, riconoscendo il ruolo propulsore degli investimenti pubblici mirati alla piena occupazione;
   in materia di sanità e affari sociali:
   a garantire le risorse previste dal Patto per la salute 2014-2016 al Fondo sanitario nazionale in quanto il diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione non può essere subalterno alle compatibilità di bilancio ottemperando in questo modo all'impegno preso con la stipula del Patto per la salute nel mantenere livelli elevati di prevenzione, assistenza e cura attraverso un servizio sanitario nazionale efficace ed efficiente attraverso in particolare la deospedalizzazione e il potenziamento dei servizi territoriali;
   tenuto conto dell'invecchiamento della popolazione e degli effetti di ciò sull'assetto sia sociale che sanitario e dei servizi, a rivedere la prevista riduzione della spesa prevista per contrastare gli effetti dell'invecchiamento della popolazione, che produrrebbe solo l'aumento dei malati cronici, attuando programmi e azioni che si propongano di innalzare la percentuale degli italiani over 65 anni in buona salute ai livelli medi europei;
   a garantire le necessarie risorse economiche che rendano effettivi i nuovi Livelli essenziali di assistenza che ancora oggi scontano ritardi inammissibili nella loro entrata in vigore;
   ad avviare una riforma strutturale della lotta alla povertà abbandonando le politiche attuate finora, come il Sia, che hanno come orizzonte una fallimentare politica di sussidi che di fatto ancorché dotati di insufficienti risorse in ogni caso che non prevedono alcun superamento strutturale della povertà, mentre è necessario oggi procedere alla istituzione del reddito di cittadinanza;
   prevedere la modifica della riforma dell'Isee che oltre a produrre il caos amministrativo nella sua applicazione ha visto l'illegittimità sancita dal Tar del Lazio nella parte in cui il DPCM considera reddito le provvidenze assistenziali come le pensioni di invalidità o le indennità di accompagnamento;
   a garantire in tempi brevi l'attuazione integrale del Programma biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità adottato dal Consiglio dei Ministri da novembre del 2013, con particolare riferimento alle linee di intervento 1, 3 e 5;
   a procedere al finanziamento dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali (Leps), ai sensi dell'articolo 22, comma 2 della legge 328 del 2000 che da quindici anni risultano essere annunciati ma continuamente rimandati nel tempo;
   a prendere atto della assoluta insufficienza dei fondi previsti per gli indennizzi agli emodanneggiati e della necessità di procedere alla quantificazione esatta degli aventi diritto e delle risorse necessarie sia per coloro che devono essere indennizzati dal Ministero della salute che per coloro che devono vedersi corrispondere l'indennità da parte delle Regioni e dalle Asl;
   a prevedere risorse aggiuntive al fine di garantire l'accesso ai farmaci innovativi per la cura dell'epatite C che consentono la guarigione dei malati in circa tre mesi in oltre il 90 per cento dei casi;
   a prevedere l'innalzamento della tassazione su tutti i giochi d'azzardo da effettuarsi sulla raccolta e della tassazione ad oggi applicata al mercato dell'on line che raccoglie ben 13 miliardi dalle giocate, risorse da utilizzare per una efficace contrasto al gioco d'azzardo patologico in particolare sostenendo la prevenzione e la cura nonché il sostegno alle famiglie;
   creare un data base sui disturbi dello spettro autistico, prevedere risorse per istituire un percorso di inserimento lavorativo e di inclusione sociale per i soggetti adulti affetti da autismo, prevedere il riconoscimento dei disturbi dello spettro autistico come condizione di per sé invalidante, (percentuale di invalidità almeno del 75 per cento) anche per i casi meno gravemente colpiti; definizione dei requisiti minimi professionali degli operatori socio-sanitari e scolastici;
   prevedere bandi di ricerca sulle malattie rare come disposto dalla legge 326 del 2003, prevedere l'aggiornamento almeno triennale dell'elenco delle malattie rare riconosciute nel Lea, garantire l'erogazione dei Lea uniformi su tutto il territorio nazionale, possibilità di terapia anche per i pazienti che non hanno diagnosi conclusiva - inserire un chiarimento della copertura economica all'interno del piano nazionale per le malattie rare, collegare lo screening ad un percorso assistenziale completo;
   individuare all'interno dei fondi strutturali europei risorse per la sanità digitale al fine di realizzare: l'efficientamento del servizio sanitario nazionale, una maggiore trasparenza del sistema, maggiore accountability, realizzazione di servizi in rete capaci di promuovere stili di vita portatori di benessere, avendo cura di sviluppare progetti per infrastrutture informatiche con ritorno economico-finanziario piuttosto che privilegiare progetti non strutturali;
   individuare risorse per lo sblocco del turn-over del personale sanitario, favorendo anche le procedure di mobilità interregionale;
   in materia di agricoltura:
   procedere con urgenza alla revisione complessiva della fiscalità rurale ed in particolare a sopprimere, a decorrere dal 2015, l'applicazione dell'imposta municipale propria sui terreni agricoli;
   emanare in tempi brevi le norme nazionali attuative della politica comune della pesca e della politica agricola comune e ad intraprendere ogni utile azione al fine di incentivare il ricorso agli strumenti di gestione del rischio da parte degli agricoltori e di sviluppare l'interprofessione in tutti i settori;
   valutare la necessità di stanziare risorse aggiuntive per gli agricoltori le cui produzioni risultano danneggiate dalla fauna selvatica e da emergenze quali fitopatie ed infestazioni;
   procedere alla semplificazione degli adempimenti e in particolare a sopprimere l'obbligo delle comunicazioni rilevanti a fini IVA, previsto per i produttori agricoli che realizzano un volume d'affari non superiore a 7 mila euro annui;
   ad assicurare il più ampio sostegno al settore lattiero caseario anche attraverso l'introduzione dell'obbligo di indicare in etichetta il luogo dello stabilimento di produzione e confezionamento, la promozione dell'interprofessione e l'applicazione dell'articolo 62 del decreto legge 1/2012 relativo ai contratti di cessione dei prodotti agricoli e alimentari;
   a valutare l'opportunità di non procedere ad ulteriori aumenti delle accise sulla birra.
(6-00135) «D'Incà, Castelli, Colonnese, Brugnerotto, Sorial, Cariello, Caso».


   La Camera,
   premesso che:
    dopo i segnali di ripresa evidenziati nell'ultimo trimestre 2014, nel 2015 l'economia italiana, uscendo dalla recessione, si avvia su un sentiero di crescita;
    la fase ciclica espansiva, quantificata in termini prudenziali dalle stime recate nel DEF, risente nel breve periodo anche di fattori di natura esogena internazionale, quali il deprezzamento dell'euro e l'ampia flessione del prezzo del petrolio, e di contesto europeo, legati al complesso delle misure espansive adottate dalla BCE, mentre nel medio periodo diventano prevalenti quelli legati alla domanda interna, connessi con la politica economica del Governo;
    con riferimento alle prospettive di crescita dell'economia italiana a partire dall'anno 2015, il DEF 2015 presenta due scenari di previsioni macroeconomiche, uno tendenziale e l'altro programmatico: le due previsioni coincidono per l'anno in corso, stimando un tasso di crescita pari allo 0,7 per cento del PIL, mentre si differenziano gradualmente negli anni successivi, per i quali viene previsto un tasso superiore di un decimo di punto nel 2016 e di tre decimi nel 2017 e 2018 e di due decimi nel 2019 nelle previsioni programmatiche rispetto a quelle tendenziali, grazie anche alla completa disattivazione degli aumenti di imposte indirette previsti per il 2016, pari ad un punto percentuale di PIL, e dell'impatto delle riforme strutturali dall'anno 2018;
    il miglioramento delle previsioni tendenziali macroeconomiche rispetto a quelle contenute nei documenti dello scorso autunno determina una più favorevole evoluzione dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche per tutto il periodo di previsione, sia in termini nominali che strutturali: in particolare, il saldo nominale si attesterebbe a -2,5 per cento del PIL nel 2015, a -1,4 per cento nel 2016, a -0,2 per cento nel 2017, a 0,5 per cento nel 2018 e a 0,9 per cento nel 2019; in termini strutturali, il nuovo livello tendenziale dell'indebitamento netto sarebbe pari allo -0,5 per cento del PIL nel 2015 per arrivare al pareggio di bilancio nel 2016, a un avanzo dello 0,5 per cento nel 2017 e dello 0,8 per cento nel 2018 e nel 2019;
    tuttavia, la permanenza di un elevato scarto tra prodotto interno lordo effettivo e potenziale, tale da configurare una congiuntura «molto sfavorevole» secondo le normative europee, induce il Governo a confermare l'obiettivo programmatico del Draft Budgetary Plan (DBP) di ottobre 2014, per gli anni compresi tra il 2015 e il 2017, in attuazione della nuova linea di politica economica e di bilancio del Governo, focalizzata non più solo sul rispetto dei vincoli europei del Patto di stabilità ma anche sull'obiettivo prioritario della crescita;
    pertanto, l'indebitamento netto programmatico è fissato al -2,6 per cento del PIL nel 2015 (+0,1 rispetto al dato tendenziale), a -1,8 per cento nel 2016, a -0,8 per cento nel 2017, a 0 nel 2018 e 0,4 nel 2019, obiettivi che in termini strutturali determinano uno scarto rispetto agli andamenti tendenziali di 0,4 punti di PIL nel 2016, 0,5 nel 2017, 0,7 nel 2018 e 0,6 nel 2019;
    nell'anno in corso, in particolare, le maggiori risorse derivanti dal miglioramento del quadro macroeconomico saranno utilizzate per l'adozione di specifiche misure coerenti con le finalità previste nel Programma Nazionale di Riforma ed entro gli obiettivi programmatici indicati nel documento di programmazione e gli spazi già autorizzati dal Parlamento;
    per il 2016 il Governo intende avvalersi della flessibilità concessa nel caso di implementazione di significative riforme strutturali per un ammontare pari allo 0,4 per cento del PIL;
    la costante crescita su base annua dell'avanzo primario, che passerebbe nel dato programmatico dall'1,6 per cento del 2015 (tra i più elevati nell'area euro) al 4 per cento del 2019, unitamente alla progressiva riduzione della spesa per interessi passivi, attesa scendere dal 4,2 per cento del PIL del 2015 al 3,7 per cento a fine orizzonte previsivo, e alla realizzazione degli introiti da privatizzazioni pari a 0,4 per cento di PIL nel 2015 e pari a 0,5 per cento di PIL nel 2016 e 2017 e 0,3 per cento del PIL nel 2018, determinerebbero una discesa del debito pubblico dall'attuale 132,5 nel 2015 al 120 per cento nel 2019, consentendo il rispetto della regola del debito nel triennio 2016-2018;
    l'obiettivo programmatico della pressione fiscale è pari al 43,1 per cento nel 2014, al 42,9 per cento nel 2015, al 42,6 per cento nel 2016, al 42,1 nel 2017, al 41,9 per cento nel 2018 al 41,6 per cento nel 2019, in riduzione rispetto all'andamento tendenziale, che risente dell'aumento del gettito derivante dalla clausola di salvaguardia sulle aliquote IVA e sulle accise che il Governo si è impegnato a eliminare e dai criteri di classificazione contabile che impongono di registrare la misura relativa al riconoscimento del bonus 80 euro come spese per prestazioni sociali anziché come minore pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente;
    sul fronte del mercato del lavoro, a partire dal 2015, il DEF prevede una ripresa del tasso di occupazione (+0,6 per cento nel 2015 e +0,9 per cento nel 2016) ed una graduale riduzione del tasso di disoccupazione, dal 12,3 per cento del 2015 fino al 10,9 per cento della fine del periodo di programmazione;
    il Documento prefigura una continuità nell'azione di Governo per il rilancio dell'economia italiana mediante una politica fiscale e di bilancio di sostegno alla crescita nel rispetto delle regole europee, la prosecuzione del percorso delle riforme strutturali per aumentarne le capacità competitive, il miglioramento dell'ambiente normativo delle imprese e delle condizioni alla base delle decisioni d'investimento;
    il Programma Nazionale di Riforma (PNR) individua, in coerenza con le Raccomandazioni del Consiglio europeo e l'analisi contenuta nella Relazione sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici della Commissione trasmessa il 18 marzo 2015, gli ambiti prioritari dell'azione governativa e definisce gli interventi volti ad ottemperare agli impegni presi in sede europea secondo un preciso cronoprogramma;
    in particolare, al fine di attivare in un'unica coordinata strategia interazioni positive con la politica di bilancio, il Governo nel Documento espone nel dettaglio le azioni compiute e le misure da attuare dell'ampio programma di riforme strutturali, che si articola lungo tre direttrici fondamentali: 1) l'innalzamento della produttività del sistema mediante la valorizzazione del capitale umano (Jobs Act, Buona Scuola, Programma Nazionale della Ricerca); 2) la diminuzione dei costi indiretti per le imprese connessi agli adempimenti burocratici e all'attività della PA, mediante la semplificazione e la maggiore trasparenza delle burocrazie (riforma della PA, interventi anti-corruzione, riforma fiscale); 3) la riduzione dei margini di incertezza dell'assetto giuridico e del quadro istituzionale;
    il Documento stima che tali riforme, una volta completate, eserciteranno un impatto rilevante sulla crescita di lungo termine, sull'occupazione, sulla coesione sociale e sulla sostenibilità del debito pubblico;
    le previsioni macroeconomiche tendenziali e programmatiche per gli anni 2015- 2019 sono state validate dall'Ufficio parlamentare di bilancio,

impegna il Governo:

   a conseguire i saldi di finanza pubblica in termini di indebitamento netto rispetto al PIL, nonché il rapporto programmatico debito/PIL, nei termini indicati nel quadro programmatico del Documento di economia e finanza, in particolare a realizzare un rapporto tra deficit e prodotto interno lordo pari al 2,6 per cento nel 2015, all'1,8 per cento nel 2016 e allo 0,8 per cento nel 2017, con il raggiungimento del pareggio in termini nominali nel 2018, utilizzando nel 2015 lo spazio di manovra rispetto all'andamento tendenziale dei conti pubblici, con riferimento alla componente di spesa per interessi, per rafforzare l'implementazione delle riforme strutturali già avviate, nel limite dell'obiettivo programmatico indicato, e disponendo, prudenzialmente e in attesa di registrare tale margine con la presentazione del disegno di legge di assestamento, l'accantonamento di corrispondenti risorse nel bilancio dello Stato;
   ad avvalersi per il 2016 della flessibilità concessa nel caso di implementazione di significative riforme strutturali ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, e dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento Europeo 1466/97 (cosiddetta «Clausola delle riforme»);
   a neutralizzare l'entrata in vigore delle clausole di salvaguardia poste a garanzia dei saldi di finanza pubblica dalle due precedenti leggi di stabilità attraverso i maggiori spazi finanziari derivanti dalla citata Clausola sulle riforme, pari a 0,4 punti percentuali di PIL, e misure di revisione della spesa pubblica e delle agevolazioni fiscali per un ammontare pari a 0,6 punti di PIL nel 2016, assicurando comunque che le riduzioni di spesa siano operate selettivamente salvaguardando comunque l'efficienza e l'efficacia del sistema di protezione sociale e la qualità dei servizi ai cittadini, anche a livello locale, e che la revisione delle agevolazioni fiscali sia rivolta esclusivamente a quelle non giustificate da esigenze sociali o economiche o che costituiscono una duplicazione, salvaguardando in ogni caso la tutela dei redditi da lavoro dipendente e autonomo, dei redditi di imprese minori e dei redditi di pensione;
   a considerare collegati alla manovra di finanza pubblica i seguenti provvedimenti: «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali» (A.C. 2093); «Disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività agricole del settore agricolo, agroalimentare e della pesca» (A.S. 1328); «Delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile» (A.C. 2953); «Misure di semplificazione per l'avvio delle attività economiche per i finanziamenti e le agevolazioni alle imprese»; «Riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche» (A.S. 1577); «Revisione della spesa, promozione dell'occupazione e degli investimenti nei settori della cultura e del turismo»; «Delega per la revisione dell'ordinamento degli enti locali»; «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni vigenti» (A.C. 2994); «Legge annuale per il mercato e la concorrenza» (A.C. 3012);
   a proseguire l'iter delle riforme strutturali, con particolare riferimento a quelle riguardanti le istituzioni, la scuola, il mercato del lavoro, il sistema fiscale, la pubblica amministrazione, la giustizia civile e a dare piena attuazione alle azioni contenute nel Programma nazionale di riforma per il rilancio dell'economia nazionale e della competitività delle imprese, con particolare riguardo alle politiche industriali, rafforzando il sistema di garanzie per gli investimenti;
   ad adoperarsi affinché il quantitative easing della BCE rappresenti una occasione per la piena ripresa del credito per cittadini e imprese e per tale via di decisa ripresa dei consumi e degli investimenti; a favorire, a tal fine, misure per lo smaltimento dei crediti deteriorati che gravano sui bilanci delle banche italiane e rendono più costosa e difficile la trasmissione all'economia reale della liquidità monetaria creata dagli acquisti della BCE;
   a cogliere appieno tutte le opportunità connesse alle risorse finanziarie che saranno poste a disposizione dal Piano Juncker, realizzando ogni possibile sinergia tra interventi nazionali e interventi comunitari e promuovendo in sede europea la possibilità di scomputare dal calcolo del saldo di finanza pubblica ai fini del Patto di stabilità e crescita tutto il flusso annuale di cofinanziamenti nazionali;
   a dedicare specifica attenzione al rilancio delle aree sottoutilizzate, segnatamente nel Mezzogiorno, in considerazione del fatto che il differenziale di livello di sviluppo che caratterizza le zone del Centro-Nord rispetto a quelle del Meridione costituisce un elemento di debolezza intrinseco che deve essere superato, con un più efficiente e rapido utilizzo delle risorse dei fondi strutturali attraverso la predisposizione di interventi volti a rafforzare la capacità progettuale, la trasparenza nelle procedure, la governance e i processi di valutazione ex-ante ed ex-post dei progetti;
   a proseguire al fine di completare il processo di pagamento dei debiti pregressi della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese;
   a proseguire e a rafforzare, nei limiti delle compatibilità finanziarie, il percorso di sostegno e rilancio dei programmi di investimento degli enti locali considerando anche l'importante volano di sviluppo rappresentato dalle piccole e medie opere rapidamente cantierabili, al fine di soddisfare esigenze fondamentali di tutela del territorio, di miglioramento della qualità della vita delle comunità, di rilancio delle economie locali;
   a garantire agli enti locali una reale autonomia, continuando il percorso per il superamento del patto di stabilità interno, secondo le modalità previste dalla legge n. 243 del 2012 e relative norme di attuazione, limitandosi ad indicare il quantum degli obiettivi di contenimento della spesa da realizzare e lasciando la definizione delle modalità attuative alla responsabilità dei singoli enti, e a definire un assetto complessivo della finanza locale caratterizzato da semplicità, chiarezza, equità, responsabilità, trasparenza nei meccanismi redistributivi e certezza sulle risorse in modo da consentire l'effettiva possibilità di programmazione virtuosa degli impegni;
   a realizzare una definitiva revisione del sistema di tassazione locale sugli immobili, senza associarle alcun obiettivo di aumento del volume complessivo del relativo gettito in termini macroeconomici, dando stabilità a un settore che costituisce uno snodo strategico nei rapporti tra cittadini e fisco e che ha conosciuto troppe modifiche nel corso degli ultimi anni, perseguendo gli obiettivi prioritari di semplificazione del quadro dei tributi locali sugli immobili, certezza ai comuni circa le risorse derivanti da tale fonte di entrata e responsabilizzazione nelle loro scelte di politica tributaria in tale campo; in tale contesto, a rivedere l'imposta municipale sui terreni agricoli, estendendo l'ambito di esenzione a quelli siti in aree svantaggiate e tenendo conto dell'effettiva redditività dei terreni;
   a valutare l'opportunità di mantenere anche successivamente all'anno 2015 misure di sgravio contributivo con riferimento ai nuovi contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, eventualmente modificando l'entità del beneficio e l'area di applicazione;
   ad operare per provvedere gradualmente, nell'ambito della legge di stabilità per il 2016 e nel quadro delle compatibilità finanziarie individuate in quella sede, al finanziamento a regime degli interventi adottati in attuazione delle deleghe legislative di cui alla legge n. 183 del 2014, con particolare riferimento all'assegno di disoccupazione (ASDI), all'indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa – DIS-COLL, nonché alle disposizioni di carattere oneroso contenute nello schema di decreto legislativo recante misure di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro (Atto n. 157), attualmente all'esame del Parlamento;
   a migliorare l'efficacia dei regimi di sostegno alla famiglia, in coerenza con quanto indicato nelle Raccomandazioni del Consiglio dell'8 luglio 2014 su PNR 2014;
   ad adottare ulteriori interventi di contrasto alla povertà, valutando anche l'estensione dell'attuale regime sperimentale del SIA;
   a valutare l'opportunità di incrementare il finanziamento delle misure di detassazione della parte di retribuzione, entro i limiti di durata normale della prestazione, legata agli incrementi di produttività, contrattata a livello aziendale;
   a valutare l'opportunità di promuovere, nell'ambito della legge di stabilità per il 2016 e nel quadro delle compatibilità finanziarie individuate in quella sede, interventi in materia previdenziale volti a introdurre elementi di flessibilità per quanto attiene all'età di accesso al pensionamento, anche attraverso l'introduzione di meccanismi di incentivazione e disincentivazione;
   a proseguire e concludere, confermando il metodo di stretto confronto collaborativo tra Parlamento e Governo finora seguito, il processo di attuazione della delega per la riforma del sistema fiscale, la quale costituisce lo strumento fondamentale per dare risposta a molte delle raccomandazioni espresse dall'Unione europea e ai prioritari obiettivi di riforma in questo campo indicati dal PNR;
   a realizzare tutte le misure necessarie a raggiungere l'obiettivo strategico del contrasto e della riduzione dell'evasione fiscale, dando pienamente attuazione a quanto previsto nella citata delega fiscale e nei conseguenti decreti legislativi;
   al fine di garantire l'effettivo raggiungimento degli obiettivi di gettito indicati nel Documento, a definire in tempi brevi la questione relativa alle posizioni dirigenziali nelle Agenzie fiscali, individuando soluzioni di carattere amministrativo e, se necessario, normativo, che, nel pieno rispetto dei principi di legalità, trasparenza e promozione del merito, e di quelli dettati dalla Corte Costituzionale, consentano di assicurare la piena efficacia nell'azione delle Agenzie;
   a realizzare tempestivamente la revisione sostanziale della normativa in materia di appalti pubblici, anche nella prospettiva dell'attuazione delle nuove direttive europee in materia, al fine di perseguire efficacemente gli obiettivi della tutela della legalità, della lotta più efficace alla corruzione, dell'efficienza amministrativa, della certezza e della riduzione dei tempi, nonché della diminuzione dei costi delle opere pubbliche, destinando alla crescita le risorse sottratte al circuito dell'economia illegale;
   a destinare, nei limiti delle compatibilità finanziarie, ulteriori maggiori risorse agli interventi di sicurezza dell'edilizia scolastica, di messa in sicurezza del territorio e di contrasto del dissesto idrogeologico, nonché di efficientamento energetico, accelerando nel contempo la concreta attuazione dei relativi strumenti di programmazione.
(6-00136) «Marchi, Tancredi, Librandi, Tabacci, Pisicchio, Alfreider, Di Gioia, Antezza, Amoddio».


MOZIONI SPERANZA, DELLAI, GELMINI, DE GIROLAMO, SCOTTO, GUIDESI, CATANIA, ROSTELLATO, SCHULLIAN, PASTORELLI ED ALTRI N. 1-00769 E BENEDETTI ED ALTRI N. 1-00778 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO ALLA COSIDDETTA CARTA DI MILANO, IN RELAZIONE AD EXPO 2015

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la Carta di Milano vuole essere un «patto sul cibo» da consegnare al pianeta per vincere la sfida alimentare globale. Una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati e dei cittadini del mondo per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti;
    la Carta nasce dalla sintesi di un percorso di ricerca, di confronto, di idee e di culture sul tema di Expo 2015 «Nutrire il Pianeta, energie per la vita», avviato da Laboratorio Expo fin dal 2013 e proseguito in vari incontri, fino all'evento organizzato il 7 febbraio 2015 a Milano «Expo delle idee» articolato in 42 tavoli di lavoro suddivisi in quattro percorsi di studio: le dimensioni dello sviluppo tra equità e sostenibilità, la cultura del cibo, l'agricoltura, gli alimenti e la salute per un futuro sostenibile, la città umana e i futuri possibili tra smart e slow city;
    la versione finale della Carta verrà presentata al pubblico il 28 aprile 2015; il testo sarà, poi, condiviso il 4 giugno 2015 con i Ministri dell'agricoltura dei 147 Paesi partecipanti ad Expo 2015 e, infine, il 16 ottobre 2015 il documento verrà consegnato al Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, in occasione della sua visita all'Expo;
    la Carta rappresenta un percorso bottom-up, ovvero dal basso verso l'alto: essa, infatti, vedrà protagonisti i cittadini, la società civile e le imprese che saranno chiamate, dal 1o maggio 2015, a sottoscrivere la Carta assumendosi la responsabilità di dare attuazione a precisi impegni. La Carta, infatti, conterrà una serie di impegni per cittadini, società civile e imprese contro lo spreco alimentare, per l'alimentazione sostenibile, per il diritto alla nutrizione, contro l'uso scorretto del suolo e delle risorse naturali. Saranno poi i cittadini, la società civile e le imprese a chiedere ai Governi e ai Parlamenti di tutto il mondo di assumere ulteriori impegni, giuridici e politici, puntualmente indicati dalla Carta;
    in questo senso la Carta rappresenta un modello del tutto innovativo di «protocollo» per il cibo: non sono i Governi a imporre dall'alto gli impegni, ma sono cittadini, società civile e imprese a impegnarsi in prima persona e a chiedere ai Governi di impegnarsi per raggiungere gli obiettivi del millennio;
    sostenendo la Carta di Milano, il Governo italiano fa propria la sfida di un sistema alimentare globale sostenibile attraverso azioni mirate a combattere lo spreco di cibo, favorire l'agricoltura sostenibile e contrastare fame e obesità. La strada da percorrere è indicata dalle parole di Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali con delega a Expo 2015: «La principale eredità di Expo è di contenuto e l'Italia darà anima al grande tema “Nutrire il Pianeta, energie per la vita” con la Carta di Milano, un protocollo per tutti i Paesi che decideranno di aderirvi e che in autunno arriverà a New York nella sede Onu per la definizione dei nuovi obiettivi del millennio». Un'eredità, dunque, di contenuto e di sostanza: immateriale nella sua definizione ma concreta, operativa e tangibile nella sua attuazione;
    secondo la Commissione europea la produzione e il consumo di cibo generano il 20-30 per cento di tutti gli impatti ambientali dell'Europa, il 17 per cento delle emissioni di gas serra, il 28 per cento di consumo di risorse materiali e altri impatti come consumo di suolo, perdita di biodiversità, deforestazione. Negli ultimi anni, inoltre, il settore agroalimentare è divenuto terreno di numerose illegalità gestite anche dalla criminalità organizzata. Ma l'agricoltura può in realtà divenire un'importante prospettiva di futuro per il nostro pianeta, sul piano economico e ambientale, ma anche culturale e sociale. Questo è possibile se si riscopre e si coltiva una relazione stretta fra cibo e produzione, se sono valorizzate e privilegiate le numerose pratiche agricole sostenibili, che da anni dimostrano di essere efficaci e di rappresentare una valida alternativa, se si favorisce la diffusione di un modello di agricoltura multifunzionale;
    sarebbe opportuno rilanciare la filiera corta di produzione creando una relazione diretta tra il produttore e il consumatore, che significa prima di tutto prodotti sempre freschi, genuini e di maggiore qualità, con dei costi molto contenuti e con un'attenzione anche all'ambiente. Essendo prodotti provenienti dal territorio le merci compiono meno passaggi, non devono essere imballate più volte e consentono una sensibile riduzione delle emissioni di anidride carbonica derivate dal trasporto; si incentiverebbe, altresì, anche la conoscenza dei prodotti tipici locali all'interno delle scuole, prodotti apprezzati e invidiati in tutto il mondo;
    il consumo di prodotti tipici e del territorio concorre al mantenimento di un buon stato di salute ed è, pertanto, particolarmente indicato per i bambini, ai fini di una corretta educazione alimentare. Il consumo di prodotti tipici e di qualità concorre, altresì, al mantenimento di forme di agricoltura ancorate al territorio e, quindi, anche alla tutela ed allo sviluppo dei valori economici, sociali e culturali che sono propri dei territori di cui gli stessi prodotti sono espressione;
    il cibo che si mangia, il modo in cui lo si produce, gli effetti sul nostro pianeta. Questi sono i temi di Expo 2015 e su questi temi tutto il mondo è chiamato a dare un contributo. Expo è un incrocio di culture. Fin dalla prima edizione londinese del 1851, le Expo servono soprattutto a questo: fare incontrare culture, etnie e comunità nazionali. A Milano ci saranno rappresentanti di 147 Paesi e turisti da tutto il mondo;
    per la prima volta nella storia delle Esposizioni universali, i Paesi partecipanti verranno raggruppati, anziché per criteri geografici, secondo identità tematiche e filiere alimentari. Sono nove i cluster telematici presenti a Expo Milano 2015: riso, cacao, caffè, frutta e legumi, spezie, cereali e tuberi, bio-Mediterraneo, isole, mare e cibo, zone aride. Al loro interno saranno visitabili aree comuni – mercato, mostra, eventi, degustazioni – e spazi espositivi individuali, in cui ciascun Paese interpreterà a modo proprio i temi dell'Esposizione;
    se si guarda al sistema alimentare globale ci si accorge di tre grandi paradossi del nostro tempo riguardanti il cibo: a fronte di un numero elevatissimo di persone che non vi hanno accesso, un terzo della produzione nel mondo è destinato ad alimentare gli animali e una quota crescente dei terreni agricoli è dedicata alla produzione di biocarburanti per alimentare le auto. E, a fronte di quasi un miliardo di persone al mondo che patiscono la fame o sono malnutrite, circa un miliardo e mezzo soffre le conseguenze dell'eccesso di cibo, aumentando il rischio di diabete, tumori e patologie cardiovascolari. Ogni anno si registrano 36 milioni di decessi per assenza di cibo e 29 milioni di decessi per eccesso di cibo, 144 milioni di bambini sono sottopeso, 155 milioni di bambini sono obesi o in sovrappeso. Infine, ogni anno viene sprecato un terzo della produzione alimentare globale, per un totale di circa 1,3 milioni di tonnellate all'anno, una quantità che sarebbe sufficiente a nutrire quasi un miliardo di persone che soffrono la fame o sono malnutrite. Nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima parte della filiera agroalimentare, soprattutto a causa dei limiti nelle tecniche di coltivazione, raccolta e conservazione o per la mancanza di adeguate infrastrutture per il trasporto e l'immagazzinamento. Nei Paesi industrializzati la quota maggiore degli sprechi avviene nelle fasi finali della filiera agroalimentare (consumo domestico e ristorazione, in particolare);
    compito di Expo è fornire una valida risposta alla domanda se la crescita esponenziale dell'accaparramento delle terre (land grabbing), l'intensificazione dell'agricoltura mediante un eccessivo input di fertilizzanti e pesticidi, l'introduzione di organismi geneticamente modificati siano gli unici strumenti che si hanno per sfamare il mondo oppure se sia nostro dovere, in primo luogo, rendere l'intera filiera del cibo, dalla produzione alla trasformazione e consumo, inclusi stili di vita alimentari, più efficiente e sostenibile;
    il modello degli organismi geneticamente modificati è del tutto contrario e controproducente per gli interessi del settore agroalimentare del nostro Paese, che si basa sulla tipicità e sulla qualità. Per l'Italia, gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell'omologazione e il grande nemico del made in Italy;
    di «ritorno alla terra» in Italia si parla ormai da diversi anni. La crisi e la disoccupazione spingono i più giovani a cercare nuove strade: anche in professioni, quelle agricole, che fino a qualche anno fa erano snobbate e considerate un retaggio del passato. È un fenomeno ancora marginale da un punto di vista numerico, ma che porta nuova linfa – e nuove competenze – nell'agricoltura italiana e che va seguito con attenzione;
    in tale contesto si segnala l'importanza del progetto, We-women for Expo, che parla di nutrimento mettendo al centro la cultura femminile, con la convinzione che la sostenibilità del pianeta passa attraverso una nuova alleanza tra cibo e cultura e che le artefici di questo nuovo sguardo e nuovo patto per il futuro debbano essere le donne;
    l'acqua è destinata a diventare una risorsa strategica quanto il petrolio, se non di più. Già oggi la scarsità d'acqua colpisce circa 1,2 miliardi di persone in ogni continente e altre 500 milioni di persone si troveranno presto a fare i conti con la siccità a causa del cambiamento climatico. Il consumo d'acqua potabile è cresciuto a velocità doppia rispetto alla crescita della popolazione nell'ultimo secolo. La produzione di cibo è in assoluto uno dei fattori che incidono di più sul consumo d'acqua potabile e ridurre l'impronta idrica degli alimenti è una priorità strategica;
    senza ricerca non c’è futuro, anche nel settore agroalimentare. La Carta di Milano è l'occasione per definire strategie di sviluppo scientifico dalla pesca sostenibile al consumo di suolo, dalle biotecnologie all'agricoltura di precisione, dagli organismi geneticamente modificati alla gestione degli scarti alimentari, dal food packaging al food-print;
    a fine ’800 esistevano circa 8.000 varietà di frutta. Oggi ce ne sono meno di 2.000. Le motivazioni sono diverse: l'industrializzazione dei processi produttivi, il cambiamento climatico e quello delle abitudini alimentari. Le varietà sopravvissute sono quelle più convenienti da produrre e più adatte al trasporto. È necessario sostenere tutti quei processi che favoriscono il ritorno ad una maggiore biodiversità. La biodiversità comprende la vita in tutte le sue forme e implica la centralità della tutela di tutte le specie viventi sulla terra. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha sancito il valore di tale patrimonio nel 1992 – a Rio De Janeiro – siglando la Convenzione sulla diversità biologica. Quando si rinuncia alla biodiversità in agricoltura si corrono gravi rischi, perché si rende facile la vita dei parassiti e si mettono a repentaglio intere filiere produttive;
    la sicurezza alimentare è una questione complessa che coinvolge l'intera filiera agroalimentare. Attiene ai rischi diretti e indiretti per la salute pubblica connessi a cibi, mangimi e materiali a contatto; ma anche alle contraffazioni, alla tracciabilità, alle etichettature. Nonostante i piani nazionali integrati e gli accordi comunitari, le sfide da affrontare sono ancora difficili e richiedono soluzioni globali;
    le frodi e le contraffazioni nel settore agricolo e agroalimentare rappresentano un fenomeno preoccupante e, nonostante l'intensificarsi dei controlli, continuano a svilupparsi in maniera crescente e fanno perdere risorse al nostro Paese, risorse che creano indispensabili rapporti commerciali che sono fondamentali per l'economia del territorio;
    l'educazione alimentare è senza dubbio un investimento importante per il futuro. Tutti gli studi dimostrano come un'alimentazione corretta sia il principale alleato nella prevenzione di malattie cardiovascolari e tumori, le malattie da cui deriva la maggior parte della spesa sanitaria;
    in tale contesto la dieta mediterranea, patrimonio culturale immateriale dell'Unesco, è un vero e proprio stile di vita che incorpora saperi, sapori, elaborazioni, prodotti alimentari, coltivazioni e spazi sociali legati ai territori. Proprio per valorizzare i valori legati alla dieta mediterranea e rivendicare una sorta di «orgoglio mediterraneo», l'Expo, su proposta del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, dedicherà una settimana di incontri, dibattiti, sperimentazioni alla «Dieta mediterranea patrimonio dell'umanità Unesco» dal 14 al 20 settembre 2015;
    le indicazioni geografiche dop (denominazione di origina protetta) e igp (indicazione geografica protetta) sono strumenti fondamentali per tutelare il made in Italy. I prodotti dop e igp italiani, infatti, rappresentano il 40 per cento dell'intera produzione a denominazione comunitaria, con un fatturato complessivo alla produzione di circa 7 miliardi di euro;
    dal falso olio extravergine di oliva ai prodotti Italian sounding che abbondano sui mercati internazionali: la contraffazione dei prodotti alimentari è una minaccia per la sicurezza dei consumatori e un danno per le imprese del settore, in particolare quelle che operano sui prodotti di alta qualità;
    la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari Italian sounding a livello internazionale hanno anche un rilevante impatto in termini di perdita di posti di lavoro che si potrebbero creare nel Paese con un'azione di contrasto a livello nazionale ed internazionale;
    dalle mozzarelle ai terreni agricoli, dai ristoranti all'autotrasporto, il business dell'agromafia fattura in Italia circa 14 miliardi di euro, trovando terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi e offrendo alla criminalità organizzata un appetibile strumento per riciclare denaro frutto di attività criminose;
    la creazione di un modello di allevamento, consumo e produzione sostenibili necessita di un intervento globale in cui le azioni dei Governi e delle istituzioni siano tese alla protezione e alla conservazione delle risorse del pianeta, allo sviluppo sostenibile, ad un uso efficiente delle risorse, alla lotta contro la fame e ad affermare il diritto alla sicurezza alimentare per tutti gli abitanti del pianeta ed è importante che la Carta di Milano sia il luogo d'assunzione di impegni di buone pratiche e modelli sostenibili in termini di politiche agricole;
    occorre evidenziare, anche in occasione di Expo 2015, il primato dell'agroalimentare e della sicurezza dei prodotti made in Italy; considerando, a tal fine, la possibilità di reintrodurre il vincolo per le aziende produttrici di scrivere sulle etichette lo stabilimento di produzione e di confezionamento dei prodotti alimentari allo scopo non solo di tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori, ma anche di permettere loro di scegliere un alimento rispetto a un altro, anche in base al Paese o alla regione dove questo è prodotto, per la tutela anche del made in Italy,

impegna il Governo:

   ad assumere il diritto al cibo come un diritto fondamentale anche valutando l'opportunità di adottare iniziative per inserirlo nella Costituzione;
   ad adoperarsi affinché la Carta di Milano sancisca un «patto per il cibo» che sia una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti, prevedendo, in particolare, i seguenti impegni:
    a) individuazione di un meccanismo che permetta ai Governi e ai sistemi di produzione, trasformazione e commercializzazione della filiera agroalimentare il raggiungimento di risultati dichiarati in modo esplicito e trasparente, prevedendo, ad esempio, che ogni singolo Paese sia tenuto a comunicare le finalità che intende raggiungere e gli obiettivi realizzati nell'ambito dei rapporti Ocse in modo che possano essere monitorati e giudicati dai cittadini;
    b) contenimento e riduzione del consumo di suolo in modo da limitarne l'impermeabilizzazione ed incremento delle food policies in modo da concentrare l'attenzione sulle funzioni ambientali ed agricole del suolo piuttosto che sugli usi urbanistici, per il contrasto al dissesto idrogeologico e per la produzione di cibo di qualità;
    c) incremento delle risorse per la ricerca scientifica ed applicata in agricoltura, al fine di sviluppare modelli di adattamento delle colture ai cambiamenti climatici e di migliorare la produttività agricola nell'ambito della biodiversità, con particolare riguardo alle principali colture euro-mediterranee;
    d) predisposizione di politiche agricole a sostegno dell'agricoltura contadina familiare, dei modelli di aziende biologiche, degli agricoltori che lavorano in modo ecosostenibile e dei piccoli agricoltori locali, consentendo il recupero e la coltivazione dei prodotti tradizionali, la migliore preservazione della biodiversità agraria con la conservazione e la valorizzazione delle varietà delle sementi, lo sviluppo di reti di acquisto di prodotti a chilometro zero, nonché il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche dei piccoli agricoltori;
    e) promozione dell'agricoltura urbana attraverso la creazione di orti urbani e di spazi destinati alla coltivazione, previa assegnazione in comodato ai cittadini da parte dei comuni;
    f) implementazione delle esperienze di agricoltura sociale e degli aspetti connessi alla multifunzionalità agricola e delle politiche connesse al ricambio generazionale e al sostegno delle donne in agricoltura, anche attraverso l'introduzione di apposite misure agevolative, nel rispetto dei vincoli di bilancio, e l'istituzione di banche dati nazionali delle terre incolte e abbandonate;
    g) promozione di azioni educative nella scuola finalizzate a rendere noti i cibi che figurano nella dieta, cosa e quanto si spreca sia come consumatori finali che nell'ambito del processo produttivo, le modalità di produzione del cibo, con particolare riferimento all'impatto sull'ambiente e sulla salute, valorizzando in particolare, a tal fine, le istituzioni scolastiche ubicate nelle aree marginali montane e soggette a spopolamento;
   in considerazione delle dimensioni assunte dal fenomeno dello spreco alimentare e, soprattutto, dalla portata dei suoi impatti, a sostenere le azioni necessarie a contrastare il fenomeno ed in particolare:
    a) a dare un significato univoco ai termini food losses e food waste e ad armonizzare a livello internazionale la raccolta dei dati statistici;
    b) a comprendere le ragioni degli sprechi alimentari nelle varie filiere agroalimentari e a valutarne meglio gli impatti;
    c) ad investire prima nella riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e poi sul loro recupero;
    d) ad avviare iniziative di recupero degli sprechi non ancora eliminati attraverso la distribuzione a persone svantaggiate e l'impiego come mangime o, come ultima alternativa, per la produzione di bioenergia;
    e) a favorire lo sviluppo di accordi di filiera tra agricoltori, produttori e distributori per una programmazione più corretta dell'offerta alimentare, anche al fine di prevedere condizioni adeguate, data l'importanza che riveste Expo 2015, affinché i produttori italiani di filiera corta siano in grado di presentarsi nel modo migliore al pubblico internazionale e dare, quindi, l'occasione alle qualità italiane di arrivare sui mercati esteri;
    f) a rendere il consumatore consapevole dello spreco e a insegnargli, a partire dalla scuola, come rendere più sostenibili l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale del cibo;
   ad istituire la «settimana della dieta mediterranea» coinvolgendo scuole, enti di ricerca, soggetti pubblici e privati, al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica, diffondere, e far conoscere la cultura del mangiare mediterraneo e i suoi effetti benefici non solo sulla salute ma anche sui territori, sul paesaggio, sulla biodiversità agricola;
   ad individuare le possibili modifiche, nell'ambito dell'Unione europea e a livello nazionale, alla normativa in materia di appalti pubblici, prevedendo misure premiali nell'affidamento dei servizi di ristorazione scolastica e collettiva a favore delle aziende agricole che adottino metodi di produzione ecocompatibili o che svolgano una funzione di particolare rilevanza sociale;
   ad assumere le possibili iniziative al fine di contrastare il fenomeno del land grabbing, adottando modelli di sviluppo sostenibili che non incidano negativamente sui Paesi più poveri e sulla loro sicurezza alimentare e preservando il patrimonio legato alla terra e alle tradizioni locali, in modo da permettere lo sviluppo di economie rispettose della storia di ciascun popolo e del loro patrimonio agricolo;
   a razionalizzare l'utilizzo di agroenergie al fine di evitare che esse confliggano con la produzione di cibo e siano concentrate in aree marginali;
   a rafforzare controlli e strumenti per combattere le fitopatie alloctone;
   a favorire un modello agricolo compatibile con l'ambiente e con il benessere animale, capace di preservare le aree più ricche di biodiversità del pianeta e di contrastare il fenomeno della deforestazione, contribuendo, così, alla mitigazione dei cambiamenti climatici;
   a promuovere il made in Italy, sia attraverso un modello innovativo di rete territoriale (dato che Expo è già oggi un metodo di lavoro fondato su progetti che mettono in dialogo le eccellenze italiane con i protagonisti della vita economica, sociale, culturale delle aree del mondo coinvolte), sia con un impegno forte e concreto, soprattutto in ambito europeo, per proteggere e valorizzare il made in attraverso norme chiare e adeguate, assumendo ogni iniziativa utile in tal senso anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano;
   a mettere in evidenza nella Carta di Milano l'esigenza di tutelare i prodotti di qualità attraverso le denominazioni di origine protette, parte rilevante delle economie di molti Paesi partecipanti ad Expo, a partire da quella italiana, anche al fine di adottare scelte che possano valorizzare davvero il made in Italy, affinché Expo sia una importante occasione per indicare impegni precisi da parte dei Paesi partecipanti atti a contrastare il dilagante fenomeno della contraffazione e delle sofisticazioni in campo agroalimentare;
   a promuovere il modello Expo 2015 nella solidarietà e nella cooperazione internazionale, valorizzando i progetti di sviluppo avviati in tutti i continenti, con decine di accordi stretti con le maggiori organizzazioni internazionali, come Fao, Onu, Millennium campaign, World foodprogramme;
   ad adoperarsi, nell'ambito dei lavori concernenti l'elaborazione della Carta di Milano, affinché prosegua l'impegno nato con Expo Milano 2015 per il trasferimento tecnologico e di conoscenza ai Paesi in via di sviluppo con riferimento alle più recenti innovazioni, per garantire, a costi contenuti, un approvvigionamento più sicuro di cibo e acqua per la popolazione;
   a sostenere un impegno preciso all'interno delle Nazioni Unite e di tutte le organizzazioni internazionali affinché anche la Carta di Milano e i sei mesi di Expo diventino un'occasione planetaria per condannare lo sfruttamento che alcune realtà locali fanno dei minori in stato di indigenza;
   a sensibilizzare i cittadini in una più consapevole attenzione ai modelli nutrizionali, adoperandosi affinché, anche alla luce degli obiettivi della Carta di Milano, possa essere sviluppata un'incisiva educazione nei confronti dei consumatori in modo che aumenti sensibilmente la coscienza individuale e collettiva in relazione al valore primario del cibo;
   a favorire l'orientamento a modelli nutrizionali più sani attraverso il potenziamento della ricerca scientifica e tecnologica e la predisposizione di una campagna di comunicazione e di informazione ai cittadini al fine di adottare stili di vita sani;
   a contrastare con misure adeguate il fenomeno dell'infiltrazione nei processi produttivi agricoli di qualsiasi forma di criminalità organizzata, un pericoloso fenomeno che si sta sempre più diffondendo nel settore primario;
   ad assumere le opportune iniziative al fine di continuare, anche dopo Expo 2015, a prevedere il divieto dell'uso di organismi geneticamente modificati nelle produzioni agroalimentari e forestali in campo aperto, poiché il valore aggiunto delle produzioni italiane è dato dalla loro specificità ed una contaminazione da organismi geneticamente modificati porterebbe alla distruzione del sistema agroalimentare italiano e della biodiversità presente in Italia così come lo si conosce oggi, con le sue eccellenze, le sue varietà e le sue tipicità.
(1-00769)
(Ulteriore nuova formulazione). «Speranza, Dellai, Gelmini, De Girolamo, Scotto, Guidesi, Catania, Rostellato, Schullian, Pastorelli, Oliverio, Sani, Fauttilli, Fregolent, Martella, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Falcone, Fiorio, Gadda, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Mucci, Palma, Prina, Prodani, Rizzetto, Romanini, Segoni, Taricco, Tentori, Turco, Venittelli, Zanin, Amoddio, Zaccagnini, Franco Bordo, Palazzotto, Pellegrino, Zaratti, Fratoianni, Pannarale, Airaudo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Palese, Occhiuto, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti, Dorina Bianchi, Vignali, Alli, Tancredi, Binetti, Terrosi, Braga, Mariani».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Esposizione universale Expo 2015, che avrà luogo a Milano tra il 1o maggio e il 31 ottobre 2015, ha scelto come tema «Nutrire il Pianeta, energia per la vita», puntando l'attenzione su tutto ciò che riguarda l'alimentazione mondiale: dal problema della mancanza di cibo in alcune zone del pianeta, all'educazione alimentare, fino alla conoscenza delle attività legate alla produzione dell'agroalimentare e alle innovazioni introdotte rispetto all'agricoltura tradizionale, quali gli organismi geneticamente modificati;
    oltre agli aspetti legati alle attività economiche, la principale eredità di Expo 2015 è di contenuto e riguarda il diritto ad un'alimentazione sana, sicura e soprattutto sufficiente per tutto il pianeta, principalmente attraverso una rivalutazione dell'importanza del territorio, della redistribuzione e della genuinità del cibo, nonché della preservazione ed individuazione dei migliori strumenti di controllo e di innovazione;
    la Carta di Milano, una sorta di protocollo sul cibo che nasce da un percorso di ricerca, confronto e proposta sui temi di Expo, non è solo un documento di intenti, ma contiene una serie di impegni per cittadini, società civile ed imprese per un'alimentazione sostenibile, per il diritto universale alla nutrizione, per il contrasto al consumo del suolo agricolo e all'uso scorretto delle risorse naturali in quanto beni comuni, ed è finalizzata a sollecitare un'assunzione di responsabilità in tale direzione da parte dei Governi e dei Parlamenti di tutto il mondo;
    sostenendo la Carta di Milano anche il Governo italiano assume gli impegni che in essa sono contenuti. Il settore agroalimentare è una delle eccellenze del nostro Paese, tanto da essere l'unico settore in crescita – sia in termini di occupazione che di export di prodotti – in un momento di grave crisi economica come quello attuale; esso comprende, oltre alle grandi produzioni, anche tutti i prodotti tradizionali e locali derivanti dall'attività della piccola agricoltura contadina;
    molte sono le associazioni di cosiddetti «agricoltori contadini» che in questi anni stanno portando avanti la battaglia per il riconoscimento a livello nazionale di un'agricoltura piccola ma foriera di grande valore per la riscoperta e conservazione di colture tradizionali lavorate con metodi naturali, sostenibili e biologici;
    la piccola agricoltura contadina sposa pienamente il tema dell'Expo 2015, poiché ha come obiettivi quello di valorizzare le colture locali e disincentivare il consumo di prodotti che non siano derivanti da una filiera corta; di contemplare metodi di lavorazione, coltivazione e allevamento sostenibili e che usino la biodiversità agroalimentare come mezzo per rispondere alle sfide che impone il cambiamento climatico;
    circa 9 su 10 delle 570 milioni di aziende agricole esistenti al mondo sono gestite da famiglie e costituiscono un fattore potenzialmente cruciale di cambiamento verso il raggiungimento della sicurezza alimentare e l'eliminazione della fame; come afferma l'ultimo rapporto dell'Onu e come scrive lo stesso direttore generale della Fao, José Graziano de Silva, nell'introduzione al nuovo rapporto Fao, «le aziende agricole a conduzione familiare producono circa l'80 per cento del cibo a livello mondiale. La loro significativa presenza e la loro produzione testimoniano che esse sono cruciali per la soluzione del problema della fame che affligge 800 milione di persone (...) e che sono una componente chiave dei sistemi alimentari sani di cui abbiamo bisogno per condurre delle vite più sane»;
    è evidente che la strada da intraprendere, che verrà indicata dalla Carta di Milano, è in netta antitesi con quella adottata dalle multinazionali che producono cibo globalizzato (a danno delle tradizioni alimentari locali) e che spesso distruggono le sementi millenarie di alto valore per la sopravvivenza dell'agricoltura sana e di qualità. Infatti, è con l'agricoltura intensiva che si preparano cibi artefatti, sempre meno naturali, organismi geneticamente modificati, ridotti a qualcosa di simile al carburante necessario ad alimentare la «macchina umana» e che sottostanno all'esigenza di produrre sempre di più per consumare di più, per fare solo sempre più profitto;
    il 2015 è stato indicato dall'Onu come l'anno internazionale del suolo; è noto che esiste una stretta correlazione tra estensione della superficie agricola e sicurezza alimentare, eppure, ad esempio, in Italia il ritmo con cui si continua a perdere suolo agricolo è di 11 ettari all'ora, ovvero circa 2.000 alla settimana, 8.000 al mese. In poco meno di 20 anni si sono perduti qualcosa come due milioni di ettari coltivati, ovvero l'incredibile percentuale del 16 per cento di tutte le campagne agricole del Paese;
    la crescente sottrazione di suolo per uso agricolo rischia di incidere pesantemente sul costo dell'approvvigionamento alimentare in Italia, dove attualmente è coperto solo il fabbisogno di cibo di tre cittadini su quattro e si rendono pertanto necessarie le importazioni per coprire il restante deficit produttivo. Quindi, da una parte cresce la domanda di cibo, dall'altra diminuiscono le terre coltivate. Questa contraddizione va fermata non solo in Italia, ma in tutto il pianeta, onde evitare l'incremento della dipendenza dall'estero nel campo agroalimentare, in un contesto globale in cui le stime di Fao e Ocse parlano, per i prossimi anni, di un rallentamento della crescita produttiva mondiale, a cui si affianca però la costante crescita demografica che porterà nel 2050 a superare la soglia dei 9 miliardi di abitanti nel pianeta;
    l'Expo delle idee è stato avviato l'8 dicembre; in quella sede 42 tavoli tematici hanno dato il via ad un'elaborazione collettiva che si concluderà con la cosiddetta Carta di Milano. Il focus, come si sa, è puntato sulla nuova frontiera del diritto: il cibo per tutti. Malgrado l'ambizione, i gruppi di lavoro non hanno individuato un panel da dedicare al consumo del suolo indebolendo così la struttura dell'intero impianto;
    il 31 marzo 2015, in sede di presentazione del SOER 2015, dossier di valutazione integrata dell'ambiente in Europa, Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell'Agenzia europea dell'ambiente, ha sottolineato come manchi tuttora un obiettivo europeo comune sulla tutela del suolo, per il quale si prevede un trend di deterioramento anche per i prossimi 20 anni;
    l'uso sempre più frequente di fitosanitari in agricoltura specialmente se usati in maniera massiccia, può comportare danni alla salute; secondo il recente rapporto di cancerogenicità redatto dalla Iarc, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità, il glifosato, principale componente di molti erbicidi, è stato classificato come «probabilmente cancerogeno» assieme ai due insetticidi malatione e diazinone; mentre per gli insetticidi parathion e tetrachlorvinphos (Tcvp), già proibiti o di utilizzo ristretto in molti Paesi, la classificazione è stata quella di «possibili» agenti cancerogeni;
    tra i fitosanitari figurano anche i pesticidi, attualmente in discussione in quanto barriere non tariffarie al commercio, oggetto di accordi come il TTIP; nell'ottica di favorire il commercio, le grandi aziende di ogni settore, incluso quello agroalimentare, puntano in accordo con la Commissione europea e il Governo degli Usa a togliere ogni barriera normativa in merito ai pesticidi non autorizzati e ai loro limiti massimi residui, seguendo la logica del minimo comun denominatore;
    uno studio dell'università di Harvard ha recentemente verificato la possibile correlazione tra il consumo di cibi contaminati da pesticidi e i problemi di fertilità maschile. L'effetto negativo di queste sostanze sulla fertilità era stato documentato solo in soggetti esposti per motivi professionali; ora invece è stato provato anche in relazione al consumo di pesticidi direttamente ingeriti attraverso l'alimentazione;
    il consumo di alimenti di origine animale, legato al modello culturale ed economico dei Paesi industrializzati, è in continua crescita, con implicazioni sulla salute, sulla spesa sanitaria, sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare, considerato che, secondo i dati Fao, nel 2050 la popolazione arriverà oltre i 9 miliardi di persone, con il conseguente problema di raddoppiare la produzione globale di cibo, mentre le risorse sostenibili sono limitate;
    dagli anni Sessanta, infatti, l'Italia ha visto quasi triplicare i propri consumi di carne, da 31 a 87 chili nel 2011, contrariamente alle raccomandazioni delle linee guida internazionali sulla salute e alle indicazioni dell'equilibrata dieta mediterranea. Secondo l'edizione 2010 delle Dietary Guidelines for Americans, una dieta di 3400 calorie giornaliere ammette, all'anno, per non essere dannosa, un consumo massimo complessivo di carne e uova pari a 50,12 chili e di 16,2 per il pesce. I dati Fao, invece, indicano che l'Italia ha un consumo medio, rispettivamente, di 103 e di 24,6 chili annui;
    la produzione di alimenti di origine animale, dovuta alla crescente richiesta dei consumi, ha un forte impatto ambientale. È la principale causa del consumo di risorse indispensabili come l'acqua e il fosforo, sta portando al consumo e al degrado del suolo – per produrre mangimi e per la deforestazione destinata al pascolo – con conseguente minaccia alla biodiversità e alla fertilità e contribuisce, in maniera importante, all'inquinamento dell'acqua e dell'aria;
    gli allevamenti, infatti, producono il 14,5 per cento delle emissioni globali di gas serra, con un'incidenza significativa sul cambiamento climatico. Per questo, secondo l’Intergovernmental panel on climate change Ipcc – solo diminuendo il consumo di cibo di origine animale a una media di 90 grammi al giorno, come raccomandato dalle linee guida mediche inglesi, si potrebbe raggiungere, dal 2030, una riduzione di 2,15 miliardi di tonnellate di anidride carbonica l'anno,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano, per:
    a) promuovere il contenimento del consumo del suolo e il riuso del suolo edificato al fine di ottenere il reale «consumo di suolo zero»;
    b) promuovere ogni possibile metodo alternativo all'utilizzo dei fitosanitari di sintesi, ivi inclusi quelli per il comune diserbo, anche costruendo una rete di coordinamento a livello mondiale;
    c) promuovere, in occasione di negoziati internazionali volti alla conclusione di accordi commerciali internazionali, il rispetto di elevati parametri di sicurezza umana e ambientale;
    d) promuovere la riduzione del consumo di alimenti di origine animale, come azione imprescindibile per migliorare la salute dei cittadini e l'impatto ambientale, che sta portando alla perdita irreversibile di risorse naturali critiche e all'aumento delle emissioni inquinanti, indirizzando la società verso scelte alimentari consapevoli e responsabili, che possano garantire la salvaguardia dell'ambiente e un sistema più equo della distribuzione delle risorse per la futura sicurezza alimentare;
    e) sostenere un cambiamento virtuoso dello stile di vita dei cittadini verso modelli culturali, economici e sociali più salubri e sostenibili, attraverso la promozione di attività di informazione e sensibilizzazione e mediante iniziative per l'introduzione, nei luoghi di ristorazione pubblici o convenzionati, di un'adeguata alternativa di menù privi di alimenti di origine animale;
   ad intraprendere ogni utile azione, specialmente in occasione di Expo 2015, volta a promuovere un'alimentazione sana e un'agricoltura biologica e priva di organismi geneticamente modificati;
   a riservare, nell'ambito dell'esposizione, distinti padiglioni all'agricoltura biologica e di qualità e alla promozione di colture «ogm free»;
   a promuovere, nell'ambito dell'esposizione, l'agricoltura familiare, anche garantendo alle aziende che hanno tali caratteristiche la possibilità di usufruire gratuitamente di stand, i cui costi andrebbero a carico delle multinazionali presenti;
    a promuovere in sede di Unione europea la ripresa dei lavori concernenti la direttiva in materia di protezione del suolo tramite tutti gli strumenti possibili, anche considerando quelli previsti dall'articolo 20, paragrafo 2, del Trattato sull'Unione europea, e dagli articoli 326-334 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
(1-00778) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Busto, De Rosa, Mannino, Terzoni».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Esposizione universale Expo 2015, che avrà luogo a Milano tra il 1o maggio e il 31 ottobre 2015, ha scelto come tema «Nutrire il Pianeta, energia per la vita», puntando l'attenzione su tutto ciò che riguarda l'alimentazione mondiale: dal problema della mancanza di cibo in alcune zone del pianeta, all'educazione alimentare, fino alla conoscenza delle attività legate alla produzione dell'agroalimentare e alle innovazioni introdotte rispetto all'agricoltura tradizionale, quali gli organismi geneticamente modificati;
    oltre agli aspetti legati alle attività economiche, la principale eredità di Expo 2015 è di contenuto e riguarda il diritto ad un'alimentazione sana, sicura e soprattutto sufficiente per tutto il pianeta, principalmente attraverso una rivalutazione dell'importanza del territorio, della redistribuzione e della genuinità del cibo, nonché della preservazione ed individuazione dei migliori strumenti di controllo e di innovazione;
    la Carta di Milano, un documento di impegno sul cibo che nasce da un percorso di ricerca, confronto e proposta sui temi di Expo, non è solo un documento di intenti, ma contiene una serie di impegni per cittadini, società civile ed imprese per un'alimentazione sostenibile, per il diritto universale alla nutrizione, per il contrasto al consumo del suolo agricolo e all'uso scorretto delle risorse naturali in quanto beni comuni, ed è finalizzata a sollecitare un'assunzione di responsabilità in tale direzione da parte dei Governi e dei Parlamenti di tutto il mondo;
    sostenendo la Carta di Milano anche il Governo italiano assume gli impegni che in essa sono contenuti. Il settore agroalimentare è una delle eccellenze del nostro Paese, tanto da essere l'unico settore in crescita – sia in termini di occupazione che di export di prodotti – in un momento di grave crisi economica come quello attuale; esso comprende, oltre alle grandi produzioni, anche tutti i prodotti tradizionali e locali derivanti dall'attività della piccola agricoltura contadina;
    molte sono le associazioni di cosiddetti «agricoltori contadini» che in questi anni stanno portando avanti la battaglia per il riconoscimento a livello nazionale di un'agricoltura piccola ma foriera di grande valore per la riscoperta e conservazione di colture tradizionali lavorate con metodi naturali, sostenibili e biologici;
    la piccola agricoltura contadina sposa pienamente il tema dell'Expo 2015, poiché ha come obiettivi quello di valorizzare le colture locali anche attraverso incentivi ai prodotti provenienti dalla filiera corta, di contemplare metodi di lavorazione, coltivazione e allevamento sostenibili e che usino la biodiversità agroalimentare come mezzo per rispondere alle sfide che impone il cambiamento climatico;
    circa 9 su 10 delle 570 milioni di aziende agricole esistenti al mondo sono gestite da famiglie e costituiscono un fattore potenzialmente cruciale di cambiamento verso il raggiungimento della sicurezza alimentare e l'eliminazione della fame; come afferma l'ultimo rapporto dell'Onu e come scrive lo stesso direttore generale della Fao, José Graziano de Silva, nell'introduzione al nuovo rapporto Fao, «le aziende agricole a conduzione familiare producono circa l'80 per cento del cibo a livello mondiale. La loro significativa presenza e la loro produzione testimoniano che esse sono cruciali per la soluzione del problema della fame che affligge 800 milione di persone (...) e che sono una componente chiave dei sistemi alimentari sani di cui abbiamo bisogno per condurre delle vite più sane»;
    il 2015 è stato indicato dall'Onu come l'anno internazionale del suolo; è noto che esiste una stretta correlazione tra estensione della superficie agricola e sicurezza alimentare, eppure, ad esempio, in Italia il ritmo con cui si continua a perdere suolo agricolo è di 11 ettari all'ora, ovvero circa 2.000 alla settimana, 8.000 al mese. In poco meno di 20 anni si sono perduti qualcosa come due milioni di ettari coltivati, ovvero l'incredibile percentuale del 16 per cento di tutte le campagne agricole del Paese;
    la crescente sottrazione di suolo per uso agricolo rischia di incidere pesantemente sul costo dell'approvvigionamento alimentare in Italia, dove attualmente è coperto solo il fabbisogno di cibo di tre cittadini su quattro e si rendono pertanto necessarie le importazioni per coprire il restante deficit produttivo. Quindi, da una parte cresce la domanda di cibo, dall'altra diminuiscono le terre coltivate. Questa contraddizione va fermata non solo in Italia, ma in tutto il pianeta, onde evitare l'incremento della dipendenza dall'estero nel campo agroalimentare, in un contesto globale in cui le stime di Fao e Ocse parlano, per i prossimi anni, di un rallentamento della crescita produttiva mondiale, a cui si affianca però la costante crescita demografica che porterà nel 2050 a superare la soglia dei 9 miliardi di abitanti nel pianeta;
    il 31 marzo 2015, in sede di presentazione del SOER 2015, dossier di valutazione integrata dell'ambiente in Europa, Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell'Agenzia europea dell'ambiente, ha sottolineato come manchi tuttora un obiettivo europeo comune sulla tutela del suolo, per il quale si prevede un trend di deterioramento anche per i prossimi 20 anni;
    l'uso di fitosanitari in agricoltura può rappresentare un danno per la salute; secondo il recente rapporto di cancerogenicità redatto dalla Iarc, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità, il glifosato, principale componente di molti erbicidi, è stato classificato come «probabilmente cancerogeno» assieme ai due insetticidi malatione e diazinone; mentre per gli insetticidi parathion e tetrachlorvinphos (Tcvp), già proibiti o di utilizzo ristretto in molti Paesi, la classificazione è stata quella di «possibili» agenti cancerogeni;
    il consumo di alimenti di origine animale, legato al modello culturale ed economico dei Paesi industrializzati, è in continua crescita, con implicazioni sulla salute, sulla spesa sanitaria, sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare, considerato che, secondo i dati Fao, nel 2050 la popolazione arriverà oltre i 9 miliardi di persone, con il conseguente problema di raddoppiare la produzione globale di cibo, mentre le risorse sostenibili sono limitate;
    dagli anni Sessanta, infatti, l'Italia ha visto quasi triplicare i propri consumi di carne, da 31 a 87 chili nel 2011, contrariamente alle raccomandazioni delle linee guida internazionali sulla salute e alle indicazioni dell'equilibrata dieta mediterranea. Secondo l'edizione 2010 delle Dietary Guidelines for Americans, una dieta di 3400 calorie giornaliere ammette, all'anno, per non essere dannosa, un consumo massimo complessivo di carne e uova pari a 50,12 chili e di 16,2 per il pesce. I dati Fao, invece, indicano che l'Italia ha un consumo medio, rispettivamente, di 103 e di 24,6 chili annui;
    gli allevamenti, infatti, producono il 14,5 per cento delle emissioni globali di gas serra, con un'incidenza significativa sul cambiamento climatico. Per questo, secondo l’Intergovernmental panel on climate change Ipcc – solo diminuendo il consumo di cibo di origine animale a una media di 90 grammi al giorno, come raccomandato dalle linee guida mediche inglesi, si potrebbe raggiungere, dal 2030, una riduzione di 2,15 miliardi di tonnellate di anidride carbonica l'anno,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano, per:
    a) promuovere il contenimento del consumo del suolo e il riuso del suolo edificato in coerenza con gli obiettivi fissati in sede europea di un «consumo di suolo zero» nel 2050;
    b) valutare la possibilità di promuovere ogni possibile metodo alternativo all'utilizzo dei fitosanitari di sintesi, ivi inclusi quelli per il comune diserbo, anche costruendo una rete di coordinamento a livello mondiale;
    c) promuovere, in occasione di negoziati internazionali volti alla conclusione di accordi commerciali internazionali, il rispetto di elevati parametri di sicurezza umana e ambientale;
   a valutare la possibilità di intraprendere ogni utile azione, specialmente in occasione di Expo 2015, volta a promuovere un'alimentazione sana e un'agricoltura biologica e priva di organismi geneticamente modificati;
   a riservare, nell'ambito dell'esposizione, distinti spazi all'agricoltura biologica e di qualità e alla promozione di colture «ogm free»;
    a valutare la possibilità di promuovere in sede di Unione europea la ripresa dei lavori concernenti la direttiva in materia di protezione del suolo tramite tutti gli strumenti possibili, anche considerando quelli previsti dall'articolo 20, paragrafo 2, del Trattato sull'Unione europea, e dagli articoli 326-334 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
(1-00778)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate)  «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Busto, De Rosa, Mannino, Terzoni».