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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Giovedì 16 aprile 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 16 aprile 2015.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Stella Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonafede, Bonavitacola, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Catania, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, D'Ambrosio, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso de Caro, Del Grosso, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Galati, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Ginefra, Giancarlo Giorgetti, Gitti, Gozi, Guerra, La Russa, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Antonio Martino, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rossomando, Rostan, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vignaroli, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zampa, Zanetti, Zolezzi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Stella Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonafede, Bonavitacola, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Catania, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, D'Ambrosio, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso de Caro, Del Grosso, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Ferrara, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Galati, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Ginefra, Giancarlo Giorgetti, Gitti, Gozi, Guerra, La Russa, Lauricella, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Antonio Martino, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rostan, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Tofalo, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vignaroli, Villecco Calipari, Vitelli, Vito, Zampa, Zanetti, Zolezzi.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 15 aprile 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   DI LELLO ed altri: «Modifica all'articolo 5 del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 127, in materia di estensione della corresponsione della somma aggiuntiva al trattamento pensionistico in favore dei soggetti aventi reddito non superiore a quattro volte il trattamento minimo» (3039);
   DI LELLO ed altri: «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, in materia di disciplina dell'applicazione delle misure di prevenzione personali nonché di estensione delle medesime ai soggetti indiziati dei delitti previsti dagli articoli 624-bis, 628 e 629 del codice penale» (3040);
   GIACHETTI: «Introduzione dell'articolo 25-bis del codice civile, in materia di redazione e pubblicità dei bilanci annuali delle fondazioni» (3041);
   ASCANI: «Disposizioni in materia di libertà di informazione, diritto di accesso e trasparenza delle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni» (3042);
   SANDRA SAVINO: «Modifiche alla legge 9 gennaio 1991, n. 19, recante norme per lo sviluppo delle attività economiche e della cooperazione internazionale della regione Friuli-Venezia Giulia, della provincia di Belluno e delle aree limitrofe» (3043);
   RICCIATTI: «Istituzione del Parco nazionale Catria, Nerone e Alpe della Luna» (3044);
   DELLA VALLE ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul progetto e sulla realizzazione dell'opera denominata “Linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione”» (3045);
   MUCCI ed altri: «Modifiche all'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e altre disposizioni in materia di regime forfetario dei contribuenti minimi e di disciplina tributaria dei lavoratori autonomi» (3046);
   SCHULLIAN: «Modifica all'articolo 169 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di sanzioni per opere illecite eseguite su beni culturali» (3047);
   TURCO ed altri: «Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di coltivazione, cessione e consumo della cannabis indica e dei suoi derivati, nonché norme per la tassazione dei derivati della cannabis indica» (3048).

  Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di una proposta di inchiesta parlamentare.

  In data 15 aprile 2015 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di inchiesta parlamentare d'iniziativa dei deputati:
   AMODDIO ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte del militare Emanuele Scieri nonché sulle pratiche di nonnismo e sulle condotte ad esso correlate in epoca antecedente e successiva alla sospensione del servizio di leva obbligatorio» (Doc. XXII, n. 46).

  Sarà stampata e distribuita.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   VIII Commissione (Ambiente):
  SEGONI ed altri: «Delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale e coordinamento della protezione civile» (2972) Parere delle Commissioni I, II, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, X, XI, XII, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   IX Commissione (Trasporti):
  SCHULLIAN ed altri: «Modifica all'articolo 201 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, concernente l'adozione di criteri e limiti per la determinazione delle spese di accertamento e di notificazione delle violazioni in materia di circolazione stradale» (3029) Parere delle Commissioni I, II e V.

   XI Commissione (Lavoro):
  PLACIDO: «Modifica all'articolo 18 della legge 12 marzo 1999, n. 68, in materia di quote di riserva per le assunzioni obbligatorie presso datori di lavoro pubblici e privati» (2021) Parere delle Commissioni I, V, X e XII;
  PLACIDO e AIRAUDO: «Modifica dell'articolo 3 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479, concernente l'ordinamento dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro» (2919) Parere delle Commissioni I e V.

   Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali):
  SCOTTO ed altri: «Istituzione del reddito minimo garantito e deleghe al Governo per il riordinamento della spesa assistenziale e della disciplina degli ammortizzatori sociali» (2933) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, IX, X, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  La Corte dei conti - Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, con lettera in data 13 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, la deliberazione n. 2/2015 del 5 marzo 2015, con la quale la Sezione stessa ha approvato la relazione sulla gestione delle autovetture di servizio da parte delle Amministrazioni dello Stato, nell'ambito delle disposizioni di riduzione del relativo numero e della pertinente spesa.

  Questo documento è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissioni dal Ministro dell'economia e delle finanze.

  Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 13 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4, comma 2-bis, della legge 26 febbraio 1987, n. 49, la relazione sull'attività di banche e fondi di sviluppo a carattere multilaterale e sulla partecipazione italiana alle risorse di detti organismi, riferita all'anno 2014 (Doc. LV, n. 3-bis).

  Questa relazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri).

  Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 14 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lettera k-bis), del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153, la relazione sull'attività svolta dalle fondazioni bancarie nell'anno 2013 (Doc. CLXXXI, n. 1).

  Questa relazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze).

Trasmissione dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con lettera in data 13 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4 della legge 11 dicembre 1984, n. 839, gli atti internazionali firmati dall'Italia i cui testi sono pervenuti al medesimo Ministero entro il 15 marzo 2015.

  Questa documentazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri).

Trasmissione di delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, in data 15 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, la delibera CIPE n. 8/2015 del 28 gennaio 2015, concernente «Accordo di partenariato per la programmazione dei fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020 - Presa d'atto».

  Questa delibera è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal Commissario di cui all'articolo 86 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

  Il Commissario di cui all'articolo 86 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, con lettera in data 1o aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, primo periodo, del decreto-legge 12 maggio 2014, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2014, n. 97, la relazione sull'attività svolta dal medesimo Commissario e sull'entità dei lavori ancora da eseguire, nonché la relativa rendicontazione contabile, aggiornata al 31 marzo 2015 (Doc. CCXIX, n. 2).

  Questa relazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente).

Annunzio di risoluzioni del Parlamento europeo.

  Il Parlamento europeo ha trasmesso il testo di venti risoluzioni approvate nella sessione dal 9 al 12 marzo 2015, che sono assegnate, ai sensi dell'articolo 125, comma 1, del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se non già assegnate alle stesse in sede primaria:
   Risoluzione legislativa relativa alla posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 96/53/CE del Consiglio che stabilisce, per taluni veicoli stradali che circolano nella Comunità, le dimensioni massime autorizzate nel traffico nazionale e internazionale e i pesi massimi autorizzati nel traffico internazionale (Doc. XII, n. 668) – alla IX Commissione (Trasporti);
   Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine (Doc. XII, n. 669) – alla VI Commissione (Finanze);
   Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento tramite carta (Doc. XII, n. 670) – alla VI Commissione (Finanze);
   Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al regime comune applicabile alle importazioni da alcuni paesi terzi (rifusione) (Doc. XII, n. 671) – alla X Commissione (Attività produttive);
   Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a determinate procedure di applicazione dell'accordo di stabilizzazione e di associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Montenegro, dall'altra (Doc. XII, n. 672 ) – alla X Commissione (Attività produttive);
   Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante apertura e modalità di gestione di alcuni contingenti tariffari dell'Unione di carni bovine di qualità pregiata, carni suine, carni di volatili, frumento (grano) e frumento segalato e crusche, stacciature e altri residui (Doc. XII, n. 673) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
   Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'importazione nell'Unione di prodotti agricoli originari della Turchia (Doc. XII, n. 674) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
   Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che sospende talune concessioni relative all'importazione nell'Unione di prodotti agricoli originari della Turchia) (Doc. XII, n. 675) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
   Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativa all'accettazione, a nome dell'Unione europea, dell'accordo modificato relativo alla creazione della commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (Doc. XII, n. 676) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sulla relazione 2014 sui progressi compiuti dal Montenegro (Doc. XII, n. 677) – alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e XIV (Politiche dell'Unione europea);
   Risoluzione sulla relazione 2014 sui progressi compiuti dall'ex Repubblica iugoslava di Macedonia (Doc. XII, n. 678) – alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e XIV (Politiche dell'Unione europea);
   Risoluzione sul semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche: analisi annuale della crescita 2015 (Doc. XII, n. 679) – alla V Commissione (Bilancio);
   Risoluzione sulla governance del mercato unico nell'ambito del semestre europeo 2015 (Doc. XII, n. 680) – alla X Commissione (Attività produttive);
   Risoluzione sull'abuso sessuale dei minori online (Doc. XII, n. 681) – alla II Commissione (Giustizia);
   Risoluzione sui recenti attentati e sequestri ad opera dell'ISIS/Da'ish in Medio Oriente, in particolare contro gli assiri (Doc. XII, n. 682) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sul Sud Sudan, compresi i recenti sequestri di minori (Doc. XII, n. 683) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sulla relazione annuale dell'alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Parlamento europeo (Doc. XII, n. 684) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sulla relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2013 e sulla politica dell'Unione europea in materia (Doc. XII, n. 685) – alla III Commissione (Affari esteri);
   Risoluzione sullo sfruttamento sostenibile della spigola (Doc. XII, n. 686) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
   Risoluzione sulle priorità dell'Unione europea per il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani nel 2015 (Doc. XII, n. 687) – alla III Commissione (Affari esteri).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

   La Commissione europea, in data 15 aprile 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta di decisione del Consiglio sulla posizione che l'Unione europea deve adottare in merito all'adozione di una decisione del comitato congiunto UE-EFTA sul transito comune e di una decisione del comitato congiunto UE-EFTA sulla semplificazione delle formalità negli scambi di merci per quanto riguarda gli inviti all'ex Repubblica iugoslava di Macedonia ad aderire a queste convenzioni (COM(2015) 152 final), corredata dai relativi allegati (COM(2015) 152 final – Annexes 1 to 2), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare, a nome dell'Unione europea, nell'ambito del comitato congiunto UE-EFTA con riguardo all'adozione di una decisione che modifica la convenzione relativa a un regime comune di transito (COM(2015) 153 final), corredata dal relativo allegato (COM(2015) 153 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (EGF/2015/000 TA 2015 – Assistenza tecnica su iniziativa della Commissione) (COM(2015) 156 final), che è assegnata in sede primaria alla XI Commissione (Lavoro).

   Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 14 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

   Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Comunicazione dell'avvio di procedure d'infrazione.

  Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei, con lettera in data 13 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 15, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, le seguenti comunicazioni concernenti l'avvio di procedure d'infrazione, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, notificate in data 9 aprile 2015, che sono trasmesse alle sottoindicate Commissioni, nonché alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   comunicazione relativa alla procedura d'infrazione n. 2014/2265, avviata per violazione del diritto dell'Unione europea in relazione all'attuazione del regolamento (UE) n. 996/2010 sulle inchieste e la prevenzione di incidenti e inconvenienti nel settore dell'aviazione civile – accordi preliminari – alla IX Commissione (Trasporti);
   comunicazione relativa alla procedura d'infrazione n. 2015/0144, avviata per mancato recepimento della direttiva 2008/8/CE che modifica la direttiva 2006/112/CE per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi – alla VI Commissione (Finanze);
   comunicazione relativa alla procedura d'infrazione n. 2015/0145, avviata per mancato recepimento della direttiva 2014/68/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di attrezzature a pressione (rifusione) – alla X Commissione (Attività produttive);
   comunicazione relativa alla procedura d'infrazione n. 2015/4014, avviata per violazione del diritto dell'Unione europea in relazione all'attuazione nell'ordinamento italiano della direttiva 2009/ 119/CE che stabilisce l'obbligo per gli Stati membri di mantenere un livello minimo di scorte di petrolio greggio e/o di prodotti petroliferi – alla X Commissione (Attività produttive).

Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.

  La presidenza della regione autonoma della Sardegna, con lettera in data 14 aprile 2015, ha trasmesso copia della deliberazione della giunta regionale concernente la nomina, ai sensi dell'articolo 1 della legge regionale 11 marzo 2015, n. 7, degli amministratori straordinari delle soppresse province di Olbia-Tempio, Carbonia-Iglesias, del Medio Campidano e di Ogliastra.

  Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Comunicazione di nomina ministeriale.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 14 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento al dottor Antonio Mungo, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di direttore della Direzione generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi, nell'ambito del Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia.

  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla II Commissione (Giustizia).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI DE GIROLAMO ED ALTRI N. 1-00659, CARFAGNA ED ALTRI N. 1-00791, LOMBARDI ED ALTRI N. 1-00794, NICCHI ED ALTRI N. 1-00798, ROSTELLATO ED ALTRI N. 1-00802, GIGLI ED ALTRI N. 1-00804, SBROLLINI ED ALTRI N. 1-00806, RONDINI ED ALTRI N. 1-00809, ANTIMO CESARO ED ALTRI N. 1-00812 E RAMPELLI ED ALTRI N. 1-00813 IN MATERIA DI POLITICHE A FAVORE DELLA NATALITÀ

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno della scarsa natalità in Italia ha assunto, come noto, dimensioni molto preoccupanti;
    i dati ufficiali sulle nascite dimostrano un costante calo delle stesse dal 2010 al 2013, anno in cui è stato segnato un nuovo minimo storico, essendo stati rilevati solo 510.924 nati;
    contestualmente, si assiste al progressivo inasprimento di un fenomeno connesso a quello della denatalità: il processo di invecchiamento generale della popolazione. Nell'ultimo rapporto Istat del 2014, si stima che dal 2011 al 2041 la proporzione di ultrasessantacinquenni per 100 giovani con meno di 15 anni risulterà più che raddoppiata, passando da 123 a 278 unità;
    dati particolarmente allarmanti, diffusi recentemente da notizie di stampa, dimostrano che da tale trend non è escluso, ormai, neanche il Sud Italia, ove il problema sembra assumere contorni particolarmente critici, tanto da aver fatto parlare di un vero e proprio processo di «desertificazione»;
    non vi è dubbio che i fenomeni in esame, ove trovassero conferma nei prossimi anni, rischiano di mettere in crisi la sostenibilità stessa del sistema Paese e, in particolare, del sistema di welfare, comprensivo sia del settore previdenziale e sociale che del settore sanitario;
    a causare i citati fenomeni concorrono sia fattori sociali che economici;
    per le suddette ragioni, vanno considerate con grande favore tutte le iniziative che il Governo ha già adottato e vorrà adottare per contrastare il richiamato trend della natalità, in quanto un Paese senza nascite è un Paese senza futuro;
    in particolare, tra le richiamate iniziative, assumono significativo rilievo le seguenti:
     a) previsione, nell'ambito del disegno di legge di stabilità per il 2015, della concessione di un assegno mensile di 960 euro annui per ogni nuovo nato o adottato nel periodo compreso tra il 2015 e il 2017, per le famiglie in possesso di determinati requisiti di reddito, secondo modalità attuative da individuarsi mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute. Tale misura si inserisce nell'ambito più generale delle iniziative a favore della famiglia, cui, peraltro, il medesimo disegno di legge di stabilità riserva uno stanziamento aggiuntivo di 298 milioni di euro per il 2015;
     b) istituzione, presso il Ministero della salute, di un tavolo consultivo in materia di tutela e conoscenza della fertilità e prevenzione delle cause di infertilità, al fine di fornire, allo stesso Ministero, un qualificato supporto per approfondire le tematiche in questione e per proporre adeguate soluzioni, anche normative;
     c) la costante attenzione manifestata nei confronti della complessa problematica riguardante la procreazione medicalmente assistita, anche con riferimento, nell'ultimo anno, a quella di tipo eterologo, in conseguenza della nota sentenza della Corte Costituzionale che ne ha annullato il divieto,

impegna il Governo:

   a proseguire nel percorso già intrapreso di promozione e adozione di misure a sostegno della natalità e della famiglia;
   ad avviare sin da subito le iniziative affinché sia adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante le misure attuative della norma sull'assegno per i nuovi nati o adottati;
   a valutare ogni possibile ulteriore iniziativa affinché la predetta misura dell'assegno per i nuovi nati o adottati non rimanga una iniziativa una tantum, ma si configuri, invece, come intervento permanente a favore delle famiglie e dei nuovi nati.
(1-00659) «De Girolamo, Dorina Bianchi, Pizzolante, Tancredi, Saltamartini, Misuraca, Cicchitto, Pagano, Calabrò, Roccella, Piso, Scopelliti, Bernardo, Sammarco, Vignali, Bosco, Minardo, Garofalo, Piccone».


   La Camera,
   premesso che:
    l'ultima indagine Istat del 2014 sulla situazione delle famiglie italiane registra un sistema di welfare costretto a fronteggiare numerosi elementi di criticità, anche in conseguenza della crisi economica che ha attraversato il nostro Paese. In un contesto di riduzione dei fondi destinati alle politiche sociali, da un lato, e di crescenti condizioni di disagio economico delle famiglie, dall'altro, si dipanano gli effetti delle trasformazioni demografiche e sociali, caratterizzate dall'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione e da mutamenti della struttura delle famiglie;
    in particolare, l'indagine Istat conferma quanto sia bassa la propensione ad avere figli. Mentre cresce la speranza di vita alla nascita, giunta a 79,6 anni per gli uomini e a 84,4 anni per le donne (rispettivamente superiore di 2,1 anni e 1,3 anni alla media dell'Unione europea del 2012), allo stesso tempo il nostro Paese è caratterizzato dal persistere di livelli molto bassi di fecondità, in media 1,42 figli per donna nel 2012 (media dell'Unione europea 1,58);
    sono, quindi, in calo le nascite, per la prima volta anche fra le madri straniere, che finora hanno tenuto alto il livello demografico del nostro Paese. Cinquemila neonati in meno nel 2014 rispetto al 2013. Si legge nel rapporto che il tasso di natalità è «insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale». La popolazione residente ha raggiunto i 60 milioni 808 mila residenti (compresi 5 milioni 73 mila stranieri) al 1o gennaio 2015, mentre i cittadini italiani continuano a scendere – come ormai da dieci anni – e hanno raggiunto i 55,7 milioni (-125 mila rispetto al 2013);
    la vita media in continuo aumento, da un lato, e il regime di persistente bassa fecondità, dall'altro, hanno fatto conquistare a più riprese all'Italia il primato di Paese con il più alto indice di vecchiaia del mondo: al 1o gennaio 2013 nella popolazione residente si contano 151,4 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani con meno di 15 anni;
    questa misura rappresenta il «debito demografico» contratto da un Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Trent'anni di tale evoluzione demografica consegnano un Paese profondamente trasformato nella sua struttura e nelle sue dinamiche sociali e demografiche;
    forse il dato più allarmante registrato dall'indagine Istat 2014 è il seguente: l'Italia occupa la penultima posizione tra i Paesi europei per le risorse dedicate alle famiglie, per le quali lo stanziamento ammonta al 4,8 per cento della spesa totale erogata dallo Stato. Senza voler arrivare ai dati dei Paesi del Nord Europa, è chiaro a tutti che la coincidenza tra politiche per la famiglia e politiche a favore della natalità è un nodo fondamentale che non viene affrontato da troppo tempo dal Governo italiano;
    eppure molti sarebbero i fronti sui quali agire per favorire natalità e famiglia: parole come servizi per l'infanzia, esclusione sociale, povertà minorile, abbandono scolastico, disoccupazione, non solo stanno attraversando negli ultimi anni un periodo buio senza risposte, ma di fatto scoraggiano le giovani coppie italiane a creare una famiglia;
    infatti il Governo attuale non può pensare di continuare a «vivere» di rendita su quanto fatto dai Governi precedenti per le politiche familiari. Riconoscendo che nella legge di stabilità per il 2015, all'articolo 1, comma 131, si istituisce nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo per interventi a favore della famiglia di 112 milioni di euro per il 2015, è chiaro che la carenza non risiede solo nei fondi, ma sul loro impegno e sul feedback ricevuto nell'impiego di spesa;
    anche se negli ultimi anni il sistema si era potenziato grazie al piano straordinario di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, varato nel 2007 e sostenuto con 446 milioni di euro, di cui il 42 per cento destinato alle regioni meridionali a scopo perequativo, secondo diversi osservatori, tuttavia, la spinta propulsiva di tale piano si sarebbe ormai sostanzialmente esaurita;
    manca in Italia – a oltre 40 anni dalla legge istitutiva dei nidi d'infanzia, la n. 1044 del 1971 – un quadro di riforma organica dei servizi 0-6 anni, che ne identifichi i requisiti fondamentali, mettendo al centro i diritti dei bambini alla cura e all'educazione. Come scritto dal Gruppo nazionale nidi e infanzia del 2012, «la crisi ha già colpito e rischia di colpire ulteriormente la qualità di molti servizi e anche le eccellenze rischiano seriamente di non reggere di fronte alla prospettiva di una indiscriminata caduta di attenzione politica». Mettere in crisi il sistema dei servizi per l'infanzia vuol dire mettere in crisi la donna che lavora e che, fino all'ingresso dei figli alla scuola primaria, dovrà barcamenarsi per mantenere un lavoro o, come le statistiche dicono, sarà costretta a rinunciarvi;
    gli obiettivi fissati a Lisbona prevedono che il 33 per cento dei minori al di sotto dei 3 anni di età possa usufruire del servizio di asilo nido. Dai dati risulta che in media nel nostro Paese solo il 18,7 per cento dei bambini di 0-2 anni frequenta un asilo nido pubblico o privato;
    l'offerta di asili nido e di servizi integrativi per la prima infanzia mostra ampi divari territoriali: infatti, i dati evidenziano differenze estremamente rilevanti. Tra le regioni che vedono una situazione sfavorevole in termini di percentuale di comuni coperti la Calabria spicca con il valore più basso (13 per cento). I bambini che usufruiscono di asili nido comunali o finanziati dai comuni variano dal 3,5 per cento al Sud al 17,1 per cento al Nord-Est, mentre la percentuale dei comuni che garantiscono la presenza del servizio varia dal 24,3 per cento al Sud all'82,6 per cento al Nord-Est. Le regioni del Sud in cui si osservano le percentuali più basse di bambini che usufruiscono dei servizi all'infanzia sono la Campania (1,9 per cento) e la Calabria (2,4 per cento). Spiccano, invece, i valori di questo indicatore relativo alla presa in incarico degli utenti, per l'Emilia-Romagna (24,4 per cento), la provincia autonoma di Trento (19,5 per cento) e l'Umbria (19,1). Le regioni che registrano valori più alti per l'indice di copertura del servizio sono il Friuli Venezia Giulia, l'Emilia-Romagna e la Valle d'Aosta;
    i comuni svolgono un ruolo centrale nella gestione della rete di interventi e servizi sociali sul territorio che vengono destinati al sostegno alle famiglie per i bisogni connessi alla crescita dei figli, all'assistenza agli anziani e alle persone con disabilità, o al contrasto del disagio legato alla povertà e all'emarginazione. Le capacità di spesa dei comuni, del resto, sono fortemente condizionate dai vincoli posti dal patto di stabilità interno, dalla crisi economica e dalle riduzioni dei trasferimenti statali destinati a finanziare le politiche sociali: tutti fattori ancora senza risposta;
    non solo: come evidenziato in altri atti d'indirizzo parlamentare, in Italia il sistema fiscale si ostina ad operare come se la capacità contributiva delle famiglie non fosse influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli. Investire nelle politiche familiari significa, pertanto, investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della società;
    accade poi che quanto di buono era stato fatto è, invece, smantellato dalle ultime posizioni governative. Basti pensare al seguente esempio: il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 luglio 2000, n. 156, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144, prevedeva incentivi per l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego, al fine di favorire l'ampliamento della base produttiva e occupazionale, nonché lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese. La misura è stata il principale strumento di sostegno alla realizzazione e all'avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione, per lo più giovani e donne. In attuazione del citato decreto legislativo sono stati erogati nell'arco temporale 2000-2012 incentivi per complessivi circa 4 miliardi di euro, che hanno consentito l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali, con conseguente creazione di un significativo numero di posti di lavoro per un totale di circa 180 mila nuovi occupati, oltre all'occupazione aggiuntiva creata dall'indotto di tali attività. In particolare, una percentuale significativa degli aspiranti beneficiari sono stati donne e giovani (rispettivamente il 44 per cento e il 51 per cento del totale) e non c’è un solo comune del Sud Italia da cui non risulti pervenuta almeno una domanda, con effetti enormi sull'occupazione, senza contare gli enormi benefici nell'indotto. Eppure, il Governo ha deciso di non rifinanziare la misura di autoimpiego, togliendo la possibilità a molti giovani lavoratori di aprire un'attività a sostegno della propria famiglia;
    questo sembra ancor più paradossale se si pensa che in Italia giacciono inutilizzati, dal 2007, circa 20 miliardi di euro di fondi europei destinati allo sviluppo dell'occupazione giovanile,

impegna il Governo:

   a promuovere l'implementazione delle risorse destinate al fondo nazionale delle politiche sociali, verificandone l'equa ripartizione, ponendo attenzione alla reale ricaduta che tali risorse hanno sulle famiglie, assicurando che in tutti i comuni italiani vi sia la medesima accessibilità ai servizi e realizzando una rete di monitoraggio su quanto erogato e quanto investito relativamente a ciascun ente locale;
   a realizzare un'indagine ministeriale che quantifichi puntualmente l'effettiva domanda di servizi di asili nido, in modo tale da predisporre una programmazione di nuovi posti, in funzione della richiesta effettiva e non soltanto in base al numero complessivo dei bambini;
   ad intervenire con un sistema organico di politiche economiche, al fine di escludere dal patto di stabilità gli interventi pubblici relativi al funzionamento dei servizi per la famiglia e istituire meccanismi stabili di finanziamento pubblico, che prevedano la compartecipazione dei diversi livelli di governo alla spesa per i servizi per l'infanzia e per le scuole dell'infanzia.
(1-00791) «Carfagna, Centemero, Palese, Prestigiacomo, Milanato, Calabria, Polverini».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'ultimo rapporto del Censis, l'Italia ha un tasso di natalità tra i più bassi d'Europa, pari a 9,0 per mille abitanti;
    nell'anno 2013 il tasso di natalità è difatti sceso all'8,5 per cento, registrando il minimo storico: 514.308;
    la scarsa natalità e il relativo declino demografico che ne consegue sono il nemico occulto, ancora troppo sottovalutato, della sostenibilità del welfare futuro;
    dal 1995 fino al 2008 la crescita della natalità si è per gran parte realizzata grazie ai flussi migratori (aumento del numero di donne fertili e propensione culturale favorevole alla famiglia con figli);
    dopo il 2008, anche l'apporto derivante dalle migrazioni si è attualmente attenuato, poiché l'età media delle donne migranti in età fertile si è spostata nella fascia di età 30-40 anni, contro quella di 20-30 degli anni scorsi;
    sono diversi i fattori che hanno determinato la denatalità, in particolare la diminuzione delle donne fertili italiane dopo la progressiva uscita dalla fase riproduttiva delle baby-boomer, che hanno rinviato la maternità ad un'età più matura;
    la sfavorevole congiuntura economica evidenzia come rispetto a vent'anni fa la donna oggi lavori per necessità, e l'impossibilità di sostenere la propria famiglia, basandosi su un solo reddito, rimanda di fatto il più possibile il momento di una gravidanza, anche per allontanare il rischio di perdere il posto di lavoro;
    la crisi economica ha fissato la tendenza dei giovani di spostare in avanti la maternità, dovuta a una procrastinazione generale dei momenti di passaggio alla vita adulta: uscita dalla casa dei genitori, indipendenza, ingresso nel mondo del lavoro, autonomia economica e decisione di costruire una propria famiglia;
    come sostenuto da diversi economisti e studiosi, la famiglia costituisce «il primo generatore di esternalità sociali positive», configurandosi, in tale visione, come ammortizzatore sociale, generatore di capitale umano e soggetto economico;
    la famiglia è un «ammortizzatore sociale», perché da una parte «riequilibra» la distribuzione del reddito dal livello individuale a livello familiare dei proprio membri, coinvolgendo la catena generazionale e garantendo quel livello minimo di coesione sociale al proprio interno; dall'altra, funge da sistema di protezione per i soggetti più deboli, quali i minori, i disabili, i malati e i non-autosufficienti, in quanto in Italia è la famiglia stessa che tutela, durante tutte le fasi del ciclo di vita, i propri componenti e svolge, integrandosi con i sistemi di welfare, molte delle funzioni di assistenza e cura;
    nella sua qualità di «generatore di capitale umano», la famiglia rappresenta una fonte di reddito ed elemento necessario per il ricambio generazionale, poiché essa è promotrice, insieme al sistema educativo e formativo e al contesto sociale, del trasferimento di conoscenza ed esperienza per le nuove generazioni, costituendo un nodo fondamentale per il passaggio alla vita adulta, l'inserimento nel modo del lavoro e l'integrazione nella comunità;
    la famiglia è un «soggetto economico» dotato di una propria autonomia, il cui nucleo influenza decisioni di consumo, acquisto ed investimento;
    conseguentemente, in tale contesto, le politiche di sostegno alle famiglie devono essere sviluppate non in maniera unicamente assistenziale, ma in seno alla collettività;
    le suddette considerazioni mostrano come sia opportuno offrire misure di sostegno della maternità e della famiglia da parte dello Stato, che contribuiscano a rendere più facile la nascita di un figlio, creando altresì pari opportunità attraverso la promozione dei diritti delle donne in ambito lavorativo, familiare e sociale;
    la legge di stabilità per il 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), all'articolo 1, commi 125 e 129, ha introdotto un «bonus di 80 euro mensili, a favore dei genitori di bambini nati o adottati tra il 1o gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017»;
    il suddetto «bonus bebé» tiene conto del reddito del nucleo familiare di appartenenza del genitore che richiede l'assegno, determinato utilizzando l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), secondo quanto stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013. Di conseguenza, la spesa messa a preventivo è valutata in 202 milioni di euro per il 2015, 607 milioni di euro per il 2016, 1,012 miliardi di euro per l'anno 2017, 1,012 miliardi per il 2018, 607 milioni di euro per il 2019 e 202 milioni di euro per il 2020;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo sarebbe più opportuno prevedere da parte del Governo investimenti concreti e permanenti, volti a sostenere appropriatamente la formazione di nuove famiglie e lo sviluppo di servizi per la prima infanzia, in armonia con i Consigli europei di Lisbona e di Barcellona che hanno indicato, tra gli obiettivi generali, la rimozione dei disincentivi alla presenza femminile nel mondo del lavoro, soprattutto attraverso lo sviluppo della rete dei servizi per la prima infanzia;
    in particolare, il dipartimento per le politiche della famiglia ed il dipartimento per le pari opportunità potrebbero avviare un progetto pilota per l'apertura o l'incentivazione di «nidi aziendali»;
    secondo il rapporto annuale dell'Istat, infatti, la distribuzione disomogenea sul territorio dei più importanti servizi alle famiglie, come gli asili nido, appare ancora evidente, nonostante gli interventi volti al riequilibrio delle disparità territoriali, finanziati nell'ambito delle politiche di coesione,

impegna il Governo:

   ad adottare tutti gli strumenti per aumentare il sostegno finanziario a favore delle famiglie a basso reddito, al fine di promuovere la natalità;
   a porre in essere tutte le iniziative, anche di carattere normativo, per istituire un «fondo statale» di garanzia sui prestiti concessi alle neo-mamme in condizioni di disagio, con reddito Isee del nucleo familiare medio-basso;
   ad adoperarsi, presso le competenti sedi europee, allo scopo di prevedere la sostanziale riduzione al 4 per cento o anche fino all'azzeramento dell'IVA sui prodotti destinati alla prima infanzia;
   ad assumere iniziative per lo stanziamento, nell'ambito del prossimo disegno di legge di stabilità, di risorse adeguate, atte a cofinanziare gli investimenti promossi dalle amministrazioni territoriali per la costruzione ovvero la riqualificazione di strutture destinate ad asili nido, da individuare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da adottare, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
   sulla scorta di un eventuale progetto pilota, ad avviare un «piano programmatico a regime», volto a definire modalità, obiettivi, tempi e risorse per garantire:
    a) la continuità e la diffusione degli obiettivi di servizio relativi all'infanzia;
    b) l'istituzione di nuovi nidi aziendali, sia presso le sedi centrali e periferiche delle pubbliche amministrazioni nazionali, singole o tra loro consorziate, sia nei comuni, sia nel settore privato (attraverso convenzioni e relativi incentivi finanziari alle aziende) anche al fine di conseguire l'obiettivo comune europeo della copertura territoriale di almeno il 33 per cento per la fornitura di servizi per l'infanzia (bambini al di sotto dei tre anni), come fissato dall'Agenda di Lisbona;
    c) l'incentivazione su tutto il territorio di servizi integrativi e innovativi, quale «il nido di famiglia», gestito dalla «tagesmutter o mamma di giorno», che accudisce ed educa presso la propria abitazione bambini da 0 a 6 anni;
    d) la definizione, di concerto con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, delle modalità e dei criteri per percorsi professionali volti all'istituzione della nuova figura professionale «tagesmutter» o «assistente materna», al fine di valorizzare il contributo delle donne alla vita economica e sociale del Paese, incentivando l'autoimprenditorialità e favorendo al contempo il sostegno alla maternità e alla conciliazione familiare;
   ad adoperarsi per attuare progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche autonomi, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, tra cui lavoro a tempo parziale reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, con priorità per i genitori che abbiano bambini fino ad otto anni di età o fino a dodici anni, in caso di affidamento o di adozione;
   a porre in essere iniziative normative volte ad estendere alle lavoratrici e ai lavoratori di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che non risultino iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria, nonché alle lavoratrici iscritte ad una delle gestioni Inps previste per i lavoratori autonomi, le tutele in materia di maternità e paternità previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
(1-00794) «Lombardi, Cominardi, Ciprini, Dall'Osso, Chimienti, Tripiedi, Grillo, Silvia Giordano, Mantero, Baroni, Lorefice, Di Vita».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'ultimo rapporto del Censis, l'Italia ha un tasso di natalità tra i più bassi d'Europa, pari a 9,0 per mille abitanti;
    nell'anno 2013 il tasso di natalità è difatti sceso all'8,5 per cento, registrando il minimo storico: 514.308;
    la scarsa natalità e il relativo declino demografico che ne consegue sono il nemico occulto, ancora troppo sottovalutato, della sostenibilità del welfare futuro;
    dal 1995 fino al 2008 la crescita della natalità si è per gran parte realizzata grazie ai flussi migratori (aumento del numero di donne fertili e propensione culturale favorevole alla famiglia con figli);
    dopo il 2008, anche l'apporto derivante dalle migrazioni si è attualmente attenuato, poiché l'età media delle donne migranti in età fertile si è spostata nella fascia di età 30-40 anni, contro quella di 20-30 degli anni scorsi;
    sono diversi i fattori che hanno determinato la denatalità, in particolare la diminuzione delle donne fertili italiane dopo la progressiva uscita dalla fase riproduttiva delle baby-boomer, che hanno rinviato la maternità ad un'età più matura;
    la sfavorevole congiuntura economica evidenzia come rispetto a vent'anni fa la donna oggi lavori per necessità, e l'impossibilità di sostenere la propria famiglia, basandosi su un solo reddito, rimanda di fatto il più possibile il momento di una gravidanza, anche per allontanare il rischio di perdere il posto di lavoro;
    la crisi economica ha fissato la tendenza dei giovani di spostare in avanti la maternità, dovuta a una procrastinazione generale dei momenti di passaggio alla vita adulta: uscita dalla casa dei genitori, indipendenza, ingresso nel mondo del lavoro, autonomia economica e decisione di costruire una propria famiglia;
    come sostenuto da diversi economisti e studiosi, la famiglia costituisce «il primo generatore di esternalità sociali positive», configurandosi, in tale visione, come ammortizzatore sociale, generatore di capitale umano e soggetto economico;
    la famiglia è un «ammortizzatore sociale», perché da una parte «riequilibra» la distribuzione del reddito dal livello individuale a livello familiare dei proprio membri, coinvolgendo la catena generazionale e garantendo quel livello minimo di coesione sociale al proprio interno; dall'altra, funge da sistema di protezione per i soggetti più deboli, quali i minori, i disabili, i malati e i non-autosufficienti, in quanto in Italia è la famiglia stessa che tutela, durante tutte le fasi del ciclo di vita, i propri componenti e svolge, integrandosi con i sistemi di welfare, molte delle funzioni di assistenza e cura;
    nella sua qualità di «generatore di capitale umano», la famiglia rappresenta una fonte di reddito ed elemento necessario per il ricambio generazionale, poiché essa è promotrice, insieme al sistema educativo e formativo e al contesto sociale, del trasferimento di conoscenza ed esperienza per le nuove generazioni, costituendo un nodo fondamentale per il passaggio alla vita adulta, l'inserimento nel modo del lavoro e l'integrazione nella comunità;
    la famiglia è un «soggetto economico» dotato di una propria autonomia, il cui nucleo influenza decisioni di consumo, acquisto ed investimento;
    conseguentemente, in tale contesto, le politiche di sostegno alle famiglie devono essere sviluppate non in maniera unicamente assistenziale, ma in seno alla collettività;
    le suddette considerazioni mostrano come sia opportuno offrire misure di sostegno della maternità e della famiglia da parte dello Stato, che contribuiscano a rendere più facile la nascita di un figlio, creando altresì pari opportunità attraverso la promozione dei diritti delle donne in ambito lavorativo, familiare e sociale;
    la legge di stabilità per il 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), all'articolo 1, commi 125 e 129, ha introdotto un «bonus di 80 euro mensili, a favore dei genitori di bambini nati o adottati tra il 1o gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017»;
    il suddetto «bonus bebé» tiene conto del reddito del nucleo familiare di appartenenza del genitore che richiede l'assegno, determinato utilizzando l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), secondo quanto stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013. Di conseguenza, la spesa messa a preventivo è valutata in 202 milioni di euro per il 2015, 607 milioni di euro per il 2016, 1,012 miliardi di euro per l'anno 2017, 1,012 miliardi per il 2018, 607 milioni di euro per il 2019 e 202 milioni di euro per il 2020;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo sarebbe più opportuno prevedere da parte del Governo investimenti concreti e permanenti, volti a sostenere appropriatamente la formazione di nuove famiglie e lo sviluppo di servizi per la prima infanzia, in armonia con i Consigli europei di Lisbona e di Barcellona che hanno indicato, tra gli obiettivi generali, la rimozione dei disincentivi alla presenza femminile nel mondo del lavoro, soprattutto attraverso lo sviluppo della rete dei servizi per la prima infanzia;
    in particolare, il dipartimento per le politiche della famiglia ed il dipartimento per le pari opportunità potrebbero avviare un progetto pilota per l'apertura o l'incentivazione di «nidi aziendali»;
    secondo il rapporto annuale dell'Istat, infatti, la distribuzione disomogenea sul territorio dei più importanti servizi alle famiglie, come gli asili nido, appare ancora evidente, nonostante gli interventi volti al riequilibrio delle disparità territoriali, finanziati nell'ambito delle politiche di coesione,

impegna il Governo:

   ad adottare tutti gli strumenti per aumentare il sostegno finanziario a favore delle famiglie a basso reddito, al fine di promuovere la natalità;
   a porre in essere tutte le iniziative, anche di carattere normativo, per istituire un «fondo statale» di garanzia sui prestiti concessi alle neo-mamme in condizioni di disagio, con reddito Isee del nucleo familiare medio-basso;
   ad adoperarsi, presso le competenti sedi europee, allo scopo di prevedere la sostanziale riduzione al 4 per cento o anche fino all'azzeramento dell'IVA sui prodotti destinati alla prima infanzia;
   ad assumere iniziative per lo stanziamento, nell'ambito del prossimo disegno di legge di stabilità, di risorse adeguate, atte a cofinanziare gli investimenti promossi dalle amministrazioni territoriali per la costruzione ovvero la riqualificazione di strutture destinate ad asili nido, da individuare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da adottare, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
   sulla scorta di un eventuale progetto pilota, ad avviare un «piano programmatico a regime», volto a definire modalità, obiettivi, tempi e risorse per garantire:
    a) la continuità e la diffusione degli obiettivi di servizio relativi all'infanzia;
    b) l'istituzione di nuovi nidi aziendali, sia presso le sedi centrali e periferiche delle pubbliche amministrazioni nazionali, singole o tra loro consorziate, sia nei comuni, sia nel settore privato (attraverso convenzioni e relativi incentivi finanziari alle aziende) anche al fine di conseguire l'obiettivo comune europeo della copertura territoriale di almeno il 33 per cento per la fornitura di servizi per l'infanzia (bambini al di sotto dei tre anni), come fissato dall'Agenda di Lisbona;
    c) l'incentivazione su tutto il territorio di servizi integrativi e innovativi, quale «il nido di famiglia», gestito dalla «tagesmutter o mamma di giorno», che accudisce ed educa presso la propria abitazione bambini da 0 a 6 anni;
    d) la definizione, di concerto con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, delle modalità e dei criteri per percorsi professionali volti all'istituzione della nuova figura professionale «tagesmutter» o «assistente materna», al fine di valorizzare il contributo delle donne alla vita economica e sociale del Paese, incentivando l'autoimprenditorialità e favorendo al contempo il sostegno alla maternità e alla conciliazione familiare;
   ad adoperarsi per attuare progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche autonomi, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, tra cui lavoro a tempo parziale reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, con priorità per i genitori che abbiano bambini fino ad otto anni di età o fino a dodici anni, in caso di affidamento o di adozione;
   a valutare l'ipotesi di porre in essere iniziative normative volte ad estendere alle lavoratrici e ai lavoratori di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che non risultino iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria, nonché alle lavoratrici iscritte ad una delle gestioni Inps previste per i lavoratori autonomi, le tutele in materia di maternità e paternità previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
(1-00794)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Lombardi, Cominardi, Ciprini, Dall'Osso, Chimienti, Tripiedi, Grillo, Silvia Giordano, Mantero, Baroni, Lorefice, Di Vita».


   La Camera,
   premesso che:
    il 12 febbraio 2015 l'Istat ha pubblicato il report sugli indicatori demografici, che evidenzia come i nuovi nati siano in costante diminuzione. Nel 2014 le nascite stimate risultano pari a 509 mila unità, circa cinquemila in meno rispetto al 2013, il livello minimo dall'Unità d'Italia. Il tasso di natalità scende dall'8,5 per mille nel 2013 all'8,4 per mille nel 2014. In media ogni donna ha 1,39 figli. La decisione di mettere al mondo dei figli viene sempre più posticipata, come documenta l'aumento dell'età media delle madri al parto, che si porta da 31 anni nel 2007 a 31,5 nel 2014;
    il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha da tempo avviato un lavoro con il supporto di un apposito gruppo di studio, per definire un ambiguo «piano nazionale sulla fertilità». Un piano accompagnato da affermazioni ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo fin troppo paternalistiche ed ideologiche. Come affermato dalla stessa Ministra Lorenzin, «i bambini devono tornare a nascere e serve educare alla maternità», dato che «il crollo demografico è un crollo non solo economico, ma anche sociale». «La decadenza» va «frenata con politiche di comunicazione, di educazione e di scelte sanitarie» e «bisogna dire con chiarezza che avere un figlio a trentacinque anni può essere un problema»;
    è di questi giorni la pubblicazione della seconda indagine del Censis sulla fertilità, nella quale si sottolinea come alla base della scarsa propensione ad avere figli vi siano motivazioni principalmente economiche (75,3 per cento). Ma le motivazioni sono anche culturali e politiche. L'ingresso delle donne nel mercato del lavoro non è stato, infatti, accompagnato da misure adeguate per la maternità. Le coppie sempre più tendono a pensare ai figli dopo i 35 anni, vale a dire proprio nel periodo in cui la fertilità di uomini e donne si riduce drasticamente, e a incidere su questo spostamento in avanti è, soprattutto, il mercato del lavoro precario;
    come ha sottolineato Concetta Maria Vaccaro, curatrice del suddetto rapporto del Censis, «non è un caso che nei Paesi del Nord Europa le donne facciano più figli, perché sono più tutelate dal welfare rispetto alla loro presenza nel mercato del lavoro. Il tasso di natalità in Italia è così basso anche perché fare figli è diventata una questione privata»;
    se il sistema del welfare si riduce sempre di più, e con esso i servizi socio-educativi, se il ruolo di cura è delegato alle madri, se non si affronta seriamente la questione dei congedi parentali, se mancano le opportunità di lavoro, è inevitabile che diventi marginale parlare di un piano nazionale della fertilità per sostenere le nascite nel nostro Paese;
    è, infatti, del tutto evidente che i principali motivi della denatalità risiedono nell'assenza di politiche organiche e attive di sostegno al lavoro femminile e a un nuovo rapporto tra lavoro e responsabilità di cura, nella carenza di opportunità e di servizi, nella carenza di strutture per l'infanzia, nonché in un quadro avvilente in fatto di welfare, con alti costi e forti disparità nell'offerta tra le diverse aree del Paese;
    il lavoro di cura grava ancora in modo preponderante sulle donne – con margini di tempo per loro stesse estremamente ristretti e con evidenti minori possibilità di occupazione e crescita professionale – spesso costrette a lasciare il proprio lavoro dopo la nascita dei figli, e in particolare con la nascita del secondo;
    le donne vogliono poter decidere di diventare madri e lavorare, malgrado i tanti ostacoli: precarietà, insufficienza dei servizi di welfare, quali strumenti di sostegno nella gestione del lavoro di cura e della vita professionale; dimissioni in bianco; mancato riconoscimento sociale della maternità e dei congedi di paternità, carenza di strutture per l'infanzia; un welfare con alti costi e forti disparità nell'offerta tra le diverse aree del Paese; assenza di politiche organiche e attive di sostegno al lavoro femminile;
    per quanto riguarda le politiche per l'infanzia – che incidono pesantemente sulla denatalità del nostro Paese – uno dei problemi strutturali dell'Italia è l'evidente carenza di strutture per l'infanzia e l'offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi. Gli asili nido comunali sembrano spesso più strutture a pagamento che statali, con costi medi che si aggirano intorno ai 300 euro mensili e tariffe in crescita rispetto agli anni passati. La distribuzione sul territorio nazionale di nidi comunali o finanziati dal comune è, peraltro, fortemente squilibrata;
    i pesanti tagli agli enti locali attuati in questi ultimi anni non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità del servizio che dei costi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
    il dossier di «Cittadinanzattiva» 2012 ha confermato in pieno le difficoltà in questo ambito: le strutture comunali su cui possono contare le famiglie superano di poco quota 3.600 e sono in grado di soddisfare circa 147 mila richieste di iscrizione. I genitori di un bambino su quattro (23,5 per cento) restano in lista d'attesa e sono costretti a rivolgersi altrove;
    di fronte a questi dati non stupisce il fatto che molte giovani donne siano spinte a rinunciare o a rinviare sine die una maternità comunque desiderata. Fa riflettere la tendenza sempre più accentuata di richiesta delle donne di congelare gli ovociti per conservare la loro fertilità nel tempo;
    riguardo alla questione delle risorse destinate alla scuola, la stessa Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha sottolineato come debba «essere dato effettivo impulso a investimenti adeguati, da destinarsi alle strutture scolastiche, necessari per garantire condizioni di sicurezza e di vivibilità agli studenti, nonché servizi scolastici che siano in linea con gli standard dei principali Paesi europei», ricordando come «l'offerta pubblica di servizi socio-educativi per la prima infanzia si caratterizza per amplissime differenze territoriali, sia in termini di spesa che di utenti. Si conferma la carenza di strutture nelle regioni del Mezzogiorno»;
    è importante sottolineare che per la copertura dei nidi il target europeo è il 33 per cento. L'Agenda di Lisbona aveva, infatti, fissato l'obiettivo dell'Unione europea del 33 per cento della copertura territoriale per la fornitura di servizi per l'infanzia entro il 2010, mentre in Italia (al di là dell'Emilia-Romagna, che risulta la prima regione, con il 28 per cento), la media nazionale si attesta intorno al 17 per cento. L'Italia è, quindi, a circa la metà dell'obiettivo stabilito dall'Agenda di Lisbona;
    il 16 dicembre 2014 la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha approvato il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile. Nel documento si legge, tra l'altro, come tra il 2011 e il 2013 siano raddoppiati i bambini poveri e «ciò si deve al fatto che nel nostro Paese non solo si investono meno risorse rispetto ad altri Paesi, ma la capacità di ridurre la povertà con le risorse destinate risulta assolutamente deficitaria». Tra le chiavi di lettura del fenomeno viene sottolineata la circostanza che i trasferimenti monetari non accompagnati da servizi adeguati sono scarsamente efficaci;
    riguardo alle politiche di sostegno al reddito e al welfare – aspetti centrali per interpretare la progressiva riduzione della natalità – è evidente come il progressivo aumento della povertà nel nostro Paese abbia inciso pesantemente sulle condizioni di vita dei cittadini. A ciò si aggiungano le scelte politiche che hanno visto in questi anni ridurre sensibilmente gli stanziamenti a favore del welfare e dei servizi destinati alle famiglie;
    la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, nel suddetto documento conclusivo, ha ricordato come, nell'ambito della spesa per le politiche sociali, gli stanziamenti statali per combattere l'impoverimento in età adolescenziale risultano sensibilmente ridotti negli ultimi anni. Se nel 2008 i fondi nazionali per il contrasto della povertà ammontavano complessivamente a 2 miliardi e mezzo di euro, nel 2013 gli stanziamenti erano scesi a 766 milioni di euro, scontando nel complesso un taglio di un miliardo e 536 milioni di euro dall'inizio della crisi;
    un intervento di sostegno al reddito e ai nuovi nati e nate è il cosiddetto «bonus bebé», introdotto dal Governo, e comunque migliorato durante l'esame parlamentare, nella legge di stabilità per il 2015, che ha previsto che per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015 fino al 2017 sia riconosciuto un assegno di 960 euro annui, purché la condizione del nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente sia in condizione economica corrispondente a un valore isee non superiore a 25 mila euro annui. Una misura che costerà complessivamente 3,642 miliardi di euro complessivi (fino al 2020);
    si è di fronte a un trasferimento monetario alle famiglie meno abbienti che decideranno nei prossimi tre anni di metter al mondo dei figli. Sotto questo aspetto si è scelto per un sostegno monetario (che costerà, come visto, oltre 3 miliardi e mezzo di euro nei prossimi cinque anni) diretto, piuttosto che in un rafforzamento dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Cosa che avrebbe consentito (al contrario del bonus) di investire nel futuro del Paese, rispondere meglio alle esigenze reali dei genitori meno abbienti e dare nuove opportunità di occupazione;
    l'esperienza di molti Paesi europei dimostra, infatti, come la politica di trasferimenti monetari diretti per favorire la natalità può avere effetti anche controproducenti rispetto alla partecipazione al lavoro, mentre effetti positivi di sostegno alla genitorialità si sono avuti grazie a un insieme di interventi coordinati – sviluppo dei servizi socio-educativi per l'infanzia (cui la legge di stabilità per il 2015 destina solo 100 milioni di euro per il 2015), sgravi fiscali, congedi genitoriali ed altro – che hanno dimostrato di far crescere sia occupazione sia fecondità;
    riguardo alle politiche del lavoro, anch'esse condizionano fortemente le scelte di genitorialità;
    nelle economie dove vi sono sistemi di welfare più sviluppati e di impianto universalistico e con buone politiche del lavoro l'integrazione delle donne nel mercato del lavoro è più elevata e maggiore è la crescita demografica;
    in un suo recente articolo su la Repubblica, Chiara Saraceno ha ricordato come, riguardo all'occupazione femminile, è aumentato molto il part time involontario, ossia non quello scelto come temporanea strategia di conciliazione tra partecipazione al mercato del lavoro e responsabilità famigliari, ma il part time imposto dalle aziende, specie nel terziario. Il basso tasso di occupazione femminile è una delle cause dell'alta incidenza di povertà nelle famiglie in Italia, per contrastare la quale occorrono politiche sia imprenditoriali sia pubbliche intelligenti e non di corto respiro. Il dato della perdita di occupazione femminile è il segnale della persistenza delle difficoltà a entrare e rimanere nel mercato del lavoro;
    l'Italia si conferma uno dei Paesi europei a più bassa occupazione femminile. E qui, la crisi mostra il suo volto nell'impoverimento dei redditi e delle opportunità e, infine, nella sempre maggiore difficoltà di determinare il proprio progetto di vita;
    è necessario adottare efficaci misure per sostenere il reddito delle famiglie con figli (comprese le famiglie di origine straniera). A tal fine, è ineludibile incentivare sempre più la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nonché favorire modalità di lavoro più flessibili per i genitori;
    è, inoltre, necessario intervenire per aumentare gli sgravi fiscali, in particolare per le micro e piccole imprese, sulle quali incidono in misura proporzionalmente maggiore i costi delle misure a favore della maternità delle lavoratrici;
    per favorire le madri lavoratrici occorre intervenire con incentivi a favore della destandardizzazione degli orari, sotto forma di orari flessibili e riduzioni volontarie temporanee o durature dell'impegno lavorativo;
    in considerazione del costo che la maternità ha in termini di salute e di dedizione totale del proprio tempo a favore dei figli, andrebbe riconosciuta a tutte le donne madri la contribuzione figurativa di almeno un anno per ogni figlio, indipendentemente dallo svolgimento di attività lavorativa al momento della gestazione, e un'ulteriore integrazione contributiva per i periodi di lavoro part time legati alla maternità;
    è attualmente all'esame della Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati lo schema di decreto legislativo attuativo della legge delega sul mercato del lavoro (cosiddetto Jobs act) in materia di revisione delle misure volte a tutelare la maternità e a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali;
    nonostante alcuni passi avanti, le misure contenute nello schema di decreto sono ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo ancora troppo modeste anche perché legate alla scelta del Governo di introdurre solo misure a costo zero (o quasi), scelta che non può che penalizzare una strategia di sostegno alla genitorialità che ancora una volta nel nostro Paese non riesce a decollare e che mantiene ancora distante la costruzione di quel sistema integrato di welfare per la cura che allarghi le possibilità di scelta delle madri e dei padri nelle strategie di cura tra servizi pubblici, servizi di mercato e cura diretta, evitando loro di scegliere di rinunciare all'occupazione;
    un contributo a una genitorialità libera e consapevole deve, inoltre, essere garantito dalla piena attuazione delle tecniche di fecondazione eterologa e di procreazione medicalmente assistita, le cui norme sono state modificate da diverse sentenze della Corte costituzionale, e da ultimo dalla sentenza n. 162 del 9 aprile 2014;
    attualmente si assiste a una situazione di discriminazione delle coppie a seconda della regione di appartenenza;
    la modalità di erogazione delle prestazioni dal punto di vista economico è caratterizzato da poca trasparenza, opacità della condotta di molte regioni e spreco di denaro pubblico. Le maggiori criticità riguardano la mancata trasparenza del sistema e l'inappropriatezza nell'erogazione delle prestazioni sia sul piano nazionale che su quello regionale e, in particolare, nel sistema della mobilità sanitaria tra regioni;
    è, quindi, assolutamente indispensabile che l'ormai – si spera – imminente aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, previsto nel Patto per la salute 2014/2016, e che sarebbe dovuto avvenire entro la fine del 2014, preveda – come dovrebbe essere – l'introduzione, tra le nuove prestazioni, anche delle tecniche di fecondazione,

impegna il Governo:

   a implementare, di concerto con le regioni, le politiche a favore dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, con particolare riguardo alla riduzione delle attuali forti disomogeneità territoriali nell'offerta di detti servizi, anche attraverso il rifinanziamento del piano straordinario di interventi per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi previsto dalla legge n. 296 del 2006;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse assegnate al fondo per le politiche sociali e al fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza;
   nell'impiego di risorse a sostegno delle politiche volte a sostenere la natalità, con particolare riguardo ai nuclei familiari più deboli, a privilegiare il finanziamento di interventi per incrementare l'offerta di strutture e servizi socio-educativi per l'infanzia, garantendone l'attuazione e l'uniformità su tutto il territorio nazionale, rispetto a una politica di meri sussidi e trasferimenti monetari diretti;
   a prevedere un piano straordinario per il lavoro femminile, che preveda, tra l'altro:
    a) di stabilizzare e incrementare il bonus introdotto dalla legge n. 92 del 2012 per l'acquisto di servizi di baby-sitting ovvero per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati in alternativa al congedo parentale;
    b) di sostenere politiche attive e misure efficaci di sostegno alla conciliazione dei tempi di lavoro e di cura, al fine di favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;
    c) di considerare le fasi della vita dedicate alla cura, come crediti ai fini pensionistici con il riconoscimento di: contributi figurativi legati al numero dei figli o ad eventuali altri impegni di cura; integrazioni contributive per i periodi di lavoro part time per ragioni di cura; possibilità di anticipo della pensione per necessità di accudimento di persone non autosufficienti, nel quadro di una revisione del sistema pensionistico che contempli flessibilità e libertà di scelta;
    d) nell'ambito delle misure di incentivazione al ricorso da parte dei padri ai congedi parentali, opportune risorse volte ad assicurare un aumento (almeno al 60 per cento) della relativa quota indennizzata;
    e) lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie volte ad aumentare gli sgravi fiscali relativi alle misure a favore della maternità delle donne lavoratrici che sono a carico dei datori di lavoro, con particolare riguardo alle piccole e micro imprese, sulle quali i costi incidono in misura proporzionalmente maggiore;
    f) l'introduzione di incentivi per agevolare la destandardizzazione degli orari, sotto forma di orari flessibili e riduzioni volontarie temporanee o durature dell'impegno lavorativo, per favorire le madri lavoratrici;
   a prevedere più efficaci politiche tese a rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono alle donne di autodeterminarsi secondo il loro desiderio e di regolare liberamente la loro fecondità, nonché politiche che mettano al centro maggiormente il benessere della persona rispetto alla famiglia;
   a prevedere studi specifici di genere, anche riguardo agli effetti sulla fertilità e sulle malattie neo-natali prodotti dall'inquinamento e dalla contaminazione delle matrici ambientali;
   a provvedere, anche in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 9 aprile 2014, all'aggiornamento delle linee guida di cui al decreto del Ministero della salute dell'11 aprile 2008 secondo le indicazioni della medesima sentenza;
   a emanare quanto prima l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, previsto nel Patto per la salute 2014/2016, con l'inclusione, tra le nuove prestazioni, anche delle tecniche di fecondazione, anche al fine di garantire dette prestazioni in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale;
   ad assumere iniziative per estendere l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita a tutte le donne che hanno compiuto la maggiore età e in età potenzialmente fertile.
(1-00798) «Nicchi, Pannarale, Airaudo, Scotto, Costantino, Duranti, Pellegrino, Ricciatti, Placido, Franco Bordo, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Piras, Quaranta, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    il 12 febbraio 2015 l'Istat ha pubblicato il report sugli indicatori demografici, che evidenzia come i nuovi nati siano in costante diminuzione. Nel 2014 le nascite stimate risultano pari a 509 mila unità, circa cinquemila in meno rispetto al 2013, il livello minimo dall'Unità d'Italia. Il tasso di natalità scende dall'8,5 per mille nel 2013 all'8,4 per mille nel 2014. In media ogni donna ha 1,39 figli. La decisione di mettere al mondo dei figli viene sempre più posticipata, come documenta l'aumento dell'età media delle madri al parto, che si porta da 31 anni nel 2007 a 31,5 nel 2014;
    il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha da tempo avviato un lavoro con il supporto di un apposito gruppo di studio, per definire un ambiguo «piano nazionale sulla fertilità». Un piano accompagnato da affermazioni ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo fin troppo paternalistiche ed ideologiche. Come affermato dalla stessa Ministra Lorenzin, «i bambini devono tornare a nascere e serve educare alla maternità», dato che «il crollo demografico è un crollo non solo economico, ma anche sociale». «La decadenza» va «frenata con politiche di comunicazione, di educazione e di scelte sanitarie» e «bisogna dire con chiarezza che avere un figlio a trentacinque anni può essere un problema»;
    è di questi giorni la pubblicazione della seconda indagine del Censis sulla fertilità, nella quale si sottolinea come alla base della scarsa propensione ad avere figli vi siano motivazioni principalmente economiche (75,3 per cento). Ma le motivazioni sono anche culturali e politiche. L'ingresso delle donne nel mercato del lavoro non è stato, infatti, accompagnato da misure adeguate per la maternità. Le coppie sempre più tendono a pensare ai figli dopo i 35 anni, vale a dire proprio nel periodo in cui la fertilità di uomini e donne si riduce drasticamente, e a incidere su questo spostamento in avanti è, soprattutto, il mercato del lavoro precario;
    come ha sottolineato Concetta Maria Vaccaro, curatrice del suddetto rapporto del Censis, «non è un caso che nei Paesi del Nord Europa le donne facciano più figli, perché sono più tutelate dal welfare rispetto alla loro presenza nel mercato del lavoro. Il tasso di natalità in Italia è così basso anche perché fare figli è diventata una questione privata»;
    se il sistema del welfare si riduce sempre di più, e con esso i servizi socio-educativi, se il ruolo di cura è delegato alle madri, se non si affronta seriamente la questione dei congedi parentali, se mancano le opportunità di lavoro, è inevitabile che diventi marginale parlare di un piano nazionale della fertilità per sostenere le nascite nel nostro Paese;
    è, infatti, del tutto evidente che i principali motivi della denatalità risiedono nell'assenza di politiche organiche e attive di sostegno al lavoro femminile e a un nuovo rapporto tra lavoro e responsabilità di cura, nella carenza di opportunità e di servizi, nella carenza di strutture per l'infanzia, nonché in un quadro avvilente in fatto di welfare, con alti costi e forti disparità nell'offerta tra le diverse aree del Paese;
    il lavoro di cura grava ancora in modo preponderante sulle donne – con margini di tempo per loro stesse estremamente ristretti e con evidenti minori possibilità di occupazione e crescita professionale – spesso costrette a lasciare il proprio lavoro dopo la nascita dei figli, e in particolare con la nascita del secondo;
    le donne vogliono poter decidere di diventare madri e lavorare, malgrado i tanti ostacoli: precarietà, insufficienza dei servizi di welfare, quali strumenti di sostegno nella gestione del lavoro di cura e della vita professionale; dimissioni in bianco; mancato riconoscimento sociale della maternità e dei congedi di paternità, carenza di strutture per l'infanzia; un welfare con alti costi e forti disparità nell'offerta tra le diverse aree del Paese; assenza di politiche organiche e attive di sostegno al lavoro femminile;
    per quanto riguarda le politiche per l'infanzia – che incidono pesantemente sulla denatalità del nostro Paese – uno dei problemi strutturali dell'Italia è l'evidente carenza di strutture per l'infanzia e l'offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi. Gli asili nido comunali sembrano spesso più strutture a pagamento che statali, con costi medi che si aggirano intorno ai 300 euro mensili e tariffe in crescita rispetto agli anni passati. La distribuzione sul territorio nazionale di nidi comunali o finanziati dal comune è, peraltro, fortemente squilibrata;
    i pesanti tagli agli enti locali attuati in questi ultimi anni non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità del servizio che dei costi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
    il dossier di «Cittadinanzattiva» 2012 ha confermato in pieno le difficoltà in questo ambito: le strutture comunali su cui possono contare le famiglie superano di poco quota 3.600 e sono in grado di soddisfare circa 147 mila richieste di iscrizione. I genitori di un bambino su quattro (23,5 per cento) restano in lista d'attesa e sono costretti a rivolgersi altrove;
    di fronte a questi dati non stupisce il fatto che molte giovani donne siano spinte a rinunciare o a rinviare sine die una maternità comunque desiderata. Fa riflettere la tendenza sempre più accentuata di richiesta delle donne di congelare gli ovociti per conservare la loro fertilità nel tempo;
    riguardo alla questione delle risorse destinate alla scuola, la stessa Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha sottolineato come debba «essere dato effettivo impulso a investimenti adeguati, da destinarsi alle strutture scolastiche, necessari per garantire condizioni di sicurezza e di vivibilità agli studenti, nonché servizi scolastici che siano in linea con gli standard dei principali Paesi europei», ricordando come «l'offerta pubblica di servizi socio-educativi per la prima infanzia si caratterizza per amplissime differenze territoriali, sia in termini di spesa che di utenti. Si conferma la carenza di strutture nelle regioni del Mezzogiorno»;
    è importante sottolineare che per la copertura dei nidi il target europeo è il 33 per cento. L'Agenda di Lisbona aveva, infatti, fissato l'obiettivo dell'Unione europea del 33 per cento della copertura territoriale per la fornitura di servizi per l'infanzia entro il 2010, mentre in Italia (al di là dell'Emilia-Romagna, che risulta la prima regione, con il 28 per cento), la media nazionale si attesta intorno al 17 per cento. L'Italia è, quindi, a circa la metà dell'obiettivo stabilito dall'Agenda di Lisbona;
    il 16 dicembre 2014 la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha approvato il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile. Nel documento si legge, tra l'altro, come tra il 2011 e il 2013 siano raddoppiati i bambini poveri e «ciò si deve al fatto che nel nostro Paese non solo si investono meno risorse rispetto ad altri Paesi, ma la capacità di ridurre la povertà con le risorse destinate risulta assolutamente deficitaria». Tra le chiavi di lettura del fenomeno viene sottolineata la circostanza che i trasferimenti monetari non accompagnati da servizi adeguati sono scarsamente efficaci;
    riguardo alle politiche di sostegno al reddito e al welfare – aspetti centrali per interpretare la progressiva riduzione della natalità – è evidente come il progressivo aumento della povertà nel nostro Paese abbia inciso pesantemente sulle condizioni di vita dei cittadini. A ciò si aggiungano le scelte politiche che hanno visto in questi anni ridurre sensibilmente gli stanziamenti a favore del welfare e dei servizi destinati alle famiglie;
    la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, nel suddetto documento conclusivo, ha ricordato come, nell'ambito della spesa per le politiche sociali, gli stanziamenti statali per combattere l'impoverimento in età adolescenziale risultano sensibilmente ridotti negli ultimi anni. Se nel 2008 i fondi nazionali per il contrasto della povertà ammontavano complessivamente a 2 miliardi e mezzo di euro, nel 2013 gli stanziamenti erano scesi a 766 milioni di euro, scontando nel complesso un taglio di un miliardo e 536 milioni di euro dall'inizio della crisi;
    un intervento di sostegno al reddito e ai nuovi nati e nate è il cosiddetto «bonus bebé», introdotto dal Governo, e comunque migliorato durante l'esame parlamentare, nella legge di stabilità per il 2015, che ha previsto che per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015 fino al 2017 sia riconosciuto un assegno di 960 euro annui, purché la condizione del nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente sia in condizione economica corrispondente a un valore isee non superiore a 25 mila euro annui. Una misura che costerà complessivamente 3,642 miliardi di euro complessivi (fino al 2020);
    si è di fronte a un trasferimento monetario alle famiglie meno abbienti che decideranno nei prossimi tre anni di metter al mondo dei figli. Sotto questo aspetto si è scelto per un sostegno monetario (che costerà, come visto, oltre 3 miliardi e mezzo di euro nei prossimi cinque anni) diretto, piuttosto che in un rafforzamento dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Cosa che avrebbe consentito (al contrario del bonus) di investire nel futuro del Paese, rispondere meglio alle esigenze reali dei genitori meno abbienti e dare nuove opportunità di occupazione;
    l'esperienza di molti Paesi europei dimostra, infatti, come la politica di trasferimenti monetari diretti per favorire la natalità può avere effetti anche controproducenti rispetto alla partecipazione al lavoro, mentre effetti positivi di sostegno alla genitorialità si sono avuti grazie a un insieme di interventi coordinati – sviluppo dei servizi socio-educativi per l'infanzia (cui la legge di stabilità per il 2015 destina solo 100 milioni di euro per il 2015), sgravi fiscali, congedi genitoriali ed altro – che hanno dimostrato di far crescere sia occupazione sia fecondità;
    riguardo alle politiche del lavoro, anch'esse condizionano fortemente le scelte di genitorialità;
    nelle economie dove vi sono sistemi di welfare più sviluppati e di impianto universalistico e con buone politiche del lavoro l'integrazione delle donne nel mercato del lavoro è più elevata e maggiore è la crescita demografica;
    in un suo recente articolo su la Repubblica, Chiara Saraceno ha ricordato come, riguardo all'occupazione femminile, è aumentato molto il part time involontario, ossia non quello scelto come temporanea strategia di conciliazione tra partecipazione al mercato del lavoro e responsabilità famigliari, ma il part time imposto dalle aziende, specie nel terziario. Il basso tasso di occupazione femminile è una delle cause dell'alta incidenza di povertà nelle famiglie in Italia, per contrastare la quale occorrono politiche sia imprenditoriali sia pubbliche intelligenti e non di corto respiro. Il dato della perdita di occupazione femminile è il segnale della persistenza delle difficoltà a entrare e rimanere nel mercato del lavoro;
    l'Italia si conferma uno dei Paesi europei a più bassa occupazione femminile. E qui, la crisi mostra il suo volto nell'impoverimento dei redditi e delle opportunità e, infine, nella sempre maggiore difficoltà di determinare il proprio progetto di vita;
    è necessario adottare efficaci misure per sostenere il reddito delle famiglie con figli (comprese le famiglie di origine straniera). A tal fine, è ineludibile incentivare sempre più la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nonché favorire modalità di lavoro più flessibili per i genitori;
    è, inoltre, necessario intervenire per aumentare gli sgravi fiscali, in particolare per le micro e piccole imprese, sulle quali incidono in misura proporzionalmente maggiore i costi delle misure a favore della maternità delle lavoratrici;
    per favorire le madri lavoratrici occorre intervenire con incentivi a favore della destandardizzazione degli orari, sotto forma di orari flessibili e riduzioni volontarie temporanee o durature dell'impegno lavorativo;
    in considerazione del costo che la maternità ha in termini di salute e di dedizione totale del proprio tempo a favore dei figli, andrebbe riconosciuta a tutte le donne madri la contribuzione figurativa di almeno un anno per ogni figlio, indipendentemente dallo svolgimento di attività lavorativa al momento della gestazione, e un'ulteriore integrazione contributiva per i periodi di lavoro part time legati alla maternità;
    è attualmente all'esame della Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati lo schema di decreto legislativo attuativo della legge delega sul mercato del lavoro (cosiddetto Jobs act) in materia di revisione delle misure volte a tutelare la maternità e a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali;
    nonostante alcuni passi avanti, le misure contenute nello schema di decreto sono ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo ancora troppo modeste anche perché legate alla scelta del Governo di introdurre solo misure a costo zero (o quasi), scelta che non può che penalizzare una strategia di sostegno alla genitorialità che ancora una volta nel nostro Paese non riesce a decollare e che mantiene ancora distante la costruzione di quel sistema integrato di welfare per la cura che allarghi le possibilità di scelta delle madri e dei padri nelle strategie di cura tra servizi pubblici, servizi di mercato e cura diretta, evitando loro di scegliere di rinunciare all'occupazione;
    un contributo a una genitorialità libera e consapevole deve, inoltre, essere garantito dalla piena attuazione delle tecniche di fecondazione eterologa e di procreazione medicalmente assistita, le cui norme sono state modificate da diverse sentenze della Corte costituzionale, e da ultimo dalla sentenza n. 162 del 9 aprile 2014;
    attualmente si assiste a una situazione di discriminazione delle coppie a seconda della regione di appartenenza;
    la modalità di erogazione delle prestazioni dal punto di vista economico è caratterizzato da poca trasparenza, opacità della condotta di molte regioni e spreco di denaro pubblico. Le maggiori criticità riguardano la mancata trasparenza del sistema e l'inappropriatezza nell'erogazione delle prestazioni sia sul piano nazionale che su quello regionale e, in particolare, nel sistema della mobilità sanitaria tra regioni;
    è, quindi, assolutamente indispensabile che l'ormai – si spera – imminente aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, previsto nel Patto per la salute 2014/2016, e che sarebbe dovuto avvenire entro la fine del 2014, preveda – come dovrebbe essere – l'introduzione, tra le nuove prestazioni, anche delle tecniche di fecondazione,

impegna il Governo:

   a implementare, di concerto con le regioni, le politiche a favore dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, con particolare riguardo alla riduzione delle attuali forti disomogeneità territoriali nell'offerta di detti servizi, anche attraverso il rifinanziamento del piano straordinario di interventi per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi previsto dalla legge n. 296 del 2006;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse assegnate al fondo per le politiche sociali e al fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza;
   nell'impiego di risorse a sostegno delle politiche volte a sostenere la natalità, con particolare riguardo ai nuclei familiari più deboli, a privilegiare il finanziamento di interventi per incrementare l'offerta di strutture e servizi socio-educativi per l'infanzia, garantendone l'attuazione e l'uniformità su tutto il territorio nazionale, rispetto a una politica di meri sussidi e trasferimenti monetari diretti;
   a valutare l'ipotesi di fattibilità di un piano straordinario per il lavoro femminile, che preveda, tra l'altro:
    a) di stabilizzare e incrementare il bonus introdotto dalla legge n. 92 del 2012 per l'acquisto di servizi di baby-sitting ovvero per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati in alternativa al congedo parentale;
    b) di sostenere politiche attive e misure efficaci di sostegno alla conciliazione dei tempi di lavoro e di cura, al fine di favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;
    c) di considerare le fasi della vita dedicate alla cura, come crediti ai fini pensionistici con il riconoscimento di: contributi figurativi legati al numero dei figli o ad eventuali altri impegni di cura; integrazioni contributive per i periodi di lavoro part time per ragioni di cura; possibilità di anticipo della pensione per necessità di accudimento di persone non autosufficienti, nel quadro di una revisione del sistema pensionistico che contempli flessibilità e libertà di scelta;
    d) nell'ambito delle misure di incentivazione al ricorso da parte dei padri ai congedi parentali, opportune risorse volte ad assicurare un aumento (almeno al 60 per cento) della relativa quota indennizzata;
    e) lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie volte ad aumentare gli sgravi fiscali relativi alle misure a favore della maternità delle donne lavoratrici che sono a carico dei datori di lavoro, con particolare riguardo alle piccole e micro imprese, sulle quali i costi incidono in misura proporzionalmente maggiore;
    f) l'introduzione di incentivi per agevolare la destandardizzazione degli orari, sotto forma di orari flessibili e riduzioni volontarie temporanee o durature dell'impegno lavorativo, per favorire le madri lavoratrici;
   a prevedere più efficaci politiche tese a rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono alle donne di autodeterminarsi secondo il loro desiderio e di regolare liberamente la loro fecondità, nonché politiche che mettano al centro maggiormente il benessere della persona rispetto alla famiglia;
   a prevedere studi specifici di genere, anche riguardo agli effetti sulla fertilità e sulle malattie neo-natali prodotti dall'inquinamento e dalla contaminazione delle matrici ambientali;
   a provvedere, anche in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 9 aprile 2014, all'aggiornamento delle linee guida di cui al decreto del Ministero della salute dell'11 aprile 2008 secondo le indicazioni della medesima sentenza;
   a emanare quanto prima l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, previsto nel Patto per la salute 2014/2016, con l'inclusione, tra le nuove prestazioni, anche delle tecniche di fecondazione, anche al fine di garantire dette prestazioni in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale;
   ad assumere iniziative per estendere l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita a tutte le donne che hanno compiuto la maggiore età e in età potenzialmente fertile.
(1-00798)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Nicchi, Pannarale, Airaudo, Scotto, Costantino, Duranti, Pellegrino, Ricciatti, Placido, Franco Bordo, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Piras, Quaranta, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo le rilevazioni Istat sulla natalità, in Italia il trend delle nascite è sempre negativo e il nostro Paese è afflitto dal grave problema della bassa natalità secondo l'autorevole opinione dell'88,7 per cento di ginecologi, andrologi e urologi;
    nel 2011 sono nati 556.000 bambini, 6.000 in meno rispetto al 2010, e il tasso di natalità è sceso dal 9,3 per mille nel 2010 al 9,1 per mille nel 2011 ed il numero medio di figli per donna è pari ad 1,42;
    numerose sono le ragioni che sottendono al calo delle nascite, tra le quali, indubbiamente, una carenza a livello nazionale e territoriale di efficaci politiche per la famiglia e la preoccupazione della concorrenza nell'ambito lavorativo, se non addirittura del rischio di perdere il proprio posto di lavoro;
    investire per la famiglia significa investire per il futuro, per questo è fondamentale prevedere e finanziare azioni a sostegno delle gestanti ed a favore dei nuclei familiari;
    è necessario, dunque, il potenziamento di servizi di qualità per la primissima infanzia, incrementandone il numero a sostegno dell'occupazione femminile, differenziando anche le tipologie di offerta, sia sul versante degli orari (apertura-chiusura; tempo pieno-tempo parziale) che sul versante delle forme di iscrizione e frequenza;
    essenziale risulta essere l'individuazione della figura della baby-sitter: in alcuni casi, la problematica maggiore circa la natalità è dovuta al fatto che la donna non sa a chi lasciare i propri figli;
    attualmente, infatti, non vi sono albi o registri di persone competenti nella cura dei bambini, per cui la donna, se fortunata, si affida ai propri genitori quando questi ci sono, in altri casi si assenta dal lavoro: risulta, pertanto, indispensabile istituire e promuovere percorsi formativi specifici finalizzati alla creazione di figure professionali che svolgano attività di assistenza e cura di bambini, anziani, adulti malati o disabili, al fine di coadiuvare la lavoratrice, soprattutto nei periodi di malattia del figlio nei rapporti con la famiglia e permettere alla stessa di tornare con tranquillità, dopo il congedo obbligatorio, nel proprio posto di lavoro, con la previsione per le stesse famiglie di usufruire anche di sgravi contributivi e/o agevolazioni fiscali per il genitore che assuma alle proprie dipendenze baby-sitter ovvero professionisti dei servizi di cura ed assistenza alla persona;
    la dilatazione dei tempi della formazione e dell'ingresso nel mercato del lavoro e la relativa stabilizzazione professionale inducono un numero crescente di donne e di coppie a rinviare le scelte procreative, che richiedono un investimento non solo economico, ma anche di tempo molto forte ed impegnativo;
    il lavoro di cura è ancora oggi un fattore di forte depotenziamento dei diritti sociali delle donne, che risultano essere comunque penalizzate sul mercato del lavoro e discriminate in quanto potenziali madri; quindi, risulta indispensabile una revisione degli impegni economici/aziendali posti in capo ai datori di lavoro che hanno una dipendente in maternità: al giorno d'oggi, purtroppo, questa è una delle cause primarie di «non assunzione» delle donne in età fertile;
    è necessario che lo Stato si faccia carico degli ulteriori oneri dovuti dal datore di lavoro in caso di assunzione in sostituzione del personale assente per maternità, in maniera tale da permettere una sostituzione della dipendente assente in congedo obbligatorio o facoltativo, senza modificare il normale costo mensile sostenuto per la prestazione, anche prevedendo un rimborso a conguaglio dei contributi dovuti della quota eccedente il normale costo del lavoro: sicuramente un approccio di questo tipo comporterebbe una maggiore tranquillità nell'assumere una donna alle proprie dipendenze e prevedere, nel contempo, incentivi economici per i datori di lavoro che ricorrono allo strumento del telelavoro, riconoscendo, ad esempio, un rimborso totale della spesa effettuata per installazione negli ambienti domestici di strumentazioni di lavoro al fine di poter garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi parentali;
    la normativa cardine per gli interventi in favore della conciliazione tra vita professionale e vita familiare è l'articolo 9 della legge n. 53 del 2000, come modificato dall'articolo 38 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in attuazione del quale è stato poi emanato il «Regolamento recante criteri e modalità per la concessione dei contributi», di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 dicembre 2011, n. 277;
    in data 18 maggio 2011 è stato emanato l'avviso di finanziamento relativo all'anno 2011 per interventi in favore della conciliazione tra vita professionale e vita familiare, che ha stanziato 15 milioni di euro, ma poi non è stato rinnovato alcun finanziamento per gli anni successivi;
    tali stanziamenti rappresentano un valido sostegno economico ad operazioni che intendano introdurre misure flessibili e nuove forme di organizzazione del lavoro, compatibili con le esigenze e le caratteristiche dei vari contesti aziendali e con i presupposti per garantire la piena partecipazione delle donne alla vita professionale;
    per permettere un sano equilibrio tra il lavoro di cura, molto spesso prerogativa delle madri, e impegno professionale, andrebbero incentivati i servizi per l'infanzia e l'adolescenza e previsti maggiori sostegni ai costi di educazione dei figli, che prendano in considerazione non solo le spese per l'infanzia, ma anche le spese del periodo adolescenziale (scuola e libri scolastici per tutta la durata della scuola dell'obbligo);
    di grande importanza è la flessibilità dei dispositivi di congedo parentale, che dia la possibilità al soggetto richiedente di poter realmente conciliare, in date fasi del ciclo di vita, la sua presenza a casa per l'attività di cura con il lavoro professionale;
    importanti sono anche le agevolazioni finanziarie per le famiglie, come l'introduzione di un modello di assegno familiare unico (complessivo e personalizzato) che segua il complesso delle esigenze di cura espresse dalla famiglia e che permetta al titolare l'accesso a servizi di cura per l'infanzia e per i membri della famiglia in stato di non autosufficienza temporanea o permanente, oltre che per l'acquisto di prestazioni accessorie utili alla famiglia per fronteggiare esigenze di carattere quotidiano;
    fondamentale è, poi, l'incremento dei servizi aziendali per l'infanzia: nidi aziendali, nidi misti azienda-territorio, colonie estive, strutture di accoglienza per i figli in situazioni di emergenza, doposcuola attrezzati, buoni per baby-sitter (in particolare per chi fa lavoro notturno o per malattia del figlio), voucher familiari, voucher di cura; servizi aziendali di supporto all'attività scolastica dei figli, quali l'organizzazione del trasporto scolastico o l'organizzazione di centri estivi;
    la natalità può subire un incremento soltanto se si fornisce alle famiglie una rete di servizi e di strutture efficiente e diretta ad aiutare le madri che lavorano e prevedendo misure economiche che rendano conveniente per una famiglia avere un maggior numero di figli,

impegna il Governo:

   a potenziare i servizi di qualità per la primissima infanzia, incrementandone il numero a sostegno dell'occupazione femminile;
   ad incentivare i servizi per l'infanzia e l'adolescenza, prevedendo maggiori spazi per il tempo di cura e un incremento del sostegno ai costi di educazione dei figli che copra tutta la durata della scuola dell'obbligo;
   ad assumere iniziative per prevedere agevolazioni finanziarie per le famiglie che soddisfino il complesso di esigenze di cura espresse dalla famiglia, consentendo l'accesso a servizi di cura per l'infanzia e l'acquisto di prestazioni accessorie utili alla famiglia per fronteggiare esigenze di carattere quotidiano;
   a favorire, in particolare, i servizi aziendali per l'infanzia, quali nidi aziendali, nidi misti azienda-territorio, colonie estive, strutture di accoglienza per i figli in situazioni di emergenza, doposcuola attrezzati, buoni per baby-sitter (in particolare per chi fa lavoro notturno o per malattia del figlio), voucher familiari, voucher di cura; servizi aziendali di supporto all'attività scolastica dei figli;
   a valutare ogni possibile ulteriore iniziativa atta a promuovere misure efficaci a sostegno della natalità e della famiglia che rendano accessibili a tutti la costruzione e il sostentamento di un nucleo familiare e che abbiano un carattere di intervento permanente e non di una tantum a favore delle famiglie e dei nuovi nati;
   ad assumere iniziative per rivedere le disposizioni in essere riguardanti la disciplina della sostituzione di personale assente per maternità, con la previsione che sia lo Stato a farsi carico degli oneri ulteriori dovuti per la nuova assunzione in sostituzione e non il datore di lavoro;
   a prevedere iniziative normative volte ad istituire e promuovere percorsi formativi specifici finalizzati alla creazione di figure professionali che svolgano attività di assistenza e cura di bambini, anziani, adulti malati o disabili, al fine di coadiuvare la donna lavoratrice nei rapporti con la famiglia, prevedendo sgravi contributivi e/o agevolazioni fiscali per il genitore che assuma alle proprie dipendenze baby-sitter ovvero professionisti dei servizi di cura ed assistenza alla persona;
   a promuovere e sensibilizzare le imprese, anche attraverso campagne mediatiche, a ricorrere al telelavoro, prevedendo incentivi economici per i datori di lavoro che ricorrono a tale strumento e riconoscendo un rimborso totale della spesa effettuata per installazione negli ambienti domestici di strumentazioni di lavoro, al fine di poter garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi parentali.
(1-00802) «Rostellato, Bechis, Mucci, Baldassarre, Barbanti, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco, Artini».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il «Report sugli indicatori demografici 2014», pubblicato a febbraio 2015 dall'Istat, sono 509 mila le nascite nel 2014, cinquemila in meno rispetto al 2013, il livello minimo dall'Unità d'Italia, e si conferma la tendenza evidenziata negli ultimi anni che vede progressivamente dilatarsi la forbice tra nascite e decessi: da –7 mila unità nel 2007 a –25 mila unità nel 2010, fino a –86 mila nel 2013;
    nel 2014 la stima del numero medio di figli per donna è pari a 1,39, come nel 2013, che la rende ancora distante dalla media dell'Unione europea (1,58 figli nel 2012, fonte Eurostat) e insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale;
    tale dato è già comprensivo di quello più alto relativo alle donne immigrate, senza il cui contributo la natalità in Italia risulterebbe ancora più bassa;
    risultano, tuttavia, in calo anche le nascite da madri straniere, che finora avevano compensato questo squilibrio strutturale andando a riempire i «vuoti» di popolazione femminile, scendendo sotto la soglia dei 2 figli per donna e attestandosi a 1,97;
    con 1,46 figli per donna il Nord, nel suo insieme, è la ripartizione con la più alta fecondità, il Centro registra un valore di 1,36, mentre il Mezzogiorno si attesta a 1,32. Nessuna delle regioni del Mezzogiorno presenta una fecondità di livello superiore alla media nazionale;
    secondo il citato report si registra un nuovo aumento della speranza di vita alla nascita. Gli uomini oltrepassano la soglia degli ottanta anni, le donne sono ormai prossime a quella degli ottantacinque;
    al 1o gennaio 2015 l'età media della popolazione ha raggiunto i 44,4 anni. L'aumento della vita media ed il regime di persistente bassa fecondità hanno portato l'Italia ad avere un alto indice di vecchiaia: al 1o gennaio 2013 nella popolazione residente si contavano 151,4 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Tra i Paesi europei supera l'Italia solo la Germania (158), mentre la media dell'Unione europea è pari 116,6. Questa misura rappresenta il «debito demografico» contratto da un Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza;
    tra le principali cause del calo delle nascite vi sarebbe la congiuntura economica sfavorevole: rispetto a vent'anni fa la donna oggi lavora per necessità e, non potendo per le famiglie andare avanti con un solo reddito, si rimanda il più possibile il momento di una gravidanza, anche per paura di perdere l'impiego e, quando poi sembra arrivato il momento adatto, subentrano l'età avanzata e la fertilità ridotta;
    il calo della natalità negli ultimi 5 anni è in atto in quasi tutti i Paesi europei, seppur con ritmi e intensità diverse, ma nel nostro Paese gli effetti della sfavorevole congiuntura economica sulla natalità si sommano a quelli «strutturali» dovuti alle importanti modificazioni della popolazione femminile in età feconda (da 15 a 49 anni);
    a differenza di quanto avviene negli altri Paesi europei il processo di autonomia dei giovani dalle proprie famiglie avviene con tempi più lunghi e questo si riflette negativamente sul tasso di natalità;
    le difficoltà del mercato immobiliare delle abitazioni e nell'accesso ai mutui, finanziamenti ed altre obbligazioni concesse da banche contribuiscono in maniera spesso decisiva alle decisioni di rinviare il momento della gravidanza;
    manca una strategia di interventi mirati nel settore degli asili nidi e degli alloggi a favore delle coppie giovani, che negli altri Paesi europei ha indotto le donne alla scelta del secondo figlio;
    il carico di lavoro di cura continua a essere particolarmente elevato ed il mutuo sostegno tra le generazioni di madri e di figlie è diventato sempre meno agevole; inoltre, le politiche di conciliazione dei tempi di vita non hanno ancora realizzato la necessaria flessibilità organizzativa caratteristica di molti altri Paesi europei;
    la Strategia di Lisbona prevede negli asili nido un numero di posti equivalente a 33 ogni 100 bambini di età compresa tra 0-3 anni (33 per cento) entro la fine del 2010: in Italia la copertura media del servizio non raggiunge neanche la metà di quella prevista (circa il 13 per cento), con punte drammatiche in alcune regioni del Mezzogiorno, contro il 60 per cento della Danimarca, il 40 per cento dell'Irlanda ed il 29 per cento della Francia;
    i tagli ai bilanci comunali e il patto di stabilità interno limita ulteriormente una buona dotazione di asili nido sul territorio;
    l'Italia rientra nel gruppo di Paesi europei in cui lo squilibrio generazionale potrebbe mettere a dura prova il modello del welfare state. Il rischio di veder realizzata in Italia la classica situazione della piramide rovesciata, contraddistinta da una vasta popolazione di anziani che grava su una ristretta popolazione di giovani, potrà avere effetti economici disastrosi;
    indagini e studi concordano nel sostenere che interventi legislativi volti a incrementare e migliorare la diffusione dei servizi in favore dell'infanzia e dell'adolescenza, oltre ad incentivi fiscali, per un'equa politica per le famiglie, e previdenziali, per facilitare il rientro al lavoro delle donne dopo la gravidanza, sarebbero gli strumenti ideali per una politica concreta in favore della natalità;
    oltre a tali misure, l'aumento della natalità potrebbe essere ottenuto attraverso una migliore gestione della legge n. 194 del 1978 e, soprattutto, attraverso una più attiva azione di prevenzione,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte a favorire un'effettiva equità fiscale per le famiglie con figli a carico, soprattutto quelle monoreddito;
   a favorire i nuclei familiari con più di tre figli e quelli di nuova costituzione nelle politiche abitative;
   a inserire in una prossima iniziativa normativa la valutazione di impatto familiare;
   a valutare tutte le misure idonee a prevenire il conflitto esistente tra lavoro e maternità, agevolando il lavoro di cura dei genitori, soprattutto nei primi anni di vita dei figli;
   a dare piena e concreta applicazione all'articolo 16 («Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari») della legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali n. 328 del 2000, al fine di sostenere la genitorialità con una moderna rete di servizi tesi ad incrementare la natalità responsabile;
   a rendere più efficaci gli strumenti per la prevenzione dell'aborto attraverso l'offerta di sostegno, anche economico, alle gestanti in difficoltà previsti dall'articolo 2, lettere b), c) e d), della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria della gravidanza, promuovendo, inoltre, campagne di informazione sul parto in anonimato e sulle culle termiche presenti già in molti ospedali italiani, al fine di ridurre il rischio di infanticidio;
   ad assumere iniziative per trasformare i consultori familiari in efficaci strumenti di aiuto alle gestanti in difficoltà;
   a promuovere una revisione e semplificazione delle procedure di adottabilità e ad assumere iniziative a favore delle famiglie disponibili ad accogliere e adottare bambini senza famiglia;
   a promuovere una capillare campagna di informazione per prevenire le cause della diffusione di malattie, sempre più frequenti, che possano determinare interruzioni di gravidanza e infertilità.
(1-00804) «Gigli, Sberna, Capelli, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il «Report sugli indicatori demografici 2014», pubblicato a febbraio 2015 dall'Istat, sono 509 mila le nascite nel 2014, cinquemila in meno rispetto al 2013, il livello minimo dall'Unità d'Italia, e si conferma la tendenza evidenziata negli ultimi anni che vede progressivamente dilatarsi la forbice tra nascite e decessi: da –7 mila unità nel 2007 a –25 mila unità nel 2010, fino a –86 mila nel 2013;
    nel 2014 la stima del numero medio di figli per donna è pari a 1,39, come nel 2013, che la rende ancora distante dalla media dell'Unione europea (1,58 figli nel 2012, fonte Eurostat) e insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale;
    tale dato è già comprensivo di quello più alto relativo alle donne immigrate, senza il cui contributo la natalità in Italia risulterebbe ancora più bassa;
    risultano, tuttavia, in calo anche le nascite da madri straniere, che finora avevano compensato questo squilibrio strutturale andando a riempire i «vuoti» di popolazione femminile, scendendo sotto la soglia dei 2 figli per donna e attestandosi a 1,97;
    con 1,46 figli per donna il Nord, nel suo insieme, è la ripartizione con la più alta fecondità, il Centro registra un valore di 1,36, mentre il Mezzogiorno si attesta a 1,32. Nessuna delle regioni del Mezzogiorno presenta una fecondità di livello superiore alla media nazionale;
    secondo il citato report si registra un nuovo aumento della speranza di vita alla nascita. Gli uomini oltrepassano la soglia degli ottanta anni, le donne sono ormai prossime a quella degli ottantacinque;
    al 1o gennaio 2015 l'età media della popolazione ha raggiunto i 44,4 anni. L'aumento della vita media ed il regime di persistente bassa fecondità hanno portato l'Italia ad avere un alto indice di vecchiaia: al 1o gennaio 2013 nella popolazione residente si contavano 151,4 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Tra i Paesi europei supera l'Italia solo la Germania (158), mentre la media dell'Unione europea è pari 116,6. Questa misura rappresenta il «debito demografico» contratto da un Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza;
    tra le principali cause del calo delle nascite vi sarebbe la congiuntura economica sfavorevole: rispetto a vent'anni fa la donna oggi lavora per necessità e, non potendo per le famiglie andare avanti con un solo reddito, si rimanda il più possibile il momento di una gravidanza, anche per paura di perdere l'impiego e, quando poi sembra arrivato il momento adatto, subentrano l'età avanzata e la fertilità ridotta;
    il calo della natalità negli ultimi 5 anni è in atto in quasi tutti i Paesi europei, seppur con ritmi e intensità diverse, ma nel nostro Paese gli effetti della sfavorevole congiuntura economica sulla natalità si sommano a quelli «strutturali» dovuti alle importanti modificazioni della popolazione femminile in età feconda (da 15 a 49 anni);
    a differenza di quanto avviene negli altri Paesi europei il processo di autonomia dei giovani dalle proprie famiglie avviene con tempi più lunghi e questo si riflette negativamente sul tasso di natalità;
    le difficoltà del mercato immobiliare delle abitazioni e nell'accesso ai mutui, finanziamenti ed altre obbligazioni concesse da banche contribuiscono in maniera spesso decisiva alle decisioni di rinviare il momento della gravidanza;
    manca una strategia di interventi mirati nel settore degli asili nidi e degli alloggi a favore delle coppie giovani, che negli altri Paesi europei ha indotto le donne alla scelta del secondo figlio;
    il carico di lavoro di cura continua a essere particolarmente elevato ed il mutuo sostegno tra le generazioni di madri e di figlie è diventato sempre meno agevole; inoltre, le politiche di conciliazione dei tempi di vita non hanno ancora realizzato la necessaria flessibilità organizzativa caratteristica di molti altri Paesi europei;
    la Strategia di Lisbona prevede negli asili nido un numero di posti equivalente a 33 ogni 100 bambini di età compresa tra 0-3 anni (33 per cento) entro la fine del 2010: in Italia la copertura media del servizio non raggiunge neanche la metà di quella prevista (circa il 13 per cento), con punte drammatiche in alcune regioni del Mezzogiorno, contro il 60 per cento della Danimarca, il 40 per cento dell'Irlanda ed il 29 per cento della Francia;
    i tagli ai bilanci comunali e il patto di stabilità interno limita ulteriormente una buona dotazione di asili nido sul territorio;
    l'Italia rientra nel gruppo di Paesi europei in cui lo squilibrio generazionale potrebbe mettere a dura prova il modello del welfare state. Il rischio di veder realizzata in Italia la classica situazione della piramide rovesciata, contraddistinta da una vasta popolazione di anziani che grava su una ristretta popolazione di giovani, potrà avere effetti economici disastrosi;
    indagini e studi concordano nel sostenere che interventi legislativi volti a incrementare e migliorare la diffusione dei servizi in favore dell'infanzia e dell'adolescenza, oltre ad incentivi fiscali, per un'equa politica per le famiglie, e previdenziali, per facilitare il rientro al lavoro delle donne dopo la gravidanza, sarebbero gli strumenti ideali per una politica concreta in favore della natalità;
    oltre a tali misure, l'aumento della natalità potrebbe essere ottenuto attraverso una migliore gestione della legge n. 194 del 1978 e, soprattutto, attraverso una più attiva azione di prevenzione,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte a favorire un'effettiva equità fiscale per le famiglie con figli a carico, soprattutto quelle monoreddito;
   a favorire i nuclei familiari con più di tre figli e quelli di nuova costituzione nelle politiche abitative;
   a valutare la possibilità di inserire in una prossima iniziativa normativa la valutazione di impatto familiare;
   a valutare tutte le misure idonee a prevenire il conflitto esistente tra lavoro e maternità, agevolando il lavoro di cura dei genitori, soprattutto nei primi anni di vita dei figli;
   a dare piena e concreta applicazione all'articolo 16 («Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari») della legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali n. 328 del 2000, al fine di sostenere la genitorialità con una moderna rete di servizi tesi ad incrementare la natalità responsabile;
   a monitorare che gli strumenti previsti dall'articolo 2, lettere b), c) e d), della legge n. 194 del 1978 siano garantiti promuovendo, inoltre, campagne di informazione sul parto in anonimato e sulle culle termiche presenti già in molti ospedali italiani, al fine di ridurre il rischio di infanticidio;
   ad assumere iniziative per trasformare i consultori familiari in efficaci strumenti di aiuto alle gestanti in difficoltà;
   a promuovere una revisione e semplificazione delle procedure di adottabilità e ad assumere iniziative a favore delle famiglie disponibili ad accogliere e adottare bambini senza famiglia;
   a valutare la possibilità su basi scientifiche di promuovere una capillare campagna di informazione per prevenire le cause della diffusione di malattie, sempre più frequenti, che possano determinare interruzioni di gravidanza e infertilità.
(1-00804)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Gigli, Sberna, Capelli, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo dati Istat pubblicati a novembre 2014, nel 2013 sono stati iscritti in anagrafe per nascita 514.308 bambini, quasi 20 mila in meno rispetto al 2012, pari al 3,7 per cento in meno rispetto al 2012, mentre sono 509 mila le nascite nel 2014, cinquemila in meno rispetto al 2013, il livello minimo dall'Unità d'Italia;
    il dato conferma che è in atto una nuova fase di riduzione della natalità: oltre 62 mila nascite in meno a partire dal 2008;
    prosegue, quindi, la diminuzione della fecondità avviatasi dal 2010: nel 2013, così come nel 2014, il numero medio di figli per donna è sceso a 1,39 (rispetto a 1,46 del 2010). Per le italiane l'indicatore nel 2014 è pari a 1,31 figli per donna, per le cittadine straniere è pari a 1,97; mentre l'età media al parto sale a 31,5 anni;
    nel 2013 sono stati registrati 600.744 decessi (12 mila in meno rispetto al 2012, –2 per cento), mentre nel 2014 sono stati 597 mila, circa quattromila in meno del 2013, facendo sì che il saldo naturale, dato dalla differenza tra nati e morti, è risultato negativo per 86.436 unità nel 2013 e di circa poco più di 90 mila unità nel 2014;
    il saldo naturale della popolazione complessiva è negativo ovunque, con le sole eccezioni delle province autonome di Trento e Bolzano e della Campania;
    un significativo calo della mortalità ha determinato un ulteriore aumento della speranza di vita alla nascita, giunta a 80,2 anni per gli uomini e a 84,9 anni per le donne. Per via del processo di convergenza della sopravvivenza maschile a quella femminile, la differenza di genere è scesa a 4,7 anni;
    l'aumento dell'invecchiamento della popolazione e della vita media, da un lato, e il regime di persistente bassa fecondità, dall'altro, fanno sì che l'Italia abbia conquistato, a più riprese, il primato di Paese con il più alto indice di vecchiaia del mondo: al 1o gennaio 2013 nella popolazione residente si contano 151,4 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Tra i Paesi europei supera l'Italia solo la Germania (158), mentre la media dell'Unione europea è pari 116,6;
    questa misura rappresenta il «debito demografico» contratto da un Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Trent'anni di tale evoluzione demografica consegnano un Paese profondamente trasformato nella sua struttura e nelle sue dinamiche sociali e demografiche. Alle sfide che la globalizzazione e le crisi finanziarie impongono ai sistemi Paese, l'Italia si presenta con una struttura per età fortemente squilibrata, in termini di rapporto tra popolazione;
    la concomitanza tra la fase di crisi economica e la diminuzione delle nascite, che colpisce particolarmente la componente giovane della popolazione (ravvisabile in quasi tutti i Paesi europei), fa presumere una relazione di causa-effetto tra i due fenomeni, anche se non è possibile stabilirne con certezza il legame causale. Lo stesso è avvenuto per la diminuzione dei matrimoni, registrata proprio negli ultimi quattro anni;
    in Francia il tasso di fertilità totale supera i 2 figli per donna (Eurostat, 2013). Questo fattore viene in parte spiegato da politiche sociali per la famiglia, che storicamente hanno avuto una connotazione pro-natalità molto evidente;
    nel nostro Paese gli effetti della sfavorevole congiuntura economica sulla natalità vanno a sommarsi a quelli strutturali dovuti alle importanti modificazioni della popolazione femminile in età feconda. Con l'uscita dall'età feconda delle generazioni più numerose, si registra una progressiva riduzione delle potenziali madri, dovuta al prolungato calo delle nascite iniziato all'incirca a metà anni ’70, con effetti che si attendono ancora più rilevanti in futuro;
    alla luce di questo quadro assumono un significato rilevante le iniziative intraprese da questo Governo per incentivare le nascite, per aiutare le giovani coppie al fine di contrastare il trend negativo della natalità, quali il cosiddetto bonus bebé, assegno annuo di 960 euro erogato per ogni nuova nascita o adozione fino al 31 dicembre 2018; lo stanziamento di 100 milioni di euro per il rilancio del piano per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia; lo stanziamento di 45 milioni di euro per l'anno 2015 a favore dei nuclei familiari con un numero di figli minori pari o superiore a quattro; ed ancora gli incrementi per il fondo delle politiche sociali o per quello delle famiglia; l'emanazione del decreto legislativo a sostegno della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro di cui alla legge 14 dicembre 2014, n. 183,

impegna il Governo:

   a sostenere ed incrementare politiche attive e misure efficaci di sostegno per favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;
   a promuovere politiche sociali di sostegno alla maternità e paternità, anche attraverso l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia e, in particolare, per la fascia neo-natale e pre-scolastica, garantendone l'attuazione e l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale, confermando, altresì, il tempo pieno in ambito scolastico;
   ad assumere iniziative per dare continuità alla misura del «bonus bebé» di cui all'articolo 1, comma 125, della legge n. 190 del 2014;
   ad assumere iniziative per incrementare la quota del bilancio statale destinata alle politiche di sostegno alla famiglia;
   ad assumere iniziative volte all'introduzione di misure stabili che garantiscano il diritto alla genitorialità e, in particolare, alle madri di poter scegliere la maternità senza rinunciare al lavoro;
   a favorire e stabilizzare le politiche di conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro al fine di consentire alle lavoratrici ed ai lavoratori di conciliare le proprie responsabilità professionali con quelle familiari, di educazione e cura dei figli e a consolidare la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione famiglia-lavoro.
(1-00806) «Sbrollini, D'Incecco, Lenzi, Albini, Amato, Argentin, Becattini, Beni, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Miotto, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Fabbri».


   La Camera,
   premesso che:
    le teorie neomalthusiane, indicando nella crescita demografica il peggiore dei mali hanno condizionato pesantemente le istituzioni internazionali e le politiche dei Governi, con risultati che sono all'origine della crisi economica e che si sono rivelati devastanti per l'economia e per lo sviluppo dell'umanità. Con il verificarsi del crollo delle nascite, il prodotto interno lordo mondiale è cominciato a decrescere ed i costi fissi ad aumentare. La mancanza di giovani e la crescita percentuale di anziani e pensionati hanno fatto lievitare le spese sanitarie e quelle dei sistemi pensionistici. Per sopperire alla mancata crescita demografica, le economie avanzate hanno aumentato le tasse e incrementato i costi, praticando politiche di credito facile e a basso interesse indebitando le famiglie in maniera vertiginosa. La riduzione del risparmio e la crescita del debito delle famiglie è più o meno simile in tutti i Paesi avanzati che hanno adottato politiche di decrescita demografica;
    la capacità dei genitori di investire sul futuro dei figli dipende da molti fattori, tra questi il loro stato occupazionale e di salute, il livello di istruzione raggiunto ed il sostegno nei compiti di cura che la comunità offre loro. La possibilità di disporre di competenze e risorse, non solo economiche, è essenziale, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    affiancando i dati su povertà di reddito, di lavoro e indici di deprivazione, creando quello che a livello europeo viene definito l'indice di povertà ed esclusione sociale (AROPE)3, emerge come l'Italia abbia delle percentuali più alte di minori a rischio povertà ed esclusione sociale dell'Unione europea, pari al 28 per cento, dato al di sopra di 6 punti percentuali della media europea ed inferiore soltanto a quella rilevata in alcuni nuovi Stati membri (Bulgaria, Romania, Ungheria, Lituania) o in Paesi particolarmente segnati dalla crisi finanziaria, come l'Irlanda e la Grecia;
    sono più di 1.400.000 i minori che vivono in condizione di povertà assoluta (il 13,8 per cento di tutti i minori del nostro Paese, con un aumento del 34 per cento sul totale) e circa 2.400.000 quelli che vivono in condizione di povertà relativa (il 23 per cento del totale, con un aumento di quasi 300.000 minori in 1 solo anno). I dati più drammatici riguardano il Sud e le isole, ma il peggioramento si registra in tutte le regioni ed è più marcato in relazione al numero dei figli: ad esempio, tra le famiglie con 3 o più figli, più di un terzo risulta in condizioni di povertà relativa e più di un quarto in povertà assoluta;
    questi dati allarmanti, incidenti sul destino delle nuove generazioni, incrociano le cause e gli effetti della denatalità, una realtà che rende l'Italia penultima in Europa, che frena la ripresa economica e finirà con il determinare un pesante squilibrio generazionale. Secondo il rapporto Svimez 2014, nel 2013, nel Mezzogiorno d'Italia le nascite hanno toccato il minimo storico, 177.000, il numero più basso dal 1861. Questa caduta demografica è strettamente correlata alla crisi economica e occupazionale di un'area del Paese che, tra il 2008 e il 2013, ha visto mancare 800.000 posti di lavoro con un crollo dei redditi pari al 15 per cento;
    la denatalità in Europa è ormai una emergenza, entro il 2025 i primi Paesi europei – Italia, Spagna, Germania, Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione;
    il progresso della società moderna è stato viziato dalla rinuncia a quei riferimenti valoriali che rappresentavano le fondamenta di una comunità capace di comprendere l'importanza della tutela dei propri figli quale bene primario, seminando il dubbio del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. L'accelerazione dei fenomeni di degenerazione nell'educazione sfocia, oggi giorno, in un vero e proprio allarme educativo. Sempre più in modo repentino si diffonde un pensiero unico laicista che trova sostegno anche in iniziative legislative assurde, come ad esempio quelle volte a cancellare dai documenti ufficiali i riferimenti alla madre e padre per sostituirli con surrogati asettici. Scelte dettate da quella che appare ai firmatari del presente atto di indirizzo una «idiozia» ideologica e che non possono essere sottovalutate e produrranno gravi danni nel medio lungo periodo;
    i genitori evidenziano maggiori difficoltà nell'assolvimento delle competenze di cura e di educazione dei figli, le conflittualità intraconiugali e intrafamiliari sfociano in sofferti procedimenti di separazione e di divorzio;
    è necessario affrontare in maniera sistematica la prima e più importante esigenza della famiglia: quella di esistere. L'obiettivo principale deve essere quello di incentivare la natalità attraverso una serie di strumenti che intervengano nella fascia di età più delicata del bambino (fino al compimento del terzo anno di età), delicata in termini educativi e di richieste di attenzioni e di cure, nonché per la maggiore difficoltà nella conciliazione delle esigenze familiari con quelle lavorative;
    in Italia la Costituzione ha operato una scelta assai chiara tra la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente riconosciuta dagli articoli 29 e seguenti, e altre forme di rapporto fra le persone. Tuttavia, nel nostro Paese il numero dei matrimoni risulta essere in forte diminuzione. Ci si sposa meno, ma anche più tardi. I giovani rimangono ormai per un tempo sempre maggiore a casa dei genitori, le cause sono molteplici e infatti, non sempre, si tratta di una scelta. È il fenomeno della cosiddetta «posticipazione»: tutto il ciclo di vita individuale si è infatti progressivamente spostato in avanti, con la conseguenza di aver determinato un inevitabile allungamento dei tempi che cadenzano gli eventi decisivi della vita del singolo. Si lascia più tardi la famiglia di origine, ci si sposa più tardi, si hanno figli più tardi. L'età media di chi mette al mondo il primo figlio è aumentata di circa tre anni in un ventennio e si assesta ormai sui trent'anni nelle ultime generazioni;
    il nobile desiderio dei giovani di voler contribuire al bene comune in piena autonomia e indipendenza sposandosi e mettendo al mondo dei figli si infrange dinnanzi a problematiche di difficilissima soluzione. Si deve prendere esempio dalle politiche messe in atto in questi anni in altri Paesi europei; tra tutti la Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico negativo grazie a interventi mirati a considerare la famiglia parte integrante dello Stato al centro di una politica di sicurezza sociale. Le politiche per la famiglia in Francia hanno avuto come obiettivo la ridistribuzione sia orizzontale che verticale del reddito per compensare i costi dovuti alla crescita dei figli. Nel sistema francese, infatti, le famiglie con più di un figlio ricevono contributi per la crescita dei figli e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. In Francia è previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    è doveroso garantire il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inserita in una comunità familiare, sostenere il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscere l'altissima rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità, sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovere e valorizzare la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico;
    gli italiani, se interrogati sul numero ideale dei figli, hanno lo stesso orientamento dei francesi, degli svedesi e dei tedeschi. Ma quando poi si passa dai desideri alla realtà la condizione italiana precipita rispetto a quella di gran parte dell'Europa. I motivi sono noti e di facile individuazione: la situazione economica, l'esistenza o meno di adeguati servizi sociali, i tempi della vita familiare e di quella professionale, la qualità del sistema educativo, la disponibilità di alloggi adeguati ai livelli di reddito delle giovani generazioni. Investire nelle politiche familiari significa pertanto investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società;
    è necessario conferire piena attuazione all'articolo 31 della Costituzione, il quale sancisce che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze economiche la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi (...)»;
    anche quando si affronta il problema di misure di sostegno economico alle famiglie con interventi mirati, si agisce in modo assistenzialistico e non con una politica programmata di contrasto alla denatalità. Ad esempio la misura per il sostegno economico per le famiglie (contributo per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015) introdotta nella legge di stabilità 2015, nella sua struttura e formulazione è viziata da un approccio errato al problema estendendo la misura, oltre che a tutti i cittadini italiani comunitari, anche a tutti cittadini extracomunitari. In tal modo la misura introdotta si depotenzia rispetto ai suoi reali obiettivi e si trasforma in una disposizione di natura assistenzialista. Una misura finalizzata alla crescita demografica deve essere limitata ai cittadini italiani comunitari e agli stranieri extracomunitari che abbiano dimostrato di voler attraverso un processo di integrazione progettare come scelta di vita la permanenza nel territorio del nostro Paese;
    ogni efficace politica di sostegno alla famiglia non può tuttavia prescindere da strumenti fiscali mirati e graduati. In Italia il sistema fiscale sembra ancora ritenere che la capacità contributiva delle famiglie non sia influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli, mentre di norma in Europa a parità di reddito la differenza tra chi ha e chi non ha figli a carico è consistente. Basti pensare che la differenza di imposta diretta su un reddito nominale di 30.000 euro per una famiglia con due figli e una coppia senza figli è di circa 3.500 euro in Francia, di circa 6.000 euro in Germania e di appena 1.300 euro nel nostro Paese;
    considerata l'esigenza di una maggiore equità orizzontale, appare evidente che l'introduzione di un nuovo sistema fiscale che indichi nella famiglia e non più nell'individuo l'unità impositiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) segnerebbe una sostanziale inversione di rotta per il sistema fiscale italiano;
    sono passati oltre trent'anni da quando è entrata in vigore la legge quadro n. 405 del 1975, con la quale furono istituiti i consultori familiari. Essi sono nati sotto l'influenza del dibattito sulle rivendicazioni per l'emancipazione della donna che ha caratterizzato gli anni settanta e che ha imposto all'attenzione dell'opinione pubblica la necessità di un luogo di dialogo e di informazione sulla sessualità, sulla procreazione e sulla contraccezione. Nelle intenzioni del legislatore, le attività consultoriali avrebbero dovuto offrire un vasto programma di consulenza e un servizio globale alla donna, alle coppie e ai nuclei familiari in tutti quei settori tematici legati alla coppia e alle problematiche coniugali e genitoriali, ai rapporti e ai legami interpersonali e familiari, alla procreazione responsabile. Pur ponendo l'accento sul valore storico che hanno rappresentato per la società, è doveroso riconsiderare il lavoro svolto e l'attuale ruolo dei consultori familiari nel nostro Paese, alla luce anche dei notevoli cambiamenti sopravvenuti nell'attuale contesto socio-culturale. Il consultorio ha inoltre assunto in questi anni, anche a seguito della riforma sanitaria, di cui alla legge n. 833 del 1978, e successive modificazioni, la struttura di servizio marcatamente sanitario, in cui si sono privilegiati gli interventi di tipo ginecologico e pediatrico a discapito della vocazione di ispirazione sociale. I consultori familiari devono quindi qualificarsi sempre di più, evitando una rigida settorializzazione e riduzione al pur importante ma non esclusivo ambito sanitario di competenza. Per rispondere a queste problematiche è necessario che all'interno del consultorio si rafforzino interventi di tipo sociale, psicologico e di consulenza giuridica che nella loro interazione continua possano costituire un valido riferimento per la donna e per la famiglia;
    si rende urgente, dunque, e non più procrastinabile una riforma dei consultori familiari che dimostri nei fatti una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia, fortemente impegnata nella tutela sociale della genitorialità e del concepito. Di qui l'intendimento di garantire il ruolo partecipativo delle famiglie e delle organizzazioni di volontariato a difesa della vita per l'espletamento delle attività consultoriali. Bisogna tornare a ciò che già era ben esplicitato nelle intenzioni del legislatore che nel 1975 aveva approvato la legge n. 405 (ovvero l'assistenza alla famiglia, l'educazione alla maternità e alla paternità responsabili, l'educazione per l'armonico sviluppo fisico e psichico dei figli e per la realizzazione della vita familiare), ma che nei fatti è stato residualmente attuato, complice anche la talora mera funzione burocratica dei consultori, ridotti, troppo spesso, a pura assistenza sanitaria, carenti di quelle necessarie sensibilità e competenza su problematiche sociali per le quali furono istituiti. Nei consultori familiari, non sempre viene pienamente attuato il diritto della donna di ricevere valide alternative all'aborto, poiché c’è chi sostiene che sarebbe un'ingerenza nella scelta personale, eppure proprio secondo quanto stabilito dagli articoli 2 e 5 della legge n. 194 del 1978, l'assistenza da dare alla donna in gravidanza deve essere attuata con l'informazione sui diritti spettanti alla gestante, sui servizi sociali, sanitari e assistenziali a lei riservati, sulla protezione che il mondo del lavoro deve assicurare a tutela della gestante;
    il nostro Paese è agli ultimi posti tra i Paesi dell'Unione europea per la spesa per la famiglia e l'infanzia;
    l'introduzione del federalismo fiscale, che nella sua applicazione reale fa registrare ancora un ritardo ingiustificabile, segna una netta inversione di rotta in merito alle politiche a tutela della famiglia. Questa nuova autonomia regionale e locale dovrà, infatti, essere guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi principi di delega vi è, infatti, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
    per l'ordinamento italiano si conferma quindi la opportunità di rivisitare, dentro un quadro complessivo, il favor familiae previsto dalla Costituzione;
    le formule da questo punto di vista possono essere diverse. L'imposizione a livello familiare può essere realizzata con diverse metodologie: lo splitting, il quoziente familiare o il più recente sistema denominato fattore famiglia. Il metodo che si deciderà di adottare poco conta, se la volontà sarà quella di sostenere economicamente la famiglia dando finalmente piena attuazione al disposto Costituzionale;
    gli obiettivi fissati a Lisbona prevedono che il 33 per cento dei minori al di sotto dei tre anni di età possa usufruire del servizio di asilo nido. Dai dati risulta che in media nel nostro Paese solo il 18,7 per cento dei bambini di 0-2 anni frequenta un asilo nido pubblico o privato;
    è necessario affrontare in maniera sistematica il problema della carenza su tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi (asili nido). Oggi l'offerta pubblica è di gran lunga inferiore alla domanda e in alcune città il rapporto è di un posto disponibile ogni dieci richiesti. Una realtà complessa e disomogenea e ancora molto lontana dal centrare gli obiettivi europei. La legge 6 dicembre 1971, n. 1044, che istituì i nidi comunali con la previsione di crearne 3.800 entro il 1976, ne vede ora realizzati poco più di 3.100 (e solo nel 17 per cento dei comuni): in termini di percentuale di posti disponibili rispetto all'utenza potenziale, si traduce in un misero 6 per cento a fronte del 33 per cento posto dall'agenda di Lisbona come obiettivo comunitario che si sarebbe dovuto raggiungere nel 2010. Un 6 per cento che diventa un 9,1 per cento se si considerano anche le strutture private che offrono il servizio di assistenza alla prima infanzia, con una grande sperequazione territoriale: si passa dal 16 per cento in Emilia Romagna all'1 per cento in Puglia, Calabria e Campania;
    gli asili nido comunali rientrano nella gamma dei servizi a domanda individuale resi dal comune a seguito di specifica domanda dell'utente. Nel caso degli asili nido, il livello minimo di copertura richiesta all'utente è del 50 per cento, ma le rette variano sensibilmente da comune a comune poiché la misura percentuale di copertura dei costi di tutti i servizi a domanda individuale da parte dell'utenza viene definita al momento dell'approvazione del bilancio di previsione comunale. Le rette sono determinate nel 75 per cento dei casi in base all'Isee, nel 20 per cento dei casi in base al reddito familiare e nel restante 5 per cento la retta è unica;
    si ritiene necessario un intervento che nel breve periodo possa offrire una risposta rapida alle richieste di posti nelle strutture socio-educative e per far questo è importante agire con formule nuove cercando di coniugare l'iniziativa pubblica a quella privata applicando sistemi di collegamento rapidi tra le istituzioni nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale (presso la Camera dei deputati è stata presentata una proposta di legge del gruppo parlamentare Lega Nord e Autonomie A.C. 2163 «Norme in materia di gratuità dei servizi socio-educativi per l'infanzia»);
    l'ambizioso obiettivo che si vuole realizzare punta ad introdurre un sistema territoriale gratuito di servizi socio-educativi per la prima infanzia. Tutto ciò è realizzabile concependo e istituzionalizzando l'idea di un sistema articolato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro, con l'obiettivo di creare sul territorio un'offerta flessibile e differenziata di qualità. Un particolare rilievo deve assumere la centralità della famiglia, anche attraverso le sue formazioni associative, poiché sempre più ampio devono essere il suo protagonismo, la capacità di espressione della sua libertà di scelta educativa e le forme di partecipazione che può mettere in atto, anche nelle scelte gestionali e nella verifica della qualità dei servizi;
    per la gestione dei servizi del sistema educativo integrato, la regione e gli enti locali devono riconoscere e valorizzare, fra l'altro, il ruolo delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, richiedendo loro una collaborazione alla programmazione e gestione dei servizi educativi nel relativo ambito territoriale;
    si ricorda, inoltre che il gruppo parlamentare della Camera dei deputati della Lega Nord ha presentato un'altra proposta di legge sul tema l'A.C. 426, sempre finalizzata a potenziare il sistema territoriale dei servizi socio educativi. Questa proposta a differenza della prima non va a delineare il quadro entro il quale far si che il nostro Paese si doti di nuovi strumenti finalizzati a ridisegnare l'offerta dei nidi, ma intende realizzare in tempi rapidi 1.000 nuovi asili nido senza una spesa eccessiva per l'erario pubblico. Un piano straordinario per il potenziamento dei servizi socio-educativi da definire in sede di Conferenza unificata su iniziativa del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, fondato sull'erogazione di un contributo statale ripartito per le regioni e, a cascata, per gli enti locali, finalizzato alla ristrutturazione degli immobili in disuso affinché siano utilizzati come asili nido da concedere a titolo gratuito ai privati, che si impegnano a garantire rette sociali elaborate sulla media di quelli che sono i costi dei nidi pubblici della zona territoriale e ad assumere prioritariamente lavoratori socialmente utili al fine di offrire loro una vera occupazione. La realizzazione di questo piano straordinario renderà fruibili 1.000 nuovi asili nido su una superficie totale di 200.000 metri quadrati, 28.000 nuovi posti per i bambini, 10.000 nuovi posti di lavoro, contribuendo quindi anche ad un rilancio economico e occupazionale del Paese attraverso la ricollocazione di un numero importante di lavoratori socialmente utili in scadenza e il rilancio delle aziende edili di ristrutturazione e dell'indotto ad esse collegato;
    è una priorità sviluppare la formazione di un sistema integrato di servizi, che offra sostegno al lavoro di cura dei genitori, in modo da favorirne la conciliazione tra impegni familiari e lavorativi, facilitando e sostenendo l'accesso delle donne nel mercato del lavoro, in un quadro di pari opportunità e condivisione dei compiti;
    il nostro Paese deve essere da esempio nell'elaborare una linea politica di invito alla vita e operare per garantire tutte le condizioni utili ad una crescita della società incentrata sui valori di un umanesimo diffuso. Occorre, quindi, rimodulare l'azione politica sui valori fondanti della vita e della persona umana,

impegna il Governo:

   a promuovere una politica di sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, nel riconoscimento del ruolo primario che riveste nell'educazione e nella crescita dei bambini e dei giovani adolescenti;
   a riconoscere il concepito quale componente a tutti gli effetti della famiglia;
   a non farsi promotore di iniziative volte a diffondere posizioni ideologiche che scardinano i riferimenti valoriali che appartengono, da sempre, alla tradizione culturale, sociale e religiosa del nostro Paese;
   a realizzare un'indagine amministrativa che quantifichi puntualmente l'effettiva domanda di servizi di asili nido, in modo tale da predisporre una programmazione di nuovi posti, in funzione della richiesta effettiva e non soltanto in base al numero complessivo dei bambini;
   a riconoscere, quale priorità inderogabile nell'attuazione delle linee politico-programmatiche, la realizzazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia finalizzati ad efficientare il funzionamento del servizio territoriale, la sua diversificazione, flessibilità e capillarizzazione sul territorio secondo un sistema articolato, sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro secondo i seguenti principi:
    a) gratuità dei servizi e delle prestazioni;
    b) requisito prioritario della residenza continuativa della famiglia nel territorio in cui sono richiesti i servizi e le prestazioni;
    c) partecipazione attiva della rete parentale alla definizione degli obiettivi educativi e delle scelte organizzative, nonché alla verifica della loro rispondenza ai bisogni quotidiani delle famiglie e della qualità dei servizi resi;
   a promuovere l'incremento delle risorse destinate al fondo nazionale delle politiche sociali, verificandone, inoltre, l'equa ripartizione e garantendo che in tutte le città italiane vi sia la medesima accessibilità ai servizi;
   ad assumere iniziative per introdurre un sistema fiscale basato sul quoziente familiare, lo splitting o il fattore famiglia;
   ad assumere iniziative per riformare i consultori familiari al fine di dimostrare nei fatti una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia tutelando il valore sociale della genitorialità e del concepito;
   a promuovere una politica finalizzata a contrastare la crisi demografica introducendo, nei futuri provvedimenti a sostegno della famiglia e della natalità, un criterio volto ad individuare i beneficiari tra i cittadini italiani comunitari e i cittadini extracomunitari che abbiano dimostrato, realmente, di volersi integrare, avendo acquisito secondo i parametri di valutazione fissati dall'accordo di integrazione di cui all'articolo 4-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, testo unico sull'immigrazione, un punteggio pari ad almeno 30 punti.
(1-00809) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    le teorie neomalthusiane, indicando nella crescita demografica il peggiore dei mali hanno condizionato pesantemente le istituzioni internazionali e le politiche dei Governi, con risultati che sono all'origine della crisi economica e che si sono rivelati devastanti per l'economia e per lo sviluppo dell'umanità. Con il verificarsi del crollo delle nascite, il prodotto interno lordo mondiale è cominciato a decrescere ed i costi fissi ad aumentare. La mancanza di giovani e la crescita percentuale di anziani e pensionati hanno fatto lievitare le spese sanitarie e quelle dei sistemi pensionistici. Per sopperire alla mancata crescita demografica, le economie avanzate hanno aumentato le tasse e incrementato i costi, praticando politiche di credito facile e a basso interesse indebitando le famiglie in maniera vertiginosa. La riduzione del risparmio e la crescita del debito delle famiglie è più o meno simile in tutti i Paesi avanzati che hanno adottato politiche di decrescita demografica;
    la capacità dei genitori di investire sul futuro dei figli dipende da molti fattori, tra questi il loro stato occupazionale e di salute, il livello di istruzione raggiunto ed il sostegno nei compiti di cura che la comunità offre loro. La possibilità di disporre di competenze e risorse, non solo economiche, è essenziale, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    affiancando i dati su povertà di reddito, di lavoro e indici di deprivazione, creando quello che a livello europeo viene definito l'indice di povertà ed esclusione sociale (AROPE)3, emerge come l'Italia abbia delle percentuali più alte di minori a rischio povertà ed esclusione sociale dell'Unione europea, pari al 28 per cento, dato al di sopra di 6 punti percentuali della media europea ed inferiore soltanto a quella rilevata in alcuni nuovi Stati membri (Bulgaria, Romania, Ungheria, Lituania) o in Paesi particolarmente segnati dalla crisi finanziaria, come l'Irlanda e la Grecia;
    sono più di 1.400.000 i minori che vivono in condizione di povertà assoluta (il 13,8 per cento di tutti i minori del nostro Paese, con un aumento del 34 per cento sul totale) e circa 2.400.000 quelli che vivono in condizione di povertà relativa (il 23 per cento del totale, con un aumento di quasi 300.000 minori in 1 solo anno). I dati più drammatici riguardano il Sud e le isole, ma il peggioramento si registra in tutte le regioni ed è più marcato in relazione al numero dei figli: ad esempio, tra le famiglie con 3 o più figli, più di un terzo risulta in condizioni di povertà relativa e più di un quarto in povertà assoluta;
    questi dati allarmanti, incidenti sul destino delle nuove generazioni, incrociano le cause e gli effetti della denatalità, una realtà che rende l'Italia penultima in Europa, che frena la ripresa economica e finirà con il determinare un pesante squilibrio generazionale. Secondo il rapporto Svimez 2014, nel 2013, nel Mezzogiorno d'Italia le nascite hanno toccato il minimo storico, 177.000, il numero più basso dal 1861. Questa caduta demografica è strettamente correlata alla crisi economica e occupazionale di un'area del Paese che, tra il 2008 e il 2013, ha visto mancare 800.000 posti di lavoro con un crollo dei redditi pari al 15 per cento;
    la denatalità in Europa è ormai una emergenza, entro il 2025 i primi Paesi europei – Italia, Spagna, Germania, Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione;
    il progresso della società moderna è stato viziato dalla rinuncia a quei riferimenti valoriali che rappresentavano le fondamenta di una comunità capace di comprendere l'importanza della tutela dei propri figli quale bene primario, seminando il dubbio del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. L'accelerazione dei fenomeni di degenerazione nell'educazione sfocia, oggi giorno, in un vero e proprio allarme educativo. Sempre più in modo repentino si diffonde un pensiero unico laicista che trova sostegno anche in iniziative legislative assurde, come ad esempio quelle volte a cancellare dai documenti ufficiali i riferimenti alla madre e padre per sostituirli con surrogati asettici. Scelte dettate da quella che appare ai firmatari del presente atto di indirizzo una «idiozia» ideologica e che non possono essere sottovalutate e produrranno gravi danni nel medio lungo periodo;
    i genitori evidenziano maggiori difficoltà nell'assolvimento delle competenze di cura e di educazione dei figli, le conflittualità intraconiugali e intrafamiliari sfociano in sofferti procedimenti di separazione e di divorzio;
    è necessario affrontare in maniera sistematica la prima e più importante esigenza della famiglia: quella di esistere. L'obiettivo principale deve essere quello di incentivare la natalità attraverso una serie di strumenti che intervengano nella fascia di età più delicata del bambino (fino al compimento del terzo anno di età), delicata in termini educativi e di richieste di attenzioni e di cure, nonché per la maggiore difficoltà nella conciliazione delle esigenze familiari con quelle lavorative;
    in Italia la Costituzione ha operato una scelta assai chiara tra la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente riconosciuta dagli articoli 29 e seguenti, e altre forme di rapporto fra le persone. Tuttavia, nel nostro Paese il numero dei matrimoni risulta essere in forte diminuzione. Ci si sposa meno, ma anche più tardi. I giovani rimangono ormai per un tempo sempre maggiore a casa dei genitori, le cause sono molteplici e infatti, non sempre, si tratta di una scelta. È il fenomeno della cosiddetta «posticipazione»: tutto il ciclo di vita individuale si è infatti progressivamente spostato in avanti, con la conseguenza di aver determinato un inevitabile allungamento dei tempi che cadenzano gli eventi decisivi della vita del singolo. Si lascia più tardi la famiglia di origine, ci si sposa più tardi, si hanno figli più tardi. L'età media di chi mette al mondo il primo figlio è aumentata di circa tre anni in un ventennio e si assesta ormai sui trent'anni nelle ultime generazioni;
    il nobile desiderio dei giovani di voler contribuire al bene comune in piena autonomia e indipendenza sposandosi e mettendo al mondo dei figli si infrange dinnanzi a problematiche di difficilissima soluzione. Si deve prendere esempio dalle politiche messe in atto in questi anni in altri Paesi europei; tra tutti la Francia, che in pochi anni è riuscita a invertire il trend demografico negativo grazie a interventi mirati a considerare la famiglia parte integrante dello Stato al centro di una politica di sicurezza sociale. Le politiche per la famiglia in Francia hanno avuto come obiettivo la ridistribuzione sia orizzontale che verticale del reddito per compensare i costi dovuti alla crescita dei figli. Nel sistema francese, infatti, le famiglie con più di un figlio ricevono contributi per la crescita dei figli e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. In Francia è previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età;
    è doveroso garantire il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inserita in una comunità familiare, sostenere il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscere l'altissima rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità, sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovere e valorizzare la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico;
    gli italiani, se interrogati sul numero ideale dei figli, hanno lo stesso orientamento dei francesi, degli svedesi e dei tedeschi. Ma quando poi si passa dai desideri alla realtà la condizione italiana precipita rispetto a quella di gran parte dell'Europa. I motivi sono noti e di facile individuazione: la situazione economica, l'esistenza o meno di adeguati servizi sociali, i tempi della vita familiare e di quella professionale, la qualità del sistema educativo, la disponibilità di alloggi adeguati ai livelli di reddito delle giovani generazioni. Investire nelle politiche familiari significa pertanto investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società;
    è necessario conferire piena attuazione all'articolo 31 della Costituzione, il quale sancisce che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze economiche la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi (...)»;
    anche quando si affronta il problema di misure di sostegno economico alle famiglie con interventi mirati, si agisce in modo assistenzialistico e non con una politica programmata di contrasto alla denatalità. Ad esempio la misura per il sostegno economico per le famiglie (contributo per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015) introdotta nella legge di stabilità 2015, nella sua struttura e formulazione è viziata da un approccio errato al problema estendendo la misura, oltre che a tutti i cittadini italiani comunitari, anche a tutti cittadini extracomunitari. In tal modo la misura introdotta si depotenzia rispetto ai suoi reali obiettivi e si trasforma in una disposizione di natura assistenzialista. Una misura finalizzata alla crescita demografica deve essere limitata ai cittadini italiani comunitari e agli stranieri extracomunitari che abbiano dimostrato di voler attraverso un processo di integrazione progettare come scelta di vita la permanenza nel territorio del nostro Paese;
    ogni efficace politica di sostegno alla famiglia non può tuttavia prescindere da strumenti fiscali mirati e graduati. In Italia il sistema fiscale sembra ancora ritenere che la capacità contributiva delle famiglie non sia influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli, mentre di norma in Europa a parità di reddito la differenza tra chi ha e chi non ha figli a carico è consistente. Basti pensare che la differenza di imposta diretta su un reddito nominale di 30.000 euro per una famiglia con due figli e una coppia senza figli è di circa 3.500 euro in Francia, di circa 6.000 euro in Germania e di appena 1.300 euro nel nostro Paese;
    considerata l'esigenza di una maggiore equità orizzontale, appare evidente che l'introduzione di un nuovo sistema fiscale che indichi nella famiglia e non più nell'individuo l'unità impositiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) segnerebbe una sostanziale inversione di rotta per il sistema fiscale italiano;
    sono passati oltre trent'anni da quando è entrata in vigore la legge quadro n. 405 del 1975, con la quale furono istituiti i consultori familiari. Essi sono nati sotto l'influenza del dibattito sulle rivendicazioni per l'emancipazione della donna che ha caratterizzato gli anni settanta e che ha imposto all'attenzione dell'opinione pubblica la necessità di un luogo di dialogo e di informazione sulla sessualità, sulla procreazione e sulla contraccezione. Nelle intenzioni del legislatore, le attività consultoriali avrebbero dovuto offrire un vasto programma di consulenza e un servizio globale alla donna, alle coppie e ai nuclei familiari in tutti quei settori tematici legati alla coppia e alle problematiche coniugali e genitoriali, ai rapporti e ai legami interpersonali e familiari, alla procreazione responsabile. Pur ponendo l'accento sul valore storico che hanno rappresentato per la società, è doveroso riconsiderare il lavoro svolto e l'attuale ruolo dei consultori familiari nel nostro Paese, alla luce anche dei notevoli cambiamenti sopravvenuti nell'attuale contesto socio-culturale. Il consultorio ha inoltre assunto in questi anni, anche a seguito della riforma sanitaria, di cui alla legge n. 833 del 1978, e successive modificazioni, la struttura di servizio marcatamente sanitario, in cui si sono privilegiati gli interventi di tipo ginecologico e pediatrico a discapito della vocazione di ispirazione sociale. I consultori familiari devono quindi qualificarsi sempre di più, evitando una rigida settorializzazione e riduzione al pur importante ma non esclusivo ambito sanitario di competenza. Per rispondere a queste problematiche è necessario che all'interno del consultorio si rafforzino interventi di tipo sociale, psicologico e di consulenza giuridica che nella loro interazione continua possano costituire un valido riferimento per la donna e per la famiglia;
    si rende urgente, dunque, e non più procrastinabile una riforma dei consultori familiari che dimostri nei fatti una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia, fortemente impegnata nella tutela sociale della genitorialità e del concepito. Di qui l'intendimento di garantire il ruolo partecipativo delle famiglie e delle organizzazioni di volontariato a difesa della vita per l'espletamento delle attività consultoriali. Bisogna tornare a ciò che già era ben esplicitato nelle intenzioni del legislatore che nel 1975 aveva approvato la legge n. 405 (ovvero l'assistenza alla famiglia, l'educazione alla maternità e alla paternità responsabili, l'educazione per l'armonico sviluppo fisico e psichico dei figli e per la realizzazione della vita familiare), ma che nei fatti è stato residualmente attuato, complice anche la talora mera funzione burocratica dei consultori, ridotti, troppo spesso, a pura assistenza sanitaria, carenti di quelle necessarie sensibilità e competenza su problematiche sociali per le quali furono istituiti. Nei consultori familiari, non sempre viene pienamente attuato il diritto della donna di ricevere valide alternative all'aborto, poiché c’è chi sostiene che sarebbe un'ingerenza nella scelta personale, eppure proprio secondo quanto stabilito dagli articoli 2 e 5 della legge n. 194 del 1978, l'assistenza da dare alla donna in gravidanza deve essere attuata con l'informazione sui diritti spettanti alla gestante, sui servizi sociali, sanitari e assistenziali a lei riservati, sulla protezione che il mondo del lavoro deve assicurare a tutela della gestante;
    il nostro Paese è agli ultimi posti tra i Paesi dell'Unione europea per la spesa per la famiglia e l'infanzia;
    l'introduzione del federalismo fiscale, che nella sua applicazione reale fa registrare ancora un ritardo ingiustificabile, segna una netta inversione di rotta in merito alle politiche a tutela della famiglia. Questa nuova autonomia regionale e locale dovrà, infatti, essere guidata in base ai principi di coordinamento che sono elencati nella legge delega. Tra questi principi di delega vi è, infatti, quello del favor familiae: «individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazione degli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, con riguardo ai diritti e alla formazione della famiglia e all'adempimento dei relativi compiti»;
    per l'ordinamento italiano si conferma quindi la opportunità di rivisitare, dentro un quadro complessivo, il favor familiae previsto dalla Costituzione;
    le formule da questo punto di vista possono essere diverse. L'imposizione a livello familiare può essere realizzata con diverse metodologie: lo splitting, il quoziente familiare o il più recente sistema denominato fattore famiglia. Il metodo che si deciderà di adottare poco conta, se la volontà sarà quella di sostenere economicamente la famiglia dando finalmente piena attuazione al disposto Costituzionale;
    gli obiettivi fissati a Lisbona prevedono che il 33 per cento dei minori al di sotto dei tre anni di età possa usufruire del servizio di asilo nido. Dai dati risulta che in media nel nostro Paese solo il 18,7 per cento dei bambini di 0-2 anni frequenta un asilo nido pubblico o privato;
    è necessario affrontare in maniera sistematica il problema della carenza su tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi (asili nido). Oggi l'offerta pubblica è di gran lunga inferiore alla domanda e in alcune città il rapporto è di un posto disponibile ogni dieci richiesti. Una realtà complessa e disomogenea e ancora molto lontana dal centrare gli obiettivi europei. La legge 6 dicembre 1971, n. 1044, che istituì i nidi comunali con la previsione di crearne 3.800 entro il 1976, ne vede ora realizzati poco più di 3.100 (e solo nel 17 per cento dei comuni): in termini di percentuale di posti disponibili rispetto all'utenza potenziale, si traduce in un misero 6 per cento a fronte del 33 per cento posto dall'agenda di Lisbona come obiettivo comunitario che si sarebbe dovuto raggiungere nel 2010. Un 6 per cento che diventa un 9,1 per cento se si considerano anche le strutture private che offrono il servizio di assistenza alla prima infanzia, con una grande sperequazione territoriale: si passa dal 16 per cento in Emilia Romagna all'1 per cento in Puglia, Calabria e Campania;
    gli asili nido comunali rientrano nella gamma dei servizi a domanda individuale resi dal comune a seguito di specifica domanda dell'utente. Nel caso degli asili nido, il livello minimo di copertura richiesta all'utente è del 50 per cento, ma le rette variano sensibilmente da comune a comune poiché la misura percentuale di copertura dei costi di tutti i servizi a domanda individuale da parte dell'utenza viene definita al momento dell'approvazione del bilancio di previsione comunale. Le rette sono determinate nel 75 per cento dei casi in base all'Isee, nel 20 per cento dei casi in base al reddito familiare e nel restante 5 per cento la retta è unica;
    si ritiene necessario un intervento che nel breve periodo possa offrire una risposta rapida alle richieste di posti nelle strutture socio-educative e per far questo è importante agire con formule nuove cercando di coniugare l'iniziativa pubblica a quella privata applicando sistemi di collegamento rapidi tra le istituzioni nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale (presso la Camera dei deputati è stata presentata una proposta di legge del gruppo parlamentare Lega Nord e Autonomie A.C. 2163 «Norme in materia di gratuità dei servizi socio-educativi per l'infanzia»);
    l'ambizioso obiettivo che si vuole realizzare punta ad introdurre un sistema territoriale gratuito di servizi socio-educativi per la prima infanzia. Tutto ciò è realizzabile concependo e istituzionalizzando l'idea di un sistema articolato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro, con l'obiettivo di creare sul territorio un'offerta flessibile e differenziata di qualità. Un particolare rilievo deve assumere la centralità della famiglia, anche attraverso le sue formazioni associative, poiché sempre più ampio devono essere il suo protagonismo, la capacità di espressione della sua libertà di scelta educativa e le forme di partecipazione che può mettere in atto, anche nelle scelte gestionali e nella verifica della qualità dei servizi;
    per la gestione dei servizi del sistema educativo integrato, la regione e gli enti locali devono riconoscere e valorizzare, fra l'altro, il ruolo delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, richiedendo loro una collaborazione alla programmazione e gestione dei servizi educativi nel relativo ambito territoriale;
    si ricorda, inoltre che il gruppo parlamentare della Camera dei deputati della Lega Nord ha presentato un'altra proposta di legge sul tema l'A.C. 426, sempre finalizzata a potenziare il sistema territoriale dei servizi socio educativi. Questa proposta a differenza della prima non va a delineare il quadro entro il quale far si che il nostro Paese si doti di nuovi strumenti finalizzati a ridisegnare l'offerta dei nidi, ma intende realizzare in tempi rapidi 1.000 nuovi asili nido senza una spesa eccessiva per l'erario pubblico. Un piano straordinario per il potenziamento dei servizi socio-educativi da definire in sede di Conferenza unificata su iniziativa del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, fondato sull'erogazione di un contributo statale ripartito per le regioni e, a cascata, per gli enti locali, finalizzato alla ristrutturazione degli immobili in disuso affinché siano utilizzati come asili nido da concedere a titolo gratuito ai privati, che si impegnano a garantire rette sociali elaborate sulla media di quelli che sono i costi dei nidi pubblici della zona territoriale e ad assumere prioritariamente lavoratori socialmente utili al fine di offrire loro una vera occupazione. La realizzazione di questo piano straordinario renderà fruibili 1.000 nuovi asili nido su una superficie totale di 200.000 metri quadrati, 28.000 nuovi posti per i bambini, 10.000 nuovi posti di lavoro, contribuendo quindi anche ad un rilancio economico e occupazionale del Paese attraverso la ricollocazione di un numero importante di lavoratori socialmente utili in scadenza e il rilancio delle aziende edili di ristrutturazione e dell'indotto ad esse collegato;
    è una priorità sviluppare la formazione di un sistema integrato di servizi, che offra sostegno al lavoro di cura dei genitori, in modo da favorirne la conciliazione tra impegni familiari e lavorativi, facilitando e sostenendo l'accesso delle donne nel mercato del lavoro, in un quadro di pari opportunità e condivisione dei compiti;
    il nostro Paese deve essere da esempio nell'elaborare una linea politica di invito alla vita e operare per garantire tutte le condizioni utili ad una crescita della società incentrata sui valori di un umanesimo diffuso. Occorre, quindi, rimodulare l'azione politica sui valori fondanti della vita e della persona umana,

impegna il Governo:

   a promuovere una politica di sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, nel riconoscimento del ruolo primario che riveste nell'educazione e nella crescita dei bambini e dei giovani adolescenti;
   ad assicurare i diritti anche del concepito in conformità delle vigenti disposizioni di cui alle leggi n. 40 del 2004 e n. 194 del 1978;
   a valutare l'opportunità di realizzare un'indagine amministrativa che quantifichi puntualmente l'effettiva domanda di servizi di asili nido, in modo tale da predisporre una programmazione di nuovi posti, in funzione della richiesta effettiva e non soltanto in base al numero complessivo dei bambini;
   a riconoscere, quale priorità inderogabile nell'attuazione delle linee politico-programmatiche, la realizzazione di interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia finalizzati ad efficientare il funzionamento del servizio territoriale, la sua diversificazione, flessibilità e capillarizzazione sul territorio secondo un sistema articolato, sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro secondo i seguenti principi:
    a) gratuità dei servizi e delle prestazioni;
    b) requisito prioritario della residenza continuativa della famiglia nel territorio in cui sono richiesti i servizi e le prestazioni;
    c) partecipazione attiva della rete parentale alla definizione degli obiettivi educativi e delle scelte organizzative, nonché alla verifica della loro rispondenza ai bisogni quotidiani delle famiglie e della qualità dei servizi resi;
   a promuovere l'incremento delle risorse destinate al fondo nazionale delle politiche sociali, verificandone, inoltre, l'equa ripartizione e garantendo che in tutte le città italiane vi sia la medesima accessibilità ai servizi;
   ad assumere iniziative per introdurre un sistema fiscale basato sul quoziente familiare, lo splitting o il fattore famiglia;
   ad assumere iniziative per riformare i consultori familiari al fine di dimostrare nei fatti una particolare attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia tutelando il valore sociale della genitorialità e del concepito.
(1-00809)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    le recenti rilevazioni Censis e Istat evidenziano un quadro demografico, stimato agli andamenti nel 2014, in crisi dal punto di vista del sistema welfare in generale e delle nascite in particolare, caratterizzato da un tasso di natalità «insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale»;
    la popolazione residente ha raggiunto i 60 milioni 808 mila (compresi 5 milioni 73 mila stranieri) al primo gennaio 2015, mentre il numero dei cittadini italiani continua a decrescere – come ormai negli ultimi dieci anni – raggiungendo i 55,7 milioni (-125 mila rispetto all'anno precedente). Per la prima volta in Italia, calano le nascite anche fra le madri straniere, che finora hanno garantito la tenuta del livello demografico del nostro Paese. Le cifre sono chiare, si tratta di cinquemila neonati in meno nel 2014 rispetto all'anno precedente;
    il tasso d'incremento naturale è di 1,4 per mille. Il numero medio di figli per donna è pari a 1,39, come nel 2013 (nel 2010 era 1,46) a fronte di una media dell'Unione europa di 1,58 (2012); per le donne straniere 1,91 (a queste è attribuito il 19 per cento delle nascite totali), nel 2013 era il 2,1. L'età media al parto sale a 31,5 anni. Il tasso di natalità è di 8,4 per mille (era 8,5 nel 2013); al Trentino Alto Adige il primato per natalità (9,9), segue la Campania (8,9). Agli ultimi posti la Liguria (6,9) e la Sardegna (7,1);
    le coppie trattate in Italia con tecniche di procreazione medicalmente assistita erano 54.458 nel 2012 (ultimo dato ufficiale disponibile): +77 per cento rispetto alle 30.749 del 2005. Nel 23,2 per cento dei casi si arriva alla gravidanza. I bambini concepiti in provetta venuti alla luce sono stati 9.818 nel 2012: +169 per cento rispetto ai 3.649 del 2005;
    più in generale, si è in presenza di un welfare profondamente in crisi: di ciò è eloquente testimonianza la scarsa propensione degli italiani ad avere figli, ricondotta, dall'opinione diffusa, principalmente a motivazioni economiche (75,3 per cento);
    alla drammatica condizione del welfare in Italia si aggiungono anche gli scarsi investimenti e le riduzioni di spesa diretti alla formazione e ai servizi per l'infanzia (così come posto in evidenza dalle indagini conoscitive in corso nella Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza);
    i servizi socio educativi per la prima infanzia, costituiscono, in particolare, uno strumento necessario per genitori e figli, da un lato, rispondendo alle esigenze delle madri che lavorano, dall'altro, ponendosi in condizione di complementarietà alla funzione educativa svolta dalla famiglia;
    purtroppo, però, risulta sempre non adeguato il numero di comuni italiani che ha attivato almeno un servizio tra asili nido, micro nidi o altri servizi integrativi per l'infanzia e particolarmente ampia è la disparità tra le regioni in cui detti servizi sono stati messi a disposizione delle famiglie;
    negli ultimi anni è migliorata l'azione dei Governi con interventi a favore della natalità e per i diritti dell'infanzia. Complessivamente intese, però, le iniziative normative adottate si sono rilevate sporadiche e non omogenee nel territorio nazionale;
    tra gli interventi, di rilievo è stata l'istituzione del fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza (legge n. 285 del 1997), così come il fondo nazionale straordinario per i servizi socio-educativi per la prima infanzia (legge finanziaria del 2007) e la legge istitutiva dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza (legge n. 112 del 2011);
    non trascurando che, il 10 aprile 2015, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto attuativo, previsto dalla legge di stabilità (legge 23 dicembre 2014, n. 190, articolo 1, comma 125), che stabilisce criteri e requisiti per l'accesso alla prestazione del bonus bebé 2015. Si tratta di un incentivo alle nascite, con un tetto di reddito – per accedere al bonus – che inizialmente ammontava a 90 mila euro, ma drasticamente abbassato a 25 mila euro di certificazione Isee (secondo le nuove disposizioni dell'indicatore di situazione economica equivalente, il reddito riguarda tutti i membri del nucleo e non solo del contribuente singolo);
    l'ammontare degli assegni sarà compresa tra gli 80 e i 160 euro per le famiglie che hanno avuto un figlio o che potranno averlo, nell'arco compreso tra il primo gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 e la durata di percezione dell'assegno avrà estensione triennale. Dunque, l'intervento è rivolto alle famiglie e anche ai neo genitori adottivi con un reddito Isee al di sotto dei 25 mila euro annui. Tra i 7 mila e i 25 mila euro all'anno di reddito dichiarato, la prestazione sarà pari a 960 euro nei 12 mesi. Per quanti denunciano meno di 7 mila euro, gli assegni garantiranno 1920 euro annui. La prestazione viene erogata dal giorno della nascita del figlio fino al compimento del terzo anno di età o, in caso di adozione, al momento del suo ingresso in famiglia;
    è, inoltre, all'esame della Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, per l'espressione del parere, lo schema di decreto legislativo n. 157, volto a dare attuazione all'articolo 1, commi 8 e 9, della legge delega n. 183 del 2014, che dispone la revisione e l'aggiornamento delle misure intese a tutelare la maternità e a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali;
    diverse, dunque le misure adottate che aspettano di essere recepite ed attuate, in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, attraverso un'equa ripartizione dei fondi disponibili,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a ripristinare l'intera consistenza del fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, destinando le risorse a tutte le città del Paese con alti tassi di povertà e di disagio sociale;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per incrementare i servizi per la prima infanzia su tutto il territorio nazionale, con particolare attenzione al sostegno dei servizi di asili nido, avendo cura all'equa ripartizione dei fondi per tutte le regioni;
   ad assicurare nelle future iniziative normative misure di finanziamento più adeguate per le neo-mamme in condizioni di disagio, anche innalzando, nei limiti delle disponibilità di bilancio, il tetto di reddito Isee per accedere al bonus previsto per incentivo alle nascite;
   a garantire, con continuità e costanza nel tempo, misure a sostegno della natalità, delle giovani coppie e delle famiglie in difficoltà, assumendo iniziative normative e finanziarie che non rivestano carattere sperimentale o una tantum;
   ad assicurare un'adeguata formazione ed informazione sui problemi legati alla fertilità e sulle tecniche di fecondazione previste e garantite dal sistema sanitario nazionale, mettendo sempre al centro la tutela della persona e della famiglia;
   a promuovere ulteriori iniziative (anche di sostegno psicologico) in grado di aiutare la coppia in generale e le mamme nello specifico, sin dai primi momenti del concepimento dei figli, avendo cura di eliminare tutti gli ostacoli che si frappongono tra la cura dei figli e la famiglia e la possibilità di lavorare, iniziando dalla rapida approvazione dello schema di decreto legislativo n. 157, riguardante la conciliazione dei tempi di cura, di vita e di lavoro, all'esame della Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati, per il parere.
(1-00812) «Antimo Cesaro, Mazziotti Di Celso, D'Agostino, Cimmino, Falcone, Molea, Pinna, Rabino, Galgano, Vezzali».


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto appena pubblicato dall'Istat ha lanciato l'ennesimo grido d'allarme sulla natalità in Italia, scesa ai minimi storici nel 2013, anno in cui le nascite si sono fermate a 515 mila segnando un record negativo in assoluto anche rispetto al record negativo del 1995 in cui le nascite quantomeno erano state 11 mila in più rispetto allo scorso anno;
    un quarto delle donne italiane non diventa madre, contro il 14 per cento delle americane e il 10 per cento delle francesi;
    dal rapporto emerge che mentre l'aspettativa di vita continua ad aumentare, ed è addirittura superiore rispetto alla media dei Paesi europei, persistono livelli di fecondità molto bassi, in media 1,42 figli per donna nel 2012 rispetto ad una media europea di 1,58, determinando un indice di vecchiaia tra i più alti al mondo, con 151,4 persone over 65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni, inferiore in Europa solo alla Germania, in cui tale valore è al 158, posto che la media dell'Europa a ventotto Paesi è di 116,6;
    alla base di questi dati sta certamente anche la congiuntura economica sfavorevole che ha colpito l'Italia e l'Europa negli ultimi anni, ma la questione demografica nel nostro Paese è una questione antica, alla quale non si è riusciti a dare un'inversione di rotta nell'ultimo ventennio;
    i fattori che maggiormente incidono negativamente sui tassi di natalità sono la disoccupazione, la precarietà nel lavoro, una generale incertezza sul futuro avvertita dai giovani che impedisce loro una qualsiasi programmazione di vita, uniti all'assenza di politiche efficaci a sostegno della natalità e, soprattutto, della maternità;
    le nuove coppie che pensano di avere un figlio si devono confrontare con la scarsezza sia dei mezzi finanziari diretti di sostegno alla genitorialità sia del sistema di sgravi fiscali, con l'insufficienza e l'inadeguatezza dei servizi di assistenza, con servizi educativi e scolastici costosi, con la mancanza di una rete sussidiaria, con l'assenza di tutela delle donne con contratti atipici, con le difficoltà nell'acquisto di un'abitazione;
    molte delle iniziative sin qui adottate in tema di sostegno alla natalità si sono risolte in provvedimenti spot con una durata limitata nel tempo e incapaci di incidere davvero sulla pianificazione di una famiglia;
    in questo filone si inserisce, purtroppo, anche la reiterazione del bonus bebé inserita nella legge di stabilità 2015, limitato nel tempo sia per quanto riguarda i bambini che ne saranno beneficiari, posto che il bonus è destinato «per ogni figlio nato o adottato tra il 1o gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017», sia perché è corrisposto solo fino al compimento del terzo anno di età;
    una delle principali criticità riscontrata nella rete dei servizi per la prima infanzia, strumento essenziale per promuovere la genitorialità, è l'esiguo numero di asili nido, ai quali peraltro si accede in base a graduatorie spesso falsate, e con essa la mancata realizzazione in Italia di modelli di accoglimento alternativi quali ad esempio le tagesmutter, fattori che costituiscono spesso un ostacolo insormontabile per coppie nelle quali entrambi i genitori sono lavoratori, nonché ovviamente per i nuclei familiari monogenitoriali;
    l'obiettivo fissato in sede europea ai 2010 che prevedeva che entro quell'anno dovesse essere garantita almeno al 33 per cento la copertura territoriale del servizi per l'infanzia, con particolare riferimento alle strutture di asili nido, è ad oggi largamente disatteso in Italia in cui tale copertura arriva in media ad appena il 17 per cento, e con riferimento alla quale, come segnalato anche dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, si conferma la carenza di strutture nelle regioni meridionali;
    la legge di stabilità per quest'anno ha istituito un nuovo fondo da destinare a interventi a favore della famiglia con una dotazione di 112 milioni di euro, cento dei quali devono essere destinati al rilancio del piano per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, ma lo stanziamento è limitato ad un solo anno e già si delineano le difficoltà applicative, soprattutto con riferimento alla ripartizione tra gli enti locali;
    a tale proposito, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri approvato il 18 dicembre 2014 relativo ai fabbisogni standard nel settori, tra gli altri, della pubblica istruzione e del servizio degli asili nido, con specifico riguardo a quest'ultimo settore prende ancora a riferimento la spesa storica, peraltro del 2010, vale a dire prevede di continuare ad assegnare agli enti locali quello che già spendevano;
    questo si traduce nel fatto che con specifico riferimento agli asili nido, per l'individuazione dei coefficienti di riparto per ciascun comune, vale e dire per capire quanto denaro di quello complessivamente disponibile sarà destinato al singolo comune, proprio i comuni che finora non hanno un numero sufficiente di asili nido, spesso proprio a causa di mancanza di fondi o a causa di episodi di mala gestione del denaro pubblico per incapacità o malversazione degli amministratori locali, si trovano di nuovo destinati zero finanziamenti, con la conseguenza che sarà impossibile per loro sia un aumento delle strutture sia l'implementazione dei servizi;
    anche il ritardo nel recepimento delle iniziative normative europee in materia di sostegno alla genitorialità e servizi alla famiglia pesa sullo sviluppo nazionale;
    il parziale recepimento della direttiva 2010/18/UE dell'8 marzo 2010, che attua l'accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale contenuto nella legge di stabilità per il 2013 e che doveva rendere possibile anche in Italia a partire dal lo gennaio 2013 la fruizione dei congedi parentali su basa oraria non è ancora compiutamente attuata sia per i ritardi con cui le necessarie previsioni vengono inserite nei diversi contratti collettivi di lavoro sia per le inadempienze da parte dell'Inps;
    un altro dei problemi che si trovano ad affrontare le giovani coppie che intendono realizzare un progetto di vita stabile è l'acquisto della prima casa;
    nel 2010 era diventato operativa Il «Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli che risultino titolari di contratti di lavoro a tempo determinato», istituito dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, seppur nella sua attuazione ha continuato a subire l'ostracismo degli istituti bancari;
    ciononostante il fondo ha costituito per anni uno strumento mirato ed efficace a sostegno dei soggetti in favore dei quali era stato istituito, ma l'attuale Esecutivo con la legge di stabilità 2014 ha deciso di smantellarlo facendolo confluire nel più ampio sistema nazionale di garanzia, privando tutti gli aventi diritto di uno strumento dedicato e creando un vuoto nell'erogazione delle garanzie per la necessità di emanare decreti attuativi e stipulare nuovi protocolli d'intesa con l'associazione bancaria;
    il fondo per le politiche della famiglia, istituito nel 2006 e poi sostanzialmente ridisegnato dalla legge finanziaria per il 2007, dopo un'iniziale graduate aumento delle risorse, arrivate negli anni tra il 2007 e il 2010 ad un importo medio annuo di oltre 180 milioni di euro, a partire dal 2011 ha subito consistenti decurtazioni sino a raggiungere un importo pari a poco più di venti milioni di euro nel 2014 e nell'anno in corso;
    la relazione sul fondo per le politiche della famiglia approvata nell'aprile del 2012 dalla sezione di controllo della Corte dei conti ha evidenziato «la mancanza per il contesto analizzato di un sistema organico in grado di intervenire efficacemente, sia sotto il profilo dell'azione di “policy”, sia sotto quello delle gestione degli interventi, per le esigenze della famiglia», rilevando come «gli interventi, per essere efficaci, devono porsi l'obiettivo di sostenere in modo significativo e continuativo le famiglie con figli, con basso livello di reddito. Si tratta di puntare a un maggiore impatto e una maggior continuità che consenta di valutare l'efficacia degli incentivi ad avere figli»;
    secondo la Corte dei conti «la mancata utilizzazione di consistenti risorse – soprattutto nel settore degli interventi di competenza statale – ormai drasticamente limitate, pone in discussione l'attuale impianto che, in primo luogo, non ha messo in campo strategie efficaci e sul piano degli interventi ha privilegiato scelte “bottom up”, inevitabilmente caratterizzate da profili individualistici. Va quindi recuperata una capacità strategica di disegnare effettive azioni di sistema che mettano i potenziali beneficiari nella condizione di fare scelte appropriate, consentendo, da un lato, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e, dall'altro, la possibilità concreta di condurre un'attività lavorativa continuativa»;
    i provvedimenti a sostegno della natalità e della maternità sin qui adottati dimostrano di non aver risolto il problema del calo delle nascite, incapaci di rappresentare un elemento di certezza nell'ambito di una programmazione familiare, e tantomeno di restituire alle giovani coppie quel diritto al futuro, del quale la genetorialità è una componente essenziale;
    hanno largamente prevalso interventi frammentati e di breve periodo, volti a risolvere alcuni specifici problemi delle famiglie senza una considerazione complessiva del ruolo che esse svolgono nella società, oppure si sono avuti interventi che solo indirettamente e talvolta senza una piena consapevolezza hanno avuto anche la famiglia come destinatario;
    secondo l'Istat entro il 2050 ci saranno 263 anziani ogni 100 giovani e questo non solo determinerà l'implosione del sistema pensionistico, che non potrà più sopportare il peso degli esborsi a fronte della continuata riduzione delle entrate, ma rappresenta una vera e propria emergenza sociale rispetto alla quale bisogna intervenire con urgenza, determinazione ed efficacia;
    secondo la definizione dell'Ocse si definiscono «politiche per le famiglie quelle che aumentano le risorse dei nuclei familiari con figli a carico; favoriscono sviluppo del bambino; rimuovono gli ostacoli ad avere figli e alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; e promuovono pari opportunità nell'occupazione»,

impegna il Governo:

   ad elaborare politiche a sostegno della natalità e della maternità che abbiano carattere permanente e strutturale e a garantire alle stesse le adeguate dotazioni finanziarie, riconoscendo, nell'ambito dell'assegnazione delle risorse finanziarie, priorità ai bassi livelli reddituali;
   ad introdurre il quoziente familiare, al fine di alleggerire il carico fiscale proporzionalmente al numero dei familiari, al fine di favorire la natalità e di sostenere i nuclei familiari numerosi;
   ad elaborare misure fiscali in favore dei prodotti per la primissima infanzia come riconoscimento dell'aliquota agevolata IVA sugli stessi;
   ad adottare ogni iniziativa opportuna a rimuovere le cause economiche e sociali che portano a rinunciare alla maternità, attraverso forme di sostegno ed una corretta applicazione della legislazione vigente;
   ad assumere tutte le iniziative atte a rilanciare l'occupazione femminile, garantendo il part-time e diffondendo il telelavoro;
   a realizzare l'effettivo potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, anche mediante la promozione di forme associative di gestione, fondate su un patto di solidarietà tra le famiglie e nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, e anche incentivando l'apertura degli asili nido sul posto di lavoro, condominiali e in case private secondo il modello delle tagesmutter;
   in tale ambito, a promuovere il rapido superamento dei criterio delle spesa storica nei trasferimenti alle regioni, al fine di consentire un'equilibrata e sufficiente distribuzione sul territorio degli asili nido;
   a sostenere una concreta politica abitativa per le giovani coppie, assumendo iniziative per ripristinare il soppresso fondo per le giovani coppie di cui in premessa, e nelle more, promuovendo l'accesso da parte dei potenziali beneficiari alle misure agevolative contemplate dal sistema nazionale di garanzia;
   a garantire forme di sostegno efficaci e di lungo periodo in favore del nuclei monogenitoriali, alle famiglie e alle coppie nell'assolvimento degli impegni genitoriali, al fine di permettere un'ottimale conciliazione dei tempi della maternità e della paternità, nonché a garantire la concreta applicazione di tutte le misure previste in favore di genitori lavoratori e il tempestivo recepimento di quelle adottate in ambito europeo;
   ad effettuare il monitoraggio delle iniziative adottate in favore delle famiglie e della natalità, e ad elaborare procedure di valutazione che consentano di fruire dei risultati dei monitoraggi effettuati.
(1-00813) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto appena pubblicato dall'Istat ha lanciato l'ennesimo grido d'allarme sulla natalità in Italia, scesa ai minimi storici nel 2013, anno in cui le nascite si sono fermate a 515 mila segnando un record negativo in assoluto anche rispetto al record negativo del 1995 in cui le nascite quantomeno erano state 11 mila in più rispetto allo scorso anno;
    un quarto delle donne italiane non diventa madre, contro il 14 per cento delle americane e il 10 per cento delle francesi;
    dal rapporto emerge che mentre l'aspettativa di vita continua ad aumentare, ed è addirittura superiore rispetto alla media dei Paesi europei, persistono livelli di fecondità molto bassi, in media 1,42 figli per donna nel 2012 rispetto ad una media europea di 1,58, determinando un indice di vecchiaia tra i più alti al mondo, con 151,4 persone over 65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni, inferiore in Europa solo alla Germania, in cui tale valore è al 158, posto che la media dell'Europa a ventotto Paesi è di 116,6;
    alla base di questi dati sta certamente anche la congiuntura economica sfavorevole che ha colpito l'Italia e l'Europa negli ultimi anni, ma la questione demografica nel nostro Paese è una questione antica, alla quale non si è riusciti a dare un'inversione di rotta nell'ultimo ventennio;
    i fattori che maggiormente incidono negativamente sui tassi di natalità sono la disoccupazione, la precarietà nel lavoro, una generale incertezza sul futuro avvertita dai giovani che impedisce loro una qualsiasi programmazione di vita, uniti all'assenza di politiche efficaci a sostegno della natalità e, soprattutto, della maternità;
    le nuove coppie che pensano di avere un figlio si devono confrontare con la scarsezza sia dei mezzi finanziari diretti di sostegno alla genitorialità sia del sistema di sgravi fiscali, con l'insufficienza e l'inadeguatezza dei servizi di assistenza, con servizi educativi e scolastici costosi, con la mancanza di una rete sussidiaria, con l'assenza di tutela delle donne con contratti atipici, con le difficoltà nell'acquisto di un'abitazione;
    una delle principali criticità riscontrata nella rete dei servizi per la prima infanzia, strumento essenziale per promuovere la genitorialità, è l'esiguo numero di asili nido, ai quali peraltro si accede in base a graduatorie spesso falsate, e con essa la mancata realizzazione in Italia di modelli di accoglimento alternativi quali ad esempio le tagesmutter, fattori che costituiscono spesso un ostacolo insormontabile per coppie nelle quali entrambi i genitori sono lavoratori, nonché ovviamente per i nuclei familiari monogenitoriali;
    l'obiettivo fissato in sede europea ai 2010 che prevedeva che entro quell'anno dovesse essere garantita almeno al 33 per cento la copertura territoriale del servizi per l'infanzia, con particolare riferimento alle strutture di asili nido, è ad oggi largamente disatteso in Italia in cui tale copertura arriva in media ad appena il 17 per cento, e con riferimento alla quale, come segnalato anche dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, si conferma la carenza di strutture nelle regioni meridionali;
    la legge di stabilità per quest'anno ha istituito un nuovo fondo da destinare a interventi a favore della famiglia con una dotazione di 112 milioni di euro, cento dei quali devono essere destinati al rilancio del piano per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, ma lo stanziamento è limitato ad un solo anno e già si delineano le difficoltà applicative, soprattutto con riferimento alla ripartizione tra gli enti locali;
    a tale proposito, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri approvato il 18 dicembre 2014 relativo ai fabbisogni standard nel settori, tra gli altri, della pubblica istruzione e del servizio degli asili nido, con specifico riguardo a quest'ultimo settore prende ancora a riferimento la spesa storica, peraltro del 2010, vale a dire prevede di continuare ad assegnare agli enti locali quello che già spendevano;
    questo si traduce nel fatto che con specifico riferimento agli asili nido, per l'individuazione dei coefficienti di riparto per ciascun comune, vale e dire per capire quanto denaro di quello complessivamente disponibile sarà destinato al singolo comune, proprio i comuni che finora non hanno un numero sufficiente di asili nido, spesso proprio a causa di mancanza di fondi o a causa di episodi di mala gestione del denaro pubblico per incapacità o malversazione degli amministratori locali, si trovano di nuovo destinati zero finanziamenti, con la conseguenza che sarà impossibile per loro sia un aumento delle strutture sia l'implementazione dei servizi;
    anche il ritardo nel recepimento delle iniziative normative europee in materia di sostegno alla genitorialità e servizi alla famiglia pesa sullo sviluppo nazionale;
    il parziale recepimento della direttiva 2010/18/UE dell'8 marzo 2010, che attua l'accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale contenuto nella legge di stabilità per il 2013 e che doveva rendere possibile anche in Italia a partire dal lo gennaio 2013 la fruizione dei congedi parentali su basa oraria non è ancora compiutamente attuata sia per i ritardi con cui le necessarie previsioni vengono inserite nei diversi contratti collettivi di lavoro sia per le inadempienze da parte dell'Inps;
    un altro dei problemi che si trovano ad affrontare le giovani coppie che intendono realizzare un progetto di vita stabile è l'acquisto della prima casa;
    nel 2010 era diventato operativa Il «Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli che risultino titolari di contratti di lavoro a tempo determinato», istituito dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, seppur nella sua attuazione ha continuato a subire l'ostracismo degli istituti bancari;
    ciononostante il fondo ha costituito per anni uno strumento mirato ed efficace a sostegno dei soggetti in favore dei quali era stato istituito, ma l'attuale Esecutivo con la legge di stabilità 2014 ha deciso di smantellarlo facendolo confluire nel più ampio sistema nazionale di garanzia, privando tutti gli aventi diritto di uno strumento dedicato e creando un vuoto nell'erogazione delle garanzie per la necessità di emanare decreti attuativi e stipulare nuovi protocolli d'intesa con l'associazione bancaria;
    il fondo per le politiche della famiglia, istituito nel 2006 e poi sostanzialmente ridisegnato dalla legge finanziaria per il 2007, dopo un'iniziale graduate aumento delle risorse, arrivate negli anni tra il 2007 e il 2010 ad un importo medio annuo di oltre 180 milioni di euro, a partire dal 2011 ha subito consistenti decurtazioni sino a raggiungere un importo pari a poco più di venti milioni di euro nel 2014 e nell'anno in corso;
    la relazione sul fondo per le politiche della famiglia approvata nell'aprile del 2012 dalla sezione di controllo della Corte dei conti ha evidenziato «la mancanza per il contesto analizzato di un sistema organico in grado di intervenire efficacemente, sia sotto il profilo dell'azione di “policy”, sia sotto quello delle gestione degli interventi, per le esigenze della famiglia», rilevando come «gli interventi, per essere efficaci, devono porsi l'obiettivo di sostenere in modo significativo e continuativo le famiglie con figli, con basso livello di reddito. Si tratta di puntare a un maggiore impatto e una maggior continuità che consenta di valutare l'efficacia degli incentivi ad avere figli»;
    secondo la Corte dei conti «la mancata utilizzazione di consistenti risorse – soprattutto nel settore degli interventi di competenza statale – ormai drasticamente limitate, pone in discussione l'attuale impianto che, in primo luogo, non ha messo in campo strategie efficaci e sul piano degli interventi ha privilegiato scelte “bottom up”, inevitabilmente caratterizzate da profili individualistici. Va quindi recuperata una capacità strategica di disegnare effettive azioni di sistema che mettano i potenziali beneficiari nella condizione di fare scelte appropriate, consentendo, da un lato, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e, dall'altro, la possibilità concreta di condurre un'attività lavorativa continuativa»;
    i provvedimenti a sostegno della natalità e della maternità sin qui adottati dimostrano di non aver risolto il problema del calo delle nascite, incapaci di rappresentare un elemento di certezza nell'ambito di una programmazione familiare, e tantomeno di restituire alle giovani coppie quel diritto al futuro, del quale la genetorialità è una componente essenziale;
    hanno largamente prevalso interventi frammentati e di breve periodo, volti a risolvere alcuni specifici problemi delle famiglie senza una considerazione complessiva del ruolo che esse svolgono nella società, oppure si sono avuti interventi che solo indirettamente e talvolta senza una piena consapevolezza hanno avuto anche la famiglia come destinatario;
    secondo l'Istat entro il 2050 ci saranno 263 anziani ogni 100 giovani e questo non solo determinerà l'implosione del sistema pensionistico, che non potrà più sopportare il peso degli esborsi a fronte della continuata riduzione delle entrate, ma rappresenta una vera e propria emergenza sociale rispetto alla quale bisogna intervenire con urgenza, determinazione ed efficacia;
    secondo la definizione dell'Ocse si definiscono «politiche per le famiglie quelle che aumentano le risorse dei nuclei familiari con figli a carico; favoriscono sviluppo del bambino; rimuovono gli ostacoli ad avere figli e alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; e promuovono pari opportunità nell'occupazione»,

impegna il Governo:

   ad elaborare politiche a sostegno della natalità e della maternità che abbiano carattere permanente e strutturale e a garantire alle stesse le adeguate dotazioni finanziarie, riconoscendo, nell'ambito dell'assegnazione delle risorse finanziarie, priorità ai bassi livelli reddituali;
   a valutare la possibilità di introdurre il quoziente familiare, al fine di alleggerire il carico fiscale proporzionalmente al numero dei familiari, al fine di favorire la natalità e di sostenere i nuclei familiari numerosi;
   a valutare la possibilità di elaborare misure fiscali in favore dei prodotti per la primissima infanzia come riconoscimento dell'aliquota agevolata IVA sugli stessi;
   ad adottare ogni iniziativa opportuna a rimuovere le cause economiche e sociali che portano a rinunciare alla maternità, attraverso forme di sostegno ed una corretta applicazione della legislazione vigente;
   ad assumere tutte le iniziative atte a rilanciare l'occupazione femminile, garantendo il part-time e diffondendo il telelavoro;
   a realizzare l'effettivo potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, anche mediante la promozione di forme associative di gestione, fondate su un patto di solidarietà tra le famiglie e nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, e anche incentivando l'apertura degli asili nido sul posto di lavoro, condominiali e in case private secondo il modello delle tagesmutter;
   in tale ambito, a promuovere il rapido superamento dei criterio delle spesa storica nei trasferimenti alle regioni, al fine di consentire un'equilibrata e sufficiente distribuzione sul territorio degli asili nido;
   a sostenere una concreta politica abitativa per le giovani coppie, assumendo iniziative per ripristinare il soppresso fondo per le giovani coppie di cui in premessa, e nelle more, promuovendo l'accesso da parte dei potenziali beneficiari alle misure agevolative contemplate dal sistema nazionale di garanzia;
   a garantire forme di sostegno efficaci e di lungo periodo in favore del nuclei monogenitoriali, alle famiglie e alle coppie nell'assolvimento degli impegni genitoriali, al fine di permettere un'ottimale conciliazione dei tempi della maternità e della paternità, nonché a garantire la concreta applicazione di tutte le misure previste in favore di genitori lavoratori e il tempestivo recepimento di quelle adottate in ambito europeo;
   ad effettuare il monitoraggio delle iniziative adottate in favore delle famiglie e della natalità, e ad elaborare procedure di valutazione che consentano di fruire dei risultati dei monitoraggi effettuati.
(1-00813)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro».