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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Lunedì 13 aprile 2015

TESTO AGGIORNATO AL 21 APRILE 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 13 aprile 2015.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Baldelli, Bellanova, Stella Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Costa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Giachetti, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupo, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Merlo, Orlando, Palma, Pes, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rostan, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sisto, Speranza, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vignaroli, Zanetti, Zolezzi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Baldelli, Bellanova, Stella Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Cicchitto, Costa, D'Alia, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Franceschini, Giachetti, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Merlo, Orlando, Palma, Pes, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rostan, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sisto, Speranza, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vignaroli, Zanetti, Zolezzi.

Annunzio di una proposta di legge.

  In data 10 aprile 2015 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa della deputata:
  SANTERINI: «Istituzione di una Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo e istigazione all'odio e alla violenza» (3028).

  Sarà stampata e distribuita.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

  La proposta di legge MELILLA ed altri: «Modifica dell'articolo 2542 del codice civile, in materia di elezione del consiglio di amministrazione delle società cooperative» (2908) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Zaccagnini.

Ritiro di sottoscrizione a proposte di legge.

  La deputata Businarolo ha comunicato di ritirare la propria sottoscrizione alle proposte di legge:
   BARBANTI ed altri: «Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, concernenti il divieto di propaganda elettorale a carico delle persone appartenenti ad associazioni mafiose e sottoposte alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza» (660);
   ARTINI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul dissesto finanziario della banca Monte dei Paschi di Siena» (1123);
   PRODANI ed altri: «Modifiche all'articolo 132 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, in materia di durata della garanzia legale di conformità per i beni di consumo» (1455);
   SEGONI ed altri: «Agevolazioni fiscali per la realizzazione di interventi volti alla riduzione del rischio idrogeologico e sismico» (1578);
   ROSTELLATO ed altri: «Disposizioni per la tutela dei lavoratori da molestie morali e violenze psicologiche» (1709);
   ROSTELLATO ed altri: «Modifiche al codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in materia di pubblicità delle riprese audio e video delle sedute dei consigli provinciali e comunali» (1733);
   SEGONI ed altri: «Modifiche alla parte prima del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, concernenti le disposizioni comuni e i princìpi generali della disciplina in materia ambientale» (1839);
   CRISTIAN IANNUZZI ed altri: «Modifiche al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, e altre disposizioni in materia di trasporto pubblico locale» (2443).

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sotto indicate Commissioni permanenti:
  II Commissione (Giustizia):
   ARGENTIN ed altri: «Disposizioni per il riconoscimento della firma mediante apposizione dell'impronta digitale per le persone affette da disabilità motoria che, a causa di infermità gravemente invalidanti, non possono avvalersi dell'uso delle mani» (2941) Parere delle Commissioni I e XII.

  XII Commissione (Affari sociali):
   CALABRÒ ed altri: «Disposizioni per la prevenzione dei disturbi dello spettro autistico, la cura e l'assistenza delle persone che ne sono affette» (2819). Parere delle Commissioni I, V, VII, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

  Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia):
   DE GIROLAMO ed altri: «Modifiche agli articoli 147-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di controllo di regolarità amministrativa e contabile su atti degli enti locali, 13 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, in materia di contributo unificato per i ricorsi giurisdizionali amministrativi concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture e i provvedimenti delle autorità amministrative indipendenti, e 26 del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, in materia di spese di giudizio» (2896). Parere delle Commissioni V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII e XI.

  Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive):
   «Legge annuale per il mercato e la concorrenza» (3012) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V, VII, VIII, IX (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dal Ministero della difesa.

  Il Ministero della difesa ha trasmesso decreti ministeriali recanti variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzate, in data 23 marzo 2015, ai sensi dell'articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279.

  Questi decreti sono trasmessi alla IV Commissione (Difesa) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissioni dal Ministro dell'economia e delle finanze.

  Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettere in data 2 aprile 2015 ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, le seguenti relazioni concernenti procedure d'infrazione avviate ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che sono trasmesse alla VI Commissione (Finanze) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   relazione concernente la procedura d'infrazione n. 2015/0064, avviata per mancato recepimento della direttiva 2013/14/UE che modifica la direttiva 2003/41/CE, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali, la direttiva 2009/65/CE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di taluni organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), e la direttiva 2011/61/UE, sui gestori di fondi di investimento alternativi, per quanto riguarda l'eccessivo affidamento ai rating del credito;
   relazione concernente la procedura d'infrazione n. 2015/66, avviata per mancato recepimento della direttiva 2014/59/UE che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica le direttive 82/891/CEE, 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012.

Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 9 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 1236/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce un regime di controllo e di coercizione applicabile nella zona della convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nordorientale (COM(2015) 121 final).

  Questa relazione è trasmessa alla XIII Commissione (Agricoltura).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 9 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Atti di controllo e di indirizzo.
  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE
  Nell'Allegato A ai resoconti della seduta del 12 marzo 2015, a pagina 3, seconda colonna, righe terza e quarta, deve leggersi: «imposta municipale propria» e non: «imposta municipale unica» come stampato.
  Nell'Allegato A ai resoconti della seduta dell'8 aprile 2015, a pagina 3, seconda colonna, terzultima riga, deve leggersi: «imposta municipale propria» e non: «imposta municipale unica» come stampato.

MOZIONI FAENZI ED ALTRI N. 1-00784, FRANCO BORDO ED ALTRI N. 1-00790, MASSIMILIANO BERNINI ED ALTRI N. 1-00793, ROSTELLATO ED ALTRI N. 1-00795 E DE GIROLAMO ED ALTRI N. 1-00797 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI ESENZIONE DALL'IMU PER I TERRENI AGRICOLI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la complessa vicenda relativa alla revisione del regime IMU sui terreni agricoli montani evidenzia l'ulteriore confusione che coinvolge la disciplina relativa alla fiscalità locale, anche e soprattutto per le evidenti responsabilità del Governo e dell'amministrazione tributaria, che hanno gestito ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo con evidente superficialità il contesto normativo legato al pagamento dell'imposta sui terreni agricoli, ricadenti in particolari aree, soprattutto con riferimento ai criteri di individuazione altimetrici dei comuni esenti;
    l'ingorgo burocratico-amministrativo connesso alla classificazione dei parametri predisposta dall'Istat, inizialmente suddivisa in tre fasce sulla base dell’«altitudine al centro», ovvero nel punto in cui si trova il municipio, la retroattività della norma che imponeva il pagamento del tributo per l'anno 2014, i provvedimenti cautelari adottati dalla magistratura amministrativa rappresentano soltanto alcuni dei numerosi elementi critici e distorsivi che hanno caratterizzato, nel corso dei mesi precedenti, il pagamento di tale tributo, che permane secondo i firmatari del presente atto di indirizzo iniquo e costituzionalmente illegittimo;
    anche la nuova revisione dei meccanismi di calcolo delle esenzioni (contenuta all'interno del decreto-legge n. 4 del 2015), che persiste in forma complicata in larga parte irrazionale, induce ad un profondo ripensamento della classificazione Istat sui criteri di montanità risalenti peraltro al 1952 e non più aggiornati;
    l'irrazionalità con cui sono stati fissati i termini relativi alla scadenza del pagamento (rinviati peraltro tre volte) e molto ravvicinati, che non hanno consentito tempi adeguati e congrui per i soggetti interessati, al fine di verificare quale sia il regime applicabile (mutato, tra l'altro, diverse volte nel corso dei mesi scorsi), il calcolo dell'imposta e l'adempimento finale del pagamento (considerando, peraltro, che i comuni non hanno avuto alcun obbligo di invio ai contribuenti dei bollettini precompilati) delineano un quadro generale sconfortante e intricato del sistema tributario italiano, che si dimostra essere palesemente in antitesi con qualsiasi ipotesi di collaborazione e buona fede tra l'amministrazione fiscale e il cittadino-contribuente;
    il sopra esposto decreto-legge, approvato in via definitiva il 19 marzo 2015, resosi necessario alla luce delle precedenti e ripetute difficoltà applicative (relative al discusso criterio dell'altitudine «al centro»), nonché a seguito delle pesanti censure del tribunale amministrativo regionale del Lazio, che ha invitato il Governo a rivedere l'impianto dei criteri (a cui si è unita la confusione generata dall'accavallarsi di regole e ricorsi), non solo continua a destare dubbi e incertezze interpretative, ma introduce ex novo l'imposta anche per i terreni «parzialmente montani», contraddicendo nella forma e nella sostanza quanto invece previsto dal decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89;
    se, all'interno del decreto interministeriale del 28 novembre 2014, di attuazione dell'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014, erano emersi notevoli dubbi sui criteri di attribuzione dell'imposta (in quanto la classificazione in base all'altimetria delle sede comunale rappresentava un'impostazione irrazionale e aleatoria), i successivi interventi normativi rilevano anch'essi evidenti profili discriminatori, che generano distinzioni eccessive, non soltanto tra i comuni limitrofi, ma anche tra appezzamenti di terreno contigui e su comuni differenti;
    i nuovi parametri stabiliti dall'Istat, infatti, che definiscono un comune «totalmente montano» (esente dal pagamento dell'IMU), «parzialmente montano» (che esonera soltanto i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli, i proprietari o affittuari del terreno) e «non montano» (che prevede il pagamento per tutti i proprietari senza eccezioni), determinano una discrepanza nei criteri altimetrici, generando inspiegabili asimmetrie impositive, in particolare in regioni collinari, in cui si registrano comunità locali considerate non montane e altre più pianeggianti, valutate invece parzialmente montane;
    alle sopra esposte e articolate criticità, come la decisione di intervenire attraverso il pagamento di un tributo che graverà in maniera pesante sull'assetto economico del comparto agricolo nazionale (anche a seguito delle disfunzioni applicative nella corresponsione dell'imposta medesima), si affiancano ulteriori aspetti problematici connessi alla scarsa valutazione dei delicati profili di equità fiscale, che avrebbero dovuto essere affrontati in un'ottica di adeguamento dell'imposta alla capacità contributiva del comparto agricolo;
    le modifiche normative apportate dal recente provvedimento d'urgenza, a decorrere dal 2014 (peraltro in forma retroattiva, violando per l'ennesima volta il principio sancito nello statuto del contribuente), sebbene risultino meno penalizzanti per i territori montani, evidenziano numerosi problemi legati alla disparità di trattamento, difficilmente giustificabili, tra territori contigui e affini per caratteristiche morfologiche ed economiche;
    gli attuali criteri di esenzione confermano, in generale, numerosi elementi di irragionevolezza ed iniquità dell'imposizione tributaria (già contenuti all'interno del decreto interministeriale del 28 novembre 2014) connessi alla mancata considerazione di aspetti legati alla redditività delle colture tipiche, al rischio idrogeologico, alla dimensione delle aziende agricole e ad altri aspetti tipici delle diverse realtà rurali territoriali;
    con riferimento alla riduzione del taglio operato sul fondo di solidarietà comunale, a fronte del maggior gettito stimato per i comuni derivante dalle nuove imponibilità dei terreni agricoli, pari a circa 230 milioni di euro per il 2014 e a quasi 269 milioni di euro per il 2015, occorrono iniziative nei confronti dei sindaci, affinché le aliquote applicate per la revisione del regime fiscale legato all'IMU sui terreni agricoli possano essere riconsiderate, evitando un impatto sui bilanci delle imprese agricole, vessate da tale imposta;
    ulteriori rilievi altamente critici e profili discriminatori, nei confronti del settore agricolo, si rinvengono nelle disposizioni concernenti la copertura finanziaria previste dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 4 del 2015;
    l'abrogazione della deduzione ai fini IRAP per i lavoratori nel medesimo comparto determinerà effetti penalizzanti, anche in termini di rilancio del mercato del lavoro agricolo;
    occorre evidenziare, inoltre, che la decisione di armonizzare la geografia delle aree esentate (che ha aggiornato la mappa dei territori agricoli, risalente alla circolare 14 giugno 1993, n. 9, del Ministero delle finanze), all'interno del decreto-legge 22 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, è stata ispirata dall'esigenza di rimediare al difetto originario della «riforma» dell'IMU, che è partita dalla coda, ovvero dalla necessità di reperire il gettito complessivo pari a circa 359 milioni di euro, già iscritti all'interno del medesimo decreto, essendo già stati utilizzati nel 2014;
    l'esigenza di procedere ad una ridefinizione coerente ed organica di esenzione dall'IMU per i terreni agricoli (nell'ottica di un superamento di una serie di criticità, la cui metamorfosi normativa nel corso degli ultimi mesi, ha generato notevoli complicazioni ed incertezze) appare, pertanto, urgente e necessaria, al fine di una risoluzione complessiva in grado di prevedere l'esonero definitivo del pagamento del tributo medesimo, per tutte le fasce di terreni classificati dall'ISTAT;
    i forti limiti degli interventi adottati dal legislatore e dalle decisioni politiche del Governo, sia nel merito che nel metodo utilizzato (per la revisione devi criteri di esenzione), richiedono, a tal fine, un'inversione di tendenza delle scelte da adottare, anche attraverso un ampio coinvolgimento delle associazioni agricole e degli enti locali, in un'ottica di condivisione comune, affinché si possa comprendere in maniera risolutiva come il comparto agricolo non sia considerato dal Governo come un settore su cui evidentemente si intende «fare cassa»,

impegna il Governo:

   a prevedere in tempi rapidi iniziative volte all'esenzione definitiva dell'imposta municipale propria (IMU), prevista dalla lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, relativa all'anno 2015, per i soggetti individuati sulla base delle disposizioni previste dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, adottato di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e con il Ministro dell'interno, del 28 novembre 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 dicembre 2014, nonché dei successivi interventi normativi introdotti;
   ad assumere iniziative per prevedere la restituzione nei confronti dei proprietari terrieri che hanno già effettuato il pagamento dell'IMU sui terreni parzialmente montani e non montani, il 10 febbraio 2015 e nei periodi precedenti, attraverso il rimborso fiscale in sede di dichiarazione dei redditi per il 2016 con la procedura della compensazione fiscale;
   ad assumere iniziative per introdurre interventi compensativi volti ad attribuire ai comuni interessati il minor gettito complessivo derivante dall'entrata tributaria pari a 219,8 milioni di euro per l'anno 2015 e in 91 milioni di euro annui a decorrere dal 2016, attraverso l'immediata introduzione di misure per la revisione della spesa pubblica (cosiddetta spending review) contenute nel piano predisposto dall'ex commissario straordinario Carlo Cottarelli, per le quali il Governo ha costantemente rinviato l'attuazione, abrogando, di conseguenza, l'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014;
   a prevedere, infine, in caso contrario, adeguate misure di compensazione di natura finanziaria o fiscale, a vantaggio delle imprese agricole, interessate dal pagamento dell'IMU sui terreni considerati dall'Istat parzialmente montani e non montani, posto che gli effetti tributari di un'iniqua penalizzazione del settore agricolo ad avviso dei firmatari del presente atto di utilizzo sono stati soltanto volti ad ottenere un immediato risultato finanziario da parte del Governo Renzi.
(1-00784) «Faenzi, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Russo, Sandra Savino, Laffranco, Francesco Saverio Romano, Alberto Giorgetti, Palmizio, Occhiuto, Ciracì, Distaso, Marti, Palese, Fucci, Prestigiacomo, Castiello, Carfagna, Latronico, Gelmini, Polidori, Brunetta».


   La Camera,
   premesso che:
    l'intera vicenda relativa alla revisione della disciplina dell'esenzione dall'IMU per i terreni agricoli montani, avviata al fine di armonizzare ed aggiornare la mappa dei «territori svantaggiati» ereditata dal previgente regime dell'ICI e che ha dato origine nei mesi scorsi all'esigenza di un intervento d'urgenza sfociato nel decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34, si è invece concretizzata in un intervento di pura semplificazione normativa che ha disvelato il reale intento del Governo di soddisfare esigenze di mero incremento del gettito fiscale, piuttosto che di conseguire una revisione organica e, auspicabilmente, concertata dell'intera disciplina riferibile ai terreni agricoli montani;
    invero, le modifiche normative apportate, a decorrere dal 2014, dal suddetto decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, pur risultando nel complesso meno penalizzanti per i territori montani, sotto il profilo dei minori tagli operati ai comuni, lasciano intatti sul tappeto numerosi problemi. Infatti, i nuovi criteri di esenzione, per quanto preferibili rispetto al mero criterio dell'altimetria del centro comunale di cui al decreto ministeriale del 28 novembre 2014, e che ha determinato il noto casus belli, presentano non pochi elementi di criticità e producono, con riferimento all'esenzione dall'imposta, disparità di trattamento difficilmente giustificabili tra territori contigui ed affini per caratteristiche morfologiche ed economiche;
    in generale, per quanto attiene i criteri di esenzione, si confermano tutte quelle criticità derivanti da un'imposizione iniqua ed irrazionale, già rilevate con riferimento alla successiva ed a tratti convulsa produzione normativa successiva al decreto-legge n. 66 del 2014 (che, avendo affidato al sovragettito dell'IMU agricola il compito di finanziare l'operazione «bonus 80 euro», aveva disposto una limitazione del perimetro delle esenzioni) e legate, soprattutto, alla mancata considerazione di aspetti connessi alla redditività delle colture tipiche, al rischio idrogeologico, alla dimensione delle aziende agricole e ad altri aspetti tipici delle diverse realtà rurali territoriali;
    così come ancora dubbie appaiono le modalità di aggiornamento periodico e di manutenzione della classificazione dei comuni a tale scopo adottata, dal momento che, come è noto, la triplice qualifica di montanità adottata dall'Istat (comune «totalmente montano», «parzialmente montano», «non montano»), cui la citata legge rinvia, è stata determinata sulla base del vetusto articolo 1 della legge n. 991 del 1952, successivamente abrogato dall'articolo 29 della legge n. 142 del 1990;
    inoltre, date le caratteristiche dei terreni oggetto d'imposizione ed il loro limitato valore, è ragionevole ritenere che i comuni non saranno nell'oggettiva condizione di recuperare una parte significativa del gettito stimato, anche a causa della sua frammentazione in importi singolarmente inferiori ai minimi di legge e, pertanto, non dovuti dai contribuenti. Tra gli altri elementi che concorreranno al verificarsi di prevedibili impatti negativi sui bilanci degli enti locali, occorre tenere presente il problema dei rimborsi per quei comuni che, interamente imponibili in virtù della normativa precedente, sono divenuti esenti o parzialmente esenti per effetto delle nuove disposizioni recate dal citato decreto-legge n. 4 del 2015, e pertanto dovranno corrispondere il rimborso a tutti quei contribuenti che hanno correttamente ritenuto di pagare l'IMU relativa al 2014 nei termini fissati dalla normativa previgente, situazione che, peraltro, rischia di imporre ulteriori costi amministrativi per i comuni, nonché maggiori aggravi per i contribuenti, i quali, oltre ad avere sostenuto i costi per la predisposizione dei conteggi dell'IMU pagata, dovranno procedere alla presentazione delle istanze di rimborso;
    riguardo, poi, all'entità del relativo taglio operato sul fondo di solidarietà dei comuni, il decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34, affida al Ministero dell'economia e delle finanze il compito di procedere, entro il 30 settembre 2015 e sulla base di una metodologia condivisa con l'Anci, la verifica del gettito IMU per l'anno 2014, al fine di assicurare la più precisa ripartizione tra i comuni dei tagli a valere sul fondo di solidarietà. È, pertanto, auspicabile che nell'ambito di tale verifica, il Governo provveda allo stanziamento di maggiori risorse da destinare per far fronte all'eventuale scostamento tra le stime ministeriali di gettito atteso e quello effettivamente riscosso;
    nonostante alcuni significativi correttivi introdotti nel corso dell'esame parlamentare del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4, l'intera vicenda ha rappresentato un nuovo grave segnale di disattenzione del Governo nei confronti di un comparto già pesantemente vessato e penalizzato dalla progressione di un'imposizione tributaria che ha visto quasi triplicare il carico fiscale, dalla riduzione delle aliquote agevolative in materia di accise sul gasolio, dal taglio dei fondi per il piano irriguo nazionale e dalla soppressione e dal ridimensionamento di enti di ricerca agricoli: tutti interventi che hanno determinato gravi ripercussioni sia sul versante produttivo che su quello occupazionale dell'intera filiera agricola;
    il futuro del nostro Paese è, invece, indissolubilmente legato allo sviluppo del territorio ed al rafforzamento dell'agricoltura: il comparto agricolo, ancora importante in termini di prodotto interno lordo, è capace di dare risposte economiche e sociali sia in termini occupazionali che di qualità della vita: valorizzare il territorio e potenziare le aree rurali diventa, pertanto, strategico per promuovere lo sviluppo dell'intero Paese, ma sta alla politica riconoscerle il giusto valore;
    il Governo, che con l'Expo 2015 sta facendo dell'agroalimentare il suo punto di forza politico, da una parte continua a sbandierare slogan a favore del ritorno dei giovani in agricoltura, considerata uno dei volani in grado di fare uscire il Paese dalla crisi, e dall'altro vessa gli agricoltori mantenendo la tassazione sul terreno, cioè lo strumento per produrre, a prescindere da quanto lo stesso abbia reso in termini economici o se sia stato vittima di calamità ed eventi atmosferici, come grandinate e alluvioni, o altri eventi incontrollabili, come la diffusione sulle piantagioni di gravi patologie, tutte condizioni per le quali, peraltro, non realizzandosi alcun reddito, non sussisterebbe neanche il presupposto per la tassazione;
    le aziende agricole italiane, che nel solo 2013 hanno visto crollare i loro redditi dell'11 per cento (contro l'1,7 per cento della media dell'Unione europea), saranno chiamate, soprattutto quando si spegneranno i riflettori su Expo 2015, a misurarsi con le sfide del mercato e ad affermarsi sia su quello locale che internazionale. Occorre, pertanto, adottare tutte le misure economiche e fiscali, che tengano conto della specificità del comparto agricolo a partire dall'abrogazione di quelle che lo penalizzano, dando così un forte impulso alle imprese che vi operano e mettendole in grado di realizzare il loro progetto imprenditoriale;
    oggi l'unica definitiva soluzione per salvare il mondo dell'agricoltura, già particolarmente provato, oltre che da una tassazione insostenibile, anche dalla minaccia sul mercato di forti competitor stranieri, capaci di imporre sempre più i propri prodotti sui banchi della distribuzione italiana ed europea, è rappresentata dall'esentare dal pagamento dell'IMU tutti i terreni agricoli, coltivati e non, compresi quelli destinati a pascolo, bosco e selvicoltura, prato permanente, ad aree di interesse ecologico e tutti quelli danneggiati da calamità naturali, limitatamente all'anno successivo a quello in cui si verifica l'evento calamitoso;
    da tempo è, inoltre, atteso un provvedimento che, riconoscendo l'importanza della ricomposizione fondiaria, aggiorni gli estimi catastali che rappresentano la base essenziale di una valutazione per poter superare le disparità oggi presenti tra terreni simili e contigui, ma soggetti a tassazione differenziata,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative che rappresentino un forte e tangibile segnale di attenzione verso il comparto primario, a partire dalla totale abolizione di una tassazione patrimoniale sui terreni agricoli e sui fabbricati che siano utilizzati come beni strumentali imprescindibili dall'attività agricola e ad essa connessi e necessari;
   a superare gli attuali criteri di esenzione dall'IMU agricola improntati ad avviso dei firmatari del presente atto unicamente al conseguimento di maggiore gettito erariale, promuovendo una revisione organica dei criteri dell'imponibilità dei terreni agricoli, attraverso un percorso di ampia concertazione con le associazioni agricole e con gli enti locali che conduca all'istituzione di un «tavolo della fiscalità per l'agricoltura», che sappia rivolgere la giusta attenzione alle caratteristiche territoriali e orografiche delle diverse aree montane, alcune delle quali fortemente esposte a fenomeni di dissesto idrogeologico e di spopolamento, e che tenga conto del diverso indice di redditività dei terreni agricoli, anche al fine di assicurare la coerenza della misura dell'imposta con la capacità contributiva dei medesimi;
   ad assumere iniziative per esentare dal pagamento dell'IMU, relativa agli anni 2015 e 2016, tutti i terreni agricoli che abbiano subito grave pregiudizio alla redditività a causa dalla diffusione della fitopatologia denominata xylella fastidiosa di cui al decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali del 26 settembre 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 14 ottobre 2014, n. 239, ed a prevedere, per il futuro, l'automatica sospensione della tassazione IMU per tutti quei terreni agricoli affetti da fitopatie diffuse, per l'intero anno d'imposta nel quale si verifica la patologia;
   a provvedere, nell'ambito della procedura di verifica del gettito IMU per l'anno 2014, allo stanziamento di maggiori risorse da destinare per far fronte all'eventuale scostamento tra le stime ministeriali di gettito atteso e quello effettivamente riscosso dai comuni in relazione al nuovo regime di imponibilità dei terreni montani.
(1-00790) «Franco Bordo, Zaccagnini, Paglia, Scotto».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 ha reintrodotto l'obbligo di pagamento dell'Imposta municipale propria (IMU) per i terreni agricoli al fine di reperire le risorse necessarie per finanziare alcune agevolazioni previste dallo stesso decreto;
    la reintroduzione della suddetta imposta può essere interpretata come una vera e propria patrimoniale sulla terra, suscettibile, tra l'altro, di favorire l'abbandono delle terre da parte degli agricoltori, in assoluta contraddizione con le normative nazionali e soprattutto comunitarie che invece sostengono il ricambio generazionale in agricoltura proprio al fine di limitare i fenomeni di dismissione delle aziende agricole con le conseguenti pericolose speculazioni sui relativi terreni;
    l'applicazione dell'IMU ai terreni agricoli rappresenta un aggravio di imposizione proprio mentre il carico fiscale per il settore agricolo sta assumendo livelli insostenibili. È da tempo che il comparto primario attende una revisione complessiva della fiscalità patrimoniale, una revisione che tenga conto delle difficoltà legate alla conduzione dei terreni e che consideri le specificità del comparto agricolo nazionale, una delle eccellenze più significative del made in Italy;
    coloro che risultano maggiormente colpiti da questa imposta, infatti, non sono i grandi imprenditori agricoli, bensì i piccoli agricoltori o anche i piccoli possessori di terreno, che spesso lo coltivano esclusivamente per ragioni di autoconsumo o semplicemente operano su di esso una costante, ma preziosa, manutenzione;
    imporre una tassa sulla terra significa tassare un bene strumentale senza il quale non si potrebbero ottenere i beni primari, come le derrate agricole necessarie al sostentamento della popolazione, oltre che i numerosi prodotti di qualità che sono venduti anche all'estero con il secondo brand più famoso al mondo ovvero: made in Italy; significa rendere l'agricoltura italiana sempre meno competitiva nei confronti degli altri mercati europei ed extraeuropei, facendola concorrere con prodotti sempre più vantaggiosi dal punto di vista del prezzo finale, inoltre potrebbe significare perdere l'unico presidio ancora reale del territorio italiano, l'agricoltore, obbligandolo al pagamento di un'imposta sullo strumento della produzione a prescindere se un terreno abbia reso o meno in termini economici o se sia stato vittima di calamità atmosferiche, fitopatie o altri eventi non prevedibili;
    i cambiamenti climatici degli ultimi anni hanno provocato un inasprimento ed una maggior frequenza degli eventi climatici avversi, con conseguente ricaduta sulle produzioni e sui beni strumentali delle aziende agricole italiane, specie quelle che fanno agricoltura in pieno campo e nel 2014 si contano ben 31 calamità naturali ufficialmente riconosciute tramite apposito decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
    come noto, negli ultimi anni il fondo di solidarietà nazionale, che eroga i contributi compensativi per le aziende agricole situate nei comuni inseriti nei decreti di declaratoria dello stato di calamità naturale, non viene sufficientemente rimpinguato, anche a causa di una diversa politica di gestione del rischio che ha spostato la maggior parte delle risorse finanziarie sulla prevenzione dei rischi agricoli ex ante, anziché sul risarcimento dei danni ex post e la procedura che porta dal verificarsi del danno all'ottenimento del contributo compensativo è oltremodo lunga e farraginosa e può durare anni, al termine dei quali alle aziende agricole viene riconosciuto quasi sempre un contributo sensibilmente minore rispetto allo spettante, accertato e giustificato dalle aziende stesse tramite perizie agronomiche con oneri a loro carico;
    l'IMU sui terreni agricoli potrebbe, inoltre, soffocare i segnali positivi di ripresa che provengono proprio dal settore agricolo, in termini di occupazione e di prodotto interno lordo, e che sono invece il volano di una possibile ripresa economica del nostro Paese;
    la normativa in materia di revisione dei meccanismi di calcolo delle esenzioni è cambiata più volte fino all'approvazione del decreto-legge n. 4 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 34 del 2015, che ha sostanzialmente confermato il riferimento ai parametri stabiliti dall'Istat al fine di individuare i comuni i cui terreni agricoli risultano esenti dall'imposta, ovvero i comuni classificati come totalmente montani, e quelli i cui terreni agricoli sono esonerati dal versamento solo se posseduti e condotti da coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, cioè i comuni parzialmente montani;
    è evidente per i firmatari del presente atto di indirizzo che i criteri con i quali viene imposta l'IMU sui terreni agricoli, e quelli sui quali viene calcolata l'esenzione, che fanno riferimento alla cosiddetta «montagna legale dell'ISTAT del 1952», trascurano, anche a causa della loro vetustà, ogni criterio di equità, determinando di fatto delle vere e proprie ingiustizie sociali e andando a colpire la terra e non la redditività dell'agricoltore, senza contare che, attualmente, le rendite catastali non corrispondono più alla reale redditività dei terreni a causa del mancato aggiornamento, da decenni, del catasto agricolo,

impegna il Governo:

   a procedere con urgenza ad una revisione complessiva delle norme in materia di fiscalità rurale e, in particolare, ad esentare i terreni agricoli dall'applicazione dell'imposta municipale propria a decorre dall'anno 2015;
   ad assumere iniziative per rimborsare i proprietari dei terreni agricoli che, in base a quanto previsto dal decreto-legge n. 4 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 34 del 2015, abbiano proceduto al pagamento dell'IMU entro il termine del 31 marzo 2015 e ad assumere iniziative per compensare i comuni interessati dal minor gettito derivante dalla mancata entrata tributaria, anche attraverso la riduzione degli sgravi da interessi passivi di banche ed assicurazioni di cui all'articolo 96 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
   ad assumere iniziative per esentare comunque dal pagamento dell'IMU i terreni agricoli posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali che dichiarino, a decorrere dall'anno 2015, un volume d'affari da attività agricola non superiore a 15 mila euro annui e a quelli ubicati in comuni vittime di calamità naturali verificatesi a partire dall'anno 2014, così come individuati dai relativi decreti del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;
   a procedere con urgenza all'aggiornamento del catasto agricolo nonché della classificazione dell'Istat dei comuni italiani, tenendo conto dell'evoluzione e della trasformazione del territorio e del settore primario degli ultimi decenni.
(1-00793) «Massimiliano Bernini, Benedetti, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Parentela, Lupo, Pesco, Villarosa, Cancelleri, Ruocco, Alberti».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    il settore agricolo italiano sta vivendo una situazione di disagio economico causato dalla crisi in atto. Nel corso del 2015, a peggiorare la situazione economico finanziaria complessiva del settore, hanno contribuito una serie di ulteriori aggravi di ordine fiscale pari nel complesso ad oltre 760 milioni di euro. La parte più cospicua di essi è imputabile all'imposta municipale unica (IMU) sui terreni agricoli, che ha garantito un gettito pari a circa 350 milioni di euro mentre il pagamento dell'IMU e della Tasi sui fabbricati rurali ha garantito un gettito pari a circa 150 milioni di euro;
    attualmente in Italia vi sono settori economici come quello agricolo, rilevanti sotto molteplici aspetti. Sono 2 milioni le imprese agricole complessive del Paese, le quali producono il 9 per cento del prodotto interno lordo italiano che aumenta sino al 14 per cento, considerando anche l'indotto, dando lavoro a 3,2 milioni di lavoratori nella filiera. Il contributo complessivo garantito all'erario è valutato in più di 25 miliardi di euro. Anche a causa di ciò, si sono poste le condizioni per il potenziale abbandono di molti imprenditori agricoli, fatto che avrebbe conseguenze nefaste per l'intera economia. Sono infatti molte le aziende agricole che già vivono tale situazione insostenibile fatta di ricavi che non coprono più l'insieme dei costi produttivi e degli oneri tributari cui devono far fronte poiché la redditività degli imprese agricole è ferma ai livelli del 2005;
    l'assoggettamento dei terreni agricoli all'IMU ha provocato e provoca una crisi delle imprese agricole superiore a quello rilevabile in altri settori, ad esempio in quello edilizio, con una conseguente diminuzione delle imprese operanti e, per quelle operanti, una riduzione della redditività che è causa di licenziamenti ed impoverimento degli addetti nel settore;
    si stima che il reddito derivante dalla vendita delle produzioni agricole non sarebbe sufficiente a far fronte al pagamento dell'imposta, determinando la conseguente cessazione dell'attività ed una elevata svalutazione del valore del bene fondiario;
    ad oggi, la classificazione dei comuni per grado di montanità è ancora quella elaborata dalla «Commissione censuaria» istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze sulla base dell'articolo 1 della legge n. 991 del 1952, recante «Provvedimenti in favore dei territori montani». Quella classificazione ha definito quali fossero i comuni ricadenti in ciascuna delle tre classi (comuni totalmente montani, parzialmente montani e non montani);
    nel corso dell'audizione svoltasi al Senato della Repubblica, la rappresentante dell'Istat ha testualmente affermato che: «La legge n. 142 del 1990, con l'abrogazione degli articoli 1 e 14 della legge n. 991 del 1952, ha di fatto soppresso lo strumento giuridico (Commissione censuaria) che consentiva il periodico aggiornamento della classificazione dei comuni per grado di montanità». In particolare, si ricorda che l'articolo 1 della legge n. 991 del 1952, abrogato dalla citata legge n. 142 del 1990, a sua volta abrogata dal decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), disponeva che «la Commissione censuaria centrale compila e tiene aggiornato un elenco nel quale d'ufficio o su richiesta dei comuni interessati, sono inclusi i terreni montani. La Commissione censuaria centrale notifica al Comune interessato e al Ministero dell'agricoltura e delle foreste l'avvenuta inclusione nell'elenco». Tali funzioni della Commissione censuaria sono state appunto abrogate dalla legge n. 142 del 1990;
    la Commissione censuaria, che era incaricata del periodico aggiornamento della classificazione dei comuni, ha trasmesso periodicamente all'Istat tali dati sino al 2009. Dell'incombenza è stata successivamente incaricata l'Unione nazionale comuni, comunità, enti montani (Uncem);
    sebbene la classificazione, da allora, sia rimasta invariata, nei casi in cui si sono verificate variazioni amministrative, i dati sono stati aggiornati sulla base del criterio di prevalenza territoriale. Di conseguenza, i dati utilizzati per quantificare l'IMU non corrispondono esattamente alla realtà dei territori;
    si ricorda che ai fini dell'ottenimento dell'esenzione dall'imposta si devono indicare dei parametri desumibili da quanto reso pubblico dall'Istat. Come detto, però, gli stessi dirigenti dell'istituto auditi pubblicamente affermano che essi non sono aggiornati e, quindi, non adeguati a valutare l'effettivo valore imponibile desumibile dalla natura e dalla posizione del terreno in base ai quali si determina concretamente il quantum dell'imposizione;
    la normativa attualmente vigente, inoltre, non ha previsto casi di esenzione per quei terreni agricoli colpiti da calamità naturali e per i quali sia stato dichiarato lo stato di calamità naturale e che quindi si troverebbero a dover affrontare difficoltà produttive tali da rendere particolarmente onerosa la corresponsione dell'imposta e le difficoltà conseguenti agli eventi di cui sopra possono protrarsi per diverse stagioni compromettendo le culture per più di un anno;
    non risultano poi esentati dal pagamento dell'imposta i proprietari di terreni agricoli non coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali che intendono affittare i terreni, quindi coloro che non hanno la qualifica professionale. Da ciò discende il fatto che non consentire alcuna esenzione ai proprietari non professionisti che affittano i propri terreni e ciò rischia di far ricadere il costo dell'imposta sul canone di affitto. Si segnala in modo particolare il danno potenziale causato ai giovani che vogliano avviare un'attività produttiva agricola sottoscrivendo un contratto di affitto di un terreno. In questi casi il proprietario potrebbe essere indotto dalla normativa ad aumentare il canone di locazione per compensare indirettamente la maggiore imposizione fiscale a cui sono sottoposti, traslandola sull'imprenditore agricolo;
    la disciplina, inoltre, non prevede l'esenzione per quei terreni agricoli che abbiano subito grave pregiudizio alla redditività aziendale, come effettivamente è accaduto, ad esempio, in seguito alla diffusione del batterio della xylella fastidiosa sulle piante di olivo in Puglia, della «tristezza degli agrumi», del cinipide del castagno, della diabrotica, della mosca del ciliegio e della mosca dell'ulivo, e che tali eventi hanno compromesso seriamente la redditività dell'attività di impresa, per cui risulta onerosa la corresponsione dell'imposta;
    maggiori disponibilità derivanti dall'abrogazione delle disposizioni fiscali a favore del lavoro in agricoltura, recentemente approvate possono consentire ai produttori agricoli di essere destinatari di alcune deduzioni dalla base imponibile del medesimo tributo con riferimento alle assunzioni dei lavoratori agricoli dipendenti sia a tempo indeterminato che a tempo determinato;
    si sottolinea che tali abolizioni sono del tutto controproducenti per il settore agricolo dal momento che vengono ad essere così sottratte ulteriori risorse all'agricoltura,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di andare via via riducendo fino ad arrivare a una totale abolizione dell'IMU sui terreni agricoli nei casi in cui il terreno e/o i fabbricati siano utilizzati come beni strumentali imprescindibili dall'attività agricola, poiché il terreno agricolo, per chi svolge attività di imprenditore agricolo professionale e di coltivatore diretto, rappresenta un bene strumentale in relazione alla propria attività;
   ad assumere iniziative entro e non oltre il 31 dicembre 2015 affinché il Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali avvii una revisione organica e complessiva delle tariffe d'estimo stabilite, per ciascuna qualità e classe di terreno, sia per il reddito agrario che dominicale, su tutto il territorio, con un'armonizzazione tra colture e tra territori, che tenga conto dell'intervenuta modificazione delle relazioni economiche e competitive sui territori stessi e tra le filiere settoriali, anche attraverso l'attivazione di tavoli di confronto con le organizzazioni agricole e con le rappresentanze degli enti locali;
   ad assumere iniziative per prevedere l'inserimento tra i soggetti esentati dall'IMU anche coloro che, essendo proprietari di terreni agricoli e non rivestendo la qualifica di coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali, affittino i propri terreni a coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali al fine della coltivazione;
   ad effettuare un riesame complessivo della disciplina giuridica afferente l'imposizione fiscale sui terreni agricoli nel territorio nazionale, prevedendo forme più eque e che siano in grado di differenziare effettivamente e nel migliore dei modi i contesti geografici e le zone montane o semimontane in cui si riscontrano effettive difficoltà produttive e una minore redditività;
   a verificare i modi effettivi e le relative conseguenze dell'applicazione delle esenzioni introdotte per i terreni svantaggiati, al fine di prevedere, con una successiva iniziativa normativa, una revisione dei criteri di esenzione dall'IMU che si adatti alla reale situazione dei terreni agricoli, in modo da aver riguardo alle reali condizioni socio-economiche ed agrarie e alle caratteristiche orografiche del suolo, nonché tenendo conto del rischio idrogeologico dei territori e della loro redditività, in modo da assicurare la coerenza della misura dell'imposta con la capacità contributiva dei medesimi terreni;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'applicazione delle esenzioni introdotte anche per quei comuni con un territorio non uniforme, per i quali occorre differenziare anche nel medesimo comune tra zone svantaggiate e non, delimitando le diverse aree e valutando la possibilità di considerare tra le aree oggetto di esenzione o di significativa franchigia anche i siti di interesse comunitario e le aree protette;
   ad assumere iniziative normative per assicurare il rimborso a favore dei contribuenti che hanno effettuato versamenti dell'IMU relativamente ai terreni che risultano imponibili.
(1-00795) «Rostellato, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    la vicenda dell'IMU agricola è stata oggetto di diversi interventi legislativi nel corso del 2014 e dell'inizio del 2015. Tali interventi hanno ingenerato sconcerto sia nel mondo agricolo, sia nelle amministrazioni comunali, a causa del sovrapporsi di norme, ciascuna modificativa della precedente, e di modalità applicative non in linea con i principi dello statuto del contribuente, sia per quel che riguarda la non retroattività delle norme fiscali, sia per il fatto che il requisito della montanità, necessario per l'esenzione dal pagamento della nuova imposta, non sembra essere stato applicato in modo da assicurare parità di trattamento fiscale a situazioni territoriali del tutto similari;
    dall'originaria previsione, contenuta nell'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014 e nel relativo decreto applicativo (decreto ministeriale del 28 novembre 2014), emanato ad appena due settimane dalla prima scadenza di pagamento, si è passati all'adozione del decreto-legge di mera proroga della scadenza di pagamento (decreto-legge 16 dicembre 2014, n. 185), poi confluito nei commi 692 e successivi dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015, sino al decreto-legge n. 4 del 2015, nel quale sono stati adottati significativi miglioramenti all'originaria previsione, ma si sono anche gettate le basi per una complessiva rivisitazione dell'imposizione fiscale locale sui terreni agricoli;
    nel decreto-legge n. 4 del 2015, per quanto riguarda i comuni considerati totalmente montani, in cui i terreni agricoli sono completamente esenti, si passa da 1.498 a 3.546 unità; per quanto riguarda i comuni parzialmente esenti il numero ammonta a 655 unità; rispetto alla precedente classificazione, oltre 4.000 comuni vedono ora favorevolmente modificata la tassazione IMU dei rispettivi terreni agricoli; l'applicazione dei nuovi criteri di esenzione comporta, a regime dal 2015, un minor gettito, rispetto al precedente provvedimento, di circa 91 milioni di euro (268,7 milioni rispetto ai previsti 350);
    sono stati introdotti due ulteriori contemperamenti, consistenti nell'ampliamento dell'esenzione a favore dei comuni situati nelle isole minori che tiene conto del concetto di marginalità economica, nonché nella previsione di una riduzione dell'imposta di 200 euro dal 2015, in favore di quei terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola collocati in aree definite «collina svantaggiata» e ubicati in quei comuni che erano in precedenza esenti e che, nella nuova classificazione Istat, non risultano essere né montani, né parzialmente montani;
    l'IMU, nelle sue varie componenti, trova origine negli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, applicativo della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, a sua volta attuativa dell'articolo 119 della Costituzione, che concerne l'autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni. In tale ambito il gettito, le aliquote (salva l'eventuale determinazione dei minimi e dei massimi) e le esenzioni dovrebbero essere esclusiva competenza dei comuni. È legittimo affermare che l'imposizione dei comuni sui propri terreni (agricoli, urbani, destinati ad attività produttive) costituisce l'archetipo delle imposte che dovrebbero essere integralmente devolute agli enti locali;
    peraltro, le materie dell'agricoltura e della gestione del territorio risultano, sia nell'attuale ordinamento che in quello che si prefigura nella riforma costituzionale in corso di esame, di competenza regionale; l'IMU agricola, così come impostata sia dall'articolo 22 del decreto-legge n. 66 del 2014, che dal decreto-legge n. 4 del 2015, si configura, invece, come una sorta di tassa patrimoniale basata su un reddito presunto derivato da valori catastali, in contrasto con i principi di territorialità, sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza che sono contemplati nella legge n. 42 del 2009;
    già l'articolo 29 della legge n. 142 del 1990 sulle autonomie locali demandava alle regioni la definizione di aree montane, consentendo di modulare l'imposizione fiscale sulla base delle specificità dei diversi territori, della redditività delle colture, dell'isolamento e del ritardo di sviluppo di talune aree del Paese; viceversa, i criteri adottati su indicazione Istat nel decreto-legge n. 4 del 2015, per stabilire il regime di esenzione, evidenziano una stortura di fondo, consistente nel fatto che il regime di esenzione non tiene conto della realtà economica e sociale, delle specificità dei diversi territori, della redditività delle colture, dell'isolamento e del ritardo di sviluppo di talune aree del Paese, ma si conforma a criteri meramente statistici;
    l'agricoltura italiana è uno dei comparti più dinamici dell'economia nazionale e la sua vitalità sta avendo effetti estremamente positivi sulla bilancia commerciale e sull'occupazione. Nell'attuale fase economica depressiva il comparto agricolo nazionale sta, quindi, svolgendo una funzione essenziale in termini produttivi e di rilancio economico-sociale; non è, pertanto, opportuno gravarlo con un'imposta che non tenga conto delle diverse realtà socio-economiche;
    nel corso del dibattito sul decreto-legge n. 4 del 2015 sono stati accolti dal Governo diversi ordini del giorno volti a riportare l'applicazione dell'IMU agricola nel suo ambito proprio di imposta devoluta agli enti territoriali nel se, nel come e nel quantum, nonché a sopprimere il taglio dei trasferimenti ai comuni individuando forme di copertura alternative: gli ordini del giorno nn. 9/1749/9 e 9/1749/5 sulle misure correttive volte a superare la disparità di trattamento tra terreni agricoli ubicati in territori contigui e affini per caratteristiche morfologiche ed economiche, n. 9/2915/59 per l'adozione di criteri applicativi che tengano conto dell'indice di spopolamento del basso reddito pro capite di talune aree e n. 9/2679-bis-B/185 per l'introduzione di criteri premiali per i terreni in attualità di coltura e sanzionatori per i terreni lasciati incolti ovunque situati, da adottare a discrezione dei comuni,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per abrogare, a decorrere dal 2015, la previsione dell'articolo 22, comma 2, del decreto-legge n. 66 del 2014, così come modificata dal decreto-legge n. 4 del 2015, concernente l'applicazione dell'imposta municipale propria (IMU) sui terreni agricoli, individuando, nell'ambito dei risparmi di bilancio o mediante nuove diverse entrate, le necessarie misure di compensazione;
   ad assumere iniziative normative dirette a devolvere agli enti territoriali la possibilità di valutare se introdurre o meno l'imposta municipale propria sui terreni agricoli, come componente della local tax;
   a modificare, in concorso con le regioni, le modalità applicative del requisito di montanità, secondo criteri che tengano conto della marginalità e della produttività delle aree, del reddito pro capite, della necessità di applicare la parità di trattamento tra terreni agricoli ubicati in territori contigui e affini per caratteristiche morfologiche ed economiche;
   ad assumere iniziative normative generali, relative alla tassazione dei terreni agricoli, nelle quali sia prevista la possibilità per gli enti locali di modificare in termini premiali o sanzionatori le aliquote dell'IMU, introducendo o incrementando l'imposta a carico dei terreni agricoli lasciati incolti, fatti salvi i riposi colturali e le aree destinate a bosco e a pascolo, o a carico dei terreni abbandonati, anche sotto il profilo della mancata esecuzione delle opere di tutela della pubblica incolumità o di sicurezza idrogeologica posti dalla legge a carico dei proprietari, o viceversa introducendo nuove o ulteriori riduzioni in favore dei terreni in attualità di coltura o dei terreni non coltivati, ma la cui corretta conduzione costituisca presidio contro il dissesto idrogeologico.
(1-00797) «De Girolamo, Pagano, Cera, Dorina Bianchi, Bosco, Tancredi, Minardo».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


MOZIONI DE GIROLAMO ED ALTRI N. 1-00659, CARFAGNA ED ALTRI N. 1-00791, LOMBARDI ED ALTRI N. 1-00794 E NICCHI ED ALTRI N. 1-00798 IN MATERIA DI POLITICHE A FAVORE DELLA NATALITÀ

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno della scarsa natalità in Italia ha assunto, come noto, dimensioni molto preoccupanti;
    i dati ufficiali sulle nascite dimostrano un costante calo delle stesse dal 2010 al 2013, anno in cui è stato segnato un nuovo minimo storico, essendo stati rilevati solo 510.924 nati;
    contestualmente, si assiste al progressivo inasprimento di un fenomeno connesso a quello della denatalità: il processo di invecchiamento generale della popolazione. Nell'ultimo rapporto Istat del 2014, si stima che dal 2011 al 2041 la proporzione di ultrasessantacinquenni per 100 giovani con meno di 15 anni risulterà più che raddoppiata, passando da 123 a 278 unità;
    dati particolarmente allarmanti, diffusi recentemente da notizie di stampa, dimostrano che da tale trend non è escluso, ormai, neanche il Sud Italia, ove il problema sembra assumere contorni particolarmente critici, tanto da aver fatto parlare di un vero e proprio processo di «desertificazione»;
    non vi è dubbio che i fenomeni in esame, ove trovassero conferma nei prossimi anni, rischiano di mettere in crisi la sostenibilità stessa del sistema Paese e, in particolare, del sistema di welfare, comprensivo sia del settore previdenziale e sociale che del settore sanitario;
    a causare i citati fenomeni concorrono sia fattori sociali che economici;
    per le suddette ragioni, vanno considerate con grande favore tutte le iniziative che il Governo ha già adottato e vorrà adottare per contrastare il richiamato trend della natalità, in quanto un Paese senza nascite è un Paese senza futuro;
    in particolare, tra le richiamate iniziative, assumono significativo rilievo le seguenti:
   a) previsione, nell'ambito del disegno di legge di stabilità per il 2015, della concessione di un assegno mensile di 960 euro annui per ogni nuovo nato o adottato nel periodo compreso tra il 2015 e il 2017, per le famiglie in possesso di determinati requisiti di reddito, secondo modalità attuative da individuarsi mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute. Tale misura si inserisce nell'ambito più generale delle iniziative a favore della famiglia, cui, peraltro, il medesimo disegno di legge di stabilità riserva uno stanziamento aggiuntivo di 298 milioni di euro per il 2015;
   b) istituzione, presso il Ministero della salute, di un tavolo consultivo in materia di tutela e conoscenza della fertilità e prevenzione delle cause di infertilità, al fine di fornire, allo stesso Ministero, un qualificato supporto per approfondire le tematiche in questione e per proporre adeguate soluzioni, anche normative;
   c) la costante attenzione manifestata nei confronti della complessa problematica riguardante la procreazione medicalmente assistita, anche con riferimento, nell'ultimo anno, a quella di tipo eterologo, in conseguenza della nota sentenza della Corte Costituzionale che ne ha annullato il divieto,

impegna il Governo:

   a proseguire nel percorso già intrapreso di promozione e adozione di misure a sostegno della natalità e della famiglia;
   ad avviare sin da subito le iniziative affinché sia adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante le misure attuative della norma sull'assegno per i nuovi nati o adottati;
   a valutare ogni possibile ulteriore iniziativa affinché la predetta misura dell'assegno per i nuovi nati o adottati non rimanga una iniziativa una tantum, ma si configuri, invece, come intervento permanente a favore delle famiglie e dei nuovi nati.
(1-00659) «De Girolamo, Dorina Bianchi, Pizzolante, Tancredi, Saltamartini, Misuraca, Cicchitto, Pagano, Calabrò, Roccella, Piso, Scopelliti, Bernardo, Sammarco, Vignali, Bosco, Minardo, Garofalo, Piccone».


   La Camera,
   premesso che:
    l'ultima indagine Istat del 2014 sulla situazione delle famiglie italiane registra un sistema di welfare costretto a fronteggiare numerosi elementi di criticità, anche in conseguenza della crisi economica che ha attraversato il nostro Paese. In un contesto di riduzione dei fondi destinati alle politiche sociali, da un lato, e di crescenti condizioni di disagio economico delle famiglie, dall'altro, si dipanano gli effetti delle trasformazioni demografiche e sociali, caratterizzate dall'accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione e da mutamenti della struttura delle famiglie;
    in particolare, l'indagine Istat conferma quanto sia bassa la propensione ad avere figli. Mentre cresce la speranza di vita alla nascita, giunta a 79,6 anni per gli uomini e a 84,4 anni per le donne (rispettivamente superiore di 2,1 anni e 1,3 anni alla media dell'Unione europea del 2012), allo stesso tempo il nostro Paese è caratterizzato dal persistere di livelli molto bassi di fecondità, in media 1,42 figli per donna nel 2012 (media dell'Unione europea 1,58);
    sono, quindi, in calo le nascite, per la prima volta anche fra le madri straniere, che finora hanno tenuto alto il livello demografico del nostro Paese. Cinquemila neonati in meno nel 2014 rispetto al 2013. Si legge nel rapporto che il tasso di natalità è «insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale». La popolazione residente ha raggiunto i 60 milioni 808 mila residenti (compresi 5 milioni 73 mila stranieri) al 1o gennaio 2015, mentre i cittadini italiani continuano a scendere – come ormai da dieci anni – e hanno raggiunto i 55,7 milioni (-125 mila rispetto al 2013);
    la vita media in continuo aumento, da un lato, e il regime di persistente bassa fecondità, dall'altro, hanno fatto conquistare a più riprese all'Italia il primato di Paese con il più alto indice di vecchiaia del mondo: al 1o gennaio 2013 nella popolazione residente si contano 151,4 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani con meno di 15 anni;
    questa misura rappresenta il «debito demografico» contratto da un Paese nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Trent'anni di tale evoluzione demografica consegnano un Paese profondamente trasformato nella sua struttura e nelle sue dinamiche sociali e demografiche;
    forse il dato più allarmante registrato dall'indagine Istat 2014 è il seguente: l'Italia occupa la penultima posizione tra i Paesi europei per le risorse dedicate alle famiglie, per le quali lo stanziamento ammonta al 4,8 per cento della spesa totale erogata dallo Stato. Senza voler arrivare ai dati dei Paesi del Nord Europa, è chiaro a tutti che la coincidenza tra politiche per la famiglia e politiche a favore della natalità è un nodo fondamentale che non viene affrontato da troppo tempo dal Governo italiano;
    eppure molti sarebbero i fronti sui quali agire per favorire natalità e famiglia: parole come servizi per l'infanzia, esclusione sociale, povertà minorile, abbandono scolastico, disoccupazione, non solo stanno attraversando negli ultimi anni un periodo buio senza risposte, ma di fatto scoraggiano le giovani coppie italiane a creare una famiglia;
    infatti il Governo attuale non può pensare di continuare a «vivere» di rendita su quanto fatto dai Governi precedenti per le politiche familiari. Riconoscendo che nella legge di stabilità per il 2015, all'articolo 1, comma 131, si istituisce nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo per interventi a favore della famiglia di 112 milioni di euro per il 2015, è chiaro che la carenza non risiede solo nei fondi, ma sul loro impegno e sul feedback ricevuto nell'impiego di spesa;
    anche se negli ultimi anni il sistema si era potenziato grazie al piano straordinario di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, varato nel 2007 e sostenuto con 446 milioni di euro, di cui il 42 per cento destinato alle regioni meridionali a scopo perequativo, secondo diversi osservatori, tuttavia, la spinta propulsiva di tale piano si sarebbe ormai sostanzialmente esaurita;
    manca in Italia – a oltre 40 anni dalla legge istitutiva dei nidi d'infanzia, la n. 1044 del 1971 – un quadro di riforma organica dei servizi 0-6 anni, che ne identifichi i requisiti fondamentali, mettendo al centro i diritti dei bambini alla cura e all'educazione. Come scritto dal Gruppo nazionale nidi e infanzia del 2012, «la crisi ha già colpito e rischia di colpire ulteriormente la qualità di molti servizi e anche le eccellenze rischiano seriamente di non reggere di fronte alla prospettiva di una indiscriminata caduta di attenzione politica». Mettere in crisi il sistema dei servizi per l'infanzia vuol dire mettere in crisi la donna che lavora e che, fino all'ingresso dei figli alla scuola primaria, dovrà barcamenarsi per mantenere un lavoro o, come le statistiche dicono, sarà costretta a rinunciarvi;
    gli obiettivi fissati a Lisbona prevedono che il 33 per cento dei minori al di sotto dei 3 anni di età possa usufruire del servizio di asilo nido. Dai dati risulta che in media nel nostro Paese solo il 18,7 per cento dei bambini di 0-2 anni frequenta un asilo nido pubblico o privato;
    l'offerta di asili nido e di servizi integrativi per la prima infanzia mostra ampi divari territoriali: infatti, i dati evidenziano differenze estremamente rilevanti. Tra le regioni che vedono una situazione sfavorevole in termini di percentuale di comuni coperti la Calabria spicca con il valore più basso (13 per cento). I bambini che usufruiscono di asili nido comunali o finanziati dai comuni variano dal 3,5 per cento al Sud al 17,1 per cento al Nord-Est, mentre la percentuale dei comuni che garantiscono la presenza del servizio varia dal 24,3 per cento al Sud all'82,6 per cento al Nord-Est. Le regioni del Sud in cui si osservano le percentuali più basse di bambini che usufruiscono dei servizi all'infanzia sono la Campania (1,9 per cento) e la Calabria (2,4 per cento). Spiccano, invece, i valori di questo indicatore relativo alla presa in carico degli utenti, per l'Emilia-Romagna (24,4 per cento), la provincia autonoma di Trento (19,5 per cento) e l'Umbria (19,1). Le regioni che registrano valori più alti per l'indice di copertura del servizio sono il Friuli Venezia Giulia, l'Emilia-Romagna e la Valle d'Aosta;
    i comuni svolgono un ruolo centrale nella gestione della rete di interventi e servizi sociali sul territorio che vengono destinati al sostegno alle famiglie per i bisogni connessi alla crescita dei figli, all'assistenza agli anziani e alle persone con disabilità, o al contrasto del disagio legato alla povertà e all'emarginazione. Le capacità di spesa dei comuni, del resto, sono fortemente condizionate dai vincoli posti dal patto di stabilità interno, dalla crisi economica e dalle riduzioni dei trasferimenti statali destinati a finanziare le politiche sociali: tutti fattori ancora senza risposta;
    non solo: come evidenziato in altri atti d'indirizzo parlamentare, in Italia il sistema fiscale si ostina ad operare come se la capacità contributiva delle famiglie non fosse influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli. Investire nelle politiche familiari significa, pertanto, investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della società;
    accade poi che quanto di buono era stato fatto è, invece, smantellato dalle ultime posizioni governative. Basti pensare al seguente esempio: il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, pubblicato nella Gazzetta ufficiale 6 luglio 2000, n. 156, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144, prevedeva incentivi per l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego, al fine di favorire l'ampliamento della base produttiva e occupazionale, nonché lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese. La misura è stata il principale strumento di sostegno alla realizzazione e all'avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione, per lo più giovani e donne. In attuazione del citato decreto legislativo sono stati erogati nell'arco temporale 2000-2012 incentivi per complessivi circa 4 miliardi di euro, che hanno consentito l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali, con conseguente creazione di un significativo numero di posti di lavoro per un totale di circa 180 mila nuovi occupati, oltre all'occupazione aggiuntiva creata dall'indotto di tali attività. In particolare, una percentuale significativa degli aspiranti beneficiari sono stati donne e giovani (rispettivamente il 44 per cento e il 51 per cento del totale) e non c’è un solo comune del Sud Italia da cui non risulti pervenuta almeno una domanda, con effetti enormi sull'occupazione, senza contare gli enormi benefici nell'indotto. Eppure, il Governo ha deciso di non rifinanziare la misura di autoimpiego, togliendo la possibilità a molti giovani lavoratori di aprire un'attività a sostegno della propria famiglia;
    questo sembra ancor più paradossale se si pensa che in Italia giacciono inutilizzati, dal 2007, circa 20 miliardi di euro di fondi europei destinati allo sviluppo dell'occupazione giovanile,

impegna il Governo:

   a promuovere l'implementazione delle risorse destinate al fondo nazionale delle politiche sociali, verificandone l'equa ripartizione, ponendo attenzione alla reale ricaduta che tali risorse hanno sulle famiglie, assicurando che in tutti i comuni italiani vi sia la medesima accessibilità ai servizi e realizzando una rete di monitoraggio su quanto erogato e quanto investito relativamente a ciascun ente locale;
   a realizzare un'indagine ministeriale che quantifichi puntualmente l'effettiva domanda di servizi di asili nido, in modo tale da predisporre una programmazione di nuovi posti, in funzione della richiesta effettiva e non soltanto in base al numero complessivo dei bambini;
   ad intervenire con un sistema organico di politiche economiche, al fine di escludere dal patto di stabilità gli interventi pubblici relativi al funzionamento dei servizi per la famiglia e istituire meccanismi stabili di finanziamento pubblico, che prevedano la compartecipazione dei diversi livelli di governo alla spesa per i servizi per l'infanzia e per le scuole dell'infanzia.
(1-00791) «Carfagna, Centemero, Palese, Prestigiacomo, Milanato, Calabria, Polverini».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'ultimo rapporto del Censis, l'Italia ha un tasso di natalità tra i più bassi d'Europa, pari a 9,0 per mille abitanti;
    nell'anno 2013 il tasso di natalità è difatti sceso all'8,5 per cento, registrando il minimo storico: 514.308;
    la scarsa natalità e il relativo declino demografico che ne consegue sono il nemico occulto, ancora troppo sottovalutato, della sostenibilità del welfare futuro;
    dal 1995 fino al 2008 la crescita della natalità si è per gran parte realizzata grazie ai flussi migratori (aumento del numero di donne fertili e propensione culturale favorevole alla famiglia con figli);
    dopo il 2008, anche l'apporto derivante dalle migrazioni si è attualmente attenuato, poiché l'età media delle donne migranti in età fertile si è spostata nella fascia di età 30-40 anni, contro quella di 20-30 degli anni scorsi;
    sono diversi i fattori che hanno determinato la denatalità, in particolare la diminuzione delle donne fertili italiane dopo la progressiva uscita dalla fase riproduttiva delle baby-boomer, che hanno rinviato la maternità ad un'età più matura;
    la sfavorevole congiuntura economica evidenzia come rispetto a vent'anni fa la donna oggi lavori per necessità, e l'impossibilità di sostenere la propria famiglia, basandosi su un solo reddito, rimanda di fatto il più possibile il momento di una gravidanza, anche per allontanare il rischio di perdere il posto di lavoro;
    la crisi economica ha fissato la tendenza dei giovani di spostare in avanti la maternità, dovuta a una procrastinazione generale dei momenti di passaggio alla vita adulta: uscita dalla casa dei genitori, indipendenza, ingresso nel mondo del lavoro, autonomia economica e decisione di costruire una propria famiglia;
    come sostenuto da diversi economisti e studiosi, la famiglia costituisce «il primo generatore di esternalità sociali positive», configurandosi, in tale visione, come ammortizzatore sociale, generatore di capitale umano e soggetto economico;
    la famiglia è un «ammortizzatore sociale», perché da una parte «riequilibra» la distribuzione del reddito dal livello individuale a livello familiare dei propri membri, coinvolgendo la catena generazionale e garantendo quel livello minimo di coesione sociale al proprio interno; dall'altra, funge da sistema di protezione per i soggetti più deboli, quali i minori, i disabili, i malati e i non-autosufficienti, in quanto in Italia è la famiglia stessa che tutela, durante tutte le fasi del ciclo di vita, i propri componenti e svolge, integrandosi con i sistemi di welfare, molte delle funzioni di assistenza e cura;
    nella sua qualità di «generatore di capitale umano», la famiglia rappresenta una fonte di reddito ed elemento necessario per il ricambio generazionale, poiché essa è promotrice, insieme al sistema educativo e formativo e al contesto sociale, del trasferimento di conoscenza ed esperienza per le nuove generazioni, costituendo un nodo fondamentale per il passaggio alla vita adulta, l'inserimento nel mondo del lavoro e l'integrazione nella comunità;
    la famiglia è un «soggetto economico» dotato di una propria autonomia, il cui nucleo influenza decisioni di consumo, acquisto ed investimento;
    conseguentemente, in tale contesto, le politiche di sostegno alle famiglie devono essere sviluppate non in maniera unicamente assistenziale, ma in seno alla collettività;
    le suddette considerazioni mostrano come sia opportuno offrire misure di sostegno della maternità e della famiglia da parte dello Stato, che contribuiscano a rendere più facile la nascita di un figlio, creando altresì pari opportunità attraverso la promozione dei diritti delle donne in ambito lavorativo, familiare e sociale;
    la legge di stabilità per il 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), all'articolo 1, commi 125 e 129, ha introdotto un «bonus di 80 euro mensili, a favore dei genitori di bambini nati o adottati tra il 1o gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017»;
    il suddetto «bonus bebé» tiene conto del reddito del nucleo familiare di appartenenza del genitore che richiede l'assegno, determinato utilizzando l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), secondo quanto stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013. Di conseguenza, la spesa messa a preventivo è valutata in 202 milioni di euro per il 2015, 607 milioni di euro per il 2016, 1,012 miliardi di euro per l'anno 2017, 1,012 miliardi per il 2018, 607 milioni di euro per il 2019 e 202 milioni di euro per il 2020;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo sarebbe più opportuno prevedere da parte del Governo investimenti concreti e permanenti, volti a sostenere appropriatamente la formazione di nuove famiglie e lo sviluppo di servizi per la prima infanzia, in armonia con i Consigli europei di Lisbona e di Barcellona che hanno indicato, tra gli obiettivi generali, la rimozione dei disincentivi alla presenza femminile nel mondo del lavoro, soprattutto attraverso lo sviluppo della rete dei servizi per la prima infanzia;
    in particolare, il dipartimento per le politiche della famiglia ed il dipartimento per le pari opportunità potrebbero avviare un progetto pilota per l'apertura o l'incentivazione di «nidi aziendali»;
    secondo il rapporto annuale dell'Istat, infatti, la distribuzione disomogenea sul territorio dei più importanti servizi alle famiglie, come gli asili nido, appare ancora evidente, nonostante gli interventi volti al riequilibrio delle disparità territoriali, finanziati nell'ambito delle politiche di coesione,

impegna il Governo:

   ad adottare tutti gli strumenti per aumentare il sostegno finanziario a favore delle famiglie a basso reddito, al fine di promuovere la natalità;
   a porre in essere tutte le iniziative, anche di carattere normativo, per istituire un «fondo statale» di garanzia sui prestiti concessi alle neo-mamme in condizioni di disagio, con reddito Isee del nucleo familiare medio-basso;
   ad adoperarsi, presso le competenti sedi europee, allo scopo di prevedere la sostanziale riduzione al 4 per cento o anche fino all'azzeramento dell'IVA sui prodotti destinati alla prima infanzia;
   ad assumere iniziative per lo stanziamento, nell'ambito del prossimo disegno di legge di stabilità, di risorse adeguate, atte a cofinanziare gli investimenti promossi dalle amministrazioni territoriali per la costruzione ovvero la riqualificazione di strutture destinate ad asili nido, da individuare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da adottare, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
   sulla scorta di un eventuale progetto pilota, ad avviare un «piano programmatico a regime», volto a definire modalità, obiettivi, tempi e risorse per garantire:
    a) la continuità e la diffusione degli obiettivi di servizio relativi all'infanzia;
    b) l'istituzione di nuovi nidi aziendali, sia presso le sedi centrali e periferiche delle pubbliche amministrazioni nazionali, singole o tra loro consorziate, sia nei comuni, sia nel settore privato (attraverso convenzioni e relativi incentivi finanziari alle aziende) anche al fine di conseguire l'obiettivo comune europeo della copertura territoriale di almeno il 33 per cento per la fornitura di servizi per l'infanzia (bambini al di sotto dei tre anni), come fissato dall'Agenda di Lisbona;
    c) l'incentivazione su tutto il territorio di servizi integrativi e innovativi, quale «il nido di famiglia», gestito dalla «tagesmutter o mamma di giorno», che accudisce ed educa presso la propria abitazione bambini da 0 a 6 anni;
    d) la definizione, di concerto con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, delle modalità e dei criteri per percorsi professionali volti all'istituzione della nuova figura professionale «tagesmutter» o «assistente materna», al fine di valorizzare il contributo delle donne alla vita economica e sociale del Paese, incentivando l'autoimprenditorialità e favorendo al contempo il sostegno alla maternità e alla conciliazione familiare;
   ad adoperarsi per attuare progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche autonomi, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, tra cui lavoro a tempo parziale reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, con priorità per i genitori che abbiano bambini fino ad otto anni di età o fino a dodici anni, in caso di affidamento o di adozione;
   a porre in essere iniziative normative volte ad estendere alle lavoratrici e ai lavoratori di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, che non risultino iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria, nonché alle lavoratrici iscritte ad una delle gestioni Inps previste per i lavoratori autonomi, le tutele in materia di maternità e paternità previste dal testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
(1-00794) «Lombardi, Cominardi, Ciprini, Dall'Osso, Chimienti, Tripiedi, Grillo, Silvia Giordano, Mantero, Baroni, Lorefice, Di Vita».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    il 12 febbraio 2015 l'Istat ha pubblicato il report sugli indicatori demografici, che evidenzia come i nuovi nati siano in costante diminuzione. Nel 2014 le nascite stimate risultano pari a 509 mila unità, circa cinquemila in meno rispetto al 2013, il livello minimo dall'Unità d'Italia. Il tasso di natalità scende dall'8,5 per mille nel 2013 all'8,4 per mille nel 2014. In media ogni donna ha 1,39 figli. La decisione di mettere al mondo dei figli viene sempre più posticipata, come documenta l'aumento dell'età media delle madri al parto, che si porta da 31 anni nel 2007 a 31,5 nel 2014;
    il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha da tempo avviato un lavoro con il supporto di un apposito gruppo di studio, per definire un ambiguo «piano nazionale sulla fertilità». Un piano accompagnato da affermazioni ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo fin troppo paternalistiche ed ideologiche. Come affermato dalla stessa Ministra Lorenzin, «i bambini devono tornare a nascere e serve educare alla maternità», dato che «il crollo demografico è un crollo non solo economico, ma anche sociale». «La decadenza» va «frenata con politiche di comunicazione, di educazione e di scelte sanitarie» e «bisogna dire con chiarezza che avere un figlio a trentacinque anni può essere un problema»;
    è di questi giorni la pubblicazione della seconda indagine del Censis sulla fertilità, nella quale si sottolinea come alla base della scarsa propensione ad avere figli vi siano motivazioni principalmente economiche (75,3 per cento). Ma le motivazioni sono anche culturali e politiche. L'ingresso delle donne nel mercato del lavoro non è stato, infatti, accompagnato da misure adeguate per la maternità. Le coppie sempre più tendono a pensare ai figli dopo i 35 anni, vale a dire proprio nel periodo in cui la fertilità di uomini e donne si riduce drasticamente, e a incidere su questo spostamento in avanti è, soprattutto, il mercato del lavoro precario;
    come ha sottolineato Concetta Maria Vaccaro, curatrice del suddetto rapporto del Censis, «non è un caso che nei Paesi del Nord Europa le donne facciano più figli, perché sono più tutelate dal welfare rispetto alla loro presenza nel mercato del lavoro. Il tasso di natalità in Italia è così basso anche perché fare figli è diventata una questione privata»;
    se il sistema del welfare si riduce sempre di più, e con esso i servizi socio-educativi, se il ruolo di cura è delegato alle madri, se non si affronta seriamente la questione dei congedi parentali, se mancano le opportunità di lavoro, è inevitabile che diventi marginale parlare di un piano nazionale della fertilità per sostenere le nascite nel nostro Paese;
    è, infatti, del tutto evidente che i principali motivi della denatalità risiedono nell'assenza di politiche organiche e attive di sostegno al lavoro femminile e a un nuovo rapporto tra lavoro e responsabilità di cura, nella carenza di opportunità e di servizi, nella carenza di strutture per l'infanzia, nonché in un quadro avvilente in fatto di welfare, con alti costi e forti disparità nell'offerta tra le diverse aree del Paese;
    il lavoro di cura grava ancora in modo preponderante sulle donne – con margini di tempo per loro stesse estremamente ristretti e con evidenti minori possibilità di occupazione e crescita professionale – spesso costrette a lasciare il proprio lavoro dopo la nascita dei figli, e in particolare con la nascita del secondo;
    le donne vogliono poter decidere di diventare madri e lavorare, malgrado i tanti ostacoli: precarietà, insufficienza dei servizi di welfare, quali strumenti di sostegno nella gestione del lavoro di cura e della vita professionale; dimissioni in bianco; mancato riconoscimento sociale della maternità e dei congedi di paternità, carenza di strutture per l'infanzia; un welfare con alti costi e forti disparità nell'offerta tra le diverse aree del Paese; assenza di politiche organiche e attive di sostegno al lavoro femminile;
    per quanto riguarda le politiche per l'infanzia – che incidono pesantemente sulla denatalità del nostro Paese – uno dei problemi strutturali dell'Italia è l'evidente carenza di strutture per l'infanzia e l'offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi. Gli asili nido comunali sembrano spesso più strutture a pagamento che statali, con costi medi che si aggirano intorno ai 300 euro mensili e tariffe in crescita rispetto agli anni passati. La distribuzione sul territorio nazionale di nidi comunali o finanziati dal comune è, peraltro, fortemente squilibrata;
    i pesanti tagli agli enti locali attuati in questi ultimi anni non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità del servizio che dei costi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
    il dossier di «Cittadinanzattiva» 2012 ha confermato in pieno le difficoltà in questo ambito: le strutture comunali su cui possono contare le famiglie superano di poco quota 3.600 e sono in grado di soddisfare circa 147 mila richieste di iscrizione. I genitori di un bambino su quattro (23,5 per cento) restano in lista d'attesa e sono costretti a rivolgersi altrove;
    di fronte a questi dati non stupisce il fatto che molte giovani donne siano spinte a rinunciare o a rinviare sine die una maternità comunque desiderata. Fa riflettere la tendenza sempre più accentuata di richiesta delle donne di congelare gli ovociti per conservare la loro fertilità nel tempo;
    riguardo alla questione delle risorse destinate alla scuola, la stessa Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha sottolineato come «debba essere dato effettivo impulso a investimenti adeguati, da destinarsi alle strutture scolastiche, necessari per garantire condizioni di sicurezza e di vivibilità agli studenti, nonché servizi scolastici che siano in linea con gli standard dei principali Paesi europei», ricordando come «l'offerta pubblica di servizi socio-educativi per la prima infanzia si caratterizza per amplissime differenze territoriali, sia in termini di spesa che di utenti. Si conferma la carenza di strutture nelle regioni del Mezzogiorno»;
    è importante sottolineare che per la copertura dei nidi il target europeo è il 33 per cento. L'Agenda di Lisbona aveva, infatti, fissato l'obiettivo dell'Unione europea del 33 per cento della copertura territoriale per la fornitura di servizi per l'infanzia entro il 2010, mentre in Italia (al di là dell'Emilia-Romagna, che risulta la prima regione, con il 28 per cento), la media nazionale si attesta intorno al 17 per cento. L'Italia è, quindi, a circa la metà dell'obiettivo stabilito dall'Agenda di Lisbona;
    il 16 dicembre 2014 la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha approvato il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile. Nel documento si legge, tra l'altro, come tra il 2011 e il 2013 siano raddoppiati i bambini poveri e «ciò si deve al fatto che nel nostro Paese non solo si investono meno risorse rispetto ad altri Paesi, ma la capacità di ridurre la povertà con le risorse destinate risulta assolutamente deficitaria». Tra le chiavi di lettura del fenomeno viene sottolineata la circostanza che i trasferimenti monetari non accompagnati da servizi adeguati sono scarsamente efficaci;
    riguardo alle politiche di sostegno al reddito e al welfare – aspetti centrali per interpretare la progressiva riduzione della natalità – è evidente come il progressivo aumento della povertà nel nostro Paese abbia inciso pesantemente sulle condizioni di vita dei cittadini. A ciò si aggiungano le scelte politiche che hanno visto in questi anni ridurre sensibilmente gli stanziamenti a favore del welfare e dei servizi destinati alle famiglie;
    la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, nel suddetto documento conclusivo, ha ricordato come, nell'ambito della spesa per le politiche sociali, gli stanziamenti statali per combattere l'impoverimento in età adolescenziale risultano sensibilmente ridotti negli ultimi anni. Se nel 2008 i fondi nazionali per il contrasto della povertà ammontavano complessivamente a 2 miliardi e mezzo di euro, nel 2013 gli stanziamenti erano scesi a 766 milioni di euro, scontando nel complesso un taglio di un miliardo e 536 milioni di euro dall'inizio della crisi;
    un intervento di sostegno al reddito e ai nuovi nati e nate è il cosiddetto «bonus bebé», introdotto dal Governo, e comunque migliorato durante l'esame parlamentare, nella legge di stabilità per il 2015, che ha previsto che per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015 fino al 2017 sia riconosciuto un assegno di 960 euro annui, purché la condizione del nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente sia in condizione economica corrispondente a un valore isee non superiore a 25 mila euro annui. Una misura che costerà complessivamente 3,642 miliardi di euro complessivi (fino al 2020);
    si è di fronte a un trasferimento monetario alle famiglie meno abbienti che decideranno nei prossimi tre anni di metter al mondo dei figli. Sotto questo aspetto si è scelto per un sostegno monetario (che costerà, come visto, oltre 3 miliardi e mezzo di euro nei prossimi cinque anni) diretto, piuttosto che in un rafforzamento dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Cosa che avrebbe consentito (al contrario del bonus) di investire nel futuro del Paese, rispondere meglio alle esigenze reali dei genitori meno abbienti e dare nuove opportunità di occupazione;
    l'esperienza di molti Paesi europei dimostra, infatti, come la politica di trasferimenti monetari diretti per favorire la natalità può avere effetti anche controproducenti rispetto alla partecipazione al lavoro, mentre effetti positivi di sostegno alla genitorialità si sono avuti grazie a un insieme di interventi coordinati – sviluppo dei servizi socio-educativi per l'infanzia (cui la legge di stabilità per il 2015 destina solo 100 milioni di euro per il 2015), sgravi fiscali, congedi genitoriali ed altro – che hanno dimostrato di far crescere sia occupazione sia fecondità;
    riguardo alle politiche del lavoro, anch'esse condizionano fortemente le scelte di genitorialità;
    nelle economie dove vi sono sistemi di welfare più sviluppati e di impianto universalistico e con buone politiche del lavoro l'integrazione delle donne nel mercato del lavoro è più elevata e maggiore è la crescita demografica;
    in un suo recente articolo su la Repubblica, Chiara Saraceno ha ricordato come, riguardo all'occupazione femminile, è aumentato molto il part-time involontario, ossia non quello scelto come temporanea strategia di conciliazione tra partecipazione al mercato del lavoro e responsabilità familiari, ma il part-time imposto dalle aziende, specie nel terziario. Il basso tasso di occupazione femminile è una delle cause dell'alta incidenza di povertà nelle famiglie in Italia, per contrastare la quale occorrono politiche sia imprenditoriali sia pubbliche intelligenti e non di corto respiro. Il dato della perdita di occupazione femminile è il segnale della persistenza delle difficoltà a entrare e rimanere nel mercato del lavoro;
    l'Italia si conferma uno dei Paesi europei a più bassa occupazione femminile. E qui, la crisi mostra il suo volto nell'impoverimento dei redditi e delle opportunità e, infine, nella sempre maggiore difficoltà di determinare il proprio progetto di vita;
    è necessario adottare efficaci misure per sostenere il reddito delle famiglie con figli (comprese le famiglie di origine straniera). A tal fine, è ineludibile incentivare sempre più la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nonché favorire modalità di lavoro più flessibili per i genitori;
    è, inoltre, necessario intervenire per aumentare gli sgravi fiscali, in particolare per le micro e piccole imprese, sulle quali incidono in misura proporzionalmente maggiore i costi delle misure a favore della maternità delle lavoratrici;
    per favorire le madri lavoratrici occorre intervenire con incentivi a favore della destandardizzazione degli orari, sotto forma di orari flessibili e riduzioni volontarie temporanee o durature dell'impegno lavorativo;
    in considerazione del costo che la maternità ha in termini di salute e di dedizione totale del proprio tempo a favore dei figli, andrebbe riconosciuta a tutte le donne madri la contribuzione figurativa di almeno un anno per ogni figlio, indipendentemente dallo svolgimento di attività lavorativa al momento della gestazione, e un'ulteriore integrazione contributiva per i periodi di lavoro part-time legati alla maternità;
    è attualmente all'esame della Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati lo schema di decreto legislativo attuativo della legge delega sul mercato del lavoro (cosiddetto Jobs act) in materia di revisione delle misure volte a tutelare la maternità e a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, allo scopo di garantire adeguato sostegno alle cure parentali;
    nonostante alcuni passi avanti, le misure contenute nello schema di decreto sono, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ancora troppo modeste anche perché legate alla scelta del Governo di introdurre solo misure a costo zero (o quasi), scelta che non può che penalizzare una strategia di sostegno alla genitorialità che ancora una volta nel nostro Paese non riesce a decollare e che mantiene ancora distante la costruzione di quel sistema integrato di welfare per la cura che allarghi le possibilità di scelta delle madri e dei padri nelle strategie di cura tra servizi pubblici, servizi di mercato e cura diretta, evitando loro di scegliere di rinunciare all'occupazione;
    un contributo a una genitorialità libera e consapevole deve, inoltre, essere garantito dalla piena attuazione delle tecniche di fecondazione eterologa e di procreazione medicalmente assistita, le cui norme sono state modificate da diverse sentenze della Corte costituzionale, e da ultimo dalla sentenza n. 162 del 9 aprile 2014;
    attualmente si assiste a una situazione di discriminazione delle coppie a seconda della regione di appartenenza;
    la modalità di erogazione delle prestazioni dal punto di vista economico è caratterizzata da poca trasparenza, opacità della condotta di molte regioni e spreco di denaro pubblico. Le maggiori criticità riguardano la mancata trasparenza del sistema e l'inappropriatezza nell'erogazione delle prestazioni sia sul piano nazionale che su quello regionale e, in particolare, nel sistema della mobilità sanitaria tra regioni;
    è, quindi, assolutamente indispensabile che l'ormai – si spera – imminente aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, previsto nel Patto per la salute 2014/2016, e che sarebbe dovuto avvenire entro la fine del 2014, preveda – come dovrebbe essere – l'introduzione, tra le nuove prestazioni, anche delle tecniche di fecondazione,

impegna il Governo:

   a implementare, di concerto con le regioni, le politiche a favore dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, con particolare riguardo alla riduzione delle attuali forti disomogeneità territoriali nell'offerta di detti servizi, anche attraverso il rifinanziamento del piano straordinario di interventi per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi previsto dalla legge n. 296 del 2006;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse assegnate al fondo per le politiche sociali e al fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza;
   nell'impiego di risorse a sostegno delle politiche volte a sostenere la natalità, con particolare riguardo ai nuclei familiari più deboli, a privilegiare il finanziamento di interventi per incrementare l'offerta di strutture e servizi socio-educativi per l'infanzia, garantendone l'attuazione e l'uniformità su tutto il territorio nazionale, rispetto a una politica di meri sussidi e trasferimenti monetari diretti;
   a prevedere un piano straordinario per il lavoro femminile, che preveda, tra l'altro:
    a) di stabilizzare e incrementare il bonus introdotto dalla legge n. 92 del 2012 per l'acquisto di servizi di baby-sitting ovvero per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati in alternativa al congedo parentale;
    b) di sostenere politiche attive e misure efficaci di sostegno alla conciliazione dei tempi di lavoro e di cura, al fine di favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;
    c) di considerare le fasi della vita dedicate alla cura, come crediti ai fini pensionistici con il riconoscimento di: contributi figurativi legati al numero dei figli o ad eventuali altri impegni di cura; integrazioni contributive per i periodi di lavoro part time per ragioni di cura; possibilità di anticipo della pensione per necessità di accudimento di persone non autosufficienti, nel quadro di una revisione del sistema pensionistico che contempli flessibilità e libertà di scelta;
    d) nell'ambito delle misure di incentivazione al ricorso da parte dei padri ai congedi parentali, opportune risorse volte ad assicurare un aumento (almeno al 60 per cento) della relativa quota indennizzata;
    e) lo stanziamento di adeguate risorse finanziarie volte ad aumentare gli sgravi fiscali relativi alle misure a favore della maternità delle donne lavoratrici che sono a carico dei datori di lavoro, con particolare riguardo alle piccole e micro imprese, sulle quali i costi incidono in misura proporzionalmente maggiore;
    f) l'introduzione di incentivi per agevolare la destandardizzazione degli orari, sotto forma di orari flessibili e riduzioni volontarie temporanee o durature dell'impegno lavorativo, per favorire le madri lavoratrici;
   a prevedere più efficaci politiche tese a rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono alle donne di autodeterminarsi secondo il loro desiderio e di regolare liberamente la loro fecondità, nonché politiche che mettano al centro maggiormente il benessere della persona rispetto alla famiglia;
   a prevedere studi specifici di genere, anche riguardo agli effetti sulla fertilità e sulle malattie neo-natali prodotti dall'inquinamento e dalla contaminazione delle matrici ambientali;
   a provvedere, anche in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 9 aprile 2014, all'aggiornamento delle linee guida di cui al decreto del Ministero della salute dell'11 aprile 2008 secondo le indicazioni della medesima sentenza;
   a emanare quanto prima l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, previsto nel Patto per la salute 2014/2016, con l'inclusione, tra le nuove prestazioni, anche delle tecniche di fecondazione, anche al fine di garantire dette prestazioni in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale;
   ad assumere iniziative per estendere l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita a tutte le donne che hanno compiuto la maggiore età e in età potenzialmente fertile.
(1-00798) «Nicchi, Pannarale, Airaudo, Scotto, Costantino, Duranti, Pellegrino, Ricciatti, Placido, Franco Bordo, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Piras, Quaranta, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


MOZIONI IORI, SBERNA, DANIELE FARINA, LOCATELLI, PINNA ED ALTRI N. 1-00785, MANLIO DI STEFANO ED ALTRI N. 1-00792 E BINETTI ED ALTRI N. 1-00796 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO ALL'EMERGENZA UMANITARIA RELATIVA AL CAMPO PROFUGHI DI YARMOUK, IN SIRIA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA SITUAZIONE DEI MINORI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    secondo le informazioni che giungono dai media locali e internazionali, nonché dalle organizzazioni umanitarie, come l'Unicef, la situazione già disumana del campo profughi di Yarmouk, a circa otto chilometri a sud di Damasco, in Siria, sta assumendo un carattere di emergenza umanitaria;
    il campo profughi su citato, abitato da circa 18 mila palestinesi, è stato occupato dal 1o aprile 2015 dallo Stato islamico (Is), che attualmente presidia gli accessi al medesimo campo;
    all'interno del campo di Yarmouk si trovano circa 3.500 bambini, ostaggi del terrorismo, senza acqua, cibo e medicinali, costantemente a rischio di morte, abusi e violenze;
    l'8 aprile 2015, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, ha previsto di mettere in campo un intervento urgente in favore dell'Unicef e dell'Unrwa (Agenzia dell'Onu per i rifugiati palestinesi), pari a 1,5 milioni di euro, contribuendo così all'attività di Unicef di protezione umanitaria e assistenza psicologica ai bambini palestinesi, che sono tuttora nel campo, oltre che alle famiglie che sono riuscite a evadere dalla spaventosa trappola di guerra, fame e deprivazioni;
    il Ministro Gentiloni ha, altresì, evidenziato la necessità di intervenire rapidamente e fare il possibile per creare corridoi umanitari, con l'obiettivo di limitare i danni di una situazione già drammatica;
    è necessario agire prontamente non solo con gli aiuti economici, ma con azioni finalizzate ad allontanare i bambini del campo profughi di Yarmouk dalle zone di guerra e da condizioni precarie al limite della sopravvivenza, favorendo programmi solidaristici di accoglienza e affidamenti temporanei;
    i citati programmi solidaristici possono essere realizzati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, congiuntamente al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, tramite l'accoglienza temporanea in Italia di minorenni non aventi cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea, attraverso l'attività di promozione operata da enti, associazioni o famiglie, seguiti da uno o più adulti con funzioni di sostegno, guida e accompagnamento;
    la realizzazione di tali programmi potrà avvenire sulla base della normativa prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 dicembre 1999, n. 535, che ha definito i compiti del «Comitato minori stranieri», affinché venga garantita la tutela dei minorenni accolti in Italia nell'ambito di programmi solidaristici, in linea con quanto dichiarato dalla Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 20 novembre 1989;
    la permanenza in Italia di breve durata potrà avvalersi dell'esperienza positiva, realizzata dal 1993, tramite l'accoglienza dei bambini vittime delle conseguenze della nube tossica di Chernobyl e residenti nelle zone contaminate della Bielorussia,

impegna il Governo:

   a mettere in atto a livello internazionale, nel più breve tempo possibile, tutte le azioni necessarie per arginare questa tragedia che coinvolge tanti bambini e adolescenti, prendendo immediati contatti con enti e associazioni che già operano sul territorio;
   ad attivare corridoi umanitari e programmi di accoglienza destinati ai bambini di Yarmouk e alle centinaia di minori che sono profughi in Libano, ostaggi del terrorismo;
   a promuovere permanenze temporanee in Italia dei bambini profughi da Yarmouk, assumendo come riferimento le modalità degli affidamenti temporanei, già sperimentati con successo in occasione dell'accoglienza dei bambini di Chernobyl da parte delle famiglie italiane.
(1-00785) «Iori, Sberna, Daniele Farina, Locatelli, Pinna, Tidei, Antezza, Carra, Cimbro, Fossati, Gadda, Gasparini, Giacobbe, Gribaudo, Iacono, Incerti, Laforgia, Maestri, Malisani, Martelli, Romanini, Villecco Calipari, Zampa, Giovanna Sanna, Bazoli, Lodolini, Roberta Agostini, Senaldi, La Marca, Piccione, Patriarca, Rotta, Scuvera, Bergonzi, Piccoli Nardelli, Miotto, Zanin, Franco Bordo».


   La Camera,
   premesso che:
    il campo profughi palestinese di Yarmouk, che dista qualche chilometro dal centro di Damasco, è diventato dal 1o aprile 2015 teatro di battaglia tra i jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) e del gruppo radicale al-Nusra; secondo fonti locali i terroristi controllerebbero ormai il 90 per cento del campo; risulta che i ribelli entrati nella parte sud del campo, aiutati da gruppi ribelli all'interno dello stesso, abbiano sposato la causa di Daesh (l'acronimo arabo per lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante noto come Is), riuscendo in questo modo a compattare i diversi piccoli gruppi di ribelli;
    il campo è stato costruito dopo la guerra tra arabi e israeliani, con la cacciata di decine di migliaia di palestinesi dalle proprie terre e case, nel 1948; prima dell'inizio della guerra civile in Siria, a Yarmouk vivevano circa 150.000 palestinesi ed era una vera e propria città con le sue moschee, le sue scuole e i suoi edifici pubblici. Il numero dei residenti, poi, è calato quando la vita a Yarmouk è peggiorata a causa della recrudescenza e della crudeltà della guerra in Siria, in particolare da quando nel 2012 l'esercito e i ribelli hanno iniziato a contendersi la zona;
    da varie fonti di stampa, risulta che nel campo profughi siano attualmente tenuti in ostaggio almeno 3.500 bambini e oltre 10.000 adulti e molti di loro soffrono di disabilità, senza cibo né acqua o medicine; tra l'altro, si rincorrono voci circa la possibilità che vi siano state anche esecuzioni sommarie e non si hanno ancora notizie certe del numero di morti per combattimento;
    tale drammatica situazione è stata paventata dall'Unicef come una nuova Srebrenica, città tristemente nota poiché, nella zona protetta che si trovava in quel momento sotto la tutela delle Nazioni Unite, migliaia di musulmani bosniaci furono uccisi l'11 luglio 1995 da parte delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladic, con l'appoggio dei gruppi paramilitari guidati da Zeljko Raznatovic;
    il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha già chiesto che sia consentito l'accesso alle varie agenzie umanitarie per assicurare la protezione dei civili, l'assistenza umanitaria e salvare vite umane, come ha spiegato l'ambasciatrice giordana, Dina Kawar, il cui Paese ha la presidenza di turno;
    è, dunque, in corso una tragedia umana, oltre i confini di Israele, che pure dovrebbe fare la propria parte in questo sforzo internazionale, ad esempio concedendo all'Anp di accogliere una parte dei profughi di Yarmouk, visto che quasi venti mila profughi palestinesi sono intrappolati all'interno di un Paese dilaniato da 5 anni di guerra civile, assediati dalla ferocia di cellule estremiste;
    aerei dell'aviazione siriana hanno già bombardato l'accampamento di profughi palestinesi e siriani un paio di anni fa all'inizio del conflitto; gravi sono le responsabilità del regime di Al Assad nell'aver fatto deteriorare la situazione umanitaria a Yarmouk, costringendo decine di migliaia di persone a abbandonarla;
    il Commissario generale dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione per i rifugiati palestinesi (Unrwa), Pierre Krahenbuhl, ha dichiarato che i civili intrappolati nel campo profughi sono «più disperati che mai, la situazione si è capovolta (...) al di là del disumano. In questo momento è semplicemente troppo pericoloso entrare a Yarmouk»;
    i rifugiati palestinesi provenienti dalla Siria non godono degli stessi diritti dei rifugiati siriani, in quanto non sono formalmente riconosciuti come cittadini di un altro Stato, ma alla stregua dei palestinesi già presenti storicamente in Paesi come il Libano e la Giordania;
    dal 1948 i rifugiati palestinesi sono «assistiti» dall'Unrwa (che, tuttavia, per insufficienza dei fondi, non è in grado di fare molto) e si pone il problema di superare quella che appare ormai una vetusta organizzazione e dare, invece, pari dignità con gli altri rifugiati all'interno del sistema dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, di concerto con la comunità internazionale, di una forte iniziativa tesa alla protezione dei rifugiati palestinesi e alla loro eventuale evacuazione dal campo di Yarmouk, anche attraverso l'attivazione di corridoi umanitari sotto l'egida della Croce rossa internazionale;
   ad agire su tutti gli attori regionali in campo, compresi i Paesi confinanti, per giungere a un cessate-il-fuoco tra le parti in modo da rendere praticabile l'aiuto umanitario;
   a sostenere ogni iniziativa volta all'ospitalità di bambini palestinesi nelle strutture in Italia, alla stregua di quanto già fatto positivamente in passato, in altre occasioni drammatiche, nonché a predisporre l'eventuale cura dei feriti provenienti dai campi presso gli ospedali italiani;
   a chiedere il pieno riconoscimento delle pari dignità dei rifugiati palestinesi con gli altri rifugiati dentro il sistema di protezione previsto dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in funzione del superamento dell'ormai obsoleta Unrwa;
   a valorizzare la rinnovata attenzione della comunità internazionale sul dramma che si sta consumando in Siria per stimolare la stessa e tutti gli attori interessati al fine di rendere finalmente concreto e credibile il non più rinviabile processo di pace in quella regione.
(1-00792) «Manlio Di Stefano, Grande, Spadoni, Scagliusi, Sibilia, Del Grosso, Di Battista».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione nel campo profughi di Yarmouk, in Siria, è drammatica e si è di fronte a un'emergenza umanitaria che sta assumendo i contorni di una tragedia annunciata: 3.500 bambini sono senza acqua, cibo e medicinali;
    l'Unicef parla di una nuova Srebrenica e afferma che il campo profughi di Yarmouk è un vero e proprio inferno nell'inferno del conflitto siriano, alle porte di Damasco, sotto il controllo violento dello Stato islamico e del fronte al Nusra, che, secondo fonti locali, controllano ormai l'80 per cento del campo. Da sei giorni si combatte casa per casa;
    l'Unicef, l'agenzia dell'Onu che si occupa dell'infanzia, ricorda che nel 1995 i serbo-bosniaci trucidarono circa 8.000 musulmani e parla delle atrocità compiute dai jihadisti, come di qualcosa che va «oltre il disumano»: esecuzioni sommarie, decapitazioni, rapimenti;
    il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, il 10 aprile 2015 ha detto alla stampa che: «Nell'orrore che è la Siria, il campo profughi di Yarmouk è il cerchio più profondo dell'inferno. È un campo profughi che comincia a sembrare un campo di sterminio (...) Non possiamo semplicemente stare in attesa e vedere un massacro che si realizza». Ban Ki-moon ha aggiunto che il livello di brutalità dell'Isis è «indescrivibile e che i residenti di Yarmouk, inclusi i bambini, vengono usati come scudi umani»;
    Dina Kawar, ambasciatrice giordana negli Stati Uniti e attuale presidente del Consiglio di sicurezza dell'Onu, chiede che i civili vengano protetti e venga garantito l'accesso umanitario alla zona, per fornire assistenza, salvare vite e assicurare che i civili vengano fatti uscire dal campo in sicurezza. La preoccupazione dell'Onu è stata espressa dopo la presentazione da parte di Pierre Krahenbuhl dell'Unrwa – l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa solo di rifugiati palestinesi – di un rapporto sulle condizioni di vita a Yarmouk, che sono «più disperate che mai». Christopher Gunness, un altro operatore dell'Unrwa, ha raccontato che i convogli dell'agenzia non riescono a entrare nel campo a causa dei combattimenti tra i gruppi palestinesi e i ribelli siriani che dal 1o aprile 2015 cercano di fermare l'avanzata dell'Isis: a Yarmouk non c’è cibo, non c’è acqua, ci sono pochissime medicine;
    l'8 aprile 2015 il Governo italiano, prendendo atto che i bambini sono a rischio di morte, abusi e violenze, ha annunciato di aver stanziato 1,5 milioni di euro per sostenere le attività dell'Unicef e dell'Unwra. Il Ministro Paolo Gentiloni, dopo un vertice trilaterale con i Ministri di Egitto, Sameh Shoukry, e Algeria, Abdelkader Messahel, ha detto: «L'emergenza umanitaria nel campo profughi di Yarmouk è drammatica. La Farnesina ha deciso di stanziare 1,5 milioni di euro destinato ai 3.000 bambini del campo profughi di Yarmouk attraverso l'Unicef e l'Unwra». Il Ministro ha anche ribadito che occorre intervenire rapidamente e fare il possibile per creare corridoi umanitari che consentano di limitare i danni,

impegna il Governo:

   a mettere tempestivamente in atto tutte le politiche internazionali necessarie per arginare questa tragedia che coinvolge oltre 3.500 tra bambini e adolescenti, facilitando i contatti con gli enti e le associazioni che già operano sul territorio, per far giungere loro le risorse necessarie a far fronte a questa emergenza;
   ad attivare corridoi umanitari e programmi di accoglienza destinati ai bambini di Yarmouk e alle centinaia di minori profughi in Libano, attualmente ostaggi del terrorismo, individuando residenze, luoghi di accoglienza, altri campi in altri Paesi, in cui accogliere questi bambini in attesa di soluzioni che abbiano un carattere di maggiore stabilità per la loro vita e per il loro futuro;
   a facilitare il ricongiungimento di questi bambini con le loro famiglie attraverso specifici interventi delle associazioni presenti sul territorio, orientando gli aiuti ai nuclei familiari ricomposti;
   a promuovere permanenze temporanee in Italia dei bambini profughi da Yarmouk, in analogia con quanto fatto a suo tempo dalle famiglie italiane per l'accoglienza dei bambini di Chernobyl.
(1-00796) «Binetti, Dorina Bianchi, Buttiglione, De Mita, Cera».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)