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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 14 ottobre 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 14 ottobre 2014.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amici, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bruno, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Costa, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Di Salvo, Epifani, Gianni Farina, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Librandi, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Antonio Martino, Merlo, Meta, Mogherini, Molea, Morassut, Nicchi, Orlando, Pes, Piras, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Sisto, Sorial, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Valeria Valente, Valentini, Velo, Vignali, Vito, Zanetti.

Annunzio di una proposta di legge.

  In data 13 ottobre 2014 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa dei deputati:
   LAURICELLA ed altri: «Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di furto di materiale appartenente a infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici» (2664).

  Sarà stampata e distribuita.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  LOMBARDI ed altri: «Modifiche alla legge 31 ottobre 1965, n. 1261, concernenti il trattamento economico e previdenziale spettante ai membri del Parlamento» (2354) Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   VI Commissione (Finanze):
  BOCCADUTRI ed altri: «Delega al Governo per la disciplina dell'emissione e della circolazione delle monete comple- mentari» (2582) Parere delle Commissioni I, II, V, X, XI, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   XII Commissione (Affari sociali):
  MARZANO ed altri: «Disposizioni sulla donazione di gameti e di embrioni per fini riproduttivi o di ricerca scientifica» (2592) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V, VII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
  FIORONI ed altri: «Disposizioni in materia di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo» (2627) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V, XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
  COVA ed altri: «Modifica dell'articolo 10 del decreto legislativo 6 aprile 2006, n. 193, in materia di uso di medicinali in deroga per il trattamento veterinario di animali non destinati alla produzione di alimenti» (2635) Parere delle Commissioni I, II, V, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dal Presidente del Senato.

  Il Presidente del Senato, con lettera in data 10 ottobre 2014, ha comunicato che la 13a Commissione (Territorio) del Senato ha approvato, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento del Senato, una risoluzione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2008/98/CE relativa ai rifiuti, 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (COM(2014)397 final) (Atto Senato Doc. XVIII, n. 74), che è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei.

  Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei, con lettera in data 9 ottobre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, l'elenco delle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea, riferito al terzo trimestre del 2014 (Doc. LXXIII-bis, n. 7).
  Questo documento è trasmesso a tutte le Commissioni permanenti e alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dalla Corte costituzionale.

  La Corte costituzionale, con lettera in data 10 ottobre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, copia conforme della decisione n. 234 del 24 settembre 2014, con la quale la Corte stessa ha disposto la correzione di errori materiali contenuti nella sentenza n. 141 del 19-28 maggio 2014 (Doc. VII, n. 296), già inviata, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, in data 3 giugno 2014, alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

  Questa decisione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissioni dal Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 2 ottobre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 52, comma 3-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, la relazione sugli effetti delle misure introdotte dal medesimo articolo in favore dei contribuenti in situazione di difficoltà economica (Doc. XXVII, n. 14).
  Questa relazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze).

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 3 ottobre 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160, la relazione, predisposta dal Ministero dello sviluppo economico, sui risultati del monitoraggio sull'attività e sul funzionamento degli sportelli unici per le attività produttive, aggiornata al 30 settembre 2013 (Doc. XXVII, n. 15).
  Questa relazione è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive).

Trasmissione dal Ministro dell'interno.

  Il Ministro dell'interno, con lettera del 2 ottobre 2014, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data all'ordine del giorno CAPARINI n. 9/331-A/31, accolto come raccomandazione dal Governo nella seduta del 4 luglio 2013, concernente l'adozione di iniziative per la riduzione degli operatori delle Forze di polizia impegnati nel «servizio scorte» al fine di rafforzare il presidio del territorio.

  La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali), competente per materia.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 13 ottobre 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta di decisione di esecuzione del Consiglio che proroga l'applicazione della decisione di esecuzione 2011/335/UE del Consiglio e che autorizza la Repubblica di Lituania a continuare ad applicare una misura speciale di deroga all'articolo 287 della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (COM(2014) 625 final), che è assegnata in sede primaria alla VI Commissione (Finanze);
   Proposta di decisione di esecuzione del Consiglio che autorizza la Repubblica di Lettonia ad applicare una misura di deroga all'articolo 287 della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (COM(2014) 626 final), che è assegnata in sede primaria alla VI Commissione (Finanze);
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare a nome dell'Unione europea in sede di Organizzazione marittima internazionale nella 94a sessione del comitato della sicurezza marittima circa l'adozione di emendamenti al codice relativo al programma di ispezioni estese del 2011 (COM(2014) 627 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Parere della Commissione del 13 ottobre 2014 relativo alla raccomandazione della Banca centrale europea per un regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2533/98 sulla raccolta di informazioni statistiche da parte della Banca centrale europea (C(2014) 7221 final), che è assegnata in sede primaria alla VI Commissione (Finanze).

Trasmissione dal consiglio regionale dell'Abruzzo.

  Il presidente del consiglio regionale dell'Abruzzo, con lettera in data 8 ottobre 2014, ha trasmesso un voto, approvato dal medesimo consiglio regionale il 16 settembre 2014, volto a chiedere iniziative in materia di legalità nelle carceri italiane.
  Questo documento è trasmesso alla II Commissione (Giustizia).

Comunicazione di nomine ministeriali.

  Il Ministro dello sviluppo economico, con lettera in data 10 ottobre 2014, ha dato comunicazione, ai sensi dell'articolo 9 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, della nomina della dottoressa Licia Mattioli a componente del consiglio di amministrazione dell'ICE – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane.

  Questa comunicazione è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive).

Richiesta di parere parlamentare su atti del Governo.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 9 ottobre 2014, ha trasmesso, ai fini dell'espressione del parere parlamentare definitivo, ai sensi degli articoli 1, comma 7, e 2, comma 3, lettera a), della legge 11 marzo 2014, n. 23, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo concernente composizione, attribuzioni e funzionamento delle commissioni censuarie (100-bis).
  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla VI Commissione (Finanze), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 24 ottobre 2014. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 21 ottobre 2014.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

NOTA DI AGGIORNAMENTO DEL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2014 (DOC. LVII, N. 2-BIS)

Risoluzione sulla relazione di cui all'articolo 6, comma 3, della legge n. 243 del 2012

   La Camera,
   premesso che:
    alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014 è allegata la Relazione al Parlamento presentata ai sensi dell'articolo 6 della legge 24 dicembre 2012 n. 243;
    la Relazione contiene la richiesta di attivazione dello scostamento temporaneo dal percorso di convergenza verso l'Obiettivo di Medio Periodo (MTO) contenuto nel Documento di economia e finanza dello scorso aprile;
    tale scostamento si rende necessario a fronte del sostanziale deterioramento delle previsioni di crescita, con conseguente rischio di deflazione, che si configura come un evento eccezionale;
    se non si tenesse conto dell'eccezionalità della situazione risulterebbe necessaria una manovra compresa tra 0,9 e 2,2 punti di PIL nel 2015, con un impatto fortemente recessivo sulla dinamica del PIL, dei consumi delle famiglie e degli investimenti;
    è, invece, opportuno adottare un sentiero di consolidamento che tenga conto della perdurante contrazione dell'economia;
    preso atto della comunicazione inviata dal Governo italiano alla Commissione europea,

autorizza il Governo

ai sensi dell'articolo 81, secondo comma, della Costituzione e dell'articolo 6 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, a dare attuazione a quanto indicato nella Relazione citata in premessa.
(6-00082) «Speranza, De Girolamo, Mazziotti Di Celso, Dellai, Pisicchio, Formisano, Alfreider, Di Lello, Di Salvo».


Risoluzioni relative alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014

   La Camera,
   esaminata la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (DEF) 2014;
   premesso che:
    la Nota provvede ad aggiornare le previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica, nonché gli obiettivi programmatici, rispetto a quelli contenuti nel DEF dello scorso aprile, tenendo conto delle innovazioni metodologiche introdotte dal nuovo Sistema europeo dei conti nazionali (SEC2010);
    la Nota fornisce altresì una breve sintesi delle azioni già avviate e del loro stato di attuazione o da avviare in futuro in risposta alle Raccomandazioni rivolte all'Italia l'8 luglio scorso dal Consiglio ECOFIN, sul Programma nazionale di riforma 2014 e sul Programma di stabilità 2014 presentati dall'Italia: tali Raccomandazioni riguardano il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il miglioramento dell'efficienza del sistema fiscale, l'aumento dell'efficienza della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario, il rafforzamento del settore bancario e il miglior funzionamento del mercato dei capitali, le riforme del mercato del lavoro, la riduzione dei tassi di abbandono scolastico, la rimozione degli ostacoli e delle restrizioni che ancora persistono alla concorrenza, la piena operatività dell'Autorità di regolazione dei trasporti ed il potenziamento della gestione portuale;
    per la prima volta, la Nota presenta due scenari: il tendenziale, che incorpora gli effetti delle azioni di politica economica, delle riforme e della politica fiscale messe in atto prima della presentazione della Nota, e il programmatico, che include l'impatto delle nuove misure che saranno adottate con la legge di stabilità 2015; entrambe sono sottoposte alla validazione dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio: lo scenario tendenziale 2014-2015 è stato validato il 29 settembre e il programmatico il 10 ottobre;
   considerato che:
    per quanto riguarda lo scenario macroeconomico:
     nel quadro tendenziale, la Nota presenta una revisione al ribasso delle stime sull'andamento del PIL per l'anno in corso (da 0,8 per cento a –0,3 per cento) e per il 2015 (da 1,3 per cento a 0,5 per cento) rispetto alle previsioni formulate nel DEF di aprile 2014, in considerazione dell'andamento recessivo che ha caratterizzato la prima parte dell'anno;
     anche per gli anni successivi la Nota espone una revisione verso il basso delle previsioni sulla crescita, in considerazione delle prospettive meno positive della domanda mondiale, che prefigurano un recupero meno accentuato nel medio periodo, stimando una crescita tendenziale pari a 0,8 per cento nel 2016 e superiore all'1 per cento soltanto a partire dal 2017;
     il quadro macroeconomico programmatico indica una crescita del PIL superiore di 0,1 punti percentuali nel 2015 e di 0,2 punti percentuali nel triennio successivo;
     la Nota rivede in leggero miglioramento la stima del tasso di disoccupazione tendenziale per il 2014, pari al 12,6 per cento (12,8 nel DEF); il tasso si mantiene stabile nel 2015 e nel biennio successivo torna a ridursi fino all'11,8 per cento nel 2018;
     l'inflazione programmata viene rivista fortemente al ribasso, allo 0,2 per cento per il 2014, per poi aumentare allo 0,6 per cento nel 2015, valori molto lontani dal target del 2 per cento assegnato alla BCE;
    per quanto riguarda l'evoluzione della finanza pubblica:
     il peggioramento del quadro macroeconomico rispetto al quadro previsionale contenuto nel DEF 2014 di aprile si riflette sull'evoluzione della finanza pubblica;
     per l'avanzo primario la Nota prevede un peggioramento rispetto alle previsioni di aprile (circa 1 punto percentuale di PIL nel 2014 e nel 2015 e 1,5 punti percentuali nel triennio successivo), pur con valori positivi per tutto il periodo (nel quinquennio 2014-2018 il saldo passa dall'1,7 per cento del 2014 al 3,4 del 2018); si osserva invece un consistente miglioramento del trend della spesa per interessi dal 2014 al 2018 rispetto a quello riportato dal DEF (il rapporto sul PIL passa da 4,7 a 4,2 punti percentuali di PIL);
     la Nota prevede un indebitamento netto a legislazione vigente del 3 per cento del PIL per il 2014, con un peggioramento rispetto alle previsioni del DEF (2,6 per cento); nel 2015 l'indebitamento netto è pari al 2,2 per cento (a fronte del 2 per cento stimato nel DEF), nel 2016 si riduce all'1,8 per cento, fino allo 0,8 per cento nel 2018, beneficiando della riduzione della spesa per interessi;
     l'evoluzione delle entrate finali e della pressione fiscale mostra una sostanziale invarianza; va, tuttavia, rilevato come essa non includa gli effetti della riduzione del cuneo fiscale per i redditi da lavoro medio-bassi (il bonus di 80 euro), contabilizzata come maggiore spesa per trasferimenti alle famiglie, mentre andrebbe più opportunamente riclassificata come minore entrata, così da evidenziarne gli effetti in termini di riduzione della pressione fiscale;
    per quanto riguarda gli obiettivi programmatici di finanza pubblica:
     l'indebitamento netto programmatico per il 2014 è rivisto al 3 per cento del PIL, rispetto al 2,6 per cento fissato nel DEF, mentre quello del 2015 è fissato pari al 2,9 per cento, superiore al livello previsto nel DEF (1,8 per cento); per il 2016 coincide con quello a legislazione vigente (1,8 per cento) e verrà migliorato di 0,4 punti percentuali nel 2017 e di 0,6 punti nel 2018;
     dalla differenza fra gli andamenti tendenziali e il dato programmatico emerge l'intenzione del Governo di effettuare, nel 2015, una manovra di orientamento espansivo pari allo 0,7 per cento del PIL, la più espansiva dal 2001;
     analogamente, l'avanzo primario programmatico del 2015 è inferiore di 0,7 punti percentuali al tendenziale (1,6 per cento programmatico contro 2,3 per cento tendenziale);
     dopo un 2016 a manovra zero, la manovra programmata nel 2017 e nel 2018 torna ad assumere una direzione correttiva, con un andamento programmatico dell'avanzo primario superiore ai livelli tendenziali (rispettivamente di 0,3 e 0,5 punti percentuali);
     per quanto riguarda il pareggio di bilancio strutturale, in considerazione delle circostanze economiche eccezionali, del potenziale impatto negativo sulla crescita (stimato nello 0,9 per cento del PIL) prodotto dalla manovra correttiva necessaria al raggiungimento dell'Obiettivo di medio termine (OMT) e dell'attuazione delle riforme strutturali previste, il Governo intende avvalersi degli spazi di flessibilità previsti dalla normativa europea e nazionale; il raggiungimento dell'OMT (che per l'Italia coincide con l'obiettivo del pareggio di bilancio) viene spostato, rispetto al DEF di aprile, dal 2016 al 2017;
     nel 2014 e nel 2015 è programmato un indebitamento netto strutturale pari allo 0,9 per cento del PIL (nel DEF erano programmati valori pari a 0,6 per cento e 0,1), mentre nel 2016 è fissato pari allo 0,4 per cento, con una variazione rispetto all'anno precedente di 0,5 punti percentuali, che prefigura una ripresa della convergenza verso l'OMT;
     il rapporto debito pubblico su PIL è previsto al 131,6 per cento nel 2014, valore inferiore rispetto a quello programmato nel DEF (134,9 per cento) principalmente per le revisioni statistiche dovute all'introduzione del SEC 2010, in assenza delle quali sarebbe stato pari al 136,6 per cento; tale rapporto inizierebbe a scendere dal 2016, fino al livello del 124,6 per cento del 2018; la Nota sottolinea come, pur in presenza di valori estremamente elevati, la struttura e la dinamica del debito italiano siano relativamente più favorevoli di quelli di altri paesi, il debito totale (pubblico più privato) è nettamente inferiore a quello di molte grandi economie europee e le famiglie italiane presentano un'elevata ricchezza netta;
   valutato che:
    l'Area dell'Euro è a un bivio. In assenza di interventi significativi i Paesi Europei rischiano di avvitarsi in una spirale di stagnazione, deflazione e disoccupazione;
    la presidenza italiana ha proposto di incentrare la strategia dell'Unione europea sulla crescita e l'occupazione, mediante il rilancio degli investimenti, delle riforme e del mercato interno;
    la sola politica monetaria non è sufficiente a rilanciare la crescita, nonostante il cruciale contributo fornito alla stabilità finanziaria, ma è necessario un ruolo più attivo della politica di bilancio e delle riforme strutturali, in un'unica coordinata strategia di stimolo e sostegno della domanda aggregata nel breve termine e di aumento del potenziale dell'economia;
    appaiono, pertanto, estremamente condivisibili gli interventi che il Governo intende realizzare e l'azione sugli obiettivi programmatici di finanza pubblica, evitando per il prossimo anno manovre con impatto recessivo sulla dinamica del PIL, dei consumi delle famiglie e degli investimenti;
   preso atto del fatto che il Governo considera collegati alla decisione di bilancio i provvedimenti in tema di riorganizzazione della PA, di revisione della spesa e promozione dell'occupazione e degli investimenti nei settori del cinema e dello spettacolo dal vivo e di revisione dell'ordinamento degli enti locali;
   vista la risoluzione con la quale, nella seduta odierna, è stata approvata dalla Camera a maggioranza assoluta la Relazione che illustra l'aggiornamento del piano di rientro verso l'Obiettivo di medio periodo (OMT) contenuto nel Documento di economia e finanza dello scorso aprile,

impegna il Governo

   a perseguire gli obiettivi programmatici di finanza pubblica definiti dalla Nota di aggiornamento nell'ambito del periodo di riferimento;
   a completare l’iter delle riforme strutturali, con particolare riferimento a quelle riguardanti il mercato del lavoro, la scuola, il sistema fiscale, la pubblica amministrazione, la giustizia civile;
   ad utilizzare, fermo restando il rispetto degli impegni assunti in sede europea, tutte le clausole di flessibilità rese disponibili dal Patto di Stabilità e Crescita, al fine di rilanciare la domanda aggregata e la competitività;
   a intensificare l'azione di contrasto dell'evasione fiscale favorendo l'adempimento spontaneo degli obblighi fiscali;
   a includere tra i provvedimenti collegati alla manovra di finanza pubblica anche il disegno di legge recante «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro» (A.C. 2660);
   a supportare la domanda aggregata e la competitività del Paese, a partire dalla legge di stabilità per il 2015, in coerenza con quanto previsto dalla Nota, mediante l'adozione di misure finalizzate a:
    a) la stabilizzazione per l'anno 2015 e successivi del bonus IRPEF per i redditi più bassi, tenendo conto di quanto previsto all'articolo 1 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, in materia di carichi familiari;
    b) l'ulteriore riduzione del prelievo gravante sulle imprese, già previsto dal citato decreto-legge n. 66 del 2014, da accompagnare al processo di semplificazione fiscale, in particolare per le PMI, in attuazione di quanto previsto dalla legge di delega 11 marzo 2014, n. 23;
    c) il rafforzamento e la maggiore inclusività della rete degli ammortizzatori sociali, attraverso lo stanziamento delle risorse necessarie ad estendere diritti e tutele ai lavoratori attualmente esclusi, e l'attuazione delle misure contro la povertà e l'esclusione sociale previste dalla Nota di aggiornamento e dal disegno di legge delega sul lavoro;
    d) lo stanziamento di adeguate risorse per i settori della scuola e della sicurezza;
    e) il superamento del Patto di stabilità interno, a partire dai comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti, flessibilizzando le regole per la spesa in conto capitale e creando gli spazi necessari per consentire gli investimenti pubblici;
    f) il rafforzamento dell'opera di revisione e riduzione della spesa improduttiva della Pubblica Amministrazione, sia a livello statale che degli enti locali, ivi compresa, una revisione del sistema delle partecipate pubbliche in linea con quanto già previsto dal decreto-legge n. 66 del 2014;
    g) l'accelerazione degli investimenti per il contrasto al dissesto idrogeologico mediante l'utilizzo delle risorse disponibili, ivi comprese quelle relative ai fondi strutturali;
    h) la proroga per l'anno 2015 degli incentivi fiscali per la riqualificazione energetica e la ristrutturazione degli immobili, al fine di sostenere sia i settori innovativi della green economy che quello in difficoltà delle costruzioni;
    i) l'eventuale revisione della normativa inerente la tassazione immobiliare comunale, garantendo semplificazione e certezza per i contribuenti, autonomia tributaria ai comuni, un sistema armonizzato di agevolazioni sul territorio nazionale per le abitazioni principali.
(6-00083) «Speranza, De Girolamo, Mazziotti Di Celso, Dellai, Pisicchio, Formisano, Alfreider, Di Lello, Di Salvo».


   La Camera,
   premesso che:
    il testo sottoposto al suo esame più che essere una Nota di aggiornamento al DEF, presentato lo scorso 8 aprile 2014, ne rappresenta una completa riscrittura, come mostra la lunghezza del documento che gli è stato sottoposto, e disposizioni che stravolgono, già nella prospettazione dei problemi, rimpianto originario;
    la completa riscrittura del DEF dimostra il fallimento della linea di politica economica fin qui seguita. Errate si sono dimostrate le scelte finora compiute, a partire dalla corresponsione del bonus di 80 euro, errati i presupposti analitici su cui quella politica era fondata;
    a dimostrazione dell'assunto precedente basta considerare lo scarto nella previsione della crescita del PIL (da un +0,8 per cento ad un –0,3 per cento): pari a 1,1 punti di PIL, che supera di gran lunga tutta l'esperienza storica più recente. Senza considerare il grado di realismo implicito in quell'ultima previsione di –0,3 per cento; a giustificare un simile scarto previsionale, in corso d'anno, non si è verificato alcun elemento traumatico. Al contrario, si è seguito solo il trend a ribasso degli anni precedenti: –2,4 per cento nel 2012; –1,9 per cento nel 2013. Per ritrovare il segno più negli andamenti del PIL bisogna risalire al 2010 (+1,3 per cento) e al 2011 (+0,4 per cento), quando il Governo dell'Italia era affidato ad un'altra maggioranza;
    con questo andamento negativo il nuovo DEF non si misura. La tesi che «seppure in misura minore anche il resto dell'eurozona stenta a recuperare i livelli pre-crisi» è solo consolatoria. Né risponde a verità. Secondo i dati dell'Eurostat il reddito nominale dei Paesi dell'eurozona nel 2013 è stato del 4 per cento superiore ai livelli pre-crisi. In Italia siamo invece ancora ben lontani dal raggiungere quell'obiettivo. In termini reali la perdita di PIL resta ancora superiore ai 9 punti;
    non basta, quindi, considerare solo le caratteristiche di uno shock esogeno, legato alla crisi della Lehman Brothers. In Italia quella spinta iniziale si è innestata su problemi di carattere strutturale, determinando l'attuale stato di crisi;
    per comprendere la reale natura dei problemi – cosa che il nuovo DEF non fa – è necessario indagare sulle cause che impediscono all'Italia di seguire il sentiero più virtuoso degli altri Paesi. Cause che sono interamente riconducibili all'intervenuto blocco dell'accumulazione di capitale;
    secondo l'ultimo Bollettino della Banca d'Italia (n. 3 del 2014) negli ultimi cinque anni (primo trimestre 2014-2009), il gap di produttività in Italia rispetto all'eurozona è ulteriormente aumentato di 5,9 punti. Il Clup (costo del lavoro per unità di prodotto) di 0,7. Differenza che si spiega solo con intervenuta contrazione del margine operativo lordo (Mol) delle imprese. A dimostrazione che il tema della produttività sia oggi quello centrale;
    a questo argomento il nuovo DEF non dedica alcuna riflessione. La stessa parola «produttività» è citata solo quattro volte e riportata come semplice item in solo due tabelle, in ben 138 pagine di considerazioni;
    è necessario ricorrere ad altre fonti per conoscere il reale stato della produzione in Italia. Nell'ultimo «Rapporto sulla stabilità finanziaria» della Banca d'Italia si afferma: «Nel 2013 la redditività delle imprese è rimasta a livelli molto bassi. Sulla base dei dati di contabilità nazionale, il Mol è rimasto stabile al 33 per cento del valore aggiunto; gli oneri ne hanno assorbito oltre il 21 per cento». Il livello registrato è ancora più basso di quello indicato nello stesso rapporto dell'aprile del 2012 in cui si affermava che si era toccato il «livello più basso dal 1995». Gli anni immediatamente successivi alla grande crisi del ’92;
    se su quel valore di per sé insufficiente si calcola il peso degli oneri finanziari e del carico fiscale è facile dimostrare la forte compressione dell'utile netto, insufficiente sia per realizzare gli ammortamenti che per remunerare il rischio d'impresa. Situazione che, nonostante le esortazioni, di fatto impedisce una ripresa dei necessari investimenti;
    si spiega così il «circolo vizioso» dell'economia italiana: gli investimenti privati non crescono a causa dei ridotti margini aziendali; quelli pubblici non decollano a causa delle cattive condizioni di finanza pubblica; di conseguenza l'economia ristagna, mentre lo spiazzamento competitivo derivante dal combinarsi di una bassa produttività aziendale con un'altrettanta limitata «produttività totale dei fattori» la allontana dal resto dell'eurozona. Per non parlare della concorrenza che deriva dalle economie emergenti;
    il nuovo DEF si rende confusamente conto di questi fattori quando propone a tutta l'Europa «il rilancio degli investimenti» e «le riforme sul mercato del lavoro». Ma il primo obiettivo – rilancio degli investimenti – può essere conseguito solo se si modificano le condizioni aziendali e si liberano risorse, grazie alla spending review, rivolte sia al rilancio degli investimenti pubblici che alla riduzione del carico fiscale;
    nell'attesa che questi provvedimenti possano diventare esecutivi, nel tempo strettamente necessario, è possibile puntare fin da subito su un aumento della produttività aziendale, con l'obiettivo di recuperare il più in fretta possibile almeno quel gap di produttività che, relativamente all'ultimo quinquennio, ci divide dal resto dell'eurozona. Obiettivo che dovrebbe divenire un target importante nella linea di politica economica;
    la realizzazione dell'obiettivo di cui al punto precedente richiede un mix di incentivi e disincentivi. Incentivi come la detassazione del salario di produttività, nel maggior sviluppo possibile della contrattazione aziendale. Ma anche la necessità di disincentivare comportamenti devianti – si pensi solo all'assenteismo – che ne negano in radice i fondamenti. Occorre in proposito rimodulare le tutele, poste a giusta difesa del lavoro, affinché queste ultime non si trasformino in un alibi che deresponsabilizza, induce a forme di lassismo, alimenta il mancato impegno personale;
    è necessario che le stesse forze sindacali si impegnino nella necessaria opera pedagogica – che fu una delle caratteristiche più alte della storia del movimento operaio – affinché vi sia un rinnovato impegno volto a privilegiare il merito, la partecipazione consapevole al processo produttivo, l'impegno personale all'apprendimento di quelle nuove tecnologie che caratterizzano il mondo contemporaneo;
    non appare, pertanto, convincente la preannunciata intenzione del Governo di rendere strutturale il cosiddetto bonus di 80 euro, in quanto quella misura nega in radice i principi esposti in precedenza. È una semplice elargizione a pioggia, completamente slegata dai sottostanti livelli di produttività, e dà poco a chi merita di più e troppo a chi non fa alcunché per contribuire al miglioramento delle condizioni generali;
    l'auspicio è pertanto che la ventilata riforma del mercato del lavoro possa far fronte a queste incongruenze. I risultati, di là da venire, dovranno essere valutati in relazione al rilancio del merito e della partecipazione. Occorrerà premiare chi lavora meglio e di più e introdurre elementi di deterrenza per sconfiggere quelle posizioni di rendita che si annidano anche nel mondo del lavoro;
    questi temi «alti» potevano essere già affrontati nel corso del dibattito parlamentare. Condizione pregiudiziale era la presentazione di un disegno di legge organico sui quale fosse possibile aprire un confronto sereno in Parlamento, per distinguere le posizioni responsabili dal semplice opportunismo. Il Governo, invece, ha preferito ricorrere ad una Legge delega, dall'ampiezza indefinita, per rinviare nel tempo il confronto all'interno della propria maggioranza. Confronto che ci dovrà comunque essere nel momento in cui saranno affrontati i necessari decreti legislativi di attuazione; la scelta di questa procedura ha comportato tuttavia un drammatico allungamento dei tempi, nonché il sorgere di contestazioni che si prolungheranno nei mesi a venire e che avranno, eventualmente, la loro coda velenosa in ricorsi giurisdizionali, vista l'indeterminatezza della delega, che potranno giungere fino alla Corte costituzionale;
    il Governo stesso si è reso conto di questi pericoli, allorquando ricorda: «la delicatezza della fase attuativa che ha spesso deluso in passato le aspettative degli italiani e degli investitori stranieri». Preoccupazione assolutamente condivisibile, subito disattesa, tuttavia, dai suoi comportamenti effettivi. Del resto, lo scarto tra preposizioni teoriche e comportamenti effettivi è la vera cifra che caratterizza l'intero documento;

   considerato altresì che:
    nelle previsioni per il 2015, il nuovo DEF ipotizza una crescita del PIL pari allo 0,6 per cento. A questo obiettivo dovrebbe contribuire soprattutto la domanda interna, che subirebbe un balzo di un punto di PIL, passando da –0,3 per cento nel 2014 a +0,7 per cento nel 2015. Questo passaggio non è ulteriormente motivato, né si considera l'effetto di trascinamento della brusca caduta dell'anno precedente;
    nello stesso tempo, l'elemento più dinamico della situazione internazionale è ritenuto essere l'andamento del commercio mondiale, che dovrebbe crescere dal 4 per cento del 2014 al 5,1 per cento del 2015, ma con scarsi effetti (contributo netto pari alla crescita pari a –0,1 per cento) sull'economia italiana. Gli elementi giustificativi apportati sembrano del tutto aleatori. Allo stato degli atti è meglio rimanere fermi alle ipotesi avanzate nell'ultimo numero dell’Economist (11 ottobre 2014): «The world economy is weaker then it looks»;
    nella logica del documento, le previsioni di crescita rappresentano il floor su cui calcolare l'impatto delle possibili riforme. Rispetto al tendenziale sarebbero destinate a determinare una crescita del potenziale produttivo pari in media allo 0,2 per cento, nel corso del triennio. Ma il loro maggior effetto lordo è compensato dall'onere recato dalle misure di salvaguardia, poste a difesa del rispetto dei parametri del deficit. Misure che potrebbero scattare a partire dal 2016, per importi predeterminati fin da ora e pari a 12,6 miliardi nel 2016, 17,8 miliardi nel 2017 e 21,4 miliardi nel 2018. Con conseguente aumento della pressione fiscale, che si stabilizzerebbe ad un livello superiore al 44 per cento del PIL. Ipotesi da scongiurare fin dall'inizio;
    l'insieme di questi dati, al di là dell'eleganza formale del ragionamento contenuto nella premessa della Nota al DEF, dimostrano quanto sia ancora impervio il sentiero per uscire dalle secche della crisi. Specie se se ne valutano i riflessi negativi sulle pubbliche finanze. I cui aggregati – in termini di previsione – lasciano trasparire un notevole ottimismo;
    il nuovo DEF non fornisce indicazioni sulla costruzione del «tendenziale», nonostante le prescrizioni di legge. Mancano altresì specifiche indicazioni da parte dell'Ufficio parlamentare del bilancio. Si precisa, infatti, che «lo scenario macroeconomico ha ottenuto la validazione dell'Ufficio». Ma non è dato sapere quale sia stata la procedura seguita, né si ricava dalla documentazione fornita al Parlamento;
    le lacune indicate spingono a confrontare i dati recati dal «tendenziale» con i risultati acquisti nel corso del 2014 al fine di riscontrare possibili coerenze;
    nei primi otto mesi del 2014 le entrate erariali, secondo la competenza economica, hanno fatto registrare una flessione dello 0,4 per cento. Allorquando a fine anno, secondo le previsioni del nuovo DEF, si dovrebbe invece avere un aumento dello 0,37 per cento. Se così non fosse lo scarto sarebbe pari a 3,5 miliardi, destinato ad impattare sul deficit – già previsto al 3 per cento – e riflettersi negli esercizi successivi;
    al termine dei primi sette mesi del 2014, secondo le valutazioni della Banca d'Italia (bollettino statistico del 12 settembre) il debito pubblico ammontava a 2.168 miliardi. Secondo il nuovo DEF, il consuntivo di fine anno dovrebbe essere pari a 2.140. C’è una differenza di meno 55 miliardi. In rapporto al PIL dovrebbe scendere dagli attuali 133,5 per cento al 131,6. Se così non fosse l'effetto di trascinamento, sul 2015, già previsto in circa di 2 punti di PIL, risulterebbe ben più consistente, con possibili effetti negativi sulla dinamica della spesa per interessi;
    nella Relazione al Parlamento, infine, resa ai sensi dell'articolo 6 della legge 243 del 2012, si sottolinea il ruolo delle privatizzazioni, «che si prevede consentano introiti pari allo 0,7 per cento di PIL dal 2015 e per ogni anno successivo del periodo considerato». Si rinnova stancamente un impegno già preso con il DEF originario, ma del tutto disatteso. Anche allora, infatti, si affermava che «l'accelerazione e rapida attuazione del programma di privatizzazioni, avviato dal precedente Governo» era tesa a «promuovere introiti attorno a 0,7 punti percentuali di PIL all'anno, dal 2014 e per i tre anni successivi»;
    di quel «piano ambizioso» – per riprendere le conclusioni del DEF di aprile – non solo non esiste traccia, ma la stessa sorte è toccata alla spending review: la via maestra per il rilancio degli investimenti pubblici e l'abbattimento della pressione fiscale. A dimostrazione di quante siano le vite di quello statalismo che soffoca la vita dell'economia e della società italiana;
    in conclusione, si può pertanto sottolineare come l'attuale quadro programmatico sia venato da profonde incertezze programmatiche e dalla profonda discrasia tra il «dire» e il «fare». Esso è reticente nell'individuare i veri punti che sono all'origine dello shock endogeno che persiste nell'economia italiana, intimamente legato alla sua bassa produttività. E il riflesso di un quadro politico incerto, in cui persistono linee al fondo divergenti, segnato da fratture difficilmente conciliabili, che riducono la capacità operativa del Governo. Lo costringono a defatiganti azioni di mediazione, allungando i tempi della decisione politica. Il tutto in aperto contrasto con le esigenze di chiarezza che sono richieste dai mercati e dalla Commissione europea, che non perde occasione per far conoscere le proprie riserve, lanciando ripetuti avvertimenti;
    l'alternativa a questa linea, nei fatti inconcludente, è chiaramente indicata nei punti riportati in premessa. È stata sviluppata partendo da quelli che sono i reali problemi dell'economia e della società italiana, basandola su dati che sono forniti dai principali osservatori neutrali. Non risponde, pertanto, ad alcun machiavellismo di parte. Come tale essa è messa a disposizione dell'intero Parlamento, nella speranza che possa contribuire a sconfiggere le posizioni sbagliate e convincere gli incerti,

impegna il Governo

ad operare in coerenza con le premesse indicate, quale precondizione per sviluppare un più intenso dialogo intereuropeo, al fine di dare a quel semestre di presidenza italiano – fin troppo scialbo – l'occasione di un rilancio. Dobbiamo sgomberare il campo dall'ipotesi che l'accento riposto sulla necessità dello sviluppo sia un alibi per continuare nelle vecchie abitudini di sempre. L'impegno proposto mira, appunto, a rafforzare la posizione negoziale dell'Italia e a costringere anche gli altri – soprattutto la Germania – a fare la propria parte.
(6-00084) «Brunetta, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    la nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, al pari con i rapporti dei principali organismi di analisi economica nazionali ed internazionali, definiscono un quadro di chiaro peggioramento di tutti i dati della nostra economia e, per stessa ammissione del Governo, di un Paese che non dà segnali di ripresa né miglioramento da nessun punto di vista, sconfessando chiaramente i «peccati di ottimismo» dell'attuale e dei precedenti Governi;
    l'Italia e l'Europa sono bloccate e i parametri che possono dare indicazioni relativamente a consumi, fiducia, iniziativa e capacità di reazione di persone ed imprese sono modificati in profondità;
    in soli 6 mesi il Governo Renzi ha dovuto correggere al ribasso la previsione del PIL addirittura di un punto percentuale (da +0,8 a -0,3), attestando alternativamente una superficiale sottovalutazione della situazione, una incapacità di comprensione dello scenario, o una dolosa narrazione non veritiera della realtà;
    a dispetto delle promesse in merito alla revisione della spesa, che avrebbe dovuto determinare risparmi per 32 miliardi in tre anni a partire dal 2014, la legge di stabilità e alcuni decreti approvati nell'anno in corso hanno previsto di impegnare tali risparmi per generare nuova spesa; all'indomani dell'abbandono da parte del quarto commissario alla spending review, nessun risparmio mirato è stato attuato ed anzi le maggiori spese dovranno essere coperte con tagli lineari;
    la nota di aggiornamento al DEF prevede un aumento del Deficit, che si ripercuoterà inevitabilmente sul già ingente debito pubblico; come ammette lo stesso Governo, ciò sarebbe reso possibile da un deficit che oggi, dopo anni di tagli che hanno bloccato il Paese e anche per ricalcolo statistico, si attesterebbe al 2,2 per cento del PIL, a fronte del 2,9 per cento accettabile per l'Europa;
    elemosinare decimi di punto percentuale da parte di commissari-burocrati di un'Unione europea che nulla ha saputo fare per tutelare i propri cittadini da una crisi economica di natura inizialmente esogena e finanziaria appare inadeguato e profondamente ingiusto nei confronti di persone, famiglie ed imprenditori che quotidianamente sperimentano disoccupazione, impoverimento, taglio di servizi anche socio sanitari, fallimenti, sfiducia, e paura; come suggeriscono ormai a grande voce anche illustri economisti, occorre superare al più presto il sistema rigido ed inefficiente di vincoli europei meramente statistici per potere intraprendere azioni concrete di rilancio economico e sociale, di tutela del territorio e delle infrastrutture essenziali;
    permangono profonde, se non addirittura aumentate, differenze di responsabilità nell'impiego dei fondi pubblici da parte dei diversi territori del Paese: secondo il centro studi sanità pubblica dell'università Bicocca di Milano le sperequazioni, nelle quali la sanità gioca un ruolo fondamentale quanto delicato, sembrano addirittura aumentate: a titolo di mero esempio, stabilendo una unità di misura uniforme, a Napoli si spendono oltre 17 mila euro a posto letto solo per le pulizie, ma a Cagliari solo 3.500;
    il Federalismo Fiscale, basato sul meccanismo dei costi e dei fabbisogni standard per regioni ed enti locali relativo ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali rappresenta l'unico vero strumento per effettuare una spending review efficace nel sistema delle autonomie territoriali, e va esteso anche all'apparato centrale dello Stato, vero centro di spesa pubblica;
    stando a quanto riportato nella nota di aggiornamento, i dati relativi all'indebitamento dello Stato nel periodo tra il 2015 e il 2018 sono stati calcolati considerando di uscire dalla gestione unificata della tesoreria nel 2018, anziché nel 2015 come inizialmente previsto; si ricorda che l'accentramento delle tesorerie degli enti locali e territoriali fu imposta dal Governo Monti per coprire con un artificio contabile buchi di cassa di alcuni enti meno virtuosi e dello Stato stesso, a danno delle disponibilità degli enti gestiti con maggiore efficienza che si sono visti scippare una cifra intorno ai 30 miliardi; la misura, venduta dall'allora premier Monti come temporanea, rischia, come nella peggiore tradizione nazionale, di diventare permanente;
    il nostro sistema fiscale è costruito sul combinato negativo che ad una alta pressione fiscale associa alta burocratizzazione e complessità del prelievo. Un simile sistema finisce con il rendere conveniente elusione, evasione, delocalizzazione anche, per mezzo della costituzione di veicoli societari esteri. Si consente a chi può permettersi comportamenti elusivi di sfuggire all'imposizione relativa alle fasce più alte di reddito, posizionando un'enorme onere fiscale sulle spalle del ceto medio. È oggi urgente una diversa distribuzione del carico fiscale, con un aumento della base imponibile e una riduzione delle aliquote, nonché uno «shock» semplificativo sulle modalità del prelievo;
    lo stesso presidente della Commissione europea Barroso ha dichiarato che «L'Italia ha grandi potenzialità» ma «ci sono le tasse sull'energia più alte del mondo e una fiscalità troppo alta limita la competitività delle aziende». Nonostante ciò il Governo continua ad adottare provvedimenti che trovano copertura con aumenti di accisa anche sui prodotti energetici, sottoforma di clausole di salvaguardia,

impegna il Governo

   a farsi promotore, in quanto presidente di turno dell'Unione europea, di una riforma profonda dell'impianto economico dell'Unione europea e dell'area Euro, abolendo il Patto di Stabilità, compreso il Patto di stabilità interno, al fine di potere attuare misure straordinarie per la ripresa economica, per gli investimenti infrastrutturali in particolare per quelli ad impatto positivo contro il rischio idrogeologico e sismico del territorio, che genererebbero inoltre nuovo gettito e posti di lavoro;
   a ripristinare dal 1o gennaio 2015 la gestione decentrata delle tesorerie degli enti locali e territoriali;
   a pianificare i trasferimenti agli enti locali e territoriali, nonché in ambito sanitario, superando definitivamente il criterio della spesa storica a favore del sistema dei costi e dei fabbisogni standard, applicando in ogni dimensione del Paese il Federalismo Fiscale;
   ad utilizzare le leve fiscali disponibili, nel quadro dell'armonizzazione comunitaria in materia di accise, per ridurre significativamente il carico fiscale sui prodotti energetici al fine di non penalizzare ulteriormente le attività economiche ed industriali;
   a disegnare nel quadro della legge di stabilità per il 2015 un sistema fiscale radicalmente nuovo per cittadini e imprese, basato su una unica aliquota fiscale non superiore al 20 per cento corretta (per le persone fisiche) da una deduzione fissa su base familiare che ne garantisca la progressività.
(6-00085) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'aggiornamento del quadro macroeconomico contenuto nella Nota al DEF 2014 sconfessa le precedenti previsioni macroeconomiche del DEF 2014, prendendo finalmente atto degli andamenti negativi della crescita del PIL rilevati nei primi due semestri dell'anno, e rivede al ribasso le previsioni sulla crescita del PIL, contenute nel DEF 2014 nella misura dello 0,8 per cento, ora trasformatasi in una decrescita pari a -0,3 per cento;
    nella medesima Nota emerge la consapevolezza che gli effetti delle politiche di rigore e rigidità hanno aggravato la crisi economica fino a deprimere in misura rilevante la domanda di beni e servizi, creando disoccupazione e deflazione;
    per il rilancio dell'economia il Governo intende abbandonare momentaneamente il percorso di risanamento, ottenuto esclusivamente con la correzione dei saldi di finanza pubblica e propone il rinvio del pareggio di bilancio al 2017, già rinviato dal 2015 al 2016 in sede di approvazione del DEF 2014;
    ma il Governo tende a restare ancorato all'impegno del rispetto del 3 per cento del rapporto indebitamento netto/PIL, e all'obbligo del pareggio di bilancio nel 2017, in un triennio in cui l'uscita dalla crisi richiede ingenti risorse, mentre il peggioramento del saldo nel 2015 e il risparmio sul pagamento degli interessi liberano solo 11,5 miliardi di euro, che non appaiono sufficienti a far ripartire un Paese e a realizzare compiutamente gli interventi che si propone il Governo, ossia investimenti nel settore istruzione e ricerca, sostegno degli investimenti degli enti locali, riduzione dell'IRAP, incremento degli ammortizzatori;
    il Governo continua, come i Governi passati di Berlusconi, Letta e Monti, a essere schiavo di parametri, in particolare il PIL, che non è idoneo a misurare il benessere di una economia. Infatti sin dal 2011, l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), ha in diversi studi fatto presente come il prodotto interno lordo non sia un indicatore esaustivo per parametrare il benessere di un Paese e dei suoi cittadini, ma piuttosto bisogna tener conto anche di altri indicatori, come la qualità e il costo delle abitazioni, salari, sicurezza dell'impiego e disoccupazione, l'educazione, la coesione sociale, la qualità dell'ambiente, la salute, la sicurezza e altri, posizione ripetuta di recente anche dal noto economista e premio Nobel, prof. Joseph Stiglitz, nel suo recente intervento al Parlamento;
    come emerge dalla letteratura economica: la convenienza a trovarsi in una unione monetaria è tanto maggiore quanto maggiore è il grado di integrazione esistente tra i Paesi facenti parte dell'Unione;
    a fronte dei potenziali benefici di trovarsi all'interno di una unione monetaria, vi sono dei «costi di adesione» quali ad esempio la perdita dell'utilizzo del tasso di cambio quale strumento di politica economica utile a stabilizzare l'occupazione e la produzione a seguito di shock economici esterni e asimmetrici;
    i possibili meccanismi di aggiustamento automatico delle economie dei Paesi membri dell'Unione vittime di shock economici asimmetrici sono la flessibilità del salario e la mobilità del lavoro;
    nei meccanismi sopra citati, salario flessibile e mobilità del lavoro, si sono nella pratica tradotte in mero «precariato» e «disoccupazione», soprattutto giovanile, considerato il fatto che, come sosteneva Robert Mundell, anch'egli premio Nobel per l'economia, le caratteristiche dell'Europa erano inadatte per la costruzione di un'area valutaria ottimale;
    tali politiche di austerità hanno prodotto come risultato una riduzione della domanda aggregata e, direttamente e indirettamente, hanno indebolito il potere d'acquisto dei lavoratori (ad esempio, riducendo la spesa per servizi pubblici, sanità e istruzione);
    quando la recessione, la deflazione e la disoccupazione insistono contestualmente e non riparte l'economia è necessario che intervengano i Governi con politiche economiche di sostegno alla domanda di beni e servizi, mediante maggiori investimenti pubblici e misure di sostegno alle imprese, anche se ciò comporta un maggiore indebitamento, soluzioni ovvie, necessarie e anche supportate da analisi di economisti eccellenti, quali, Stiglitz, ma non permesse dagli organi dell'Unione europea, attenti solo ad uno sterile conseguimento del miglioramento dei saldi di finanza pubblica, che ad oggi è costato sia all'Italia che alla maggior parte dei Paesi dell'area euro una regressione nella crescita ed un aumento allarmante della disoccupazione;
    nella Nota il rinvio del pareggio di bilancio al 2014 è motivato sulla base delle previsioni dell'articolo 6 della legge n. 243 del 2012, che consente lo scostamento dal raggiungimento dell'obiettivo programmatico strutturale di medio termine (MTO) in caso di eventi eccezionali, prevedendo che il Parlamento voti a maggioranza assoluta la richiesta dello slittamento del pareggio di bilancio al 2017. Le motivazioni addotte sono l'ulteriore inasprimento delle condizioni economiche, che si è estesa anche per tutto l'anno in corso, e permane grave in tutta l'area-Euro e le politiche di rigidità adottate;
    a tal proposito si fa presente che la relazione di minoranza del MoVimento 5 Stelle al DEF 2014, la quale appunto, riprendeva quanto emerso dal documento Macroeconomic Imbalances - Italy 2014 redatto dalla Commissione europea, faceva già presente gli errori di previsione del Governo sottolineando che: «ci troviamo di fronte a una recessione a doppia v (double-dip recession), ovvero una situazione in cui a un lungo periodo di recessione, segue una ripresa illusoria che prelude una seconda recessione»;
    inoltre si ricorda che la Commissione europea il 2 giugno 2014, nel documento «Valutazione del programma nazionale di riforma e del programma di stabilità 2014 dell'Italia» - SWO(2014) 413 final» affermava in modo chiaro che «la deroga richiesta dall'Italia per discostarsi dal percorso necessario verso l'obiettivo di medio termine non può essere concessa a causa del rischio di non conformità con il parametro di riferimento di riduzione del debito»;
    si fa presente che il Consiglio dell'UPB ha validato solo le previsioni tendenziali per gli anni 2014 e 2015, non validando quelle per gli anni 2016-2018;
    inoltre, come sottolinea l'UPB nella recente audizione, le riforme dell'attuale Governo sono in buona parte «ancora in corso di definizione» e che in ogni caso, anche se attuate «resta comunque ampia l'incertezza nella stima dell'intensità dei loro effetti sulla crescita e dei tempi in cui tali effetti potranno realizzarsi»;
    come anche indicato nella nota di aggiornamento al DEF, già anticipato in precedenza dalla relazione di minoranza del M5S al DEF 2014, l'Italia si trova sotto monitoraggio rafforzato in quanto i suoi squilibri macroeconomici sono stati considerati eccessivi dal Consiglio europeo;
    peraltro come emerso dall'audizione del Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) sulla Nota di Aggiornamento al DEF 2014 tenutasi presso la Camera dei deputati il 13 ottobre 2014, se per il 2015 si adottassero le condizioni soglia della Commissione europea per potersi discostare dall'obiettivo di medio termine: «nessuna [...] sarebbe soddisfatta: il prodotto [interno lordo] segnerebbe una crescita positiva seppur contenuta (+0,6 per cento) e l’output gap sarebbe inferiore al 4 per cento (per la precisione il 3,5 per cento)»;
    si ritiene, quindi, che le riforme perseguite dal Governo altro non siano che volontà estranee e legate a voleri della Commissione europea, piuttosto che necessarie al nostro Paese, attuate al solo fine di sopperire allo sforamento delle soglie per tentare di ottenere la possibilità dello sforamento dell'obiettivo di medio termine;
    come ricordato dal premio Nobel Stiglitz: da un'analisi accurata degli effetti di misure adottate per fronteggiare le crisi economiche caratterizzate da una debole domanda, si è giunti alla conclusione che la flessibilità sul lavoro non dà impulso alla domanda di beni e servizi, né aumenta la fiducia dei consumatori, proprio a causa della «instabilità» percepita dai lavoratori sul futuro. Anzi, un clima di incertezza sulle prospettive di occupazione, danneggia il «capitale umano», con gravi danni per l'economia del Paese anche a lungo termine;
    in merito alla riduzione del debito pubblico, oltre l'obiettivo di ridurre il rapporto debito/PIL nell'ipotesi di un trend positivo di crescita del denominatore, il Governo conferma il programma di privatizzazioni, da cui si attendono risorse per ciascun anno pari a circa lo 0,7 per cento del PIL. Ma l'obiettivo di riduzione non può essere considerato senza tener conto degli effetti riduttivi sulle entrate del bilancio dello Stato. A tal proposito è importante riflettere sui dati forniti dalla Corte dei conti, la quale rileva che nel 2015 le privatizzazioni produrranno un ridimensionamento pari allo 0,28 per cento degli introiti previsti per l'anno in corso. Pertanto, nel contesto di perdita di aziende industriali e disoccupazione, la vendita di assets dello Stato deve essere valutata attentamente, in quanto il mantenimento delle partecipazioni statali redditizie deve essere considerato dal Governo un investimento per il sostegno dell'occupazione;
    in questo contesto di grande incertezza e disoccupazione, la vendita di assets dello Stato deve essere valutata attentamente al fine di evitare una perdita di introiti da partecipazioni;
    inoltre, le risorse complessive disponibili saranno inferiori, in quanto il Governo ha rinunciato ai sostanziosi tagli di spending review del piano Cottarelli. Infatti, la Nota prevede che la legge di stabilità conterrà tagli di spesa pubblica per amministrazioni centrali nella misura non superiore al 3 per cento dei rispettivi budget;
    tale decisione va nella direzione opposta di una concreta ed attesa razionalizzazione e riqualificazione della spesa pubblica per individuare e tagliare definitivamente sprechi e poltrone inutili e liberare a regime cospicue risorse da restituire ai contribuenti, alle imprese e al miglioramento dell'efficienza e qualità dei servizi pubblici. Preoccupa quindi il mancato riferimento ad una immediata revisione della gestione delle partecipate pubbliche, che assorbono ingenti risorse e rappresentano un fenomeno di «poltronificio» per incarichi e consulenze;
    in merito all'abbandono del «piano Cottarelli» si ravvisa la necessità di riattivare in modo sostanziale il percorso di riduzione della spesa pubblica, strumento indispensabile per recuperare risorse da destinate alla riduzione della tassazione, per ridare fiducia alle imprese e sbloccare i consumi. Il lavoro eseguito dal Commissario non può giacere inutilizzato, considerato anche i costi sostenuti dalla finanza pubblica per realizzare gli studi ed il progetto. Pertanto, si ritiene opportuno che sia sottoposto e valutato nelle Commissioni parlamentari di merito, come strumento a disposizione del Parlamento per la valutazione del percorso di riduzione della spesa pubblica;
    in merito all'estensione del «bonus IRPEF pari a 80 euro» nel 2015, che avrà un costo superiore ai 10 miliardi, tale misura, da maggio ad oggi, non risulta che abbia prodotto gli attesi benefici in termini di incremento della domanda, essendo stato il bonus destinato ad una platea di soggetti, senza alcuna valutazione dell'effettivo stato di bisogno, mentre sono stati esclusi dai beneficiari categorie ad alta propensione al consumo, quali pensionati con redditi minimi e famiglie monoreddito numerose. Infatti, l'ISTAT ha prodotto, in occasione dell'esame della presente Nota, un'analisi dell'impatto del «bonus IRPEF», da cui emerge che il suddetto bonus nel 2015 ridurrebbe in modo lieve la diseguaglianza economica ed il numero dei poveri. In pratica farebbe uscire dalla soglia di povertà solo 97.000 mila famiglie nel 2015. Interessante è l'affermazione che il bonus andrebbe a beneficiare per circa due terzi famiglie con redditi medio-alti, dunque, appare evidente che la misura adottata dal Governo Renzi, senza alcuna analisi preventiva dei benefici sulla popolazione veramente povera, sia stata adottata solo per scopi elettorali;
    le misure che il Governo intende adottare a sostegno della domanda di beni e servizi sono sottoposte a rischio «annullamento», a causa dell'inserimento della «clausola di salvaguardia», che si attiverebbe in caso di mancato raggiungimento del forzato pareggio di bilancio nel 2017. Appare, dunque, chiaro che il Governo affronterebbe eventuali scostamenti dagli obiettivi europei con un ulteriore impoverimento delle tasche degli italiani, che vedrebbero aumentare l'aliquota IVA del 4 e del 10 per cento sui prodotti collegati alle necessità umane primarie; è palese che la suddetta clausola sia la condizione per ottenere dall'Unione europea il consenso al rinvio del pareggio al 2017. Il rischio dell'attivazione della clausola è reale e si deduce anche dalle conclusioni sul documento in esame elaborate dalla Banca d'Italia, che ritiene che «le previsioni macroeconomiche incluse nella Nota, pur se nel complesso condivisibili, presentano rilevanti rischi a ribasso. Esse infatti presuppongono un punto di svolta imminente nell'attività di investimento, il cui verificarsi non appare scontato alla luce della persistente debolezza degli indicatori di fiducia delle imprese»;
    inoltre, preoccupa che il Governo attribuisce un fondamentale contributo alla crescita del PIL alla realizzazione delle riforme strutturali, che intende concludere ovvero presentare in Parlamento. A tal proposito si evidenzia che il ricorso continuo alle deleghe rallenta la possibilità di conseguire benefici immediati, a causa della necessità di intervenire con provvedimenti amministrativi successivi per la realizzazione delle norme. Ciò è in contraddizione con quanto dichiara il Ministro Padoan nell'introduzione alla Nota in esame, ossia la necessità di far ripartire l'economia del Paese con interventi tempestivi ed efficaci;
    invece, nella Nota al DEF 2014, fra i provvedimenti collegati alla manovra di bilancio, risulta un'altra delega, peraltro, in una materia delicata quale la revisione dell'ordinamento degli enti locali;
    si rileva la criticità dell'attività legislativa italiana, che, come evidenziato in apposito Focus, rallenta l'efficacia delle leggi, per la cui attuazione solitamente sono necessari regolamenti o decreti attuativi, che non consentono una rapida esplicazione degli effetti positivi. La Nota evidenzia che il Governo Renzi è ancora impegnato ad emanare norme attuative di interventi legislativi dei due Esecutivi precedenti, e rispettivamente 255 del Governo Monti e 261 del Governo Letta;
    per quanto concerne l'utilizzo delle esigue risorse, attestato che il Governo è impegnato programmaticamente a risolvere la penosa situazione dello stato degli edifici scolastici pubblici, con temuto pericolo per l'incolumità degli studenti, si rileva l'opportunità di dare attuazione all'impiego delle risorse destinate dai cittadini in occasione della scelta di destinazione dell'8 per mille dell'IRPEF, come previsto dalla legge di stabilità 2014, le cui risorse sono state però drasticamente ridotte per esigenze di copertura di altri provvedimenti legislativi;
    spesso ci siamo trovati di fronte all'impossibilità di avere dati certi in merito alle movimentazioni dei fondi appartenenti alla Presidenza del Consiglio o ai vari Ministeri, sovente è risultato difficile reperire dati dalle altre pubbliche amministrazioni, la qual cosa ci mette in netto contrasto con le raccomandazioni europee, per non dire di buon senso, che ci imporrebbero una maggiore trasparenza che favorirebbe la lotta alla corruzione;
    a partire da settembre 2014 viene adottato dall'Italia e dagli Stati membri dell'Unione europea il nuovo sistema europeo dei conti nazionali e regionali – Sec 2010 – in sostituzione del Sec 95;
    a tal proposito si fa presente che esiste una sostanziale differenza tra le attività illegali che uno Stato ha il compito di far «emergere dal nero» e le attività illegali che uno Stato ha il compito di debellare;
    nel caso di attività illegali che si vorrebbero far emergere (ad esempio la vendita di un bene altresì venduto evadendo il fisco), lo Stato ha tutto l'interesse a incrementare l'attività di vigilanza e controllo ed una eventuale «emersione del nero» aumenterebbe il PIL di un ammontare pari se non superiore a quello perso che era stato considerato da Sec 2010 per l'attività illegale in questione;
    nel caso di attività illegali che invece si vorrebbero debellare (ad esempio il traffico di droga o lo sfruttamento della prostituzione), lo Stato perderebbe l'interesse a controllare e vigilare in quanto una eventuale eliminazione di tale attività illegale provocherebbe automaticamente una diminuzione del PIL;

  in materia di riforme ed affari costituzionali:
   in forza dell'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011 sono state prorogate al 31 dicembre 2014, con apposito regolamento, le disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici, anche accessori, del personale delle pubbliche amministrazioni;
   l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 ha riconosciuto a Specificità del Comparto sicurezza e difesa, compreso il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, in relazione alle peculiarità delle funzioni svolte dai relativi operatori;
   le disposizioni di cui al sopra citato articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011 e dell'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 sono state disapplicate nei confronti del personale del Comparto in parola (Polizia di Stato, Polizia penitenziaria, Corpo forestale dello Stato, Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, Arma dei Carabinieri, Guardia di finanza, Esercito italiano, Aeronautica militare, Marina militare);
   in specie, il decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013 ha disposto che si dà luogo alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 per la sola parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica;
   tale disposizione produce un danno al Comparto Sicurezza e Difesa di gran lunga maggiore rispetto al restante pubblico impiego, in quanto la retribuzione di questa categoria è modulata su ben 18 parametri, con la previsione di meccanismi di adeguamento retributivo «agganciati» a progressioni automatiche di carriera;

  in materia di amministrazione della giustizia:
   rilevato che:
    nella Nota di aggiornamento viene richiamato il processo civile telematico come strumento di accelerazione del processo civile senza far riferimento all'esigenza di incrementare sensibilmente le risorse umane e finanziarie degli uffici giudiziari nonostante il fatto in molti casi non abbiano i mezzi per svolgere la loro ordinaria attività;
    il processo telematico deve essere supportato da idonee strutture e risorse, altrimenti vi sarà un aggravio nelle modalità di lavoro del magistrato, costringendolo ad accollarsi oneri che esulano dal lavoro intellettuale di conduzione dell'udienza, di studio e di redazione degli atti;
    la diminuzione della pendenza dell'arretrato civile dipende non tanto dall'azione del Governo, quanto piuttosto dalla grave situazione economica nella quale versa il Paese, a causa della quale, spesso, mancano ai cittadini le risorse economiche necessarie per affrontare un processo civile, reso, negli ultimi anni, sempre più costoso;
    la gravità della scelta del Governo di intervenire in materia penale e civile, sia sostanziale che processuale, attraverso la decretazione d'urgenza espropriando il Parlamento dal legiferare in tali materie, che di per sé esulano dai presupposti di necessità ed urgenza che legittimano i decreti-legge;
    la reiterata introduzione di continue riforme procedurali attraverso la decretazione d'urgenza palesa forti dubbi di costituzionalità e non soddisfa affatto dal punto di vista sistematico in quanto le riforme del processo richiedono necessari approfondimenti e coordinamenti a livello di sistema attraverso il controllo parlamentare;
    con riguardo al sovraffollamento carcerario, al quale fa riferimento la Nota, si rileva come sinora si sia intervenuti attraverso interventi parziali, che si ispirano all'idea dello svuotamento delle carceri attraverso sconti di pena, che hanno finito nel mettere in pericolo la sicurezza dei cittadini, quando invece sarebbero stati necessari interventi razionali espressioni di un disegno unitario, nel quale l'adeguamento delle strutture carcerarie ed il rafforzamento numerico del personale che vi lavora dovrebbe esserne il cardine;
    il Governo nella Nota si compiace del fatto che la riduzione dell'arretrato civile sia dovuta all'incremento del contributo unificato, cioè all'aggravio per il cittadino delle spese di giustizia, che diventano un ostacolo, in alcuni casi insormontabile, per ottenere giustizia;
    il decreto-legge sulla giustizia civile all'esame del Senato, non avrà alcun concreto effetto acceleratorio, come d'altronde specificato altresì dalla VI Commissione del Consiglio superiore di magistratura;

  in materia di ambiente si rileva che:
   la tutela ambientale sembra essere stata completamente cancellata dall'agenda politica del Governo Renzi e non è un caso che, mentre si annunciano i provvedimenti collegati alla prossima manovra di bilancio, il collegato ambientale 2014 è ancora fermo in Commissione ambiente, proprio per far passare un provvedimento di segno opposto – lo sblocca Italia – il cui sorpasso simboleggia con chiarezza la reale politica ambientale dell'attuale Esecutivo;
   nella Nota vengono citate le specifiche raccomandazioni che, a chiusura del semestre europeo 2014, il Consiglio ha rivolto all'Italia (Country Specific Reccomendations – CSR), sulla base delle valutazioni della Commissione europea sulla situazione macroeconomica e di bilancio del Paese, delineata nel Programma di Stabilità e nel Programma Nazionale di Riforma (PNR) e le azioni conseguenti; su questo tema si evidenzia quanto segue:
    per quanto concerne la raccomandazione n. 2 (sistema fiscale) il Consiglio invitava il nostro Paese a «garantire una più efficace imposizione ambientale, anche nel settore delle accise, ed eliminare le sovvenzioni dannose per l'ambiente», ma tra le risposte formulate nella Nota non sembra vi siano indicazioni che vadano nella direzione richiesta, anche se il disegno di legge di delega fiscale – i cui tempi di attuazione sono decisamente lunghi – dovrebbe contenere forme di fiscalità ecologica;
    per quanto concerne la raccomandazione n. 7, in materia di semplificazione e concorrenza, la Nota afferma che «un'attenzione particolare è stata riservata dal Governo alla materia ambientale con disposizioni urgenti per la tutela dell'ambiente, anche attraverso la semplificazione di alcuni provvedimenti», con riferimento al decreto-legge n. 91 del 2014, cosiddetto decreto «competitività», il quale ha sì operato alcune semplificazioni, ma con il risultato esattamente opposto: ridurre la tutela ambientale;
    per quanto concerne la raccomandazione n. 8, in materia di infrastrutture, la Nota attribuisce al decreto-legge n. 133 del 2014, meglio noto come «sblocca Italia», proprietà salvifiche in materia di tutela ambientale, anche grazie alle misure finalizzate a realizzare una rete di impianti per la termovalorizzazione dei rifiuti, alle semplificazioni per la realizzazione di infrastrutture energetiche ed alle misure per «valorizzare le risorse energetiche nazionali», rendendo in sostanza più facili le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi;
    per quanto concerne l'allegato infrastrutture, si evidenzia, ancora una volta la straordinaria aspettativa nei confronti del decreto sblocca Italia, il quale, in pochi articoli, sembra cancellare ogni residua velleità di programmazione e pianificazione del sistema infrastrutturale, attraverso l'individuazione diretta di opere e interventi da finanziare e realizzare;
   nell'allegato infrastrutture si trovano anche riferimenti all'esigenza di una politica infrastrutturale razionale ed efficiente, che si basi sul libro bianco dei trasporti dell'Unione europea, salvo discostarsene nella scelta delle infrastrutture da realizzare, completamente avulse da una logica programmatoria e decisamente lontane dalla strategia europea basata su «crescita intelligente – sviluppare un'economia basata sulla conoscenza e sull'innovazione, crescita sostenibile – promuovere un'economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva, crescita inclusiva – promuovere un'economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione economica, sociale e territoriale» nonché dall'esigenza di giocare un ruolo determinante ai fini del conseguimento degli obiettivi di crescita sostenibile che, in particolare, sono finalizzate a «ridurre le emissioni di gas a effetto serra almeno del 20 per cento rispetto ai livelli del 1990 [...] portare al 20 per cento la quota delle fonti di energia rinnovabile nel nostro consumo finale di energia e migliorare del 20 per cento l'efficienza energetica»;

  in materia di attività produttive:
   è prioritario ai fini del rilancio dell'economia italiana che il Governo faccia di tutto per accelerare il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, perché oramai l'economia italiana si trova in una preoccupante situazione di recessione economica, che rischia di peggiorare ulteriormente e di avvitarsi in una spirale negativa tale da determinare gravi rischi per la stabilità della finanza pubblica. Dall'inizio della crisi economica alla fine del 2012 sono fallite per mancati pagamenti oltre 15 mila imprese; si segnala l'esigenza di concentrare interamente nel 2014 tutte le risorse finanziarie disponibili a tal fine;
   si rileva che nel sistema impresa, in Italia, si contano 2.655 startup innovative e 31 incubatori certificati; il tasso di crescita di questa realtà è tra i pochi a risultare positivo ed è circa pari a 30 unità per settimana per quanto concerne le startup innovative. A riguardo bisogna sostenere attraverso forti incentivi fiscali tale indotto che potrebbe rappresentare volano per l'economia;
   com’è noto il gruppo M5S è per l'abrogazione della norma Monti che ha introdotto la liberalizzazione degli orari per le attività commerciali, non ha tenuto in alcun conto le conseguenze per le piccole e medie imprese del commercio. Nei due anni di applicazione della norma (2012-2014), infatti, il bilancio tra aperture e chiusure nel commercio al dettaglio in sede fissa è negativo per oltre 56 mila unità, di cui 6.600 nel solo comparto alimentare. E le nuove imprese del commercio hanno vita sempre più breve: a giugno 2014 oltre il 40 per cento delle attività aperte nel 2010 – circa 27mila imprese – è già sparito, bruciando un capitale di investimenti di circa 2,7 miliardi di euro. Un'impresa su quattro dura addirittura meno di tre anni;

  in materia di lavoro:
   il Governo intende finanziare un ambizioso programma di sostegno all'economia; fiscalizzazioni dei contributi sociali sul costo del lavoro per 2-3 miliardi, conferma del bonus di 80 euro sull'Irpef per 7 miliardi, 1,5 miliardi per nuovi ammortizzatori sociali che dovrebbero accompagnare il Jobs Act, 1,5 miliardi per assumere una parte dei precari nella scuola, 1 miliardo per alleggerire il patto di stabilità dei comuni, eccetera;
   non si capisce bene dove sia possibile reperire le risorse per finanziare altre misure annunciate, tra cui eventuali ulteriori interventi sull'Irap, incentivi per la conversione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, 3 miliardi da finanziare lasciati in eredità dal Governo Letta;
   pur di contenere la manovra, si eccede una volta di più nell'ottimismo ritenendo che la crescita nel 2015 sarà dello 0,5 per cento (contro lo 0,1 per cento previsto dall'Ocse) e che salirà allo 0,6 per cento grazie agli interventi del Governo (che verranno il doppio nel 2016);
   nella Nota in esame si evidenzia che, negli ultimi mesi, il Governo è intervenuto sulle regole del mercato del lavoro, in particolare con due iniziative: da un lato la presentazione al Senato di un disegno di legge recante deleghe al Governo, in materia di ammortizzatori sociali, servizi per l'impiego e politiche attive per il lavoro, semplificazione e razionalizzazione delle procedure relative alla gestione dei rapporti di lavoro, riordino delle tipologie dei contratti di lavoro, revisione e aggiornamento delle misure a tutela della maternità e delle forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; d'altro lato l'adozione del decreto-legge n. 34 del 2014, recante, tra l'altro, modifiche alla disciplina dei contratti a tempo determinato e dei contratti di apprendistato;
   con riferimento al principio di parità di genere nel mondo del lavoro, si osserva che la perdurante carenza di effettive politiche di conciliazione tra vita familiare e lavoro ha concorso all'aumento della disoccupazione femminile con effetti negativi per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese;
   recenti dati Istat, riferiti al primo trimestre del 2014, confermano il progressivo aumento della disoccupazione delle donne, che si attesta a -0,3 su base congiunturale e a -1,0 su base annua. Ad aprile 2014 le donne occupate erano 9.311.000, a maggio 9.263.000. Il tasso di occupazione femminile scende al 46,3 per cento: il tasso di disoccupazione femminile dal 13,3 per cento sale al 13,8 per cento;
   le cause della disoccupazione femminile risiedono, nell'inadeguatezza dell'attuale modello di welfare, connotato dalla carenza di servizi pubblici per l'infanzia oltreché di reti informali di supporto, e con un'organizzazione del lavoro poco conciliante e caratterizzata dalla rigidità dei tempi e degli orari, specie in relazione al periodo successivo al parto;
   le interruzioni del lavoro poste in essere in concomitanza della nascita di un figlio, che erano il 2 per cento nel 2003, sono quadruplicate nel 2009 diventando in seguito l'8,7 per cento del totale delle interruzioni di lavoro;
   l'incremento dell'età pensionabile prevista dalla cosiddetta «Legge Fornero», costringe le donne a conciliare lavoro e famiglia per un numero maggiore di anni;
   la Nota d'aggiornamento rileva che il rapporto fra spesa pensionistica e PIL tenderà a ridursi nel periodo 2015-2030, in virtù del processo di elevamento dei requisiti per la pensione e del progressivo passaggio al metodo di calcolo contributivo. Il valore percentuale dovrebbe attestarsi, verso la fine di tale periodo, intorno al 15,0 per cento. Successivamente, la misura del rapporto percentuale tornerebbe a crescere, a causa dell'ampliamento delle tendenze negative delle dinamiche demografiche ed in ragione degli effetti derivanti dal precedente posticipo del collocamento in quiescenza sull'importo delle pensioni. Il rapporto dovrebbe raggiungere un valore massimo pari a circa il 15,7 per cento, intorno al 2044, per poi decrescere nel successivo periodo;
   la Nota d'aggiornamento, anche in considerazione della Raccomandazione della Commissione europea, sottolinea che la riforma del mercato del lavoro debba tendere a rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro, a riordinate i contratti di lavoro vigenti, a garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro, a definire un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori, a ridurre l'elevato divario con i tassi di attività femminili «prevalenti» in Europa, mediante l'elevamento dell'offerta e della fruibilità dei «servizi di conciliazione» dei tempi di vita e di lavoro;
   in relazione alle misure in favore dell'occupazione giovanile ed al programma comunitario «Garanzia per i Giovani» (Youth Guarantee), la Nota d'aggiornamento illustra le linee di intervento individuate dal Governo;
   un valore del tasso di disoccupazione pari al 12,8 per cento per l'anno in corso, con un andamento decrescente negli anni successivi (per il 2018 il valore previsto è pari all'11,0 per cento); un tasso di occupazione pari al 55,5 per cento per l'anno in corso, con un andamento crescente negli anni successivi (per il 2018 il valore previsto è pari al 57,4 per cento);
   ai sensi delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 66 del 2014 la riduzione del cuneo fiscale, ovvero un credito pari a 640 euro per il 2014, da corrispondere ai soggetti che abbiano un reddito compreso tra 8.160 e 24.000 euro. Tale detrazione decresce fino ad azzerarsi in maniera lineare al raggiungimento di un livello di reddito pari a 26.000 euro. La riduzione del cuneo fiscale è finanziato con una riduzione e riqualificazione strutturale e selettiva della spesa pubblica e si avvale delle risorse dell'apposito Fondo. Non viene descritta la misura strutturale da attuare con la Legge di stabilità 2015;
   a partire dal secondo bimestre 2014, attraverso la cosiddetta social card, «sono stati effettuati i primi pagamenti nelle 12 maggiori città italiane connessi al programma sperimentale di sostegno per l'inclusione attiva (SIA), che, secondo il Governo avrebbe dovuto costituire un primo passo verso la definizione di misure universali per il sostegno delle persone in stato di povertà». Tuttavia su quasi 18.000 domando presentate, oltre il 60 per cento non è stata ammessa per il mancato possesso dei requisiti auto-dichiarati. Il programma sarà esteso anche al Mezzogiorno, con criteri simili a quelli delle 12 città in sperimentazione, sulla base delle risorse già stanziate nell'ambito del PAC (167 milioni);
    la Nota di aggiornamento evidenzia che gli stanziamenti per gli ammortizzatori sociali in deroga, ammontano nel 2014, a 1,7 miliardi (oltre 300 milioni in più rispetto all'ammontare previsto nella Legge di stabilità 2014), includendo anche gli oneri per la contribuzione figurativa. I nuovi criteri per l'erogazione degli ammortizzatori sociali in deroga stabiliscono: a) l'impossibilità di utilizzare la CIG in deroga in caso di cessazione dell'attività aziendale; b) l'incremento ad almeno 12 mesi dell'anzianità aziendale (almeno 8 mesi per il 2014) necessaria per accedere alla CIG in deroga e la limitazione ad 11 mesi per il 2014 e a 5 mesi per il 2015 per la fruizione. Nel 2013, la spesa per la prestazione di ASpI è stata pari a 2.725 milioni con una media annua di beneficiari pari a 365.554 soggetti. Per quanto riguarda la Mini ASpI, nel 2013, la spesa per la prestazione è stata di 1.447 milioni con una media annuale di 92.340 beneficiari. L'andamento crescente che si riscontra per l'intero anno è dovuto all'applicazione della legge di riforma del lavoro da parte delle imprese e dalla corrispondente diminuzione delle richieste d'indennità di disoccupazione;
    sono stati istituiti i nuovi fondi bilaterali di solidarietà e l'adeguamento alla normativa vigente dei fondi già esistenti;
    per i lavoratori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, appartenenti ad imprese con oltre 15 addetti, è stato creato a giugno 2014 il Fondo di solidarietà residuale e sono state dettate le istruzioni applicative da parte dell'INPS;
    a seguito del negoziato con la Commissione europea è stato già finalizzato l'Accordo di Partenariato per l'impiego dei Fondi strutturali e d'investimento europei (SIE) per il periodo di programmazione 2014-2020. L'accordo orienta in maniera più stringente la definizione dei programmi operativi e migliorandone la verificabilità;
    come riferito, in un'informativa urgente, dal sottosegretario Delrio, il residuo di spesa fino al 31 dicembre 2015 è complessivamente pari a 20,2 miliardi di euro, di cui 15,3 miliardi nelle sole regioni della convergenza;
    la Legge di stabilità 2014 assicura un importo pari a poco meno di 24 miliardi a copertura del cofinanziamento statale, cui si aggiungono altri 4,4 miliardi di cofinanziamento regionale, posto nella misura del 30 per cento per il cofinanziamento dei POR;
    le disponibilità del Fondo sviluppo e coesione è di circa 28,8 miliardi, cui si aggiungono 20 miliardi della fine della programmazione 2007-2013. La Commissione europea ha invitato il Governo a ridurre al minimo il cofinanziamento statale, viste le grandi difficoltà di spesa dei fondi concessi per il periodo 2007-2013. La raccomandazione europea ha indotto il Governo a ridurre detta quota di finanziamento nazionale per i progetti PON e POR dal 50 al 25, stornando di fatto 12 miliardi;
    al riguardo si sottolinea che l'Italia dovrà utilizzare entro il 2015, per investimenti pubblici in conto capitale nel Mezzogiorno ancora 15 miliardi di fondi strutturali, pena la perdita dei fondi medesimi. Si tratta di risorse che andranno a sommarsi a quelle dell'Accordo 2014-2020. In effetti, la quota per investimenti raggiungeva i 60 miliardi;
    il valore del tasso di disoccupazione è pari al 12,8 per cento per l'anno in corso, con un andamento decrescente negli anni successivi (per il 2018 il valore previsto è pari all'11,0 per cento); un tasso di occupazione pari al 55,5 per cento per l'anno in corso, con un andamento crescente negli anni successivi (per il 2018 il valore previsto è pari al 57,4 per cento),

impegna il Governo

   in materia economico-finanziaria:
    a non considerare in nessun caso come vincolante l'obiettivo di medio termine;
    a promuovere in ogni sede e con ogni mezzo la rivisitazione dei trattati internazionali, in particolare il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governante nella Unione europea», al fine di svincolarsi dalle deleterie morse dell'austerity;
    a uniformarsi a quanto suggerito dall'UPB, ovvero evitare di includere sin da subito i potenziali effetti delle riforme nelle previsioni macroeconomiche;
    a introdurre l'uso obbligatorio dell'utilizzo di «Open Data», per qualsiasi documento ed in particolare per i bilanci di qualsiasi istituzione, ivi comprese quelle del Governo e quelle locali, nonché promuoverne l'utilizzo da parte degli altri organi costituzionali;
    ad assumere iniziative, anche in sede di Unione europea, per non inserire elementi distorsivi nel calcolo del prodotto interno lordo che rendano antieconomico il debellarli, nonché a non considerare come attività svolte «consensualmente» attività realizzate in uno, stato di sostanziale incapacità di volere, quali la prostituzione e l'assunzione di sostanze stupefacenti;
    a destinare le risorse previste per la proroga del «bonus fiscale» nel 2015 principalmente al sostegno dei cittadini nella soglia di povertà, ovvero senza reddito e occupazione, introducendo lo strumento del «reddito di cittadinanza»;
    a non inserire la clausola di salvaguardia relativa all'aumento delle aliquote IVA nella Legge di stabilità 2015, e sostituirla con una seria politica di riqualificazione della spesa pubblica, diretta alla eliminazione a regime degli sprechi, delle rendite di posizione, come le pensioni d'oro e multipli incarichi, delle duplicazioni di funzioni, della burocratizzazione eccessiva e costosa delle istituzioni per liberare risorse da destinare agli interventi di sostegno dell'economia;
    a trasferire al Parlamento la funzione di «revisione della spesa pubblica», come attività coordinata, permanente e continuativa di tutte le forze politiche, ripartendo dal «progetto Cottarelli», al fine di dotare di un maggior strumento di controllo sull'impiego delle risorse pubbliche da parte del Governo e avviare un'azione capillare per un monitoraggio costante delle poste in bilancio non utilizzate, per poter riallocare le correlate risorse a finalità di alleggerimento della pressione fiscale;
    in materia di finanza locale, a non gravare ulteriormente sui bilanci delle autonomie locali e territoriali, rispetto a quanto già disposto con il decreto-legge n. 66 del 2014, ma richiedere un contributo alla manovra per il triennio 2015 – 2017 nei limiti di una maggiore razionalizzazione nell'acquisto di beni e servizi, al fine di non compromettere l'offerta di servizi sociali ed assistenziali ai cittadini e per evitare il ricorso ad un maggiore prelievo fiscale locale;
    a ripristinare integralmente per il periodo di imposta 2014 i fondi destinati alla quota di pertinenza statale dell'8 per mille, al fine di destinare le risorse disponibili alle finalità previste dalla legge rispettando in tal modo la volontà espressa dai contribuenti, tra cui, da quest'anno, vi sono gli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici, che costituisce un problema molto sentito dagli enti locali e dai cittadini;
    in materia di privatizzazioni, ad attivare tutti gli strumenti macroeconomici per valutare la convenienza economica nel medio e lungo periodo della vendita degli assets delle partecipazioni, sia in termini di occupazione, sia in termini di rinuncia alle entrate per dividendi;

   in materia di affari costituzionali e riforme:
    a riferire a brevissimo termine alle Camere in ordine all'attuazione della riorganizzazione territoriale della Repubblica in attuazione della cosiddetta Legge «Delrio» e, in particolare, sui rapporti finanziari tra lo Stato e le nuove province, sull'entità dei debiti di queste ultime e sui crediti da esse vantati nei confronti dello Stato e delle regioni;
    ad assicurare il pieno rispetto della specificità del personale dei comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico;
    a non prorogare ulteriormente gli effetti delle richiamate disposizioni di blocco degli incrementi stipendiali per il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico;
    a porre in essere tutte le iniziative dirette a consentire il rapido avvio di una sessione negoziale al fine di procedere al rinnovo per la parte normativa ed economica del contratto del pubblico impiego, con riferimento al personale del Comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico, per il triennio 2014-2016;

   in materia di giustizia:
    ad aumentare i fondi destinati alla giustizia e prevedere nuovi concorsi per l'assunzione di personale amministrativo e togato attualmente di consistenza inferiore al cosiddetto turn over da pensionamento e definire una riallocazione delle risorse destinate alle sedi dei tribunali che tenga conto non solo delle specificità geografiche e demografiche del territorio, ma anche della maggiore o minore presenza di criminalità organizzata nella zona di riferimento, reintervenendo rispetto alle storture create dalla cosiddetta riforma della geografia giudiziaria;
    ad intervenire sulla struttura del procedimento civile e penale in modo da accelerarne la celebrazione e risolvere i problemi legati alla ragionevole durata del processo mediante:
     una maggiore professionalizzazione manageriale dei presidenti dei tribunali, anche attraverso l'implementazione delle best practices già realizzate presso alcune Corti d'appello;
     lo snellimento dei codici di procedura per contrastare l'inefficienza della giustizia che rappresenta uno dei fattori per cui le imprese estere non sono propense ad investire nel nostro Paese;
     intensificare la lotta alla corruzione che infesta la Pubblica amministrazione attraverso:
    un inasprimento delle pene per i reati propedeutici di falso in bilancio e frode fiscale e con l'introduzione del reato di autoriciclaggio;
    ripensare l'attuale normativa sulla prescrizione, troppo breve soprattutto nelle fattispecie di reato dei cosiddetti «colletti bianchi»;
    a risolvere le criticità della riforma della professione forense (Legge 247 del 2012) che di fatto ha favorito i grandi studi legali collegati alle lobbies ed alle grandi aziende a tutto svantaggio dei liberi professionisti che tutelano le istanze dei cittadini e dei consumatori e rivedere i parametri relativi alle competenze degli avvocati, attualmente ritoccati al ribasso con l'effetto di favorire i grandi studi legali con maggiore potere contrattuale;
    a porre un freno all'indiscriminato aumento del contributo unificato – in particolare nei procedimenti amministrativi – che si è dimostrato uno strumento per negare ai cittadini l'accesso alla giustizia e alla tutela dei propri diritti solennemente garantiti dalla Costituzione;
    ad adottare strumenti di controllo preventivo più stringenti ed una maggiore integrazione delle banche dati oggi esistenti per contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici e ricomprendere, tra le cause di risoluzione del contratto d'appalto, anche le sentenze di condanna definitiva per gravi reati che riguardino i soggetti subappaltanti, oltre ai soggetti appaltatori;
    ad introdurre il divieto, per le pubbliche amministrazioni ovvero per le società a maggioranza pubblica, di aderire ad arbitrati per la risoluzione delle controversie;
    a ridurre, coerentemente a quanto già approvato da un ramo del Parlamento, i tempi per poter richiedere lo scioglimento del matrimonio dai tre anni vigenti a sei mesi in presenza di una separazione consensuale e ad un anno in tutti gli altri casi, armonizzando tale previsione con una rimodulazione degli interventi previsti dal «decreto-legge Giustizia» nel senso di garantire un celere ma equo, e quindi sottoposto alla verifica giudiziale, percorso di separazione e divorzio nell'interesse delle parti più deboli;
    in tema di carico civile pendente, a privilegiare misure per lo snellimento dei riti, stimolando l'accesso a procedimenti sommari di cui all'articolo 702 codice di procedura penale, al fine di relegare ai singoli casi eccezionali le pratiche di degiurisdizionalizzazione riferite al contenzioso, laddove il ricorso ad arbitri terzi, a carico delle parti, per la risoluzione delle cause arretrate rappresenterebbe non solo un'inaccettabile resa del sistema Giustizia dinanzi alle proprie inefficienze ma, soprattutto, una grave lesione, sotto il profilo del precedente procedurale, del diritto al giusto processo ed alla difesa di cui agli articoli 111 e 24 della Costituzione di cui il cittadino deve poter continuare liberamente a godere, anche in ragione delle imposte da quest'ultimo pagate e volte a garantire altresì il buon funzionamento dell'amministrazione della giustizia;

   in materia di affari esteri:
    a sostenere il piano di riallineamento della Cooperazione Pubblica allo Sviluppo (CPS) dell'Italia, anche nel contesto multilaterale, che preveda un livello minimo di stanziamenti con incrementi graduali almeno del 20 per cento e la destinazione di almeno il 30 per cento del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie alla cooperazione internazionale;

   in materia di difesa:
    a ridurre le spese militari a cominciare dal taglio del progetto di acquisizione dei caccia F35, dal ritiro definitivo delle truppe italiane dall'Afghanistan e dalla chiusura della base militare italiana nella Repubblica di Gibuti;
    a coinvolgere il Parlamento nella fase di stesura del Libro Bianco per la Sicurezza Internazionale e la Difesa come espresso nel documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma approvato il 7 maggio 2014 dalla Commissione Difesa della Camera dei deputati;

   in materia di cultura:
    ad inserire la valutazione in un sistema più democratico, condiviso e orizzontale, di reti di scuole, in cui solo le scuole possano valutare le altre scuole, al fine di garantire un più alto grado di oggettività nei risultati e di evitare un pericoloso accentramento di potere nelle mani di pochi; a non far dipendere, inoltre, lo stanziamento delle risorse dalle valutazioni fatte «da fuori» o «dall'alto» (INVALSI e ispettori) in quanto la valutazione fa parte del processo insegnamento – apprendimento e quindi deve avere l'unico obiettivo di migliorare quel processo;
    in riferimento alla qualità scolastica, al fine di migliorare la qualità degli interventi educativi e rispondere alla dispersione, a costituire una rete nazionale di ricerca e supporto alla didattica che affianchi il lavoro dei docenti e che finanzi in maniera strutturale interventi di innovazione didattica;
    a prevedere un sistema di reclutamento dei docenti che risolva da un lato la piaga del precariato, attraverso un piano di assunzione quinquennale di tutti gli abilitati e, dall'altro, a garantire per il futuro, un sistema di abilitazione in linea con il reale fabbisogno del comparto, al fine di assicurare prospettive certe di lavoro e dunque stabilità e merito;
    in riferimento alla cosiddetta chiamata diretta, a garantire le assunzioni e le chiamate negli istituti, in modo da non prescindere da uno scorrimento di una graduatoria che utilizzi gli stessi principi dell'organico di diritto, in quanto non è accettabile la discrezionalità dei dirigenti nella scelta dei docenti;
    ad avviare una discussione seria sul tema della progressione di carriera dei docenti, in quanto rispetto ai crediti formativi, si vuole introdurre un sistema coercitivo e di mercificazione della formazione che incide sulla retribuzione dei docenti, allungando gli orari di lavoro e costringendoli a pagarsi la formazione; inoltre, non è chiarito chi attribuirà i crediti e soprattutto non si comprende perché ad esserne destinatario sarà il 66 per cento dei docenti;
    a prevedere una programmazione economica per il rinnovo stipendiale del personale della PA, e dunque anche per il personale della scuola, in modo tale che il riconoscimento del merito dei docenti non sia sostitutivo dell'adeguamento dello stipendio, ma aggiuntivo;
    a potenziare l'alternanza scuola-lavoro proporzionalmente ai tassi di inoccupazione regionali così come la distribuzione delle risorse. L'obiettivo prioritario della scuola è la formazione di cittadini attivi che possano diventare padroni del proprio destino nella democrazia e in tutti gli aspetti della vita, di cui il lavoro è uno di questi; inoltre, apprendistato, alternanza scuola-lavoro, programmi di formazione professionalizzante devono essere valutati attraverso gli ispettori, gli studenti e i docenti che hanno partecipato ai percorsi;
    a prevedere incentivi fiscali alle aziende che prevedano spazi e strutture adeguate per la formazione agli studenti, nonché tutor certificati e formati adeguatamente, promuovere reti di imprese che garantiscano le esperienze di incontro con il mondo del lavoro;
    a favorire l'ampliamento dell'offerta formativa, a cominciare dall'insegnamento dell'inglese sin dalla scuola dell'infanzia, al potenziamento delle ore di storia dell'arte, latino e geografia alle scuole secondarie e un'organizzazione alla scuola primaria che comprenda compresenza e tempo pieno al fine di realizzare attività di potenziamento e di recupero, uscite didattiche ed altre esperienze educative;
    riguardo ai finanziamenti pubblici nel mondo dell'università, a rivedere, innanzitutto, il meccanismo che prevede la quota premiale come componente del Fondo di Finanziamento ordinario, mentre sarebbe auspicabile che essa costituisse, invece, una risorsa aggiuntiva al finanziamento ordinario degli atenei;
    ad escludere dal Patto di stabilità interno delle regioni anche le risorse del Fondo integrativo statale per le borse di studio, infatti appare di una gravità assoluta la previsione di cui all'articolo 42 comma 1 del decreto-legge n. 133 del 2014, che modificando l'articolo 46 del decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66 con l'introduzione del comma 7-bis di fatto le reinserisce nel vincolo del Patto di stabilità;
    in riferimento al regime fiscale agevolato di natura temporanea, sotto forma di credito d'imposta nella misura del 65 per cento nel 2014 e nel 2015 e del 50 per cento per il 2016, in favore delle persone fisiche e giuridiche che effettuano erogazioni liberali in denaro per interventi a favore della cultura e dello spettacolo (cosiddetto Art-bonus) ad intervenire affinché il beneficio diventi strutturale e non triennale, ad aumentare i fondi stanziati per coprire il credito d'imposta, a predisporre una piattaforma informatica di crowdfunding e fundraising per raccogliere le donazioni in maniera semplice e trasparente, garantendo al donatore la tracciabilità della cifra donata;
    ad aumentare i fondi stanziati per «Mille giovani per la cultura» al fine di permettere ai giovani di avere un'opportunità lavorativa in ambito culturale;
    ad attuare la riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, da mesi annunciata, ma di cui non c’è ancora traccia, che, secondo le dichiarazioni del Ministro, renderebbe la struttura ministeriale più snella e funzionale ai suoi compiti, comportando nei tempo corposi risparmi di spesa, che potrebbero essere investiti proprio in politiche culturali;
    in relazione all'edilizia scolastica, a prevedere delle misure strutturali per un fenomeno che, come appreso dall'indagine conoscitiva svoltasi presso la Commissione Cultura, presenta un carattere di ben altro respiro e certamente non arginabile con provvedimenti estemporanei e con un approccio emergenziale; a ripristinare quello che il legislatore aveva previsto al momento dell'introduzione dell'edilizia scolastica tra le destinazioni dell'8xmille, eliminando il F.E.C., arbitrariamente inserito; ad attuare un congruo rifinanziamento della legge Masini n. 23 del 1996 che prevede un insieme di norme che affrontano in maniera organica il fenomeno in questione, inoltre tale legge introduce «l'anagrafe dell'edilizia scolastica» di cui, ad oggi, non si ha una versione aggiornata e completa;
    ad internalizzare i servizi di pulizia e manutenzione delle scuole, infatti è appurato che le esternalizzazioni si sono rivelate un fallimento, mentre internalizzare questo servizio permetterebbe di assicurare un lavoro stabile ai dipendenti e al contempo garantirebbe la pulizia degli ambienti scolastici, oltre che un consistente risparmio per le casse dello Stato;
    ad escludere il MIUR da interventi di riduzione e razionalizzazione della spesa pubblica (cosiddetta spending review), il paventato taglio del 3 per cento delle spese del MIUR per la spending review, significherebbe tagliare più di un miliardo di euro, di cui almeno 500 milioni alla scuola, pertanto, su un bilancio che per più del 90 per cento è rappresentato da spese obbligatorie per il personale, tale taglio dimezzerebbe i fondi per quei settori in cui la riforma vuole investire (scuole aperte, rapporto scuola-lavoro, lotta alla dispersione); tale taglio vanificherebbe l'importanza dell'investimento annunciato nella nuova finanziaria di 900 milioni;
    a promuovere l'investimento nell'istruzione e nella formazione, così come indicato nella strategia di Lisbona, e nei beni culturali, in quanto in un'epoca di flessione economica non solo europea ma mondiale è essenziale che ci si avvalga delle potenzialità di ciascun individuo e che si continui a promuovere un investimento più importante, più efficace e mirato all'istruzione e alla formazione di qualità («Istruzione e formazione 2020»), nonché alla valorizzazione del patrimonio culturale nel nostro Paese;
    a ripristinare le risorse economiche tagliate in questi anni al mondo della scuola italiana, dell'università, della ricerca e della cultura e avviare una programmazione economica che preveda ingenti investimenti pluriennali e una valorizzazione complessiva del sistema;
    ad adottare iniziative concrete per modernizzare le università italiane e il compatto della ricerca nella consapevolezza che l'università debba essere un motore essenziale della mobilità sociale e della crescita, a creare una nuova leva di giovani ricercatori e di investire su di essi come risorsa per modernizzare tanto il funzionamento delle istituzioni di ricerca quanto l'università;
    ad effettuare investimenti nell'intero settore culturale, con strategie di lungo periodo, invertendo completamente la pratica, consueta negli ultimi tempi, di considerare le risorse destinate alla cultura come spese non prioritarie stante la situazione di crisi economica e dei conti pubblici;
    ad investire in diritto allo studio, banda larga e fondo d'istituto per abbattere il digital divide entro il 2020, come impone il programma Horizon 2020 ai paesi dell'Unione europea;

   in materia di ambiente:
    ad avviare, modificando sin da ora l'elenco delle opere strategiche prioritarie, un chiaro cambio di rotta sulle politiche infrastrutturali, che porti, finalmente, alla cancellazione di opere che non siano sostenibili — sia sotto il profilo finanziario che ambientale — ad un riequilibrio modale, a privilegiare gli interventi di maggiore interesse sociale, come la riqualificazione e messa in sicurezza della rete viaria, il potenziamento della rete ferroviaria locale e del trasporto pubblico locale, la messa in sicurezza del territorio, il riequilibrio modale tra ferro e gomma, anche alla luce degli impegni assunti — come ribadito nella Nota — in sede europea in materia di riduzione delle emissioni e di lotta ai cambiamenti climatici;
    a correggere la quasi totale assenza di indirizzi concreti finalizzati alla prevenzione del dissesto idrogeologico, alla predisposizione efficace di interventi in situazioni di emergenza, alla tutela del territorio, alla necessità di contenimento del consumo del suolo, con l'assunzione di un chiaro impegno per accelerare l'approvazione delle proposte di legge per il contenimento del consumo di suolo e per garantirne la rapida attuazione;
    a garantire il pieno rispetto e la reale attuazione dell'esito referendario del 2011 con l'approdo ad una vera gestione pubblica e partecipativa dell'acqua, dando uno spazio reale ai cittadini nella gestione dei beni comuni ed eliminando definitivamente la quota di remunerazione del capitale investito dalla tariffa e garantendo l'esclusione di ogni possibilità di lucro nella gestione del Servizio idrico integrato, che deve essere affidato ad enti di diritto pubblico;
    a rilanciare, in coerenza con il dettato costituzionale e l'orientamento comunitario, una politica convinta ed efficace per la tutela delle aree protette, del paesaggio e dei beni culturali;

   in materia di trasporti:
    a rivedere e ridurre, compatibilmente con le risorse finanziarie esistenti, il numero complessivo degli interventi strategici contenuti nel Programma Infrastrutture Strategiche dando la priorità e quindi garantendo adeguate risorse agli interventi miranti all'ammodernamento e messa in sicurezza dell'attuale rete ferroviaria italiana e delle infrastrutture di trasporto esistenti;
    ad implementare e migliorare l'offerta di trasporto pubblico locale in modo da renderlo adeguato alle reali esigenze di mobilità della popolazione, anche attraverso un intervento normativa capace di garantire stabilità al settore e dettare, al contempo, regole certe sulla natura delle società di trasporto pubblico locale evitando fenomeni di privatizzazione delle imprese e degli asset, in linea con l'esito dei referendum abrogativi del 2011;
    a destinare maggiori risorse al fine di rafforzare gli interventi finalizzati a promuovere una mobilità più sostenibile, con particolare riferimento alla mobilità ciclistica attraverso interventi di messa in sicurezza, progettazione e implementazione delle piste ciclabili, con particolare riguardo alle aree urbane maggiormente congestionate;
    a trovare le risorse necessarie per il fondo nazionale sul trasporto pubblico locale per evitare aumenti tariffari da parte delle società partecipate dagli enti locali;
    a trovare le risorse per rinnovare il parco veicoli del trasporto pubblico locale;
    a finanziare il fondo della legge n. 366 del 1998 sulla mobilità ciclabile con interventi ordinari e strutturali;
    a promuovere misure volte a disincentivare l'uso dell'acqua in bottiglia, incentivando prodotti sfusi così come stabilito nella direttiva europea sui rifiuti con lo scopo di decongestionare inutile anzi dannoso traffico merci su gomma;
    ad incentivare le aziende, specialmente oltre 50 addetti e la pubblica amministrazione, a favorire forme di telelavoro;
    a favorire gradualmente ma inesorabilmente lo spostamento del traffico merci dalla gomma alla rotaia;
    a trovare le risorse per ridurre l'iva sui libri elettronici;
    a favorire interventi infrastrutturali volti a ridurre il traffico motorizzato di auto private che assicurino l'intermodalità delle persone come bretelle ferroviarie per il collegamento portuale e aeroportuale;
    ad abbandonare la realizzazione di tutte le grandi opere inserite nella legge obiettivo non corredate da un'analisi costi/benefici esposta e dibattuta pubblicamente con i cittadini e gli enti locali;
    a destinare risorse specifiche per lo sviluppo della banda larga e ultralarga nel Paese, coordinando gli interventi tra i vari livelli istituzionali coinvolti, disponendo, senza deroghe, la proprietà pubblica delle infrastrutture realizzate con l'intervento pubblico;
    a rivedere gli interventi di digitalizzazione dell'amministrazione pubblica a tutti i livelli destinando risorse specifiche a tale scopo anche derivanti dai fondi strutturali 2014-2020;

   in materia di attività produttive:
    a reperire ulteriori risorse finanziarie, oltre quelle già previste dal decreto-legge 8 aprile 2013 n. 35 e dal decreto-legge n. 66 del 2014, per completare il piano di pagamento di tutti i debiti pregressi della pubblica amministrazione;
    ad individuare le risorse economiche necessarie per esentare le startup innovative dal pagamento dell'IRAP e aumentare gli incentivi disposti dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221;
    ad adottare ogni iniziativa utile volta a modificare la norma sulla liberalizzazione degli orari per le attività commerciali al fine di tutelare le piccole e medie imprese del commercio;

   in materia di lavoro:
    in relazione agli strumenti di tutela della disoccupazione, a prevedere, nell'ambito del progetto di riforma degli ammortizzatori sociali, la creazione di un sistema universale di ammortizzatori sociali, con la contribuzione dei datori di lavoro e dei lavoratori, in modo tale da includere nella cosiddetta «tutela di sostegno al reddito» anche i precari, senza gravare sulla fiscalità generale;
    a prevedere delle salvaguardie a favore dei 2,6 milioni di lavoratori dipendenti del settore artigiano, che attualmente risulterebbero privi di tutela del reddito in costanza di rapporto di lavoro, attraverso la previsione di un decreto attuativo che consenta l'istituzione di ulteriori fondi bilaterali;
    in relazione alla delega delle forme contrattuali, finalizzata a rafforzare le opportunità d'ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze dei contesto occupazionale, a tenere conto dei seguenti principi:
     a) il valore del contratto a tempo indeterminato;
     b) l'eccezionalità del contratto a tempo determinato e della somministrazione, quale strumento flessibile ed esclusivamente atto a rispondere alla necessità produttiva transitoria di un'azienda, e quindi del rapporto di lavoro;
     c) il valore del contratto a forte vocazione formativa (l'apprendistato);
    in relazione alla SIA come già più volte ribadito, alla luce del mancato accoglimento delle domande per assenza di requisiti, a considerare l'importanza di assicurare l'autonomia delle persone, attraverso l'introduzione dei reddito di cittadinanza, sulla scorta di quanto avviene nella maggior parte dei Paesi dell'Unione europea e in molti Paesi non comunitari;
    a porre in essere misure concrete contro la diseguaglianza salariale, in particolare attraverso l'istituzione di un salario minimo per tutti i contratti nonché la predisposizione di una specifica normativa che stabilisca un rapporto massimo di 1 a 12 tra il trattamento economico degli amministratori delle società quotate e quello della retribuzione dei dipendenti delle stesse;
    a superare il principio della cosiddetta «staffetta generazionale» e perseguire invece un reale patto intergenerazionale, in linea con quanto previsto dal progetto Youth guarantee, favorendo l'introduzione della figura del tirocinante a tempo pieno da affiancare al lavoratore anziano qualificato, al fine di garantire la formazione del primo e la continuità lavorativa e salariale del secondo;
    a prevedere un'eventuale revisione delle competenze tra Stato ed enti locali in materia di istruzione e formazione professionale al fine di superare la diffusione di interventi settoriali e non coordinati nell'ambito della formazione professionale attraverso la creazione di efficaci sistemi di valutazione ed una reale effettività dei controlli sui programmi in atto al fine di scongiurare l'abuso degli stessi o l'istituzione di corsi non finalizzati a concrete prospettive di inserimento nel mondo del lavoro;
    a favorire una maggiore trasparenza circa la gestione delle risorse destinate alle politiche per l'occupazione e la formazione e ad implementare, anche a livello nazionale, apposite misure di responsabilizzazione degli enti locali, anzitutto le regioni, per l'impiego efficace di tali risorse attraverso misure premiali e/o sanzionatorie, con un meccanismo che preveda l'istituzione di un registro della trasparenza, sul quale vengano annotati non solo le iniziative realizzate con i fondi strutturali, peraltro raccolte, aggiornate periodicamente e pubblicizzate sul sito OpenCoesione, ma anche i dati relativi alla quantificazione e alla qualità in termini occupazionali a livello territoriale;
    a favorire lo sviluppo della democrazia all'interno dei luoghi di lavoro, in particolare attraverso il ripristino delle garanzie dello Statuto dei lavoratori, vigenti prima della legge n. 92 del 2012, l'abolizione dell'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 e l'adozione di una normativa volta ad assicurare una vera e piena rappresentanza e rappresentatività sindacale;
    nel rispetto dell'autonomia organizzativa delle imprese e degli enti pubblici, a prevedere misure per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, per sostenere l'occupazione, per incrementare, in particolare, quella femminile, e per sgravare le donne dai compiti di cura e di assistenza, incentivando particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, quali il part-time, il telelavoro, lo smart working e il co-working, consentendo l'uso flessibile e personalizzato dei congedi obbligatori e facoltativi, nonché sgravi contributivi ed agevolazioni fiscali;
    a consentire ai lavoratori e alle lavoratrici dipendenti, impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico, di maturare il diritto al trattamento pensionistico con un anticipo di 3 anni;
    a prevedere un regime di contribuzione previdenziale di tipo figurativo, a salvaguardia delle lavoratrici che siano state costrette a interrompere il rapporto di lavoro per dedicarsi alla cura dei figli o per grave malattia di un familiare o convivente;
    ad attuare una modifica delle attuali politiche in materia pensionistica e previdenziale a partire dalla abolizione della cosiddetta «riforma Fornero» di cui all'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011;
    a valutare altresì l'opportunità di attuare una modifica della normativa in materia di destinazione del trattamento di fine rapporto a forme di previdenza complementare al fine di privilegiare i fondi pubblici, accantonando definitivamente la ventilata idea di anticipare in busta paga il predetto TFR;

   in materia di affari sociali e sanità:
    a procedere in tempi brevi all'aggiornamento e modifica del nomenclatore tariffario delle protesi e delle ortesi, trattandosi di una importante questione di spesa;
    a prevedere che sulle ricette sia indicato il solo principio attivo e contestualmente l'avvio della produzione e distribuzione di farmaci in forma monodose al fine di produrre significativi risparmi da parte della spesa pubblica;
    a prevedere risorse aggiuntive e adeguate per dare impulso al sistema sanitario nazionale, in particolare, sviluppando la rete territoriale finalizzata alla prevenzione e alla deospedalizzazione contestuale; la demedicalizzazione dei servizi di prevenzione primaria è fondamentale per la tutela della salute (ad esempio principio di autocura, programmazione, informazione, eccetera);
    ad adottare politiche finalizzate nella sanità ad una diversa ripartizione sanitaria passando strutturalmente da una prevenzione secondaria al potenziamento della prevenzione primaria e terziaria, orientando gli interventi sulla presa in carico a livello locale e domiciliare da parte di équipe multidisciplinari;
    ad attuare misure nel campo del sostegno alle persone disabili, anche per i famigliari che prestano la loro assistenza spesso lasciati soli in un deserto di servizi e con impatto sulla stessa salute dei familiari;
    ad escludere, ai fini del computo del pareggio di bilancio, le quote di spese riferite agli investimenti legati alla ricerca scientifica;
    atteso che il DEF 2014 propone una riduzione del 10 per cento dei corrispettivi per l'acquisto di beni e servizi questi non dovrà avere una ricaduta o conseguenze sul servizi sanitari offerti ai cittadini;
    sospendere il blocco del turn-over nella sanità che fino ad oggi ha significato un sostanziale ed inaccettabile taglio del personale a scapito della quantità e qualità dei servizi sanitari erogati;
    tenuto conto che il DEF prevede un Fondo per la copertura delle cure transfrontaliere per i cittadini italiani che si curano negli altri Paesi UE, al fine di limitare tale spesa, a prevedere una politica di promozione del nostro Sistema Sanitario e delle nostre eccellenze in Europa;
    tenuto contro che né il decreto 52/2014, né il DEF 2014, prevede una politica efficace riguardo per il superamento degli OPG, a prevedere una formazione specifica per il personale da impiegare nelle nuove strutture, sostitutive agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari;

   in materia di agricoltura:
    con riferimento al comparto primario, considerato il trend decrescente di stanziamenti assegnati al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e quindi la difficoltà di realizzare i programmi ed i compiti istituzionali, a concentrare le risorse sulla missione 9 che comprende le attività di mission del Ministero quali il sostegno alla competitività del settore agricolo e rurale attraverso gli incentivi al miglioramento genetico del bestiame, agli strumenti di gestione delle crisi, alla realizzazione e ammodernamento delle infrastrutture irrigue e di bonifica, al supporto e coordinamento delle regioni in materia di regolazione dell'utilizzo dei mezzi tecnici compresi gli OGM; in particolare poi ad intraprendere ogni utile misura, in aggiunta a quelle decise a livello unionale, volta a sostenere, anche attraverso iniziative promozionali su mercati esteri alternativi a quello russo, gli agricoltori italiani più colpiti dall'embargo imposto dalla Federazione Russa in seguito alla crisi russo-ucraina, posto che l'export agricolo è voce di rilievo nell'andamento complessivo dell'export nazionale.
(6-00086) «D'Incà, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Currò, Colonnese».


   La Camera,
   esaminata la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014 (DOC. LVII, n. 2-bis) ed i relativi allegati;
   premesso che:
    la nota di aggiornamento del DEF prende atto dell'errata valutazione del Governo rispetto ai dati macroeconomici di previsione di crescita del PIL atteso per il 2014 dallo 0,8 per cento, previsto nel DEF di aprile di quest'anno, al –0,3 per cento per le mancate e totalmente insufficienti misure a sostegno del lavoro e dello sviluppo;
    ad aggravare ulteriormente la giustificazioni del Governo per l'errata previsione di meno di cinque mesi or sono vi è la dichiarazione che le condizioni di criticità economica protrarranno i loro nefasti effetti fino a tutto il 2016 con conseguenze disastrose sulla situazione generale del Paese, sulle condizioni sociali, occupazionali e di sviluppo economico;
    la reazione del Governo è stata di innalzare una «cortina fumogena» spostando il dibattito sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e, più in generale, sulla «riforma» del mercato del lavoro, facendo scivolare sullo sfondo il tema che oggi è al primo posto nell'agenda del Paese: il peggioramento del quadro macroeconomico nazionale e la sua relazione con i vincoli imposti dal patto di bilancio europeo;
    le uniche novità contenute nell'aggiornamento del DEF sono il congelamento, di fatto, del fiscal compact, con l'ulteriore rinvio del pareggio di bilancio al 2017 e l'indicazione di un obiettivo per il deficit attorno al 3 per cento sia per il 2014 che per il 2015 (2,9 per cento). La volontà espressa di perseguire una politica di bilancio meno restrittiva risulta di per sé un elemento positivo, ma ciò che preoccupa fortemente è l'assoluta mancanza di una definizione strategica organica e coerente di rilancio dell'economia italiana, dalle politiche industriali, alle politiche del lavoro, al sostegno alla domanda;
    l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. Non può comunque sfuggire il fallimento dell'approccio degli ultimi anni che a partire dalla primavera 2010 ha visto il varo di programmi di riequilibrio dei conti pubblici pesantissimi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco). La finanza speculativa e i settori più ricchi della popolazione ne sono usciti rafforzati a spese dei ceti popolari;
    il 2014 non è stato l'anno della ripresa, come le previsioni stimavano, ma il terzo di recessione per l'economia italiana. Con questo prolungamento, l'esperienza della crisi per il nostro Paese si conferma peggiore di quella degli anni trenta. Un confronto storico sfavorevole che è condiviso con molte altre economie europee. Oggi come allora, la recessione ha una sola causa: la caduta della domanda aggregata. Su questa avrebbero dovuto intervenire le misure per la ripresa a livello europeo. Al contrario, la politica economica adottata ha sospinto i Paesi in una pericolosa trappola di stagnazione e deflazione. Occorre che si cambi lo schema in modo radicale, con l'impostazione di politiche monetarie e fiscali espansive coordinate tra le economie europee;
    ma le politiche dei singoli Paesi dell'Unione europea, vincolati dai parametri statistici e dalle procedure del Fiscal Compact, appaiono come ingessate;
    la nota di aggiornamento sembra certificare il fallimento delle politiche governative riportando i dati in termini cumulati da cui risulta come la caduta del PIL in Italia sia superiore rispetto a quella verificatasi durante la grande depressione del ’29. La soluzione quindi, anche a detta del Ministro dell'economia, non può essere che quella, per evitare l'avvitamento in una pericolosa spirale di stagnazione e deflazione, di imboccare decisamente la strada della ripresa per scongiurare il rischio sempre più reale di un allentamento nella tenuta del tessuto sociale e produttivo;
    le misure fin qui adottate dal 2011 ad oggi dai diversi Governi, viceversa, hanno peggiorato notevolmente le finanze pubbliche del nostro Paese, portando la nostra economia alla recessione, deprimendo i consumi delle famiglie e aumentando notevolmente la disoccupazione, in particolare quella dei giovani. Politiche analoghe sono state imposte in quasi tutti i Paesi dell'Unione europea;
    le conseguenze di questa politica sono sotto gli occhi di tutti: oggi, quasi 27 milioni di persone sono disoccupate nell'Unione Europea. La disoccupazione nell'eurozona è salita dal 7,8 per cento del 2008 al 12,1 per cento del novembre 2013. In Grecia, dal 7,7 per cento al 24,4 per cento e in Spagna dal 11,3 per cento al 26,7 per cento nello stesso periodo. In Europa, i disoccupati con meno di 25 anni sono 4,5 milioni. Nella sola Italia, la disoccupazione giovanile, secondo i recenti dati Istat ha toccato il 44,2 per cento;
    in Italia nonostante si siano già succeduti tre differenti governi la linea seguita è sempre la stessa: quella impostaci dalla BCE. L'attuale Governo sta per altro cercando di accelerare l'attuazione delle indicazioni contenute nella lettera dell'agosto 2011 della stessa BCE, per il momento solo parzialmente realizzate. Anche se i dati confermano il non funzionamento di quelle politiche imposte dall'Unione europea la nota di aggiornamento del DEF, persegue testardamente nell'applicazione di quelle stesse indicazioni;
    l'unica variabile, come si è detto, è costituita dal tentativo di allentare la morsa e di rinviare il pareggio di bilancio in termini strutturali al 2017, dopo un primo rinvio – peraltro non ancora avvallato dall'Unione europea – al 2016. Mossa non particolarmente «coraggiosa» in quanto sia la nostra Costituzione, che consente deroghe temporali in presenza del «verificarsi di eventi eccezionali», che le regole dell'Unione europea contemplano la possibilità di deviazioni temporanee in presenza di riforme capaci di migliorare strutturalmente la competitività del Paese e qualora si verifichi la circostanza di un severo peggioramento dell'economia (articolo 5 del Council regulation 1466/97 del 7 luglio 1997 e articoli 3 e 6 della legge n. 243 del 2012);
    lo slittamento al 2017 del pareggio di bilancio non rappresenta una vera sfida alla Commissione europea come lo è la decisione francese di mantenere il deficit sopra il 4 per cento per i prossimi anni;
    la Francia ha infatti dichiarato che non rientrerà nei limiti del deficit del 3 per cento fino al 2017, l'Italia è vicina a sforarlo anche se continua ad affermare che lo rispetterà. La Banca centrale europea è da tempo ben sotto all'obiettivo dell'inflazione al 2 per cento a cui è vincolata dal suo mandato. La Germania è in surplus commerciale eccessivo. Tutte le parti coinvolte sono in evidente difetto rispetto alle regole che si sono collettivamente e consensualmente date;
    tra accuse reciproche in un gioco in cui l'attribuzione della responsabilità della crisi è sempre e regolarmente dell’«altro», si è finiti sull'orlo di un suicidio collettivo. La Bce bacchetta i governi del Sud e del Nord: i primi per le mancate riforme, i secondi, in particolare la Germania, perché non si fanno motore di una ripresa della domanda attraverso un'espansione di bilancio. I governi francese e italiano si lamentano di un rallentamento inaspettato (inaspettato ?) dell'economia;
    i tedeschi accusano i Paesi che non hanno seguito la via del rigore e delle riforme di non rispettare i patti. Ma, per una ragione o per l'altra, tutti, alla fine, hanno infranto qualche regola;
    un sistema in cui nessuno riesce a rispettare le regole va ripensato. Le misure da attuare subito per rilanciare la domanda, al livello dell'Unione, sono chiare e se non ci fossero vincoli politici e gli interessi dei centri finanziari da salvaguardare, si andrebbe dritti per quella strada. C’è un largo consenso tra gli studiosi sul fatto che quando un'economia è in pericolo di deflazione e appesantita dal debito bisogna attuare politiche di bilancio espansive (attraverso un taglio delle tasse o tramite un aumento della spesa) finanziate dalla Banca centrale;
    il Trattato di funzionamento dell'Unione europea (TFUE) all'articolo 126 definisce eccessivo il disavanzo pubblico se il rapporto tra indebitamento e PIL supera il 3 per cento (oltre che se il rapporto debito/PIL supera il 60 per cento). Se tale limite viene superato la sanzione più significativa che l'Unione europea potrebbe comminare al nostro Paese è quella di imporci un deposito infruttifero presso la BCE costituito in due parti. Una fissa dello 0,2 per cento del PIL, e una variabile, pari allo 0,1 per cento del PIL per ogni punto (o frazione di punto) di sfondamento del 3 per cento. Se il deficit è pari al 4 per cento l'Italia dovrà pagare meno di 5 miliardi, rispetto ai 45 miliardi che il 4 per cento di deficit nel triennio 2015-2017 ci renderebbe disponibili;
    i mercati non sembrano reagire negativamente alla decisione francese; all'indomani delle dichiarazioni del Ministro delle finanze i titoli di Stato sono stati piazzati con gli stessi tassi di interesse richiesti nelle aste dei giorni precedenti. Probabilmente l'enorme liquidità fornita dalla manovre della FED e della stessa BCE conosce qualche difficoltà a trovare impieghi più remunerativi;
    il rispetto rigoroso delle regole e del sottostare ai parametri imposti dai trattati deve essere un comportamento seguito da tutti i partners europei, non sono ammesse eccezioni se non unanimemente concordate. Stando a questo principio elementare non si comprende come la Germania possa derogare ampiamente dal rispetto del parametro del surplus commerciale mentre da «bravo scolaretto» il Governo italiano sottolinea in ogni occasione il rispetto del limite del 3 per cento nel rapporto debito/Pil da parte dell'Italia;
    per avviare a soluzione una crisi economico finanziaria dai disastrosi effetti sociali che dura ormai da più di otto anni, un periodo talmente lungo che il sistema capitalistico non ha mai affrontato prima, è necessario adottare misure shock sul piano economico che mal si conciliano con un misero allentamento della stretta di bilancio e il solo slittamento al 2017 del pareggio di bilancio. Ben altre sarebbero le soluzioni che però trovano ostacoli insormontabili nelle troppo rigide ormai regole europee non più al passo con la situazione profondamente cambiata e che richiederebbe una forte e reale flessibilità temporanea concordata, almeno sul rispetto del rapporto deficit/Pil, per un reale rilancio economico e produttivo salvaguardando nel contempo l'occupazione e i diritti fondamentali del lavoro;
    le proposte delineate nella nota di aggiornamento al DEF non vanno in questa direzione con la necessaria decisione accentuando invece misure che tendono alla demolizione del welfare, a partire dalla delega alla Controriforma del mercato del lavoro;
    rispetto al deficit tendenziale al 2,2 per cento, la «forzatura» della Nota che colloca il rapporto deficit/Pil al 2,9 per cento, nel 2015, libera 0,7 per cento punti di Pil, corrispondenti a circa 11 miliardi che saranno sostanzialmente spesi in deficit. Va osservato comunque che l'Italia ha «usufruito» di un inaspettato vantaggio nel settembre scorso con l'introduzione a livello europeo di nuove norme di revisione del PIL secondo i criteri SEC 2010 (inclusione della ricchezza prodotta dalle attività criminali) portando a quella data il rapporto deficit/Pil addirittura al 2,7 per cento;
    si tratterebbe di risorse importanti quelle rinvenienti dall'allentamento della stretta fiscale, che già nel 2014 avrebbero potuto permettere una ben più incisiva azione di rilancio da parte del Governo e ancor più permetterebbero di farlo nel 2015. Eppure, rischiano di essere solo indicatori dell'ennesimo fallimento della politica italiana. Perché le potenziali risorse 2014 sono state assorbite dalla recessione, dal mancato rispetto degli obiettivi inizialmente previsti di risparmio pubblico e da interventi mal progettati e peggio realizzati (ad esempio, è notorio che un bonus fiscale qual è quello degli 80 euro, per avere un qualche effetto deve essere chiaramente percepito come permanente, non come una tantum, e che la sua copertura non può derivare da tagli alla spesa pubblica, tagli che hanno effetti recessivi, ma da una vera ridistribuzione del carico fiscale). Nella Nota di aggiornamento si parla di rendere definitivi gli 80 euro, ma non di ampliarne la platea, neanche a pensionati e autonomi, e nemmeno con una redistribuzione del carico fiscale. Si parla di 5 miliardi per la riduzione dell'Irap o dei contributi a carico delle imprese, tra i 4 e i 5 miliardi per le misure inderogabili che riguardano gli ammortizzatori sociali per 1,5 miliardi, fondi sociali, le missioni internazionali e detrazioni per ristrutturazioni, 1 miliardo per la scuola, 1 per i comuni e regioni, mentre già si prevedono almeno 3 miliardi per evitare che scattino clausole di salvaguardia per risparmi mancati, come ad esempio il taglio lineare delle agevolazioni fiscali, le cosiddette tax expenditures;
    il Governo Renzi, per rassicurare Bruxelles – come peraltro è stato per gli altri governi che l'hanno preceduto – prevede nella Legge di stabilità 2015-2017 un'apposita maxi-clausola di salvaguardia automatica con la quale il Governo si impegna ad assicurare il raggiungimento del saldo strutturale di bilancio in pareggio dal 2017 aumentando le aliquote Iva e le imposte indirette per un ammontare di 12,4 miliardi nel 2016, 17,8 miliardi nel 2017 e 21,4 miliardi nel 2018. La clausola se esercitata avrebbe però un effetto recessivo pari allo 0,7 per cento del PIL nel triennio 2016-2018 dovuta ad una contrazione complessiva di consumi ed investimenti per 1,3 punti del PIL;
    la linea seguita fin qui dal Governo Renzi e dalla quale sembra non derogare è costituita da una serie di annunci, il raggiungimento di obiettivi parlamentari parziali e dallo spostamento nel tempo dei provvedimenti ritenendo sufficienti il raggiungimento di obiettivi simbolici per ottenere più flessibilità dall'Europa. Un esempio tra tutti è la «creatività» legata all'impatto della riforma del mercato del lavoro sulla crescita che nel DEF viene stimata tra più 0,1 e 0,3 per cento del PIL;
    il quadro programmatico predisposto dal Governo, quindi, da perseguire con gli interventi e le politiche che saranno iscritti nella Legge di stabilità per il 2015 segue il seguente schema: uscita dalla recessione e crescita del PIL pari a +0,6 per cento sul 2014; rapporto deficit/PIL in calo a 2,9 per cento (-0,1 punti percentuali rispetto al 2014); disoccupazione in calo al 12,5 per cento, ma sempre sopra il 12 per cento fino a fine 2016; rapporto tra debito pubblico e PIL previsto al 131,6 per cento per il 2014 e al 133,4 per cento per il 2015;
    il pericolo corso dall'Italia se avesse già dovuto raggiungere il pareggio di bilancio, come sconsideratamente si è voluto scrivere in Costituzione sotto ricatto della Troika, e che avrebbe portato il Paese ad avvicinarsi tendenzialmente e inesorabilmente al fallimento, viene chiaramente evidenziato nella Nota di aggiornamento al Def nella parte in cui si sottolinea che se non fosse stato ritardato il percorso per giungere al pareggio di bilancio sarebbe stata necessaria una manovra pari allo 0,9 per cento del PIL (del valore di circa 14-15 miliardi), che se attuata solo con tagli di spesa avrebbe generato una minor crescita dello 0,3 per cento nel 2015 e dello 0,1 per cento nel 2016 con effetti negativi sugli investimenti (0,5 punti nel 2015) e sui consumi (0,1 nel 2015). Sempre nella Nota si sottolinea che se l'ammontare dei tagli per il 2015 fosse stato pari a 2,2 punti di PIL, ovvero l'entità della manovra necessaria per rispettare anche la regola del debito, l'impatto negativo sulla crescita sarebbe stato di 0,8 punti;
    l'unico dato relativamente positivo previsto dalla Nota di aggiornamento del Def è quello determinato dalla certificazione che nel 2014 la minor spesa per interessi, grazie all'effetto spread, sarà di 5,9 miliardi rispetto al previsto, e il risparmio sugli interessi sul debito ha compensato una parte degli effetti della minore crescita economica. Nel 2015 le uscite per interessi dovrebbero ridursi ulteriormente per circa 2,5 miliardi sul 2014;
    nel DEF 2014 e nella Nota di aggiornamento si prosegue comunque nella politica dei tagli alla spesa pubblica e delle privatizzazioni, che si pongono in controtendenza con l'allentamento dei vincoli di bilancio, che di per sé produrrebbero effetti positivi sull'economia se non venissero vanificati da scelte contraddittorie;
    sul fronte delle privatizzazioni quest'anno l'obiettivo dello 0,7 per cento del PIL, confermato per i prossimi due anni, non sarà centrato, in quanto si stima una decrescita allo 0,4 per cento;
    sul fronte dei tagli nel periodo 2014-2018 si prevede: una riduzione delle spese per il personale del 12 per cento; una riduzione delle spese per pensioni del 3 per cento; una riduzione degli investimenti pubblici, che creano moltiplicatori importanti, del 12 per cento; infine una costante riduzione della spesa primaria, il cosiddetto «Piano Cottarelli» così ripartita: 6-7 miliardi nel 2014; 16 miliardi nel 2015, anche se si potrebbe ipotizzare una riduzione inferiore del livello tra gli 8 e 9 miliardi in virtù dello slittamento del pareggio del bilancio al 2017; 32 miliardi nel 2016; inoltre sono previsti 3 miliardi di tagli alla sanità, 1,8 miliardi al trasporto pubblico locale e così via;
    nella nota di aggiornamento al DEF manca totalmente una politica della domanda e degli investimenti pubblici, e di conseguenza, anche una politica per il lavoro. Nel 2014 si prevede una contrazione del 2 per cento della spesa per gli investimenti; nel 2015 è atteso un aumento del 1,5 per cento, «da promuovere in maniera coordinata con l'Unione europea». Tale frase sibillina potrebbe far riferimento o al Piano Juncker, oppure alla richiesta di esenzione dei co-finanziamenti nazionali dei Fondi europei dai saldi di finanza pubblica. Non si tratta quindi di una precisa e certa indicazione ma di veri e propri desiderata che dovranno passare attraverso autorizzazioni europee;
    nel DEF e confermato nella Nota di aggiornamento, il ruolo dello Stato sembra deliberatamente ridimensionato in quanto si prevedono minori investimenti pubblici, riduzione della spesa sociale, contenimento del lavoro pubblico, enfasi del mercato, privatizzazioni. Si tratta di una filosofia di stampo liberista antitetica a quello di cui ci sarebbe bisogno: maggiore intervento e regia pubblica, maggiori investimenti pubblici, una spesa pubblica intelligente e innovativa;
    non è inoltre presente alcun piano di investimenti pubblici, che in 20 anni sono passati dal 3 per cento al 1,5 per cento del PIL: la nota di aggiornamento al DEF 2014 non dà alcun segno di inversione di tendenza non ravvisandosi nessun accenno ad una benché minima e attendibile politica industriale, di cui il Paese avrebbe drammaticamente bisogno;
    il DEF aggiornato delinea una Legge di stabilità in sostanziale continuità con quelle passate e nella quale non si prevede:
     alcuna misura di redistribuzione del carico fiscale, prevedendo invece che la riduzione del costo del lavoro, consistente nel bonus di 80 euro e tagli all'Irap e ai contributi a carico delle imprese, che sarà coperta quasi esclusivamente con i tagli alla spesa con effetti depressivi sul PIL;
     alcuna riduzione del carico fiscale complessivo, prevedendo invece che la pressione fiscale passi dal 43,3 per cento del 2014 al 43,6 per cento del 2016 per poi ridursi al 43,3 per cento nel 2017 e al 43,2 per cento nel 2018;
     che vengano neanche minimamente avviate politiche per la riconversione ecologica dell'economia e per un nuovo modello di sviluppo più sostenibile;
     che una serie di cosiddette «partite di giro» tra redditi da lavoro, come la riduzione delle agevolazioni fiscali per sostenere le spese di circa 2 miliardi, previste nel Jobs Act, per l'assegno «universale» di disoccupazione, o tra la finanza degli Enti locali che potranno beneficiare dell'allentamento di un miliardo del Patto di stabilità interno nella misura in cui cederanno per un miliardo le municipalizzate;
    si prevede inoltre: che dai tagli di competenza dei dicasteri dovrebbero arrivare non più di 3 miliardi (di cui solo 300 milioni dalla Difesa), con un contributo della sanità tra i 700 milioni e il miliardo, soprattutto sul versante dei beni e servizi; un nuovo giro di vite sulle forniture che dovrebbe garantire complessivamente altri 2-2,5 miliardi. Nel mirino dei tagli sembrano anche contemplate l'INPS e l'Inail, dai quali potrebbero arrivare 300-500 milioni, oltre la conferma del blocco dei salari dei dipendenti pubblici che produrrà risparmi per 2,5 miliardi;
    il DEF rimane quindi dentro la cornice dell'austerità caratterizzata in modo significativo dalla flessibilità mercato del lavoro, dalle privatizzazioni e dai tagli;
    vi è da osservare poi l'aspetto «creativo» del DEF legato all'impatto della riforma del mercato del lavoro sulla crescita: tra più 0,1 e 0,3 per cento del PIL. Se consideriamo il livello attuale di disoccupazione che è pari a circa 6 milioni di lavoratori e quella plausibilmente ipotizzabile per il 2015, probabilmente non inferiore al 14 per cento, immaginare una crescita dello 0,6 per cento del PIL nel 2015 rappresenta «un puro atto di fede». Forte si affaccia il sospetto che la crescita «programmata» del PIL allo 0,6 per cento per il 2015 sia più che altro funzionale a costruire un certo quadro di finanza pubblica più che una previsione con una qualche base scientifica;
    il Governo nella Nota ribadisce che punterà tutto sulle riforme strutturali: dal lavoro, alla Pubblica Amministrazione, passando per quelle costituzionali e istituzionali. Un pacchetto di interventi che garantiranno, a suo dire, una crescita del PIL di 3,4 punti nel 2020 e di 8,1 punti nel lungo periodo La sola riforma del lavoro dovrebbe produrre un ritocco verso l'alto dello 0,1 per cento già nel 2015 così come quella della Pubblica Amministrazione. Quanto all'andamento del PIL, la crescita è stimata in un +1 per cento nel 2016 e nell'1,3 per cento nel 2017. Per il 2015 la nuova previsione dello 0,6 per cento (l'OCSE prevede + 0,1 per cento) potrebbe essere però ulteriormente rivista al ribasso;
   osservato inoltre che:
    il quadro tendenziale a «legislazione vigente» cui si fa riferimento prevalente nel DEF dà conto della situazione e dell'evoluzione della finanza pubblica in base alle norme già approvate e agli stanziamenti definiti in modo permanente nel bilancio pubblico, Questo è generalmente basso perché non è il quadro tendenziale a «politiche invariate» che dà invece conto del fatto che vi sono spese non finanziate permanentemente nel bilancio pubblico, bensì rifinanziate di anno in anno o triennio in triennio, così come vi sono interventi portati avanti negli ultimi anni che Governo e Ministeri intenderebbero riproporre. Ciò vuol dire che gran parte dei fondi sociali non sono finanziati in modo definitivo, bensì annualmente, dunque non entrerebbero nella legislazione vigente ma nelle politiche invariate; così come i fondi per i rinnovi contrattuali nel pubblico impiego. È quindi lecito ritenere che così valga anche per le detrazioni per lavori di ristrutturazione, così come per gran parte dei fondi per gli ammortizzatori sociali;
   considerato che:
    la politica macro-economica rimane la variabile decisiva per avviare la ripresa, che deve basarsi soprattutto su una forte ripresa della domanda aggregata e su di un piano ragionato e massiccio di investimenti pubblici. Soltanto così si possono determinare effetti positivi sulla quantità e qualità dell'occupazione. Insistere per la preliminare attuazione di riforme strutturali vuol dire ingigantire gli ostacoli alle riforme e aggravare le condizioni dell'economia. Ostacoli a questa impostazione sono le regole europee invecchiate e non più rispondenti all'eccezionalità della crisi attuale, come il Fiscal Compact, e quelle che hanno strutturato sin dall'inizio la filosofia di funzionamento dell'Unione: il Patto di stabilità e crescita e, soprattutto, il divieto per la Banca centrale di finanziare direttamente i debiti pubblici. Basterebbe trarre insegnamento dagli errori compiuti nell'uscire dalla crisi degli anni trenta per far divenire l'esito disgregante di quell'esperienza un monito che chiami a iniziative ben più radicali e consistenti di quelle che sono attualmente in discussione nelle riunioni europee;
    nel Def presentato ad aprile erano contenuti errori econometrici, anche nella nota di aggiornamento il quadro macroeconomico è sottovalutato, costi e voci di spesa sono sottostimati o non compaiano, le coperture sono incerte e ottimistiche, basandosi con un eccesso di fiducia sulle risposte dell'Europa alle richieste di ammorbidimento delle rigide regole comunitarie di bilancio;
    i dati dimostrano che la deregolazione del mercato del lavoro non crea solo precarietà e perdita di diritti, ma anche perdita di produttività e quindi perdita di capacità di crescita; questa svalutazione del lavoro che andrà aggravandosi quando si dispiegheranno gli effetti nefasti della controriforma del Jobs Act presuppone imprese di basso valore, che invece di innovare scaricano tutti i costi della competizione internazionale sul costo del lavoro; così facendo ci si rassegna al declino industriale del nostro Paese;
    secondo i dati del Def di aprile, la produttività del lavoro avrebbe conosciuto un salto dal 2014 in poi (+1 per cento del Pil nel 2014 e poi ogni anno in media + 0,8 per cento del Pil). Si confermano ulteriormente gli errori di valutazione del Governo di cinque mesi or sono, che non spiegava l'origine di tale crescita impetuosa della produttività, mentre era chiaramente prevedibile la sua decrescita solo osservando i dati sulla dinamica della produttività pari a «zero» dal 2000 al 2013 e non essendo in presenza di un salto qualitativo nelle tecnologie produttive nel nostro Paese, tale da poter pensare di provocare questi incrementi;
    altre perplessità derivavano, già ad aprile, dal previsto boom degli investimenti; intanto l'attuale produzione industriale registra un -25 per cento rispetto al 2007, non a caso, perché senza domanda si assiste ad un crollo degli investimenti (infatti: 2008: -3,7 per cento, 2009: -11,7 per cento, 2010: + 0,6 per cento, 2011: -2,2 per cento, 2012: -8,0 per cento, 2013: -4,7 per cento); il Def di aprile prevedeva nel 2014 un incremento degli investimenti del 2 per cento, e nel periodo 2014-2018 del + 16,12 per cento circa (investimenti durante il «boom» 2003-2007: + 7,2 per cento). Un altro errore clamoroso di valutazione operato dal Governo, tanto più stridente ora che assistiamo anche per la Germania ad un vero e proprio crollo della produzione industriale considerando il dato di agosto che ha registrato un calo annualizzato pari al 2,8 per cento, dato sensibilmente peggiore del 2,7 per cento del mese precedente e del -0,5 per cento stimato degli analisti;
    anche con la nota di aggiornamento al Def 2014 il Governo ha confermato la politica di totale disimpegno nei confronti di un'area del Paese, il Mezzogiorno, che con la sua produzione contribuisce ad un quarto del PIL nazionale, dimostrando in tal modo di sottovalutare la dimensione nazionale e le ricadute della questione meridionale e l'impossibilità per una nazione di mantenere la propria unità e coesione se parti di essa procedono a velocità diverse, accentuando fra loro il disequilibrio;
    il documento è infatti privo di misure programmatiche di sviluppo orientate verso quei territori che registrano una dinamica di crescita complessivamente ancora debole rispetto a quella delle altre aree del Paese, e risulta essere totalmente manchevole rispetto alle aspettative di quei territori, non fornendo alcuna indicazione strutturale e non individuando alcuna forma aggiuntiva di finanziamento per sostenere l'attuazione di un improcrastinabile piano straordinario per il Mezzogiorno che sia orientato, in primis, all'adeguamento e allo sviluppo della sua rete infrastrutturale, presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di crocevia naturale degli scambi internazionali lungo le direttrici Nord-Sud e Est-Ovest e per agevolare i flussi turistici, facendo in tal modo candidare l'intera area, fisicamente e storicamente proiettata nel Mediterraneo, a zona di libero scambio;
    anche le molto ottimistiche previsioni del Def sull'aumento dei consumi delle famiglie nel periodo 2014-2018, dell'ordine del 5,6 per cento, rappresentano un clamoroso errore di valutazione del Governo su di un periodo di soli 5 mesi, nel quale non ha minimamente tenuto conto dell'impatto sulla crescita delle manovre restrittive indicate come i tagli alla spesa per il personale, alle pensioni e agli investimenti pubblici;
    gli effetti sociali ed economici delle politiche di austerità stanno compromettendo anche gli obiettivi di consolidamento fiscale, a partire dalla riduzione del debito che continua, infatti, ad aumentare;
    particolarmente grave sembra la quasi totale assenza di interventi organici e risolutivi nel decisivo settore della scuola e della formazione. Considerando inoltre che nel 2013 i tagli al comparto istruzione hanno comportato una riduzione degli stipendi e la riduzione del numero dei dipendenti nella PA. Il settore che più ha contribuito alla causa dell'austerità programmata è stato appunto la scuola dove i contratti di lavoro non vengono rinnovati dal 2010. Il blocco è stato prolungato da Letta e Saccomanni fino al 2015, poi confermato da Renzi e Padoan. Sulla base di questa programmazione, i fondi per la scuola sono destinati a scendere dello 0,7 per cento, verranno stabilizzati nel triennio successivo, per iniziare a crescere di un microscopico 0,3 per cento a partire dal 2018. Considerata l'incertezza che regna sovrana sulla spesa pubblica, non è detto che queste previsioni verranno rispettate. In realtà, quello preventivato non è un «aumento» della spesa per il personale, bensì solo l'effetto dell'attribuzione dell'indennità di vacanza contrattuale per il triennio successivo 2018-2020. A oggi, questa indennità resta ancora bloccata e non verrà restituita. La scuola si conferma uno dei settori più colpiti del pubblico, insieme alla sanità. La spesa per il funzionamento ordinario di scuole, università o enti di ricerca è passata da 1,11 miliardi del 2011 a 0,95 del 2013 e non è destinata a crescere nonostante i vari annunci di Renzi sull'edilizia scolastica;
    il cosiddetto decreto «Sblocca Italia» varato dal Governo Renzi, il 13 settembre scorso, condanna il Belpaese all'arretratezza di un'economia basata sul consumo intensivo di risorse non rinnovabili e concentrata in poche mani. Si arriva al paradosso – sostiene l'appello ai parlamentari dei comitati e delle organizzazioni ambientaliste – che le produzioni agricole di qualità, il nostro paesaggio e i tanti impianti e lavorazioni che non provocano inquinamento, compresi quelli per la produzione energetica da fonti rinnovabili quando realizzati in maniera responsabile e senza ulteriore consumo di territorio, non sono attività strategiche a norma di legge. Lo sono, invece, i pozzi e l'economia del petrolio che, oltre a costituire fonti di profitto per poche multinazionali, sono causa dei cambiamenti climatici e di un pesante inquinamento;
    mentre il mondo intero sta cercando di affrancarsi da produzioni inquinanti, il Governo Renzi per i prossimi decenni intende avviare la nostra terra su un binario morto dell'economia. Eppure l'industria petrolifera non ha portato alcun vantaggio ai cittadini ma ha costituito solo un aggravamento delle condizioni sociali ed ambientali rispetto ad altre iniziative legate ad un'economia diffusa e meno invasiva;
    le grandi opere con il loro insano e corrotto «ciclo del cemento» continuano ad essere il mantra per questo tipo di «sviluppo» mentre interi territori aspettano da anni il risanamento ambientale. Chi ha inquinato deve pagare. Servono però bonifiche reali, non affidate agli stessi inquinatori e realizzate con metodi ancora più inquinanti. L'esatto opposto delle recenti norme con cui si cerca di mettere la polvere tossica sotto al tappeto;
    questo provvedimento si configura come un primo passaggio propedeutico alla piena realizzazione del piano complessivo di privatizzazione e finanziarizzazione dell'acqua e dei beni comuni che il Governo sembra voler definire compiutamente con la legge di stabilità;
    all'interno della Nota non vi è nessun accenno ad una politica energetica e ambientale che garantisca il forte impegno dell'Italia per un'economia e una società low carbon, tale da garantire un'azione efficace di contrasto dei cambiamenti climatici attraverso obiettivi di riduzione dei gas-serra e di spinta verso una economia a impatto sostenibile che incentivino in maniera decisa lo sviluppo delle fonti rinnovabili e gli interventi di efficienza energetica a livello nazionale. Il Governo continua a mostrarsi sordo agli avvertimenti lanciati dal recente rapporto IPCC in Europa, secondo il quale la regione mediterranea è quella che risentirà più di tutte dei cambiamenti climatici a causa dei notevoli impatti attesi sul turismo, sull'agricoltura, sulle attività forestali, sulle infrastrutture, sull'energia e sulla disponibilità di acqua che costituirà il fattore limitante per la produzione agricola. Sono in aumento i rischi di inondazioni, di erosione costiera e di danni alle infrastrutture già con l'attuale livello di climate change (+0,61 oC rispetto al periodo preindustriale) mentre le misure di mitigazione possono ridurre il rischio entro limiti accettabili;
    nella Nota di aggiornamento c’è solo un vago riferimento, en passant, alla strategia di Europa 2020 e solo in riferimento all'utilizzo dei Fondi europei per il ciclo 2014-2020. La strategia Europa 2020 che mira a una crescita che sia: intelligente, grazie a investimenti più efficaci nell'istruzione, la ricerca e l'innovazione; sostenibile, grazie alla decisa scelta a favore di un'economia a basse emissioni di CO2; e solidale, ossia focalizzata sulla creazione di posti di lavoro e la riduzione della povertà, e che s'impernia su cinque ambiziosi obiettivi riguardanti l'occupazione, l'innovazione, l'istruzione, la riduzione della povertà e i cambiamenti climatici/l'energia, non costituisce per il Governo Renzi l'asse fondamentale della propria politica economico-sociale che invece fa riferimento alla nota lettera della BCE del 5 agosto 2011;
    in sintesi, dalla Nota di aggiornamento del DEF 2014 non emerge nessuna idea su come tirare fuori il Paese da questa situazione caratterizzata dalla recessione, dalla deflazione e dalla disoccupazione di massa, tant’è che in buona sostanza si delinea una legge di stabilità 2015-2017 di galleggiamento;
   considerato inoltre che:
    dalla crisi si esce solo con la fine delle politiche di austerità, con politiche espansive ed un nuovo intervento dello Stato e, nell'immediato, in particolare, si dovrebbe operare uno scorporo di alcune tipologie di spese e di investimenti dal calcolo dei saldi validi al fine del rispetto del Patto di stabilità e crescita. Tale scorporo, più volte proposto da autorità politiche ed esperti economici in Italia e in Europa, permetterebbe una ripresa della domanda pubblica che è necessaria – in assenza di un'adeguata dinamica della domanda per consumi, investimenti ed export – per condurre l'economia fuori dall'attuale depressione. Gli investimenti nei suddetti settori sono rilevanti in primo luogo per gli effetti aggregati sull'economia, che vedrebbe un aumento del Pil e quindi un miglioramento degli indicatori di sostenibilità del debito. In secondo luogo, l'investimento in tali settori condurrebbe l'Italia ad avvicinarsi in misura significativa agli obiettivi di Europa 2020 in una varietà di campi sociali e ambientali,

impegna il Governo

   in considerazione del persistere, anzi dell'aggravarsi degli effetti del ciclo economico negativo che si protrae ormai da troppi anni, senza che si intravveda una soluzione nel breve periodo, a predisporre una manovra per triennio 2015-2017 – seguendo l'esempio francese – che preveda un congruo indebitamento a sostegno di una seria e condivisa programmazione di politiche di sviluppo sostenibile e per il lavoro, attraverso il superamento di un punto percentuale del limite del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil;
   a destinare le risorse che ne risulterebbero, pari a circa 45 miliardi nel triennio considerato, insieme ad altre risorse nazionali, ad un Piano nazionale per il lavoro che preveda misure per creare da subito centinaia di migliaia di posti di lavoro. Lo Stato deve diventare datore di lavoro di ultima istanza attraverso la messa in opera di un Programma Nazionale sperimentale triennale di interventi pubblici, un Green New Deal italiano. L'asse di un Piano per il lavoro, deve consistere innanzitutto nella messa in sicurezza del nostro territorio e degli edifici scolastici, la cura e la valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali, il rilancio di un'agricoltura multifunzionale, la riqualificazione delle città, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica, la riforma e il rinnovamento della PA e del welfare, l'innovazione e la sostenibilità delle reti (trasporti, energia, digitalizzazione del Paese,...);
   a mettere in essere interventi e riforme finalizzate ad accrescere il tasso di competitività del nostro tessuto imprenditoriale, presupposti questi per salvaguardare e rilanciare l'occupazione, interventi capaci di innalzare il contenuto tecnologico e di conoscenza del sistema imprenditoriale italiano, in grado di generare valore aggiunto ed occupazione;
   prevedere, nell'ambito della politica industriale nazionale, modalità per un intervento pubblico al fine di salvaguardare gli asset strategici, stimolare le innovazioni e la ricerca, facilitare la riconversione ecologica dell'apparato produttivo, garantire i livelli occupazionali, traendo ispirazione dal meglio dell'esperienza storica dell'IRI;
   a sostenere negli organismi europei la posizione del Governo francese per il superamento temporaneo del tetto dell'indebitamento del 3 per cento, e cogliere l'occasione per una verifica ed una profonda riforma del Fiscal compact, del Six pact e delle altre disposizioni fiscali contenute nei Trattati europei;
   ad impegnarsi in Europa per ottenere la moratoria, per almeno un quinquennio, sull'applicazione delle misure obbligatorie di abbassamento del debito prevista dal fiscal compact nonché la modifica delle modalità di calcolo dei saldi corretti per il ciclo che penalizzano soprattutto Paesi come il nostro in prolungata recessione;
   a proporre una Conferenza sul debito che ricalchi quanto deciso nel 1953 sulla Germania, cui vennero condonati i debiti di guerra, prevedendo la rinegoziazione del debito che eccede il 60 per cento del Pil;
   a propone un Piano Europeo per l'Occupazione (un green new deal continentale) il quale stanzi almeno 300 miliardi di euro con risorse pubbliche nuove ed aggiuntive rispetto a quelle già previste per dare occupazione a 5-6 milioni di disoccupati o inoccupati (di cui un milione in Italia): tanti quanti sono quelli che hanno perso il lavoro dall'inizio della crisi, dando priorità a interventi che rispettano il diritto ad un ambiente sano e integro, al contrario di quanto fanno molte grandi opere che devastano il territorio e che creano poca occupazione, agevolando la transizione verso consumi drasticamente ridotti di combustibili fossili, la creazione di una agricoltura biologica e multifunzionale, il riassetto idrogeologico dei territori, la valorizzazione non speculativa del patrimonio artistico, il potenziamento dell'istruzione e della ricerca, la messa in sicurezza degli edifici scolastici, la riqualificazione delle città, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica, la riforma e il rinnovamento della PA e del welfare, l'innovazione e la sostenibilità delle reti (trasporti, energia, digitalizzazione del Paese, eccetera);
   a scorporare nel bilancio delle Pubbliche amministrazioni gli investimenti pubblici in opere di piccole e medie dimensioni, a grande assorbimento di lavoro, relativi ai settori sottoelencati dal computo dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni rilevante per i vincoli dei Trattati europei:
    a) pubblica istruzione, università, ricerca;
    b) messa in sicurezza degli edifici scolastici;
    c) riqualificazione delle periferie attraverso piani di recupero;
    d) interventi di salvaguardia dell'assetto idrogeologico dei territori;
    e) recupero, salvaguardia e sviluppo del patrimonio artistico e ambientale;
    f) interventi di risanamento delle reti di distribuzione delle acque potabili;
    g) potenziamento del trasporto pubblico locale con particolare riguardo al pendolarismo regionale e al trasporto su ferro;
    h) interventi di risparmio energetico attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili;
   a verificare in parallelo la possibilità che tali investimenti – da realizzarsi anche negli altri paesi dell'Eurozona – siano finanziati a livello europeo per consentire all'insieme dell'Unione di uscire dal ristagno economico proponendo:
    a) la concessione di crediti da parte della Bce al tasso d'interesse più basso, riservata a istituzioni finanziarie pubbliche – in Italia la Cassa Depositi e Prestiti – impegnate a realizzare il programma di investimenti pubblici necessario all'uscita dalla crisi;
    b) l'emissione di titoli garantiti dall'Eurozona finalizzati alla realizzazione di tali investimenti (eurobond);
    c) l'emissione di liquidità in modalità non convenzionali da parte della Bce a copertura di tale programma d'investimenti;
   a prevedere adeguamenti pensionistici, a partire dalle fasce più deboli, al fine di un aiuto e un sostegno concreti per fronteggiare i continui aumenti delle tariffe e dell'imposizione fiscale diretta e indiretta;
   ad escludere categoricamente qualsiasi intervento sulle pensioni tanto meno su quelle impropriamente definite «d'oro» relative a redditi che non superano i duemila e cinquecento euro netti mensili;
   a modificare la controriforma delle pensioni Fornero e risolvere il problema per tutti i cosiddetti «esodati», ad iniziare dai 4.000 dipendenti scolastici («quota 96») che da oltre due anni chiedono di poter accedere al trattamento pensionistico sia di vecchiaia che di anzianità, in merito ai quali la Risoluzione 8-00042 approvata dalle Commissioni V e XI della Camera impegnava il Governo a reperire, nell'ambito del DEF 2014, le risorse necessarie e tutt'ora disattesa;
   a sostenere con determinazione la politica dell'Unione europea perché si impegni entro l'inizio del 2015 a realizzare una riduzione dei gas serra al di sotto del 40 per cento rispetto ai limiti del 1990, nell'ambito dei negoziati internazionali per un nuovo accordo mondiale sul clima, che si concluderanno a Parigi alla fine del 2015;
   a prevedere una efficace strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici attraverso la immediata elaborazione di piani di mitigazione che siano adeguati alle ultime conoscenze in materia di emissioni di gas serra e di mezzi per contenere l'incremento della temperatura media del pianeta contenute nell'ultimo rapporto IPPC sui cambiamenti climatici;
   a garantire che il piano energetico nazionale preveda la centralità delle fonti energetiche rinnovabili e che le linee guida e le incentivazioni in esso contenute siano coerenti e conformi con le reali esigenze del Paese, attraverso la necessaria modifica della Strategia Energetica Nazionale (SEN) per adeguarla agli obiettivi definiti, anche a livello europeo, nonché al sostegno, con mezzi idonei ed efficaci, dell'innovazione tecnologica nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili; aumentando contestualmente gli sforzi per una maggior efficienza energetica da parte del comparto privato, del comparto pubblico e del comparto industriale;
   ad intervenire comunque, in considerazione della pesante crisi in cui è immerso il nostro Paese, oltre al Piano per il lavoro di cui sopra, con le seguenti misure nazionali per uscire dalla recessione e promuovere un modello di politica economica che faccia leva prioritariamente sullo sviluppo della domanda interna e rilanci l'occupazione:
    1) il pieno utilizzo delle somme relative al Quadro di Coesione e Sviluppo 2014-2020 pari circa 84 miliardi;
    2) la redistribuzione del peso fiscale dai redditi bassi alle rendite ed ai patrimoni che avrebbe un benefico effetto espansivo;
    3) l'utilizzo dei fondi della CDP che potrebbero finanziare un programma di «piccole opere» di investimenti degli enti locali, restando fuori dal bilancio consolidato delle pubbliche amministrazioni valido per il calcolo dell'indebitamento netto;
    4) la revisione del Patto di stabilità interno per consentire gli investimenti degli enti territoriali;
    5) interventi sulle emergenze sociali quali la proroga delle CIG e delle mobilità in deroga, il rinnovo dei contratti per i precari della PA impiegati in servizi;
    6) la definizione di interventi prioritari di politica industriale, concernenti l'innovazione e la ricerca;
    7) ad approvare un ambizioso piano per la messa in sicurezza del territorio italiano, in termini di sicurezza geologica, idrogeologica ed agro alimentare, in grado di tutelare il territorio ed i suoi abitanti e sviluppare un comparto industriale con potenzialità di volano per l'economia nazionale e elevata qualificazione degli operatori anche per i mercati esteri;
    8) la previsione di un reddito minimo garantito per i soggetti disoccupati, precariamente occupati o in cerca di prima occupazione;
    9) ridurre le spese con le seguenti misure:
     a) revisione delle priorità della legge obiettivo (ossia le grandi opere pubbliche): investire le limitate risorse pubbliche disponibili in opere infrastrutturali che siano realizzabili in tempi certi e con modalità sostenibili, sia in termini di vincoli di bilancio, che, soprattutto, dal punto di vista ambientale e sociale, procedendo innanzitutto a riequilibrare le risorse di provenienza pubblica tra quelle destinate alla costruzione di grandi opere e quelle devolute ad un programma di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, con particolare riferimento ad interventi di manutenzione in ambito stradale e ferroviario;
     b) riduzione delle spese militari a partire delle spese per sistemi d'arma (Fregate FREMM e F35); fine della missione militare in Afghanistan;
     c) chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione (CIE);
     d) uso di software open source per le pubbliche amministrazioni;
     e) riduzione dei costi della politica riducendo i livelli di governo, le auto blu, riducendo il numero dei membri dei CdA delle società partecipate e contenendo la proliferazione dei servizi «esternalizzati», riducendo drasticamente le consulenze, provvedendo altresì alla revisione dei compensi per i manager ed i rappresentanti politici, eccetera;
   a ripensare la «questione meridionale» ricollocandola fattivamente al centro dell'agenda politica come parte di un progetto organico, sistematico e generale per lo sviluppo e la crescita dell'intero sistema paese, anche recuperando, se non si vuole correre il rischio di una desertificazione industriale, quella logica industriale che ha ispirato le politiche di intervento straordinario per il Mezzogiorno del dopoguerra;
   a ridefinire una strategia che migliori l'efficienza delle misure di sviluppo per il Mezzogiorno ponendo maggiore attenzione che nel passato alla qualità delle politiche ordinarie come fattore di sviluppo: sanità e assistenza, istruzione e formazione, giustizia e sicurezza;
   a sviluppare il sistema delle telecomunicazioni ed a provvedere all'ottimizzazione delle linee ferroviarie del Sud, in particolare di quelle capaci di ottimizzare il trasporto pubblico locale, anche al fine di trasferire il trasporto di merci e passeggeri dalla gomma al ferro;
   ad intensificare gli investimenti nel settore della sostenibilità ambientale nel Mezzogiorno, anche attraverso il ricorso alle energie alternative, alla difesa del suolo ed il recupero dei centri storici delle città, fronteggiando al tempo stesso l'emergenza rifiuti e l'emergenza idrica;
   ad introdurre nel nostro sistema tributario, valutati i profili di compatibilità con la disciplina dell'Unione europea, la fiscalità di vantaggio a regime per promuovere l'aggregazione tra le imprese operanti nel Mezzogiorno, al fine di favorire lo sviluppo del tessuto produttivo meridionale puntando sul rafforzamento dei legami di rete e cooperazione;
   ad incentivare nel Mezzogiorno, anche introducendo nel sistema tributario a regime forme di fiscalità di vantaggio, la creazione di distretti industriali, sistemi produttivi locali e reti di piccole e medie imprese per migliorare le produttività, il tasso di innovazione e il livello di apertura internazionale delle imprese che, singolarmente, non possiedono le capacità di rischio e di investimento necessarie;
   a prevedere un piano per un impegno straordinario per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole agli investimenti ed allo sviluppo;
   sul terreno fiscale:
    a) a rafforzare le misure di contrasto all'evasione; a prevedere misure, anche sperimentali, di contrasto di interessi al fine di far emergere lavoro nero ed evasione fiscale e contributiva,
    b) a prevedere una redistribuzione del carico fiscale dai redditi da lavoro, dal costo del lavoro per le imprese e dalla prima casa alle rendite ed ai patrimoni mediante le seguenti misure:
     la riforma del catasto e il superamento dell'arretratezza del sistema di attribuzione delle rendite catastali;
     l'aumento della progressività dell'imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) prevedendo un'ulteriore aliquota per i redditi complessivi lordi che superano i 90 mila euro annui;
     l'incremento delle detrazioni per lavoro dipendente e carichi familiari e degli assegni familiari;
     l'alleggerimento graduale a favore delle piccole e medie imprese del carico fiscale sui fattori di produzione;
     ad attuare, infine, nel corso della legislatura, le seguenti indispensabili riforme:
    a) promuovere e sostenere una rapida approvazione di una legge efficace per contrastare i conflitti di interessi;
    b) ripristinare e rafforzare il controllo di legalità in tutto il ciclo economico pubblico e privato in cui tracciabilità e prescrizione sulla regolarità dei procedimenti siano assunti come punti di forza nella lotta alle mafie; limitare le condotte penalmente rilevanti ai fatti realmente gravi e punire con adeguate sanzioni amministrative le condotte illecite che non creano danni o allarme sociale; procedere ad interventi incisivi sulla struttura e i tempi del processo civile, rinforzando inoltre gli strumenti di mediazione non obbligatoria e di risoluzione stragiudiziale delle controversie;
    c) promuovere una legge sulla rappresentanza sindacale; abolire l'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138; ritirare le disposizioni sui contratti a tempo determinato e sull'apprendistato di cui al decreto legge n. 34 del 2014, ripristinare la legge n. 188 del 2007, di contrasto al fenomeno delle dimissioni in bianco;
    d) innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni, contrasto alla dispersione scolastica specie nel Mezzogiorno; politica del diritto allo studio; incrementare, nell'ambito del piano nazionale della ricerca, l'indicazione di misure volte al raggiungimento degli obiettivi europei relativamente alla percentuale di PIL, che dovrebbe raggiungere il 3 per cento entro il 2020, da investire nella ricerca e nello sviluppo;
    e) ripublicizzazione del servizio idrico, riorganizzazione dei servizi pubblici locali per bacini di utenza;
    f) rafforzare il Fondo centrale di garanzia per consentire maggiori finanziamenti alle PMI; stabilire limiti alla distribuzione dei dividendi e dei bonus a manager ed amministratori; introdurre il divieto delle vendite allo scoperto, regolamentare l'utilizzo dei derivati; adottare ogni iniziativa utile alla netta separazione tra le banche d'affari e le banche commerciali;
    g) sviluppo di un vero programma di edilizia abitativa che ponga al centro l'offerta di alloggi di edilizia residenziale da destinare alle categorie sociali svantaggiate nell'accesso al libero mercato degli alloggi in locazione; provvedere a un congruo rifinanziamento della legge n. 431 del 1998 per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione per le fasce sociali più disagiate;
    h) rifinanziamento del Fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto;
    i) a garantire nella Legge di stabilità 2015 l'impegno minimo di aumento dei fondi alla cooperazione allo sviluppo nell'ordine del 10 per cento annuale come previsto dal DEF 2013 e confermato dal DEF 2014, per proseguire nel riallineamento dell'Italia alla media dei Paesi Ocse;
    j) rifinanziamento su base triennale del Fondo per la non autosufficienza, incrementando le risorse ad esso assegnate, attualmente del tutto inadeguate, ed incrementare le risorse assegnate al Fondo per le politiche sociali, e più in generale, reintegrare i tagli alle risorse per le politiche socio-assistenziali e di sostegno alla famiglia;
    k) incrementare le somme a disposizione del «Fondo per le vittime dell'amianto» previsto dalla Legge finanziaria 2008 (Legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, commi 241-246);
    l) rimettere al centro la cultura, la bellezza e i beni culturali e paesaggistici per favorire la crescita sociale ed economica del Paese. Gli interventi devono riguardare politiche efficaci ed efficienti di tutela, promozione, fruizione e gestione sostenibile del patrimonio culturale italiano; ma anche l'investimento nella produzione culturale e creativa attraverso una progettazione strategica che coinvolga Stato, enti locali, operatori del settore e imprese;
    m) affrontare in modo deciso l'intera materia relativa all'attuazione dell'Agenda digitale, intervenendo con un'iniziativa normativa ad hoc, così da dare finalmente esecuzione ad una serie di procedure di rilevanza essenziale per lo sviluppo e la competitività del nostro Paese, nonché a definire stabilmente la governance relativa all'attuazione dell'Agenda digitale italiana, rendendo pienamente operativi i vertici degli organismi ad essa preposti;
    n) adottare immediati strumenti di contrasto alle delocalizzazioni delle attività produttive ed alla risoluzione delle crisi industriali attraverso l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri di una cabina di regia nazionale sulla crisi d'impresa che preveda la partecipazione del Governo, di tutte le forze sociali e politiche, nonché degli altri soggetti coinvolti (principalmente il sistema delle banche e l'amministrazione fiscale) che abbiano il compito di individuare strumenti e soluzioni adeguate alla drammaticità della situazione economica che affligge le imprese italiane.
(6-00087) «Scotto, Marcon, Melilla, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Matarrelli, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».