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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Giovedì 25 settembre 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 25 settembre 2014.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Balduzzi, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carinelli, Casero, Castiglione, Catania, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Costa, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Battista, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Di Salvo, Epifani, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Guerra, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Meta, Mogherini, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Valeria Valente, Velo, Venittelli, Vito, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Adornato, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Balduzzi, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carinelli, Casero, Castiglione, Catania, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Costa, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Battista, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Di Salvo, Epifani, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Meta, Mogherini, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Valeria Valente, Velo, Venittelli, Vito, Zanetti.

Annunzio di una proposta di legge.

  In data 24 settembre 2014 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa del deputato:
   DONATI: «Soppressione dei consorzi di bonifica» (2644).

  Sarà stampata e distribuita.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

  La proposta di legge GARAVINI ed altri: «Modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli» (360) è stata sottoscritta in data 24 settembre 2014 dal deputato Maestri.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   VI Commissione (Finanze):
  BOCCIA ed altri: «Modifica all'articolo 125-quater del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, in materia di recesso dai contratti di credito ai consumatori» (2481). Parere delle Commissioni I, II, X e XIV;
  DE GIROLAMO: «Modifica del capo VI del titolo X del codice di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, concernente l'istituzione dell'Albo nazionale degli esperti di veicoli e danni a cose» (2508). Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V, VII, X, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   VII Commissione (Cultura):
  ZAMPA ed altri: «Norme per la promozione della lettura nell'infanzia e nell'adolescenza e istituzione della Giornata nazionale della promozione della lettura e della Settimana nazionale del libro nelle scuole» (2267). Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), X, XI, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  MARCHI ed altri: «Istituzione della Fondazione del Museo nazionale di psichiatria del San Lazzaro di Reggio Emilia» (2546). Parere delle Commissioni I, V, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  CAROCCI ed altri: «Modifiche al decreto legislativo 10 aprile 1948, n. 421, ratificato, con modificazioni, con legge 5 marzo 1957, n. 104, riguardante la destinazione e l'alienabilità dell'ex collegio di Villa Lomellini, assegnato in proprietà al comune di Santa Margherita Ligure» (2572). Parere delle Commissioni I, V e VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento).

Trasmissioni dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 19 settembre 2014, ha dato comunicazione, ai sensi dell'articolo 1 della legge 8 agosto 1985, n. 440, recante istituzione di un assegno vitalizio a favore di cittadini che abbiano illustrato la Patria e che versino in stato di particolare necessità, della concessione di assegni straordinari vitalizi, con indicazione dei relativi importi, al signor Renzo Calegari, fumettista, alla signora Iudif Abramovna Dobrovolskaja, traduttrice, studiosa e docente, al signor Francesco Giulio Giuseppe Brocani, regista, sceneggiatore e autore di cortometraggi, e alla signora Anna Maria Gherardi, attrice.

  Queste comunicazioni sono depositate presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Trasmissione dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

  Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con lettera in data 22 settembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, quinto comma, della legge 20 marzo 1975, n. 70, la relazione sull'attività svolta dall'Istituto per lo sviluppo per la formazione professionale dei lavoratori (ISFOL) nell'anno 2013, corredata dal bilancio di previsione, dal bilancio consuntivo e dalla pianta organica relativi alla medesima annualità, nonché dal bilancio di previsione per l'anno 2014.
  Questa relazione è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 24 settembre 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'importazione nell'Unione di prodotti agricoli originari della Turchia (codificazione) (COM(2014) 586 final), corredata dai relativi allegati (COM(2014) 586 final – Annexes 1 to 2), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla XIII Commissione (Agricoltura), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

  Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 19 settembre 2014, a pagina 4, prima colonna, prima riga, dopo la parola: «VIII,» si intende inserita la seguente: «XI,».

MOZIONI GALLINELLA ED ALTRI N. 1-00160, PRATAVIERA ED ALTRI N. 1-00360, PALESE ED ALTRI N. 1-00576, KRONBICHLER ED ALTRI N. 1-00579, GALGANO E MAZZIOTTI DI CELSO N. 1-00583, BERLINGHIERI ED ALTRI N. 1-00587, DORINA BIANCHI E BERNARDO N. 1-00589 E BUTTIGLIONE E DELLAI N. 1-00597 CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA RIFORMA DEI CRITERI DI FORMAZIONE DEL BILANCIO COMUNITARIO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL MECCANISMO DEL COSIDDETTO «SCONTO INGLESE»

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è uno dei sei Paesi che con la firma dei Trattati di Roma, nel lontano 1957, contribuì alla creazione dell'Unione europea di oggi, dando vita a quello che si è rivelato come un vero e proprio «esperimento istituzionale» attraverso la costituzione di un organismo sui generis, alle cui istituzioni gli Stati membri hanno delegato nel tempo parte della propria sovranità nazionale;
    la costruzione europea si è realizzata tramite un processo in continuo divenire, slegato da qualsiasi modello statico e precostituito, ed ha perciò segnato battute d'arresto ed accelerazioni, senza tuttavia mai perdere di vista la finalità principale: la creazione di un'unione politica federale che, purtroppo, dimostra di affievolirsi sempre di più a fronte dell'irruenza con cui procede, invece, l'integrazione economica;
    è evidente, infatti, che l'introduzione della moneta unica senza la realizzazione di un'unione politica e fiscale provoca l'impoverimento dei Paesi cosiddetti periferici, primi tra tutti Grecia, Spagna e purtroppo Italia, e genera un sistema, come gli eventi dimostrano ogni giorno, in cui alcuni Paesi acquisiscono crescenti surplus commerciali a scapito dei loro partner, che, ancorché appartenenti alla stessa «zona euro», accumulano invece crescenti deficit;
    tale situazione obbliga gli Stati più ricchi dell'eurozona ad imporre politiche di austerità in nome della difesa dell'euro, unico vero collante di un'unione che esige dai cittadini continui sacrifici, con il risultato di favorire un'integrazione sempre più vantaggiosa per alcuni e sempre meno per altri, posto che italiani e tedeschi hanno la stessa moneta unica, ma differenti contratti di lavoro, diversi sistemi di welfare e diverso grado di sviluppo economico;
    l'articolo 3 del Trattato di Roma, disponendo che «la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche», elenca una serie di azioni comuni, tra cui l'instaurazione di una politica agricola comune, da intendersi come forma di partenariato strategico tra agricoltura e società, in considerazione dei milioni di consumatori europei che richiedono un regolare approvvigionamento di alimenti sani a prezzi accessibili; tale politica ha, però, manifestato fin dagli inizi diverse criticità per l'Italia, il cui potenziale agricolo intensivo e di qualità avrebbe richiesto accordi più adeguati alle proprie peculiarità produttive e al proprio fabbisogno interno;
    la distanza tra cittadini ed «entità» Europa è particolarmente evidente ed allarmante proprio nel settore dell'agroalimentare, nel quale la richiesta generalizzata da parte dei consumatori di tracciabilità ed informazione riguardo alle materie prime utilizzate negli alimenti è costantemente disattesa da normative comunitarie che tendono a favorire la grande distribuzione, la quantità al posto della qualità;
    il settore primario è estremamente penalizzato da politiche comuni, che, tendendo all'omologazione, limitano il potenziale di sviluppo delle eccellenze e delle tipicità locali, sia con riguardo alle produzioni che alle peculiarità delle comunità rurali e delle risorse, e contribuiscono ad accrescere le asimmetrie economiche e sociali tra Paesi;
    notevoli disparità tra Stati membri si ravvisano, altresì, in relazione ai rapporti finanziari che ciascuno di essi ha con l'Unione europea e che per l'Italia mostrano un sensibile aggravamento della condizione di contribuente netto, nella quale il nostro Paese si trova ormai da tempo;
    come evidenziato dall'ultima relazione annuale della Corte dei conti riferita all'esercizio 2011, l'Italia, nel 2011, ha versato all'Unione europea, a titolo di risorse proprie, la complessiva somma di 16 miliardi di euro, importo che rappresenta il massimo storico del settennio 2005-2011 e costituisce un rilevante incremento (+4,9 per cento) rispetto al precedente esercizio, che aveva già mostrato una forte crescita (+6 per cento) nei confronti del 2009;
    se sempre nell'anno 2011 l'Unione europea ha accreditato complessivamente al nostro Paese la somma di 9,3 miliardi di euro, con un aumento dell'1,2 per cento rispetto all'esercizio precedente, il contestuale aumento dei versamenti del nostro Paese all'Unione europea ha causato il peggioramento del «saldo netto negativo» nazionale, giunto per l'esercizio in questione a 6,6 miliardi di euro secondo un rapporto di mera differenza aritmetica tra i rispettivi totali;
    nel settennio 2005-2011, secondo il computo desumibile dall'elaborazione fatta dal dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, il totale dei «saldi netti negativi» ammonta per l'Italia a 39,3 miliardi di euro;
    si rileva, altresì, che i Paesi con i maggiori saldi positivi riferiti al periodo in parola risultano, secondo la Commissione europea, in ordine decrescente: Polonia, Grecia, Spagna, Portogallo, Ungheria, Repubblica ceca, Lituania, Romania, Slovacchia e Irlanda; ad eccezione di quest'ultima, si tratta di alcuni degli Stati membri beneficiari del fondo di coesione, istituito per assistere i Paesi aventi un reddito nazionale lordo pro capite inferiore al 90 per cento della media comunitaria;
    è noto come le resistenze nazionali si traducano spesso in vere e proprie «clausole di favore», recepite nei trattati a vantaggio di quei Paesi che altrimenti non avrebbero firmato gli accordi, rallentando o interrompendo il processo di integrazione;
    il quadro innanzi delineato è certo influenzato da alcuni particolari facilitazioni riconosciute nel tempo a singoli Stati come la decisione del Consiglio Euratom 2007/436/CE sulle risorse proprie, che ha accordato, per il periodo 2007-2013, ad Austria, Germania, Paesi Bassi e Svezia il diritto di beneficiare della riduzione delle aliquote di prelievo della risorsa iva e l'ulteriore facoltà dei Paesi Bassi e della Svezia di usufruire di una riduzione lorda del contributo per il reddito nazionale lordo annuo;
    tra i suddetti benefici va annoverata la tradizionale revisione degli squilibri di bilancio denominata «correzione britannica» («UK rebate»), che consente al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio dell'Unione europea e l'importo ottenuto dallo stesso bilancio, comportando, di riflesso, un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri (limitato tuttavia, solo per alcuni di loro, quali la Germania, i Paesi Bassi, l'Austria e la Svezia, a un quarto del valore normale), tra cui l'Italia;
    il meccanismo di «sconto a favore della Gran Bretagna», che non ha data di scadenza, si fonda sulla decisione del Consiglio europeo di Fontainebleau del 25/26 giugno 1984, con la quale si stabilì, accogliendo le richieste del Regno Unito, che «(...) ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito»;
    le conseguenze che derivano agli interessi italiani da tale disposizione sono rilevanti, non solo dal punto di vista finanziario, considerato che Roma e Parigi da sole contribuiscono a versare a Londra la metà dell'importo complessivo del rebate, ma anche in punto di principio, in quanto, nonostante il dichiarato carattere generale della decisione del Consiglio di Fontainebleau, di fatto, fino a tempi recenti, la correzione è stata applicata solo a favore del Regno Unito;
    gli accordi presi a Fontainebleau erano motivati da un consistente stanziamento di risorse comunitarie a titolo dell'allora nascente politica agricola comune e tali da poter giustificare particolari agevolazioni concesse ai Paesi con scarsa vocazione agricola come la Gran Bretagna; nel corso del tempo, come noto, la spesa agricola dell'Unione europea si è notevolmente ridotta;
    l'accordo sulle prospettive finanziarie 2014-2020 raggiunto nel mesi di febbraio 2014, riducendo ulteriormente lo stanziamento a favore della politica agricola comune, conferma che gli attuali meccanismi di correzione per il Regno Unito continueranno ad applicarsi;
    seppur vero che i vantaggi e gli svantaggi derivanti dall'appartenenza di un Paese all'Unione europea non si esauriscono in valutazioni di natura contabile, è evidente che la questione del saldo negativo dell'Italia impone una riflessione circa un'urgente riforma dei criteri di formazione del bilancio, al fine di introdurre correttivi adeguati ad eliminare lo squilibrio a carico del nostro Paese, la cui economia è più in crisi di quella di altri membri che non sono contribuenti netti;
    sebbene il nostro ordinamento non consenta di sottoporre a referendum l'appartenenza dell'Italia all'unione economica e monetaria è indubbio che, anche alla luce della clausola di recesso volontario di uno Stato membro sancita dall'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea, una consultazione popolare sull'utilità dell'attuale costruzione europea darebbe esiti allarmanti, in considerazione dello scostamento fortemente negativo tra risultati ed attese che alimenta la percezione da parte dei cittadini di un'Europa in piena crisi di legittimità,

impegna il Governo

ad intervenire con determinazione nelle opportune sedi comunitarie affinché, anche in considerazione della Presidenza di turno italiana dell'Unione europea, si avvii fin da ora la riforma dei criteri di formazione del bilancio comunitario e, in particolare, si proceda alla revisione del meccanismo dello «sconto inglese» stabilito dagli accordi di Fontainebleau del 1984, posto che l'entità della spesa agricola è diminuita nel corso degli anni e che la nuova programmazione della politica agricola comune per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per il nostro Paese.
(1-00160) «Gallinella, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, Nuti, Nesci».


   La Camera,
   premesso che:
    il bilancio dell'Unione europea rispecchia, sia dal lato della spesa che da quello delle entrate, l'intera politica dell'Unione europea; è uno degli strumenti fondamentali di cui l'Unione europea dispone per realizzare i suoi obiettivi politici. La dinamica del bilancio dell'Unione europea è influenzata dalle dimensioni e dalla durata della crisi economica e finanziaria;
    la struttura del bilancio comunitario è costituita dalle entrate, composte dalle cosiddette «risorse proprie» e dalle spese che, coperte con risorse proprie, sono destinate al finanziamento di tutti gli interventi messi in atto dall'Unione europea;
    l'Unione europea può contare su diverse fonti di finanziamento: tramite le «risorse proprie» costituite da risorse proprie tradizionali, dalla risorsa iva e dalla risorsa del reddito nazionale lordo. Le risorse proprie tradizionali sono a loro volta costituite da risorse provenienti dai dazi all'importazione sui prodotti provenienti dall'esterno dell'Unione europea e dai contributi provenienti dall'imposizione di diritti alla produzione dello zucchero e dell'isoglucosio, mentre la risorsa iva è costituita da un contributo sulle basi imponibili nazionali a carico di ciascun Stato membro; infine, la risorsa reddito nazionale lordo, definita anche «risorsa complementare», è finalizzata a finanziare le spese di bilancio non coperte dalle risorse proprie tradizionali e dalla risorsa iva. Essa è commisurata alla quota parte dei redditi nazionali lordi sul reddito nazionale lordo comunitario;
    riguardo alla risorsa iva a Germania, Paesi Bassi, Svezia e Austria è stata concessa una riduzione dell'aliquota di prelievo. Paesi Bassi e Svezia beneficiano di una riduzione del contributo al bilancio comunitario in chiave di reddito nazionale lordo. Tali agevolazioni vengono ripartite a carico degli altri Stati membri;
    il calcolo del contributo di ciascun Paese si basa sul principio della solidarietà e della capacità contributiva. Se ne risulta un onere eccessivo per determinati Paesi, si procede tuttavia ad aggiustamenti;
    in questo momento di grave crisi economico-finanziaria che l'Europa sta attraversando, vi è stato un aumento esponenziale dell'attività programmatica e politica dell'Unione europea che ha inciso pesantemente sulle libere scelte dei Paesi membri;
    la politica economica europea ha tracciato una road map che nei fatti ha condizionato gli interventi dei Governi nazionali, incidendo in modo rilevante sul loro operato;
    l'euro è una moneta rigida, sopravvalutata, che, invece di portare stabilità, maggiore crescita, calo della disoccupazione e tanti altri effetti positivi, ha comportato effetti contrari, ovvero disoccupazione, recessione e crisi sociali. L'euro non è più una risorsa, ma un intralcio che tanti danni ha creato;
    la cessione di sovranità dagli Stati nazionali verso l'Unione europea, in nome di un alto ideale comunitario e di una solidarietà economica tra zone più e meno floride dell'Unione stessa, si sta tramutando in una delega all'eurocrazia a decidere della vita dei cittadini, del sistema di diritti, di welfare, di previdenza in nome dell'unico idolo del rigore e della stabilità dei mercati finanziari;
    è ormai inaccettabile che gli Stati più ricchi dell'eurozona impongano regole di politica economica a tutti gli altri Stati membri, regole che vanno ad incidere sui cittadini, in particolare del nostro Paese, che sono costretti a continui sacrifici in nome di un'Europa che è sempre più lontana e fredda rispetto alle istanze delle popolazioni;
    mentre a parole si manifesta la volontà di andare verso un processo di integrazione europea, di favorire la sussidiarietà ed aprire una fase nuova per rinnovare le basi dell'Unione europea, in realtà i Governi più forti a livello europeo stanno creando le premesse per un'Europa più a loro vantaggio;
    l'Italia è il maggior contributore netto rispetto al proprio prodotto interno lordo, cioè versa al bilancio dell'Unione europea più di quanto riceve e continuerà ad esserlo anche per il periodo pianificato dal nuovo bilancio comunitario 2014-2020;
    nel 2011 il contributo netto dell'Italia è arrivato a -0,38 per cento rispetto al prodotto interno lordo, maggiore in tutta Europa, con Belgio e Olanda, subito dopo a seguire con il -0,36 per cento. Negli ultimi 12 anni l'Italia ha già versato circa 171 miliardi di euro e ne ha ricevuti 111 miliardi di euro, con un saldo negativo di circa 60 miliardi di euro, cioè una perdita netta di circa 5 miliardi di euro all'anno;
    il Consiglio europeo di Fontainebleau del 1984 ha concesso un rimborso (cosiddetto rebate) speciale per la Gran Bretagna dal bilancio della Comunità. Il meccanismo prevede un rimborso al Regno Unito pari al 66 per cento del suo contributo netto, la differenza tra il contributo al bilancio Unione europea e le entrate ottenute. L'abbuono britannico è fissato ogni anno come riduzione del contributo iva per il seguente anno;
    tale abbuono era previsto come compensazione nel Regno Unito per la politica agricola comune, che è costosa per i debitori ed i consumatori britannici di imposta e dalla quale il Regno Unito riceve soltanto un piccolo beneficio;
    la correzione era stata decisa solo per il Regno Unito, che si trovava ben al di sotto della media Unione europea in termini di prosperità pro capite;
    la decisione del Consiglio del 7 giugno 2007 ha confermato l'agevolazione in favore del Regno Unito, così che l'Italia continuerà a versare somme all'Unione europea in misura maggiore di quel che riceve, sebbene la stessa decisione del Consiglio preveda che «nessuno Stato membro si faccia carico di un onore di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa»;
    il meccanismo di rimborso è finanziato da tutti gli altri Stati membri in base alla loro partecipazione al reddito nazionale lordo; quasi il 50 per cento è finanziato da Francia e Italia, mentre per Germania, Paesi Bassi, Austria e Svezia, in virtù di ulteriori correzioni ad hoc, il finanziamento della correzione è limitata al 25 per cento di quanto dovuto;
    nonostante la positiva evoluzione della sua prosperità relativa, il Regno Unito continua a beneficiare di un rimborso parziale dei propri contributi, a differenza di altri contribuenti netti con un livello di prosperità analogo o inferiore;
    l'Italia, insieme ad altri Paesi, continua ad accollarsi una quota – nel 2011 è stata di 700 milioni di euro – dei rimborsi al Regno Unito;
    il risultato di questo sistema è che la distribuzione dell'onere totale tra Stati membri è regressiva, dal momento che gli Stati con reddito minore versano proporzionalmente contributi maggiori rispetto agli Stati con reddito più elevato;
    è necessario un cambiamento urgente, un riesame dell'assetto del bilancio che oramai non è più sostenibile: una riforma da affrontare al più presto;
    il semestre italiano di presidenza rappresenta una grande opportunità. È necessario sfruttare questa occasione per dettare l'agenda politica dell'Europa perché la prossima occasione, a causa dell'allargamento dell'Unione europea attualmente a 28 Paesi, si ripresenterà fra 14 anni e non ci si può permettere di aspettare tanto, anche in considerazione dell'impellente necessità di uscire dalla crisi che porta le nostre aziende e i nostri cittadini a fuggire dal nostro Paese;
    esistono Paesi che, non appartenendo ancora all'Unione europea, perché sono nella fase di pre-adesione – o come la Turchia che ancora non è nemmeno in fase di pre-adesione che ha ricevuto più di 5 miliardi di euro negli anni passati e ne riceverà altri 7 negli anni futuri – beneficiano di cospicui finanziamenti europei per il loro sviluppo. Fondi che vengono sottratti per sostenere i Paesi membri in difficoltà o quantomeno vengono assoggettati al rispetto dei vincoli di bilancio europeo bloccandone la crescita economica e lo sviluppo delle imprese, con ripercussioni sia sui prodotti interni lordi nazionali che su quello europeo,

impegna il Governo:

   ad intervenire nelle opportune sedi europee, cogliendo l'occasione del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, affinché si proceda ad una revisione generale delle politiche di bilancio dell'Unione europea che affronti, in particolare, la questione di una revisione dei criteri di bilancio, che va radicalmente riformato;
   a chiedere, nelle opportune sedi europee, che il caso del minore apporto al bilancio comunitario da parte del Regno Unito, il cosiddetto rebate, venga rinegoziato in quanto è da considerarsi non più sostenibile da parte degli Stati membri e, in particolare, dal nostro Paese;
   a farsi promotore affinché i finanziamenti che gli Stati membri versano al bilancio dell'Unione europea rimangano a disposizione di tali Stati e non vengano elargiti a Paesi che geograficamente fanno parte dell'Europa continentale ma non fanno parte dell'Unione europea, salvo che non siano utilizzati per programmi di natura geopolitica.
(1-00360) «Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».


   La Camera

impegna il Governo:

   ad intervenire nelle opportune sedi europee, cogliendo l'occasione del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, affinché si proceda ad una revisione generale delle politiche di bilancio dell'Unione europea che affronti, in particolare, la questione di una revisione dei criteri di bilancio, che va radicalmente riformato;
   a chiedere, nelle opportune sedi europee, che il caso del minore apporto al bilancio comunitario da parte del Regno Unito, il cosiddetto rebate, venga rinegoziato in quanto è da considerarsi non più sostenibile da parte degli Stati membri e, in particolare, dal nostro Paese;
   a farsi promotore affinché i finanziamenti che gli Stati membri versano al bilancio dell'Unione europea rimangano a disposizione di tali Stati e non vengano elargiti a Paesi che geograficamente fanno parte dell'Europa continentale ma non fanno parte dell'Unione europea, salvo che non siano utilizzati per programmi di natura geopolitica.
(1-00360) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Prataviera, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    il prossimo quinquennio istituzionale europeo sarà cruciale per il rilancio della crescita, in considerazione del fatto che, come evidenziato di recente dal Governatore Draghi, la crisi occupazionale dell'Unione europea monetaria da socio-economica potrebbe diventare istituzionale;
    in tale ambito, il massimo responsabile della Banca centrale europea ha rivolto una particolare attenzione nei riguardi degli Stati membri dell'Unione europea, che presentano evidenti debolezze strutturali ed elevato debito pubblico come l'Italia, affinché, all'interno della governance dell'eurozona, si applichino le regole di bilancio vigenti in modo flessibile, attraverso il contemporaneo avvio di un processo di riforme autentiche e strutturali in grado di rilanciare una crescita sostenibile e duratura;
    all'interno del suesposto scenario, che attesta il perdurare della crisi economica e finanziaria e delle ripercussioni che quest'ultima ha generato sul conseguimento degli obiettivi macroeconomici prefissati, che coinvolgono non soltanto l'Italia, (come confermato dai recenti dati al ribasso sul prodotto interno lordo trimestrale dell'eurozona inclusa la Germania), le politiche di bilancio e gli strumenti finanziari dell'Unione europea, come ad esempio Strategia Europa 2020, (nonostante il documento contenga una serie di obiettivi condivisibili, volti all'individuazione d'interventi nel quadro dei rispettivi programmi nazionali di riforma che ogni anno sono esaminati nell'ambito della procedura del semestre europeo), necessitano un complessivo ripensamento in chiave di alleggerimento;
    le regole di bilancio dell'Unione europea, soprattutto nella parte preventiva, dimostratesi austere e irrigidite dalle prescrizioni di un Trattato internazionale (il Fiscal compact), che non è parte dell'ordinamento comunitario europeo, alla luce dei profondi cambiamenti che la crisi economica ha determinato negli Stati membri, unitamente all'estensione della sorveglianza multilaterale agli squilibri macroeconomici, proposta dalla Commissione europea nel 2011, si sono rivelate, nella realtà, estremamente rigide e spesso di dubbia interpretazione, giudicabili nel complesso in maniera negativa per l'economia reale, avendo determinato un impatto depressivo e di scarsa propensione alla crescita per le imprese e le famiglie;
    l'attuale quadro economico italiano di deflazione, che non si verificava dal 1959 (con uno scenario favorevole completamente diverso da quello attuale ed un tasso di sviluppo all'epoca pari al 7 per cento), rileva come l'incertezza ed i problemi strutturali dell'economia dell'Unione europea permangono tuttora gravi e richiedono la necessità di un'azione politica serrata, da condurre contro l'applicazione acritica di una politica europea errata, attraverso la richiesta di una revisione degli accordi fin qui accettati ed un allentamento delle regole di bilancio;
    in tale ambito, ai sensi dell'articolo 312 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il quadro finanziario pluriennale, (entrato in vigore il 1o gennaio 2014), che fissa in relazione a ciascuna delle grandi aree di spesa dell'Unione europea il massimale degli stanziamenti per il periodo 2014-2020, si è rilevato come l'Italia (con riferimento al prodotto interno lordo) rappresenti il terzo Paese, dopo Germania e Francia, che contribuirà in misura rilevante per i prossimi sette anni al bilancio comunitario, rispetto agli altri Stati membri;
    dal suindicato quadro finanziario pluriennale 2014-2020 è emerso, infatti, come all'interno degli articolati stanziamenti previsti pari a circa 960 miliardi di euro, pari all'1 per cento del reddito nazionale lordo complessivo dei 28 Paesi membri, le corrispondenti risorse finanziarie saranno determinate per il 12,9 per cento dai diritti doganali e dai dazi, per l'11,4 per cento attraverso la quota derivante dal gettito IVA (competenza per l'0,30 per cento dell'Unione europea) e per il 68 per cento invece da quanto versato dai medesimi Stati membri in base al rispettivo reddito nazionale lordo;
    all'interno di tale ripartizione il medesimo quadro finanziario pluriennale prevede il mantenimento fino al 2020 del sistema delle cosiddette «scontistiche», costituito da un obsoleto strumento agevolativo finanziario riservato a determinati Paesi, come la Gran Bretagna, sulla base di una serie di discutibili argomentazioni e parametri contabili riferiti alla politica agricola;
    il Consiglio europeo di Fontainebleau nel giugno del 1984 introdusse, infatti, un meccanismo di correzione dello squilibrio di bilancio britannico, prevedendo che i due terzi della differenza tra la parte del Regno Unito nel gettito IVA e la sua parte nelle spese comunitarie potessero ritornare al medesimo Paese, sotto forma di riduzione della base imponibile IVA britannica; tale sgravio peraltro risulta attualmente posto a carico di tutti gli altri Stati membri secondo la loro parte rispettiva nei versamenti IVA (ad eccezione della Germania che versa solo i due terzi della sua parte normale, mentre il saldo è suddiviso secondo i medesimi criteri tra gli altri Stati membri e per quasi il 50 per cento a carico dell'Italia e della Francia);
    il suesposto ed iniquo beneficio a favore della Gran Bretagna, in considerazione che il contributo britannico al bilancio europeo si è dimostrato sproporzionato rispetto alla sua prosperità relativa, peraltro con riferimento alla scarsa vocazione agricola, è risultato nel corso degli anni particolarmente favorevole al Paese britannico, se si valuta come, dall'anno 2001, in cui si è raggiunto l'importo massimo di 7,3 miliardi di euro, e nei successivi anni sono stati attribuiti «sconti» a favore del Regno Unito per diversi miliardi di euro;
    nonostante siano state inoltrate da parte del nostro Paese e dalla Francia richieste in sede comunitaria per la revisione del cosiddetto «sconto inglese», finalizzate a correggere un rapporto contabile con l'Unione europea evidentemente arbitrario, l'Italia (insieme ad altri Paesi), sebbene non si sia dimostrato un attento fruitore nel corso degli anni dei fondi comunitari strutturali e scarsamente incisivo nelle fasi negoziali, continua ad accollarsi una quota (nel 2011 è stata di 700 milioni di euro) dei rimborsi dell'ormai superato rebate, divenuto non più sostenibile, sia con riferimento alle precarie condizioni della tenuta dei conti pubblici e delle difficoltà degli equilibri di bilancio, che al pesante squilibrio strutturale apertosi con l'Europa, che, di fatto, ha relegato il nostro Paese fra gli ultimi nella scala della ricchezza dell'Unione europea;
    nell'ambito delle considerazioni in precedenza esposte e delle articolate criticità economiche e contabili che riguardano il nostro Paese, l'avvio del semestre di Presidenza italiana all'interno del Consiglio europeo, rappresenta, a tal fine, un importante occasione all'interno della cornice istituzionale comunitaria, per la definizione di un anacronistico meccanismo, ovvero dello «sconto inglese», in quanto se trent'anni fa esso poteva riscontrare una motivazione logica a fronte dell'ingente spesa comune a titolo di politica agricola, attualmente, con una dotazione della Politica agricola comune assolutamente ridotta rispetto agli altri stanziamenti (ed un sistema finanziario dell'Unione europea profondamente rivisitato dal 1984), appare del tutto superato, nonostante nelle prospettive finanziarie 2014-2020 indicate dal quadro finanziario pluriennale continui ad essere attribuito;
    risultano pertanto indifferibili iniziative in sede comunitaria, volte ad interrompere tali accordi estremamente onerosi e non più accettabili nei confronti di una cosiddetta «correzione britannica», che, oltre a non prevedere una data di scadenza, consente al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio dell'Unione europea e l'importo ottenuto dallo stesso bilancio, comportando di riflesso un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri tra cui l'Italia, con manifeste conseguenze negative e penalizzanti per gli equilibri dei conti pubblici e dell'economia reale del nostro Paese, che permane in una fase di estrema criticità;
    appaiono altresì inderogabili interventi volti a compensare l'oneroso accordo internazionale dello «sconto inglese» attraverso l'esclusione dal Patto di stabilità interno delle regioni che effettuano investimenti in favore del settore agricolo e agroindustriale nazionale, in considerazione tra l'altro che l'entità della spesa agricola è diminuita nel corso degli anni e che la nuova programmazione della Politica agricola comune per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per il nostro Paese,

impegna il Governo:

   a prevedere in sede comunitaria iniziative urgenti e necessarie al fine di avviare una rivisitazione complessiva delle politiche di bilancio dell'Unione europea, nonché dei criteri di applicazione della disciplina di bilancio dell'Unione europea contenuti nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al Titolo II, articoli 310 e seguenti, attraverso una maggiore semplificazione delle procedure volte ad una migliore composizione tra tassazione (da ridurre) e spesa pubblica (da ristrutturare) ed un allentamento delle regole in modo più flessibile;
   ad intervenire, nelle medesime sedi europee, nel caso fosse accertato da parte del Regno Unito un minore apporto al bilancio comunitario, attraverso una rinegoziazione automatica del cosiddetto rebate, in considerazione delle numerose criticità esposte in premessa, che evidenziano l'oramai insostenibile onere per gli Stati membri, ed in particolare per il nostro Paese, di rimborsare annualmente quanto previsto dal Consiglio europeo di Fontainebleau nel 1984, il cui sistema delle cosiddette «scontistiche» risulta ancora previsto all'interno del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020;
   ad adottare infine iniziative volte a prevedere l'esclusione dal Patto di stabilità interno in favore delle regioni che effettuino investimenti per il settore agricolo e agroindustriale nazionale, il cui comparto anticiclico, già gravato da un'eccessiva tassazione e da una crisi economica causata anche da fattori climatici sfavorevoli, riveste un ruolo determinante per il prodotto interno lordo del nostro Paese.
(1-00576) «Palese, Faenzi, Russo, Sandra Savino, Abrignani, Alberto Giorgetti, Riccardo Gallo, Ciracì».


   La Camera,
   premesso che:
    il prossimo quinquennio istituzionale europeo sarà cruciale per il rilancio della crescita, in considerazione del fatto che, come evidenziato di recente dal Governatore Draghi, la crisi occupazionale dell'Unione europea monetaria da socio-economica potrebbe diventare istituzionale;
    in tale ambito, il massimo responsabile della Banca centrale europea ha rivolto una particolare attenzione nei riguardi degli Stati membri dell'Unione europea, che presentano evidenti debolezze strutturali ed elevato debito pubblico come l'Italia, affinché, all'interno della governance dell'eurozona, si applichino le regole di bilancio vigenti in modo flessibile, attraverso il contemporaneo avvio di un processo di riforme autentiche e strutturali in grado di rilanciare una crescita sostenibile e duratura;
    all'interno del suesposto scenario, che attesta il perdurare della crisi economica e finanziaria e delle ripercussioni che quest'ultima ha generato sul conseguimento degli obiettivi macroeconomici prefissati, che coinvolgono non soltanto l'Italia, (come confermato dai recenti dati al ribasso sul prodotto interno lordo trimestrale dell'eurozona inclusa la Germania), le politiche di bilancio e gli strumenti finanziari dell'Unione europea, come ad esempio Strategia Europa 2020, (nonostante il documento contenga una serie di obiettivi condivisibili, volti all'individuazione d'interventi nel quadro dei rispettivi programmi nazionali di riforma che ogni anno sono esaminati nell'ambito della procedura del semestre europeo), necessitano un complessivo ripensamento in chiave di alleggerimento;
    le regole di bilancio dell'Unione europea, soprattutto nella parte preventiva, dimostratesi austere e irrigidite dalle prescrizioni di un Trattato internazionale (il Fiscal compact), che non è parte dell'ordinamento comunitario europeo, alla luce dei profondi cambiamenti che la crisi economica ha determinato negli Stati membri, unitamente all'estensione della sorveglianza multilaterale agli squilibri macroeconomici, proposta dalla Commissione europea nel 2011, si sono rivelate, nella realtà, estremamente rigide e spesso di dubbia interpretazione, giudicabili nel complesso in maniera negativa per l'economia reale, avendo determinato un impatto depressivo e di scarsa propensione alla crescita per le imprese e le famiglie;
    l'attuale quadro economico italiano di deflazione, che non si verificava dal 1959 (con uno scenario favorevole completamente diverso da quello attuale ed un tasso di sviluppo all'epoca pari al 7 per cento), rileva come l'incertezza ed i problemi strutturali dell'economia dell'Unione europea permangono tuttora gravi e richiedono la necessità di un'azione politica serrata, da condurre contro l'applicazione acritica di una politica europea errata, attraverso la richiesta di una revisione degli accordi fin qui accettati ed un allentamento delle regole di bilancio;
    in tale ambito, ai sensi dell'articolo 312 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il quadro finanziario pluriennale, (entrato in vigore il 1o gennaio 2014), che fissa in relazione a ciascuna delle grandi aree di spesa dell'Unione europea il massimale degli stanziamenti per il periodo 2014-2020, si è rilevato come l'Italia (con riferimento al prodotto interno lordo) rappresenti il terzo Paese, dopo Germania e Francia, che contribuirà in misura rilevante per i prossimi sette anni al bilancio comunitario, rispetto agli altri Stati membri;
    dal suindicato quadro finanziario pluriennale 2014-2020 è emerso, infatti, come all'interno degli articolati stanziamenti previsti pari a circa 960 miliardi di euro, pari all'1 per cento del reddito nazionale lordo complessivo dei 28 Paesi membri, le corrispondenti risorse finanziarie saranno determinate per il 12,9 per cento dai diritti doganali e dai dazi, per l'11,4 per cento attraverso la quota derivante dal gettito IVA (competenza per l'0,30 per cento dell'Unione europea) e per il 68 per cento invece da quanto versato dai medesimi Stati membri in base al rispettivo reddito nazionale lordo;
    all'interno di tale ripartizione il medesimo quadro finanziario pluriennale prevede il mantenimento fino al 2020 del sistema delle cosiddette «scontistiche», costituito da un obsoleto strumento agevolativo finanziario riservato a determinati Paesi, come la Gran Bretagna, sulla base di una serie di discutibili argomentazioni e parametri contabili riferiti alla politica agricola;
    il Consiglio europeo di Fontainebleau nel giugno del 1984 introdusse, infatti, un meccanismo di correzione dello squilibrio di bilancio britannico, prevedendo che i due terzi della differenza tra la parte del Regno Unito nel gettito IVA e la sua parte nelle spese comunitarie potessero ritornare al medesimo Paese, sotto forma di riduzione della base imponibile IVA britannica; tale sgravio peraltro risulta attualmente posto a carico di tutti gli altri Stati membri secondo la loro parte rispettiva nei versamenti IVA (ad eccezione della Germania che versa solo i due terzi della sua parte normale, mentre il saldo è suddiviso secondo i medesimi criteri tra gli altri Stati membri e per quasi il 50 per cento a carico dell'Italia e della Francia);
    il suesposto ed iniquo beneficio a favore della Gran Bretagna, in considerazione che il contributo britannico al bilancio europeo si è dimostrato sproporzionato rispetto alla sua prosperità relativa, peraltro con riferimento alla scarsa vocazione agricola, è risultato nel corso degli anni particolarmente favorevole al Paese britannico, se si valuta come, dall'anno 2001, in cui si è raggiunto l'importo massimo di 7,3 miliardi di euro, e nei successivi anni sono stati attribuiti «sconti» a favore del Regno Unito per diversi miliardi di euro;
    nonostante siano state inoltrate da parte del nostro Paese e dalla Franciarichieste in sede comunitaria per la revisione del cosiddetto «sconto inglese», finalizzate a correggere un rapporto contabile con l'Unione europea evidentemente arbitrario, l'Italia (insieme ad altri Paesi), sebbene non si sia dimostrato un attento fruitore nel corso degli anni dei fondi comunitari strutturali e scarsamente incisivo nelle fasi negoziali, continua ad accollarsi una quota (nel 2011 è stata di 700 milioni di euro) dei rimborsi dell'ormai superato rebate, divenuto non più sostenibile, sia con riferimento alle precarie condizioni della tenuta dei conti pubblici e delle difficoltà degli equilibri di bilancio, che al pesante squilibrio strutturale apertosi con l'Europa, che, di fatto, ha relegato il nostro Paese fra gli ultimi nella scala della ricchezza dell'Unione europea;
    nell'ambito delle considerazioni in precedenza esposte e delle articolate criticità economiche e contabili che riguardano il nostro Paese, l'avvio del semestre di Presidenza italiana all'interno del Consiglio europeo, rappresenta, a tal fine, un importante occasione all'interno della cornice istituzionale comunitaria, per la definizione di un anacronistico meccanismo, ovvero dello «sconto inglese», in quanto se trent'anni fa esso poteva riscontrare una motivazione logica a fronte dell'ingente spesa comune a titolo di politica agricola, attualmente, con una dotazione della Politica agricola comune assolutamente ridotta rispetto agli altri stanziamenti (ed un sistema finanziario dell'Unione europea profondamente rivisitato dal 1984), appare del tutto superato, nonostante nelle prospettive finanziarie 2014-2020 indicate dal quadro finanziario pluriennale continui ad essere attribuito;
    risultano pertanto indifferibili iniziative in sede comunitaria, volte ad interrompere tali accordi estremamente onerosi e non più accettabili nei confronti di una cosiddetta «correzione britannica», che, oltre a non prevedere una data di scadenza, consente al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio dell'Unione europea e l'importo ottenuto dallo stesso bilancio, comportando di riflesso un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri tra cui l'Italia, con manifeste conseguenze negative e penalizzanti per gli equilibri dei conti pubblici e dell'economia reale del nostro Paese, che permane in una fase di estrema criticità;
    appaiono altresì inderogabili interventi volti a compensare l'oneroso accordo internazionale dello «sconto inglese» attraverso l'esclusione dal Patto di stabilità interno delle regioni che effettuano investimenti in favore del settore agricolo e agroindustriale nazionale, in considerazione tra l'altro che l'entità della spesa agricola è diminuita nel corso degli anni e che la nuova programmazione della Politica agricola comune per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per il nostro Paese,

impegna il Governo:

   a prevedere in sede comunitaria iniziative urgenti e necessarie al fine di avviare una rivisitazione complessiva delle politiche di bilancio dell'Unione europea, nonché dei criteri di applicazione della disciplina di bilancio dell'Unione europea contenuti nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al Titolo II, articoli 310 e seguenti, attraverso una maggiore semplificazione delle procedure volte ad una migliore composizione tra tassazione (da ridurre) e spesa pubblica (da ristrutturare) ed un allentamento delle regole in modo più flessibile;
   ad intervenire, nelle medesime sedi europee, nel caso fosse accertato da parte del Regno Unito un minore apporto al bilancio comunitario, attraverso una rinegoziazione automatica del cosiddetto rebate, in considerazione delle numerose criticità esposte in premessa, che evidenziano l'oramai insostenibile onere per gli Stati membri, ed in particolare per il nostro Paese, di rimborsare annualmente quanto previsto dal Consiglio europeo di Fontainebleau nel 1984, il cui sistema delle cosiddette «scontistiche» risulta ancora previsto all'interno del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020;
   a valutare infine iniziative volte a prevedere l'esclusione dal Patto di stabilità interno in favore delle regioni che effettuino investimenti per il settore agricolo e agroindustriale nazionale, il cui comparto anticiclico, già gravato da un'eccessiva tassazione e da una crisi economica causata anche da fattori climatici sfavorevoli, riveste un ruolo determinante per il prodotto interno lordo del nostro Paese.
(1-00576)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Palese, Faenzi, Russo, Sandra Savino, Abrignani, Alberto Giorgetti, Riccardo Gallo, Ciracì».


   La Camera,
   premesso che:
    all'inizio del processo di integrazione europea, nel 1957, il bilancio dell'allora Comunità economica europea (CEE) era molto modesto e finalizzato a coprire esclusivamente le spese amministrative;
    nel 1965 i pagamenti destinati alla Politica agricola comune (Pac) assorbivano circa il 35,7 per cento del bilancio per arrivare fino al 70,8 per cento nel 1985. Nel 2013 la percentuale della spesa tradizionale della Politica agricola comune (escluso lo sviluppo rurale) è stata pari al 32 per cento;
    contestualmente, nel 1965, la spesa per la politica di coesione era pari al 6 per cento del bilancio, registrando un leggero aumento negli anni a seguire, attestandosi al 10,8 per cento nel 1985. Nel 2013, soprattutto a seguito dell'Atto unico europeo e alle disposizioni ivi contenute che ponevano l'accento sulla coesione economica e sociale, la spesa per la politica di coesione ha rappresentato il 35,7 per cento del bilancio;
    inizialmente i fondi per le altre politiche comunitarie (principalmente i settori della competitività, azioni esterne e sviluppo rurali) erano assai limitati e riguardavano nel 1965 soltanto il 7,3 per cento del bilancio. Nel 2013, la percentuale di spesa per queste politiche è stata pari al 26 per cento delle risorse presenti a bilancio;
    il Consiglio europeo riunito a Fontainebleau (Francia) il 25 e 26 giugno 1984 ha adottato l'accordo così denominato – di Fontainebleau – secondo cui il Regno Unito ottenne il cosiddetto «sconto inglese»; lo sconto venne concesso, dopo che il primo ministro Margaret Thatcher minacciò di fermare i pagamenti al bilancio dell'Unione europea, giungendo ad affermare che: «non stiamo chiedendo soldi alla Comunità o a chiunque altro. Stiamo semplicemente chiedendo di avere i nostri soldi indietro»;
    il vertice di Fontainebleau ha convenuto il diritto di ogni Stato membro, che si assuma un «eccessivo» peso di bilancio rispetto al suo livello di crescita, a beneficiare di un bilancio di «correzione»;
    tecnicamente, lo «sconto inglese» in un dato anno è pari al 66 per cento del contributo netto versato dal Regno Unito nell'anno precedente. La base della correzione è determinata dal divario tra la quota parte dei pagamenti IVA e la quota parte nelle spese effettuate per conto dell'Unione europea;
    il Regno Unito per caratteristiche territoriali e geografiche ha una minore superficie di suolo agricolo utilizzabile e, di conseguenza, ha sempre avuto una minor presenza di aziende agricole;
    all'epoca dell'accordo, il Regno Unito era il terzo membro più povero della Comunità europea, ma allo stesso tempo stava per diventare il più grande contribuente netto al bilancio dell'Unione europea, di cui più del 70 per cento era composto dalla Politica agricola comune;
    tuttavia, ad oggi, il Regno Unito è uno dei Paesi più ricchi dell'Unione europea: più ricco rispetto alla maggior parte dei vecchi Stati membri dell'Unione europea e molto più benestante rispetto ai nuovi membri dell'Unione europea;
    tutti i membri dell'Unione europea pagano lo sconto in proporzione alla dimensione delle loro economie, tuttavia, quattro tra i principali contribuenti netti al bilancio dell'Unione europea – Germania, Paesi Bassi, Svezia e Austria – pagano solo un quarto di ciò che sarebbe altrimenti la loro parte nella «correzione». Il risultato è che Francia e Italia, tra loro, pagano circa la metà del totale dello «sconto inglese»;
    a seguito del Consiglio europeo del dicembre 2005, sul sistema di finanziamento futuro dell'Unione europea, vi è stata una revisione dell'accordo del 1984 a seguito del quale il Regno Unito e la Francia hanno registrato contributi netti all'incirca comparabili nel periodo 2007-2013;
    nello specifico, guardando i dati più recenti, la Germania per il 2011 ha versato 23,7 miliardi di euro e ne ha ricevuti 11,8; la Francia ha versato 19,5 miliardi di euro e ne ha ricevuti 13 e la Gran Bretagna ha versato 14,6 miliardi di euro e ne ha ricevuti 6,75;
    attualmente, i Paesi che beneficiano maggiormente del contributo europeo sono: la Polonia che nel 2011 ha versato 3,5 miliardi di euro e ne ha ricevuti 14,4; l'Ungheria che ha versato 937 milioni di euro e ha ricevuto 5,3 miliardi; la Grecia che ha versato 1,9 miliardi di euro e ne ha ricevuti 6,5 e la Spagna che ha versato 11 miliardi e ne ha ricevuti 13,5;
    l'Italia, per il 2011, ha contribuito al bilancio europeo con poco più di 16 miliardi di euro ed ha ricevuto dall'Unione Europea poco più di 9,5 miliardi di euro. Per l'intero bilancio europeo 2007-2013, quindi, l'Italia ha speso circa 112 miliardi di euro e ne ha avuti indietro circa 66,5;
    il Consiglio dell'Unione europea ha approvato definitivamente, il 2 dicembre 2013, il regolamento relativo al quadro finanziario pluriennale 2014-2020 e l'accordo interistituzionale sulla disciplina di bilancio, la cooperazione in materia di bilancio e la sana gestione finanziaria, che erano stati già approvati dal Parlamento europeo il 19 novembre 2013;
    allegate al regolamento sul quadro finanziario, il Parlamento europeo ha approvato una serie di dichiarazioni su: risorse proprie; miglioramento dell'efficacia della spesa pubblica in ambiti oggetto di intervento dell'Unione europea; integrazione delle questioni di genere; disoccupazione giovanile e potenziamento della ricerca; dichiarazioni nazionali di gestione; riesame/revisione del quadro finanziario pluriennale;
    l'accordo tra Consiglio, Commissione e Parlamento europeo sul quadro finanziario pluriennale 2014-2020 è stato definitivamente raggiunto, a margine del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, riprendendo sostanzialmente i termini del compromesso che era stato definito – limitatamente alla discussione in seno al Consiglio – dal Consiglio europeo del 7 e 8 febbraio 2013, con alcuni modifiche relative essenzialmente alle modalità per la spesa degli stanziamenti per l'occupazione giovanile, ricerca e piccole e medie imprese ed accogliendo alcune condizioni poste dal Parlamento europeo;
    l'accordo prevede un massimale di spesa per l'Unione europea a 28 per il periodo 2014-2020 pari a 959,988 miliardi di euro in stanziamenti per impegni, corrispondente all'1 per cento del reddito nazionale lordo dell'Unione europea e a 908,400 miliardi di euro in stanziamenti per pagamenti, corrispondenti allo 0,95 per cento del reddito nazionale lordo dell'Unione europea;
    le spese saranno suddivise in sei rubriche, di cui due sottorubriche, intese a rispecchiare le priorità politiche dell'Unione: crescita intelligente ed inclusiva (sottorubrica 1a) competitività, 1b) coesione), crescita sostenibile: risorse naturali (di cui: spese di mercato e pagamenti diretti), sicurezza e cittadinanza, ruolo mondiale dell'Europa, amministrazione e compensazioni;
    il Consiglio europeo del dicembre 2013 ha accolto in parte le proposte della Commissione europea volte ad una riforma profonda del sistema di finanziamento, ma ha deciso di mantenere i sistemi di correzione a favore di alcuni Stati membri;
    gli attuali meccanismi di correzione per il Regno Unito continueranno ad applicarsi così come segue: limitatamente al periodo 2014-2020, l'aliquota di prelievo della risorsa propria basata sull'IVA per la Germania, i Paesi Bassi e la Svezia è fissata allo 0,15 per cento; la Danimarca, i Paesi Bassi e la Svezia beneficeranno di riduzioni lorde del proprio contributo del reddito nazionale lordo annuo pari rispettivamente a 130 milioni, 695 milioni e 185 milioni di euro. L'Austria beneficerà di una riduzione lorda del proprio contributo del reddito nazionale lordo annuo pari a 30 milioni di euro nel 2014, a 20 milioni di euro nel 2015 e a 10 milioni di euro nel 2016;
    l'Italia, secondo quanto indicato il 14 febbraio 2013 dal Ministro per gli affari europei pro tempore, Enzo Moavero Milanesi, nel corso dell'audizione presso il Senato della Repubblica sugli esiti del Consiglio europeo del 7 e 8 febbraio 2013, migliorerebbe la sua posizione nell'ambito del cosiddetto «saldo netto» (la differenza tra i contributi dell'Italia al bilancio dell'Unione europea ed i fondi ricevuti) che, pur restando negativo, passerà dagli attuali 4500 milioni di euro l'anno per il periodo 2007-2013, corrispondenti allo 0,28 per cento del reddito nazionale lordo, a 3 850 milioni di euro l'anno per il periodo 2014-2020, corrispondenti allo 0,23 per cento del reddito nazionale lordo, con una riduzione media annuale di 650 milioni di euro per l'intero periodo 2014-2020. L'Italia diverrebbe il terzo minor contribuente netto, dopo Belgio e Spagna. Il miglioramento della situazione del saldo netto dell'Italia è stato ottenuto in gran parte grazie ad un aumento netto delle risorse destinate all'Italia nell'ambito della politica di coesione, in controtendenza rispetto ad una generalizzata riduzione dei finanziamenti (tra l'8 per cento e il 10 per cento a seconda degli Stati membri) per la politica di coesione per gli altri Stati membri;
    è prevista, ulteriormente, una maggiore flessibilità per trasferire, a partire dal 2015, i fondi non utilizzati (stanziamenti di pagamento) da un anno all'altro, con limiti per gli ultimi anni di programmazione (2018: 7 miliardi di euro; 2019: 9 miliardi di euro; 2020: 10 miliardi di euro);
    sono, inoltre, introdotte forme di flessibilità ad hoc per la disoccupazione giovanile, il programma Erasmus e il programma Horizon 2020 per la ricerca;
    è stata prevista la «clausola di revisione» del quadro finanziario pluriennale da esercitare al più tardi entro il 2016, con l'obiettivo di dare al nuovo Parlamento europeo e alla nuova Commissione europea la possibilità di valutare l'adeguatezza delle priorità rispetto alla parte rimanente del periodo di programmazione. Per il successivo ciclo di programmazione (post 2020), la Commissione europea dovrà presentare proposte prima del 1o gennaio 2018, che dovranno prevedere l'allineamento della durata del quadro finanziario pluriennale – attualmente di sette anni – con quella del ciclo politico delle istituzioni europee (5 anni);
    sono stati previsti fuori dal quadro finanziario pluriennale stanziamenti fuori bilancio quali: il fondo di solidarietà, destinato a gravi catastrofi, con uno stanziamento annuale di 500 milioni di euro; lo strumento di flessibilità, destinato a spese impreviste, con uno stanziamento annuale di 471 milioni di euro; la riserva per gli aiuti di emergenza a favore di Paesi terzi (interventi umanitari, gestione civili delle crisi e pressioni migratori), con uno stanziamento di 280 milioni di euro; il fondo europeo di adattamento alla globalizzazione, con uno stanziamento annuale di 150 milioni di euro; il margine per imprevisti, come strumento di ultima istanza per rispondere a circostanze impreviste, con uno stanziamento pari allo 0,03 del reddito nazionale lordo dell'Unione europea; il fondo europeo di sviluppo, a favore dei cosiddetti Paesi ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), con uno stanziamento di 26,984 milioni di euro (a cui l'Italia contribuirà per il 12,53 per cento),

impegna il Governo:

   nel semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, a valutare in sede di Consiglio europeo la riallocazione dei «saldi netti» dei singoli Stati membri, in funzione della clausola di revisione del quadro finanziario pluriennale, per quelle priorità politiche dell'Unione europea, suddivise in rubriche e sottorubriche, le cui dotazioni finanziarie potrebbero rivelarsi insufficienti;
   a valutare, con gli altri Paesi europei, il rifinanziamento in quota parte degli stanziamenti fuori bilancio;
   a rivedere gli attuali meccanismi di correzione, previsti per alcuni Paesi, alla luce delle mutate condizioni macroeconomiche all'interno dell'Unione europea, affinché si determini un'effettiva perequazione delle risorse finanziarie.
(1-00579) «Kronbichler, Scotto, Palazzotto, Marcon, Franco Bordo, Melilla, Pannarale».


   La Camera,
   premesso che:
    per il periodo 2014-2020 il bilancio dell'Unione europea è finanziato secondo un sistema di risorse proprie il cui importo complessivo non può superare annualmente, in termini di pagamenti, l'1,23 per cento e, in termini di impegni, l'1,29 per cento della somma dei redditi nazionali lordi di tutti gli Stati membri;
    le risorse proprie previste per il periodo 2014-2020 sono costituite, in particolare, dalle cosiddette risorse proprie tradizionali (nello specifico i dazi doganali), da una nuova risorsa basata sull'IVA e, in prospettiva, dal gettito dell'imposta sulle transazioni finanziarie, nonché dai contributi versati dagli Stati membri in relazione al rispettivo reddito nazionale lordo;
    il sistema di risorse proprie 2014-2020 contempla, analogamente ai periodi precedenti, meccanismi di correzione, di diversa struttura ed entità, a favore di singoli Stati contributori netti al bilancio europeo, tra cui il Regno Unito, la Germania, i Paesi Bassi, la Svezia, la Danimarca, i Paesi Bassi, la Svezia e l'Austria beneficerà di una riduzione lorda del proprio contributo in relazione al rispettivo reddito nazionale lordo annuo pari a 30 milioni di euro nel 2014, a 20 milioni di euro nel 2015 e a 10 milioni di euro nel 2016;
    in base al nuovo sistema di risorse proprie l'Italia dovrebbe registrare un saldo netto passivo verso l'Unione europea di 3850 milioni di euro l'anno, pari a circa lo 0,23 per cento del reddito nazionale lordo, in sensibile miglioramento rispetto a quello relativo al periodo 2007-2013, che ammontava a 4500 milioni di euro l'anno, corrispondenti allo 0,28 per cento del reddito nazionale lordo. L'Italia dovrebbe pertanto essere il terzo minor contribuente netto, dopo Belgio e Spagna, mentre i maggiori contributori netti – in rapporto al rispettivo reddito nazionale lordo – saranno i Paesi Bassi, la Germania, la Francia, la Svezia e il Regno Unito (con saldi netti passivi pari, rispettivamente, allo 0,39 per cento allo 0,38 per cento e allo 0,33 per cento del reddito nazionale lordo);
    il sistema di risorse proprie 2014-2020 presenta, analogamente ai precedenti, elementi di forte criticità, continuando ad essere in ampia misura finanziato non da autonome e dirette fonti di entrata del bilancio dell'Unione europea, ma basandosi sulla risorsa del reddito nazionale lordo, che si risolve in trasferimenti dagli Stati membri all'Unione europea;
    tale sistema alimenta, per sua natura, la logica del «giusto ritorno», in base alla quale ciascuno Stato membro esige che le risorse da esso versate all'Unione europea siano ad esso riassegnate nell'ambito delle rubriche di spesa previste dal quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea;
    ne consegue, per un verso, la ritrosia degli Stati membri con più elevato reddito nazionale lordo ad acconsentire ad un aumento del volume del bilancio europeo che, per il periodo 2014-2020, dispone di stanziamenti non superiori a 959.988 milioni di euro in impegni, corrispondenti all'1 per cento dei reddito nazionale lordo dell'Unione europea e a 908.400 milioni di euro in stanziamenti per pagamenti, corrispondenti allo 0,95 per cento del reddito nazionale lordo dell'Unione europea. Tale dotazione risulta, per la prima volta nella storia, inferiore a quella prevista per il precedente quadro finanziario pluriennale 2007-2013;
    per l'altro verso, la logica del giusto ritorno incide profondamente sull'allocazione delle risorse dei bilancio europeo tra le varie politiche di spesa, in ragione della misura in cui esse apportano beneficio ai vari Stati membri. In particolare, ne consegue la concentrazione di gran parte del volume della spesa su politiche tradizioni quali l'agricoltura e la coesione, che nel periodo 2014-2020 assorbono oltre i due terzi della dotazione complessiva, mentre sono riservati stanziamenti ridotti alle politiche più direttamente connesse alla competitività, all'innovazione, alla ricerca, nonché alle politiche nello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia;
    nella stessa logica si iscrivono i meccanismi di correzione o sconto dei contributi del Regno Unito e di altri Stati membri che appaiono in evidente contrasto con i principi di solidarietà e coesione economica e sociale dell'Unione europea e non trovano alcuna giustificazione alla luce del livello della prosperità relativa dei Paesi che ne beneficiano. Essi, pertanto, determinano un'evidente distorsione, se non negazione, dei principi e criteri generali su cui si fonda il processo di integrazione europea. La Commissione europea aveva non a caso proposto la progressiva soppressione di ogni correzione per il periodo 2014-2020;
    in sostanza, l'attuale sistema di risorse proprie pregiudica l'allocazione della spesa europea in settori ad alto potenziale di crescita e occupazione, in contrasto con gli obiettivi della Strategia Europa 2020, e non consente all'Unione europea di sviluppare strumenti di intervento adeguato rispetto alle sfide globali che essa deve fronteggiare nei settori dell'immigrazione, della sicurezza energetica e dell'ammodernamento delle infrastrutture;
    tenendo conto dell'inadeguatezza dell'attuale sistema di risorse proprie e del quadro finanziario 2014, è stata prevista, all'atto stesso della loro adozione, una revisione da completare al più tardi entro il 2016, con l'obiettivo di dare al Parlamento europeo (rinnovato dopo le ultime elezioni europee) e alla prossima Commissione europea la possibilità di valutare l'adeguatezza dell'assetto attuale;
    in tale contesto è stata prevista una precisa tabella di marcia, il cui primo passaggio si è realizzato con l'istituzione di un gruppo di alto livello, presieduto dal senatore Mario Monti e composto da membri designati dal Consiglio, dalla Commissione e dal Parlamento europeo, con il compito di rivedere l'attuale sistema dell'Unione europea delle «risorse proprie» in modo da assicurare maggiore semplicità, trasparenza, equità e controllo democratico. Il gruppo dovrà presentare una prima relazione alla fine del 2014;
    l'esito del lavoro del gruppo di alto livello sarà valutato da una conferenza interistituzionale nel 2016 alla quale saranno invitati i Parlamenti nazionali;
    sulla base dei risultati di tale esercizio, la Commissione europea valuterà se saranno necessarie iniziative per nuove risorse proprie per il periodo di programmazione successivo al 2020;
    ferme restando le tappe del processo di revisione intermedia sopra richiamate, appare opportuno che il Governo avvii, in stretto raccordo con il Parlamento e gli altri soggetti interessati, una riflessione sulla posizione che il nostro Paese dovrà assumere in coerenza con l'interesse nazionale e con l'avanzamento del processo di integrazione europea,

impegna il Governo:

   ad avviare, in stretto raccordo con il Parlamento e gli altri soggetti interessati, una riflessione in vista della revisione intermedia, del quadro finanziario e delle risorse proprie dell'Unione europea relative al periodo 2014-2020, tenendo in considerazione, in particolare, i seguenti obiettivi:
    a) progressiva riduzione, in vista di una completa soppressione, della risorsa reddito nazionale lordo, fondata su contributi dei singoli Stati membri al bilancio dell'Unione e sostituzione graduale con autentiche risorse proprie dell'Unione europea, anche mediante l'istituzione di imposte europee che non determinino tuttavia un appesantimento del carico fiscale sull'energia o su altri fattori della produzione essenziali per il rilancio dell'economia europea, in particolare del settore industriale, e siano ispirate a criteri di semplicità, chiarezza e riduzione degli adempimenti per i contribuenti;
    b) soppressione di ogni meccanismo di correzione o sconto a favore di qualsiasi Stato contributore netto;
    c) allocazione della spesa su politiche dell'Unione europea ad elevato potenziale di crescita e occupazione, in particolare nei settori della ricerca, dell'innovazione, dell'occupazione giovanile, della promozione dell'imprenditorialità, dei flussi migratori, delle reti transeuropee dei trasporti e dell'energia, dell'Agenda digitale.
(1-00583) «Galgano, Mazziotti Di Celso».


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione in Europa è negli ultimi anni profondamente mutata e i meccanismi approntati per far fronte alla crisi economico-finanziaria, risultati in parte fallimentari, necessitano di un attento riesame e, con particolare riferimento alla formazione del bilancio europeo, i criteri per la sua predisposizione, entità delle risorse ed obiettivi, necessitano di una profonda revisione a fronte di rinnovate esigenze e nuove sfide da affrontare, anche a livello globale;
    la cosiddetta «correzione britannica» («UK rebate»), che accorda al Regno Unito il rimborso di un importo pari al 66 per cento della differenza tra il suo contributo al bilancio dell'Unione europea e l'importo ottenuto dal bilancio stesso, si fonda sulla decisione del Consiglio europeo di Fontainebleau del 25-26 giugno 1984, con la quale si stabilì, accogliendo le richieste del Regno Unito, che «(...) ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito»;
    gli accordi di Fontainebleau nel lontano 1984 originavano dall'esigenza di compensare un Paese a scarsa vocazione agricola e che, a differenza di Francia e Italia, non usufruiva dei cospicui finanziamenti della nascente politica comune europea. È evidente come le pretese alla base di quegli accordi non siano più attuali e che occorra superare le decisioni che accordarono un vantaggio (confermato anche nel 2007) ad oggi ingiustificato e anacronistico, posto che le risorse europee in materia di Politica agricola comune sono diminuite nel corso degli anni e che la nuova programmazione della Politica agricola comune per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per la spesa agricola per il nostro Paese;
    il meccanismo di sconto in favore della Gran Bretagna, in un contesto economico profondamente mutato, costituisce, di fatto, un ulteriore onere finanziario a carico degli altri Stati membri, finendo per aumentare gli squilibri fra i medesimi; occorre, dunque, superare il criterio del rebate quale è quello previsto per il Regno Unito e ogni forma di regolamentazione che inserisca eccezioni e deroghe nazionali in una logica di negoziazione intergovernativa e bilaterale;
    tuttavia, è importante sottolineare come, pur essendo giusto il superamento di questo anacronistico beneficio in favore di uno sconto per la Gran Bretagna, è fuorviante ritenere che la rimozione di tale specifico vantaggio costituisca la questione dirimente per superare gli squilibri esistenti nell'area euro;
    per un cambio di passo e per una vera svolta nelle politiche europee occorre altro;
    la necessità di avviare una riflessione in sede europea, affinché i meccanismi e i criteri in relazione alla formazione del bilancio europeo siano rinegoziati, è connessa anche all'esigenza di superare l'impostazione di eccessivo rigore determinata dai Paesi membri cosiddetti rigoristi e che ha condotto, nell'ultima programmazione del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, a una contrazione per la prima volta del bilancio comunitario; contrazione solo in parte mitigata – anche grazie alla battaglia italiana – da alcuni interventi correttivi del Parlamento europeo che prevedono una maggiore flessibilità per l'uso delle risorse (possibilità di trasferire da un anno all'altro i fondi non utilizzati e altre previsioni ad hoc per Erasmus e Horizon 2020 per la ricerca, le cui risorse potranno essere mobilitate già nel 2014 e 2015 e i 6 miliardi di euro in favore del programma Youth Guarantee per l'occupazione giovanile, erogati già nei primi due anni del prossimo quadro finanziario pluriennale);
    nei prossimi sette anni la spesa complessiva per l'Unione europea a 28 si ridurrà del 3,4 per cento in termini reali rispetto al periodo 2007-2013. Il budget europeo per il periodo di programmazione 2014-2020 è di 960 miliardi di euro circa (959,988 miliardi di euro), di cui 373,179 miliardi di euro destinati alla Politica agricola comune, 277,851 miliardi di euro per il primo pilastro, 84.936 miliardi di euro per il secondo. Rispetto al precedente periodo di programmazione 2007-2013, il primo pilastro della Politica agricola comune perde il 13 per cento e il secondo l'11 per cento;
    le esigue risorse del bilancio europeo indeboliscono l'Europa e rendono difficile il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di Strategia Europa 2020, con particolare riferimento alle «iniziative faro» per la ricerca, gli investimenti produttivi, la lotta contro la povertà e la disoccupazione e in favore della cittadinanza europea;
    l'insufficienza di risorse per il bilancio dell'Unione europea evidenzia, inoltre, una situazione squilibrata anche per quanto riguarda i cosiddetti saldi netti e la persistente dicotomia fra quanto versato nel bilancio europeo e quanto ricevuto da parte dell'Italia (saldo netto negativo italiano);
    tuttavia, occorre precisare che l'Italia, seppure mantenga ancora un «saldo netto» negativo e abbia peggiorato la sua posizione in termini di prodotto interno lordo pro capite (al dodicesimo posto in Europa), ha tuttavia migliorato la sua posizione nel 2013, divenendo il terzo contributore netto e passando dagli attuali 4.500 milioni di euro l'anno per il periodo 2007-2013 (corrispondenti allo 0,28 per cento del reddito nazionale lordo) a 3.850 milioni di euro l'anno per il periodo 2014-2020 (corrispondenti allo 0,23 per cento del reddito nazionale lordo), con una riduzione media annuale di 650 milioni di euro per l'intero periodo 2014-2020. Il saldo negativo – secondo i dati contenuti nella relazione del 2013 della Corte dei conti al Parlamento sui rapporti finanziari con l'Unione europea – risulta di 5,7 miliardi di euro, a fronte dei 6,6 miliardi di euro del 2011. Il miglioramento è stato ottenuto grazie ad un aumento netto delle risorse destinate all'Italia per la realizzazione di programmi europei nell'ambito della politica di coesione, in controtendenza rispetto ad una generalizzata riduzione dei medesimi finanziamenti per gli altri Stati membri;
    d'altra parte, il saldo negativo italiano deriva in parte anche dal cattivo uso del nostro Paese delle risorse europee – e quindi da problemi italiani e non dell'Europa –, fondi strutturali spesso usati in maniera frammentaria, senza obiettivi e una visione strategica per lo sviluppo del Paese, o peggio non completamente utilizzati, come avvenuto anche nella programmazione conclusasi nel 2013 nella quale si è speso solo circa il 52,7 per cento dei fondi comunitari;
    occorre cogliere l'occasione della Presidenza italiana per il semestre europeo per imprimere un nuovo protagonismo dell'Italia in sede europea e ribaltare complessivamente la logica che fino ad oggi ha caratterizzato le politiche europee, incentrate sull'ossessione dell'austerità e sul rigore dei bilanci pubblici, senza la previsione di risorse a livello europeo in favore di politiche per gli investimenti e la crescita;
    che le politiche di destra imperanti negli ultimi anni in Europa si siano rivelate sbagliate, inefficaci e disastrose, lo confermano i risultati circa l'aumento della disoccupazione giovanile (57,7 per cento, dati Eurostat, luglio 2014), ma soprattutto il calo del prodotto interno lordo in tutta la zona euro: i recenti dati di agosto 2014 indicano che nel secondo trimestre 2014 la Francia è ferma, con crescita zero, per il secondo trimestre consecutivo e per la Germania il prodotto interno lordo scende dello 0,2 per cento nel secondo trimestre 2014 rispetto al trimestre precedente; dati che dicono che la stasi dello sviluppo è un problema europeo. Il problema non è dunque il «caso Italia», ma come invertire la rotta in tutta Europa;
    i recenti dati sul calo del prodotto interno lordo in tutta la zona euro dimostrano che il paradigma del rigore fiscale, non controbilanciato dal rilancio degli investimenti e dal rafforzamento dell'economia reale, non può essere sostenuto. L'unione monetaria europea nella gestione della crisi ha deluso e occorre voltare pagina;
    per tali ragioni va accolto come un primo importante segnale di cambiamento positivo (anche se non sufficiente) l'annuncio del nuovo presidente della Commissione europea Junker per la predisposizione di un piano europeo di investimenti di 300 miliardi di euro in tre anni, per infrastrutture, trasporti, efficienza energetica, ricerca e innovazione. Un programma per la crescita che va sostenuto, anche incalzando il nuovo presidente affinché sia anticipata l'operatività del piano, prima della data annunciata (febbraio 2015), affinché siano indicate, già a partire dal prossimo Consiglio europeo di dicembre 2014, le risorse, anche quelle aggiuntive – visto che quelle indicate nella Banca europea per gli investimenti potrebbero risultare insufficienti – con indicazioni dettagliate di obiettivi e strumenti. Parallelamente, occorre sviluppare nuove capacità finanziarie anche mediante il pieno utilizzo dei project bond, ad oggi ancora a livello sperimentale;
    la battaglia italiana deve incentrarsi su un'interpretazione del patto di stabilità e crescita che tenga conto di una maggiore flessibilità per quanto riguarda il piano di rientro del debito, a fronte di una chiara implementazione delle riforme strutturali che non metta in discussione il rispetto dei vincoli di bilancio (rapporto del 3 per cento fra deficit e prodotto interno lordo), anche per non esporre il nostro Paese a una nuova procedura d'infrazione, e che piuttosto si concentri sulla flessibilità del piano di rientro dal debito;
    la richiesta dell'Italia in favore di una maggiore flessibilità non è il reclamo di uno «sconto» per il nostro Paese, ma è la riaffermazione del rispetto, secondo quanto già prevedono i trattati europei, di un equilibrio tra il rispetto dei vincoli di bilancio e la crescita economica. L'uso di maggiore flessibilità non comporta una modifica delle regole, in quanto margini di flessibilità sono possibili mediante l'applicazione di norme già vigenti, come quelle di cui al regolamento (CE) n. 1466 del 1997, secondo cui se le riforme hanno effetti sulla crescita nel medio periodo è possibile concedere deviazioni temporanee sui conti;
    occorre andare oltre una politica economica restrittiva e prociclica, semplicemente basata sull’austerity e superare le eccessive rigidità delle regole sottese al ciclo europeo del bilancio (six pack, two pack, fiscal compact), per indirizzarsi, finalmente, verso una spesa europea e federale espansiva e di investimento che faccia da contraltare ad una politica di bilancio più convergente e virtuosa a livello nazionale; in questo senso da sempre i firmatari del presente atto di indirizzo avanza proposte per una «europeizzazione» e condivisione dei debiti pubblici dei singoli Stati, e l'emissione di bond europei anche collegati alla costruzione di grandi infrastrutture continentali, all'introduzione di regole per lo scorporo delle spese di investimento dai bilanci pubblici (golden rule), l'inserimento di forme di risorse proprie dell'Unione europea quali la tassa sulle transazioni finanziarie internazionali per rafforzare il bilancio europeo e per fornire risorse da destinare alla crescita e al sostegno delle economie in difficoltà;
    è importante che l'Italia contribuisca, soprattutto in occasione della Presidenza italiana del semestre europeo, ad imprimere una svolta nelle politiche europee orientate allo sviluppo e alla crescita dell'intero continente, superando i forti squilibri esistenti tra i Paesi membri e determinando una diversa agenda politica,

impegna il Governo:

   a sostenere nelle sedi europee l'opportunità di ridefinire le priorità del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, facoltà attribuita al Parlamento europeo e alla Commissione, nelle forme previste dall'articolo 2 del nuovo quadro finanziario pluriennale («clausola di revisione»);
   in occasione di tale revisione di mid term review sul budget e sui criteri di formazione del bilancio europeo, a sostenere la necessità di tener conto della situazione politica ed economica europea profondamente mutata, anche al fine di assicurare un maggiore allineamento fra la programmazione settennale del quadro finanziario pluriennale e le linee politiche espresse dalle istituzioni europee appena rinnovate e di promuovere un monitoraggio della politica agricola comune, unitamente ad un profondo ripensamento della politica agricola comune stessa;
   ad avviare, in occasione del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, una riflessione volta alla modifica dei meccanismi e dei criteri relativi alla predisposizione del bilancio europeo, atteso che la situazione e il contesto europeo, profondamente cambiati rispetto al passato, richiedono un superamento di meccanismi derogatori rispetto al modello del cosiddetto «sconto inglese» (rebate);
   ad attivarsi, in forza della Presidenza di turno dell'Unione europea, affinché la nuova agenda europea sia finalmente contrassegnata da politiche improntate a crescita e investimenti a livello europeo, insistendo affinché il piano europeo di investimenti, annunciato dal presidente Junker, veda definiti risorse, strumenti e allocazione degli investimenti già a partire dal prossimo Consiglio europeo di dicembre 2014.
(1-00587) «Berlinghieri, Albini, Battaglia, Bonomo, Camani, Casellato, Chaouki, Culotta, Gianni Farina, Giachetti, Giulietti, Giuseppe Guerini, Iacono, Manfredi, Moscatt, Ragosta, Scuvera, Vaccaro, Ventricelli».


   La Camera,
   premesso che:
    con l'accordo politico del 27 giugno 2013 i Governi dell'Unione europea hanno convenuto di ridurre a 959,99 miliardi di euro di impegni e a 908 miliardi di euro in termini di pagamenti il massimale di spesa dell'Unione europea a 28, per il periodo 2014-2020. Le risorse impegnabili sono pari all'1 per cento del reddito nazionale lordo degli Stati dell'Unione europea in termini di impegni, rispetto all'1,08 per cento originariamente proposto dalla Commissione europea, configurando così il primo caso nella storia dell'Unione europea in cui il quadro finanziario pluriennale risulta di entità inferiore (oltre il 3 per cento) rispetto all'esercizio settennale precedente;
    si riducono le risorse per le politiche di coesione sociale e territoriale (da 354,8 a 325 miliardi complessivi), mentre più risorse saranno destinate ai capitoli su competitività e crescita (Galileo, Orizzonte 2020, reti di trasporto transfrontaliere): in tale ambito, le risorse passano da 91,5 miliardi di euro del settennato 2007-2013, ai 125,6 miliardi di euro per il periodo 2014-20120. L'Italia mantiene fondi per la coesione, con 29,34 miliardi di euro nel prossimo settennio, contro i 29,38 miliardi di euro dell'esercizio corrente; da segnalare l'attribuzione di maggiori risorse sia nel settennato, sia nel 2014, alle misure legate alla sicurezza e in particolare al potenziamento di Frontex;
    nel bilancio comunitario 2014-2020 le politiche agricole e della pesca assumono ancora un significativo rilievo (dal 42,3 per cento al 38,9 per cento del budget dell'Unione europea): per i prossimi sette anni l'agricoltura europea potrà contare su 410 miliardi di euro e all'Italia spetteranno 33,3 miliardi di euro (di cui 24 miliardi di euro per gli aiuti diretti e 9,3 miliardi di euro per lo sviluppo rurale);
    le istituzioni europee hanno introdotto una serie di disposizioni e meccanismi di flessibilità idonei a rendere il nuovo quadro finanziario pluriennale maggiormente efficace, trasparente e adeguato alle esigenze attuali e future dei cittadini dell'Unione europea;
    il 12 novembre 2013 il Consiglio dei ministri dell'economia e delle finanze dell'Unione europea ha raggiunto l'accordo sul bilancio comunitario per il 2014, aderendo alla proposta iniziale della Commissione europea, che prevedeva impegni per 142,6 miliardi di euro e pagamenti per 135,5 miliardi di euro, leggermente inferiori rispetto a quanto richiesto dal Parlamento; tali accordi sono stati approvati dal Parlamento europeo a fine novembre 2013;
    le tre principali fonti di finanziamento dell'Unione europea sono:
   a) lo 0,73 per cento del reddito nazionale lordo di ciascun Paese membro, un introito che rappresenta i due terzi del bilancio dell'Unione europea. Il calcolo del contributo di ciascun Paese si basa sul principio della solidarietà e della capacità contributiva;
   b) le cosiddette risorse proprie tradizionali, principalmente dazi all'importazione, sui prodotti provenienti da paesi esterni all'Unione europea;
   c) una percentuale della base imponibile armonizzata dell'imposta sul valore aggiunto di ciascun Paese dell'Unione europea;
    secondo i dati forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, nel 2012 l'Italia ha versato all'Unione europea 16,4 miliardi di euro, pari al 12,78 per cento del bilancio comunitario relativo al medesimo anno, in ulteriore aumento rispetto ai 16 miliardi di euro del 2011 (+2,5 per cento), ricevendo invece dal bilancio dell'Unione europea 9,7 miliardi di euro;
    nonostante il tracollo del prodotto interno lordo italiano, solo nel 2012 si registra, non la diminuzione, ma un rallentamento della crescita delle risorse trasferite dall'Italia all'Unione europea; stando ai dati della Ragioneria generale dello Stato, negli ultimi 12 anni l'Italia ha versato circa 171 miliardi di euro e ne ha ricevuti 111, con un saldo negativo di circa 60 miliardi di euro, una differenza di circa 5 miliardi di euro all'anno;
    nell'ambito delle trattative sul riparto sia delle risorse comunitarie, sia dell'apporto degli Stati al bilancio comunitario, si sono registrati trattamenti differenziati che, sostanzialmente, si traducono in trattamenti di favore; grazie alla cosiddetta «correzione britannica», concessa in forza del minor peso che l'agricoltura ha nell'economia inglese (una decisione assunta trent'anni fa, quando l'economia britannica godeva di minori benefici rispetto agli altri Stati membri dalle politiche comunitarie), il Regno Unito continua tutt'oggi a beneficiare di più di 3 miliardi di euro all'anno, di cui 635 milioni di euro pagati dall'Italia;
    l'Italia (insieme ad altri Paesi) continua, inoltre, a sostenere una quota (nel 2011 è stata di 700 milioni di euro) dei rimborsi al Regno Unito per la correzione degli squilibri di bilancio. In base alla decisione del Consiglio del 7 giugno 2007 è stata confermata, infatti, l'agevolazione in favore del Regno Unito, dell'Austria, della Germania e dei Paesi Bassi, che hanno beneficiato di aliquote di prelievo dell'IVA ridotte durante il periodo 2007-2013. Paesi Bassi e Svezia beneficiano di riduzioni lorde dei loro contributi annui basati sul reddito nazionale lordo. Tali agevolazioni vengono ripartite a carico degli altri Stati membri;
    il Fondo per lo sviluppo e la coesione si fonda sull'articolo 3 del Trattato di Roma, che prevede una politica di riavvicinamento delle economie degli Stati; in tal senso il Fondo per lo sviluppo e la coesione assiste i Paesi aventi un reddito nazionale lordo pro capite inferiore al 90 per cento della media comunitaria; con tale meccanismo sono finanziati sia Paesi effettivamente in ritardo di sviluppo (quali Romania, Grecia, Portogallo), sia Paesi che hanno una crescita del prodotto interno lordo nettamente positiva, come Polonia, Irlanda e, dal 2014, la Spagna;
    il Consiglio europeo di Fontainebleau del 1984, nel generalizzare il meccanismo di correzione al bilancio già in vigore per il Regno Unito, ha stabilito che «(...) ogni Stato membro con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito»,

impegna il Governo:

   a considerare, tra le priorità del semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea (nel contempo avviando da subito il dibattito in sede comunitaria), la riforma dei criteri di formazione e di ripartizione del bilancio comunitario, in particolare richiedendo:
    a) la revisione delle modalità di calcolo degli apporti dei singoli Stati al bilancio, secondo criteri che tengano conto del ciclo economico e delle sperequazioni sociali nei singoli Stati;
    b) la revisione dell'attualità di tutti i meccanismi di agevolazione o di maggior favore;
    c) un più massiccio finanziamento delle politiche di coesione sociale e territoriale;
   ad avviare, nell'ambito del semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea e successivamente al rinnovo del Parlamento europeo e della Commissione europea del 2014, una revisione di medio termine del quadro finanziario pluriennale entro il 2016, al fine di consentire un riesame delle priorità e degli stanziamenti per i restanti anni del quadro finanziario, alla luce dei mutamenti negli scenari macroeconomici e negli equilibri politici;
   in merito all'applicazione di molti capitoli della nuova Politica agricola comune, a partire dalle misure transitorie per il 2014, a procedere con la massima celerità agli adempimenti di propria competenza, curando, in particolare, che le risorse vengano utilizzate in modo ottimale.
(1-00589) «Dorina Bianchi, Bernardo».


   La Camera,
   premesso che:
    con la firma dell'accordo raggiunto nel corso del Consiglio europeo del giugno del 1984 si concludeva la lunga disputa relativa all'entità della contribuzione della Gran Bretagna al bilancio comunitario, fortissimamente voluto dal Premier Margaret Thatcher;
    il Governo britannico aveva più volte rimarcato l'esistenza di una notevole sproporzione tra quanto versato e la cifra che invece otteneva sotto forma di finanziamenti comunitari e grazie al citato accordo fu concessa alla Gran Bretagna una riduzione dell'importo della propria contribuzione al bilancio delle Comunità europee;
    l'accordo fu successivamente riconfermato nel corso del vertice di Edimburgo del 1992, allorché fu varata la riforma delle disposizione finanziarie comunitarie (cosiddetto pacchetto Delors II);
    in base alle conclusioni del Consiglio europeo di Fontainebleau fu deciso che ogni Stato membro, con un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità relativa, avrebbe beneficiato di una correzione a tempo debito. La base della correzione sarebbe stata individuata nel divario tra la quota parte dei pagamenti IVA e la quota parte nelle spese, ripartite secondo i criteri vigenti. Per quanto concerne il Regno Unito, penalizzato soprattutto dal settore agricolo, a decorrere dal 1985, l'entità della correzione fu stabilita pari ai due terzi della differenza tra il suo contributo e la quota spettante dal bilancio dell'Unione europea;
    il rebate britannico veniva confermato nel settembre 2000, a conclusione del Consiglio europeo di Berlino, ma venivano introdotte nuove norme per il suo finanziamento e si prevedeva la neutralizzazione di alcuni tipi di guadagni eccezionali, provenienti da modifiche indipendenti dalla correzione britannica, ma che costituiscono comunque un vantaggio per il Regno Unito;
    il Governo inglese ha sempre sostenuto che la necessità del mantenimento del rimborso era dovuto proprio alle mancate riforme strutturali del bilancio comunitario, in particolare al mancato abbattimento delle spese per la Politica agricola comune;
    il sistema di risorse proprie 2014-2020 conferma, come per il passato, meccanismi di correzione a favore degli Stati contributori, non più limitati quindi alla sola Gran Bretagna, ma estesi anche ad altri Paesi;
    le risorse del quadro finanziario pluriennale saranno determinate nella misura del 12,9 per cento da diritti doganali e dazi, dall'11,4 per cento dalla quota derivante dal gettito IVA e dal restante 68 per cento dai contributi versati dai Paesi membri in base al loro reddito nazionale lordo, ma il gruppo guidato da Monti per lo studio di nuove fonti di risorse proprie dell'Unione Europea dovrebbe terminare fra breve i suoi lavori e le sue conclusioni potrebbero essere utilizzate in occasione della revisione di metà termine del bilancio dell'Unione europea;
    il rebate inglese, tuttora previsto dal quadro finanziario pluriennale, se in passato poteva avere una sua giustificazione a fronte di una significativa spesa per la Politica agricola comune, appare del tutto superato dagli eventi e dalla dotazione attuale della Politica agricola comune;
    non solo, il nostro Paese sostiene, insieme alla Francia, gran parte della quota parte del rimborso assegnato alla Gran Bretagna, nonostante non siamo più fra i Paesi con un reddito pro capite superiore a quello medio dell'Unione europea. Tale sistema di correzione, o sconto, non trova quindi nessuna giustificazione visti i differenti livelli di prosperità relativa dei Paesi, vecchi e nuovi, che ne beneficiano;
    la differenza tra quanto versato in termini di contributi al bilancio dell'Unione europea e quanto ricevuto, il cosiddetto saldo netto, è stato sempre negativo per l'Italia, anche se migliorerà tra il periodo 2007-2013 ed il nuovo quadro finanziario 2014-2020;
    il Consiglio europeo del dicembre 2013 ha accolto in parte le proposte della Commissione europea volte ad una riforma profonda del sistema di finanziamento, ma ha deciso di mantenere i sistemi di correzione a favore di alcuni Stati membri;
    è stata prevista altresì una «clausola di revisione» del quadro finanziario pluriennale da esercitare al più tardi entro il 2016, con l'obiettivo di dare al nuovo Parlamento europeo e alla nuova Commissione europea la possibilità di valutare l'adeguatezza delle priorità rispetto alla parte rimanente del periodo di programmazione,

impegna il Governo

a sostenere, nel corso del semestre di Presidenza italiana dell'Unione europea, in vista della revisione di metà termine del bilancio dell'Unione europea e del sistema di finanziamento, l'opportunità di riconsiderare il sistema dei meccanismi di correzione di cui usufruiscono attualmente alcuni partner europei, alla luce delle mutate condizioni macroeconomiche degli stessi e della diversa allocazione delle risorse per la realizzazione delle politiche europee che ne giustificarono l'impiego, garantendo un giusto riequilibrio in favore del nostro Paese.
(1-00597) «Buttiglione, Dellai».


TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE: DELL'ORCO ED ALTRI; D'INIZIATIVA POPOLARE; BENAMATI ED ALTRI; BARUFFI; ABRIGNANI E POLIDORI; ALLASIA ED ALTRI; MINARDO: DISCIPLINA DEGLI ORARI DI APERTURA DEGLI ESERCIZI COMMERCIALI (A.C. 750-947-1042-1240-1279-1627-1809-A/R)

A.C. 750-A/R – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

PARERE CONTRARIO

sugli emendamenti Allasia 1.6, Alfreider 1.54, Allasia 1.160 e 1.161.

NULLA OSTA

sui restanti emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.

A.C. 750-A/R – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

PARERE CONTRARIO

sugli emendamenti 1.166, 3.151, 4.4, 4.155, 4.156, 4.157, 4.159 e sull'articolo aggiuntivo 4.07, in quanto suscettibili di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica privi di idonea quantificazione e copertura;

NULLA OSTA

sulle restanti proposte emendative.

A.C. 750-A/R – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 1.
(Disposizioni in materia di orari di apertura degli esercizi commerciali).

  1. All'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) al comma 1, la lettera d-bis) è sostituita dalla seguente:
   «d-bis) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio nonché quello di chiusura domenicale e festiva, ad eccezione dei seguenti giorni:
    1) il 1o gennaio, primo giorno dell'anno;
    2) il 6 gennaio, festa dell'Epifania;
    3) il 25 aprile, anniversario della Liberazione;
    4) la domenica di Pasqua;
    5) il lunedì dopo Pasqua;
    6) il 1o maggio, festa del lavoro;
    7) il 2 giugno, festa della Repubblica;
    8) il 15 agosto, festa dell'Assunzione della beata Vergine Maria;
    9) il 1o novembre, festa di Ognissanti;
    10) l'8 dicembre, festa dell'Immacolata Concezione;
    11) il 25 dicembre, festa di Natale;
    12) il 26 dicembre, festa di santo Stefano»;
   b) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:
  «1-bis. Ciascun esercente l'attività di vendita al dettaglio può liberamente derogare alle disposizioni di cui al comma 1, lettera d-bis), fino ad un massimo di sei giorni di chiusura obbligatoria, dandone preventiva comunicazione al comune competente per territorio secondo termini e modalità determinati con decreto del Ministro dello sviluppo economico da emanare, sentita l'Associazione nazionale dei comuni italiani, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.
  1-ter. Le tipologie di attività di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e le attività di somministrazione di alimenti e bevande non sono soggette ad alcun obbligo di chiusura domenicale o festiva».

  1-bis. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano a decorrere dal 1o gennaio dell'anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 1 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 1.
(Disposizioni in materia di orari di apertura degli esercizi commerciali).

  Sostituirlo con il seguente:
  Art. 1. – 1. All'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) al comma 1, la lettera d-bis), è abrogata;
   b) il comma 4 è sostituito dal seguente:
  «4. Le regioni, d'intesa con gli enti locali e sentito il parere delle organizzazioni di categoria, adottano un piano per la regolazione degli orari di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali di cui al comma 1, che preveda l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio.
   c) dopo il comma 4, sono aggiunti i seguenti:
  «4-bis. Nel piano, adottato ai sensi del comma 4, sono individuati i giorni e le zone del territorio nei quali gli esercenti possono derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva. Detti giorni comprendono le domeniche del mese di dicembre, nonché ulteriori quattro domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell'anno.
  4-ter. Le regioni e gli enti locali adeguano le proprie disposizioni legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni del presente articolo entro il 31 dicembre 2014.
  4-quater. Sono escluse dall'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo le tipologie di attività di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.114, i piccoli esercizi commerciali ubicati nelle località turistiche e nei piccoli comuni montani, le attività di somministrazione di alimenti e bevande, nonché le attività commerciali balneari e le attività connesse, per i quali l'orario di apertura e chiusura non è soggetto ad alcun obbligo».
1. 6. Allasia.

  Al comma 1, sostituire la lettera a) con la seguente:
   a) al comma 1, la lettera d-bis), è abrogata.

  Conseguentemente:
   1) al medesimo comma, lettera b), sopprimere il capoverso comma 1-bis;
   2) all'articolo 2 , comma 1:

    sopprimere le parole da: ferme restando le disposizioni fino a: come modificato dall'articolo 1, della presente legge, e;
    aggiungere, in fine, le seguenti parole:, fermo restando il rispetto dell'obbligo di chiusura domenicale e festiva delle attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.
1. 58. Allasia.

  Al comma 1, lettera a), capoverso d-bis), alinea, sostituire le parole da: dell'obbligo fino alla fine della lettera, con le seguenti: per un massimo di dodici domeniche l'anno;

  Conseguentemente, al medesimo comma, lettera b):
   sopprimere il capoverso comma 1-bis;
   dopo il capoverso comma 1-ter, aggiungere il seguente:
  1-quater. La violazione delle disposizioni del presente articolo comporta la chiusura immediata dell'esercizio commerciale e il ritiro delle autorizzazioni e delle licenze di attività, nonché il divieto per la stessa ragione sociale di avviare attività analoghe per un periodo di tre anni dalla chiusura.
1. 9. Allasia.

  Al comma 1 lettera a), capoverso d-bis), alinea sostituire le parole da:, dell'obbligo fino a: nonché quello con le seguenti: e dell'obbligo.

  Conseguentemente, al medesimo comma, lettera b), sostituire il capoverso comma 1-bis con il seguente:
  1-bis. Ciascun comune può, per motivate ragioni e caratteristiche socio-economiche e territoriali, sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori, sostituire fino a un massimo di sei giorni festivi di chiusura obbligatoria di cui al comma 1, lettera d-bis) con un pari numero di giorni di chiusura domenicale o festiva.
1. 152. Ricciatti, Ferrara.

  Al comma 1, lettera a), capoverso d-bis), alinea, sopprimere le parole: «domenicale e».

  Conseguentemente, al medesimo comma, lettera b), capoverso 1-bis, dopo le parole: chiusura obbligatoria aggiungere le seguenti: nonché fino a un massimo di dieci giorni di chiusura domenicale.
1. 150. Gebhard.

  Al comma 1, lettera a), capoverso d-bis), alinea, dopo le parole: ad eccezione, aggiungere le seguenti: , anche a tutela dei diritti della famiglia,

  Conseguentemente, al medesimo comma, lettera b), capoverso comma 1-bis, sostituire le parole da: derogare fino a: obbligatoria con le seguenti:, per motivate ragioni e caratteristiche socio-economiche e territoriali, sostituire fino a un massimo di sei giorni di chiusura obbligatoria di cui al comma 1, lettera d-bis), con un pari numero di chiusure domenicali.
1. 168. Da Villa, Della Valle, Dell'Orco, Crippa, Fantinati, Mucci, Prodani, Vallascas, Allasia.

  Al comma 1, lettera a), capoverso d-bis), dopo il numero 12), aggiungere il seguente:
13) quarantotto domeniche l'anno, oltre ai giorni di cui ai punti dall'1) al 12).
1. 164. Della Valle, Allasia, Sberna.

  Al comma 1, lettera a), capoverso d-bis), dopo il numero 12), aggiungere il seguente:
13) dodici domeniche l'anno, oltre ai giorni di cui ai punti dall'1) al 12).
1. 23. Della Valle, Allasia, Sberna.

  Al comma 1, lettera b), sopprimere il capoverso comma 1-bis.

  Conseguentemente dopo il comma 1, aggiungere il seguente:
  1.1. Gli accordi territoriali di cui all'articolo 2 possono derogare alle disposizioni dell'articolo 3, comma 1, lettera d-bis), del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come modificato dal comma 1 del presente articolo, fino a un massimo di sei giorni di chiusura obbligatoria, secondo le modalità che verranno determinate con decreto del Ministero dello sviluppo economico da emanare, sentita l'ANCI, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge.
1. 151. Baruffi, Albanella, Ghizzoni.

  Al comma 1, lettera b), sopprimere il capoverso comma 1-bis.
1. 153. Ricciatti, Ferrara.

  Al comma 1, lettera b), sostituire il capoverso comma 1-bis con il seguente:
  1-bis. Ciascun comune, può, per motivate ragioni e caratteristiche socio-economiche e territoriali, sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti, ampliare il numero dei giorni di cui al comma 1, lettera d-bis), fino alla misura massima del 50 per cento.
1. 163. Da Villa.

  Al comma 1, lettera b), sostituire il capoverso comma 1-bis con il seguente:
  1-bis. Ciascun comune, con deliberazione assunta entro il 31 dicembre dell'anno precedente quello di riferimento, può, per motivate ragioni e caratteristiche socio-economiche e territoriali, sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti, sostituire fino a un massimo di sei giorni festivi di chiusura obbligatoria di cui al comma 1, lettera d-bis), con un pari numero di giorni di chiusura.
1. 162. Da Villa.

  Al comma 1, lettera b), sostituire il capoverso comma 1-bis con il seguente:
  1-bis. Ciascun comune può, per motivate ragioni e caratteristiche socio-economiche e territoriali, sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori, sostituire fino a un massimo di sei giorni festivi di chiusura obbligatoria di cui al comma 1, lettera d-bis), con un pari numero di giorni di chiusura domenicale o festiva.
1. 154. Ricciatti, Ferrara.

  Al comma 1, lettera b), capoverso comma 1-bis, sopprimere la parola: liberamente.
1. 155. Ricciatti, Ferrara.

  Al comma 1, lettera b), capoverso comma 1-bis, sostituire le parole da: liberamente fino a: obbligatoria con le seguenti: sostituire fino a un massimo di sei giorni di chiusura obbligatoria di cui al comma 1, lettera d-bis), con un pari numero di giorni di chiusura festivi.
1. 165. Dell'Orco.

  Al comma 1, lettera b), capoverso comma 1-bis, sostituire le parole: fino ad un massimo con le seguenti: per un minimo.
1. 159. Allasia.

  Al comma 1, lettera b) capoverso comma 1-bis, dopo le parole: sentita l'ANCI aggiungere le seguenti: nonché assicurando il massimo coinvolgimento delle organizzazioni dei lavoratori e dei consumatori.
1. 156. Ricciatti, Ferrara.

  Al comma 1, lettera b), capoverso comma 1-bis, sostituire le parole: entro sessanta giorni con le seguenti: entro trenta giorni.
1. 157. Ricciatti, Ferrara.

  Al comma 1, lettera b), dopo il capoverso comma 1-bis aggiungere il seguente:
  1-bis.1. La disposizione di cui al comma 1-bis non si applica ai punti vendita in cui si esercita come attività principale l'offerta di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, o non sportivi, e i locali dove sono installati apparecchi idonei per il gioco lecito previsti dall'articolo 110, comma 6, lettere a) e b) del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni.
1. 166. Mantero, Baroni.

  Al comma 1, lettera b), sostituire il capoverso comma 1-ter con il seguente:
  1-ter. Sono escluse dall'applicazione delle disposizioni di cui alla lettera d-bis) le seguenti tipologie di attività: le rivendite di generi di monopolio; gli esercizi di vendita interni ai campeggi, ai villaggi e ai complessi turistici e alberghieri; gli esercizi di vendita al dettaglio situati nelle aree di servizio lungo le autostrade, nelle stazioni ferroviarie, marittime ed aeroportuali; le rivendite di giornali; le gelaterie e gastronomie; le rosticcerie e le pasticcerie; le sale cinematografiche; le stazioni di servizio autostradali; i negozi che effettuano la vendita al dettaglio esclusiva e prevalente di stampe, cartoline, articoli da ricordo e artigianato locale nonché le attività di somministrazione di alimenti e bevande e alle attività connesse.
1. 41. Allasia.

  Al comma 1, lettera b), dopo il capoverso comma 1-ter aggiungere il seguente:
  1-quater. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel disciplinare con proprie leggi gli orari di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali, possono prevedere la chiusura domenicale e festiva con facoltà di deroga, tenendo conto delle peculiarità socio-culturali, ambientali e dell'attrattività turistica dei propri territori e bilanciando i diversi interessi costituzionalmente rilevanti, ivi compreso l'imprescindibile rispetto dei diritti fondamentali delle persone-lavoratori in tutte le sue esplicazioni, e nel rispetto dei vincoli comunitari.
1. 54. Alfreider, Gebhard, Plangger, Schullian, Ottobre.

  Al comma 1, lettera b), dopo il capoverso comma 1-ter aggiungere il seguente:
  1-quater. Ciascuna regione può, per motivate ragioni e caratteristiche socio-economiche e territoriali, sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti, individuare fino a un massimo di ulteriori 48 giorni festivi di chiusura obbligatoria rispetto a quelli individuati al comma 1.
1. 160. Allasia.

  Al comma 1, lettera b), dopo il capoverso comma 1-ter, aggiungere il seguente:
  1-quater. Ciascuna regione può, per motivate ragioni e caratteristiche socio-economiche e territoriali, sentite le organizzazioni dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti, individuare fino a un massimo di ulteriori 36 giorni festivi di chiusura obbligatoria rispetto a quelli individuati al comma 1.
1. 161. Allasia.

   Sopprimere il comma 1-bis.
*1. 158. Ricciatti, Ferrara.

   Sopprimere il comma 1-bis.
*1. 167. Vignali.

A.C. 750-A/R – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 2.
(Accordi territoriali).

  1. Ciascun comune, anche in coordinamento con altri comuni contigui, in particolare nelle aree metropolitane, secondo le previsioni di cui ai commi da 2 a 5, può predisporre accordi territoriali non vincolanti per la definizione degli orari e delle chiusure degli esercizi commerciali, ferme restando le disposizioni di cui ai commi 1 e 1-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, e nel rispetto dell'interesse pubblico generale, al fine di assicurare elevati livelli di fruibilità dei servizi commerciali da parte dei consumatori e degli utenti, di promuovere un'offerta complessiva in grado di aumentare l'attrattività del territorio e di valorizzare specifiche zone aventi più marcata vocazione commerciale, anche attraverso l'integrazione degli orari degli esercizi relativi a funzioni e servizi affini e complementari, fornendo agli operatori indicazioni su possibili interventi atti a migliorare l'accesso e la fruibilità dei servizi da parte dei consumatori e degli utenti.
  2. Gli accordi territoriali di cui al comma 1 sono adottati per la prima volta entro il 28 febbraio dell'anno successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e sono eventualmente aggiornati mediante la procedura di cui al comma 3.
  3. Per la predisposizione degli accordi territoriali di cui al comma 1, i comuni consultano le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti e, almeno sessanta giorni prima della data di entrata in vigore dell'accordo, avviano, anche in forma telematica, la consultazione pubblica della popolazione residente, che deve terminare entro il trentesimo giorno antecedente la data di inizio dell'applicazione dell'accordo.
  4. Sulla base degli accordi territoriali di cui al comma 1, i comuni predispongono un documento informativo sugli orari dei servizi destinati ai consumatori e degli esercizi commerciali, esistenti nel rispettivo territorio. Tale documento è redatto sulla base delle informazioni rese disponibili dagli operatori, dalle loro organizzazioni di categoria o da altre fonti.
  5. Al fine di favorire l'adesione agli accordi territoriali di cui al comma 1 da parte delle micro, piccole e medie imprese del commercio, come individuate dalla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, le regioni e i comuni possono stabilire incentivi, anche sotto forma di agevolazioni fiscali relative ai tributi di propria competenza.
  6. Nel rispetto del principio della libera concorrenza e ai fini del coordinamento degli accordi territoriali di cui al comma 1, le regioni, previa consultazione delle organizzazioni regionali rappresentative delle categorie di cui al comma 3, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, definiscono:
   a) criteri, parametri e strumenti per l'individuazione di aree ove gli accordi territoriali in materia di orari degli esercizi commerciali possono essere adottati in forma coordinata tra i comuni interessati;
   b) i criteri generali di determinazione e coordinamento degli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici della pubblica amministrazione, dei pubblici esercizi commerciali e turistici, delle attività culturali e dello spettacolo, dei trasporti.

  7. Ciascuna regione istituisce un osservatorio, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con il compito di verificare gli effetti derivanti dall'attuazione dei commi da 1 a 6 del presente articolo, nonché dall'articolo 1 della presente legge. All'osservatorio partecipano rappresentanti delle amministrazioni pubbliche regionali e locali competenti, delle organizzazioni di rappresentanza delle imprese e dei lavoratori dei settori interessati e dei consumatori. Al funzionamento degli osservatori di cui al presente comma si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. La partecipazione agli osservatori non dà luogo alla corresponsione di compensi, gettoni, emolumenti, indennità o rimborsi di spese comunque denominati.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 2 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 2.
(Accordi territoriali).

  Al comma 1, sostituire le parole da:, in particolare fino a: predisporre accordi territoriali con le seguenti:, nonché nell'ambito dell'esercizio associato delle funzioni fondamentali, in particolare nelle aree metropolitane, secondo le previsioni di cui ai commi da 2 a 5, può predisporre accordi.

  Conseguentemente:
   al comma 2, sopprimere la parola: territoriali;
   al comma 3, sopprimere la parola: territoriali;
   al comma 4:
    sopprimere la parola:
territoriali;
    dopo le parole: i comuni predispongono un documento informativo aggiungere le seguenti: mediante supporto informatico e pubblicato sul sito istituzionale dell'ente;
   al comma 5, sopprimere la parola: territoriali;
   al comma 6:
    alinea, sopprimere la parola: territoriali;
    lettera a), sopprimere la parola: territoriali;
    lettera b), premettere le parole: d'intesa con l'ANCI regionale,;
   alla rubrica, sopprimere la parola: territoriali.
2. 10. Ricciatti, Ferrara.

  Al comma 1, dopo le parole: accordi territoriali sopprimere la parola: non. 
*2. 15. Lacquaniti.

  Al comma 1, dopo le parole: accordi territoriali sopprimere la parola: non. 
*2. 150. Baruffi, Albanella, Ghizzoni.

  Al comma 3, sostituire le parole: dei lavoratori dipendenti con le seguenti: le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
2. 151. Lacquaniti.

  Al comma 3, sopprimere la parola: dipendenti.
2. 21. Ricciatti, Ferrara.

  Al comma 7, primo periodo, sostituire la parola: istituisce con le seguenti: può istituire.
2. 152. Montroni, Taranto.
(Approvato)

A.C. 750-A/R – Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 3.
(Poteri del sindaco e sanzioni).

  1. All'articolo 50, comma 7, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il sindaco, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, definisce inoltre, per un periodo non superiore a tre mesi, gli orari di apertura dei pubblici esercizi e delle attività commerciali e artigianali, in determinate zone del territorio comunale interessate da fenomeni di aggregazione notturna, qualora esigenze di sostenibilità ambientale o sociale, di tutela dei beni culturali, di viabilità o di tutela del diritto dei residenti alla sicurezza o al riposo, alle quali non possa altrimenti provvedersi, rendano necessario limitare l'afflusso di pubblico in tali zone e orari.».
  2. La violazione delle disposizioni di cui all'articolo 1 della presente legge è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro 12.000 e, in caso di particolare gravità e recidiva, con la sanzione accessoria della chiusura dell'esercizio da uno a dieci giorni. La recidiva si verifica qualora la violazione delle disposizioni di cui all'articolo 1 della presente legge sia stata commessa per due volte in un anno, anche se il responsabile ha proceduto al pagamento della sanzione mediante oblazione ai sensi dell'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 3 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 3.
(Poteri del sindaco e sanzioni).

  Sostituire il comma 1 con il seguente:
  1. All'articolo 50, comma 7, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il sindaco coordina e riorganizza, inoltre, gli orari di apertura dei pubblici esercizi e delle attività commerciali, artigianali e industriali, in determinate zone del territorio comunale, qualora documentate esigenze di sostenibilità ambientale o sociale, di tutela dei beni culturali, di viabilità o di tutela del diritto dei residenti alla sicurezza o al riposo rendano necessario limitare l'afflusso di pubblico in tali zone e orari. Inoltre, sulla base delle medesime esigenze, il sindaco può altresì limitare la vendita di determinate categorie merceologiche, delimitandone gli orari, in determinate zone del territorio comunale».
3. 150. Ricciatti, Ferrara.

  Al comma 1, dopo le parole: commerciali ed artigianali aggiungere le seguenti: ivi inclusi i punti vendita in cui si esercita come attività principale l'offerta di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, o non sportivi, e i locali dove sono installati apparecchi idonei per il gioco lecito previsti dall'articolo 110, comma 6, lettere a) e b) del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni.
3. 151. Mantero, Baroni.

  Al comma 1, dopo le parole: qualora esigenze di aggiungere le seguenti: sicurezza pubblica.

  Conseguentemente, al medesimo comma, sostituire le parole: diritto dei residenti alla sicurezza o al riposo con le parole: diritto dei residenti al riposo.
3. 15. Misuraca.

  Al comma 2, primo periodo, sostituire le parole: da euro 2.000 a euro 12.000 e, in caso di particolare gravità e recidiva, con le seguenti: da euro 10.000 a euro 30.000 e.

  Conseguentemente, al medesimo comma, sopprimere il secondo periodo.
3. 24. Allasia.

  Al comma 2, primo periodo, sostituire le parole: da euro 2.000 a euro 12.000 con le seguenti: da euro 10.000 a euro 30.000.
3. 152. Vignali.

A.C. 750-A/R – Articolo 4

ARTICOLO 4 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 4.
(Istituzione di un Fondo per il sostegno delle micro, piccole e medie imprese del commercio).

  1. Presso il Ministero dello sviluppo economico è istituito il Fondo per il sostegno delle micro, piccole e medie imprese del commercio. Tale Fondo è destinato alle imprese rientranti nella definizione di «esercizi di vicinato» di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.
  1-bis. Ai fini del finanziamento del Fondo di cui al comma 1, sono autorizzate la spesa di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2020 per l'erogazione dei contributi di cui alla lettera a) del comma 2 e la spesa di 3 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015 per l'erogazione dei contributi di cui alla lettera b) del medesimo comma 2.
  2. Il Fondo di cui al comma 1 è utilizzato, nei limiti delle risorse ivi iscritte, per il finanziamento:
   a) di contributi per le spese sostenute per l'ampliamento dell'attività, per la do- tazione di strumentazioni nuove e di sistemi di sicurezza innovativi, nonché per l'accrescimento dell'efficienza energetica;
   b) di contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione dovuti ai proprietari degli immobili, di proprietà sia pubblica sia privata, e di contributi per l'acquisizione di servizi.

  3. Il Ministro dello sviluppo economico, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce, con proprio decreto, nei limiti delle risorse iscritte nel Fondo di cui al comma 1, i requisiti per beneficiare dei contributi di cui al comma 2 e i criteri per la determinazione dell'entità degli stessi.
  4. Le risorse assegnate al Fondo di cui al comma 1 sono ripartite tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. La ripartizione è effettuata ogni anno, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, anche in rapporto alla quota delle risorse messe a disposizione dalle singole regioni e province autonome.
  4-bis. Agli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 18 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2020 e a 3 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021, si provvede:
   a) quanto a 3 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per gli anni 2015 e 2016, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2014-2016, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2014, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero;
   b) quanto a 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2020, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per gli anni 2015 e 2016, dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2014-2016, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2014, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

  4-ter. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 4 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 4.
(Istituzione di un Fondo per il sostegno delle micro, piccole e medio imprese del commercio).

  Al comma 1, primo periodo, sostituire le parole da:, piccole e medie fino alla fine del comma con le seguenti: imprese attive nel settore del commercio al dettaglio, come definite dall'articolo 2, paragrafo 1, dell'allegato alla raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE, del 6 maggio 2003.

  Conseguentemente, alla rubrica, sostituire le parole:, piccole e medie imprese del commercio con le seguenti: imprese attive nel settore del commercio al dettaglio.
*4. 150. Da Villa, Della Valle, Dell'Orco, Crippa, Mucci, Fantinati, Prodani, Vallascas.

  Al comma 1, primo periodo, sostituire le parole da:, piccole e medie fino alla fine del comma con le seguenti: imprese attive nel settore del commercio al dettaglio, come definite dall'articolo 2, paragrafo 1, dell'allegato alla raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE, del 6 maggio 2003.

  Conseguentemente, alla rubrica, sostituire le parole:, piccole e medie imprese del commercio con le seguenti: imprese attive nel settore del commercio al dettaglio.
*4. 152. Taranto, Montroni, Vignali.

  Al comma 1, primo periodo, sostituire le parole da:, piccole e medie fino alla fine del comma con le seguenti: imprese attive nel settore del commercio al dettaglio, come definite dall'articolo 2, paragrafo 3, dell'allegato alla raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE, del 6 maggio 2003.

  Conseguentemente, alla rubrica, sostituire le parole:, piccole e medie imprese del commercio con le seguenti: imprese attive nel settore del commercio al dettaglio.
*4. 150. (Testo modificato nel corso della seduta) Da Villa, Della Valle, Dell'Orco, Crippa, Mucci, Fantinati, Prodani, Vallascas.
(Approvato)

  Al comma 1, primo periodo, sostituire le parole da:, piccole e medie fino alla fine del comma con le seguenti: imprese attive nel settore del commercio al dettaglio, come definite dall'articolo 2, paragrafo 3, dell'allegato alla raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE, del 6 maggio 2003.

  Conseguentemente, alla rubrica, sostituire le parole:, piccole e medie imprese del commercio con le seguenti: imprese attive nel settore del commercio al dettaglio.
*4. 152. (Testo modificato nel corso della seduta) Taranto, Montroni, Vignali.
(Approvato)

  Al comma 1, primo periodo, sostituire le parole:, piccole e medie imprese con le seguenti: e piccole imprese.

  Conseguentemente, alla rubrica, sostituire le parole:, piccole e medie imprese con le seguenti: e piccole imprese.
4. 153. Allasia.

  Al comma 1, secondo periodo, aggiungere, in fine, le parole: nonché in favore dei comuni, sottoscrittori degli accordi non vincolanti, ai fini dell'attuazione della presente legge.

  Conseguentemente, alla rubrica, dopo la parola: commercio aggiungere le seguenti: e dei comuni aderenti agli accordi.
4. 2. Ricciatti, Ferrara.

  Al comma 1, secondo periodo, aggiungere, in fine, le parole: e di «somministrazione al pubblico di alimenti e bevande» di cui alla legge 25 agosto 1991, n. 287, con priorità per le imprese aventi sede nei centri urbani che si associno, anche mediante le proprie organizzazioni imprenditoriali, per la realizzazione di programmi di qualificazione della rete commerciale finalizzati alla creazione di infrastrutture e servizi adeguati alle esigenze dei consumatori.
4. 154. Da Villa.

  Al comma 1-bis, sopprimere le parole: di euro 15 milioni per ciascuno degli anni dal 2015 al 2020 per l'erogazione dei contributi di cui alla lettera a) del comma 2 e.

  Conseguentemente, al comma 2:
   sopprimere la lettera
a);
   al comma 4-bis:
    alinea, sostituire le parole da: 18 milioni fino a: dall'anno 2021 con le seguenti: 3 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015;
    sopprimere la lettera b).
4. 151. Lenzi, Giampaolo Galli.

  Al comma 1-bis, sostituire le parole: 15 milioni con le seguenti: 25 milioni.

  Conseguentemente, al comma 4-bis:
   alinea, sostituire le parole: 18 milioni con le seguenti: 28 milioni;
   dopo la lettera b) aggiungere la seguente:
   c) quanto a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 al 2020, mediante disposizioni volte a modificare la misura del prelievo erariale unico, attualmente applicato sui giochi ed eventuali addizionali, nonché la percentuale del compenso per le attività di gestione ovvero per quella dei punti vendita al fine di conseguire un maggior gettito non inferiore a 10 milioni di euro annui; entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero dell'economia e finanze-Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, è autorizzato ad emanare, con propri decreti dirigenziali, le suddette modifiche.
4. 156. Dell'Orco, Crippa, Da Villa, Fantinati, Vallascas, Mucci, Della Valle, Prodani.

  Al comma 1-bis, sostituire le parole: 15 milioni con le seguenti: 25 milioni.

  Conseguentemente, al comma 4-bis:
   alinea, sostituire le parole: 18 milioni con le seguenti: 28 milioni;
   dopo la lettera b) aggiungere la seguente:
   c) quanto a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 al 2020, mediante le seguenti modifiche all'articolo 1, comma 1284-ter, della legge 27 dicembre 2006, n. 296,:
    a) al primo periodo, le parole: «0,5 centesimi» sono sostituite da «0,6 centesimi»;
    b) all'ultimo periodo, le parole: «Le entrate derivanti dal contributo di cui al presente comma sono destinate» sono sostituite dalle seguenti: «Una quota delle entrate, corrispondente al contributo in misura pari a 0,5 centesimi di euro, è destinata al Fondo di cui al comma 1»;
    c) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono disciplinate le modalità di applicazione e di versamento del contributo di cui al presente comma».
4. 157. Crippa, Dell'Orco, Da Villa, Fantinati, Vallascas, Mucci, Della Valle, Prodani.

  Al comma 1-bis, sostituire le parole: 15 milioni con le seguenti: 25 milioni.

  Conseguentemente, dopo il comma 4-bis, aggiungere il seguente:
  4-ter. Gli enti pubblici non economici inclusi nell'elenco di cui all'articolo 1, comma 2, delle legge del 31 dicembre 2009, n. 196, con esclusione degli ordini professionali e loro federazioni, delle federazioni sportive, degli enti operanti nei settori della cultura e della ricerca scientifica, degli enti la cui funzione consiste nella conservazione e nella trasmissione della memoria della Resistenza e delle deportazioni, anche con riferimento alla legge del 20 luglio 2000, n. 211, istitutiva della Giornata della memoria e della legge 30 marzo 2004, n. 92, istitutiva del Giorno del ricordo, nonché delle autorità portuali e degli enti parco, sono soppressi al sessantesimo giorno dall'entrata in vigore del presente decreto, nel limite di 10 milioni di euro, per gli anni dal 2014 al 2020. Sono esclusi dalla soppressione gli enti, di particolare rilievo, identificati con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e, per il settore di propria competenza, con decreto del Ministro dei beni culturali, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le funzioni esercitate da ciascun ente soppresso sono attribuite all'amministrazione vigilante, ovvero, nel caso di pluralità di amministrazioni vigilanti, a quella titolare delle maggiori competenze nella materia che ne è oggetto. L'amministrazione così individuata succede a titolo universale all'ente soppresso, in ogni rapporto, anche controverso, e ne acquisisce le risorse finanziarie, strumentali e di personale. I rapporti di lavoro a tempo determinato, alla prima scadenza successiva alla soppressione dell'ente, non possono essere rinnovati o prorogati. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze le funzioni commissariali di gestioni liquidatorie di enti pubblici ovvero di stati passivi, riferiti anche ad enti locali, possono essere attribuite a società interamente possedute dallo Stato.
4. 155. Dell'Orco.
(Inammissibile limitatamente alla parte consequenziale)

  Al comma 2, lettera a), aggiungere, in fine, le parole: comprese tutte le spese imposte dagli istituti bancari, sia fisse che variabili, come la strumentazione necessaria, le commissioni per la singola transazione e quelle relative al numero di transazioni, sostenute per i pagamenti tramite POS.
4. 158. Crippa, Dell'Orco, Vallascas, Mucci, Della Valle, Prodani, Fantinati.

  Al comma 2, lettera a), dopo le parole: strumentazioni nuove aggiungere le seguenti: comprese quelle necessarie per i pagamenti tramite moneta elettronica.
4. 158. (Testo modificato nel corso della seduta) Crippa, Dell'Orco, Vallascas, Mucci, Della Valle, Prodani, Fantinati.
(Approvato)

  Al comma 2, dopo la lettera b), aggiungere la seguente:
   c) di iniziative da parte degli operatori a favore dei consumatori per garantire a questi ultimi maggiori servizi e una migliore fruibilità degli stessi.
4. 4. Misuraca.

  Al comma 4-bis, alinea, sostituire le parole: 18 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2020 e a 3 milioni di euro con le seguenti: 250 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2020 e a 50 milioni di euro.

  Conseguentemente, al medesimo comma:
   lettera
a), sostituire le parole: 3 milioni con le seguenti: 50 milioni;
   lettera b), sostituire le parole: 15 milioni con le seguenti: 200 milioni.
4. 159. Allasia.

  Dopo l'articolo 4, aggiungere il seguente:
  Art. 5. – 1. Ai sensi del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, gli enti locali possono emettere dei buoni spesa per il sostegno del reddito delle famiglie.
  2. I buoni spesa di cui al comma 1, previo accordo con le organizzazioni delle imprese del commercio, consentono ai titolari di acquisire, a fronte di un contributo finanziario personale pari ad almeno il 15 per cento o il 20 per cento di usufruire per il pagamento di una percentuale di beni e servizi erogati dagli esercizi commerciali nel territorio comunale.
4. 06. Sibilia.
(Inammissibile)

  Dopo l'articolo 4, aggiungere il seguente:
  Art. 5. 1. Gli esercizi di vicinato di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, possono accedere ai finanziamenti di cui all'articolo 1, comma 5-ter, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98.
4. 07. Sibilia.

  Dopo l'articolo 4, aggiungere il seguente:
  Art. 5. 1. La maggiorazione del compenso spettante ai lavoratori del settore del commercio per le ore di lavoro prestate come lavoro straordinario festivo nelle domeniche e nei giorni festivi non può essere inferiore alla misura del 50 per cento della quota oraria della retribuzione contrattuale.
  2. Ai sensi dell'articolo 1339 del codice civile, la disposizione di cui al comma 1 si applica a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.
4. 0150. Dell'Orco.