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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 24 settembre 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 24 settembre 2014.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Balduzzi, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carinelli, Casero, Castiglione, Catania, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Costa, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Battista, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Di Salvo, Epifani, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Merlo, Meta, Mogherini, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Turco, Valeria Valente, Velo, Vito, Zanetti.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Balduzzi, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carinelli, Casero, Castiglione, Catania, Cicchitto, Cirielli, Colonnese, Costa, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Battista, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Di Salvo, Epifani, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Merlo, Meta, Mogherini, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Turco, Valeria Valente, Velo, Vito, Zanetti.

Annunzio di una proposta di legge.

  In data 23 settembre 2014 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa dei deputati:
   COLLETTI ed altri: «Modifiche alla legge 31 dicembre 2012, n. 247, in materia di ordinamento della professione forense» (2643).

  Sarà stampata e distribuita.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge GARAVINI ed altri: «Modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli» (360) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Malisani.

  La proposta di legge costituzionale ZANETTI: «Determinazione di limiti per i vitalizi dei membri del Parlamento e dei consigli regionali cessati dal mandato e per le retribuzioni per uffici e incarichi presso le pubbliche amministrazioni» (1978) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Sottanelli.

Ritiro di una sottoscrizione a una proposta di legge.

  Il deputato Centemero ha comunicato di ritirare la propria sottoscrizione alla proposta di legge:
   GARAVINI ed altri: «Modifiche al codice civile in materia di cognome dei coniugi e dei figli» (360).

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   VI Commissione (Finanze):

  CONSIGLIO REGIONALE DELLA TOSCANA: «Introduzione del principio di separazione bancaria» (2597) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, X e XIV.
   VII Commissione (Cultura):

  ASCANI ed altri: «Introduzione dell'insegnamento di educazione e cittadinanza digitale nelle scuole primaria e secondaria» (2291) Parere delle Commissioni I, V, IX, XI, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Annunzio di una proposta di modificazione al Regolamento.

  In data 23 settembre 2014 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di modificazione al Regolamento d'iniziativa del deputato:
   GALLO RICCARDO: «Articolo 22: Modifica della denominazione della XIII Commissione permanente» (Doc. II, n. 10).

  Sarà pubblicata e trasmessa alla Giunta per il Regolamento.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 23 settembre 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione europea, dell'accordo modificato relativo alla creazione della commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (COM(2014) 580 final), corredata dal relativo allegato (COM(2014) 580 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Attuazione della comunicazione della Commissione, del 24 giugno 2009, «Lotta contro il cancro: un partenariato europeo» (COM(2009) 291 definitivo) e seconda relazione sull'attuazione della raccomandazione del Consiglio, del 2 dicembre 2003, sullo screening dei tumori (2003/878/CE) (COM(2014) 584 final), che è assegnata in sede primaria alla XII Commissione (Affari sociali).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, con comunicazioni in data 16 e 18 settembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
  Con la comunicazione del 18 settembre 2014, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento:
   proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fabbricazione, all'immissione sul mercato e all'utilizzo di mangimi medicati e che abroga la direttiva 90/167/CEE del Consiglio (COM(2014) 556 final);
   comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo – Spazio europeo della ricerca – Relazione 2014 sui progressi compiuti (COM(2014) 575 final).

Richiesta di parere parlamentare su atti del Governo.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 23 settembre 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante modifiche al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1999, n. 162, per chiudere la procedura d'infrazione 2011/4064 ai fini della corretta applicazione della direttiva 95/16/CE relativa agli ascensori e di semplificazione dei procedimenti per la concessione del nulla osta per ascensori e montacarichi, nonché della relativa licenza d'esercizio (111).

  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla X Commissione (Attività produttive), nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere il prescritto parere entro il 24 ottobre 2014. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 9 ottobre 2014.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI OTTOBRE, GIACHETTI, VITO, LEONE, KRONBICHLER, MARCOLIN, DELLAI, CORSARO, PISICCHIO, DI LELLO, BRUNO ED ALTRI N. 1-00291 E CORDA ED ALTRI N. 1-00406 CONCERNENTI INIZIATIVE A TUTELA DEL CITTADINO ITALIANO ENRICO FORTI, CONDANNATO E DETENUTO NEGLI STATI UNITI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    Enrico «Chico» Forti è un connazionale che da 12 anni si trova in carcere a Miami, condannato all'ergastolo e accusato di un omicidio che non ha commesso;
    è stato condannato in base a un processo che non può chiamarsi tale, in quanto si è trattato di un processo indiziario, senza prove e basato su un movente dal quale lo stesso Forti era stato assolto mesi prima da un altro tribunale;
    «La Corte non ha prove che lei signor Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest'uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all'ergastolo senza condizionale!», è questa la frase che il giudice Victoria Platzer ha proferito in chiusura del processo di Enrico Forti; il 15 giugno 2000 è stato ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare della Dade County di Miami, a suo carico non è mai stata prodotta alcuna prova forense oggettiva;
    Enrico Forti attende ormai da quattordici anni un'opportunità per dimostrare la sua innocenza ma finora tutti gli appelli proposti per la revisione del suo processo sono stati rifiutati senza motivazione;
    Chico nasce a Trento l'8 febbraio 1959, vive in famiglia fino al conseguimento della maturità scientifica nel 1978, in seguito si trasferisce a Bologna dove frequenta l'Isef per ottenere una laurea in educazione fisica. All'inizio degli anni Ottanta Chico diventa uno dei pionieri del windsurf, ottenendo risultati a livello mondiale. La sua simpatia e voglia di vivere, il buonumore e la comicità estrema in un batter d'occhio fanno di lui un vero e proprio personaggio nel circuito internazionale; negli anni Novanta si trasferisce a Miami in Florida, dove intraprende un'attività di filmaker e presentatore televisivo, in seguito si dedica anche ad intermediazioni immobiliari ed è proprio svolgendo questa attività che conosce Anthony John Pike, che si presenta come proprietario di un omonimo albergo sull'isola di Ibiza, in Spagna;
    alla fine del 1997, Anthony John Pike viaggia alla volta di Miami, ospite di un tedesco di nome Thomas Knott, che da qualche tempo soggiornava a Williams Island, in un appartamento sito proprio sotto l'abitazione di Enrico Forti. I due erano stati «amiconi» ai tempi dorati dell'albergo di Ibiza, di cui Knott era un assiduo frequentatore;
    Knott era stato condannato in Germania a sei anni di detenzione per truffe miliardarie, sparito durante un periodo di libertà vigilata e ricomparso a Miami, dove svolgeva, sotto falsi documenti procuratigli da Pike, un'attività di copertura come «istruttore di tennis». In realtà continuava la sua «professione» di truffatore. L'ultima accusa fu proprio quella tentata ai danni di Enrico Forti, convocando Anthony John Pike a Miami con l'intento di vendere il citato hotel, sebbene non fosse più di sua proprietà da oltre un anno;
    durante questa trattativa, compare Dale Pike, figlio di Anthony, che in passato era stato allontanato dall'albergo di Ibiza per gravi dissapori con il padre;
    Dale Pike doveva lasciare precipitosamente la Malesia, per motivi non accertati, e ricorse all'aiuto del padre, trovandosi in questo stato di necessità completamente privo di denaro. Anche Anthony Pike non aveva alcuna disponibilità finanziaria e chiese l'aiuto di Enrico Forti con il quale era entrato in trattative per la compravendita dell'albergo. Forti fu disponibile e alla fine del mese di gennaio 1998 pagò a Dale Pike il biglietto aereo dalla Malesia alla Spagna. Quindici giorni più tardi, Anthony Pike telefonò nuovamente ad Enrico Forti, prospettandogli una sua visita a Miami, questa volta in compagnia del figlio Dale;
    il giorno del loro arrivo fu programmato per domenica 15 febbraio 1998. Convinse nuovamente Enrico Forti ad anticipare il denaro per pagare i biglietti aerei ed anche questa volta Forti acconsentì a pagare i biglietti ad ambedue;
    il giorno prima della partenza, Anthony fece un'ultima telefonata ad Enrico Forti, adducendo problemi personali, spostando il suo appuntamento con lui a New York per il mercoledì successivo, 18 febbraio. Suo figlio Dale, invece, avrebbe comunque viaggiato a Miami, da solo, la domenica 15 febbraio ed Anthony chiese a Forti di andarlo a prendere all'aeroporto per ospitarlo a casa sua. Forti acconsentì, ma dopo il suo incontro con Dale all'aeroporto quest'ultimo gli chiese di essere portato al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove amici di Knott lo stavano attendendo e con i quali avrebbe trascorso alcuni giorni, in attesa dell'arrivo del padre. Forti quindi diede un passaggio a Dale fino al luogo da lui indicato e lo lasciò al parcheggio verso le ore 19 di quella domenica. Il suo contatto con Dale Pike, mai visto né frequentato prima di quel giorno, era durato circa una mezz'ora;
    il giorno 16 febbraio 1998 un surfista ritrovò il cadavere di Dale Pike in un boschetto che limita una spiaggia a poca distanza dal parcheggio dove Enrico Forti lo aveva lasciato. Era stato ucciso con due colpi di pistola calibro 22 alla nuca, denudato completamente ma con vicino il cartellino verde di cui viene dotato alla dogana chiunque entri negli Stati Uniti. Cerano anche altri oggetti personali per cui fu semplice l'identificazione. La morte fu fatta risalire tra le ore 20 e 22 del giorno precedente, poco tempo dopo il suo commiato da Enrico Forti; al processo quest'ultimo venne accusato e condannato come «mandante» dell'omicidio;
    le accuse mosse contro Enrico Forti si basarono tutte sul fatto che in un primo momento egli tacque sulla circostanza dell'arrivo di Dale Pike domenica 15 febbraio 1998 ed omise la verità sul loro incontro all'aeroporto di Miami;
    nei giorni che seguirono, i fatti dimostrarono come Enrico Forti non fosse stato affatto preoccupato della sorte di Dale Pike. Fu soltanto mercoledì 18 febbraio a New York, dove si era recato per l'incontro con il padre, che apprese la notizia dell'omicidio;
    saltato l'appuntamento con Anthony Pike e non avendo più sue notizie, Forti tornò immediatamente a Miami ed il giorno seguente, 19 febbraio, si recò spontaneamente al dipartimento di polizia, per rispondere ad una convocazione come persona informata dei fatti. Fu durante questa convocazione – che si rivelò poi un vero e proprio interrogatorio come maggior indiziato per l'omicidio – che la polizia lo informò falsamente che oltre a Dale, anche il padre Anthony era stato trovato ucciso a New York. Anthony Pike, invece, era vivo e vegeto e sotto protezione della polizia stessa dal giorno precedente. Terrorizzato dal precipitare degli avvenimenti, Forti negò di aver incontrato Dale Pike;
    la sera del 20 febbraio 1998, ormai resosi conto della gravità della situazione, tornò alla polizia per consegnare una serie di documenti relativi al rapporto d'affari con il padre della vittima;
    ingenuamente, si presentò senza l'assistenza di un legale, anche per la garanzia avuta da un ex capo della squadra omicidi da lui conosciuto, che lo aveva assicurato trattarsi solamente di dare alcuni chiarimenti per aiutare le indagini della polizia;
    invece in quell'occasione venne immediatamente arrestato e sottoposto ad un massacrante interrogatorio per 14 ore, durante il quale ammise di aver incontrato Dale Pike il 15 febbraio nelle ore precedenti il suo omicidio e di averlo accompagnato al parcheggio del ristorante Rusty Pelican a Virginia Key;
    questa ammissione fu il risultato di una vera e propria trappola, tesagli per mandarlo in totale confusione, costringendolo a mentire soggiogato dalla paura e dalla disperazione;
    nell'immediatezza del primo arresto, Enrico Forti era stato accusato di frode, circonvenzione d'incapace e concorso in omicidio. La giuria però fu fuorviata ed ingannata nel suo giudizio finale perché non venne mai informata che Enrico Forti in precedenza era già stato completamente assolto dalle accuse di frode e circonvenzione d'incapace. Liberato su cauzione, nei venti mesi che seguirono, era stato, infatti, scagionato da tutti i capi d'accusa che riguardavano la frode; scorrettamente, invece, la frode fu usata come movente nel processo per omicidio;
    si è scoperto che l'albergatore tentava di vendere al Forti un hotel che da molto tempo non era più suo. Una truffa vera e propria. Anthony Pike stesso lo aveva ammesso in una deposizione rilasciata a Londra prima del processo, ma l'accusatore l'ha tenuto nascosto alla giuria;
    le indagini per l'omicidio di Dale Pike vennero affidate al prosecutor Reid Rubin e il pubblico ministero venne informato da Gary Schiaffo (il leader investigator nel caso Cunanan) sulla persona di Chico Forti e fu messo al corrente dell'inchiesta dal Forti realizzata sul caso Versace/Cunanan dove venivano messe in dubbio le dichiarazioni della polizia di Miami e dove l'attacco alla casa galleggiante era considerato una clamorosa messinscena;
    le indagini preliminari furono affidate ai detective Catherine Carter e Confessor Gonzales che, stranamente, facevano parte della squadra investigativa di Schiaffo. In seguito, la conduzione del processo ad Enrico Forti fu affidata alla giudice Victoria Platzer, anche lei membro della squadra di Schiaffo prima di essere nominata giudice;
    il pubblico ministero Reid Rubin non ha sicuramente lasciato nulla all'improvvisazione, dato che ha impiegato ben ventotto mesi per preparare la sua arringa finale, un record per i tribunali americani: normalmente qualsiasi processo si esaurisce entro sei mesi dalla sua istruttoria;
    Rubin ha avuto l'incredibile vantaggio di pronunciare la sua arringa finale senza che la difesa potesse replicare, in modo che qualsiasi teoria lui intendesse proporre alla giuria, vera o presunta, o basandosi esclusivamente su una fantasiosa ricostruzione dei fatti, non era più contestabile;
    il rito del processo americano prevede che l'ultima parola spetti di diritto all'accusa quando l'imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere, oppure non è chiamato al banco dei testimoni, ma Enrico Forti non ne era al corrente. Lo sapeva ovviamente il pubblico ministero, che ha sfruttato questa opportunità puntando tutte le sue chance proprio nello spazio finale a lui concesso, approfittando anche del fatto che la giuria deve decidere il suo verdetto basandosi esclusivamente sulla propria memoria del dibattimento. Logico, quindi, che nella mente dei giurati rimangano impresse più le ultime parole dell'accusa che non quelle della difesa. A maggior ragione questo si verifica quando l'oratore è particolarmente bravo e non c’è dubbio che Reid Rubin lo sia;
    ma la responsabilità più grave della faccenda ricade sugli avvocati della difesa: anche loro conoscevano questa regola, la spiegazione data dai legali nel consigliare Enrico Forti di non presentarsi alla sbarra fu: «Tu hai detto una bugia, quindi sei esposto al massacro di immagine che l'accusatore può dare di te ai giurati. Quindi meglio non rischiare. Inoltre, non essendoci prove, nessuna giuria al mondo potrà emettere un verdetto di colpevolezza nei tuoi confronti!». Anche l'accusatore, quindi, non ha ritenuto di dover chiamare Enrico Forti alla sbarra;
    dopo la conclusione dell'arringa dell'accusa la giuria popolare si ritirò nella camera di consiglio e solo poche ore bastarono ai giurati per emettere un verdetto di colpevolezza;
    la morte civile inflitta ad Enrico Forti in definitiva si basa solamente su una «sensazione»; in seguito, nonostante si fosse in grado di dimostrare ampiamente che Enrico Forti era rimasto vittima di un clamoroso errore giudiziario, cinque appelli presentati per la revisione del processo sono stati tutti rifiutati sistematicamente dalle varie corti, senza alcuna motivazione né opinione;
    il 30 aprile 2002, dopo il rifiuto della revisione del processo, un incredibile fatto venne casualmente alla luce. A Ira Loewy, avvocato dello studio legale incaricato della difesa di Enrico Forti, venne contestata un'assoluta inefficienza nella difesa di Chico tale da far sospettare una collusione con l'accusa;
    oltre al processo di Enrico Forti, Loewy lavorava per un altro caso, come sostituto procuratore aggiunto presso il dipartimento criminale, in un ufficio adiacente a quello dell'accusatore Reid Rubin. Questo costituiva un chiaro conflitto d'interessi, richiamato anche dalla giudice del processo in una specifica udienza. Benché Loewy avesse assunto l'impegno di informare il suo assistito Enrico Forti della situazione, non ottemperò mai a questo obbligo. Scoperta casualmente tre anni più tardi questa illegale procedura, Loewy presentò, per giustificarsi, la fotocopia di un documento di autorizzazione a procedere firmata da Enrico Forti. Di questo documento non si è mai trovato l'originale, non è mai stato allegato agli atti del processo, la firma in calce non è di Enrico Forti e quindi non si è mai voluto o potuto verificarne l'autenticità;
    la responsabilità più grave di Ira Loewy è quella di aver concesso l'ultima parola all'accusa nella fase finale del processo; infatti, non facendo deporre Chico Forti, Loewy concesse un enorme vantaggio all'accusa e Reid Rubin ebbe la possibilità di esporre alla giuria una sequenza di prove circostanziali senza alcun sostegno probatorio. La giuria, infatti, può fare affidamento soltanto sulla propria memoria relativamente alle situazioni prospettate durante il processo, per cui al momento del ritiro in camera di consiglio pesano in modo determinante le ultime cose ascoltate;
    ad Enrico Forti è stato negato il diritto allo speed trial – processo veloce entro venti giorni dall'arresto – per avvenuta scadenza dei termini di legge (sei mesi) dalla prima accusa all'arresto (venti mesi). Il diritto allo speed trial gli è stato negato perché applicata la «regola Williams», cioè l'esistenza di una diretta connessione tra l'ottenimento di un illecito guadagno, truffa, e la consumazione dell'omicidio. Questa regola avrebbe dovuto essere revocata perché Enrico Forti era già stato assolto dall'accusa di frode in un precedente processo;
    la deposizione rilasciata da Forti come testimone, durante la quale disse la bugia sul suo incontro con Dale Pike, avrebbe dovuto essere annullata perché coperta dai cosiddetti diritti Miranda che prevedono l'assistenza di un legale durante qualsiasi deposizione rilasciata da una persona ufficialmente accusata di un crimine; infatti, questi diritti gli furono negati nonostante al momento della deposizione fosse già il principale indiziato per l'omicidio;
    l'accusatore ha anche, in maniera ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo colpevole e scorretta, ignorato un accordo pre-processuale tra le parti, detto in limine, secondo il quale la truffa non avrebbe dovuto essere usata come movente e, in tal modo, la giuria fu intenzionalmente fuorviata nel suo giudizio finale;
    si è violata anche la double Jeopardy, secondo la quale se un imputato è già stato assolto da un'accusa in un precedente processo, la stessa accusa non può essere usata in un altro processo;
    a Chico Forti furono negati anche i diritti previsti dalla Convenzione di Vienna: i Paesi firmatari di questa Convenzione garantiscono l'immediata assistenza legale in caso di arresto di un loro cittadino in uno Stato diverso dal proprio;
    è prevista, inoltre, anche l'automatica simultanea comunicazione alle autorità consolari locali del cittadino stesso; il consolato italiano venne, invece, a conoscenza del primo arresto di Enrico Forti casualmente dai giornali ben nove giorni dopo; alla protesta ufficiale che ne seguì, la polizia inviò una lettera di scuse per «l'involontaria» omissione;
    Ferdinando Imposimato, suo legale italiano, e la criminologa Roberta Bruzzone hanno presentato nel maggio 2012 un report al Ministro degli affari esteri pro tempore, Giulio Maria Terzi di Santagata, che contiene le motivazioni per la richiesta di revisione;
    il Ministro degli affari esteri pro tempore, Emma Bonino, ha a sua volta espresso l'attivo interessamento del Governo italiano sul caso Forti;
    anche molte personalità dello spettacolo si sono unite ad un movimento di opinione per chiedere la revisione del processo;
    purtroppo la richiesta di un nuovo processo può avvenire solo ed esclusivamente sulla base di una newly discovered evidence: una nuova prova determinante che, se presentata nel dibattimento, ne avrebbe potuto modificare l'esito e che, si dimostri, non poteva essere trovata al tempo del processo. Tutte le prove, anche a sua discolpa, che sono passate, o avrebbero potuto passare, davanti ad una corte sono procedural defaulted e, quindi, non valgono,

impegna il Governo

ad assumere in ogni sede qualsiasi iniziativa di competenza volta a tutelare il concittadino Enrico Forti, come più volte in precedenza il Governo italiano ha ritenuto di dover fare in difesa di altri concittadini condannati e detenuti all'estero, considerato anche il fatto che lo Stato italiano intrattiene con il Governo degli Stati uniti ottimi rapporti diplomatici che hanno portato anche di recente alla soluzione di casi giudiziari controversi.
(1-00291) «Ottobre, Giachetti, Vito, Leone, Kronbichler, Marcolin, Dellai, Corsaro, Pisicchio, Di Lello, Bruno, Nicoletti, Alfreider, Binetti, Capelli, Carella, Catalano, De Menech, Di Gioia, Fabrizio Di Stefano, Fauttilli, Furnari, Galgano, Riccardo Gallo, Gebhard, Ginoble, Labriola, La Marca, Lacquaniti, Latronico, Locatelli, Marguerettaz, Migliore, Paglia, Palmizio, Pastorelli, Piepoli, Plangger, Realacci, Paolo Rossi, Rostan, Giovanna Sanna, Sberna, Scanu, Schullian, Stumpo, Tabacci, Tacconi, Vargiu, Zaccagnini, Palese, Amoddio, Alli, Marazziti, Fitzgerald Nissoli».


   La Camera,
   premesso che:
    il 15 giugno 2000 Enrico Forti, nato in Italia nel 1959, ex campione mondiale di windsurf, filmaker, produttore televisivo, fu condannato all'ergastolo per l'omicidio di Dale Pike, 42 anni, dalla Dade County di Miami in Florida, con l'accusa di «aver personalmente e/o con altra persona o persone allo stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, provocato dolosamente e preordinatamente la morte di Dale Pike». In Key Biscayne – Virginia Key – il 15 febbraio 1998. Il corpo di Dale fu trovato il 16 febbraio 1998, sulla spiaggia di Sewer Beach, in Key Biscayne. La vittima era stata raggiunta da due colpi di arma da fuoco esplosi alla nuca a distanza ravvicinata. Il movente dell'omicidio, secondo la corte, fu l'eliminazione di Dale «ostacolo all'acquisto truffaldino dell'hotel Pike's di Ibiza di proprietà del padre di Dale». Il movente fu smentito dal notaio German Leon Pena, che in Spagna aveva rogato il preliminare di vendita tra Anthony Pike e Forti. Pena disse al prosecutor Rubin e all'avvocato di Forti Loewy che Anthony Pike non risultava proprietario di alcuna azione delle tre società che vantavano il 95 per cento della proprietà dell'hotel. Il prosecutor Rubin non esibì alla corte la testimonianza di Pena che scagionava Forti dal movente. Ma ci fu un'omissione anche del legale di Forti, che non chiese la testimonianza di Pena. In realtà, era stato il Forti a subire un danno pagando ad Anthony Pike un acconto di 25.000 dollari alla stipula del preliminare e Anthony lo ammise a Londra davanti a Rubin e Loewy. Thomas Knott, pregiudicato condannato in Germania a sei anni per truffa e bancarotta fraudolenta, espatriato dalla Germania, mentre era in libertà vigilata, con documenti falsi forniti da Anthony Pike, fu sospettato dell'omicidio di Dale. Per questo subì una perquisizione domiciliare disposta dal prosecutor. Tuttavia Knott patteggiò la pena con il prosecutor Rubin e, benché truffatore di professione, divenne fondamentale testimone di accusa contro Forti. Peraltro, risulterebbero circostanze quantomeno opache circa il ruolo di Anthony Pike che, anziché confermare ciò che aveva detto al persecutor Rubin e all'avvocato Ira Loewy a Londra il 26 e 27 marzo 1999, e cioè che lui Anthony non aveva alcun titolo per la vendita dell'albergo, modificò radicalmente la sua versione dei fatti in senso accusatorio verso Forti. In particolare, non è chiaro se ciò sia avvenuto sulla base di pressioni esterne. Al processo Anthony divenne il principale testimone d'accusa contro Forti. Le prove documentali e testimoniali raccolte, dopo la condanna, da Enrico Forti e dai suoi familiari, con l'assistenza in Italia dell'avvocato Ferdinando Imposimato e della criminologa Roberta Bruzzone, dimostrano chiaramente come Enrico Forti fosse, quando fu sentito come teste dalla polizia di Miami, a tutti gli effetti, indagato per il delitto di Dale. La polizia di Miami disse a Forti di recarsi all'ufficio di polizia la sera del 19 febbraio 1998. Forti si presentò puntuale e alle 18,55 cominciò quella che doveva essere una chiacchierata informale e, invece, si rivelò un vero e proprio interrogatorio di indagato, senza che venisse avvisato, come era doveroso secondo la Costituzione americana e secondo il trattato sui diritti civili e politici di New York, che era indagato di omicidio. L'articolo 14, comma 3, lettera a), del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, prescrive che «ogni individuo accusato di un reato ha diritto come minimo ad essere informato sollecitamente della natura e dei modi dell'accusa a lui rivolta». Dell'interrogatorio, avvenuto con videoregistrazione, sono scomparse le registrazioni video e audio. L'indagine sulla morte di Dale Pike proseguì contro Forti, mentre Thomas Knott stipulò un accordo segreto con lo Stato (plea agreement) diventando, di fatto, un testimone decisivo per l'accusa contro Forti;
    nel caso Forti sono state violate diverse norme del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 – ratificato dagli Stati Uniti l'8 settembre 1992, vincolante per gli Usa – e della Costituzione degli Usa;
    l'accusa contro Enrico Forti era confusa, generica, incomprensibile e non consentì un'adeguata difesa a Forti: non era chiaro, dopo alcuni cambiamenti del capo di imputazione, se Forti avesse agito come mandante o come esecutore materiale, da solo o con uno o più complici, e quale fosse l'arma del delitto. La genericità dell'accusa violò una norma fondamentale del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966; l'articolo 14, comma 3, dispone, infatti, che «Ogni individuo accusato di un reato, ha diritto ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta». Il prosecutor contestò a Forti in un primo tempo di essere stato l'esecutore materiale dell'omicidio, ma di fronte all'alibi di Forti, – che dimostrò, con le celle del suo portatile, di essersi trovato lontano dal luogo del delitto al momento del fatto – cambiò l'accusa nel modo seguente «per avere il Forti Enrico personalmente e/o (...) con altra persona e persone allo stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte, di Dale Pike». Sulla base di questa nuova imputazione, di dubbia legittimità perché generica e alternativa, in cui si accusava contraddittoriamente Forti di avere agito «personalmente», o con una o più persone non identificate, «ognuno con la propria condotta partecipativa» che non veniva descritta, «e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso», che non veniva definito, venne inflitta la condanna all'ergastolo. La corte concludeva: «La Corte non ha le prove che lei signor Forti abbia premuto il grilletto, ma ho la sensazione (...), al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Lo condanniamo all'ergastolo senza condizionale». Dall'accusa generica e vaga, con complici evanescenti mai identificati, Forti non poté in alcun modo difendersi. Fu violato in tal modo sia la regola che prescrive di informare «in modo circostanziato» (articolo 14, comma 3, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966) l'accusato, sia il principio di legalità, nullum crimen, nulla poena sine lege, di cui all'articolo 14 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici che prescrive all'articolo 14, comma 2, che per la condanna si richiede che «la colpevolezza sia provata legalmente». Postulato che è contenuto, oltre che nel Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966, nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nel patto delle Nazioni unite del 1966, nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e nella Costituzione repubblicana;
    altra violazione dell'articolo 14 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici riguarda l'obbligo per l'autorità che indaga di informare sollecitamente l'accusato della natura e dei motivi dell'accusa. Al contrario, la polizia violò l'articolo 14, lettera b), del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966, che: stabilisce che «ogni individuo accusato di un reato, ha diritto a disporre del tempo e dei mezzi necessari alla preparazione della difesa ed a comunicare con un difensore di sua scelta». Invece il 19 febbraio 1998, Forti fu sottoposto a un lungo interrogatorio protrattosi diverse ore, senza potersi avvalere dell'assistenza di un legale, poiché ciò non gli fu consentito;
    la corte di Miami, che ha condannato Enrico Forti per omicidio in base al movente della truffa dell'acquisto dell'hotel Pike's, ha violato il principio del ne bis in idem. Le accuse contro Forti erano tre: truffa, circonvenzione e concorso in omicidio. Il processo contro Forti per la truffa e la circonvenzione di incapace si era concluso con una sentenza di non doversi procedere «nolli prosequi». Sennonché l'8 ottobre 1999, nonostante il proscioglimento di Forti dall'accusa di truffa e circonvenzione di incapace, il prosecutor chiese alla corte di contestare al Forti l'accusa di omicidio di primo grado a scopo di lucro, cioè a scopo di ingiusto profitto per mezzo di truffa. Tale contestazione, sviluppata dal prosecutor nella requisitoria finale, venne posta dalla corte come pilastro dell'accusa, a base della condanna all'ergastolo. Invece, il presidente della corte doveva informare la giuria che Forti era stato prosciolto dall'accusa di truffa e circonvenzione con sentenza per effetto della quale c'era il divieto del ne bis in idem alias del «double Jeopardy». L'articolo 14, comma 6, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio per un reato per il quale sia già stato assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun paese». L'appendice alla Costituzione degli Stati Uniti d'America dispone, in conformità dell'articolo 14, comma 6, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966, nel modo seguente: «Articolo V. Nessuno potrà essere sottoposto due volte per un medesimo delitto, a un procedimento che comprometta la sua vita o la sua integrità fisica»; la norma fa riferimento al doppio giudizio sulla stessa offesa e ciò ha interesse per la questione della truffa addebitata a Forti. La parte essenziale del fatto contestato, lo scopo di frode in danno di Anthony Pike, costituente il movente dell'omicidio, era stato deciso con il nolli prosequi dal giudice Platzer;
    il tedesco Knott doveva essere un teste importante nel processo. In una testimonianza di un compagno di cella di T. Knott, Glenn Ravera, questi disse che il tedesco gli aveva raccontato di una visita del procuratore Rubin a Knott. Nel corso della visita, Rubin gli aveva promesso un aiuto giudiziario in cambio di una testimonianza per incastrare Forti. Knott, arrestato e condannato a 15 anni per reati di truffa, era indagato anche dell'omicidio: contro di lui esistevano molti indizi di colpevolezza anche per l'omicidio di Dale Pike, tanto da provocare la perquisizione del criminale tedesco. Thomas Knott accettò di collaborare con Rubin con cui stipulò un plea agreement. Ma si ignora il contenuto delle dichiarazioni rese da Knott senza replica. Ogni accusa contro Knott per la possibile responsabilità per l'omicidio di Dale Pike era stata oggetto di un patteggiamento i cui contenuti vennero segretari dalla procura di Miami. Orbene, esisteva ed esiste un obbligo del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966 che imponeva la discovery della testimonianza di Knott. L'articolo 14, comma 3, lettera a), stabilisce che «ogni individuo accusato di un reato ha diritto di essere informato sollecitamente e in modo circostanziato della natura e dei motivi dell'accusa nei suoi confronti». Invece la contestazione da parte del prosecutor mancò e l'avvocato Loewy non trovò nulla da ridire contro la segretazione degli atti del patteggiamento, da cui potevano e possono ricavarsi elementi a carico di Knott e a favore di Forti: il 15 febbraio 1998 Knott doveva ospitare proprio Dale, come ebbe a riconoscere anche il padre di Dale;
    nel dicembre 2002, Enrico Forti, dopo la condanna all'ergastolo, divenuta definitiva il 12 agosto 2002, mentre era in carcere in espiazione della pena, venne a conoscenza da un detenuto di un conflitto di interessi diretto che investiva l'avvocato Ira Loewy. Questi, durante il processo a Forti, era stato contemporaneamente difensore di Enrico Forti contro lo Stato della Florida e prosecutor per lo stesso Stato della Florida in un altro processo. Il compagno di detenzione disse che aveva avuto come accusatore proprio l'avvocato Loewy. Il presidente della corte dei due processi in cui Loewy appariva in funzioni contrapposte, giudice Victoria Platzer, essendo presidente della corte nei due processi, era a conoscenza del conflitto di interessi e della irregolarità della posizione dell'avvocato Loewy. Forti era ignaro del conflitto. Nel corso di un'udienza ad hoc del 29 marzo 2000, assente il Forti non citato, la presidente Platzer richiamò l'avvocato Loewy sulla necessità di sanare il conflitto di interessi mediante l'autorizzazione della vittima del conflitto, Forti. Il presidente Platzer fece presente a Loewy che se non fosse stata sanata la grave irregolarità, il processo non sarebbe potuto proseguire. L'avvocato Loewy rispose che Forti non poteva essere presente perché in quarantena nel carcere per un'epidemia di varicella. Era evidente che il processo non poteva iniziare né proseguire senza l'autorizzazione di Forti. Sennonché Platzer non tenne più un'altra udienza per chiedere al Forti se rinunziava a eccepire la grave irregolarità. Il giudice Platzer omise di tener conto che questo vizio inficiava sia la fase delle indagini che quella del dibattimento svolto fino a quel momento, senza la rinunzia da parte al conflitto di interessi. Il Loewy rinunziò ai fondamentali diritti di difesa, come il diritto di Forti a prendere la parola per ultimo per replicare alle accuse della polizia e del pubblico ministero, il diritto ad avere l'ultima parola da parte dell'imputato, il diritto a chiedere il confronto con Thomes Knott, il diritto a chiedere il confronto con Anthony Pike, il diritto a chiedere la testimonianza di Katherine Evans sul possesso della pistola da parte di Knott, il diritto a chiedere la testimonianza del notaio Pena sulla mancanza nel Pike del diritto di proprietà dell'hotel, il diritto a fare valere il ne bis in idem; Forti non poté più fare valere quei diritti per decadenza dei termini previsti dalla legge. Loewy riconobbe la necessità della autorizzazione (waiver) di Forti. Non si sa se l'avvocato esibì mai alcun documento originale. Si ha solo conoscenza di una fotocopia di un modulo di rinunzia. Di tale documento pare non sia mai stato trovato l'originale agli atti del processo penale;
    l'appendice alla Costituzione degli Stati Uniti dispone: «You or your lawyer can then make a concluding speech arguing your case». A seguito di richiesta dell'avvocato Loewy al pubblico ministero Rubin della rinunzia da parte di Forti al conflitto di interessi, il pubblico ministero Rubin il 7 giugno 2005 inviava a Susan Dmitrovsky un'autorizzazione in data 20 marzo 2000. Questo documento era in contrasto con la circostanza documentale che l'udienza sul conflitto di interessi, in cui il giudice Platzer aveva rilevato l'anomalia, era stata celebrata, senza la presenza di Forti, il 29 marzo 2000 dopo la data del documento prodotto da Rubin. Il richiamo da parte del presidente Platzer a difesa e accusa sulla necessità della presenza di Forti parrebbe dimostrare che la fase del processo successiva al 15 febbraio 1998 – e almeno fino al 29 marzo 2000 – era avvenuto senza l'autorizzazione di Forti. Sicché ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo la colpevolezza di Forti non fu «provata legalmente» (articolo 14, comma 2, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1996);
    secondo i firmatari del presente atto di indirizzo orbene la difesa di Forti vanificò tutti i principi del giusto processo. Se l'avvocato Ira Loewy avesse prodotto il documento originale dell'autorizzazione scritta di Forti, o questo fosse stato rinvenuto nel processo, Forti avrebbe dovuto rispondere di calunnia o di diffamazione. Ma né l'avvocato né l'ufficio del giudice hanno mai esibito questo documento fondamentale. In tutti i casi, se l'originale del waiver non si è mai ritrovato, non si comprende da dove è stata ricavata la fotocopia;
    la Costituzione americana prevede al predetto VI emendamento che in ogni procedimento penale, l'accusato «avrà diritto ad essere informato della natura del motivo dell'accusa, a essere messo a confronto con i testimoni a carico, a ottenere di far comparire i testimoni a suo favore e a farsi assistere da un avvocato per la sua difesa», diritti che sono stati vanificati dal comportamento dell'avvocato Loewy nel consigliare l'assistito che gli conveniva non parlare per ultimo al termine del processo per proclamare la sua innocenza e di non contraddire le menzogne di chi lo accusava. Si è consapevoli che negli Stati Uniti la sensibilità verso i conflitti di interesse è altissima. In Italia Piero Calamandrei, uno degli artefici della Costituzione italiana, lasciò scritto in pagine indimenticabili che il magistrato non deve essere soltanto imparziale, ma deve apparire tale. Lo stesso vale per un avvocato; nei confronti dell'avvocato, il ragionamento è valido a maggior ragione visto che l'avvocato viene scelto, per aiutare, per difendere e per continuare a sperare da persone che sono a volte in una difficilissima situazione;
    da rilevare che l'articolo 629 del codice di procedura penale prevede che le condanne soggette a revisione sono ammesse «in ogni tempo a favore dei condannati» e che l'articolo 630, lettera d), del codice di procedura penale indica, tra i presupposti della revisione, «che la condanna venga pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato». Il professor Franco Cordero dell'Università La Sapienza, nell'indicare i casi di possibile revisione, secondo l'ordinamento giuridico italiano, indica «casi giudiziari penalmente inquinati che hanno determinato la condanna tra cui “la frode processuale, il patrocinio infedele e la falsità in atti” (Franco Cordero, procedura penale, edizione Giuffrè 2003)»;
    il 9 luglio 2008 venne presentata dalla nuova difesa di Enrico Forti una richiesta di revisione alla corte di appello del terzo distretto, che rifiutò di prendere in considerazione tale richiesta senza fornire alcuna motivazione, come risulta da documento processuale in possesso della difesa di Forti. Un ultimo ricorso per ottenere la revisione del processo di Enrico Forti venne presentato alla corte federale degli Usa il 4 marzo 2009, ma la decisione della stessa corte del 3 agosto 2010 fu di «rifiuto per scadenza dei termini di presentazione». La revisione è implicitamente prevista dal Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966 all'articolo 14, comma 6, secondo cui «Quando un individuo è stato condannato con sentenza definitiva e successivamente tale condanna viene annullata, in quanto un fatto nuovo o scoperto dopo la condanna, dimostra che era stato commesso un errore giudiziario». Questa norma, vincolante per gli Usa, dimostra che la revisione è un ricorso non ancorato a termini. E del resto Forti scoprì il conflitto di interessi dopo la condanna definitiva all'ergastolo e fu costretto a raccogliere le prove presso amici e parenti e conoscenti per dimostrare che esisteva il conflitto. Non ha alcuna giustificazione né la decisione del giudice Murphy di respingere la richiesta di Forti senza alcuna motivazione, né quella della corte federale, che ha dichiarato la scadenza del termine per la presentazione del ricorso per la revisione, dal momento che nel patto vincolante per gli USA non esiste un termine, come in nessun ordinamento del mondo, che si ispiri al due process of law;
    il Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 afferma, all'articolo 2, comma 1, che «ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a rispettare e a garantire a tutti gli individui che si trovino sul suo territorio e siano sottoposti alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel presente patto» all'articolo 2, comma 2, che «Ciascuno degli Stati parti si impegna a compiere, in armonia con la proprie procedure costituzionali e con le disposizioni del presente Patto, per l'adozione delle misure legislative o di altro genere che possano occorrere per rendere effettivi i diritti riconosciuti nel presente Patto», all'articolo 2, comma 3, lettera a), che «Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a garantire che qualsiasi persona i cui diritti riconosciuti nel PI siano stati violati, disponga di effettivi mezzi di ricorso, anche nel caso in cui la violazione sia stata commessa da persone agenti nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali»;
    all'articolo 2, comma 3, lettera b), garantisce «che l'autorità competente giudiziaria, amministrativa e legislativa decida in merito ai diritti del ricorrente e sviluppare il ricorso in sede giudiziaria»;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, alla luce di tutto quanto richiamato, il processo contro Chico Forti non è stato equo e si è fondato su un comportamento quantomeno dubbio del difensore e, pertanto, si ritiene necessario un nuovo processo in cui Chico Forti venga chiamato a rispondere dell'omicidio di Dale Pike secondo le norme della Costituzione americana e del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966,

impegna il Governo:

   ad approfondire tutti i profili relativi alla vicenda di Enrico (Chico) Forti, soprattutto con riferimento alle possibili violazioni delle norme del due process of law contenute nel Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 (in particolare nell'articolo 14), nonché della Costituzione degli Stati Uniti, interessando formalmente il Governo degli Stati Uniti affinché sia intrapresa ogni iniziativa di competenza al riguardo, al fine di evitare un grave pregiudizio dei diritti inviolabili della persona;
   a richiedere chiarimenti al Governo degli Stati Uniti, per quanto di competenza e nel pieno rispetto dell'indipendenza della giustizia americana, sulle molteplici circostanze che fanno supporre, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, che il processo sia stato condizionato da una difesa che appare segnata da gravi opacità, con particolare riferimento a possibili conflitti di interesse;
   ad assumere iniziative affinché gli Stati Uniti risolvano, in osservanza del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966, il problema della scadenza dei termini di presentazione del ricorso per la revisione, se necessario ricorrendo ad apposita norma che consenta di presentare il ricorso per la revisione «in ogni tempo», come previsto dall'articolo 14, comma 6, del citato Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici;
   a informare il comitato dei diritti dell'uomo di cui all'articolo 28 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966 perché assista Enrico Forti, garantendo l'osservanza delle norme contenute nel menzionato Patto, ratificato dagli Stati Uniti nel 1992 e vincolante per gli Stati Uniti;
   a sostenere, anche a mezzo di un legale in Florida, le ragioni di Enrico Forti, vittima, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, di molteplici violazioni dei diritti della difesa tutelati dal Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici e dalla Costituzione degli Stati Uniti;
   a chiedere al Governo degli Stati Uniti, per quanto di competenza, che siano resi accessibili alla difesa di Forti (discovery) tutti gli atti relativi al processo per truffa contro Thomas Knott, testimone di accusa contro Forti e gli atti del plea agreement, atti che sono stati coperti dal segreto che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha impedito la difesa di Forti dall'accusa di omicidio;
   ad assumere iniziative affinché siano osservati l'articolo 2, comma 3, lettera a), del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, secondo cui «Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a garantire che qualsiasi persona i cui diritti o libertà riconosciuti nel Patto siano stati violati, disponga di effettivi mezzi di ricorso, anche nel caso in cui la violazione sia stata commessa da persone agenti nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali», nonché l'articolo 2, comma 3, lettera b), del medesimo Patto, secondo il quale ciascuno degli Stati parte si impegna a «garantire che l'autorità competente giudiziaria, amministrativa o legislativa, od ogni altra autorità competente ai sensi dell'ordinamento giuridico dello Stato, decida in merito ai diritti del ricorrente, e a sviluppare le possibilità di ricorso in sede giudiziaria».
(1-00406) «Corda, Sibilia, Di Benedetto, De Lorenzis, Manlio Di Stefano, Fico, Colletti, Businarolo, Agostinelli, Luigi Gallo, Dall'Osso, Cecconi, Di Vita, Cominardi, Brescia, Simone Valente, Basilio, Rizzo, Frusone, Barbanti, Ruocco, Paolo Bernini, Tofalo».


   La Camera,
   premesso che:
    il 15 giugno 2000 Enrico Forti, nato in Italia nel 1959, ex campione mondiale di windsurf, filmaker, produttore televisivo, fu condannato all'ergastolo per l'omicidio di Dale Pike, 42 anni, dalla Dade County di Miami in Florida, con l'accusa di «aver personalmente e/o con altra persona o persone allo stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, provocato dolosamente e preordinatamente la morte di Dale Pike». In Key Biscayne – Virginia Key – il 15 febbraio 1998. Il corpo di Dale fu trovato il 16 febbraio 1998, sulla spiaggia di Sewer Beach, in Key Biscayne. La vittima era stata raggiunta da due colpi di arma da fuoco esplosi alla nuca a distanza ravvicinata. Il movente dell'omicidio, secondo la corte, fu l'eliminazione di Dale «ostacolo all'acquisto truffaldino dell'hotel Pike's di Ibiza di proprietà del padre di Dale». Il movente fu smentito dal notaio German Leon Pena, che in Spagna aveva rogato il preliminare di vendita tra Anthony Pike e Forti. Pena disse al prosecutor Rubin e all'avvocato di Forti Loewy che Anthony Pike non risultava proprietario di alcuna azione delle tre società che vantavano il 95 per cento della proprietà dell'hotel. Il prosecutor Rubin non esibì alla corte la testimonianza di Pena che scagionava Forti dal movente. Ma ci fu un'omissione anche del legale di Forti, che non chiese la testimonianza di Pena. In realtà, era stato il Forti a subire un danno pagando ad Anthony Pike un acconto di 25.000 dollari alla stipula del preliminare e Anthony lo ammise a Londra davanti a Rubin e Loewy. Thomas Knott, pregiudicato condannato in Germania a sei anni per truffa e bancarotta fraudolenta, espatriato dalla Germania, mentre era in libertà vigilata, con documenti falsi forniti da Anthony Pike, fu sospettato dell'omicidio di Dale. Per questo subì una perquisizione domiciliare disposta dal prosecutor. Tuttavia Knott patteggiò la pena con il prosecutor Rubin e, benché truffatore di professione, divenne fondamentale testimone di accusa contro Forti. Peraltro, risulterebbero circostanze quantomeno opache circa il ruolo di Anthony Pike che, anziché confermare ciò che aveva detto al persecutor Rubin e all'avvocato Ira Loewy a Londra il 26 e 27 marzo 1999, e cioè che lui Anthony non aveva alcun titolo per la vendita dell'albergo, modificò radicalmente la sua versione dei fatti in senso accusatorio verso Forti. In particolare, non è chiaro se ciò sia avvenuto sulla base di pressioni esterne. Al processo Anthony divenne il principale testimone d'accusa contro Forti. Le prove documentali e testimoniali raccolte, dopo la condanna, da Enrico Forti e dai suoi familiari, con l'assistenza in Italia dell'avvocato Ferdinando Imposimato e della criminologa Roberta Bruzzone, dimostrano chiaramente come Enrico Forti fosse, quando fu sentito come teste dalla polizia di Miami, a tutti gli effetti, indagato per il delitto di Dale. La polizia di Miami disse a Forti di recarsi all'ufficio di polizia la sera del 19 febbraio 1998. Forti si presentò puntuale e alle 18,55 cominciò quella che doveva essere una chiacchierata informale e, invece, si rivelò un vero e proprio interrogatorio di indagato, senza che venisse avvisato, come era doveroso secondo la Costituzione americana e secondo il trattato sui diritti civili e politici di New York, che era indagato di omicidio. L'articolo 14, comma 3, lettera a), del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, prescrive che «ogni individuo accusato di un reato ha diritto come minimo ad essere informato sollecitamente della natura e dei modi dell'accusa a lui rivolta». Dell'interrogatorio, avvenuto con videoregistrazione, sono scomparse le registrazioni video e audio. L'indagine sulla morte di Dale Pike proseguì contro Forti, mentre Thomas Knott stipulò un accordo segreto con lo Stato (plea agreement) diventando, di fatto, un testimone decisivo per l'accusa contro Forti;
    nel caso Forti sono state violate diverse norme del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 – ratificato dagli Stati Uniti l'8 settembre 1992, vincolante per gli Usa – e della Costituzione degli Usa;
    l'accusa contro Enrico Forti era confusa, generica, incomprensibile e non consentì un'adeguata difesa a Forti: non era chiaro, dopo alcuni cambiamenti del capo di imputazione, se Forti avesse agito come mandante o come esecutore materiale, da solo o con uno o più complici, e quale fosse l'arma del delitto. La genericità dell'accusa violò una norma fondamentale del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966; l'articolo 14, comma 3, dispone, infatti, che «Ogni individuo accusato di un reato, ha diritto ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta». Il prosecutor contestò a Forti in un primo tempo di essere stato l'esecutore materiale dell'omicidio, ma di fronte all'alibi di Forti, – che dimostrò, con le celle del suo portatile, di essersi trovato lontano dal luogo del delitto al momento del fatto – cambiò l'accusa nel modo seguente «per avere il Forti Enrico personalmente e/o (...) con altra persona e persone allo stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte, di Dale Pike». Sulla base di questa nuova imputazione, di dubbia legittimità perché generica e alternativa, in cui si accusava contraddittoriamente Forti di avere agito «personalmente», o con una o più persone non identificate, «ognuno con la propria condotta partecipativa» che non veniva descritta, «e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso», che non veniva definito, venne inflitta la condanna all'ergastolo. La corte concludeva: «La Corte non ha le prove che lei signor Forti abbia premuto il grilletto, ma ho la sensazione (...), al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Lo condanniamo all'ergastolo senza condizionale». Dall'accusa generica e vaga, con complici evanescenti mai identificati, Forti non poté in alcun modo difendersi. Fu violato in tal modo sia la regola che prescrive di informare «in modo circostanziato» (articolo 14, comma 3, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966) l'accusato, sia il principio di legalità, nullum crimen, nulla poena sine lege, di cui all'articolo 14 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici che prescrive all'articolo 14, comma 2, che per la condanna si richiede che «la colpevolezza sia provata legalmente». Postulato che è contenuto, oltre che nel Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966, nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nel patto delle Nazioni unite del 1966, nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e nella Costituzione repubblicana;
    altra violazione dell'articolo 14 del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici riguarda l'obbligo per l'autorità che indaga di informare sollecitamente l'accusato della natura e dei motivi dell'accusa. Al contrario, la polizia violò l'articolo 14, lettera b), del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966, che: stabilisce che «ogni individuo accusato di un reato, ha diritto a disporre del tempo e dei mezzi necessari alla preparazione della difesa ed a comunicare con un difensore di sua scelta». Invece il 19 febbraio 1998, Forti fu sottoposto a un lungo interrogatorio protrattosi diverse ore, senza potersi avvalere dell'assistenza di un legale, poiché ciò non gli fu consentito;
    la corte di Miami, che ha condannato Enrico Forti per omicidio in base al movente della truffa dell'acquisto dell'hotel Pike's, ha violato il principio del ne bis in idem. Le accuse contro Forti erano tre: truffa, circonvenzione e concorso in omicidio. Il processo contro Forti per la truffa e la circonvenzione di incapace si era concluso con una sentenza di non doversi procedere «nolli prosequi». Sennonché l'8 ottobre 1999, nonostante il proscioglimento di Forti dall'accusa di truffa e circonvenzione di incapace, il prosecutor chiese alla corte di contestare al Forti l'accusa di omicidio di primo grado a scopo di lucro, cioè a scopo di ingiusto profitto per mezzo di truffa. Tale contestazione, sviluppata dal prosecutor nella requisitoria finale, venne posta dalla corte come pilastro dell'accusa, a base della condanna all'ergastolo. Invece, il presidente della corte doveva informare la giuria che Forti era stato prosciolto dall'accusa di truffa e circonvenzione con sentenza per effetto della quale c'era il divieto del ne bis in idem alias del «double Jeopardy». L'articolo 14, comma 6, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio per un reato per il quale sia già stato assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun paese». L'appendice alla Costituzione degli Stati Uniti d'America dispone, in conformità dell'articolo 14, comma 6, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966, nel modo seguente: «Articolo V. Nessuno potrà essere sottoposto due volte per un medesimo delitto, a un procedimento che comprometta la sua vita o la sua integrità fisica»; la norma fa riferimento al doppio giudizio sulla stessa offesa e ciò ha interesse per la questione della truffa addebitata a Forti. La parte essenziale del fatto contestato, lo scopo di frode in danno di Anthony Pike, costituente il movente dell'omicidio, era stato deciso con il nolli prosequi dal giudice Platzer;
    il tedesco Knott doveva essere un teste importante nel processo. In una testimonianza di un compagno di cella di T. Knott, Glenn Ravera, questi disse che il tedesco gli aveva raccontato di una visita del procuratore Rubin a Knott. Nel corso della visita, Rubin gli aveva promesso un aiuto giudiziario in cambio di una testimonianza per incastrare Forti. Knott, arrestato e condannato a 15 anni per reati di truffa, era indagato anche dell'omicidio: contro di lui esistevano molti indizi di colpevolezza anche per l'omicidio di Dale Pike, tanto da provocare la perquisizione del criminale tedesco. Thomas Knott accettò di collaborare con Rubin con cui stipulò un plea agreement. Ma si ignora il contenuto delle dichiarazioni rese da Knott senza replica. Ogni accusa contro Knott per la possibile responsabilità per l'omicidio di Dale Pike era stata oggetto di un patteggiamento i cui contenuti vennero segretari dalla procura di Miami. Orbene, esisteva ed esiste un obbligo del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966 che imponeva la discovery della testimonianza di Knott. L'articolo 14, comma 3, lettera a), stabilisce che «ogni individuo accusato di un reato ha diritto di essere informato sollecitamente e in modo circostanziato della natura e dei motivi dell'accusa nei suoi confronti». Invece la contestazione da parte del prosecutor mancò e l'avvocato Loewy non trovò nulla da ridire contro la segretazione degli atti del patteggiamento, da cui potevano e possono ricavarsi elementi a carico di Knott e a favore di Forti: il 15 febbraio 1998 Knott doveva ospitare proprio Dale, come ebbe a riconoscere anche il padre di Dale;
    nel dicembre 2002, Enrico Forti, dopo la condanna all'ergastolo, divenuta definitiva il 12 agosto 2002, mentre era in carcere in espiazione della pena, venne a conoscenza da un detenuto di un conflitto di interessi diretto che investiva l'avvocato Ira Loewy. Questi, durante il processo a Forti, era stato contemporaneamente difensore di Enrico Forti contro lo Stato della Florida e prosecutor per lo stesso Stato della Florida in un altro processo. Il compagno di detenzione disse che aveva avuto come accusatore proprio l'avvocato Loewy. Il presidente della corte dei due processi in cui Loewy appariva in funzioni contrapposte, giudice Victoria Platzer, essendo presidente della corte nei due processi, era a conoscenza del conflitto di interessi e della irregolarità della posizione dell'avvocato Loewy. Forti era ignaro del conflitto. Nel corso di un'udienza ad hoc del 29 marzo 2000, assente il Forti non citato, la presidente Platzer richiamò l'avvocato Loewy sulla necessità di sanare il conflitto di interessi mediante l'autorizzazione della vittima del conflitto, Forti. Il presidente Platzer fece presente a Loewy che se non fosse stata sanata la grave irregolarità, il processo non sarebbe potuto proseguire. L'avvocato Loewy rispose che Forti non poteva essere presente perché in quarantena nel carcere per un'epidemia di varicella. Era evidente che il processo non poteva iniziare né proseguire senza l'autorizzazione di Forti. Sennonché Platzer non tenne più un'altra udienza per chiedere al Forti se rinunziava a eccepire la grave irregolarità. Il giudice Platzer omise di tener conto che questo vizio inficiava sia la fase delle indagini che quella del dibattimento svolto fino a quel momento, senza la rinunzia da parte al conflitto di interessi. Il Loewy rinunziò ai fondamentali diritti di difesa, come il diritto di Forti a prendere la parola per ultimo per replicare alle accuse della polizia e del pubblico ministero, il diritto ad avere l'ultima parola da parte dell'imputato, il diritto a chiedere il confronto con Thomes Knott, il diritto a chiedere il confronto con Anthony Pike, il diritto a chiedere la testimonianza di Katherine Evans sul possesso della pistola da parte di Knott, il diritto a chiedere la testimonianza del notaio Pena sulla mancanza nel Pike del diritto di proprietà dell'hotel, il diritto a fare valere il ne bis in idem; Forti non poté più fare valere quei diritti per decadenza dei termini previsti dalla legge. Loewy riconobbe la necessità della autorizzazione (waiver) di Forti. Non si sa se l'avvocato esibì mai alcun documento originale. Si ha solo conoscenza di una fotocopia di un modulo di rinunzia. Di tale documento pare non sia mai stato trovato l'originale agli atti del processo penale;
    l'appendice alla Costituzione degli Stati Uniti dispone: «You or your lawyer can then make a concluding speech arguing your case». A seguito di richiesta dell'avvocato Loewy al pubblico ministero Rubin della rinunzia da parte di Forti al conflitto di interessi, il pubblico ministero Rubin il 7 giugno 2005 inviava a Susan Dmitrovsky un'autorizzazione in data 20 marzo 2000. Questo documento era in contrasto con la circostanza documentale che l'udienza sul conflitto di interessi, in cui il giudice Platzer aveva rilevato l'anomalia, era stata celebrata, senza la presenza di Forti, il 29 marzo 2000 dopo la data del documento prodotto da Rubin. Il richiamo da parte del presidente Platzer a difesa e accusa sulla necessità della presenza di Forti parrebbe dimostrare che la fase del processo successiva al 15 febbraio 1998 – e almeno fino al 29 marzo 2000 – era avvenuto senza l'autorizzazione di Forti. Sicché ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo la colpevolezza di Forti non fu «provata legalmente» (articolo 14, comma 2, del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1996);
    secondo i firmatari del presente atto di indirizzo orbene la difesa di Forti vanificò tutti i principi del giusto processo. Se l'avvocato Ira Loewy avesse prodotto il documento originale dell'autorizzazione scritta di Forti, o questo fosse stato rinvenuto nel processo, Forti avrebbe dovuto rispondere di calunnia o di diffamazione. Ma né l'avvocato né l'ufficio del giudice hanno mai esibito questo documento fondamentale. In tutti i casi, se l'originale del waiver non si è mai ritrovato, non si comprende da dove è stata ricavata la fotocopia;
    la Costituzione americana prevede al predetto VI emendamento che in ogni procedimento penale, l'accusato «avrà diritto ad essere informato della natura del motivo dell'accusa, a essere messo a confronto con i testimoni a carico, a ottenere di far comparire i testimoni a suo favore e a farsi assistere da un avvocato per la sua difesa», diritti che sono stati vanificati dal comportamento dell'avvocato Loewy nel consigliare l'assistito che gli conveniva non parlare per ultimo al termine del processo per proclamare la sua innocenza e di non contraddire le menzogne di chi lo accusava. Si è consapevoli che negli Stati Uniti la sensibilità verso i conflitti di interesse è altissima. In Italia Piero Calamandrei, uno degli artefici della Costituzione italiana, lasciò scritto in pagine indimenticabili che il magistrato non deve essere soltanto imparziale, ma deve apparire tale. Lo stesso vale per un avvocato; nei confronti dell'avvocato, il ragionamento è valido a maggior ragione visto che l'avvocato viene scelto, per aiutare, per difendere e per continuare a sperare da persone che sono a volte in una difficilissima situazione;
    da rilevare che l'articolo 629 del codice di procedura penale prevede che le condanne soggette a revisione sono ammesse «in ogni tempo a favore dei condannati» e che l'articolo 630, lettera d), del codice di procedura penale indica, tra i presupposti della revisione, «che la condanna venga pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato». Il professor Franco Cordero dell'Università La Sapienza, nell'indicare i casi di possibile revisione, secondo l'ordinamento giuridico italiano, indica «casi giudiziari penalmente inquinati che hanno determinato la condanna tra cui “la frode processuale, il patrocinio infedele e la falsità in atti” (Franco Cordero, procedura penale, edizione Giuffrè 2003)»;
    il 9 luglio 2008 venne presentata dalla nuova difesa di Enrico Forti una richiesta di revisione alla corte di appello del terzo distretto, che rifiutò di prendere in considerazione tale richiesta senza fornire alcuna motivazione, come risulta da documento processuale in possesso della difesa di Forti. Un ultimo ricorso per ottenere la revisione del processo di Enrico Forti venne presentato alla corte federale degli Usa il 4 marzo 2009, ma la decisione della stessa corte del 3 agosto 2010 fu di «rifiuto per scadenza dei termini di presentazione». La revisione è implicitamente prevista dal Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 1966 all'articolo 14, comma 6, secondo cui «Quando un individuo è stato condannato con sentenza definitiva e successivamente tale condanna viene annullata, in quanto un fatto nuovo o scoperto dopo la condanna, dimostra che era stato commesso un errore giudiziario». Questa norma, vincolante per gli Usa, dimostra che la revisione è un ricorso non ancorato a termini. E del resto Forti scoprì il conflitto di interessi dopo la condanna definitiva all'ergastolo e fu costretto a raccogliere le prove presso amici e parenti e conoscenti per dimostrare che esisteva il conflitto. Non ha alcuna giustificazione né la decisione del giudice Murphy di respingere la richiesta di Forti senza alcuna motivazione, né quella della corte federale, che ha dichiarato la scadenza del termine per la presentazione del ricorso per la revisione, dal momento che nel patto vincolante per gli USA non esiste un termine, come in nessun ordinamento del mondo, che si ispiri al due process of law;
    il Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 afferma, all'articolo 2, comma 1, che «ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a rispettare e a garantire a tutti gli individui che si trovino sul suo territorio e siano sottoposti alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel presente patto» all'articolo 2, comma 2, che «Ciascuno degli Stati parti si impegna a compiere, in armonia con la proprie procedure costituzionali e con le disposizioni del presente Patto, per l'adozione delle misure legislative o di altro genere che possano occorrere per rendere effettivi i diritti riconosciuti nel presente Patto», all'articolo 2, comma 3, lettera a), che «Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a garantire che qualsiasi persona i cui diritti riconosciuti nel PI siano stati violati, disponga di effettivi mezzi di ricorso, anche nel caso in cui la violazione sia stata commessa da persone agenti nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali»;
    all'articolo 2, comma 3, lettera b), garantisce «che l'autorità competente giudiziaria, amministrativa e legislativa decida in merito ai diritti del ricorrente e sviluppare il ricorso in sede giudiziaria»;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, alla luce di tutto quanto richiamato, il processo contro Chico Forti non è stato equo e si è fondato su un comportamento quantomeno dubbio del difensore e, pertanto, si ritiene necessario un nuovo processo in cui Chico Forti venga chiamato a rispondere dell'omicidio di Dale Pike secondo le norme della Costituzione americana e del Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966,

impegna il Governo:

   ad approfondire tutti i profili relativi alla vicenda di Enrico (Chico) Forti, soprattutto con riferimento alle possibili violazioni delle norme del due process of law contenute nel Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 (in particolare nell'articolo 14), nonché della Costituzione degli Stati Uniti, interessando formalmente il Governo degli Stati Uniti affinché sia intrapresa ogni iniziativa di competenza al riguardo, al fine di evitare un grave pregiudizio dei diritti inviolabili della persona;
   a richiedere informazioni al Governo degli Stati Uniti, per quanto di competenza e nel pieno rispetto dell'indipendenza della giustizia americana, sulle molteplici circostanze che fanno supporre, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, che il processo sia stato condizionato da una difesa che appare segnata da gravi opacità, con particolare riferimento a possibili conflitti di interesse;
   a sostenere nelle sedi appropriate l'istanza di revisione del processo che il connazionale presenterà con il suo legale.
(1-00406)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Corda, Sibilia, Di Benedetto, De Lorenzis, Manlio Di Stefano, Fico, Colletti, Businarolo, Agostinelli, Luigi Gallo, Dall'Osso, Cecconi, Di Vita, Cominardi, Brescia, Simone Valente, Basilio, Rizzo, Frusone, Barbanti, Ruocco, Paolo Bernini, Tofalo».


MOZIONI MARCON ED ALTRI N. 1-00424, GIANLUCA PINI ED ALTRI N. 1-00563, BASILIO ED ALTRI N. 1-00577, CAUSIN ED ALTRI N. 1-00578, SCANU, MARAZZITI, CAUSIN ED ALTRI N. 1-00586, CICCHITTO ED ALTRI N. 1-00590 E BRUNETTA ED ALTRI N. 1-00593 CONCERNENTI LA PARTECIPAZIONE ITALIANA AL PROGRAMMA DI REALIZZAZIONE E ACQUISTO DEGLI AEREI JOINT STRIKE FIGHTER-F35

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    il Joint Strike Fighter (F-35) è un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche, ovvero bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e capacità di interazione con tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra, che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità supersoniche;
    il progetto per la realizzazione di questo velivolo è frutto di un accordo tra gli Stati Uniti e 8 Paesi partner, tra cui l'Italia, partner di secondo livello, che prevede la realizzazione di oltre 3.200 velivoli per un costo complessivo di sola produzione attualmente stimato in 396 miliardi di dollari;
    tra i Paesi partner sono sempre crescenti i dubbi su questo progetto, tanto che: la Gran Bretagna deciderà il numero degli aerei da acquistare dopo la pubblicazione del Defence and Security Review, nel 2015; l'Olanda ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un sonoro voto contrario al progetto e ha poi stabilito con voto parlamentare di ridurre da 85 a 37 velivoli la propria ipotesi di acquisto; l'Australia non userà l'F-35 come piattaforma esclusiva, acquistando anche altri aerei; la Turchia ha rinviato l'acquisto dei primi F-35 fino alla certezza sui ritorni industriali promessi dal programma; il Canada ha annullato l'acquisto decidendo di ripartire da zero con la procedura di acquisizione per l'acquisto del nuovo caccia per la propria aeronautica;
    in Canada, in particolare, il ripensamento nasce dalle polemiche dovute alle omissioni sui costi fatte dal Governo. Uno studio indipendente (Kpgm) ed altri organi di controllo pubblici hanno, infatti, stabilito che il costo complessivo in 40 anni, includendo anche l'uso e la manutenzione, è di oltre 45 miliardi di dollari, tre volte le previsioni fatte in precedenza dal Governo sugli F-35;
    ai quasi 400 velivoli che verrebbero a mancare rispetto alle ipotesi iniziali si aggiungeranno anche le ipotesi di taglio da parte del Pentagono rispetto ai 2.443 previsti, ipotesi già concretizzate nella proposta di FY 2015 dell'amministrazione Obama e che hanno comportato, già oggi per l'acquisto nel 2015 di aerei in versione «A» per l'Air Force, una riduzione dai 110 inizialmente previsti ai 26 confermati;
    ogni riduzione – e in particolare quelle più consistenti da parte degli USA – comportano ulteriori e continui aumenti del costo unitario per tutti gli acquirenti;
    il programma presenta diverse criticità costantemente evidenziate e denunciate nel corso degli ultimi anni sia dal Government accountability office (Gao) che dalle strutture di controllo del Pentagono (in particolare il Director, Operational Test and Evaluation – DOT&E). Oltre all'inarrestabile lievitare dei costi ed i ritardi del programma, nel tempo, si sono riscontrati molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, all'allungamento dei tempi di produzione dei caccia con capacità operative di missione;
    in data 29 gennaio 2014 è stato pubblicato il rapporto annuale del Director, Operational Test and Evaluation), ovvero del direttore della sezione test operativi e valutazione del dipartimento della difesa statunitense, Michael Gilmore. Tale rapporto, trasmesso al Congresso Usa, è un documento ufficiale delle più alte sfere militari statunitensi e riguarda lo stato tecnico e le procedure delle acquisizioni armate statunitensi;
    il rapporto DOT&E, tra le altre cose, affronta l'analisi del programma Joint Strike Fighter (F-35), studiando lo sviluppo delle fasi di test (tempi, evoluzione) e conseguentemente si intendono valutare le capacità raggiunte in funzione dei medesimi test con informazioni aggiornate ad ottobre 2013;
    secondo quanto riportato dal rapporto, in merito agli F-35, si legge: «le performance riguardanti l'operatività complessiva continuano ad essere immature e si basano fortemente su supporto e soluzioni proposte dall'industria che sono inaccettabili per operazioni di combattimento. La disponibilità di velivoli e le misure di affidabilità dei tassi di manutenzione sono tutte sotto gli obiettivi che il Programma si era dato per questo punto del proprio sviluppo»;
    in particolare, si evidenzia che la disponibilità della flotta è stata mediamente del 37 per cento rispetto alle previsioni, con una tendenza ad un declino graduale. Nessuna delle tre varianti dell'aereo ha raggiunto l'affidabilità prevista con una percentuale di raggiungimento dell'obiettivo che va dal 30 al 39 per cento, con tassi di manutenzione, per problemi più o meno gravi, che sono stati tre volte superiori a quanto richiesto (addirittura del 344 per cento in più in alcuni casi);
    una tabella nel rapporto DOT&E mostra come siano stati «compiuti» solo 5464 dei 7180 punti di prova previsti, cioè il 24 per cento in meno rispetto a quanto originariamente stabilito (e per i sistemi di missione si è a meno 46 per cento). Va notato come la definizione di «compiuto» non significhi che tale particolare test sia stato «superato», ma solo che gli F-35 lo abbiano eseguito e questo spiegherebbe le discrepanze con quanto dichiarato dalla Lockheed Martin, ossia che i test sono «più avanti del previsto»;
    tutto questo si ripercuote sul raggiungimento dell'obiettivo primario del programma, ovvero raggiungere una capacità operativa iniziale (ioc) che consenta un primo utilizzo dei caccia F-35 in un ciclo di addestramento che possa rendere effettiva la scelta compiuta. Nonostante i voli di prova siano stati superiori ai traguardi fissati, sono stati soprattutto i pochissimi progressi sui test per i sistemi di missione e l'integrazione degli armamenti a tenere la situazione ancora ben lontana dagli «obiettivi imposti dai lotti di produzione della flotta e dai piani di IOC richiesti dalle diverse forze armate» come si legge dal rapporto;
    ulteriormente, nel rapporto si evidenziano i problemi al software, cui, nonostante le numerose innovazioni, secondo il rapporto «I primi risultati con il nuovo incremento di software Block 2B indicano ancora l'esistenza di lacune di elementi come fusione, radar, guerra elettronica, navigazione, EOTS, Distributed Aperture System (DAS), Helmet-Mounted Display System (HMDS) e datalink»;
    sui sistemi di missione si registra, secondo il rapporto, una vera e propria emergenza. Infatti, solo il 54 per cento dei test previsti come «soglia base» per questi aspetti (fino al blocco 2B) è stato condotto nel 2013 e complessivamente solo il 47 delle capacità definite nel contratto di produzione è stato raggiunto per i 24 velivoli consegnati all'interno del lotto di produzione numero 4. Per il lotto 5 la situazione non è migliore: le capacità definite per contratto che sono state raggiunte arrivano solo al 50 per cento;
    altre preoccupazioni emergono secondo il rapporto riguardo al peso, la struttura e la dotazione delle armi; particolarmente, in relazione al modello B a decollo corto ed atterraggio verticale (quello che dovrebbe essere equipaggiato sulla portaerei Cavour), si riscontrano i maggiori problemi sui test relativi al «distacco» degli armamenti (il lancio dei missili). Circa il 55 dei test pianificati in merito sono stati raggiunti da successo, mentre l'F-35B continua ad avere almeno sei problemi strutturali (sul portellone e sulla propulsione) che derivano dal passato e saranno forse sistemati con i lotti 7 e 8 di produzione;
    quanto appena esposto confermerebbe le criticità rispetto ad un programma che, oltre ad essere altamente costoso, rischia di acquistare aerei che non avranno alcuna speranza di essere utilizzati in missione, se non anche a fatica per azioni di addestramento;
    nel febbraio 2014 la campagna «Taglia le ali alle armi», che dal 2009 si occupa di sottolineare le problematiche del programma degli F-35 in vista della cancellazione della partecipazione italiana allo stesso, ha portato a pubblicare il dossier «Caccia F-35 la verità oltre l'opacità» come nuovo contributo di approfondimento. Nel rapporto si evidenzia come il costo medio attualmente desumibile dalla documentazione di bilancio Usa (e dai dati dei recenti contratti di acquisto italiani) si attesti sui 135 milioni di euro;
    secondo il rapporto, il costo complessivo del programma per l'Italia (se confermati 90 caccia) è in minima ascesa ad oltre 14 miliardi di euro e la proiezione di costo totale «a piena vita» del progetto rimane stimata in oltre 52 miliardi di euro;
    dal dettaglio di tutti i contratti sottoscritti dall'Italia con gli Stati Uniti, fino ad inizio 2014, si dimostra come siano già stati spesi 721 milioni di euro nelle fasi di acquisto (oltre ai 2,7 miliardi di euro per lo sviluppo e la linea di assemblaggio Faco);
    di media, sono 126 i milioni di euro già spesi per i primi tre caccia confermati dal nostro Paese (lotto VI), sforando qualsiasi precedente stima del Ministero della difesa al riguardo;
    il rapporto di «Taglia le ali alle armi» mostra come i dati relativi al ritorno industriale, estrapolati da diverse fonti e confermati anche da Lockheed Martin, confermano ad oggi un rientro per le aziende del nostro Paese di circa il 19 per cento in confronto all'investimento pubblico (meno di 700 milioni di euro sui 3,4 miliardi di euro già spesi dal Governo italiano), una situazione che difficilmente renderà possibile il ritorno di oltre 13 miliardi di euro, che sfiora il 100 per cento di rientro, più volte sbandierato dai Governi di questi anni;
    fonti governative e militari negli anni hanno ipotizzato l'arrivo di 10.000 posti di lavoro, mentre secondo stime sindacali si tratterebbe al massimo di circa 2.000 posti e per di più sarebbero ricollocazioni di lavoratori precedentemente impegnati con l'Eurofighter nella Faco di Cameri, dove sono impiegati meno di 1.000 addetti;
    lo stanziamento complessivo destinato all'acquisto di caccia dei prossimi lotti, previsto per il triennio 2014-2016, sarà di 1950 milioni di euro (circa 650 milioni di euro annuali in media), se non interverranno modifiche alle tabelle di procurement;
    a fine marzo 2013 è stato reso pubblico un nuovo rapporto del Government accountability office sul programma Joint Strike Fighter che ha confermato un ritardo di sette anni ed uno sforamento del budget di più di 160 miliardi di dollari rispetto alle previsioni iniziali;
    secondo il Government accountability office «Problemi di software persistenti» hanno rallentato i test relativi ai sistemi bellici del velivolo, quelli di navigazione, di puntamento e di riconoscimento. Ritardi di tale portata avrebbero come significato che il Corpo dei marine non sarà probabilmente in grado di ottenere tutte le funzionalità attese per il mese di luglio 2015;
    per completare il programma nei termini stabiliti il dipartimento della difesa americano dovrebbe procedere ad un incremento costante nel finanziamento per i prossimi 5 anni, con una media di costo annuale di 12,6 miliardi di dollari fino al 2037. Il picco di costo supererà, per molti anni, i 15 miliardi di dollari, ma «un finanziamento annuale di questa grandezza pone chiaramente dei problemi di sostenibilità a lungo termine, considerata l'attuale situazione fiscale» secondo il Government accountability office;
    nell'ultima richiesta di bilancio, l'Air Force Usa ha allocato circa 1,4 miliardi di dollari in cinque anni (ma altri fondi saranno poi richiesti successivamente) per risolvere problematiche sui vecchi lotti. Si tratta di una procedura che andrà poi ad interessare anche i lotti VI, VII ed VIII, i quali comprendono pure gli aerei acquisiti dall'Italia. Nella lista di priorità dettagliata dell'aviazione Usa sono incluse, tra le altre cose: le componenti per migliorare la protezione contro i fulmini, le prestazioni del seggiolino eiettabile, l'illuminazione sulle punte delle ali del jet, la zona preposta ad accogliere missili ed armi, il sistema di gestione termica e di potenza del velivolo, i condotti d'aria per il motore prodotto da Pratt & Whitney, la resistenza delle paratie ed, infine, il complicato sistema di display digitale montato dall'avveniristico casco;
    a fronte dei calcoli effettuati dal Government accountability office resta irrealistica la proiezione in decrescita entro il 2019 sui costi unitari degli aerei presentata dal produttore Lockheed Martin. Secondo le stime del Government accountability office, affinché ciò accada per la versione A, si dovrà ottenere una riduzione di oltre 40 milioni di dollari ad aereo rispetto al costo a consuntivo definitivo degli aerei prodotti nel 2013. Un «recupero» di oltre il 33 per cento in 5-6 anni;
    a riguardo dei costi, nel documento, si nota quindi come «il finanziamento attuale e le quantità previste nel programma indicano che i costi unitari nel 2019 potrebbero effettivamente essere superiore agli obiettivi»;
    in questi giorni il Pentagono ha deciso di bloccare il pagamento di 231 milioni di dollari a Lockheed Martin fino alla completa implementazione di modifiche necessarie per gli F-35 già consegnati, incluse le ormai famose protezioni contro i fulmini;
    l'Italia partecipa al progetto sin dal suo inizio, nel 1998, con una richiesta iniziale di 131 aerei, ridotta poi nel 2012 a 90 velivoli, considerati dalle Forze armate «indispensabili», perché andrebbero a sostituire tre linee di velivoli: i Tornado, gli AM-X e gli AV-8 B, ma senza tuttavia fornire alcuna spiegazione circa il ruolo di un aereo tanto sofisticato, anche alla luce degli impegni internazionali del nostro Paese;
    nel 2009 le Commissioni difesa della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, esprimendo parere favorevole al programma, hanno posto alcune condizioni: la conclusione di accordi industriali e governativi che consentano un ritorno industriale per l'Italia proporzionale alla sua partecipazione finanziaria, anche al fine di tutelare i livelli occupazionali; la fruizione da parte dell'Italia dei risultati delle attività di ricerca relative al programma; la preventiva individuazione di adeguate risorse finanziarie che non incidano sugli stanziamenti destinati ad assicurare l'efficienza della componente terrestre e, più in generale, dell'intero strumento militare;
    il programma dell'F-35 è diventato un progetto dal costo elevato a fronte di prestazioni peraltro incerte e non corrispondente alle esigenze difensive del nostro Paese, con ricadute industriali ed occupazionali molto lontane dalle aspettative, che rischia anche di compromettere le politiche di disarmo utili invece a gestire in maniera corretta le crisi internazionali;
    nel corso del 2013, dopo analoghe proposte senza impatto degli anni precedenti, un nutrito gruppo di parlamentari ha presentato sia alla Camera dei deputati che al Senato della repubblica dei documenti per richiedere al Governo un impegno vincolante verso la cancellazione della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter;
    ciò ha stimolato la presentazione da parte di quasi tutti i gruppi parlamentari di mozioni ed ordini del giorno sulla stessa materia, giungendo infine all'approvazione in entrambi i rami del Parlamento di una mozione promossa dall'allora maggioranza del Governo Letta che impegnava il Governo pro tempore a non procedere ad «ulteriori acquisti» in attesa di un pronunciamento esplicito parlamentare;
    peraltro, è stata avviata un’ indagine conoscitiva presso la Commissione difesa della Camera dei deputati conclusasi nel maggio 2014;
    nel corso del 2013 il Governo italiano ha comunque proseguito l'acquisto dei caccia, non attenendosi alle indicazioni delle mozioni di metà 2013 votate alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica. Ciò è avvenuto non solo comprando definitivamente (con i contratti del cosiddetto «buy year») 3 + 3 aerei rispettivamente dei lotti VI e VII, con una giustificazione ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non confermabile dalle carte e sconfessata dalle stesse decisioni Usa («si erano già sottoscritti contratti per inizio acquisto», anche se tali tipi di accordi non erano assolutamente vincolanti), ma procedendo anche al procurement dei lotti VIII e IX, per cui non esisteva alcun tipo di accordo, solo pochi giorni dopo l'ultimo voto presso il Senato della repubblica delle mozioni predette;
    nell'attuale fase di produzione a basso rateo, la conferma di acquisto dei singoli velivoli viene fatta mediante sottoscrizione successiva di diversi contratti (per ogni aereo la catena di conferme si snoda su 5 annualità, per cui la terza è considerata il «buy year» definitivo) definiti e decisi annualmente; non si è ancora entrati nella fase di produzione multi-annuale che richiede un contratto definitivo da cui non sarà possibile uscire, pena il pagamento di penali,

impegna il Governo:

   a cancellare la partecipazione al programma Joint Strike Fighter per la produzione dei cacciabombardieri F-35, iniziando fin da subito le procedure previste dal Memorandum of Understanding dei partner del programma, per una chiusura definitiva di qualsiasi attività (sviluppo, produzione) ad esso correlata da parte del nostro Paese;
   a sospendere immediatamente qualsiasi attività contrattuale, di accordo tra le parti o di ulteriore acquisizione, nei confronti del Joint Strike Fighter program office del progetto fino alla definizione di tutte le procedure e decisioni che possano rendere effettiva la scelta di cancellazione della partecipazione italiana al programma.
(1-00424) «Marcon, Migliore, Duranti, Piras, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Lacquaniti, Lavagno, Kronbichler, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Pilozzi, Piazzoni, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    è in atto un'intenso dibattito negli Stati Uniti sull'effettiva affidabilità del caccia-bombardiere multi-ruolo F-35, sviluppato dalla Lockheed-Martin come unico velivolo della categoria di quinta generazione, nell'ambito di un programma multinazionale in cui sono da anni coinvolti numerosi Paesi, tra i quali il nostro, che ha anche ottenuto l'installazione a Cameri dell'unica Faco esistente fuori dai confini statunitensi;
    in particolare, si rileva come il velivolo, di cui è iniziata la produzione anche nel nostro Paese, mentre ne continuano negli Stati Uniti l'aggiornamento e sviluppo tecnologico, abbia manifestato problemi motoristici che ne hanno sconsigliato l'esibizione al salone aeronautico di Farnborough, in Gran Bretagna;
    tuttavia, non è affatto da escludere che Lockheed-Martin e le numerose aziende coinvolte nel programma F-35 riescano comunque a risolvere i problemi tecnici affiorati finora;
    con un atto d'indirizzo l'Assemblea della Camera dei deputati ha già impegnato il Governo a «non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso in merito», vale a dire, sostanzialmente, all'arresto temporaneo della partecipazione nazionale al programma, cosa che ha comportato la sospensione di tutti i pagamenti dovuti, stando a quanto il Ministro della difesa ha dichiarato alle Commissioni difesa dei due rami del Parlamento il 24 giugno 2014, anche se a Cameri sono in assemblaggio i velivoli destinati al nostro Paese ed appartenenti al lotto 6, in consegna tra il 2015 ed il 2016;
    con il documento, noto anche come «lodo Scanu», approvato a conclusione di un'indagine conoscitiva sui maggiori programmi di acquisizione di armamenti in corso, la Commissione difesa della Camera dei deputati ha raccomandato il 7 maggio 2014 il dimezzamento delle risorse conferite al programma;
    il Ministero della difesa sta elaborando un nuovo libro bianco, le cui linee guida sono già state condivise con il Capo dello Stato, nell'ambito della sede istituzionale del Consiglio supremo di difesa, ma che dovrà essere discusso dal Parlamento;
    dal confronto sul futuro libro bianco dovranno emergere i fondamenti di una politica nazionale di sicurezza e difesa effettivamente condivisa, dai quali discenderanno le scelte in materia di sistemi d'arma da acquisire;
    le Forze armate non possono essere ridotte ad un inutile «stipendificio» in tempi tanto difficili e pericolosi, ma devono invece essere ammodernate in tutte le loro componenti, facendo il miglior uso possibile delle ridotte risorse disponibili, tenendo conto anche delle alleanze di cui il nostro Paese fa parte;
    la complessità dei moderni sistemi d'arma esige archi di tempo lunghissimi per la loro progettazione, produzione, sviluppo ed aggiornamento;
    l'F-35 rappresenta anche, in questo momento, un pegno ed un elemento basilare del rapporto politico che lega nella sfera della sicurezza e difesa il nostro Paese agli Stati Uniti, relazione di importanza strategica in un contesto internazionale sempre più instabile, incerto ed insicuro;
    le difficoltà in cui si dibatte la finanza pubblica stanno comportando tagli in settori non meno delicati della difesa, come, ad esempio, quello della sicurezza interna e dell'ordine pubblico, al quale si stanno sottraendo 1,5 miliardi di euro,

impegna il Governo:

   a respingere la prospettiva del disarmo aereo nazionale avanzata nel documento approvato dalla Commissione difesa della Camera dei deputati, noto come «lodo Scanu», subordinando tuttavia la continuazione della partecipazione del nostro Paese al programma F-35 agli esiti delle verifiche tecniche sull'affidabilità del velivolo e chiedendo al Governo degli Stati Uniti di ammettere personale italiano ai test che vengono condotti sulla piattaforma;
   a garantire comunque la prosecuzione dell'ammodernamento delle forze aeree ed aeronavali del nostro Paese, in un quadro di immutata collaborazione con il Governo degli Stati Uniti, eventualmente negoziando, in caso di ulteriori difficoltà tecniche del programma F-35, l'acquisto o il leasing di una congrua partita di caccia F-22 Raptor e, per la Marina, l'acquisizione dei più recenti esemplari di AV-8 B che verranno dismessi dal Corpo dei marine;
   ad assumere iniziative per destinare al comparto sicurezza interna i risparmi temporaneamente conseguiti con la sospensione dei pagamenti dovuti per l'F-35, in modo tale da revocare almeno per l'anno 2014 i tagli disposti in sede di spending review a carico del Ministero dell'interno.
(1-00563) «Gianluca Pini, Marcolin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il progetto Joint Strike Fighter, avviato in prima istanza nel 1998 e definito nel 2002, con lo stanziamento di circa 13 miliardi di euro, non appare adeguato ai nuovi contesti di crisi internazionale che necessitano invece di maggiori iniziative diplomatiche e di sistemi d'arma in grado di tutelare le popolazioni civili;
    il concetto di tale cacciabombardiere era basato su condizioni geopolitiche che non esistono più; gli eventi degli ultimi mesi mettono in risalto l'inefficacia di strumenti come l'F-35: i bombardamenti in corso in Iraq contro l'Is hanno secondo i firmatari del presente atto di indirizzo più il ruolo di lavare la coscienza dei Paesi che hanno creato quella crisi, con le scelte fatte negli ultimi 15 anni nell'area Mediorientale, che risolvere il problema;
    ad oggi, il programma F-35 prevede un onere complessivo, per l'acquisizione degli aerei e il supporto logistico, stimato in circa 10 miliardi di euro, con completamento previsto nel 2027 (in media poco più di 111 milioni di euro ad aereo per 90 aerei);
    a questi fondi bisogna aggiungere oltre 3 miliardi di euro, di cui circa 2,7 miliardi di euro già spesi. Nel dettaglio si tratta di:
     a) 1 miliardo di dollari per la fase di sviluppo iniziale, ufficialmente completata (già pagati);
     b) 900 milioni di dollari per la fase di production, sustainment, and follow-on development, completamento previsto nel 2047 (già pagati);
     c) 795,6 milioni di euro per la realizzazione della linea di assemblaggio e supporto di Cameri (Faco), le cui attività dovrebbero completarsi nel 2014 (già pagati);
     d) 465 milioni di euro per le attività di predisposizioni e di adeguamento infrastrutturale delle basi e dei siti di Aeronautica e Marina che ospiteranno il velivolo;
    di questi risultavano già stati spesi, a fine 2012:
     a) oltre 19 milioni di euro per la base di Amendola, che ospiterà 2 gruppi di volo di F-35A, su un totale previsto di oltre 100 milioni di euro;
     b) 4 milioni di euro per la base di Grottaglie, su circa 140 milioni di euro previsti;
     c) 10 milioni di euro per la portaerei Cavour, di cui 4,8 milioni di euro per l'adeguamento del sistema Alis (Automatic logistic information system), su un totale previsto di 87,5 milioni di euro; 3,6 milioni di euro per Cameri relativi all'adeguamento dei sistemi di ausilio alla navigazione;
    accanto a questi interventi sono previste misure analoghe per la base di Decimomannu, per le quali si prevede di spendere oltre 48 milioni di euro, e per la base di Ghedi (dedicata allo strike nucleare), che ospiterà 2 gruppi di F-35A, con avvio dei primi lavori a partire dal 2016 e previsione di spesa complessiva di 87,5 milioni di euro;
    la Faco risulta, ad oggi, l'unico luogo in Europa, già costruito ed operativo, per la manutenzione e l'aggiornamento dei futuri aerei F-35;
    da tutte le audizioni della recente indagine conoscitiva della Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati sui sistemi d'arma, anche dalle più favorevoli al progetto, si evince che l'F-35 è un «proiettile d'argento», ovvero uno strumento dedicato ad alcune particolari funzioni (come il first-strike nucleare), ma, pur essendo definito come «aereo multiruolo», non è particolarmente efficiente in situazioni come il combattimento aria-aria ravvicinato (close air combat) o il supporto tattico alle forze terrestri (close air support) che richiede voli a bassa quota;
    l'implicazione industriale e tecnologica (in termini di know-how) è limitata rispetto ad altri progetti già in essere. L'impatto in termini di posti di lavoro è limitato se si considera l'enormità della spesa pubblica sostenuta (la Faco offrirà al massimo 1.815 posti di lavoro); ciò non toglie che il know-how che le imprese (anche piccole e medie) implicate nel progetto (soprattutto nella gestione delle parti in titanio) potrebbero sviluppare aprirebbe a loro nuovi mercati nel settore aeronautico;
    all'Italia non è consentito nessun tipo di accesso alle tecnologie caratterizzanti l'F-35. In particolare, ciò riguarda la tecnologia stealth (la palazzina delle radiomisure della Faco è interdetta all'accesso agli italiani quando i sistemi sono in funzione e sarà possibile solo tarare gli aerei italiani) e il codice sorgente del software dell'aereo. Quest'ultimo elemento impedisce qualsiasi futura integrazione italiana di nuovi o diversi sistemi sull'aereo (armi, sistemi di difesa elettronica, sensori ed altro);
    inoltre, le informazioni allarmanti circa la possibilità segnalata dalla Rete italiana per il disarmo di ritardi nello sviluppo e nella risoluzione degli evidenziati, numerosi problemi di costruzione, potrebbero comportare problemi di «concurrency», anche oltre la fase di produzione iniziale a basso rateo che dovrebbe concludersi nel 2019, ovvero portare ad avere un prodotto in fase di piena produzione con problemi da risolvere ancora (e non risolti nella fase di produzione iniziale a basso rateo) e che dovrà essere richiamato per la correzione dei problemi, con un aumento di costi incalcolabile;
    gli F-35 sono ispirati ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo ad una modalità di difesa che non rientra nell'alveo dei dettami dell'articolo 11, comma 1, della Costituzione. L'acuirsi delle tensioni e delle guerre di queste settimane – Ucraina, Gaza, Iraq, Siria e Libia – impongono al contrario un cambio di strategia politica e militare a livello internazionale. Appare anacronistico proseguire con l'acquisizione di sistemi d'arma costosissimi ma inadatti ad intervenire nelle moderne aree di crisi;
    la decisione del governo Usa di ammodernare le bombe nucleari di stanza nelle basi di Ghedi ed Aviano per renderle compatibili con gli F-35 presuppone che l'Italia diventi la linea più avanzata della deterrenza nucleare della Nato, contraddicendo spirito e lettera dell'adesione dell'Italia al Trattato di non proliferazione nucleare,

impegna il Governo:

   a cancellare la partecipazione dell'Italia al programma Joint Strike Fighter e a sospendere immediatamente qualsiasi attività contrattuale;
   in subordine all'impegno precedente:
    a) a sospendere immediatamente l'attività contrattuale dei velivoli F-35B dei prossimi lotti previsti, al fine di conseguire risparmi stimati, di spese in conto corrente, di circa 560 milioni di euro;
    b) a sospendere l'attività contrattuale fino alla fase di piena produzione, posto che, in base alle proiezioni presentate dal General accounting office degli Stati Uniti relativamente all'auspicata riduzione del prezzo unitario degli F-35 costruiti nella fase di piena produzione che sarà avviata nel 2019, rispetto a quelli prodotti nella fase di produzione iniziale a basso rateo attualmente in corso, il solo rinvio dell'acquisto dei 24 aerei che l'Italia prevede di acquistare entro il 2019 comporterebbe un risparmio di almeno un miliardo di dollari (i 24 aerei costerebbero in tutto circa 2,27 miliardi di dollari, anziché 3,35 miliardi di dollari), senza contare che detti velivoli non richiederebbero i successivi interventi di ammodernamento causati dal fenomeno della «concurrency»;
    c) ad avviare comunque la rinegoziazione con il Joint program office delle funzioni della Faco e delle capacità industriali connesse, giacché la Faco (final assembly and check out) è di proprietà dello Stato e potrà per questo essere utilizzata come centro di manutenzione, anche se Lockheed Martin decidesse di annullare la produzione a Cameri e, conseguentemente, ad avviare una valutazione degli investimenti che impattano sulle aziende italiane collegate al Joint Strike Fighter, al fine di mantenere la loro capacità di sviluppo industriale e know-how acquisibile;
   a ridurre il fondo appositamente creato nel 2002 di spese in conto capitale che prevede il finanziamento del progetto Joint Strike Fighter, liberando così immediatamente risorse impegnate per i prossimi anni;
   ad avviare da subito una prima fase di sospensione del progetto, al netto dei lotti già contrattualizzati definitivamente (LRIP 6 e LRIP 7 per 6 aerei) e della valutazione dello stato di acquisizione dei lotti successivi (LRIP 8, LRIP 9, LRIP 10 e LRIP 11).
(1-00577) «Basilio, Rizzo, Artini, Paolo Bernini, Corda, Frusone, Tofalo, Manlio Di Stefano, Di Battista, Sibilia, Del Grosso, Grande, Spadoni, Scagliusi, Carinelli».


   La Camera,
   premesso che:
    sono ormai cicliche le polemiche e le contraddizioni legate al programma sugli F-35, o Joint Strike Fighter-F35, i cacciabombardieri multiruolo di quinta generazione monoposto, in merito soprattutto ai difetti e ai ritardi registrati nel corso dello sviluppo delle tecnologie e del programma riferiti al velivolo;
    costituisce un esempio in tal senso la ripresa parziale dei voli, il 16 luglio 2014, della flotta degli F-35, dopo il fermo posto dalle direttive emanate dagli uffici del programma F-35, dall'Air Force e dalla Marina, in cui si ordinava la sospensione di tutti i voli degli F-35 a seguito di un incendio scoppiato il 23 giugno 2014 su un caccia F-35A dell'Air Force in una base della Florida, mentre il pilota si preparava al decollo. Attualmente sembrerebbe non ci sia alcun pericolo;
    sul programma F-35 le disposizioni governative e militari sono spesso contraddittorie. Le previsioni di spesa contenute nel Documento di economia e finanza per il 2014 hanno focalizzato l'attenzione, da una parte, sulla problematica inerente la reale necessità di investimenti militari e, dall'altra, sugli effettivi benefici indotti da una riduzione di spesa in tal senso;
    il programma di acquisto in 20 anni degli F-35 (che saranno solo parzialmente assemblati in Italia in una nuova fabbrica a Cameri) prevedeva l'acquisizione di 135 bombardieri per l'Italia, poi ridotti a 90 (di cui 30 a decollo verticale);
    l'Italia è l'unico Paese al mondo ad avere un sito produttivo al di fuori degli Usa; altri Paesi, in Asia e in Europa, stanno però investendo risorse per acquisire una certa capacità produttiva;
    per capire meglio l'urgenza delle decisioni da prendere è sufficiente evidenziare quanto rilevato dal generale Christopher Bogdan, a capo del programmi statunitense F-35, che ha dichiarato che ogni slittamento o cancellazione delle commesse degli alleati provoca un incremento di costo del 2/3 per cento per gli F-35 acquistati dal Pentagono;
    il programma F-35 garantirà, a regime, in Italia un'occupazione pari a circa 1.500 addetti diretti. Includendo l'indotto, l'ammontare della forza lavoro nazionale raggiungerà, nello stesso arco di tempo, un totale di 6.500 unità. Finmeccanica-Alenia Aermacchi prevede di costruire circa 800 complessi alari;
    i dati più ottimistici in proposito li fornisce un rapporto redatto recentemente da Price Waterhouse Coopers sull'impatto economico del programma F-35 in Italia, che stima ben 15,7 miliardi di dollari il beneficio economico per l'Italia nel periodo dal 2007 al 2035 e un'occupazione potenziale di 5.450 posti di lavoro dal 2017 al 2026;
    dalla relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2013 e per ciò che concerne il programma relativo allo sviluppo e al sostegno del velivolo Joint Strike Fighter emerge che le poste finanziarie previsionali allocate sul programma negli esercizi finanziari 2015 e 2016 sono rispettivamente pari a 644,3 milioni di euro e 735,7 milioni di euro. A seguito delle attività di contenimento della spesa pubblica avviate dal Governo italiano a partire dal 2011, il Ministro della difesa ha determinato la riduzione dei velivoli italiani da acquisire da 131 a 90, suddivisi in 60 Ctol per l'Aeronautica militare e 30 Stovl equamente distribuiti tra Marina e Aeronautica militare. Ad oggi, rileva la Corte dei conti, sono stati posti in essere contratti per l'acquisizione di 3 velivoli Ctol nel lotto di produzione low rate initial production 6 (LRIP 6 – consegne 2015-2016) e 3 velivoli Ctol nel lotto di produzione LRIP 7 (consegne 2016). Inoltre, sono stati posti in essere contratti per l'acquisizione dei soli componenti a lunga lavorazione (long lead items) per i lotti LRIP 8 e LRIP 9 (consegne, per entrambi, nel 2017);
    per quello che riguarda i ritorni industriali, la relazione riporta quanto riferito a questo riguardo dall'amministrazione della difesa secondo la quale il ritorno occupazionale correlato al programma F-35 era inizialmente stimato intorno ai 10.000 posti di lavoro (studio di Finmeccanica 2008), comprensivi sia di produzione industriale sia di supporto tecnico/logistico. In seguito alla riduzione da 131 a 90 velivoli, da un'indagine svolta con le industrie di settore, il ritorno occupazionale diretto (attività delle filiere produttive di beni e servizi che soddisfano le commesse) è stimato tra i 3.700 ed i 6.900 posti di lavoro comprensivi, sia di produzione industriale sia di supporto tecnico/logistico del sistema d'arma;
    il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, ha evidenziato la necessità di un razionale equilibrio nella valutazione delle scelte, tra le esigenze della difesa, da una parte, e la serietà verso le imprese che hanno investito su questo programma, dall'altra;
    in merito all'acquisto degli F-35 il Ministro della difesa, intervenendo in audizione nelle Commissioni parlamentari difesa della Camera dei deputati e del Senato della repubblica, il 24 giugno 2014, ha affermato che: il «programma complessivo» relativo all'acquisto da parte dell'Italia dei caccia F-35 resta sospeso e «sarà definito nuovamente» dopo la stesura del Libro bianco per la difesa, previsto per il mese di settembre 2014, che definirà ciò che serve «per soddisfare le nostre necessità di difesa», aggiungendo che, allo stato, i contratti già sottoscritti e operanti riguardano solo i lotti 6 e 7, per sei velivoli complessivi;
    nel corso della stessa audizione il Ministro della difesa ha rilevato quanto fosse doverosa la sospensione del programma degli F-35, che, tuttavia «implica oneri non trascurabili e, soprattutto, prospetta il rischio di causare effetti particolarmente negativi in termini di sostenibilità industriale»;
    dopo l'atto di indirizzo approvato in Parlamento, ha ricordato Pinotti, «il Governo ha deciso di sospendere temporaneamente ogni ulteriore attività contrattuale, successiva a quelle già sottoscritte e operanti». Quindi, «fatta salva l'attività relativa agli oneri non ricorrenti di produzione, supporto e aggiornamento, i quali sono condivisi con tutti gli altri partner internazionali, nonché le attività relative alla produzione ed equipaggiamento dei due lotti numero 6 e numero 7, i cui contratti erano già sottoscritti e operanti, nessuna altra attività contrattuale di acquisizione è stata affidata all'Ufficio di programma»;
    nel corso dell'audizione del Ministro della difesa, le Commissioni congiunte difesa della Camera dei deputati e del Senato della repubblica, in merito al programma di acquisto dei velivoli F35, hanno rilevato che:
     a) ad oggi, sono oltre cento i velivoli realizzati, «i quali operano regolarmente e con una crescente intensità, permettendo sia di procedere con la fase sviluppo, sia di addestrare i futuri piloti destinati ai reparti operativi»;
     b) le forze armate statunitensi hanno già assegnato il velivolo ai primi reparti e prevedono di raggiungere la capacità di svolgere missioni operative dal 2016;
     c) l'Italia utilizzerà i primi lotti di velivoli solo per le attività di familiarizzazione con le nuove tecnologie e l'addestramento;
     d) i lavori di allestimento del sito di Cameri sono quasi completati e sono già state avviate le operazioni di assemblaggio dei primi velivoli italiani;
    nel mese di aprile 2014 è giunto a Cameri, per il montaggio, il primo motore. Si tratta di velivoli appartenenti al lotto numero 6, che include tre esemplari con consegne previste fra il 2015 e il 2016. Seguirà come previsto, il lotto numero 7, composto di tre velivoli, con consegne nel 2016;
    qualora nel sito produttivo di Cameri le attività produttive relative ai lotti successivi rispetto al numero 6 e 7 non dovessero essere avviate, si determinerebbe un'interruzione della «curva di apprendimento» e, quindi, un peggioramento sostanziale della competitività dell'intero sito produttivo, causando un dirottamento delle commesse internazionali provenienti dagli altri Paesi che hanno deciso di acquisire l'F-35 verso lo stabilimento statunitense;
    nel «Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2014-2016», esaminato il 16 luglio 2014 dalla Commissione difesa della Camera dei deputati, sono evidenziate le principali voci di spesa che compongono la funzione difesa (esercizio, investimento e personale) che, negli ultimi sei anni, sono diminuite di 1.732,7 milioni di euro, pari a –27,51 per cento delle disponibilità del 2008. In particolare, i consumi intermedi avrebbero registrato una riduzione in termini finanziari di 1.440,3 milioni di euro (-63,59 per cento), passando dai 2.265 milioni del 2008 agli attuali 824,7. Riguardo invece alla funzione sicurezza del territorio che attiene alle esigenze finanziarie dell'Arma dei carabinieri, lo stanziamento previsionale per il 2014 ammonta a circa 5.687,4 milioni di euro, circa meno 72,2 milioni (-1,3 per cento) rispetto al precedente bilancio approvato dal Parlamento;
    purtroppo, le recenti implicazioni politiche, economiche, sociali e culturali, hanno un risvolto che dovrebbe destare serie preoccupazioni riguardo alla pace e alla stessa sicurezza all'interno di parecchie nazioni e di intere aree geografiche. Il precipitare del conflitto israelo-palestinese, di quello in Siria e dei rapporti tra Russia e Ucraina di questi giorni sono la realtà manifesta di quanto continua ad accadere. Tutto ciò rende ancora più evidente la necessità di potersi presentare dinnanzi a simili conflitti con mezzi adeguati;
    se a ciò si aggiunge che, in questi ultimi anni, le spese militari nel mondo occidentale sono diminuite a fronte di un sensibile incremento riscontrato in altri Paesi, in particolare quelli che compongono il cosiddetto Bricst (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e Turchia), oltre a quelli coinvolti in situazioni di conflitto, si comprendono meglio i timori alla base di eventuali ulteriori riduzioni di spesa per la difesa. Si tratta di problemi lontani solo in apparenza, dal momento che si potrebbero verificare delle ripercussioni che rischiano di estendersi al di fuori delle aree strettamente interessate;
    se si considerano le principali operazioni nelle quali l'Italia ha impiegato le proprie capacità aeree negli ultimi ventiquattro anni (Iraq 1990-1991, Bosnia-Erzegovina 1993-1998, Kosovo 1999, Afghanistan 2001-2014 e Libia 2011), sono stati schierati oltre 100 velivoli tra cui Tornado, AMX, F-104, AV-8B, F-16 ed Eurofighter, e realizzate più di 13.000 sortite, per un totale di circa 36.000 ore di volo. A testimonianza dell'elevato grado di integrazione del Paese nell'Onu e nell'Alleanza atlantica, inoltre l'utilizzo dei velivoli ha avuto luogo nel 90 per cento dei casi in operazioni organizzate con l'avallo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nell'80 per cento delle circostanze nell'ambito di una catena di comando e controllo Nato;
    se ci si riferisce alle sole missioni di pace, all'8 aprile 2014 erano 9.153 i militari italiani impegnati in 25 missioni all'estero. Si tratta di grandi e piccoli contingenti: dai 3.820 impegnati nella Kfor in Kosovo, ai 3 della Monuc in Congo, al solo militare che, proprio in Iraq, fa parte della missione Unikom;
    dunque, a margine di una situazione internazionale, quanto meno preoccupante, e soprattutto considerando le operazioni in cui l'esercito italiano è stato impegnato, si comprende meglio la necessità di poter affrontare sia le situazioni di conflitto, sia le missioni di pace con i mezzi adeguati,

impegna il Governo:

   a rispettare gli impegni precedentemente assunti e relativi all'acquisto degli F-35, in linea con le nuove capacità di spesa connesse ai tagli finalizzati al contenimento del debito pubblico che stanno interessando anche il settore della difesa;
   a garantire, eventualmente riaggiornandolo, alla luce delle nuove e accresciute esigenze di bilancio, il programma di acquisizione degli F-35, ponendo particolare attenzione al ruolo attivo dell'Italia rispetto agli altri Paesi e assicurando la capacità nazionale di manutenzione dei velivoli in dotazione;
   ad assicurare un monitoraggio continuo, riferendo ai competenti organi parlamentari, delle diverse fasi di evoluzione del progetto, ribadendo il ruolo centrale delle diverse regioni italiane e garantendo l'acquisizione delle competenze tecnologiche necessarie legate ai velivoli.
(1-00578) «Causin, Mazziotti Di Celso, Vargiu, Vitelli, Molea, Matarrese, Rabino».


   La Camera,
   premesso che:
    il quadro delle relazioni internazionali risulta caratterizzato da un moltiplicarsi di nuove e crescenti situazioni di accesa criticità e complessità che chiamano il nostro Paese ad assumersi le proprie responsabilità nell'ambito delle istituzioni sovranazionali e delle alleanze di cui fa parte: Onu, Unione europea e Nato;
    l'intero Medioriente rischia di avvitarsi in una escalation di tensioni politiche, etniche e religiose che ne minano alle fondamenta la stabilità e le prospettive di sviluppo: dal conflitto israelo-palestinese, alla Siria, dal Libano all'Iraq, per non dimenticare la stessa situazione libica che appare fuori controllo. Si è di fronte ad un insieme di focolai di tensione che generano violenze intollerabili, guerre civili e la diffusione di nuovi e più pericolosi filoni di terrorismo di diversa matrice che trovano la loro espressione più inquietante e più pericolosa nel tentativo di costituire un'entità statale sotto l'egida di un califfato;
    in questo quadro non può essere sottovalutato il riaccendersi delle tensioni con la Russia nella complessa vicenda dell'Ucraina. Una situazione che sollecita una risposta unitaria e adeguata da parte, innanzitutto, dell'Europa per affrontare con tempestività situazioni che mettono a rischio equilibri strategici e geopolitici da preservare;
    le responsabilità del nostro Paese risultano ancor più accentuate dal ruolo di guida dell'Unione europea assunto dall'Italia in questo semestre e dalla designazione del Ministro Mogherini come responsabile della politica estera e di sicurezza dell'Unione europea e obbligano il nostro Paese ad adoperarsi per realizzare una più incisiva ed unitaria strategia politica dell'Europa in grado di affrontare le crisi in atto;
    tutto ciò comporta per il nostro Governo una triplice responsabilità segnata, da un lato, dalla necessità di non lasciare nulla di intentato sul difficile terreno dell'iniziativa diplomatica al fine prioritario di porre le condizioni per una soluzione negoziata delle principali aree di crisi, a partire da quella Ucraina, dall'altro, dalla altrettanto pressante necessità di un contenimento e di una riduzione della spesa pubblica dell'Italia e, ancora, da quella di assicurare la disponibilità di forze armate efficienti, moderne ed integrate in ambito europeo e con i Paesi alleati;
    la quantità di risorse che il nostro Paese prevede di destinare ai sistemi d'arma, così come quella destinata al personale, è al momento ancora superiore a quelle individuate dal provvedimento di riforma dello strumento militare, mentre sono invece significativamente inferiori le risorse destinate all'esercizio, secondo il paradigma, condiviso in più occasioni dal Governo e dal Parlamento, di una ripartizione della spesa che riservi il 50 per cento del budget alle spese per il personale, il 25 per cento a quelle per l'esercizio e il 25 per cento agli investimenti;
    la Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati, in particolare, ha più volte espresso l'avviso che qualsiasi decisione in tema di pianificazione dello strumento militare, inclusa l'attività di ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d'arma, si dovesse basare sull'apprezzamento dello scenario strategico, sulla considerazione degli impegni internazionali assunti e, non ultimo, sul livello delle risorse disponibili;
    da questo punto di vista merita particolare apprezzamento l'orientamento assunto dal Governo di addivenire in tempi brevi all'elaborazione di un nuovo libro bianco della difesa, anche per poter avviare una seria riflessione sulla sostenibilità di talune scelte già annunciate;
    l'Italia ha partecipato fin dall'inizio al programma di sviluppo del velivolo F-35 e ha realizzato sul proprio territorio una struttura di final assembly and check-out (Faco), in grado di assemblare i velivoli e di svolgere anche attività di manutenzione, che costituisce al momento l'unica struttura di tale genere esistente al di fuori degli Stati Uniti d'America;
    i molti dubbi che riguardano il programma F-35 hanno trovato nell'indagine conoscitiva la sede istituzionale più idonea ad una severa verifica;
    le molte difficoltà che incontra il velivolo hanno comportato, nelle scorse settimane, la decisione, dell'amministrazione statunitense, dopo un periodo di sospensione dei voli, di sottoporli a limitazioni sino alla risoluzione dei problemi tecnici;
    il Governo ha limitato gli ordini di acquisto e il conseguente assemblaggio degli esemplari destinati alle Forze armate italiane ai primi sei velivoli, così come indicato dalla mozione della Camera dei deputati n. 1-00125 del 26 giugno 2013,

impegna il Governo:

   a riesaminare l'intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l'obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, così come indicato nel documento approvato dalla Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013, tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti;
   a ricercare, entro questi limiti, ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali del programma F-35, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici, valorizzando gli investimenti già effettuati nella Faco e la sua potenzialità quale polo produttivo e logistico internazionale;
   a mantenere costante il controllo sulla piena rispondenza dei velivoli ai requisiti di efficienza e di sicurezza e ai criteri operativi delle Forze armate.
(1-00586) «Scanu, Marazziti, Causin, Aiello, Bolognesi, D'Arienzo, Ferro, Fioroni, Fontanelli, Carlo Galli, Garofani, Gregori, Marantelli, Massa, Moscatt, Salvatore Piccolo, Giuditta Pini, Stumpo, Valeria Valente, Villecco Calipari, Zanin, Carra, Iacono, Amoddio, Scuvera, Beni».


   La Camera,
   premesso che:
    nello scenario internazionale e, in particolare, nel quadrante mediterraneo e mediorientale, si registra una perdurante instabilità, con numerosi focolai di tensione e di crisi interne ai singoli Stati, potenzialmente in grado di destabilizzare intere regioni, delineando un quadro della sicurezza quanto mai complicato e imprevedibile. In tale situazione, a fronte di significativi incrementi di spese militari in alcuni Paesi, si assiste ad una generalizzata riduzione degli investimenti nella difesa del mondo occidentale;
    in tale contesto geopolitico, se emergono con forza i vantaggi in termini operativi, capacitivi ed economici potenzialmente derivanti da un rafforzamento della politica di sicurezza e difesa comune europea, nell'ambito della più generale politica estera e di sicurezza comune, rimane comunque essenziale poter disporre, a livello nazionale, di uno strumento militare che, compatibilmente con le risorse disponibili, sia bilanciato e flessibile per rispondere con tempestività a crisi di carattere e dimensione non prevedibili;
    il Parlamento ha da tempo, ed in diverse occasioni, manifestato al Governo il proprio orientamento convintamente favorevole all'elaborazione di un nuovo libro bianco della difesa, anche per poter avviare una riflessione profonda sulla sostenibilità di talune scelte già annunciate. La Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati, in particolare, ha più volte espresso l'avviso che qualsiasi decisione in tema di pianificazione dello strumento militare, inclusa l'attività di ammodernamento delle dotazioni, si dovesse basare sull'apprezzamento dello scenario strategico, sulla considerazione degli impegni internazionali assunti dall'Italia e, non ultimo, sul livello delle risorse disponibili;
    il Governo ha annunciato l'intenzione di realizzare, entro la fine del 2014, un Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, dalla cui approvazione risulteranno definite le linee del nuovo quadro strategico di riferimento per lo strumento militare, gli obiettivi che il Paese intende perseguire e le modalità e gli strumenti da utilizzare per la protezione e la tutela dei cittadini, del territorio e degli interessi vitali e strategici del Paese;
    numerosi Paesi stanno procedendo con un rinnovo delle linee di volo delle rispettive Forze armate e, fra questi, alcuni hanno selezionato a tal fine il velivolo Joint Strike Fighter F-35 prodotto dalla Lockheed Martin, in cooperazione con altre industrie aeronautiche internazionali, anche italiane;
    il velivolo F-35 si trova tuttora nella fase di sviluppo, incontrando problemi tecnici dalla cui soluzione dipende la data della sua piena operatività;
    l'Italia partecipa fin dall'inizio al programma di sviluppo del velivolo F-35 e ha realizzato sul proprio territorio una struttura di final assembly end check-out (Faco), in grado di assemblare i velivoli e di svolgere anche attività di manutenzione, e che costituisce, al momento, l'unica struttura di tale genere esistente al di fuori degli Stati Uniti d'America;
    la partecipazione dell'Italia al programma F-35 ha già comportato un consistente esborso economico, superiore a 2 miliardi di euro, mentre le dimensioni complessive del programma ne faranno uno dei maggiori impegni di spesa per i prossimi anni, facendolo rientrare certamente fra i principali programmi di ammodernamento delle Forze armate;
    per la forte connessione internazionale del programma di produzione, di ammodernamento e di sostegno logistico durante la vita del velivolo, stimata in alcuni decenni, il programma F-35 potrà generare ritorni economici e occupazionali, nonché avanzamenti tecnologici di assoluto interesse anche per l'Italia;
    la produzione in Italia, su commessa della Lockheed Martin, di componenti strutturali del velivolo è già iniziata, ma non si hanno notizie certe relativamente alle future commesse produttive o a contratti relativi al sostegno logistico per i velivoli F-35 che verranno acquisiti dai partner internazionali;
    l'assemblaggio degli esemplari destinati alle Forze armate italiane è già in corso, ma i contratti relativi ai velivoli successivi ai primi sei esemplari risultano temporaneamente sospesi per decisione del Governo;
    per la rilevanza del programma F-35 in termini di capacità operative future delle Forze armate italiane, esso dovrà necessariamente essere coerente al quadro strategico di riferimento e ai compiti assegnati alle stesse Forze armate,

impegna il Governo:

   a ricercare ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali del programma F-35, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici, valorizzando gli investimenti già effettuati nella Faco e la sua competitività quale polo produttivo e logistico internazionale;
   ad accertare nuovamente la piena rispondenza dei velivoli ai requisiti di sicurezza e ai criteri tecnici e operativi delle Forze armate;
   a considerare nuovamente le scelte complessive relative al programma F-35, sulla base dell'apprezzamento dello scenario strategico, degli impegni internazionali assunti dall'Italia e delle risorse disponibili, come definiti nel Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa.
(1-00590) «Cicchitto, Dorina Bianchi, Sammarco, Scopelliti, Tancredi, Alli».


   La Camera,
   premesso che:
    il nostro Paese è in difficoltà economiche molto serie e, negli ultimi anni, sono state prese numerose misure volte a determinare risparmi di spesa, anche nel settore della difesa;
    l'attuale scenario internazionale ha, tuttavia, prepotentemente riportato al centro della discussione politica la necessità di assicurare un quadro di sicurezza per i cittadini e per il Paese;
    a tal proposito, a Newport nel Galles, in occasione del vertice Nato del 5 settembre 2014, è stato approvato il documento finale in cui i 28 leader si sono dichiarati d'accordo nell’«invertire la tendenza alla riduzione dei bilanci della difesa» e a portarli ad un minimo del 2 per cento del prodotto interno lordo;
    l'approvazione di tale documento dovrebbe portare ad un'inversione di tendenza per l'Occidente, che ha, in generale, ridotto le spese militari negli ultimi 25 anni: infatti, a parte Grecia (2,3 per cento) ed Estonia (2 per cento), i Paesi europei sono tutti sotto il requisito minimo del 2 per cento del prodotto interno lordo, con l'Italia che si attesta all'1,2 per cento;
    il Governo italiano si è impegnato in sede Nato a raggiungere l'obiettivo richiesto entro dieci anni e il Presidente del Consiglio dei ministri ha successivamente dichiarato che gli investimenti nella difesa saranno legati al cosiddetto piano dei mille giorni di cui «un pezzo è anche l'investimento in settori innovativi legati alla ricerca e la politica industriale collegata alla difesa»;
    l'Italia si trova ora al centro di una escalation di spese militari nella regione mediterranea e in quella mediorientale, circondata non più da Stati belligeranti al confine, ma da uno squilibrio di potere lungo i suoi confini;
    né il nostro Paese, né l'Europa, pur così attiva sul fronte dell'integrazione economica e giudiziaria, riesce più a darsi una politica estera e militare coerente, per non parlare di una politica comune;
    in merito alle disposizioni riguardanti il settore della difesa e i programmi da sviluppare, le disposizioni governative sono spesso contraddittorie; nel documento di economia e finanza 2014, da una parte, ci si chiede se siano effettivamente necessari investimenti militari e, dall'altra, non si riesce a dare una risposta sui benefici reali che tali tagli di spesa comporterebbero;
    è evidente la situazione economica in cui il Paese si trova ed è perciò opportuno avere ben chiare quali siano le risorse finanziarie disponibili, tenendo tuttavia presente che, trattandosi di progetti a lunga scadenza finalizzati alla sicurezza nazionale, proiettata, per di più, su uno scenario lontano nel tempo e imprevedibile, sarebbe bene avere al contempo una visione strategica;
    l'Italia partecipa fin dall'inizio al programma di sviluppo del velivolo F-35 e ha realizzato sul proprio territorio una struttura di final assembly end check-out (Faco), in grado di assemblare i velivoli e di svolgere anche attività di manutenzione e che costituisce, al momento, l'unica struttura di tale genere esistente al di fuori degli Stati Uniti d'America;
    il Ministero della difesa, in seguito all'approvazione di numerose mozioni da parte del Parlamento in data 28 marzo 2012, ha provveduto, nell'ambito del programma per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter, a ridurre la commessa per la produzione e l'acquisto di tali cacciabombardieri da 131 a 90 velivoli;
    il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, illustrando le linee politiche del suo dicastero, ha manifestato la propria intenzione di ripensare, rivedere e ridurre i grandi programmi d'arma, subordinando comunque le scelte fondamentali su questo tema alla predisposizione di un nuovo Libro bianco della difesa finalizzato a delineare le linee di sviluppo e di intervento della difesa italiana nei prossimi decenni;
    l'approvazione del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione difesa della Camera dei deputati ha, comunque, ribadito la necessità di rinnovare la flotta aerea militare,

impegna il Governo

a contemperare le esigenze della difesa in materia di pianificazione dei programmi di ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d'arma, delle opere, dei mezzi e dei beni direttamente destinati alla difesa nazionale, anche in riferimento al programma Joint Strike Fighter (F-35), con le più generali esigenze di contenimento della spesa pubblica, nel rispetto degli impegni assunti in sede internazionale e delle prerogative del Parlamento in materia di programmazione e pianificazione dei sistemi d'arma, tenendo conto della necessità di sviluppare e mantenere una solida base tecnologica e industriale come fattore di garanzia per la tutela degli interessi nazionali.
(1-00593) «Brunetta, Vito, Gelmini, Ciracì».


   La Camera,
   premesso che:
    il nostro Paese è in difficoltà economiche molto serie e, negli ultimi anni, sono state prese numerose misure volte a determinare risparmi di spesa, anche nel settore della difesa;
    l'attuale scenario internazionale ha, tuttavia, prepotentemente riportato al centro della discussione politica la necessità di assicurare un quadro di sicurezza per i cittadini e per il Paese;
    a tal proposito, a Newport nel Galles, in occasione del vertice Nato del 5 settembre 2014, è stata richiamata l'osservanza dei noti standard richiesti dall'alleanza in tema di spesa nazionale per la difesa, ossia l'assegnazione del 2 per cento del PIL nazionale alle spese per la difesa;
    l'approvazione di tale documento dovrebbe portare ad un'inversione di tendenza per l'Occidente, che ha, in generale, ridotto le spese militari negli ultimi 25 anni: infatti, a parte Grecia (2,3 per cento) ed Estonia (2 per cento), i Paesi europei sono tutti sotto il requisito minimo del 2 per cento del prodotto interno lordo, con l'Italia che si attesta all'1,2 per cento;
    il Governo italiano si è impegnato in sede Nato a raggiungere l'obiettivo richiesto entro dieci anni e il Presidente del Consiglio dei ministri ha successivamente dichiarato che gli investimenti nella difesa saranno legati al cosiddetto piano dei mille giorni di cui «un pezzo è anche l'investimento in settori innovativi legati alla ricerca e la politica industriale collegata alla difesa»;
    l'Italia si trova di fronte a possibili minacce provenienti dalla regione mediterranea e da quella mediorientale;
    nell'attuale scenario internazionale, caratterizzato da instabilità e insicurezza, l'Europa deve poter svolgere un ruolo più attivo in tema di politica di difesa, superando le riserve nazionali e procedendo realmente verso un'azione coordinata e comune che possa favorire a più lungo termine la piena integrazione degli strumenti militari nazionali;
    è evidente la situazione economica in cui il Paese si trova ed è perciò opportuno avere ben chiare quali siano le risorse finanziarie disponibili, tenendo tuttavia presente che, trattandosi di progetti a lunga scadenza finalizzati alla sicurezza nazionale, proiettata, per di più, su uno scenario lontano nel tempo e imprevedibile, sarebbe bene avere al contempo una visione strategica;
    l'Italia partecipa fin dall'inizio al programma di sviluppo del velivolo F-35 e ha realizzato sul proprio territorio una struttura di final assembly end check-out (Faco), in grado di assemblare i velivoli e di svolgere anche attività di manutenzione e che costituisce, al momento, l'unica struttura di tale genere esistente al di fuori degli Stati Uniti d'America;
    il Ministero della difesa, in seguito all'approvazione di numerose mozioni da parte del Parlamento in data 28 marzo 2012, ha provveduto, nell'ambito del programma per la produzione e l'acquisto dei cacciabombardieri Joint Strike Fighter, a ridurre la commessa per la produzione e l'acquisto di tali cacciabombardieri da 131 a 90 velivoli;
    il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, illustrando le linee politiche del suo dicastero, ha manifestato la propria intenzione di ripensare, rivedere e ridurre i grandi programmi d'arma, subordinando comunque le scelte fondamentali su questo tema alla predisposizione di un nuovo Libro bianco della difesa finalizzato a delineare le linee di sviluppo e di intervento della difesa italiana nei prossimi decenni;
    l'approvazione del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione difesa della Camera dei deputati ha, comunque, ribadito la necessità di rinnovare la flotta aerea militare,

impegna il Governo

a contemperare le esigenze della difesa in materia di pianificazione dei programmi di ammodernamento e rinnovamento dei sistemi d'arma, delle opere, dei mezzi e dei beni direttamente destinati alla difesa nazionale, anche in riferimento al programma Joint Strike Fighter (F-35), con le più generali esigenze di contenimento della spesa pubblica, nel rispetto degli impegni assunti in sede internazionale e delle prerogative del Parlamento in materia di programmazione e pianificazione dei sistemi d'arma, tenendo conto della necessità di sviluppare e mantenere una solida base tecnologica e industriale come fattore di garanzia per la tutela degli interessi nazionali.
(1-00593)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Brunetta, Vito, Gelmini, Ciracì».


MOZIONI BRAMBILLA ED ALTRI N. 1-00460, GAGNARLI ED ALTRI N. 1-00559, VEZZALI ED ALTRI N. 1-00571, NICCHI ED ALTRI N. 1-00573, RONDINI ED ALTRI N. 1-00580, COVA ED ALTRI N. 1-00581 E DORINA BIANCHI ED ALTRI N. 1-00585 CONCERNENTI INIZIATIVE, NELL'AMBITO DEL SEMESTRE DI PRESIDENZA ITALIANA DEL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA, PER LA TUTELA DEI DIRITTI DEGLI ANIMALI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    l'ultimo decennio ha visto una crescita costante nei cittadini della preoccupazione per la tutela degli animali; l'82 per cento dei cittadini europei, secondo Eurobarometro, afferma di essere d'accordo che sia un dovere proteggere i diritti degli animali, qualunque siano i costi;
    la legislazione comunitaria ha seguito questa evoluzione e alcuni parziali ma importanti miglioramenti sono stati raggiunti: il box individuale per i vitelli a carne bianca è stato vietato in tutta l'Unione europea dal 2007 e le gabbie di batteria per le galline ovaiole sono vietate dal 2012. I test cosmetici sugli animali sono stati aboliti ed è stato introdotto il bando europeo alla commercializzazione nell'Unione europea di prodotti cosmetici testati su animali. È vietato da alcuni anni importare e commercializzare le pelli di cane e gatto e le pelli di foca;
    nel 1997 l'Unione europea ha dato un nuovo status agli animali, riconoscendoli come «esseri senzienti» in un protocollo allegato al Trattato di Amsterdam. Questo principio è stato promosso dieci anni dopo – su proposta, nel 2003, della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea – nell'articolo 13 delle disposizioni di applicazione generale del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, imponendo al legislatore comunitario e agli Stati membri di tenere pienamente in considerazione il benessere degli animali nel processo di formazione delle norme. Questa importante conquista, tuttavia, non trova ancora adeguata applicazione;
    la tutela degli animali da compagnia non ha ancora una normativa europea. Alcuni Stati membri uccidono indiscriminatamente gli animali randagi, al tempo stesso Stati membri alimentano commerci illegali di centinaia di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità gravissimi, rischi sanitari, operando veri e propri maltrattamenti, mentre l'Italia già nel 1991 ha introdotto una legge che vieta le uccisioni per combattere il randagismo, introducendo la sterilizzazione obbligatoria di cani e gatti randagi e la promozione della loro adozione; inoltre, nel 2010 il nostro Paese ha indicato la strada all'Unione europea in materia di traffico di cuccioli con una legge innovativa ed avanzata di repressione del fenomeno di illegalità. Conseguentemente, nel novembre 2010, il Consiglio dei ministri dell'Unione europea ha adottato delle conclusioni chiedendo alla Commissione europea di proporre azioni per la tutela di cani e gatti;
    dal 1o luglio 2014 l'Italia ha la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea,

impegna il Governo

   a caratterizzare la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea con iniziative tese a:
    a) dare piena applicazione al riconoscimento degli animali come «esseri senzienti», facendo pesare questo precetto del Trattato nel processo di formazione ed emanazione delle norme dell'Unione europea, a partire dalla «legge quadro europea sul benessere animale» annunciata dalla Commissione europea;
    b) rafforzare l'ufficio veterinario della Commissione europea al fine di garantire un efficace controllo dell'applicazione delle normative comunitarie a tutela degli animali;
    c) introdurre una normativa comunitaria per la tutela degli animali d'affezione e la prevenzione del randagismo, che, fra l'altro, preveda il divieto di uccisione di cani randagi e gatti vaganti, lo sviluppo di programmi di prevenzione con adeguati programmi di sterilizzazione e adozione, l'identificazione tramite microchip e la registrazione obbligatoria collegata a un sistema di tracciabilità europea, il contrasto al traffico di cuccioli anche attraverso l'Europol ed ai combattimenti fra cani;
    d) realizzare una legislazione che renda l'Unione europea libera dalla prigionia degli animali per fini ludici;
    e) considerata la peculiarità di «Rete Natura 2000», vietare in questi territori l'attività di uccisione di animali selvatici;
    f) vietare l'importazione e la commercializzazione delle «specie invasive aliene» e stabilire che i metodi di loro contenimento prevedano unicamente misure incruente, rispettose della vita e della sofferenza dei soggetti interessati;
    g) sostenere il riconoscimento e l'utilizzazione dei metodi sostitutivi di ricerca all'uso di animali ed estendere il divieto di test animali previsti per i cosmetici e i loro ingredienti ai prodotti di detergenza e loro ingredienti;
    h) sostenere l'emanazione di norme che prevedano standard obbligatori minimi negli allevamenti che si applichino alle specie oggi prive di specifiche norme di tutela, come mucche, conigli, tacchini, pesci, e la definizione di una legislazione che vieti la clonazione degli animali per la produzione di cibo;
    i) sostenere l'armonizzazione del mercato interno, estendendo a livello comunitario il divieto di allevamento di animali per la principale finalità di ottenere pellicce, già adottato da alcuni Stati membri;
    l) realizzare una conferenza sull'applicazione della direttiva 1999/22/CE sulla detenzione degli animali nei giardini zoologici a quindici anni dalla sua emanazione e di una conferenza per la presentazione e lo studio delle condizioni scientifiche ed economiche per la revisione del regolamento (CE) n. 1/2005, che disciplina i tempi di viaggio e la densità del trasporto degli animali a fini commerciali.
(1-00460) «Brambilla, Bergamini, Biancofiore, Castiello, Giammanco, Fucci, Marti, Palese, Palmizio, Petrenga».


   La Camera,
   premesso che:
    l'ultimo decennio ha visto una crescita costante nei cittadini della preoccupazione per la tutela degli animali; l'82 per cento dei cittadini europei, secondo Eurobarometro, afferma di essere d'accordo che sia un dovere proteggere i diritti degli animali, qualunque siano i costi;
    la legislazione comunitaria ha seguito questa evoluzione e alcuni parziali ma importanti miglioramenti sono stati raggiunti: il box individuale per i vitelli a carne bianca è stato vietato in tutta l'Unione europea dal 2007 e le gabbie di batteria per le galline ovaiole sono vietate dal 2012. I test cosmetici sugli animali sono stati aboliti ed è stato introdotto il bando europeo alla commercializzazione nell'Unione europea di prodotti cosmetici testati su animali. È vietato da alcuni anni importare e commercializzare le pelli di cane e gatto e le pelli di foca;
    nel 1997 l'Unione europea ha dato un nuovo status agli animali, riconoscendoli come «esseri senzienti» in un protocollo allegato al Trattato di Amsterdam. Questo principio è stato promosso dieci anni dopo – su proposta, nel 2003, della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea – nell'articolo 13 delle disposizioni di applicazione generale del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, imponendo al legislatore comunitario e agli Stati membri di tenere pienamente in considerazione il benessere degli animali nel processo di formazione delle norme. Questa importante conquista, tuttavia, non trova ancora adeguata applicazione;
    la tutela degli animali da compagnia non ha ancora una normativa europea. Alcuni Stati membri uccidono indiscriminatamente gli animali randagi, al tempo stesso Stati membri alimentano commerci illegali di centinaia di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità gravissimi, rischi sanitari, operando veri e propri maltrattamenti, mentre l'Italia già nel 1991 ha introdotto una legge che vieta le uccisioni per combattere il randagismo, introducendo la sterilizzazione obbligatoria di cani e gatti randagi e la promozione della loro adozione; inoltre, nel 2010 il nostro Paese ha indicato la strada all'Unione europea in materia di traffico di cuccioli con una legge innovativa ed avanzata di repressione del fenomeno di illegalità. Conseguentemente, nel novembre 2010, il Consiglio dei ministri dell'Unione europea ha adottato delle conclusioni chiedendo alla Commissione europea di proporre azioni per la tutela di cani e gatti;
    dal 1o luglio 2014 l'Italia ha la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea,

impegna il Governo

   a caratterizzare la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea con iniziative tese a:
    a) dare piena applicazione al riconoscimento degli animali come «esseri senzienti», facendo pesare questo precetto del Trattato nel processo di formazione ed emanazione delle norme dell'Unione europea, a partire dalla «legge quadro europea sul benessere animale» annunciata dalla Commissione europea;
    b) rafforzare l'ufficio veterinario della Commissione europea al fine di garantire un efficace controllo dell'applicazione delle normative comunitarie a tutela degli animali;
    c) introdurre una normativa comunitaria per la tutela degli animali d'affezione e la prevenzione del randagismo, che, fra l'altro, preveda il divieto di uccisione di cani randagi e gatti vaganti, lo sviluppo di programmi di prevenzione con adeguati programmi di sterilizzazione e adozione, l'identificazione tramite microchip e la registrazione obbligatoria collegata a un sistema di tracciabilità europea, il contrasto al traffico di cuccioli anche attraverso l'Europol ed ai combattimenti fra cani;
    d) considerata la peculiarità di «Rete Natura 2000», vietare in questi territori l'attività di uccisione di animali selvatici;
    e) vietare l'importazione e la commercializzazione delle «specie invasive aliene» e stabilire che i metodi di loro contenimento prevedano unicamente misure incruente, rispettose della vita e della sofferenza dei soggetti interessati;
    f) sostenere il riconoscimento e l'utilizzazione dei metodi sostitutivi di ricerca all'uso di animali ed estendere il divieto di test animali previsti per i cosmetici e i loro ingredienti ai prodotti di detergenza e loro ingredienti;
    g) sostenere l'emanazione di norme che prevedano standard obbligatori minimi negli allevamenti che si applichino alle specie oggi prive di specifiche norme di tutela, come mucche, conigli, tacchini, pesci, e la definizione di una legislazione che vieti la clonazione degli animali per la produzione di cibo;
    h) sostenere l'armonizzazione del mercato interno, estendendo a livello comunitario il divieto di allevamento di animali per la principale finalità di ottenere pellicce, già adottato da alcuni Stati membri.
(1-00460)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Brambilla, Bergamini, Biancofiore, Castiello, Giammanco, Fucci, Marti, Palese, Palmizio, Petrenga».


   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di Lisbona, all'articolo 13, definisce gli animali quali «esseri senzienti», il cui benessere, all'interno dell'Unione europea, deve essere tutelato attraverso una legislazione adeguata ed efficace;
    il benessere è una condizione propria dell'animale: il soggetto che riesce ad adattarsi all'ambiente si trova in uno stato di benessere, viceversa il soggetto che non ci riesce, perché non ne è in grado per caratteristiche psicofisiche proprie o perché ne è impedito da fattori esterni, si trova in una condizione di stress;
    è evidente, quindi, che il «benessere» è un concetto che investe molteplici aspetti della vita dell'animale e necessita di essere declinato a seconda delle caratteristiche delle sue caratteristiche, poiché ogni specie si è adattata ad un particolare habitat, con caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali adatte ad affrontare le varie difficoltà; ogni definizione del benessere deve tener conto dell'ambiente, della fisiologia e del comportamento specifico dell'animale;
    il benessere degli animali può essere misurato attraverso l'analisi di diversi aspetti: dalle tipologie di allevamenti degli animali destinati al consumo umano alle modalità di macellazione messe in atto nei Paesi dell'Unione europea, dalla sperimentazione che avviene in diverse fasi della ricerca medico-scientifica alle fasi di trasporto degli animali per le più svariate esigenze, dalle normative a salvaguardia delle specie selvatiche e a tutela delle specie domestiche e degli animali da compagnia agli allevamenti per animali da pelliccia o alla detenzione degli animali nei circhi;
    è evidente che soltanto una normativa «madre», emanata a livello comunitario, che tenga conto di tutti questi aspetti potrà effettivamente garantire la tutela degli animali in ogni fase e sotto ogni aspetto;
    nell'Unione europea diversi passi avanti sono stati fatti, come il divieto di commercializzazione di pellicce ricavate da cani e gatti (regolamento (CE) n. 1523/2007), oppure una regolamentazione più stringente per gli allevamenti di galline ovaiole (direttiva 1999/74/CE), o ancora una normativa per la detenzione degli animali nei giardini zoologici (direttiva 1999/22/CE), o la direttiva per la conservazione degli uccelli selvatici («direttiva uccelli» 2009/147/CE) o ancora un regolamento per il trasporto degli animali (regolamento (CE) n. 1/2005); tuttavia, molta appare la strada da fare, specie per rendere omogenea in tutta l'Unione europea una normativa sul benessere animale;
    relativamente alla gestione degli allevamenti di animali, sono ancora troppe le disparità tra gli Stati membri e servirebbero legislazioni specifiche poiché è importante che le specie siano tutelate singolarmente, per evitare norme troppo vaghe e non applicabili;
    gli animali da allevamento hanno un insieme di bisogni simili a quelli dei loro antenati selvatici. Sebbene alcune necessità si siano modificate nel corso della domesticazione, alcune esigenze fondamentali, come quelle di cibo, acqua e rifugio, non sono cambiate nel passaggio dall'animale selvatico a quello domestico, ma anche l'istintività che gli animali selvatici esprimono nei comportamenti associati alla riproduzione, alla ricerca del cibo, dell'acqua e del riparo sono ancora presenti negli animali domestici;
    nel 1964 Ruth Harrison pubblicò il libro «Animali macchine» che sollevò la questione del benessere degli animali allevati intensivamente e, in seguito allo scalpore causato da questa pubblicazione, il Governo inglese commissionò un rapporto ad un gruppo di ricercatori da cui scaturì il Brambell report;
    tale rapporto, oltre ad essere uno dei primi documenti ufficiali relativi al benessere animale, enunciò il principio delle cinque libertà per la tutela del benessere animale:
     a) libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione;
     b) libertà dai disagi ambientali;
     c) libertà dalle malattie e dalle ferite;
     d) libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche;
     e) libertà dalla paura e dallo stress;
    alcune tra queste «libertà» sono universalmente riconosciute e applicate naturalmente dagli allevatori, altre rientrano nelle competenze del medico veterinario, mentre la libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali e la libertà dalla paura e dallo stress rappresentano qualcosa di non sempre immediata comprensione, applicazione e soluzione. Queste due libertà, le più difficili da valutare oggettivamente, rappresentano i punti salienti della normativa europea relativa al benessere degli animali da allevamento;
    la valutazione del benessere coinvolge una serie di risposte che l'animale mette in atto per adattarsi all'ambiente in cui si trova; l'organismo risponde alle varie situazioni ambientali non solo con cambiamenti comportamentali, ma anche con meccanismi fisiologici ed immunitari, che possono avere ripercussioni sullo stato di salute e sull'accrescimento;
    la questione del benessere animale, in definitiva, è e dovrà sempre di più essere considerata quale componente essenziale di un «sistema integrato di qualità di produzione degli alimenti di origine animale», che garantisca al consumatore prodotti provenienti da allevamenti non inquinanti per l'ambiente e dove gli animali vengono allevati secondo criteri che ne rispettino le esigenze fondamentali;
    un altro aspetto legato al benessere animale, che si ripercuote anche sullo stile di vita dei cittadini, è quello dell'etichettatura degli alimenti; la strategia dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015 sottolinea l'intenzione di consentire ai consumatori di fare scelte informate, in modo che sia il mercato a guidare ulteriori miglioramenti del benessere degli animali. L'etichettatura obbligatoria secondo il metodo produzione è il modo migliore per informare i consumatori e permettere loro di contribuire a guidare i futuri miglioramenti nel benessere degli animali;
    nel 2004 l'Unione europea ha introdotto l'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione per le uova in guscio, un sistema di etichettatura innovativo che si è dimostrato utile ai consumatori e ha contribuito a migliorare in maniera significativa il benessere delle galline. I dati della Commissione europea mostrano che la percentuale di galline ovaiole non allevate in gabbia in Europa è passata dal 19,7 per cento del 2003 al 42,2 per cento nel 2012 (CIRCABC, 2013);
    nel nostro Paese, come in altri Stati dell'Unione europea, è tuttora consentita la macellazione rituale che consente l'abbattimento dell'animale senza alcun preventivo stordimento finalizzato ad evitare all'animale eccitazioni, dolori e sofferenze. Una tale pratica è stata duramente condannata dal Farm animal welfare committee (Fawc) e dalla Federazione dei veterinari europei (Fve) ed è importante sottolineare che la macellazione rituale è vietata sia in Paesi come l'Austria, l'Olanda, la Svizzera e la Svezia, sia in Malesia, Paese a maggioranza islamica;
    recentemente, il Comitato nazionale per la bioetica ha affermato che la libertà religiosa, quando si traduce in comportamenti esterni, deve rispettare alcuni limiti che scaturiscono dalla comparazione con altri valori tutelati dal nostro ordinamento giuridico; nel caso delle macellazioni rituali la comparazione va operata con il principio della protezione degli animali e della tutela del loro benessere;
    sempre relativamente alla macellazione animale, è importante ricordare che ogni anno tre milioni di animali europei vengono esportati vivi per essere ingrassati, ma soprattutto macellati al di fuori dell'Unione europea. Un gran numero di questi è destinato al Medio Oriente, dove recenti indagini (ad esempio di Ciwf, Animals Australia) hanno svelato crudeltà inimmaginabili. Quando questi animali raggiungono i Paesi terzi, ogni pur minima protezione ricevuta nel loro luogo di nascita viene perduta. In Italia la petizione per chiudere uno di questi macelli mediorientali che ricevono animali europei ha raggiunto oltre 80.000 firme;
    un altro aspetto che non può essere trascurato è quello della clonazione animale. La Commissione europea propone di vietare la clonazione degli animali «da reddito» e la commercializzazione di carne e latte da loro derivati, ma non quella della progenie degli animali clonati e, soprattutto, non ha proposto di etichettare i prodotti di animali clonati;
    dal 1o luglio 2014 l'Italia ha iniziato il suo semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e sarebbe auspicabile un'azione concreta e caratterizzante volta alla tutela del benessere animale in tutta l'Unione europea,

impegna il Governo:

   a promuovere l'applicazione puntuale della legislazione vigente in materia di animali da allevamento, con particolare riguardo a quella per la protezione dei suini (direttiva 2008/120/CE) e del trasporto (regolamento (CE) n. 1/2005), norme rispetto alle quali sono documentate ricorrenti violazioni in numerosi Stati membri;
   ad assumere iniziative affinché sia potenziato l'ufficio veterinario della Commissione europea (Food and veterinary officeFvo) in modo da assicurare maggiori controlli dell'applicazione delle normative comunitarie sulla sicurezza alimentare, salute e benessere animale;
   a sostenere l'introduzione di norme minime per la protezione delle specie ancora prive di tutela individuale, come vacche da latte, conigli, tacchini, pesci, al fine di garantire un'adeguata tutela specifica degli animali nelle diverse specie di allevamenti;
   a prendere una posizione chiara e concreta contro la clonazione degli animali per la produzione di cibo e la commercializzazione della loro progenie;
   a promuovere a livello comunitario l'approfondimento delle condizioni scientifiche ed economiche al fine della revisione del regolamento (CE) n. 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto;
   ad adoperarsi affinché l'Europa, come già fatto dall'Australia, richieda che i propri animali esportati verso Paesi terzi siano macellati in conformità con gli standard dell'Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie) e, allo stesso tempo, si attivi per aiutare i Paesi importatori a migliorare i propri standard di benessere animale;
   a promuovere una disciplina comunitaria che introduca il divieto di macellazione rituale, affinché la libertà religiosa dei singoli Stati membri non entri in conflitto con la tutela degli animali in quanto esseri senzienti;
   a sostenere l'introduzione dell'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione estensivo o intensivo – attualmente in vigore solo per le uova – anche per i prodotti a base di carne o lattiero-caseari, nonché per le carni di pollame;
   a sollecitare, per quanto di competenza, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo affinché interrompa i finanziamenti per gli allevamenti intensivi;
   a promuovere programmi di educazione all'alimentazione sostenibile che inducano i cittadini ad un consumo attento e maggiormente etico dei prodotti animali o da essi derivati, spingendo verso la predilezione per alimenti provenienti da allevamenti non intensivi e rispettosi della normativa comunitaria;
   a sostenere l'introduzione di una disciplina comunitaria finalizzata al divieto di allevamento, di cattura e uccisione di animali per la loro pelliccia, per mettere fine ad una pratica anacronistica quanto crudele;
   a garantire, in particolare, la tutela delle specie europee di avifauna di interesse conservazionistico, classificate come Spec1, Spec2 e Spec3 da Birdlife international, attraverso rigorose misure di protezione che comprendano anche l'esclusione di tali specie tra quelle cacciabili;
   a promuovere in tutti i Paesi dell'Unione europea pratiche per il contenimento delle specie alloctone invasive che non prevedano metodi di eradicazione cruenti, ma puntino all'utilizzo di metodi ecologici;
   a farsi promotore di una disciplina europea finalizzata al divieto dell'utilizzazione di animali nei circhi, negli spettacoli e nelle mostre itineranti;
   a promuovere un'azione di tutela degli animali da affezione e di prevenzione al randagismo, anche attraverso programmi veterinari e di adozione dei cuccioli, così da evitare in qualunque Stato membro la possibilità di uccidere cani o gatti randagi, e a promuovere l'adozione di un sistema di identificazione e registrazione obbligatoria a livello europeo, così da scongiurare il traffico illegale di animali;
   a promuovere progetti, anche di carattere normativo, volti a tutelare il benessere e la salute degli equidi, partendo dall'istituzione di un'anagrafe equina efficace che garantisca una reale tracciabilità dell'animale soprattutto a fine carriera sportiva, nonché ad incentivare la competenza dei proprietari, dei detentori e dei veterinari in materia di benessere e salute dell'equide, promuovendo la lotta al doping e alle corse clandestine;
   a regolamentare le attività degli equidi nei diversi territori (utilizzati per il trasporto di turisti, nei parchi e siti naturali o per fini di prevenzione e vigilanza nel territorio), nonché il loro utilizzo per finalità sociali a promozione di uno stile di vita più naturale ecocompatibile e nel rispetto del loro benessere;
   a sostenere i progetti comunitari Life per la tutela della fauna selvatica, rivalutando con una commissione indipendente di livello europeo la captivazione permanente degli orsi catturati negli scorsi anni in Trentino-Alto Adige, assumendo le iniziative di competenza per bloccare la cattura dell'orsa Daniza e dei suoi cuccioli, e per evitare modifiche unilaterali locali al piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali;
   ad effettuare, per quanto di competenza, un monitoraggio dei centri di recupero di animali selvatici al fine di assumere iniziative, anche normative, per promuovere e sostenere una rete di tali centri per dare piena applicazione alle direttive e ai regolamenti europei sulla protezione degli animali selvatici custoditi nei giardini zoologici, impiegati in attività circensi, utilizzati nel commercio illegale.
(1-00559)
(Nuova formulazione) «Gagnarli, Gallinella, Parentela, Petraroli, L'Abbate, Lupo, Massimiliano Bernini, Benedetti, Baldassarre, Segoni».


   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di Lisbona, all'articolo 13, definisce gli animali quali «esseri senzienti», il cui benessere, all'interno dell'Unione europea, deve essere tutelato attraverso una legislazione adeguata ed efficace;
    il benessere è una condizione propria dell'animale: il soggetto che riesce ad adattarsi all'ambiente si trova in uno stato di benessere, viceversa il soggetto che non ci riesce, perché non ne è in grado per caratteristiche psicofisiche proprie o perché ne è impedito da fattori esterni, si trova in una condizione di stress;
    è evidente, quindi, che il «benessere» è un concetto che investe molteplici aspetti della vita dell'animale e necessita di essere declinato a seconda delle caratteristiche delle sue caratteristiche, poiché ogni specie si è adattata ad un particolare habitat, con caratteristiche fisiche, fisiologiche e comportamentali adatte ad affrontare le varie difficoltà; ogni definizione del benessere deve tener conto dell'ambiente, della fisiologia e del comportamento specifico dell'animale;
    il benessere degli animali può essere misurato attraverso l'analisi di diversi aspetti: dalle tipologie di allevamenti degli animali destinati al consumo umano alle modalità di macellazione messe in atto nei Paesi dell'Unione europea, dalla sperimentazione che avviene in diverse fasi della ricerca medico-scientifica alle fasi di trasporto degli animali per le più svariate esigenze, dalle normative a salvaguardia delle specie selvatiche e a tutela delle specie domestiche e degli animali da compagnia agli allevamenti per animali da pelliccia o alla detenzione degli animali nei circhi;
    è evidente che soltanto una normativa «madre», emanata a livello comunitario, che tenga conto di tutti questi aspetti potrà effettivamente garantire la tutela degli animali in ogni fase e sotto ogni aspetto;
    relativamente alla gestione degli allevamenti di animali, sono ancora troppe le disparità tra gli Stati membri e servirebbero legislazioni specifiche poiché è importante che le specie siano tutelate singolarmente, per evitare norme troppo vaghe e non applicabili;
    gli animali da allevamento hanno un insieme di bisogni simili a quelli dei loro antenati selvatici. Sebbene alcune necessità si siano modificate nel corso della domesticazione, alcune esigenze fondamentali, come quelle di cibo, acqua e rifugio, non sono cambiate nel passaggio dall'animale selvatico a quello domestico, ma anche l'istintività che gli animali selvatici esprimono nei comportamenti associati alla riproduzione, alla ricerca del cibo, dell'acqua e del riparo sono ancora presenti negli animali domestici;
    nel 1964 Ruth Harrison pubblicò il libro «Animali macchine» che sollevò la questione del benessere degli animali allevati intensivamente e, in seguito allo scalpore causato da questa pubblicazione, il Governo inglese commissionò un rapporto ad un gruppo di ricercatori da cui scaturì il Brambell report;
    tale rapporto, oltre ad essere uno dei primi documenti ufficiali relativi al benessere animale, enunciò il principio delle cinque libertà per la tutela del benessere animale:
     a) libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione;
     b) libertà dai disagi ambientali;
     c) libertà dalle malattie e dalle ferite;
     d) libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche;
     e) libertà dalla paura e dallo stress;
    alcune tra queste «libertà» sono universalmente riconosciute e applicate naturalmente dagli allevatori, altre rientrano nelle competenze del medico veterinario, mentre la libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali e la libertà dalla paura e dallo stress rappresentano qualcosa di non sempre immediata comprensione, applicazione e soluzione. Queste due libertà, le più difficili da valutare oggettivamente, rappresentano i punti salienti della normativa europea relativa al benessere degli animali da allevamento;
    la valutazione del benessere coinvolge una serie di risposte che l'animale mette in atto per adattarsi all'ambiente in cui si trova; l'organismo risponde alle varie situazioni ambientali non solo con cambiamenti comportamentali, ma anche con meccanismi fisiologici ed immunitari, che possono avere ripercussioni sullo stato di salute e sull'accrescimento;
    la questione del benessere animale, in definitiva, è e dovrà sempre di più essere considerata quale componente essenziale di un «sistema integrato di qualità di produzione degli alimenti di origine animale», che garantisca al consumatore prodotti provenienti da allevamenti non inquinanti per l'ambiente e dove gli animali vengono allevati secondo criteri che ne rispettino le esigenze fondamentali;
    un altro aspetto legato al benessere animale, che si ripercuote anche sullo stile di vita dei cittadini, è quello dell'etichettatura degli alimenti; la strategia dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015 sottolinea l'intenzione di consentire ai consumatori di fare scelte informate, in modo che sia il mercato a guidare ulteriori miglioramenti del benessere degli animali. L'etichettatura obbligatoria secondo il metodo produzione è il modo migliore per informare i consumatori e permettere loro di contribuire a guidare i futuri miglioramenti nel benessere degli animali;
    nel 2004 l'Unione europea ha introdotto l'etichettatura obbligatoria secondo il metodo di produzione per le uova in guscio, un sistema di etichettatura innovativo che si è dimostrato utile ai consumatori e ha contribuito a migliorare in maniera significativa il benessere delle galline. I dati della Commissione europea mostrano che la percentuale di galline ovaiole non allevate in gabbia in Europa è passata dal 19,7 per cento del 2003 al 42,2 per cento nel 2012 (CIRCABC, 2013);
    un altro aspetto che non può essere trascurato è quello della clonazione animale. La Commissione europea propone di vietare la clonazione degli animali «da reddito» e la commercializzazione di carne e latte da loro derivati, ma non quella della progenie degli animali clonati e, soprattutto, non ha proposto di etichettare i prodotti di animali clonati;
    dal 1o luglio 2014 l'Italia ha iniziato il suo semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea e sarebbe auspicabile un'azione concreta e caratterizzante volta alla tutela del benessere animale in tutta l'Unione europea,

impegna il Governo:

   a promuovere l'applicazione puntuale della legislazione vigente in materia di animali da allevamento, con particolare riguardo a quella per la protezione dei suini (direttiva 2008/120/CE) e del trasporto (regolamento (CE) n. 1/2005), norme rispetto alle quali sono documentate ricorrenti violazioni in numerosi Stati membri;
   ad assumere iniziative affinché sia potenziato l'ufficio veterinario della Commissione europea (Food and veterinary officeFvo) in modo da assicurare maggiori controlli dell'applicazione delle normative comunitarie sulla sicurezza alimentare, salute e benessere animale;
   a sostenere l'introduzione di norme minime per la protezione delle specie ancora prive di tutela individuale, come vacche da latte, conigli, tacchini, pesci, al fine di garantire un'adeguata tutela specifica degli animali nelle diverse specie di allevamenti;
   a prendere una posizione chiara e concreta contro la clonazione degli animali per la produzione di cibo e la commercializzazione della loro progenie;
   a promuovere a livello comunitario l'approfondimento delle condizioni scientifiche ed economiche al fine della revisione del regolamento (CE) n. 1/2005 sulla protezione degli animali durante il trasporto, a condizione che vi sia la possibilità di proporre un approfondimento con tutte le associazioni di categoria;
   a promuovere programmi di educazione all'alimentazione sostenibile che inducano i cittadini ad un consumo attento e maggiormente etico dei prodotti animali o da essi derivati, spingendo verso la predilezione per alimenti provenienti da allevamenti non intensivi e rispettosi della normativa comunitaria;
   a garantire, in particolare, la tutela delle specie europee di avifauna di interesse conservazionistico, classificate come Spec1, Spec2 e Spec3 da Birdlife international, attraverso rigorose misure di protezione che comprendano anche l'esclusione di tali specie tra quelle cacciabili;
   a promuovere in tutti i Paesi dell'Unione europea pratiche per il contenimento delle specie alloctone invasive che non prevedano metodi di eradicazione cruenti, ma puntino all'utilizzo di metodi ecologici;
   a promuovere un'azione di tutela degli animali da affezione e di prevenzione al randagismo, anche attraverso programmi veterinari e di adozione dei cuccioli, così da evitare in qualunque Stato membro la possibilità di uccidere cani o gatti randagi, e a promuovere l'adozione di un sistema di identificazione e registrazione obbligatoria a livello europeo, così da scongiurare il traffico illegale di animali;
   a promuovere progetti, anche di carattere normativo, volti a tutelare il benessere e la salute degli equidi, partendo dall'istituzione di un'anagrafe equina efficace che garantisca una reale tracciabilità dell'animale soprattutto a fine carriera sportiva, nonché ad incentivare la competenza dei proprietari, dei detentori e dei veterinari in materia di benessere e salute dell'equide, promuovendo la lotta al doping e alle corse clandestine;
   a sostenere i progetti comunitari Life per la tutela della fauna selvatica, rivalutando con una commissione indipendente di livello europeo la captivazione permanente degli orsi catturati negli scorsi anni in Trentino-Alto Adige, assumendo le iniziative di competenza per bloccare la cattura dell'orsa Daniza e dei suoi cuccioli, e per evitare modifiche unilaterali locali al piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali.
(1-00559)
(Nuova formulazione) (Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Gagnarli, Gallinella, Parentela, Petraroli, L'Abbate, Lupo, Massimiliano Bernini, Benedetti, Baldassarre, Segoni».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia, nell'ambito del semestre europeo di Presidenza dell'Unione europea, ha il dovere morale di proporre impegni precisi e concreti al fine di tutelare i diritti degli animali in Europa;
    il nostro Paese deve promuovere in Europa il riconoscimento degli animali come «esseri senzienti» e meritevoli di protezione, maggiore tutela di cani e gatti, il divieto d'importazione di animali esotici, l'approvazione di una legislazione che renda l'Unione europea libera da spettacoli ludici con l'uso di animali, sostenendo la corretta applicazione della direttiva del 1999 sulla protezione degli animali;
    con l'entrata in vigore del nuovo Trattato di Lisbona alcuni importanti miglioramenti sono stati raggiunti, tuttavia restano insufficienti. Di conseguenza, è necessario incentivare a livello europeo lo sviluppo di programmi in grado di garantire la tutela e il benessere degli animali;
    il piano d'azione 2014-2020 traccia i principali elementi dell'intervento europeo in questo settore, sia all'interno dell'Unione europea, sia oltre le sue frontiere. Nell'ultimo decennio si è vista una costante crescita nei cittadini a difesa della tutela degli animali. Infatti, l'82 per cento dei cittadini europei afferma di essere d'accordo sul fatto che sia un dovere proteggere i diritti degli animali, qualunque siano i costi connessi;
    la normativa comunitaria stabilisce i requisiti minimi volti a preservare gli animali da qualsiasi sofferenza inutile durante le seguenti fasi principali: l'allevamento, il trasporto, l'abbattimento, la sperimentazione animale e il commercio di pellicce;
    il settore della ricerca deve investire sempre di più nell'utilizzo e nello sviluppo di nuovi metodi innovativi senza uso di animali, che permettono risultati rapidi e direttamente rilevanti sull'uomo;
    è fondamentale sostenere provvedimenti contro il traffico di cuccioli di cane d'importazione e i fenomeni illegali su animali da compagnia;
    l'Unione europea deve promuovere la corretta applicazione della direttiva 1999/22/CE sulla protezione degli animali negli zoo e sostenere il suo controllo, al fine di eliminare lo sfruttamento commerciale degli animali esotici in cattività e di garantire che tutti gli animali selvatici detenuti in cattività o utilizzati a fini di spettacolo siano inclusi nella legge quadro europea sul benessere animale;
    occorre valutare soluzioni alternative alla concessione della deroga in materia di caccia e, nella fattispecie, con le reti e l'utilizzo dei richiami vivi;
    è necessario considerare l'annullamento dei metodi non conformi agli accordi internazionali per le catture «senza crudeltà» siglati con Canada, Russia, Usa (Gazzetta ufficiale dell'Unione europea: L42 del 14 febbraio 1998; L219 del 7 agosto 1998), così come previsto dal regolamento (CEE) 3254/91;
    è opportuno estendere il divieto d'importazione e commercializzazione a tutte le specie animali «invasive aliene» e i metodi di contenimento, prevedendo unicamente misure incruente, rispettose della vita e della sofferenza dei soggetti interessati;
    l'Italia deve farsi parte attiva per una vera legge europea per la tutela degli animali da compagnia. Alcuni Stati membri uccidono indiscriminatamente gli animali randagi e al tempo stesso Stati membri alimentano commerci illegali di centinaia di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità altissimi e rischi sanitari, operando veri e propri maltrattamenti;
    occorre tenere in considerazione la risoluzione del Parlamento europeo del 16 ottobre 2012 a seguito della petizione sottoscritta nel 2012 da oltre un milione di cittadini dell'Unione europea, che chiede l'introduzione di un limite massimo di 8 ore per la durata del trasporto di animali destinati al consumo alimentare, con applicazioni di misure e controlli più restrittivi al fine di tutelare il benessere degli animali utilizzati a scopi commerciali,

impegna il Governo:

   a sostenere prioritariamente, con iniziative anche di carattere normativo, l'uso di metodi validati alternativi ai metodi che utilizzano gli animali per le sperimentazioni, estendendo il divieto di test ai prodotti per la detergenza della casa, come già avviene per i test dei prodotti cosmetici in base alla normativa europea entrata in vigore l'11 marzo 2013;
   a promuovere provvedimenti seri contro il traffico illegale di cuccioli d'importazione dai Paesi dell'Est Europa, che rafforzino l'Ufficio veterinario della Commissione europea al fine di garantire un ruolo di controllo e stimolo agli Stati membri;
   ad assumere iniziative per espandere l'identificazione dei cani tramite microchip e registrazione obbligatoria negli Stati membri collegata a un sistema di tracciabilità europea per prevenire l'abbandono;
   considerata la peculiarità di «Rete Natura 2000» e preso atto dell'importanza che questa riveste nell'ottica della tutela dell'ambiente in tutta l'Unione europea, ad assumere iniziative affinché si dichiari illegittima la cattura con le reti per i richiami vivi;
   a sostenere politiche di armonizzazione del mercato interno, assumendo iniziative a livello comunitario per estendere il divieto di allevamento di animali per la principale finalità di ottenere pellicce;
   a garantire il divieto di importazione di animali esotici a fini di cattività e di detenzione ad uso personale (compagnia) per prevenire la sottrazione di questi animali alle loro comunità originali nei luoghi nativi e per dare un taglio netto alla cattività a scopo commerciale, prevenendo fenomeni di abbandono di animali esotici;
   a sostenere l'emanazione di norme che prevedano standard obbligatori minimi di benessere che si applichino alle specie oggi prive di specifiche norme di tutela come mucche, conigli, tacchini e altri;
   a promuovere l'estensione in tutta Europa del divieto d'ingozzamento di anatre e oche già vigente in Italia;
   ad assumere iniziative al fine di dar prontamente seguito alla risoluzione del Parlamento europeo del 16 ottobre 2012 in materia di trasporto di animali da macello.
(1-00571) «Vezzali, Rabino, Molea, Librandi, Matarrese, D'Agostino, La Marca, Cimbro, Rubinato, Paolo Rossi, Carlo Galli, Rampi, Albanella, Pastorino, Schirò, Carloni, Tacconi, Ciracì, Fitzgerald Nissoli, Santerini, Galgano».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia, nell'ambito del semestre europeo di Presidenza dell'Unione europea, ha il dovere morale di proporre impegni precisi e concreti al fine di tutelare i diritti degli animali in Europa;
    il nostro Paese deve promuovere in Europa il riconoscimento degli animali come «esseri senzienti» e meritevoli di protezione, maggiore tutela di cani e gatti, il divieto d'importazione di animali esotici, l'approvazione di una legislazione che renda l'Unione europea libera da spettacoli ludici con l'uso di animali, sostenendo la corretta applicazione della direttiva del 1999 sulla protezione degli animali;
    con l'entrata in vigore del nuovo Trattato di Lisbona alcuni importanti miglioramenti sono stati raggiunti, tuttavia restano insufficienti. Di conseguenza, è necessario incentivare a livello europeo lo sviluppo di programmi in grado di garantire la tutela e il benessere degli animali;
    il piano d'azione 2014-2020 traccia i principali elementi dell'intervento europeo in questo settore, sia all'interno dell'Unione europea, sia oltre le sue frontiere. Nell'ultimo decennio si è vista una costante crescita nei cittadini a difesa della tutela degli animali. Infatti, l'82 per cento dei cittadini europei afferma di essere d'accordo sul fatto che sia un dovere proteggere i diritti degli animali, qualunque siano i costi connessi;
    la normativa comunitaria stabilisce i requisiti minimi volti a preservare gli animali da qualsiasi sofferenza inutile durante le seguenti fasi principali: l'allevamento, il trasporto, l'abbattimento, la sperimentazione animale e il commercio di pellicce;
    il settore della ricerca deve investire sempre di più nell'utilizzo e nello sviluppo di nuovi metodi innovativi senza uso di animali, che permettono risultati rapidi e direttamente rilevanti sull'uomo;
    è fondamentale sostenere provvedimenti contro il traffico di cuccioli di cane d'importazione e i fenomeni illegali su animali da compagnia;
    l'Unione europea deve promuovere la corretta applicazione della direttiva 1999/22/CE sulla protezione degli animali negli zoo e sostenere il suo controllo, al fine di eliminare lo sfruttamento commerciale degli animali esotici in cattività e di garantire che tutti gli animali selvatici detenuti in cattività o utilizzati a fini di spettacolo siano inclusi nella legge quadro europea sul benessere animale;
    occorre valutare soluzioni alternative alla concessione della deroga in materia di caccia e, nella fattispecie, con le reti e l'utilizzo dei richiami vivi;
    è necessario considerare l'annullamento dei metodi non conformi agli accordi internazionali per le catture «senza crudeltà» siglati con Canada, Russia, Usa (Gazzetta ufficiale dell'Unione europea: L42 del 14 febbraio 1998; L219 del 7 agosto 1998), così come previsto dal regolamento (CEE) 3254/91;
    è opportuno estendere il divieto d'importazione e commercializzazione a tutte le specie animali «invasive aliene» e i metodi di contenimento, prevedendo unicamente misure incruente, rispettose della vita e della sofferenza dei soggetti interessati;
    l'Italia deve farsi parte attiva per una vera legge europea per la tutela degli animali da compagnia. Alcuni Stati membri uccidono indiscriminatamente gli animali randagi e al tempo stesso Stati membri alimentano commerci illegali di centinaia di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità altissimi e rischi sanitari, operando veri e propri maltrattamenti;
    occorre tenere in considerazione la risoluzione del Parlamento europeo del 16 ottobre 2012 a seguito della petizione sottoscritta nel 2012 da oltre un milione di cittadini dell'Unione europea, che chiede l'introduzione di un limite massimo di 8 ore per la durata del trasporto di animali destinati al consumo alimentare, con applicazioni di misure e controlli più restrittivi al fine di tutelare il benessere degli animali utilizzati a scopi commerciali,

impegna il Governo:

   a sostenere prioritariamente, con iniziative anche di carattere normativo, l'uso di metodi validati alternativi ai metodi che utilizzano gli animali per le sperimentazioni, estendendo il divieto di test ai prodotti per la detergenza della casa, come già avviene per i test dei prodotti cosmetici in base alla normativa europea entrata in vigore l'11 marzo 2013;
   a promuovere provvedimenti seri contro il traffico illegale di cuccioli d'importazione dai Paesi dell'Est Europa, che rafforzino l'Ufficio veterinario della Commissione europea al fine di garantire un ruolo di controllo e stimolo agli Stati membri;
   ad assumere iniziative per espandere l'identificazione dei cani tramite microchip e registrazione obbligatoria negli Stati membri collegata a un sistema di tracciabilità europea per prevenire l'abbandono;
   a garantire il divieto di importazione di animali esotici a fini di cattività e di detenzione ad uso personale (compagnia) per prevenire la sottrazione di questi animali alle loro comunità originali nei luoghi nativi e per dare un taglio netto alla cattività a scopo commerciale, prevenendo fenomeni di abbandono di animali esotici;
   a sostenere l'emanazione di norme che prevedano standard obbligatori minimi di benessere che si applichino alle specie oggi prive di specifiche norme di tutela come mucche, conigli, tacchini e altri;
   a promuovere l'estensione in tutta Europa del divieto d'ingozzamento di anatre e oche già vigente in Italia.
(1-00571)
(Testo modificato nel corso della seduta)  «Vezzali, Rabino, Molea, Librandi, Matarrese, D'Agostino, La Marca, Cimbro, Rubinato, Paolo Rossi, Carlo Galli, Rampi, Albanella, Pastorino, Schirò, Carloni, Tacconi, Ciracì, Fitzgerald Nissoli, Santerini, Galgano».


   La Camera,
   premesso che:
    uno dei primi atti che hanno riguardato in ambito europeo la questione relativa al benessere animale può essere individuato nella direttiva (CE) n. 577 del 1974 relativa allo stordimento degli animali prima della macellazione, che il nostro Paese ha recepito con la legge n. 439 del 1978. Nel medesimo anno diverse associazioni europee ed internazionali presentano a Bruxelles ed a Parigi la Dichiarazione dei diritti degli animali. Nel 1997 il Trattato di Amsterdam nel protocollo sulla protezione e benessere degli animali fissa i principali ambiti d'azione rispetto al benessere animale e riconosce gli animali come essere senzienti, concetto ribadito nel Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1o dicembre 2009;
    l'Europa ha ormai da diversi anni riconosciuto lo stretto legame fra benessere animale, salute animale e sicurezza alimentare (libro bianco della sicurezza alimentare (2000)), garantendone un approccio integrato grazie al regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 882/2004;
    il binomio benessere animale-sanità animale è stato, quindi, riconfermato nella strategia europea per la salute animale 2007-2013;
    da tempo l'Unione europea ha cominciato a introdurre le tematiche inerenti al benessere degli animali sia negli obiettivi dei fondi strutturali, sia in quelli dei programmi di ricerca. Da questo punto di vista si ricorda la comunicazione n. 584 del 2009, in cui venivano individuate le opzioni per un'etichettatura relativa al benessere animale e l'istituzione di una rete europea di centri di riferimento per la protezione e il benessere degli stessi;
    in ambito europeo molti passi sono stati certamente compiuti. È stato previsto il divieto di impiego delle gabbie convenzionali nell'allevamento delle galline ovaiole, con il conseguente miglioramento dello stato di salute e di benessere di 360 milioni di galline. Risultati importanti si sono avuti anche nell'allevamento dei suini dove l'abolizione delle gabbie nei reparti di riproduzione ha permesso un miglioramento del benessere delle scrofe. A ciò va ricordato il divieto dell'uso della sperimentazione animale per la produzione di prodotti cosmetici. Un altro settore dove si sono ottenuti miglioramenti per il benessere degli animali è quello del trasporto;
    rimane comunque il fatto che ancora molto c’è da fare per migliorare la legislazione degli Stati membri in materia e per dotare l'Unione europea di una legislazione più efficace e soprattutto uniforme, anche al fine di poterne verificare il rispetto da parte di ciascun Paese, prevedendo, qualora necessario, l'avvio delle procedure di infrazione;
    il rispetto delle norme europee sul benessere animale è da considerarsi certamente vincolante, anche se ancora molti sono i Paesi che devono mettersi in regola e sui quali è concentrata l'attenzione delle autorità comunitarie;
    questa crescente attenzione al benessere animale, specialmente nel settore zootecnico e negli allevamenti destinati al consumo umano, è principalmente collegata a una sempre maggiore sensibilità collettiva nei confronti dei diritti degli animali e a un'emergente e crescente domanda, da parte dei consumatori, di forme di allevamento friendly e di prodotti alimentari sempre più sicuri. Conseguentemente, la questione del loro benessere, anche come parte integrante delle filiere agroalimentari, ha cominciato a entrare in tutti i documenti strategici della Commissione europea;
    uno dei punti al centro del dibattito è la necessità di migliorare in ambito europeo il benessere animale nelle metodologie e nelle pratiche inerenti alle modalità di allevamento, al trasporto, alla macellazione, attraverso l'individuazione e l'attuazione di standard oggettivi per poter garantire e dimostrare il rispetto delle norme minime, nonché la necessità di garantire i necessari controlli;
    sotto questo aspetto è, altresì, indispensabile pervenire a una normativa in materia di etichettatura obbligatoria degli alimenti più trasparente, rigorosa ed esaustiva, al fine di consentire al consumatore di poter decidere in maniera consapevole e informata circa i propri acquisti alimentari;
    con riguardo agli animali da compagnia, è sicuramente necessario giungere quanto prima a una legislazione europea omogenea, con particolare riguardo alle politiche di contrasto del fenomeno del randagismo, laddove invece in alcuni Paesi è consentito il loro abbattimento, e all'intensificazione e coordinamento nella lotta al traffico illegale dei cuccioli,

impegna il Governo:

   nell'ambito del semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea:
    a) a sostenere l'istituzione di una rete di «centri di referenza sul benessere degli animali», come previsto nella proposta di legislazione sui controlli veterinari in discussione nell'ambito dell'Unione europea;
    b) a promuovere il riconoscimento dell'importanza e del rispetto del benessere animale, sia in ambito interno e internazionale che a livello di Organizzazione mondiale del commercio e di altri accordi internazionali;
    c) a promuovere un incremento dell'omogeneità nella qualità dei controlli nei diversi Stati membri, nonché a promuovere procedure univoche per i controlli dei prodotti provenienti da Stati terzi per il mercato comunitario;
    d) a incentivare il ricorso a un label specifico del benessere animale, ossia a un'etichetta nell'ambito dell'Unione europea, che identifichi quei prodotti ottenuti nel massimo rigore delle norme in materia, in grado di dare adeguate garanzie al cittadino-consumatore;
    e) ad assumere iniziative per pervenire a una normativa in materia di tracciabilità ed etichettatura obbligatoria degli alimenti, in particolare quelli animali, più trasparente, rigorosa ed esaustiva, al fine di consentire al consumatore di poter scegliere in maniera consapevole cosa acquistare;
    f) ad assumere iniziative per estendere anche agli altri animali da allevamento le norme di tutela e di standard minimi obbligatori negli allevamenti, già previste dalla normativa comunitaria per alcune specie animali;
    g) a sostenere la proposta di legislazione sulla sanità animale in discussione a Bruxelles, relativamente alla creazione del sistema europeo di anagrafi per animali da compagnia, e la qualificazione normativa dei cani randagi come animali da compagnia e non come animali selvatici;
    h) ad attivarsi al fine di introdurre una normativa comune in materia di animali da compagnia e di contrasto al fenomeno del randagismo, introducendo il divieto per tutti i Paesi membri di soppressione degli animali randagi, così come previsto nel nostro Paese;
    i) a realizzare una conferenza internazionale contro il traffico illegale dei cuccioli, data la gravità del fenomeno, che possa coinvolgere altri Paesi e l'Unione europea in programmi di repressione, prevenzione ed educazione dei cittadini;
    l) a sostenere una normativa comune tra gli Stati membri in materia di agevolazioni fiscali per le spese veterinarie sostenute per gli animali da compagnia, come peraltro già previsto dalla legislazione italiana;
    m) a promuovere in ambito comunitario una normativa volta a vietare la cattura, l'allevamento e l'utilizzo degli uccelli come richiamo vivo, prevedendo la possibilità di esercitare la caccia senza richiami, o con richiami acustici, e comunque attivandosi fin da subito al fine di consentire, nelle more dell'attuazione del divieto suddetto, il solo utilizzo di uccelli da richiamo da allevamento, senza ricorrere a catture di esemplari in natura;
    n) ad assumere iniziative per armonizzare la normativa nazionale con la direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici e, quindi, per delimitare l'applicazione della legge 18 marzo 1968, n. 337, su circhi e spettacoli viaggianti a strutture effettivamente itineranti, evitando così antinomie con il decreto legislativo n. 73 del 2005 di recepimento della medesima direttiva 1999/22/CE;
    o) a promuovere una normativa comune volta al superamento dell'utilizzo degli animali nei circhi e negli spettacoli viaggianti;
    p) ad incoraggiare la ricerca sul benessere animale e a promuovere soluzioni alternative con riferimento agli esperimenti sugli animali;
    q) ad attivarsi per l'abolizione degli allevamenti di animali destinati alla produzione di pellicce, anche alla luce delle normative nazionali di divieto parziale o totale adottate già da diversi Paesi dell'Unione europea, come Olanda, Svezia, Gran Bretagna, Croazia, Austria, Danimarca;
    r) a sostenere i progetti comunitari Life per la tutela della fauna selvatica, rivalutando con una commissione indipendente di livello europeo la captivazione permanente degli orsi catturati negli scorsi anni in Trentino-Alto Adige, assumendo le iniziative di competenza per bloccare la cattura dell'orsa Daniza e dei suoi cuccioli, e per evitare modifiche unilaterali locali al piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali;
    s) ad effettuare, per quanto di competenza, un monitoraggio dei centri di recupero di animali selvatici al fine di assumere iniziative, anche normative, per promuovere e sostenere una rete di tali centri per dare piena applicazione alle direttive e ai regolamenti europei sulla protezione degli animali selvatici custoditi nei giardini zoologici, impiegati in attività circensi e utilizzati nel commercio illegale.
(1-00573)
(Nuova formulazione) «Nicchi, Franco Bordo, Matarrelli, Pannarale, Kronbichler, Scotto, Costantino, Duranti, Melilla, Ricciatti, Zaratti, Pellegrino».


   La Camera,
   premesso che:
    uno dei primi atti che hanno riguardato in ambito europeo la questione relativa al benessere animale può essere individuato nella direttiva (CE) n. 577 del 1974 relativa allo stordimento degli animali prima della macellazione, che il nostro Paese ha recepito con la legge n. 439 del 1978. Nel medesimo anno diverse associazioni europee ed internazionali presentano a Bruxelles ed a Parigi la Dichiarazione dei diritti degli animali. Nel 1997 il Trattato di Amsterdam nel protocollo sulla protezione e benessere degli animali fissa i principali ambiti d'azione rispetto al benessere animale e riconosce gli animali come essere senzienti, concetto ribadito nel Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1o dicembre 2009;
    l'Europa ha ormai da diversi anni riconosciuto lo stretto legame fra benessere animale, salute animale e sicurezza alimentare (libro bianco della sicurezza alimentare (2000)), garantendone un approccio integrato grazie al regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 882/2004;
    il binomio benessere animale-sanità animale è stato, quindi, riconfermato nella strategia europea per la salute animale 2007-2013;
    da tempo l'Unione europea ha cominciato a introdurre le tematiche inerenti al benessere degli animali sia negli obiettivi dei fondi strutturali, sia in quelli dei programmi di ricerca. Da questo punto di vista si ricorda la comunicazione n. 584 del 2009, in cui venivano individuate le opzioni per un'etichettatura relativa al benessere animale e l'istituzione di una rete europea di centri di riferimento per la protezione e il benessere degli stessi;
    in ambito europeo molti passi sono stati certamente compiuti. È stato previsto il divieto di impiego delle gabbie convenzionali nell'allevamento delle galline ovaiole, con il conseguente miglioramento dello stato di salute e di benessere di 360 milioni di galline. Risultati importanti si sono avuti anche nell'allevamento dei suini dove l'abolizione delle gabbie nei reparti di riproduzione ha permesso un miglioramento del benessere delle scrofe. A ciò va ricordato il divieto dell'uso della sperimentazione animale per la produzione di prodotti cosmetici. Un altro settore dove si sono ottenuti miglioramenti per il benessere degli animali è quello del trasporto;
    rimane comunque il fatto che ancora molto c’è da fare per migliorare la legislazione degli Stati membri in materia e per dotare l'Unione europea di una legislazione più efficace e soprattutto uniforme, anche al fine di poterne verificare il rispetto da parte di ciascun Paese, prevedendo, qualora necessario, l'avvio delle procedure di infrazione;
    il rispetto delle norme europee sul benessere animale è da considerarsi certamente vincolante, anche se ancora molti sono i Paesi che devono mettersi in regola e sui quali è concentrata l'attenzione delle autorità comunitarie;
    questa crescente attenzione al benessere animale, specialmente nel settore zootecnico e negli allevamenti destinati al consumo umano, è principalmente collegata a una sempre maggiore sensibilità collettiva nei confronti dei diritti degli animali e a un'emergente e crescente domanda, da parte dei consumatori, di forme di allevamento friendly e di prodotti alimentari sempre più sicuri. Conseguentemente, la questione del loro benessere, anche come parte integrante delle filiere agroalimentari, ha cominciato a entrare in tutti i documenti strategici della Commissione europea;
    uno dei punti al centro del dibattito è la necessità di migliorare in ambito europeo il benessere animale nelle metodologie e nelle pratiche inerenti alle modalità di allevamento, al trasporto, alla macellazione, attraverso l'individuazione e l'attuazione di standard oggettivi per poter garantire e dimostrare il rispetto delle norme minime, nonché la necessità di garantire i necessari controlli;
    sotto questo aspetto è, altresì, indispensabile pervenire a una normativa in materia di etichettatura obbligatoria degli alimenti più trasparente, rigorosa ed esaustiva, al fine di consentire al consumatore di poter decidere in maniera consapevole e informata circa i propri acquisti alimentari;
    con riguardo agli animali da compagnia, è sicuramente necessario giungere quanto prima a una legislazione europea omogenea, con particolare riguardo alle politiche di contrasto del fenomeno del randagismo, laddove invece in alcuni Paesi è consentito il loro abbattimento, e all'intensificazione e coordinamento nella lotta al traffico illegale dei cuccioli,

impegna il Governo:

   nell'ambito del semestre di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea:
    a) a sostenere l'istituzione di una rete di «centri di referenza sul benessere degli animali», come previsto nella proposta di legislazione sui controlli veterinari in discussione nell'ambito dell'Unione europea;
    b) a promuovere il riconoscimento dell'importanza e del rispetto del benessere animale, sia in ambito interno e internazionale che a livello di Organizzazione mondiale del commercio e di altri accordi internazionali;
    c) a valutare la possibilità di promuovere un incremento dell'omogeneità nella qualità dei controlli nei diversi Stati membri, nonché a promuovere procedure univoche per i controlli dei prodotti provenienti da Stati terzi per il mercato comunitario;
    d) a incentivare il ricorso a un label specifico del benessere animale, ossia a un'etichetta nell'ambito dell'Unione europea, che identifichi quei prodotti ottenuti nel massimo rigore delle norme in materia, in grado di dare adeguate garanzie al cittadino-consumatore;
    e) a valutare la possibilità di assumere iniziative per pervenire a una normativa in materia di tracciabilità ed etichettatura obbligatoria degli alimenti, in particolare quelli animali, più trasparente, rigorosa ed esaustiva, al fine di consentire al consumatore di poter scegliere in maniera consapevole cosa acquistare;
    f) ad assumere iniziative per estendere anche agli altri animali da allevamento le norme di tutela e di standard minimi obbligatori negli allevamenti, già previste dalla normativa comunitaria per alcune specie animali;
    g) a sostenere la proposta di legislazione sulla sanità animale in discussione a Bruxelles, relativamente alla creazione del sistema europeo di anagrafi per animali da compagnia, e la qualificazione normativa dei cani randagi come animali da compagnia e non come animali selvatici;
    h) ad attivarsi al fine di introdurre una normativa comune in materia di animali da compagnia e di contrasto al fenomeno del randagismo, introducendo il divieto per tutti i Paesi membri di soppressione degli animali randagi, così come previsto nel nostro Paese;
    i) a realizzare una conferenza internazionale contro il traffico illegale dei cuccioli, data la gravità del fenomeno, che possa coinvolgere altri Paesi e l'Unione europea in programmi di repressione, prevenzione ed educazione dei cittadini;
    l) a sostenere una normativa comune tra gli Stati membri in materia di agevolazioni fiscali per le spese veterinarie sostenute per gli animali da compagnia, come peraltro già previsto dalla legislazione italiana;
    m) ad assumere iniziative per armonizzare la normativa nazionale con la direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici e, quindi, per delimitare l'applicazione della legge 18 marzo 1968, n. 337, su circhi e spettacoli viaggianti a strutture effettivamente itineranti, evitando così antinomie con il decreto legislativo n. 73 del 2005 di recepimento della medesima direttiva 1999/22/CE;
    n) a promuovere una normativa comune volta al superamento dell'utilizzo degli animali nei circhi e negli spettacoli viaggianti;
    o) ad incoraggiare la ricerca sul benessere animale e a promuovere soluzioni alternative con riferimento agli esperimenti sugli animali;
    p) a valutare l'opportunità di sostenere i progetti comunitari Life per la tutela della fauna selvatica, rivalutando con una commissione indipendente di livello europeo la captivazione permanente degli orsi catturati negli scorsi anni in Trentino-Alto Adige, assumendo le iniziative di competenza per bloccare la cattura dell'orsa Daniza e dei suoi cuccioli, e per evitare modifiche unilaterali locali al piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali;
    q) ad effettuare, per quanto di competenza, un monitoraggio dei centri di recupero di animali selvatici al fine di assumere iniziative, anche normative, per promuovere e sostenere una rete di tali centri per dare piena applicazione alle direttive e ai regolamenti europei sulla protezione degli animali selvatici custoditi nei giardini zoologici, impiegati in attività circensi e utilizzati nel commercio illegale.
(1-00573)
(Nuova formulazione) (Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate)  «Nicchi, Franco Bordo, Matarrelli, Pannarale, Kronbichler, Scotto, Costantino, Duranti, Melilla, Ricciatti, Zaratti, Pellegrino».


   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato di Lisbona all'articolo 13 definisce gli animali come esseri senzienti, riconoscendo la necessità di assicurare il benessere animale consentendo una serie di iniziative dirette alla protezione degli stessi che non si limitino esclusivamente a tutelare gli animali di affezione ma che riguardano complessivamente il regno animale che deve essere considerato, a questo punto, come integralmente destinatario della tutela europea;
    in questo quadro assume particolare rilevanza sia in Italia che in Europa, negli ultimi anni, la necessità di protezione degli animali che possono essere macellati secondo rito religioso; tale numero è aumentato fortemente, in considerazione di una maggior richiesta di carni derivanti da questo tipo di macellazione e destinate ai canali commerciali ufficiali;
    la macellazione rituale rappresenta da sempre una questione controversa sulla quale si dibattono problemi relativi alle diverse tradizioni culturali, ai diritti umani legati alla tolleranza religiosa e al benessere animale. Nella società occidentale il benessere e la protezione degli animali sono valori indiscussi e condivisi, anche durante il momento della macellazione; tuttavia, nella maggior parte delle nazioni europee è possibile derogare all'obbligo dello stordimento prima della iugulazione per motivi religiosi. Questa deroga crea comunque alcune difficoltà nel garantire la tutela del benessere animale e vi è una forte sollecitazione a trovare soluzioni che siano soddisfacenti per tutte le parti in causa, promuovendo nuovi protocolli che consentano di tutelare maggiormente il benessere animale, nel rispetto del rito religioso;
    sia la legge islamica che i precetti ebraici prescrivono una serie di regole da seguire per rendere la carne commestibile ai fedeli di queste religioni. Le caratteristiche del procedimento di uccisione dell'animale sono riassunte nel termine halal (lecito), per i musulmani, e kosher per gli ebrei, e non accettano lo stordimento preventivo;
    l'animale oggetto della macellazione deve essere cosciente al momento dell'uccisione, girato su sé stesso con un mezzo obbligatorio di contenimento meccanico e viene operata la recisione di trachea ed esofago, ma senza spezzare la colonna vertebrale, perché durante la procedura la testa dell'animale non si deve staccare;
    la pratica della macellazione rituale, estremamente cruenta, è consentita in Italia solo se praticata in uno degli oltre 200 macelli autorizzati, ma non sono rari i casi di macellazione «familiare», eseguita per festeggiare delle ricorrenze religiose, pratica illegale e perseguibile per legge (regolamento (CE) n. 1099/2009, decreto legislativo n. 131 del 2013, articolo 6 del decreto legislativo 6 novembre 2007, n. 193, articolo 544-bis del codice penale);
    la normativa europea circa la macellazione prevede obbligatoriamente lo stordimento preventivo degli animali ma una precisa deroga legislativa autorizza le comunità islamiche ed ebraiche a non osservare tale obbligo;
    il regolamento (CE) n. 1099/2009 rispetta, di conseguenza, la libertà di religione e il diritto di manifestare la propria religione o la propria convinzione mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti come stabilito dall'articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
    di contro, il diritto garantito al citato articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea corrisponde a quello garantito dall'articolo 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e, ai sensi dell'articolo 52, comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ha significato e portata identici a detto articolo. Le limitazioni devono pertanto rispettare l'articolo 9, comma 2, che recita: «La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che, stabilite dalla legge, costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell'ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui»;
    in forza di tale Convenzione gli Stati di seguito elencati: Svizzera, Norvegia, Islanda, Lettonia, Svezia e Polonia, vietano la macellazione rituale;
    nessun credo religioso può prevalere sulle norme di tutela degli animali e nessuna legge deve essere modificata su imposizione di una esigua minoranza religiosa e contro il volere dell'intera popolazione: in uno Stato libero e democratico ciò è inaccettabile;
    nel mese di febbraio 2014, il Commissario europeo Borg, nel corso della Conferenza sui risultati della strategia dell'Unione europea per il benessere animale 2012-2014, ha annunciato che a metà del 2014 la Commissione europea organizzerà uno studio approfondito sul tema della macellazione religiosa, per valutare eventuali norme che garantiscano la salute e l'informazione dei consumatori e soprattutto che evitino una morte dolorosa all'animale,

impegna il Governo

ad adoperarsi durante la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea affinché venga abrogato il comma 4, dell'articolo 4, Capo II, del Regolamento (CE) n. 1099/2009 del Consiglio, anche alla luce delle perplessità che gli organismi comunitari hanno manifestato sulle inutili sofferenze che gli animali sono costretti a sopportare senza pregiudicare le libertà religiose.
(1-00580) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione europea ha comunicato al Parlamento europeo la strategia dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015 dove viene definito che: «l'articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riconosce gli animali in quanto esseri senzienti e stabilisce che, nella formulazione e nell'attuazione di alcune politiche dell'UE, si tenga pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali»;
    nel 2006 il Programma d'azione comunitario per la protezione ed il benessere degli animali 2006-2010, adottato dalla Commissione europea, ha per la prima volta riunito i vari aspetti della politica dell'Unione europea in materia di benessere degli animali che si applicano ad animali detenuti a fini economici nell'Unione europea e alla popolazione di cani e gatti appartenenti principalmente a privati;
    il benessere degli animali è un tema rilevante per la società e interessa un vasto pubblico. Il trattamento degli animali è collegabile all'etica e rientra nei valori dell'Unione europea. Occorre, quindi, comunicare con i bambini, i giovani o il grande pubblico per sensibilizzarli sulle corrette esigenze e il rispetto degli animali per promuovere il concetto di proprietà responsabile degli animali;
    in questi ultimi anni la circolazione di cani e gatti tra nazioni europee in forma sia di commercio, sia di traffico, sia in forma di adozioni ha raggiunto una dimensione notevole. Inoltre, la legislazione italiana è intervenuta con la legge n. 281 del 1991 sul tema degli animali d'affezione e sul fenomeno del randagismo. La prevenzione del randagismo presenta ancora forti lacune nel numero dei cani identificati in anagrafe e con microchip, inoltre le difficoltà economiche dei comuni impediscono di affrontare in modo radicale questo argomento;
    la valutazione della politica dell'Unione europea in materia di benessere degli animali ha concluso che le norme sul benessere hanno imposto costi aggiuntivi ai settori dell'allevamento e della sperimentazione, stimati a circa il 2 per cento del loro valore complessivo. Benché manchino prove del fatto che finora questo abbia messo a rischio la sostenibilità economica di tali settori, occorre sfruttare ogni occasione di esprimere in termini economici il valore aggiunto della politica in materia di corretta gestione degli animali allo scopo di rafforzare la competitività dell'agricoltura dell'Unione europea, anche per quanto riguarda i piccoli agricoltori. Le norme sulle «buone pratiche» da attuare per ottenere il benessere animale, uguali per tutte le nazioni europee, si scontrano con la diversità dei sistemi di allevamento, delle condizioni climatiche, della natura del suolo nei vari Stati membri. Ciò ha creato notevoli difficoltà all'atto di stabilire norme unitarie e difficoltà ancora maggiori per garantirne la corretta applicazione. Ne consegue che le condizioni inerenti al benessere degli animali nell'Unione europea non creano le condizioni di parità necessarie per sostenere l'enorme attività economica che determina il trattamento degli animali nell'Unione europea;
    la disponibilità di metodi alternativi all'uso di animali per la sperimentazione scientifica dipende fortemente dal progresso della ricerca per lo sviluppo di alternative. I programmi quadro comunitari per la ricerca e lo sviluppo tecnologico hanno previsto stanziamenti crescenti per progetti volti a sostituire, ridurre e perfezionare l'uso di animali nelle procedure,

impegna il Governo:

   a predisporre tutte le misure volte a far sì che l'Unione europea si doti di un quadro normativo riveduto in materia di buone pratiche e benessere degli animali e miri a fornire uno strumento trasparente nei confronti dei consumatori;
   ad assumere iniziative per istituire una rete di centri di riferimento sul benessere animale nei Paesi europei che forniscano informazioni, supporto e sostegno con dati tecnici coerenti, scientificamente supportati e uniformi sulle modalità di attuazione della legislazione dell'Unione europea, soprattutto nel contesto degli indicatori di benessere degli animali basati sui risultati, verificando la piena attuabilità in ogni singolo Stato membro in ordine alle caratteristiche dei sistemi si allevamento, del clima e del suolo;
   a predisporre tutte le misure volte a far sì che le forme di commercio di animali di affezione tra Stati europei siano garantite dalla vigilanza dei servizi veterinari degli Stati membri prima del trasporto e siano a garanzia per tutti gli Stati membri, onde evitare continui blocchi alle frontiere degli animali, assumendo iniziative affinché siano impedite le adozioni internazionali di cani e gatti sia con evidenti segni clinici di malattie sia in buono stato di salute, onde evitare ogni possibile commercio e traffico illegale di animali e la diffusione di zoonosi;
   ad assumere iniziative per introdurre misure volte a far sì che i proprietari di cani che non accompagnino con opportuna sistemazione le cucciolate del proprio animale, contribuendo così ad aumentare il fenomeno del randagismo, debbano contribuire economicamente al sostegno degli enti locali per la lotta al randagismo stesso attraverso il versamento di contributi locali;
   a predisporre un'adeguata strategia di educazione dei ragazzi, dei giovani e dei consumatori che possa costituire uno strumento efficace per creare una cultura di rispetto delle norme sul trattamento degli animali fra gli operatori economici, i singoli proprietari di animali di affezione e fra gli stessi cittadini europei;
   a predisporre tutte le misure volte ad aumentare la competitività nella ricerca e nell'industria dell'Unione europea, nonché a sostituire, ridurre e perfezionare l'uso di animali nelle procedure scientifiche;
   ad intervenire affinché la Commissione europea e gli Stati membri dell'Unione europea contribuiscano con la ricerca e altri mezzi all'elaborazione e alla convalida di approcci alternativi come previsto dalla Direttiva UE 2010/63 del 22 settembre 2010.
(1-00581) «Cova, Sbrollini, Lenzi, Oliverio, Casati, Piccione, Capone, Beni, Zanin, Tentori, Carra, Miotto, Amoddio».


   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione europea ha comunicato al Parlamento europeo la strategia dell'Unione europea per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015 dove viene definito che: «l'articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riconosce gli animali in quanto esseri senzienti e stabilisce che, nella formulazione e nell'attuazione di alcune politiche dell'UE, si tenga pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali»;
    nel 2006 il Programma d'azione comunitario per la protezione ed il benessere degli animali 2006-2010, adottato dalla Commissione europea, ha per la prima volta riunito i vari aspetti della politica dell'Unione europea in materia di benessere degli animali che si applicano ad animali detenuti a fini economici nell'Unione europea e alla popolazione di cani e gatti appartenenti principalmente a privati;
    il benessere degli animali è un tema rilevante per la società e interessa un vasto pubblico. Il trattamento degli animali è collegabile all'etica e rientra nei valori dell'Unione europea. Occorre, quindi, comunicare con i bambini, i giovani o il grande pubblico per sensibilizzarli sulle corrette esigenze e il rispetto degli animali per promuovere il concetto di proprietà responsabile degli animali;
    in questi ultimi anni la circolazione di cani e gatti tra nazioni europee in forma sia di commercio, sia di traffico, sia in forma di adozioni ha raggiunto una dimensione notevole. Inoltre, la legislazione italiana è intervenuta con la legge n. 281 del 1991 sul tema degli animali d'affezione e sul fenomeno del randagismo. La prevenzione del randagismo presenta ancora forti lacune nel numero dei cani identificati in anagrafe e con microchip, inoltre le difficoltà economiche dei comuni impediscono di affrontare in modo radicale questo argomento;
    la valutazione della politica dell'Unione europea in materia di benessere degli animali ha concluso che le norme sul benessere hanno imposto costi aggiuntivi ai settori dell'allevamento e della sperimentazione, stimati a circa il 2 per cento del loro valore complessivo. Benché manchino prove del fatto che finora questo abbia messo a rischio la sostenibilità economica di tali settori, occorre sfruttare ogni occasione di esprimere in termini economici il valore aggiunto della politica in materia di corretta gestione degli animali allo scopo di rafforzare la competitività dell'agricoltura dell'Unione europea, anche per quanto riguarda i piccoli agricoltori. Le norme sulle «buone pratiche» da attuare per ottenere il benessere animale, uguali per tutte le nazioni europee, si scontrano con la diversità dei sistemi di allevamento, delle condizioni climatiche, della natura del suolo nei vari Stati membri. Ciò ha creato notevoli difficoltà all'atto di stabilire norme unitarie e difficoltà ancora maggiori per garantirne la corretta applicazione. Ne consegue che le condizioni inerenti al benessere degli animali nell'Unione europea non creano le condizioni di parità necessarie per sostenere l'enorme attività economica che determina il trattamento degli animali nell'Unione europea;
    la disponibilità di metodi alternativi all'uso di animali per la sperimentazione scientifica dipende fortemente dal progresso della ricerca per lo sviluppo di alternative. I programmi quadro comunitari per la ricerca e lo sviluppo tecnologico hanno previsto stanziamenti crescenti per progetti volti a sostituire, ridurre e perfezionare l'uso di animali nelle procedure,

impegna il Governo:

   a predisporre tutte le misure volte a far sì che l'Unione europea si doti di un quadro normativo riveduto in materia di buone pratiche e benessere degli animali e miri a fornire uno strumento trasparente nei confronti dei consumatori;
   ad assumere iniziative per istituire una rete di centri di riferimento sul benessere animale nei Paesi europei che forniscano informazioni, supporto e sostegno con dati tecnici coerenti, scientificamente supportati e uniformi sulle modalità di attuazione della legislazione dell'Unione europea, soprattutto nel contesto degli indicatori di benessere degli animali basati sui risultati, verificando la piena attuabilità in ogni singolo Stato membro in ordine alle caratteristiche dei sistemi si allevamento, del clima e del suolo;
   a predisporre tutte le misure volte a far sì che le forme di commercio di animali di affezione tra Stati europei siano garantite dalla vigilanza dei servizi veterinari degli Stati membri prima del trasporto e siano a garanzia per tutti gli Stati membri, onde evitare continui blocchi alle frontiere degli animali, assumendo iniziative affinché siano impedite le adozioni internazionali di cani e gatti sia con evidenti segni clinici di malattie sia in buono stato di salute, onde evitare ogni possibile commercio e traffico illegale di animali e la diffusione di zoonosi;
   a valutare l'opportunità dell'introduzione di misure di diffusione della cultura del possesso consapevole degli animali e delle necessità del controllo delle nascite, anche attraverso la sterilizzazione;
   a predisporre un'adeguata strategia di educazione dei ragazzi, dei giovani e dei consumatori che possa costituire uno strumento efficace per creare una cultura di rispetto delle norme sul trattamento degli animali fra gli operatori economici, i singoli proprietari di animali di affezione e fra gli stessi cittadini europei;
   a predisporre tutte le misure volte ad aumentare la competitività nella ricerca e nell'industria dell'Unione europea, nonché a sostituire, ridurre e perfezionare l'uso di animali nelle procedure scientifiche;
   ad intervenire affinché la Commissione europea e gli Stati membri dell'Unione europea contribuiscano con la ricerca e altri mezzi all'elaborazione e alla convalida di approcci alternativi come previsto dalla Direttiva UE 2010/63 del 22 settembre 2010.
(1-00581)
(Testo modificato nel corso della seduta)  «Cova, Sbrollini, Lenzi, Oliverio, Casati, Piccione, Capone, Beni, Zanin, Tentori, Carra, Miotto, Amoddio».


   La Camera,
   premesso che:
    la Dichiarazione universale dei diritti dell'animale, proclamata il 15 ottobre del 1978 nella sede dell'Unesco a Parigi, pur non avendo prodotto alcun risultato sul piano giuridico-legislativo, ha tuttavia rappresentato un passo importante verso il riconoscimento dei diritti degli animali che, da quel momento, vengono considerati come «soggetto»;
    l'articolo 1 della Dichiarazione citata ha sancito che «tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita ed hanno gli stessi diritti all'esistenza»: così con questo articolo, per la prima volta, sono stati riconosciuti un insieme di diritti che incidono sul comportamento umano e individuano responsabilità e doveri per l'uomo e per la società considerata nella sua dimensione istituzionale. Tale documento, dopo aver proclamato in modo sintetico una serie di diritti di tutti gli animali (quali il diritto ad un'esistenza dignitosa, a non essere sottoposti a maltrattamenti e a vivere in modo consono alle proprie abitudini) aggiunge che «ogni animale che l'uomo ha scelto per compagno ha diritto ad una durata della vita conforme alla sua naturale longevità»: un passaggio che finalmente valuta l'animale «essere senziente» (status che verrà poi sancito nel 1997 dall'Unione europea in un allegato al Trattato di Amsterdam) e che, come tale, non può più essere considerato «una cosa» ma soggetto di un rapporto affettivo con l'essere umano, tendenzialmente destinato a protrarsi per l'intera durata della vita;
    negli ultimi anni sono state approvate numerose disposizioni che confermano il diritto degli animali. In particolare, il riconoscimento degli animali quali «esseri senzienti» ovvero esseri in grado di provare piacere o dolore e, quindi, portatori di interessi: principio introdotto dal Trattato di Lisbona, in vigore dal 1o gennaio 2008 e che ha contribuito ad accelerare un'evoluzione normativa in tale direzione. Tale Trattato ha significativamente definito gli animali in termini corretti attraverso l'attribuzione a tutti gli animali, compresi quelli d'affezione, della capacità di sentire: caratteristica, quest'ultima, che li differenzia definitivamente sotto un profilo giuridico dalle cose mobili. Alla luce di ciò, dunque, anche il particolare legame tra uomo ed animale d'affezione evolve da una prospettiva tendenzialmente unilaterale ad una più complessa considerazione della relazione uomo-animale, dove il flusso di affetto e ausilio che si verifica è reciprocamente rilevante e dove entrambi i membri del rapporto, pur nella loro specificità, sono attivamente soggetti e partecipi;
    il Trattato di Lisbona, infatti, ha impegnato gli Stati membri a tenere pienamente conto di tale riconoscimento nella formulazione e nell'attuazione delle proprie politiche in materia di benessere degli animali. Questa importante conquista tuttavia non trova ancora adeguata applicazione da parte delle istituzioni dell'Unione europea: pertanto, occorre intervenire con misure adeguate in grado di approvare norme per una maggiore tutela degli animali;
    è comunque da considerare che da tempo l'Unione europea ha introdotto le tematiche concernenti il benessere degli animali sia nei fondi strutturali che nei programmi di ricerca e sotto questo profilo sono stati fatti importanti «passi in avanti» per permettere un miglioramento delle condizioni degli animali dal punto di vista sia della protezione che del benessere degli stessi (da ricordare, al proposito, il regolamento (CE) n. 1523/2007, recante il divieto di commercializzare pellicce ricavate da cani e gatti; la regolamentazione più stringente per gli allevamenti di galline ovaiole (direttiva 1999/74/CE), la normativa per la detenzione degli animali nei giardini zoologici (direttiva 1999/22/CE), le norme concernenti la conservazione degli uccelli selvatici (direttiva 2009/147/CE)). Va, inoltre, sottolineato come l'82 per cento dei cittadini europei abbia sostenuto con forza come costituisca un dovere sociale proteggere i diritti degli animali qualunque siano i costi;
    per quanto riguarda gli animali da affezione, si ricorda che nel 1991, con la legge n. 281, il nostro Paese si è dotato di una normativa in materia di animali da affezione e di prevenzione del randagismo, che ha rappresentato un importante passo in avanti per l'affermazione di un più civile rapporto tra le persone e gli animali. Si deve, comunque, ricordare che tale legge, pur essendosi rivelata valida nell’ impianto e nei principi, attualmente non risulta congrua rispetto alla sua pratica attuazione. Infatti, dopo tanti anni di esperienza applicativa, occorre riconoscere che molti degli obiettivi indicati dalla legge non sono stati conseguiti. Nel 2010 il nostro Paese ha approvato la legge 4 novembre 2010, n. 201, con la quale ha ratificato la Convenzione del Consiglio d'Europa del 1987, per la protezione degli animali da compagnia, dettando specifiche norme di adeguamento interno. Con tale normativa sono stati definiti i principi fondamentali per il benessere degli animali e per il loro mantenimento. È previsto, infatti, che nessuno potrà causare inutilmente sofferenze o angosce ad un animale da compagnia, né tanto meno dare luogo al suo abbandono. Con tale legge si è, infatti, confermata l'importanza degli animali da compagnia per il contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società. Il proprietario, o la persona che se ne occupa, sono considerati responsabili della sua salute e del suo benessere, dovendo fornire all'animale, oltre al sostentamento, anche cure e attenzione alla sua salute e al suo benessere, favorendo il suo diritto ad un'esistenza serena: si tratta di termini importanti che hanno l'effetto di rendere l'animale d'affezione un vero e proprio soggetto giuridicamente rilevante;
    è, quindi, opportuno che l'Europa sia più attiva nel dare piena applicazione al riconoscimento degli animali come «esseri senzienti», prendendo come punto di riferimento tale principio generale nella predisposizione delle norme europee;
    occorre, altresì, sottolineare l'importanza della salute animale, anche per il legame tra salute degli animali e sanità pubblica. A tal fine, occorre garantire un coordinamento tra le varie istituzioni ed i vari soggetti individuati per favorire una strategia che salvaguardi la salute degli animali ed eviti la diffusione di malattie che possono danneggiare l'uomo;
    è fondamentale, altresì, adottare azioni che permettano di assicurare soluzioni concrete, etiche e sostenibili per gli animali randagi, nonché garantire strategie di gestione della popolazione canina che prevedano misure di controllo della stessa, leggi anti-crudeltà, il sostegno alle procedure veterinarie che siano necessarie a controllare il numero dei cani indesiderati e la promozione di un comportamento responsabile da parte dei proprietari di animali da compagnia;
    risulta anche opportuno adottare soluzioni concrete, nell'ottica di garantire il benessere di cani e di gatti utilizzati per scopi commerciali, un fenomeno che si sta sempre più diffondendo e sul quale occorre vigilare;
    risulta, altresì, necessario pubblicizzare al meglio informazioni in merito alle norme dell'Unione europea in materia di benessere degli animali, in modo da rendere sempre più consapevoli i soggetti legati o interessati al mondo animale, nonché adottare politiche per risolvere i problemi relativi al trasporto degli animali;
    c’è poi un aspetto che va messo in chiara evidenza: quello del furto degli animali. Infatti, la sottrazione degli animali, soprattutto quelli d'affezione, al loro legittimo proprietario rappresenta un fenomeno in larga espansione, che va affrontato con misure efficaci,

impegna il Governo:

   a dare piena applicazione, nell'ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, al riconoscimento degli animali come esseri senzienti e meritevoli di protezione;
   ad assumere iniziative per rafforzare l'ufficio veterinario della Commissione europea per assicurare un efficace controllo nell'applicazione delle normative comunitarie a tutela degli animali;
   a predisporre un intervento a livello europeo che consenta di adottare un programma diretto a prevenire il randagismo al fine di evitare l'uccisione indiscriminata degli animali randagi e garantire che gli Stati membri non alimentino commerci illegali di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità altissimi e con elevati rischi sanitari;
   ad approfondire il problema relativo al trasporto degli animali, elemento in cui gli interessi degli operatori del settore e degli animali debbono trovare un punto di sintesi che rispetti le esigenze dei soggetti interessati;
   ad adottare misure, anche di controllo, per vietare l'importazione di animali esotici o, comunque, estranei al territorio italiano, al fine di prevenire problematiche negative rispetto alle dinamiche naturali del territorio e della sua fauna;
   a proporre in sede europea una legge quadro in materia di benessere degli animali, garantendo azioni e strategie dirette a ridurre l'utilizzo degli stessi nella ricerca;
   ad adottare misure che consentano di agevolare gli allevatori che rispettano le norme e le buone prassi per l'allevamento degli animali e investono in migliori strutture agricole;
   a valutare la necessità che i consumatori debbano essere informati sul fatto che un prodotto importato o un prodotto che contiene un prodotto importato sia ottenuto da animali custoditi nelle condizioni prescritte dalle norme europee in materia di benessere degli animali;
   ad intervenire sulla problematica relativa al furto degli animali nei modi e nei tempi che riterrà opportuni, al fine di affrontare, in termini congrui, il fenomeno che, alla luce dell'evoluzione che sta registrando nell'ambito di una società moderna, sta assumendo un rilevante valore sociale ed economico.
(1-00585)
(Nuova formulazione) «Dorina Bianchi, Scopelliti, Saltamartini».


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Orientamenti del Governo in merito all'entità del cofinanziamento statale ai fondi dell'Unione europea – 3-01041

   MARCON e PANNARALE. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il Governo sta studiando delle contromisure per ridurre la pressione sul deficit. Tra esse, spunta anche la gestione ed il finanziamento dei fondi dell'Unione europea, con la possibilità di ridefinire al ribasso la percentuale di partecipazione dell'Italia;
   nella legge di stabilità per il 2014 il cofinanziamento per i fondi dell'Unione europea pesa per 24 miliardi di euro, da spalmare nei prossimi sette anni. A questa cifra – a cui aggiungere un contributo da parte delle regioni – si accompagnano i circa 41 miliardi di euro di fondi nuovi stanziati dall'Unione europea per il settennato 2014-2020. Il totale tra fondi provenienti dall'Unione europea e cofinanziamento italiano-statale e regionale dovrebbe aggirarsi attorno agli 80 miliardi di euro, distribuito più o meno equamente tra quota di provenienza comunitaria e cofinanziamento italiano;
   il Governo, grazie all'azione del Sottosegretario Graziano Delrio, sta studiando delle soluzioni per alleggerire la quota italiana. Sfruttando una deroga prevista all'interno dei regolamenti dell'Unione europea che permetterebbe la riduzione del contributo nazionale dal 50 per cento sino al 25 per cento, dimezzando, quindi, il cofinanziamento italiano. La soluzione potrebbe portare quindi sino ad un risparmio di 10-12 miliardi di euro, importante per alleviare la tensione sul deficit, sempre attentamente monitorato in sede comunitaria;
   i fondi europei sono uno strumento indispensabile per operare e porre in essere misure volte a ridurre il gap sociale, nonché essere uno strumento anticiclico economico notevole se ben utilizzati. Per poterli attivare è necessario che siano accompagnati dal cofinanziamento nazionale in primis e da quello regionale;
   ciò configurerebbe un'ulteriore riduzione della spesa in conto capitale delle pubbliche amministrazioni;
   recentemente la Corte dei conti nei suoi rilievi relativi al rendiconto 2013 ha osservato che continua, ed anzi si accentua rispetto a quanto avvenuto nel biennio precedente, la contrazione della spesa in conto capitale, diminuita rispetto al 2012 di oltre 6 miliardi di euro (-12,8 per cento). Come sul punto osserva la Corte dei conti, «si tratta dell'aspetto più critico della politica di bilancio di questi anni (...) che attenua oltre misura la valutazione positiva che deve essere espressa per la ripresa del controllo sulla dinamica dei conti pubblici», rilevando, altresì, come tale componente di spesa venga utilizzata «a fini di mera quadratura dei conti pubblici», con conseguenze negative sulla dotazione del capitale infrastrutturale del Paese;
   permane la preoccupazione sull'evidente utilizzazione della componente in conto capitale quasi solo ai fini della quadratura dei conti pubblici, nel rispetto degli obiettivi di saldo, il che pregiudica il mantenimento e il rinnovamento del capitale infrastrutturale del Paese;
   pertanto, tale decisione, qualora assunta, non farebbe che peggiorare la situazione degli investimenti pubblici necessari, oltre che per garantire l'indispensabile infrastrutturazione del Paese, anche al fine di rilanciare l'economia e l'occupazione. Cioè, esattamente il contrario di ciò che un Governo avveduto dovrebbe fare –:
   se il Governo intenda, con la riduzione del cofinanziamento nazionale, attuare gli impegni della così detta spending review, deprimendo ulteriormente l'occupazione, oppure intenda rilanciare, e in quale maniera, gli investimenti pubblici.
(3-01041)


Iniziative concernenti gli effetti sulla cooperazione intercomunale della fase di riallocazione delle funzioni provinciali – 3-01042

   BALDUZZI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'ordinamento italiano percorre ormai da quasi venticinque anni la via della cooperazione intercomunale quale principale soluzione ai problemi di adeguatezza nell'esercizio delle funzioni amministrative comunali generati dall'elevato numero di comuni di piccole e piccolissime dimensioni presenti nel nostro Paese;
   dopo un tentativo vano di finalizzare la creazione di forme di esercizio associato delle funzioni alla riduzione del numero di comuni mediante fusione, la legislazione statale ha imboccato la via dell'associazionismo volontario, la quale non ha, tuttavia, prodotto tutti i risultati auspicati, talora concorrendo alla complicazione del sistema. Allo scopo di razionalizzare le forme di aggregazione, evitare duplicazioni e sovrapposizioni e ricercare assetti territoriali efficaci rispetto all'obiettivo di superare la frammentazione del tessuto comunale, nelle ultime tre legislature, il Parlamento e il Governo hanno introdotto gradualmente maggiori vincoli al libero associazionismo, operando contestualmente su tre fronti: la riduzione e razionalizzazione delle figure giuridiche strumentali alla cooperazione, con un favor crescente verso l'unione di comuni; l'individuazione di soglie demografiche al di sotto delle quali determinate funzioni (crescenti nel tempo) devono essere obbligatoriamente esercitate in forma associata; l'introduzione di incentivi finanziari e normativi positivi e negativi a sostegno di queste politiche intercomunali;
   si sa che si tratta di un cammino, avanzato, ma incompiuto; fortemente differenziato da regione a regione almeno nella misura in cui sono fortemente differenziate le caratteristiche dei sistemi regionali delle autonomie locali (per conformazione territoriale, per consistenze demografiche, per struttura insediativa e distribuzione della popolazione tra centri rurali e urbani ed altro). Non andando oltre: è il nostro Paese, lo conosciamo; nei difetti e nelle virtù dei suoi ottomila campanili;
   tra le difficoltà ad attuare efficacemente le politiche intercomunali ve n’è una, sistemica, che ancora non è superata: l'individuazione di un ruolo chiaro e definito della regione e della sua potestà legislativa in ordine a tali politiche, che costituiscono il principale strumento a sua disposizione per dare realmente vita al proprio sistema regionale delle autonomie locali;
   tra i ritardi di molte regioni ordinarie e speciali (anche di queste che pure hanno potestà piena in materia), tra la refrattarietà dei comuni a cooperare e ad accettare un maggiore ruolo regionale, tra l'inerzia di enti provinciali, che pure potevano promuovere sinergie territoriali (e ritrovare magari un proprio ruolo guida), lo Stato ha spesso preferito dettare regole uniformi, insufficientemente attente – se non per i territori montani – alle differenze di cui si diceva prima; e sul piano normativo, pur essendo possibile fare meglio, oltre un certo grado di attenzione non è possibile andare perché è quello regionale il livello legislativo e amministrativo certamente più adeguato a governare quelle differenze;
   il risultato è che, a fronte di maggiori obblighi e vincoli, l'effettività di queste norme è globalmente insoddisfacente;
   diverso sarebbe stato e sarebbe se lo Stato ricercasse un maggior ruolo di coordinamento, anziché di pervasiva regolazione;
   anche la legge n. 56 del 2014 non è esente dai difetti degli altri interventi statali. Certamente positivi sono gli sforzi di incentivare le fusioni; certamente positivi i chiarimenti normativi sull'assetto istituzionale delle unioni; positive, ma tradizionalmente insufficienti o inadeguate, le aperture alla legislazione regionale in materia di soglie demografiche. Quel che manca è una regia complessiva e condivisa delle trasformazioni, che anche questa legge intende operare. Ma non manca qualche «appiglio», nella legge, per provare a farlo. Ad esempio, in ordine alla delicata e importantissima fase transitoria della riallocazione delle funzioni provinciali, la legge prevede il ricorso ad un accordo in conferenza unificata (articolo 1, comma 91), il quale è stato recentemente approvato (l'11 settembre 2014) con la finalità attribuitagli di individuare le funzioni da redistribuire e i criteri per la relativa assegnazione. Questa fase transitoria inciderà molto anche sulla cooperazione intercomunale, poiché l'assegnazione di alcune funzioni provinciali ai comuni significherà una nuova valorizzazione delle loro forme associative. L'accordo prevede che l'operazione sia assistita da un osservatorio nazionale e da una rete di osservatori regionali, allo scopo di monitorare l'attuazione delle norme, aggiornare i dati disponibili e raccordare i vari livelli. Si tratta di un'occasione che non dovrebbe subire i confini un po’ riduttivi che le sono assegnati dalla lettera dell'accordo medesimo, poiché le lacune informative sull'effettività dell'intera normativa sulla cooperazione intercomunale sono ampie (e il sistema informativo del Ministero dell'interno, pur migliorato negli anni, non è riuscito a colmarle). La conoscenza di ciò che realmente accade è essenziale per fare di questa operazione anche un'occasione per un reale coordinamento degli interventi statali e regionali sull'intercomunalità. Un coordinamento che dovrebbe attentamente valutare anche l'implementazione dei tradizionali strumenti incentivanti che a livello regionale interessa le nuove regole di accesso ai fondi strutturali europei, le quali tendono sempre più a favorire le aree territoriali «adempienti» rispetto agli obblighi di esercizio associato delle funzioni, in tal modo cogliendo l'opportunità di saldare il processo di riordino dei sistemi territoriali con quello che ambisce a sostenerne lo sviluppo –:
   quali iniziative siano previste perché la fase di riallocazione delle funzioni provinciali abbia positivi effetti sulla cooperazione intercomunale (ad esempio, mediante un'opera di «mappatura» delle unioni e delle altre forme associative esistenti sui territori ad opera della rete regionale degli osservatori e mediante una valorizzazione della funzione provinciale di assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali), anche attraverso l'integrazione del quadro normativo statale allo scopo di potenziare gli spazi di intervento regionale in materia, secondo quanto emerge dalla stessa revisione costituzionale in itinere, il cui testo approvato in prima deliberazione al Senato della repubblica riconosce alla potestà regionale quest'ambito materiale, per quanto non ricompreso nella potestà statale a dettarne i principi fondamentali.
(3-01042)


Iniziative in merito alla durata del procedimento per l'acquisto della cittadinanza italiana – 3-01043

   SANTERINI, MARAZZITI, SBERNA e GIGLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a causa del lungo iter si registra un'eccessiva dilatazione dei tempi necessari all'ottenimento della cittadinanza italiana: secondo il procedimento previsto dalla normativa vigente, infatti, la richiesta della cittadinanza è soggetta ad una serie di controlli da parte della prefettura del luogo di residenza dove la stessa viene depositata, dalla questura competente, dal Ministero dell'interno di Roma, dal Consiglio di Stato, per ritornare, infine, alla prefettura che notificherà il decreto di concessione di cittadinanza, il tutto nell'arco di due anni, più precisamente di 730 giorni;
   tuttavia, la definizione del procedimento incontra spesso impedimenti che ne ampliano i tempi e le pratiche si arenano in attesa di pareri o di integrazioni richieste dagli uffici che portano ad una attesa di quattro o addirittura sei anni;
   questa che appare agli interroganti una forzata e sistematica violazione dei termini di legge per la concessione della cittadinanza comporta, ad esempio, che i figli dei richiedenti che potrebbero acquisirla come figli minori di un cittadino italiano, a causa del ritardo diventano in molti casi maggiorenni e non possono più ottenerla;
   il tema è peraltro oggetto di un'iniziativa parlamentare giunta ad una fase avanzata presso la Camera dei deputati –:
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda porre in essere al fine di velocizzare un iter che necessita di un'evidente semplificazione amministrativa, fermi restando i requisiti necessari ad ottenere la cittadinanza previsti dalla normativa vigente. (3-01043)


Iniziative in merito all'attribuzione dello status di agente di polizia giudiziaria alle guardie venatorie volontarie e alle guardie zoofile – 3-01044

   LACQUANITI, DI SALVO e ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 157 del 1992 in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio prevede, tra l'altro, che l'attività di controllo e di vigilanza sul territorio relativamente all'applicazione della medesima legge n. 157 del 1992 possa essere affidata anche alle guardie volontarie delle associazioni di protezione dell'ambiente presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale e a quelle riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata, ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto n. 773 del 1931;
   con la sentenza n. 6454 della Corte di cassazione penale, sezione III, 21 febbraio 2006, la medesima Corte ha confermato che le guardie volontarie delle associazioni di protezione dell'ambiente riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno la qualifica di agenti di polizia giudiziaria in quanto: a) la legge n. 157 del 1992 attribuisce espressamente (articolo 27) ad esse un compito di vigilanza venatoria sull'applicazione della legge, compreso l'articolo 30 relativo alle sanzioni penali; b) l'articolo 28 della suddetta legge, nel definire poteri e compiti degli addetti alla vigilanza venatoria, ricomprende sia il potere ispettivo, sia il potere di controllo della fauna abbattuta o catturata (articolo 28, comma 1) e il potere di accertamento (redazione del verbale) (articolo 28, comma 5); c) nel contenuto degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale «il prendere notizia dei reati» è collegato logicamente in via funzionale al dovere di «impedire che vengano portati a ulteriori conseguenze», e ciò sembra valere anche per le guardie venatorie, naturalmente solo nei limiti del servizio cui sono destinate;
   la sentenza n. 28727 del 2011 della Corte di cassazione, che riguardo al sequestro di animali esotici operato dalla polizia zoofila della Lidia (Lega italiana diritti degli animali), ha sottolineato che la Lidia è associazione di volontariato riconosciuta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, «dalla qualità di guardia giurata, discende la legittimazione ad esercitare attività di polizia giudiziaria, così come affermato anche dalla 4a sezione del Consiglio di Stato, con decisione del 24 ottobre 1997, n. 1233»;
   detta sentenza n. 28727 conferma che – al pari delle guardie volontarie venatorie – anche le guardie zoofile sono legittimate a esercitare attività di polizia giudiziaria. Si ricorda in proposito che l'articolo 6, comma 2, della legge 21 luglio 2004, n. 189, recita che: «la vigilanza nel rispetto della predetta legge delle altre norme relative alla protezione degli animali (e, dunque, in ipotesi degli animali oggetto di attività venatoria, come la fauna selvatica) è affidata “anche” con riferimento agli animali da affezioni, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina ai sensi degli articoli 55-57 codice di procedura penale, alle guardia particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute»;
   in contrasto con le suddette sentenze, il 25 settembre 2013 il Ministero dell'interno, dipartimento della pubblica sicurezza, ufficio per gli affari della polizia amministrativa e sociale, ha inviato un parere alla prefettura di Brescia, con la quale si esprime un parere circa «l'esclusione del riconoscimento delle qualifiche pubblicistiche di agente e di ufficiale di polizia giudiziaria nei confronti delle guardie venatorie volontarie»;
   detto orientamento del Ministero dell'interno comporta inevitabilmente un forte indebolimento dell'importante attività che la legge n. 157 del 1992 assegna alle guardie volontarie delle associazioni di protezione ambientale e alle guardie zoofile volontarie, togliendo loro, di fatto, lo status di agenti di polizia giudiziaria –:
   se, anche sulla base di quanto esposto in premessa, non si intenda rivedere l'orientamento indicato in premessa al fine di garantire lo status di agenti di polizia giudiziaria alle guardie venatorie volontarie e alle guardie zoofile, anche al fine di rafforzare l'importante e spesso decisivo ruolo che le suddette guardie volontarie svolgono sul territorio nel contrasto all'illegalità in ambito venatorio e per garantire loro una maggiore tutela. (3-01044)


Iniziative per la costituzione di un database ufficiale in relazione alle tragedie verificatesi nel Mediterraneo nell'ambito dell’«emergenza sbarchi» – 3-01045

   QUARTAPELLE PROCOPIO, FIANO, ROBERTA AGOSTINI, CUPERLO, D'ATTORRE, MARCO DI MAIO, FABBRI, FAMIGLIETTI, FERRARI, GASPARINI, GIORGIS, GULLO, LATTUCA, LAURICELLA, MARCO MELONI, NACCARATO, PICCIONE, POLLASTRINI, RICHETTI, ROSATO, FRANCESCO SANNA, BENI, MARTELLA e DE MARIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i consistenti flussi migratori di questi ultimi mesi, in parte non irrilevante quali conseguenza della sempre più accentuata disgregazione della Libia e della perdurante guerra in Siria, hanno aperto un acceso dibattito relativo alla necessità di una gestione più marcatamente europea della frontiera a sud dell'Europa, e più in generale del tema dei flussi migratori, anche alla luce delle innumerevoli vite salvate nel Mediterraneo a partire dall'avvio dell'operazione Mare nostrum;
   tuttavia, accanto ad un dibattito più generale sul come gestire i flussi migratori, in generale e nel Mediterraneo, e su quali siano i nodi principali che l'Europa dovrà sciogliere al fine di provare almeno a contenere una parte delle stragi silenziose che ogni anno avvengono sulle coste italiane, si sta ponendo con sempre maggior urgenza il problema di ottenere un quadro il più possibile aggiornato delle persone che risultano morte o disperse in mare, o delle quali semplicemente non si hanno più notizie;
   secondo i dati pubblicati dal Ministero dell'interno il 15 agosto 2014, dal 1o agosto 2013 al 31 luglio 2014 sono sbarcati 116.944 migranti, dei quali ben l'83 per cento sulla costa della sola Sicilia. Con l'operazione Mare nostrum sarebbero, poi, stati tratti in salvo nello stesso periodo di tempo 62.982 migranti;
   tali numeri diventano, però, inevitabilmente assai più oscuri o incerti, laddove si tenti di calcolare il numero dei dispersi o dei morti accertati in mare; ai dati ufficiali in possesso del Ministero dell'interno vanno allora aggiunti i dati non ufficiali raccolti da alcune organizzazioni non governative, che hanno tentato di colmare le lacune delle statistiche ufficiali e dei rapporti governativi, basandosi, ad esempio, su fonti giornalistiche internazionali, nazionali e locali, e talvolta sulle dichiarazioni rese dalle persone soccorse e sopravvissute;
   dai dati non ufficiali raccolti da alcune organizzazioni non governative, usati anche incrociando diverse metodologie di indagine, risulterebbe che in 14 anni sarebbero morte più di 23.000 persone tra uomini, donne e bambini nel tentativo di raggiungere il Vecchio Continente, per una media di circa 1.600 persone l'anno;
   accanto, dunque, al dramma quotidiano delle numerose vite perse in mare, si aggiunge quello dei familiari e dei parenti che spesso cercano per mesi di avere notizie sui propri congiunti dei quali non hanno più notizie, che talvolta risultano dispersi, o altre volte morti e seppelliti, ma in un comune diverso da quello dello sbarco, senza che esista un'autorità o almeno un database al quale i congiunti possano avere accesso per avere informazioni o almeno denunciare la scomparsa di un proprio congiunto che a loro risultava imbarcato;
   la possibile costituzione di un database ufficiale, anche in collaborazione con le organizzazioni non governative già da tempo impegnate nella raccolta di questi dati, in grado di raccogliere i nominativi, l'età, la provenienza e l'eventuale luogo di sepoltura delle persone che risultano morte o disperse sembra essere, dunque, un doveroso atto di civiltà nei confronti di quanti sono morti nel tentativo di fuggire ad una guerra o semplicemente per avere una speranza di vita migliore –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuna la costituzione in tempi brevi di un database ufficiale, gestito dal Governo, anche avvalendosi della collaborazione delle organizzazioni non governative da tempo impegnate sulla raccolta di questi dati, per avere informazioni il più possibile aggiornate ed esaustive non solo sul numero ma anche sull'identità delle persone morte nel Mediterraneo o che risultino disperse, anche per facilitare la dolorosa ricerca dei propri congiunti. (3-01045)


Dati relativi agli immigrati arrivati sul territorio italiano dall'inizio dell'operazione Mare nostrum – 3-01046

   FEDRIGA, MOLTENI, MATTEO BRAGANTINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Governo italiano ha autorizzato la missione e umanitaria denominata Mare nostrum, che dal 18 ottobre 2013 è tuttora in corso;
   alla presentazione della missione e delle sue finalità, il Ministro interrogato allora spiegò che «la somma del pattugliamento e dell'azione della polizia giudiziaria e della magistratura avrà un effetto deterrente molto significativo per chi pensa impunemente di fare traffico di esseri umani», ma soprattutto, come più volte affermato dallo stesso Ministro, l'obiettivo principale era quello di evitare altri naufragi, dopo quello avvenuto il 3 ottobre 2013 al largo di Lampedusa, e ulteriori vittime;
   dopo quasi un anno è di tutta evidenza che la missione Mare nostrum ha fallito entrambi gli obiettivi, per cui è stata ideata e resa operativa, sia con riguardo all'effetto deterrente sia con riguardo a quello più volte dichiarato di evitare altre stragi in mare;
   in particolare, sono i numeri (circa 125.876 arrivi attraverso il Mediterraneo dall'inizio del 2014) a dimostrare che l'operazione Mare nostrum, anziché avere «un effetto deterrente molto significativo», ha invece incentivato le partenze dalle coste, soprattutto libiche ed egiziane, e ha consentito ai trafficanti di esseri umani di ottenere sempre maggiori introiti;
   è notorio, come riportato in diverse occasioni sui quotidiani, che la consapevolezza e la certezza che le imbarcazioni siano avvistate già in prossimità delle coste di partenza ha indotto i trafficanti di esseri umani ad utilizzare mezzi di trasporto, barconi o gommoni, sempre più fatiscenti, e ciò ha aumentato notevolmente i rischi delle traversate via mare;
   è notorio, altresì, come riportato da diverse agenzie, che i naufragi e le morti in mare non si sono assolutamente arrestate dopo il varo della missione Mare nostrum: solo nel 2014 si stima siano annegate o scomparse nel Mediterraneo 2.600 persone nel tentativo di arrivare in Italia;
   secondo una recente inchiesta pubblicata su L'Espresso, secondo una stima del 50 per cento in più rispetto ai dati ufficiali, dal 2000 al 2013 sono morti circa 23 mila migranti nel tentativo di raggiungere l'Europa via mare o via terra (in media 1.600 l'anno), dal database «Migrants files» emerge chiaramente come una delle tratte più pericolose sia quella che coinvolge le acque del Mediterraneo tra l'Africa e il Sud Italia e che tra il 2000 e il 2013, ossia in 13 anni, sarebbero 6.400 i morti nel tentativo di raggiungere Lampedusa (quasi 8.000 se si allarga lo spettro all'intero Canale di Sicilia);
   anche a voler considerare il dato più alto, ossia 8.000 morti nei 13 anni considerati, risulta una media di 615 decessi all'anno, di gran lunga inferiore alle stime riferite ad oggi e al solo 2014, ossia 2.600 persone annegate o scomparse nel Mediterraneo;
   solo ieri un gommone è naufragato a 30 miglia dalla costa libica orientale e i morti e i dispersi sarebbero 40;
   secondo quanto riportato anche da diversi quotidiani, pare che l'Unione europea da sempre abbia sostenuto che Mare nostrum rappresentava un «fattore di attrazione», con il conseguente rischio «di un maggior numero di incidenti mortali», e che abbia consigliato all'Italia più volte di annunciare l'imminente fine dell'operazione in modo da scoraggiare ulteriori partenze –:
   quanti siano gli immigrati arrivati sul territorio italiano, quante siano state invece le vittime dall'inizio dell'operazione Mare nostrum, quante fossero prima dell'inizio dell'operazione e se il Ministro interrogato consideri ancora l'operazione Mare nostrum un «deterrente molto significativo per chi pensa impunemente di fare traffico di esseri umani», e non invece un incentivo alle partenze, che aumenta i rischi delle traversate e accresce il numero dei naufragi e delle morti in mare, e pertanto debba essere immediatamente fermata. (3-01046)


Iniziative per garantire la sicurezza dell'Italia in considerazione dell'evoluzione della minaccia jihadista e della situazione internazionale – 3-01047

   DORINA BIANCHI, SCOPELLITI, SAMMARCO, PISO e SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel recente videomessaggio diffuso dall'Isis si parla chiaramente di Roma e dell'Italia intera come obiettivi dell'offensiva islamista;
   notizie di stampa riportano di una riunione convocata dal Ministro interrogato nel pomeriggio del 22 settembre 2014 con i vertici degli apparati di sicurezza per verificare ulteriormente il livello della minaccia e della capacità di risposta dei dispositivi di vigilanza;
   l'informativa al Parlamento del 9 settembre 2014 del Ministro interrogato ha già offerto un quadro completo ed esauriente sia sul piano dell'analisi che delle iniziative poste in essere dal Governo con riguardo al terrorismo internazionale di matrice religiosa e, in particolare, alla minaccia jihadista;
   le azioni militari iniziate in Siria contro l'Is costituiscono un passaggio importante dell'impegno internazionale per combattere il terrorismo –:
   quali ulteriori iniziative intenda porre in essere per garantire la sicurezza del nostro Paese, anche in considerazione della costante evoluzione della minaccia jihadista e della situazione internazionale.
(3-01047)


Iniziative per lo svolgimento delle elezioni amministrative per il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale di Reggio Calabria contestualmente alle elezioni per il rinnovo del presidente della giunta e del consiglio regionale della Calabria – 3-01048

   BRUNETTA e GALATI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo la firma apposta sul decreto n. 91 del 15 settembre 2014 di indizione dei comizi elettorali da parte del presidente facente funzioni della regione Calabria, Antonella Stasi, sono state ufficializzate le elezioni per il rinnovo del presidente della giunta e del consiglio regionale della Calabria. La data scelta è quella del 23 novembre 2014, che va ad aggiungersi al turno elettorale straordinario precedentemente fissato per domenica 26 ottobre 2014, con eventuale turno di ballottaggio previsto per domenica 9 novembre 2014, che interessa il rinnovo del sindaco e del consiglio comunale di Reggio Calabria, città metropolitana;
   a tal proposito parrebbe scelta assai decorosa e sensata quella di accorpare in un unico turno elettorale, salvo turno di ballottaggio, le elezioni regionali e quelle amministrative. Tale evenienza andrebbe incontro alla necessità dello Stato di perseguire il controllo e la riduzione della spesa pubblica, soprattutto in un momento come quello attuale in cui il Governo predica il rigore e il risparmio con le conseguenti azioni della spending review che implicano «sacrifici» in molti settori;
   l'istituzione dell’election day permetterebbe un notevole risparmio per le casse dello Stato e favorirebbe anche la partecipazione democratica, evitando, in un momento di disaffezione politica, che si ricorra più volte alle urne nell'arco di un mese;
   accorpare in un'unica data entrambi gli appuntamenti elettorali previsti consentirebbe, inoltre, un'ottimizzazione dell'utilizzo degli edifici scolastici che in molti casi sono adibiti a seggio elettorale, evitando così una sospensione prolungata delle lezioni;
   è essenziale, dunque, per ragioni di risparmio di risorse finanziarie e umane e di chiarezza della vita democratica che si promulghi l’election day, agevolando e facilitando il percorso democratico del ricorso al voto popolare per tutti i cittadini calabresi –:
   se il Governo non ritenga opportuno stabilire che – nell'ottica del necessario contenimento della spesa pubblica e del rispetto del principio dell’election day – le prossime elezioni amministrative per il rinnovo del sindaco e del consiglio del comune di Reggio Calabria si svolgano contestualmente alle elezioni regionali fissate per il giorno 23 novembre 2014, favorendo un principio di sana partecipazione democratica per tutti i cittadini calabresi. (3-01048)


Chiarimenti e iniziative di competenza in relazione alle asserite conseguenze dell'esposizione di uno striscione contenente osservazioni critiche riferite alla vicenda dei marò presso un esercizio commerciale nel comune di Milano – 3-01049

   LA RUSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che la vicepresidente del comitato di zona 8 di Milano, Antonella Loconsolo, ha scritto all'assessore alla sicurezza e coesione sociale, polizia locale, protezione civile, volontariato dello stesso comune, Marco Granelli, esponente del Partito democratico, per denunciare il posizionamento di uno striscione con la scritta «non siete in grado di garantire la sicurezza nel nostro Paese, figuriamoci se riuscirete a riportare i nostri marò a casa»;
   la segnalazione sostiene incredibilmente che il posizionamento dello striscione non è estraneo al gestore di un locale in Via Brusuglio, il bar «Cipe», e che secondo un ovviamente anonimo cittadino il bar sarebbe, guarda un po’, un covo di fascisti e addirittura nazisti;
   a seguito di tale informazione anonima, al proprietario del bar è stata elevata una contravvenzione per l'affissione dello striscione, sulla sola scorta del fatto che una parte di esso – che attraversava la strada – era legato alla parete esteriore della casa ove insiste il locale, che è, peraltro, l'unico locale italiano superstite in una zona occupata da immigrati sia regolari sia clandestini;
   a quanto risulta all'interrogante il locale è stato poi quotidianamente fatto oggetto di viste da parte della polizia annonaria, della digos, dell'azienda sanitaria locale e quant'altro, con il chiaro scopo di indurlo a chiudere per l'evidente colpa di avere manifestato ripetutamente ai verbalizzanti la sua solidarietà ai marò e accordo con il testo dello striscione;
   negli ultimi tempi il proprietario del bar ha ricevuto ripetute minacce alla sua personale incolumità fisica e all'integrità del locale –:
   se non intenda accertare, per quanto di competenza, quali siano i fatti e verificare se e chi abbia dato l'ordine di eseguire assillanti verifiche nei confronti del titolare del bar di cui in premessa, se ciò corrisponda ad un orientamento di carattere generale e come intenda operare affinché sia garantita all'interessato la libertà di esercitare la propria attività.
(3-01049)


Orientamenti del Governo in merito agli strumenti per il superamento dei dubbi di costituzionalità relativi alla riforma elettorale in itinere – 3-01050

   TONINELLI, COZZOLINO, DADONE, DIENI, FRACCARO, LOMBARDI, NUTI e D'AMBROSIO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   la proposta di legge elettorale «Berlusconi-Renzi», assegnato al Senato della Repubblica come «disegno di legge n. 1385», presenta una serie di elementi che ne rendono evidente, ad avviso degli interroganti, l'illegittimità costituzionale;
   anche in presenza di eventuali «significative» modifiche, l'impianto stesso della legge elettorale potrebbe comportare «l'alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica sulla quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento costituzionale vigente», sulla cui base Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della legge n. 270 del 2005;
   il MoVimento Cinque Stelle ha, pertanto, avviato un dialogo con il Governo, proprio per scongiurare l'approvazione di una nuova legge elettorale – che è la legge fondamentale della democrazia – che sia anch'essa costituzionalmente illegittima perché antidemocratica;
   la soluzione di tale esiziale problema, esposta dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, nel corso dell'incontro svoltosi con il MoVimento Cinque Stelle in diretta streaming alla Camera dei deputati il 25 giugno 2014, consisteva, secondo la sua prospettazione, in una modifica alla riforma costituzionale attualmente in discussione alla Camera come atto Camera n. 2613, per cui la legge elettorale dovrebbe essere sottoposta ad un vaglio preventivo di legittimità da parte della Corte costituzionale, prima della sua entrata in vigore. Tale soluzione è stata in effetti recepita nel disegno di legge n. 2613 ed è attualmente prevista dall'articolo 13 dello stesso;
   il Presidente del Consiglio dei ministri invitava il MoVimento Cinque Stelle a rispondere specificamente a dieci domande emerse dall'incontro, ribadendo per iscritto quanto già detto in diretta e confermato attraverso la modifica del disegno di legge costituzionale con la previsione del menzionato articolo 13, in questi termini: «Siete disponibili a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte costituzionale, così da evitare lo stucchevole dibattito “è incostituzionale, è costituzionale”? Noi sì.»;
   il MoVimento Cinque Stelle rispondeva in quella sede, il 7 luglio 2014, positivamente, sollevando tuttavia il problema che è oggetto di questa interrogazione in questi termini: «Sì. Siamo disponibili a far verificare preventivamente la legge elettorale alla Corte costituzionale; quello che tuttavia abbiamo urgenza di capire è in quale modo si dovrebbe introdurre questo controllo e come dovrebbe intervenire sulla legge elettorale in discussione. Il Presidente del Consiglio ha affermato nel corso del nostro ultimo incontro che la legge elettorale sarà approvata e promulgata dopo la prima lettura da parte del Senato della riforma della Costituzione. Il che significa che il controllo non sarà previsto per la legge elettorale in discussione. Come pensate di risolvere questa contraddizione?»;
   la risposta nel merito, inviata dal Presidente del Consiglio dei ministri e dagli altri esponenti della delegazione ai parlamentari del MoVimento Cinque Stelle il 14 luglio 2014, sullo specifico punto, è stata la seguente: «Sul controllo preventivo studieremo il problema da voi sollevato ma non c’è dubbio che la legge elettorale per noi vada approvata il prima possibile. Dunque, ragionevolmente, prima dell'entrata in vigore della riforma costituzionale (...)».
   da tale ultima affermazione, espressa peraltro in un documento scritto non suscettibile di interpretazioni, scaturisce, quindi, il presente atto di sindacato ispettivo;
   è passato molto tempo dal 14 luglio 2014, data in cui il Presidente del Consiglio dei ministri ha affermato che avrebbe studiato il delicato e importantissimo problema, ma nessuna risposta in merito è stata ancora formulata né dal Capo del Governo, che aveva garantito un esame del problema volto alla sua soluzione, né dal Ministro interrogato, competente per materia in quanto titolare della delega alle riforme istituzionali;
   la riforma della legge elettorale sembra essere nuovamente portata all'attenzione del Parlamento per la definitiva approvazione e, per ragioni condivise da tutti gli osservatori, dalle forze politiche di maggioranza e di opposizione, dal Presidente della Repubblica e finanche dello stesso Governo, appare quanto mai probabile che la legge elettorale scaturita dal cosiddetto «patto del Nazareno» sarà incostituzionale come quella che l'ha preceduta;
   per questi motivi si ritiene necessario che il Governo renda conto dello stato dell'arte in relazione allo studio, in corso almeno dal 14 luglio 2014, dell'attuabilità della soluzione del problema che lui stesso ha prospettato, ovvero del controllo preventivo della legge elettorale in discussione come disegno di legge n. 1385 da parte della Corte costituzionale –:
   in quale modo il Governo intenda dare attuazione alla soluzione da esso stesso individuata per scongiurare l'incostituzionalità della legge elettorale in fase di approvazione, attraverso il controllo preventivo della costituzionalità della stessa. (3-01050)


TESTO UNIFICATO DEI PROGETTI DI LEGGE: DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ATTRIBUZIONE DEL COGNOME AI FIGLI (A.C. 360-1943-2044-2123-2407-2517-A)

A.C. 360-A – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 3.

A.C. 360-A – Articolo 4

ARTICOLO 4 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 4.
(Cognome del figlio maggiorenne).

  1. Il figlio maggiorenne, al quale è stato attribuito il solo cognome paterno o il solo cognome materno sulla base della normativa vigente al momento della nascita, può aggiungere al proprio il cognome materno o il cognome paterno con dichiarazione resa, personalmente o con comunicazione scritta recante sottoscrizione autenticata, all'ufficiale dello stato civile, che procede all'annotazione nell'atto di nascita.
  2. Il figlio nato fuori del matrimonio non può aggiungere al proprio il cognome del genitore che non abbia effettuato il riconoscimento ovvero la cui paternità o maternità non sia stata dichiarata giudizialmente.
  3. Nei casi previsti dal comma 1, non si applicano le disposizioni previste dal titolo X del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, e successive modificazioni.

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 4 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 4.
(Cognome del figlio maggiorenne).

  Al comma 1, sostituire le parole da: Il figlio maggiorenne fino a: o il cognome paterno con le seguenti: Al compimento della maggiore età, il figlio può modificare il cognome che gli è stato attribuito inizialmente, sostituendolo con il cognome dell'altro genitore o con i cognomi affiancati di entrambi, nell'ordine che ritenga.
4. 1. Nicchi, Daniele Farina, Sannicandro, Scotto.

A.C. 360-A – Articolo 5

ARTICOLO 5 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 5.
(Modifiche alle norme regolamentari in materia di stato civile).

  1. Con regolamento emanato, su proposta del Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono apportate alla disciplina dettata in materia di ordinamento dello stato civile dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, le modificazioni necessarie per adeguarla alle disposizioni della presente legge.

A.C. 360-A – Articolo 6

ARTICOLO 6 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 6.
(Clausola di invarianza finanziaria).

  1. Dall'attuazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le pubbliche amministrazioni interessate provvedono ai compiti previsti dalla presente legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

A.C. 360-A – Articolo 7

ARTICOLO 7 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Art. 7.
(Disposizione finale).

  1. Le disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 3 si applicano alle dichiarazioni di nascita rese dopo l'entrata in vigore del regolamento emanato ai sensi dell'articolo 5 e alle adozioni pronunciate con decreto emesso successivamente all'entrata in vigore del regolamento medesimo.
  2. Le disposizioni dell'articolo 4 si applicano alle dichiarazioni rese all'ufficiale dello stato civile dopo l'entrata in vigore del regolamento emanato ai sensi dell'articolo 5.

PROPOSTA EMENDATIVA RIFERITA ALL'ARTICOLO 7 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 7.
(Disposizione finale).

  Dopo il comma 2, aggiungere il seguente:
  3. Il genitore del figlio minorenne nato o adottato prima dell'entrata in vigore del regolamento previsto dall'articolo 5, può domandare all'ufficiale dello stato civile che al cognome del figlio sia aggiunto il cognome materno, secondo la procedura stabilita dal regolamento medesimo. Sono necessari il consenso di entrambi i genitori, salvo che uno di essi non sia più vivente, e del figlio minorenne qualora abbia compiuto il quattordicesimo anno di età.
7. 100. La Commissione.
(Approvato)

A.C. 360-A – Ordine del giorno

ORDINE DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    la Corte costituzionale ha affermato che «l'attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i prìncipi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna»;
    la sentenza si rifà alle raccomandazioni del Consiglio d'Europa relative alla piena realizzazione della uguaglianza tra madre e padre nell'attribuzione del cognome dei figli, nonché ad una serie di pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo, che vanno nella direzione della eliminazione di ogni discriminazione basata sul sesso nella scelta del cognome;
    l'uso distorto e strumentale della filosofia del mainstreaming di genere promossa dall'Unione europea può avere significativi impatti;
    ad esempio, lo psicoterapeuta Claudio Risè, ricordando il significato simbolico e dunque profondo del cognome, ha ribadito che «lo sbiadimento della figura paterna sta generando enormi problemi nelle società occidentali. La principale è la maggiore fragilità dei figli nell'affrontare le sconfitte e dolori della vita, a cui la crescente «maternalizzazione» dell'educazione non prepara in modo adeguato»,

impegna il Governo

   a) a intraprendere azioni tese ad evitare il mainstreaming del genere colpevole, sull'onda delle impressioni, volto alla svalorizzazione dell'universo maschile;
   b) a promuovere programmi e azioni volti a sostenere la cultura del riconoscimento, dell'accoglimento e della valorizzazione della differenza e che eviti la negazione dell'autentica natura e il disconoscimento della storia evolutiva umana.
9/360-A/1Ciprini.