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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Lunedì 14 luglio 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 14 luglio 2014.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Baldelli, Balduzzi, Basilio, Bellanova, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bressa, Brunetta, Camani, Carinelli, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Di Salvo, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Merlo, Mogherini, Orlando, Petrenga, Salvatore Piccolo, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scopelliti, Scotto, Sisto, Speranza, Tabacci, Taglialatela, Velo, Vignali, Vito, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 11 luglio 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   MOLTENI: «Modifiche al codice penale, alla legge 13 dicembre 1989, n. 401, e al decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza durante lo svolgimento di manifestazioni pubbliche o aperte al pubblico nonché in materia di uso legittimo di mezzi di coazione fisica da parte del pubblico ufficiale, e altre disposizioni riguardanti l'assegnazione di videocamere alle Forze di polizia» (2536);
   FUCCI: «Modifiche agli articoli 3-quinquies e 3-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e altre disposizioni concernenti l'istituzione e le competenze dell'infermiere di famiglia» (2537).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

  La proposta di legge ARGENTIN ed altri: «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone affette da disabilità grave prive del sostegno familiare» (1352) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Fabbri.

Modifica del titolo di una proposta di legge.

  La proposta di legge n. 2298, d'iniziativa del deputato VIGNALI, ha assunto il seguente titolo: «Modifiche al decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, e al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, in materia di esenzione dall'imposta sul reddito degli utili delle banche di credito cooperativo destinati a riserve indivisibili, nonché disposizioni concernenti l'emissione di strumenti finanziari per il rafforzamento patrimoniale delle medesime banche in situazioni di crisi».

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE RUOCCO ed altri: «Modifiche agli articoli 23, 53 e 97 della Costituzione in materia di principi generali della legislazione tributaria per la garanzia dei diritti del contribuente» (2368) Parere delle Commissioni II e VI;
  MELILLA: «Modifica all'articolo 81 della legge 1o aprile 1981, n. 121, in materia di aspettativa degli appartenenti alle Forze di polizia candidati a elezioni politiche o amministrative» (2404) Parere delle Commissioni IV, V e XI.

   II Commissione (Giustizia):
  BRAMBILLA: «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di semplificazione delle procedure per l'adozione internazionale» (2434) Parere delle Commissioni I, III, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria) e XII;
  BRAMBILLA: «Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del bullismo, anche informatico» (2435) Parere delle Commissioni I, V, VII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), IX, XI, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  MARZANO ed altri: «Introduzione dell'articolo 580-bis del codice penale, concernente il reato di istigazione a pratiche alimentari idonee a provocare l'anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare» (2472) Parere delle Commissioni I e XII.

   VI Commissione (Finanze):
  CAON ed altri: «Agevolazioni tributarie per i lavori e gli investimenti volti al miglioramento o al recupero delle strutture ricettive turistiche» (2185) Parere delle Commissioni I, V, VIII, X e XIV;
  VIGNALI: «Modifiche al decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, e al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, in materia di esenzione dall'imposta sul reddito degli utili delle banche di credito cooperativo destinati a riserve indivisibili, nonché disposizioni concernenti l'emissione di strumenti finanziari per il rafforzamento patrimoniale delle medesime banche in situazioni di crisi» (2298) Parere delle Commissioni I, II, V e XIV;
  LUIGI GALLO ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fallimento della società Deiulemar compagnia di navigazione Spa» (2333) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V e IX.

   VII Commissione (Cultura):
  CASTIELLO ed altri: «Norme per la tutela dei beni culturali esistenti nei comuni capoluoghi di provincia, già capitali di Stato, e dei centri d'arte nel Mezzogiorno d'Italia» (2427) Parere delle Commissioni I, V, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  GALATI: «Istituzione di borse di studio in favore di giovani in possesso di laurea specialistica o magistrale in progettazione e gestione di sistemi turistici» (2463) Parere delle Commissioni I, V, X e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   XII Commissione (Affari sociali):
  CAUSI ed altri: «Modifica all'articolo 11 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di scaglioni per la determinazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, e destinazione delle maggiori entrate all'attuazione del reddito minimo di inserimento» (2395) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria) e XI.

Trasmissione dal Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 4 luglio 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 7 febbraio 2011, n. 26, la relazione sullo stato di avanzamento degli interventi per alloggi e residenze per studenti universitari oggetto di cofinanziamento, riferita all'anno 2013.

  Questa relazione è trasmessa alla VII Commissione (Cultura).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, con comunicazione in data 10 luglio 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Con la medesima comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati alle competenti Commissioni, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento:
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 184/2005 relativo alle statistiche comunitarie inerenti alla bilancia dei pagamenti, agli scambi internazionali di servizi e agli investimenti diretti all'estero per quanto riguarda il conferimento alla Commissione dei poteri delegati e di esecuzione al fine dell'attuazione di alcuni provvedimenti (COM(2014) 379 final);
   Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2008/98/CE relativa ai rifiuti, 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti, 200/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (COM(2014) 397 final);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo – Commercio, crescita e proprietà intellettuale – Strategia per la tutela e il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale nei Paesi terzi (COM(2014)389 final);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Verso un'economia circolare: programma per un'Europa a zero rifiuti (COM(2014)398 final);
   Proposta di direttiva del Consiglio che attua l'accordo europeo concluso tra la European Barge Union (EBU), l'Organizzazione europea dei capitani (ESO) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro nel trasporto per vie navigabili interne (COM(2014)452 final).

  La Commissione europea, in data 11 luglio 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Dieci anni di applicazione delle norme antitrust ai sensi del regolamento (CE) n. 1/2003: risultati e prospettive future (COM(2014)453 final), che è assegnata in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive);
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1343/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativo a talune disposizioni per la pesca nella zona di applicazione dall'accordo CGPM (Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo) (COM(2014)457 final), che è assegnata in sede primaria alla XIII Commissione (Agricoltura).

Trasmissione dall'Ente parco nazionale Appennino Lucano – Val d'Agri – Lagonegrese.

  L'Ente parco nazionale dell'Appennino Lucano – Val D'Agri – Lagonegrese, con lettera in data 1o luglio 2014, ha trasmesso copia del verbale n. 3/2014 del collegio dei revisori dei conti dell'Ente, al fine di fornire elementi di valutazione con riferimento alla determinazione e alla relazione della Corte dei conti – Sezione di controllo sugli enti riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria del predetto Ente, per gli esercizi 2011 e 2012 (Doc. XV, n. 151), di cui è stato dato annuncio nell’Allegato A al resoconto della seduta del 4 giugno 2014.

  Questo documento è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).

Richiesta di parere parlamentare su atti del Governo.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 11 luglio 2014, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 1 e 2, comma 3, lettera a), della legge 11 marzo 2014, n. 23, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo concernente composizione, attribuzioni e funzionamento delle commissioni censuarie (100).

  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla VI Commissione (Finanze) nonché, per le conseguenze di carattere finanziario, alla V Commissione (Bilancio), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 13 agosto 2014.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI BINETTI ED ALTRI N. 1-00309, SANTERINI ED ALTRI N. 1-00512, QUARTAPELLE PROCOPIO ED ALTRI N. 1-00326, PALMIERI ED ALTRI N. 1-00542, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-00543 E DORINA BIANCHI ED ALTRI N. 1-00544 IN MATERIA DI ADOZIONI INTERNAZIONALI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    l'infanzia oggi è considerata portatrice di diritti. Si tratta di una conquista maturata lentamente nella storia. Ma storicamente si sa che a molti bambini questo diritto non è stato, né è oggi, assicurato, per varie ragioni, individuali, economiche, politiche e sociali. Si tratta di una grande questione che coinvolge tutti gli aspetti della vita di una società, nel passato come nel presente. Una società internazionale e globalizzata, soprattutto quando si parla di adozione internazionale;
    l'adozione internazionale è l'adozione di un minore di cittadinanza non italiana, dichiarato adottabile dalle autorità del suo Paese. L'adozione viene perciò fatta in quel Paese, davanti alle autorità e secondo le leggi nazionali ed internazionali ivi vigenti. In Italia il tribunale per i minorenni rilascia un decreto specifico di idoneità a questo tipo di adozione. Perché questa adozione sia efficace in Italia è necessario seguire procedure particolari, stabilite dalle leggi italiane ed internazionali. Altrimenti l'adozione straniera non è valida e il minore non può entrare nel nostro Paese. Per di più, in certi casi, l'inosservanza delle leggi sull'adozione costituisce reato;
    lo strumento principale su cui si basano le procedure per l'adozione internazionale è rappresentato dalla Convenzione dell'Aja per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale del 29 maggio 1993, che prende in esame la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. L'Italia ha aderito a questa convenzione ratificandola con la legge n. 476 del 1998, che modifica la legge n. 184 del 1983. Rappresenta una garanzia sia per tutelare i diritti dei bambini e di chi desidera adottarli, sia per sconfiggere qualsiasi traffico di minori che possa instaurarsi surrettiziamente attraverso il meccanismo delle adozioni. In Italia la Commissione per le adozioni internazionali (Cai) è l'autorità da cui dipende l'applicazione della Convenzione dell'Aja;
    a titolo di esempio, sono oltre 5000 i minori abbandonati ogni anno nei Paesi dell'Europa dell'est, dove, nonostante i notevoli cambiamenti sociali ed economici e le riforme che stanno attraversando la regione del CEE/CIS (Central, Eastern Europe/Commonwealth of Independent States), la maggior parte dei Paesi fa ancora affidamento sull'istituzionalizzazione, ignorando l'evidenza che gli orfanotrofi sono esattamente il contrario di ciò che è nell'interesse dei minori, lasciando loro, per tutta la vita, profonde cicatrici fisiche e cognitive;
    l’iter da seguire per un'adozione internazionale è strutturato in modo molto chiaro e le sue norme non possono essere in alcun modo eluse; la procedura è complessa, in alcuni casi appare perfino inutilmente complicata, ma lo è ad esclusiva garanzia dei minori da adottare. Le coppie che desiderano adottare un bambino, infatti, debbono ottenere previamente un decreto di idoneità e quindi devono conferire l'incarico a curare la procedura di adozione agli enti autorizzati, che svolgono tutte le pratiche necessarie nel Paese di origine del minore. Agli enti sono assegnate le funzioni relative alla procedura di una pratica di adozione internazionale, sia in Italia che all'estero: dalle prime informazioni rivolte alla coppia, agli adempimenti richiesti nel Paese di origine del minore. Solo gli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali sono legittimati ad occuparsi delle pratiche in materia di adozione internazionale, sulla base di precisi requisiti. Una volta ricevuta dall'autorità straniera la proposta di incontro con il minore da adottare, l'ente autorizzato ne informa gli aspiranti genitori adottivi e li assiste per tutte le visite necessarie;
    se gli incontri della coppia con il minore si concludono positivamente, viene emanato da parte della competente autorità giudiziaria straniera il provvedimento di adozione. L'ente autorizzato trasmette successivamente tutti gli atti relativi all'adozione alla Commissione per le adozioni internazionali, che ne verifica la correttezza formale e sostanziale. In caso di esito positivo dei controlli, la Commissione per le adozioni internazionali rilascia la «autorizzazione nominativa all'ingresso e alla permanenza in Italia del minore adottato»;
    in questo contesto il compito della rete diplomatico-consolare italiana è quello di collaborare, per quanto di competenza, con l'ente autorizzato per il buon esito della procedura di adozione (articolo 32, comma 4, della legge n. 184 del 1983 come modificata dalla legge n. 476 del 1998). Tale attività può riguardare la legalizzazione e il controllo della documentazione, nonché l'assistenza, laddove necessario, anche attraverso l'agevolazione dei contatti con le autorità locali, in particolare in quei Paesi che non hanno ratificato la Convenzione dell'Aja. Per potere entrare in Italia, il minore adottato deve essere munito di un visto d'ingresso per adozione che viene apposto sul passaporto estero rilasciato dal Paese d'origine. Ai fini della concessione del visto da parte della rete diplomatico-consolare, è necessario che sia pervenuta l'autorizzazione all'ingresso e alla permanenza in Italia del minore della Commissione per le adozioni internazionali. La pratica di visto viene evasa nel minor tempo possibile, per venire incontro alle esigenze della coppia. L'effettivo rilascio del visto è tuttavia subordinato ai tempi tecnici di trattazione. Ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 476 del 1998, è fatto divieto alle autorità consolari di concedere a minori stranieri il visto d'ingresso nel territorio dello Stato a scopo di adozione al di fuori delle ipotesi previste dalla legge stessa e senza la previa autorizzazione della Commissione per le adozioni internazionali. Una volta che il minore è entrato in Italia, la questura competente rilascia in suo favore un permesso di soggiorno per adozione. La procedura di adozione si conclude con l'ordine da parte del tribunale per i minorenni di trascrizione del provvedimento di adozione nei registri di stato celibe. Con la trascrizione il minore diviene cittadino italiano (articolo 34, comma 3, della legge n. 184 del 1983). L'adozione pronunciata dall'autorità competente di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia dal tribunale per i minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione dell'Aja (articolo 36 della legge n. 184 del 1983). Il tribunale per i minorenni competente è quello del luogo di ultima residenza della coppia o, nel caso in cui non sia possibile stabilire quale sia stata l'ultima residenza, quello di Roma. Queste disposizioni possono sembrare eccessive, ma sono necessarie per garantire ai bambini abbandonati ed ai loro futuri genitori adottivi un'adozione legalmente corretta e rispettosa dei diritti di tutti i protagonisti;
    avere un figlio adottivo è aprire nella propria famiglia uno spazio non solo fisico, ma soprattutto mentale per l'accoglienza di un bambino o di una bambina, generato da altri, con una sua storia, che desidera continuare con i nuovi genitori, con cui formerà una vera famiglia, come una «sua» seconda possibilità di vita. Solo così, partendo dal desiderio di avere un figlio, e costruendovi sopra un percorso personale e di coppia che sia di vera accoglienza, si può iniziare correttamente la strada dell'adozione. Nel caso dell'adozione di un bambino straniero questo percorso è più articolato ma per molti versi anche più ricco. L'adozione internazionale permette di accogliere a far parte integrante della propria famiglia bambini di altri Paesi, con cultura, lingua, tradizioni diverse. Per questo, per tutelarne i diritti, la normativa si fa più complessa, ma offre in cambio la sicurezza sullo stato di abbandono del bambino, una più approfondita preparazione ed un migliore sostegno alle coppie che hanno deciso di intraprendere questo percorso. L'adozione internazionale ha conosciuto in questi anni un fortissimo sviluppo. Nel 1982 le adozioni di bambini stranieri pronunciate dai tribunali per i minorenni italiani erano in tutto meno di trecento. Nello stesso periodo venivano registrate più di mille adozioni nazionali. Nel 1991 sono entrati in Italia a scopo di adozione più di duemila settecento minori stranieri, mentre i bambini italiani dichiarati adottabili erano meno di mille;
    la tendenza all'aumento nelle adozioni internazionali è stata costante e ha visto nel 1999 l'ingresso in Italia di tremila bambini stranieri adottati, mentre le domande di idoneità all'adozione internazionale sono state più di settemila. Uno sviluppo così rapido del fenomeno non è riscontrabile solo nel nostro Paese, ma lo si osserva in tutti i Paesi economicamente sviluppati, in cui il miglioramento delle condizioni socio-economiche ha avuto come conseguenza la riduzione del numero dei bambini abbandonati, mentre il calo delle nascite ha fatto aumentare le richieste di adozione, che si sono indirizzate così verso l'unica strada possibile, quella internazionale;
    le adozioni internazionali sono possibili solo quando un minore sia stato dichiarato in stato di abbandono – e quindi è adottabile – dalle competenti autorità di un Paese estero. La procedura di adozione avviene, come è naturale, almeno in parte davanti alle autorità del Paese stesso ed è regolamentata dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, modificata dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476, con cui si ratifica la Convenzione dell'Aja. Tra le normative di riferimento bisogna considerare sempre anche quelle del Paese di provenienza del bambino e le eventuali convenzioni specifiche in materia tra i due Paesi. La procedura dell'adozione internazionale è complessa. I requisiti per l'adozione internazionale sono gli stessi previsti per l'adozione nazionale, articolo 6 della legge n. 184 del 1983, modificata dalla legge n. 149 del 2001. L'adozione internazionale inizia con un'indagine sulle famiglie che fanno specifica richiesta di adozione internazionale, per valutarne le potenzialità genitoriali, raccogliendo informazioni sulla loro storia personale, familiare e sociale. La coppia in possesso del decreto di idoneità deve rivolgersi ad uno degli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali, che svolge le pratiche necessarie per tutta la complessa procedura. La Commissione per le adozioni internazionali autorizza l'ingresso del bambino adottato in Italia e la sua permanenza, dopo aver certificato che l'adozione sia conforme alle disposizioni della Convenzione dell'Aja;
    in questi ultimi anni si è andato diffondendo sempre più, a livello nazionale e a livello internazionale, la ferma convinzione che i diritti dei minori ad avere una famiglia sia assolutamente prioritaria rispetto a qualsiasi altra logica, e per il minore il diritto a conservare la propria famiglia non può essere messo in discussioni dalle condizioni di povertà e di disagio, su cui invece lo Stato o le regioni sono chiamati ad intervenire concretamente. La legge 28 marzo 2001, n. 149, ha introdotto, infatti, alcune modifiche alla disciplina dell'adozione, tra cui vale la pena ricordare l'articolo che sottolinea il diritto del minore ad avere una famiglia, mentre evidenzia che «Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia». Per questo, continua l'articolo 1, lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia. Un'analoga sensibilità, pur con i naturali distinguo, si sta estendendo anche nel campo delle adozioni internazionali, in cui i rispettivi Stati sono attualmente più prudenti, quando non decisamente ostili a concedere i permessi di adozione. Fondamentale in questi casi è il ruolo svolto dalla Commissione per le adozioni internazionali che collabora con le autorità centrali per le adozioni internazionali degli altri Stati e propone la stipulazione di accordi bilaterali in materia di adozione internazionale; autorizza l'attività degli enti che debbono assistere le famiglie; promuove la cooperazione fra i soggetti che operano nel campo dell'adozione internazionale e della protezione dei minori; promuove iniziative di formazione per quanti operano o intendano operare nel campo dell'adozione; autorizza l'ingresso e il soggiorno permanente del minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione; certifica la conformità dell'adozione alle disposizioni della Convenzione, come previsto dalla Convenzione stessa. A causa del numero esiguo di minori adottabili in Italia rispetto alle domande di adozione, l'adozione internazionale è in costante aumento. Le autorizzazioni concesse all'ingresso di minori stranieri, corrispondente alla fase conclusiva dell'adozione internazionale, sono passate dalle 1.797 del 2001, alle oltre 4000 del 2012;
    i genitori che decidono di adottare un bambino sanno che le spese sostenute, spesso molto elevate, potranno essere «dedotte» per un 50 per cento; sanno anche di poter godere dei necessari congedi nel periodo in cui si svolge la pratica di adozione nei Paesi stranieri e anche questo va certificato dall'ente che li assiste (articolo 31, comma 3 della n. 476 del 1998). Fra le spese certificabili o documentabili sono comprese quelle riferite all'assistenza che i bambini hanno ricevuto, alla legalizzazione dei documenti, alla traduzione degli stessi, alla richiesta di visti, ai trasferimenti, al soggiorno, all'eventuale quota associativa nel caso in cui la procedura sia stata curata da enti, ad altre spese documentate finalizzate all'adozione del minore. Molte spese però possono superare l'effettiva disponibilità dei genitori per cui la normativa prevede che possano chiedere un anticipo sul trattamento di fine rapporto: «questo può essere anticipato per compensare le spese sostenute durante i congedi parentali per astensione facoltativa; il TFR viene considerato, in questo caso, un aiuto economico per gli stipendi non percepiti durante il congedo o per le spese sostenute in quel periodo»;
    la crisi delle adozioni internazionali, testimoniata dai dati statistici disponibili, richiede una revisione della materia, proprio a partire dalla ratifica italiana alla Convenzione dell'Aja, per una maggiore e migliore cooperazione sia in materia di responsabilità genitoriale che di misure di protezione dei minori. Sono le priorità indicate dall'Associazione amici dei bambini per arginare una situazione preoccupante. I numeri parlano di 6.237 decreti di idoneità ottenuti dalle coppie nel 2006, scesi a 4.509 nel 2009 e a 4.000 nel 2012. Le cause di tale calo sono la burocrazia, gli alti costi degli iter, la complessità dell'orientamento all'adozione affidato agli enti. Per uscire dalla crisi l'Associazione amici dei bambini si fa forte non solo delle 14.000 firme a sostegno del manifesto «Oltre la crisi. Più famiglie e più adozioni. Verso una nuova legge delle adozioni internazionali», inviate ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; il 5 giugno 2013 il Ministro della giustizia pro tempore, Annamaria Cancellieri, ha affrontato il tema in Commissione giustizia della Camera dei deputati, proponendo la costituzione di una commissione interministeriale ad hoc, composta dal suo stesso dicastero e da quelli degli affari esteri, dell'integrazione e delle pari opportunità, per dare impulso alla riforma delle adozioni internazionali. La commissione di studio deve elaborare proposte normative per «dare nuovo impulso» alle adozioni e ne fanno parte: Griffini (Associazione amici dei bambini), Caserta (Azione per famiglie nuove) e Tesauro (Save the Children Italia), membri scelti fra le varie associazioni;
    secondo il presidente dell'Associazione amici dei bambini, Marco Griffini, la revisione della norma attuale è indispensabile per dare speranza alle 14 mila famiglie che hanno firmato il manifesto e che costituiscono la punta dell’iceberg di un esercito di famiglie che potrebbe fare dell'adozione la scelta di vita, ma la cui speranza viene distrutta dalla burocrazia. È assurdo e mortificante che per adottare un bambino si debbano aspettare 3 o 4 anni, con spese enormi;
    sono passaggi chiave: il passaggio dalla selezione all'accompagnamento delle coppie prima, durante e dopo l'adozione; lo snellimento dell’iter, l'abbattimento dei costi; la razionalizzazione della spesa pubblica; l'adozione inserita nella politica estera del Paese; una serie di modalità innovative di accoglienza;
    sarebbe opportuna la totale gratuità di queste adozioni (come proposto dall'Associazione amici dei bambini): «È una richiesta di giustizia ed equità: ad oggi, l'adozione internazionale è l'unico diritto del minore per il quale occorre trovare non solo una famiglia disposta all'accoglienza, ma anche una famiglia che paghi», è una possibilità in più per i minori abbandonati in attesa di famiglia;
    un aspetto delicato delle adozioni internazionali è anche quello rappresentato dalla religione del bambino, che investe la kafala, l'istituto di tutela e di protezione del minore islamico, riconosciuto dalla Convenzione Onu del 1989 ma non disciplinato in Italia. Si può far conoscere la possibilità di adozione dei bambini che provengono dal mondo islamico in una chiave diversa, per offrire la possibilità anche alle famiglie di origine straniera arabo-musulmane radicate in Italia di diventare anch'esse protagoniste di questo percorso di adozione attraverso la kafala,

impegna il Governo:

   ad avviare un percorso di snellimento per quanto riguarda la burocrazia, anche attraverso una revisione dell'attuale normativa;
   a valutare in concreto la possibile eliminazione delle idoneità del tribunale per i minori e la semplificazione dell’iter di selezione delle coppie, fino ad oggi ad esclusivo carico dei servizi pubblici, a vantaggio di una procedura più razionale di accompagnamento e formazione pre e post adozione delle coppie stesse, che preveda la collaborazione fra i servizi pubblici e quelli privati degli enti autorizzati;
   ad esercitare un controllo sui costi complessivi sostenuti dalle famiglie che vogliono adottare un bambino con le procedure internazionali, per valutare come venire incontro ad eventuali necessità non previste;
   a valutare la proposta dell'Associazione amici dei bambini di rendere l'adozione internazionale totalmente gratuita;
   a chiedere ed ottenere maggiori garanzie per le adozioni e per i bambini, per non trovarsi davanti a Paesi che possono cambiare le loro decisioni in corso d'opera.
(1-00309)
(Nuova formulazione) «Binetti, Dellai, Cesa, Buttiglione, Cera, Adornato, De Mita».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia ha ratificato la Convenzione dell'Aja del 1993 per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale; con tale provvedimento ha aderito, sulla base della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ai principi di fondo sulla tutela dei bambini privi di famiglia: il diritto del bambino/a ad uno sviluppo armonioso in un contesto di amore familiare, la prevenzione di possibili abusi, la responsabilità della cooperazione tra Stati nel valutare i requisiti di adottabilità, il consenso informato dei genitori o tutori del minore, la considerazione dei suoi desideri compatibilmente con l'età;
    i compiti relativi all'adempimento di questi principi – tra cui stabilire l'idoneità degli aspiranti genitori adottivi e l'accertamento dei requisiti nel rispetto della Convenzione – sono affidati ad una serie di istituzioni, coordinate nel Paese di adozione dalla Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, e svolte dagli enti autorizzati;
    in questi decenni, il delicato e complesso meccanismo dell'adozione ha visto alcune modifiche a seguito delle trasformazioni sociali, come l'innalzamento dell'età degli aspiranti genitori, il requisito di convivenza ed altri. Sono però rimasti immutati e validi i principi fondamentali su cui si poggia: il rispetto dei diritti e il perseguimento del maggior interesse del minore, il concetto di sussidiarietà, il ruolo e la funzione dei diversi enti nel processo di adozione;
    negli ultimi anni sono intervenute alcune criticità come il calo del numero delle adozioni internazionali, nonché varie problematiche nel rapporto con i Paesi di origine. In alcuni di questi Stati lo sviluppo socio-economico ha contribuito a rendere l'adozione internazionale residuale rispetto alle possibilità offerte all'interno del Paese stesso; in altri Paesi i conflitti e l'instabilità hanno ritardato e pregiudicato la regolarità delle adozioni; in altri ancora la cooperazione con l'Italia non è ancora sviluppata in modo adeguato;
    va osservato che alcuni Paesi hanno interrotto o diminuito le adozioni internazionali senza parallelamente attivare una vera protezione del bambino in loco, restando immutate le condizioni degli istituti di accoglienza; l'adozione nazionale, perseguita come prima scelta rispetto a quella internazionale, è ancora lungi dall'essere sicura e garantita in molti Paesi. A fronte di questi problemi, non sempre l'Italia ha saputo operare un'efficace politica all'estero a favore delle adozioni, lasciata in gran parte all'iniziativa degli enti autorizzati;
    non sono rari i casi di famiglie che vedono interrotto l’iter adottivo all'estero e vedono ritardata o annullata la conclusione dell'adozione; attualmente, la trascrizione della pronuncia straniera di adozione nei registri dello stato civile è prevista da parte del tribunale per i minorenni, mentre potrebbe essere attribuita alla Commissione per le adozioni internazionali; tale semplificazione, accompagnata dagli accertamenti di competenza, permetterebbe tra l'altro l'immediato acquisto della cittadinanza da parte del/della minore già prima dell'ingresso in Italia, evitando così possibili contenziosi con i Paesi di origine;
    l'insicurezza dovuta alla crisi economica in Italia, l'innalzamento dell'età media delle coppie, la disponibilità di bambini più grandi e con bisogni speciali, il ricorso a forme di fecondazione assistita si aggiungono ai fattori internazionali che hanno contribuito alla diminuzione del numero degli ingressi in Italia (-7 per cento rispetto al 2102, –23 per cento nel 2012 rispetto al 2011). Anche se nello scenario internazionale il nostro Paese appare complessivamente affidabile e in grado di offrire un'accoglienza adeguata ai bambini senza tutela, occorre garantire maggiormente le facilitazioni economiche atte a rendere meno onerose le per le famiglie i costi delle adozioni all'estero;
    è d'altronde possibile rendere le adozioni più semplici e sostenere maggiormente le coppie che intendono affrontare questa scelta, rendendo il percorso adottivo degli aspiranti genitori il più possibile privo di tempi morti, di allungamenti burocratici e di ripetizioni, senza tuttavia eludere il compito fondamentale di verificare approfonditamente le motivazioni e la preparazione della coppia, che spesso hanno bisognosi di tempi di maturazione. In questo senso appare irrinunciabile il ruolo svolto dai tribunali dei minorenni e dai servizi sociali, nonché degli enti autorizzati; va peraltro valorizzato il ruolo delle associazioni e delle reti di famiglie adottive nel percorso di accertamento di idoneità e nei successivi passaggi;
    si rende, quindi, necessario dotare i servizi sociali territoriali, competenti a svolgere le indagini di valutazione della coppia, di maggiori risorse umane professionalmente preparate e di adeguate risorse economiche in modo che i tempi siano rispettati e le valutazioni siano accurate; le coppie vanno adeguatamente accompagnate nel cammino adottivo soprattutto considerando l'innalzamento dell'età media dei bambini adottabili e le loro condizioni di salute, spesso difficili; per tali famiglie, che hanno adottato bambini più grandi e fragili in salute, la possibilità di usufruire di più ampi periodi di congedo parentale diventa necessario;
    va anche sostenuto il miglioramento della collaborazione tra la Commissione per le adozioni internazionali, gli enti e i servizi territoriali sia nel pre che nel post adozione al fine di valorizzare le rispettive professionalità, nonché la razionalizzazione dell'azione all'estero; è auspicabile dotare la Commissione per le adozioni internazionali di risorse adeguate economicamente e fare in modo che essa mantenga il potere di vigilanza e controllo sull'operatività degli enti,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per semplificare le procedure adottive, prevedendo l'attribuzione alla Commissione per le adozioni internazionali – al momento della richiesta di ingresso in Italia del minore – insieme alla certificazione di conformità alla Convenzione dell'Aja del 1993, anche della trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile, dopo aver effettuato gli accertamenti attualmente di competenza del tribunale, prima dell'ingresso in Italia del minore straniero adottato;
   ad assumere iniziative per prevedere la possibilità di aumentare la percentuale degli oneri deducibili dal reddito relativa alle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento dell'adozione;
   ad assumere iniziative per prevedere agevolazioni relative ai congedi parentali, anche spostando il limite temporale in cui godere dei permessi non retribuiti fino a 8 anni dopo l'ingresso in Italia dei minori adottati;
   a riconsiderare l'obbligatorietà della certificazione delle spese, oggi in capo agli enti autorizzati, permettendo l'autocertificazione in merito da parte delle coppie;
   ad assumere iniziative per garantire l'espletamento in tempi certi, senza proroghe, delle relazioni e della documentazione informativa da parte dei tribunali per i minorenni sui requisiti di idoneità delle coppie all'adozione;
   ad incentivare la formazione e l'accompagnamento dei genitori adottivi anche nella fase post adozione da parte dei servizi socio-assistenziali e degli enti autorizzati;
   a favorire il collegamento e le possibilità di consorzio tra gli enti autorizzati, specie all'estero, dove è necessario evitare sovrapposizioni nelle aree di intervento, senza rinunciare alla valorizzazione della capillarità di presenza sul territorio italiano;
   a sostenere la Commissione per le adozioni internazionali nei negoziati o ri-negoziati con Paesi che non hanno ratificato la Convenzione dell'Aja, nella dotazione di risorse adeguate e nell'investimento per progetti di cooperazione internazionale a favore dei diritti dei minori, atti a realizzare il principio di sussidiarietà nei Paesi dove vengono svolte le adozioni.
(1-00512) «Santerini, Schirò, Fauttilli, Sberna, Marazziti, Caruso, Molea, Vezzali, D'Agostino, Gitti, Piepoli, Antimo Cesaro».


   La Camera,
   premesso che:
    da notizie a mezzo stampa, negli ultimi anni il fenomeno dell'abbandono dei minori nel mondo è in costante crescita, essendo passato dai 145 milioni di bambini dichiarati in stato di abbandono nel 2004 ai 168 milioni del 2009;
    tuttavia, seguendo un trend apparentemente opposto a quello del fenomeno dell'abbandono dei minori, il numero delle idoneità all'adozione internazionale dichiarate dai tribunali per i minorenni italiani sarebbe drasticamente diminuito, passando dalle 6.273 nel 2006 alle 3.106 del 2012;
    tra le principali ragioni della crisi dell'istituto dell'adozione internazionale vanno senz'altro considerati i rilevanti costi che le famiglie devono sopportare quando intraprendono questo percorso e che contribuiscono negativamente, specie in un periodo di grave crisi economica quale quello che si sta vivendo;
    proprio per far fronte agli elevati costi, nel 2005 è stato istituito un «Fondo di sostegno delle adozioni internazionali», finalizzato al rimborso di parte delle spese sostenute per l'adozione di un bambino straniero nel corso dell'anno precedente, le cui funzioni sono state successivamente assorbite dal Fondo per le politiche della famiglia, istituito dall'articolo 19, comma 1, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, destinato a finanziare anche il sostegno delle adozioni internazionali;
    da notizie a mezzo stampa si evincerebbe però che sarebbero stati erogati rimborsi fino alle adozioni concluse nell'anno 2010, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2011, registrato dalla Corte dei conti il 5 gennaio 2012; mentre per quanto concerne le adozioni concluse nel 2011, le cui pratiche sono già state istruite dalla Commissione per le adozioni internazionali in quanto rientranti nello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ad oggi non sarebbe stato erogato alcun rimborso; infine, relativamente alle adozioni concluse nell'anno 2012, ancora non sarebbe stato emesso alcun decreto;
    è evidente che l'interruzione della misura del rimborso a favore delle famiglie adottive costituisca un grave ostacolo per tante coppie italiane altrimenti decise ad adottare, rischiando altresì di configurare una disparità di trattamento tra cittadini, con un'ulteriore ingiusta penalizzazione nei confronti di tante coppie più fragili economicamente ma che credono fermamente nel diritto di ogni bambino ad avere una famiglia;
    tuttavia, tra le ragioni del predetto calo delle adozioni, vanno altresì considerate le procedure amministrative, spesso piuttosto farraginose, e i tempi eccessivi, e dagli esiti incerti, che caratterizzano i procedimenti di adozione;
    lo stesso Ministro della giustizia pro tempore ha ritenuto opportuno procedere allo studio di una possibile riforma della legge 4 maggio 1983 n. 184, al fine di dare nuovo impulso al settore delle adozioni internazionali, nel mese di luglio 2013 ha istituito, presso il Ministero della giustizia, una commissione di studio con il compito, tra gli altri, di approfondire il tema della riforma dell’iter procedurale, della semplificazione delle procedure dell'adozione internazionale, della riduzione dei costi e dell'introduzione di ipotesi di gratuità dell'adozione internazionale;
    peraltro, le recenti vicende della cronaca hanno messo in luce come spesso i tempi incerti nelle procedure di adozione dipendano non solo dalle procedure italiane farraginose, e che necessitano di un aggiornamento, ma anche dalle incerte condizioni politiche dei Paesi di origine dei bambini, dove talvolta si assiste ad improvvise chiusure o limitazioni nelle procedure di adozione in corso,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile volta a reperire tutte le risorse necessarie per erogare i rimborsi relativi alle procedure di adozione concluse nel 2011, nonché a procedere quanto prima all'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri necessario per l'erogazione dei rimborsi relativi all'anno 2012;
   a valutare l'opportunità di istituire un apposito fondo, ai fini del sostegno di quelle coppie che sopportano un aggravamento ulteriore dei costi a causa dell'inatteso allungarsi delle procedure quale conseguenza del blocco o della limitazione da parte del Paese di origine dei bambini delle procedure in corso;
   ad adottare ogni iniziativa utile volta a rafforzare, nelle opportune sedi internazionali, le relazioni bilaterali e gli accordi negoziali in materia di adozioni internazionali, al fine di ridurre il più possibile il verificarsi di eventi di inattesa chiusura delle procedure internazionali di adozione, che provocano costi umani elevatissimi tanto nelle coppie che hanno intrapreso questo percorso, quanto soprattutto nei bambini;
   a presentare entro sei mesi una relazione dettagliata al Parlamento sullo stato dell'arte delle relazioni in corso e degli accordi bilaterali sottoscritti e ratificati in questa materia, al fine di ottenere un quadro chiaro e aggiornato, che riduca il più possibile lo stato di incertezza delle procedure di adozione nei confronti di determinati Paesi e offra utili elementi al Parlamento in vista di una possibile riforma delle procedure in materia.
(1-00326)
(Nuova formulazione) «Quartapelle Procopio, Antezza, Binetti, Sberna, Gigli, Zampa, Del Grosso, Scuvera, Tacconi, Manciulli, Patriarca, Piccoli Nardelli, Chaouki, Manlio Di Stefano, Nicoletti, Monaco, Santerini, Cassano, Lenzi, Bonafè, Sibilia, Spadoni, Mosca, Marazziti, Preziosi, Gentiloni Silveri, Gadda, Alli, Casellato, Scotto, Fregolent, Casati, Marantelli, Sereni, Scagliusi, Ascani, Rotta, Giorgis, Lauricella, Verini, Giuditta Pini, Rocchi, Rostan, Mariani, Manzi, Iori, Beni, Grassi, Lattuca, Marzano, Biondelli, D'Incecco, Morani, Porta, Biffoni, Campana».


   La Camera,
   premesso che:
    da alcuni anni in Italia le adozioni internazionali sono in crisi. Nel 2012 l'Italia ha visto un grossissimo calo delle adozioni internazionali (-22,8 per cento) rispetto al 2011. A questo dato nel 2013 si è aggiunto un ulteriore calo del 9,1 per cento. Pur essendo il nostro Paese ancora oggi uno dei più accoglienti al mondo, anche in Italia si può parlare di crisi delle adozioni internazionali;
    nel corso del 2013 le famiglie italiane hanno realizzato l'adozione internazionale di 2.825 bambini, provenienti da 56 diversi Paesi. Nonostante il continuo cambiamento del contesto internazionale e la crisi economica, il dato conferma come l'Italia rappresenti uno dei Paesi di destinazione più attivi nello scenario internazionale, in grado di offrire un'accoglienza che tenga conto delle sempre diverse e particolari esigenze dei bambini stranieri in stato di adottabilità;
    le madri e i padri adottivi italiani dimostrano una grande sensibilità alle adozioni. Infatti, più che negli altri Paesi di accoglienza sono disponibili ad adottare bambini grandi, che hanno problemi di salute, anche gravi e non reversibili (cioè i cosiddetti «special needs» secondo i criteri della Convenzione de L'Aja), ma, essendo spesso i Paesi di origine Paesi con forti problematiche sociali, economiche e politiche, di volta in volta si possono avere delle «crisi Paese» (si veda quella relativa all'Ucraina), che si riflettono anche sulle adozioni, che pertanto possono subire forti rallentamenti o sospensioni, che incidono, quindi, qualche volta in maniera determinante sul numero complessivo di adozioni portate a termine;
    a ciò si aggiunge il dato che in numerosi Paesi di origine dei bambini adottati l'elevarsi della sensibilità politica ed istituzionale ha portato a sviluppare ed implementare politiche nazionali di maggiore tutela dei diritti dei minori, che hanno determinato modifiche normative, che, da una parte, hanno rallentato le procedure di adozione e dall'altra hanno significato l'elevarsi dello standard qualitativo delle tutele per i minori e, quindi, una maggiore aderenza alle normative internazionali poste a presidio di tali diritti;
    l'adozione internazionale è in funzione dell'interesse del bambino. Il pur apprezzabile desiderio di maternità e di paternità degli adulti e la disponibilità a offrire accoglienza familiare ad un minore possono essere soddisfatti solo se il bambino non può trovare nel suo Paese una dimensione umana, di cui fa parte anche il diritto a vivere nel proprio Paese;
    per questo è importante assicurare la tutela del superiore interesse del minore e garantire ai minori adottati un'accoglienza familiare idonea come la Convenzione de L'Aja, ratificata dall'Italia con la legge 31 dicembre 1998, n. 476, chiede espressamente agli Stati aderenti di fare;
    il sistema di accoglienza adottiva italiano complessivamente – sia con riguardo alla disponibilità e alle capacità delle coppie adottive, sia con riguardo al sistema istituzionale posto a governo dell'intera procedura – risponde nella maniera più idonea a livello mondiale ai reali e più profondi bisogni dell'infanzia abbandonata;
    l'Italia può vantare una preziosa presenza in tutti i continenti per la tutela dei diritti dei minori e costituisce un'esperienza di riferimento anche per gli altri Paesi;
    con l'approvazione e l'entrata in vigore nel 1998 della legge di ratifica della Convenzione de L'Aja, il sistema delle adozioni internazionali in Italia è stato completamente ridefinito, conferendo alla Commissione per le adozioni internazionali (Cai) competenze internazionali che attengono ai rapporti con il Segretariato de L'Aja, alle relazioni con le autorità centrali dei «Paesi Aja» e con le autorità di riferimento dei «Paesi non Aja», allo sviluppo delle relazioni internazionali, alla conclusione di accordi bilaterali, nonché all'attività di cooperazione tesa a realizzare il principio di sussidiarietà e di residualità dell'adozione. L'adozione internazionale, difatti, deve svolgersi nel rispetto dei diritti umani e fondamentali, nella consapevolezza che un minore deve essere aiutato prima di tutto a restare nella propria famiglia e nel proprio Paese;
    la Commissione per le adozioni internazionali ha, inoltre, competenze nazionali costituite da un'attività autorizzatoria, di vigilanza e di controllo in relazione agli enti che si occupano di adozione, che impone anche di applicare nei loro confronti sanzioni come la sospensione o la revoca delle autorizzazioni. La Commissione ha, poi, una funzione di autorizzazione in relazione alle richieste di ingresso dei minori adottati, poiché deve controllare che le adozioni rispondano ai prìncipi della Convenzione e, in particolare, al superiore interesse del minore e alla sua effettiva adottabilità e deve svolgere, inoltre, un'attività di promozione della cooperazione tra i soggetti operanti nel campo delle adozioni internazionali, e in tale ambito mantiene rapporti di approfondimento della normativa e di collaborazione con l'autorità giudiziaria minorile (tribunali per i minorenni, sezioni specializzate delle Corti d'appello e della Corte di cassazione) e di monitoraggio della giurisprudenza della Convenzione europea per i diritti dell'uomo (CEDU);
    in questa stessa ottica, la Commissione per le adozioni internazionali deve intrattenere rapporti con le regioni e le province autonome, che, nell'ambito delle proprie competenze, sono tenute a sviluppare una rete di servizi in grado di attuare i compiti previsti dalla legge, alcuni dei quali funzionali all'attività della Commissione. In tale ambito la Commissione per le adozioni internazionali raccoglie, in forma anonima, per esigenze statistiche o di studio, di informazione e di ricerca, i dati dei minori adottati o affidati a scopo di adozione di cui autorizza l'ingresso ed ogni altro dato utile per la conoscenza del fenomeno delle adozioni internazionali, interagisce con gli enti attraverso un portale dedicato e si occupa, inoltre, delle attività di promozione e formazione diretta ai genitori adottivi (potenziali e non), ai servizi, agli enti e a tutti coloro che sono chiamati a confrontarsi con le famiglie e con i servizi in materia di adozione, comprese le istituzioni giudiziarie;
    gli ultimi due Governi che si sono succeduti alla guida del Paese non hanno mostrato una particolare attenzione al tema delle adozioni internazionali e, di conseguenza, alle necessità della Commissione per le adozioni internazionali, degli enti e delle famiglie adottanti;
    alle politiche in materia di adozioni internazionali e alla Commissione per le adozioni internazionali il Presidente del Consiglio dei Ministri Renzi, ha detto di voler attribuire particolare importanza: infatti, egli ha mantenuto sotto la sua diretta responsabilità politica la materia delle adozioni nazionali e internazionali e la Commissione per le adozioni internazionali,

impegna il Governo:

   a promuovere una revisione della normativa nazionale per garantire il diritto dei minori ad avere una madre e un padre in tempi brevi, assicurando una celere conclusione dell’iter burocratico preordinato all'adozione;
   a valutare, nell'ottica dello snellimento e della semplificazione della procedura, l'opportunità di assumere iniziative per prevedere, con una modifica alla normativa vigente, che l'adozione pronunciata all'estero abbia immediata efficacia nel nostro Paese;
   a definire in tempi brevissimi l'ammontare delle risorse a disposizione della Commissione per le adozioni internazionali per il 2014, posto che è senza dubbio necessario che la Commissione per le adozioni internazionali sia dotata di un congruo e apposito fondo, per avere le risorse economiche che le consentano di sostenere ed implementare tutte le sue funzioni, a livello nazionale e internazionale;
   ad assumere le iniziative di competenza per garantire l'espletamento in tempi certi, senza proroghe, delle relazioni dei servizi sociali e degli adempimenti dei tribunali per i minorenni sui requisiti di idoneità della coppia disponibile all'adozione;
   a erogare nel minor tempo possibile i rimborsi relativi alle adozioni concluse nel 2011 e ad adottare il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per l'erogazione dei rimborsi relativi all'anno 2012;
   ad assumere iniziative per aumentare la percentuale degli oneri deducibili dal reddito delle spese sostenute dai genitori adottivi durante il percorso dell'adozione;
   ad adottare iniziative per aumentare le agevolazioni relative ai congedi parentali, anche spostando il limite temporale in cui godere dei permessi non retribuiti fino a 8 anni dopo l'ingresso in Italia dei minori adottati e a seconda del grado di bisogno del singolo minore;
   ad incentivare la formazione e l'accompagnamento dei genitori adottivi anche nella fase post-adozione da parte dei servizi socio-assistenziali e degli enti autorizzati;
   a incentivare l'attenzione della Commissione per le adozioni internazionali alla consultazione, all'ascolto delle proposte degli enti e all'accompagnamento delle loro attività in campo nazionale e internazionale;
   a rafforzare, tramite la Commissione per le adozioni internazionali, i rapporti con il bureau de L'Aja e le autorità centrali dei Paesi che hanno aderito alla Convenzione e a negoziare o rinegoziare accordi in materia di adozioni internazionali con i Paesi che non hanno ratificato la Convenzione de L'Aja, come raccomandato dal Comitato Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
   a creare gruppi tecnici specializzati ed integrati tra tutti i soggetti coinvolti nelle procedure, che possano costantemente monitorare lo svolgimento delle adozioni nella diverse fasi e suggerire cambiamenti utili.
(1-00542)
(Nuova formulazione) «Palmieri, Palese, Gelmini, Prestigiacomo, Centemero, Squeri, Fucci, Lainati, Vella, Brambilla».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    le adozioni in Italia riguardano un numero piuttosto considerevole di minori e di famiglie: nel 2011, sono stati 909 i minori che hanno trovato stabilmente una famiglia mediante le procedure dell'adozione nazionale a 4.022 attraverso l'adozione internazionale;
   per quanto concerne le adozioni internazionali dopo il picco segnato nel 2010 con l'ingresso in Italia di ben 4.122 minori a conclusione di più di un decennio di crescita esponenziale, si è registrata una inversione di tendenza, che con 4.022 minori adottati nel 2011 e 3.106 nel 2012 ha segnato un calo davvero rilevante, con il quale l'Italia si è, di fatto, allineata ad un trend in atto in tutti i Paesi occidentali;
    i motivi di tale flessione sono molteplici: il primo può essere ricercato nel fatto che molti dei Paesi di provenienza dei minori si sono orientati verso l'attuazione di politiche sociali ed interventi di prevenzione, a volte in accordo con quanto stabilito dalla Convenzione de L'Aia del 1993, firmata da molti dei Paesi da cui provengono i minori, cercando, laddove è possibile, di rimuovere le cause che portano all'allontanamento del bambino dalla sua famiglia, ed incentivando misure alternative, quali l'affido e l'adozione nazionale;
    d'altra parte, seppur il numero di coppie disponibili all'adozione rimane ancora di gran lunga superiore a quello dei minori dichiarati adottabili, anche rispetto al numero di domande di disponibilità all'adozione si è verificato un sensibile calo, che ha portato nel 2012 ad una riduzione significativa delle coppie adottive, risultate pari a 2.469;
    la contrazione nella disponibilità all'adozione potrebbe essere ricondotta a diversi fattori, tra i quali la crisi economica, l'insicurezza in cui versano molte famiglie, i notevoli costi anche di ordine economico che debbano essere sostenuti dalle famiglie che intraprendono le procedure, come anche la diffusione di una maggiore consapevolezza che l'accoglienza di bambini che hanno alle spalle spesso una lunga istituzionalizzazione, oltre che traumi, abusi, e trascuratezza richieda delle competenze genitoriali specifiche;
    tuttavia, non solo la difficile congiuntura economica, ma anche la complessità e la burocratizzazione delle procedure, oltre ad un atteggiamento a volte troppo sospettoso verso gli aspiranti genitori, hanno ridotto la capacità del sistema di realizzare uno dei principi-base su cui si ispira la nostra legislazione: il diritto del minore a crescere in una famiglia;
    con la legge n. 149 del 2001 è stata prevista la creazione di una banca dati nazionale sulle adozioni, relativa ai minori dichiarati adottabili nonché ai coniugi aspiranti all'adozione nazionale ed internazionale per garantire un miglioramento degli esiti dei procedimenti di adozione;
    ad oggi, tuttavia, in base alla Relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell'adozione e dell'affidamento del minori, nonché al titolo VIII del libro primo del Codice civile, trasmessa al Parlamento il 16 dicembre 2013, alcune carenze infrastrutturali informatiche hanno bloccato, e rallentano tuttora, di fatto, l'avvio dalla banca dati;
    seppure si tratta di una percentuale di casi non elevata, una importante problematica da affrontare in materia di adozioni è certamente quella dei cosiddetti fallimenti, vale a dire delle famiglie che, non riuscendo a gestire il minore avuto in adozione, lo restituiscono, causandogli un ulteriore trauma emotivo, e che, oltretutto, comporta il suo trasferimento di nuovo nella realtà di origine, spesso rappresentata da Paesi nel quali vigono una disciplina normativa ed un approccio sociale arretrati rispetto ai minori che versino in stato di abbandono;
    un ulteriore fattore della contrazione della disponibilità alle adozioni è certamente rappresentato dalla carenza di strutture e di servizi dedicati all'infanzia nel nostra Paese, rispetto al quali, peraltro, si continua, ad assistere alla progressiva erosione delle risorse finanziarie dedicate;
    in particolare, la legge n. 285 del 1997, recante «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», aveva istituito il Fondo nazionale per l'infanzia, e l'adolescenza, successivamente inglobato al settanta per cento dal Fondo nazionale per le politiche sociali di cui alla legge n. 328 del 2000, che però ha il grave limite di essere un fondo unico indistinto, senza vincoli di spesa, rispetto al quale è demandata alle regioni la programmazione e la pianificazione nell'ambito della loro esclusiva competenza, individuando nei livelli essenziali di assistenza la base comune delle prestazioni sociali per tutto il territorio nazionale;
    essere accolto e crescere all'interno di un ambiente familiare sereno rappresenta un diritto fondamentale del minore e costituisce un bene sociale irrinunciabile;
    i rilevanti cambiamenti intervenuti nel corso del tempo nelle scelte di adozione da parte delle famiglie italiane, e le conseguenti significative criticità, determinano il dovere in capo al legislatore di affrontare in modo organico i seri problemi finora individuati;
    i costi sociali ed economici dei mancati investimenti sull'infanzia e l'adolescenza avranno un impatto negativo sull'Italia del presente ma soprattutto del futuro,

impegna il Governo:

   ad elaborare le opportune iniziative di modifica delle normative volte alla semplificazione delle procedure per le adozioni internazionali;
   ad istituire un sistema di monitoraggio delle spese sostenute dalle coppie che decidano di adottare un minore straniero, e, al contempo, a valutare l'introduzione in favore di tali coppie di un rimborso delle medesime spese, attraverso un meccanismo di detraibilità fiscale;
   a valutare l'opportunità che gruppi tecnico-professionali specializzati, formati da soggetti dei diversi settori operanti nell'ambito delle adozioni nazionali ed internazionali, operino preso la Commissione per le adozioni internazionali al fine di monitorare e favorire il migliore processo evolutivo adozionale e il più attento svolgimento delle procedure di adozione, contribuendo al miglioramento dei rapporti tra i diversi partner, anche esteri;
   con specifico riferimento alla problematica dei fallimenti e delle restituzioni, a prevedere iniziative normative per ridurne il rischio, individuando percorsi di sostegno e formazione alla famiglia adottiva ed introducendo azioni di monitoraggio garantite da servizi specializzati e destinati solo a tale scopo.
(1-00543) «Rampelli, Corsaro, Maietta, Nastri, Totaro, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Taglialatela».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    l'istituto dell'adozione internazionale è stato introdotto, nell'ordinamento italiano, con la legge n. 184 del 1983 e successivamente modificato in seguito all'adesione dell'Italia alla Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale tenutasi all'Aja il 29 maggio 1993, che ha reso necessaria un'ampia revisione della normativa;
    la Convenzione dell'Aja ha risposto all'esigenza di garantire uniformità e trasparenza nelle procedure, nonché alla necessità di assicurare un’ efficace collaborazione tra gli Stati nel campo delle adozioni, garantendo la realizzazione del superiore interesse del minore;
    la Convenzione ha sancito alcuni principi comuni, volti a garantire che le adozioni internazionali abbiano come obiettivo l'interesse superiore del minore; a realizzare tra gli Stati contraenti un sistema di cooperazione; ad assicurare il riconoscimento negli Stati contraenti delle adozioni realizzate in conformità alla stessa Convenzione;
    il report 2013 della Commissione per le adozioni internazionali descrive il fenomeno delle medesime in Italia mediante l'analisi dei dati e delle informazioni sulle tematiche che contribuiscono a definire i percorsi delle coppie italiane che adottano minori di origine straniera;
    secondo i dati acquisiti nel 2013 sono stati autorizzati all'ingresso in Italia 2.825 minori stranieri, a fronte dei 3.106 dell'anno precedente, con un decremento del 9 per cento; le coppie adottive che hanno portato a termine un'adozione nel 2013 sono state 2.291 rispetto alle 2.469 del 2012 con un decremento del 7,2 per cento;
    le coppie italiane che, in possesso del decreto di idoneità, hanno portato a termine positivamente l’iter adottivo negli anni che vanno dal 2000 al 2013 sono state 33.820, con un andamento temporale che evidenzia un numero di coppie adottive per singolo anno superiore alle 2.500 unità (con un massimo di 3.241 unità nel 2010) mentre nell'anno 2013 le coppie adottive sono state 2.291;
    i dati mettono in rilievo il consolidamento di alcune tendenze che si erano già manifestate negli ultimi quattro anni e cioè: aumento dell'età media dei genitori adottivi, incremento del peso delle adozioni delle regioni meridionali sul totale delle adozioni, alto livello di istruzione delle coppie adottive, incremento delle adozioni di bambini provenienti dai Paesi africani;
    per quanto riguarda i flussi di ingresso negli oltre tredici anni compresi tra il 16 novembre 2000 e il 31 dicembre 2013 i bambini stranieri autorizzati all'ingresso in Italia a fini adottivi sono stati 42.048. Questi minori sono stati adottati da 33.820 coppie. Nell'anno 2013 il numero medio di minori adottati per coppia è stato di 1,24 bambini, in diminuzione rispetto alla media di 1,26 minori adottati per coppia nel 2012;
    questo fenomeno decrescente per quanto riguarda le adozioni internazionali dipende non solo dai costi dell'adozione internazionale, ma anche dalla lunghezza e dalla complessità delle procedure adottive;
    di questo problema ha preso atto anche la Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza che, nel documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della normativa in materia di adozione e di affido, presentato il 22 gennaio 2013, al termine della scorsa legislatura, ha raccolto le testimonianze delle associazioni ed ha lanciato proposte per una riforma della legge sulle adozioni internazionali;
    in realtà l’iter procedurale per giungere all'effettivo provvedimento di adozione è estremamente complesso. In primo luogo la coppia deve presentare una dichiarazione di disponibilità al tribunale dei minori competente, corredata della documentazione attestante i requisiti richiesti dalla legge. Il tribunale affida quindi ai servizi degli enti locali lo svolgimento di un'istruttoria, volta a valutare la capacità degli adottanti di prendersi cura di un minore, l'apertura di entrambi all'adozione e la loro situazione socio-economica;
    i servizi presentano quindi una relazione al tribunale che, entro i successivi due mesi, rilascia un decreto di idoneità o emette un decreto attestante l'insussistenza dei requisiti all'adozione. Entro un anno dal rilascio del decreto di idoneità, la coppia deve avviare la procedura di adozione internazionale, rivolgendosi ad uno degli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali. L'ente prescelto avvia la procedura prendendo contatto con l'autorità straniera competente al fine di individuare il minore da adottare e assiste poi gli adottanti nei successivi incontri con il bambino. Se gli incontri della coppia con il bambino si concludono con un parere positivo anche da parte delle autorità del Paese straniero, l'ente trasmette gli atti alla Commissione per le adozioni internazionali la quale, dopo avere accertato che l'adozione sia conforme alla Convenzione dell'Aja, autorizza l'ingresso e la permanenza del minore adottato in Italia. Dopo l'ingresso dell'adottando nel Paese, il tribunale per i minorenni provvede alla trascrizione del provvedimento di adozione nei registri dello stato civile. Con tale atto, il minore acquisisce la cittadinanza italiana e diviene contestualmente membro della nuova famiglia;
    pertanto, il procedimento dello stato di adottabilità dei bambini, che si prolunga spesso oltre una ragionevole durata, continua a suscitare preoccupazioni da parte degli operatori, ed in qualche caso, il ritardo può determinare una vera e propria lesione del diritto del bambino a vedere tempestivamente definita la propria situazione;
    emergono, quindi, come in precedenza, alcune criticità relative sia alla complessità e alle lacune della normativa vigente che ai costi troppo elevati per poter procedere all'adozione. Infatti non va sottovalutato il peso della crisi economica i cui effetti di compressione dei consumi e della qualità della vita delle famiglie non può che determinare conseguenze negative anche in questo settore. La scelta di avere un figlio, per coppie che si confrontano con la perdurante difficoltà di accedere ad un lavoro e ad un reddito sicuri, appare oggi sempre più difficile e onerosa, anche in considerazione dell'inadeguato sostegno finanziario di cui le famiglie possono usufruire, a fronte di costi sempre più elevati;
    sarebbe opportuno valutare, quindi, la possibilità di procedere al progressivo abbattimento degli ostacoli burocratici attualmente presenti nel percorso adottivo, dei relativi tempi procedurali, delle duplicazioni dei soggetti e delle procedure. Le misure di correzione, quindi, dovrebbero essere orientate ad una sostanziale semplificazione e razionalizzazione dell'intera procedura;
    sarebbe anche necessario procedere, attraverso opportune campagne formative degli operatori del settore, ad una revisione dei fondamenti culturali dell'adozione, per passare da una concezione del percorso adottivo, inteso come selezione diretta a valutare le capacità soggettive ed oggettive della coppia in base a parametri rigidi e predeterminati, ad una cultura dell'accompagnamento della coppia volta a consentire a tutti gli aspiranti genitori di raggiungere la maturità necessaria per effettuare l'adozione, acquisendo gli strumenti psicologici e cognitivi per affrontare il percorso, sia preadottivo che post adottivo,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di avviare un procedimento di revisione della normativa vigente al fine di accelerare il processo delle adozioni internazionali;
   a valutare l'opportunità di prevedere la riproposizione di sgravi fiscali per le coppie che affrontano i costi delle adozioni internazionali, che appaiono eccessivi;
   a considerare l'ipotesi di chiedere ed ottenere maggiori garanzie per le adozioni da quei Paesi che possono cambiare le loro decisioni nel corso del procedimento adottivo.
(1-00544) «Dorina Bianchi, Roccella, Calabrò».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

MOZIONI LA RUSSA ED ALTRI N. 1-00441, CARUSO ED ALTRI N. 1-00534, PIRAS ED ALTRI N. 1-00536, FIANO ED ALTRI N. 1-00538, ARTINI ED ALTRI N. 1-00539, MARCOLIN ED ALTRI N. 1-00541, PALESE ED ALTRI N. 1-00545 E CAUSIN ED ALTRI N. 1-00546 IN MATERIA DI PROGRESSIONI DI CARRIERA E AUTOMATISMI RETRIBUTIVI PER IL PERSONALE DEL COMPARTO DIFESA-SICUREZZA E SOCCORSO PUBBLICO

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    nel corso degli ultimi anni, in considerazione del persistere e dell'intensificarsi di forti tensioni sui mercati finanziari, sono state adottate numerose misure di contenimento della spesa pubblica;
    particolarmente incisive sono state le misure di revisione della spesa adottate nel settore della difesa, che ha cominciato a subire un trend fortemente decrescente già dal 2005, peraltro in concomitanza con il processo di professionalizzazione delle Forze armate (e quindi correlati a maggiori costi per il personale) e con l'accresciuto impiego operativo;
    in tale contesto si pone il decreto-legge n. 78 del 2010, che, proprio in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica», ha previsto l'esclusione, per l'intero triennio 2011-2013, delle retribuzioni del personale della pubblica amministrazione, tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco tanto dai meccanismi di adeguamento previsti per legge, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi (scatti e classi di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, nonché, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero e senza possibilità di attivare, comunque, una procedura di concertazione;
    in particolare, il richiamato blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali ha pregiudicato la maturazione di alcuni istituti tipici specifici del comparto sicurezza, difesa e soccorso strettamente connessi alla valorizzazione dell'anzianità di servizio e alla correlata acquisizione di crescenti competenze professionali, nonché più impegnative responsabilità di servizio, quali l'omogeneizzazione, l'assegno funzionale e gli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni;
    tale norma ha, altresì, frenato gli adeguamenti annuali indicizzati (classi, scatti stipendiali ed effetti economici) delle progressioni di carriera, tra l'altro in grande parte legate a rigide procedure di selezione e avanzamento, assolutamente definite dalla normativa vigente per le varie categorie di personale;
    già nel corso della XVI legislatura era stata approvata in Commissione difesa della Camera dei deputati la risoluzione n. 8-00151, a prima firma dell'onorevole Cirielli, che impegnava il Governo pro tempore a escludere il comparto sicurezza e difesa, per l'anno 2014, dalla possibilità di prorogare ulteriormente i tagli in questione, almeno con riferimento alla fattispecie del blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera;
    in data 8 novembre 2011 la Commissione bilancio del Senato della Repubblica aveva poi approvato l'ordine del giorno G/2969/2/5, che impegnava il Governo, pur nell'ambito della difficile congiuntura economica e della finanza pubblica, a valutare l'opportunità di adottare con urgenza le opportune iniziative atte a «impegnare i relativi fondi iscritti nella tabella 8 per assicurare un'interpretazione dell'articolo 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, nel senso che al personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nel triennio 2012-2014, sia assicurata la corresponsione integrale dei trattamenti economici connessi con l'impiego (indennità operative, indennità pensionabile, indennità di trasferimento, assegno funzionale, assegno non pensionabile dirigenziale e indennità di missione), con l'effettiva presenza in servizio e con la maturazione dei requisiti di anzianità e merito»;
    nonostante ciò e nonostante le molteplici dichiarazioni pubbliche e gli impegni presi dai vari Governi in carica circa la necessità di garantire maggiore sicurezza del territorio e nel territorio, i provvedimenti adottati nel tempo si sono mostrati indifferenti rispetto alla drammatica e insostenibile situazione degli operatori della sicurezza: dal decreto-legge n. 95 del 2012 (cosiddetta spending review), che ha previsto una serie di ulteriori misure di contenimento della spesa nel settore della difesa (dalla riduzione del personale militare in misura non inferiore al 10 per cento alla riduzione di spesa per l'acquisto di beni e servizi del Ministero della difesa pari a 148 milioni di euro, dalla riduzione dei contributi in favore dell'Agenzia industrie difesa alla riduzione delle spese per la professionalizzazione delle Forze armate) al decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, che, disattendendo ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo gli impegni assunti dal Governo nella XVI legislatura, ha prorogato fino al 31 dicembre 2014 le disposizioni in materia di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti;
    un settore, come quello della sicurezza, non può essere considerato in maniera meramente ragionieristica, ma deve essere visto come un investimento per il futuro;
    occorre, infatti, pensare alla sicurezza in termini di opportunità e, quindi, prevedere più risorse in questo settore delicato e strategico per consentire a tutto l'apparato della sicurezza di agire e operare nel migliore dei modi;
    in particolare, è necessario lavorare per la difesa della dignità professionale e della specificità funzionale degli operatori del settore e per la difesa del diritto dei cittadini ad un soccorso pubblico efficiente e qualificato, all'altezza di un Paese civile;
    da ultimo, preoccupa l'ultimo piano di riforma annunciato dal Governo Renzi, che avrebbe chiesto al commissario Carlo Cottarelli tagli per miliardi di euro;
    anche in questa occasione, in un periodo di già forte tensione sociale, il comparto sicurezza farà la sua parte con un risparmio di almeno 700 milioni di euro grazie alla chiusura di centinaia di sedi, alla soppressione di interi reparti e al trasferimento degli uffici in immobili demaniali,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per sospendere, a partire dal secondo semestre 2014, il blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera e degli automatismi retributivi per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, a difesa della dignità professionale e della specificità funzionale degli operatori del settore.
(1-00441) «La Russa, Giorgia Meloni, Cirielli».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, è stato adottato, come recita il suo preambolo, in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica»;
    nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento ed alla riduzione della spesa pubblica si colloca l'articolo 9, relativo al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego che, al comma 21, testualmente recita: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012, 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previste dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»;
    in applicazione del citato comma 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, quindi, per l'intero triennio 2011/2013, le retribuzioni del personale interessato, tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sono state pertanto escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n. 448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi («scatti» e «classi» di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero;
    l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, prevede che con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione (ora Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione), e dell'economia e delle finanze sia possibile prorogare di un anno ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
    il Consiglio dei ministri pro tempore, in data 21 marzo 2013, ha deciso di avviare l’iter di uno specifico decreto del Presidente della Repubblica per estendere il blocco sopra citato al 2014;
    l'articolo 1 del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2011, n. 74, ha previsto l'incremento del citato fondo di 115 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2011-2012 e 2013, ed ha esteso la destinazione del medesimo fondo al finanziamento di assegni una tantum, in favore del personale interessato alla corresponsione delle relative indennità, bloccate dall'articolo 9, commi 1 e 21, del decreto-legge n. 78 del 2010;
    l'istituzione del citato fondo è finalizzata, come emerge anche dal dibattito parlamentare relativo ai due decreti-legge sopra richiamati e dagli impegni assunti dal Governo, ad assicurare al personale interessato una compensazione economica conseguente agli effetti relativi all'applicazione del congelamento di alcuni elementi retributivi, di cui ai citati commi 1 e 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010;
    i fondi disponibili per l'anno 2011 sono stati sufficienti per assecondare tutte le esigenze del personale, che ha maturato i requisiti per la corresponsione delle indennità cosiddette «congelate» nello stesso anno 2011, mentre le somme disponibili del sopra citato fondo sono del tutto insufficienti per gli anni 2012 (46 per cento) e 2013 (16 per cento); in merito, in sede di conversione del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, il legislatore, all'articolo 1, comma 2, per reperire le somme necessarie al soddisfacimento delle esigenze, ha previsto espressamente l'impiego delle risorse utilizzabili del fondo unico per la giustizia e dei risparmi provenienti dalle missioni internazionali di pace;
    in proposito, occorre rammentare che la Corte costituzionale, in occasione di pregresse manovre economiche, recanti deroghe temporanee ai ricordati meccanismi rivalutativi di adeguamento, disposte, in particolare, in occasione dell'altrettanto grave congiuntura economica del 1992, aveva già indicato i limiti entro i quali un tale intervento potesse ritenersi rispettoso dei richiamati principi costituzionali, osservando che «norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all'articolo 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso»;
    in quel caso il sacrificio era limitato ad un anno, mentre ora, in presenza di una reiterazione a percussione di misure patrimoniali afflittive, la natura eccezionale e transitoria di una disposizione non può più essere predicata, credibilmente e plausibilmente, anche per la prevedibilità della sua reiterazione nel tempo futuro;
    gli ordinamenti del personale in argomento sono connotati da un'estrema gerarchizzazione e bloccare le progressioni economiche comporta effetti iniqui e sperequativi tra il personale stesso ed anche rispetto al restante personale della pubblica amministrazione;
    inoltre, la specificità dello status giuridico e di impiego, sancita all'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, del personale delle Forze armate, di polizia e di quello del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, caratterizzato da una mobilità e flessibilità d'impiego, sul territorio nazionale e all'estero, non riscontrabile in nessun altro settore del pubblico impiego, ha come corollario che l'assunzione di più gravose responsabilità e la sopportazione di maggiori rischi e disagi conseguenti all'avanzamento nel grado siano compensati da specifici istituti retributivi a ciò indirizzati,

impegna il Governo:

   a non assumere iniziative volte a reiterare le previsioni di cui all'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, per il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico per l'anno 2015, in ossequio alle linee guida già approvate dal Governo l'8 aprile 2014 con il documento di economia e finanza 2014;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per sospendere, a partire dal secondo semestre 2014, il blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera e degli automatismi retributivi per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, utilizzando le risorse già disponibili per le una tantum e quelle eventualmente recuperabili dai bilanci già consolidati dei dicasteri interessati.
(1-00534) «Caruso, Dellai, Adornato».


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo Berlusconi, con il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, in considerazione della necessità e dell'urgenza di emanare provvedimenti per il contenimento della spesa pubblica, derivante dallo stato particolarmente preoccupante nel quale versavano i conti dello Stato, dispose – per il triennio 2010-2013 – il blocco della contrattazione e delle retribuzioni, per tutto il comparto della pubblica amministrazione, sia per gli adeguamenti stipendiali che per gli aumenti retributivi collegati all'anzianità di ruolo e alle progressioni di carriera comunque denominate, escludendo ogni possibilità successiva di recupero;
    per quanto attiene al comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, tale disposizione ha investito alcuni istituti specifici connessi al particolare servizio svolto quali l'assegno funzionale e gli incrementi parametrali non riferibili a promozioni e progressioni di carriera;
    la rappresentanza militare (Cocer Interforze), quando il Ministro della difesa pro tempore, Ignazio La Russa, espose il provvedimento ai delegati, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo ebbe occasione di muovere diverse ed importanti obiezioni che già allora segnalarono una condizione di particolare malessere, con particolare riferimento al fatto che chi aveva maturato promozioni, progressioni di carriera comunque denominate ed anche i relativi scatti stipendiali legati alle indennità operative e di funzione prima del 2010 non avrebbe subito le conseguenze del provvedimento, né quindi avrebbe contribuito in alcuna maniera al risanamento dei conti pubblici; conseguentemente, in tale occasione, oltre che creare un danno riconducibile solo ad una parte del personale, si è anche provveduto a generare un'ulteriore ingiustizia, con l'effetto che a pagare il prezzo fossero i più giovani e quindi le nuove generazioni;
    nonostante alcuni atti parlamentari che già nella XVI legislatura chiedevano la rimozione del blocco in questione, il blocco medesimo è stato prorogato nella XVII legislatura (decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013) a tutto il 2014, con il parere negativo di ampia parte delle forze politiche della minoranza, pur in presenza di una generica rassicurazione sul superamento di questa disposizione a far data dal 1o gennaio 2015;
    la valutazione degli effetti sociali prodotti dalla decisione assunta nel 2010 assume delle caratteristiche particolarmente penalizzanti per il personale militare se si restringe il punto di osservazione al comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, in virtù innanzitutto del fatto che – a differenza di quanto mostrerebbero le date di approvazione dei provvedimenti finora citati – l'ultimo contratto del settore risale all'anno 2009 e che, dunque, i contratti delle Forze armate, di pubblica sicurezza e del Corpo dei vigili del fuoco, sono fermi a far data da allora e che la particolare configurazione del trattamento economico dei militari si poggia, altresì, sulla naturale progressione di carriera per gradi ed anzianità: quindi, un anno doppio rispetto al restante personale del pubblico impiego derivante dalla tanto decantata ed abusata, quanto inutile «specificità»;
    si tratta quindi di cinque anni di blocco contrattuale, anni che – in termini più generali – coincidono con la fase apicale della crisi economica e sociale più lunga ed intensa che la storia della Repubblica ricordi e che ha prodotto un impoverimento generalizzato del Paese, del ceto medio e della classe lavoratrice in particolare;
    il ruolo giocato in questo senso da scelte politiche e normative di carattere depressivo come la norma sopra citata è di tutta evidenza, così come l'effetto sociale drammatico prodotto dalla stagione dei «tagli lineari», della spending review e dell'austerità in generale;
    la compressione salariale e – dunque – dei consumi e degli stili di vita consolidati delle famiglie di lavoratori ha determinato nelle Forze armate una fenomenologia già da tempo visibile e percepita nel resto del Paese, ovvero che le dinamiche interne al comparto oggi aderiscono in maniera plastica a quelle del resto della società: alla base vi è una regressione tangibile e grave nelle condizioni materiali di vita, al vertice il consolidamento di una condizione di relativo privilegio;
    la stessa legge n. 244 del 2012 di riforma e riordino dello strumento militare esplica i suoi effetti in chiave riduttiva – meno 50.000 unità in forza – principalmente sul personale – militare e civile – della difesa, in ossequio all'obiettivo dichiarato di liberare risorse per gli investimenti, già sbilanciate ben oltre la quota del 25 per cento, cui sembrerebbe volgere il disegno di legge ben considerando le risorse complessive allocate per tale esigenze tra il Ministero della difesa e il Ministero dello sviluppo economici, nello sviluppo, nella produzione ed acquisizione di sistemi d'arma. Logica conseguenza anche questa di una scelta di politica industriale orientata in maniera decisa all'implementazione dell'industria nazionale degli armamenti a discapito del valore umano delle Forze armate e del loro impiego in ambiti di civile necessità;
    allo stato attuale si assiste a uno dei più classici paradossi: da una parte, un eccesso retorico di esaltazione del ruolo e della «specificità» delle Forze armate e di pubblica sicurezza e del personale che vi opera, dall'altra, la diminuita retribuzione in termini reali, la carenza cronica di alloggi per il personale, i veicoli di servizio fermi a causa della carenza di carburante, il sacrificio operato sulle condizioni di sicurezza nelle quali questi lavoratori si trovano ad operare;
    le politiche depressive adottate in questi anni hanno prodotto il risultato di diffondere una condizione di pesante malessere, inquietudine ed incertezza sul futuro, in un settore delicatissimo come quello delle Forze armate e di pubblica sicurezza e dei vigili del fuoco, frequentemente caratterizzato da nuclei familiari monoreddito e con figli a carico;
    a questo stato di cose si aggiungano gli effetti della riforma previdenziale del 2012, dunque gli effetti sull'assegno pensionistico derivanti dal passaggio al sistema contributivo; va fatta, inoltre, l'ovvia constatazione che l'inferiore gettito contributivo derivante dal blocco degli adeguamenti stipendiali andrà ulteriormente ad influire sull'entità degli assegni medesimi;
    a dimostrazione di ciò basti citare le indicazioni riportate dalle numerose audizioni dei Cocer svoltesi in questi mesi presso la Commissione difesa della Camera dei deputati o ricordare l'originale ed educata protesta «del caffè» inscenata dai sottufficiali del ruolo sergenti affinché tale stato di malessere potesse uscire dal silenzio cui è costretto dalla cosiddetta «specificità», condizione che sta determinando anche importanti problemi sul terreno dell'operatività del comparto;
    occorre perciò ripensare e cambiare, per il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico e, più in generale, per il pubblico impiego, le politiche fin qui adottate, operando in maniera tale da riconnettere la prospettiva della ripresa economica alla ripresa dei consumi e ad un recupero tangibile sul terreno delle condizioni di vita ed economiche dei lavoratori italiani, compresi i dipendenti militari e civili del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico,

impegna il Governo:

   a non assumere assolutamente iniziative volte a prorogare oltre il 31 dicembre 2014 il blocco della contrattazione e degli adeguamenti stipendiali, degli effetti economici delle promozioni, delle progressioni di carriera comunque denominate e degli automatismi retributivi per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico;
   ad assumere iniziative volte a sospendere il blocco disposto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013 – a decorrere dal 1o agosto 2014 – o comunque a trovare risorse perequative, al fine di annullarne gli effetti in maniera da consentire fin da subito un primo ristoro del danno economico subito dai lavoratori del settore.
(1-00536) «Piras, Duranti, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    i comparti «sicurezza-difesa e soccorso pubblico» sono di fatto oggetto di un blocco contrattuale dal 2006, nonché del congelamento di tutte le prerogative connesse ai diritti spettanti agli operatori, a partire dall'adeguamento economico attribuito per progressione di carriera dell'assegno di funzione, compresi quindi gli scatti di anzianità, e finanche di un riordino delle carriere che sarebbe decisamente auspicabile;
    è evidente, pertanto, la discriminazione che si è venuta a determinare nel corso di questi anni nei confronti del personale dei comparti che, nonostante vanti sia requisiti professionali che di anzianità, non ha visto riconosciuti i diritti ad esso spettanti sotto il profilo contrattuale, nonché giuridico costituzionale;
    la situazione si è ulteriormente aggravata con il decreto-legge n. 78 del 2010, che ha previsto l'esclusione, per l'intero triennio 2011-2013 – tanto dai meccanismi di adeguamento previsti per legge, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi (scatti e classi di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, nonché, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera – delle retribuzioni del personale della pubblica amministrazione, tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, senza la possibilità di recuperarli successivamente;
    tali disposizioni, come è noto, sono state prorogate fino al il dicembre 2014 dal successivo decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122;
    il richiamato blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali, in assenza di procedure di concertazione, ha pertanto pregiudicato la maturazione di alcuni istituti propri dei comparti «sicurezza-difesa e soccorso pubblico», strettamente connessi alla valorizzazione dell'anzianità di servizio e alla correlata acquisizione di crescenti competenze professionali, nonché più impegnative responsabilità di servizio, quali l'omogeneizzazione, l'assegno funzionale e gli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni;
    tali disposizioni hanno inoltre determinato anche il blocco degli adeguamenti annuali indicizzati (classi, scatti stipendiali ed effetti economici) delle progressioni di carriera, che sono in gran parte legate a rigide procedure di selezione e avanzamento, assolutamente definite dalla normativa vigente per le varie categorie di personale;
    particolarmente problematiche si sono rivelate, in tal senso, le previsioni dell'articolo 66, comma 9-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto del 2008, n. 133, per gli anni 2010-2011, e il successivo blocco parziale del turn over fissato al 20 per cento per il triennio 2012-2014, al 50 per cento per l'anno 2015, e al 100 per cento a decorrere dal 2016; solo con la legge di stabilità 2014, poi, la facoltà assunzionale è stata in parte elevata al 55 per cento a decorrere dall'anno 2014, con previsione di elevare ulteriormente tale percentuale fino al 70 per cento per l'anno 2015. Si è determinato così un repentino e deciso innalzamento dell'età media di tutti gli operatori del settore, che supera i 45 anni di età ed è, ad oggi, tra le più alte d'Europa, con conseguenze tutt'altro che trascurabili che incidono: sull'immissione di personale nelle carriere iniziali dei vari ruoli, sul piano dell'efficienza in generale, su quello dell'efficacia degli interventi operativi delle forze dell'ordine, sul piano della lievitazione dei costi necessari per fronteggiare le esigenze di servizio sia per le attività militari che per quelle relative all'ordine e sicurezza pubblica, poste da un personale con un'età così elevata che, se scorporata nelle qualifiche (gradi) intermedie (ispettori e marescialli) o apicali (funzionari-dirigenti e ufficiali), ha superato da tempo i 50 anni;
    va inoltre analizzata la circostanza che il susseguirsi degli effetti dei vari interventi normativi succedutisi nel tempo, spesso sulla base di decretazione d'urgenza, ha determinato un diverso trattamento economico tra soggetti che ricoprono le stesse funzioni, con decorrenze o provenienze diverse;
    nonostante la legge di stabilità 2014 abbia dato qualche segnale di inversione di tendenza per quanto attiene sia alla formazione e all'addestramento del personale, sia alla manutenzione e all'efficienza dei mezzi e degli equipaggiamenti a garanzia della piena funzionalità dello strumento militare, permane tuttavia una evidente situazione di oggettiva difficoltà vissuta da chi opera nel settore;
    gran parte degli operatori, uomini e donne, del comparto percepisce trattamenti economici medio-bassi che dovrebbero essere migliorati e, anche se nei confronti di una piccola parte di tali operatori il cui trattamento economico non supera i 25 mila euro annui lordi è intervenuto il decreto-legge n. 66 del 24 aprile con il bonus di 80 euro, la situazione generale rimane assolutamente compromessa;
    appare, pertanto, ineludibile ripensare un nuovo modello di sicurezza per il nostro Paese che, ferme restando le esigenze e gli obiettivi di bilancio, ne ridisegni obiettivi, funzioni e organizzazione, anche al fine di rendere più efficace ed efficiente il lavoro svolto dagli operatori del comparto sicurezza, e dotandolo delle risorse necessarie a perseguire gli obiettivi istituzionali che rimangono cura primaria dello Stato,

impegna il Governo:

   a presentare al Parlamento, entro tre mesi, una relazione dettagliata sulle condizioni professionali e retributive degli operatori, sugli organici c sulle dotazioni di cui dispongono i diversi corpi e specialità, e sulla dislocazione sul territorio dei diversi presidi del comparto sicurezza e soccorso pubblico, al fine di valutarne l'idoneità e l'efficacia, quantitativa e qualitativa, per il raggiungimento degli obiettivi affidati dalla legge alla sicurezza nazionale, nonché a presentare un'analisi del quadro normativo esistente, sia a livello centrale, che a livello regionale e locale (compreso il sistema della polizia locale), che tenga conto in particolare degli effetti prodotti sul comparto sicurezza e del soccorso pubblico dalle disposizioni di legge entrate in vigore dopo la legge n. 121 del 1981;
   a presentare al Parlamento, entro gli stessi termini temporali, una relazione descrittiva della situazione retributiva del personale delle Forze armate, distinguendo per le varie posizioni di ruolo, grado e categoria di appartenenza la quota parte relativa al trattamento stipendiale, alle indennità specifiche e al trattamento accessorio;
   a valutare, in vista della predisposizione della legge di stabilità per il 2015, l'individuazione di misure finalizzate ad assicurare al personale di tutti i comparti il recupero, nella misura compatibile con l'andamento delle finanze pubbliche, dei trattamenti economici connessi con impiego e funzione, con l'effettiva presenza in servizio e con la maturazione dei requisiti di anzianità e di merito, ripristinando meccanismi di concertazione con le organizzazioni di rappresentanza del comparto stesso al fine di riconoscere la giusta dignità professionale per gli operatori di questo compatto fondamentale per il Paese anche con l'obiettivo di consentire una migliore e più moderna organizzazione sul territorio.
(1-00538) «Fiano, Scanu, Roberta Agostini, Cuperlo, D'Attorre, Marco Di Maio, Fabbri, Famiglietti, Ferrari, Gasparini, Giorgis, Gullo, Lattuca, Lauricella, Marco Meloni, Naccarato, Piccione, Pollastrini, Richetti, Rosato, Francesco Sanna, Aiello, Bolognesi, D'Arienzo, Ferro, Fioroni, Fontanelli, Carlo Galli, Garofani, Gregori, Lorenzo Guerini, Marantelli, Massa, Moscatt, Salvatore Piccolo, Giuditta Pini, Stumpo, Valeria Valente, Villecco Calipari, Zanin».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 78 del 2010, in relazione alla «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica», ha previsto che, per l'intero triennio 2011-2013, le retribuzioni del personale della pubblica amministrazione – tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco – fossero escluse tanto dai meccanismi di adeguamento previsti per legge, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi (scatti e classi di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, nonché, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero e senza possibilità di attivare comunque una procedura di concertazione;
    tali disposizioni sono state da ultimo prorogate fino al 31 dicembre 2014 dal decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122. Sul relativo schema di Regolamento la Commissione difesa della Camera, in data 4 giugno 2013, ha espresso rilievi;
    il richiamato blocco ha pregiudicato la maturazione di alcuni istituti tipici specifici del comparto sicurezza, difesa e soccorso strettamente connessi alla valorizzazione dell'anzianità di servizio e alla correlata acquisizione di crescenti competenze professionali, nonché più impegnative responsabilità di servizio, quali l'omogeneizzazione, l'assegno funzionale e gli incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozioni. Inoltre, tale norma ha bloccato anche gli adeguamenti annuali indicizzati (classi, scatti stipendiali ed effetti economici) delle progressioni di carriera, tra l'altro in gran parte legate a rigide procedure di selezione e avanzamento, assolutamente definite dalla normativa vigente per le varie categorie di personale;
    tale normativa ha avuto incidenze negative in modo devastante sia sulla funzionalità sia sulla motivazione del personale. Si pensi, in particolare, a coloro che, promossi e magari anche trasferiti in relazione a nuove e ben più rilevanti funzioni da assumere, non sono poi stati remunerati con il previsto trattamento economico;
    al fine di mitigare gli effetti del richiamato blocco, il Governo pro tempore, aveva previsto l'istituzione di un fondo di 80 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011-2012, per il finanziamento di misure «perequative» per il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso interessato alle suindicate penalizzazioni, con la volontà espressa di sterilizzarne gli effetti nel triennio in questione;
    con il decreto-legge n. 74 del 2011, il richiamato fondo è stato incrementato con 115 milioni di euro annui, sottraendoli peraltro alle disponibilità assegnate per il riordino dei ruoli dall'articolo 3, comma 155 del decreto-legge n. 350 del 2003;
    con tale legge peraltro sono state denominate «assegni una tantum» le misure perequative da concedere ed è stato legittimato il ricorso al fondo anche compensare la mancata corresponsione, per effetto del tetto salariale di omogeneizzazione, di assegni funzionali e incrementi stipendiali e parametrali non connessi a promozioni;
    il richiamato fondo è stato incrementato, relativamente all'anno 2014, di 100 milioni di euro dall'articolo 1, comma 446 della legge n. 147 del 2013 (Legge di stabilità per il 2014), ma è evidente, che come è avvenuto negli anni passati, tale somma sia insufficiente a perequare quanto è stato danneggiato dal protrarsi del blocco delle retribuzioni;
    si auspica infine che per tutti i dipendenti della pubblica amministrazione, in particolare le fasce salariali più basse, termini il regime di blocco degli aumenti contrattuali, adeguando il loro potere di acquisto al costo della vita,

impegna il Governo

   ad assumere iniziative per far cessare le previsioni di cui all'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, il 31 dicembre 2014;
   a prevedere, a far data dal 1o settembre 2014, l'adeguamento alla retribuzione che, senza gli effetti dell'articolo 9, del decreto-legge n. 78 del 2010, spetterebbe ad oggi al personale appartenente al comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico;
   ad assumere iniziative per prevedere, in sede di incremento del fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, la congrua dotazione, finalizzata alla ripartizione dell'ammontare dei mancati adeguamenti salariali, maturati dal personale appartenente alle Forze armate e di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per un terzo nel 2015, un terzo nel 2016 e la parte rimanente nel 2017, da corrispondere su base mensile, per gli importi già non perequati da precedenti assegni una tantum previsti dal fondo in questione;
   in sede di riparto delle risorse di cui la dotazione del fondo di cui all'articolo 8, comma 11-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, destinato a finanziare le misure perequative in favore del personale appartenente al comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico interessato dall'applicazione dell'articolo 9, commi 1 e 21, del richiamato decreto-legge e a corrispondere, in favore del medesimo personale, assegni una tantum, ad assicurare, con le risorse disponibili per l'anno 2014, in via prioritaria, al personale appartenente alle carriere iniziali delle Forze armate e di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, la corresponsione di assegni una tantum nell'entità commisurata al 50 per cento dell'importo non corrisposto per il medesimo anno, in relazione alla sospensione degli effetti economici dovuti all'applicazione del comma 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010;
   ad assumere iniziative per assicurare a far data dal 1o gennaio 2015, anche per tutti i dipendenti della pubblica amministrazione interessati dal decreto-legge n. 78 del 2010, procedure per il progressivo riallineamento dei salari.
(1-00539) «Artini, Rizzo, Paolo Bernini, Basilio, Corda, Frusone, Tofalo, Nuti, Dadone, Bechis».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    è necessario prendere atto degli effetti negativi dispiegati dalle misure di contenimento della spesa pubblica sull'efficienza e l'efficacia delle Forze armate, dell'ordine e del soccorso tecnico urgente;
    in particolare, occorre sottolineare le conseguenze delle disposizioni introdotte dal decreto-legge n. 78 del 2010, che hanno determinato non soltanto il blocco degli adeguamenti stipendiali previsti dalla normativa preesistente ma, altresì, quello degli aumenti retributivi connessi all'avanzamento dell'anzianità di ruolo e persino degli scatti derivanti dalla progressione delle carriere nel comparto difesa e sicurezza, generando significative situazioni di diseguaglianza tra persone appartenenti agli stessi livelli gerarchici o addetti al disbrigo delle medesime mansioni;
    tali situazioni di disallineamento si ripercuotono non soltanto sulle motivazioni dei singoli individui, già penalizzati da percorsi professionali che comportano trasferimenti improvvisi ed esposizione a gravi rischi ma altresì sulle strutture e la coesione interna della Difesa, delle Forze dell'ordine e del Corpo nazionale dei vigili del Fuoco;
    in materia sono anche intervenuti atti d'indirizzo votati dal Parlamento, che hanno stigmatizzato la situazione impegnando il Governo alla correzione, come la risoluzione n. 8-00151, approvata dalla Commissione difesa della Camera nella scorsa legislatura ed il successivo ordine del giorno G/2969/2/5, approvato dalla Commissione bilancio del Senato in data 8 novembre 2011;
    a tali misure ne hanno fatto seguito altre, dalla spending review varata dal decreto-legge n. 95 del 2012 alla «riforma Di Paola», che hanno determinato forti contrazioni nella consistenza degli organici dipendenti dal Ministero della difesa e dal Ministero dell'interno, disponendo il blocco parziale del turn over, che avviene ora in proporzioni inferiori al 100 per cento con la conseguenza di assottigliare i presidi delle forze dell'ordine ed invecchiare notevolmente il personale di truppa delle Forze armate;
    l'esistenza teorica di una prospettiva di integrazione europea estesa al campo delle Forze armate e l'appartenenza del nostro Paese ad alleanze internazionali potenti e credibili come la Nato consentono risparmi nell'area della funzione Difesa che è invece impossibile immaginare nell'area sicurezza interna e soccorso tecnico, posto che non si può affidare all'unione europea o all'Alleanza Atlantica la tutela della legalità e della pubblica incolumità nel nostro Paese,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a definire nel minor tempo possibile misure che reintegrino il turn over al 100 per cento del personale in uscita dalle Forze dell'ordine e dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in modo tale da frenarne la riduzione e l'invecchiamento degli organici, se necessario impiegando a tale scopo anche le risorse risparmiate tramite l'eventuale ridimensionamento o rimodulazione di alcuni programmi pluriennali di acquisizione armamenti;
   ad assumere iniziative volte a sospendere fin dal secondo semestre del 2014 l'efficacia delle disposizioni che bloccano gli avanzamenti di retribuzione connessi alla progressione delle carriere e nell'anzianità di ruolo in tutto il comparto difesa, sicurezza e soccorso;
   a permettere fin dal 2015 la ripresa della concertazione e della contrattazione nel comparto difesa, sicurezza e soccorso, prevedendo altresì un margine per il recupero almeno parziale degli aumenti retributivi non scattati e non goduti nelle more del blocco, in quanto possibile.
(1-00541) «Marcolin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge n. 133 del 2008, pur applicando tagli lineari ai Ministeri, delineava alcune eccezioni per le Forze dell'ordine e le Forze armate. In particolare, il comma 6-bis dell'articolo 74 disponeva, in favore delle strutture del comparto sicurezza, delle Forze armate e dei vigili del fuoco, una deroga all'obbligo, posto per tutte le pubbliche amministrazioni, di ridimensionare gli assetti organizzativi e di ridurre le dotazioni organiche; l'articolo 70 escludeva al comma 1 dall'applicazione della disciplina relativa alla soppressione del trattamento economico aggiuntivo per causa di servizio del dipendente, il personale del comparto sicurezza e difesa; l'articolo 71, al comma 5-bis, escludeva dall'applicazione della disciplina relativa ai disincentivi economici per assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, il personale del comparto sicurezza e difesa;
    in data 12 marzo 2009 è stata approvata la mozione 1-00126 del Gruppo parlamentare Popolo della Libertà, che recava nel dispositivo l'impegno ad avviare una nuova stagione di attenzione ai problemi della difesa affinché quanto prima si potessero trovare soluzioni al numerosi e seri problemi che affliggono il comparto difesa e sicurezza e si giungesse al pieno riconoscimento della professionalità e specificità del personale delle Forze armate al fine di assicurarne prospettive di crescita e sostegno anche sotto il profilo del trattamento economico;
    l'articolo 19 della legge 183 del 2010 ha riconosciuto, per la prima volta da un punto di vista normativo, la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, disponendo che ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, fosse riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad esse appartenenti, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti e che la disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi fosse definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si doveva provvedere altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie;
    l'articolo 19 della legge 183 del 2010 ha riconosciuto, inoltre, al Consiglio centrale di rappresentanza militare (COCER) il compito di partecipare, in rappresentanza del personale militare, alle attività negoziali svolte in attuazione del principio di specificità concernenti il trattamento economico del medesimo personale;
    il decreto-legge n. 27 del 2011 recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, convertito in legge n. 74 del 2011, ha previsto la corresponsione di assegni una tantum al citato personale interessato dal blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e degli automatismi stipendiali disposti con la legge 122 del 2010 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica;
    i Governi succedutisi dal novembre del 2011, nonostante le dichiarazioni pubbliche e gli impegni presi a proposito della necessità di garantire la sicurezza del territorio, hanno adottato provvedimenti che hanno ulteriormente peggiorato la situazione degli operatori della sicurezza;
    il decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto una serie di ulteriori misure di contenimento della spesa nel settore della Difesa e della sicurezza ed i tagli del bilancio della difesa, conseguenti ai recenti provvedimenti di revisione della spesa pubblica, hanno inciso profondamente sul settore della difesa, non solo riducendo le risorse destinate allo strumento militare, ma anche limitando riconoscimenti economici al personale impiegato in questo delicato settore, comprese le progressioni di carriera e i nuovi arruolamenti; il decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, ha prorogato fino al 31 dicembre 2014 le disposizioni in materia di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, compreso il comparto sicurezza;
    la necessità di garantire lo svolgimento in sicurezza di eventi internazionali, soprattutto a fronte del necessario incremento della presenza delle Forze dell'ordine nelle città protagoniste di tali manifestazioni, non deve pregiudicare il livello di sicurezza nelle altre aree del Paese;
    le esigenze di razionalizzazione delle risorse finanziarie, contenute all'interno del «Piano-Cottarelli», predisposto dal commissario straordinario per la previsione della spesa pubblica, comportano una riorganizzazione del comparto sicurezza sul territorio e la dismissione di un considerevole numero di presidi;
    il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, nell'ambito dell'incontro con i Ministri di giustizia e affari interni degli Stati membri dell'Unione europea dell'8 luglio 2014 a Milano, ha affermato che obiettivo del semestre italiano è quello di compiere una «revisione della strategia per la sicurezza interna dell'Unione Europea», indicando come le priorità di tale revisione siano: «tutela del mercato legale contro la criminalità organizzata; affrontare il tema della corruzione; contrasto al terrorismo; giusto equilibro tra esigenza di sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali»,

impegna il Governo:

   ad avallare con atti concreti l'intenzione di rivedere la strategia di sicurezza interna, invertendo l'attuale trend di continui tagli ai fondi per la sicurezza che annullano e mortificano la professionalità degli operatori di sicurezza in Italia;
   a prevedere, nell'ambito del prossimi provvedimenti normativi, adeguate iniziative, volte a sospendere, a partire dal primo semestre del 2015, per il comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, il blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera e degli automatismi retributivi.
(1-00545) «Palese, Laffranco, Palmizio».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).

   La Camera,
   premesso che:
    la proroga al 2014 del «blocco» delle retribuzioni del personale del comparto difesa e sicurezza e del connesso fenomeno delle cosiddette «promozioni bianche», in atto oramai dal 2011, sta incidendo in maniera significativa sulla qualità della vita del personale delle Forze armate e di tutto il comparto difesa e sicurezza, ripercuotendosi anche sul futuro trattamento pensionistico;
    nonostante le numerose prese di posizione, fino a livello ministeriale, intese alla necessità di porre ordine alla problematica così generatasi e legata specificatamente al personale del comparto difesa e sicurezza, non sono stati ancora definiti tempi e modi per il suo «sblocco», causando incertezza nel personale e nelle loro famiglie;
    i tagli lineari degli ultimi anni hanno complessivamente ridotto di oltre 4 miliardi di euro gli stanziamenti economici destinati al funzionamento e all'efficacia del sistema di sicurezza e protezione sociale del Paese, compromettendo l'efficienza degli apparati e diminuendo sensibilmente la capacità di intervento delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco sul territorio;
    si tratta di tagli, originari dalla necessità, ma che hanno avuto delle gravi ripercussioni sulle funzioni attribuite ad un settore così delicato della pubblica amministrazione, quotidianamente impegnato a garantire la protezione della collettività e la salvaguardia dello sviluppo sociale del Paese, con conseguenze davvero pesanti che hanno prodotto un ulteriore peggioramento delle già precarie condizioni di lavoro e di vita degli operatori interessati, alle prese con crescenti mole di lavoro, da affrontare minori risorse umane e strumentali a disposizione, e con tutele sempre più ridotte;
    la situazione contrattuale del comparto difesa e sicurezza, già bloccata dal 2006, ha subito un ulteriore aggravio per effetto del decreto-legge n. 78 del 2010, prevedendo al comma 21 dell'articolo 9 l'esclusione, per l'intero triennio 2011-2013, tanto dai meccanismi di adeguamento disposti per legge, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi (scatti e classi di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, e al riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriere delle retribuzioni di tutto il personale della pubblica amministrazione. Il decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 4 settembre 2013 ha prorogato dette disposizioni fino al 31 dicembre 2014;
    successivamente nel DEF 2014 il Governo ha messo in conto lo sblocco di alcune delle misure di congelamento stabilite dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, in particolare il tetto individuale (comma 1) e alcuni effetti economici delle promozioni (comma 21, terzo e quarto periodo);
    tuttavia, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 154 del 2014, ha fornito la sua interpretazione con riferimento agli automatismi stipendiali del personale del comparto sicurezza difesa: sono tutti bloccati dal comma 21 secondo periodo dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 e non dal comma 1 dello stesso articolo, dunque, il quadriennio 2011-2014 non ha valenza giuridica ai fini della maturazione degli automatismi stipendiali comunque denominati e non solo per le «classi e scatti» del personale dirigente. Tutto ciò a grave danno del personale del comparto «sicurezza e difesa» che, nonostante siano riconosciuti professionalità e impegno nello svolgimento dei compiti di istituto, non ha visto rispettati i propri diritti contrattuali, nonché giuridico costituzionali;
    nel corso della passata legislatura, diverse sono state sia le proposte di legge, sia gli atti di sindacato ispettivo prodotti e condivisi che hanno evidenziato l'opportunità di avviare una serie di iniziative volte a favorire la funzionalità ed operatività dello strumento militare, con particolare riferimento alla salvaguardia della funzionalità e delle capacità operative di intervento;
    uno degli obiettivi considerati prioritari e individuati a larga maggioranza attraverso gli atti di indirizzo approvati dalla Camera nella XVI legislatura, in occasione dell'esame delle mozioni 1 –00093, 1-00126 e 1-00128 è quello di destinare in via prioritaria le risorse della difesa ai settori del reclutamento e dell'addestramento e ad assicurare, nel tempo, stabilità e coerenza all'assegnazione delle risorse per il comparto difesa;
    il «collegato lavoro» (legge 4 novembre 2010, n. 183), all'articolo 19, ha disposto in merito alla specificità, riconoscendo il ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché lo stato giuridico del personale ad esse appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti;
    la legge 23 maggio 2011 n. 74, di conversione del decreto-legge n. 27 del 2011, recante misure urgenti per la corresponsione di assegni una tantum al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, attingendo a risorse finanziarie già stanziate per il comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, ha previsto la corresponsione di assegni una tantum al citato personale interessato dal blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo e degli automatismi stipendiali disposti con la legge n. 122 del 2010;
    le iniziative normative positive, purtroppo, si sono alternate ad iniziative che non ne hanno permesso una tempestiva realizzazione. Il decreto-legge n. 95 del 2012 (cosiddetto spending review), attraverso misure di contenimento della spesa quali la riduzione del personale militare in misura non inferiore al 10 per cento e la riduzione di spesa per l'acquisto di beni e servizi del Ministero della difesa pari a 148 milioni di euro, ha dilazionato nel tempo l'attuazione degli impegni precedentemente assunti, in merito all'assegnazione di risorse adeguate per il comparto sicurezza e difesa e alle disposizioni in materia di blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti,

impegna il Governo

ad adottare concrete ed immediate iniziative normative finalizzate a rimuovere il blocco stipendiale per il comparto «difesa – sicurezza e soccorso pubblico», anche attraverso la predisposizione di misure, compatibilmente con le esigenze di bilancio, volte al recupero dei trattamenti economici che tengano conto dei differenti impieghi e funzioni, sin dalla prossima Legge di stabilità per l'anno 2015.
(1-00546) «Causin, Antimo Cesaro, Molea, Matarrese».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).