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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Lunedì 26 maggio 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 26 maggio 2014.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Bellanova, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Brescia, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Cicchitto, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Galati, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Leone, Lorenzin, Lupi, Madia, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Portas, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Rigoni, Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Speranza, Tabacci, Tidei, Velo, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 20 maggio 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   RIZZETTO ed altri: «Disposizioni concernenti l'obbligo di installazione di defibrillatori semiautomatici e automatici esterni presso gli istituti scolastici pubblici» (2393);
   VEZZALI: «Introduzione dell'insegnamento del primo soccorso nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado e dell'obbligo di installazione di strumenti di primo soccorso e di apparecchi defibrillatori presso le medesime scuole» (2394);
   CAUSI: «Modifica all'articolo 11 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di scaglioni per la determinazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, e destinazione delle maggiori entrate all'attuazione del reddito minimo di inserimento» (2395);
   SANDRA SAVINO: «Modifiche alla legge 1o aprile 1981, n. 121, concernenti le norme di comportamento politico degli appartenenti alle forze di polizia e la soppressione del divieto di iscrizione ai partiti politici» (2396);
   CAPEZZONE: «Riforma della disciplina delle tasse automobilistiche e altre disposizioni concernenti l'imposizione tributaria sui veicoli» (2397);
   CAPEZZONE: «Modifiche alla disciplina della riscossione coattiva di somme iscritte a ruolo» (2398).

  In data 21 maggio 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   CARFAGNA: «Istituzione di un Fondo di solidarietà per le vittime dei crimini violenti» (2399);
   FERRANTI: «Introduzione dell'articolo 25-ter-decies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, concernente le sanzioni applicabili alle persone giuridiche per i reati tributari» (2400).

  In data 22 maggio 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE PELLEGRINO: «Modifica all'articolo 1 della Costituzione, in materia di riconoscimento della bellezza quale elemento costitutivo dell'identità nazionale» (2401);
   PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE LA RUSSA ed altri: «Modifiche agli articoli 97, 117 e 119 della Costituzione, concernenti il rapporto tra l'ordinamento italiano e l'ordinamento dell'Unione europea» (2402);
   CENNI: «Istituzione della Giornata nazionale dell'educazione alimentare e della prevenzione dei disturbi alimentari» (2403).

  In data 23 maggio 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   MELILLA: «Modifica all'articolo 81 della legge 1o aprile 1981, n. 121, in materia di aspettativa degli appartenenti alle forze di polizia candidati a elezioni politiche o amministrative» (2404);
   ZOLEZZI ed altri: «Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di procedure di valutazione ambientale» (2405).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

  La proposta di legge BONAFEDE ed altri: «Modifiche all'articolo 3 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, in materia di presupposti per la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio» (1288) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Sorial.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  KYENGE ed altri: «Disposizioni per la modifica o l'abrogazione di norme discriminatorie» (2139) Parere delle Commissioni II, V, VII, VIII, IX, XI, XII e XIV.

   II Commissione (Giustizia):
  IORI ed altri: «Norme sull'ordinamento penitenziario minorile e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà nei confronti dei minorenni, nonché modifiche al codice penale in materia di pene e di sanzioni sostitutive per i soggetti che hanno commesso reati nella minore età» (2151) Parere delle Commissioni I, V, VII, VIII, IX, XI, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   VI Commissione (Finanze):
  CAPEZZONE: «Riforma della disciplina delle tasse automobilistiche e altre disposizioni concernenti l'imposizione tributaria sui veicoli» (2397) Parere delle Commissioni I, V, VIII, IX, X e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  CAPEZZONE: «Modifiche alla disciplina della riscossione coattiva di somme iscritte a ruolo» (2398) Parere delle Commissioni I, II, V e VIII.

   VII Commissione (Cultura):
  FOSSATI e BLAZINA: «Disciplina dello sport di cittadinanza» (773) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  FOSSATI: «Disposizioni per la tutela dei segni distintivi delle società sportive, enti e federazioni, e per la disciplina della loro utilizzazione commerciale e delle sponsorizzazioni sportive» (774) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e XIV.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 20 maggio 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Cassa depositi e prestiti Spa, per gli esercizi 2011 e 2012. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 147).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VI Commissione (Finanze).

Trasmissione dal Ministro degli affari esteri.

  Il Ministro degli affari esteri, con lettera in data 21 maggio 2014, ha comunicato, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 6 febbraio 1992, n. 180, concernente la partecipazione dell'Italia alle iniziative di pace e umanitarie in sede internazionale, l'intenzione di concedere un contributo all'Associazione «Nessuno tocchi Caino» per la realizzazione di azioni nel continente africano nell'ambito della campagna promossa per l'abolizione della pena di morte nel mondo.

  Questa comunicazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

   La Commissione europea, in data 20 e 21 maggio 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Un ruolo più incisivo del settore privato nella crescita inclusiva e sostenibile dei paesi in via di sviluppo (COM(2014)263 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Relazione della Commissione al Comitato economico e finanziario ai sensi dell'articolo del regolamento (UE) n. 1210/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2010, relativo all'autenticazione delle monete in euro e al trattamento delle monete non adatte alla circolazione (COM(2014)277 final), corredata dal relativo allegato (COM(2014)277 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla governance delle strategie macroregionali (COM(2014)284 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
   Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo – Strategia per la riduzione del consumo di carburante e delle emissioni di CO2 dei veicoli pesanti (COM(2014)285 final) e relativo documento di accompagnamento – Documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2014) 159 final), che sono assegnati in sede primaria alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e IX (Trasporti);
   Comunicazione congiunta della Commissione europea e della Alta rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza al Parlamento europeo e al Consiglio – Elementi per una strategia dell'Unione europea in Afghanistan per il periodo 2014-16 (JOIN(2014) 17 final), che è assegnata in sede primaria alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

  Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 1o aprile 2014, a pagina 5, prima colonna, le righe dalla undicesima alla sedicesima devono intendersi soppresse e, dopo la ventisettesima riga, devono intendersi inserite le seguenti:
   «ROCCHI ed altri: “Disposizioni per il riconoscimento del servizio prestato nelle scuole materne ai fini giuridici, economici e di carriera in favore dei docenti delle scuole secondarie” (1833) Parere delle Commissioni I, V e VII».

  Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 16 aprile 2014, a pagina 4, seconda colonna, quintultima riga, dopo la parola: «IX,» si intende inserita, la seguente: «X,».

MOZIONI BERGAMINI ED ALTRI N. 1-00426, ZACCAGNINI E PISICCHIO N. 1-00473, COVA ED ALTRI N. 1-00474, MASSIMILIANO BERNINI ED ALTRI N. 1-00476, CAON ED ALTRI N. 1-00477 E DORINA BIANCHI N. 1-00478 CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DEL SETTORE DELL'APICOLTURA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    l'apicoltura rappresenta un particolare comparto, fra i più complessi del settore agricolo, in cui le funzioni principali sono rappresentate dall'attività economica e dallo sviluppo rurale, dalla produzione di miele e di altri prodotti dell'alveare, e si caratterizza dalla diversità delle condizioni di produzione e di resa, nonché dalla frammentazione e dalla molteplicità degli operatori;
    l'ampio interesse che tale segmento riveste nello sviluppo agricolo e per il quale è stata riconosciuta la «valenza nazionale», attraverso numerose produzioni di miele di qualità a marchio dop e igp, conferma l'importanza economica che il settore apicolo riveste in Italia, il cui giro d'affari legato alla produzione di miele, cera, polline e altri prodotti apistici, ammonta intorno ai 65 milioni di euro annui, anche grazie agli interventi volti sia a favorire nuove iniziative imprenditoriali, che a fronteggiare il fenomeno della mortalità delle api legata all'uso crescente di insetticidi tossici;
    il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, a seguito dell'approvazione della legge 24 dicembre 2004, n. 313, che ha riconosciuto l'apicoltura come attività di interesse nazionale, ha provveduto, nel recente passato, a elaborare uno specifico documento programmatico all'interno del quale furono indicate una serie di linee strategiche a sostegno del medesimo comparto, sia di carattere finanziario che d'informazione, per la valorizzazione delle produzioni apistiche, la tutela della salute dei consumatori e l'educazione alimentare, oltre che per lo sviluppo dei programmi di ricerca e di sperimentazione, d'intesa con le organizzazioni apistiche;
    il sopra indicato documento d'indirizzo indicava, inoltre, l'attivazione di sistemi volontari di rintracciabilità volti a ricomprendere l'analisi sui controlli di sicurezza e di qualità dei prodotti apistici, finalizzati anche alla complessità del fenomeno degli spopolamenti degli alveari e della moria delle api ed all'impiego in agricoltura di prodotti fitosanitari a base di neonicotinoidi;
    la rilevante mortalità delle api registratasi negli ultimi anni, che ha determinato un impatto economico negativo per gli operatori del settore, rappresentando, inoltre, una minaccia per la tutela della biodiversità, ha inciso negativamente in maniera particolarmente grave sull'intera filiera, stimolando la messa in atto, sia a livello comunitario che nazionale, di azioni volte a contrastare l'epidemia delle api all'interno di un ampio quadro di monitoraggio ambientale, attuato attraverso l'impiego delle api quali indicatori dell'inquinamento da fitofarmaci e altri agenti;
    il fenomeno degli spopolamenti degli alveari e della moria delle api, manifestatosi nella sua gravità con l'eccezionale tasso di mortalità verificatosi nel corso dell'anno 2008, ha indotto il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ad avviare un monitoraggio nazionale denominato «Rete per il monitoraggio dei fenomeni di spopolamento e mortalità degli alveari in Italia (Apenet)», finalizzato alla raccolta di informazioni sullo stato di salute delle api sul territorio nazionale e sulla presenza e distribuzione geografica dei virus delle api e dei residui di pesticidi, acaricidi e neonicotinoidi in api, polline e cera, che minacciano la tutela degli insetti, dalla cui impollinazione dipende l'80 per cento delle colture agricole;
    la sopra indicata ricerca ha dimostrato l'inaccettabilità d'utilizzo dei pesticidi sistemici come concianti dei semi, l'effetto sinergico e di interazione a cui viene sottoposto l'alveare, nonché il legame tra la presenza di pesticidi e di una serie di fenomeni patologici;
    in ambito comunitario, la Commissione europea, a seguito delle conclusioni del rapporto sul settore dell'apicoltura destinato al Parlamento europeo e al Consiglio predisposto dal Commissario all'agricoltura Dacian Ciolos, ha ribadito l'intenzione di sostenere l'apicoltura europea, attraverso l'introduzione di nuove misure di sviluppo rurale finalizzate a favorire i giovani agricoltori nell'ammodernamento delle aziende e ad interventi agro-ambientali per rafforzare la presenza di piante mellifere per il sostentamento delle colonie di api;
    le emergenze sanitarie alla base della moria delle api sono aggravate dall'assenza di un adeguato quadro regolatorio internazionale, per cui gli apicoltori riscontrano evidenti difficoltà in considerazione sia della mancanza di un adeguato supporto da parte dei servizi veterinari, che di una legislazione in tema di etichettatura che risulta carente;
    il regolamento (UE) n. 1169 del 25 ottobre 2011, che disciplina l'etichettatura dei prodotti alimentari, inclusi quelli dell'alveare, stabilisce un periodo transitorio di tre anni dalla pubblicazione (22 novembre 2011), entro il quale l'apicoltore deve conformarsi alle nuove regole, consentendo la possibilità di utilizzare etichette conformi alla vecchia normativa, estesa a cinque anni per quanto riguarda l'etichettatura nutrizionale;
    le novità apportate dal sopra indicato regolamento comunitario per i prodotti, quali miele, polline e pappa reale, risultano, tuttavia, limitate se si considera come rimanga facoltativa l'indicazione delle caratteristiche nutrizionali, a cui si aggiunge la difficoltà che all'interno dello stesso campo visivo devono essere riportate la denominazione di vendita e la quantità netta, eliminando, fra l'altro, l'obbligo di riportare il termine minimo di conservazione;
    le articolate complessità che coinvolgono il settore apistico, nell'ambito delle sostanze farmacologiche autorizzate per l'utilizzo in apicoltura, richiedono, inoltre, un maggiore rigore per la salvaguardia della salute umana, nonché delle procedure più snelle nell'ambito dell'autorizzazione all'immissione in commercio dei medicinali destinati alle api;
    ulteriori esigenze di carattere finanziario si rilevano, fra l'altro, nell'ambito della necessità di attribuire adeguate risorse all'apicoltura per l'aggiornamento di nuove metodiche per la diagnosi, nuovi strumenti terapeutici e nuovi protocolli di intervento da applicare per le più gravi malattie delle api;
    le numerose iniziative parlamentari presentate sia nella XVI che nella XVII legislatura volte ad impegnare il Governo, sia in ambito nazionale che comunitario, all'introduzione di misure volte a fronteggiare l'emergenza causata dalla mortalità delle api, che purtroppo da alcuni anni registra una drastica diminuzione dei finanziamenti previsti per il suo contrasto, nonché al coordinamento di un'azione sinergica con gli altri Stati membri a sostegno del settore apicolo, anche all'interno della politica agricola comune, che ha determinato, fra l'altro, la moratoria sull'uso di determinati pesticidi a partire dal 1o dicembre 2013, confermano un'attenzione complessiva degli organismi nazionali e comunitari sulla filiera interessata ed il ruolo negativo che i pesticidi neonicotinoidi ricoprono, compromettendo, oltre ad uno dei settori più importanti e fiorenti della produzione agricola italiana, anche la qualità dell'ambiente e della salute,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere, nell'ambito del processo autorizzativo relativo all'immissione in commercio dei medicinali veterinari per il settore apistico, l'introduzione di una nuova disciplina volta a garantire una maggiore tutela e salvaguardia della salute umana, una riduzione dei tempi previsti per la realizzazione delle prove cliniche relative alla sperimentazione clinica di nuovi principi attivi da poter impiegare per la lotta alle malattie delle api e l'introduzione di tariffe agevolate;
   ad assumere iniziative per prolungare il periodo di autorizzazione indicato dal comma 3 dell'articolo 13 del decreto legislativo 6 aprile 2006, n. 193, per quanto riguarda le domande semplificate di autorizzazione all'immissione in commercio di medicinali veterinari per i medicinali generici;
   ad attivarsi presso l'Agenzia europea dei medicinali (European medicines agency - Emea) affinché avvii una fase di ricerca avanzata che studi anche eventuali nuovi principi attivi e conseguenti limiti massimi residuali per farmaci potenzialmente impiegabili per l'immediato futuro in apicoltura;
   ad assicurare, nell'ambito dei finanziamenti destinati alla sanità ed ai diversi settori zootecnici, adeguate risorse da attribuire all'apicoltura per la messa a punto di nuove metodiche per la diagnosi, nuovi strumenti terapeutici e nuovi protocolli di intervento da applicare per le più gravi malattie delle api;
   a definire una procedura semplificata di autorizzazione per l'importazione e l'utilizzo degli antagonisti biologici e l'uso di acaricidi utili per combattere parassiti vegetali ed animali che provocano gravi danni alla produzione agricola;
   a promuovere, per quanto di competenza, l'insegnamento della patologia apistica;
   ad assumere iniziative per prevedere la possibilità di consentire su tutto il territorio nazionale, in accordo con la Conferenza Stato-regioni, in ottemperanza delle norme tecniche e nell'ambito del piano urbanistico regionale, la realizzazione di nuovi annessi agricoli per il settore dell'apicoltura, in considerazione delle attuali difficoltà riscontrate dagli operatori apistici nel rientrare nei parametri utilizzati dalle amministrazioni, relativi di solito all'estensione dei terreni in possesso dell'azienda e non, per esempio, al numero di arnie possedute, per ottenere i nuovi volumi;
   a modificare e, se necessario, a sostituire con un nuovo decreto, data la mutata situazione epidemiologica delle diverse patologie riguardanti le api, il regolamento di polizia veterinaria (decreto del Presidente della Repubblica n. 320 del 1954), in quanto gli articoli 154, 155, 156, 157 e 158 del suddetto regolamento prevedono misure troppo restrittive e non risolutive per il settore apistico;
   ad intervenire, infine, in sede europea al fine di prevedere, nell'ambito della disciplina di etichettatura, che la provenienza del polline utilizzato nei prodotti sia espressamente indicata.
(1-00426) «Bergamini, Russo, Polverini, Latronico, Biasotti, Petrenga, Picchi, Ravetto, Vella, Giammanco, Francesco Saverio Romano, Carfagna, Rotondi, Mottola».


   La Camera,
   premesso che:
    la moria delle api che si è verificata in questi ultimi anni in tutto il mondo ha raggiunto dimensioni tali da poter essere considerata un fattore che mette a repentaglio l'intera agricoltura mondiale. È stato stimato che circa il 35 per cento del cibo che l'uomo consuma dipende direttamente, attraverso l'impollinazione di frutta e colture vegetali in generale, o indirettamente, tramite l'impollinazione di campi coltivati a foraggio per il bestiame, dall'attività svolta dalle api. Sono questi i veri problemi dell'apicoltura alla quale oggi le istituzioni non sanno offrire risposte adeguate per tutelare un settore che in Italia conta 1,2 milioni di alveari per un giro d'affari di 60 milioni di euro. In Italia gli apicoltori sono 50.000, di cui 7.500 «professionisti» che totalizzano un fatturato di circa 25 milioni di euro. A ciò si aggiunge il fatto che le api concorrono per l'80 per cento al lavoro di impollinazione e l'alimentazione umana dipende per un terzo da coltivazioni impollinate attraverso il lavoro degli insetti. In più, il valore aggiunto totale per il servizio di impollinazione delle colture è stato stimato in 14,2 miliardi di euro. In tutto il mondo, invece, il valore economico totale dell'impollinazione svolta dalle api è stato pari a 153 miliardi di euro (Moritz et al., 2010);
    da un recente studio dell'Efsa, pubblicato nel marzo 2014, le api, soprattutto quelle allevate, svolgono un ruolo importante nell'impollinazione di una vasta gamma di colture e piante selvatiche. La produzione di circa l'80 per cento delle 264 specie coltivate nell'Unione europea dipende direttamente dagli insetti impollinatori, per la maggior parte api, e, secondo le stime, il valore monetario annuo globale dell'impollinazione ammonta a miliardi di dollari. Oltre a contribuire all'impollinazione, le api ci forniscono anche alimenti e servizi alimentari: miele, polline, larve, cera per la lavorazione di alimenti, propoli nella tecnologia alimentare e pappa reale come integratore alimentare e ingrediente di alimenti;
    dunque, un fatto è certo: l'importanza delle api allevate è oggigiorno sempre maggiore. Anche dagli Stati Uniti arrivano dati allarmanti sulla mortalità delle api. Qui le morie sono state attribuite a una sindrome sconosciuta, chiamata colony collapse disorder. Recenti studi suggeriscono che il colony collapse disorder sia causato dall'interazione fra patogeni e altri fattori di stress, fra i quali l'acaro parassita Varroa destructor (Anderson & Trueman), un pericoloso killer che succhia il sangue alle api e che sembra svolgere il ruolo più importante. Nel Vecchio Continente negli ultimi anni si sono verificate gravi perdite di alveari. Tuttavia, il fenomeno è stato poco documentato e ha perciò ricevuto un'attenzione inferiore rispetto a quanto verificatosi negli Stati Uniti (Potts et al., 2010). I trattamenti, ad oggi riconosciuti, in Italia, per combattere la Varroa, sono l’Api-Bioxal (a base di acido ossalico), Apiguard, ApilifeVar, ma sono ancora troppo pochi per far fronte all'emergenza. Non è certo un caso che gli apicoltori rivolgano grida d'aiuto al Ministero della salute per avere a disposizione armi autorizzate e più efficaci per far fronte all'emergenza. Si ricorda che il miele è un alimento e deve avere le stesse garanzie produttive che hanno a disposizione allevatori e agricoltori, perché le api sono un allevamento a tutti gli effetti. Ma a far morire le api è anche l'uso scriteriato dell'arsenale chimico tossico che viene impiegato in agricoltura. Praticamente si spara sulle colture con il cannone, quando basterebbe un modesto tiro di cerbottana. Quando entrano in scena i pesticidi, come i neonicotinoidi e altri che vengono utilizzati per contrastare i parassiti che colpiscono le piante, si parla di avvelenamento. Il fenomeno riguarda tutta la penisola. Le morie per avvelenamento, in genere, sono facilmente distinguibili in seguito al ritrovamento di fronte all'alveare di migliaia di api morte, sulle quali è normalmente possibile, attraverso test di laboratorio, rinvenire i residui dei prodotti responsabili dell'intossicazione acuta. Per ovviare a tale problema si possono adottare azioni appropriate, come, ad esempio, la sospensione dell'utilizzo degli agrofarmaci incriminati o la limitazione del loro uso (Moritz et al., 2010). La correlazione fra l'uso di neonicotinoidi e moria d'api trova letteratura non solo in ambito scientifico, ma anche nei tribunali. Nel 2011 il procuratore Raffaele Guariniello, in forza alla procura della Repubblica di Torino, ha condotto un'inchiesta sulle cause della strage delle api e l'ha chiusa inviando agli amministratori delegati di Bayer CropScience di Milano e di Syngenta Crop Protection Italia, l'avviso di conclusioni delle indagini per il reato di diffusione di malattie degli animali pericolose per il patrimonio zootecnico e per l'economia nazionale. Un reato, quello contestato da Guariniello ai due manager delle case farmaceutiche principali produttrici dei neonicotinoidi responsabili della moria delle api, per il quale è prevista una pena che va da uno a cinque anni di reclusione. Il procuratore Guariniello, grazie ad una sperimentazione sul campo, ha potuto evidenziare il rapporto di causa ed effetto fra la moria delle api e le sostanze incriminate. Le api, stando alle indagini del magistrato, non si intossicano all'atto dell'impollinazione, ma si impolverano con dosi letali del prodotto, volando vicino ai campi di mais durante la semina;
    nell'aprile 2014 l'associazione Greenpeace ha redatto e diffuso il dossier «Api, il bottino avvelenato», dal quale emerge come in 12 Paesi europei vi sia presenza di fungicidi intorno ai vigneti italiani. Oltre due terzi del polline raccolto dalle api nei campi europei, e portato negli alveari, è contaminato da un cocktail di pesticidi tossici. Secondo l'associazione ambientalista, le sostanze chimiche rilevate nei pollini comprendono insetticidi, acaricidi, fungicidi ed erbicidi, prodotti da aziende agrochimiche come Bayer, Syngenta e Basf. Per lo studio sono stati prelevati simultaneamente oltre 100 campioni provenienti da 12 Paesi, che hanno portato a individuare 53 diverse sostanze chimiche. Il rapporto evidenzia alte concentrazioni e un'ampia gamma di fungicidi presenti nel polline raccolto vicino ai vigneti in Italia; l'uso diffuso di insetticidi killer delle api in quello dei campi polacchi; la presenza di dde – un prodotto di degradazione del ddt – in Spagna, il ritrovamento frequente del neonicotinoide thiacloprid in molti campioni raccolti in Germania. «Le api, e non solo loro, sono potenzialmente esposte a veleni micidiali. Nel 2013, una drastica moria di insetti ha fatto schizzare i prezzi delle mandorle prodotte in California, provocando, sulla scia dell'effetto domino, l'aumento del costo anche di tutti gli altri prodotti legati alla coltura. Le perdite, in miliardi di euro o dollari, causate dalla scomparsa delle api non sono state determinate ancora nel loro complesso, ma ogni comparto agricolo esistente sulla faccia del pianeta sembra aver fatto i suoi conti: negli Stati Uniti si parla di 8-12 miliardi di dollari di danno, in Europa, nel 2008, l'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) aveva parlato di 250 milioni di euro andati in fumo con i 200 mila alveari perduti l'anno precedente. Mantenere in vita le api, in sostanza, significa mantenere in vita l'agricoltura. Farle morire equivale a piegare un intero sistema economico. Vi è, inoltre, da evidenziare come nel rapporto nazionale «Pesticidi nelle acque» del 2013, l'Ispra aveva già diffuso i dati secondo i quali metà delle acque italiane avevano subito una forte contaminazione, dimostrando come l'uso di tali sostanze fosse dannoso per la salute dell'uomo. Dal rapporto dell'Ispra, realizzato sulla base delle informazioni fornite dalle regioni e dalle agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente, emerge che per la maggior parte si tratta di «residui di prodotti fitosanitari usati in agricoltura – solo in questo campo si utilizzano circa 350 sostanze diverse per un quantitativo superiore a 140.000 tonnellate impiegati in vari campi di attività». L'Ispra avverte che, a causa dell'assenza di dati sperimentali sugli effetti combinati delle miscele e di adeguate metodologie di valutazione, esiste la possibilità che il rischio derivante dall'esposizione ai pesticidi sia attualmente sottostimato. Le sostanze concepite per combattere organismi nocivi, infatti, sono potenzialmente pericolose anche per l'uomo;
    dal 1o dicembre 2013, tre insetticidi neonicotinoidi, il thiamethoxam (prodotto da Syngenta), l’imidacloprid e il clothianidin (prodotti da Bayer), sono parzialmente vietati per due anni nell'Unione europea per i comprovati effetti dannosi sulle api. È assolutamente necessario ricordare come l'Italia, mentre a marzo 2013 si era espressa favorevolmente per il bando dei neonicotinoidi, ha fatto una clamorosa retromarcia, votando contrariamente al bando nel maggio 2013 e non consentendo di raggiungere la maggioranza qualificata dei due terzi e il bando permanente di queste pericolosissime sostanze. Un voto, quello italiano, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, strumentalmente motivato dal fatto che il divieto avrebbe ricompreso anche gli alberi da frutto in prefioritura, per i quali sono invece ammessi altri prodotti di sintesi chimica come trattamenti protettivi;
    nel gennaio 2013, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha pubblicato tre pareri sui rischi derivanti dall'esposizione ai tre neonicotinoidi. L'Efsa ha esaminato effetti letali e sub-letali sulle api mellifere, concludendo che questi insetticidi determinano effetti acuti sulle api. In particolare, ha identificato effetti acuti e cronici sulla sopravvivenza e sullo sviluppo delle colonie di api, effetti sulle larve dall'esposizione tramite le polveri, dal consumo di residui di pesticidi nel polline e nel nettare contaminato e tramite l'esposizione al fluido di guttazione (nel caso del mais). Sono stati verificati, inoltre, effetti sul comportamento delle api e rischi associati a dosi sub-letali. A seguito delle conclusioni dell'Efsa, il 24 maggio 2013 la Commissione europea, appoggiata dalla maggioranza dei Paesi membri, ha decretato il bando parziale dei tre pesticidi neonicotinoidi. Con l'implementazione del regolamento europeo n. 485/2013 si vieta l'uso di clothianidin, thiamethoxam e imidacloprid sulle colture che attraggono le api. Il regolamento ne vieta l'uso per la concia dei semi, per il trattamento del suolo o l'applicazione fogliare per le seguenti colture: mais, colza, soia, orzo, miglio, avena, riso, segale, sorgo e frumento. Dal 1o dicembre 2013 è vietata anche la vendita di semi trattati con i tre neonicotinoidi. Tuttavia, il regolamento comprende anche numerose eccezioni. Ad esempio, il bando non si applica nei sistemi chiusi come le serre, né per le colture considerate non attrattive per le api, quali i cereali invernali. Il regolamento europeo stabilisce che, nei due anni dall'entrata in vigore, la Commissione europea dovrà effettuare l'analisi delle nuove informazioni scientifiche ricevute sui pesticidi in questione. La Commissione europea deciderà poi se è più appropriato rimuovere il bando, prolungarlo temporaneamente o renderlo permanente;
    vale comunque la pena ricordare in questa sede che il 5 dicembre 2013 il Ministero della salute ha emesso con proprio decreto l'autorizzazione del prodotto fitosanitario Sonido contenente la sostanza attiva thiacloprid della Bayer CropScience secondo la procedura di «riconoscimento reciproco» con altro Stato membro (Francia). Trattasi di un neonicotinoide di tossicità di poco inferiore agli altri, ma potenzialmente nocivo;
    va, tuttavia, segnalato come il Collegio nazionale degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati, nell'atto di impugnazione al tribunale amministrativo regionale del Lazio del Piano nazionale sui fitofarmaci, abbia evidenziato come oltre l'80 per cento delle aziende agricole sia priva dell'autorizzazione all'acquisto dei fitofarmaci, che evidentemente vengono reperiti attraverso canali non regolari e non tracciati, circostanza che rischia di vanificare qualunque disposizione prescrittiva sull'uso dei neonicotinoidi, posto che si applicherebbe solo sul 20 per cento delle aziende con regolare autorizzazione e per il restante 80 per cento delle aziende l'applicazione delle norme resterebbe affidata al buon senso delle stesse;
    con il regolamento (CE) n. 889/2008 sono state introdotte importanti novità in merito alla conduzione dell'apicoltura con il metodo biologico: circa l'origine degli animali, per le api si fa esplicito invito a privilegiare le sottospecie locali di apis mellifera. Per il rinnovo degli apiari, è ammesso il ricorso a regine e sciami non biologici nella misura massima del 10 per cento. L'ubicazione degli apiari, nei periodi di produzione, deve garantire che nel raggio di 3 chilometri vi siano fonti nettarifere e pollinifere biologiche o spontanee. Le pratiche di integrazione alimentare possono essere autorizzate solo impiegando miele, zucchero o sciroppo di zucchero biologici. Le colonie malate o infestate possono essere sottoposte a trattamenti con i medicinali veterinari autorizzati ai sensi delle vigenti normative nazionali e comunitarie. Gli alveari posti sotto controllo chimico debbono essere isolati in apposito apiario e la cera completamente sostituita. È ammesso l'impiego di tutti gli acidi organici (formico, lattico, acetico e ossalico) e dei cristalli evaporanti (mentolo, timolo, eucaliptolo, canfora). Sono ammessi apiari biologici e non biologici nell'ambito della stessa azienda. È consentito l'uso di cera non biologica, se si dimostra che essa è estranea alla presenza di residui non ammessi;
    è molto importante segnalare che molto recentemente, il 7 aprile 2014, la Commissione europea ha invitato ad una conferenza a Bruxelles sulla salute delle api (Better bee health conference) 400 esperti del settore apicoltura e benessere animale per discutere dei diversi possibili approcci al problema del declino del settore;
    il Commissario per la salute Borg ha aperto i lavori presentando il progetto dell'Unione europea Epilobee, attività questa senza precedenti, che dall'autunno 2012 ha prodotto il primo inventario ufficiale sulla mortalità delle api (causate da malattia) nell'Unione europea, eseguito in modo volontario dai veterinari di 17 Paesi membri;
    il tasso di mortalità accettabile in Europa è del 10 per cento, ma il dato emerso dallo studio è superato in 2/3 dei Paesi;
    il Commissario Borg ha anche lanciato l'allarme sullo stato di salute di tutti gli impollinatori che non sono sotto stretta sorveglianza;
    dall'ultimo rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente si evince che, per esempio, negli ultimi 20 anni il numero delle farfalle da prateria in Europa si è ridotto del 50 per cento (Piergiorgio Liberati, Apitalia, novembre 2013);
    in considerazione del fatto che solo un dialogo regolare e buone prassi potranno fornire un aiuto concreto agli apicoltori (salute non solo delle api, ma anche dell'apicoltore), nel Parlamento europeo il prossimo mandato contemplerà un gruppo dedicato all'apicoltura. Le nuove informazioni scientifiche hanno il potenziale di produrre nuove leggi e nuove prassi con un limite di quanto è facoltà della Commissione europea, ma devono stimolare importanti cambiamenti a livello locale;
    il valore dell'impollinazione in Europa si aggira sui 20 miliardi di euro e da qui nasce l'auspicio di aumentare i finanziamenti agli apicoltori, riconoscendo all'apicoltura il ruolo non solo di attività lucrativa, ma ecosociale;
    le api si devono anche considerare «animali sentinella» o «campanelli d'allarme» per la salute dell'uomo. Si rilevano ancora picchi di mortalità in certe regioni (30 per cento) dovuti a tossicità cronica da contaminazione delle cere o esposizione a prodotti concianti che producono una contaminazione costante e grave non solo per le api. L'agricoltura intensiva riduce la quantità di fiori in molte aree, favorendo il nomadismo e l'aumento di fattori stressanti per le api cui consegue un aumento della mortalità e dunque delle importazioni (anche di nuovi virus e parassiti);
    anche in considerazione del fatto che il 35 per cento dell'alimentazione umana dipende dalle api, vanno seriamente presi in considerazione i tre più importanti fattori di rischio per le api:
   a) pesticidi;
   b) varroa;
   c) dieta;
    nonché, a seguire:
   d) la conduzione delle colonie;
   e) malattie;
   f) predatori;
   g) cambiamenti climatici;
   h) organismi geneticamente modificati;
    in generale ci si è anche chiesto in quale misura sia possibile l'uso di pesticidi in presenza di api, considerando che il sistema normativo dovrebbe essere più rigoroso per consentirne un uso sostenibile, vigilando sui requisiti tecnici e sui macchinari a garanzia di un livello elevato di salute animale e ambientale;
    andrebbe attentamente valutata la concessione di autorizzazione di agrofarmaci, in quanto se anche si dimostrano effetti trascurabili su api, si dovrebbero approfondire le analisi degli effetti delle sostanze su larve e comportamento degli adulti, valutando anche i rischi di residui su polline, nettare, acqua e nuvola di polvere;
    l'Associazione per l'agricoltura biodinamica promuove da anni un approccio di maggiore attenzione per le attitudini delle famiglie di api e i protocolli dell'allevamento biologico e biodinamico (Demeter), che sono particolarmente rispettosi, imponendo modifiche alle tecniche apistiche oggi in uso e un'alimentazione consona alla specie;
    non va dimenticato, infine, che sostanze come chlorpyriphos, cipermetrina e deltametrina sono riconosciute come dannosissime per le api, ma non sono incluse nel bando provvisorio attualmente in vigore. Inoltre, imidacloprid, thiamethoxam e clothianidin hanno una vasta gamma di applicazioni su differenti colture e solo un limitato numero di queste viene contemplato dal bando;
    un recente studio commissionato da Greenpeace Olanda e condotto dal centro di ricerca Centrum voor Landbouw en Milieu ha stimato che solo il 15 per cento dell'utilizzo complessivo di questi pericolosi pesticidi è stato vietato dal bando. La valutazione dell'Efsa è focalizzata sulle api mellifere, mentre non considera gli studi scientifici che evidenziano l'impatto dei tre pesticidi su altri importanti insetti impollinatori e invertebrati. Per esempio, i bombi che si nutrono del polline delle piante di patate, una coltura comunemente trattata con questi pesticidi,

impegna il Governo:

   a sostenere in sede europea il bando permanente e totale dei tre pesticidi neonicotinoidi, principale causa della moria delle api (evitando quanto accaduto nel maggio 2013 quando fu impedito il raggiungimento della prevista maggioranza qualificata dei due terzi per il bando permanente), assumendo iniziative per colmare alcune carenze con cui è stato concepito il provvedimento comunitario, in particolare integrando nel divieto anche le serre e le coltivazioni apparentemente non attrattive per le api quali i cereali invernali;
   ad assumere iniziative al fine di allargare l'estensione del bando a tutte le sostanze di sintesi chimica riconosciute dannose e letali per le api e gli insetti impollinatori, risultando insufficienti le restrizioni incluse nell'attuale divieto temporaneo di due anni che si applicano solo su una parte dei pesticidi tossici per le api attualmente in commercio in Europa;
   ad attivarsi per sostenere finanziariamente progetti specifici di sperimentazione e di biomonitoraggio con le api stesse, per trovare soluzioni terapeutiche che riducano l'utilizzo di fitofarmaci e prediligano un riequilibrio delle popolazioni di api andate perse, prendendo in considerazione, altresì, la necessità di finanziare ulteriori studi di ricerca per stabilire le correlazioni fra specifici fitofarmaci, pesticidi e diserbanti e le cause delle morie di api, già generalmente dimostrate da studi internazionali;
   a sostenere progetti di ricerca su apiari di dimensioni modificate, come già avviene sperimentalmente in tutta Europa dove sono state avviate tecniche apistiche tradizionali e alternative che prevalentemente utilizzano alveari con dimensioni diverse e maggiorate (metodo Perone), in cui l'alveare trova la «sua» dimensione di espansione, posto che questo migliora il processo di crescita della famiglia di api e ne rinforza la resistenza alla Varroa e alla tossicità nell'ambiente e ne migliora la genetica;
   ad accedere ai finanziamenti previsti per il settore dell'innovazione e della ricerca in agricoltura, con particolare riferimento all'apicoltura, tenuto conto che con il regolamento (UE) n. 1291/2013 dell'11 dicembre 2013, è stato istituito Horizon 2020, il principale programma dell'Unione europea per il finanziamento della ricerca e dell'innovazione, con oltre 77 miliardi di euro in sette anni, dal 2014 al 2020 (con un incremento di quasi il 33 per cento rispetto al periodo di programmazione finanziaria 2007-2013);
   ad assumere iniziative per modificare il Piano nazionale sui fitofarmaci emanato pochi mesi fa ed il decreto legislativo n. 150 del 2012, nel senso di valorizzare, come richiesto dalla direttiva 2009/128/CE, il ruolo dei tecnici agricoli liberi professionisti e addivenire ad un sistema certificato di vendita ed utilizzo dei fitofarmaci, basato su di una reale consulenza fitoiatrica e non, come accade attualmente, su disposizioni solo formali, incapaci di produrre un qualunque effetto diverso dalla moltiplicazione degli adempimenti burocratici;
   ad impegnarsi con maggior vigore per l'attuazione del regolamento (CE) n. 889/2008 sull'apicoltura biologica e a supportare le istanze dell'Associazione per l'agricoltura biodinamica, da sempre attenta al benessere degli insetti impollinatori;
   ad attivarsi affinché siano promossi, stante l'importanza che ha l'ape per l'ecosistema e per la sussistenza di ogni essere umano, finanziamenti di pascoli nettariferi diffusi con progetti dedicati (nel Piano di sviluppo rurale), come già avviene negli altri Stati membri;
   ad adoperarsi, infine, anche in base a quanto emerso nella Conferenza svoltasi presso la Commissione europea il 7 aprile 2014 a Bruxelles, affinché siano previsti adeguati incentivi istituzionali, anche in sede internazionale, per favorire quanti allevano le api con metodi rispettosi delle loro esigenze vitali.
(1-00473) «Zaccagnini, Pisicchio».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    secondo le stime dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao), delle 100 specie di colture che forniscono il 90 per cento di prodotti alimentari in tutto il mondo, 71 sono impollinate dalle api;
    nonostante la grande moria di alveari verificatasi dal 2008, l'Italia è al quarto posto in Europa con un patrimonio apistico di 1.300.000 alveari, 50.000 apicoltori, per un fatturato complessivo di 60 milioni di euro che arriva a 2,5 miliardi di euro se si considera l'incremento produttivo che le api generano in agricoltura attraverso l'impollinazione;
    l'esportazione di miele, supportata dai sistemi di certificazione che ne garantiscono la qualità come quello del biologico, della denominazione di origine protetta e dell'indicazione geografica protetta, contribuisce ad incrementare il valore dell'export agroalimentare italiano grazie ai circa 10 mila quintali venduti ogni anno in Europa, Stati Uniti, Giappone e Paesi Arabi;
    in Italia l'apicoltura, considerata «attività agricola», ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile, costituisce, secondo la legge 24 dicembre 2004, n. 313, un settore di interesse nazionale utile per la conservazione dell'ambiente naturale, dell'ecosistema e dell'agricoltura in generale ed è finalizzata a garantire l'impollinazione naturale e la biodiversità di specie apistiche, con particolare riferimento alla salvaguardia della razza di ape italiana (apis mellifera ligustica spinola) e delle popolazioni di api autoctone tipiche o delle zone di confine;
    l'articolo 5 della legge n. 313 del 2004 prevede, in particolare, che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali predisponga il «documento programmatico per il settore apistico» anche sulla base di quanto disposto dall'articolo 1 del regolamento (CE) n. 797/2004 del Consiglio del 26 aprile 2004 relativo alle azioni dirette a migliorare le condizioni della produzione e della commercializzazione dei prodotti dell'apicoltura;
    il documento programmatico per il settore apistico sottolinea come, per la salute degli alveari, non sia più possibile prescindere da una corretta gestione igienico-sanitaria basata su specifiche ed efficaci misure di profilassi;
    nonostante l'impegno delle regioni nel combattere la moria delle api attraverso i programmi apistici regionali, anche nel 2014, il servizio «spia» (squadra di pronto intervento apistico) del progetto di monitoraggio Beenet, sotto l'egida del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha ricevuto decine e decine di segnalazioni da tutta Italia;
    le api sono contemplate nella Strategia dell'Unione europea 2007-2013 per la salute degli animali e nella legislazione sulla certificazione sanitaria di salute animale, che prevede i requisiti per i movimenti di api fra gli Stati membri (direttiva 92/65/CEE);
    il regolamento (CE) 1107/2009 ha, inoltre, stabilito che un prodotto fitosanitario possa essere autorizzato soltanto se, alla luce di un'adeguata valutazione del rischio, fondata su orientamenti per l'esecuzione di test riconosciuti a livello comunitario o internazionale, sia stabilito che, nelle condizioni d'utilizzo proposte, tale prodotto comporti un'esposizione trascurabile per le api, o non abbia alcun effetto inaccettabile acuto o cronico per la sopravvivenza e lo sviluppo della colonia, tenendo conto degli effetti sulle larve e sul comportamento delle api;
    a maggio del 2012, nel contesto della propria strategia per combattere la diminuzione del numero di api, la Commissione europea ha stanziato 3,3 milioni di euro a sostegno di 17 Stati membri che stanno effettuando studi di sorveglianza volti a raccogliere ulteriori informazioni sulle perdite di colonie di api da miele;
    secondo una relazione dell'Efsa, pubblicata il 13 marzo 2014, sul lavoro di valutazione del rischio ambientale per le api svolto nell'Unione europea, occorre una cooperazione più intensa tra agenzie, Stati membri e ricercatori per una migliore comprensione di come i fattori multipli di stress danneggino la salute delle api;
    per limitare la moria delle api l'Efsa ha, pertanto, proposto la creazione di una rete che comprenda il «Gruppo interservizi per le api» della Commissione europea, il laboratorio europeo di riferimento per la salute delle api, organismi degli Stati membri, come l'Agenzia francese per la sicurezza alimentare Anses, altre agenzie dell'Unione europea, come l'Agenzia europea per i medicinali (Ema) e organizzazioni internazionali;
    secondo il rapporto «Api, il bottino avvelenato» di Greenpeace international, pubblicato il 16 aprile 2014, che riporta i dati del più vasto studio condotto a livello europeo su oltre 100 campioni prelevati contemporaneamente in 12 Paesi, due pallottoline su tre, del carico di ciascuna ape bottinatrice, è contaminato da un micidiale cocktail di molecole tossiche (insetticidi, acaricidi, fungicidi ed erbicidi);
    i risultati dell'indagine hanno evidenziato che una delle più rilevanti cause della moria di api sia da attribuirsi all'impiego dei neonicotinoidi nella concia delle sementi di mais; la sospensione cautelativa di tali prodotti predisposta dal Governo ha prodotto, infatti, effetti benefici e la stessa Unione europea ha approvato, il 25 maggio 2013, la messa al bando di tre pesticidi appartenenti alla famiglia dei neonicotinoidi;
    per descrivere il fenomeno della moria delle api, alcuni scienziati americani hanno studiato il colony collapse disorder, una sindrome dello spopolamento degli alveari caratterizzata dalla rapida perdita della popolazione di api operaie adulte, per la quale non è stata individuata un'unica causa, ma sono stati indicati diversi fattori concomitanti, che agiscono in combinazione fra loro o separatamente;
    fra i predetti fattori si annoverano, oltre ai noti effetti dell'agricoltura intensiva e dell'uso di pesticidi, la scarsa o del tutto insufficiente alimentazione delle api, i virus, tra i quali la peste americana, Nosema spp, Covata calcificata causata da Ascospherosi, gli attacchi di agenti patogeni e delle specie invasive, come, ad esempio, l'acaro varroa (Varroa destructor), la vespa asiatica (Vespa velutina), il piccolo scarabeo dell'alveare (Aethina tumida) e l'acaro Tropilaelaps, i vegetali geneticamente modificati e i cambiamenti ambientali, quali la frammentazione e perdita dell’habitat;
    a differenza degli altri animali non è la singola ape ad essere allevata ma il super organismo, comunemente definito «colonia», costituito dall'insieme degli insetti e da tutti gli elementi che solidalmente ne fanno parte (le differenti caste di api, la covata, i diversi tipi di favi, le riserve di miele, di polline, la propoli, l'arnia in cui è contenuta);
    per tali ragioni l'allevamento delle api comporta una notevole specializzazione da parte degli apicoltori in quanto l'accudimento si svolge principalmente sulla base di osservazioni effettuate durante la visita delle colonie; la conduzione delle colonie richiede, quindi, una grande abilità e un intervento professionale continuativo da parte dei veterinari pubblici e privati quando si verifichino patologie a carico dell'alveare; lo stesso sistema «spia», in maniera incomprensibile, non prevede la figura del medico veterinario per le api;
    per poter definire una politica sanitaria di profilassi e prevenzione è necessaria la diagnosi di infezione o infestione o inquinamento dell'alveare da parte del veterinario aziendale libero professionista, che rileva le manifestazioni cliniche o subcliniche e le indagine di laboratorio e le comunica al servizio veterinario pubblico;
    una politica pubblica di profilassi deve, dunque, prevedere la formazione degli apicoltori e delle altre figure professionali che collaborano con loro (responsabili veterinari specializzati, istituti di ricerca e tecnici specializzati) ed attuare politiche sanitarie con la piena collaborazione e l'aiuto delle associazioni apistiche;
    attualmente i veterinari dotati di conoscenze apistiche adeguate sono molto pochi, talvolta completamente mancanti, pertanto non disponibili a intraprendere ispezioni in campo su vasta scala, quali visite complete di tutti gli alveari prima di prescrivere un medicinale veterinario;
    l'obiettivo da perseguire è, dunque, quello di disporre di una rete geografica di sufficienti competenze veterinarie nell'ambito di ciascuna regione;
    le differenze tra le api e le altre specie allevate non permettono, infatti, l'utilizzazione di prodotti farmaceutici per trasposizione e i farmaci che molti allevatori utilizzano hanno una ricaduta negativa sulla salute umana, in quanto non prevedono tempi di sospensione adeguati ad impedire che tali farmaci finiscano nella catena alimentare umana;
    la mancanza di medicinali, preventivi e curativi, efficaci per la lotta contro le diverse malattie o parassiti, e la sottovalutazione dei rischi dei residui conseguente all'assenza di metabolizzazione delle molecole facilitano e incoraggiano l'utilizzazione diffusa di sostanze chimiche illegali;
    l'Unione europea vieta l'uso di farmaci, antibiotici e sulfamidici in apicoltura proprio perché non si calcolano i tempi di sospensione; in particolare, non sono determinati i tempi di lmr (livello massimo di residuo) e comunque, indipendentemente da questo, la presenza dell'antibiotico permarrebbe all'interno dell'alveare trattato e inquinerebbe in maniera permanente la matrice dell'alveare, sensibilizzando le api per più tempo, anche successivamente ai trattamenti antibiotici; inoltre, le api trattate con antibiotici potrebbero distribuirlo sulle piante e sui fiori che vanno ad impollinare, determinando un ulteriore inquinamento del territorio,

impegna il Governo:

   al fine di consentire una corretta diagnosi del fenomeno della mortalità delle api, a promuovere un'indagine epidemiologica sulla presenza di malattie infettive e parassitarie delle api effettuata dai veterinari aziendali libero professionali, in collaborazione con i veterinari pubblici dipendenti e con la rete del sistema sanitario nazionale, servizio profilassi;
   a ribadire il divieto dell'uso di antibiotici e di sulfamidici nell'allevamento delle api, in linea con quanto stabilito dalla normativa europea e italiana che ne vieta l'utilizzo in considerazione del fatto che non è possibile determinare i tempi di lmr (livello massimo di residuo) e che la presenza dell'antibiotico permane all'interno dell'alveare a tempo indeterminato, sensibilizzando le api per più tempo anche in assenza di trattamenti antibiotici che riassumono il farmaco dalla matrice dell'alveare stesso;
   ad attuare una politica pubblica di profilassi e di prevenzione per affrontare le problematiche conseguenti alle patologie degli alveari, con lo scopo di impostare una medicina preventiva sulle api, attraverso l'aiuto e la piena collaborazione tra le associazioni apistiche e i veterinari pubblici e libero professionisti per favorire forme adeguate di tutela della salute delle api e di controllo sulla salubrità dei prodotti apistici;
   ad attuare, anche all'interno del piano di azioni per l'agroalimentare «Campolibero» promosso dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, un piano di assistenza tecnica volto a rafforzare le attività di supporto agli apicoltori (formazione, addestramento, informazione) per migliorare la conoscenza della salute dell'ape e la profilassi diretta in apiario ad opera di personale veterinario specializzato, personale ad oggi non previsto nei progetti «spia» e Beenet;
   ad assumere iniziative per migliorare, per quanto riguarda i veterinari, la conoscenza dell'ape e la formazione in patologia apistica, implementando lo sviluppo di formazione specifica in apicoltura negli studi universitari di medicina veterinaria e creando una rete di esperti in grado di fornire supporto ai veterinari per le visite di campo;
   ad assumere iniziative per sviluppare laboratori in grado di coprire l'intera gamma di analisi necessarie alla diagnostica delle problematiche dell'apicoltura, anche al fine di valutare gli effetti dei pesticidi sugli impollinatori e ridurne l'utilizzo, di stimolare ricerca e sviluppo di tecniche non inquinanti per la gestione dei parassiti e di promuovere la diffusione di pratiche agricole ecologiche;
   ad aumentare il monitoraggio e i controlli per evitare l'introduzione di parassiti emergenti e a implementare azioni per contribuire a contrastare l'attuale presenza e un'ulteriore diffusione della vespa velutina, fornendo linee guida alle associazioni degli apicoltori sulle azioni da intraprendere in caso di rinvenimento di nuove parassitosi e patologie;
   a sostenere lo sviluppo di una rete di centri tecnici di riferimento diffusi in ogni regione, in grado di adottare misure per aumentare la diversità floreale mellifera e pollinifera, al fine di assicurare alle api un'alimentazione di qualità;
   a limitare il carico di burocrazia sulla professione di apicoltore e a gestire le patologie entro limiti che non presentino rischi per gli allevatori, definendo metodiche chiare e semplici da seguire e diffondere nel mondo apistico.
(1-00474) «Cova, Oliverio, Lenzi, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cenni, Covello, Dal Moro, Ferrari, Fiorio, Marrocu, Mongiello, Palma, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zanin, Amato, Argentin, Beni, Bossa, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Iori, Miotto, Murer, Patriarca, Piccione, Sbrollini, Scuvera».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    l'ape (apis mellifera L.) è una specie di insetto sociale dell'ordine degli imenotteri, della famiglia degli apidi, suddivisa in 24 sottospecie riunite in tre gruppi (Mediterraneo occidentale, Mediterraneo orientale ed Africa tropicale), che ha la caratteristica di poter essere allevata dall'uomo ed è diffusa pressoché in tutti i continenti, quindi anche in Italia, dove si segnala, tra l'altro, il maggior numero di sottospecie selvatiche d'Europa;
    l'ape è un insetto pronubo che svolge un importantissimo ruolo ecologico ed ambientale per il mantenimento della biodiversità vegetale tra le piante spontanee e coltivate. Per queste ultime, i pronubi assolvono ad un compito essenziale, garantendo la produttività di un'ampia gamma di colture europee di importanza economica ed il miglioramento della qualità del prodotto;
    in Europa gli insetti impollinatori come l'ape contribuiscono alla produzione agricola di 150 colture (84 per cento) che dipendono parzialmente o interamente dagli insetti per l'impollinazione e il raccolto, per un valore commerciale che si aggira intorno ai 22 miliardi di euro all'anno. Tra le principali colture che beneficiano dell'impollinazione entomofila si annoverano:
   a) frutta: melo, arancio, pero, pesco, melone e anguria, limone, fragola, lampone, susino, albicocco, ciliegio, kiwi, mango e ribes;
   b) ortaggi: pomodoro, carota, patata, cipolla, peperone, zucca, fava, zucchina, fagiolo, melanzana e cetriolo;
   c) colture industriali: cotone, colza, girasole, senape, soia e grano saraceno;
   d) frutta secca: mandorlo, noce e castagno;
   e) piante aromatiche: basilico, salvia, rosmarino, timo, coriandolo, cumino e aneto;
   f) foraggio per gli animali: erba medica, trifoglio e meliloto;
   g) piante officinali: camomilla, lavanda ed enotera;
    la sottospecie mellifera più diffusa al mondo è l'ape ligustica o ape italiana (apis mellifera ligustica Spinola, 1806), molto apprezzata tra gli apicoltori, data la sua adattabilità alla maggior parte dei climi, dal subtropicale al temperato;
    il continuo contatto con l'ambiente che caratterizza l'operato delle api, che svolgono attività bottinatrice, favorisce l'accumulo, all'interno dell'alveare, delle sostanze con le quali questi insetti entrano in contatto, rendendo l'arnia una preziosa fonte di informazioni circa la presenza di sostanze inquinanti nell'ambiente;
    per le ragioni sopra riportate, l'apicoltura, inquadrabile nell'ambito della zootecnia, assolve, oltre alla funzione produttiva, anche a quella ecologico-ambientale e di sviluppo rurale, rientrando perciò a pieno titolo nell'ambito delle attività agricole multifunzionali;
    di recente, la Fai (Federazione italiana apicoltori) ha dichiarato che vi sono molti motivi per ritenere che l'ape italiana sia a rischio di estinzione, così come le altre sottospecie di ape mellifera, visto che è in corso una moria estremamente preoccupante data dal fatto che il numero di api nate non supera quello delle api morte;
    sempre secondo la Fai, numerose sono le ragioni di questa moria, tra le quali l'introduzione di nuove specie «spurie» ed i trattamenti insetticidi a base di imidacloprid, prodotto già bandito in Francia dal 2002;
    in un recente ed allarmante rapporto di Greenpeace, si evidenzia come il polline con il quale entrano in contatto le api è altamente inquinato da un «pesante cocktail di pesticidi tossici», molti dei quali neonicotinoidi, e per questo l'associazione ambientalista ha invitato la Commissione europea e i Governi nazionali a vietarne completamente l'utilizzo. Infatti, i pesticidi neonicotinoidi clothianidin, imidacloprid, thiamethoxam e fipronil sono attualmente sottoposti solo ad un divieto temporaneo ed altri pesticidi non neonicotinoidi dannosi per le api e per gli altri impollinatori, come il clorpirifos, cipermetrina e deltametrina, non risultano ancora essere banditi;
    negli ultimi decenni si è verificata in Europa una drammatica diminuzione del numero di api mellifere allevate e di pronubi selvatici, perdendo una media del 16 per cento delle arnie (dal 1985 al 2005), riscontrabile prevalentemente in Inghilterra, Germania, Repubblica Ceca e Svezia, anche a causa della rarefazione di spazi aperti ricchi di fiori;
    la Commissione europea nel maggio 2013 (regolamento di esecuzione (UE) n. 485/2013 della Commissione del 24 maggio 2013) ha dato il via alla moratoria contro i tre insetticidi considerati più dannosi per le api europee (moratoria entrata in vigore nel successivo mese di dicembre 2013, per la durata di 2 anni). Trattasi del clotianidin, dell’imidacloprid e del thiamethoxam (della famiglia dei neonicotinoidi), destinati alla concia delle sementi, all'applicazione al suolo (granuli) ed ai trattamenti fogliari su piante e cereali (ad eccezione dei cereali vernini);
    la Commissione europea stabilisce, inoltre, che i restanti usi autorizzati sono a disposizione dei soli professionisti e le eccezioni saranno limitate alla possibilità di trattare coltivazioni che attraggono le api in serre e in campi all'aperto solo dopo la fine della fioritura;
    l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha pubblicato le nuove linee guida per la valutazione del rischio da pesticidi per la sopravvivenza delle api, che rappresenta un netto miglioramento per quel che riguarda la valutazione del pericolo rispetto a quanto proposto in precedenza dall'Organizzazione europea e mediterranea per la protezione delle piante;
    la rete nazionale di monitoraggio degli alveari (progetto Beenet attivo dal 2011, che sostituisce il monitoraggio Apenet, approntato nel 2008 a seguito dei gravi casi di moria), ha comunque segnalato gravi fenomeni di apicidio (2012-2013), nelle seguenti regioni italiane:
   a) in Basilicata, in conseguenza di trattamenti primaverili di fruttiferi in fioritura;
   b) in Emilia Romagna, probabilmente a seguito di approvvigionamento da parte delle api di acqua per fertirrigazione contenente insetticidi impiegati sulla coltura di pomodoro;
   c) nelle Marche e in altre regioni vocate alla coltura del girasole, a causa dell'utilizzo di un diserbante per il quale non è stata effettuata la valutazione del rischio per gli impollinatori;
   d) in Sicilia, per trattamenti di colture intensive di agrumeti in presenza di forte essudazione di melata che in ambienti con scarsa disponibilità di piante nettarifere, è utilizzata dalle api per la produzione del miele;
    l'Unaapi (Unione nazionale associazioni apicoltori italiani) ha segnalato durante questa primavera (2014) nuovi, estesi e reiterati fenomeni di avvelenamenti, moria e spopolamenti d'interi apiari, soprattutto in concomitanza con l'epoca delle semine del mais, dal Friuli Venezia Giulia (dove sono stati spopolati migliaia di alveari) al Veneto, alla Lombardia, all'Emilia Romagna e al Piemonte e analoghi fenomeni sui fruttiferi e sulle colture di cereali della Lombardia e della Campania;
    l'Unaapi afferma, sebbene non ci sia certezza sulle molecole che hanno provocato tali conseguenze che, oltre ai neonicotinoidi, è assai probabile che si sia accentuato un uso pervasivo e irresponsabile di altre molecole neurotossiche, come il piretroide deltametrina o il famigerato insetticida clorpirifos, o il fungicida tebuconazolo, che esplica effetti nocivi sulle popolazioni di api, non previsti e non valutati, o che vengano comunque utilizzati illegalmente neonicotinoidi;
    un'altra minaccia incombe sull'apicoltura europea ed italiana ed è quella della vespa velutina o calabrone asiatico (vespa velutina lepeletier), importato accidentalmente dalla Cina, in grado di predare le api e di distruggere gli alveari e di arrecare danno a tutta l'entomofauna utile;
    negli ultimi otto anni il calabrone asiatico è stato in grado di colonizzare quasi tutto l'intero territorio francese, con la scomparsa del 50 per cento degli alveari, arrivando a varcare i confini con il Belgio, la Spagna, il Portogallo e l'Italia, dov’è stata ufficialmente rinvenuta in provincia di Imperia e Cuneo;
    secondo l'Osservatorio nazionale del miele, il mercato dei prodotti apistici è caratterizzato da circa 12.000 produttori e da quasi 40.000 apicoltori con attività apistica per autoconsumo e da 1.157.196 alveari censiti, che nel 2012 ha fatto registrare una produzione di 23.320 quintali di miele (26.384 nel 2010), il cui giro d'affari legato alla produzione di questo prodotto, della cera, del polline e degli altri prodotti apistici, ammonta circa ai 65 milioni di euro annui;
    l'Italia, grazie alla sua varietà climatico-vegetazionale e alla professionalità degli apicoltori che hanno sviluppato raffinatissime ed impegnative tecniche di nomadismo, può contare su un patrimonio di mieli unico al mondo, oltre ad una infinità di millefiori, e annovera anche oltre trenta monoflora classificati e numerosi i prodotti apistici di qualità (denominazione di origine protetta e indicazione geografica protetta);
    la particolarità del settore non permette di estendere ad esso i criteri utilizzati per definire le «organizzazioni di produttori», primo fra tutti la mancanza e la non necessità di avere una concentrazione della commercializzazione del prodotto, che rende, però, necessario garantire qualificati organismi rappresentativi del settore, per poter, con equilibrata partecipazione, elaborare programmi di settore e utilizzare in modo ottimale le risorse destinate all'apicoltura;
    la presenza di un numero considerevole di apicoltori «non professionisti» costituisce allo stesso tempo una risorsa e un aspetto problematico, quest'ultimo rappresentato dall'influenza negativa sullo stato sanitario delle api, qualora tali attività siano svolte al di fuori di ogni contesto associativo;
    ad aggravare quanto riportato al punto precedente, le emergenze sanitarie alla base della moria delle api sono aggravate dall'assenza di un adeguato quadro regolatorio internazionale, per cui gli apicoltori riscontrano evidenti difficoltà in considerazione della mancanza di un adeguato supporto da parte dei servizi veterinari;
    in ambito comunitario, la Commissione europea, a seguito delle conclusioni del rapporto sul settore dell'apicoltura destinato al Parlamento europeo e al Consiglio predisposto dal Commissario all'agricoltura Dacian Ciolos, ha ribadito l'intenzione di sostenere l'apicoltura europea, attraverso l'introduzione di nuove misure di sviluppo rurale finalizzate a favorire i giovani agricoltori nell'ammodernamento delle aziende e ad interventi agroambientali per rafforzare la presenza di piante mellifere per il sostentamento delle colonie di api;
    la sezione VI (articoli 105-110) del regolamento (CE) n. 22 ottobre 2007, n. 1234/2007 del Consiglio contiene disposizioni speciali relative al settore dell'apicoltura e, in particolare, prevede un contributo finanziario dell'Unione europea per l'applicazione di talune azioni dirette a migliorare le condizioni della produzione e della commercializzazione dei prodotti dell'apicoltura, attraverso la predisposizione ogni tre anni di un programma nazionale (attualmente è in atto quello relativo al triennio 2014-2016), incentrato su una o più azioni di:
   a) assistenza tecnica ad apicoltori e loro associazioni;
   b) lotta contro la varroasi;
   c) razionalizzazione della transumanza;
   d) misure di sostegno ai laboratori di analisi delle caratteristiche fisico-chimiche del miele;
   e) misure di sostegno per il ripopolamento del patrimonio apistico;
   f) collaborazione con organismi specializzati nella ricerca applicata nel settore apistico;
    a seguito della legge 24 dicembre 2004, n. 313, che ha riconosciuto l'apicoltura come attività di interesse nazionale, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha provveduto ad elaborare uno specifico documento programmatico con le linee strategiche a sostegno dell'apicoltura attraverso finanziamenti, l'informazione, la valorizzazione delle produzioni, la tutela della salute dei consumatori e l'educazione alimentare, oltre che per lo sviluppo dei programmi di ricerca e di sperimentazione d'intesa con le organizzazioni apistiche,

impegna il Governo:

   in accordo con le regioni e con le province autonome di Trento e Bolzano, a promuovere, nei programmi aziendali pluriennali di miglioramento agricolo ambientale, tutte le azioni che favoriscano i pronubi, riportate nell'ambito del progetto europeo Step (Stato attuale e tendenze dei pronubi europei, n. 244090-STEP-CP-FP), finalizzato alla conservazione degli organismi pronubi e del loro servizio di impollinazione, tra le quali la creazione o il mantenimento di habitat specifici, come le aiuole incolte per le fioriture spontanee, la gestione e l'utilizzo di agrofarmaci in modo da tutelare l'entomofauna, la riduzione dell'uso di diserbanti per salvaguardare le piante che offrono fioriture e la semina e la coltivazione di specie che producano fioriture abbondanti (ad esempio, colza, trifoglio e fava), inserendole nelle rotazioni;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza in relazione ai trattamenti antiparassitari con prodotti fitosanitari ed erbicidi tossici per le api, al fine di salvaguardarne l'azione pronuba;
   ad agire in sede nazionale ed europea per un divieto definitivo, e non solo parziale e temporaneo, dei neonicotinoidi e di altri insetticidi sistemici dannosi per i pronubi, finanziando, altresì, la ricerca scientifica per l'individuazione di nuove procedure e test per l'accertamento delle conseguenze per le api e per gli altri impollinatori, dovute allo spandimento di molecole e dei loro preparati, dando priorità alla valutazione degli effetti dovuti ai piretrodi (in particolar modo alla deltametrina), all'insetticida clorpirifos ed al fungicida tebuconazolo;
   in accordo con le regioni e con le province autonome di Trento e Bolzano, a promuovere una capillare azione di controllo e vigilanza per la repressione dell'uso, durante i trattamenti chimici in agricoltura, di fitofarmaci e principi attivi vietati o non autorizzati a livello nazionale ed europeo, perché pericolosi per i pronubi;
   ad intraprendere tutte le iniziative normative affinché il prodotto apistico denominato «pappa reale» o «gelatina reale», prodotto agricolo de facto, venga annoverato tra i prodotti agricoli della parte I della tabella A del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), attribuendo allo stesso un'aliquota di compensazione ai fini IVA, correggendo in questo modo l'anacronistica situazione che penalizza gli apicoltori che si dedicano a questa produzione che possiede interessanti prospettive di mercato;
   a favorire le produzioni di qualità, garantendo il consumatore e tutelando i produttori italiani da pesanti fenomeni di concorrenza estera, assumendo iniziative per estendere a tutti i prodotti alimentari apistici (nello specifico pappa reale e polline) l'obbligo, attualmente in vigore per il miele, di indicare in etichetta il Paese d'origine del prodotto confezionato e per tutte le categorie di prodotti la provenienza dei pollini utilizzati, fermo restando quanto previsto dal regolamento UE n. 1169/2011 (relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori);
   ad individuare rappresentanze qualificate degli operatori del settore apistico, utilizzando anche i criteri presenti nel decreto del 16 febbraio 2010 (criteri di assegnazione dei contributi ai sensi del decreto-legge n. 112 del 2008 per il settore apistico), atti a favorire una migliore gestione della programmazione nazionale di settore e per permettere corrette e adeguate politiche di sviluppo, coordinamento e gestione in ambito regionale, anche in considerazione di quanto previsto agli articoli dal 56 al 60 del regolamento UE n. 1308/2013 (ex regolamento UE n. 1234/2007), che obbliga gli Stati membri all'elaborazione di programmi apistici nazionali a favore dello sviluppo dell'apicoltura, in piena e fattiva collaborazione con le organizzazioni rappresentative del settore;
   data la peculiarità del settore apistico ampiamente esposta nella premessa, ad intraprendere tutte le iniziative normative necessarie a sburocratizzare il settore attraverso una semplificazione per la vendita diretta e per la cessione al dettaglio dei prodotti che l'apicoltore effettua presso la sede aziendale (abitazione, laboratorio di smielatura ed altro), come già previsto per i produttori agricoli che cedono in campo i propri prodotti, ciò anche ai sensi del regolamento UE n. 852/2004 (sull'igiene dei prodotti alimentari) che definisce l'attività dell'apicoltore ai fini sanitari, di tipo primario, compreso l'invasettamento ed il confezionamento del prodotto, estendendo, quindi, all'apicoltore tutte le semplificazioni che sono proprie del produttore primario, anche in riferimento alla commercializzazione, come:
    a) l'esonero dell'apicoltore dalla dichiarazione/segnalazione di inizio attività;
    b) la vendita diretta dei prodotti agricoli senza cambio di destinazione d'uso dei locali ove questa si svolge;
    c) l'autorizzazione all'uso temporaneo, senza che sia necessario il cambio di destinazione d'uso e a prescindere dalla destinazione urbanistica della zona in cui questi sono ubicati, di locali per l'attività di smielatura/confezionamento del miele per piccole produzioni;
   ad assumere iniziative per integrare l'elenco delle «attività agricole connesse» - di cui all'articolo 32, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi e dell'articolo 2135, comma 3, del codice civile, in relazione alla corretta valutazione del reddito ascrivibile ad un'azienda apistica, ricomprendendo, oltre alla lavorazione e al confezionamento del miele (già compresa nell'elenco), anche tutti gli altri prodotti dell'apicoltura come elencati nella legge n. 313 del 2004 (Disciplina dell'apicoltura), all'articolo 2, comma 2: la cera d'api, la pappa reale o gelatina reale, il polline, il propoli, il veleno d'api, le api e le api regine, l'idromele e l'aceto di miele;
   ad attivare immediatamente un tavolo tecnico coinvolgendo le associazioni di apicoltori riconosciute a livello nazionale, l'Ispra, gli enti di ricerca universitari ed istituzionali e l'Efsa, per individuare lo «stato dell'arte» e le linee guida per l'eradicazione della vespa velutina e degli altri patogeni e parassiti che minacciano le api e per la formazione degli apicoltori, al fine dell'individuazione e dell'ubicazione dei nidi e degli esemplari di calabrone asiatico.
(1-00476) «Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Benedetti, Gallinella, Parentela, Lupo, Grande, Frusone, Daga».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    l'apicoltura è considerata a tutti gli effetti un'attività agricola, è un'attività del settore agricolo-zootenico di rilevanza economica fortemente radicata nella tradizione e nei luoghi in cui viene esercitata. L'apicoltura è creatività, l'apicoltore s'ingegna per trovare delle soluzioni ai problemi pratici dell'allevamento, prove, esperienze, risultati che rimangono nell'esperienza del singolo;
    l'apicoltura è l'allevamento di api allo scopo di sfruttare i prodotti dell'alveare, dove per tale si intenda un'arnia popolata da una famiglia di api. Malgrado le specie allevate siano diverse, per la sua produttività ha netta predominanza l'apis mellifera;
    il mestiere dell'apicoltore consiste sostanzialmente nel procurare alle api ricovero e cure e vegliare sul loro sviluppo; in cambio egli raccoglie una quota discreta del loro prodotto, consistente in: miele, polline, cera d'api, pappa reale, propoli, veleno;
    l'apicoltura può essere assai significativa anche ai fini del controllo ambientale, essendo l'ape un animale molto sensibile alla qualità dell'ambiente in cui vive e, inoltre, per la natura stessa della sua attività, una sorta di «campionatore biologico» assai funzionale, almeno d'estate, in quanto le api ispezionano una vasta area attorno all'alveare, venendo a contatto con suolo, vegetazione, aria e acqua;
    l'apicoltura, un tempo ingiustamente considerata la «cenerentola» dell'agricoltura, oggi è riconosciuta, dalla legge n. 313 del 2004, come «attività di interesse nazionale»;
    la ricchezza culturale dell'apicoltura, le ampie disponibilità di risorse nettarifere, che da sempre caratterizzano il territorio italiano, la varietà e la selezione negli anni di un ceppo di api universalmente riconosciute come le migliori del mondo hanno portato il nostro Paese ad importanti traguardi sul piano interno ed internazionale: per numero di addetti, per tipologia qualitativa delle produzioni e per diffusione dell'allevamento sul territorio;
    qualsiasi prodotto nazionale o europeo che si fregi di una denominazione/indicazione protetta ha un disciplinare ovvero la prescrizione che disciplina l'ottenimento di un prodotto agricolo o alimentare, più precisamente è la norma di legge che definisce i requisiti produttivi e commerciali di un prodotto a denominazione di origine protetta e indicazione geografica protetta o qualifiche equivalenti. I consorzi di tutela sovrintendono alla nascita e gestione del disciplinare di riferimento;
    l’iter per elaborare, presentare, approvare, pubblicare un disciplinare (e la relativa denominazione/indicazione) è piuttosto complesso e, comunque, deve essere svolto in sede comunitaria;
    la denominazione di origine protetta (dop) individua il nome di una zona determinata, di una regione e, talvolta, anche di un singolo Paese che designa un prodotto agricolo o alimentare come originario di tale territorio, ove avviene la produzione e/o la trasformazione, le cui qualità sono da rinvenirsi esclusivamente in quel determinato ambiente geografico;
    la procedura per il riconoscimento della denominazione di origine protetta è disciplinata dal regolamento (CE) n. 510/2006, il quale prevede che per beneficiare di una denominazione d'origine protetta, un prodotto agricolo o alimentare deve essere conforme ad un disciplinare, che la domanda di registrazione può essere presentata esclusivamente da un'associazione ovvero qualsiasi organizzazione, a prescindere dalla sua forma giuridica o dalla sua composizione, di produttori o di trasformatori che trattano il medesimo prodotto agricolo o il medesimo prodotto alimentare. L'associazione può presentare la domanda di registrazione solo per i prodotti agricoli o alimentari che essa stessa produce od elabora. La domanda di registrazione della denominazione di origine protetta è inviata allo Stato membro sul cui territorio è situata la zona geografica. Lo Stato membro esamina la domanda di registrazione per stabilire se sia giustificata e soddisfi le condizioni previste dal regolamento. Qualora si ritenga che i requisiti del regolamento siano soddisfatti, lo Stato adotta una decisione favorevole e trasmette alla Commissione europea la documentazione per la decisione definitiva che sarà poi pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, che ne determina così il riconoscimento europeo della denominazione;
    il miele italiano sta raggiungendo e consolidando il traguardo della qualità. Negli ultimi anni dal miele varesino - un prodotto di grande importanza per la nostra agricoltura prealpina, che ha finalmente ottenuto un traguardo ambito e meritato - al miele delle Dolomiti bellunesi - un prodotto di eccellenza delle nostre montagne, che sono state proclamate Patrimonio dell'Umanità - hanno avuto il riconoscimento della denominazione di origine protetta dopo una lunga e difficile procedura per entrare nell'olimpo della qualità europea. Questi riconoscimenti hanno una ricaduta positiva sul comparto produttivo apicolo, che è divenuto l'ennesimo punto d'orgoglio per l'agricoltura del nostro Paese;
    sono circa 1.300.000 alveari nel nostro Paese e 70 mila gli apicoltori italiani, per un fatturato di circa 60 milioni di euro che aumenta se si pensa che la produzione agricola trae incremento produttivo anche dal prezioso ed insostituibile servizio di impollinazione delle api sulle colture ortofrutticole e sementiere;
    la quantità di miele prodotta varia in base all'habitat in cui sono collocati gli alveari, ma la media è di 40-50 chilogrammi l'uno. Nell'arco di un'intera stagione un'azienda apistica di media dimensione, che detiene 300 alveari, riesce a fare 150 quintali di miele o più, con ricavi superiori a 100 mila euro;
    l'apicoltura è tra le attività che più si presta alla conduzione familiare, infatti è perfettamente compatibile con le esigenze e gli stili di vita dei giovani di oggi. Un'attività a contatto con la natura, che collabora a fini produttivi con l'ambiente senza sfruttarlo, che lascia anche lo spazio per la vita sociale dell'imprenditore, può rappresentare una valida alternativa alle attività tradizionali”. Insomma, l'apicoltura, un universo tutto da scoprire che, forse, può dare risposte, semplici ma concrete, utili alla società moderna;
    occorre ricordare che il nostro Paese non è autosufficiente per quello che riguarda la produzione di miele; infatti, circa il 50 per cento del consumo è sostenuto da prodotto di importazione. Il che significa spazi d'impresa e nuove opportunità di lavoro per chi vuole diventare un apicoltore;
    la maggior parte del miele importato proviene da Paesi extraeuropei e i prodotti provenienti da questi Paesi arrivano sul mercato italiano ad un prezzo che è di molto inferiore, possedendo una qualità sicuramente inferiore. Si importano, soprattutto, mieli millefiori dall'America latina, dall'Est europeo e dalla Cina; tra i mieli uniflorali il più importato è sicuramente quello di robinia (acacia), proveniente da Ungheria, Romania e Cina, ma per chi apprezza veramente il miele, la grande variabilità del prodotto nostrano è proprio la caratteristica di maggior pregio;
    ad aggravare le condizioni di difficoltà del settore è sopravvenuto il diffondersi, all'inizio degli anni ’80; di un dannosissimo parassita degli alveari, l'acaro Varroa Jacobsoni Oudemans, nonché della vespa asiatica «vespa velutina», che ha prodotto diffuse mortalità degli alveari, abbandonati da parte di numerosi operatori e, quindi, un graduale ridimensionamento della consistenza complessiva della produzione;
    è necessario sostenere una rinnovata attenzione verso l'apicoltura osservata anche come diversificazione produttiva all'interno dell'azienda agricola, secondo i caratteri di multifunzionalità che essa può assumere soprattutto alle aree difficili, nonché come fonte di reddito per i giovani alla ricerca di nuova occupazione;
    è fondamentale, infine, richiamare l'attenzione sull'importanza anche nutrizionale e terapeutica dei prodotti dell'alveare,

impegna il Governo:

   ad adottare provvedimenti volti al sostegno del settore apistico, fonte di creazione di nuova occupazione con livelli di investimento sostenibili, al fine di sviluppare e proteggere l'apicoltura, nicchia dell'economia agricola, migliorando la qualità e la commercializzazione del miele e dei suoi derivati;
   ad assumere iniziative che favoriscano la nascita di aziende nel settore apistico, condotte da giovani, che, contribuendo alla biodiversità ed al mantenimento degli equilibri ambientali, che sono gli elementi che caratterizzano il comparto apistico, siano un tipo di modello ideale di impresa agricola del futuro;
   a valorizzare l'esperienza produttiva dell'apicoltore, che attraverso i disciplinari di produzione si orienta verso una produzione di qualità;
   ad affidare alle regioni specifiche competenze in materia di monitoraggio e controllo al fine di evitare l'espansione di parassiti e specie dannose per l'apicoltura e di selezione e salvaguardia della purezza dell'apis mellifera ligustica S., da realizzare anche attraverso l'istituzione di parchi naturali per la conservazione in purezza del patrimonio genetico di questa razza, riconosciuta sul piano internazionale come la migliore in assoluto;
   a prevedere regole che siano più chiare e semplici, al fine di una generale semplificazione della burocrazia in agricoltura, affinché i giovani che vogliono avviare l'attività di apicoltore, siano più incentivati a farlo, anche dal punto di vista burocratico.
(1-00477) «Caon, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    il settore apicolo costituisce un'attività di interesse nazionale, è parte integrante dell'agricoltura europea ed è fonte di reddito primario o aggiuntivo per oltre 600 mila cittadini dell'Unione europea;
    contribuisce in modo determinante all'evoluzione ed allo sviluppo dell'agricoltura, alla conservazione dell'ambiente naturale e dell'ecosistema e alla tutela della biodiversità;
    in effetti, si stima che circa l'84 per cento delle specie vegetali ed il 76 per cento della produzione alimentare in Europa dipendano dall'opera di impollinazione effettuata dalle api;
    il valore economico di tale attività supera di gran lunga lo stesso valore del miele prodotto ed è valutato nell'Unione europea in 15 miliardi di euro annui;
    l'apicoltura, sul piano economico-sociale, svolge un importantissimo ruolo nello sviluppo sostenibile delle zone rurali, crea opportunità d'impresa e favorisce, quindi, l'occupazione;
    nel nostro Paese gli apicoltori sono circa 50 mila; inoltre, i produttori apistici, gli agricoltori che svolgono attività a fini economici e ricavano un reddito rilevante da tale attività sono circa 7 mila e cinquecento; gli alveari sono circa 1.100.000; le api in attività nel territorio nazionale si stima ammontino ad oltre 55 miliardi;
    nel nostro Paese si producono annualmente circa 8-11 mila tonnellate di miele a seconda dell'andamento stagionale e meteorologico. Il valore economico derivante da tale produzione è di circa 20,6 milioni di euro, mentre quello che proviene dall'indotto ammonta ad oltre 57-62 milioni di euro;
    per quanto riguarda l'Unione europea, la produzione di miele registrata nel 2011 è stata pari a 217.366 tonnellate. La produzione europea ha registrato un lieve aumento negli ultimi 10 anni (+ 6 per cento dal 2010) con variazioni annuali positive e negative, sempre a seconda delle condizioni atmosferiche;
    nel mondo intero, da qualche tempo, si sta verificando una riduzione del numero delle colonie di api: infatti, la salute delle comunità e dei singoli viene influenzata da numerosi fattori letali e sub-letali, molti dei quali tra loro interconnessi;
    numerosi studi e valutazioni di esperti attribuiscono tale fenomeno all'uso dei pesticidi, ai mutamenti delle condizioni climatiche e ambientali, ai cambiamenti dell'uso del suolo e a pratiche apicole gestite scorrettamente;
    in relazione a tale fenomeno, nel nostro Paese il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha avviato, a partire dal 2008, un monitoraggio nazionale denominato «Rete per il monitoraggio dei fenomeni di spopolamento e mortalità degli alveari» che fornisce strumenti scientifici e operativi per il monitoraggio dei fenomeni di spopolamento e mortalità degli alveari;
    tale studio ha dimostrato come sia da attribuire precipuamente all'uso dei pesticidi la causa più probabile della moria delle api;
    per contrastare il preoccupante fenomeno, la Commissione europea ha previsto una serie di adeguate misure per contrastare il fenomeno e favorire un corretto e vantaggioso sviluppo del settore;
    in questo ambito sono state stanziate risorse per lo sviluppo rurale, per favorire l'impegno nel settore di giovani agricoltori, per l'ammodernamento delle aziende, per interventi agro-ambientali, per intensificare la presenza di piante mellifere al fine di sostenere e favorire lo sviluppo delle colonie di api;
    la Commissione europea ha inteso elencare e spiegare il significato di tali misure nelle conclusioni del rapporto sul settore dell'apicoltura destinato al Parlamento europeo e al Consiglio. Il rapporto sottolinea che le misure in vigore nell'Unione europea hanno aiutato i produttori del continente a «mantenere una produzione di miele di alta qualità, pur in un contesto difficile, con l'aumento dei costi di produzione, le minacce alla sopravvivenza delle api e la feroce concorrenza internazionale da importazione di miele da Paesi terzi»;
    in considerazione delle valutazioni effettuate dagli esperti che hanno studiato il fenomeno, appaiono indispensabili una forte politica di profilassi ed un sostegno anche di carattere culturale agli operatori del settore, favorendo l'intervento di personale veterinario, di centri di riferimento specializzati e di informazioni e protocolli che possano consentire una corretta e adeguata gestione di un settore così vitale e significativo per l'intera Europa,

impegna il Governo:

   ad adottare una politica pubblica di profilassi che preveda necessariamente e diffusamente una seria formazione degli apicoltori ed il loro accompagnamento ad opera di personale veterinario specializzato;
   a favorire, per una loro giusta attuazione, lo sviluppo di adeguate politiche sanitarie a livello nazionale, con la piena collaborazione delle associazioni apistiche;
   a definire metodiche efficaci, chiare e semplici da diffondere nell'intero comparto apistico e a considerare che l'unità epidemiologica non è generalmente costituita dal singolo alveare o apiario, bensì dall'insieme del patrimonio zootecnico dell'apicoltore;
   a promuovere la ricerca scientifica, di cooperazione tra l'Italia e gli altri Stati produttori di miele e derivati, al fine di intraprendere un comune scambio di informazioni che rafforzi la lotta agli acari responsabili della moria delle api;
   a favorire corsi di aggiornamento per veterinari, allo scopo di fornire loro le adeguate e specifiche conoscenze per fronteggiare le patologie delle api;
   a promuovere una rete geografica di adeguate competenze veterinarie nell'ambito di ciascuna regione.
(1-00478)
(Nuova formulazione) «Dorina Bianchi».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga).


MOZIONI CATANIA ED ALTRI N. 1-00146, FIORIO ED ALTRI N. 1-00052, GAGNARLI ED ALTRI N. 1-00088, MIGLIORE ED ALTRI N. 1-00161, FAENZI ED ALTRI N. 1-00472, CAON ED ALTRI N. 1-00475 E DORINA BIANCHI N. 1-00479 CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A RIDURRE GLI SPRECHI ALIMENTARI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    in Italia il fenomeno della povertà ha assunto negli ultimi anni dimensioni sempre più preoccupanti. Dall'ultimo rapporto Istat emerge che il 12,7 per cento delle famiglie, pari a 9,6 milioni di individui, versa in condizioni di povertà relativa, mentre il 6,8 per cento delle famiglie, per un totale di 4,8 milioni di individui, versa in condizioni di povertà assoluta, ovvero non è in grado di acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile;
    da sempre l'aiuto alimentare è il primo intervento che si effettua in ogni percorso di reinserimento sociale;
    in Italia non ci sono mai state politiche sociali organiche per la distribuzione di alimenti agli indigenti e storicamente il sostegno più significativo è sempre pervenuto da organizzazioni non profit che operano in modo capillare sul territorio;
    le organizzazioni non profit utilizzano, per la distribuzione di alimenti agli indigenti, prodotti donati dalle imprese e, fino al 2013, gli alimenti messi a disposizione dal Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead) dell'Unione europea. Tali alimenti costituivano la parte quantitativamente prevalente degli aiuti alimentari complessivamente distribuiti dalle organizzazioni caritative;
    il programma di aiuto alimentare agli indigenti è stato il più importante aiuto pubblico per la distribuzione di alimenti ai poveri ed ha operato, da oltre 20 anni, nell'ambito della Politica agricola comune (Pac) dell'Unione europea. Esso è stato attuato in Italia attraverso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. Nel 2013 il budget a disposizione dell'Italia è stato di circa 100 milioni di euro;
    a livello operativo, in Italia, il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti è stato gestito con successo dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) in concorso con la rete nazionale di enti caritativi presenti sul territorio nazionale. Si tratta di un programma efficiente, trasparente, incisivo e con bassissimi costi di gestione. Nel 2013 le spese amministrative e di stoccaggio hanno inciso per il 2 per cento del budget a disposizione, mentre i costi di trasporto hanno inciso per il 4,5 per cento. Negli scorsi anni il programma è arrivato a raggiungere circa 3,5 milioni di persone. I vantaggi di questo programma sono stati un elevato grado di conversione in aiuti alimentari dei fondi erogati, una diffusione capillare sul territorio, un elevato numero di persone raggiunte, un'elevata qualità degli aiuti alimentari erogati, una continuità durante tutto l'arco dell'anno (le campagne sono annuali e, quindi, vengono assicurate forniture che riescono a supportare il bisogno nell'arco dell'anno, senza inopportune pause o concentrazioni);
    a partire dal 2014, questo programma non ha avuto più luogo per l'indisponibilità di alcuni Stati membri dell'Unione europea a finanziare, attraverso la nuova Politica agricola comune, l'acquisto di generi alimentari per scopi sociali. A livello europeo è stato sostituito da un nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead). Questo nuovo fondo non sarà più inserito nella Politica agricola comune ma nel Fondo sociale europeo. Inoltre, il campo di applicazione della nuova misura prevede maggiori margini di manovra per gli Stati membri, che potrebbero decidere di non proseguire l'attuale programma con le medesime modalità;
    ove il Governo adottasse una decisione in tal senso, non dando seguito al precedente programma con le attuali modalità, si innescherebbe una situazione assai grave. Si avrebbe sicuramente un'interruzione nella distribuzione di alimenti agli indigenti, con grandi sofferenze per le persone private di sostegno. Le organizzazioni caritative vedrebbero vanificata l'opera di fondamentale raccordo tra povertà e società costruita negli anni grazie a decine di migliaia di volontari. Di conseguenza, le istituzioni locali verrebbero invase da richieste di sostegno alle quali non sarebbero in grado di rispondere, con il rischio di incorrere in crescenti tensioni sociali al momento non quantificabili, né per dimensione né per intensità;
    nella XVI legislatura, con il decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, era stato istituito un fondo per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione di derrate alimentari agli indigenti, per integrare gli alimenti messi a disposizione dal programma europeo;
    tale fondo, che ricade negli ambiti applicativi del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, è stato rifinanziato con la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), con una quota pari a 10 milioni di euro, decisamente insufficiente per rispondere alle necessità di aiuto,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le opportune iniziative per ridurre l'ammontare degli sprechi alimentari attraverso un maggior recupero di alimenti da destinare agli indigenti;
   ad assumere iniziative per incrementare il fondo previsto dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134;
   ad utilizzare i finanziamenti previsti dal Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), per la prosecuzione, senza soluzione di continuità, del piano di distribuzione di alimenti agli indigenti, finora gestito da Agea in concorso con le organizzazioni caritative.
(1-00146)
(Nuova formulazione) «Catania, Andrea Romano, Dellai, Santerini, Schirò Planeta, Balduzzi, Binetti, Capua, Caruso, Causin, Cimmino, D'Agostino, De Mita, Fauttilli, Galgano, Librandi, Matarrese, Marazziti, Mazziotti Di Celso, Molea, Monchiero, Nesi, Oliaro, Piepoli, Quintarelli, Rabino, Rossi, Sberna, Sottanelli, Vargiu, Vitelli».


   La Camera,
   premesso che:
    lo spreco alimentare ha assunto una dimensione tale da essere considerato un problema su scala mondiale; i dati più gravi riguardano gli Stati Uniti, ma anche l'Europa ed il nostro Paese registrano una dimensione molto grave;
    numerosi rapporti di carattere internazionale riferiscono che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato e, quindi, lo spreco alimentare rappresenta uno scandaloso paradosso dei nostri tempi: mentre, come ricorda la Fao, il numero di persone denutrite sulla terra sfiora il miliardo, la quantità di cibo sprecato nei Paesi industrializzati ammonta a 222 milioni di tonnellate, più o meno pari alla produzione alimentare disponibile nell'Africa subsahariana (230 milioni di tonnellate);
    gli sprechi alimentari gravano, inoltre, sul clima, sulle risorse idriche, sul suolo e sulla biodiversità. La decomposizione dei rifiuti alimentari produce metano, gas ed effetti serra; ogni chilogrammo di cibo prodotto comporta oltre 4,5 chilogrammi di anidride carbonica equivalente;
    il grave fenomeno degli sprechi alimentari rende evidente la profonda distorsione derivante da un modello di sviluppo sbagliato fondato sull'eccessivo consumo di risorse non rigenerabili. C’è, quindi, una relazione profonda tra la crisi che si sta vivendo ed un modello di consumo massificato, standardizzato, veloce e quantitativo piuttosto che qualitativo, sul quale occorre intervenire per evitare di continuare a produrre diseguaglianza, che è tanto più grave quando si tratta di accesso al cibo e ad una sana e buona alimentazione;
    istituzioni e letteratura specializzata definiscono gli sprechi alimentari in modi diversi; tuttavia, non esiste una definizione univoca di sprechi alimentari né a livello istituzionale, né tanto meno nella letteratura scientifica specializzata. In uno studio condotto dallo Swedish institute for food and biotechnology (SIK), commissionato dalla Fao, è stata proposta la distinzione tra food loss e food waste. I food loss sono «le perdite alimentari che si riscontrano durante le fasi di produzione agricola, post-raccolto e trasformazione degli alimenti», mentre i food waste sono «gli sprechi di cibo che si verificano nell'ultima parte della catena alimentare (distribuzione, vendita e consumo finale)»: i primi dipendono da limiti logistici e infrastrutturali, i secondi da fattori comportamentali;
    la definizione di «spreco alimentare» varia a seconda dei Paesi. In Europa non esiste ancora un'unica definizione, ma, a partire dal 2011, in seno alla Commissione europea (agricoltura e sviluppo rurale), lo si è considerato come «l'insieme dei prodotti scartati dalla catena agroalimentare, che – per ragioni economiche, estetiche o per la prossimità della scadenza di consumo, seppure ancora commestibili e quindi potenzialmente destinabili al consumo umano –, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati ad essere eliminati e smaltiti, producendo effetti negativi dal punto di vista ambientale, costi economici e mancati guadagni per le imprese»;
    come già detto, lo spreco alimentare riguarda tutti i passaggi che portano gli alimenti dal campo alla tavola. Nei Paesi in via di sviluppo si localizza a monte della filiera agroalimentare, e in quelli sviluppati si localizza a valle della filiera;
    uno studio del 2011 della Commissione europea sullo spreco di cibo indica che gli sprechi a livello domestico sono i più rilevanti: corrispondono al 42 per cento del totale (25 per cento della spesa alimentare per peso) e ammontano a circa 76 chilogrammi pro capite/anno (di cui il 60 per cento potrebbe essere evitato); sono piuttosto consistenti anche la parte relativa ai processi di trasformazione degli alimenti (39 per cento) e in quella riguardante i servizi di ristorazione e catering (14 per cento). Sono più contenuti, invece, gli sprechi a livello distributivo (8 chilogrammi pro capite/anno) anche se, in alcuni casi, la distribuzione è indirettamente responsabile di una parte degli sprechi che avvengono più all'inizio o più a valle della filiera alimentare; secondo il suddetto studio della Commissione europea, che indica come media i 180 chilogrammi pro capite di cibo sprecato, la situazione nell'Unione europea passa dai 579 chilogrammi pro capite dell'Olanda ai 44 chilogrammi pro capite della Grecia, con l'Italia a 149 chilogrammi pro capite, valore sopra la media mondiale, indicata dalla Fao in 95-115 chilogrammi pro capite;
    il rapporto della Fao «Food Wastage footprint: Impact on Natural Resource» del settembre 2013 stima in 750 miliardi di dollari l'anno i costi economici diretti dello spreco alimentare, che ammonta a circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, pari a circa un terzo (il 33 per cento) della produzione totale di cibo destinato al consumo umano. Per produrre il cibo che viene sprecato sono utilizzati 250 chilometri cubi di acqua e 1,4 miliardi di ettari di terreno e immessi in atmosfera all'anno 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra; circa il 54 per cento dello spreco avviene durante la fase di produzione, lavorazione post-raccolto e stoccaggio, mentre il 46 per cento occorre nelle fasi di lavorazione, distribuzione e consumo;
    in Italia i dati raccolti hanno evidenziato come solo la frutta e gli ortaggi gettati via nei punti vendita abbiano comportato il consumo di più di 73 milioni di metri cubi d'acqua (water footprint) in un anno, l'utilizzo di risorse ambientali pari a quasi 400 metri cubi equivalenti (ecological footprint) e l'emissione in atmosfera di più di 8 milioni di chilogrammi di anidride carbonica equivalente (carbon footprint);
    secondo alcune prime stime dell'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, in Italia, nel 2011 lo spreco di cibo a livello domestico è costato a famiglia poco meno di 1.600 euro all'anno; in generale «Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo», (Segrè e Falasconi 2011) ha quantificato in 20 milioni di tonnellate lo spreco alimentare lungo tutta la filiera nazionale; più di recente, esperti del settore hanno chiarito che «in Italia se le perdite della filiera alimentare (agricola, trasformazione e distribuzione) valgono 0,2 punti del Pil, lo spreco domestico rappresenta mezzo punto del Pil, ossia tra 8 e 9 miliardi di euro»;
    secondo la Società italiana di nutrizione umana (Sinu), la disponibilità calorica giornaliera per ogni italiano è di circa 3700 chilocalorie, ossia oltre una volta e mezzo il fabbisogno energetico quotidiano, per cui il surplus di 1700 chilocalorie che ne deriva o provoca sovralimentazione o viene sprecato;
    nei Paesi sviluppati, ma talvolta anche in quelli in via di sviluppo, sono rilevanti le motivazioni di carattere regolamentare ed economico che sono alla base dello spreco. C’è decisamente ancora molto da fare per comprendere le cause delle perdite nella parte iniziale della filiera. Nelle fasi di prima trasformazione del prodotto agricolo e dei semilavorati, le cause che determinano gli sprechi sono individuabili principalmente in malfunzionamenti tecnici e inefficienze nei processi produttivi: normalmente si parla di «scarti di produzione»;
    nella distribuzione e vendita (sia essa all'ingrosso che al dettaglio) gli sprechi dipendono da molteplici cause, tra cui ordinazioni inappropriate e previsioni errate della domanda;
    gli sprechi domestici nascono: dalla difficoltà del consumatore di interpretare correttamente l'etichettatura degli alimenti; perché vengono preparate porzioni troppo abbondanti (tanto nei ristoranti quanto a casa); a causa degli errori commessi in fase di pianificazione degli acquisti (spesso indotti da offerte promozionali); quando gli alimenti non vengono conservati in modo adeguato;
    in particolare, nella filiera ortofrutticola, sugli sprechi incide la possibilità di ritirare parte della produzione per evitare il crollo dei prezzi. Il prodotto ritirato, infatti, è destinato solo in parte alla distribuzione gratuita (alle fasce deboli della popolazione, a scuole e a istituti di pena), mentre per la maggior parte è destinato alla distillazione alcolica (36 per cento), al compostaggio e biodegradazione (55 per cento) e all'alimentazione animale (4 per cento). Questi impieghi sono da considerarsi come sprechi, in quanto implicano la destinazione del prodotto a un uso differente dall'alimentazione umana per cui era stato coltivato;
    nell'industria agroalimentare lo spreco medio ammonta al 2,6 per cento del totale, pari a circa 1,9 milioni di tonnellate di cibo (escludendo l'industria delle bevande). I prodotti scartati sono tendenzialmente gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi e non destinati, invece, alla ridistribuzione alle fasce deboli della popolazione. La maggior parte degli sprechi di cibo è riscontrabile nell'industria lattiero-casearia e nella lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;
    per quanto riguarda la fase della distribuzione, l'attività di ricerca condotta dall'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, offre stime sulla quantità di cibo «gettato via» da parte dei mercati all'ingrosso (centri alimentari e mercati ortofrutticoli) e della moderna distribuzione. Al riguardo, emerge che nel 2009 in Italia sono state sprecate 263.645 tonnellate di prodotti alimentari (per un totale di 900 milioni di euro), il 40 per cento delle quali è costituito da prodotti ortofrutticoli;
    un discorso a parte merita lo spreco alimentare nella ristorazione collettiva che, in massima parte, deriva da un'errata impostazione dei menù, da grammature scorrette e da capitolati di gara spesso mal impostati; soprattutto nella ristorazione ospedaliera, le organizzazioni di settore rilevano che le inefficienze previste all'interno dei capitolati degli appalti fanno registrare sprechi nel vassoio che si aggirano intorno al 20-25 per cento, con picchi del 40 per cento in alcune strutture ospedaliere;
    alcune ricerche dell'Osservatorio ristorazione collettiva e nutrizione evidenziano, inoltre, come nella ristorazione scolastica si possono osservare le seguenti percentuali di spreco (ciò che resta sul piatto): 15-17 per cento primi piatti; 20-25 per cento carne; 35-40 per cento ortofrutta;
    infine, per quel che riguarda la ristorazione aziendale, gli sprechi derivano dal cosiddetto fine linea, i cibi che, da bando, devono essere comunque garantiti a fine turno in quantità corrispondente a quella iniziale;
    per ridurre il tema degli sprechi della ristorazione collettiva occorrerebbe intervenire a monte, rivisitando le modalità che portano alla predisposizione dei bandi per evitare che siano inseriti prodotti di grande richiamo ma che poi non vengono mangiati, rivedendo le grammature all'interno dei capitolati, non per limitare il cibo, ma per ponderarlo in base alle caratteristiche dell'utente, lavorando sul triangolo «cibo-famiglia-scuola», prevedendo percorsi di educazione alimentare nelle scuole rivolti non solo a bambini ma, soprattutto, a insegnanti e genitori;
    il 19 gennaio 2012, il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria la risoluzione su come «evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea», in cui definisce lo «spreco alimentare» e si pone l'obiettivo di ridurre del 50 per cento gli sprechi alimentari entro il 2015 e di dedicare il 2014 come anno europeo contro lo spreco alimentare, attraverso una strategia per migliorare l'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
    per raggiungere gli obiettivi della sopradetta risoluzione sono state coinvolte le autonomie locali in progetti contro lo spreco e, in particolare, sono stati organizzati eventi per favorire la massima adesione dei sindaci al progetto «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero», per ridurre progressivamente gli sprechi attraverso il controllo e la prevenzione di tutte le attività pubbliche e private, che implichino la gestione di cibo, acqua, energia, rifiuti, mobilità e comunicazione;
    la Commissione europea, nella comunicazione «Partecipazione dell'Unione europea all'Expo 2015 di Milano “Nutrire il pianeta: Energia per la vita”» del 3 maggio 2013 ha ribadito che «La sicurezza alimentare è diventata negli ultimi quindici anni un elemento centrale delle politiche dell'Unione europea in questo settore e costituisce la base di un vero e proprio modello per il resto del mondo; l'approccio al cibo nell'Unione europea è allo stesso tempo un prerequisito per salvaguardare la salute di cittadini e consumatori e la pietra miliare su cui si basa la reputazione e il successo dell'industria alimentare europea in tutto il mondo. La sostenibilità assume un'importanza sempre più decisiva per i cittadini europei e a livello mondiale, giacché è sempre più importante utilizzare le risorse in modo più razionale, al fine di garantire la prosperità alle generazioni future e di limitare l'impatto sull'ambiente, preservando le risorse naturali già limitate. Considerando tutto ciò, la partecipazione dell'Unione europea dovrebbe avere anche un fine educativo, non solo sensibilizzando i visitatori, ma anche prospettando loro approcci concreti nel settore dell'alimentazione e della sostenibilità, in modo da permettere ai cittadini di cambiare in positivo i propri stili di vita riducendo, ad esempio, lo spreco di cibo e adottando scelte alimentari più sane»;
    a livello nazionale, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha già avviato, nei mesi scorsi, una strategia nazionale e ha adottato, il 7 ottobre 2013, il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, che affronta in modo organico il problema degli sprechi alimentari in Italia, in sintonia con quanto indicato dalla Commissione europea nella tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse. In tale contesto, è stato istituito il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas) ed è stata proclamata, il 5 febbraio 2014, la prima Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare in Italia; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intende raggiungere entro il 2020 una riduzione del 5 per cento, dei rifiuti per unità di prodotto interno lordo, dei rifiuti urbani, del 10 per cento di quelli pericolosi e del 5 per cento di quelli speciali;
    l'Expo 2015, il cui tema è appunto «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita», rappresenta un'opportunità per affrontare il tema degli sprechi alimentari e per studiare soluzioni innovative a livello globale in considerazione della prevista partecipazione di oltre 140 Paesi all'evento; in quest'occasione si potrebbe arrivare alla definizione di una piattaforma di idee in grado di stimolare nuove azioni per ridurre lo spreco alimentare;
    in tale contesto va senza dubbio evidenziato il ruolo dell'educazione come parte integrante della soluzione globale, soprattutto in relazione ai bambini a cui bisogna trasmettere il valore del cibo in quanto risorsa, per influenzarne i futuri comportamenti; allo stesso modo è importante educare la gente a riutilizzare e riciclare il cibo invece di gettarlo via, tanto a livello domestico che a livello di ristorazione collettiva, come in ospedali, mense e ristoranti,

impegna il Governo:

   ad affrontare, con urgenza, il problema dello spreco alimentare lungo tutta la catena dell'approvvigionamento e del consumo, definendo orientamenti e sostenendo strategie per migliorare l'efficienza della catena agroalimentare e promuovendo il confronto con tutte le organizzazioni e le categorie coinvolte, tenendo conto delle iniziative già presenti a livello nazionale;
   a sostenere l'affermazione di modelli agricoli sostenibili e la trasformazione e il riutilizzo alimentare delle eccedenze alimentari nazionali (ad esempio, in zuppe, succhi di frutta, marmellate, gelati e altro) e la loro distribuzione a enti di aiuto alimentare;
   ad incoraggiare l'adozione di misure atte a ridurre gli sprechi alimentari come, ad esempio, l'etichettatura con doppia scadenza (commerciale e di consumo), o le vendite scontate di prodotti in scadenza o danneggiati, e ad incentivare modalità di packaging differenziato tra prodotti freschi e non;
   a prevedere, in sede di aggiudicazione di appalti pubblici, norme di vantaggio per le imprese che adottano misure per ridurre gli sprechi alimentari anche mediante il ricorso ad approvvigionamenti in ambito locale e territoriale che salvaguardino la qualità e la tracciabilità dei prodotti, garantendo inoltre una programmazione adeguata ai consumi effettivi;
   a promuovere presso tutti gli enti pubblici azioni per evitare lo spreco alla fonte mediante nuove modalità di impostazione dei capitolati di gara nella ristorazione collettiva, che favoriscano le elaborazioni di menù su scala regionale, anziché a livello di singola struttura e, laddove non necessario, ad esempio nelle strutture ospedaliere, che prevedano una rotazione dei menù stagionale e non settimanale, evitando inoltre che vengano inseriti nel capitolato prodotti di grande richiamo ma che poi non vengono mangiati e prevedendo le giuste grammature, ponderate in base alle caratteristiche dell'utente;
   a favorire e a promuovere accordi con le maggiori catene distributive e le industrie alimentari nazionali e straniere, al fine di ridurre gli sprechi alimentari, intervenendo sul packaging (con l'obiettivo di ridurre del 10 per cento l'impatto in termini di emissioni di anidride carbonica), sui comportamenti di consumo domestico (con l'obiettivo di ridurre gli sprechi domestici di alimenti e bevande) e sugli sprechi lungo l'intera filiera distributiva (con l'obiettivo di ridurre lo spreco di prodotti e cibo);
   a realizzare iniziative e campagne informative sui prodotti freschi per indicare ai clienti il modo migliore di conservare più a lungo gli alimenti a casa, così da ridurre lo spreco alimentare;
   a sostenere, per quanto di competenza, i progetti dei comuni, delle province e delle regioni volti a consolidare metodi di lavoro che permettano di attivare in maniera progressiva il sistema di donazioni/ritiri, tenendo sotto controllo gli aspetti nutrizionali, igienico-sanitari, logistici e fiscali;
   ad incentivare e a promuovere modelli logistico-organizzativi che permettano di recuperare in totale sicurezza tutte le tipologie di prodotti, inclusi quelli che rientrano nelle categorie dei «freschi» e «freschissimi»;
   a promuovere progetti educativi e di sensibilizzazione, nelle scuole di tutti i livelli e gradi, sulle quantità di cibo sprecato nelle mense e nelle caffetterie delle scuole per consentire l'adozione di diete equilibrate, apprezzando il legame tra agricoltura, alimentazione, ambiente e salute e valorizzando anche competenze ed esperienze degli operatori della ristorazione collettiva;
   ad attivare un coordinamento tra i Ministeri competenti in materia – quali il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero della salute e il Ministero dello sviluppo economico – e la Conferenza Stato-regioni per la riduzione degli sprechi con l'obiettivo di: monitorare e analizzare la dimensione del fenomeno nel nostro Paese; sostenere le azioni per l'utilizzo di alimenti non consumati nella rete del commercio e della ristorazione; minimizzare tutte le perdite e le inefficienze della filiera agroalimentare, favorendo la relazione diretta tra produttori e consumatori e coinvolgendo tutti i soggetti interessati con l'obiettivo di rendere più eco-efficienti la logistica, il trasporto, la gestione delle scorte e gli imballaggi;
   ad adoperarsi in sede comunitaria al fine di sostenere il 2014, quale «anno europeo della lotta allo spreco alimentare», come percorso avviato dall'Italia per sensibilizzare i cittadini e richiamare l'attenzione delle istituzioni su questo importante tema al fine di ridurre lo spreco alimentare.
(1-00052)
(Nuova formulazione) «Fiorio, Cenni, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cova, Covello, Dal Moro, Ferrari, Marrocu, Mongiello, Palma, Sani, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zanin, Speranza, Martella, Narduolo, Quartapelle Procopio».


   La Camera,
   premesso che:
    tra gli squilibri più evidenti che caratterizzano la società quello alimentare è senz'altro il più grave ed assume i connotati di un vero e proprio paradosso: a fronte di oltre un miliardo di persone che soffrono per la mancanza di cibo, un numero equivalente si ammala per cause connesse ad eccessiva alimentazione, quali sovrappeso, diabete e malattie cardiovascolari;
    dati recenti evidenziano che solo il 10 per cento delle morti per fame è provocato da guerre e carestie, il resto è causato da malnutrizione cronica dovuta ad una complessità di elementi che vanno dai meccanismi del sistema economico globale fino agli effetti dei cambiamenti climatici;
    tra i dati registrati, quello riferito all'entità dello spreco alimentare mondiale è indubbiamente il più allarmante. Secondo i risultati dello Global food losses and food waste (perdita e spreco di cibo a livello mondiale), commissionato dalla Fao all'Istituto svedese per il cibo e la biotecnologia (SIK), nonostante la crisi, 1,3 miliardi di tonnellate di cibo viene sprecato ogni anno; lo spreco annuale dei Paesi ricchi, pari a circa 222 milioni di tonnellate, è pari all'intera produzione alimentare netta dell'area subsahariana e impone una riflessione non solo in considerazione dell'impatto economico ed ambientale, ma anche e soprattutto per la portata etica e sociale dei suoi effetti;
    una della questioni più rilevanti è lo squilibrio nella produzione e nella destinazione di cereali: nel mondo sono presenti circa tre miliardi di animali da allevamento e un terzo dell'intera produzione alimentare globale è riservata alla nutrizione zootecnica;
    una quota crescente di terreni agricoli è destinata alla produzione di biocarburanti e negli Stati Uniti addirittura il 45 per cento del consumo annuale di mais è destinato alla produzione di etanolo per carburanti, in competizione con le colture da cibo non solo per la destinazione del prodotto, ma anche per l'uso del terreno e dell'acqua usata per l'irrigazione;
    le cause di perdite e sprechi alimentari sono molteplici e si differenziano a seconda delle varie fasi della filiera agroalimentare; da un lato, il problema riguarda la filiera produttiva che non calcola picchi di produzione, conservazione e ottimizzazione, dall'altro, investe le abitudini alimentari dei Paesi industrializzati determinando un trend preciso di spreco, di poco rispetto per il cibo, per l'agricoltura e per i Paesi in via di sviluppo che soffrono per la fame, la denutrizione e la cattiva alimentazione;
    mentre nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima fase della filiera, per limiti logistici e strutturali, nei Paesi industrializzati gli sprechi si concentrano sul consumo domestico e la ristorazione, principalmente per cause comportamentali;
    le perdite alimentari che si verificano nella fase di coltivazione e raccolto, nei Paesi in via di sviluppo, sono soprattutto il risultato di un'agricoltura poco efficiente, competenze tecniche limitate, pratiche arretrate e dotazioni infrastrutturali inadeguate, mentre nei Paesi a più alto reddito le motivazioni delle perdite in questa fase sono legate più al mancato rispetto di standard qualitativi ed estetici;
    le perdite che si verificano nella fase di trasformazione agricola ed industriale sono dovute soprattutto ad inefficienze dei processi produttivi che provocano danneggiamenti agli alimenti che per questo vengono scartati;
    le perdite nella fase di distribuzione e vendita sono soprattutto dovute ad un'errata previsione della domanda, ai limiti della tecnologia impiegata per la conservazione dei prodotti, agli standard di vendita che determinano l'esclusione di prodotti non conformi, alle strategie di marketing come il «3x2», che determinano sia una maggiore vendita dei prodotti, ma anche lo spostamento dello spreco alimentare al consumo finale;
    gli sprechi nella fase finale di consumo domestico e ristorazione sono dovuti, soprattutto, all'errata pianificazione degli acquisti, all'inadeguata conservazione del cibo, all'errata interpretazione delle etichette di scadenza degli alimenti e alla scarsa consapevolezza dell'impatto economico ed ambientale degli sprechi alimentari;
    per stimare l'impatto ambientale di un alimento andrebbe considerato il suo intero ciclo di vita, dalle emissioni di gas serra generate dai processi, all'utilizzo di risorse idriche; in base a questo si valuta che il cibo sprecato che incide maggiormente sull'ambiente è rappresentato dai prodotti di origine animale, principalmente latte e carne;
    le stime indicano che, a livello europeo, la quantità di cibo sprecato ogni anno ammonta a 89 milioni di tonnellate, 180 chilogrammi pro capite, il 42 per cento nell'uso domestico, il 39 per cento della fase di produzione, il 14 per cento nella fase di ristorazione, il 5 per cento nella fase di vendita all'ingrosso ed al dettaglio;
    secondo lo studio della Commissione europea, che indica come media i 180 chilogrammi pro capite di cibo sprecato, la situazione nell'Unione europea passa dai 579 chilogrammi pro capite dell'Olanda ai 44 chilogrammi pro capite della Grecia, con l'Italia a 149 chilogrammi pro capite – valore sopra la media mondiale indicata dalla Fao in 95-115 chilogrammi pro capite;
    nel nostro Paese, nonostante gli effetti della crisi economica ed il calo dei consumi alimentari, la Coldiretti stima che annualmente si spreca cibo per circa 37 miliardi di euro, sufficienti a nutrire 44 milioni di persone, quindi circa il 3 per cento del prodotto interno lordo finirebbe nella spazzatura;
    sulla base dei dati rilevati dall'Istat, la percentuale della produzione agricola rimasta nei campi ammonta al 3,25 per cento del totale, la percentuale più alta della produzione non raccolta è quella relativa ai cereali, mentre nella filiera ortofrutticola solo in parte il prodotto ritirato viene destinato alla distribuzione gratuita e alle fasce deboli della popolazione, in quanto in gran parte viene destinato alla distillazione alcolica, al compostaggio e all'alimentazione animale, impieghi da considerarsi sprechi in quanto non destinati al consumo umano per cui erano stati coltivati;
    nell'industria agroalimentare i prodotti scartati sono gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi; maggiori sprechi sono quelli dell'industria lattiero-casearia e della lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi;
    tra i prodotti alimentari che maggiormente vengono sprecati in Italia, rientra il pane. Secondo una recente inchiesta pubblicata dal quotidiano la Repubblica, sarebbero circa 13 mila i quintali di pane buttati ogni giorno, quasi il 25 per cento del pane prodotto destinato alla grande distribuzione. Il pane invenduto, secondo quanto disposto dalla normativa nazionale, deve essere smaltito come rifiuto e per poter essere donato alle popolazioni svantaggiate è necessario che le reti per la distribuzione agli istituti caritativi lo prelevino dai distributori prima che sia reso. Le reti italiane Caritas o laiche, da questo punto di vista, non risultano organizzate e spesso acquistano il pane per il proprio fabbisogno;
    a livello del consumatore finale, i dati indicano che ogni famiglia italiana spreca in media una quantità di cibo del valore di 454 euro l'anno, soprattutto di prodotti freschi (35 per cento), con il 19 per cento di pane e il 16 per cento di frutta e verdura;
    secondo i dati dell'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, per produrre tutto il cibo che si spreca «si butta» fino a 1,226 milioni di metri cubi di acqua, pari all'acqua consumata ogni anno da 19 milioni di italiani e circa 24,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari a circa il 20 per cento delle emissioni di gas serra del settore dei trasporti. Inoltre, si getta via anche il 36 per cento dell'azoto da fertilizzanti, utilizzati inutilmente con tutti gli effetti e i costi ambientali che ne conseguono;
    nel gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per adottare misure urgenti per dimezzare, entro il 2025, gli sprechi alimentari nell'Unione europea e per migliorare l'accesso al cibo per i cittadini più vulnerabili, e, considerando che gli alimenti sono sprecati lungo tutta la catena – produttori, trasformatori, distributori, ristoratori e consumatori – ha chiesto l'attuazione di una strategia coordinata, che combini misure a livello europeo e nazionale per migliorare l'efficienza, comparto per comparto, dell'approvvigionamento alimentare e contrastare con urgenza lo spreco di cibo;
    il 7 ottobre 2013, proprio al fine di poter raggiungere gli obiettivi della sopraddetta risoluzione, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha adottato il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti, all'interno del quale è stato inserito il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas). Il primo passo per la realizzazione del Piano è stata l'istituzione della prima giornata contro lo spreco alimentare;
    l'obiettivo, secondo quanto dichiarato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è raggiungere, entro il 2020, una riduzione del 5 per cento dei rifiuti per unità di prodotto interno lordo dei rifiuti urbani, del 10 per cento di quelli pericolosi e del 5 per cento di quelli speciali,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    a) aggiornare il Parlamento, entro la fine del 2014, «Anno europeo della lotta allo spreco alimentare», circa il percorso avviato per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas), al fine di ridurre lo spreco alimentare in Italia;
    b) promuovere, anche in collaborazione con le scuole di ogni ordine e grado, programmi e corsi di educazione alimentare, di economia ed ecologia domestica, per rendere il consumatore consapevole degli sprechi di cibo, acqua ed energia e dei loro impatti ambientali ed economico-sociali, anche al fine di dimostrare come rendere più sostenibile l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale degli alimenti e, allo stesso tempo, incentivare, per quanto di propria competenza, iniziative finalizzate alla corretta comunicazione da parte della grande e piccola distribuzione nazionale delle modalità di conservazione dei cibi acquistati;
    c) assumere iniziative per rivedere le regole che disciplinano gli appalti pubblici per i servizi di ristorazione e di ospitalità alberghiera, in modo da privilegiare le imprese che promuovono azioni concrete per la riduzione a monte degli sprechi, prevedendo e accordando la preferenza ad alimenti italiani e stagionali, e che pongono particolare attenzione alla grammatura, al contenuto calorico e alla rotazione del menù;
    d) promuovere il potenziamento delle reti caritative nazionali al fine di poter recuperare il pane ogni giorno invenduto dalla grande distribuzione per destinarlo alle popolazioni svantaggiate accolte nei centri caritativi nella penisola;
    e) promuovere iniziative volte a contenere lo spreco alimentare nei luoghi di ristorazione, anche prevedendo la possibilità di asporto per il cibo non consumato;
    f) sostenere tutte le iniziative, sia pubbliche che private, finalizzate al recupero di alimenti rimasti invenduti e scartati lungo l'intera filiera agroalimentare per ridistribuirli gratuitamente alle categorie di cittadini meno abbienti;
    g) assumere iniziative per prevedere una diversa articolazione delle informazioni contenute nelle etichette dei prodotti alimentari, integrando la data prevista per la scadenza commerciale con una relativa al termine utile per il consumo dell'alimento.
(1-00088)
(Ulteriore nuova formulazione) «Gagnarli, L'Abbate, Massimiliano Bernini, Benedetti, Gallinella, Parentela, Zaccagnini, Baldassarre, Lupo, Barbanti, Pesco, Zolezzi».


   La Camera,
   premesso che:
    in Europa e in Nord America si stima che i consumatori buttino via tra i 95-115 chilogrammi pro capite di cibo l'anno, mentre nel Sud-Est asiatico e nell'Africa subsahariana il dato è di 6-11 chilogrammi pro capite;
    lo spreco alimentare ha assunto, e sta sempre più assumendo, una dimensione di portata mondiale, tant’è che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato. Il problema dello spreco alimentare è da ritenersi connesso alle politiche economiche e di marketing che, negli ultimi vent'anni, hanno prodotto fattori e azioni comportamentali altamente distorsivi della realtà fattuale e delle conseguenze effettuali che da tali modus comportandi e vivendi ne sono conseguite. Le politiche di marketing delle multinazionali e le normative sulla brevettazione dei prodotti agroalimentari hanno contribuito a generare comportamenti sociali tendenti a produrre sempre più «spreco» e «scarto» alimentare. La cultura del «riciclo» e del «riutilizzo» alimentare fatica non poco ad affermarsi rispetto al suo contrario. La sproporzione della produzione alimentare, senza che ciò abbia nel corso degli ultimi quattro lustri consentito di ridurre drasticamente il numero delle persone che nel mondo non hanno accesso alla nutrizione, ha, al contrario, polarizzato, ulteriormente, le fasce sociali del pianeta. Questa paradossale ipertrofia produttiva ha sull'ambiente impatti devastanti e, se non fermata per tempo, irreversibili. Nell'immaginario collettivo dei Paesi cosiddetti «ricchi» l'educazione alimentare, erroneamente, si traduce in «performanti» diete, o nuovi «costumi alimentari», che si rivelano dannosi per l'organismo umano con ricadute sulla spesa sanitaria che diventa crescente a fronte di nuove patologie connesse all'alimentazione. Il tema della «scarsità delle risorse naturali», che deve essere centrale nell'agenda politica di questo millennio, è vissuto, il più delle volte, come un mero esercizio percettivo. I dati sullo spreco di cibo nei Paesi industrializzati ammontano a 222 milioni di tonnellate, ossia il corrispettivo della produzione alimentare disponibile nell'Africa subsahariana che è di 230 milioni di tonnellate;
    a contribuire, ulteriormente, alla «cultura dello scarto alimentare» a valle, e nella produzione delle eccedenze a monte, è il disallineamento tra la domanda e l'offerta e la non conformità del prodotto agli standard di mercato: calibratura della frutta, aspetto della verdura che non deve presentare macchie o quant'altro possa far percepire all'acquirente la non salubrità del prodotto e le pratiche commerciali che incoraggiano i consumatori a comprare più cibo di quello di cui hanno effettivamente bisogno;
    un altro motivo dello spreco alimentare è da imputare alle etichette che indicano la data di scadenza. Sarebbe corretto porre in etichetta la doppia scadenza: il termine minimo di conservazione, che si riferisce alle caratteristiche qualitative del prodotto, «preferibilmente entro» (data di scadenza commerciale del prodotto) e la data di scadenza vera e propria, «da consumarsi entro», (relativa alla salubrità del prodotto alimentare), al fine di evitare confusione sulla commestibilità del cibo. Inoltre, gli imballaggi per alimenti dovrebbero essere offerti anche in confezioni monodose e progettate per la migliore conservazione possibile. Da ultimo, i cibi prossimi alla scadenza e i packaging danneggiati dei prodotti alimentari dovrebbero essere venduti a prezzi scontati, al fine di renderli economicamente più accessibili alle persone bisognose;
    il 19 gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato, in seduta plenaria, una risoluzione su: «Come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea», la quale si pone come obiettivo principale la riduzione degli sprechi alimentari del 50 per cento entro il 2025 e di dedicare il 2014 quale anno europeo contro lo spreco alimentare, attraverso una strategia per migliorare l'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
    dalla relazione (2011/2175(INI) preparatoria della risoluzione, si evince che, secondo uno studio della Commissione europea, la produzione annuale di rifiuti alimentari nei 27 Stati membri ammonterebbe a circa 90 milioni di tonnellate, ossia 179 chilogrammi pro capite, senza contare gli sprechi a livello di produzione agricola o le catture di pesce rigettate in mare, considerando che entro il 2020 il totale dei rifiuti alimentari aumenterà fino a circa 126 milioni di tonnellate, ovvero il 40 per cento in più dello stock attuale;
    da recenti studi è emerso che, per produrre un chilogrammo di cibo, si immettono in atmosfera in media 4,5 chilogrammi di anidride carbonica, che in Europa si producono 170 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente/anno, ripartiti tra industria agroalimentare (59 milioni di tonnellate), consumo domestico (78 milioni di tonnellate) e prodotti non raccolti nei campi (34 milioni di tonnellate). Si pensi, ad esempio, che in Inghilterra il 30 per cento della produzione orticola non viene raccolta (corrisponde allo spreco di 550 milioni di metri cubi di acqua), percentuale che in Italia si attesta al 3,2 per cento;
    la concentrazione in atmosfera di anidride carbonica, a gennaio 2013, ha raggiunto il record di 395 parti per milione, avviando la temperatura globale – si consideri che il 2012 è stato il nono anno consecutivo più caldo dal 1880 – verso un aumento superiore di due gradi di media, con gravi danni irreversibili all'ambiente, all'agricoltura e, di conseguenza, all'alimentazione;
    la Fao stima che, a livello mondiale, la quantità di cibo che finisce tra i rifiuti ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate e che 925 milioni di persone nel mondo sono a rischio di denutrizione e la popolazione mondiale ipernutrita è pari a quella sottonutrita e denutrita: questi dati allontanano, oggettivamente, i raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, incluso quello di dimezzare la fame e la povertà entro il 2015;
    sempre secondo dati della Fao, il previsto aumento da 7 miliardi a 9 miliardi della popolazione mondiale richiederà un incremento minimo del 70 per cento della produzione alimentare entro il 2050;
    Oliver De Schutter, relatore speciale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per il «diritto al cibo», nonché docente universitario di diritto all'Università Cattolica di Lovain-La Neuf (Belgio), nel marzo del 2012 ha presentato al Consiglio per i diritti umani, in conformità alla risoluzione 13/14, la sua relazione che analizza i nessi di causalità tra salute, malnutrizione e spreco alimentare. Relativamente al nesso che esiste tra salute e malnutrizione, il rapporto mette in evidenza che: «(...) l'urbanizzazione, «supermercatizzazione» e la diffusione globale degli stili di vita moderni hanno scosso le tradizioni alimentari. Il problema è di “sistema” e trova le sue cause nel commercio globale, nei cibi troppo elaborati, nelle politiche agricole attuali, nelle tecnologie con brevetto proprietario, nell'elaborare diete “disastrose” dei Paesi sviluppati e in quelli dalle economie emergenti (come il Messico, ad esempio). Il risultato è il disastro per la salute pubblica: 2,8 milioni di persone muoiono prima dei 60 anni a causa di malattie non trasmissibili, diabete e obesità collegate alla dieta, (saranno 5,1 milioni nel 2030, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità) a cui aggiungere le ripercussioni economiche sulla spesa sanitaria pubblica (...)» E, inoltre, il, relatore ha denunciato, in termini generali, la sproporzione che esiste tra gli investimenti pubblicitari nel food, 8,5 miliardi di dollari negli Stati Uniti nel 2010, e i modesti budget per l'educazione alimentare pubblica, che nello stesso anno sono stati pari a 44 milioni di dollari per il programma federale «Nutrition Physical Activity and Obesity». Nel rapporto si evidenzia come la pubblicità di cibi «spazzatura» (junk food), rivolta ai bambini e non solo, contribuisce all'eccessivo consumo di snack nell'alimentazione quotidiana che ha snaturato la cultura del rispetto e della conservazione del cibo, che è stata falsata dalle multinazionali nella composizione dei valori nutrizionali come, per esempio, nell'alterazione del contenuto dei grassi, degli zuccheri e del sale, al fine di rendere il cibo «appetitoso» e maggiormente prossimo al consumo immediato e meno prossimo alla sua conservazione perché facilmente deteriorabile. Sempre secondo il rapporto il «cibo perso» nei Paesi in via di sviluppo – dove la carenza di infrastrutture e regole stringenti per la conservazione incide fino al 50 per cento sul deterioramento degli alimenti – comincia ad assumere dimensioni quasi vicine a quelle dei Paesi industrializzati;
    nell'Unione europea, oltre 79 milioni di persone vivono ancora al di sotto della soglia di povertà, mentre 18 milioni di persone dipendono dagli aiuti alimentari. Al contempo, le percentuali degli sprechi alimentari sono così ripartite: il 42 per cento dalle famiglie, il 39 per cento dai produttori, il 5 per cento dai rivenditori e il restante 14 per cento dal settore della ristorazione;
    secondo i dati dell'indagine realizzata nel 2012 dalla Fondazione per la sussidiarietà e dal Politecnico di Milano, in collaborazione con Nielsen Italia, lo spreco alimentare in Italia ammonta a 6 milioni di tonnellate, pari a un valore di 12,3 miliardi di euro (6,9 miliardi direttamente dai consumatori). Il cibo sprecato in Italia è di 108 chilogrammi pro capite, 450 euro a famiglia composta da un nucleo di 2,5 persone (famiglia media), 42 chilogrammi a persona di avanzi alimentari non riutilizzati ancora commestibili buttati da ogni italiano in un anno, 35 per cento la percentuale di prodotti freschi sprecati, 250 chilogrammi la quantità di cibo buttato dai 600 ipermercati italiani, 16 per cento la percentuale dello spreco che finisce direttamente nelle discariche per la cattiva gestione del frigorifero famigliare, mentre la parte di cibo recuperato e donato alle food bank e agli enti caritativi rappresenta poco più del 6 per cento del totale;
    sempre secondo l'indagine summenzionata emerge che quasi un miliardo di euro di cibo viene recuperato e l'obiettivo è quello di portare sulla tavola degli indigenti altri 6 miliardi di euro di cibo;
    infatti, non sempre i prodotti ritirati dagli scaffali che sono prossimi alla scadenza finiscono nella pattumiera. Il merito è da attribuire alle onlus come il Banco Alimentare, rete antispreco con oltre 1400 volontari. Obiettivo analogo a quello di Last Minute Market, spin-off dell'università di Bologna che unitamente a SWG ha creato un «Osservatorio sullo spreco alimentare», il cui nome è Waste Watchers (sentinelle dello spreco). Secondo le prime stime fatte da Waste Watchers, in Italia lo spreco alimentare rappresenta l'1,9 per cento del prodotto interno lordo (circa 18,5 miliardi riferiti al 2011) così ripartito: lo 0,23 per cento si colloca nella filiera di produzione (agricoltura), trasformazione (industria alimentare), distribuzione (grande e piccola) e ristorazione (collettiva), il restante valore percentuale, lo 0,96 per cento del prodotto interno lordo, è rappresentato dal livello domestico. La quantità di cibo sprecato potrebbe essere ridotta del 60 per cento con un'educazione più attenta ai consumi alimentari;
    Last Minute Market ha realizzato un documento denominato «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero», il quale viene continuamente arricchito e aggiornato grazie all'implementazione delle conoscenze, allo scambio delle buone pratiche fra amministrazioni e, di conseguenza, all'adozione di nuovi strumenti di analisi e di indirizzo che il documento propone;
    il documento «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero» è stato sottoscritto da oltre 700 sindaci europei e detta un decalogo comportamentale alimentare con cui poter avviare processi razionali al fine di ridurre drasticamente gli sprechi e le perdite alimentari;
    la legge n. 155 del 2003, detta anche legge del «buon samaritano», disciplina il recupero e la distribuzione di alimenti cotti e freschi da parte di organizzazioni non profit a fini sociali. Il principio finalistico della legge è quello di incentivare il riutilizzo di cibo ancora commestibile proveniente dai produttori o dalla grande distribuzione – non più vendibile per difetto di packaging o perché vicino alla scadenza – ma anche dalle mense aziendali e scolastiche. Unico vincolo della legge è l'attenzione da prestare al trasporto e al corretto stato di conservazione degli alimenti, equiparando, di fatto, gli enti non profit ai consumatori finali. Infatti, il recupero del cibo deve avvenire mantenendo «la catena del freddo». Grazie alla legge del «buon samaritano» è stato possibile avviare progetti di raccolta viveri, come il progetto «Siticibo» che in nove anni ha consentito di salvare dal cestino dei rifiuti 2,5 milioni di porzioni distribuendole nelle mense cittadine degli enti e delle organizzazioni caritative;
    la lotta allo spreco alimentare nei Paesi industrializzati è stato avviato alla fine degli anni Sessanta a Phoenix (Arizona, Stati Uniti), grazie a John Van Hengel, attraverso la distribuzione ai bisognosi di cibo non venduto e destinato alla distruzione. Questo strumento di «perequazione alimentare» ha assunto il nome di food bank, banco alimentare, che si è diffuso in Europa negli anni Ottanta e in Italia nasce nel 1989. Basato sul concetto di «dono e condivisione», il banco alimentare si estrinseca nella raccolta delle eccedenze di produzione alimentare agricola e industriale, specificatamente riso, olio d'oliva, pasta e latte. In Italia la raccolta delle eccedenze viene effettuata dal 1995 dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), la quale ridistribuisce le eccedenze agli enti caritativi iscritti nel relativo albo istituito presso l'ente medesimo;
    il maggiore fornitore della rete che fa capo ai banchi alimentari d'Europa è stata l'Unione europea, attraverso il Programma europeo d'aiuto agli indigenti, Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), nato nel 1987 all'interno della Politica agricola comune (Pac). Il programma d'aiuto è stato concepito come misura per evitare che le eccedenze della produzione agricola europea fossero distrutte. Oggi, queste eccedenze, grazie alle numerose revisioni della Politica agricola comune e al miglioramento delle pratiche tecniche di conservazione, si sono sempre più ridotte, portando l'Unione europea ad acquistare direttamente sul mercato le derrate da donare ai poveri che, in Europa, rappresentano 18 milioni di persone;
    il 14 novembre 2011, il Consiglio dei ministri dell'agricoltura dei 27 Stati membri riuniti a Bruxelles ha sbloccato i piani di assistenza, Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), per gli anni 2012 e 2013 che prevedono lo stanziamento di 500 milioni di euro l'anno; all'Italia per l'anno 2013 sono stati assegnati 98 milioni di euro;
    il 31 dicembre 2013 si è concluso il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead);
    la Commissione europea ha proposto che, nel Quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, il programma d'aiuti alimentare debba essere coperto non più con i fondi della politica agricola, ma con quelli della coesione sociale, Fondo sociale europeo, prevedendo 2,5 miliardi di euro per i sette anni della nuova programmazione finanziaria comunitaria. Alcuni Paesi europei hanno sostenuto che il programma dovesse rientrare nell'ambito delle politiche sociali, di competenza quindi dei singoli Paesi, e non più con la cabina di regia dell'Unione europea, con il rischio di scatenare una guerra tra poveri;
    il 12 giugno 2013 il Parlamento europeo, in seduta plenaria, ha votato a favore della nuova proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo al finanziamento del nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), che andrà a sostituire il programma di distribuzione delle derrate alimentari Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead). Il di aiuti europei agli indigenti sarà costituito da una base obbligatoria di finanziamento di 2,5 miliardi di euro e gli Stati membri possono decidere di aumentare le proprie allocazioni di un ulteriore miliardo di euro su base volontaria;
    il Consiglio europeo del 27-28 giugno 2013 ha sollecitato la necessità di adottare in tempi rapidi tutti i dossier strettamente correlati al Quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea e, pertanto, tutte le istituzioni hanno insistito per un rapido accordo anche sul «Fondo indigenti», affinché lo stesso diventi operativo tra la fine del 2013 e gli inizi del 2014;
    l'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ha istituito il «Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti», gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), con lo scopo di raccogliere le derrate alimentari, a titolo di erogazioni liberali, dagli operatori della filiera agroalimentare e da organismi agricoli o imprese di trasformazione dell'Unione europea, al fine di far fronte alle eccedenze alimentari e consentire, conseguentemente, la redistribuzione sul territorio nazionale al fine di ridurre lo spreco alimentare;
    a fronte dei dati preoccupanti, relativi allo spreco alimentare in Europa, la Commissione europea ha deciso di avviare, recentemente, una «consultazione pubblica sul cibo» che si è conclusa il 1o ottobre 2013. L'obiettivo della Commissione europea è quello di individuare azioni efficaci per ridurre lo spreco alimentare e, in generale, di come assicurare che il sistema utilizzi le risorse in modo efficiente, secondo il principio della scarsità delle risorse. I risultati della consultazione costituiranno la base per una «Comunicazione sul cibo sostenibile»,

impegna il Governo:

   a promuovere, in sede comunitaria e nazionale, modelli di agricoltura sostenibile al fine di ridurre, drasticamente, a monte e a valle della filiera alimentare, gli sprechi che si producono a causa dei requisiti di qualità imposti dalla legislazione europea e nazionale, concernenti l'aspetto e la calibratura degli ortofrutticoli freschi che, nel tempo, si sono rivelati tra le principali cause di produzione di inutili scarti alimentari, nonché di cibo sprecato, e, susseguentemente, adottare opportune iniziative normative di settore con cui spiegare ai consumatori il valore nutritivo di prodotti agricoli che presentano forme o calibri imperfetti;
   ad agire, congiuntamente con gli altri partner europei in materia d'investimenti relativi alla promozione di programmi comunitari finanziati dall'Unione europea, al fine di introdurre specifiche iniziative «faro» sull'educazione alimentare, sull'ecologia domestica e di filiera;
   a farsi promotore in ambito europeo dell'istituzione della comunità della conoscenza e dell'innovazione per l'alimentazione, incentrata sulla prevenzione dello spreco di cibo e sull'educazione alimentare con cui, da un lato, fronteggiare lo spreco e, dall'altro, impedire che diete «dannose» per la salute distorcano le reali esigenze nutrizionali dell'organismo umano;
   ad adoperarsi in sede comunitaria al fine di far proclamare l'anno 2014 «anno contro lo spreco alimentare», con lo scopo di stimolare l'opinione pubblica ad assumere comportamenti maggiormente responsabili rispetto alla fruibilità sostenibile degli agroalimenti;
   ad introdurre, sin dal prossimo ciclo scolastico della scuola dell'obbligo, programmi di studio di «educazione alimentare e gestione ecosostenibile delle risorse naturali» che abbiano, quale punto di partenza, gli effetti negativi che lo spreco alimentare produce, facendo sì che tali programmi di studio tendano a strutturare, nell'immaginario delle future gene razioni, un approccio meno utilitaristico e maggiormente eco-responsabile delle risorse naturali viste nella loro complessità sistemica;
   a valutare eventuali modifiche alle regole che disciplinano gli appalti pubblici per i servizi di ristorazione e di ospitalità alberghiera, in modo da privilegiare, in sede di aggiudicazione a parità di altre condizioni, quelle imprese che garantiscono la ridistribuzione gratuita di cibo eccedente a cittadini indigenti, attraverso enti non profit;
   ad introdurre modifiche normative sulla commercializzazione e la vendita dei prodotti agroalimentari, partendo dall'introduzione della doppia scadenza che indichi le caratteristiche qualitative del prodotto, «preferibilmente entro» (data di scadenza commerciale), e la data di scadenza vera e propria, «da consumarsi entro», relativa alla salubrità del prodotto alimentare, al fine di non generare confusione per il consumatore finale;
   ad introdurre in campo agricolo e agroenergetico misure normative volte alla valorizzazione degli alimenti non più commestibili, ma utili nella produzione di energia rinnovabile e di concimi organici;
   ad elaborare un testo unico di riordino della materia – alla luce di quanto esposto nel presente atto di indirizzo – che, ad oggi, appare regolata in modo non organico sia dalla legge n. 155 del 2003, sia dall'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, che ha istituito il «Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti» e, conseguentemente, a istituire un osservatorio nazionale sullo spreco alimentare, d'intesa con il sistema delle regioni e delle province autonome, al fine di conoscere in maniera più organica gli effetti delle esternalità negative sull'economia, sul sistema sanitario e sul sistema sociale che lo spreco alimentare genera;
   a tenere in debita considerazione, anche legislativa, quanto previsto dal documento «Carta per una rete di amministrazioni a spreco zero»;
   a valutare l'inserimento obbligatorio, a carico delle imprese che fanno pubblicità a prodotti destinati al consumo umano, nelle comunicazioni pubblicitarie, del messaggio «lo spreco alimentare è un problema per la salute e l'ambiente. Mangia sano e quanto basta. Per maggiori informazioni consulta un esperto medico», o altro messaggio equivalente.
(1-00161)
(Nuova formulazione) «Migliore, Franco Bordo, Palazzotto, Zan, Zaratti, Pellegrino».


   La Camera,
   premesso che:
    il complesso fenomeno dello spreco alimentare, la cui definizione univoca attualmente non è disponibile, rappresenta uno dei principali paradossi globali dell'epoca recente e, contemporaneamente, una sfida sempre più importante nell'attuale contesto di crisi economica globale e di nuovi problemi di povertà alimentare anche nei Paesi avanzati;
    numerose analisi effettuate da organizzazioni internazionali, come ad esempio la Fao, e specifici studi sull'articolata problematica hanno constatato come, nonostante la popolazione a livello mondiale sia pari a 7 miliardi, il cibo prodotto risulta essere per 12 miliardi di persone, ma ciononostante 842 milioni di individui soffrono la fame, ovvero una persona su otto;
    le molteplici cause, che derivano dalle perdite che si determinano sia a monte della filiera agroalimentare, principalmente in fase di semina, coltivazione, raccolta, trattamento, conservazione e prima trasformazione agricola, che durante la trasformazione industriale, distribuzione e consumo finale, a cui si aggiungono molto spesso le date di scadenza troppo ravvicinate indicate sulle etichette dei prodotti agroalimentari, inducono i Governi mondiali e le istituzioni internazionali ad un ripensamento delle politiche di sviluppo adottate e dei modelli di riorganizzazione su scala planetaria, per favorire nuove forme di solidarietà, di crescita economica e di redistribuzione delle risorse;
    una differenziazione delle dinamiche che caratterizzano lo spreco alimentare tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo risulta necessaria al fine di comprendere con maggiore efficacia il medesimo fenomeno socioeconomico su scala mondiale; se, infatti, l'arretratezza delle pratiche e delle tecniche agricole, che caratterizza la prima parte della filiera agroalimentare, o la mancanza di adeguate infrastrutture per il trasporto e l'immagazzinamento, rappresentano le principali cause di perdite e sprechi alimentari nei Paesi in via di sviluppo, in quelli industrializzati la quota maggiore degli sprechi avviene nelle fasi finali della filiera agroalimentare, ovvero il consumo domestico e la ristorazione in particolare;
    uno studio recente della Commissione europea ha rilevato che, nonostante circa 79 milioni di cittadini comunitari vivano al di sotto della soglia di povertà e 16 milioni di essi dipendano dagli aiuti alimentari, la quantità di cibo che viene sperperata annualmente ammonta a circa 89 milioni di tonnellate, pari a 180 chilogrammi pro capite;
    i numeri dello spreco alimentare nel nostro Paese, secondo i dati forniti dall'Osservatorio sullo spreco alimentare, Waste Watchers, e dall'Università di Bologna, sul rapporto 2013, resi noti nel mese di ottobre 2013, risultano di estrema gravità, in considerazione che ogni famiglia italiana spreca in media circa 200 grammi di cibo alla settimana, pari a circa 18,5 miliardi di euro (dati del 2011), ovvero l'1,19 per cento del prodotto interno lordo; il medesimo organismo di ricerca ha inoltre, rilevato ed evidenziato come sia lo spreco domestico ad incidere in modo considerevole sulla quota annuale del cibo sprecato, aggiungendo inoltre che, ove si praticassero differenti metodi, il risparmio complessivo possibile ammonterebbe a circa 8,7 miliardi di euro;
    secondo i monitoraggi effettuati dalla società di ricerca Last Minute Market si evidenzia, inoltre, che in un anno si potrebbero recuperare in Italia 1,2 milioni di tonnellate di derrate che rimangono sui campi, oltre 2 milioni di tonnellate di cibo dall'industria agro-alimentare e più di 300 mila tonnellate dalla distribuzione;
    i suindicati dati relativi a sprechi e perdite alimentari hanno determinato, nel corso degli ultimi anni, ed in particolare nell'attuale fase di profonda crisi economica tutt'altro che superata per il nostro Paese, evidenti impatti negativi ambientali ed economici e la loro esistenza solleva questioni che suscitano importanti interrogativi, dal punto di vista sociale, mostrando fra l'altro la scarsa consapevolezza dell'entità degli sprechi che ognuno produce, sia a livello nazionale che internazionale, se si valuta che dal rapporto della Fao emerge che un terzo della produzione agroalimentare mondiale si perda proprio negli sprechi;
    nell'ambito delle strategie volte a contrastare il grave fenomeno, la legislazione italiana, attraverso l'articolo 58 della legge n. 153 del 2012, ha previsto l'istituzione del fondo per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti nel territorio della Repubblica italiana, gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) stabilendo, inoltre, che gli aiuti alimentari siano distribuiti agli indigenti mediante organizzazioni caritatevoli, conformemente alle modalità previste dal regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007;
    il modello di distribuzione, individuato dal Governo, è quello contenuto nel programma di aiuti agli indigenti finanziato dall'Unione europea, in base al regolamento (UE) n. 807/2010 (recante modalità d'esecuzione delle forniture di derrate alimentari provenienti dalle scorte d'intervento a favore degli indigenti nell'Unione europea);
    il predetto fondo, rifinanziato con 10 milioni di euro individuati dall'articolo 1, comma 224, della legge di stabilità per l'anno 2014 (legge n. 147 del 2013), si è rivelato complessivamente insufficiente nel gestire le attuali gravissime esigenze provenienti da una fascia di popolazione rilevante, che si trova in evidenti difficoltà;
    nell'ambito della Politica agricola comune dell'Unione europea, il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti è risultato uno strumento di sostegno pubblico rilevante ed apprezzato, nonostante le dimensioni complessive e le pratiche utilizzate evidenzino come la risoluzione del fenomeno permanga in maniera estremamente grave a livello sociale ed economico;
    occorre tuttavia rilevare che l'operatività del sopraddetto programma, che è stato gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), unitamente alla rete nazionale di enti e associazioni caritative presenti sul territorio nazionale, a partire dal 2014, sia stata tuttavia sospesa, in quanto per il medesimo strumento d'intervento non sono state più attribuite le necessarie risorse a causa della decisione di alcuni Stati membri dell'Unione europea di finanziare, attraverso la nuova Politica agricola comune, l'acquisto di generi alimentari per scopi sociali;
    a livello europeo, l'indicato programma è stato sostituito da un nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (Fead), che tuttavia non sarà più inserito all'interno della Politica agricola comune, ma nel Fondo sociale europeo;
    la sfera d'intervento della nuova misura prevede maggiori margini decisionali per gli Stati membri, i quali ciononostante potrebbero decidere di non proseguire l'attuale programma con le medesime modalità, determinando possibili effetti negativi e penalizzanti, connessi al ridimensionamento o addirittura all'interruzione nella distribuzione di alimenti agli indigenti, per gli organismi istituzionali nazionali e locali ed un conseguente rischio d'incremento di tensioni sociali;
    le iniziative legislative avviate a livello nazionale e comunitario, volte a rivedere le norme relative alle scadenze riportate sulle etichette dei prodotti alimentari, per ridurre drasticamente lo spreco di cibo entro il 2025, nonché a promuovere nuove campagne di sensibilizzazione, per informare il pubblico su come evitare lo spreco alimentare, in considerazione dell'esiguità dei metodi utilizzati e della superficiale distinzione tra eccedenza e spreco e tra spreco e scarti, sebbene importanti e condivisibili, appaiono tuttavia non sufficienti ad invertire una tendenza del fenomeno, la cui impostazione errata, tuttora esistente, necessita di adeguate politiche e strategie di contrasto, attraverso una revisione di modelli e metodi utilizzati, per acquisire idonee informazioni anche nei confronti dei Paesi progrediti,

impegna il Governo:

   ad assumere in tempi rapidi iniziative di natura finanziaria, volte ad integrare il Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, istituito presso l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, di cui all'articolo 58 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, e rifinanziato dal comma 224 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n.147 legge di stabilità per il 2014;
   ad intervenire in sede comunitaria al fine di modificare il regolamento (UE) n. 223/2014, relativo al Fondo di aiuti europei agli indigenti, affinché le risorse previste rientrino all'interno della Politica agricola comune, consentendo il proseguimento dell'erogazione da parte dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura in concorso con le organizzazioni caritative;
   a prevedere adeguate campagne educative, anche per il prossimo anno scolastico 2014-2015 (corrispondente al V anno di attuazione del programma «Frutta nelle scuole»), ad integrazione delle misure di accompagnamento previste, nonché campagne informative in occasione dell'esposizione universale Expo 2015, volte ad offrire suggerimenti su come ridurre gli sprechi alimentari;
   a sviluppare accordi di filiera tra agricoltori, produttori e distributori, anche attraverso l'istituzione di un tavolo di partenariato, per una programmazione più corretta dell'offerta alimentare;
   a prevedere programmi volti a definire politiche di investimento prima nel campo della riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e successivamente in quello del recupero;
   ad assumere iniziative per prevedere un sistema di premialità fiscale per le filiere che si occupano del recupero, della raccolta e della distribuzione, anche con sistemi di logistica dedicati, delle produzioni agroalimentari e della riduzione degli sprechi;
   a promuovere in sede europea un piano di armonizzazione fra gli Stati membri, finalizzato alla raccolta di dati statistici sul fenomeno degli sprechi alimentari, nonché a stabilire un significato univoco per i termini «food loss», ovvero le perdite che si determinano a monte della filiera agroalimentare, principalmente in fase di semina, coltivazione e raccolta, e «food waste», ovvero gli sprechi che avvengono durante la trasformazione industriale, la distribuzione e il consumo finale;
   per evitare gli sprechi, ad avviare iniziative di recupero degli alimenti non ancora entrati nel ciclo dei rifiuti, attraverso la distribuzione ad individui svantaggiati, l'impiego come mangime o, come ultima alternativa, la produzione di bioenergia.
(1-00472) «Faenzi, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Russo, Palese, Mottola».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    secondo il rapporto della Fao Global food losses and food waste del 2011 (perdita e spreco di cibo a livello mondiale), un terzo del cibo prodotto in tutto il mondo viene sprecato; ogni anno nei Paesi ricchi viene persa una quantità di cibo equivalente a quella prodotta nell'Africa subsahariana (222 milioni di tonnellate contro 230); negli Stati Uniti il 30 per cento del cibo prodotto ogni anno viene gettato via; l'ammontare di cibo che va perduto o sprecato ogni anno è equivalente a più di metà dell'intera produzione annuale mondiale di cereali (2,3 miliardi di tonnellate nel 2009/2010). In Europa e in Nord America lo spreco pro capite è calcolato intorno ai 100 chilogrammi all'anno, mentre in Africa subsahariana e nel sud-est asiatico ammonta a circa 10 chilogrammi l'anno;
    in Italia, lo spreco alimentare annuo ammonta a 6,5 milioni di tonnellate, pari a 108 chilogrammi pro capite, una cifra inferiore rispetto alla media europea, ma pur sempre preoccupante;
    il problema dello spreco alimentare è molto serio e non riguarda solo il nostro Paese ma anche una fetta importante dell'intero pianeta. Con l'aumento dei consumi cresce anche la quantità di cibo che viene quotidianamente sprecato;
    molti dei prodotti alimentari destinati alle mense scolastiche non sono ottenuti dalle materie prime originarie dei territori in cui sono consumati, né sono riferibili alle tradizioni alimentari dei territori medesimi;
    le attuali politiche di approvvigionamento di prodotti alimentari destinati alla refezione scolastica tendono, nel loro complesso, a contribuire al processo di progressivo indebolimento della componente agricola all'interno delle filiere agroalimentari e a generare costi a carico dell'acquirente finale che, nel caso specifico, è, in primo luogo, identificabile nel contribuente o, in ogni caso, nei soggetti che si fanno materialmente carico di sopportare gli oneri relativi al consumo di pasti nelle mense scolastiche;
    il consumo di prodotti alimentari di qualità (denominazione di origine protetta, indicazione geografica protetta, attestazioni di specificità e prodotti biologici) e, più, in genere, di prodotti tipici e di territorio, è riconosciuto come funzionale al mantenimento di un buono stato di salute ed è, pertanto, particolarmente indicato per i bambini, ai fini, di una corretta educazione alimentare, volta anche a limitare la diffusione di stati patologici, quali l'obesità che, con crescente e preoccupante frequenza, interessa le fasce di età più giovani della popolazione;
    il consumo di prodotti tipici e di qualità concorre, altresì, al mantenimento di forme di agricoltura ancorate al territorio e, quindi, anche alla tutela ed allo sviluppo dei valori economici, sociali e culturali che sono propri dei territori di cui gli stessi prodotti sono espressione;
    le regioni e province possono garantire un'alimentazione sana, varia e completa, dalle carni ai formaggi, dal riso agli ortaggi, dalle uova alla frutta. Assicurare una dieta equilibrata e corretta educa i bambini a mangiare secondo la stagionalità e la territorialità dei prodotti e sostiene le filiere locali tenendo sempre presente però le necessità di salute, di religione o esigenze particolari;
    adottare nelle scuole una dieta alimentare somministrando ai bambini prodotti provenienti sia dal territorio della provincia che della regione in cui è situata la scuola, nonché prodotti italiani, lasciando comunque uno spazio nei menù ai prodotti provenienti anche dall'Unione europea o da altre parti del mondo, significa educare i giovani ad una sana e corretta alimentazione, facendogli anche comprendere l'importanza della problematica dello spreco alimentare e, inoltre, promuove le specificità del territorio;
    così si rilancerebbe la filiera locale di produzione che significa, prima di tutto, prodotti sempre freschi e genuini, con dei costi molto contenuti e con un'attenzione anche all'ambiente;
    essendo prodotti provenienti dal territorio, si ridurrebbero al minimo le emissioni di anidride carbonica derivati dal trasporto e, altresì, si incentiverebbe anche la conoscenza dei prodotti tipici locali all'interno delle scuole, prodotti apprezzati e invidiati in tutto il mondo;
    complice la crisi economica, oggi appena il 36 per cento degli italiani dichiara di attenersi rigorosamente alla data di scadenza dei prodotti riservandosi di valutare personalmente la qualità dei prodotti scaduti prima di buttarli. Solo il 54 per cento degli italiani controlla quotidianamente il frigorifero e il 65 per cento controlla almeno una volta al mese la dispensa;
    con la crisi si registra, peraltro, un'inversione di tendenza e quasi tre italiani su quattro (73 per cento) hanno tagliato gli sprechi a tavola nel 2013, anche per effetto della necessità di risparmiare e di ottimizzare la spesa dallo scaffale alla tavola;
    la tendenza al contenimento degli sprechi è forse l'unico aspetto positivo della crisi in una situazione in cui ogni persona in Italia ha comunque buttato nel bidone della spazzatura ben 76 chili di prodotti alimentari durante l'anno;
    l'Unione europea si sta apprestando a rivedere le norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari per far sparire le scritte «da consumarsi preferibilmente entro» dalle confezioni di prodotti di pasta, riso, tè, caffè e formaggi duri, quindi estendere ai prodotti secchi la lista dei prodotti per i quali attualmente non è prevista una scadenza, come sale e aceto;
    questa modifica era all'ordine del giorno della riunione del 19 maggio 2014 del Consiglio Agricoltura e Pesca, dove i Ministri hanno affrontato le proposte delle delegazioni di Olanda e Svezia, sostenute da Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo, che intendevano in questo modo richiamare l'attenzione sul problema degli sprechi alimentari in Europa;
    la giustificazione di questa proposta era incentrata sul fatto che spesso i cibi vengono buttati via ancora integri a causa dell'insicurezza nei consumatori perché portati a confondere, e quindi allarmati dalle possibili conseguenze sulla salute, la data di scadenza vera e propria – «da consumarsi entro» – con i termini minimi di conservazione (tmc) – «da consumarsi preferibilmente entro» – che è stato introdotto a garanzia dei consumatori;
    la data di scadenza indica il termine entro il quale il prodotto deve essere consumato ed anche oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio ed è prevista per tutti i generi deperibili come latte, yogurt, ricotta, uova, pasta fresca ed altri. Il termine minimo di conservazione, invece, indica la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Tanto più ci si allontana dalla data di superamento del termine minimo di conservazione, tanto più vengono a mancare le caratteristiche organolettiche e gustative, o nutrizionali, di un alimento;
    il Commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori, Tonio Borg, al termine dei lavori del Consiglio europeo, ha dichiarato che verso la metà di giugno 2014 presenterà insieme al collega all'ambiente, Janez Potocnik, una comunicazione sull'alimentazione sostenibile dove si parlerà anche della data limite di consumo di alcuni alimenti. La comunicazione, che non è una proposta legislativa, sarà discussa sotto il semestre di presidenza italiana dell'Unione europea e, quindi, sarà proprio l'Italia che potrà dare un primo orientamento al dibattito in attesa di una proposta;
    le nuove forme di spreco alimentare non riguardano solo i cibi ma anche l'utilizzo non corretto di prodotti destinati all'alimentazione umana e animale, come l'uso del mais o dei foraggi nei digestori per produrre energia,

impegna il Governo:

   ad adottare, al fine di ridurre gli sprechi alimentari, tutte le iniziative necessarie affinché, anche attraverso il potenziamento degli strumenti normativi esistenti, l'approvvigionamento di prodotti alimentari destinati ai servizi di mensa scolastica provenga dal territorio, dalla provincia, dalla regione e dall'Italia, da reperire, principalmente, attraverso modalità finalizzate a favorire l'avvicinamento tra la fase produttiva agricola e quella di consumo;
   a rendere partecipe il Parlamento su quale sarà la posizione del Governo, durante il semestre di presidenza europeo, circa le modifiche proposte che sono state illustrate in sede di Consiglio Agricoltura e Pesca del mese di maggio 2014 in merito alle norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari.
(1-00475) «Caon, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    la Fao ritiene che agricoltura, allevamento e pesca producano una volta e mezzo la quantità di cibo necessaria a sfamare gli abitanti della terra con una dieta adeguata e nutriente. Nel corso degli ultimi 50 anni, metodi sempre più efficaci di produzione agricola hanno notevolmente aumentato la resa dei terreni, l'efficienza degli allevamenti e, complessivamente, la produzione alimentare;
    questa enorme disponibilità, le modalità con cui le industrie alimentari si approvvigionano, lavorano e presentano ai consumatori gli alimenti, hanno favorito nel mondo occidentale una percezione errata sul valore del cibo e sull'enorme lavoro che c’è dietro ogni prodotto commestibile. D'altro canto, l'agricoltura, la pesca e la zootecnia industriali non hanno come principale obiettivo quello di rispondere alle esigenze delle comunità locali, bensì lo scopo di realizzare il maggior profitto possibile vendendo i prodotti sui mercati più redditizi;
    il dato che l'alimentazione influisca per una percentuale inferiore al 20 per cento sui bilanci delle famiglie occidentali genera nei consumatori la sensazione che si tratti di un bene sempre accessibile e di valore relativo; ben diversa è la situazione nei Paesi non caratterizzati dall'economia di mercato, quali ad esempio i Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo, dove l'alimentazione influisce per circa il 60 per cento sui bilanci delle famiglie;
    sul mercato internazionale, inoltre, i principali beni alimentari sono trattati come commodity, termine con cui si definiscono i beni per i quali c’è una domanda scarsamente comprimibile, offerti senza differenze qualitative sul mercato e che sono fungibili: come il petrolio, il gas o l'oro e anche il grano, il mais, la soia, il riso, lo zucchero e il caffè. Le commodity, inoltre, possono costituire un'attività sottostante per vari tipi di strumenti finanziari derivati, in particolare per i futures (che sono scommesse sul prezzo futuro dei beni) e, quindi, sono oggetto di speculazione; da tempo taluni Stati dell'Unione europea chiedono di escludere i beni alimentari dal mercato dei derivati, per gli effetti moltiplicativi sui prezzi in caso di diminuzione dei raccolti;
    i numerosi dati diffusi sullo spreco alimentare nel nostro Paese sono sovente sovrastimati e scontano un'impostazione ideologica volta quasi a colpevolizzare i cittadini (gli sprechi di tutta la filiera, ad esempio, sono imputati pro capite); peraltro, molte delle soluzioni redistributive avanzate non tengono sufficientemente conto dei costi di recupero e redistribuzione dei cosiddetti sprechi di cibo: solo una quota di quel che avanza può essere recuperata senza costi superiori ai benefici;
    correttamente gli esperti in materia (in particolare quanti studiano tali problematiche presso il Politecnico di Milano) distinguono tra «eccedenza» e «spreco alimentare»: l'eccedenza è la quantità di cibo prodotto, perfettamente commestibile e che, per vari motivi, non arriva al consumatore attraverso i canali di distribuzione tradizionali. Dunque, è un «di più» rispetto alla domanda di consumo. Il punto è far sì che questa eccedenza venga recuperata a scopo alimentare, cioè donata a chi ne ha bisogno e non gettata in discarica o utilizzata come fonte energetica;
    ciò premesso, la ricerca del Politecnico di Milano (primavera 2012), realizzata dopo avere intervistato 10 esperti, analizzato 124 studi sul problema e consultato un panel di 6.000 nuclei familiari e alcune food bank impegnate nella raccolta delle eccedenze alimentari, ha stimato, con riferimento a tutta la filiera alimentare, che ogni anno in Italia vengono prodotti 6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari: 2,5 milioni da parte dei consumatori, 2,3 milioni dai produttori primari (gli agricoltori e allevatori) e il resto nella fase di trasformazione (0,18 milioni), distribuzione (0,77 milioni) e ristorazione (0,2 milioni);
    valutando quanto valgono in percentuale queste eccedenze, rispetto alla quantità totale di cibo gestita in ogni stadio della filiera, si scopre così che le eccedenze generate nei campi sono il 2,9 per cento della produzione agricola totale, mentre quelle generate nella fase di distribuzione rappresentano il 2,5 per cento di tutte le merci mobilitate. Nelle aziende di trasformazione le eccedenze sono pari allo 0,4 per cento, mentre sono maggiori gli impatti nella ristorazione (6,3 per cento) e tra i consumatori (8 per cento);
    altro elemento contraddittorio e preoccupante è lo sperpero di tali beni, se si considera che ogni anno vengono sprecate ben 5,5 milioni di tonnellate di cibo per un valore di 12,3 miliardi di euro e solo mezzo milione di tonnellate di quanto prodotto in più viene recuperato a scopo alimentare e donato a fini solidaristici;
    ripercorrendo i vari stadi della filiera, il dato più virtuoso è di nuovo quello della trasformazione, che recupera il 55 per cento delle sue eccedenze. Seguono la produzione primaria, che recupera il 12 per cento, la ristorazione (9 per cento) e la distribuzione (8 per cento). I consumatori invece sprecano praticamente il 100 per cento delle loro eccedenze, per un valore di circa 5,7 miliardi di euro l'anno. Si tratta, inoltre, di un notevole impatto ambientale se si considera che una sola tonnellata di rifiuti alimentari genera fino a 4,2 tonnellate di anidride carbonica. Finiscono nella spazzatura il 19 per cento del pane, il 4 per cento della pasta, il 39 per cento dei prodotti freschi (latticini, uova, carne e preparati) e il 17 per cento di frutta e verdura;
    il rapporto del Politecnico è riferito a dati del 2011, ma queste valutazioni sono in linea di massima confermate dal Rapporto 2013 di Knowledge for Expo e Waste Watchers, da cui emerge che gli italiani sprecano, nel modo al quale si è accennato, ogni settimana dai 4,81 ai 13 euro per famiglia, per un totale di 8,7 miliardi di euro di spesa. Lo spreco domestico è valutato attorno all'8 per cento dei costi sostenuti;
    più elevati sono i valori calcolati (aprile 2014) dalla Confederazione italiana agricoltori, secondo la quale ogni famiglia italiana in un anno spende mediamente 515 euro in alimenti che poi non consumerà, sprecando circa il 10 per cento della spesa mensile; si tratta di oltre 4.000 tonnellate di cibo acquistate dai consumatori e buttate in discarica ogni giorno, pari a 6 milioni di tonnellate in un anno;
    ciò avviene nonostante gli italiani siano tra i più virtuosi nell'ambito dell'Unione europea: in Gran Bretagna ogni anno vanno persi 6,7 milioni di tonnellate di alimenti per un valore di 10 miliardi di sterline. In Svezia ogni famiglia getta nella spazzatura il 25 per cento del cibo comprato, mentre in Cina tale valore si attesta al 16 per cento. Si è, comunque, ben distanti dal dato clamoroso degli Stati Uniti, che nel complesso non utilizzano il 40 per cento della spesa alimentare; enormi risorse sono utilizzate per la produzione di cibo non consumato negli Usa: il 30 per cento di fertilizzante, il 31 per cento delle terre coltivate, il 25 per cento del consumo totale di acqua dolce e il 2 per cento del consumo totale di energia;
    dalle valutazioni effettuate nel 2011 dalla Commissione europea (Consumer Empowerment in the EU – SEC(2011) 469), i rifiuti alimentari nei 27 Stati membri ammonterebbero a circa 89 milioni di tonnellate, che aumenteranno, sempre secondo attendibili stime, a 126 milioni di tonnellate nel 2020 (ossia 179 chilogrammi pro capite l'anno, di cui 108 in Italia) che potrebbero aumentare fino a 238: questo senza contare gli sprechi a livello di produzione agricola o ittica (le catture di pesce rigettate in mare);
    sulla base di questi dati, il 19 gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione (2011/2175(INI)) sullo spreco di alimenti nella quale si cerca di individuare le strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea al fine di ridurre gli sprechi alimentari del 50 per cento entro il 2025, anche in considerazione del fatto che nell'Unione europea 79 milioni di persone (il 15 per cento) vivono ancora al di sotto della soglia di povertà (cioè con un reddito inferiore al 60 per cento del reddito medio del Paese di residenza) e che, di questi, circa 16 milioni hanno ricevuto aiuti alimentari attraverso enti di beneficenza;
    la risoluzione del Parlamento europeo rileva che lo spreco alimentare ha origine per diversi motivi: la sovra-produzione, l'errata individuazione del target del prodotto (forma o dimensioni inadatte), il deterioramento del prodotto o dell'imballaggio, le norme di commercializzazione (problemi di aspetto o imballaggio difettoso), oppure l'inadeguatezza della gestione delle scorte e delle strategie di marketing; infine, l'errata valutazione negli acquisti da parte dei consumatori;
    quanto alle soluzioni, la risoluzione del Parlamento europeo insiste sulla necessità di adottare una strategia coordinata al fine di evitare gli sprechi alimentari e di migliorare l'efficienza della catena agroalimentare: a) promuovendo relazioni dirette fra i produttori e i consumatori; b) accorciando la catena dell'approvvigionamento alimentare; c) invitando tutti gli attori coinvolti a proseguire sulla strada della condivisione delle responsabilità; d) potenziando il coordinamento per migliorare ulteriormente la logistica, il trasporto, la gestione delle scorte e gli imballaggi;
    invita, pertanto, la Commissione europea ad introdurre misure atte a ridurre gli sprechi alimentari a monte, come, ad esempio, l'etichettatura con doppia scadenza (commerciale e di consumo) e le vendite scontate di prodotti in scadenza o danneggiati;
    nel mese di aprile del 2014, la Spagna ha deciso di abolire la data di scadenza su alcuni prodotti, conservando solo la data più appropriata per il consumo. Inoltre, i rivenditori non saranno più obbligati a ritirare la merce dagli scaffali da uno a tre giorni prima della data di scadenza: un fatto che potrebbe davvero contribuire in modo significativo a ridurre lo spreco, soprattutto se i supermercati offriranno gli alimenti vicini alla scadenza a prezzi vantaggiosi; analogamente diversi Stati membri (in prima fila ci sono Olanda e Svezia) starebbero spingendo per ampliare l'elenco dei prodotti alimentari il cui termine minimo di conservazione non deve essere specificato in base al diritto comunitario. In concreto: la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro» potrebbe presto sparire dalle confezioni di pasta, riso, tè, caffè e formaggio duro. Già oggi non è obbligatoria per prodotti quali zucchero, sale o aceto;
    quanto al sostegno agli indigenti, va ricordato il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), nato nel 1987 nell'ambito della Politica agricola comune (Pac), al fine di consentire che le eccedenze della produzione agricola europea potessero essere utilizzate anziché distrutte. Nel 2013 l'Italia ha ricevuto da questo programma circa 98 milioni di euro; con riferimento alla programmazione pluriennale dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, si prevede che il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti sia coperto con i fondi del Fondo sociale europeo, prevedendo 2,5 miliardi di euro per i sette anni della nuova programmazione finanziaria comunitaria;
    l'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ha istituito il Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti, gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), con lo scopo di raccogliere le derrate alimentari eccedenti, che gli operatori della filiera o le imprese di trasformazione volontariamente donano a titolo liberale o come eccedenza di produzione; il fondo provvede alla redistribuzione agli indigenti sul territorio nazionale mediante organizzazioni caritatevoli. L'articolo 1, comma 224, della legge di stabilità per l'anno 2014, ha rifinanziato il fondo con 10 milioni di euro;
    il nostro Paese sta allestendo Expo 2015, un evento di eccezionale importanza e una straordinaria occasione per il rilancio economico e turistico dell'Italia intera; il tema della manifestazione «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita» riguarda, tra l'altro, le risorse alimentari del pianeta e la loro distribuzione ottimale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per aumentare la dotazione del Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, di cui all'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012;
   ad adottare periodiche campagne al fine di sensibilizzare i consumatori circa la riduzione dei rifiuti alimentari e le migliori tecniche di conservazione dei cibi in casa ed a favorire le donazioni dirette di derrate alimentari da distribuire agli indigenti o alle organizzazione dedicate a questo scopo (banchi alimentari), oltre che al fine di coinvolgere le scuole di ogni livello e grado, allo scopo di evitare gli sprechi di cibo all'interno di mense e caffetterie e per favorire l'adozione di diete sane ed equilibrate;
   a riconsiderare lo scarto alimentare come rifiuto, differenziando invece la raccolta per categorie di prodotti e, in tale ambito, a consentire, mediante modifica delle norme vigenti, il ritiro diretto del pane prodotto in eccedenza dai forni da parte delle organizzazioni caritatevoli, al fine della distribuzione gratuita;
   ad istituire un programma nazionale di ricerca per identificare la quantità e le cause strutturali delle eccedenze degli sprechi di alimenti, al fine di individuare, a livello nazionale, gli obiettivi e i metodi di riduzione;
   a valutare, in seno all'evento di Expo 2015, la possibilità di affrontare in sede internazionale il problema dello spreco alimentare, definendo orientamenti e strategie globali per migliorare l'efficienza della catena agroalimentare;
   ad avviare un processo di standardizzazione delle etichette sui prodotti alimentari al fine di aiutare i consumatori circa la scelta e l'uso dei prodotti, favorendo, così, la riduzione degli sprechi e ad assumere iniziative per apportare modifiche alle normative sulla commercializzazione e la vendita dei prodotti agroalimentari, introducendo una doppia scadenza, oltre alla data di produzione, con le indicazioni anche organolettiche del prodotto (con la dicitura «preferibilmente entro» – data di scadenza commerciale), essendo comunque indispensabile e necessario indicare la data di scadenza vera e propria, con la dicitura «da consumarsi entro», posto che essa è relativa alla salubrità del prodotto alimentare;
   ad assumere iniziative normative che, in relazione al processo di aggiudicazione di appalti pubblici, conferiscano dei vantaggi alle imprese che concretamente si adoperano per combattere gli sprechi alimentari, favorendo l'utilizzo di prodotti locali e la tutela della qualità dei prodotti medesimi;
   a tutelare e sostenere modelli di organizzazione in grado di recuperare la totalità delle tipologie di prodotti, che possano essere incluse nelle categorie «freschi» e «freschissimi»;
   ad assumere iniziative dirette ad adottare misure anche fiscali volte a favorire lo sviluppo della filiera corta alimentare;
   ad impegnarsi in sede comunitaria al fine di intraprendere un'azione congiunta, volta ad impedire speculazioni finanziarie sulle commodity alimentari, quali grano, mais, soia, riso e zucchero.
(1-00479) «Dorina Bianchi».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)