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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Venerdì 14 marzo 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 14 marzo 2014.

  Aiello, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amendola, Amici, Balduzzi, Baretta, Bellanova, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bressa, Brunetta, Caparini, Casero, Castiglione, Cicchitto, Ciprini, Cirielli, Costa, D'Incà, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Epifani, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lombardi, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Mannino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Mogherini, Nicoletti, Orlando, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Ravetto, Realacci, Ricciatti, Rigoni, Rossi, Rughetti, Sani, Scagliusi, Scalfarotto, Schullian, Sereni, Speranza, Tabacci, Tidei, Valeria Valente, Velo, Vito, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 13 marzo 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   PIAZZONI e MARCON: «Disciplina del Servizio civile nazionale e istituzione dei Corpi civili di pace» (2184);
   CAON: «Agevolazioni tributarie per i lavori e gli investimenti volti al miglioramento o al recupero delle strutture ricettive turistiche» (2185);
   FEDRIGA ed altri: «Disposizioni per il rilancio dell'occupazione, la riduzione del cuneo fiscale e il riordino dei servizi e delle politiche attive per il lavoro» (2186);
   LUIGI GALLO ed altri: «Introduzione dell'insegnamento dello strumento musicale del mandolino nelle scuole secondarie di primo grado» (2187).

  Saranno stampate e distribuite.

Trasmissione dal Senato.

  In data 13 marzo 2014 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza la seguente proposta di legge:
   S. 116-273-296-394-546. – Senatore PALMA; senatori ZANETTIN ed altri; senatore BARANI; senatori CASSON ed altri; senatori CALIENDO ed altri: «Disposizioni in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e amministrative nonché di assunzione di incarichi di governo nazionale e negli enti territoriali. Modifiche alla disciplina in materia di astensione e ricusazione dei giudici» (approvata, in un testo unificato, dal Senato) (2188).

  Sarà stampata e distribuita.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

  La proposta di legge ANTIMO CESARO ed altri: «Introduzione dell'insegnamento dell'educazione ambientale nei programmi didattici delle scuole del primo ciclo di istruzione» (1595) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Molea.

Assegnazione di un progetto di legge
a Commissione in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, il seguente progetto di legge è assegnato, in sede referente, alla sottoindicata Commissione permanente:
  II Commissione (Giustizia):
   MAZZIOTTI DI CELSO ed altri: «Modifiche al codice penale in materia di prescrizione dei reati» (1528) Parere delle Commissioni I e XII.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 13 marzo 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla mobilitazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione in conformità del punto 13 dell'accordo interistituzionale del 2 dicembre 2013 tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sulla disciplina di bilancio, sulla cooperazione in materia di bilancio e sulla sana gestione finanziaria (domanda EGF/2012/004 ES/Grupo Santana, Spagna) (COM(2014) 116 final), che e assegnata in sede primaria alla XI Commissione (Lavoro);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla qualità dei dati finanziari notificati dagli Stati membri nel 2013 (COM(2014) 122 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
   Resoconto annuale delle relazioni annuali di attività sui crediti all'esportazione degli Stati membri in conformità all'allegato I, punto 3, del regolamento (UE) n. 1233/2011 (COM(2014) 123 final), che è assegnato in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive);
   Allegato della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla riduzione o sulla soppressione dei dazi doganali sulle merci originarie dell'Ucraina (COM(2014) 166 final – Annex 1, parti da 1 a 11), che è assegnato in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive).

Trasmissione dalla Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

  La Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lettera n), della legge 12 giugno 1990, n. 146, copia delle delibere adottate dalla Commissione nel mese di febbraio 2014.

  Questa documentazione è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro).

Comunicazione di nomine ministeriali.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 12 marzo 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento al dottor Biagio Mazzotta, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di ispettore generale capo dell'Ispettorato generale del bilancio presso il dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze.

  Tale comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

  Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 10 marzo 2014, a pagina 4, prima colonna, diciannovesima riga, dopo la parola: «tributaria)» si intende inserita la seguente: «, VIII».

INTERPELLANZE URGENTI

Iniziative di competenza volte a contrastare le pratiche di commercializzazione di gameti o di embrioni e la surrogazione di maternità – 2-00439

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   «utero in affitto», «gestazione per conto terzi», «gravidanza su commissione», «maternità surrogata» sono termini che indicano uno stesso fenomeno, quello di donne, per lo più indigenti e con un basso livello di istruzione, socialmente deboli e poco consapevoli dei propri diritti, che affrontano una gravidanza e un parto su commissione, sapendo che cederanno il neonato alla coppia o alla persona che ha sottoscritto con loro un apposito contratto; si tratta di una gravissima forma di sfruttamento commerciale del corpo delle donne, che svilisce profondamente il ruolo materno, riducendo le donne a meri «contenitori» e rendendo i bambini sempre di più simili a oggetti reperibili sul mercato;
   la maternità in affitto comporta sempre forme di pagamento, anche surrettizie, rubricate cioè come «rimborso spese»;
   il Parlamento europeo, nella risoluzione del 5 aprile del 2011 sulle priorità e la definizione di un nuovo quadro politico dell'Unione europea in materia di lotta alla violenza contro le donne, si è pronunciato contro tale pratica, chiedendo «agli Stati membri di riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili» e rilevando che «le donne e i bambini sono soggetti alle medesime forme di sfruttamento e possono essere considerati merci sul mercato internazionale della riproduzione, e che i nuovi regimi riproduttivi, come la surrogazione di maternità, incrementano la tratta di donne e bambini nonché le adozioni illegali transnazionali»;
   in data 10 marzo 2005 il Parlamento europeo ha, inoltre, approvato una risoluzione di condanna del commercio degli ovociti umani, confermando la propria posizione contraria allo sfruttamento commerciale della maternità;
   la procedura dell'utero in affitto scinde la maternità in tre figure distinte, diversamente definite: una maternità «genetica», che riguarda la donna che cede i propri ovociti; una «gestazionale», per colei che affronta la gravidanza e una «legale», oppure «sociale», o ancora «intenzionale», per chi invece l'ha commissionata e si impegna a crescere il bambino;
   una spinta alla diffusione di questa pratica sta arrivando anche dalla moltiplicazione delle forme di riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali, dalle quali deriva, talvolta con successivi provvedimenti, l'accesso all'adozione e alle tecniche di procreazione assistita (cioè fecondazione eterologa e utero in affitto) che consentono a coppie dello stesso sesso di avere bambini geneticamente legati a un componente della coppia;
   non esistono stime attendibili e complete sul mercato dell'utero in affitto, ma Paesi in cui la pratica è più diffusa, come l'India, parlano di un indotto complessivo di due miliardi di dollari l'anno, con un migliaio di cliniche non regolamentate e un costo unitario che nella stessa India va dai 10.000 ai 35.000 dollari, a fronte di 80.000-100.000 dollari negli Stati Uniti, disegnando un'evidente selezione classista e spesso anche razzista;
   il nostro Paese ha da sempre una forte tradizione solidaristica, comune a diversi orientamenti politici e culturali, per cui la donazione di parti del corpo umano è stata sempre sostenuta e tutelata, proibendo qualsiasi forma di commercializzazione di organi, cellule e tessuti. Si tratta di un patrimonio valoriale condiviso che ha prodotto una realtà vitale e diffusa di associazioni di pazienti e donatori nella società civile. Questo approccio legislativo si è mantenuto coerente anche per quanto riguarda i più recenti sviluppi della biomedicina, per i quali si ricorda, ad esempio, la rete di biobanche esclusivamente pubbliche per l'appropriata conservazione di staminali da sangue cordonale e, più in generale, il carattere esclusivamente pubblico delle biobanche di cellule e tessuti ad uso clinico;
   la legge italiana sanziona la maternità surrogata: in particolare, la legge 40 del 2004, all'articolo 12, comma 6, prevede che chiunque, in qualsiasi forma, realizzi, organizzi o pubblicizzi la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità sia punibile con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 euro a un milione di euro;
   il diverso trattamento giuridico dell'utero in affitto nei vari Paesi, insieme alla mancanza di accordi internazionali o bilaterali specifici, è fonte di contenziosi giuridici che aprono sempre più la strada al riconoscimento di tale pratica per via giudiziaria; questo avviene perché difficilmente committenti, madri in affitto, fornitori di gameti, operatori sanitari e, in genere, figure coinvolte nella pratica, si trovano tutte nella stessa nazione. È esemplare quanto accaduto recentemente con una sentenza del tribunale di Milano che ha riconosciuto a una coppia di genitori milanesi la genitorialità di un bambino nato da un utero in affitto in Ucraina, ma in Italia i casi sono già numerosi –:
   quali iniziative, nel nome di manifeste esigenze umanitarie, coerenti con lo spirito e la lettera della Carta costituzionale, intendano adottare per contrastare nella dimensione interna ed internazionale questa odiosa forma di sfruttamento del corpo di donne povere, indotte dallo stato di indigenza ad accettare di portare avanti una gravidanza per conto terzi, sapendo di dover consegnare il figlio ai committenti dopo il parto.
(2-00439) «Roccella, Dorina Bianchi, Saltamartini, Scopelliti».


Iniziative di competenza volte a garantire il rispetto della normativa sull'interruzione volontaria della gravidanza, in particolare in considerazione di un gravissimo episodio verificatosi all'ospedale Sandro Pertini di Roma – 2-00449

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il quotidiano la Repubblica dell'11 marzo 2014 riporta una drammatica intervista a una donna affetta da una malattia genetica costretta ad abortire al quinto mese e «sola come un cane». Peraltro, in conseguenza e per responsabilità della legge n. 40 del 2004 sulla procreazione assistita, la donna ricorda come, pur avendo una «malattia genetica-trasmissibile rara e terribile, in teoria posso avere figli, quindi per me non è previsto l'accesso alla fecondazione assistita, alla diagnosi pre-impianto. A me questa legge ingiusta concede solo di rimanere incinta e scoprire, come poi è avvenuto, che la bambina che aspettavo era malata, condannata. Lasciandomi libera di scegliere di abortire, al quinto mese: praticamente un parto»;
   la donna racconta di essersi ritrovata, complice il cambio di turno, abbandonata in un bagno a partorire il feto morto, con il solo aiuto del marito, «In ospedale erano tutti obiettori» ha dichiarato;
   si riportano, in quanto illuminanti, alcuni stralci dell'intervista rilasciata dalla donna: «la mia ginecologa è obiettore e si rifiuta di farmi ricoverare. Riesco dopo vari tentativi ad avere da una ginecologa del Sandro Pertini il foglio del ricovero, dopo due giorni, però, perché soltanto lei non è obiettore. Dopo 15 ore di dolori lancinanti, tra conati di vomito e momenti in cui svengo, con mio marito sempre accanto che non sa che fare, che chiama aiuto, che va da medici e infermieri dicendogli di assistermi, senza risultato, partorisco dentro il bagno dell'ospedale. Accanto a me c’è solo Fabrizio. (...) I medici venivano per le flebo, ma nessuno li ha visti arrivare quando chiamavo aiuto. Nessuno ci ha assistito nel momento peggiore. Forse perché da quando sono entrata a quando ho partorito era cambiato il turno, c'erano solo medici obiettori. In più, mentre ero lì stravolta dal dolore entravano degli attivisti anti aborto con vangeli in mano e voci minacciose»;
   al di là di eventuali responsabilità penali che la magistratura dovrà accertare in capo ai singoli sanitari e alla struttura sanitaria, ci si trova ancora una volta in presenza di uno Stato, l'Italia, che non garantisce un servizio sanitario adeguato e di una legge, la n. 194 del 1978 sull'interruzione di gravidanza, che continua, di fatto, a non essere pienamente applicata, e ciò impone una seria riflessione sulla garanzia e la qualità del servizio per l'interruzione della gravidanza disciplinata dalla medesima legge;
   l'8 marzo 2014 il documento del Comitato europeo dei diritti sociali, organismo del Consiglio d'Europa, ha condannato il nostro Paese per la violazione della legge n. 194 del 1978 e, in particolare, per l'elevato e crescente numero di medici obiettori di coscienza. Insomma, l'interruzione volontaria di gravidanza in Italia è solo sulla carta: in realtà, è di quasi impossibile applicazione in molte regioni;
   la relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza, trasmessa al Parlamento il 13 settembre 2014 dal Ministro interpellato, dice che in Italia ben il 69,3 per cento dei ginecologi del servizio pubblico è obiettore di coscienza. In pratica, quasi sette medici ginecologi su dieci sono obiettori;
   le percentuali regionali dei ginecologi obiettori non scendono mai al di sotto del 51,9 per cento; i dati medi aggregati per Nord, Centro, Sud e isole indicano percentuali di ginecologi obiettori di coscienza pari rispettivamente al 63,9 per cento; al 72 per cento; al 77,1 per cento; al 74,7 per cento. In Molise, la percentuale di obiettori è dell'87,9 per cento; la Campania si attesta all'88,4 per cento;
   peraltro, è noto che i dati della relazione al Parlamento in realtà non riescono a fotografare lo stato reale della sua applicazione sul territorio nazionale, che risulta ben più grave di quello riportato nei dati ufficiali;
   i dati sopra indicati sulle percentuali molto elevate di obiettori comportano, oltre che evidenti ricadute negative sulla stessa effettiva attuazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza e, quindi, sulle donne che rivendicano l'inviolabile libera scelta a farne ricorso, anche conseguenze oggettivamente pesanti sui sempre più pochi medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza, con il rischio più che concreto di una dequalificazione professionale e conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera;
   al personale sanitario viene garantito di poter sollevare l'obiezione di coscienza. Ma quel che è un diritto del singolo non è diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha anzi l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie;
   a fronte di questo «stato di emergenza», le donne devono spesso migrare da una regione all'altra o addirittura all'estero, e, soprattutto tra le immigrate, risulta ancora «necessario» il ricorso all'aborto clandestino;
   l'11 giugno 2013, la Camera dei deputati ha discusso le mozioni riguardanti l'applicazione della legge n. 194 del 1978 e in quell'occasione il Ministro interpellato ha assunto specifici impegni per garantire la piena attuazione della legge. Nella sopra citata relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, si sottolinea che il Ministero della salute, proprio per dare a seguito ad alcuni impegni previsti dalle sopra citate mozioni, ha attivato un «tavolo tecnico» con gli assessori regionali per monitorare le strutture sanitarie e i consultori relativamente all'attuazione della legge n. 194 del 1978. I risultati saranno riportati nella relazione al Parlamento del prossimo anno –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per acquisire elementi su quanto denunciato nell'intervista sopra riportata, anche al fine di verificare le ragioni delle inaccettabili disfunzioni o omissioni di cui in premessa;
   come intenda attivarsi, per quanto di competenza, al più presto, al fine di garantire il pieno rispetto della legge n. 194 del 1978 da parte di ogni struttura pubblica o del privato accreditato, posto che secondo gli interpellanti solo a fronte di questo impegno può essere concesso o confermato l'accreditamento;
   se non si reputi necessario garantire fin da subito il pieno rispetto del comma 4 dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, laddove dispone che «gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale», anche assumendo iniziative normative per prevedere, in caso di omissione da parte della regione inadempiente, il potere sostitutivo dello Stato sancito dall'articolo 120 della Costituzione.
(2-00449) «Nicchi, Piazzoni, Migliore».


Intendimenti del Governo in merito all'impugnazione dei documenti di bilancio per l'anno 2014 dell'Assemblea regionale siciliana – 2-00408

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per gli affari regionali, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   i documenti di bilancio per l'anno 2014 esitati nei giorni scorsi dall'assemblea regionale siciliana sono stati gravemente e pesantemente impugnati dal commissario dello Stato, prefetto Claudio Aronica che, sottoponendoli come suo obbligo d'ufficio, ad esame, ha rinviato ben 33 articoli su 50 alla valutazione della Corte costituzionale per evidente sospetta incostituzionalità;
   il commissario dello Stato, con un'ampia, documentata e circostanziata relazione dai toni tanto duri quanto ampiamente motivati, ha sottoposto ad impugnativa non solo decine di non irrilevanti aspetti specifici tratti da singoli commi o singoli articoli dei documenti finanziari sottoposti alla sua valutazione, ma ha formalmente sollevato vizio grave di incostituzionalità per l'intero sistema delle entrate, così come proposto dalla legge finanziaria esitata dal parlamento siciliano su cui trova fondamento l'intero bilancio per l'anno 2014;
   il commissario ha segnalato l'infondatezza di copertura di moltissime delle entrate, l'infondatezza dei fondi posti a garanzia delle partite debitorie e di non poche operazioni finanziarie, la grave illegittimità di procedere in modo unilaterale alla cancellazione di non pochi residui passivi e all'eccessiva valutazione di residui attivi senza alcuna giustificazione comprovata; si tratta di atti di enorme gravità istituzionale le cui refluenze negative sull'intero sistema amministrativo e contabile della regione siciliana sono di tutta evidenza;
   il presidente della regione siciliana, Rosario Crocetta, su conforme indicazione dell'assemblea regionale che si è espressa con voto a maggioranza, ha inteso procedere alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della regione siciliana (Gurs) dei documenti di bilancio per l'anno 2014 depurandoli delle parti impugnate dal commissario dello Stato, che toccano soprattutto il sistema delle entrate, con la seguente dichiarazione apparsa sulla stampa cartacea ed on-line (ad esempio, la Repubblica redazione siciliana, 31 gennaio 2013): «Domani sarò costretto a pubblicare una Finanziaria che non mi appartiene, che ripudio, che uccide la Sicilia e canta il de profundis al posto di lavoro di migliaia di lavoratori, che uccide la diversa abilità e impedisce ai non vedenti di studiare, che mette sul lastrico migliaia di famiglie. Per me sarà un giorno di grande tristezza, che trascorrerò pregando per la Sicilia e per il popolo siciliano, perché non debba più subire violenze cieche e irrazionali. Faccio appello ai siciliani a stringersi in questa civile e democratica lotta per la Sicilia, con uno stile quasi ghandiano, quello di un popolo assediato»;
   tali affermazioni appaiono di inaudita gravità e richiedono urgenti ed inderogabili approfondimenti e chiarimenti nelle sedi opportune, anche in considerazione del fatto che, come risulta da vari articoli di stampa, il bilancio della regione era stato largamente oggetto di confronto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie pro tempore Delrio e con il Governo;
   questo gravissimo quadro istituzionale, amministrativo e contabile, sul piano del fatto e del diritto, paralizza l'intero sistema della regione siciliana –:
   se il commissario dello Stato abbia valutato, alla luce di quanto descritto in premessa, se sussistano i presupposti per avviare le procedure dirette allo scioglimento dell'assemblea regionale siciliana ai sensi dell'articolo 8 dello statuto;
   se il presidente della regione abbia ricevuto, negli incontri ricordati in premessa, un avallo relativo alla modalità di pubblicazione del bilancio nelle forme descritte;
   se ed in che modo i Ministri interpellati intendano valutare i comportamenti del prefetto Aronica, commissario dello Stato, la cui impugnativa, secondo il presidente della regione, sarebbe responsabile di aver «ucciso la Sicilia», e se intendano chiarire le ragioni che ne avrebbero motivato i supposti comportamenti gravemente lesivi dell'autonomia regionale.
(2-00408) «Brunetta, Francesco Saverio Romano, Giammanco, Catanoso».


Chiarimenti in merito alla dismissione di tre edifici storici da parte dell'Università Ca’ Foscari di Venezia – 2-00447

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il professor Carlo Carraro – rettore dell'università Ca’ Foscari di Venezia, uno degli atenei più prestigiosi d'Italia, con sedi sparse per il centro di Venezia – sta completando la cessione di tre palazzi storici, sedi della facoltà di lingue. La nuova sede prevista sarà Ca’ Sagredo, un edificio del 1957, meglio conosciuta come l'ex palazzina dell'Enel;
   troppo dispersivi, secondo il rettore, Ca’ Bembo nel sestiere di Dorsoduro, Ca’ Cappello sul Canal Grande e palazzo Cosulich alle Zattere, affacciati sul canale della Giudecca, che però impongono agli studenti continui spostamenti da una sede all'altra per poter assistere alle lezioni della facoltà;
   all'inizio doveva essere una permuta, tre palazzi contro uno della stessa metratura complessiva, ma la Soprintendenza ha osservato che un bene di valore storico-artistico può essere permutato solo con un bene di pregio maggiore, e non è questo il caso, altrimenti può essere venduto;
   infatti, i manager dell'università hanno optato per la vendita, modificando il primo accordo; la parola «permuta» è diventata «cessione», ma la sostanza resta immutata: tre palazzi di grande pregio in cambio di uno modesto, più un'integrazione in denaro;
   la decisione ha scatenato non solo vibranti proteste, ma addirittura tafferugli, oggetto di probabili denunce, ma malgrado una lettera di contestazione di 116 docenti e la reprimenda della Soprintendenza, Carraro ha dichiarato di non recedere dalla sua decisione, senza fornire ulteriori particolari sulla trattativa. A nulla sono valse le contestazioni di uno schieramento politico molto ampio, che va da Italia Nostra al Pdl, soprattutto perché l'ex palazzina Enel ha un valore massimo di 15 milioni di euro, meno della metà del prezzo ufficializzato;
   il rettore ha invocato la legge sulla privacy per una transazione da 35 milioni di euro che dovrebbe comportare ad avviso degli interpellanti una procedura di evidenza pubblica, magari un'asta al miglior prezzo, ma probabilmente non sarà così;
   il partner dello scambio – permuta o vendita che sia – rimane quello individuato fin dall'inizio, a luglio del 2012; l'affare dovrà essere concluso entro marzo 2014, come impone il verbale del luglio 2013. Ad approvare l'accordo è stato il consiglio di amministrazione di Ca’ Foscari, un organo nominato dal rettore che annovera tra i componenti Domenico Siniscalco (Morgan Stanley e Assogestioni) e Andrea Valmarana, rampollo di un'antica famiglia vicentina, con incarichi nella 21 Investimenti di Alessandro Benetton, nella Save di Enrico Marchi e nella finanziaria Est Capital di Gianfranco Mossetto;
   non è del tutto chiaro chi però sia la controparte; formalmente, la futura sede cafoscarina è di proprietà di Risparmio Immobiliare Uno Energia, un fondo chiuso quotato in borsa, con quote da 80 milioni di euro e un portafoglio di dieci immobili comprati in parte dalle dismissioni dell'Enel in tutta Italia. I sottoscrittori del fondo sono ignoti. La gestione del portafoglio, sotto la vigilanza della Banca d'Italia, è affidata a PensPlan Invest, controllata in maggioranza dalla regione Trentino Alto Adige e per il resto da banche locali; inoltre, il patrimonio del fondo si è formato ai prezzi massimi della bolla immobiliare, tra il 2004 e il 2007, con un ampio ricorso ai finanziamenti bancari; Risparmio Immobiliare Uno Energia è gravato da quasi 100 milioni di euro di ipoteche con Unicredit e la Sparkasse di Bolzano, tanto che, per vendere Ca’ Sagredo, il fondo si è dovuto impegnare a trasferire l'ipoteca sulla palazzina ad altri beni di sua proprietà. Il sospetto, infatti, è che i tre palazzi dell'università vengano rapidamente rivenduti dal fondo, per uscire dall’impasse con le banche creditrici, e messi a disposizione di iniziative turistiche. Per evitare questa possibilità, è stato chiesto al sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, e alla sua giunta di bloccare eventuali cambi di destinazione di uso. Ma il rischio c’è, oramai russi ed emiri sono il «miraggio» che tiene in piedi una città che cerca disperatamente un'alternativa al turismo low cost. Per non parlare di Yuri Korablin, che ha comprato il Venezia calcio e vorrebbe costruire uno stadio e un casinò nuovo, accanto all'aeroporto di Tessera;
   l'amministrazione di Ca’ Foscari dovrà gravarsi di altri 7,6 milioni di euro fra spese di ristrutturazione (4,7 milioni di euro), trasloco (1,2 milioni di euro) e tasse relative;
   la valutazione di Ca’ Sagredo (33,7 milioni di euro) è stata firmata dall'Agenzia delle entrate che ha anche convalidato la perizia sui tre palazzi di Ca’ Foscari (35,2 milioni di euro). Il risultato indica che un metro quadrato in centro a Venezia vale poco più di 5 mila euro e non importa se l'edificio è del 1957 o di quattro secoli prima con affaccio sul Canal Grande;
   per sostenere la cessione, Carraro ha invocato la riduzione di costi che garantirebbe la sede unica all'ex Enel e le plusvalenze patrimoniali emergenti per 25 milioni di euro. L'effetto combinato dei due fattori salverebbe i conti dell'università lagunare per almeno un triennio. Ma, a guardare i bilanci depositati, sul sito cafoscarino, non sembra tirare aria di crisi sull'ateneo veneziano. Nell'ultimo esercizio disponibile, l'università vanta un patrimonio netto di 112 milioni di euro, proventi operativi in crescita a quota 142 milioni di euro ed un utile di esercizio di 19 milioni di euro, contro i 14 milioni di euro del 2011;
   gli studenti e i professori, sostenuti da una raccolta di migliaia di firme internazionali prese on-line, hanno argomentato che l'ex sede dell'Enel è insufficiente ad ospitare l'accentramento dalle tre sedi in via di cessione –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa e delle numerose perplessità legate alla stessa;
   se intendano approfondire, per quanto di competenza, le decisioni che hanno generato la stima finanziaria delle tre sedi universitarie di grande pregio storico-architettonico, che appare, eufemisticamente, fortemente inadeguata.
(2-00447) «Giancarlo Giorgetti, Prataviera, Allasia, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».


Iniziative di competenza volte a garantire il rispetto di un contratto di compravendita tra l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e la società Sviluppo Pisa – 2-00450

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) è un ente che, ai sensi del decreto legislativo n. 381 del 1999 e dello statuto approvato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e pubblicato su Gazzetta Ufficiale – serie generale 19 aprile 2011, n. 90, è sottoposto a vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il 14 maggio 2009, nel rispetto della normativa in materia di compravendita immobiliare da parte di e tra soggetti pubblici, l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha stipulato con Sviluppo Pisa srl (società partecipata al 100 per cento da Pisamo spa, a sua volta società in house del comune di Pisa, e appositamente istituita per la «realizzazione completa dell'intervento relativo al piano attuativo per la riorganizzazione funzionale dell'area compresa tra via Quarantola, via Cesare Battisti, via Pietro Mascagni e la sede ferroviaria a Pisa» – cosiddetto «progetto Sesta Porta») un contratto preliminare per la vendita, dalla seconda al primo, di un realizzando edificio polifunzionale sito all'interno dell'area rientrante nel più ampio progetto della «Sesta Porta»;
   il contratto preliminare del 14 maggio 2009 reca clausole estremamente chiare, il cui significato non risulta essere messo in discussione da alcuna delle parti; in particolare, Sviluppo Pisa srl si è impegnata alla realizzazione dell'immobile, previo espletamento di gara pubblica europea per l'esecuzione dei lavori, e l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ad acquistarlo allo scopo di destinarlo a propria sede nella città di Pisa, per un corrispettivo di 9.000.000 euro oltre l'iva; inoltre, le parti hanno convenuto modalità di pagamento del corrispettivo al raggiungimento dei vari stati di avanzamento dei lavori di esecuzione dell'immobile (articolo 11);
   l'edificio, pertanto, è stato realizzato seguendo pedissequamente i criteri tecnici, progettuali e costruttivi, estremamente onerosi, richiesti dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, al punto che quest'ultimo ha manifestato il suo gradimento per le soluzioni progettuali predisposte e portate ad esecuzione;
   i criteri seguiti, tuttavia, hanno fatto inevitabilmente lievitare i costi per la realizzazione dell'edificio, rendendolo, inoltre, infungibile, in quanto utilizzabile solo per le attività svolte dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, in speciale modo quelle peculiari di ricerca;
   sino ad oggi, Sviluppo Pisa srl, a fronte dell'ultimazione, da parte dell'impresa appaltatrice che si è aggiudicata la gara, dei solai del piano terra, del piano secondo, del piano quarto, delle facciate esterne e degli impianti, così come certificati dagli organi di collaudo, ha maturato il diritto ad ottenere (e l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia l'obbligo a versare) le somme complessive di 7.650.000,00 euro, oltre all'iva, richieste formalmente in pagamento all'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia;
   i lavori, ad oggi, sono terminati ed il contratto preliminare firmato prevede, secondo quanto previsto dall'articolo 11, che l'ultima tranche del pagamento, pari a 990.000,00 euro oltre all'iva, sia saldata al momento della firma del contratto di vendita;
   l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia si è rifiutato di corrispondere le somme dovute, sostenendo, con alcune missive inviate alla Sviluppo Pisa srl, che «l'opera non [sarebbe] più collimante con i programmi strutturali ed organizzativi dell'Ente e con le risorse attualmente disponibili», ovvero che «la crisi immobiliare enfatizzerebbe anche il peso di un costo che già in partenza appariva di elevato livello», giungendo a richiamare anche le norme sulla spending review che, a suo parere, le impedirebbero di ottemperare alle obbligazioni contrattualmente assunte;
   il rifiuto opposto dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia sembra porsi in aperta violazione della regolamentazione contrattuale e non appare, altresì, giustificato da alcuna norma dei decreti in materia di spending review, i quali disciplinano fattispecie differenti da quelle oggetto del contratto preliminare del 14 maggio 2009 e sono, comunque, successivi alla stipula di tale contratto;
   al contrario, il rifiuto di pagamento opposto dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia costituisce per la Sviluppo Pisa srl, e quindi per il comune di Pisa, un insanabile elemento di disequilibrio finanziario del piano economico sotteso all'operazione ad iniziativa pubblica della «Sesta Porta», dato che un'eventuale rinuncia, da parte di tali enti, alla vendita dell'immobile e alla riscossione puntuale delle fatture emesse per gli stati di avanzamento dei lavori pregiudicherebbe gravemente (per quanto non abbia già pregiudicato, visto l'inadempimento dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) l'interesse pubblico da essi rappresentato alla realizzazione del piano della «Sesta Porta»;
   aggiungasi che, essendo stato l'edificio realizzato esclusivamente per soddisfare le specifiche e peculiari esigenze dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, è estremamente difficoltoso, se non impossibile, reperire in tempi rapidi sul mercato un soggetto alternativo all'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia medesimo che sia interessato ad acquistare l'edificio al prezzo previsto nel preliminare, dovuto alle caratteristiche tecniche e funzionali che presenta l'immobile e che sono studiate ad hoc per l'Istituto;
   sono, ad oggi, pendenti innanzi al foro di Roma due azioni giudiziali promosse da Sviluppo Pisa srl contro l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia per vedere riconosciute le sue pretese;
   ferme restando le valutazioni che verranno compiute dai competenti organi giurisdizionali investiti del relativo contenzioso, tali pretese appaiono non prive di fondamento, anche in considerazione del fatto lo stesso Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia non mette in discussione il significato o l'interpretazione delle clausole del preliminare che lo lega a Sviluppo Pisa srl, né il modo in cui i lavori sono stati realizzati, ma adduce motivazioni che appaiono, almeno prima facie, irrilevanti e che senz'altro inducono a serie riflessioni sulle conseguenze che potrebbero prodursi, anzitutto sull'interesse pubblico, dalla decisione unilaterale di un istituto vigilato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di non rispettare vincoli contrattuali liberamente e formalmente assunti;
   l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, quale esito della vicenda accesa in sede giurisdizionale, che si avrebbe presumibilmente in tempi non brevi, rischia di dover sostenere notevolissimi costi, con connesse responsabilità in capo ai vertici dell'ente. Tali costi per l'inadempimento contrattuale, che verrebbero scaricati sulle future gestioni, riguarderebbero: l'assolvimento del contratto, i costi di costruzione dell'intero immobile accresciuti per le richieste documentabili provenienti dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, oltre a quelli del contenzioso, i risarcimenti dei danni provocati al comune e i fitti passivi mantenuti per l'inadempimento immotivato di un contratto;
   tutto quanto sopra espone ad avviso degli interpellanti anche il Ministero vigilante, il quale nel caso di specie non può esimersi dall'impartire indirizzi generali improntati alla collaborazione fra istituzioni pubbliche e al rispetto degli obblighi assunti nei confronti di un comune, secondo i disposti dell'articolo 1 dello statuto dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, a condividere evidenti profili di responsabilità in caso di mancato intervento –:
   quali azioni abbia intrapreso, ovvero intenda intraprendere, nell'ambito dei suoi poteri di vigilanza sull'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, per cercare di ricomporre l'incresciosa vicenda che coinvolge due soggetti entrambi totalmente pubblici e rappresentativi di interessi altrettanto pubblici, nonché per richiamare l'Istituto vigilato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca all'osservanza delle norme sui contratti e all'adempimento di obbligazioni assunte con un contratto formalmente e liberamente sottoscritto.
(2-00450) «Fontanelli, Gelli, De Maria».


Elementi ed iniziative in merito alla contaminazione delle acque potabili e al trattamento delle acque reflue urbane – 2-00452

F)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   in occasione dello svolgimento di interpellanze urgenti recentemente il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha affermato «Per quanto riguarda le iniziative assunte dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, volte al dialogo con i diversi segmenti del settore idrico, si porta a conoscenza che, con decreto ministeriale n. 358 del 13 dicembre 2013, è stata istituita una task force per individuare le strategie e le priorità politiche al fine di valutare, tra l'altro, le migliori pratiche in materia di sostenibilità nell'uso delle risorse idriche (il predetto provvedimento è visionabile presso il sito del Ministero). In merito alla contaminazione delle acque potabili, nel rammentare che la materia è regolata dal decreto legislativo n. 31 del 2001 e che le deroghe ai parametri di potabilità in esso previste sono scadute e non più rinnovabili, si rappresenta che la maggior parte delle contaminazioni presenti nelle acque sono di origine naturale e i sindaci di molti comuni italiani hanno provveduto ad imporre divieti, limiti e prescrizioni nell'uso delle acque. Visto che sovente la contaminazione interessa l'intera falda e non vi è la disponibilità di altre risorse idriche a cui attingere per il soddisfacimento della domanda ad uso potabile, quindi si ricorre a forniture sostitutive, atteso anche che le opere di risanamento di tal genere richiedono ingenti investimenti e che, allo stato, non trovano un'adeguata copertura finanziaria e richiedono anche tempi di attuazione di medio e lungo periodo»;
   l'acqua è un bene essenziale ed insostituibile per la vita e, pertanto, la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile e all'acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto inviolabile dell'uomo, un diritto universale e indivisibile, che si può annoverare fra quelli di cui all'articolo 2 della Costituzione;
   l'Onu, con la risoluzione dell'Assemblea generale del 28 luglio 2010 (GA/10967), ha dichiarato il diritto all'acqua un diritto umano universale e fondamentale;
   la risoluzione sottolinea ripetutamente che l'acqua potabile e per uso igienico, oltre ad essere un diritto di ogni uomo, concerne la dignità della persona, è essenziale al pieno godimento della vita ed è fondamentale per tutti gli altri diritti umani; la medesima risoluzione raccomanda gli Stati ad attuare iniziative per garantire a tutti un'acqua potabile di qualità, accessibile e a prezzi economici;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del luglio 2012, all'articolo 1, ha esattamente definito le funzioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in materia di servizio idrico integrato, individuandole principalmente nell'ambito del coordinamento dei vari livelli di pianificazione, della definizione degli standard di qualità della risorsa, del risparmio idrico e, per quanto riguarda i temi tariffari, della definizione dei criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori di impiego dell'acqua, anche in proporzione al grado di inquinamento ambientale derivante dai diversi tipi e settori di impiego e ai costi conseguenti a carico della collettività, in attuazione del principio del recupero integrale del costo del servizio e del principio «chi inquina paga»;
   l'articolo 155 (tariffa del servizio di fognatura e depurazione) del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'autorità d'ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito. La tariffa non è dovuta se l'utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell'autorità d'ambito.
  2. In pendenza dell'affidamento della gestione dei servizi idrici locali al gestore del servizio idrico integrato, i comuni già provvisti di impianti di depurazione funzionanti, che non si trovino in condizione di dissesto, destinano i proventi derivanti dal canone di depurazione e fognatura prioritariamente alla manutenzione degli impianti medesimi.
  3. Gli utenti tenuti al versamento della tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura, di cui al comma 1, sono esentati dal pagamento di qualsivoglia altra tariffa eventualmente dovuta al medesimo titolo ad altri enti pubblici.
  4. Al fine della determinazione della quota tariffaria di cui al presente articolo, il volume dell'acqua scaricata è determinato in misura pari al cento per cento del volume di acqua fornita.
  5. Per le utenze industriali la quota tariffaria di cui al presente articolo è determinata sulla base della qualità e della quantità delle acque reflue scaricate e sulla base del principio «chi inquina paga». È fatta salva la possibilità di determinare una quota tariffaria ridotta per le utenze che provvedono direttamente alla depurazione e che utilizzano la pubblica fognatura, sempre che i relativi sistemi di depurazione abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell'Autorità d'ambito.
  6. Allo scopo di incentivare il riutilizzo di acqua reflua o già usata nel ciclo produttivo, la tariffa per le utenze industriali è ridotta in funzione dell'utilizzo nel processo produttivo di acqua reflua o già usata. La riduzione si determina applicando alla tariffa un correttivo, che tiene conto della quantità di acqua riutilizzata e della quantità delle acque primarie impiegate»;
   in attuazione della legge n. 526 del 1999 (legge comunitaria 1999), il decreto legislativo n. 31 del 2001 ha recepito la direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, in modo da adempiere agli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunità europee;
   l'articolo 4 (obblighi generali) di tale decreto prevede che: «1. Le acque destinate al consumo umano devono essere salubri e pulite.
  2. Al fine di cui al comma 1, le acque destinate al consumo umano:
    a) non devono contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana»;
   l'articolo 5 (punti di rispetto delle conformità) al comma 3 prevede: «fermo restando quanto stabilito al comma 2, qualora sussista il rischio che le acque di cui al comma 1, lettera a), pur essendo nel punto di consegna rispondenti ai valori di parametro fissati nell'allegato I, non siano conformi a tali valori al rubinetto, l'azienda sanitaria locale dispone che il gestore adotti misure appropriate per eliminare il rischio che le acque non rispettino i valori di parametro dopo la fornitura. L'autorità sanitaria competente ed il gestore, ciascuno per quanto di competenza, provvedono affinché i consumatori interessati siano debitamente informati e consigliati sugli eventuali provvedimenti e sui comportamenti da adottare»;
   la direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998, prevede che in caso di inosservanza dei valori di parametro, lo Stato membro interessato provvede affinché vengano tempestivamente adottati i provvedimenti correttivi necessari per ripristinare la qualità delle acque. Indipendentemente dal rispetto o meno dei valori di parametro, gli Stati membri provvedono affinché la fornitura di acque destinate al consumo umano, che rappresentano un potenziale pericolo per la salute umana, sia vietata o ne sia limitato l'uso e prendono qualsiasi altro provvedimento necessario. I consumatori vengono informati di tali misure;
   la direttiva, inoltre, prevede che gli Stati membri possano stabilire deroghe ai valori di parametro fino al raggiungimento di un valore massimo, purché:
    a) la deroga non presenti un rischio per la salute umana;
    b) l'approvvigionamento delle acque potabili nella zona interessata non possa essere mantenuto con nessun altro mezzo congruo;
    c) la deroga abbia durata più breve possibile, non superiore a un periodo di tre anni (è prevista la possibilità di rinnovare la deroga per due periodi addizionali di tre anni);
    d) le deroghe devono indicare particolareggiatamente i motivi che hanno indotto a concederle, salvo qualora lo Stato membro interessato ritenga che l'inosservanza del valore di parametro sia trascurabile e che un'azione correttiva possa risolverla tempestivamente;
    e) lo Stato membro che si avvale di una deroga provvede affinché ne sia informata la popolazione interessata;
   la Commissione riceve comunicazione, entro un termine di due mesi, se la deroga riguardi una singola fornitura d'acqua superiore a 1000 m3 al giorno in media o l'approvvigionamento di 5000 o più persone;
   il 31 dicembre 2012 sono scadute le ultime deroghe possibili alla direttiva 98/83/CE (recepita con il decreto legislativo n. 31 del 2001) concesse dall'Unione europea, rispetto ai valori massimi di arsenico presenti nell'acque alimentari attestanti a 10 microgrammi per litro; dunque ai sindaci non è rimasta altra scelta che dichiarare la non potabilità dell'acqua, facendo fioccare ordinanze di divieto di utilizzo dell'acqua. Ma dopo anni di noncuranza di amministratori e gestori non si può certo dire che sia una sciagura inaspettata;
   infatti, quando nel 2010 l'Unione europea aveva «rispedito al mittente» la terza richiesta consecutiva di concessione di deroga per presenza di arsenico per valori superiori a 20 microgrammi per litro e si sarebbe dovuto intervenire in modo drastico; invece le deroghe, previste solo come misura transitoria, sono diventate un espediente per non fare i necessari interventi di potabilizzazione;
   si legge nella nota informativa dell'Istituto superiore sanità: «In Italia particolare rilevanza nel contesto dei regimi di deroga ha riguardato, a tutt'oggi, il parametro «arsenico», presente in acque di origine sotterranea in molte aree del Paese e generalmente ricondotto a contaminazione di natura geogenica. In passato, numerose Regioni e molteplici Comuni, che si sono avvalsi dell'istituto delle deroghe nell'ambito dei due successivi trienni 2003-2006-2009 sono rientrati nel valore limite di 10 microgrammi/litro previsto dal decreto legislativo n. 31 del 2001, mentre per alcune aree più o meno vaste di quattro Regioni (Lombardia, Toscana, Lazio e Umbria) e delle Province Autonome di Trento e Bolzano è stato necessario ricorrere ad una terza deroga, concessa dalla CE con le due Decisioni C(2010)7605 e C(2011)2014, fino ad un valore massimo di 20 microgrammi/litro. Tali decisioni, trasposte con i decreti interministeriali del 24 novembre 2010 e 11 maggio del 2011 e quindi implementate mediante normativa regionale, hanno inizialmente interessato una popolazione totale di 1.030.477 abitanti. È da sottolineare che un fondamentale vincolo che presiede la concessione di ogni provvedimento di deroga da parte della CE è l'implementazione delle azioni correttive, elaborate da parte di soggetti competenti sul territorio (gestori idrici, Autorità d'Ambito Ottimale) sotto l'egida della Regione per il rientro in conformità delle acque secondo un rigoroso crono programma, parte integrante della richiesta di deroga»;
   secondo Janez Potocnik, il Commissario europeo per l'ambiente che l'ha firmata, la deroga «è stata valutata sulla base di dati scientifici dell'Organizzazione Mondiale della Sanità». Fino al 31 dicembre 2012, il limite massimo ammesso passa da 10 microgrammi per litro a 20 microgrammi per litro, ma non sono concessi limiti superiori ai 20 microgrammi, «perché – ha aggiunto Potocnik – potrebbero causare danni alla salute». Il Commissario europeo ha poi sottolineato che ogni Stato membro deve fornire un rendiconto triennale relativo alla presenza di sostanze nell'acqua e, per quanto riguarda l'esercizio 2005-2006, «l'Italia non ha ancora fornito la sua documentazione»;
   studi scientifici rivelano che l'assunzione, anche in minime quantità (2/3 microgrammi per litro), di arsenico distribuita nel tempo è dannosa per la salute umana e può portare a patologie croniche e, in casi estremi, anche alla morte;
   Roger Aertgeerts, responsabile acqua e igiene dell'Organizzazione mondiale della sanità, afferma che «Il valore di arsenico massimo consentito è di 10 microgrammi per litro. La Direttiva 98/83/CE del Consiglio del 3 novembre 1998 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano si basa sulle Linee guida Oms per l'acqua potabile. Il valore massimo per la concentrazione di arsenico nell'acqua specificato nella Direttiva, è di 10 microgrammi per litro, ed è lo stesso fissato nelle Linee Guida Oms; evidenze che provengono d studi epidemiologici, infatti, indicano che il consumo di livelli elevati di arsenico attraverso l'acqua potabile è casualmente associato allo sviluppo di tumori in vari siti, in particolare pelle, vescica e polmone. Tuttavia, resta una considerevole incertezza rispetto alla curva dose-risposta per esposizioni a bassi quantitativi. I composti di arsenico inorganico sono classificati nel Gruppo 1 (cancerogeni per l'uomo) dall'Agenzia internazionale della ricerca sul cancro (Iarc); secondo l'Oms quindi, le tecniche di trattamento delle acque, correttamente implementate, dovrebbero essere in grado di raggiungere livelli di arsenico di 5 microgrammi per litro, equivalenti alla metà del valore delle Linee guida»;
   è nota a tutti la vicenda dei giorni scorsi relativa all'ordinanza del sindaco di Roma, Marino, che proibisce in modo categorico, con decorrenza immediata e fino a 31 dicembre 2014, di usare l'acqua per uso alimentare e igiene personale in numerose zone dei municipi XIV e XV, servite dagli acquedotti gestiti da Arsial. Secondo l'ordinanza, gli acquedotti in questione «presentano acqua con caratteristiche chimiche e batteriologiche ovvero solo batteriologiche non adatte al consumo umano a causa del superamento dei valori prescritti». In realtà, sono stati i livelli elevati di arsenico ad avere messo in allarme gli operatori dell'asl. Solo per citare il caso che ha assunto maggior clamore;
   per non parlare del caso del cromo esavalente nelle acque di Brescia;
   infatti, il decreto legislativo n. 152 del 2006 impone nelle acque sotterranee una concentrazione massima di cromo esavalente pari a 5 microgrammi per litro ed il limite di 50 microgrammi per litro per quanto riguarda il cromo totale (ossia la somma di tutte le diverse valenze chimiche dell'elemento);
   il decreto legislativo n. 31 del 2001 statuisce, altresì, che il limite previsto per il cromo totale non debba superare i 50 microgrammi per litro per l'acqua destinata al consumo umano;
   non è previsto un ulteriore limite esplicito per la concentrazione di cromo VI nelle acque destinate al consumo umano;
   è evidente che il decreto legislativo n. 31 del 2001 non abbia previsto un limite specifico per il cromo VI, per il semplice fatto che il suo livello nell'acqua potabile dovrebbe essere minimo, in conformità con quanto stabilito dal testo unico in materia ambientale (il decreto legislativo n. 152 del 2006) che considera contaminate quelle acque sotterranee in cui la concentrazione di cromo VI sia superiore a 5 microgrammi per litro;
   questa considerazione implicita contenuta nel decreto legislativo n. 31 del 2001 ha creato però una distorsione interpretativa della legge, inducendo alcuni organi preposti al controllo a verificare, sì, il limite di 5 microgrammi per litro di cromo VI per le acque di falda, ma non a verificare lo stesso limite per l'acquedotto, permettendo il consumo di acqua con concentrazioni di cromo VI che possono arrivare fino a 50 microgrammi per litro (quantità dieci volte maggiore a quella prescritta dal decreto legislativo n. 152 del 2006);
   appare, quindi, esservi una chiara contraddizione tra le forme di tutela introdotte per le acque sotterranee e quelle erogate all'utenza;
   è risaputo, inoltre, quanto il cromo esavalente sia carcinogenico e mutagenico;
   permettere una concentrazione di cromo esavalente pari a 50 microgrammi per litro nelle acque destinate al consumo umano significa innalzare la concentrazione di una sostanza cancerogena che non dovrebbe essere somministrata al corpo umano, in quanto si lega alle proteine e al dna causando mutazioni genetiche e aberrazioni cromosomiche;
   inoltre, dal 26 dicembre 2014, l'acqua potabile italiana dovrà contenere meno piombo. Entrano, infatti, in vigore i nuovi limiti previsti dal decreto legislativo n. 31 del 2001, che riduce di oltre la metà la quantità ammessa, da 25 a 10 microgrammi per litro. Un limite che in realtà era già stato previsto da una direttiva europea del 1998, ma che, in Italia, non è stato possibile rendere efficace da subito. Si è così disposta una fase di transizione, per consentire un adeguamento graduale per tutti gli edifici, pubblici e privati, da parte di regioni, asl e gestori degli acquedotti;
   il piombo, infatti, è un metallo tossico. Può causare disturbi neurologici e del comportamento, malattie cardiovascolari e, secondo il recente allarme dell'Organizzazione mondiale della sanità, anche ritardi nello sviluppo neurologico dei bambini. Senza dimenticare problemi ai reni, ipertensione, ridotta fertilità, aborti, ritardo nella maturazione sessuale e alterato sviluppo dentale. Tuttavia, al momento, non è possibile conoscere la situazione degli edifici italiani, perché non esistono dei dati aggiornati e precisi sugli edifici. La presenza di piombo è legata alle tubature vecchie, fatte in piombo. Non è stato possibile adeguarsi da subito ai limiti imposti dall'Europa perché sarebbero state troppe le risorse da spendere per mettersi in regola, così si è deciso per una fase di transizione, in modo da consentire un passaggio graduale;
   anche l'Istituto superiore di sanità ha da poco pubblicato sul sito una «Nota informativa in merito alla potenziale contaminazione da piombo in acque destinate a consumo umano», ma neanche questa presenta dati aggiornati. Sugli edifici ad uso privato, spiega l'Istituto superiore di sanità, «i dati di alcune Regioni evidenziano sporadiche criticità in vecchie costruzioni», e si cita il caso della Toscana, e in particolare di Firenze, dove si stima che circa il 30 per cento degli edifici sia a rischio e dove è stato rilevato un superamento del valore di 10 microgrammi per litro su circa il 5 per cento di campioni analizzati. Generalmente, rassicura l'Istituto superiore di sanità le acque fornite dal gestore del servizio idrico contengono livelli di piombo significativamente inferiori ai 10 microgrammi, anche se concentrazioni superiori possono essere riscontrate al punto d'utenza in edifici con tubature, rubinetteria o altre componenti o saldature in piombo o stagno, per via della corrosione dei materiali con conseguente rilascio del metallo nell'acqua. I centri o i quartieri storici sono le aree più a rischio. Quindi, ancora una volta, dovranno essere i singoli cittadini a preoccuparsi e pagare per l'eventuale messa a norma delle tubature delle abitazioni;
   inoltre, il rapporto di Legambiente «Ecosistema Urbano», sempre per quanto riguarda gli investimenti relativi alle acque, ha segnalato nell'ottobre 2013 come il 30 per cento dell'acqua non venga consumata e vada perduta;
   dalla ricerca emerge che la dispersione della rete (ossia la differenza percentuale tra l'acqua immessa e quella consumata) offra un panorama variegato per cui si passa dal 10 per cento di Pordenone e Reggio Emilia al 68 per cento dell'Aquila e di Cosenza, ma in linea generale, in oltre la metà delle città italiane, si perde quasi un terzo dell'acqua immessa;
   infine, il 23 gennaio 2014, è stata data notizia che l'Italia risulta inadempiente sul trattamento delle acque reflue. La Commissione europea ha, infatti, presentato ricorso alla Corte di giustizia dell'Unione europea, lamentando la non corretta attuazione in varie parti del territorio nazionale di una direttiva del maggio 1991. Secondo Bruxelles, l'Italia avrebbe omesso di prendere le disposizioni necessarie per garantire che gli agglomerati, aventi un numero di abitanti superiore a 10.000 e scaricanti in acque recipienti considerate «aree sensibili», siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane (comuni lombardi di Bareggio, Cassano d'Adda, Melegnano, Mortara, Olona Nord, Olona Sud, Robecco sul Naviglio, San Giuliano Milanese Est, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Trezzano sul Naviglio, Turbigo e Vigevano). Inoltre, non sarebbero state prese le disposizioni necessarie a garantire che le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente o, in altri casi, ad un trattamento «più spinto». Infine, per non aver preso le disposizioni necessarie per la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, realizzati per garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e affinché la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico;
   non sono state, inoltre, prese le disposizioni necessarie per garantire che, negli agglomerati aventi un numero di abitanti equivalenti o superiore a 10.000, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente (comuni di Pescasseroli (Abruzzo), Aviano Capoluogo, Cormons, Gradisca d'Isonzo, Grado, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile (Friuli Venezia Giulia), Bareggio, Broni, Calco, Cassano d'Adda, Casteggio, Melegnano, Mortara, Orzinuovi, Rozzano, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Somma Lombardo, Trezzano sul Naviglio, Turbigo, Valle San Martino, Vigevano, Vimercate (Lombardia), Pesaro, Urbino (Marche), Alta Val Susa (Piemonte), Nuoro (Sardegna), Castellammare del Golfo I, Cinisi, Terrasini (Sicilia), Courmayeur (Valle d'Aosta) e Thiene (Veneto));
   così come non sono state assunte le disposizioni necessarie affinché la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, realizzati per ottemperare ai requisiti fissati agli articoli da 4 a 7 della direttiva 91/271/CEE, siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e affinché la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico (comuni di Pescasseroli (Abruzzo), Aviano Capoluogo, Cividale del Friuli, Codroipo/Sedegliano/Flaibano, Cormons, Gradisca d'Isonzo, Grado, Latisana Capoluogo, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile, San Vito al Tagliamento, Udine (Friuli Venezia Giulia), Frosinone (Lazio), Bareggio, Broni, Calco, Cassano d'Adda, Casteggio, Melegnano, Mortara, Orzinuovi, Rozzano, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Somma Lombardo, Trezzano sul Naviglio, Turbigo, Valle San Martino, Vigevano, Vimercate (Lombardia), Pesaro, Urbino (Marche), Alta Val Susa (Piemonte), Francavilla Fontana, Montelasi, Trinitapoli (Puglia), Dorgali, Nuoro, ZIR Villacidro (Sardegna), Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini, Trappeto (Sicilia), Courmayeur (Valle d'Aosta) e Thiene (Veneto));
   la Commissione europea afferma, in sostanza, che «la mancanza di idonei sistemi di raccolta e trattamento, previsti dall'Unione europea già dal 1998, comporta rischi per la salute umana, le acque interne e l'ambiente marino». Nonostante «i buoni progressi – spiega la Commissione europea – la gravità delle persistenti lacune ha indotto ad adire nuovamente alla Corte di giustizia»;
   già con la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (settima sezione) del 19 luglio 2012 ”Commissione Europea contro Repubblica Italiana, Inadempimento di uno Stato alla Direttiva 91/271/CEE, sul Trattamento delle acque reflue urbane (Causa C-565/10), la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia per non aver predisposto adeguati sistemi per il convogliamento e il trattamento delle acque reflue in numerosi centri urbani con oltre 15.000 abitanti, ai sensi degli articoli 3, 4, paragrafi 1 e 3, e 10 della direttiva 91/271/CEE, come modificata dal regolamento (CE) n. 1137/2008;
   secondo l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 91/271/CEE, gli agglomerati con un numero di abitanti equivalenti superiore a 15.000 avrebbero dovuto essere provvisti di reti fognarie per le loro acque reflue urbane entro il 31 dicembre 2000. L'articolo 4, paragrafo 1, prevede che, negli agglomerati con oltre 15.000 abitanti, la totalità delle acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie devono, prima dello scarico, essere sottoposte ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, al più tardi entro il 31 dicembre 2000. L'articolo 10 prevede che la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti fissati dalla direttiva debbano essere condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche e tenendo conto delle variazioni stagionali di carico;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha preso atto della rinuncia della Commissione europea a procedere riguardo ad alcuni agglomerati urbani, avendo l'Italia posto rimedio a numerose situazioni non conformi. Per gli altri agglomerati l'Italia è stata considerata inadempiente. Si tratta di 116 centri urbani non in regola con le disposizioni della direttiva;
   di questi, 51 erano sprovvisti delle reti fognarie per le acque reflue urbane ai sensi dell'articolo 3 della direttiva (18 in Calabria, uno in Friuli, uno nel Lazio, 3 in Puglia e 28 in Sicilia), mentre 92 risultano sprovvisti di adeguati impianti di trattamento secondario delle acque reflue ai sensi dell'articolo 4, paragrafi 1 e 3, e dell'articolo 10 della direttiva (uno in Abruzzo, 9 in Calabria, 10 in Campania, uno in Friuli, 9 in Liguria, 5 in Puglia e 57 in Sicilia);
   considerato quanto disposto dall'articolo 155 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il quale afferma chiaramente che «Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'Autorità d'ambito, che lo mette disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito», appare grave agli interpellanti che tali interventi di fognatura e depurazione in molti comuni tuttora non siano stati effettuati –:
   se sia effettuato un monitoraggio periodico della risorsa idrica, costante ed esteso a tutto il territorio nazionale, in relazione agli inquinanti comuni quali arsenico, vanadio e fluoruri, come stabilito dal decreto legislativo n. 31 del 2001;
   se le analisi siano state pubblicate secondo quanto previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE, per l'accesso alle informazioni ambientali che non richiede l'obbligo della motivazione, come confermato dall'articolo 3-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», che ha introdotto l'istituto dell'accesso civico che consente a tutti i cittadini senza limiti di legittimazione e senza obbligo di motivazione di accedere a documenti, informazioni e dati per i quali sia previsto l'obbligo di pubblicazione;
   quali siano i dati attuali relativi ai 128 comuni a cui nel 2010 la Commissione europea voleva negare la deroga ai limiti di potabilità;
   se il Ministro interpellato ritenga che sia stata data corretta informazione ai cittadini rispetto a questi dati e se non intenda renderli noti, anche fornendo la relativa documentazione, fondamentale per la tutela della salute e dell'ambiente;
   se il Governo abbia fornito il rendiconto triennale relativo alla presenza di sostanze nell'acqua che gli Stati membri sono tenuti a fornire alla Commissione europea, e quale sia il periodo di riferimento dell'ultimo rendiconto;
   se la task force istituita con il decreto ministeriale 13 dicembre 2013, n. 358, si occuperà del monitoraggio dell'effettiva realizzazione degli investimenti necessari sia sul fronte della depurazione sia sul fronte delle infrastrutture per la distribuzione della risorsa;
   di quali elementi il Ministro interpellato disponga circa le azioni poste in essere da gestori idrici, autorità d'ambito e regioni per il rientro in conformità delle acque secondo il rigoroso cronoprogramma parte integrante della deroga;
   quali iniziative urgenti il Ministro interpellato intenda porre in essere per la tutela della salute e dell'ambiente e per affrontare il grave problema messo in evidenza dal ricorso presentato dalla Commissione europea contro l'Italia relativamente al trattamento delle acque reflue urbane.
(2-00452) «Daga, Busto, De Rosa, Terzoni, Mannino, Segoni, Zolezzi, Micillo, Colonnese, Nesci, Carinelli, Luigi Di Maio, Vignaroli, Fico, Cecconi, Baroni, Silvia Giordano, Dall'Osso, Di Vita, Grillo, Lorefice, Mantero, Luigi Gallo, Brescia, Marzana, D'Uva, Di Benedetto, Vacca, Simone Valente, Battelli».


Misure a sostegno degli ex dipendenti di aziende sequestrate o confiscate alla criminalità organizzata, anche tramite l'utilizzo delle risorse del Fondo unico giustizia – 2-00281

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   secondo i dati statistici rilevati dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, aggiornati a febbraio 2013, risulta che sull'intero territorio nazionale sono stati sequestrati e confiscati 11.238 immobili e 1.708 aziende, per un totale di 12.946 beni;
   le operazioni di sequestro e confisca, pur concentrandosi principalmente nelle regioni del Meridione d'Italia, coinvolgono anche il centro ed il nord del Paese, interessando diversi settori, tra cui il commercio, l'edilizia, il settore alberghiero e della ristorazione;
   il dato che colpisce è che, nella quasi totalità dei casi (ovvero il 90 per cento), si tratta di misure adottate nei confronti di aziende destinate al fallimento, a causa delle fasi particolarmente lunghe dell’iter giudiziario antecedente la confisca definitiva e della sostanziale impossibilità di sopravvivenza per le aziende dovuta all'immediato annullamento dei fidi bancari e delle commesse;
   anche se, ad oggi, non vi sono dati ufficiali riguardanti nello specifico la chiusura ed il fallimento delle imprese in termini di perdita di posti di lavoro, risulta agli interpellanti che sarebbero circa 72.000 i lavoratori e le lavoratrici ex dipendenti delle aziende sottoposte a confisca, sparsi sul territorio italiano, licenziati o in cassa integrazione;
   nel Fondo unico giustizia, gestito da Equitalia Giustizia, confluiscono, tra l'altro, le somme sequestrate nell'ambito di procedimenti penali e in applicazione di misure di prevenzione antimafia, nonché i proventi derivanti dai beni confiscati alla criminalità organizzata. Tali somme vengono destinate al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, al Ministero della giustizia per il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali ed al bilancio dello Stato;
   a giudizio degli interpellanti sarebbe opportuno garantire una tutela alle decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici sopra citati, che si ritrovano improvvisamente licenziati o messi in cassa integrazione e che sono anch'essi vittime del sistema criminale;
   l'obiettivo è quello di prevedere un diverso ed ulteriore utilizzo del Fondo unico giustizia, per finanziare nuove iniziative produttive attivabili appunto da ex dipendenti licenziati da aziende sequestrate e/o confiscate, non riuniti esclusivamente sotto la forma giuridica di cooperative sociale, bensì sotto forma di società di capitali, purché con maggioranza di soci rispondenti al requisito di ex dipendenti di aziende confiscate –:
   se il Governo non ritenga necessario prevedere meccanismi di rilevazione statistica e monitoraggio relativamente al numero ed alle qualifiche professionali dei lavoratori ex-dipendenti di aziende sottoposte a sequestro o confisca;
   se non ritengano opportuno assumere le iniziative normative di competenza, al fine di prevedere un'ulteriore utilizzazione del Fondo unico giustizia, destinando una parte dei proventi e delle somme che in esso confluiscono a sostegno dei lavoratori di cui in premessa, riuniti sotto forma di società di capitali, purché con maggioranza di soci rispondenti al requisito di ex dipendenti di aziende confiscate, offrendo così loro un'adeguata tutela.
(2-00281) «Giammanco, Palmieri, Elvira Savino, Distaso, Biasotti, Palese, Scopelliti, Mottola, Rampelli, Garofalo, Luigi Cesaro, Minardo, Valentini, Bergamini, Faenzi, Bernardo, Alli, Squeri, Sarro, Vella, Marotta, Prestigiacomo, Misuraca, Polverini, Francesco Saverio Romano, Polidori, Petrenga, Cicu, Picchi, Saltamartini, Sandra Savino, Fucci, Calabria, Abrignani».


Elementi ed iniziative in relazione alla pubblicazione di tre opuscoli dal titolo «Educare alla diversità a scuola» e in ordine alla possibile sostituzione del direttore dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – 2-00427

H)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   in data 13 giugno 2013 gli organi di stampa hanno dato notizia dell'avvenuta pubblicazione di tre opuscoli dal titolo «Educare alla diversità a scuola», prodotti a cura dell'istituto Beck e dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar), ufficio afferente al Dipartimento per le pari opportunità che dipende dalla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   gli opuscoli sono stati pubblicati sotto l'egida e con il logo della «Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità»;
   il contenuto di tali opuscoli si proponeva esplicitamente di «rendere le scuole più aperte e accettanti, scuole delle pari opportunità, che consentano e favoriscano lo sviluppo sano di tutti i ragazzi, indipendentemente dal loro orientamento sessuale; di fornire agli insegnanti gli strumenti per approfondire le varie tematiche legate all'omosessualità, così da diventare essi stessi educatori dell'omofobia»;
   in realtà le «pari opportunità» secondo gli autori dei tre volumetti consisterebbero nell'insegnare a tutti gli alunni, dalle elementari alle superiori, che la famiglia padre-madre-figli è solo uno «stereotipo da pubblicità», che i due generi maschio e femmina sono un'astrazione, che leggere romanzi in cui i protagonisti sono eterosessuali è una violenza, che la religiosità è un disvalore, arrivando al ridicolo di censurare le favole in quanto appiattite sulla presentazione di solo due sessi e non già di sei generi o a proporre problemi di matematica che partono da situazioni in cui operano nuovi modelli di famiglie omosessuali;
   i tre opuscoli si collocano in continuità con precedenti iniziative rieducative dello stesso Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, dirette ai professionisti dell'informazione, al personale della scuola e agli studenti di ogni ordine e grado;
   il significato ideologico di tali precedenti iniziative era stato già segnalato con un'interpellanza dei firmatari del presente atto di sindacato ispettivo, rivolta al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e depositata in data 14 gennaio 2014, alla quale aveva dato risposta il Sottosegretario di Stato pro tempore Marco Rossi-Doria in data 17 gennaio 2014;
   come per le precedenti iniziative dirette agli studenti, anche quella oggetto di tale atto scavalcava ad avviso degli interpellanti deliberatamente la libertà e le scelte educative delle famiglie dei ragazzi; di fronte alle proteste e alla richieste di spiegazioni, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha sostenuto di non sapere nulla dell'iniziativa dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali e, in particolare, di non aver richiesto e in alcun modo approvato la produzione del materiale didattico predisposto dall'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali; la mancanza di ogni preventivo confronto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stata confermata dal Viceministro pro tempore Guerra;
   il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca pro tempore Gabriele Toccafondi ha, dal canto suo, dichiarato in data 15 febbraio 2014 che «Il fatto che gli opuscoli sulla diversità siano stati redatti dall'UNAR e diffusi nelle scuole senza l'approvazione del Dipartimento Pari Opportunità da cui dipende, e senza che il Ministero dell'istruzione ne sapesse niente, è una cosa grave, chi dirige l'UNAR ne tragga le conseguenze» ed ha aggiunto: «L'UNAR sembra voler imporre un'impronta culturale a senso unico destando preoccupazione e confusione su tutto il sistema educativo. Una materia così delicata richiede particolare attenzione ai contenuti e al linguaggio utilizzati, a maggior ragione visto che si rivolge a ragazzi di tutte le fasce di età»;
   il Viceministro pro tempore Maria Cecilia Guerra, titolare della delega per le pari opportunità, ha dal canto suo smentito decisamente la paternità dell'iniziativa, rilevando anzi che essa manca del necessario rispetto dei livelli istituzionali e dichiarando di ignorarne addirittura l'esistenza, ed ha stigmatizzati il comportamento del direttore dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, Marco De Giorgi, criticandone la decisione dallo stesso presa in totale autonomia, giudicando non accettabile che materiale didattico diretto agli insegnanti su argomenti così sensibili sia diffuso da un ufficio del Dipartimento per le pari opportunità, senza garantirne la previa conoscenza da parte dell'organo politico e senza alcun confronto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   lo stesso Vice Ministro pro tempore Guerra risulterebbe aver trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri, nelle persone del segretario generale e del capo dipartimento, la nota contenente i suoi rilievi al dottor De Giorgi, per aver diffuso materiale mai prima approvato e addirittura sconosciuto a chi di dovere, chiedendo che la stessa fosse inserita come nota di demerito –:
   quali iniziative intenda assumere il Presidente del Consiglio dei ministri per rispondere all'allarme educativo creato in molte famiglie dalle iniziative dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali;
   in qual modo intenda muoversi per ricondurre l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali ai suoi compiti istituzionali, evitando per il futuro che tale ufficio possa occuparsi di rieducare gli italiani e in particolare gli studenti al politically correct rispetto a quello che agli interpellanti appare il «pensiero unico» delle associazioni di lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender (lgbt);
   se non ritenga opportuno sostituire urgentemente il direttore dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, che secondo gli interpellanti ha abusato della delega ricevuta, sostituendosi all'autorità politica in iniziative che coinvolgono aspetti molto rilevanti della vita sociale e ambiti molto delicati del processo educativo delle giovani generazioni;
   se risulti alla Presidenza del Consiglio dei ministri che lo stesso funzionario sia stato già oggetto di censure analoghe a quelle richieste dal Viceministro pro tempore Guerra nel corso di precedenti incarichi presso altri uffici governativi;
   se la nota del Viceministro pro tempore Guerra sia stata effettivamente inserita, come da lei richiesto, nel fascicolo personale del funzionario e, in caso contrario, quali siano le ragioni del mancato inserimento;
   se sia stato avviato in commissione disciplinare un procedimento contro il funzionario per il danno di immagine provocato alla pubblica amministrazione e quali siano le risultanze di tale procedimento;
   chi abbia autorizzato la spesa di fondi europei generata dalle iniziative del predetto direttore dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali e, nel caso essa non fosse stata autorizzata, quali iniziative si intendano assumere nei confronti dello stesso funzionario;
   se non intenda risolvere immediatamente il contratto con l'istituto Beck, in essere dal 2012, per evidente uso a fini ideologici del rapporto con la pubblica amministrazione.
(2-00427) «Gigli, Dellai, Binetti, Sberna, Iori, Patriarca».


Chiarimenti in merito ad operazioni relative al transito di materiale presumibilmente radioattivo presso l'arsenale di La Spezia – 2-00448

I)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   Marola è una frazione del comune di La Spezia, una delle tredici borgate marinare;
   la vita del borgo è segnata dalla costruzione dell'arsenale militare (anni Sessanta del 1800) che ha modificato pesantemente la linea di costa, privando Marola dell'accesso al mare;
   da anni gli abitanti chiedono alla Marina militare di rivedere l'utilizzo del molo antistante al borgo;
   mercoledì 5 marzo 2014, Il Secolo XIX ha riportato la notizia dell'arrivo di un carico probabilmente radioattivo dentro l'arsenale di La Spezia, affermando in particolare che la banchina di fronte al borgo di Marola è stata utilizzata per scaricare materiali pericolosi, in presenza di uomini al lavoro con tute e maschere, mezzi militari a presidio e vigili del fuoco allertati;
   giovedì 6 marzo 2014, da un ulteriore approfondimento de Il Secolo XIX si apprende che l'arrivo e la partenza della nave non sono state annotate nei registri del porto, che il prefetto di La Spezia, pur a conoscenza dell'operazione, «non ha intenzione di comunicare nulla su questa questione» e che la Marina militare ha dichiarato che «non è una nostra operazione [...] Non sappiamo nulla di più e questo è tutto ciò che possiamo comunicare» –:
   quale operazione si sia svolta nella notte a La Spezia, se si tratti di un caso isolato o se la base navale di La Spezia sia stata o sarà utilizzata per operazioni analoghe, quali rischi tali operazioni comportino per la salute e la sicurezza dei cittadini e quali iniziative, per quanto di competenza dei Ministeri coinvolti, siano state o saranno assunte a tutela degli abitanti del borgo di Marola.
(2-00448) «Migliore, Quaranta, Piras».