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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Venerdì 7 marzo 2014

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 7 marzo 2014.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Baldelli, Baretta, Bindi, Biondelli, Bocci, Boccia, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brunetta, Casero, Castiglione, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Incà, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Ferranti, Fico, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Lombardi, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Mannino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Mogherini, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Ricciatti, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Sereni, Sisto, Speranza, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vito, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 6 marzo 2014 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   GIANCARLO GIORGETTI ed altri: «Norme in materia di gratuità dei servizi socio-educativi per l'infanzia» (2163);
   FERRANTI ed altri: «Modifiche al codice civile e al codice penale e altre disposizioni in materia di false comunicazioni sociali e di falsità nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale» (2164);
   FERRANTI ed altri: «Modifiche al codice civile e al codice penale e altre disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione e nei rapporti tra privati» (2165);
   FERRANTI ed altri: «Modifica degli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, in materia di autoriciclaggio» (2166);
   CAPARINI: «Disposizioni per favorire la qualità della vita delle persone non autosufficienti» (2167).

  Saranno stampate e distribuite.

Trasmissione dal Senato.

  In data 6 marzo 2014 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza la seguente proposta di legge:
   S. 10-362-388-395-849-874. – Senatori MANCONI ed altri; senatori CASSON ed altri; senatore BARANI; senatori DE PETRIS e DE CRISTOFARO; senatori BUCCARELLA ed altri; senatore TORRISI: «Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano» (approvata, in un testo unificato, dal Senato) (2168).

  Sarà stampata e distribuita.

Modifica del titolo di proposte di legge.

  La proposta di legge n. 1905, d'iniziativa dei deputati SCUVERA ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Modifiche all'articolo 2107 del codice civile e al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nei settori privato e pubblico».

  La proposta di legge costituzionale n. 1925, d'iniziativa dei deputati GIANCARLO GIORGETTI ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Modifiche alla parte seconda della Costituzione in materia di forma di governo, di composizione e funzionamento degli organi costituzionali dello Stato e di razionalizzazione del procedimento legislativo».

  La proposta di legge n. 1928, d'iniziativa dei deputati BOCCADUTRI ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Disposizioni concernenti la limitazione dell'uso del contante e la promozione dell'impiego di strumenti di pagamento elettronici».

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sotto indicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE GIORGETTI ed altri: «Modifiche alla parte seconda della Costituzione in materia di forma di governo, di composizione e funzionamento degli organi costituzionali dello Stato e di razionalizzazione del procedimento legislativo» (1925) Parere delle Commissioni III, V, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  DI BATTISTA ed altri: «Modifiche alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, in materia di esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all'estero» (2038) Parere delle Commissioni III e V;
  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL FRIULI-VENEZIA GIULIA: «Modifiche alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), in materia di enti locali, di elettorato passivo alle elezioni regionali e di iniziativa legislativa popolare» (2060) Parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   II Commissione (Giustizia):
  FERRANTI ed altri: «Modifiche al codice penale, in materia di prescrizione del reato, e delega al Governo per la revisione della disciplina dell'equa riparazione dovuta in caso di violazione del termine ragionevole del processo» (2150) Parere delle Commissioni I, V e XII.

   III Commissione (Affari esteri):
  «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Baliato di Guernsey sullo scambio di informazioni in materia fiscale, fatto a Londra il 5 settembre 2012» (2087) Parere delle Commissioni I, II, V e VI;
  «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dell'Isola di Man sullo scambio di informazioni in materia fiscale, fatto a Londra il 16 settembre 2013» (2088) Parere delle Commissioni I, II, V e VI.

   IV Commissione (Difesa):
  LOREFICE ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni» (1206) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V e XII.

   VI Commissione (Finanze):
  NASTRI: «Istituzione di una zona franca nel territorio della provincia del Verbano-Cusio-Ossola e di punti franchi presso lo scalo merci ferroviario di DOMO 2 e presso il centro intermodale merci di Novara» (1886) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VII, VIII, IX, X, XI, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   VII Commissione (Cultura):
  MOLEA ed altri: «Disposizioni per favorire l'integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l'ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali» (1949) Parere delle Commissioni I e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  ARLOTTI ed altri: «Disposizioni concernenti la redazione della Carta della potenzialità archeologica nonché la detraibilità, agli effetti delle imposte sui redditi, del valore delle donazioni di beni d'interesse archeologico in favore dello Stato» (1982) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   X Commissione (Attività produttive):
  REALACCI ed altri: «Istituzione del marchio «Italian Quality» per il rilancio del commercio estero e la tutela dei prodotti italiani» (1861) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

   XI Commissione (Lavoro):
  GRIBAUDO ed altri: «Modifiche alla legge 29 marzo 1985, n. 113, in materia di disciplina del collocamento e del rapporto di lavoro dei centralinisti telefonici e degli operatori della comunicazione con qualifiche equipollenti minorati della vista» (1779) Parere delle Commissioni I, V, X, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  SCUVERA ed altri: «Modifiche all'articolo 2107 del codice civile e al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nei settori privato e pubblico» (1905) Parere delle Commissioni I, II, V, X, XII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  CHIMIENTI ed altri: «Abrogazione dei commi 54 e 56 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, e modifica all'articolo 5 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in materia di fruizione delle ferie da parte del personale della scuola» (1974) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria) e VII.

Trasmissione dal Presidente del Senato.

  Il Presidente del Senato, con lettera in data 5 marzo 2014, ha comunicato che la 11a Commissione (Lavoro) del Senato ha approvato, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento del Senato, una risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad una rete europea di servizi per l'impiego, all'accesso dei lavoratori ai servizi di mobilità e ad una maggiore integrazione dei mercati del lavoro (COM(2014) 6 final) (Atto Senato Doc. XVIII, n. 54), che è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 7 marzo 2014, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1308/2013 e il regolamento (UE) n. 1306/2013 per quanto riguarda il finanziamento del regime di aiuti per la distribuzione di ortofrutticoli, banane e latte negli istituti scolastici (COM(2014)32 final).

  Questa relazione è trasmessa alla XIII Commissione (Agricoltura) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  Il Consiglio dell'Unione europea, in data 5 e 6 marzo 2014, ha trasmesso, ai sensi del Trattato sull'Unione europea, la posizione comune del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 428/2009 del Consiglio che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell'intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso (18086/1/13 REV 1) e la relativa motivazione (18086/1/13 REV 1 ADD 1), che sono assegnate, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e X (Attività produttive), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  La Commissione europea, in data 6 marzo 2014, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo a norma dell'articolo 294, paragrafo 6, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riguardante la posizione del Consiglio sull'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 428/2009 che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell'intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso (COM(2014)151 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e X (Attività produttive), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Comunicazione di nomina governativa.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 26 febbraio 2014, ha dato comunicazione della nomina del dottor Mauro Bonaretti a segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

INTERPELLANZE URGENTI

Misure a tutela dei minori esposti ai rischi del gioco d'azzardo – 2-00423

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il gioco d'azzardo è attività vietata ai minori già dall'articolo 110, commi 8 e 8-bis, del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (regio decreto n. 773 del 1931);
   con l'articolo 24 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, alla legge n. 111 del 2011, il legislatore, oltre a ribadire al comma 20 il divieto di consentire la partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di 18 anni, ha provveduto – ai successivi commi 21 e 22 – ad inasprire le sanzioni;
   da ultimo, l'articolo 7, comma 8, del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, prevede il divieto di ingresso ai minori di anni 18 nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro interne alle sale Bingo, nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati apparecchi vtl (video lottery) e nei punti vendita in cui si esercita – quale attività principale – quella di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi. Il titolare dell'esercizio commerciale, del locale ovvero del punto di offerta del gioco con vincite in denaro è tenuto ad identificare i minori di età mediante richiesta di esibizione di un documento di identità, tranne nei casi in cui la maggiore età sia manifesta;
   finalità di queste previsioni è scongiurare l'accesso al gioco d'azzardo da parte dei minori;
   si stanno però diffondendo programmi per smartphone e tablet – cosiddette app – che imitano in ogni dettaglio il meccanismo di funzionamento delle slot, ma che sono espressamente indirizzate ad un pubblico di bambini e che non prevedono vincite in denaro;
   sul mercato digitale si possono trovare fino a 2.200 app categorizzate «slot machine» e 19 di queste sono espressamente destinate ad un pubblico di bambini di età tra i 4 e gli 8 anni;
   altro fenomeno in rapida e preoccupante diffusione è quello delle «ticket redemption»: apparecchi identici alle slot ma abilitati a distribuire ticket per giocare nuovamente invece del denaro e che prevedono la possibilità, casuale, di convertire i ticket accumulati in premi di diversa natura (apparecchi elettronici o altro);
   è evidente ad avviso degli interpellanti il tentativo da parte dell'industria del gioco di alimentare, agendo ai confini della legalità, una cultura dell'azzardo che renda naturale il passaggio dalla app destinata al bambino, all'apparecchio ticket redemption per l'adolescente, alla slot vera e propria non appena compiuti i 18 anni, favorendo tutti quegli elementi che spingono alla compulsività;
   tali comportamenti vanificano gli sforzi di contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo profusi in questi ultimi anni dalle istituzioni e da associazioni e movimenti di cittadini e vanno a colpire la fascia di popolazione più debole e influenzabile: quella dei minori, spinti verso forme di gioco cui sono associate la maggior parte delle patologie gioco-correlate –:
   quali interventi urgenti si stiano adottando per vietare ai minori quelle forme di gioco che, imitando nelle loro caratteristiche essenziali i giochi d'azzardo vietati ai minori, abbiano come possibile effetto la fidelizzazione al gioco d'azzardo con caratteristiche di compulsività;
   quali iniziative il Governo intenda adottare a protezione dei minori esposti ai rischi del gioco d'azzardo e delle sue derive patologiche.
(2-00423) «Basso, Ascani, Paola Bragantini, Arlotti, Tullo, Francesco Sanna, Vaccaro, Bonafè, Ginato, Dal Moro, Zardini, Casellato, Rotta, Dell'Aringa, Bratti, Amendola, Marco Di Stefano, Carocci, Borghi, Colaninno, Civati, Amoddio, Carlo Galli, Folino, Bonifazi, Mosca, Fontanelli, Patriarca, Boccuzzi, Baruffi, Senaldi, Bargero, Fiorio, Ferrari, Ferro, Orfini, Giacobbe, Moretti, Fassina, Monaco, Beni».


Intendimenti in ordine all'aeroporto militare di Amendola e all'aeroporto Gino Lisa in provincia di Foggia, anche in relazione al nuovo Piano nazionale degli aeroporti – 2-00397

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nella conferenza stampa, tenuta, nella giornata del 30 gennaio 2014, dal Ministro della difesa pro tempore Mario Mauro, presso l'aeroporto militare di Amendola (Foggia), si apprende che lo stesso aeroporto militare potrà ospitare, in un prossimo futuro e in via sperimentale, uno scalo civile;
   tale decisione sarebbe stata presa per consentire il completamento dei lavori all'aeroporto foggiano «Gino Lisa»;
   nella stessa sede, il Ministro della difesa pro tempore ha manifestato la volontà di «appoggiare» un tavolo di confronto, su questa proposta, con la regione Puglia, Aeroporti di Puglia, Enac, Enav e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   la possibilità di attuare tale decisione dipenderà dalla possibilità di trovare vettori disponibili ad utilizzare sperimentalmente l'aeroporto militare di Amendola;
   alla conferenza stampa erano presenti, oltre al Ministro della difesa pro tempore, il Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica militare e l'assessore al bilancio della regione Puglia;
   appare quantomeno singolare agli interpellanti che una tale decisione, stante i numerosi atti di sindacato ispettivo presentati in Parlamento sul futuro dello scalo «Gino Lisa», sia stata presa senza prima dare un'adeguata informazione in materia presso la competenti Commissioni parlamentari;
   questa soluzione sembra un tentativo di rimediare alla decisione presa il 17 gennaio 2014, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, che ha escluso l'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia dagli aeroporti di interesse nazionale;
   nello stesso tempo rischia di «seppellire» definitivamente le speranze di vedere lo scalo «Gino Lisa» inserito tra gli aeroporti d'interesse nazionale, dando un duro colpo all'economia della provincia di Foggia che, da anni, invano, aspetta che sia restituita al territorio questa importante via di collegamento –:
   se non si ritenga necessario ed urgente, su tale delicata questione, convocare immediatamente un tavolo di confronto, coinvolgendo tutte le istituzioni a livello nazionale e locale e gli enti interessati, nonché i parlamentari rappresentanti il territorio della provincia di Foggia, affinché si definiscano, in maniera chiara e circostanziata, i tempi e i modi con i quali si intenda portare avanti la scelta di utilizzare l'aeroporto di Amendola come scalo civile e, allo stesso tempo, i tempi certi entro i quali verrà ripristinato, con tutti i lavori terminati, lo scalo «Gino Lisa»;
   se non si ritenga, inoltre, alla luce di quanto sopra esposto, necessario riconsiderare il declassamento attuato nei confronti dell'aeroporto «Gino Lisa», restituendo allo stesso il ruolo strategico che gli spetta nel rilancio economico dell'intero territorio e delle province limitrofe di Potenza, Campobasso e Avellino.
(2-00397) «Di Gioia, Pisicchio».


Iniziative di competenza al fine di dare attuazione all'esito del referendum in materia di servizi idrici – 2-00409

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il 12 e 13 giugno 2011 27 milioni di cittadini si sono espressi sull'acqua e i servizi pubblici locali e la maggioranza assoluta degli italiani ha deciso: sono beni comuni che devono rimanere fuori dai mercati e su cui nessuno deve fare profitti;
   infatti, a seguito dei referendum celebratisi il 12 e 13 giugno 2011, è stato abrogato il primo comma dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nella parte che prevedeva la remunerazione del capitale investito, ovvero nella parte che consentiva di fare profitti sull'acqua;
   poche parole, ma di grande rilevanza simbolica e di immediata concretezza. Perché la parte di normativa che è stata abrogata è quella che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7 per cento a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio;
   la Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 2011, chiarisce che l'abrogazione del citato articolo 154 è finalizzata a «rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell'acqua (...)»;
   anche il Consiglio di Stato, con il parere 25 gennaio 2013, n. 267, a seguito dell'adunanza della seconda sezione del 19 dicembre 2012 e riguardo al quesito che l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico gli aveva rivolto il 23 ottobre 2012, si è espresso sull'eliminazione della remunerazione del capitale investito dalle tariffe;
   la proprietà e la gestione pubblica del servizio idrico integrato e tutte le acque, superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà;
   il servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l'accesso all'acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini, di conseguenza la sua gestione va attuata attraverso gli articoli 31 e 114 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
   in quest'ottica lo Stato, il Governo e il Parlamento devono prendere in carico questa questione con la massima solerzia e non attraverso un'authority che si è sempre occupata d'altro e che ad avviso degli interpellanti è espressione degli interessi del mercato e non dei cittadini;
   l'articolo 21, commi 13 e 19, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, il cosiddetto «salva Italia», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha trasferito all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico «le funzioni di regolazione e di controllo dei servizi idrici» con i medesimi poteri attribuiti dalla legge n. 481 del 1995, che prescrive che essa debba perseguire, nello svolgimento delle proprie funzioni, «la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza (...) nonché adeguati livelli di qualità nei servizi (...) assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela di utenti e consumatori»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012, in attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ribadisce e specifica, all'articolo 2, comma 1, le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici, trasferiti all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, tra le quali assume un particolare rilievo come finalità: la «tutela dei diritti e degli interessi degli utenti»;
   l'articolo 2, comma 1, del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 precisa inoltre che «le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici trasferite all'Autorità per l'energia elettrica e il gas sono da essa esercitate con i poteri e nel quadro dei principi, delle finalità e delle attribuzioni stabiliti dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e valutazione, nel rispetto degli indirizzi di politica generale formulati dal Parlamento e dal Governo»;
   l'Autorità, con delibera 31 gennaio 2013, n. 38, in ottemperanza al parere del Consiglio di Stato, ha avviato il procedimento per la restituzione, agli utenti finali, della componente tariffaria del servizio idrico integrato, relativa alla remunerazione del capitale, indebitamente versata da ciascun utente, in relazione al periodo 21 luglio 2011-31 dicembre 2011;
   l'Autorità, in precedenza, in attuazione dell'articolo 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, con delibera 28 dicembre 2012, n. 585, aveva fissato i criteri per l'adozione di una tariffa transitoria, nelle more dell'adozione di un nuovo metodo tariffario a regime;
   l'Autorità, il 25 giugno 2013, dopo 2 anni dal referendum, ha approvato l'ennesimo provvedimento che secondo gli interpellanti di fatto elude l'esito dei referendum del 2011 e che conferma il mancato rispetto fino ad oggi della volontà popolare da parte dell'Authority: infatti l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico doveva deliberare sulle modalità di restituzione ai cittadini della «remunerazione del capitale investito» illegittimamente percepito dai gestori nel periodo compreso tra luglio 2011 e la fine di quell'anno. Invece l'Autorità ha costruito un metodo che garantirà ai gestori un esborso minimo assai minore di quanto dovuto, visto che saranno detratti gli oneri finanziari, quelli fiscali e gli accantonamenti per la svalutazione crediti;
   questa metodologia a giudizio degli interpellanti smentisce in primis quanto la Corte costituzionale aveva chiaramente specificato nella sentenza di ammissibilità del quesito, ovvero che qualora il referendum avesse avuto successo «la normativa residua, immediatamente applicabile [...], non presenta elementi di contraddittorietà». Inoltre, viene completamente contraddetto quanto il Consiglio di Stato aveva stabilito, ossia che l'abrogazione del 7 per cento aveva effetto immediato a partire dal 21 luglio 2011 (parere del Consiglio di Stato 25 gennaio 2013, n. 267). E quindi che il rimborso ai cittadini dovrebbe riguardare non solo i mesi da luglio a dicembre del 2011 ma tutto il periodo che va dal 21 luglio 2011 ad oggi, per un totale che per esempio solo nella regione Toscana ammonterebbe a 128 milioni di euro secondo i dati ufficiali dell'autorità idrica toscana e che chissà se le imprese hanno previsto di accantonare;
   è poi evidente che ci siano stati ritardi nella determinazione dei criteri da parte degli enti d'ambito attraverso i quali dovranno essere individuati gli importi indebitamente versati da ciascun utente a titolo di remunerazione del capitale investito in relazione al periodo 21 luglio 2011-31 dicembre 2011;
   inoltre, il Tar Toscana nel marzo 2013, sentenza n. 436 del 2013, ha dato ragione al Forum toscano dei Movimenti per l'acqua dichiarando illegittime le tariffe successive al referendum;
   anche a Chiavari, in Liguria, come riportato dagli organi di stampa, poche settimane fa il giudice di pace ha disposto la restituzione del 22 per cento della bolletta, la quota che in quel comune corrisponde al profitto;
   la sentenza, oltre a ribadire il valore normativo dell'istituto referendario, riconosce anche che l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, che ha, ad avviso degli interpellanti, prodotto la nuova «tariffa-truffa» reintroducendo il profitto sotto nuovo nome «oneri finanziari», ha un limitato potere amministrativo, comunque subordinato all'esito referendario;
   il metodo tariffario transitorio, così come definito dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico condurrà ad una sostanziale sanatoria di tutte le illegittimità, inadempienze e irregolarità attualmente registrate in diverse gestioni. Infatti, tale metodo prende a base di determinazione delle tariffe 2012 e 2013 quelle che erano le tariffe definite dal piano d'ambito, ovvero quelle basate sul presupposto di una gestione impeccabile e dell'effettiva realizzazione degli investimenti previsti negli anni successivi alla redazione del piano d'ambito o della sua ultima revisione. Ovvero non tiene in alcun conto la qualità del servizio reso e gli investimenti pregressi effettivamente effettuati. È in questo che si è in presenza di una sanatoria di fatto del pregresso;
   il Tar della Lombardia si esprimerà nei prossimi mesi (nella prima udienza fissata il 23 gennaio 2014 è stato disposto un rinvio al 20 febbraio) relativamente al ricorso (num. reg. gen.: 579/2013) promosso dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua e da Federconsumatori in merito alla delibera n. 585 del 2013 con cui l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico ha predisposto il metodo tariffario transitorio per il servizio idrico integrato;
   inoltre, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, con un comunicato stampa diramato dal Festival dell'acqua il 9 ottobre 2013, ha annunciato un tavolo di lavoro con i diversi segmenti del settore idrico: «avvieremo gruppo di lavoro anche con chi ha alimentato questo dibattito di oggi. Visto che su iniziative parlamentari non si fanno passi avanti, prendo io l'iniziativa come ministero. Le aziende sono un interlocutore naturale per una collaborazione che è partita bene per fare strada insieme»;
   infine, visto che secondo il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore «con le iniziative parlamentari non si fanno passi avanti» gli interpellanti ricordano che il 12 giugno 2013 è nato l'intergruppo parlamentare per l'acqua bene comune di cui fanno parte circa 200 parlamentari e che proprio su questo tema è in discussione presso la Commissione ambiente la risoluzione n. 7-00036 in materia di introduzione nell'ordinamento nazionale di principi e norme per la tutela e la gestione pubblica delle acque, nonché per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, in cui si espongono problematiche e impegni relativi alla tariffazione del servizio idrico integrato;
   l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico ha nuovamente «colpito» nel silenzio delle feste. Il 27 dicembre 2014, infatti, fu approvato il metodo tariffario idrico 2014-2015 confermando quanto contenuto nel metodo tariffario transitorio e sancendo nuovamente, nei fatti, la negazione dei referendum del giugno 2011; infatti le criticità già evidenziate permangono tutte, compresa l'incapacità del nuovo metodo tariffario di garantire gli investimenti necessari al comparto idrico. Investimenti che, come i numeri dimostrano da più di 20 anni, non trovano spazio nel metodo del full cost recovery, cioè nell'assioma che vuole tutti i costi del servizio coperti dalla bolletta, profitti del gestore compresi –:
   se e con quali iniziative di sua competenza il Governo abbia intenzione di dare finalmente attuazione al risultato referendario, che i cittadini attendono da più di 2 anni, in particolare con riferimento alle questioni relative alla tariffazione del servizio idrico integrato;
   se e con quali iniziative intenda portare avanti i principi della proposta di legge di iniziativa popolare «Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato», depositata dal Forum italiano dei movimenti dell'acqua nel 2007 al fine di avviare un percorso di ripubblicizzazione del servizio idrico integrato;
   se si intenda riportare nell'ambito delle competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici, togliendo tali competenze all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico, il cui operato come si evince dalle premesse non ha assolutamente tenuto conto dell'esito referendario e ha fallito il suo mandato non tenendo in considerazione «la tutela di utenti e consumatori»;
   se e con quali iniziative di competenza si intenda avviare la predisposizione di un nuovo metodo tariffario che recepisca integralmente l'esito del referendum popolare del 12-13 giugno 2011, con particolare riferimento all'eliminazione dalla tariffa di qualsiasi voce riconducibile alla remunerazione del capitale investito e che preveda il rimborso ai cittadini delle quote indebitamente percepite dai gestori dal 2011 ad oggi, un metodo tariffario che oltre che garantire gli investimenti necessari per la ristrutturazione delle reti e la costruzione di nuove opere soprattutto fognarie e di depurazione, superi il principio del full cost recovery e quindi preveda, congiuntamente alla leva tariffaria, anche strumenti di finanza pubblica e fiscalità generale;
   se le attività del tavolo di lavoro con i diversi segmenti del settore idrico, citato in premessa e annunciato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore il 9 ottobre 2013, abbiano preso avvio e soprattutto quali siano gli obiettivi che esso si è dato e le tempistiche per realizzarli;
   se e quali iniziative intendano promuovere per quanto di competenza per avviare tutti gli interventi necessari per l'immediata e duratura soluzione della grave contaminazione delle acque potabili di molti comuni italiani, in particolare a causa della concentrazione di arsenico, floruri e vanadio;
   se e quali iniziative intendano assumere per garantire che gli investimenti per i servizi pubblici essenziali vengano esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno che «strangolano» sempre di più gli enti locali.
(2-00409) «Daga, Busto, De Rosa, Mannino, Segoni, Terzoni, Tofalo, Zolezzi, Barbanti, Ruocco, Cancelleri, Alberti, Pesco, Pisano, Villarosa, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Currò, D'Incà, Nicola Bianchi, De Lorenzis, Dell'Orco, Cristian Iannuzzi, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Battelli».


Elementi in ordine al rispetto del principio di trasparenza e della libertà di informazione da parte della Rai, con particolare riferimento alla comunicazione del costo annuo del personale utilizzato – 2-00434

D)

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   con l'interpellanza urgente n. 2-00353, presentata dall'interpellante l'8 gennaio 2014, è stata messa in evidenza la necessità dell'attuazione della norma di cui all'articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, 30 ottobre 2013, n. 255);
   la suddetta disposizione ha integralmente sostituito, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, nella precedente formulazione, prevedeva che gli enti pubblici economici e le aziende che producono servizi di pubblica utilità, nonché gli enti e le aziende di cui all'articolo 70, comma 4, sono tenuti a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure definite dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   l'intervento operato dal decreto-legge n. 101 del 2013 integra in primo luogo l'ambito soggettivo di riferimento del suddetto articolo 60, estendendo la platea dei soggetti tenuti al rispetto dell'obbligo di comunicazione previsto anche alle società non quotate, partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, diverse da quelle emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e dalle società dalle stesse controllate, e dalla società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo;
   detto intervento opera, inoltre, sul contenuto informativo dell'obbligo stesso, in particolare per la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, andando a specificare che il costo annuo del personale comunque utilizzato ed oggetto della comunicazione deve ritenersi riferito ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo;
   in virtù di tale disposizione, pertanto, anche la Rai, in quanto società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, è tenuta a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero dell'economia e delle finanze il costo annuo del personale comunque utilizzato, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, in conformità a specifiche procedure definite d'intesa con i predetti dicasteri;
   in risposta all'interpellanza presentata, nel corso della seduta dell'assemblea della Camera dei deputati di venerdì 10 gennaio 2014, il senatore Giovanni Legnini, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri pro tempore, in relazione alla concreta attuazione della disposizione di cui al citato articolo 2, comma 11, del decreto-legge 31 agosto 2013, ha fatto presente che «il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha già predisposto una prima bozza di documento di lavoro per la definizione delle procedure di acquisizione dei dati utili a soddisfare le necessità informative previste dalla norma che, peraltro, riguarda una pluralità di soggetti»;
   il Sottosegretario di Stato pro tempore Legnini ha poi dichiarato che, «sulla base di tale bozza di documenti nella giornata del 9 gennaio 2014, è stata svolta la prima riunione di coordinamento tra rappresentanti del dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio con il quale è stato avviato il percorso attuativo della norma per verificare le modalità di rilevazione più idonee all'interno del suddetto sistema conoscitivo che, comunque, con riferimento alla Rai, in ordine alla quale la norma prescrive l'acquisizione di informazioni di maggior dettaglio (ovvero il costo annuo dei singoli rapporti di lavoro), richiederà una specifica modalità di trattazione»;
   in conclusione, il Sottosegretario di Stato pro tempore Legnini ha precisato che «la disciplina normativa che è stata puntualmente richiamata sarà attuata, come è doveroso fare, entro i tempi tecnici strettamente necessari e con le procedure che sono state richiamate»;
   l'interpellante, il 4 febbraio 2014, ha depositato un'ulteriore interpellanza, n. 2-00400, relativa ai «tempi e modalità di attuazione della normativa in tema di trasparenza della RAI, con particolare riferimento alla comunicazione del costo annuo del personale utilizzato», con la quale sono stati chiesti aggiornamenti circa il percorso attuativo della medesima disposizione di cui al sopra citato decreto-legge n. 101 del 2013;
   in risposta all'interpellanza presentata, nel corso della seduta dell'Assemblea della Camera dei deputati di venerdì 7 febbraio 2014, Luigi Casero, Viceministro dell'economia e delle finanze pro tempore, ha rappresentato «l'impegno del Governo ad una rapida attuazione della nuova normativa», facendo altresì presente «che il Ministero dell'economia e delle finanze, congiuntamente al Dipartimento della funzione pubblica, in attuazione delle disposizioni sopra richiamate, ha provveduto a richiedere alla Rai la trasmissione dei dati previsti nei tempi più brevi consentiti, e comunque non oltre il 31 marzo 2014»;
   il Viceministro pro tempore Casero ha poi dichiarato che «considerato il vasto universo di riferimento, essendo i soli dipendenti dell'azienda circa 12 mila, si è convenuto con il Dipartimento della funzione pubblica di raccogliere informazioni con differente livello di dettaglio a seconda della tipologia del personale»;
   il Viceministro dell'economia e delle finanze pro tempore ha, inoltre, affermato che «per poter rispondere in modo dettagliato alla richiesta e permettere la pubblicazione di questi dati, il Ministero dell'economia e delle finanze ha ritenuto comunque opportuno richiedere ed acquisire l'avviso dell'Autorità garante della privacy e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato su alcuni aspetti interpretativi della norma»;
   è appena il caso di sottolineare che sia il Garante per la protezione dei dati personali che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno già espresso nel 2010 un parere, in tema di total disclosure, per i profili di competenza;
   il Garante per la protezione dei dati personali, fin dal parere del 30 giugno 2010, reso proprio alla Rai in ordine alla divulgazione dei dati relativi ai compensi erogati dalla medesima società, ha rammentato che «la normativa di protezione dei dati personali non può ritenersi ostativa alla pubblicazione, da parte della RAI, dei compensi erogati, sempre che risultino essere osservati i principi stabiliti dall'articolo 11 del codice e purché venga osservata la specifica modalità di divulgazione attraverso il sito web»;
   sullo stesso tema, anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato si è già pronunciata, per competenza, il 7 luglio 2010, trasmettendo, al Ministero dello sviluppo economico e alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, una propria segnalazione in merito; l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha sottolineato le implicazioni di carattere concorrenziale, riconoscendo tuttavia l'esigenza di accountability del servizio pubblico radiotelevisivo e l'importanza di assicurare la trasparenza dei costi connessi alla gestione dei servizi pubblici, il cui finanziamento è a carico dei cittadini;
   il 5 settembre 2013 è stato inaugurato, con conferenza stampa dell'interpellante, il sito internet www.raiwatch.it che, sin dal principio, ha dichiarato l'intento di monitorare, nella sua completezza, l'attività svolta dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, pubblicando altresì gli atti di sindacato ispettivo e più in generale tutti i quesiti posti alla Rai, dai parlamentari componenti della Commissione stessa e le relative risposte fatte pervenire dalla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo;
   il 15 gennaio 2014, il tribunale di Bologna, accogliendo un ricorso urgente (ex articolo 700 del codice di procedura civile) presentato dalla Rai, ha disposto l'oscuramento del suddetto sito web; l'ordinanza del tribunale di Bologna ha infatti inibito a Wicom srl, provider del sito, l'uso del nome a dominio raiwatch.it, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo e, in particolare attraverso internet e i social network, disponendo il trasferimento provvisorio del nome a dominio raiwatch.it a favore di Rai;
   si ritiene utile rappresentare che è tuttora attivo sul web un sito internet analogo, per finalità e contenuti a quello oscurato sulla base del ricorso della Rai, caratterizzato anch'esso dalla dicitura «Rai» nel proprio dominio: www.cambiamolarai.it riconducibile al senatore Maurizio Rossi; non si comprende, pertanto, in base a quali criteri e politiche aziendali, Rai abbia avanzato ricorso soltanto contro raiwatch.it; a tal riguardo, sembra configurarsi, a parere dell'interpellante, una vera e propria azione di intimidazione da parte della Rai nei confronti del sottoscritto interpellante, al quale si riconduce l'attività del sito oscurato raiwatch.it;
   la Rai, concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, continua a non ottemperare agli obblighi di legge sulla trasparenza, come stabilito, solo da ultimo, dal decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, secondo cui la Rai è tenuta a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica – e al Ministero dell'economia e delle finanze il costo annuo del personale comunque utilizzato, con riferimento ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, in conformità a specifiche procedure definite d'intesa con i predetti dicasteri;
   infatti, tali obblighi di pubblicità e di trasparenza si desumono da una corposa normativa a cui va aggiunta la previsione, contenuta nel contratto di servizio 2010-2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, 27 giugno 2011, n. 147, siglato tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai e tuttora in vigore in prorogatio al cui articolo 7, comma 27, si prevede che «La Rai pubblica sul proprio sito web gli stipendi lordi percepiti dai dipendenti e dai collaboratori nonché informazioni, anche tramite il mezzo televisivo, eventualmente con rinvio al medesimo sito web nei titoli di coda, e radiofonico, sui costi della programmazione di servizio pubblico»;
   la medesima società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo si è resa protagonista recentemente di un ulteriore spiacevole episodio che ha visto coinvolto il giornalista Sigfrido Ranucci, inviato di Report, trasmissione condotta dalla giornalista Milena Gabanelli in onda su Rai Tre;
   nei confronti del giornalista è stata annunciata, il 22 febbraio 2014, da parte del sindaco di Verona, Flavio Tosi, una denuncia per diffamazione a mezzo stampa, accompagnata da una registrazione audio-video e dalle relative trascrizioni, dalle quali si evincerebbe il tentativo perseguito dal giornalista di Report di costruire una puntata della trasmissione ad hoc, con la finalità di dimostrare ipotetiche connessioni tra il sindaco di Verona e ambienti della criminalità organizzata, tutto ciò con chiari intenti diffamatori;
   il filmato audio-video è stato realizzato da Sergio Borsato, ex militante leghista, contattato dal giornalista Ranucci, presumendo che fosse in possesso di documenti compromettenti riguardanti Flavio Tosi; il giornalista, citando fantomatiche indagini della magistratura in corso, ha fatto altresì riferimento alla possibilità che venisse corrisposto un compenso all'ex militante leghista, anche attraverso risorse provenienti, in qualche misura, dalla Rai;
   l'inviato di Report, che si ricorda essere trasmissione del servizio pubblico radiotelevisivo ha, in tal modo, posto in essere una condotta gravissima, ad avviso dell'interpellante, in totale spregio di qualsiasi norma deontologica propria della professione del giornalista, finalizzata piuttosto a costruire artatamente una tesi completamente falsa e denigratoria, tesa a danneggiare il sindaco di Verona Flavio Tosi a livello personale, oltre che politico, anche attraverso l'offerta di denaro pubblico;
   la Corte di cassazione, con sentenza n. 16236 del 2010, ha precisato che, quando si tratta del cosiddetto «giornalismo di inchiesta» – il quale provvede ad attingere direttamente l'informazione – gli obblighi del giornalista, connessi al generale limite della verità oggettiva della notizia pubblicata, si sostanziano nel rispetto dei principi etici e deontologici dell'attività professionale, quali risultano dalla relativa legge (articolo 2 della citata legge n. 69 del 1963) e dalla Carta dei doveri del giornalista, ai quali si aggiunge il rispetto della riservatezza, secondo quanto stabilito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali; restano, comunque, validi i limiti generali costituiti dall'interesse pubblico alla conoscenza del fatto e la correttezza formale dell'esposizione –:
   se il Governo sia a conoscenza di tutte le circostanze esposte in premessa e se non ritenga lesivi del principio di trasparenza e della libertà di informazione, nonché della vocazione istituzionale a servire l'interesse pubblico da parte dell'azienda, come sanciti anche dal contratto di servizio:
    a) le iniziative della governance della Rai (espressione anche dell'azionista pubblico) volte, ad avviso dell'interpellante, al boicottaggio, fino ad ottenere l'oscuramento del sito internet citato in premessa, di tutte le iniziative costituzionalmente protette volte a diffondere conoscenze sulla situazione e le policy dell'azienda radiotelevisiva;
    b) la mancata attuazione delle norme relative agli obblighi di pubblicazione dei dati stabiliti per la società Rai spa;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere tutte le iniziative urgenti di propria competenza, al fine di rendere esecutivi, a norma di legge, gli obblighi di trasparenza in capo alla Rai, per dare completo avvio alla pubblicazione dei singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo;
   se il Governo intenda assumere specifiche iniziative normative per disciplinare in maniera più puntuale e rigorosa l'attività giornalistica, in particolare quella relativa al giornalismo d'inchiesta, anche attraverso la previsione di opportune sanzioni disciplinari, per evitare il ripetersi di episodi gravi come quello esposto in premessa.
(2-00434) «Brunetta».


Iniziative volte ad escludere dalla fattispecie di organizzazione autonoma del lavoro i medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento agli oneri fiscali – 2-00419

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   i medici di medicina generale sono professionisti convenzionati con il Servizio sanitario nazionale con un rapporto di parasubordinazione, ovvero sono retribuiti con una quota per assistito in carico, fino ad un massimale invalicabile di 1500 (1575) scelte;
   gli ambulatori dei medici di medicina generale sono a tutti gli effetti presidi sanitari pubblici;
   il medico di medicina generale opera secondo le modalità organizzative di cui all'articolo 59 lettera B del vigente accordo collettivo nazionale e le disposizioni di cui all'articolo 1 del decreto-legge 13 settembre 2012, (cosiddetto decreto Balduzzi – Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 189 del 2012, limitatamente all'ambito di esercizio dell'attività convenzionata con il Servizio sanitario nazionale;
   per promuovere il tipo di evoluzione della medicina territoriale, orientato definitivamente dallo stesso decreto, in molti casi, già da tempo, si è provveduto all'assunzione di collaboratori di studio, figure professionali che permettono di agevolare sensibilmente l'accesso al servizio di medicina generale, intervenire in campagne di prevenzione e sensibilizzazione ed organizzare studi dedicati alle fasce più deboli della popolazione (anziani, malati cronici e disabili), ed è obiettivo implementare gli studi di dotazioni tecnologiche di primo livello (ad esempio telemedicina), ottenendo così, tra l'altro, anche una costante riduzione del numero dei ricoveri ospedalieri;
   come confermato anche dal recentissimo provvedimento della Corte di cassazione, sezione VI civile – T, ordinanza n. 106/14, depositata il 7 gennaio 2014, è evidente che la disponibilità di uno studio dotato delle attrezzature di cui all'articolo 22 dell'accordo collettivo, obbligatorie ai fini dell'instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non integra, di per sé, il requisito dell'autonoma organizzazione, con ciò orientando nettamente il tema dell'inapplicabilità dell'Irap ai medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale;
   per i medici di medicina generale, limitatamente all'ambito di esercizio dell'attività convenzionata, qualunque organizzazione ed implementazione della qualità dei servizi a vantaggio dei cittadini non è in grado di produrre maggior reddito per il professionista ed anzi, dovendone lo stesso sostenere i costi, è fonte di impoverimento;
   viceversa, coloro che già sostengono le spese di un collaboratore proprio per migliorare la qualità del servizio fornito e realizzare una medicina territoriale d'iniziativa e proattiva, vengono assoggettati alle imposte proprie dell'autonoma organizzazione finalizzata all'implementazione del reddito, cosa per l'appunto tecnicamente impossibile;
   le stesse associazioni mediche e, quindi, le aggregazioni funzionali, piuttosto che le associazioni di professionisti, secondo alcune interpretazioni, rappresenterebbero una sorta di «autonoma organizzazione», con le relative conseguenze;
   contrariamente agli indirizzi previsti dalla «legge Balduzzi», la presente normativa, tanto più là dove applicata in forma rigida da parte dell'Agenzia delle entrate, finisce paradossalmente per promuovere implicitamente i medici di medicina generale che non provvedono ad organizzare la propria attività secondo modelli di implementazione dei servizi;
   dal quadro delineato, risulta prevedibile che i medici di medicina generale, per evitare i costi aggiuntivi a loro carico, a completo svantaggio dei cittadini e con significativi danni occupazionali, optino per il regresso nella qualità del servizio con il licenziamento forzato dei numerosi collaboratori, disperdendo tra l'altro qualità professionale –:
   poiché l'ambulatorio del medico di medicina generale è un presidio del Servizio sanitario nazionale e dalla sua migliore organizzazione non possono derivare vantaggi per il medico, se non debba essere predisposta un'iniziativa diretta a chiarire l'esclusione della fattispecie descritta in premessa dal concetto di organizzazione autonoma del lavoro, escludendo pertanto gli oneri fiscali derivanti dall'interpretazione applicata dall'Agenzia delle entrate.
(2-00419) «Zanin, Ventricelli, Zardini, Zappulla, Caruso, Cova, Coppola, Crimì, Carra, Fregolent, Mariani, D'Ottavio, Brandolin, Braga, Tentori, Terrosi, Moretto, Rotta, Bargero, Bazoli, Pellegrino, Rubinato, Quartapelle Procopio, Patriarca, Berlinghieri, Piccoli Nardelli, Oliverio, Marrocu, Taricco, Martelli, Argentin, Benamati, Coscia, D'Arienzo, Sbrollini, Scanu, Scuvera, Venittelli».


Intendimenti in merito all'assegnazione dei fondi strutturali europei per l'Agenda digitale italiana – 2-00359

F)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   in data 10 dicembre 2013 è stata presentata dal Ministro per la coesione territoriale pro tempore Trigilia lo schema di Accordo di partenariato per la nuova programmazione dei Fondi strutturali europei 2014-2020, contenente l'impianto strategico e gli undici obiettivi tematici (OT) individuati, con i relativi risultati attesi;
   l'accordo di partenariato rappresenta uno strumento fondamentale per lo sviluppo, la crescita e l'aumento della competitività del Paese nei prossimi anni;
   lo schema di contratto di partenariato 2014-2020 assumerà la sua forma definitiva solamente in seguito alle osservazioni della Commissione europea, delle amministrazioni centrali e regionali, delle rappresentanze dei comuni e del partenariato e in seguito all'espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, prima della stipula con le autorità dell'Unione europea (quest'ultima prevista da un'importante novità introdotta dall'articolo 1, comma 156-bis, della legge di stabilità 2014);
   sulla base di quanto annunciato dal Ministro per la coesione territoriale pro tempore Trigilia e riportato nel già citato accordo, l'Italia potrà beneficiare di un totale di risorse comunitarie pari a circa 32 miliardi di euro (derivanti dal Fondo europeo di sviluppo regionale e Fondo sociale europeo), a cui dovrebbero aggiungersi risorse, di pari cifra, di cofinanziamento nazionale (per un totale complessivo di 63,6 miliardi di euro), insieme alle quote di cofinanziamento di fonte regionale da destinare ai Programmi operativi regionali-por (pari al 30 per cento del cofinanziamento complessivo del programma); si tratta di risorse importanti, utilizzabili per il superamento della crisi economica attraverso interventi mirati nel campo della ricerca e della competitività economica;
   a completamento della programmazione settennale rileva anche la dotazione aggiuntiva assegnata dalla legge di stabilità 2014 al Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc-ex fondo Fas), stimata in 54,8 miliardi di euro, l'80 per cento dei quali a favore del Mezzogiorno, e che finanzierà esclusivamente le infrastrutture, comprensive di quelle digitali;
   tuttavia, tale dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione sarà in gran parte decurtata per il finanziamento di interventi necessari di messa in sicurezza del territorio, di bonifica di siti di interesse nazionale (sin) e in materia di politiche ambientali. La legge di stabilità 2014 prevede, infatti, che 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016 siano destinati per interventi nei territori colpiti da eventi calamitosi dal 2009, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione;
   le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione finalizzate alle infrastrutture digitali e al completamento e al miglioramento della rete digitale (banda larga e ultra-larga), gran parte delle quali dirottate per altri interventi, risulteranno, dunque, insufficienti e inadeguate a realizzare gli obiettivi di riduzione del digital divide infrastrutturale nel breve periodo;
   eppure la rilevanza strategica dell'agenda digitale, in un momento cruciale per il nostro Paese, imporrebbe la priorità di investire nell'economia digitale, per perseguire obiettivi di crescita, migliorare la produttività delle imprese, l'efficienza della pubblica amministrazione con la realizzazione del sistema dei pagamenti elettronici, lo sviluppo di servizi digitali, la diffusione di nuove tecnologie, in particolare quelle di quarta generazione, per creare nuove professionalità digitali e ampliare le opportunità di partecipazione alla società della conoscenza;
   con l'Agenda digitale si potrebbero ottenere risultati virtuosi anche maggiori rispetto a quelli derivanti dall'attesa spending review. Una compiuta dematerializzazione consentirebbe, infatti, di ottenere risparmi pari a 43 miliardi di euro l'anno, di cui 4 miliardi di euro l'anno di soli risparmi per gli approvvigionamenti, 15 miliardi di euro l'anno di risparmi legati all'aumento di produttività del personale, 24 miliardi di euro l'anno di risparmi sui «costi di relazione» tra pubblica amministrazione e imprese, grazie a uno snellimento della burocrazia, come dimostrano i dati dell'Osservatorio fatturazione elettronica e dematerializzazione del Politecnico di Milano;
   il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Letta, in vista del Consiglio europeo di Bruxelles del 24 e 25 ottobre 2013, ha sottolineato l'importanza strategica dell'Agenda digitale, assicurando l'impegno italiano «affinché le fonti di finanziamento europeo, a partire dai fondi strutturali, e della Connecting Europe Facility siano orientate maggiormente verso la costruzione delle reti a banda larga e ultra larga»;
   l'agenda digitale nazionale, facendo propri gli obiettivi dell'Agenda digitale europea (Digital Agenda for Europe) mira all'azzeramento del digital divide, per consentire l'accesso ad internet a tutti i cittadini entro il 2020 e le forniture di servizi on-line per il miglioramento della qualità della vita. I piani nazionali (Piano nazionale banda larga e Progetto strategico banda ultra larga) hanno il compito di perseguire tali obiettivi;
   l'Italia, tuttavia, è ancora molto lontana dai traguardi europei. Per le infrastrutture di rete l'Italia registra la peggiore qualità di servizio in termini di lentezza della connessione (con una media di 4,4 Mbps) e per le quali, nella decisione della Commissione europea relativa al Piano nazionale per la banda ultralarga, si definisce un fabbisogno di 2,5 miliardi di euro entro il 2015 (secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico);
   per l'attuazione dell'Agenda digitale italiana e per colmare il gap che distanzia il nostro Paese dai Paesi europei più avanzati, sarebbero necessari circa 10 miliardi di euro – così come stimato dal direttore dell'Agenzia per l'Italia digitale, Agostino Ragosa, il quale ha segnalato come tale cifra possa essere reperita anche attraverso l'utilizzo dei fondi comunitari;
   dallo schema di accordo di partenariato, per ciò che attiene all'allocazione agli obiettivi tematici (OT) divisi per categoria di regioni (Fondo europeo di sviluppo regionale e Fondo sociale europeo 2014-2020), si evince che i fondi comunitari previsti per l'attuazione dell'OT2 (Obiettivo tematico 2 – Agenda digitale) risultano essere pari a 1.812 milioni di euro, suddivisi in 327 milioni di euro per le regioni più sviluppate, 72 milioni di euro per le regioni in transizione e 1,413 milioni di euro per le regioni meno sviluppate;
   l'analisi complessiva circa l'allocazione delle risorse per lo sviluppo e il miglioramento delle infrastrutture digitali evidenzia una composizione frammentaria dei finanziamenti e delle azioni connesse a tale obiettivo e il rischio è quello di ridurre l'impatto e l'efficacia degli interventi;
   per l'attuazione dell'Agenda digitale europea occorrerebbe fare riferimento non solo alle risorse del già citato OT2 (Obiettivo tematico 2 – Agenda digitale), ma a quelle di tutti gli 11 obiettivi tematici, al fine di poter concorrere, anche a valere dei fondi europei, alla realizzazione dell'Agenda digitale italiana che, come già segnalato, richiede la programmazione di risorse stimate in circa 10 miliardi di euro;
   affinché i piani di attuazione dell'agenda digitale diventino realmente un'occasione per l'affermarsi di politiche integrate per la crescita del nostro Paese, occorre orientare le risorse comunitarie verso una concentrazione dei diversi interventi e delle molteplici componenti dell'agenda digitale in un unico Programma operativo nazionale (Pon); ciò permetterebbe di programmare un approccio coordinato e integrato, affinché gli interventi siano progettati nell'ambito di un'organica struttura programmatica per la realizzazione dell'Obiettivo 2 (Agenda digitale);
   le opere infrastrutturali relative alla banda larga e ultralarga non sono assimilabili alle infrastrutture pesanti né per tempistica di progettazione (il progetto Piano banda ultralarga già c’è ed è già operativo), né di implementazione, anche in considerazione del fatto che con le nuove tecniche gli scavi di appena 15 centimetri di larghezza (minitrincee) sono spesso sufficienti;
   solo le operazioni infrastrutturali già identificate e giunte ad uno stadio di maturazione progettuale «adeguato» possono rientrare nella programmazione europea dei fondi strutturali e il Progetto strategico banda ultralarga rientra pienamente in questi parametri –:
   se non ritenga il Governo di dover meglio precisare su quanti fondi strutturali europei del nuovo ciclo di programmazione 2014-2020 possa contare l'Agenda digitale italiana nel suo complesso, fornendo altresì motivazioni circa i criteri scelti per la ripartizione finale delle risorse a disposizione, ai fini dell'accordo di partenariato;
   se il Governo non ritenga di dover destinare una quota cospicua dei fondi europei 2014-2020 allo sviluppo di progetti per l'Agenda digitale, prevedendo, ai fini dell'accordo definitivo di partenariato, anche l'istituzione di un Programma operativo nazionale (Pon), in grado di assicurare il fabbisogno di risorse stimato dall'Agenzia per l'Italia digitale e di ricomprendere, in modo coerente, organico e bilanciato tutte le componenti dell'Agenda digitale, accogliendo in tal modo una richiesta analoga delle regioni e del referente delle regioni per la cabina di regia per l'Agenda digitale.
(2-00359) «Coppola, Crivellari, Carlo Galli, Garofani, Fossati, Rossomando, Marco Meloni, Carbone, Tullo, Carrescia, Ermini, Iori, Famiglietti, Fanucci, Boccuzzi, Gelli, Tidei, Marco Di Maio, Misiani, Gandolfi, Donati, De Menech, Gribaudo, Guerra, Giampaolo Galli, Cinzia Maria Fontana, Folino, Lodolini, Tino Iannuzzi, Iacono, Bonaccorsi, Marroni, Martelli, Bruno Bossio, Rotta».


Iniziative volte a garantire la prosecuzione delle attività concernenti l'educazione alle diversità a scuola da parte dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, anche al fine di contrastare episodi di bullismo a sfondo omofobico e transfobico – 2-00413

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) è stato oggetto di accuse da parte del quotidiano Avvenire e di alcuni esponenti politici del Nuovo Centrodestra per aver realizzato materiale informativo per docenti delle scuole pubbliche contro tutte le discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere;
   questo materiale informativo è stato realizzato dall'istituto Beck (Istituto di terapia cognitivo-comportamentale), in base a un contratto con il Dipartimento per le pari opportunità del dicembre 2012;
   agli interpellanti appare chiaro come ci sia un tentativo politico di bloccare la distribuzione degli opuscoli per impedire la realizzazione di uno dei pochi strumenti disponibili per educare gli studenti al rispetto delle diversità, così come previsto nella Strategia nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere (2013/2015), fortemente voluta dal Consiglio d'Europa che prevede proprio interventi specifici nelle scuole;
   numerose associazioni per i diritti di lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender (lgbt) – come si legge in note di agenzie stampa – hanno contestato l'attacco portato nei confronti dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali sottolineando come la produzione degli opuscoli sia in linea con gli obiettivi propri dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali che agisce anche in base ad un protocollo d'intesa tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Dipartimento per le pari opportunità;
   l'azione dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali è tra le poche che, a livello istituzionale, contribuisce a contrastare le discriminazioni conformemente alle linee guida europee;
   anche quest'ennesima deplorevole vicenda dimostra come l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali abbia bisogno di operare in condizioni di autonomia e di indipendenza dalle pressioni politiche conservatrici –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per garantire la prosecuzione indispensabile delle attività dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali di educazione alle diversità e quali iniziative intenda porre in essere per garantire l'utilizzo di questi opuscoli – su cui sono state impiegate risorse pubbliche – ai docenti per un'opportuna formazione in materia di lotta all'omofobia e alla transfobia;
   se il Governo disponga di un quadro chiaro della necessità di intervenire sui giovani nelle scuole anche in relazione ai dati relativi al fenomeno di bullismo a sfondo omofobico e transfobico e relativi ai casi recenti di suicidi o tentati suicidi.
(2-00413) «Zan, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Migliore, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti».


Chiarimenti in ordine agli strumenti a sostegno di Sorgenia in relazione alla disciplina in materia di aiuti di Stato – 2-00433

H)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   in base a quanto pubblicato in un articolo a firma di Fabrizio Massaro e Sergio Rizzo su Il Corriere della Sera del 2 marzo 2013, si evidenziano gravi difficoltà per Sorgenia, gruppo che fa capo alla Cir di Carlo De Benedetti e figli. Secondo Rizzo e Massaro, Sorgenia «Si trova a un passo dall'avvitamento finanziario: fra tre settimane finirà i soldi in cassa. Il debito sfiora quota 1,9 miliardi»;
   i due giornalisti nel seguito dell'articolo mettono a fuoco il problema cruciale, che riguarderebbe l'esposizione degli istituti di credito: «[...] il socio austriaco Verbund non vuole più tirare fuori un euro e Rodolfo De Benedetti, il figlio di Carlo, è disposto a mettere nel buco nero soltanto un centinaio di milioni. Il rischio di dover portare i libri in tribunale è reale. E l'eventuale fallimento non risparmierebbe le banche, la cui esposizione è vertiginosa. Tanto che queste stanno valutando la possibilità di trasformare parte dei loro crediti in capitale, ripetendo il copione già sperimentato con l'immobiliare Risanamento di Luigi Zunino e con la Tassara di Romain Zaleski. Se ne parlerà domani [quindi il 3 marzo, n.d.r.] a un vertice forse decisivo. Ben sapendo due cose. La prima: senza l'aiuto dello Stato Sorgenia rischia comunque di andare a picco, come riconosce lo stesso piano finanziario della società. La seconda: la soluzione definitiva è la cessione del gruppo energetico che fa capo a De Benedetti». In particolare, l'ipotizzato aiuto dello Stato viene ricondotto allo strumento previsto nell'ultima legge di stabilità, cioè il «capacity payment»;
   il quotidiano Il Giornale del 18 febbraio 2014, in un articolo di Marcello Zacché, in un primo riferimento ai problemi della società ipotizzava uno schema che avrebbe generalizzato il modello Sorgenia ad altri impianti di produzione elettrica a gas in crisi, ovverosia la costituzione di «una Bad Bank dell'energia, con 12.500 MegaWatt di centrali elettriche a gas, per poi chiedere allo Stato 250 milioni di sovvenzioni e togliere una fetta di capacità produttiva dal mercato [...] un impegno pubblico [...] che però andrebbe esteso anche al rimanente termoelettrico italiano (Enel, Edison, Iren, Gdf per almeno altri 25mila MW) per un totale di 7-800 milioni. Le sovvenzioni permetterebbero alle centrali di colmare il gap oggi esistente tra il rendimento (oggi al 4-5 per cento) e il costo del capitale (7-8 per cento). Così le banche potrebbero gestire meglio il rientro dei crediti. Il progetto sarebbe per ora solo sulla carta. Tanto che sia A2A, sia Intesa, contattate in proposito, negano l'esistenza di trattative o di dossier sul tavolo»;
   la Repubblica del 4 marzo 2014, in un articolo a firma di Luca Pagni dal titolo «Sorgenia, nulla di fatto al vertice con le banche» riporta che «gli istituti di credito (con in testa Mps, Unicredit, Intesa e Mediobanca) hanno chiesto al gruppo Cir [...] di assicurare almeno 150 milioni di nuova finanza. Una proposta che i vertici del gruppo hanno fino ad ora respinto. Anche perché con la conversione di buona parte del debito in azioni, le banche salirebbero in maggioranza, mentre Cir scenderebbe a una quota attorno al 30 per cento del capitale di Sorgenia. Al momento, Cir si è detta disponibile a iniettare non più di 100 milioni per ricapitalizzare Sorgenia. Il caso è diventato anche politico. Il gruppo Cir è stato accusato di fare pressioni per ottenere dal governo il cosiddetto Capacity Payment, una sorta di contributo pubblico alle aziende di settore per mantenere in esercizio gli impianti anche se non vengono chiamati a produrre energia. Accuse cui ha replicato con una lettera al Corriere della Sera il presidente di Cir, Rodolfo De Benedetti. Il quale ha sottolineato come il capacity sia uno strumento “in corso di azione anche in altri Paesi d'Europa” per garantire la sicurezza della rete compensando gli sbalzi della domanda e in particolare l'intermittenza delle fonti rinnovabili, non programmabili e cresciute in misura superiore alle previsioni». Inoltre, ha ricordato come «il provvedimento riguardi determinai impianti di generazione e non le aziende» e come «le centrali coinvolte nel capacity payment siano numerose e di dimensioni anche maggiori» rispetto a quelle di Sorgenia;
   come si apprende dagli articoli sopra menzionati, al fine di salvare la società energetica si vorrebbe inserire una norma che, in probabile contrasto con le norme comunitarie recentemente aggiornate dalle linee guida della Commissione europea sulla libera concorrenza e gli aiuti di Stato, imporrebbe agli utenti costi aggiuntivi in bolletta non per ripagare la disponibilità di queste centrali a produrre «in caso di emergenza» o in assenza di produzione da parte delle centrali alimentate a fonti rinnovabili e assimilate, ma per garantire il persistere della profittabilità di investimenti privati, evitando al tempo stesso la perdita del capitale privato di rischio –:
   se il modello «bad bank» e il meccanismo del «capacity payment», prospettati a favore di Sorgenia, possano costituire un sussidio e se, in quanto aiuti di Stato, violino la normativa europea in materia.
(2-00433) «Crippa, Da Villa, Prodani, Della Valle, Fantinati, Mucci, Vallascas, Petraroli, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Currò, D'Incà, Barbanti, Ruocco, Cancelleri, Alberti, Pesco, Pisano, Villarosa, Dadone, Toninelli, Cozzolino, Dieni, Fraccaro, Lombardi, Nuti, D'Ambrosio».


Elementi circa il mantenimento del corso di laurea in beni culturali archeologici presso l'università di Palermo – Polo didattico di Agrigento – 2-00418

I)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   l'università di Palermo – Polo didattico di Agrigento – istituiva nell'anno accademico 1992-1993 la «Scuola diretta a fini speciali per operatori tecnico-scientifici per i Beni Culturali ed Ambientali – Settore Archeologico», con sede presso Villa Genuardi, messa a disposizione dalla presidenza della regione siciliana e tuttora utilizzata dall'università di Palermo, con il vincolo del suo impiego per attività di formazione universitaria nel campo dell'archeologia (una parte della struttura è invece utilizzata dalla soprintendenza per i beni culturali);
   nel 1996 la «Scuola» divenne corso per il diploma universitario di operatore dei beni culturali («laurea breve»), cui venne affiancato un vero e proprio corso di laurea quadriennale in conservazione dei beni culturali. Con la riforma del «3+2», esso si trasformerà in corso triennale di laurea in beni culturali archeologici (più un altro corso di beni archivistici e librari) e laurea specialistica biennale in archeologia, trasformati poi rispettivamente in beni culturali (triennio) e laurea magistrale in archeologia (biennio);
   la collocazione dei corsi di beni culturali/archeologia in sede decentrata, già da oltre un ventennio, ha la sua ragion d'essere nelle potenzialità di uno straordinario sito archeologico quale quello di Agrigento, patrimonio dell'Unesco (secondo sito in Italia per flusso di visitatori dopo Pompei) e sede di istituzioni particolarmente attive nella tutela, ricerca e valorizzazione dei beni culturali (soprintendenza per i beni culturali e parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi), in sinergia con le quali i corsi possono erogare una didattica non meramente teorica ma qualificata da numerose attività di carattere pratico-applicativo (19 attività diverse, ad esempio, nei due ultimi anni) e rispondente ad effettive e manifeste vocazioni territoriali della sede;
   dal 2015, grazie all'accordo con le suddette istituzioni, nonché con il distretto turistico regionale della Valle dei Templi ed il comune, si prevede di rafforzare l'interazione con il contesto di riferimento, ampliando le occasioni di stage, tirocini e attività pratiche per gli studenti e creando una vera e propria rete funzionale allo studio, tutela e valorizzazione dei beni culturali del territorio, con specifica attenzione agli ambiti della valorizzazione e comunicazione per il turismo culturale che proprio per Agrigento rappresenta una delle più rilevanti prospettive di crescita e sviluppo;
   va ribadito che i corsi suddetti non sono «filiazioni» di corsi palermitani, ma rappresentano l'unica offerta dell'ateneo di Palermo (e nell'intera Sicilia occidentale) nella classe dei beni culturali (triennio) e dell'archeologia (lauree magistrali) e - con la prevista riorganizzazione del corso triennale – anche nel campo del patrimonio e del turismo culturale;
   un gruppo di docenti palermitani ha «trasferito» interamente la propria «titolarità» ad Agrigento, altri vi prestano servizio in aggiunta ad ulteriori incarichi per corsi diversi dell'ateneo, mentre altri ancora sono stati assunti dall'università di Palermo appositamente per le esigenze dei due corsi di Agrigento. I suddetti docenti per oltre il 90 per cento hanno persino espresso la loro disponibilità a rinunciare al compenso dovuto (incentivo o supplenza, per i primi due gruppi citati) per l'insegnamento in sede decentrata, come extrema ratio, qualora ciò si rivelasse indispensabile per l'attivazione dei corsi;
   la mancata attivazione, infatti, anche per un solo anno, comporterebbe la chiusura definitiva dei corsi in quanto, a differenza di quelli che possono «appoggiarsi» su analoghi corsi nella sede centrale (tutti gli altri corsi di laurea attivi presso il polo didattico di Agrigento sono, per fortuna, in condizione di trasformarsi in «canali», e la facoltà di giurisprudenza lo è già), i corsi di beni culturali e archeologia sono «accreditati» unicamente sulla sede di Agrigento;
   qualora, per problemi di non sostenibilità finanziaria non fossero attivati per un anno, non potrebbero più essere riaperti, dal momento che la legislazione vigente vieta l'apertura di nuovi corsi in sede decentrata (l'interruzione infatti comporterebbe la riapertura e l'accreditamento ex novo);
   l'esperienza dei corsi universitari di quest'ambito ad Agrigento non risponde alle ottiche deleterie della proliferazione delle sedi didattiche e dei corsi stessi per fini clientelari, ma ha una ragione effettiva di ordine scientifico, culturale e sociale. Il patrimonio archeologico e culturale non potrà vivere a lungo se non c’è chi lo studia, lo conosce e lo fa conoscere, lo tutela e lo valorizza. Per Agrigento il patrimonio archeologico e culturale «è» il patrimonio per eccellenza, unico, inimitabile e irriproducibile;
   sia il soprintendente per i beni culturali di Agrigento che il direttore del parco archeologico di Agrigento hanno espresso profonda preoccupazione per il rischio paventato di chiusura del corso di laurea in beni culturali archeologici, che rappresenterebbe un elemento di ulteriore grave impoverimento del territorio in termini culturali e sociali;
   tale chiusura interverrebbe proprio nel momento in cui si stanno rafforzando le politiche di collaborazione ed interazione tra il corso di laurea e gli enti deputati alla tutela ed alla valorizzazione dello straordinario patrimonio culturale della città e della provincia di Agrigento, allo scopo di offrire agli studenti nuove opportunità di formazione e di specializzazione;
   in quest'ottica il corso di laurea sta realizzando in questo momento importanti politiche di trasformazione e arricchimento della propria offerta formativa, in accordo con le forze produttive e con gli enti di tutela e di valorizzazione, al fine di adeguare il corso di studi alle esigenze del territorio e alle richieste del mercato del lavoro, in crescita nel settore del turismo culturale –:
   di quali elementi dispongano in merito al mantenimento del corso di laurea in beni culturali archeologici, unico nella Sicilia occidentale ed accessibile a tanti studenti a costi contenuti, in un momento, come quello attuale, di grave difficoltà per le famiglie, e particolarmente legato alla vocazione culturale e turistica del territorio, potendo esso in tal modo continuare ad operare, arricchendo anzi la propria offerta formativa, anche grazie a collaborazioni rafforzate con il parco archeologico e con la soprintendenza, volte a radicare nella comunità locale sensibilità ed interesse verso il proprio patrimonio culturale.
(2-00418) «Schirò, Dellai».


Iniziative di competenza volte a salvaguardare i livelli occupazionali dell'agenzia Adnkronos – 2-00399

L)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   in data 23 gennaio 2014, l'editore dell'agenzia Adnkronos ha inviato una comunicazione al comitato di redazione con cui veniva annunciato l'avvio della procedura di licenziamento di 20 giornalisti e 3 poligrafici;
   si tratta di oltre un quarto dei lavoratori dell'agenzia e la procedura è stata avviata formalmente lunedì 27 gennaio 2014;
   la procedura attivata dall'azienda fa riferimento alla legge n. 223 del 1991, concernente «Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato dei lavoro» che però, fino ad oggi, non ha mai trovato applicazione nel settore dell'editoria, in quanto tale materia è, invece, disciplinata ai sensi della legge n. 416 del 1981;
   la stessa federazione degli editori, nell'audizione svoltasi presso la Commissione cultura della Camera dei deputati il 30 gennaio 2014, alla quale l'azienda non ha voluto partecipare, ha definito «inusuale» il ricorso alla legge n. 223 del 1991;
   la decisione da parte dell'Adnkronos giunge, tra l'altro, subito dopo il rinnovo di un'importante convenzione con la Presidenza del Consiglio dei ministri, alle stesse condizioni economiche del 2013;
   la stessa azienda ha, inoltre, più volte ribadito di non essere in stato di crisi e di avere un solido bilancio, cosa che non giustificherebbe pertanto il ricorso alla normativa citata;
   l'assemblea dei lavoratori, giornalisti e poligrafici ha proclamato un'immediata azione di mobilitazione, confermando lo stato di agitazione e deliberando 5 giornate di sciopero, di cui tre già effettuate e a cui hanno aderito in segno di solidarietà anche le altre testate del gruppo;
   il sindacato di categoria, sostenendo la causa dei lavoratori dell'Adnkronos, ha definito l'azione dell'azienda come un «intollerabile atto ritorsivo, illegittimo e fuori da ogni regola che disciplini qualsiasi rapporto di lavoro» –:
   anche in relazione al recente rinnovo della convenzione con la Presidenza del Consiglio dei ministri, quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla vertenza in atto e se il Governo non ritenga opportuno, nell'ambito delle competenze che gli sono proprie, adottare iniziative finalizzate a favorire una soluzione che salvaguardi i livelli occupazionali della testata.
(2-00399) «Carbone, Anzaldi, Saltamartini, Lainati, Pierdomenico Martino, Garofani, Costantino, Fratoianni, Marazziti, Buttiglione, Molea, Andrea Romano, Rampelli, Francesco Saverio Romano, Villecco Calipari, Rosato, Carra, Ascani, Misiani, Fiano, Morani, Ermini, Di Lello, Marantelli, Chaouki, Rotondi, Galan, Buonanno, Gregorio Fontana, Bergamini, Richetti, Malpezzi, Sereni».


Iniziative a sostegno della regione Sardegna, volte a superare eventuali discriminazioni politiche, economiche, infrastrutturali e sociali, da attuarsi prima dell'indizione delle elezioni europee – 2-00432

M)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, per sapere – premesso che:
   in questi anni la Sardegna e i sardi hanno pagato, e continuano a pagare, un prezzo altissimo per le gravissime e reiterate discriminazioni democratiche, economiche, infrastrutturali e sociali che lo Stato e l'Europa hanno esercitato contro la più isolata regione insulare dell'Unione europea;
   sia lo Stato che l'Europa hanno sistematicamente ignorato la condizione insulare della Sardegna e hanno a giudizio degli interpellanti ripetutamente danneggiato con provvedimenti gravemente discriminatori la rappresentanza democratica, l'economia e la società sarda;
   il 25 maggio 2014, si svolgeranno le elezioni europee;
   si tratta di un'occasione unica e irripetibile per far sentire forte e chiara la voce della Sardegna e dei sardi;
   la discriminazione più rilevante sul piano democratico è, infatti, quella dell'esclusione della Sardegna dal Parlamento europeo, considerato che l'accorpamento con la Sicilia ne preclude per il rapporto elettorale qualsiasi possibilità di accesso;
   si tratta di una discriminazione grave sul piano democratico, insostenibile su quello sostanziale, considerato che l'Europa, in concorso con lo Stato, ha messo in atto provvedimenti che a giudizio degli interpellanti ledono l'appartenenza stessa della Sardegna al contesto europeo;
   si tratta di quella che agli interpellanti appare una palese discriminazione democratica;
   l'attuale legge elettorale europea distorce e nega in modo ineludibile l'uguaglianza e la libertà del diritto di voto dei cittadini sardi e provoca una palese distorsione della loro rappresentanza come cittadini dell'Unione europea, accertata proprio in forza delle precedenti elezioni europee;
   si tratta di norme che appaiono palesemente non conformi ai principi e alle norme costituzionali che traggono principalmente origine dalle modifiche introdotte con la legge n. 10 del 2009, nella disciplina previgente sull'elezione del Parlamento europeo, nonché dalle modifiche legislative nazionali e comunitarie entrate in vigore successivamente all'adozione della legge n. 18 del 1979, che evidenziano, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'incompatibilità della normativa attuale in materia, con quelle costituzionali e comunitarie anche in relazione alle norme speciali e derogatorie previste per alcune minoranze linguistiche;
   tale lesione dei principi fondamentali della rappresentanza democratica costituisce un vulnus di rilevanza tale da minare alla radice la stessa appartenenza della Sardegna all'Unione europea, essendo il popolo sardo privato del più elementare diritto di rappresentanza diretta;
   il principio di uguaglianza alla base della stessa Unione europea viene, dunque, violato e ignorato nel caso della regione insulare della Sardegna che, proprio per le sue peculiarità insulari e culturali – linguistiche, avrebbe avuto diritto al riconoscimento della propria specialità sia sul piano della rappresentanza democratica che economica e sociale. La legge sull'elezione della delegazione italiana al Parlamento europeo n. 18 del 1979 è stata modificata con la legge n. 10 del 2009, mediante l'introduzione di norme che, secondo gli interpellanti in contrasto con la Costituzione e i Trattati sul funzionamento dell'Unione europea e dell'Unione europea, limitano gravemente il diritto di voto dei cittadini residenti in Sardegna, che invece dovrebbe essere garantito sia costituzionalmente che dalle norme sovranazionali;
   la mancanza di un potere-diritto di rappresentanza nel Parlamento europeo costituisce elemento che determina, di fatto, l'esclusione della Sardegna dallo stesso contesto dell'Unione europea determinando, di fatto, quella che agli interpellanti appare una condizione statutale indipendente;
   si rende indispensabile porre al Governo la seguente condizione;
   si rende indispensabile un'immediata e urgente modifica del contesto normativo che consenta alla regione Sardegna, prima delle elezioni europee del 25 maggio 2014, un'adeguata rappresentanza nel contesto del futuro Parlamento europeo. Tale condizione risulta inderogabile e non negoziabile proprio perché si intende altrimenti promuovere un'azione tesa a favorire un'astensione collettiva del popolo sardo dalle prossime elezioni europee, con l'avvio di procedure tese a riconoscere la condizione statutale di fatto indipendente della Sardegna dal contesto europeo;
   si configura una palese discriminazione economica nei confronti della Sardegna;
   tutti i provvedimenti economici e sociali adottati dall'Unione europea con il concorso dello Stato italiano che hanno riguardato e riguardano la Sardegna ignorano reiteratamente e in modo grave la condizione insulare della regione;
   tutti i parametri econometrici di riparto di risorse e definizione di politiche comunitarie hanno deliberatamente escluso la misurazione e la compensazione del divario insulare;
   tale atteggiamento, oltre che discriminatorio, risulta minare alle fondamenta il principio di uguaglianza tra cittadini appartenenti all'Unione europea;
   si tratta di un reiterato comportamento che si è manifestato sin dal 2004, quando in fase di valutazione dei parametri di coesione si è forzatamente ritenuto di dover valutare solo ed esclusivamente il parametro artificiosamente determinato del prodotto interno lordo medio europeo che ha ignorato la condizione insulare e il rapporto all'interno di quello stesso prodotto interno lordo di fatturati che, come nel caso della Saras, risultavano del tutto estranei al contesto sardo. Quell'atto, teso ad escludere la valutazione sia della condizione insulare che del parametro occupazionale, ha in modo lesivo e grave collocato la Sardegna fuori da un contesto di «obiettivo uno», accorpando l'isola a contesti del tutto diversi sul piano delle condizioni infrastrutturali; economiche, sociali e di contesto geografico;
   tale atteggiamento supportato da atti conseguenti ha provocato danni economici e sociali di rilevante entità, a partire da un taglio netto di risorse economiche con ricadute sociali ed occupazionali senza precedenti;
   lo stesso riparto di risorse per la prossima programmazione europea 2013-2020 esclude qualsiasi tipo di compensazione insulare e conferma la discriminazione economica che colloca la Sardegna di fatto fuori dal contesto del riequilibrio e della coesione europea;
   si ritiene necessario sottoporre tale condizione al Governo nazionale;
   la Commissione europea, con lo Stato italiano, deve introdurre con effetto immediato nella programmazione 2013-2020 parametri di misurazione e compensazione economica, infrastrutturale e fiscale del divario insulare al fine di inserire la Sardegna a pieno titolo e a pari condizioni nel piano di coesione europea. Tale condizione, inderogabile e non negoziabile, deve verificarsi sin dal prossimo provvedimento economico al vaglio del Parlamento e deve essere ratificata prima delle elezioni europee da parte della stessa Commissione europea;
   si configura in modo evidente una discriminazione infrastrutturale verso la Sardegna;
   il Governo con reiterati provvedimenti di natura economica ha adottato un piano infrastrutturale nazionale che prevede l'esclusione della Sardegna da qualsiasi contesto infrastrutturale strategico adducendo come motivazione il mancato inserimento della Sardegna nell'ambito dei 4 corridoi europei;
   con l'atto finale del Documento di economia e finanza 2012, approvato il 26 aprile 2012, viene, infatti, enunciato, declinato e adottato un disegno pianificatorio che disattende precisi disposti costituzionali e comunitari relativi al diritto all'equità, alla coesione e all'unitarietà dell'Unione europea e della Stato;
   in particolar modo il Documento di economia e finanza afferma quanto segue: «In questa prospettiva, le priorità d'intervento nazionali coincidono con il sottoinsieme delle infrastrutture strategiche comprese nella rete essenziale transeuropea di trasporto TEN-T, con il duplice vantaggio di abbinare un valore aggiunto di crescita europea al valore aggiunto di crescita italiana e di utilizzare al meglio i cofinanziamenti europei per le stesse infrastrutture. L'obiettivo è di realizzare, progressivamente, le tratte italiane dei quattro corridoi «Adriatico-Baltico», «Mediterraneo», «Helsinki – La Valletta» e «Genova - Rotterdam», partendo dai principali colli di bottiglia, costituiti dai nodi urbani (Roma, Bologna, Genova, Milano, Napoli, Torino, Venezia e Palermo), portuali marittimi (Ancona, Bari, Genova, Gioia Tauro, La Spezia, Livorno, Palermo, Ravenna, Taranto, Trieste e Venezia) e fluvio-marittimi (Cremona, Mantova, Ravenna, Trieste e Venezia), aeroportuali (Roma Fiumicino, Milano Linate e Malpensa, Venezia Tessera, Bergamo Orio al Serio, Bologna Borgo Panigale, Genova Sestri, Napoli Capodichino, Palermo Punta Raisi e Torino Caselle) interportuali (Ancona, Bari, Bologna, Cervignano, Firenze, Genova, Livorno, Milano, Napoli, Novara, Orbassano, Padova, Pomezia e Verona) e di valico alpino (Fréjus Domodossola, Chiasso, Brennero, Tarvisio, Trieste) e dagli archi congestionati della rete transeuropea di trasporto essenziale (Ten-T core network) concordati in sede di revisione delle reti TEN-T e del «meccanismo per collegare l'Europa» (Connecting Europe Facility)»;
   tale puntuale definizione di interventi strategici esclude in qualsiasi modo la Sardegna e risulta a giudizio degli interpellanti totalmente eluso e palesemente violato l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, con particolare riferimento alla lettera g) relativa alla misurazione e alla compensazione del divario insulare che richiama gli interventi previsti nell'ambito dell'articolo 19 della Costituzione;
   alla mancata attuazione di tale provvedimento e alla reiterazione di tale discriminazione evidente si deve aggiungere la rilevazione effettuata da un soggetto terzo, l'istituto Tagliacarne, che rileva attraverso l'atlante delle infrastrutture elementi di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale ed europea: per quanto riguarda le reti energetiche: indice 100 per l'Italia; 64,54 per il Mezzogiorno; 35,22 per la Sardegna; per quanto riguarda le reti stradali: indice 100 per l'Italia; 87,10 per il Mezzogiorno; 45,59 per la Sardegna; per quanto riguarda le reti ferroviarie: indice 100 per l'Italia; 87,81 per il Mezzogiorno; 15,06 per la Sardegna; per quanto riguarda l'analisi delle infrastrutture economico sociali: indice 100 per l'Italia; 84,45 per il Mezzogiorno; 56,16 per la Sardegna;
   tali dati, inoltre, non tengono conto del divario insulare, che risulta indefinito proprio per l'assenza strutturale di tale parametro nell'ambito di una corretta pianificazione territoriale e di coesione nazionale ed europea;
   un divario che rende il dato macroscopico tale da evidenziare una vera e propria emergenza nazionale ed europea sul piano della coesione economica ed infrastrutturale, minando i presupposti fondamentali della stessa Carta costituzionale e i trattati europei in termini di coesione e uguaglianza tra i cittadini;
   risulta evidente la non conformità alla Costituzione relativamente agli articoli 2-3-4-5; appare agli interpellanti palesemente violato il disposto dell'articolo 2 della Costituzione che affida alla «Repubblica» il compito di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. I provvedimenti dello Stato e della Commissione europa ignorano tale disposto sia sul piano del diritto ad un'equa ripartizione di interventi e risorse tese al riequilibrio territoriale e infrastrutturale che su quello dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale; è sostanzialmente violato l'articolo 3 della Costituzione che ha riconosciuto a «tutti i cittadini pari dignità sociale»;
   l'articolo 3, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (Gazzetta Ufficiale legge n. 158, pagina 77, – rettifiche – Gazzetta Ufficiale del 2004, legge n. 229, pagina 35, e Gazzetta Ufficiale del 2005, legge n. 197, pagina 34), così dispone: «La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo»; risulta evidente che l'esclusione della Sardegna da qualsiasi piano infrastrutturale strategico costituisce, proprio per la sua aggravante condizione insulare, un grave impedimento alla mobilità e che, pertanto, per il pieno esercizio del predetto diritto risulta indispensabile un piano adeguato di infrastrutturazione teso proprio all'eliminazione sia sul piano infrastrutturale che economico di quel divario;
   si rende indispensabile porre la seguente condizione;
   risulta improcrastinabile e indifferibile l'adozione di una serie di atti tesi ad attuare un riequilibrio sostanziale infrastrutturale, da adottarsi prima delle elezioni europee, che preveda:
    a) una ridefinizione dei corridoi europei al fine di inserire anche le regioni insulari, con particolare riferimento alla Sardegna, all'interno di siffatti corridoi di trasporto e mobilità con l'inserimento a pieno titolo e con compensazione e incentivi economici del sistema portuale sardo nelle autostrade del mare;
    b) un'equa ripartizione delle risorse statali e comunitarie con parametri oggettivi, eliminando quelle evidenti e assolutamente inique ripartizioni che danneggiano in modo irreversibile la regione Sardegna e non tengono conto della condizione insulare;
    c) l'adozione di un decreto attuativo relativamente alla questione insulare in relazione alla lettera g) dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, al fine di prevedere un piano di misurazione e riequilibrio del divario insulare;
   si registra un'evidente discriminazione energetica ai danni della Sardegna;
   la condizione insulare costituisce un grave condizionamento alla liberalizzazione del mercato elettrico della Sardegna. Tale situazione è riscontrata nella decisione della Commissione europea relativa al caso Alcoa dove si afferma: «i prezzi all'ingrosso dell'elettricità in Italia sono fra i più elevati in Europa, e i prezzi in Sardegna sono fra i più elevati in Italia. Il mercato dell'energia elettrica in Sardegna presenta una serie di problemi (alcuni dei quali, tuttavia, sono comuni al resto d'Italia) che possono essere riassunti come segue: prezzi elevati, forte grado di concentrazione del mercato, potere di mercato degli operatori dominanti, capacità di produzione eccedentaria nel segmento ad alto costo, relativa inefficienza delle centrali di produzione che stanno diventando obsolete, assenza di accesso all'infrastruttura del gas naturale, carenza di interconnessione»;
   la Commissione europea, per quanto riguarda la natura del problema di concorrenza in Sardegna, rileva quanto segue: «I prezzi elevati in Sardegna sono il frutto di una combinazione di fattori: l'insufficiente interconnessione, la struttura dei costi del portafoglio di generazione e il potere di mercato dei due principali generatori»;
   assumendo a riferimento i livelli dei prezzi del 2005, secondo l'Autorità garante per l'energia elettrica e il gas nel 2009 i prezzi nel continente sono aumentati, a seconda della zona, fra lo zero e il 5 per cento, mentre i prezzi in Sardegna sono aumentati del 36 per cento. Dette differenze nei livelli dei prezzi – secondo l'Autorità garante per l'energia elettrica e il gas – non sono riconducibili interamente a differenze nella struttura di costo del rispettivo parco produttivo quanto, piuttosto, al potere di mercato unilaterale di cui godono i produttori in Sardegna;
   il fatto che in Sardegna non si possa ottenere un prezzo concorrenziale soltanto leggermente superiore al costo di produzione marginale del produttore è da imputarsi – secondo le dichiarazioni riportate dalla Commissione europea – al comportamento dell'operatore dominante, che può fissare il prezzo in Sardegna e non ha alcun interesse commerciale a vendere ad un prezzo inferiore, sapendo che nessuno può acquistare altrove l'elettricità di cui ha bisogno. Inoltre, in situazione di duopolio (Enel e E.ON), entrambi gli operatori possono avere interesse ad applicare un prezzo superiore al prezzo economicamente ottimale, onde evitare di creare «un cattivo precedente» nel resto d'Italia. Considerato il notevole potere di mercato conservato dall'ex monopolista Enel, la relazione alla Commissione europea conclude che non vi è alcuna differenza sostanziale fra il prezzo (18/20 euro megawattora) accordato ad Alcoa in una situazione di monopolio (approvato dalla Commissione europea nella decisione Alumix) e la tariffa applicabile nelle attuali, alquanto imperfette, condizioni di mercato;
   mentre in tutta Europa i Governi di vari Stati membri incoraggiano la conclusione di contratti di fornitura a lungo termine orientati ai costi tra i consumatori industriali elettro-intensivi e i produttori di energia elettrica, tenuto conto del fatto che i mercati elettrici non funzionano adeguatamente, tutto ciò è precluso in Sardegna per quella che agli interpellanti appare una grave commistione di interessi tra le forze politiche di centrodestra e centrosinistra e l'Enel;
   in gran parte dei Paesi europei i contratti bilaterali costituiscono la soluzione adottata per affrontare il problema e, in particolare, le misure adottate nei vari Paesi rendono possibili tariffe regolamentate;
   si rende indispensabile porre la seguente condizione al Governo nazionale;
   occorre l'immediata e improcrastinabile adozione, prima delle elezioni europee, di un provvedimento teso a garantire il riequilibrio del costo elettrico in Sardegna garantendo prezzi pari alla media europea secondo le varie tipologie di consumo, domestiche ed elettrointensive, al fine di eliminare strutturalmente le condizioni speculative e di monopolio che hanno provocato e provocano un danno economico ed occupazionale senza precedenti alla Sardegna. Tale condizione prevede l'eliminazione radicale della posizione «dominante» dei produttori elettrici in Sardegna anche attraverso il commissariamento gestionale degli impianti sardi, al fine del ripristino di normali condizioni di mercato. In questa direzione la Commissione europea deve esplicitamente e preventivamente adottare procedure che consentano per le regioni insulari l'adozione di parametri oggettivi per la determinazione del prezzo massimo ammissibile con la definizione di un onere di servizio pubblico energetico;
   è evidente la discriminazione agricola ai danni della Sardegna;
   l'attuale riparto dei fondi destinati ai due pilastri della Politica agricola comune costituisce la più evidente discriminazione ai danni dell'agricoltura e della zootecnica sarda;
   la mancata gestione dei pagamenti uniformi a livello regionale costituisce il vulnus della mancata coesione ed uguaglianza di trattamento tra le varie aree del Paese e dell'Europa. Non aver tenuto in alcuna considerazione parametri oggettivi di riequilibrio territoriale e insulare ha fatto sì che l'obiettivo del contributo integrativo al reddito sia stato rivolto non alle aree deboli ma a quelle più avvantaggiate sia sul piano strutturale che infrastrutturale, oltre che al posizionamento sul mercato;
   le attuali rilevanti disparità (da 50 a 500 euro/ha) costituiscono la più evidente conferma di una logica che tende a confermare le discriminazioni pregresse per renderle di fatto un consolidato storico destinato ad ampliare in modo irreversibile il divario tra aree forti e deboli del sistema agricolo nazionale ed europeo;
   le risorse del piano di sviluppo rurale a livello nazionale sono passate dai 17.661 miliardi di euro del precedente periodo di programmazione ai 18.619 miliardi di euro stabiliti per il 2014-2020, con un incremento del 5,42 per cento circa: alla Sardegna, aggiuntivamente al divario progresso, rispetto al piano di sviluppo rurale precedente, appena l'1,25 per cento. Non così per regioni come Emilia Romagna o Lombardia, che registrano un incremento superiore ai 130 milioni di euro. Il cofinanziamento statale per la Sardegna è oggi di 476,260 milioni di euro, mentre la volta scorsa era di 620,015 milioni di euro. Il minore impegno dello Stato si traduce in un onere per la regione di ben 204,111 milioni di euro; mentre per il piano di sviluppo rurale 2007-2013 aveva erogato 97,339 milioni di euro, che rappresentavano il 7,53 per cento della spesa totale, mentre oggi deve accollarsi il 15,60 per cento;
   tale evidente discriminazione non tiene in alcun modo conto dei costi sia dei trasporti che dell'energia, del costo della risorsa idrica e dei carburanti, tutti inficiati in modo rilevante dal gap insulare. A questo si aggiungono regolamenti e disposizioni comunitarie sia sul piano dei contingentamenti che della tutela dei mercati, che inficiano peculiarità e caratteristiche del comparto agricolo-zootecnico sardo;
   tale condizione di discriminazione si registra nelle politiche ambientali con un gravame di vincoli spropositato rispetto alle esigenze di governo del territorio e alle reali esigenze di tutela del territorio;
   l'imposizione di regole di dimensione europea, a partire da quelle di natura venatoria, eludono il principio di pianificazione ambientale legata alle reali condizioni territoriali di una regione insulare che registra peculiarità non assimilabili ad altri contesti;
   analogo discriminatorio atteggiamento viene messo in atto con provvedimenti vessatori verso l'attività di pesca tutta indirizzata a favorire marinerie diverse da quella sarda, con gravi ed evidenti discriminazioni a partire dal riparto delle quote del «tonno rosso» che hanno totalmente escluso la Sardegna;
   si rende indifferibile porre al Governo la seguente condizione;
   la condizione improcrastinabile e irrinunciabile è la ridefinizione, prima delle elezioni europee, di una nuova politica agricola che modifichi sostanzialmente in chiave di riequilibrio e uguaglianza il riparto dei fondi della Politica agricola comune, a partire dalla convergenza interna dei pagamenti diretti ridefinendo modalità e tempi. In tal senso si deve procedere alla regionalizzazione dei pagamenti stessi anche attraverso la definizione di una soglia minima di pagamenti (400 euro – 0,5 ha) da perseguire attraverso un nuovo riparto risorse tra regioni e una parte di cofinanziamento nazionale;
   si configura l'evidente discriminazione sulla mobilità da e per la Sardegna;
   la Sardegna è ancora oggi l'unica regione europea dove si prevede un doppio trattamento tra residenti e non residenti per quanto riguarda il naturale e universale diritto alla mobilità;
   sia per il trasporto marittimo che aereo vigono norme e disposizioni a giudizio degli interpellanti di dubbia legittimità, incostituzionali e contrarie al diritto comunitario relativamente alla mobilità dei passeggeri con le quali viene arbitrariamente chiesta la residenza per poter usufruire o per veder negato il diritto alla continuità territoriale;
   in totale violazione del principio di non discriminazione riaffermato dalla decisione della Commissione 23 aprile 2007, n. 2007/332/CE, e, nell'ambito delle competenze attribuite ai singoli soggetti istituzionali dalla normativa vigente, è necessario prevedere che a tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale ed europeo che intendano effettuare voli da e per la Sardegna sia applicata la tariffa sottoposta ad onere di servizio pubblico, in modo da garantire il rispetto del principio di riequilibrio territoriale in relazione all'insularità della regione;
   risultano secondo gli interpellanti del tutto inapplicate e violate le disposizioni comunitarie in materia che disciplinano in modo esaustivo e puntuale il significato di continuità territoriale, esplicitando che l'obiettivo è quello di collegare in modo efficace e permanente territori altrimenti non collegati;
   il regolamento europeo (CE) n. 1008/2008 in particolare dispone: «previa consultazione con gli altri Stati membri interessati e dopo aver informato la Commissione, gli aeroporti interessati e i vettori aerei operanti sulla rotta, uno Stato membro può imporre oneri di servizio pubblico riguardo ai servizi aerei di linea effettuati tra un aeroporto comunitario e un aeroporto che serve una regione periferica o in via di sviluppo all'interno del suo territorio o una rotta a bassa densità di traffico verso un qualsiasi aeroporto nel suo territorio, qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico e sociale dello regione servita dall'aeroporto stesso. Tale onere è imposto esclusivamente nella misura necessaria a garantire che su tale rotta siano prestati servizi aerei di linea minimi rispondenti a determinati criteri di continuità, regolarità, tariffazione o capacità minima, cui i vettori aerei non si atterrebbero se tenessero conto unicamente del loro interesse commerciale»;
   il richiamo al modo non discriminatorio esplicita la volontà del legislatore europeo di affermare il concetto di collegamento tra territori escludendo qualsiasi tipo di discriminazione tra cittadini europei;
   tale discriminazione è, invece, perpetrata a scapito dei cittadini non residenti per la continuità territoriale aerea, nel periodo 15 giugno – 15 settembre, e per quella marittima, per la media e alta stagione, a scapito dei cittadini residenti chiamati a pagare un prezzo superiore del 30 per cento rispetto ai non residenti;
   si rende indispensabile porre al Governo la seguente condizione;
   è improcrastinabile e irrinunciabile uniformare, con apposito provvedimento di natura statale ed europeo, la continuità territoriale marittima e aerea, da e per la Sardegna, merci e passeggeri al principio di uguaglianza e non discriminatorio. Tale atto deve essere finalizzato a garantire e favorire la libera circolazione di merci e passeggeri nell'intero ambito europeo con l'utilizzo di parametri certi e codificati di costi e compensazioni eventuali in linea con il costo chilometrico ferroviario;
   occorre sancire la piena attuazione del principio di continuità territoriale compresa l'autonomia della regione sarda a definire, proprio per la sua condizione insulare e speciale, accordi di qualsiasi natura, commerciali o di marketing, economici e finanziari, con le compagnie che attuino politiche attive di sviluppo tese sia alla crescita economica che occupazionale. Tali azioni di coomarketing devono dimostrare l'efficacia e la valenza economica di tali investimenti con effettiva e duratura ricaduta sul territorio regionale, sia in termini di crescita che di occupazione –:
   se e come il Governo intenda dare risposte, con atti concreti e iniziative conseguenti, alle condizioni poste nel presente atto di sindacato ispettivo;
   se intenda dare risposte compiute e in quali tempi, necessariamente prima dell'indizione delle elezioni europee, al fine di scongiurare azioni sia sul piano giudiziario che su quello politico tese a rigettare tale atteggiamento, ad avviso degli interpellanti vessatorio, dello Stato e dell'Europa verso la Sardegna e i sardi.
(2-00432) «Pili, Pisicchio».


Elementi ed iniziative in merito a gravi episodi di maltrattamento di detenuti presso il carcere di Poggioreale – 2-00386

N)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   in un'intervista, riportata nel sito Fanpage.it il 24 gennaio 2014, un ex-detenuto del carcere di Poggioreale rivela: «Sono stato nella cella zero: lì mi hanno picchiato»;
   nell'intervista-video, l'ex detenuto rivela: «Erano le dieci e mezza di sera. All'improvviso, senza motivo sono stato portato giù nella cella zero: le guardie mi hanno fatto spogliare nudo, mi hanno picchiato, mi hanno umiliato»;
   l'ex detenuto parla della cosiddetta «cella zero» del carcere di Poggioreale: «È una cella del piano terra dove ti puniscono, ti picchiano, è isolata da telecamere e da tutto»;
   nel servizio riportato dal sito, che fa riferimento ad un fatto risalente al 1o luglio 2013, parla anche Adriana Tocco, la Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Campania che, oltre a sottolineare la gravità della cosiddetta «cella zero» – e rispetto alla quale sostiene di aver ricevuto segnalazioni da più detenuti – afferma anche di aver presentato da tempo una denuncia firmata da 50 detenuti per maltrattamenti, senza aver ricevuto ad oggi notizie circa l'avvio di indagini al riguardo;
   quanto testimoniato dall'ex detenuto e riportato dalla Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Campania non può non apparire questione di assoluta gravità;
   ad avviso degli interpellanti, desta inoltre particolare preoccupazione che, ad oggi, non vi siano notizie circa indagini svolte al riguardo –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interpellato circa i fatti riferiti in premessa;
   se siano state avviate indagini a seguito della denuncia sporta al riguardo dalla Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Campania, Adriana Tocco;
   quali iniziative urgenti di propria competenza intenda assumere per far luce sull'esistenza della cosiddetta «cella zero»;
   se, anche in considerazione di quest'ennesima inquietante notizia, non ritenga ormai improcrastinabile, oltre all'istituzione del garante nazionale dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale, assumere iniziative per l'introduzione nell'ordinamento italiano del reato di tortura.
(2-00386) «Migliore, Ferrara, Scotto, Daniele Farina, Sannicandro».