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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 22 ottobre 2013

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 22 ottobre 2013.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baldelli, Baretta, Bocci, Boccia, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Culotta, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Leone, Letta, Lorenzin, Lupi, Giorgia Meloni, Merlo, Meta, Migliore, Moretto, Moscatt, Orlando, Pes, Pinna, Pisicchio, Pistelli, Prataviera, Realacci, Sani, Santelli, Schullian, Sereni, Speranza, Spessotto, Tabacci, Tancredi, Tinagli, Ventricelli, Vito.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baldelli, Baretta, Bocci, Boccia, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Bray, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Culotta, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Fraccaro, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gitti, Kyenge, La Russa, Legnini, Leone, Letta, Lorenzin, Lupi, Melilla, Giorgia Meloni, Merlo, Meta, Migliore, Mogherini, Moretto, Moscatt, Orlando, Pinna, Pisicchio, Pistelli, Prataviera, Ravetto, Realacci, Sani, Santelli, Schullian, Sereni, Speranza, Spessotto, Tabacci, Tancredi, Tinagli, Toninelli, Ventricelli, Vito.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 21 ottobre 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   BUONANNO e MATTEO BRAGANTINI: «Modifiche all'articolo 80 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, concernenti i termini per la revisione periodica dei veicoli» (1711);
   PINNA ed altri: «Ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992» (1712);
   AMODDIO: «Disposizioni per la celebrazione del centenario della fondazione dell'Istituto nazionale per il dramma antico e per la valorizzazione dei siti e degli edifici storici di interesse culturale ad esso collegati» (1713).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

  La proposta di legge VILLECCO CALIPARI: «Disposizioni concernenti la vendita e la determinazione dei canoni di occupazione degli alloggi di servizio del Ministero della difesa» (161) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Casellato.

Assegnazione di un progetto di legge a Commissione in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, il seguente progetto di legge è assegnato, in sede referente, alla sottoindicata Commissione permanente:

   VI Commissione (Finanze):
  SBROLLINI ed altri: «Modifica all'articolo 7 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, in materia di limiti all'apertura di sale da gioco e di orari di funzionamento degli apparecchi per il gioco lecito» (1369) Parere delle Commissioni I, V, VII, X (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XII e XIV.

Trasmissione dal Presidente del Senato.

  Il Presidente del Senato, con lettera in data 17 ottobre 2013, ha comunicato che la 9a Commissione (Agricoltura) del Senato ha approvato, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento del Senato, una risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla produzione e alla messa a disposizione sul mercato di materiale riproduttivo vegetale (testo unico sul materiale riproduttivo vegetale) (COM(2013) 262 final) (Atto Senato Doc. XVIII, n. 23), che è trasmessa alla XIII Commissione (Agricoltura) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 9, 11 e 14 ottobre 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8-ter del Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con cui è autorizzato, in relazione a interventi da realizzare tramite contributi assegnati in sede di ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale per l'anno 2010, l'utilizzo delle economie di spesa realizzate dai seguenti soggetti:
   Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Abruzzo, per il completamento di lavori di valorizzazione della chiesa di San Pietro a Rocca di Botte (L'Aquila);
   Curia arcivescovile di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo-Lecce, per il completamento di lavori di restauro della basilica di Santa Maria di Siponto a Manfredonia (Foggia);
   Comune di Cossoine (Sassari), per ulteriori lavori di consolidamento e restauro del nuraghe e del villaggio di Corruoe;
   Diocesi di Andria, per ulteriori interventi nel complesso monastico di San Domenico ad Andria (Barletta-Andria-Trani).

  Questi decreti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissioni dalla Corte dei conti.

  La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 17 ottobre 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto nazionale di ricerca metrologica (INRIM), per l'esercizio 2011. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 65).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

  La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 17 ottobre 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Fondazione Istituto italiano di tecnologia (IIT), per gli esercizi 2011 e 2012. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 66).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).

  La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 17 ottobre 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria del Centro internazionale radio medico (CIRM), per l'esercizio 2012. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 67).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XII Commissione (Affari sociali).

  La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 17 ottobre 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Stazione zoologica «Anton Dohrn» di Napoli, per gli esercizi dal 2010 al 2012. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 68).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal Ministro degli affari esteri.

  Il Ministro degli affari esteri, con lettera in data 17 ottobre 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, della legge 26 febbraio 1987, n. 49, la relazione previsionale e programmatica sull'attività di cooperazione allo sviluppo per l'anno 2014, allegata allo stato di previsione della spesa del Ministero degli affari esteri per il medesimo anno.

  Questa relazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri) e alla V Commissione (Bilancio).

Annunzio di risoluzioni del Parlamento europeo.

  Il Presidente del Parlamento europeo ha trasmesso trentasette risoluzioni approvate nella sessione dal 9 al 12 settembre 2013, che sono assegnate, ai sensi dell'articolo 125, comma 1, del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se non già assegnate alle stesse in sede primaria:
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 850/98 del Consiglio per la conservazione delle risorse della pesca attraverso misure tecniche per la protezione del novellame (Doc. XII, n. 130) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate (Doc. XII, n. 131) – alla II Commissione (Giustizia);
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi (Doc. XII, n. 132) – alla II Commissione (Giustizia);
   risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto di accesso a un difensore nel procedimento penale e al diritto di comunicare al momento dell'arresto (Doc. XII, n. 133) – alla II Commissione (Giustizia);
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato) (Doc. XII, n. 134) – alle Commissioni riunite II (Giustizia) e VI (Finanze);
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2187/2005 del Consiglio relativo alla conservazione delle risorse della pesca attraverso misure tecniche nel Mar Baltico, nei Belt e nell’Øresund (Doc. XII, n. 135) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
   risoluzione sul gioco d'azzardo online nel mercato interno (Doc. XII, n. 136) – alla VI Commissione (Finanze);
   risoluzione sulle lingue europee a rischio di estinzione e la diversità linguistica nell'Unione europea (Doc. XII, n. 137) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e VII (Cultura);
   risoluzione concernente la posizione del Consiglio sul progetto di bilancio rettificativo n. 2/2013 dell'Unione europea per l'esercizio 2013, sezione III – Commissione (Doc. XII, n. 138) – alla V Commissione (Bilancio);
   risoluzione concernente la posizione del Consiglio sul progetto di bilancio rettificativo n. 3/2013 dell'Unione europea per l'esercizio 2013, sezione III – Commissione (Doc. XII, n. 139) – alla V Commissione (Bilancio);
   risoluzione concernente la posizione del Consiglio sul progetto di bilancio rettificativo n. 4/2013 dell'Unione europea per l'esercizio 2013, sezione III – Commissione e sezione IV – Corte di giustizia (Doc. XII, n. 140) – alla V Commissione (Bilancio);
   risoluzione concernente la posizione del Consiglio sul progetto di bilancio rettificativo n. 5/2013 dell'Unione europea per l'esercizio 2013, sezione III – Commissione (Doc. XII, n. 141) – alla V Commissione (Bilancio);
   risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/70/CE relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel e la direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili – Commissione (Doc. XII, n. 142) – alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e XIII (Agricoltura);
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1100/2007 del Consiglio che istituisce misure per la ricostituzione dello stock di anguilla europea (Doc. XII, n. 143) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il codice doganale dell'Unione (Rifusione) (Doc. XII, n. 144) – alla VI Commissione (Finanze);
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1217/2009 del Consiglio relativo all'istituzione di una rete d'informazione contabile agricola sui redditi e sull'economia delle aziende agricole nella Comunità europea (Doc. XII, n. 145) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 1999/4/CE, 2000/36/CE, 2001/111/CE, 2001/113/CE e 2001/114/CE per quanto riguarda le competenze da conferire alla Commissione (Doc. XII, n. 146) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
   risoluzione legislativa relativa al progetto di decisione del Consiglio concernente la conclusione dell'accordo tra l'Unione europea e la Repubblica del Capo Verde relativo alla facilitazione del rilascio dei visti per soggiorni di breve durata a cittadini della Repubblica del Capo Verde e dell'Unione europea (Doc. XII, n. 147) – alla III Commissione (Affari esteri);
   risoluzione legislativa relativa al progetto di decisione del Consiglio sulla conclusione dell'accordo tra l'Unione europea e la Repubblica del Capo Verde relativo alla riammissione delle persone il cui soggiorno è irregolare (Doc. XII, n. 148) – alla III Commissione (Affari esteri);
   risoluzione sull'attuazione della strategia dell'Unione europea per la gioventù 2010-2012 (Doc. XII, n. 149) – alla XII Commissione (Affari sociali);
   risoluzione sul mercato interno dei servizi: situazione attuale e prossime tappe (Doc. XII, n. 150) – alle Commissioni riunite II (Giustizia) e X (Attività produttive);
   risoluzione su «Valorizzare i settori culturali e creativi per favorire la crescita economica e l'occupazione» (Doc. XII, n. 151) – alla VII Commissione (Cultura);
   risoluzione sulla relazione annuale concernente le attività del Mediatore europeo nel 2012 (Doc. XII, n. 152) – alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio che adotta l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo (Doc. XII, n. 153) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 1093/2010 che istituisce l'Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea) per quanto riguarda l'interazione di detto regolamento con il regolamento che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (Doc. XII, n. 154) – alla VI Commissione (Finanze);
   risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Consiglio che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (Doc. XII, n. 155) – alla VI Commissione (Finanze);
   risoluzione sulla microgenerazione – generazione su piccola scala di energia elettrica e termica (Doc. XII, n. 156) – alla X Commissione (Attività produttive);
   risoluzione sulla strategia dell'Unione europea per la cybersicurezza: un cyberspazio aperto e sicuro (Doc. XII, n. 157) – alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IX (Trasporti);
   risoluzione sull'agenda digitale per la crescita, la mobilità e l'occupazione: è ora di cambiare marcia (Doc. XII, n. 158) – alla IX Commissione (Trasporti);
   risoluzione sulla situazione in Siria (Doc. XII, n. 159) – alla III Commissione (Affari esteri);
   risoluzione sulla situazione in Egitto (Doc. XII, n. 160) – alla III Commissione (Affari esteri);
   risoluzione sulla dimensione marittima della politica di sicurezza e di difesa comune (Doc. XII, n. 161) – alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa);
   risoluzione sulle strutture militari dell'Unione europea: situazione attuale e prospettive future (Doc. XII, n. 162) – alle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa);
   risoluzione sulla seconda relazione sull'attuazione della strategia di sicurezza interna dell'Unione europea (Doc. XII, n. 163) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);
   risoluzione sulla contrattazione collettiva transfrontaliera e il dialogo sociale transnazionale (Doc. XII, n. 164) – alla XI Commissione (Lavoro);
   risoluzione sulla situazione dei minori non accompagnati nell'Unione europea (Doc. XII, n. 165) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e XII (Affari sociali);
   risoluzione sulla situazione dei diritti umani nel Bahrein (Doc. XII, n. 166) – alla III Commissione (Affari esteri).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  Il Consiglio dell'Unione europea, in data 18 ottobre 2013, ha trasmesso, ai sensi del Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla XIII Commissione (Agricoltura), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura, recante modifica ai regolamenti (CE) n. 1184/2006 e (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e che abroga il regolamento (CE) n. 104/2000 del Consiglio (12005/2/13 REV 2) e relativa motivazione (12005/2/13 REV 2 ADD 1);
   Posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla politica comune della pesca, che modifica i regolamenti (CE) n. 1954/2003 e (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e che abroga i regolamenti (CE) n. 2371/2002 e (CE) n. 639/2004 del Consiglio, nonché la decisione (CE) n. 2004/585 del Consiglio (12007/3/13 REV 3) e relativa motivazione (12007/3/13 REV 3 ADD 1).

  La Commissione europea, in data 21 ottobre 2013, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, in vista dell'attuazione, entro il 2020, di un accordo internazionale che introduce una misura mondiale unica basata sul mercato da applicarsi alle emissioni del trasporto aereo internazionale (COM(2013) 722 final) e relativo documento di accompagnamento – Documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2013) 431 final), che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla VIII Commissione (Ambiente), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea). La predetta proposta di direttiva è altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 22 ottobre 2013.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 17 ottobre 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Richiesta di parere parlamentare su proposta di nomina.

  Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con lettera in data 16 ottobre 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del dottor Gaetano Benedetto a presidente dell'Ente parco nazionale del Circeo (14).

  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla VIII Commissione (Ambiente).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DI BRUXELLES DEL 24 E 25 OTTOBRE 2013

Risoluzioni

   La Camera,
   in vista della riunione dei Capi di Stato e di Governo (Consiglio europeo) che si terrà a Bruxelles il 24 e 25 ottobre 2013;
   premesso che:
    l'agenda del prossimo Consiglio europeo del 24-25 ottobre include temi che orienteranno in maniera significativa la vita comunitaria degli anni a venire, relativi in particolare al mercato interno, alle iniziative di crescita e investimento, ai temi dell'occupazione e dell'Europa sociale, al completamento del mercato unico digitale e allo spazio europeo della ricerca;
    quanto ai temi della ricerca e dell'innovazione, il Consiglio europeo del 24 e 25 ottobre, per la prima volta, sarà dedicato a questi problemi, con particolare riferimento al completamento del mercato unico digitale europeo entro il 2015 e dello spazio europeo e della ricerca (SER) entro il 2014, nell'ambito dei quali anche il nostro Paese presenterà il progetto strategico nazionale per l'Agenda Digitale;
    data la potenziale ricaduta, in termini di crescita ed occupazione, del rafforzamento dell'economia digitale dell'Unione Europea, è necessario muovere da una impostazione di agenda digitale ad un di economia digitale, affrontando, in quest'ottica, i temi più rilevanti, quali investire nell'economia digitale, sviluppare nuove tecnologie (e tra queste il 4G) e promuovere un mercato unico per il cloud computing, e impegnandosi a sostenere il rafforzamento della rete europea di coordinatori digitali affidandogli il compito di elaborare idee in materia di cloud computing open data e big data;
    l'obiettivo comune di un rilancio degli investimenti in ambito europeo – di cui i settori delle telecomunicazioni e della ricerca costituiscono l'asse portante – risponde all'esigenza di far fronte alla concorrenza di colossi americani e asiatici e di rispondere all'emergenza occupazionale, attraverso il doppio volano dello sviluppo dei servizi e dell'ammodernamento delle infrastrutture digitali;
    occorre superare le attuali arretratezze, tra cui rilevano programmi nazionali di ricerca operanti in base a normative diverse, con conseguenti barriere finanziarie e gestionali, mentre la percentuale di spesa pubblica destinata agli investimenti nella ricerca e nello sviluppo risulta in preoccupante calo in molti Stati membri; tutto ciò richiede l'urgenza di un'azione in favore di una maggiore mobilità, una cooperazione a livello transfrontaliero e un rafforzamento dei sistemi di ricerca a livello europeo, capace di intervenire anche sulle filiere inerenti le diverse capacità digitali europee (digital skills) – dei progettisti, dei produttori, fino a quelle degli utenti dei servizi e dei prodotti digitali – sia per migliorare la qualità della ricerca che le qualifiche professionali dei ricercatori, sia per incrementare le risorse finanziarie, anche a sostegno di iniziative quali la Grand Coalition for Digital Jobs;
    il completamento del mercato interno delle Telecomunicazioni è l'elemento chiave per promuovere lo sviluppo del settore e in genere dell'economia digitale europea, con riflessi estremamente positivi sui rimanenti comparti dell'economia, come mostra l'esperienza americana (produttività totale dei fattori) il cui maggior tasso di sviluppo si deve, in larga misura, alla diffusione delle tecnologie ICT, tenendo conto che la frammentazione amministrativa e regolamentate è uno dei principali ostacoli alla crescita di questa industria in futuro; in tale contesto, è necessario sostenere l'approvazione della proposta di regolamento sul mercato interno delle telecomunicazioni, tenendo conto delle diverse specificità e della natura dei servizi, coinvolti in modo da garantire ampia flessibilità operativa e finanziaria ai singoli Stati e adeguata proporzionalità di intervento da parte delle Autorità nazionali di regolamentazione;
    il completamento del Mercato Interno Digitale europeo ha implicazioni politiche persino più rilevanti, dato il suo potenziale impatto sulla vita quotidiana dei cittadini europei, temi come quello dell'identità digitale europea incidono direttamente sul rapporto tra cittadino e sistema comunitario, e possono contribuire in maniera decisiva all'avvento di una coscienza comune europea;
    il mercato digitale pubblico deve divenire un fattore rilevante di promozione degli investimenti e dell'innovazione tecnologica, pertanto il Consiglio Europeo dovrà riconoscere l'importanza di questa tecnostruttura, nelle sue sinergie pubblico-privato, come motore di competitività dell'industria digitale europea nel mercato globale e accelerare l'adozione delle misure necessarie per realizzare un mercato interno europeo del commercio on line;
    il Consiglio europeo farà il punto sull'attuazione del Piano, adottato nella sua riunione del giugno 2012, per promuovere la crescita, l'occupazione e la competitività europea ed, eventualmente, fisserà nuovi orientamenti per quanto riguarda l'attuazione del piano d'investimenti per l'Europa, (in particolare di quelli affidati alla BEI), l'analisi dei progressi sull'iniziativa a favore dell'occupazione giovanile al fine di renderla pienamente operativa entro il gennaio 2014, la valutazione dei progressi relativi alla semplificazione della normativa e alla riduzione dei suoi oneri a livello nazionale e dell'UE;
    il Consiglio europeo sarà altresì chiamato a valutare i lavori in corso su tutti gli elementi costitutivi dell'UEM rafforzata, in particolare per quanto riguarda il coordinamento rafforzato delle politiche economiche e la dimensione sociale dell'UEM, nonché l'andamento dei lavori per il completamento dell'unione bancaria, in particolare l'attuazione del meccanismo di vigilanza unico e le rimanenti proposte in sospeso per completare l'unione bancaria, alla presenza del presidente della BCE Draghi;
    sei anni di crisi finanziaria, prima, globale e poi dei debiti sovrani nell'area dell'euro, e due recessioni hanno colpito duramente l'economia dell'area e quella italiana: l'ampliamento dei differenziali tra i rendimenti dei titoli di Stato dell'area euro è stato il riflesso di due componenti, una nazionale, connessa alle singole debolezze economiche e finanziarie, e una europea, legata all'incompletezza del disegno istituzionale dell'area e i conseguenti timori di rottura dell'unione monetaria; le tensioni sono state contrastate con una strategia che ha visto i Paesi in difficoltà impegnarsi ad attuare politiche di bilancio prudenti e riforme strutturali a sostegno della competitività, mentre è stato avviato un articolato processo di riforma della governance economica dell'Unione, relativo al rafforzamento delle regole di bilancio, soprattutto nella parte preventiva, e all'estensione della sorveglianza multilaterale agli squilibri macroeconomici;
    di particolare rilievo è stata l'azione della BCE, i cui interventi non sono stati rivolti a venire incontro alle difficoltà dei singoli Stati, ma ad eliminare quelle asimmetrie che impedivano alla politica monetaria di esercitare la sua corretta influenza sulle economie di Paesi caratterizzati da diversi squilibri economici e finanziari;
    se grazie a queste misure, le condizioni finanziarie nell'area dell'euro sono oggi molto meno tese rispetto alla fine del 2011, il raggiungimento di equilibrio stabile è tuttavia ancora lontano, poiché, continua a mancare un meccanismo di riduzione delle divergenze nelle strutture economiche dei Paesi dell'area euro, in assenza del quale non sarà possibile dare definitiva soluzione neanche ai problemi dei debiti sovrani, al tempo stesso, tuttavia, risultano ancora in gran parte irrisolti i problemi relativi alle asimmetrie del ciclo economico, che privilegiano alcuni Paesi a danno di altri e che devono essere affrontati con uno sforzo comune, teso, a riequilibrare le tendenze spontanee del mercato, derivanti dalle politiche invariate;
    l'Unione bancaria rappresenta un passaggio di fondamentale importanza e si compone di tre elementi: un meccanismo unico di supervisione, un meccanismo unico di risoluzione delle crisi e, nella prospettiva dell'unione di bilancio, un'assicurazione unica dei depositi nella sua realizzazione è stata data priorità al meccanismo unico di supervisione a livello europeo, costituito dalla BCE e dalle autorità nazionali, il cui regolamento è stato approvato dal Parlamento europeo lo scorso 12 settembre e che dovrà ora essere approvato anche dal Consiglio;
    poiché l'Unione bancaria è essenziale per contribuire al raggiungimento di condizioni più distese sui mercati finanziari nell'area dell'euro e nel nostro Paese e all'interruzione della spirale negativa tra rischio sovrano e banche, è necessario completare il meccanismo di supervisione con un sistema unico di risoluzione delle crisi bancarie insistendo per il raggiungimento di un accordo sul meccanismo unico di risoluzione delle crisi che includa anche un Fondo Unico di risoluzione delle crisi bancarie, e a una regolamentazione per le garanzie dei depositi bancari il più possibile armonizzata;
   considerato che:
    le vicende tragiche del 3 e 11 ottobre 2013, in cui barconi carichi di migranti sono naufragati a Lampedusa, causando centinaia di vittime hanno imposto drammaticamente all'attenzione di tutta Europa la insostenibile situazione di tanti uomini e donne che fuggono da zone di guerra o da regimi liberticidi, finendo nelle mani di trafficanti di uomini e rischiando la propria vita in avventurose traversate del Mediterraneo;
    lo stesso Presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, ha affermato, in occasione della sua visita a Lampedusa, che «l'UE deve intensificare gli sforzi per prevenire tragedie del genere e insieme agli Stati membri prendere importanti decisioni e mostrarsi solidale con i migranti e con i Paesi più esposti ai flussi migratori, anche perché le tragedie dell'immigrazione devono essere considerate problema di tutta l'Europa»;
    la presa di coscienza di un'emergenza umanitaria che l'Italia, così come tutti i Paesi dell'Europa mediterranea, non può assolutamente gestire da sola ha fatto sì che, su impulso opportuno del Governo italiano, l'agenda del Consiglio europeo si ampliasse a comprendere questo tema;
    in generale la dimensione del Mediterraneo, intesa anche come recupero di una iniziativa politica europea sulla regione, appannatasi dopo il fallimento dell'Unione per il Mediterraneo e a seguito delle vicende dei cambi di regime nei Paesi del Magreb, è indiscutibilmente necessaria, stante la preoccupante instabilità di molti Paesi della sponda sud;
    sul tema dell'immigrazione si sono proposti anche da parte del Commissario europeo agli Affari Interni, Cecilia Malmstrom, la creazione di task-force congiunte per pattugliare la zona tra Cipro, la Sicilia e la Spagna, e poi da più parti l'istituzione di corridoi umanitari, la revisione delle regole comuni sull'asilo, il rafforzamento di Frontex, agenzia europea per le frontiere esterne che oggi dispone di un budget di soli 80 milioni annui e di circa 220 unità, con mezzi messi a disposizione dagli Stati membri solo su base volontaria, e quindi si è creata una certa attesa per le indicazioni del Consiglio europeo, che potrebbero dare nuovo impulso a una politica comune verso l'immigrazione,

impegna il Governo:

   a sostenere il completamento del mercato interno digitale europeo, per divenire fattore rilevante di promozione e di investimenti nell'innovazione tecnologica in ambito europeo, anche mediante un riconoscimento di un ruolo sinergico tra settore pubblico e privato, quale motore di competitività dell'industria digitale europea nel mercato globale;
   a sostenere il pacchetto legislativo sul mercato interno digitale proposto dalla Commissione europea, anche mediante il ricorso a una procedura veloce di approvazione volta a scongiurare eventuali rinvii che ne pregiudicherebbero l'approvazione (in considerazione dell'imminente scadenza delle elezioni del Parlamento europeo) e ad evitare che tale pacchetto normativo sia svuotato di alcune delle «azioni faro» contenute nella Strategia per la crescita «Europa 2020»;
   a denunciare l'impatto delle politiche di austerità sul livello degli investimenti pubblici per la ricerca e l'innovazione, crollati allo 0,72 per cento del PIL europeo nel 2013, con un forte squilibrio tra i Paesi europei, tendenze che sono state accentuate dal permanere di asimmetrie di carattere economico e finanziario, che andranno affrontate in modo contestuale alle politiche di rigore, e a promuovere il massimo uso dei fondi Horizon 2020 e COSME per sostenere la ricerca e la sua traduzione in prodotti e servizi commercializzabili;
   a sostenere le misure necessarie per dare impulso e accelerare il completamento dello Spazio Europeo della Ricerca (SER), in considerazione del ruolo cruciale della conoscenza nel processo di trasformazione dell'Unione, quale condizione indispensabile per la crescita e l'occupazione; ad attivarsi, a tal fine, per sostenere l'adozione di misure concrete contenute nel Manifesto «Una per la ricerca», recentemente lanciato a Bruxelles su iniziativa di un gruppo di Membri del Parlamento Europeo;
   a promuovere l'adozione da parte dell'UE delle misure necessarie per far progredire in modo concreto l'Area europea della ricerca, ed in particolare a sostenere l'eliminazione degli ostacoli amministrativi e normativi alla mobilità dei ricercatori, favorendo il coordinamento dei sistemi contributivi e pensionistici, la portabilità dei finanziamenti, l'apertura delle strutture di ricerca e l'orientamento al merito dei sistemi di assunzione e di carriera nazionali, e a favorire un maggior accesso alle strutture pubbliche di ricerca degli Stati membri di ricercatori di piccole e medie imprese, così da creare un vero e proprio mercato del lavoro europeo per i ricercatori di qualunque Stato membro;
   in materia economica e sociale, a svolgere un ruolo attivo nel riorientare le politiche europee in direzione della crescita e della creazione di posti di lavoro, vigilando sull'attuazione del Patto per la crescita e l'occupazione adottato dal Consiglio Europeo del giugno 2012, e a promuovere l'attuazione delle decisioni prese al Consiglio europeo del giugno 2013 relative, in particolare, alla possibilità, per i Paesi che sono usciti dalla procedura per disavanzo eccessivo, di sfruttare le opportunità offerte dalla nuova disciplina del Patto di stabilità e crescita che consente di equilibrare le necessità in investimenti pubblici produttivi con gli obiettivi della disciplina di bilancio, e volte a potenziare gli strumenti di finanziamento delle piccole e medie imprese, in particolare attraverso un più attivo intervento della BEI;
   a sottolineare l'importanza di una rapida partenza dell'iniziativa europea per l'occupazione giovanile il 1o gennaio 2014 e a presentare entro il 31 ottobre 2013, attraverso un adeguato coinvolgimento del Parlamento, il piano nazionale per l'attuazione, della Youth Guarantee, facendo ricorso a tutte le risorse disponibili a livello comunitario, a partire dal Fondo Sociale europeo e da un maggiore contributo della BEI per porre in essere misure per contrastare la disoccupazione giovanile e promuovere la connessione tra gli studi e il mercato del lavoro;
   a favorire altresì il rafforzamento delle politiche europee di contrasto alla disoccupazione con meccanismi strutturali più incisivi a vantaggio dei Paesi a più elevato tasso di disoccupazione, che amplino lo spazio del mercato e di conseguenza consentano a questi Paesi politiche nazionali specifiche, andrà comunque rafforzato il ruolo e le dotazioni finanziarie del Fondo sociale europeo;
   in materia di Unione economica e monetaria, a richiamare l'esigenza di compiere progressi in modo equilibrato e bilanciato su tutte e quattro le direttrici poste dal Rapporto dei quattro Presidenti Verso una autentica unione economica e monetaria, così da arrivare progressivamente a definire una vera e propria politica economica della zona euro, sostenendo la necessità di pervenire a una diagnosi condivisa dei problemi della zona euro come base per definire le Raccomandazioni Specifiche dirette ai singoli Stati membri, in modo da assicurare un aggiustamento più equilibrato tra i Paesi in deficit e i Paesi in surplus;
   a sottolineare l'importanza di sviluppare la dimensione sociale dell'UEM, assicurando che una migliore conoscenza delle dinamiche e dei trend sociali in atto possa informare le valutazioni della Commissione sull'economia degli Stati membri, assicurando che gli appositi indicatori identificati assicurino un monitoraggio di qualità e tempestivo dei fenomeni sociali, anche attraverso opportune forme di coinvolgimento delle parti sociali;
   a sostenere la possibilità che siano praticate a livello europeo politiche asimmetriche, favorendo l'attuazione di politiche espansive e di sostegno della domanda nei Paesi eccedentari;
   per quanto riguarda l'unione bancaria, ad affermare con forza la necessità di completare il sistema mediante strumenti coordinati di contrasto alle crisi finanziarie e l'accelerazione dell'introduzione del Single Resolution Mechanism, con l'istituzione di un Fondo unico di risoluzione delle crisi dotato di risorse finanziarie proprie provenienti dal settore privato, e per l'istituzione di un sistema comune di «backstop» entro la fine dell'anno, e di un meccanismo armonizzato di assicurazione dei depositi, entrambi indispensabili per allineare le responsabilità di supervisione a quelle di gestione e risoluzione delle crisi e spezzare il legame tra banche e debiti sovrani; obiettivi che potranno essere conseguiti con maggiore rapidità se gli stessi si accompagneranno ad una progressiva riduzione delle asimmetrie che caratterizzano l'Eurozona;
   a sostenere la necessità di una maggiore semplificazione degli oneri normativi posti dalla legislazione comunitaria a carico delle imprese, in particolare le piccole e micro imprese, sostenendo il lancio di un ambizioso programma basato su una roadmap con scadenze temporali definite;
   con riguardo alle migrazioni, a mantenere alta l'attenzione del Consiglio Europeo sul tema; a valutare proposte operative che consentano un salto in avanti alla politica europea, su tale tema, mirando a realizzare una dimensione di solidarietà e condivisione dell'emergenza; pertanto, a sostenere il rafforzamento di Frontex, tanto dal punto di vista quantitativo dei mezzi, del personale e delle risorse a disposizione, quanto dal punto di vista qualitativo, nel senso dei poteri e del mandato con cui Frontex può operare; a verificare il grado di consenso in vista di una revisione del regolamento di Dublino 2, dei criteri di accoglimento e distribuzione dei rifugiati e dei richiedenti asilo, a promuovere l'ulteriore coordinamento e scambio di informazioni satellitari e di intelligence avviato con il progetto Eurosur che partirà il prossimo mese di dicembre;
   ad agire in sede di Consiglio Europeo affinché sia dato mandato alla Commissione europea e al Consiglio di individuare le azioni necessarie ai fini di cui sopra, chiedendo loro di riferire alla riunione del Consiglio Europeo di dicembre 2013; a porre la questione del Mediterraneo fra le priorità del Semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea dal 1o luglio 2014.
(6-00036) (Nuova formulazione) «Speranza, Brunetta, Dellai, Pisicchio, Di Lello, Basso, Baruffi, Bargero, Giacobbe».


   La Camera,
   sentite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri;
   premesso che:
    il Consiglio europeo del 24-25 ottobre 2013, in base all'ordine del giorno provvisorio, discuterà di economia digitale, innovazione e servizi, politica economica e sociale, con particolare riferimento alle misure per combattere la disoccupazione giovanile e sostenere le piccole e medie imprese, futura architettura dell'Unione Economica e Monetaria, con particolare riguardo agli sviluppi dell'unione bancaria e della politica dell'immigrazione;
    è positiva l'inclusione nell'ordine del giorno delle questioni relative alle politiche sociali, alla disoccupazione giovanile e all'immigrazione. È tuttavia necessario che su questi temi siano definite, nelle conclusioni del Consiglio europeo, misure effettive e scadenze certe e non, come avvenuto in precedenti riunioni, impegni generici e non vincolanti;
    secondo i dati Eurostat pubblicati il 1o ottobre 2013 più del 23 per cento dei giovani al di sotto dei 25 anni è disoccupato, con punte di oltre il 40 per cento in paesi quali l'Italia e la Spagna;
    questi dati inaccettabili dimostrano l'inadeguatezza del sistema di governance economico europeo sinora definito, incentrato sull'inasprimento dei vincoli di finanza pubblica e privo di una strategia organica e credibile per il rilancio della crescita e dell'occupazione;
    secondo il monito degli economisti pubblicato il 23 settembre 2013 sul Financial Times, la crisi economica in Europa continua a distruggere posti di lavoro. Alla fine del 2013 i disoccupati saranno 19 milioni nella sola zona euro, oltre 7 milioni in più rispetto al 2008: un incremento che non ha precedenti dal secondo dopoguerra e che proseguirà anche nel 2014. La crisi occupazionale affligge soprattutto i paesi periferici dell'Unione Economica e Monetaria europea, dove si verifica anche un aumento eccezionale delle sofferenze bancarie e dei fallimenti aziendali. La Germania e gli altri paesi centrali dell'eurozona hanno invece visto crescere i livelli di occupazione. Il carattere asimmetrico della crisi è una delle cause dell'attuale stallo politico europeo;
    la crisi sta rivelando una serie di contraddizioni nell'assetto istituzionale e politico dell'Unione Economica e Monetaria europea. Le Autorità europee hanno compiuto scelte che, contrariamente agli annunci, hanno contribuito all'inasprimento della recessione e all'ampliamento dei divari tra i paesi membri dell'Unione. Esse, hanno preferito aderire alla fantasiosa dottrina dell’«austerità espansiva», secondo cui le restrizioni dei bilanci pubblici avrebbero ripristinato la fiducia dei mercati sulla solvibilità dei paesi dell'Unione, favorendo così la diminuzione dei tassi d'interesse e la ripresa economica. Come ormai rileva anche il Fondo Monetario Internazionale, oggi sappiamo che in realtà le politiche di austerity hanno accentuato la crisi, provocando un tracollo dei redditi superiore alle attese prevalenti;
    una stretta violenta su entrata e spesa, che affonda le spese pubbliche d'investimento e comunque produttive, ha effetti depressivi sia sul breve che sul medio termine. È da considerare più efficace un percorso di stabilizzazione del debito più selettivo, stabile e controllato. Il Trattato di Lisbona non ha funzionato perché rimaneva l'asimmetria tra controllo della moneta e il vuoto delle politiche fiscali, bancarie e di bilancio comunitario;
    tuttavia le Autorità europee stanno commettendo un nuovo errore. Esse appaiono persuase dall'idea che i paesi periferici dell'Unione potrebbero risolvere i loro problemi attraverso le cosiddette «riforme strutturali». Tali riforme dovrebbero ridurre i costi e i prezzi, aumentare la competitività e favorire quindi, una ripresa trainata dalle esportazioni e una riduzione dei debiti verso l'estero. Questa tesi coglie alcuni problemi reali, ma è illusorio pensare che la soluzione prospettata possa salvaguardare l'unità europea. Le politiche deflattive attuate in Germania (tra il 2000 e il 2010 ha visto la mancata crescita dei salari nominali nell'ordine del 15 per cento, ossia inferiore rispetto alla crescita salariale media dell'eurozona) e altrove, per far accrescere l'avanzo commerciale hanno, di fatto, contribuito per anni, unitamente ad altri fattori, all'accumulo di enormi squilibri nei rapporti di debito e credito tra i paesi della zona euro. Il riassorbimento di tali squilibri richiederebbe un'azione coordinata da parte di tutti i membri dell'Unione. Pensare che i soli paesi periferici debbano farsi carico del problema significa pretendere da questi una caduta dei salari e dei prezzi di tale portata da determinare un crollo ancora più accentuato dei redditi e una violenta deflazione da debiti, con il rischio concreto di nuove crisi bancarie e di una desertificazione produttiva di intere regioni europee;
    occorre esser consapevoli che proseguendo con le politiche di «austerità» e affidando il riequilibrio alle sole «riforme strutturali», il destino dell'euro sarà segnato e, l'esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo. In assenza di condizioni per una riforma del sistema finanziario e della politica monetaria e fiscale, che dia vita a un piano di rilancio degli investimenti pubblici e privati e contrasti le sperequazioni tra i redditi e tra i territori e risollevi l'occupazione nelle periferie dell'Unione, ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall'euro;
    occorre, anche, dare attuazione effettiva ed immediata alla «Iniziativa per l'occupazione giovanile (YEI)», in modo da anticipare le prime erogazioni già alla fine del 2013. A tale scopo, è necessario definire il piano nazionale dell'Italia quanto prima;
    è altresì necessario che l'Italia, come gli altri Stati membri, dia una rapida attuazione alla Garanzia per i giovani e alla Alleanza europea per apprendistato, affinché si possano ottenere risultati già nel primo semestre del 2014;
    il Consiglio europeo dovrebbe esprimersi sulla comunicazione della Commissione europea relativa alla dimensione sociale dell'UEM presentata il 2 ottobre scorso. Le azioni prospettate in tale comunicazione risultano del tutto inadeguate e anacronistiche rispetto alla gravità e drammaticità delle tensioni sociali determinate dalla crisi economica esplosa nel 2008 e, confermano, l'incapacità delle Istituzioni dell'Unione di definire soluzioni dirimenti e sistemiche al riguardo;
    in particolare, la proposta di predisporre uno scoreboard sociale, basato su un numero limitato di indicatori, quali il tasso di disoccupazione e la sua evoluzione, il tasso di NEET (Not in Education, Employment nor Training) e di disoccupazione giovanile, il reddito disponibile delle famiglie, il tasso di povertà nella popolazione in età da lavoro, le disuguaglianze, da allegare alla «Analisi annuale della crescita», appare sterile e suscettibile di produrre una burocratizzazione ulteriore, senza con ciò offrire adeguate e risolutive risposte alle tensioni sociali sempre più drammatiche;
    a questo scopo, il meccanismo, prospettato dal decreto-legge n. 76 del 2013, in attesa della definizione del riordino sul territorio nazionale dei servizi per l'impiego, appare del tutto inadeguato;
    anche la proposta di una rinnovata azione in campo occupazionale, attraverso la promozione della mobilità del lavoro, è palesemente obsoleta e fallimentare;
    analoghe considerazioni valgono anche per le proposte relative al rafforzamento del dialogo sociale che in sé nulla aggiunge alla capacità di dare soluzione ai problemi sociali reali e si traduce in formalismo consultivo che non attenua i gravi difetti in termini di democraticità e trasparenza dell'azione delle Istituzioni europee;
    è alquanto preoccupante che, nelle discussione preparatorie del Consiglio europeo, i rappresentanti di alcuni Stati membri abbiano proposto, per un verso, di attuare un coordinamento rafforzato delle politiche relative ai mercati del lavoro e dei prodotti e all'efficienza della pubblica amministrazione e, per altro verso, abbiano sottolineato che la dimensione sociale non dovrebbe distrarre i Governi degli Stati membri dall'esigenza di affrontare e risolvere i propri problemi strutturali;
    questa posizione – che il Governo dovrebbe stigmatizzare e contrastare con forza – sembra volta a riaffermare un approccio basato sulla mera stabilizzazione delle finanze pubbliche e dei mercati finanziari, i cui effetti fallimentari sono lapalissiani;
    la realizzazione della «Agenda digitale 2020» è uno strumento fondamentale, sul piano qualitativo e quantitativo, per rilanciare durevolmente la crescita e soprattutto l'occupazione nell'Unione europea, mediante la creazione di nuove figure lavorative e l'ammodernamento delle infrastrutture delle comunicazioni;
    tuttavia, a fronte della centralità strategica della «Agenda digitale 2020», le azioni sinora prospettate a livello europeo e nazionale appaiono carenti nell'organizzazione degli strumenti attuativi. In particolare, appare statica, e conseguentemente inadeguata, la direzione dell'Agenzia per l'Italia digitale, con il rischio che il nostro Paese perda o non utilizzi in maniera efficace e tempestiva gli stanziamenti a essa destinati nell'ambito del bilancio dell'Unione;
    non è accettabile che, a fronte della drammaticità degli eventi di Lampedusa, il Consiglio europeo si limiti ad esprimere «profonda tristezza» e continui a considerare l'immigrazione come un epifenomeno della povertà e della guerra, senza adottare una tabella di marcia che contempli misure precise e puntuali e scadenze certe e vincolanti;
    il Consiglio europeo dovrà inserire l'immigrazione nella propria agenda politica quale punto stabile e prioritario;
    il Consiglio europeo dovrebbe esprimere apprezzamento per l'approvazione del pacchetto legislativo che introduce il meccanismo unico di vigilanza bancaria (Single Supervisory Mechanism, SSM), come primo passo per la realizzazione di un'autentica unione bancaria;
    il Consiglio europeo dovrebbe pronunciarsi sulla preparazione del prossimo vertice dei Capi di Stato e di Governo dedicato al «Partenariato orientale», che si svolgerà a Vilnius il 28 e 29 novembre 2013,

impegna il Governo:

   a) ad assicurare che l'Italia utilizzi una quota significativa dei 6 miliardi di euro, destinati, negli anni 2014-2015, ai giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni che non sono occupati né stanno seguendo corsi di istruzione o formazione (NEET), nei paesi con tassi di disoccupazione giovanile superiori al 25 per cento;
   b) ad avviare, al fine di utilizzare efficacemente le risorse in questione, programmi operativi nazionali incentrati sulla diminuzione consistente della disoccupazione giovanile per giovani di età tra i 15 e i 24 anni, senza con ciò tralasciare l'esigenza non più rinviabile di affrontare in modo dirimente la situazione dei disoccupati di lungo periodo e, in ogni caso, di età superiore ai 24 anni;
   c) a procedere contestualmente ad una riforma dei centri per l'impiego per rendere più efficace il loro operato;
   d) a contrastare con intransigenza le posizioni espresse da alcuni Stati membri al fine di stabilire un coordinamento rafforzato delle sole politiche relative ai mercati del lavoro e dei prodotti e all'efficienza della pubblica amministrazione, con il solo obiettivo di focalizzare l'azione europea e nazionali alla soluzione dei problemi strutturali relativi alla stabilità delle finanze pubbliche;
   e) ad affermare il carattere prioritario e non subordinato degli interventi strutturali in materia sociale, con l'obiettivo di ridurre le disuguaglianze sociali, la povertà, l'esclusione sociale, la solitudine della popolazione in età avanzata;
   f) ad adoperarsi affinché il Consiglio europeo dichiari la complessiva inadeguatezza delle soluzioni prospettate nella comunicazione della Commissione europea sulla dimensione sociale dell'UEM, che appaiono obsolete e si sono, nel tempo, dimostrate fallimentari;
   g) a sostenere la rapida approvazione ed attuazione delle misure per la realizzazione di un'effettiva e completa Unione bancaria europea che includa un sistema centralizzato di vigilanza anche sulle banche di importanza nazionale e regionale, ma anche:
    1) un quadro comune sugli strumenti nazionali di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi;
    2) un fondo di garanzia europeo unico dei depositi bancari;
    3) la creazione di un'Autorità europea unica e di un fondo unico di risoluzione per la gestione delle crisi bancarie;
   h) a promuovere in tutte le sedi opportune gli accordi di partenariato orientale rafforzando i rapporti politici, economici e commerciali fra l'Unione ed i paesi orientali, richiedendo particolare attenzione e trasparenza negli accordi finanziari-commerciali e, soprattutto, ponendo come condizione di partenariato il rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo;
   i) a far sì che il Consiglio europeo richieda a Commissione e Consiglio affari generali proposte per:
    1) sollecitare un maggior impegno di tutti gli Stati membri per il reinsediamento, ovvero il trasferimento, con l'assistenza ed a seguito di procedure di selezione da parte dell'Unher, di gruppi di rifugiati dai paesi di transito o di prima accoglienza agli Stati che offrono programmi di inserimento. Ciò allo scopo di offrire vie legali e sicure di accesso all'Europa per le persone in fuga da guerre e persecuzioni;
    2) prevedere la possibilità, per i richiedenti asilo, di presentare la domanda presso le sedi diplomatiche degli Stati membri UE nei paesi di transito (con conseguente emissione di visto ai richiedenti la cui domanda non risulti manifestamente infondata e procedure d'asilo nel paese membro al quale è stata rivolta la domanda);
    3) istituire una figura di «coordinatore europeo sul soccorso in mare», specializzato sia in diritto internazionale dei rifugiati che in diritto internazionale marittimo, che rafforzi i collegamenti in tale ambito tra gli Stati membri, i paesi di transito dei migranti e l'Organizzazione marittima internazionale (Imo/Omi).
(6-00037) «Migliore, Ricciatti, Pannarale, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».


   La Camera,
   udite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri sul Consiglio europeo del 24/25 ottobre prossimi;
   premesso che:
    il Consiglio europeo scandisce la vita politica e lo sviluppo dell'Unione europea, le decisioni prese durante le sue riunioni danno un forte impulso alla definizione degli orientamenti politici generali dell'Unione europea. Esso svolge un ruolo capitale in tutti i settori di competenza comunitaria, sia mediante attività di impulso, di definizione di orientamenti politici generali o di coordinamento, di arbitrato o di risoluzione di questioni particolarmente controverse;
    nell'ordine del giorno provvisorio presentato dal Presidente del Consiglio europeo, figurano i principali punti che si dovrebbero affrontare il 24 e 25 ottobre 2013:
     a) un dibattito tematico su e-economia, innovazione e servizi, in particolare si discuterà dell'andamento dei lavori sull'agenda digitale e sul follow up della valutazione inter pares della direttiva sui servizi;
     b) verrà fatto il punto sugli sforzi per promuovere crescita, occupazione e competitività europea;
     c) verranno valutati i lavori in corso su tutti gli elementi costitutivi dell'UEM;
     d) verranno affrontate questioni specifiche in materia di relazioni esterne alla luce degli sviluppi sulla scena internazionale;
    il nostro Paese sta rincorrendo faticosamente i principali paesi europei che, nell'ambito delle politiche di crescita e competitività, si sono da tempo dotati di piani strategici di sviluppo delle reti di nuova generazione in linea con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea, pianificando azioni in grado di creare condizioni favorevoli allo sviluppo degli investimenti privati, anche agevolando la collaborazione tra i vari operatori e tra questi e le amministrazioni pubbliche. Al contempo, altri paesi del mondo quali Corea, Giappone e Australia hanno varato massicci piani di investimenti in banda larga e ultralarga, dandosi obiettivi di connessione più elevati rispetto quelli Ue;
    la direttiva 2006/123/CE del Parlamento e del Consiglio del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi del mercato interno, recepita dall'Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, e successive modificazioni, ha sollevato serie perplessità circa la sua applicazione in settori ritenuti di particolare importanza per l'economia italiana;
    lo sviluppo del settore dei servizi deve essere perseguito in maniera equilibrata e sostenibile e comunque in modo tale da non pregiudicare la crescita e i livelli occupazionali esistenti nei paesi membri dell'Unione europea, in particolar modo in quei comparti economici peculiari e caratterizzanti della nostra economia quali l'agricoltura, il piccolo artigianato di qualità ed il turismo, settori peraltro non delocalizzabili;
    il Consiglio europeo dibatte delle conclusioni in merito agli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri, così come adotta conclusioni sulla situazione dell'occupazione nella Comunità;
    stante l'inaccettabile elevato numero di europei, tanto di giovani quanto di madri e padri di famiglia privi di occupazione, la lotta alla disoccupazione per queste categorie ed il reinserimento è, e deve rimanere, l'obiettivo primario dell'Europa;
    in data 25 giugno scorso, in occasione delle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 27/28 giugno 2013, l'Assemblea di Montecitorio approvava quasi all'unanimità la risoluzione della Lega Nord ed Autonomie n. 6-00020, con la quale si impegnava il Governo – tra l'altro – «a destinare risorse alla riduzione del costo del lavoro» e «a sostenere ed incentivare l'imprenditoria giovanile, fornendo garanzie certe di accesso al credito agevolato per i giovani under trentacinque anni che intendano avviare un'attività in proprio»;
    al rientro dal vertice europeo, in data 28 giugno, il Governo varava il cosiddetto «pacchetto lavoro» (decreto-legge n. 76 del 2013), il quale, con riguardo all'occupazione giovanile, prevedeva incentivi per i datori di lavoro che assumano con contratti di lavoro a tempo indeterminato giovani di età compresa tra i 18 ed i 29 anni;
    il citato provvedimento disattendeva, dunque, gli impegni assunti in sede parlamentare. Innanzitutto perché si è limitata la platea dei possibili beneficiari degli incentivi all'assunzione ai 29enni, ignorando che l'attuale congiuntura economica negativa ha consolidato la crisi occupazionale delle persone in età compresa tra i 18 ed i 35 anni; in secondo luogo perché si è scelto di stanziare 500 milioni di euro ai giovani disoccupati del Sud e solo 294 milioni di euro a quelli del Centro-Nord, perseverando nella infruttuosa strategia dell'assistenzialismo e fingendo di non sapere che per una reale ripresa economica bisogna destinare le maggiori risorse alla locomotiva del Paese, dove cioè ci sono già aziende ed imprese operanti ma che stentano per un costo del lavoro troppo alto;
    in occasione dell'esame del Documento di economia e finanza 2013 di aprile 2013, i saldi di finanza pubblica hanno evidenziato per l'Italia come la eccessiva politica di rigore attuata dal precedente Governo, da quello attuale e dall'Unione europea, ha determinato un peggioramento della grave fase recessiva oggi in atto ed un trend di crescita a ribasso del PIL, causato per lo più dalla contrazione dei consumi, con il conseguente crollo della domanda interna, determinato soprattutto dalla caduta della produzione industriale, indotta anche dalla restrizione del credito nei confronti del mondo produttivo;
    le condizioni di accesso al credito da parte degli operatori economici sono in Italia ancora oggi difficili e più costose rispetto a quelle cui sono soggetti le imprese operanti nei principali competitors europei, dal momento che risulta evidente come, pure in seguito alle operazioni di rifinanziamento della BCE del 21 dicembre 2011 per 489 miliardi e del 29 febbraio 2012 per 530 miliardi e alla quale hanno aderito anche gli istituti di credito italiani, non c’è stata una maggiore offerta di credito, a favore delle aziende da parte delle banche, tanto che è cresciuto drammaticamente il numero delle stesse che hanno cessato la propria attività, e ciò nonostante Banca d'Italia segnali una sempre crescente liquidità nelle casse degli istituti di credito, soprattutto tra quelli di piccole e medie dimensioni;
    la politica del rigore ha pertanto compromesso la crescita del PIL italiano, così che è urgente porre in essere una diversa politica europea attraverso l'attuazione di misure anticicliche al fine di rilanciare una «nuova Europa», ridefinendo il ruolo della BCE ed avere come obiettivo il perseguimento della piena occupazione finanziando direttamente gli investimenti produttivi;
    la semplificazione normativa ed amministrativa è una priorità assoluta all'interno dell'agenda politica dell'Unione europea, dal momento che la qualità della regolazione rappresenta un fattore chiave per la competitività e lo sviluppo economico, tanto che il recente «Programma d'azione per la riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea» si era posto l'obiettivo della riduzione del 25 per cento degli oneri burocratici entro il 2012;
    non solo gli oneri amministrativi e burocratici sono al primo posto tra i problemi che ostacolano lo sviluppo e la competitività delle Piccole e medie imprese (PMI), ma anche la mancata applicazione di un tetto massimo nel rapporto tra numero di dipendenti della pubblica amministrazione – spesso sotto o per nulla utilizzati ed utili a dare servizi reali alla collettività – e numero di cittadini sta affossando il sistema produttivo, tanto che secondo alcuni analisti una riduzione a livello europeo degli oneri (e del personale) del 25 per cento comporterebbe un incremento del PIL pari a circa l'1.5 per cento, e che in Italia in particolare la semplificazione normativa ha assunto, negli anni, una sempre maggiore valenza strategica, a fronte dell'eccesso di regolazione esistente nel nostro ordinamento che si accompagna ad una scarsa chiarezza nel sistema delle regole;
    la strategia di Better Regulation della Commissione europea si fonda proprio sulla semplificazione normativa e la riduzione degli oneri amministrativi finalizzati a migliorare il quadro regolativo esistente;
    la crisi economica internazionale, iniziata nel 2007 negli Stati Uniti e rapidamente diffusasi nel resto del mondo, ha avuto le principali ripercussioni in Europa dove, anche a causa delle intrinseche debolezze della moneta unica, questa ha manifestato i sintomi più significativi, e che la evidente difficoltà dell'Europa si è evidenziata negli ultimi anni soprattutto in Grecia;
    la fragilità della moneta unica e la gravità della attuale recessione rilevano come la fase di costruzione dell'euro sia stata assolutamente non conforme con le attese dei suoi fautori e non abbia considerato le attuali problematicità, denotando in tal modo come la realizzazione della moneta unica non sia stata accompagnata da una unione politica in grado di garantire quella omogeneità capace di superare le diversità sociali ed economiche tra i diversi paesi europei e tale da assicurare così una crescita ed uno sviluppo coerenti con le economie dei paesi più avanzati;
    la possibilità per l'Europa di poter riuscire a superare l'attuale momento di ristrettezza passa inesorabilmente da un miglioramento del livello di governance tra i diversi paesi membri, finalizzata ad un migliore coordinamento e ad una integrazione più efficace, dall'adozione di politiche governative di intervento finalizzate alla riduzione del debito pubblico e dalla assunzione di politiche fiscali finalizzate alla crescita e allo sviluppo economico, in grado così di evitare recessioni economiche ed atti speculativi;
    il trattato sull'Unione europea prevede anche che il Consiglio europeo decida strategie comuni che l'Unione deve attuare nei settori in cui gli Stati membri hanno importanti interessi in comune. Dopo l'annunciata tragedia di Lampedusa, il tema dell'immigrazione si fa sempre più presente nell'Agenda europea, seppur in maniera più formale che sostanziale; infatti, seppur il Consiglio europeo affronterà con l'emergenza immigrazione e il caso italiano, riconoscendo che il problema dei flussi migratori è un problema globale che investe tutta l'Europa e non solo l'Italia, non paiono profilarsi all'orizzonte posizioni di sostegno credibili al contrasto della clandestinità da parte dei partners europei. Se a ciò si aggiunge che i segnali inviati da alcuni membri, seppur con ruoli marginali, di questo Governo in tema di immigrazione con dichiarazioni contradditorie, terzomodiste e inapplicabili hanno generato confusione sul piano europeo, è chiaro che senza una presa di posizione netta da parte del Presidente del Consiglio in merito alla difesa dei confini, così come auspicata dal Ministro Alfano nella sua ultima informativa alle Camere, ogni sforzo per fermare i viaggi della morte gestiti dalla criminalità organizzata risulterà nullo;
    per i clandestini che illegalmente cercano di entrare nella Unione europea il nostro Paese non è, come qualcuno vuol far credere, un territorio di passaggio verso altri Stati membri, in particolare del Nord Europa (Germania, Norvegia e Svezia), ma la meta finale, soprattutto dopo che in maniera scellerata un esponente marginale del Governo italiano ha annunciato una profonda revisione delle regole relative al permesso di soggiorno e cittadinanza; non sfuggono anche ad un occhio meno attento che proprio a seguito di tali dichiarazioni la percentuale di donne (spesso in gravidanza avanzata) e bambini che clandestinamente cercano di entrare in Italia è aumentata esponenzialmente;
    dopo le ultime tragedie, vari esponenti europei hanno rilasciato dichiarazioni affermando il concetto che è ora di porre fine al ruolo che l'Italia ha assunto in questi ultimi anni ovvero quello di «sostituto dell'Europa» nel farsi carico delle incombenze conseguenti ai flussi di clandestini. Infatti, il Presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, ha ribadito la volontà dell'esecutivo Ue di fare tutti gli sforzi possibili per evitare il ripetersi di queste tragedie «che sono senza dubbio tragedie che riguardano tutta l'Unione europea.» Ancora, il Consiglio d'Europa in una nota ha sottolineato che «I paesi del Consiglio d'Europa e dell'Unione europea devono mostrare maggiore solidarietà con l'Italia e con gli altri in prima linea sul fronte degli immigrati irregolari.». Inoltre, Martin Schultz, Presidente del Parlamento europeo, ha dichiarato che «bisogna far sì che l'onere, il peso, delle frontiere europee sia un problema condiviso da tutti i nostri Governi». Infine, il commissario Ue per gli Affari interni Cecilia Malmstrom sottolinea in una nota come sia sempre più «urgente lanciare una grande operazione FRONTEX per la sicurezza (...) Nessun Paese può affrontare da solo questo problema. È una questione che necessita un impegno a livello europeo»;
    una politica di accordi bilaterali con i paesi di origine dei flussi migratori può evitare tragedie come quelle alle quali assistiamo ormai ogni giorno. Per oltre un anno, quando il Ministro dell'interno era l'on. Maroni, la sua politica di accordi con i paesi del Mediterraneo ha permesso di diminuire sensibilmente gli sbarchi e salvare centinaia di vite. È di tutta evidenza che se attraverso azioni di dissuasione, contrasto e intercettazione vengono ridotti questi «viaggi della morte», statisticamente si riduce il numero di incidenti;
    anche le dichiarazioni del Presidente della Repubblica, a seguito della tragedia del 3 ottobre scorso al largo di Lampedusa sono in linea con quanto da sempre sostenuto dalla Lega Nord, vale a dire che «...Sono indispensabili presidi adeguati lungo le coste da cui partono questi viaggi di disperazione e di morte ...»;
    a parere dei proponenti le somme e i mezzi impiegati per FRONTEX, alla luce dei numerosi sbarchi di questi ultimi gironi che confermano, anzi vanno oltre, il trend che era già evidente nel 2011 e nel 2012 all'indomani degli sconvolgimenti provocati dalla cosiddetta «primavera araba», non sono sufficienti in quanto il nostro Paese, come ha anche evidenziato Izabella Cooper – portavoce di FRONTEX – «è quello che si trova sotto la maggiore pressione migratoria»;
    il 10 ottobre scorso, il Parlamento dell'Unione europea, riunito in sessione plenaria, ha votato una serie di regole di funzionamento di «Eurosur» ovvero la rete di comunicazione progettata per sorvegliare le frontiere Ue, attraverso lo scambio di informazioni e la cooperazione a diversi livelli: nazionale, tra gli Stati membri, e tra questi e l'Agenzia per le frontiere dell'Unione Frontex. Eurosur entrerà in vigore solo il prossimo 2 dicembre per 18 paesi, tra cui l'Italia, mentre gli altri paesi vi aderiranno dal primo dicembre 2014;
    Eurosur è un sistema di sorveglianza delle frontiere terrestri e marittime che fornirà alle autorità nazionali gli strumenti necessari per prevenire, individuare e contrastare l'immigrazione clandestina e la criminalità transfrontaliera. Si avvarrà di droni telecomandati che setacceranno il mare palmo a palmo, e dove non arriveranno i droni vigileranno satelliti, sensori installati al largo delle coste e radar. Dovrebbe essere uno strumento per il rafforzamento di FRONTEX, che servirà a localizzare meglio «le carrette del mare»,

impegna il Governo:

   a farsi promotore, nelle sedi opportune, di un piano nazionale di sviluppo delle nuove reti, fornendo un'alta capacità di trasmissione alle principali città ed ai distretti industriali che ancora scontano un forte divario di connettività, mettendo a punto una strategia che si dimostri adeguata a permettere ai cittadini ed alle imprese collocate in tali aree, di sviluppare rapidamente una domanda di accesso a servizi innovativi, potenziando le infrastrutture esistenti con una logica di intermodalità per contrastare l'erosione della propria competitività attraverso innovazioni nel processo della logistica e dei trasporti;
   ad una attenta valutazione dell'impatto che la direttiva sui servizi produce sui distinti settori interessati affinché venga salvaguardata la specificità degli stessi ed il sistema di regolamentazione interno, per non pregiudicarne la crescita ed i livelli occupazionali in un momento così critico per l'economia italiana, attivandosi in particolare affinché, esercitando la delega contenuta all'articolo 11 della Legge comunitaria 2010, le concessioni demaniali a fini turistici attualmente in condizione di prorogatio ricadano in una nuova legge quadro nazionale che, così come avvenuto per la Spagna che chiesto ed ottenuto una specifica deroga, tuteli gli attuali concessionari garantendo loro la prelazione sulla locazione o l'acquisto del bene in concessione o un pieno e congruo indennizzo in caso di perdita della concessione;
   ad attivarsi per garantire una politica occupazionale di riduzione degli oneri contributivi dovuti dal datore di lavoro, senza effetti negativi sulla determinazione dell'importo pensionistico del lavoratore;
   a redistribuire per macro-regioni le risorse stanziate, nel quadro finanziario pluriennale 2014-2020, per interventi in favore dell'occupazione, attuando politiche premiali per i «territori competitivi»;
   a favorire gli investimenti e migliorare l'accesso al credito utilizzando le risorse europee, a partire da quelle a disposizioni della BEI, così da varare da subito un piano per gli investimenti a sostegno delle PMI e a favore del finanziamento dell'economia al fine di favorire concretamente un diretto e più veloce accesso al credito da parte delle aziende stesse, sostenendo la crescita economica e supportando la creazione di nuovi posti di lavoro, tanto più urgente nei paesi con un'alta disoccupazione giovanile come l'Italia;
   ad impegnarsi per rendere la normativa italiana ed europea più efficiente, coerente e snella, in particolare in alcuni settori economici al fine di potenziare l'innovazione e la produttività, adottando da subito iniziative finalizzate ad abrogare le disposizioni legislative inutili ed obsolete, sostenendo altresì la crescita con puntuali programmi di riduzione degli oneri amministrativi – attivando in tempi rapidi standard di spesa e di livelli massimi tanto nel numero del personale quanto di livello retributivo nella pubblica amministrazione – che oggi gravano sulle famiglie e sulle aziende, in particolar modo sulle PMI, così da ridurre l'eccessiva pressione fiscale che grava sulla società;
   ad adottare misure concrete per un miglioramento della governance europea attraverso una maggiore implementazione e condivisione della stessa tra gli Stati membri, così da migliorare le responsabilità democratiche al livello in cui sono prese e attuate le decisioni, in modo da arrivare ad una Europa dei popoli, federale su base macroregionale e regionale, legittimata dai popoli stessi e capace di superare gli Stati nazionali;
   ad impegnarsi, stante le evidenti criticità finora evidenziate, a superare l'attuale sistema dell'euro attraverso una revisione e rinegoziazione dei Trattati, coinvolgendo e facendo partecipi anche i cittadini (referendum), al fine di realizzare una moneta aderente alle esigenze dell'economia reale tra i territori e in grado di rispettare i principi della sana contabilità pubblica;
   ad assumere iniziative al fine di reclamare un potenziamento della presenza nel Mediterraneo dell'Agenzia FRONTEX, anche attraverso un adeguamento di strumenti, mezzi e uomini, prevedendo, se necessario, una secondaria sede operativa dell'Agenzia sul territorio italiano per una gestione consapevole dei migranti;
   a domandare quali ulteriori misure potrebbe adottare FRONTEX per far fronte all'attuale situazione, nonché di dare immediata attuazione ad Eurosur anche attraverso l'adesione contemporanea di tutti i paesi europei;
   ad incoraggiare il rafforzamento di accordi bilaterali tra l'Unione europea e i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo per un pattugliamento congiunto delle coste, nonché ad adottare misure per controllare il flusso di richiedenti asilo che entrano nell'Unione europea dal Mediterraneo meridionale;
   a destinare le risorse umane e finanziarie attualmente impiegate in missioni di pace che perdurano da decenni (quali Libano) verso aree ad elevato transito di clandestini quali Libia e Tunisia, al fine di impiegare le eccezionali professionalità delle Forze armate nel contrasto all'odioso traffico di esseri umani gestito dalle mafie internazionali e dalle bande paramilitari libiche.
(6-00038) «Gianluca Pini, Prataviera, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    il 24 e 25 ottobre si terrà a Bruxelles la riunione dei Capi di Stato e di Governo (Consiglio europeo), che sarà incentrata su e-economia, innovazione e servizi, crescita, competitività e occupazione, unione bancaria e monetaria, e dunque sull'Agenda digitale e in particolare sulla competitività, l'occupazione e la crescita per promuovere l'occupazione giovanile e il finanziamento dell'economia, nonché sui progressi nel completamento dell'Unione economica e monetaria dell'Unione europea, in particolare l'unione bancaria;
    vale la pena precisare in primis che a seguito delle tragedie accadute nei pressi delle coste di Lampedusa nel mese di ottobre del 2013 sarebbe stato quantomeno auspicabile attendersi l'aggiornamento del calendario del 24 e 25 ottobre del Consiglio europeo con l'introduzione all'ordine del giorno della questione dei flussi di migranti in entrata e/o in transito in Italia;
    anche in questo caso il Governo ha dimostrato di non saper intraprendere una propria azione finalizzata a sensibilizzare le istituzioni europee e gli Stati membri in ordine alla politica di accoglienza e di asilo dei migranti che si è rivelata totalmente inefficace. Infatti, l'obiettivo prioritario del Governo doveva e deve essere quello di mantenere alto il livello d'attenzione sul settore Mediterraneo, al fine di sviluppare una politica comune dell'immigrazione tesa ad assicurare l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi soggiornanti negli Stati membri e contrastare la tratta degli esseri umani come stabilito dall'articolo 79 TFUE;
    lo sviluppo a livello europeo di un mercato unico del digitale rappresenta una delle priorità dell'Agenda digitale europea nell'ambito delle iniziative Europa 2020. In considerazione dei ritardi manifestatisi a livello di Stati membri nell'ambito di tale programma che per il 2020 richiede che il 100 per cento della popolazione europea sia raggiunta da una connessione di almeno 30 megabit/secondo ed almeno il 50 per cento con velocità di 100 megabit/secondo è necessario concentrare gli sforzi per assicurare una copertura della banda larga e ultra-larga che sia in linea con gli obiettivi prefissati a livello europeo nella considerazione che l'accesso alla rete Internet libero e gratuito sia una precondizione per il riconoscimento di una piena cittadinanza europea digitale;
    come dimostrato dallo scoreboard sui progressi dell'Agenda digitale europea dedicato all'Italia, il nostro Paese vede una copertura della reti NGA (con velocità di connessione di almeno 30Mbps) pari al 14 per cento delle abitazioni contro una media europea del 53,8 per cento mentre la penetrazione della fibra ultraveloce (ad almeno 100 Mbps) appare del tutto marginale. È importante sottolineare come 10 punti percentuali in più nel tasso di penetrazione della banda larga porterebbero ad un aumento dell'1,5 per cento del PIL. L'Italia risulta non in linea con gli altri paesi europei in relazione al tasso di penetrazione della banda larga e ultra larga ed è ragionevole attendersi che non sarà in grado di rispettare gli impegni assunti a livello europeo senza importanti investimenti anche pubblici nel settore;
    il Governo italiano appare in grave ritardo nell'attuazione dell'Agenda digitale italiana istituita con decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179 non essendo stato ancora emanato lo Statuto dell'istituenda Agenzia per l'Italia digitale e non essendo stati emanati i decreti attuativi dell'Agenda digitale italiana;
    l'alfabetizzazione informatica della cittadinanza costituisce una delle priorità strategiche dell'Agenda digitale europea ed anche sotto questo profilo si registrano significativi ritardi del nostro Paese. Come ricordato nella giornata di lunedì 21 ottobre in occasione del II Italian Digital Agenda Annual Forum dalla Vicepresidente della Commissione europea responsabile per l'Agenda digitale Neelie Kroes 4 italiani adulti su 10 non hanno mai avuto accesso ad Internet;
    altra priorità strategica dell'Agenda digitale europea è la creazione di un mercato unico dei contenuti digitali. Da questo punto di vista le iniziative adottate dalla Commissione in materia di utilizzo degli orphan works e di licenze transfrontaliere per la diffusione dei contenuti a livello paneuropeo appaiono andare nella giusta direzione ma è necessario rafforzare ulteriormente tali strumenti per consentire un accesso sempre più diffuso ai contenuti creativi superando le ripartizioni dei mercati nazionali a vantaggio dei cittadini europei;
    le recenti rilevazioni sullo scandalo Datagate hanno dimostrato l'importanza e la centralità del tema della cybersicurezza per la tutela dell'indipendenza e della sovranità dei paesi europei a fronte dell'illegittima captazione di dati dei propri cittadini da parte delle autorità statunitensi in spregio al diritto e alle convenzioni internazionali. Sotto tale profilo è opportuno dare nuovo impulso a livello europeo alle iniziative adottate sul fronte della cybersicurezza giungendo in tempi brevi all'approvazione della proposta di direttiva COM(2013)48 del 7 febbraio 2013 e adottando iniziative volte ad una sempre più forte integrazione e coordinamento tra le autorità degli Stati membri competenti in materia;
    il nuovo quadro regolamentare proposto dalla Commissione europea in materia di telecomunicazioni nello scorso mese di settembre con l'intento di giungere alla creazione di un mercato unico delle telecomunicazioni ha proposto una serie di dubbi circa il rispetto del principio della net neutrality che deve essere, al contrario, incentivato e garantito al fine di consentire a tutti i cittadini un accesso alla rete libero ed efficiente nel rispetto del principio di non discriminazione;
    nell'ambito dell'Agenda digitale europea è necessario dare nuovo impulso per un utilizzo massivo degli open data e dei dati pubblici, anche attraverso la revisione della direttiva del 2003, consentendo l'accesso gratuito per tutti ad ogni notizia avente rilevanza pubblica circa i paesi membri e le istituzioni europee, con particolare riferimento all'accesso alle informazioni ambientali;
    è altresì necessario giungere ad una revisione organica della disciplina comunitaria in materia di protezione del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica per allineare la disciplina con le possibilità in termini di creazione di contenuti rese possibili dallo sviluppo delle nuove tecnologie, intervenendo, in particolare, sulla disciplina delle eccezioni e limitazioni in modo da giungere all'introduzione di un fair use sul modello di quanto previsto nella disciplina nordamericana;
    nella attuale società dell'informazione telematica si rende sempre più urgente garantire la diffusione di libri scolastici in via digitale o a poco costo per la didattica nelle scuole e le università perché ciò consentirebbe da un lato l'alleggerimento delle spese a carico delle famiglie già particolarmente oberate di spese e tasse e dall'altro produrrebbe sicuramente una spinta per l'economia che potrebbe adoperare elaborati di scuole ed università per lanciare nuovi prodotti commerciali e idee innovative sul mercato, nonché concorrerebbe a promuovere una vivacità industriale nel settore digitale;
    nel marzo 2013 i giovani disoccupati nella zona UE sono pari a 5,7 milioni, di cui 3,6 milioni nella zona Euro;
    secondo i dati ISFOL in Italia la disoccupazione dei giovani sotto i 24 anni è pari al 35,5 per cento, mentre Germania, Austria e Paesi Bassi hanno mantenuto una percentuale inferiore al 10 per cento;
    ciò che maggiormente preoccupa è la crescita costante della percentuale di giovani tra i 15 ed i 24 anni privi di occupazione e che non partecipano a nessun ciclo di formazione ed istruzione – i cosiddetti NEET – che secondo dati ISFOL sono 7,5 milioni ovvero il 12,9 per cento su base europea;
    tale situazione pone l'esigenza di rappresentare i nostri partners europei una seria e complessiva proposta politica che sia volta alla pianificazione di iniziative utili al superamento della crisi occupazionale attraverso non più rinviabili politiche di sviluppo sostenibile, poiché il limitarsi a mere iniziative di carattere incentivante in favore di disoccupati o singole categorie di lavoratori, correrebbe il rischio di divenire un semplice palliativo a fronte della cronicità della patologia;
    in riferimento a Youth Employment Package, la raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013 è quella di «identificare l'autorità pubblica pertinente incaricata di istituire e gestire il sistema di garanzia per i giovani e di coordinare le partnership a tutti i livelli e in tutti i settori (...), garantire che i giovani abbiano pieno accesso alle informazioni in merito ai servizi e al sostegno disponibili potenziando la collaborazione tra servizi per l'impiego, fornitori di orientamento professionale, etc...». Orbene in Italia è oramai da tempo necessaria una riforma dei medesimi centri per l'impiego, da tempo relegati ad un ruolo marginale e privi della necessaria efficienza. Sarà pertanto opportuno addivenire al più presto ad una loro riforma che ne assicuri la centralità del ruolo così come richiesto dall'Europa, pena il concreto rischio di ritrovarci di fronte all'ennesima occasione persa;
    in riferimento al terzo punto all'ordine del giorno (UEM), vale la pena riferire che a seguito della crisi finanziaria della Grecia e alla luce delle condizioni critiche di Irlanda, Portogallo e di altri Paesi dell'Eurozona, ai primi di maggio del 2010, l'ECOFIN ha provveduto a istituire un perverso meccanismo transitorio di stabilizzazione finanziaria, l'EFSF e l'EFSM, che ha contribuito a innalzare ulteriormente il livello di indebitamento di tutti gli altri Stati dell'Eurozona, tra cui l'Italia;
    infatti nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanze 2013 si rinviene che l'Italia per gli anni 2011-2012 ha versato in forma di prestiti agli stati dell'UEM (bilaterali e attraverso EFSF) rispettivamente 23.118 e 36.932 miliardi di euro;
    a tali ingenti esborsi, sono seguiti ulteriori versamenti sotto forma di anticipazione pro quota degli Stati membri delle zona Euro in relazione ai primi 80 miliardi da versare a fronte dei 700 miliardi di capitale del fondo salva-stati previsto dal Mes che ha sostituito il meccanismo temporaneo di stabilizzazione, e ciò comporterà per l'Italia il pagamento iniziale di cinque rate annuali e ciascuna delle quali è quantificabile in 2.866 miliardi di euro, di cui le prime quattro quote per gli anni 2012-2013 sono state già versate in via anticipata dall'Italia che è tenuta ancora al versamento della quota di 2.866 miliardi per l'anno 2014;
    i suddetti versamenti sono autorizzati da emissione di titoli di Stato a medio-lungo termine e a quanto sopradescritto deve essere aggiunto il versamento degli importi superiori a chiamata nel senso che il governatorato del Mes può chiedere agli Stati membri dell'eurozona il versamento del capitale autorizzato non versato e gli Stati si sono impegnati incondizionatamente e irrevocabilmente a versare entro sette giorni tali somme che per l'Italia ammonta a 120 miliardi di euro;
    tale meccanismo non presenta, tra l'altro, alcun meccanismo di disdetta o recesso per gli Stati membri;
    appare evidente che esiste peraltro in tale meccanismo una elevatissima probabilità per il sorgere di obblighi di ulteriori versamenti supplementari nel caso che un membro del Mes fosse insolvente;
    infatti gli altri Stati dell'eurozona ancora solvibili dovrebbero effettuare pagamenti più elevati, al fine di ripianare le perdite in misura proporzionale; non vi è dubbio alcuno, dunque, che tale sistema ha in sé un processo irreversibile che conduce ad un effetto domino poiché comporta una collettivizzazione dei debiti degli altri Stati; una tale dittatura finanziaria, oltre ad aver sottratto ogni sovranità politica ed economica ai singoli Stati dell'eurozona, e dunque ad imporre scelte macroeconomiche che condizionano negativamente le future generazioni – e preoccupanti appaiono le dichiarazioni del presidente del FMI (che partecipa in quota al Mes) che ipotizza un prelievo forzoso del 10 per cento dai conti correnti – non potrà che arrecare fame e miseria in particolare per il nostro Paese già gravemente indebitato; il percorso poi già tracciato di creazione di un'Unione bancaria costituisce un vero e proprio dato preoccupante poiché tende a costruire un'Europa delle banche a tutto discapito di un'Europa dei popoli in quanto persegue tre obiettivi precisi: in primis di spezzare il nesso tra banche e Stati, promuovere la ricapitalizzazione degli istituti creditizi, ovvero le banche private, attraverso l'utilizzo dei fondi salva-Stati ai sensi e per gli effetti dell'articolo 15 del trattato Mes, e centralizzare il controllo dei poteri degli istituti bancari attraverso la BCE;
    tanto ritenuto e premesso la Camera dei deputati,

impegna il Governo:

   a porre con forza ed autorevolezza al prossimo Consiglio europeo del 24 e 25 ottobre la necessità di discutere in via prioritaria la questione migranti in Italia che continua a provocare una tragedia umanitaria sotto gli occhi di tutto il mondo;
   a richiedere misure per combattere i trafficanti che sfruttano la migrazione verso le coste italiane e garantire effettivamente il controllo dei flussi e la trasparenza nelle procedure di arrivo e di ritorno;
   ad assicurare il pieno godimento dei diritti umani e sociali specialmente attraverso il rafforzamento delle strutture di garanzia dei diritti dei migranti;
   a proporre ai paesi dell'Unione europea l'attuazione del programmi finalizzati allo sviluppo dei paesi di origine affinché, nel sostenere la stabilità macroeconomica, si contribuisca alla creazione di mercati regionali integrati nel Mediterraneo;
   ad integrare l'Accordo di partenariato riguardo al quadro finanziario dei fondi pluriennali 2014-2020 al fine di far approvare e stanziare dall'Unione europea fondi europei per favorire gli investimenti nella banda larga e ultra larga, in materia di spettro radio e alfabetizzazione informatica in linea con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea;
   a promuovere la graduale abolizione dei libri scolastici stampati e, quindi la loro gratuità, con l'accessibilità via internet formato digitale e la diffusione e la creazione di libri digitali e materiali didattici multimediali ed interattivi per reti di scuole e di università in una logica prioritariamente di diffusione gratuita e condivisione open source su piattaforma aperte, nonché l'accesso gratuito a biblioteche pubbliche digitali anche ai fini del miglioramento della ricerca e innovazione;
   a promuovere strumenti volti a garantire l'insegnamento a distanza via Internet su tutto il territorio degli Stati europei;
   a promuovere nell'ambito delle iniziative europee per la creazione di un mercato unico delle telecomunicazioni il rispetto del principio della net neutrality e di non discriminazione nell'accesso alla rete Internet;
   a promuovere e rafforzare le iniziative volte a favorire la circolazione transfrontaliera di contenuti creativi;
   a promuovere un rafforzamento delle iniziative europee in materia di open data e di accesso alle informazioni in particolare con riferimento alle informazioni ambientali;
   a promuovere una revisione organica delle disposizioni in materia di protezione del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica introducendo il fair use in uso nel modello nordamericano;
   ad adottare i decreti attuativi dell'Agenda digitale italiana dando nuovo impulso alla stessa;
   a rafforzare la politica dell'Unione europea in materia di cybersicurezza favorendo la collaborazione tra paesi membri e nel rispetto del diritti fondamentali dei cittadini coinvolti;
   a promuovere strumenti di partecipazione e democrazia elettronica e diretta che consentano ai cittadini europei di partecipare attivamente al processo democratico a livello europeo;
   a creare una tariffa unica a livello europeo per la connessione a Internet e dunque ad allineare in via immediata tutte le tariffe di connessione a Internet e telefoniche a quella unica europea;
   a introdurre per l'Italia il reddito di cittadinanza, allineandosi finalmente a tutti i paesi europei sviluppati, in favore di tutti coloro che sono in cerca di una prima occupazione o di coloro che hanno perso un posto di lavoro al fine di far sì che tale fascia di popolazione non resti indietro rispetto agli altri;
   a reperire le risorse per l'introduzione del reddito di cittadinanza dai fondi strutturali del piano pluriennale 2014-2020 attraverso la riprogrammazione dell'Accordo di partenariato con la Commissione europea e a reperire le risorse nazionali in deroga al Patto di stabilità e sulla governance (Fiscal compact);
   a rivedere e rinegoziare nelle opportune sedi europee il Trattato di Maastricht ed il Fiscal compact ed al fine di introdurre un «nuovo patto fiscale» che garantisca agli Stati membri una programmazione economica su base pluriennale e non vincolata al bilancio annuale, al fine di garantire il benessere dei cittadini ed il pieno sviluppo della persona umana;
   escludere le risorse derivanti dal cofinanziamento nazionale o regionale degli interventi relativi alle politiche di coesione dalle regole del Patto di stabilità. In questo modo il nostro Paese potrà impegnare integralmente i 30 miliardi residui relativi al periodo 2007-2013 senza necessità di reperire 2 miliardi necessari per assicurare la copertura finanziaria. Le risorse residue devono essere integralmente utilizzate entro il 2015 e assumono un carattere strategico per consentire il superamento della crisi, specie se finalizzate ad obiettivi concreti quali il sostegno all'occupazione, la formazione e il sostegno alle attività produttive;
   operare una generale razionalizzazione dei servizi per l'impiego, attraverso una riforma complessiva delle strutture esistenti valorizzando e ampliando la centralità delle strutture pubbliche a partire dal ruolo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, evitando le duplicazioni e le sovrapposizioni di funzione attraverso un chiaro riparto delle funzioni stesse tra strutture centrali e periferiche;
   porre in essere, attraverso opportuni strumenti normativi, una drastica riduzione della pressione fiscale per le aziende che creano posti di lavoro a tempo indeterminato;
   favorire lo sviluppo e progetti per l'occupazione giovanile in settori che operano nella sostenibilità e con tecnologie a basso impatto ambientale;
   a richiedere una cospicua anticipazione dei fondi strutturali 2014-2020 destinati all'Italia per la soluzione del problema dell'occupazione giovanile;
   a reperire le risorse e i fondi occorrenti, in deroga al patto di stabilità, da destinare alla riduzione del costo del lavoro al fine di rendere competitive le imprese italiane sul piano internazionale; e al fine di una riduzione della pressione fiscale;
   a sospendere in via immediata ogni ulteriore rata di versamento al fondo salva-Stati, Mes, a causa dell'ingentissima esposizione debitoria dell'Italia, sia in ordine agli impegni derivanti dall'anticipazione della quota italiana per i primi 80 miliardi sia in ordine alle eventuali richieste di versamenti a chiamata;
   a richiedere di inserire all'interno del trattato Mes una clausola che consenta l'uscita dal fondo salva-Stati dell'eurozona a mezzo di una disdetta o recesso;
   a promuovere un fondo di garanzia e gli strumenti più opportuni, anche a mezzo di sostegno comunitario, in favore delle famiglie più bisognose ed in particolare delle imprese giovanili;
   ad attuare una sinergia tra i paesi membri finalizzata a modificare lo statuto della Banca centrale europea affinché diventi prestatore di ultima istanza;
   valutare l'opportunità di «europeizzare» il debito pubblico degli Stati membri dell'Unione europea, mediante l'emissione di Eurobond;
   richiedere l'introduzione della legge bancaria Glass-Steagall volta a contenere la speculazione da parte degli intermediari finanziari e i panici bancari, attraverso una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento, e conseguentemente provvedere alla separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, al fine di impedire che l'economia reale sia direttamente esposta al pericolo di eventi negativi di natura prettamente finanziaria;
   ridiscutere il debito pubblico e le modalità di saldo dello stesso, analizzandone le cause in profondità, ponendo la seria intenzione di prevenire la sua formazione in quanto questa (la formazione del debito) si ponga a totale svantaggio dei cittadini;
   a ricercare, in accordo con gli altri Stati membri, strumenti comuni finalizzati a debellare efficacemente il fenomeno dell'elusione e dell'evasione fiscale internazionale;
   a promuovere accordi bilaterali o multilaterali tra paesi membri e paesi extra UE al fine di agevolare il rientro, nei paesi di origine, dei capitali esportati illegalmente;
   ad adottare una soluzione di tassazione armonizzata sulle rendite finanziarie in accordo con tutti gli Stati membri;
   ad adottare più opportuni accorgimenti al fine di rendere più attraente l'investimento nell'economia reale rispetto a quello puramente finanziario;
   ad adottare misure e regolamenti internazionali contro la speculazione finanziaria;
   a promuovere, nelle sedi istituzionali dell'Unione europea e delle Organizzazioni internazionali, l'istituzione di una Black List, nella quale inserire gli Stati aventi un regime fiscale privilegiato, al fine di evitare l'elusione delle disposizioni indicate nel decreto ministeriale 23 gennaio 2002, decreto ministeriale del 21 novembre 2001 e decreto ministeriale del 4 maggio 1999.
(6-00039) «Colonnese, Carinelli, Nesci, Spessotto, Vignaroli, Fico, Luigi Di Maio, Pinna, Sibilia».


MOZIONI BUSTO ED ALTRI N. 1-00030, ZAN ED ALTRI N. 1-00188, GRIMOLDI ED ALTRI N. 1-00189 E BORGHI, LATRONICO, MATARRESE ED ALTRI N. 1-00193 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI UTILIZZO DI ALCUNE TIPOLOGIE DI COMBUSTIBILI SOLIDI SECONDARI NEI FORNI DEI CEMENTIFICI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    il 14 marzo 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22, «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni»;
    di fatto, il citato decreto istituzionalizza l'incenerimento dei combustibili solidi secondari nei forni dei cementifici, introducendo l'espediente della «dichiarazione di conformità» (articolo 4 del citato decreto ministeriale) che permetterebbe ai combustibili solidi secondari di «cessare di essere considerati rifiuti»;
    appena tre giorni prima della pubblicazione del decreto, l'11 febbraio 2013, la VIII Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati aveva dato parere contrario allo «Schema di Decreto del Presidente della Repubblica concernente il Regolamento recante disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime dell'autorizzazione integrata ambientale, ai sensi dell'articolo 214, comma 11, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni»;
    il citato schema di decreto del Presidente della Repubblica prevedeva «l'utilizzo dei CSS (...) in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, negli impianti di produzione di cemento a ciclo completo» (articolo 1);
    durante il dibattito sul citato schema di decreto del Presidente della Repubblica è emerso come «lo schema di provvedimento sia stato predisposto da oltre un anno e che nessuna ragione può essere addotta per giustificare la presentazione alle Camere soltanto al momento della conclusione della legislatura» e sono state espresse forti critiche «alle politiche perseguite dal Ministero dell'Ambiente e dal Governo nel suo complesso, le quali hanno sistematicamente eluso la questione della costruzione di un moderno ed efficace sistema di controlli ambientali»;
    la VIII Commissione della Camera dei deputati, nell'esprimere il proprio parere contrario, ha ribadito la necessità di «svolgere un approfondimento con adeguate forme di consultazione», ha espresso una chiara preoccupazione per «la rilevanza delle conseguenze del provvedimento sul funzionamento del sistema dei cementifici e della tutela ambientale e della gestione dei rifiuti», ha ritenuto «indispensabile il coinvolgimento delle Regioni» e ha chiesto di rinviare «alla prossima legislatura l'adozione del provvedimento in questione»;
    lo schema di decreto era stato proposto come regolamento di delegificazione ai sensi dell'articolo 17, secondo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attività di Governo», così come previsto dall'articolo 214, comma 11, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» e il parere negativo espresso in materia nella competente sede parlamentare avrebbe dovuto indurre il Governo a sospendere l'emanazione del citato decreto ministeriale n. 22 del 2013, atto regolamentare di rango inferiore;
    l'operato del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Clini, espressione di un Governo dimissionario, che avrebbe dovuto occuparsi unicamente di questioni ordinarie, non sembra ai firmatari del presente atto di indirizzo conforme né al chiaro indirizzo espresso nelle sedi parlamentari, né alle indicazioni espresse a livello comunitario; infatti, le sue manovre tendono esplicitamente verso la chiusura del ciclo dei rifiuti con la combustione (l'incenerimento nei cementifici) in netto contrasto con la risoluzione del Parlamento europeo P7–TA(2012)0223, adottata il 24 maggio 2012: la destinazione dei rifiuti all'incenerimento, ancorché con recupero di energia, è contraria alla citata risoluzione che, invece, propende per l'individuazione di una gerarchia dei rifiuti con l'obiettivo, entro il prossimo decennio, del definitivo abbandono delle pratiche di incenerimento di materie recuperabili;
    nella parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, relativa alla gestione dei rifiuti, l'articolo 179 stabilisce i criteri di priorità nella gestione dei rifiuti in due ordini di interventi distinti, al quinto e sesto comma: «5. Le pubbliche amministrazioni perseguono, nell'esercizio delle rispettive competenze, iniziative dirette a favorire il rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti di cui al comma 1 in particolare mediante:
    a) la promozione dello sviluppo di tecnologie pulite, che permettano un uso più razionale e un maggiore risparmio di risorse naturali;
    b) la promozione della messa a punto tecnica e dell'immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il loro uso o il loro smaltimento, ad incrementare la quantità o la nocività dei rifiuti e i rischi di inquinamento;
    c) la promozione dello sviluppo di tecniche appropriate per l'eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti al fine di favorirne il recupero;
    d) la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l'impiego dei materiali recuperati dai rifiuti e di sostanze e oggetti prodotti, anche solo in parte, con materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi;
    e) l'impiego dei rifiuti per la produzione di combustibili e il successivo utilizzo e, più in generale, l'impiego dei rifiuti come altro mezzo per produrre energia.
   6. Nel rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio o ogni altra operazione di recupero di materia sono adottate con priorità rispetto all'uso dei rifiuti come fonte di energia»;
    la sopracitata gerarchia degli interventi prevede, all'esaurimento di tutte le opzioni alternative disponibili, la possibilità di contemplare i «rifiuti come fonte di energia», stabilendo, altresì, una ben definita consequenzialità delle azioni e delle misure che devono essere messe in campo dalla pubblica amministrazione; inoltre, le misure di cui al secondo comma sono specificatamente subordinate in maniera vincolante all'adozione delle prioritarie misure di cui al primo comma;
    le proposte politiche devono, quindi, essere finalizzate alla transizione dal concetto di rifiuto a quello di risorsa, che preveda una progressiva riduzione della quantità di rifiuti prodotti e una concreta azione di riutilizzo della materia attraverso trattamenti a freddo, pratica prontamente più sostenibile, economicamente vantaggiosa e orientata al bene comune di quanto sia qualunque scelta che comporti forme di incentivo alla combustione;
    nel testo del citato decreto ministeriale viene dichiarata l'intenzione di ottenere un elevato livello di protezione ambientale, mentre, al contrario, la letteratura scientifica internazionale conferma ogni giorno l'evidenza degli effetti nocivi e tossici della pratica dell'incenerimento dei rifiuti o loro derivati;
    la combustione di rifiuti nei cementifici comporta una variazione della tipologia emissiva di questi impianti, in particolare in merito all'emissione di diossine, composti organici clorurati e metalli pesanti; la produzione di diossine è direttamente proporzionale alla quantità di rifiuti bruciati;
    riguardo alle diossine, evidenze scientifiche dimostrano che – a differenza di quanto prospettano i sostenitori della combustione dei combustibili solidi secondari, secondo i quali le alte temperature dei cementifici diminuirebbero o addirittura eliminerebbero le emissioni di queste sostanze altamente nocive –, sebbene le molecole di diossina abbiano un punto di rottura del loro legame a temperature superiori a 850oC, durante le fasi di raffreddamento (nella parte finale del ciclo produttivo) esse si riaggregano e si riformano; inoltre, considerata la particolarità chimica delle diossine (inquinanti liposolubili, persistenti per decenni nell'ambiente e nei tessuti biologici, dove si accumulano nel tempo), l'eventuale riduzione quantitativa della concentrazione di diossine nelle emissioni dei cementifici sarebbe abbondantemente compensata dall'elevato volume emissivo tipico di questi impianti;
    è stato dimostrato che la combustione di combustibili solidi secondari nei cementifici causa un significativo incremento delle emissioni di metalli pesanti, in particolare mercurio, enormemente pericolosi per la salute umana;
    secondo i calcoli effettuati nell'ambito delle ricerche scientifiche, la combustione di una tonnellata di combustibili solidi secondari in un cementificio in sostituzione parziale di combustibili fossili causa un incremento di: 421 milligrammi nelle emissioni di mercurio, 4,1 milligrammi in quelle di piombo, 1,1 milligrammi in riferimento al cadmio; ulteriori particolari criticità dovute alla tipologia di rifiuti bruciati sono state riportate in merito alle emissioni di piombo;
    l'utilizzo dei combustibili solidi secondari in cementifici prevede l'inglobamento delle ceneri tossiche prodotte dalla combustione dei rifiuti, di solito smaltite in discariche per rifiuti speciali pericolosi, nel clinker da cemento prodotto; questo comporta rischi potenziali per la salute dei lavoratori e possibili rischi ambientali per l'eventuale rilascio nell'ambiente di sostanze tossiche; inoltre, le caratteristiche fisiche del cemento potrebbero essere alterate dalla presenza di scorie da combustione in modo tale da non renderlo universalmente utilizzabile;
    molte perplessità derivano dalle modalità con le quali il Governo ha varato la norma che consente l'utilizzo dei rifiuti come combustibili nei cementifici;
    il decreto ministeriale è stato approvato, come si è visto, dopo il parere contrario della VIII Commissione parlamentare della Camera dei deputati allo schema di decreto del Presidente della Repubblica per la disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari dell'11 gennaio 2013;
    in sostanza il decreto ministeriale, pur attraverso una formulazione differente, ha lo stesso obiettivo dello schema di decreto del Presidente della Repubblica «bocciato» in Parlamento: promuovere, come afferma la stessa premessa del decreto, «la produzione e l'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS) da utilizzare, a determinate condizioni, in sostituzione di combustibili convenzionali»;
    se nel primo schema di decreto si punta a convertire i cementifici in inceneritori con l'obiettivo di bruciare rifiuti per produrre energia, nel secondo decreto ministeriale del 14 febbraio 2013 si pone la questione della trasformazione di alcuni rifiuti, compresi quelli speciali, sulla base della classificazione di cui all'articolo 184 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in combustibili solidi secondari, sottraendoli pertanto alla disciplina normativa sui rifiuti;
    secondo quanto disposto dall'articolo 13, primo comma, del citato decreto ministeriale n. 22 del 2013, «l'utilizzo (...) di CSS (...) è consentito esclusivamente negli impianti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere b) e c) – cementifici e centrali termoelettriche – ai fini della produzione, rispettivamente, di energia termica o di energia elettrica»; mentre al secondo comma si afferma che «l'utilizzo del CSS-Combustibile (...) è soggetto al rispetto delle pertinenti disposizioni del decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, applicabili al coincenerimento»; in sostanza, dalla lettura del combinato disposto dei citati atti normativi, emerge chiaramente la volontà di trasformare in modo strutturale i rifiuti prodotti in fonte energetica;
    l'orientamento assunto dall'Esecutivo contravviene, pertanto, le indicazioni date dalla direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008, la quale, al punto 6 della premessa, afferma: «L'obiettivo principale di qualsiasi politica in materia di rifiuti dovrebbe essere di ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l'ambiente. La politica in materia di rifiuti dovrebbe altresì puntare a ridurre l'uso di risorse e promuovere l'applicazione pratica della gerarchia dei rifiuti»; la gerarchia dei rifiuti è definita dall'articolo 4: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento;
    appare, altresì, preoccupante e discutibile che un Governo dimissionario abbia affidato ad un semplice decreto ministeriale l'attribuzione ai produttori stessi di combustibili solidi secondari della possibilità di emettere la dichiarazione di conformità (allegato 4 del decreto ministeriale di cui sopra), con l'evidente esposizione al rischio dell'avvio di una procedura di infrazione comunitaria;
    forti perplessità emergono dall'ipotetica possibilità di rimettere sul mercato, anche comunitario, i «prodotti combustibili solidi secondari» senza tenere conto degli enormi costi ambientali e della probabile inefficienza, sotto il profilo energetico e ambientale, del trasporto – evidentemente su gomma – di questa fonte di energia;
    i cementifici sono impianti industriali altamente inquinanti e l'utilizzo di combustibili solidi secondari come combustibile permetterebbe, di fatto, l'innalzamento – da due a nove volte – dei limiti di emissione rispetto ai valori fissati per gli inceneritori;
    considerando solo gli ossidi di azoto, per un inceneritore il limite di legge è 200 mg/Nmc, mentre per un cementificio è tra 500 e 1800 mg/Nmc; inoltre, un cementificio produce di solito almeno il triplo di anidride carbonica rispetto ad un inceneritore classico, mentre la lieve riduzione dei gas serra ottenuta dalla sostituzione parziale dei combustibili fossili con rifiuti ridurrebbe le emissioni dei cementifici in maniera scarsamente significativa, considerata l'abnorme produzione annua di anidride carbonica da parte di questi impianti che, secondo i dati del Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (PRTR) ammonta in Italia a circa 21.237.000 tonnellate l'anno; basta un piccolo aumento della capacità produttiva dei singoli impianti per recuperare abbondantemente la quantità di gas serra «risparmiata» dalla sostituzione parziale dei combustibili fossili con i rifiuti; questi ultimi, infatti, sono per gli imprenditori del cemento economicamente molto più vantaggiosi dei combustibili tradizionali e, dunque, agirebbero da concreto incentivo all'aumento della produzione;
    le emissioni di inquinanti gassosi da parte dei cementifici-inceneritori rimarrebbero molto più alte di quelle degli inceneritori; nel caso dei microinquinanti (metalli pesanti e diossine), a parità di concentrazioni nei fumi, i cementifici-inceneritori emettono volumi di fumi enormemente maggiori rispetto agli inceneritori classici; poiché la quantità assoluta di diossine e metalli pesanti è proporzionale sia alla quantità di rifiuti bruciati che al volume di fumi emessi, i cementifici-inceneritori, pur rispettando la parità di concentrazione espressa dai limiti di legge, emettono quantità assolute di microinquinanti (non biodegradabili e persistenti nell'ambiente) enormemente maggiori rispetto agli inceneritori classici; l'incenerimento di rifiuti varia, inoltre, la tipologia emissiva dei cementifici, creando in particolare criticità aggiuntive soprattutto per i metalli pesanti (principalmente piombo, arsenico e mercurio);
    del resto, da un punto di vista squisitamente comparativo, i limiti di emissione di inquinanti in atmosfera previsti per i cementifici (impianti di co-incenerimento) sono più alti rispetto a quelli previsti per i normali impianti di incenerimento; per le polveri totali il limite giornaliero dei cementifici è di 30 mg/m3 contro i 10 mg/m3 degli inceneritori, mentre per gli ossidi di azoto i limite è di 800 mg/m3 per gli impianti esistenti, di 500 mg/m3 per quelli nuovi, a fronte del limite di 200 mg/m3 degli inceneritori;
    inoltre, gli inceneritori devono rispettare per legge medie di emissioni giornaliere e semiorarie, mentre per i cementifici l'unico limite da rispettare è quello giornaliero, all'interno del quale è possibile «spalmare» la presenza di eventuali picchi emissivi;
    l'Italia ha il maggior numero di cementifici in Europa (i quali sono per una gran parte «conglobati» nel tessuto della città); inoltre, come ampiamente dimostrato, la combustione di rifiuti «per se» rappresenta un enorme disincentivo alle «buone pratiche» (riduzione, riuso, riciclo e riduzione della produzione dei rifiuti); l'Italia è, ad oggi, il terzo Paese europeo per numero di inceneritori operativi; la strategia di azione avviata dal Governo Monti raddoppierebbe, potenzialmente, il quantitativo di rifiuti avviati all'incenerimento in Italia, rendendo immediatamente disponibili all'incenerimento dei combustibili solidi secondari molti impianti su tutto il territorio nazionale, portando l'Italia al primo posto in Europa per incenerimenti di rifiuti e contravvenendo alle più recenti direttive europee, che chiedono agli Stati membri l'abbandono dell'incenerimento nel prossimo decennio,

impegna il Governo:

   ad avviare, in coerenza con le indicazioni presenti nel parere della VIII Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati citato in premessa, i necessari approfondimenti per valutare sia le possibili conseguenze, sul piano ambientale e sanitario, della scelta di consentire ai cementifici l'incenerimento dei cosiddetti combustibili solidi secondari, sia l'opportunità di un iter procedurale fortemente semplificato nonostante l'oggettiva complessità della questione;
   a realizzare una moratoria e a sospendere, fin da ora, ogni atto che vada nella direzione di consentire la «riconversione» dei cementifici in inceneritori, onde evitare che aziende ed imprese investano in un settore che potrebbe dimostrarsi incompatibile con l'esigenza di garantire la tutela della salute e dell'ambiente;
   a promuovere studi scientifici sulle effettive emissioni di sostanze inquinanti derivanti dall'uso dei rifiuti come combustibili, che tengano conto non solo del funzionamento degli impianti a regime e in condizioni di massima sicurezza, ma dei possibili rischi derivanti da malfunzionamenti o errori in fase di gestione;
   ad adottare, sempre ed in ogni caso, il principio di precauzione, così come previsto dall'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, evitando di esporre inutilmente le popolazioni che abitano in prossimità dei cementifici ad ulteriori pericoli per la propria salute.
(1-00030) «Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Segoni, Terzoni, Tofalo, Zolezzi, Alberti, Basilio, Nesci».


   La Camera,
   premesso che:
    nei mesi di gennaio e febbraio del 2013, a Camere ormai sciolte, l'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Corrado Clini, ha presentato al Parlamento per il parere uno schema di decreto del Presidente della Repubblica per l'utilizzo di combustibili solidi secondari, in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime di autorizzazione integrata ambientale;
    dopo un parere favorevole con condizioni, espresso molto rapidamente dalla XIII Commissione parlamentare (Territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato della Repubblica il 16 gennaio 2013, senza peraltro che nessun senatore fosse intervenuto in discussione, la VIII Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici) della Camera dei deputati, il successivo 11 febbraio 2013, ha invece espresso parere contrario al medesimo schema di decreto del Presidente della Repubblica;
    da quel momento, di detto decreto del Presidente della Repubblica sui combustibili solidi secondari si sono perse le tracce e non è più stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale;
    la mancata pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del sopradetto decreto del Presidente della Repubblica sull'utilizzo in alcune categorie di cementifici dei combustibili solidi secondari, in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, nulla toglie alla sempre dichiarata ferma volontà dell'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Clini, di aver voluto proseguire nella scorciatoia dell'incenerimento dei rifiuti nei cementifici, bruciando rifiuti solidi urbani per alimentare i forni di cottura del clinker, cioè la componente principale del cemento;
    in Gazzetta Ufficiale, sono stati quindi pubblicati due decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: il decreto 14 febbraio 2013, n. 22, (Gazzetta Ufficiale del 14 marzo 2013), recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari, dove vengono stabiliti – tra l'altro – i criteri da rispettare affinché determinate tipologie di combustibile solido secondario cessano di essere qualificate come rifiuto; il decreto 20 marzo 2013 (Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2013) che modifica l'allegato X della parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006, in materia di utilizzo del combustibile solido secondario, che recepisce i criteri contenuti nel sopradetto decreto del 14 febbraio 2013, n. 22, che devono essere rispettati affinché determinate tipologie di combustibili solidi secondari cessino di essere qualificate come rifiuto e possono, quindi, essere riutilizzate;
    il decreto ministeriale n. 22 del 2013 stabilisce le condizioni e i requisiti in base ai quali dalle operazioni di trattamento di specifiche tipologie di rifiuti si ottiene il prodotto denominato combustibile solido secondario, nonché le relative condizioni di utilizzo a fini energetici nei cementifici soggetti ad autorizzazione integrata ambientale;
    il sopra indicato decreto n. 22 del 2013 riafferma, di fatto, la finalità dello schema di decreto del presidente della Repubblica, passato al Parlamento per il parere, di utilizzare il combustibile solido secondario come combustibile. La stessa premessa al decreto ministeriale n. 22 del 2013 sottolinea la necessità di «incoraggiare la produzione di combustibili solidi secondari (CSS) di alta qualità, aumentare la fiducia in relazione all'utilizzo di detti combustibili e fornire, con riferimento alla produzione e l'utilizzo di detti combustibili chiarezza giuridica e certezza comportamentale uniforme sull'intero territorio nazionale»;
    per i cementieri dell'Aitec (Associazione italiana tecnico economica cemento) si tratta di recupero energetico; per l'Associazione italiana medici per l'ambiente «la combustione di rifiuti nei cementifici comporta una variazione della tipologia emissiva di questi impianti, in particolare di diossine e metalli pesanti»;
    utilizzare i combustibili solidi secondari è dannoso per la salute e, soprattutto, è superato in quanto esistono moderne tecnologie e soluzioni alternative alla combustione che creano maggiori posti di lavoro e sono più sostenibili a livello economico e ambientale;
    la scelta dell'incenerimento dei rifiuti (combustibili solidi secondari) nei cementifici non è condivisibile se si considera la diversità esistente fra i limiti delle emissioni di inquinanti pericolosi per la salute previsti per i cementifici: polveri totali: mg 30/Nm3; biossido di zolfo: fino a mg 600/Nm3; ossido di azoto: mg 500/Nm3 per i nuovi impianti; mentre i limiti per gli stessi inquinanti prodotti dagli inceneritori sono: polveri totali: mg 10/Nm3; biossido di zolfo: mg 50/Nm3; ossido di azoto: mg 200/Nm3;
    i sostenitori della co-combustione di rifiuti sono soliti affermare che l'utilizzo di combustibile da rifiuti nei cementifici può consentire una riduzione dell'uso di combustibili fossili e, di conseguenza, una riduzione della produzione di anidride carbonica. Ciò che di solito viene taciuto è che un cementificio produce di solito circa il triplo di anidride carbonica rispetto ad un inceneritore. La sola cementeria Colacem di Galatina (Lecce), ad esempio, nel 2007 ha prodotto 774.000 tonnellate di anidride carbonica, circa il triplo delle emissioni di un inceneritore di grossa taglia come quello di Brescia (228.000 tonnellate di anidride carbonica nello stesso anno);
    l'utilizzo di combustibili solidi secondari per alimentare i forni di cottura dei cementifici produrrebbe, tra l'altro, gravi conseguenze in diverse aree del Paese, dove sono ubicati numerosi cementifici, in termini di inquinamento ambientale e di peggioramento degli attuali livelli di raccolta differenziata dei rifiuti;
    a ciò va aggiunta l'aggravante della mancanza, nel nostro Paese, di un serio ed efficace sistema nazionale di controlli ambientali;
    l'Italia è, peraltro, la nazione europea con più cementifici, con i suoi 58 impianti (22 per cento del totale degli impianti europei);
    dal punto di vista strettamente sanitario (escludendo dunque ogni considerazioni di tipo economico e sociale), una corretta gestione del ciclo dei rifiuti non dovrebbe assolutamente prevedere il loro incenerimento. Che si tratti di inceneritori «classici» o di cementifici, tale pratica è dannosa per l'ambiente e per gli esseri umani che lo popolano, come documentato da ormai innumerevoli testimonianze scientifiche;
    considerata l'abnorme produzione annua nazionale di anidride carbonica da parte di questi impianti, una minima riduzione è, dunque, una goccia nel mare, per giunta pagata a caro prezzo, soprattutto se si considera la sottrazione di rifiuti alla raccolta differenziata, al riciclo e al riuso (la vera valorizzazione dei rifiuti);
    peraltro, continuare a bruciare rifiuti è uno spreco di risorse e un alto costo in termini ambientali, inoltre, non si rispettano le disposizioni europee sul recupero della materia che è prioritario nella gerarchia d'intervento, continuando a ignorare anche la direttiva 96/62/CE sulle polveri sottili, finanche dopo la condanna dell'Italia da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea del 19 dicembre 2012;
    si ricorda che la direttiva 2008/98/CE, con l'obiettivo di ridurre l'impatto ambientale dei rifiuti, ha imposto una particolare attenzione da parte degli Stati dell'Unione europea al rispetto del principio gerarchico (le cosiddette «quattro r») previsto dalla medesima direttiva (riduzione, riutilizzo, riciclaggio e recupero energetico);
    la sopradetta gerarchia dei rifiuti prevede che al primo posto, nell'ordine di priorità, vi siano la prevenzione – individuata in una serie di misure finalizzate alla riduzione della quantità di rifiuti anche attraverso il riutilizzo dei prodotti o l'estensione del loro ciclo di vita – e la preparazione per il riutilizzo, ovvero le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui i rifiuti sono preparati per essere reimpiegati senza altro pretrattamento. Seguono poi il riciclaggio, il recupero e, a seguire, lo smaltimento;
    la direttiva 2008/98/CE è stata recepita nell'ordinamento italiano dal decreto legislativo n. 205 del 2010, che ha conseguentemente apportato diverse modifiche al decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto Codice ambientale);
    è evidente, quindi, come l'utilizzo dei rifiuti come fonte di energia deve essere valutato come finalità residuale, mentre il ricorso all'incenerimento dei rifiuti va in tutt'altra direzione rispetto alla corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti e all'indispensabile incremento della raccolta differenziata;
    l'uso dei combustibili solidi secondari nei cementifici rischia di tradursi in un ulteriore freno all'aumento dei livelli della raccolta differenziata come richiesti dalla normativa nazionale e comunitaria, allo sviluppo della filiera industriale del riciclo e al radicamento di una cultura ambientale e di un costume civico basati sull'uso consapevole dei beni, compresi gli stessi rifiuti,

impegna il Governo:

   ad escludere definitivamente, per quanto di competenza, la prosecuzione dell’iter di approvazione del decreto del Presidente della Repubblica sulla disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari, in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime di autorizzazione integrata ambientale, già presentato per il parere presso le Commissioni parlamentari competenti dal precedente Governo;
   a valutare attentamente – nella decisione di utilizzare in alcune categorie di cementifici i combustibili solidi secondari – gli effetti di tale scelta sulla salute pubblica, anche attraverso opportuni approfondimenti degli studi ambientali ed epidemiologici relativamente all'utilizzo di combustibili solidi secondari in determinati cementifici;
   ad assumere iniziative per escludere qualunque forma di «riconversione» dei cementifici in inceneritori;
   ad assumere, per quanto di competenza, iniziative per avviare adeguate forme di monitoraggio delle emissioni degli impianti di cui in premessa e gli opportuni controlli ambientali e sanitari nei territori interessati dagli impianti che utilizzano combustibili solidi secondari, anche al fine di un confronto di dati, laddove presenti, relativi alla qualità dell'aria e dell'acqua nelle aree interessate dai suddetti impianti prima dell'utilizzazione del combustibile solido secondario;
   a garantire, in raccordo con gli enti locali, adeguate e costanti modalità di informazione e pubblicità alle comunità locali, anche tramite i siti istituzionali dei comuni interessati, circa i risultati dell'attività di monitoraggio sanitario e ambientale in relazione alle emissioni conseguenti all'attività degli impianti che utilizzano combustibili solidi secondari;
   ad attuare, per quanto di competenza, opportune forme di controllo al fine di garantire che le caratteristiche del combustibile solido secondario, utilizzato dagli impianti di cui in premessa, rispondano effettivamente a quanto previsto dalla normativa vigente.
(1-00188) (Nuova formulazione) «Zan, Zaratti, Pellegrino, Migliore, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Di Salvo».


   La Camera,
   premesso che:
    nel mese di gennaio 2013 è stato presentato alle commissioni parlamentari competenti lo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente regolamento recante «disciplina dell'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime dell'autorizzazione integrata ambientale», atto del Governo n. 529, con termine per la trasmissione del parere il 13 febbraio 2013;
    la 13o Commissione del Senato della Repubblica, in data 16 gennaio 2013, ha espresso parere favorevole all'atto del Governo, mentre l'VIII Commissione della Camera dei deputati, in data 11 febbraio 2013, dopo ampia discussione, «ritenuto assolutamente necessario svolgere un approfondimento con appropriate forme di consultazione; valutata la rilevanza delle conseguenze del provvedimento sul funzionamento del sistema dei cementifici e della tutela ambientale e della gestione dei rifiuti; ritenuto indispensabile il coinvolgimento delle regioni e ritenuto quindi necessario rinviare alla prossima legislatura l'adozione del provvedimento in questione», ha espresso parere contrario;
    a seguito di tale posizione del Parlamento, il Governo non ha, quindi, proceduto, per quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, all'approvazione definitiva del decreto del Presidente della Repubblica;
    tuttavia, in data 14 febbraio 2013, il Governo Monti ha emanato il «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni», di cui al decreto ministeriale n. 22 del 2013, che, dettando la disciplina per trasformare i rifiuti urbani e speciali in combustibili solidi secondari, CSS-combustibile, riclassificando questi ultimi da rifiuti a sottoprodotti, consente in realtà a grandi impianti di cementifici e centrali termoelettriche, sotto determinate condizioni, di utilizzare il CSS-combustibile per la produzione di energia termica o elettrica, escludendo dalla disciplina dei rifiuti tali combustibili;
    tale comportamento del Governo Monti si presenta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, come un atto di forza inopportuno e da stigmatizzare, poiché ha scavalcato le indicazioni e le direttive del Parlamento e, in realtà, ha conseguito la sostituzione di un atto «bocciato» dall'VIII Commissione della Camera dei deputati con un altro che, nel concreto, produce analoghi effetti;
    l'atto del Governo n. 529 aveva lo scopo di disciplinare e agevolare l'utilizzo dei combustibili solidi secondari (CSS) da parte dei cementifici, dettando, all'articolo 3, le condizioni affinché modifiche impiantistiche o edilizie realizzate all'interno del perimetro dei cementifici siano considerate modifiche non sostanziali ai fini dell'esclusione dagli obblighi e dai procedimenti disciplinati dalla parte II decreto legislativo n. 152 del 2006, concernenti la valutazione di impatto ambientale e l'autorizzazione integrata ambientale;
    tale atto del Governo n. 529, fatte salve le disposizioni dell'articolo 184-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 sulla cessazione della qualifica di rifiuto, manteneva comunque la classificazione del combustibile solido secondario (CSS) come rifiuto speciale, sottoponendolo alle condizioni di esercizio previste per il coincenerimento, di cui al decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133;
    lo scopo del decreto ministeriale n. 22 del 2013 è, soprattutto, quello di facilitare e promuovere l'utilizzo da parte dei grandi impianti di cementifici e centrali di una determinata tipologia di combustibile solido secondario, il CSS-combustibile, che, ai sensi dell'articolo 184-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006, cessa di essere rifiuto e diventa un sottoprodotto, svincolandosi dalle limitazioni poste dalla normativa sui rifiuti, in virtù delle caratteristiche di qualità ambientale e dei controlli cui viene sottoposto l'intero ciclo di produzione di tale materiale e le caratteristiche di qualità degli impianti, ferme restando le condizioni di esercizio identiche a quelle previste per il coincenerimento di rifiuti, di cui al decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133;
    senz'altro, occorrono azioni concrete e mirate alla conservazione delle risorse terrestri e alla riduzione dei rifiuti da conferire in discarica, all'incentivazione dell'utilizzo delle fonti rinnovabili e delle biomasse, alla semplificazione e facilitazione dei processi autorizzativi per la produzione di energia da tali fonti (che rendono realizzabile un reale incremento di produzione), alla riduzione della dipendenza del Paese dalle materie fossili e, quindi, dall'estero, ma anche all'incentivazione dell'utilizzo di migliori tecnologie per la diminuzione delle emissioni inquinanti in aria, acqua, suolo, senza tuttavia penalizzare lo sviluppo economico e i diritti alla tranquillità dei cittadini, sia per un sufficiente approvvigionamento energetico del Paese, sia per la tutela della propria salute;
    in materia di rifiuti, le amministrazioni locali e le regioni del Nord hanno responsabilmente attuato forme di gestione del ciclo dei rifiuti che hanno raggiunto un'eccellenza riconosciuta a livello internazionale;
    la filiera della gestione dei rifiuti al Nord rispetta la differenziazione e la gerarchia stabilita dalle direttive comunitarie, che prevedono una sequenza di priorità, come prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia, e, infine, lo smaltimento;
    tale gerarchia deve essere rigorosamente seguita anche nella catena della produzione del combustibile solido secondario, allo scopo di evitare la disincentivazione della differenziazione e delle filiere di recupero delle materie riutilizzabili nei cicli di produzione;
    le regioni e gli enti locali del Nord hanno raggiunto un'autosufficienza nella gestione differenziata dei propri rifiuti, privilegiando il criterio della prossimità ai fini del recupero e dello smaltimento, che permette alle amministrazioni di ridurre i costi aggiuntivi di trasporto ed evita ai cittadini di prestare il proprio territorio per smaltire i rifiuti di altri territori;
    l'eccellenza raggiunta dai comuni del Nord nella gestione dei rifiuti, anche grazie a campagne di informazione e iniziative di coinvolgimento dei cittadini, rende ancora più evidenti le criticità riscontrate in altre aree del Paese, in particolare del Centro-Sud, che spesso hanno danneggiato non solo l'immagine ma anche l'economia dell'intero Paese, sia attraverso le procedure di infrazione e le multe che è costretta a pagare l'Italia alla Commissione europea, sia attraverso le ripercussioni al comparto turistico;
    chiaramente, dopo la riduzione, la selezione e il recupero di materia da rifiuto e l'utilizzo dell'umido per la produzione di biomassa e di compost, essendo impossibile recuperare il cento per cento di tutti i rifiuti, resta sempre una minima parte che è impossibile recuperare e, pertanto, occorre considerare anche la possibilità di produrre energia attraverso il trattamento dei rifiuti per poter evitare di riempire il territorio di discariche; questo deve avvenire in modo tale da fornire un'ulteriore opportunità a tutta la comunità, attraverso i termovalorizzatori, il teleriscaldamento, la produzione di energia termica o elettrica;
    la produzione di combustibili solidi secondari, combustibile solido secondario o CSS-combustibili, che, grazie a particolari tecnologie innovative ambientalmente sostenibili, diventano rifiuti speciali da urbani o addirittura cessano di essere rifiuti e diventano sottoprodotti e comunque possono essere utilizzati in sostituzione di combustibili convenzionali per finalità ambientali ed economiche, deve comunque rispettare il criterio di prossimità e non deve diventare la scusa per poter esportare fuori territorio i rifiuti solidi urbani; pertanto, gli impianti di trasformazione dei rifiuti urbani in combustibile solido secondario devono comunque restare all'interno di ciascuna regione dove vengono prodotti i rifiuti urbani;
    l'incenerimento del combustibile solido secondario per la produzione di energia termica comporta senz'altro una riduzione degli oneri ambientali ed economici legati allo smaltimento di rifiuti in discarica, un risparmio di risorse naturali e una riduzione della dipendenza del Paese da combustibili convenzionali ai fini dell'approvvigionamento energetico;
    chiaramente nel caso di incenerimento del combustibile solido secondario ai fini della produzione del clinker nei cementifici, ossia in impianti che non sono dedicati al solo incenerimento di rifiuti, esiste comunque una variazione della tipologia emissiva dell'impianto che occorre valutare nell'ambito dell'autorizzazione integrata ambientale da parte dell'autorità competente e stabilire le condizioni per poter attuare tale incenerimento senza provocare danni per l'ambiente e per la salute dei cittadini, tenendo conto che sta avvenendo una trasformazione dell'impianto originario che deve tenere conto anche delle condizioni al contorno e del fatto che spesso tali impianti sono situati in aree urbanizzate;
    fermo restando il fatto che già oggi i cementifici bruciano combustibile solido secondario e rifiuti, come farine animali o pneumatici fuori uso, la convenienza ambientale di trasformare i rifiuti in CSS-combustibile è quella della qualità; il CSS-combustibile rappresenta un sottoprodotto, conveniente anche commercialmente in quanto svincolato dalla disciplina dei rifiuti, di cui viene tracciato il percorso di produzione e sono noti la propria tipologia e il potere calorifico; l'utilizzo di CSS-combustibile garantisce, dunque, una maggiore tutela per l'ambiente e per un controllo superiore sulla tipologia dei materiali contenuti;
    in ogni caso, per ciascun impianto destinato a bruciare anche combustibile solido secondario o CSS-combustibile proveniente da rifiuti urbani o speciali, i limiti imposti dall'autorizzazione integrata ambientale per le emissioni devono tenere conto di tale possibilità e devono essere analoghi a quelli previsti per gli impianti dedicati, termovalorizzatori o inceneritori, indicando valori limite per le sostanze inquinanti che tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente, anche con riguardo al traffico indotto relativo al trasporto del combustibile solido secondario e alla possibilità del trasporto su rotaia dei materiali, per garantire i cittadini circa la sostenibilità ambientale di ciascun impianto;
    in particolare, in pareggio del potere calorifico del carbone occorre 1,8 chilogrammi di combustibile solido secondario per ciascun chilogrammo di carbone; pertanto, c’è senz'altro un incremento del traffico indotto dal trasporto dei materiali che bisogna considerare nell'ambito delle autorizzazioni degli impianti da parte delle regioni;
    inoltre, l'esercizio dei controlli, affidato giustamente alle amministrazioni locali competenti, spesso, specialmente in alcune realtà territoriali del Paese, è piuttosto carente, permettendo l'inserimento della criminalità organizzata nel ciclo della gestione dei rifiuti;
    la possibilità di bruciare il combustibile solido secondario o CSS-combustibile nei cementifici si presenta, pertanto, come una situazione complessa che richiede un approfondito esame da parte del Governo e del Parlamento, che deve coinvolgere anche il mondo economico e gli enti territoriali interessati;
    per poter procedere alla produzione di combustibili solidi secondari di alta qualità, occorre acquisire la fiducia della popolazione in relazione all'utilizzo di detti combustibili e fornire, con riferimento alla produzione e all'utilizzo di detti combustibili, chiarezza giuridica e certezza comportamentale da parte degli operatori, a garanzia dei cittadini circa le buone pratiche utilizzate e la tutela della propria salute,

impegna il Governo:

  a promuovere un approfondito dibattito sulla materia fornendo alle commissioni parlamentari competenti un quadro aggiornato sull'attuale utilizzo del combustibile solido secondario e del CSS-combustibile nei cementifici, sia in Italia, disaggregato per regioni, sia all'estero, anche sulla base di approfonditi studi scientifici specifici, con particolare riferimento:
   a) alle emissioni di sostanze inquinanti e alle possibili conseguenze sul piano ambientale, sanitario e sociale, anche a seguito di eventuali malfunzionamenti o errori di gestione;
   b) alle conseguenze sul piano organizzativo del trasporto dei materiali e alle ripercussioni del traffico indotto sulle realtà territoriali locali;
   c) alle restrizioni che occorre individuare circa la circolazione in altre regioni del combustibile solido secondario proveniente da rifiuti urbani, garantendo, comunque, il criterio di prossimità e che gli impianti di trasformazione dei rifiuti urbani in combustibile solido secondario siano comunque situati all'interno di ciascuna regione dove vengono prodotti i rifiuti;
   d) al rispetto rigoroso della gerarchia di gestione dei rifiuti prevista dalle direttive comunitarie nella catena della produzione sia del CSS-combustibile, sia del combustibile solido secondario, allo scopo di evitare la disincentivazione della differenziazione e delle filiere di recupero delle materie riutilizzabili nei cicli di produzione;
   e) agli strumenti di informazione e consultazione in relazione ai progetti in essere per l'utilizzo di combustibili alternativi da parte dei cementifici;
   f) al rafforzamento, con ogni strumento a disposizione e su tutto il territorio nazionale, del sistema dei controlli, sia sulle emissioni inquinanti dei cementifici mediante una rete di monitoraggio ambientale, sia sul processo di gestione dei combustibili solidi secondari utilizzati in tali impianti, sia sul rispetto della gerarchia nella gestione dei rifiuti ai fini della produzione del combustibile solido secondario.
(1-00189) «Grimoldi, Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 183, comma 1, lettera cc), del codice dell'ambiente, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, reca la definizione di combustibile solido secondario: «il combustibile solido prodotto da rifiuti che rispetta le caratteristiche di classificazione e di specificazione individuate delle norme tecniche UNI CEN/TS 15359 e successive modifiche ed integrazioni; fatta salva l'applicazione dell'articolo 184-ter, il combustibile solido secondario, è classificato come rifiuto speciale»;
    nella Gazzetta Ufficiale del 14 marzo 2013, n. 62, è stato pubblicato il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 14 febbraio 2013, n. 22, «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni», che prima dell'emanazione è stato preventivamente notificato alla Commissione europea ed è stato approvato decorso il termine di «stand still»;
    come indicato nel titolo, il regolamento attua, dunque, l'articolo 184-ter (rubricato «Cessazione dalla qualifica di rifiuto») del codice dell'ambiente, stabilendo, nel rispetto degli standard di tutela ambientale e della salute, le condizioni alle quali alcune tipologie di combustibile solido secondario cessano di essere rifiuti e sono da considerare, a tutti gli effetti, un prodotto (la cosiddetta end of waste ai sensi della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti);
    nel regolamento sono, dunque, definite le condizioni e i requisiti in base ai quali, dalle operazioni di trattamento di specifiche tipologie di rifiuti, si ottiene il prodotto denominato combustibile solido secondario, nonché le relative condizioni di utilizzo in alcune specifiche tipologie di impianti industriali (cementifici e centrali termoelettriche) ritenute idonei, al fine di rispettare gli standard di tutela dell'ambiente e della salute umana;
    in particolare, sotto il profilo della tutela dell'ambiente e della salute, il decreto n. 22 del 2013 stabilisce che il combustibile solido secondario può essere utilizzato solo in impianti che rispettano le condizioni di esercizio stabilite nel decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133, in materia di co-incenerimento di rifiuti, che ha recepito nell'ordinamento nazionale la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 dicembre 2000, 2000/76/CE, sull'incenerimento dei rifiuti;
    l'articolo 13 del decreto n. 22 del 2013 stabilisce, inoltre, che possono utilizzare combustibile solido secondario solo gli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, obbligati, come tali, al rispetto delle migliori tecnologie disponibili (best available techniques, bat);
    pertanto, l'utilizzo del combustibile solido secondario deve, comunque, rispettare i valori limite di emissioni in atmosfera indicati o calcolati secondo quanto descritto nell'allegato 2 del citato decreto legislativo n. 133 del 2005;
    per poter procedere all'utilizzo del combustibile solido secondario, inoltre, gli impianti devono rispettare anche le prescrizioni, più restrittive, contenute nella rispettiva autorizzazione integrata ambientale: ai sensi dell'articolo 13 del decreto n. 22 del 2013, infatti, possono utilizzare combustibile solido secondario solo gli impianti soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, obbligati, come tali, al rispetto delle migliori tecnologie disponibili (best available techniques, bat);
    in materia di emissioni dei cementifici e di eventuali variazioni della loro tipologia, numerosi sono gli studi che analizzano gli effetti dell'utilizzo di combustibili alternativi nei cementifici; da ultimo, nel 2011, uno studio condotto dal «Network for business sustainability» (Canada) in collaborazione con il Politecnico di Bari (facoltà di ingegneria meccanica) ha raffrontato le pubblicazioni internazionali in materia. Sono stati giudicati rilevanti ai fini dello studio più di 110 articoli tecnici, rapporti di associazioni internazionali di ricerca e organizzazioni governative, pubblicazioni di ricercatori universitari, life cycle analysis, la maggior parte dei quali conclude che le emissioni dai camini di anidride carbonica, ossido di azoto, diossido di zolfo, metalli, diossine e furani sono generalmente inferiori rispetto a quelle generate con l'utilizzo di combustibili fossili;
    sulla questione, in particolare delle diossine generate nel processo di combustione, i processi di combustione che avvengono a temperature molto elevate, quali quelli dei cementifici, e l'utilizzo del combustibile solido secondario con dosaggi e proporzioni prestabilite e controllate non favoriscono la formazione di diossine, quanto, invece, la distruzione e la completa ossidazione delle molecole inquinanti di natura organica eventualmente presenti; con riferimento agli ossidi di azoto, l'istruttoria del decreto ministeriale si è basata su esperienze tecniche condotte in Italia e in tutta Europa che evidenziano una diminuzione dei livelli emissivi in caso di utilizzo di combustibile solido secondario, come rilevato anche dal Politecnico di Torino (Genon, Brizio, 2008) e dalla provincia di Cuneo (settore tutela ambiente, atti Forum PA 2009);
    il bilancio emissivo e ambientale preso a riferimento per la stesura del decreto ministeriale n. 22 del 2013 è risultato, complessivamente, a favore dell'impiego del combustibile solido secondario nei cementifici, sia sotto l'aspetto del miglioramento dell'impatto emissivo degli stessi rispetto alla normale conduzione con combustibili fossili, sia sotto l'aspetto dell'eliminazione delle emissioni del processo di incenerimento, sia, in particolare, per quanto riguarda gli impatti della messa in discarica dei rifiuti altrimenti non impiegati nella filiera di produzione ed utilizzo del combustibile solido secondario;
    inoltre, è necessario ricordare che la produzione e l'utilizzo del combustibile solido secondario sono soggetti non solo a tutte le attività di controllo previste dall'ordinamento, ma anche a una serie di ulteriori e specifici controlli previsti nello stesso decreto ministeriale n. 22 del 2013;
    la produzione dei rifiuti ha mostrato, negli ultimi decenni, una crescita vertiginosa: dalla metà degli anni ’90 ad oggi, quella italiana è quasi raddoppiata, con conseguenze naturalmente molto gravi dal punto di vista ambientale e della salute, in particolare perché la maggior parte dei rifiuti prodotti è sottoposta a smaltimento in discarica; nel 2010, in base ai dati Ispra, oltre 17,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani sono stati smaltiti in discarica; nel 2009, sono stati prodotti 128,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali totali e la quota di rifiuti speciali destinata al recupero di energia rappresenta solo l'1,5 per cento, mentre il 9,6 per cento è la quota di rifiuti speciali destinata allo smaltimento in discarica;
    in Italia, tra l'altro, alla questione della produzione e dello smaltimento dei rifiuti si lega un problema molto grave, quello dello smaltimento illegale di rifiuti industriali, che rappresenta un pericoloso campo d'attività delle ecomafie e uno tra i business illegali più redditizi; naturalmente, ciò ha gravi ripercussioni nel campo della sicurezza ambientale e sanitaria, dal momento che i rifiuti, anziché essere trattati e gestiti secondo le norme di legge, finiscono per essere fonte di inquinamento dell'aria, di contaminazione delle acque sotterranee, di inquinamento dei fiumi e delle coltivazioni agricole, rischiando di contaminare con metalli pesanti, diossine e altre sostanze cancerogene anche i prodotti alimentari;
    il problema dello smaltimento dei rifiuti in Italia e le emergenze che in molti casi vi sono connesse richiedono la predisposizione di una politica complessiva in materia, con le soluzioni integrate che tengano in debita considerazione gli obiettivi fissati anche a livello europeo e la «gerarchia» indicata nella normativa in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti, in particolare, la direttiva 2008/98/CE: dalla prevenzione, alla preparazione per il riutilizzo, al riciclaggio, al recupero (tra cui, appunto, il recupero di energia) e, infine, come soluzione ultima, lo smaltimento;
    è compito di ciascuno Stato membro adottare quelle misure che favoriscano il miglior risultato ambientale complessivo e, a tale fine, ai sensi dell'articolo 4, secondo comma, della stessa direttiva, può essere necessario che flussi di rifiuti specifici «si discostino dalla gerarchia laddove ciò sia giustificato dall'impostazione in termini di ciclo di vita in relazione agli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti»;
    l'enorme produzione di rifiuti, in particolare nella situazione italiana, richiede dunque la gestione di un regime transitorio che permetta lo sviluppo compiuto delle politiche e delle azioni necessarie a garantire la soluzione di lungo termine al problema, attraverso la riduzione della produzione di rifiuti, il riuso, l'aumento della raccolta differenziata e del riciclo, consentendo di risparmiare materie prime e ridurre l'uso delle discariche – e, quindi, anche lo sfruttamento e l'inquinamento del suolo – ed effettivamente costruire un ciclo dei rifiuti integrato, virtuoso e sostenibile;
    pur essendo prioritario massimizzare il riciclo e le politiche di prevenzione nella produzione, è altresì importante iniziare ad utilizzare il combustibile solido secondario in parziale co-combustione negli impianti industriali esistenti, proprio al fine di sostituire una parte dei combustibili fossili e inquinanti utilizzati fino ad oggi, tra i quali petroleum coke, polverino di carbone ed altri;
    tale scelta permette, tra l'altro, di limitare il ricorso alle discariche e agli inceneritori, evitando di inchiodare il ciclo dei rifiuti all'opzione meno preferibile (smaltimento) con il rischio di bloccare le possibilità di sviluppo del riciclaggio o delle politiche di prevenzione;
    in concreto, l'effetto dell'utilizzo del combustibile solido secondario nei cementifici non ha tali effetti negativi sullo sviluppo della raccolta differenziata: da un lato, la disciplina europea e quella nazionale impongono comunque obiettivi minimi di raccolta differenziata che devono essere rispettati; dall'altro, la raccolta differenziata della frazione umida potrebbe, al contrario, essere incentivata. In tal senso, l'articolo 6, secondo comma, del decreto ministeriale n. 22 del 2013 richiama espressamente l'articolo 179 del codice dell'ambiente, proprio al fine di evitare che la produzione del combustibile solido secondario avvenga nel mancato rispetto della gerarchia indicata a livello europeo nella gestione dei rifiuti;
    il ciclo integrato dei rifiuti prevede che il recupero energetico si effettui a valle del processo di corretta raccolta e riciclo dei rifiuti, ovvero sulla percentuale del 25-30 per cento restante;
    tale percentuale va poi trattata: il combustibile solido secondario è, infatti, un tipo di combustibile prodotto dai rifiuti non pericolosi e ottenuto attraverso un complesso e controllato processo di produzione. Per essere classificato come combustibile solido secondario, il combustibile da rifiuti deve possedere determinate caratteristiche e parametri qualitativi, che sono prescritti nelle norme tecniche europee che regolamentano il suo processo produttivo;
    l'utilizzo di rifiuti nei cementifici è una pratica largamente diffusa ed è riconosciuta a livello europeo come best available technique, favorendo la riduzione delle emissioni di gas serra nonché di anidride carbonica prodotte dalle discariche; nei Paesi europei più avanzati, il tasso di sostituzione termica dei combustibili fossili con i combustibili solidi secondari nelle cementerie ha raggiunto nel 2011: l'83 per cento in Olanda, il 62 per cento in Germania, il 63 per cento in Austria, il 40 per cento in Polonia, il 30 per cento in Francia, il 22 per cento in Spagna (dati aggiornati al 2011 in base alle fonti ufficiali Aitec). Nel 2012, solo il 10 per cento dell'energia termica necessaria per la produzione del cemento in Italia proviene da fonti energetiche alternative, il restante 90 per cento circa è ottenuto con l'utilizzo di combustibili fossili non rinnovabili;
    la gestione dell'utilizzo del combustibile solido secondario ha alimentato, insieme ad un ampio dibattito, alcune preoccupazioni riguardo all'impatto delle emissioni sui livelli di tutela dell'ambiente e della salute, in particolare nelle comunità locali più prossime agli impianti;
    risulta, pertanto, necessario adottare tutte le iniziative volte ad aumentare la fiducia in relazione all'utilizzo di detti combustibili e fornire, con riferimento alla produzione e all'utilizzo di combustibile solido secondario, chiarezza giuridica e certezze scientifiche, in particolare riguardo alle emissioni dei cementifici e alle eventuali variazioni della loro tipologia,

impegna il Governo:

   ad effettuare un'approfondita comparazione in merito alle condizioni tecnologiche ed operative che disciplinano l'impiego del combustibile solido secondario in altri Paesi europei;
   ad avviare approfondimenti tecnici multidisciplinari per verificare se e a quali condizioni l'utilizzo del combustibile solido secondario nei cementifici non determina rischi per la salute e per l'ambiente, con particolare riferimento alle effettive emissioni di sostanze inquinanti derivanti dall'uso dei rifiuti come combustibili, che tengano conto non solo del funzionamento degli impianti a regime e in condizioni di massima sicurezza, ma anche dei possibili rischi derivanti da malfunzionamenti, fuori servizio e gestione dei transitori;
   a fornire, a seguito di tali accertamenti preliminari, un quadro aggiornato sull'attuazione, da parte dei settori industriali coinvolti, del potenziale costituito dal combustibile solido secondario, fornendo anche informazioni circa i processi autorizzativi avviati a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 22 del 2013, nonché a rendere alle competenti Commissioni parlamentari ogni necessario elemento informativo relativo alle verifiche tecniche attuate e al vaglio dei risultati di tali verifiche, nonché ai dati di utilizzo del combustibile solido secondario, anche sulla base delle comunicazioni annuali previste dall'articolo 14 del decreto ministeriale n. 22 del 2013 a carico dei produttori e degli utilizzatori di combustibile solido secondario;
   ad adottare tutte le iniziative necessarie a tutela della salute e dell'ambiente, anche integrative, o, se necessario, di modifica del decreto ministeriale n. 22 del 2013;
   a prevedere adeguati strumenti di informazione e consultazione in relazione ai progetti di utilizzo, nell'ambito dei singoli cementifici, dei combustibili alternativi, tra cui i combustibili solidi secondari, in luogo dei combustibili tradizionali (carbone, petroleum coke ed altri), in particolare prevedendo forme di coinvolgimento delle regioni interessate a tali processi;
   a garantire la completa e verificata applicazione della normativa ambientale relativa all'esercizio degli impianti di produzione di cemento a ciclo completo, nonché ad assumere iniziative normative ad hoc per garantire, altresì, la completa trasparenza e aderenza alle severe norme comunitarie in materia di emissioni, nei processi di autorizzazione, che, nel caso di istanza da parte del gestore dell'impianto di utilizzo, dovranno essere considerati dall'autorità competente uno ad uno;
   a procedere rapidamente alla costituzione del comitato di vigilanza e controllo previsto all'articolo 15 del decreto ministeriale n. 22 del 2013, avente il compito di garantire il monitoraggio della produzione e dell'utilizzo del combustibile solido secondario ai fini di una maggiore tutela ambientale – nonché la verifica dell'applicazione di criteri di efficienza, efficacia ed economicità, di intraprendere le iniziative idonee a portare a conoscenza del pubblico informazioni utili o opportune in relazione alla produzione e all'utilizzo del combustibile solido secondario, anche sulla base dei dati trasmessi dai produttori e dagli utilizzatori di cui all'articolo 14 del medesimo decreto, nonché di assicurare il monitoraggio sull'attuazione della disciplina dettata dal decreto, garantire l'esame e la valutazione delle problematiche collegate, favorire l'adozione di iniziative finalizzate all'applicazione uniforme e coordinata del regolamento e sottoporre eventuali proposte integrative o correttive della normativa;
   a rafforzare con ogni strumento a disposizione, in particolare in materia di emissioni inquinanti, il processo di costruzione di un moderno ed efficace sistema di controlli ambientali in tempo reale, al fine di garantire ai cittadini effettive ed efficaci forme di tutela della salute e assieme dell'ambiente, anche con la prescrizione di precise procedure tecniche che impongano agli operatori l'obbligo di rendere disponibili on line i dati raccolti;
   a definire linee guida che specifichino, per gli impianti utilizzatori del combustibile solido secondario, tecnologie di processo e di trattamento degli effluenti gassosi, liquidi e solidi, tali da garantire la qualità e la quantità delle emissioni nel rispetto delle normative di settore;
   nel rispetto del decreto ministeriale n. 22 del 2013, a mettere in atto misure che evitino che gli standard di qualità ambientali definiti dalle vigenti normative siano raggiunti attraverso meri effetti di diluizione del combustibile solido secondario con i tradizionali combustibili;
   a intraprendere le iniziative idonee a portare a conoscenza delle popolazioni interessate tutte le informazioni relative alla produzione e all'utilizzo del combustibile solido secondario;
   a definire, d'intesa con le regioni, modalità e limiti quantitativi di utilizzo del combustibile solido secondario, tenendo conto delle percentuali di raccolta differenziata raggiunte, al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi comunitari e nazionali di raccolta differenziata e di recupero della materia.
(1-00193) «Borghi, Latronico, Matarrese, Carrescia, Alli, Arlotti, Baldelli, Dorina Bianchi, Mariastella Bianchi, Braga, Bratti, Castiello, Cominelli, D'Agostino, Dallai, Decaro, Distaso, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Mazzoli, Morassut, Moretto, Realacci, Giovanna Sanna, Vella, Zardini».


MOZIONI MOLTENI ED ALTRI N. 1-00183, BRAGA ED ALTRI N. 1-00013, DI SALVO ED ALTRI N. 1-00204 E PIZZOLANTE ED ALTRI N. 1-00205 CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DEI LAVORATORI FRONTALIERI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    sono quasi 60.000 i lavoratori delle aree di confine del nostro Paese, cosiddetti «frontalieri», che quotidianamente si recano per lavoro in Svizzera, principalmente nei Cantoni Ticino e dei Grigioni;
    negli ultimi anni, il numero dei frontalieri che lavorano nella Confederazione svizzera è cresciuto in misura notevole (6-7 per cento nel 2012) anche a causa della grave crisi economica-occupazionale che ha investito il nostro Paese e che, oggi, non mostra segni concreti di superamento;
    il fenomeno del frontalierato nel nostro Paese è ancora più ampio se si considerano gli 85.000 lavoratori di tutti i territori italiani di confine (Piemonte, Lombardia, Veneto, Trento, Bolzano, Friuli e Romagna) che quotidianamente attraversano i confini nazionali per andare a lavorare, oltre che in Svizzera, in Francia, in Austria, in Slovenia o a San Marino; questi lavoratori svolgono oltretutto un'importante funzione di compensazione in un mercato del lavoro interno caratterizzato da un elevato tasso di disoccupazione ed un crescente ricorso agli ammortizzatori sociali;
    i settori coinvolti riguardano principalmente l'attività manifatturiera e le costruzioni, oltre che sempre più il terziario: in Ticino, in particolare, l'andamento recente dei permessi ai frontalieri mostra l'incremento più alto in settori quali ricerca e sviluppo, attività di engineering e attività finanziarie, offrendo un'opportunità ai giovani laureati, i quali a loro volta diventano una risorsa ben impiegata dai vicini elvetici;
    divenuto ormai un fenomeno strutturale del mercato del lavoro ed un aspetto rilevante nei rapporti con la Svizzera, il lavoro frontaliero costituisce un importante contributo allo sviluppo di questi Paesi e rappresenta un'elevata risorsa per l'economia delle province di confine;
    la presenza di un consistente numero di frontalieri ha indotto in passato lo Stato italiano e la Confederazione svizzera a stipulare numerosi accordi bilaterali per regolare varie questioni riguardanti, tra l'altro, la previdenza sociale, l'imposizione fiscale e l'indennità di disoccupazione;
    in Svizzera, il mercato del lavoro è determinato da una flessibilità estrema, poiché ogni contratto di lavoro può essere risolto da ciascuna delle parti contraenti senza la presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, con il solo preavviso di tre mensilità al massimo;
    ciò significa che, ovviamente, aumenta la richiesta di lavoratori frontalieri italiani nel periodo in cui l'economia svizzera è florida, ma, nelle fasi di crisi, i primi a perdere il posto di lavoro sono proprio i frontalieri, che, peraltro, non possono usufruire degli ammortizzatori sociali vigenti in Svizzera;
    la legge 5 giugno 1997, n. 147 (norme in materia di trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro) all'articolo 1 prevede che: «Ai fini dell'attuazione di quanto previsto dall'accordo fra Italia e Svizzera sulla retrocessione finanziaria in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri, con protocollo, scambio di note e accordo amministrativo, firmati a Berna il 12 dicembre 1978, reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1980, n. 90, l'istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) è incaricato di provvedere alla corresponsione dei trattamenti speciali di disoccupazione di cui alla presente legge in favore dei lavoratori frontalieri italiani divenuti disoccupati in Svizzera a seguito di cessazione non a loro imputabile del rapporto di lavoro». E, inoltre, al comma 2 del predetto articolo viene disposto che: «Presso l'INPS è istituita, per l'intero periodo di validità dell'accordo di cui al comma 1, la gestione con contabilità separata per l'erogazione dei trattamenti speciali di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, finanziata dalla retrocessione da parte elvetica delle quote di contribuzione versate dai lavoratori». Inoltre, al comma 4 del predetto articolo viene disposto che «La corresponsione dei trattamenti speciali di disoccupazione, a norma della presente legge, è limitata all'esaurimento delle disponibilità della gestione di cui al comma 2»;
    la legge n. 147 del 1997 disciplina le categorie di lavoratori che possono fruire dei trattamenti di disoccupazione speciali, la durata degli stessi e le modalità per richiederli; nello specifico, i lavoratori frontalieri erano assoggettati ad una trattenuta mensile sul salario ricevuto in Svizzera che veniva poi, in parte, trasferita all'Istituto nazionale della previdenza sociale, su una contabilità separata, destinata al pagamento dell'indennità di disoccupazione speciale;
    il protocollo addizionale all'allegato II dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone, entrato in vigore il 1o giugno 2002, tra la Confederazione svizzera, da un lato, e l'Unione europea e i suoi Stati membri, dall'altro, in materia di disoccupazione, ha previsto una proroga, per un periodo di sette anni a decorrere dal 1o giugno 2002, dell'accordo bilaterale sulla retrocessione finanziaria (circolare n. 78 del 2003). Terminata la proroga di sette anni dell'accordo italo-svizzero, sulla retrocessione finanziaria in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri, dal giugno 2009, la Confederazione svizzera è tenuta ad applicare i regolamenti comunitari di sicurezza sociale, che contengono anche norme specifiche in materia di disoccupazione dei lavoratori frontalieri. Pertanto, la Confederazione svizzera non potrà più trasferire i contributi, ancorché questi continueranno ad essere oggetto di detrazione sulla busta paga dei lavoratori frontalieri;
    nei rapporti tra Stato italiano e Confederazione svizzera, Paese membro dello spazio economico europeo, attualmente si applicano i regolamenti comunitari in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. La disciplina delle indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri è contenuta negli articoli 65 e seguenti del regolamento (CE) n. 883/2004. In tale articolo viene previsto che il disoccupato, già frontaliero, ha diritto alle prestazioni di disoccupazione a carico dello Stato di residenza e che le stesse devono essere corrisposte dall'istituzione competente di tale Stato come se, nel corso della sua ultima attività lavorativa, il lavoratore fosse stato soggetto alla legislazione dello Stato di residenza;
    il lavoratore deve, quindi, soddisfare le condizioni richieste dalla legislazione del Paese di residenza per conseguire il diritto alle prestazioni di disoccupazione;
    per accertare se tali condizioni siano soddisfatte, l'istituzione del Paese di residenza tiene conto dei periodi di assicurazione compiuti sotto la legislazione dell'altro Paese, considerandoli come periodi di assicurazione compiuti sotto la legislazione da essa applicata, a prescindere dalla circostanza che l'interessato risulti già assicurato nel quadro di tale legislazione. Il sopra citato regolamento (CE) n. 883/2004 prevede, poi, all'articolo 65, paragrafi 6 e 7, che la Confederazione svizzera rimborsi all'Italia l'intero importo delle prestazioni erogate da quest'ultima durante i primi tre mesi di disoccupazione per ogni soggetto interessato, altresì i primi cinque mesi se il soggetto, durante i 24 mesi precedenti, ha maturato contributi nella Confederazione svizzera per almeno 12 mesi;
    con circolare dell'Inps 4 aprile 2013, n. 50, l'Istituto precisava che «il disoccupato residente in Italia che sia frontaliero in Svizzera – in quanto persona che, nel corso della sua ultima attività lavorativa, risiedeva in uno Stato membro (Italia) diverso da quello competente (Svizzera) e continua a risiedere in tale Stato membro – riceve le prestazioni in base alla legislazione dello Stato membro di residenza come se fosse stato soggetto a tale legislazione durante la sua ultima attività lavorativa» e che, pertanto, «il diritto, la misura e la durata della prestazione saranno determinati, come per i lavoratori rimasti disoccupati in Italia, per i diritti maturati con decorrenza fino al 31 dicembre 2012, secondo le norme che disciplinano l'indennità di disoccupazione ordinaria. A decorrere dal 1o gennaio 2013 le prestazioni saranno concesse secondo le disposizioni, previste dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, per l'indennità di disoccupazione ASpI e mini ASpI»;
    gli uffici territoriali dell'Inps operanti nelle province di confine con la Svizzera, a partire dal mese di settembre 2012, hanno sospeso ai lavoratori frontalieri disoccupati l'erogazione dell'indennità speciale di disoccupazione, che è stata sostituita con la disoccupazione ordinaria e, a decorrere dal 1o gennaio 2013, con il nuovo sussidio di disoccupazione (ASpI) istituito con la cosiddetta legge di riforma Fornero;
    tali nuove misure penalizzano fortemente i lavoratori frontalieri, la cui indennità di disoccupazione subisce una decurtazione del 20-25 per cento e una riduzione del periodo di applicazione da 12 a 8 mesi;
    in sede di risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-00124, nella seduta del 4 giugno 2013 in Commissione lavoro pubblico e privato, è emerso che le somme residue sulla gestione istituita presso l'Inps, ex legge n. 147 del 1997, ammontano a 270 milioni di euro;
    il Ministero dell'economia e delle finanze ha precisato che tali somme, seppur accantonate, non potranno essere destinate a nuove e ulteriori ragioni di spesa;
    la destinazione d'uso di tali somme è già, di fatto, mutata, in quanto le somme accantonate a titolo di fondo speciale sono andate a confluire nella disoccupazione ordinaria sino al dicembre 2012 e, nei fondi ASpI e mini ASpI, dal 1o gennaio 2013, in virtù della legge n. 92 del 2012;
    la legge n. 92 del 2012 non abroga il sistema di gestione separata e, pertanto, le somme rimesse dalla Svizzera all'Italia devono essere tenute completamente separate da ogni altro tipo di gestione contabile;
    nel tentativo di equiparazione del lavoratore italiano e di quello frontaliero si è creata una disparità ancor più grande, in quanto le trattenute in busta subite dai frontalieri sono diverse da quelle subite dal lavoratore italiano;
    le somme versate dai lavoratori frontalieri e destinate al fondo disoccupazione speciale devono essere utilizzate sino ad esaurimento con gestione separata e con trattamento indennitario pari a quello erogato in virtù degli accordi bilaterali, in quanto, sebbene gli accordi bilaterali non siano più in vigore, i fondi versati sono presenti nelle casse dell'Inps nella somma di 270 milioni di euro, con previsione di erogazione, come previsto dalla legge n. 147 del 1997;
    la mancata erogazione dell'indennità causa, ovviamente, grave disagio a moltissimi cittadini lombardi già colpiti duramente dalla perdita del posto di lavoro, in una fase economica dove è ancora più difficile il reinserimento lavorativo, sia in Italia, sia nella vicina Svizzera;
    il lavoro frontaliero rimane spesso una realtà lontana dalle istituzioni centrali e periferiche dello Stato, che non sempre introducono una specifica disciplina legislativa in grado di riconoscerne pienamente il valore, né il ruolo che svolge nel contesto economico e sociale delle aree territoriali ove è presente;
    sarebbe necessario definire un quadro di diritti e doveri chiari legati a questa peculiare condizione di lavoro e dare delle soluzioni ai problemi in essere, generati principalmente dalla mancanza di una regolamentazione specifica;
    i territori di confine, da cui ogni giorno partono i frontalieri diretti a lavorare in Svizzera, sono peraltro territori virtuosi, con un residuo fiscale attivo molto elevato e con percentuali bassissime di evasione fiscale, paragonabili, appunto, a quelle della Svizzera;
    il 6 settembre 2013, il quotidiano di informazione on-line Mattinonline, edizione svizzera, riportava la notizia che la Svizzera continuerebbe a pagare all'Inps le indennità di disoccupazione per i frontalieri italiani, ma che l'ente previdenziale non utilizzerebbe tali soldi a beneficio dei frontalieri italiani, insinuando il dubbio che con queste risorse sia effettuato il pagamento delle pensioni di invalidità agli immigrati;
    nel 2012, la Camera dei deputati aveva approvato un testo di legge (il cui iter si è arrestato al Senato della Repubblica per la fine della XVI legislatura) finalizzato a migliorare i trattamenti di disoccupazione dei lavatori frontalieri in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, utilizzando le disponibilità esistenti nella gestione con contabilità separata istituita presso l'Inps ai sensi della citata legge n. 147 del 1997,

impegna il Governo:

   a chiarire se le somme residue sulla gestione separata dell'Inps, dedicate alla disoccupazione speciale per i frontalieri italiani, siano confluite ingiustificatamente in altri fondi o utilizzate, anche parzialmente od indirettamente, per altri scopi, e, in caso affermativo, quali e a quale titolo;
   a provvedere affinché il fondo destinato all'erogazione del trattamento speciale di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri sia e resti separato ed utilizzato come previsto dalla legge n. 147 del 1997 ancora vigente;
   ad applicare il principio in base al quale i soldi trattenuti ai frontalieri debbano essere utilizzati solo ed esclusivamente a favore dei frontalieri stessi, principalmente per integrare gli ammortizzatori sociali ad essi destinati, ristabilendo una diretta e più equa corrispondenza tra le alte trattenute subite in Svizzera e quanto loro versato a titolo di ammortizzatore;
   ad impegnarsi affinché, per quanto di competenza, in ogni futuro provvedimento a carattere fiscale e previdenziale, adottato nel nostro Paese, le migliaia di lavoratori frontalieri di tutti i territori del nostro Paese, che lavorano in Svizzera, in Francia, in Austria, in Slovenia o a San Marino, non siano trascurati, penalizzati o privati dello stesso grado di diritti e di tutele di tutti gli altri cittadini, come purtroppo è spesso accaduto fino ad oggi.
(1-00183) «Molteni, Giancarlo Giorgetti, Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    sono quasi 60.000 i lavoratori delle aree di confine del nostro Paese, cosiddetti «frontalieri», che quotidianamente si recano per lavoro in Svizzera, principalmente nei Cantoni Ticino e dei Grigioni;
    negli ultimi anni, il numero dei frontalieri che lavorano nella Confederazione svizzera è cresciuto in misura notevole (6-7 per cento nel 2012) anche a causa della grave crisi economica-occupazionale che ha investito il nostro Paese e che, oggi, non mostra segni concreti di superamento;
    il fenomeno del frontalierato nel nostro Paese è ancora più ampio se si considerano gli 85.000 lavoratori di tutti i territori italiani di confine (Piemonte, Lombardia, Veneto, Trento, Bolzano, Friuli e Romagna) che quotidianamente attraversano i confini nazionali per andare a lavorare, oltre che in Svizzera, in Francia, in Austria, in Slovenia o a San Marino; questi lavoratori svolgono oltretutto un'importante funzione di compensazione in un mercato del lavoro interno caratterizzato da un elevato tasso di disoccupazione ed un crescente ricorso agli ammortizzatori sociali;
    i settori coinvolti riguardano principalmente l'attività manifatturiera e le costruzioni, oltre che sempre più il terziario: in Ticino, in particolare, l'andamento recente dei permessi ai frontalieri mostra l'incremento più alto in settori quali ricerca e sviluppo, attività di engineering e attività finanziarie, offrendo un'opportunità ai giovani laureati, i quali a loro volta diventano una risorsa ben impiegata dai vicini elvetici;
    divenuto ormai un fenomeno strutturale del mercato del lavoro ed un aspetto rilevante nei rapporti con la Svizzera, il lavoro frontaliero costituisce un importante contributo allo sviluppo di questi Paesi e rappresenta un'elevata risorsa per l'economia delle province di confine;
    la presenza di un consistente numero di frontalieri ha indotto in passato lo Stato italiano e la Confederazione svizzera a stipulare numerosi accordi bilaterali per regolare varie questioni riguardanti, tra l'altro, la previdenza sociale, l'imposizione fiscale e l'indennità di disoccupazione;
    in Svizzera, il mercato del lavoro è determinato da una flessibilità estrema, poiché ogni contratto di lavoro può essere risolto da ciascuna delle parti contraenti senza la presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, con il solo preavviso di tre mensilità al massimo;
    ciò significa che, ovviamente, aumenta la richiesta di lavoratori frontalieri italiani nel periodo in cui l'economia svizzera è florida, ma, nelle fasi di crisi, i primi a perdere il posto di lavoro sono proprio i frontalieri, che, peraltro, non possono usufruire degli ammortizzatori sociali vigenti in Svizzera;
    la legge 5 giugno 1997, n. 147 (norme in materia di trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro) all'articolo 1 prevede che: «Ai fini dell'attuazione di quanto previsto dall'accordo fra Italia e Svizzera sulla retrocessione finanziaria in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri, con protocollo, scambio di note e accordo amministrativo, firmati a Berna il 12 dicembre 1978, reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1980, n. 90, l'istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) è incaricato di provvedere alla corresponsione dei trattamenti speciali di disoccupazione di cui alla presente legge in favore dei lavoratori frontalieri italiani divenuti disoccupati in Svizzera a seguito di cessazione non a loro imputabile del rapporto di lavoro». E, inoltre, al comma 2 del predetto articolo viene disposto che: «Presso l'INPS è istituita, per l'intero periodo di validità dell'accordo di cui al comma 1, la gestione con contabilità separata per l'erogazione dei trattamenti speciali di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, finanziata dalla retrocessione da parte elvetica delle quote di contribuzione versate dai lavoratori». Inoltre, al comma 4 del predetto articolo viene disposto che «La corresponsione dei trattamenti speciali di disoccupazione, a norma della presente legge, è limitata all'esaurimento delle disponibilità della gestione di cui al comma 2»;
    la legge n. 147 del 1997 disciplina le categorie di lavoratori che possono fruire dei trattamenti di disoccupazione speciali, la durata degli stessi e le modalità per richiederli; nello specifico, i lavoratori frontalieri erano assoggettati ad una trattenuta mensile sul salario ricevuto in Svizzera che veniva poi, in parte, trasferita all'Istituto nazionale della previdenza sociale, su una contabilità separata, destinata al pagamento dell'indennità di disoccupazione speciale;
    il protocollo addizionale all'allegato II dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone, entrato in vigore il 1o giugno 2002, tra la Confederazione svizzera, da un lato, e l'Unione europea e i suoi Stati membri, dall'altro, in materia di disoccupazione, ha previsto una proroga, per un periodo di sette anni a decorrere dal 1o giugno 2002, dell'accordo bilaterale sulla retrocessione finanziaria (circolare n. 78 del 2003). Terminata la proroga di sette anni dell'accordo italo-svizzero, sulla retrocessione finanziaria in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri, dal giugno 2009, la Confederazione svizzera è tenuta ad applicare i regolamenti comunitari di sicurezza sociale, che contengono anche norme specifiche in materia di disoccupazione dei lavoratori frontalieri. Pertanto, la Confederazione svizzera non potrà più trasferire i contributi, ancorché questi continueranno ad essere oggetto di detrazione sulla busta paga dei lavoratori frontalieri;
    nei rapporti tra Stato italiano e Confederazione svizzera, Paese membro dello spazio economico europeo, attualmente si applicano i regolamenti comunitari in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. La disciplina delle indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri è contenuta negli articoli 65 e seguenti del regolamento (CE) n. 883/2004. In tale articolo viene previsto che il disoccupato, già frontaliero, ha diritto alle prestazioni di disoccupazione a carico dello Stato di residenza e che le stesse devono essere corrisposte dall'istituzione competente di tale Stato come se, nel corso della sua ultima attività lavorativa, il lavoratore fosse stato soggetto alla legislazione dello Stato di residenza;
    il lavoratore deve, quindi, soddisfare le condizioni richieste dalla legislazione del Paese di residenza per conseguire il diritto alle prestazioni di disoccupazione;
    per accertare se tali condizioni siano soddisfatte, l'istituzione del Paese di residenza tiene conto dei periodi di assicurazione compiuti sotto la legislazione dell'altro Paese, considerandoli come periodi di assicurazione compiuti sotto la legislazione da essa applicata, a prescindere dalla circostanza che l'interessato risulti già assicurato nel quadro di tale legislazione. Il sopra citato regolamento (CE) n. 883/2004 prevede, poi, all'articolo 65, paragrafi 6 e 7, che la Confederazione svizzera rimborsi all'Italia l'intero importo delle prestazioni erogate da quest'ultima durante i primi tre mesi di disoccupazione per ogni soggetto interessato, altresì i primi cinque mesi se il soggetto, durante i 24 mesi precedenti, ha maturato contributi nella Confederazione svizzera per almeno 12 mesi;
    con circolare dell'Inps 4 aprile 2013, n. 50, l'Istituto precisava che «il disoccupato residente in Italia che sia frontaliero in Svizzera – in quanto persona che, nel corso della sua ultima attività lavorativa, risiedeva in uno Stato membro (Italia) diverso da quello competente (Svizzera) e continua a risiedere in tale Stato membro – riceve le prestazioni in base alla legislazione dello Stato membro di residenza come se fosse stato soggetto a tale legislazione durante la sua ultima attività lavorativa» e che, pertanto, «il diritto, la misura e la durata della prestazione saranno determinati, come per i lavoratori rimasti disoccupati in Italia, per i diritti maturati con decorrenza fino al 31 dicembre 2012, secondo le norme che disciplinano l'indennità di disoccupazione ordinaria. A decorrere dal 1o gennaio 2013 le prestazioni saranno concesse secondo le disposizioni, previste dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, per l'indennità di disoccupazione ASpI e mini ASpI»;
    gli uffici territoriali dell'Inps operanti nelle province di confine con la Svizzera, a partire dal mese di settembre 2012, hanno sospeso ai lavoratori frontalieri disoccupati l'erogazione dell'indennità speciale di disoccupazione, che è stata sostituita con la disoccupazione ordinaria e, a decorrere dal 1o gennaio 2013, con il nuovo sussidio di disoccupazione (ASpI) istituito con la cosiddetta legge di riforma Fornero;
    tali nuove misure penalizzano fortemente i lavoratori frontalieri, la cui indennità di disoccupazione subisce una decurtazione del 20-25 per cento e una riduzione del periodo di applicazione da 12 a 8 mesi;
    in sede di risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-00124, nella seduta del 4 giugno 2013 in Commissione lavoro pubblico e privato, è emerso che le somme residue sulla gestione istituita presso l'Inps, ex legge n. 147 del 1997, ammontano a 270 milioni di euro;
    il Ministero dell'economia e delle finanze ha precisato che tali somme, seppur accantonate, non potranno essere destinate a nuove e ulteriori ragioni di spesa;
    la destinazione d'uso di tali somme è già, di fatto, mutata, in quanto le somme accantonate a titolo di fondo speciale sono andate a confluire nella disoccupazione ordinaria sino al dicembre 2012 e, nei fondi ASpI e mini ASpI, dal 1o gennaio 2013, in virtù della legge n. 92 del 2012;
    la legge n. 92 del 2012 non abroga il sistema di gestione separata e, pertanto, le somme rimesse dalla Svizzera all'Italia devono essere tenute completamente separate da ogni altro tipo di gestione contabile;
    nel tentativo di equiparazione del lavoratore italiano e di quello frontaliero si è creata una disparità ancor più grande, in quanto le trattenute in busta subite dai frontalieri sono diverse da quelle subite dal lavoratore italiano;
    le somme versate dai lavoratori frontalieri e destinate al fondo disoccupazione speciale devono essere utilizzate sino ad esaurimento con gestione separata e con trattamento indennitario pari a quello erogato in virtù degli accordi bilaterali, in quanto, sebbene gli accordi bilaterali non siano più in vigore, i fondi versati sono presenti nelle casse dell'Inps nella somma di 270 milioni di euro, con previsione di erogazione, come previsto dalla legge n. 147 del 1997;
    la mancata erogazione dell'indennità causa, ovviamente, grave disagio a moltissimi cittadini lombardi già colpiti duramente dalla perdita del posto di lavoro, in una fase economica dove è ancora più difficile il reinserimento lavorativo, sia in Italia, sia nella vicina Svizzera;
    il lavoro frontaliero rimane spesso una realtà lontana dalle istituzioni centrali e periferiche dello Stato, che non sempre introducono una specifica disciplina legislativa in grado di riconoscerne pienamente il valore, né il ruolo che svolge nel contesto economico e sociale delle aree territoriali ove è presente;
    sarebbe necessario definire un quadro di diritti e doveri chiari legati a questa peculiare condizione di lavoro e dare delle soluzioni ai problemi in essere, generati principalmente dalla mancanza di una regolamentazione specifica;
    i territori di confine, da cui ogni giorno partono i frontalieri diretti a lavorare in Svizzera, sono peraltro territori virtuosi, con un residuo fiscale attivo molto elevato e con percentuali bassissime di evasione fiscale, paragonabili, appunto, a quelle della Svizzera;
    il 6 settembre 2013, il quotidiano di informazione on-line Mattinonline, edizione svizzera, riportava la notizia che la Svizzera continuerebbe a pagare all'Inps le indennità di disoccupazione per i frontalieri italiani, ma che l'ente previdenziale non utilizzerebbe tali soldi a beneficio dei frontalieri italiani, insinuando il dubbio che con queste risorse sia effettuato il pagamento delle pensioni di invalidità agli immigrati;
    nel 2012, la Camera dei deputati aveva approvato un testo di legge (il cui iter si è arrestato al Senato della Repubblica per la fine della XVI legislatura) finalizzato a migliorare i trattamenti di disoccupazione dei lavatori frontalieri in Svizzera rimasti disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, utilizzando le disponibilità esistenti nella gestione con contabilità separata istituita presso l'Inps ai sensi della citata legge n. 147 del 1997,

impegna il Governo:

   a chiarire se le somme residue sulla gestione separata dell'Inps, dedicate alla disoccupazione speciale per i frontalieri italiani, siano confluite in altri fondi o utilizzate, anche parzialmente od indirettamente, per altri scopi, e, in caso affermativo, quali e a quale titolo;
   a valutare la possibilità, entro il mese di maggio 2014, di provvedere affinché il fondo destinato all'erogazione del trattamento speciale di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri sia e resti separato ed utilizzato come previsto dalla legge n. 147 del 1997 ancora vigente;
   a valutare la possibilità, entro il mese di maggio 2014, di applicare il principio in base al quale i soldi trattenuti ai frontalieri debbano essere utilizzati solo ed esclusivamente a favore dei frontalieri stessi, principalmente per integrare gli ammortizzatori sociali ad essi destinati, ristabilendo una diretta e più equa corrispondenza tra le alte trattenute subite in Svizzera e quanto loro versato a titolo di ammortizzatore;
   ad impegnarsi affinché, per quanto di competenza, in ogni futuro provvedimento a carattere fiscale e previdenziale, adottato nel nostro Paese, le migliaia di lavoratori frontalieri di tutti i territori del nostro Paese, che lavorano in Svizzera, in Francia, in Austria, in Slovenia o a San Marino, non siano trascurati, penalizzati o privati dello stesso grado di diritti e di tutele di tutti gli altri cittadini, come purtroppo è spesso accaduto fino ad oggi.
(1-00183) (Testo modificato nel corso della seduta) «Molteni, Giancarlo Giorgetti, Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    sono circa 80.000 le lavoratrici e i lavoratori italiani che ogni giorno attraversano i confini nazionali per prestare la loro attività lavorativa all'estero con il permesso di frontaliere; di questi 48.000 in Canton Ticino, provenienti dalle province di Como, Varese e Verbano-Cusio-Ossola; 6.500 nei Grigioni, provenienti soprattutto dalla provincia di Sondrio e in piccola parte da quella di Bolzano, 1.500 nel Vallese, provenienti dalla zona di Verbano-Cusio-Ossola. A questi si aggiungono i più di 6.000 cittadini italiani che dall'Emilia Romagna e dalle Marche si recano a lavorare nella Repubblica di San Marino, i 3.700 che giornalmente dalla provincia di Imperia si recano a lavorare nel Principato di Monaco e in Francia, nonché altre centinaia di italiani che per lo stesso motivo si recano giornalmente in Austria, Slovenia e Città del Vaticano;
    il frontalierato è a tutti gli effetti un fenomeno strutturale del mercato del lavoro ed un aspetto rilevante nei rapporti dell'Italia con i paesi di confine, soprattutto in alcune aree del Paese; ha rappresentato nel corso del tempo e rappresenta tuttora un importante contributo allo sviluppo di questi paesi ed un'elevata risorsa per l'economia delle province italiane di confine;
    la particolare condizione di vita e di lavoro dei frontalieri li espone, tuttavia, ad una serie complessa di problematiche di natura fiscale, previdenziale, di sicurezza sociale e regolazione del lavoro, derivanti dal fatto di essere a tutti gli effetti cittadini italiani ma prestatori di lavoro in uno Stato estero;
    nonostante la rilevanza del fenomeno, il nostro Paese non dispone di una specifica disciplina legislativa in grado di riconoscerne pienamente il valore e l'importanza del lavoro frontaliero per il contesto economico e sociale delle aree territoriali ove è presente; al contrario, diversi provvedimenti governativi adottati negli ultimi anni hanno ignorato la specificità dello status di lavoratore frontaliere, generando talvolta una sottovalutazione se non un aggravamento dei tanti problemi aperti;
    a titolo esemplificativo le recenti controversie maturate in ordine al riconoscimento dell'indennità di disoccupazione speciale per i frontalieri attivi in Svizzera, così come le contraddittorie comunicazioni fiscali circa la dichiarazione di conti stipendi e le velate accuse di privilegi infondati, la questione della franchigia di esenzione per i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero in zone di frontiera, hanno evidenziato l'esistenza di uno spettro assai più ampio di problematiche;
    è opportuno stimolare un più convinto impegno per arrivare al più presto all'approvazione di uno Statuto dei lavoratori frontalieri, che definisca un quadro di diritti e doveri chiari legati a questa peculiare condizione di lavoro e dia soluzione ai problemi in essere, generati principalmente dalla mancanza di una regolamentazione specifica,

impegna il Governo:

   a promuovere l'apertura di un tavolo di confronto, con le rappresentanze delle associazioni sindacali e dei lavoratori dei territori di confine e le regioni territorialmente coinvolte, con l'obiettivo di definire una piattaforma organica di esigenze e richieste e, successivamente, di predisporre l'impianto di uno statuto dei lavoratori frontalieri utile alla ripresa dei negoziati internazionali, in grado di produrre accordi bilaterali con i paesi di confine, che prevedano una specifica ed appropriata disciplina del lavoro frontaliero ed una regolazione del trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri attraverso leggi ordinarie, così come previsto dagli accordi bilaterali in essere e con riguardo alla trattativa bilaterale con la Confederazione elvetica già in fase di negoziazione, nella quale siano salvaguardate le prerogative dei lavoratori e dei territori frontalieri sancite dall'accordo bilaterale del 1973;
   a sostenere le iniziative parlamentari tese a confermare nella Legge di stabilità la franchigia di esenzione per i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero in zone di frontiera, in continuità con gli anni scorsi, disponendo la sospensione del pagamento dell'anticipo per l'anno 2014;
   ad assumere le iniziative di propria competenza affinché, anche nell'ambito di lavoro del tavolo di confronto sopra citato, si definisca la questione dell'utilizzo delle risorse esistenti nella gestione con contabilità separata istituita presso l'Inps ai sensi della legge 147 del 1997 e già destinate all'erogazione del trattamento speciale di disoccupazione, al fine di garantire che le stesse siano destinate a favore dei lavoratori frontalieri.
(1-00013) (Nuova formulazione) «Braga, Antimo Cesaro, Pizzolante, Kronbichler, Plangger, Guerra, Marantelli, Borghi, Arlotti, Petitti, Palmieri, Squeri, Gadda, Senaldi, Gianni Farina, Vignali, Biasotti, Fragomeli».


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 5 giugno 1997, n. 147, in materia di trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, riporta le norme di attuazione di quanto previsto dall'accordo fra Italia e Svizzera sulla retrocessione finanziaria in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri (protocollo, scambio di note e accordo amministrativo, firmati a Berna il 12 dicembre 1978, reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1980, n. 90);
    il protocollo addizionale all'allegato II dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone, entrato in vigore il 1o giugno 2002, tra la Confederazione svizzera da un lato e l'Unione europea e i suoi Stati Membri dall'altro, in materia di disoccupazione, ha previsto una proroga, per un periodo di sette anni a decorrere dal 1o giugno 2002, del sopracitato accordo bilaterale sulla retrocessione finanziaria;
    allo scadere dei sette anni, nonostante le richieste, da parte italiana e, infine, anche congiuntamente con il Governo francese, la parte svizzera non ha ritenuto di prorogare la validità degli accordi bilaterali, che disciplinavano la retrocessione finanziaria dei contributi dei lavoratori frontalieri all'assicurazione svizzera contro la disoccupazione;
    pertanto, a partire dal giugno 2009, si è completata l'applicabilità alla Svizzera dei regolamenti comunitari di sicurezza sociale, che prevedono norme specifiche in materia di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri (articolo 71 del regolamento n. 1408 del 1971);
    a decorrere dal 1o aprile 2012, ai sensi della decisione n. 1 del 2012, adottata il 31 marzo 2012 dal comitato misto sulla libera circolazione delle persone, istituito ai sensi dell'Accordo tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da un lato, e la Confederazione Svizzera, dall'altro, i nuovi regolamenti comunitari si applicano anche alla Svizzera;
    a quest'ultima si estendono, quindi, le disposizioni del regolamento (CE) n. 883 del 2004 in materia di prestazioni di disoccupazione, incluse quelle di cui all'articolo 65 per «Disoccupati che risiedevano in uno Stato membro diverso dallo Stato competente», che delineano, tra l'altro, il regime di tutela della disoccupazione per la generalità dei lavoratori frontalieri;
    in particolare, ai sensi del paragrafo 2 e del paragrafo 5, lettera a), del predetto articolo 65, il disoccupato residente in Italia che sia frontaliero in Svizzera – in quanto persona che, nel corso della sua ultima attività lavorativa risiedeva in uno Stato membro (Italia) diverso da quello competente (Svizzera) e continua a risiedere in tale Stato membro – riceve le prestazioni in base alla legislazione dello Stato membro di residenza come se fosse stato soggetto a tale legislazione durante la sua ultima attività lavorativa;
    tali prestazioni sono erogate dall'istituzione del luogo di residenza. In particolare, a far data dal 1o aprile 2012, ai sensi della richiamata decisione n. 1 del 2012 e del regolamento (CE) n. 883 del 2004, l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) applica anche ai lavoratori frontalieri in Svizzera il regime di tutela della disoccupazione previsto dal citato articolo 65;
    in base al predetto articolo, il diritto, la misura e la durata della prestazione saranno determinati, come per i lavoratori rimasti disoccupati in Italia, per i diritti maturati con decorrenza fino al 31 dicembre 2012, secondo le norme che disciplinano l'indennità di disoccupazione ordinaria. A decorrere dal 1o gennaio 2013, le prestazioni saranno concesse secondo le disposizioni, previste dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, per l'indennità di disoccupazione ASpI e mini ASpI;
    con riferimento alla precedente disciplina applicata sotto la vigenza dell'Accordo fra Italia e Svizzera, la legge n. 147 del 1997, ai fini dell'attuazione di quanto previsto sulla retrocessione finanziaria in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori frontalieri, è stata istituita presso l'Inps una gestione separata per provvedere alla corresponsione dei trattamenti speciali di disoccupazione in favore dei lavoratori frontalieri italiani divenuti disoccupati in Svizzera, a seguito di cessazione non a loro imputabile del rapporto di lavoro;
    tale gestione era finanziata dalla retrocessione da parte elvetica delle quote di contribuzione versate dai lavoratori e la corresponsione dei trattamenti era limitata all'esaurimento delle disponibilità di tale gestione. Attualmente, secondo quanto di recente confermato dal Governo, la gestione segnerebbe ancora un saldo contabile positivo di 270 milioni di euro;
    la legge n. 147 del 1997 prevedeva che il diritto al trattamento speciale di disoccupazione fosse subordinato allo svolgimento in Svizzera di un'attività soggetta a contribuzione per almeno un anno nei due anni precedenti l'inizio dello stato di disoccupazione. La durata del trattamento speciale di disoccupazione era di trecentosessanta giorni, comprensivi delle domeniche e degli altri giorni festivi, e il suo importo giornaliero è stabilito, per ciascun anno, dal consiglio di amministrazione dell'Inps. Ai lavoratori che fruivano dei trattamenti speciali di disoccupazione venivano corrisposti gli assegni per il nucleo familiare, con onere a valere sulle disponibilità della gestione separata;
    con riferimento alla possibilità di utilizzare le somme residue sulla gestione istituita presso l'Inps con la legge n. 147 del 1997 per l'erogazione dei trattamenti speciali di disoccupazione a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha riferito che, secondo il Ministero dell'economia e delle finanze, tali somme, seppure accantonate, non potranno essere destinate a nuove e ulteriori ragioni di spesa. Ciò in quanto l'INPS, con quelle somme, «deve garantire il riconoscimento dei trattamenti di disoccupazione secondo il regime previsto a legislazione vigente»;
    tale interpretazione ministeriale non appare, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, del tutto corretta, dal momento che i trattamenti di disoccupazione transfrontalieri non sono più distinti dagli altri erogati alle lavoratrici e ai lavoratori italiani. Inoltre, sulla gestione si generano notevoli risparmi grazie alla minor spesa determinata dalla corresponsione dell'ASpI e della mini ASpI (anziché l'indennità di disoccupazione speciale) e il minor numero di mensilità durante le quali deve essere corrisposta, considerando che – a seconda dei casi – i primi 3 o 5 mesi di indennità di disoccupazione sono a carico della Svizzera;
    le risorse della gestione sono di un ammontare tale da poter consentire un loro utilizzo – anche parziale – per far fronte alla peculiare e specifica situazione disoccupazionale dei frontalieri, ad esempio, ampliando il numero dei casi in cui è possibile fruire del trattamento di disoccupazione modificando in tutto o in parte i requisiti per poterne goderne, aumentando gli importi dell'indennità o prevedendo l'aumento della durata massima del trattamento con un aumento progressivo al crescere dell'età a partire dai 50 anni (50, 55, 60 anni). Questo in considerazione delle maggiori difficoltà che tali lavoratori trovano, in ragione dell'età, a essere rioccupati e a rientrare nel mercato del lavoro. In particolare, tale aumento deve essere più che proporzionale al crescere dell'età, in modo da accompagnare il lavoratore fino alla maturazione del diritto alla pensione,

impegna il Governo

a destinare, con il primo provvedimento utile, quota parte delle risorse della gestione istituita presso l'INPS con la legge n. 147 del 1997 a favore dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera, ad esempio ampliando il numero dei casi in cui è possibile fruire del trattamento di disoccupazione, modificando in tutto o in parte i requisiti per poterne godere, aumentando gli importi dell'indennità o prevedendo l'aumento della durata massima del trattamento, nonché un aumento progressivo del medesimo al crescere dell'età a partire dai 50 anni (50, 55, 60 anni), in considerazione delle maggiori difficoltà per tali lavoratori a trovare una nuova occupazione e rientrare nel mercato del lavoro, in modo da accompagnare il lavoratore fino alla maturazione del diritto alla pensione.
(1-00204) «Di Salvo, Lacquaniti, Kronbichler, Airaudo, Placido».


   La Camera,
   premesso che:
    è considerato frontaliero il soggetto residente in Italia che non soggiorna all'estero, ma che presta l'attività, in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, nelle zone di frontiera e in altri Paesi limitrofi. Ad oggi, però, non esiste una definizione univoca di lavoro frontaliero. Ogni convenzione, che si stipula con Paesi stranieri al fine di disciplinare il suddetto fenomeno, detta, di volta in volta, una definizione, creando incertezza nel mondo del diritto;
    da un punto di vista strettamente numerico la realtà dei lavoratori frontalieri non è certamente insignificante. Basti pensare che circa 80.000 sono le lavoratrici e i lavoratori italiani che ogni giorno attraversano i confini nazionali per prestare la loro attività lavorativa all'estero con il permesso di frontalieri; di questi 48.000 in Canton Ticino provenienti dalle province di Como, Varese e Verbano-Cusio-Ossola, 6.500 nei Grigioni, provenienti soprattutto dalla provincia di Sondrio e in piccola parte da quella di Bolzano, 1.500 nel Vallese, provenienti dalla zona di Verbano-Cusio-Ossola. A questi si aggiungono i più di 6.000 cittadini italiani che dall'Emilia-Romagna e dalle Marche si recano a lavorare nella Repubblica di San Marino, i 3.700 che giornalmente dalla provincia di Imperia si recano a lavorare, soprattutto, nel Principato di Monaco e in Francia (1.500), nonché altre centinaia di italiani che per lo stesso motivo si recano in Austria, in Slovenia e nella Città del Vaticano;
    il lavoratore frontaliero è, come risulta anche dai dati sopra menzionati, un fenomeno strutturale del mercato del lavoro ed un aspetto rilevante nei rapporti dell'Italia con i Paesi di confine; ha rappresentato nel corso del tempo e rappresenta tuttora un importante contributo allo sviluppo di questi Paesi ed un'elevata risorsa per l'economia delle province italiane di confine;
    la particolare condizione di vita e di lavoro dei frontalieri li espone, tuttavia, ad una serie complessa di problematiche di natura fiscale, previdenziale, di sicurezza sociale e regolazione del lavoro, derivanti dal fatto di essere a tutti gli effetti cittadini italiani ma prestatori di lavoro in uno Stato estero;
    nonostante la rilevanza del fenomeno, il nostro Paese non dispone di una specifica disciplina legislativa in grado di riconoscere pienamente il valore e l'importanza del lavoro frontaliero per il contesto economico e sociale delle aree territoriali ove è presente;
    al contrario, diversi provvedimenti governativi adottati negli ultimi anni hanno, in alcuni casi, ignorato la specificità dello status di lavoratore frontaliero, generando una sottovalutazione ovvero, in taluni casi, un aggravamento dei tanti problemi aperti che la questione pone. Basti pensare, al riguardo, alle recenti controversie maturate in ordine al riconoscimento dell'indennità di disoccupazione speciale per i frontalieri attivi in Svizzera, così come la questione della franchigia di esenzione per i redditi di lavoro dipendente prodotti all'estero in zone di frontiera;
    tutte queste ragioni non possono che indurre a stimolare un più convinto impegno per arrivare al più presto all'approvazione di uno «statuto dei lavoratori frontalieri», che definisca un quadro di diritti e doveri chiari legati a questa peculiare condizione di lavoro e dia soluzione ai problemi in essere, generati principalmente dalla mancanza di una regolamentazione specifica,

impegna il Governo:

   a promuovere l'apertura di un tavolo di confronto, con le rappresentanze delle associazioni sindacali e dei lavoratori dei territori di confine e le regioni territorialmente coinvolte, con l'obiettivo di predispone l'impianto di uno «statuto dei lavoratori frontalieri» che preveda una specifica ed appropriata disciplina del lavoro frontaliero;
   a garantire, in attesa della definizione dello statuto, in continuità con gli anni passati, la franchigia prevista per i lavoratori frontalieri.
(1-00205) «Pizzolante, Costa, Bernardo, Biasotti, Bosco, Giammanco, Lainati, Mottola, Polverini, Vignali».