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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 24 luglio 2013

TESTO AGGIORNATO AL 31 LUGLIO 2013

COMUNICAZIONI

Comunicazioni del 24 luglio 2013.

Missioni valevoli nella seduta del 24 luglio 2013.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Bocci, Bray, Bressa, Brunetta, Caparini, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gitti, Kyenge, La Russa, Legnini, Leone, Letta, Lorenzin, Lupi, Melilla, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Sereni, Speranza, Toninelli, Vezzali, Vito.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Bocci, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Leone, Letta, Lorenzin, Losacco, Lupi, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Sereni, Speranza, Tinagli, Turco, Vezzali, Vito.

(Alla ripresa notturna della seduta).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Biancofiore, Bocci, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Leone, Letta, Lorenzin, Losacco, Lupi, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Sereni, Sisto, Speranza, Tinagli, Turco, Vezzali, Vito.

(Alla ripresa antimeridiana ).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Biancofiore, Bocci, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Letta, Lorenzin, Lupi, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Schullian, Sereni, Speranza, Tinagli, Vezzali, Vito.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta nella giornata del 25 luglio 2013).

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Berretta, Biancofiore, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Letta, Lorenzin, Lupi, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Schullian, Sereni, Speranza, Tinagli, Valeria Valente, Vezzali, Vito.

(Alla ripresa antimeridiana della seduta nella giornata del 26 luglio 2013).

  Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baldelli, Baretta, Berretta, Biancofiore, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Bray, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, La Russa, Legnini, Letta, Lorenzin, Lupi, Marantelli, Antonio Martino, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moretto, Orlando, Pannarale, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Schullian, Sereni, Speranza, Tinagli, Vargiu, Vezzali, Vito.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 23 luglio 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   CAPARINI ed altri: «Modifiche agli articoli 565 e 586 del codice civile in materia di devoluzione dell'eredità ai comuni» (1404);
   SBROLLINI: «Dichiarazione di monumento nazionale della Basilica Palladiana di Vicenza» (1405);
   ZACCAGNINI: «Sospensione delle azioni di recupero dei crediti fiscali, contributivi e per sanzioni nonché delle procedure esecutive relative a crediti bancari nei riguardi delle imprese agricole» (1406);
   GALLINELLA ed altri: «Modifiche agli articoli 448 e 518 del codice penale e all'articolo 51 del codice di procedura penale, in materia di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari» (1407);
   MELILLI: «Disposizioni concernenti la composizione dei consigli provinciali e disciplina dell'elezione del presidente della provincia e del consiglio provinciale» (1408);
   COMINARDI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle agevolazioni statali di cui ha beneficiato il gruppo FIAT dal secondo dopoguerra ad oggi e sulle conseguenti scelte industriali del gruppo medesimo» (1409);
   MOSCA: «Istituzione del Fondo dei fondi presso la Cassa depositi e prestiti Spa» (1410).

  In data 24 luglio 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   CIPRINI ed altri: «Norme per il superamento del blocco delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni e per la chiamata dei vincitori e degli idonei nei concorsi indetti dalle medesime, istituzione di una banca di dati telematica degli avvisi e dei bandi per il reclutamento del personale nonché disposizioni in materia di pubblici concorsi» (1412);
   VEZZALI: «Disposizioni per la tutela della salute di coloro che praticano attività sportive» (1413);
   MIOTTO: «Modifica all'articolo 55 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, in materia di determinazione dei canoni dovuti alla società ANAS SpA per concessioni e autorizzazioni relative all'accesso, all'uso e all'occupazione delle strade e delle loro pertinenze» (1414);
   CAPELLI: «Modifica all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, concernente la collocazione degli istituti destinati ai detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione» (1415);
   MINARDO: «Disposizioni per la riqualificazione, il recupero e la valorizzazione dei centri storici, specialmente appartenenti al patrimonio mondiale dell'UNESCO, nonché agevolazioni per l'acquisto della prima casa di abitazione» (1416).

  In data 25 luglio 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   MAZZIOTTI DI CELSO: «Modifiche al codice di procedura civile per l'accelerazione dei procedimenti civili» (1418);
   MOGHERINI: «Ratifica ed esecuzione degli Emendamenti alla Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3 marzo 1980, adottati a Vienna l'8 luglio 2005, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno» (1419);
   MOGHERINI: «Ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale per la repressione di atti di terrorismo nucleare, adottata dalle Nazioni Unite a New York il 13 aprile 2005, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno» (1420);
   FAENZI: «Disposizioni per la tutela dei prodotti agroalimentari a denominazione di origine protetta, indicazione geografica tipica e specialità tradizionale garantita, attraverso il divieto di installazione di impianti per la produzione di energia derivante da biogas o da biometano» (1421);
   COLLETTI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'espulsione della signora Alma Shalabayeva e di sua figlia dal territorio italiano verso il Kazakistan» (1422);
   DI LELLO ed altri: «Disposizioni concernenti l'esenzione dei giovani professionisti dall'obbligo di assicurazione» (1423);
   PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE VEZZALI: «Modifica all'articolo 9 della Costituzione, in materia di tutela dell'ambiente e degli animali» (1424);
   DI LELLO: «Disciplina delle associazioni sportive dilettantistiche e disposizioni per la promozione della loro attività» (1425);
   DE MITA: «Modifica all'articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, in materia di pensionamento anticipato dei lavoratori già occupati in imprese estrattrici o utilizzatrici dell'amianto» (1426);
   SCANU: «Disposizioni perequative in materia di collocamento nella posizione di ausiliaria del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia cessato dal servizio a domanda e collocato in quiescenza nella posizione di riserva tra il 28 settembre 1996 e il 31 dicembre 1997» (1427);
   DAMIANO ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro» (1428);
   FABBRI: «Norme in materia di regolamentazione della figura di operatore sanitario naturopata» (1429).

  Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di una proposta di legge d'iniziativa regionale.

  In data 23 luglio 2013 è stata presentata alla Presidenza, ai sensi dell'articolo 121 della Costituzione, la seguente proposta di legge:
   PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLE MARCHE: «Divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi» (1411).

  Sarà stampata e distribuita.

Trasmissione dal Senato.

In data 25 luglio 2013 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge:
   S. 896. – «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena» (approvato dal Senato) (1417).

  Sarà stampato e distribuito.

Annunzio di una proposta di inchiesta parlamentare.

  In data 24 luglio 2013 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di inchiesta parlamentare d'iniziativa dei deputati:
   FIORONI e GRASSI: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro» (Doc. XXII, n. 13).

Modifica del titolo di una proposta di legge.

  La proposta di legge n. 1253, d'iniziativa dei deputati GIORGIA MELONI ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Disposizioni in materia di pensioni superiori a dieci volte l'integrazione al trattamento minimo INPS».

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge SCALFAROTTO ed altri: «Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, e al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, per il contrasto dell'omofobia e della transfobia» (245) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Carra.
  La proposta di legge BELLANOVA ed altri: «Disciplina delle modalità di sottoscrizione della lettera di dimissioni volontarie e della lettera di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro» (272) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Antezza.
  La proposta di legge BRESSA ed altri: «Introduzione degli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale e altre disposizioni in materia di tortura» (276) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Carra.
  La proposta di legge PASTORELLI ed altri: «Disposizioni agevolative in materia di determinazione dell'interesse e delle spese relativi alle operazioni di credito agrario e peschereccio» (575) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Borghese, Capelli, Capodicasa, Capone, Capozzolo, Gullo, Magorno, Melilli, Rostan, Sannicandro e Valeria Valente.
  La proposta di legge SBROLLINI: «Norme per il riconoscimento della figura professionale del giornalista libero professionista» (618) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Fabbri.
  La proposta di legge RIGONI e RUBINATO: «Modifiche ai testi unici di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica» (1026) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Ginato, Ginoble, Oliverio e Quartapelle Procopio.
  La proposta di legge MOGHERINI ed altri: «Ratifica ed esecuzione del Trattato sul commercio delle armi, adottato a New York dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 2 aprile 2013» (1239) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Spadoni.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   III Commissione (Affari esteri):

  BLAZINA ed altri: «Ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992» (555) Parere delle Commissioni I, II, V, VII, IX e XI.
   VII Commissione (Cultura):

  FORMISANO ed altri: «Norme per la valorizzazione del sistema dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale e disposizioni in materia di stabilizzazione del personale docente e amministrativo» (825) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria) e XI.

Trasmissione dal Ministro degli affari esteri.

  Il Ministro degli affari esteri, con lettera in data 17 luglio 2013, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data alla risoluzione MARAZZITI n. 7/00016, accolta dal Governo ed approvata dalla III Commissione (Affari esteri) nella seduta del 5 giugno 2013, sull'abolizione universale della pena capitale in relazione al V Congresso mondiale contro la pena di morte (Madrid 12-15 giugno 2013).

  La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri), competente per materia.

Trasmissione dal Ministro della salute.

  Il Ministro della salute, con lettera in data 19 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, la relazione sullo stato di attuazione della medesima legge n. 40 del 2004, recante norme in materia di procreazione medicalmente assistita, riferita all'attività dei centri di procreazione medicalmente assistita nell'anno 2011 e all'utilizzo dei finanziamenti nell'anno 2012 (Doc. CXLII, n. 1).

  Questa relazione è trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 23 luglio 2013, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta di regolamento del Consiglio sull'impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno 2» (COM(2013) 506 final) e relativo documento di accompagnamento – Documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2013) 261 final), che sono assegnati in sede primaria alla X Commissione (Attività produttive);
   Relazione della Commissione – Dodicesima relazione sui preparativi pratici in vista del futuro allargamento dell'area dell'euro (COM(2013) 540 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio).

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 23 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
  Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.

  Il Ministero dell'interno, con lettere in data 22 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 141, comma 6, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, i decreti del Presidente della Repubblica di scioglimento dei consigli comunali di Albavilla (Como), Alfiano Natta (Alessandria), Apricena (Foggia), Argegno (Como), Bernalda (Matera), Dalmine (Bergamo), San Marco in Lamis (Foggia), San Martino in Pensilis (Campobasso) e Santarcangelo di Romagna (Rimini).

  Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Comunicazioni del 25 luglio 2013.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   VIII Commissione (Ambiente):
  LATRONICO ed altri: «Norme per il governo del territorio mediante la limitazione del consumo del suolo e il riutilizzo delle aree urbane, nonché delega al Governo per l'adozione di misure fiscali e perequative» (1128) Parere delle Commissioni I, II, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, X, XIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e XIV.
   XI Commissione (Lavoro):
  GIORGIA MELONI ed altri: «Disposizioni in materia di pensioni superiori a dieci volte l'integrazione al trattamento minimo INPS» (1253) Parere delle Commissioni I, V e XII;
  POLVERINI: «Norme in materia di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e di efficacia dei contratti collettivi di lavoro, nonché delega al Governo per l'introduzione di disposizioni sulla collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, in attuazione dell'articolo 46 della Costituzione» (1376) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), X, XII e XIV.
   XII Commissione (Affari sociali):
  MURER ed altri: «Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne, l'assistenza delle vittime e la promozione della soggettività femminile» (951) Parere delle Commissioni I, II, V, VII, XI e XIV.

Trasmissione dal Presidente del Senato.

  Il Presidente del Senato, con lettera in data 12 luglio 2013, ha comunicato che sono state approvate, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento del Senato, le seguenti risoluzioni della I Commissione (Affari costituzionali), che sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Agenzia dell'Unione europea per la cooperazione e la formazione delle autorità di contrasto (Europol) e abroga le decisioni 2009/371/GAI del Consiglio e 2005/681/GAI del Consiglio (COM(2013) 173 final) (Atto Senato Doc. XVIII, n. 12);
   risoluzione sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce un regime semplificato per il controllo delle persone alle frontiere esterne basato sul riconoscimento unilaterale, da parte della Croazia e di Cipro, di determinati documenti come equipollenti al loro visto nazionale di transito o per soggiorni previsti di non più di 90 giorni su un periodo di 180 giorni nel loro territorio e che abroga le decisioni del Parlamento europeo e del Consiglio n. 895/2006/CE e n. 582/2008/CE (COM(2013) 441 final) (Atto Senato Doc. XVIII, n. 13).

Annunzio di una proposta di modificazione al Regolamento.

  In data 24 luglio 2013 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di modificazione al Regolamento d'iniziativa della deputata:
   POLLASTRINI: «Articolo 22: Istituzione della XV Commissione permanente – Diritti e pari opportunità» (Doc. II, n. 5).

  Sarà pubblicata e trasmessa alla Giunta per il Regolamento.

Trasmissione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 25 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8-ter del Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui è autorizzato, in relazione a un intervento da realizzare tramite contributi assegnati in sede di ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, l'utilizzo delle economie di spesa realizzate dal comune di Masullas (Oristano), a valere su contributi concessi per l'anno 2007, per ulteriori lavori connessi al restauro conservativo e al consolidamento statico della chiesa parrocchiale.

  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 25 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE per quanto riguarda la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune società e di taluni gruppi di grandi dimensioni (COM(2013) 207 final), accompagnata dalla tabella di corrispondenza tra le disposizioni della proposta e le norme nazionali vigenti.

  Questa relazione è trasmessa alla II Commissione (Giustizia), alla VI Commissione (Finanze) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 24 luglio 2013, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato Trattato sull'Unione europea, la proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'anno europeo dello sviluppo (2015) (COM(2013)509 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dalla Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

  Il presidente della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, con lettera in data 23 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lettera m), della legge 12 giugno 1990, n. 146, copia della relazione annuale sull'attività svolta dalla Commissione nell'anno 2012, corredata dalla relazione del medesimo presidente.

  Questa relazione è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro).

Comunicazioni del 26 luglio 2013.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sotto indicate Commissioni permanenti:
  II Commissione (Giustizia):
   FERRANTI ed altri: «Introduzione dell'articolo 411-bis del codice di procedura penale e altre disposizioni per la definizione del processo penale nei casi di particolare tenuità del fatto» (806) Parere della I Commissione.
  III Commissione (Affari esteri):
   CARUSO e CHAOUKI: «Ratifica ed esecuzione della Convenzione concernente la competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, conclusa all'Aja il 19 ottobre 1996» (648) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V, XI e XII.
  VII Commissione (Cultura):
   ABRIGNANI: «Modifiche all'articolo 8 della legge 24 dicembre 2003, n. 363, in materia di obbligo di utilizzo del casco protettivo nell'esercizio della pratica dello sci alpino e dello snowboard» (864) Parere delle Commissioni I e II.
  XI Commissione (Lavoro):
   DI SALVO: «Disposizioni per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili nel settore scolastico» (877) Parere delle Commissioni I, V e VII.
  XIII Commissione (Agricoltura):
   CAON ed altri: «Modifica all'articolo 2 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, e altre disposizioni per il contenimento della propagazione delle nutrie e dei piccioni» (1166) Parere delle Commissioni I, V, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XII e XIV.

Assegnazione di proposta di inchiesta parlamentare a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, la seguente proposta di inchiesta parlamentare è assegnata, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
  Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e III Commissione (Affari esteri):
   GIANCARLO GIORGETTI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sull'espulsione e sul rimpatrio della moglie e della figlia di un dissidente politico kazako» (Doc. XXII, n. 12) – Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni) e V.

Sentenze della Corte costituzionale.

  La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria le seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:

  Sentenza n. 189 del 3-12 luglio 2013 (Doc. VII, n. 121),
   con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, della legge della regione Liguria 6 agosto 2012, n. 27, recante «Modifiche alla legge regionale 1o luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio)», promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione:
  alla XIII Commissione (Agricoltura);

  Sentenza n. 204 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 126),
   con la quale:
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 96, terzo comma, del codice di procedura civile, e 133 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione ed all'articolo 6 della legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), dal tribunale di Tivoli:
  alla II Commissione (Giustizia);

  Sentenza n. 205 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 127),
   con la quale:
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 23-ter, comma 1, lettera g), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, promossa, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, dalla regione Veneto;
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 23-ter, comma 1, lettera g), del medesimo decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, promossa, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla regione Veneto:
  alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VI (Finanze);

  Sentenza n. 214 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 133),
   con la quale:
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 315, comma 3, in relazione all'articolo 646, comma 1, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli articoli 111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dalle Sezioni unite della Corte di cassazione:
  alla II Commissione (Giustizia);

  Sentenza n. 215 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 134),
   con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 16, del medesimo decreto-legge n. 95 del 2012, promossa dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia:
  alla VII Commissione (Cultura);

  Sentenza n. 216 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 135),
   con la quale:
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 81-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, come modificato dall'articolo 1-ter del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, «nella parte in cui prevede che il giudice “fissa” il calendario del processo, così sancendone l'obbligatorietà in ogni caso», sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione, dal tribunale ordinario di Varese, in composizione monocratica:
  alla II Commissione (Giustizia);

  Sentenza n. 224 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 142),
   con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 16 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), sollevata, in relazione agli articoli 10, 35, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, dal tribunale ordinario di Forlì:
  alla XI Commissione (Lavoro);

  Sentenza n. 225 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 143),
   con la quale:
    dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 promosse, con riferimento agli articoli 3, 39, 41 e 97 della Costituzione e al “principio dell'affidamento e della sicurezza giuridica”, dalla regione autonoma Sardegna;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 7, del decreto-legge n. 95 del 2012, promosse, in riferimento agli articoli 3, primo comma, lettera a), e 7 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e agli articoli 117 e 119 della Costituzione, dalla regione autonoma Sardegna:
  alla XI Commissione (Lavoro);

  Sentenza n. 233 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 150),
   con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento 30 luglio 2012, n. 17 (Disposizioni in materia di servizi pubblici e modificazioni della legge provinciale 31 maggio 2012, n. 10, in materia di iniziative per la modernizzazione del settore pubblico provinciale e per la revisione della spesa pubblica), in riferimento agli articoli 8 e 9, n. 9 e n. 10, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), ed all'articolo 117, secondo comma, lettere e) ed s), della Costituzione, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri:
  alla VIII Commissione (Ambiente);

  Sentenza n. 234 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 151),
   con la quale:
    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, comma 1, lettera a), 3, comma 1, con le relative tabelle, del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148), promosse dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli articoli 5, 72, quarto comma, 76 e 77 della Costituzione:
  alla II Commissione (Giustizia);

  La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:

  con lettera in data 12 luglio 2013, Sentenza n. 186 del 3-12 luglio 2013
(Doc. VII, n. 118),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2011), sia nel testo risultante a seguito delle modificazioni già introdotte dall'articolo 17, comma 4, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sia nel testo, attualmente vigente, risultante a seguito delle modificazioni introdotte dall'articolo 6-bis, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189:
  alle Commissioni riunite V (Bilancio) e XII (Affari sociali);

  con lettera in data 12 luglio 2013, Sentenza n. 187 del 3-12 luglio 2013 (Doc. VII, n. 119),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 11, comma 1, lettera c), e comma 3 della legge della Provincia autonoma di Trento 3 agosto 2012, n. 18, recante «Modificazioni della legge provinciale 10 settembre 1993, n. 26 (legge provinciale sui lavori pubblici), della legge provinciale 15 dicembre 1980, n. 35 (Determinazione delle quote di aggiunta di famiglia e disposizioni varie in materia di personale), della legge provinciale 3 aprile 1997, n. 7 (legge sul personale della Provincia), dell'articolo 14 (Costituzione della società “Patrimonio del Trentino s.p.a.”) della legge provinciale 10 febbraio 2005, n. 1, della legge provinciale 16 maggio 2012, n. 9 (Interventi a sostegno del sistema economico e delle famiglie), e della legge provinciale 31 maggio 2012, n. 10 (Interventi urgenti per favorire la crescita e la competitività del Trentino)»;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 30, comma 3-bis, della legge della Provincia autonoma di Trento 10 settembre 1993, n. 26 (Norme in materia di lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti), introdotto dall'articolo 16, comma 1, lettera a), della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2012 e modificato dall'articolo 68, comma 1, lettera a), della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Provincia autonoma di Trento – Legge finanziaria provinciale 2013);
    dichiara l'illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), dell'articolo 11, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2012;
    dichiara l'illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell'articolo 27 della legge n. 87 del 1953, dell'articolo 16, comma 1, lettera b), e comma 3, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2012;
    dichiara estinto il processo relativo alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 16, comma 1, lettera c), della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri:
  alla VIII Commissione (Ambiente);

  con lettera in data 12 luglio 2013, Sentenza n. 188 del 3-12 luglio 2013 (Doc. VII, n. 120),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 23, della legge della regione autonoma della Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale), nella parte in cui dispone che gli impianti eolici con potenza complessiva inferiore o uguale a 60 kW sono considerati minieolici e non sono assoggettati alle procedure di valutazione di impatto ambientale:
  alla VIII Commissione (Ambiente);

  con lettera in data 17 luglio 2013, Sentenza n. 193 del 3-17 luglio 2013 (Doc. VII, n. 122),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge della regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 15 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attività venatoria» concernenti il periodo di allenamento e addestramento cani);
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 3, della legge della regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31 (Disciplina della attività di movimento dei giovani cani), nella parte in cui prevede che le attività di movimento di giovani cani da esso consentite possano riguardare i giovani cani da destinare all'esercizio della attività venatoria;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2, della legge della regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31 (Disciplina della attività di movimento dei giovani cani) nella parte in cui, rinviando all'articolo 4 della legge della regione Veneto 28 dicembre 1993, n. 60 (Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo), consente che si possa procedere alla identificazione dei giovani cani mediante tatuaggio:
  alla XIII Commissione (Agricoltura);

  con lettera in data 17 luglio 2013, Sentenza n. 194 del 3-17 luglio 2013 (Doc. VII, n. 123),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 1, comma 2, 2 e 4, commi 1, 2, 3, della legge della regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 16 (Valorizzazione dei reperti mobili e dei cimeli appartenenti a periodi storici diversi dalla prima guerra mondiale):
  alla VII Commissione (Cultura);

  con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 202 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 124),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Disposizioni sull'ingresso, il soggiorno e l'allontanamento dal territorio dello Stato), nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che «ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare» o al «familiare ricongiunto», e non anche allo straniero «che abbia legami familiari nel territorio dello Stato»;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'articolo 9 del decreto legislativo n. 286 del 1998:
  alla I Commissione (Affari costituzionali);

  con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 203 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 125),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l'affine entro il terzo grado convivente, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 4, 29, 32, 35 e 118, quarto comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, nella parte in cui «in assenza di altri soggetti idonei, non consente ad altro parente o affine convivente di persona con handicap in situazione di gravità, debitamente accertata, di poter fruire del congedo straordinario»:
  alla XI Commissione (Lavoro);

  con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 209 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 128),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 2, comma 1; 3, comma 1, e 4, commi 2 e 4, della legge della regione Basilicata 13 luglio 2012, n. 12 (Norme per orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di origine regionale a chilometri zero);
    dichiara, in applicazione dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 3, della medesima legge della regione Basilicata n. 12 del 2012:
  alla XIII Commissione (Agricoltura);

  con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 210 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 129),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'amministrazione della giustizia), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 1, del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'amministrazione della giustizia), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, sollevata, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezioni unite penali;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8 del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'amministrazione della giustizia), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte di cassazione, sezioni unite penali:
  alla II Commissione (Giustizia);

  con lettere in data 18 e 22 luglio 2013, Sentenza n. 211 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 130),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2 della legge della regione Abruzzo 28 agosto 2012, n. 46 (Modifiche alla legge regionale 13 febbraio 2003, n. 2, recante «Disposizioni in materia di beni paesaggistici e ambientali, in attuazione della Parte terza del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – Codice dei beni culturali e del paesaggio):
  alla VIII Commissione (Ambiente);

  con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 212 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 131),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 5, della legge della regione Abruzzo 10 agosto 2012, n. 44 (Norme per la diffusione di metodologie alternative alla sperimentazione animale);
    dichiara inammissibile la questione di legittimità dell'articolo 3, comma 4, lettere a), b) e c), della legge della regione Abruzzo n. 44 del 2012, promossa, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
  alla XII Commissione (Affari sociali);

  con lettera in data 18 luglio 2013, Sentenza n. 213 del 3-18 luglio 2013 (Doc. VII, n. 132),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall'articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'articolo 630 del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure:
  alla II Commissione (Giustizia);

  con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 218 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 136),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 15, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 25 luglio 2012, n. 14 (Assestamento del bilancio 2012 e del bilancio pluriennale per gli anni 2012-2014 ai sensi dell'articolo 34 della legge regionale n. 21/2007);
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 19, lettera b), della medesima legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 31, della medesima legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012;
    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 9, commi 53, 54 e 55, e 12, commi 11, 12, 13, 14, 15, 19, 30 e 31, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012, promosse, in riferimento agli articoli 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia) e agli articoli 114 e 117, comma primo, della Costituzione;
    dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9, commi 53, 54 e 55, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012, promossa, in riferimento agli articoli 81, comma quarto, 97 e 117, comma terzo, della Costituzione;
    dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 12, commi 11, 12, 13 e 14, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012, promossa, in riferimento all'articolo 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione;
    dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell'articolo 12, comma 30, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012, promossa, in riferimento agli articoli 3, 97 e 117, comma terzo, della Costituzione:
  alla XI Commissione (Lavoro);

  con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 219 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 137),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, commi 1, 2, 3, 4 e 5 del decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), come modificato dalla legge di conversione 7 dicembre 2012, n. 213;
    dichiara l'illegittimità costituzionale in via consequenziale dell'articolo 1, commi 3-bis e 6, del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, commi 2, 3 e 5, del decreto legislativo n. 149 del 2011;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo vigente a seguito della modifica introdotta dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo a norma dell'articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69);
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012, nella parte in cui si applica alle regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, e alle Province autonome;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo vigente a seguito delle modifiche introdotte dall'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», nella parte in cui si applica alle regioni a statuto speciale e alle Province autonome;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 13, secondo periodo, del decreto legislativo n. 149 del 2011;
    dichiara cessata la materia del contendere, con riferimento all'articolo 5 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con il decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012, nei ricorsi promossi dalle regioni autonome Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste e Trentino-Alto Adige/Sudtirol, e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano;
    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento agli articoli 24, 100, 103, secondo comma, 120, 122 e 126 della Costituzione, e ai principi di ragionevolezza e leale collaborazione;
    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 120, 121, 122, 123 e 126 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione;
    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione Calabria, in riferimento agli articoli 121 e 126 della Costituzione;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012, promossa dalla regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, in riferimento all'articolo 2, comma 1, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, primo periodo, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, in riferimento agli articoli 5, 76, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione e agli articoli 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettere f) e l), 4, 12, 15, 48, 48-bis e 50 della legge costituzionale n. 4 del 1948;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, primo periodo, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione autonoma Trentino-Alto Adige/Sudtirol e dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione, agli articoli 79, 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), all'articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), e al principio di leale collaborazione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, primo periodo, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione siciliana, in riferimento agli articoli 76 e 119 della Costituzione e all'articolo 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della regione siciliana;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, primo periodo, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione; agli articoli 8, numero 1), 9, numero 10), 47, 49-bis, 54, 79, 80, 81, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972 e all'articolo 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; 2; 3, nel testo modificato dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo n. 195 del 2011; 4, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; e 6, nel testo modificato dall'articolo 3, comma 6, del decreto-legge n. 174 del 2012, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, in riferimento agli articoli 76 della Costituzione; 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera l), 4, 15, comma 2, 48-bis e 50 della legge costituzionale n. 4 del 1948;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; 2, commi 4 e 7; 4, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; e 6, nel testo modificato dall'articolo 3, comma 6, del decreto-legge n. 174 del 2012, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione autonoma Trentino-Alto Adige/Sudtirol in riferimento agli articoli 76, 117, terzo, quarto e sesto comma, e 120 della Costituzione; agli articoli 4, numeri 1) e 3), 79, 80 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972; agli articoli 16 e 17, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale); agli articoli 2 e 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992; agli articoli 2 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige per l'istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto) e al principio di leale collaborazione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; 2, commi 1, 2, 3, 4 e 7; 3, nel testo modificato dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo n. 195 del 2011; 4, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; e 6, nel testo modificato dall'articolo 3, comma 6, del decreto-legge n. 174 del 2012, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla Provincia autonoma di Trento in riferimento agli articoli 24, 76, 117, terzo, quarto e sesto comma, 100, 103, secondo comma, 120 e 126 della Costituzione; agli articoli 8, numero 1), 47, 49-bis, 54, 69, 79, 80 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972; agli articoli 2 e 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992; agli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 268 del 1992; agli articoli 2 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 305 del 1988 e ai principi di leale collaborazione e di ragionevolezza;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; 2; 3, nel testo vigente a seguito della modifica introdotta dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo n. 195 del 2011; e 7, nel testo vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 228 del 2012, del decreto legislativo n. 149 del 2011 promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 5, 76 e 120 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1-bis, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 174 del 2012, promosse dalla regione autonoma Sardegna in riferimento agli articoli 3, 97, 116, 117, 119 e 127 della Costituzione; agli articoli 7, 8, 15, 33, 35, 37, 54, 56 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante lo statuto speciale per la Sardegna; agli articoli 1, 4, 5 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 16 gennaio 1978, n. 21 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna concernente il controllo sugli atti della regione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1-bis, comma 1, lettera a), numero 1), e lettera e), del decreto-legge n. 174 del 2012, promosse dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in riferimento agli articoli 3, 24, 97, 113, 116 e 117, terzo e quarto comma, della Costituzione; agli articoli 4, numero 1), 12, 22, 41, 48 e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante lo statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia; e all'articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1975, n. 902 (Adeguamento ed integrazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione siciliana, in riferimento agli articoli 76 e 119 della Costituzione e agli articoli 8, 9 e 10 del regio decreto legislativo n. 455 del 1946;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, commi 1, 2, 3, 5, 7, e 3 del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento agli articoli 76 e 114 della Costituzione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, commi 1, 2, 3 e 5, 3 e 7 del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 5, 76, 120 della Costituzione e al principio di leale collaborazione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; 2, 3, nel testo modificato dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo n. 195 del 2011; 4, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 2, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012; e 6, nel testo modificato dall'articolo 3, comma 6, del decreto-legge n. 174 del 2012, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano in riferimento agli articoli 76, 100 e 120 della Costituzione; agli articoli 4, numero 3), 8, 9, numero 10), 16, 47, 49-bis, 54, 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972; all'articolo 16 del decreto legislativo n. 268 del 1992; al decreto del Presidente della Repubblica n. 305 del 1988; all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616);
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011 promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione ed al principio della certezza del diritto;
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promossa dalla regione Calabria, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, commi 1, 2, 3 e 5, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna, Umbria e Calabria, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, commi 1, 2, 3 e 5, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 120, 121, 122, 123 e 126 della Costituzione ed al principio di leale collaborazione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento all'articolo 126 della Costituzione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promossa dalla regione Campania, in riferimento agli articoli 122 e 126 della Costituzione;
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 7, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promossa dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento all'articolo 120 della Costituzione;
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo vigente a seguito della modifica introdotta dall'articolo 1, comma 3, lettera a), numero 8), del decreto legislativo n. 195 del 2011, promossa dalla regione Lazio, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento all'articolo 76 della Costituzione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalle regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in riferimento all'articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 149 del 2011, promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 117, quarto comma, e 123 della Costituzione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo introdotto dall'articolo 1-bis, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 213 del 2012, promosse dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 149 del 2011, nel testo vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 228 del 2012, promosse dalla regione Lazio, in riferimento agli articoli 117, quarto comma, e 119 della Costituzione:
  alla V Commissione (Bilancio);

  con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 220 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 138),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011;
    dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 17 e 18 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 135 del 2012;
    dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'articolo 23, comma 20-bis, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011;
    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 23, comma 21, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promosse – in riferimento agli articoli 3, 5, 77, 97, 114, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione, e ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione, nonché all'articolo 3, primo comma, lettere a) e b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) – dalle regioni Piemonte e Molise, e dalla regione autonoma Sardegna;
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 23, comma 4, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promossa – in riferimento agli articoli 4, primo comma, n. 1-bis), 51 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia), nonché all'articolo 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni) – dalla regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 23, comma 22, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 214 del 2011, promosse – in riferimento agli articoli 4, primo comma, n. 1-bis), 51 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia), all'articolo 3, primo comma, lettere a) e b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), agli articoli 2, primo comma, lettera b), 3, primo comma, lettera f), e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta) ed agli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione – dalle regioni autonome Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste:
  alla I Commissione (Affari costituzionali);

  con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 221 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 139),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 1, lettere a), b), c) e d), della legge della Provincia autonoma di Bolzano 23 dicembre 2010, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013. Legge finanziaria 2011), impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 1, lettere a), b), c) e d) della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 15 del 2010, promossa, in riferimento agli articoli 8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dal Presidente del Consiglio dei ministri:
  alla V Commissione (Bilancio);

  con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 222 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 140),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 2 e 8, comma 2, della legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 30 novembre 2011, n. 16 (Disposizioni di modifica della normativa regionale in materia di accesso alle prestazioni sociali e di personale), nella parte in cui subordinano l'accesso alle prestazioni ivi indicate al requisito della residenza nel territorio regionale da almeno ventiquattro mesi, anziché al solo requisito della residenza;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 9 della legge regionale n. 16 del 2011, nella parte in cui, per gli stranieri di cui all'articolo 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), subordina l'accesso alle prestazioni indicate dai precedenti articoli 2 e 8, comma 2, al requisito della residenza nel territorio regionale da almeno ventiquattro mesi;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 9 della legge regionale n. 16 del 2011, limitatamente alle parole «nel territorio nazionale da non meno di cinque anni e»;
    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, 3, 5, 6, comma 1, 7, 8, comma 2, e 9 della legge regionale n. 16 del 2011, promosse, in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 3, 5, 6, comma 1, e 7 della legge regionale n. 16 del 2011, promosse, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri;
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9 della legge regionale n. 16 del 2011, nella parte in cui subordina al requisito della residenza da almeno ventiquattro mesi nel territorio regionale l'accesso alle prestazioni indicate dai precedenti articoli 3, 5, 6, comma 1, e 7, promossa, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri:
  alla XII Commissione (Affari Sociali);

  con lettera in data 19 luglio 2013, Sentenza n. 223 del 16-19 luglio 2013 (Doc. VII, n. 141),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 819-ter, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui esclude l'applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all'articolo 50 del codice di procedura civile:
  alla II Commissione (Giustizia);

  con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 227 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 144),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 54 della legge della regione Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2012, n. 16 (Interventi di razionalizzazione e riordino di enti, aziende e agenzie della regione):
  alla XI Commissione (Lavoro);

  con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 228 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 145),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 18, commi 1 e 2, della legge della regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2 (Legge finanziaria regionale 2012);
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 79 della legge della regione Molise n. 2 del 2012;
    dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 3, commi 1 e 2, 67, commi 1 e 2, 68, comma 1, lettera a), e 69 della legge della regione Molise n. 2 del 2012 nella parte in cui non escludono dall'ambito della loro operatività le funzioni e le attività del commissario ad acta nominato dal Governo per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo regionale in materia sanitaria;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6 della legge della regione Molise 7 agosto 2012, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 26 gennaio 2012, n. 2 – Legge finanziaria regionale 2012):
  alla V Commissione (Bilancio);

  con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 229 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 146),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dei commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8 dell'articolo 4 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui si applicano alle regioni ad autonomia ordinaria;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla regione Friuli-Venezia Giulia, con il ricorso n. 159 del 2012, dalla regione Sardegna, con il ricorso n. 160 del 2012, e dalla regione siciliana, con il ricorso n. 171 del 2012, nei confronti dei commi 1, 2, 3, 3-sexies, 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento all'articolo 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia), agli articoli 3, comma 1, lettere a), b) e g), e 4, comma 1, lettere f) e g), 7 ed 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), agli articoli 14, lettere o) e p), 15 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della regione siciliana), convertito in legge costituzionale dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed agli articoli 75, 117, secondo e terzo comma, 118, primo e secondo comma, e 136 della Costituzione, in relazione all'articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione);
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale, promosse dalle regioni Campania, Sardegna e Puglia, con i ricorsi n. 153, n. 160 e n. 171 del 2012, in riferimento agli articoli 5, 75, 114, 117, 118 e 136 della Costituzione, nonché agli articoli 3 e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nei confronti dei commi 1, 2, 3, 7 ed 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del comma 7 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, promosse dalla regione Veneto, con ricorso n. 151 del 2012, in riferimento all'articolo 117, quarto comma, ed agli articoli 118 e 119 della Costituzione, nonché dalla regione Friuli-Venezia Giulia, con ricorso n. 159 del 2012, in relazione all'articolo 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia) ed all'articolo 117 della Costituzione;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale, promosse dalle regioni Lazio, Veneto e Puglia, con i ricorsi n. 145, n. 151 e n. 171 del 2012, in riferimento alle attribuzioni costituzionali degli enti locali, di cui agli articoli 5, 114, 117, sesto comma, e 118 Cost., nei confronti dei commi 1, 2, 3, secondo periodo, 3-sexies ed 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, nella parte in cui si applicano agli enti locali;
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 4, 5, 7, 9, 10, 11, 12 e 14 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, promosse dalla regione Veneto, con ricorso n. 151 del 2012, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nonché dalla regione Sardegna, con ricorso n. 160, in riferimento agli articoli 3 e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna);
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale promossa dalla regione Veneto, con il ricorso n. 151 del 2012, dei commi 3 e 13 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione;
    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla regione Veneto, con il ricorso n. 151 del 2012, nei confronti del comma 8-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento agli articoli 3, 97, 117, primo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione;
    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla regione Puglia, con il ricorso n. 171 del 2012, nei confronti dei commi 1 ed 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento agli articoli 41, 42, 43 e 77 della Costituzione;
    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla regione Veneto, con il ricorso n. 151 del 2012, nei confronti del comma 14 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento agli articoli 117, quarto comma, 3 e 97 della Costituzione, nonché dei commi 1, 3, 3-sexies, 7 ed 8 del medesimo articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012, in riferimento all'articolo 117, primo comma, della Costituzione:
  alla V Commissione (Bilancio);

  con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 230 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 147),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 19, secondo periodo, del decreto-legge n. 95 del 2012, nella parte in cui non contiene, dopo le parole «sentite le regioni interessate», le parole «e d'intesa con la regione Sardegna»;
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 6, comma 19, primo periodo, del decreto-legge n. 95 del 2012, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione nonché agli articoli 3, primo comma, lettera p), 4, primo comma, lettere f) e g), 6 e 53 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dalla regione autonoma Sardegna:
  alla IX Commissione (Trasporti);

  con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 231 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 148),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell'ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda:
  alla XI Commissione (Lavoro);

  con lettera in data 23 luglio 2013, Sentenza n. 232 del 16-23 luglio 2013 (Doc. VII, n. 149),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 275, comma 3, terzo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall'articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'articolo 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure:
  alla II Commissione (Giustizia).

Trasmissione dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

  Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con lettera in data 19 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 18 giugno 1998, n. 194, la relazione concernente l'andamento del processo di liberalizzazione di privatizzazione del trasporto aereo, riferita al secondo semestre del 2012 (Doc. LXXI, n. 1).

  Questa relazione è trasmessa alla IX Commissione (Trasporti).

Trasmissione dal Ministro della difesa.

  Il Ministro della difesa, con lettera in data 23 luglio 2013, ha trasmesso una comunicazione integrativa della relazione, già trasmessa ai sensi dell'articolo 15, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, concernente la procedura d'infrazione n. 2013/0233, del 30 maggio 2013, avviata, ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per mancato recepimento della direttiva 2012/47/UE della Commissione, del 14 dicembre 2012, che modifica la direttiva 2009/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l'elenco di prodotti per la difesa.

  Questa comunicazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri), alla IV Commissione (Difesa) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dal Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento delle attività di Governo.

  Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento delle attività di Governo, con lettera in data 24 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, commi 4 e 6, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze concernente l'adozione del piano parziale di rientro per l'estinzione dei debiti del medesimo Ministero per obbligazioni relative a somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali per l'anno 2013, nonché la relazione sulle ulteriori situazioni debitorie non ancora soddisfatte per il medesimo anno 2013.

  Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).

Trasmissione dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.

  Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con lettera in data 15 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, comma 6, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, la relazione sulle cause della mancata adozione del decreto ministeriale recante il piano di rientro per l'estinzione dei debiti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per obbligazioni relative a somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, riferita all'anno 2013.

  Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio), alla X Commissione (Attività produttive) e alla XIII Commissione (Agricoltura).

  Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con lettera in data 25 luglio 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 68, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, la relazione sullo stato della spesa, sull'efficacia nell'allocazione delle risorse e sul grado di efficienza dell'azione amministrativa svolta dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, riferita all'anno 2012 (Doc. CLXIV, n. 8).

  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali), alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 25 luglio 2013, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul molo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 99/2013 relativo al programma statistico europeo 2013-2017 (COM(2013) 525 final), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali). Tale proposta e altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 26 luglio 2013;
  Proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell'accordo quadro tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Corea, dall'altra (COM(2013) 551 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
  Progetto di bilancio rettificativo n. 7 al bilancio generale 2013 – Stato generale delle entrate – Stato delle spese per sezione Sezione III – Commissione (COM(20I3) 557 final), che è assegnato in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
  Proposte di decisione del Parlamento europeo e del Consilio relativa all'attivazione dello strumento di flessibilità (COM(2013) 559 final), che è assegnato in sede primaria alla V Commissione (Bilancio).
  La proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'anno europeo dello sviluppo (2015) (COM(2013) 509 final), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata, in data 25 luglio 2013, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), è altresì assegnata alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'allocazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 25 luglio 2013.

Trasmissione da un consiglio comunale.

  Il comune di Forno Canavese (Torino), in data 25 luglio 2013, ha trasmesso un ordine del giorno, approvato dal consiglio comunale nella seduta del 10 luglio 2013, concernente la richiesta di esentare i piccoli comuni dai vincoli del patto di stabilità interno o, in subordine, di escludere dal medesimo patto le spese per investimenti, in particolare realizzati con fondi propri o destinati all'edilizia scolastica e alla difesa del suolo.

  Questo documento è trasmesso alla V Commissione (Bilancio).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

  Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 26 giugno 2013, a pagina 4, seconda colonna, quartultima riga, dopo la parola: «V» si intendono inserite le seguenti: «, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria)».

DISEGNO DI LEGGE: CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE 21 GIUGNO 2013, N. 69, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER IL RILANCIO DELL'ECONOMIA (A.C. 1248-A/R)

A.C. 1248-A/R – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    il legislatore, nell'intento di attivare forme, di natura anche sperimentale, di semplificazione amministrativa, in aggiunta a quelle già espressamente previste in modo compiuto in specifiche norme, ha di recente disciplinato, su base volontaria, l'istituzione di «zone a burocrazia zero» (articolo 14, legge n. 183 del 2011 e successivamente articolo 37-bis del decreto-legge 179-2012 convertito in legge n. 221 del 2012 in combinato disposto con l'articolo 12 decreto-legge 5/2012 convertito in legge n. 35 del 2012, e più di recente articolo 37 decreto-legge 69/2013, oggi all'esame del Parlamento), che vengono, altresì, automaticamente istituite, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, lettera b) del decreto-legge 70/2010 convertito in legge n. 106 del 2011, per i Distretti turistici, riconosciuti con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
    le sopracitate ipotesi normative di semplificazione attraverso l'istituzione di ZBZ sono rimaste pressoché disapplicate, in quanto il succedersi delle norme ha determinato situazioni di incertezza finora non chiarite e poiché la relativa disciplina legislativa non contempla decisivi aspetti procedurali, né definisce con precisione i procedimenti esclusi dalle misure di semplificazione in questione;
    al riguardo, nessuna direttiva applicativa risulta essere stata diramata in proposito dai competenti Ministeri;
    la norma, infine, non precisa entro quali limiti e con quali modalità le ZBZ possano essere sottratte al vincolo paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico e possano fruire delle «deroghe alle procedure ed ai termini per l'esercizio delle competenze»;
    l'articolo 37 decreto-legge 69/2013, in atto oggetto di esame, non fornisce alcun elemento di chiarificazione rispetto ai sopraevidenziati ambiti di incertezza normativa; inoltre, il comma 5 di tale articolo introduce ulteriori elementi di indeterminatezza suscettibili di rendere estremamente problematica la prefigurazione di processi sperimentali di semplificazione, esponendoli ad un probabile contenzioso;
    in relazione a quanto sopra si ravvisa che la normativa in tema di semplificazione tramite le ZBZ presenti ancora numerose aree di incertezza ed indeterminatezza in termini di procedure e di competenze, che ne inficiano fortemente le concrete possibilità di applicazione, e pregiudicano l'estensione ai distretti turistici costituiti e costituendi delle possibili misure di semplificazione amministrativa,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative, ovvero adottare norme regolamentari o quantomeno direttive applicative, che:
    1. definiscano in maniera più dettagliata le fasi procedurali di attivazione delle forme sperimentali di semplificazione amministrativa mediante le «zone a burocrazia zero» previste dalle vigenti norme di legge;
    2. definiscano le sedi istituzionali sul territorio cui spetti una attività di coordinamento in materia;
    3. delineino la interconnessione tra distretti turistici di cui all'articolo 3 del decreto-legge 70/2010 convertito in legge n. 106 del 2011 e «zone a burocrazia zero»;
    4. fissino gli ambiti procedimentali esclusi, in relazione ad interessi ritenuti preminenti, dalla sperimentazione di processi di semplificazione;
    5. proroghino, attese le difficoltà applicative finora emerse, a data successiva il termine, ora fissato al 31 dicembre 2013, per l'attivazione delle ZBZ e delle relative misure di semplificazione.
9/1248-A-R/1Arlotti, Petitti, Pizzolante.


   La Camera,
   premesso che:
    il legislatore, nell'intento di attivare forme, di natura anche sperimentale, di semplificazione amministrativa, in aggiunta a quelle già espressamente previste in modo compiuto in specifiche norme, ha di recente disciplinato, su base volontaria, l'istituzione di «zone a burocrazia zero» (articolo 14, legge n. 183 del 2011 e successivamente articolo 37-bis del decreto-legge 179-2012 convertito in legge n. 221 del 2012 in combinato disposto con l'articolo 12 decreto-legge 5/2012 convertito in legge n. 35 del 2012, e più di recente articolo 37 decreto-legge 69/2013, oggi all'esame del Parlamento), che vengono, altresì, automaticamente istituite, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, lettera b) del decreto-legge 70/2010 convertito in legge n. 106 del 2011, per i Distretti turistici, riconosciuti con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
    le sopracitate ipotesi normative di semplificazione attraverso l'istituzione di ZBZ sono rimaste pressoché disapplicate, in quanto il succedersi delle norme ha determinato situazioni di incertezza finora non chiarite e poiché la relativa disciplina legislativa non contempla decisivi aspetti procedurali, né definisce con precisione i procedimenti esclusi dalle misure di semplificazione in questione;
    al riguardo, nessuna direttiva applicativa risulta essere stata diramata in proposito dai competenti Ministeri;
    la norma, infine, non precisa entro quali limiti e con quali modalità le ZBZ possano essere sottratte al vincolo paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico e possano fruire delle «deroghe alle procedure ed ai termini per l'esercizio delle competenze»;
    l'articolo 37 decreto-legge 69/2013, in atto oggetto di esame, non fornisce alcun elemento di chiarificazione rispetto ai sopraevidenziati ambiti di incertezza normativa; inoltre, il comma 5 di tale articolo introduce ulteriori elementi di indeterminatezza suscettibili di rendere estremamente problematica la prefigurazione di processi sperimentali di semplificazione, esponendoli ad un probabile contenzioso;
    in relazione a quanto sopra si ravvisa che la normativa in tema di semplificazione tramite le ZBZ presenti ancora numerose aree di incertezza ed indeterminatezza in termini di procedure e di competenze, che ne inficiano fortemente le concrete possibilità di applicazione, e pregiudicano l'estensione ai distretti turistici costituiti e costituendi delle possibili misure di semplificazione amministrativa,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative, ovvero adottare norme regolamentari o quantomeno direttive applicative, che:
    1. definiscano in maniera più dettagliata le fasi procedurali di attivazione delle forme sperimentali di semplificazione amministrativa mediante le «zone a burocrazia zero» previste dalle vigenti norme di legge;
    2. definiscano le sedi istituzionali sul territorio cui spetti una attività di coordinamento in materia;
    3. delineino la interconnessione tra distretti turistici di cui all'articolo 3 del decreto-legge 70/2010 convertito in legge n. 106 del 2011 e «zone a burocrazia zero»;
    4. fissino gli ambiti procedimentali esclusi, in relazione ad interessi ritenuti preminenti, dalla sperimentazione di processi di semplificazione;
    5. proroghino, attese le difficoltà applicative finora emerse, a data successiva il termine, ora fissato al 31 dicembre 2013, per l'attivazione delle ZBZ e delle relative misure di semplificazione.
9/1248-A-R/1. (Testo modificato nel corso della seduta) Arlotti, Petitti, Pizzolante.


   La Camera,
   premesso che:
    da parecchi anni la città di Torino è impegnata nella realizzazione della prima linea di metropolitana;
    dal 2005, con l'entrata in funzione della prima tratta funzionale, da Collegno a Porta Susa è stato evidente il miglioramento del trasporto pubblico locale, proseguito con la realizzazione di altre tratte che ormai attraversano completamente la città di Torino;
    l'intero progetto prevede il percorso Torino-Rivoli con la possibilità di incontrare la tangenziale e creare, così, le relative possibilità di interscambio e non solo. Questo è possibile con la realizzazione della tratta Collegno-Cascine Vica;
    il progetto relativo è stato già valutato positivamente dal CIPE che è in possesso del progetto preliminare;
    nelle scorse settimane la città di Torino, la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, i comuni di Collegno e Rivoli hanno ribadito l'urgenza dell'opera e la piena disponibilità a stanziare la quota di loro competenza;
    la non immediata cantierabilità dell'opera, insieme con le scarse risorse, ha impedito che trovasse accoglimento nel decreto in questione,

impegna il Governo

a mantenere gli accordi assunti con gli Enti Locali competenti e a reperire le risorse necessarie all'opera il più presto possibile, comunque entro il 2014.
9/1248-A-R/2D'Ottavio, Paola Bragantini, Bonomo, Borghi, Mattiello, Rossomando, Giorgis, Boccuzzi, Fregolent, Bobba.


   La Camera,
   premesso che:
    da parecchi anni la città di Torino è impegnata nella realizzazione della prima linea di metropolitana;
    dal 2005, con l'entrata in funzione della prima tratta funzionale, da Collegno a Porta Susa è stato evidente il miglioramento del trasporto pubblico locale, proseguito con la realizzazione di altre tratte che ormai attraversano completamente la città di Torino;
    l'intero progetto prevede il percorso Torino-Rivoli con la possibilità di incontrare la tangenziale e creare, così, le relative possibilità di interscambio e non solo. Questo è possibile con la realizzazione della tratta Collegno-Cascine Vica;
    il progetto relativo è stato già valutato positivamente dal CIPE che è in possesso del progetto preliminare;
    nelle scorse settimane la città di Torino, la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, i comuni di Collegno e Rivoli hanno ribadito l'urgenza dell'opera e la piena disponibilità a stanziare la quota di loro competenza;
    la non immediata cantierabilità dell'opera, insieme con le scarse risorse, ha impedito che trovasse accoglimento nel decreto in questione,

impegna il Governo

nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, ad adottare d'intesa con gli Enti locali competenti le misure più opportune per la realizzazione dell'opera il più presto possibile, comunque entro il 2014.
9/1248-A-R/2. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Ottavio, Paola Bragantini, Bonomo, Borghi, Mattiello, Rossomando, Giorgis, Boccuzzi, Fregolent, Bobba.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame (A.C. 1248) all'articolo 25 prevede una serie di interventi per superare situazioni emergenziali relative alle infrastrutture e ai trasporti;
    l'articolo 17-septies della legge 7 agosto 2012, n. 134 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, recante Misure urgenti per la crescita del Paese – Gazzetta Ufficiale n. 187 dell'11 agosto 2012 – Suppl. Ordinario n. 171) evidenzia come al fine di garantire in tutto il territorio nazionale i livelli minimi uniformi di accessibilità del servizio di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica debba essere redatto un Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica che ha ad oggetto la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica nonché interventi di recupero del patrimonio edilizio finalizzati allo sviluppo delle medesime reti;
    la crisi energetica ed economica, gli oneri di manutenzione dei mezzi pubblici, il crescente inquinamento necessitano di soluzioni perseguibili attraverso una maggiore offerta del trasporto pubblico, il maggior riciclo possibile e l'utilizzo di veicoli a basse emissioni complessive,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare concrete misure di sostegno allo sviluppo della mobilità sostenibile, attraverso misure volte a favorire la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica e la sperimentazione e la diffusione di flotte pubbliche e private di veicoli a basse emissioni complessive, con particolare riguardo al contesto urbano, l'acquisto di veicoli a trazione elettrica o ibrida, nonché la facilitazione burocratica della conversione da mezzi a trazione endotermica in mezzi a trazione elettrica (retrofit).
9/1248-A-R/3Mucci, Catalano, De Lorenzis, Prodani, Petraroli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9, comma 2 del decreto-legge n. 69 del 2013 introduce misure volte a favorire un'accelerazione nell'utilizzazione dei fondi strutturali europei e ad evitare di incorrere nelle sanzioni previste dall'ordinamento dell'Unione europea per i casi di mancata attuazione dei programmi e dei progetti cofinanziati con fondi strutturali europei e di sottoutilizzazione dei relativi finanziamenti;
    tale tipo di accelerazione può essere promossa anche attingendo ad esperienze replicabili e maturate in contesti locali; ad esempio, la Regione Calabria, a partire dal 2012, ha individuato, attraverso la Fondazione dei Calabresi nel Mondo, in qualità di organismo in house providing, strumenti in grado di determinare un accrescimento della spesa dei fondi strutturali nell'ambito della progettazione e implementazione del programma integrato «Calabriae In Work», finalizzato ad identificare, sia in ambito istituzionale che aziendale, reti lunghe di collaborazione e scambio mediante l'attivazione di network materiali ed immateriali;
    il grado di competitività e di efficienza dei sistemi locali, in termini di occupabilità ed adattabilità, oggi più che mai, dipende dalla capacità degli stessi di aprirsi alle opportunità e di allinearsi ai mutamenti dei connessi sistemi internazionali;
    in questa prospettiva assume una rilevanza centrale il ruolo delle comunità e delle antenne degli italiani nel mondo, che possono costituire, nei territori fertilizzati dalla loro presenza e dal loro pieno e spesso qualificato incardinamento sociale, economico e professionale, uno straordinario strumento di facilitazione nella costruzione di reti operative tra sistemi e territori diversi;
    le reti lunghe di comunità di cui sopra possono rendere così tali fondi funzionali all'accrescimento dei livelli di competitività, innovazione ed internazionalizzazione del sistema nazionale,

impegna il Governo

a sollecitare le amministrazioni che utilizzano i fondi strutturali europei, attraverso il coinvolgimento operativo delle Regioni e delle strutture operanti nella tutela e valorizzazione delle rispettive comunità all'estero, ad attivare processi rivolti alla implementazione, definizione e sperimentazione di progetti finalizzati alla valorizzazione delle reti lunghe di comunità costituite dagli italiani all'estero.
9/1248-A-R/4Galati.


   La Camera,
   considerato che:
    sono molteplici gli interventi di risparmio della spesa anche di una certa consistenza che sarebbe necessario introdurre, andando a cercare risorse dentro il bilancio dello Stato attraverso un'individuazione dei punti di spreco e cercando di rimodulare una spesa pubblica che continua a crescere nonostante le manovre lacrime e sangue di questi anni;
    uno dei più importanti riguarda la necessità di introdurre, nella pubblica amministrazione, disposizioni volte ad aumentarne l'efficienza; in particolare vi sono tanti dipendenti che hanno scarsa produttività, che sono giunti vicino alla pensione e che rinuncerebbero volentieri ad una percentuale della retribuzione se lasciati a casa a svolgere telelavoro o senza prestare attività lavorativa attraverso la messa in disponibilità;
    di conseguenza, non sarebbe inopportuno né pernicioso pensare di assegnare ad ogni comparto un obiettivo di riduzione di personale su base di accordi per conseguire un risparmio serio: se si pensasse ad un obiettivo di 100.000 addetti, il costo complessivo ammonterebbe intorno ai 4.5 miliardi, che con una riduzione del 30 per cento della retribuzione assicurerebbe un risparmio di 1 miliardo senza abbassare la produttività. Il risparmio potrebbe essere utilizzato per coprire riduzioni di pressione fiscale o per finanziare un piano di assunzione di giovani sotto i 30 anni,

impegna il Governo

a studiare modalità adeguate di estensione dell'istituto del collocamento in disponibilità per i lavoratori a tempo indeterminato che maturino i requisiti per il trattamento pensionistico entro l'anno 2018 e ad avviare conseguentemente procedure di reclutamento di un numero di personale pari ad almeno 20 per cento delle unità collocate in disponibilità, in linea con i criteri generali già vigenti nell'ordinamento, al fine di favorire la riduzione delle piante organiche e, al contempo, favorire l'accesso ai giovani nelle pubbliche amministrazioni.
9/1248-A-R/5Melilli, Rughetti, Tabacci, Andrea Romano.


   La Camera,
   considerato che:
    sono molteplici gli interventi di risparmio della spesa anche di una certa consistenza che sarebbe necessario introdurre, andando a cercare risorse dentro il bilancio dello Stato attraverso un'individuazione dei punti di spreco e cercando di rimodulare una spesa pubblica che continua a crescere nonostante le manovre lacrime e sangue di questi anni;
    uno dei più importanti riguarda la necessità di introdurre, nella pubblica amministrazione, disposizioni volte ad aumentarne l'efficienza; in particolare vi sono tanti dipendenti che hanno scarsa produttività, che sono giunti vicino alla pensione e che rinuncerebbero volentieri ad una percentuale della retribuzione se lasciati a casa a svolgere telelavoro o senza prestare attività lavorativa attraverso la messa in disponibilità;
    di conseguenza, non sarebbe inopportuno né pernicioso pensare di assegnare ad ogni comparto un obiettivo di riduzione di personale su base di accordi per conseguire un risparmio serio: se si pensasse ad un obiettivo di 100.000 addetti, il costo complessivo ammonterebbe intorno ai 4.5 miliardi, che con una riduzione del 30 per cento della retribuzione assicurerebbe un risparmio di 1 miliardo senza abbassare la produttività. Il risparmio potrebbe essere utilizzato per coprire riduzioni di pressione fiscale o per finanziare un piano di assunzione di giovani sotto i 30 anni,

impegna il Governo

nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, a studiare modalità adeguate di estensione dell'istituto del collocamento in disponibilità per i lavoratori a tempo indeterminato che maturino i requisiti per il trattamento pensionistico entro l'anno 2018 e ad avviare conseguentemente procedure di reclutamento di un numero di personale pari ad almeno 20 per cento delle unità collocate in disponibilità, in linea con i criteri generali già vigenti nell'ordinamento, al fine di favorire la riduzione delle piante organiche e, al contempo, favorire l'accesso ai giovani nelle pubbliche amministrazioni.
9/1248-A-R/5. (Testo modificato nel corso della seduta) Melilli, Rughetti, Tabacci, Andrea Romano.


   La Camera,
   considerato che:
    sono molteplici gli interventi di risparmio della spesa anche di una certa consistenza che sarebbe necessario introdurre, andando a cercare risorse dentro il bilancio dello Stato attraverso un'individuazione dei punti di spreco e cercando di rimodulare una spesa pubblica che nonostante le manovre lacrime e sangue di questi anni continua a crescere;
    un punto importante su cui intervenire potrebbe essere l'eliminazione della possibilità di perseguire un cumulo fra il percepimento della pensione pubblica e il compenso per lo svolgimento di un incarico pubblico sia elettivo che di nomina. Si pensi in particolare a quanti fra parlamentari, membri del governo e dei gabinetti, consiglieri e assessori degli enti territoriali, componenti dei consigli di amministrazione delle aziende pubbliche ma anche consiglieri di Stato o della Corte dei conti percepiscono una doppia retribuzione che potrebbe invece essere risparmiata o versata in un fondo per finanziare le startup o le assunzioni dei giovani;
    in particolare, anziché vietare del tutto che svolgano altri incarichi, considerato la spesso elevata professionalità di questi soggetti, sarebbe importante prevedere un obbligo di riversamento della pensione percepita per il periodo corrispondente all'incarico svolto, in modo da assicurare alla pubblica amministrazione un risparmio significativo,

impegna il Governo

a prevedere che i titolari di pensione erogata dagli enti previdenziali e da altri organi la cui attività è sostenuta, in via prevalente, da finanziamenti a carico del bilancio statale, ivi inclusi la commissione europea e gli organismi internazionali sostenuti da trasferimenti a carico del bilancio statale, nonché da organismi retti da amministratori, consiglieri o commissari di nomina pubblica, i quali si trovano a svolgere attività retribuite a titolo di lavoro dipendente o di lavoratore autonomo, nelle strutture sotto indicare debbano, per il periodo di svolgimento di tali attività riversare al bilancio dello stato l'importo della pensione.
9/1248-A-R/6Rughetti, Melilli, Tabacci, Andrea Romano, Richetti, Giorgis, Fabbri.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 18, comma 2, del presente decreto-legge tra le opere infrastrutturali prioritari cita testualmente «...gli assi autostradali Pedemontana Veneta e Tangenziale Est Esterna di Milano...»;
    in sede di Accordo di Programma per la realizzazione della Tangenziale Est Esterna di Milano i comuni interessati da questa opera lo avevano sottoscritto a fronte della imprescindibile necessità di realizzare una serie di interventi di compensazione;
    suddetti interventi sono riportati nel dettaglio nell'ambito della scheda 19 dell'Allegato 4 dell'Accordo di Programma;
    uno degli interventi previsti riguarda la MM2 di Milano;
    in particolare l'abbattimento delle «Barriere Architettoniche» sulla tratta della metropolitana MM2 nel tratto compreso tra le stazioni di Gobba e Gessate consentirebbe di accedere alle stazioni della MM2 anche a persone portatrici di handicap, con difficoltà motorie nonché alle persone anziane,

impegna il Governo

a vigilare per garantire il rispetto dell'accordo di programma di cui in premessa nonché ad adottare iniziative normative volte a rendere vincolante per il finanziamento dell'opera la necessaria riqualificazione delle stazioni della MM2 da Gobba a Gessate.
9/1248-A-R/7Cova, Gasparini, Casati, Quartapelle Procopio, Mauri.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 39, comma 2 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ha definitivamente chiarito che l'attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore è libera;
    con il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2012 sono stati individuati i requisiti minimi affinché le imprese che svolgono attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore possano legittimamente operare nel mercato, e alcune di esse risultano essere già presenti nell'Elenco istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; anche nella gran parte degli Stati Membri dell'UE la gestione collettiva dei diritti d'autore e connessi è lasciata alla libera autodeterminazione dei soggetti interessati: liberi di auto-organizzarsi nelle forme prescelte e soprattutto liberi di competere, in un sistema di libera concorrenza tra le società di collecting, per offrire servizi di raccolta e distribuzione più efficienti ed economicamente convenienti per gli aventi diritto;
    in Italia, ciò è oggi possibile soltanto nell'ambito dei diritti connessi al diritto d'autore spettanti agli artisti interpreti o esecutori del settore audiovisivo, le cui società di intermediazione sono legittimate a negoziare con gli utilizzatori, raccogliere e ripartire i compensi loro spettanti ai sensi della legge sul diritto d'autore;
    altrettanto invece non accade ancora per le società di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore spettanti agli artisti interpreti o esecutori dei settore musica, in relazione alle utilizzazioni dei fonogrammi dai medesimi interpretati;
    nel settore musica, infatti, l'articolo 73, comma 1, legge n. 633 del 22 aprile 1941 in materia di diritto d'autore, da un lato, attribuisce la titolarità del diritto connesso al diritto d'autore previsto da tale norma congiuntamente al produttore di fonogrammi ed agli artisti interpreti o esecutori dei medesimi, ma dall'altro stabilisce anche che «l'esercizio di tale diritto spetto al produttore, il quale ripartisce il compenso con gli artisti interpreti o esecutori interessati»;
    pertanto il potere di negoziare e gestire i diritti connessi al diritto d'autore nel settore musica è ancora esclusivamente riservato ai soli produttori di fonogrammi ed il relativo mercato è sostanzialmente soggetto al controllo delle tre major multinazionali (Universal Music, Sony Music e Warner Music) che, per mezzo di SCF, Consorzio Fonografici, raccolgono i compensi dovuti ai produttori discografici e agli artisti;
    si tratta di un'evidente posizione di subalternità degli artisti e delle imprese intermediarie dei loro diritti rispetto ai produttori fonografici ed alle loro organizzazioni di gestione collettiva: questi ultimi negoziano a propria discrezione e raccolgono anche la quota dei compensi spettante agli artisti, spesso trattenendola e facendone oggetto di successivo negoziato, ai fini della ripartizione in favore degli artisti;
    la previsione dell'articolo 73 della legge 633 del 1941 oltre che essere inadeguata e superata alla luce dell'intervenuta liberalizzazione, lede l'articolo 3 della Costituzione (uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini), poiché – sulla medesima materia – consente all'industria dei produttori di fonogrammi piena libertà di azione, mentre comprime la libertà degli artisti, i quali, secondo questa norma, non potrebbero affidare ad un intermediario di propria fiducia la gestione integrale ed autonoma di tali diritti connessi;
    in gran parte dei Paesi europei vi è una netta separazione tra la gestione collettiva dei diritti dei produttori e quella degli artisti, che, pur nella distinzione, collaborano attivamente tra loro al fine di massimizzare le azioni di effettiva tutela di entrambe le categorie. Ed è anche per tale ragione che, ad esempio, in Francia, Spagna, Belgio e Olanda i volumi di diritti gestiti sono di gran lunga superiori a quelli raccolti in Italia;
    nel corso della discussione e votazione degli emendamenti al disegno di legge di conversione del decreto legge, il rappresentante del Governo ha dichiarato il proprio impegno affinché questa disparità giuridica di trattamento, in danno degli artisti e delle imprese intermediarie che li rappresentano venga rapidamente risolta,

impegna il Governo

a introdurre nella Legge di Stabilità 2014 – o in subordine in sede di recepimento della direttiva 2011/77/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2011, che modifica la direttiva 2006/116/CE concernente la durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi – la modifica dell'articolo 73 della legge n. 633 del 22 aprile 1941 nel senso di consentire anche agli artisti, interpreti ed esecutori gli stessi diritti previsti per le organizzazione imprenditoriali e quindi a far sì che l'esercizio al diritto al compenso previsto dagli articoli 73 e 73-bis della legge n. 633 del 22 aprile 1941 non sia più attribuito in via esclusiva al produttore, ma sia riconosciuto distintamente a tutte le imprese intermediarie dei diritti connessi al diritto d'autore che abbiano i requisiti richiesti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2012 e che abbiano ricevuto mandato dai singoli aventi diritto, inclusi gli artisti interpreti o esecutori, in posizione di autonomia e indipendenza reciproca.
9/1248-A-R/8Di Gioia.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 39, comma 2 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 ha definitivamente chiarito che l'attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore è libera;
    con il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2012 sono stati individuati i requisiti minimi affinché le imprese che svolgono attività di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore possano legittimamente operare nel mercato, e alcune di esse risultano essere già presenti nell'Elenco istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; anche nella gran parte degli Stati Membri dell'UE la gestione collettiva dei diritti d'autore e connessi è lasciata alla libera autodeterminazione dei soggetti interessati: liberi di auto-organizzarsi nelle forme prescelte e soprattutto liberi di competere, in un sistema di libera concorrenza tra le società di collecting, per offrire servizi di raccolta e distribuzione più efficienti ed economicamente convenienti per gli aventi diritto;
    in Italia, ciò è oggi possibile soltanto nell'ambito dei diritti connessi al diritto d'autore spettanti agli artisti interpreti o esecutori del settore audiovisivo, le cui società di intermediazione sono legittimate a negoziare con gli utilizzatori, raccogliere e ripartire i compensi loro spettanti ai sensi della legge sul diritto d'autore;
    altrettanto invece non accade ancora per le società di intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore spettanti agli artisti interpreti o esecutori dei settore musica, in relazione alle utilizzazioni dei fonogrammi dai medesimi interpretati;
    nel settore musica, infatti, l'articolo 73, comma 1, legge n. 633 del 22 aprile 1941 in materia di diritto d'autore, da un lato, attribuisce la titolarità del diritto connesso al diritto d'autore previsto da tale norma congiuntamente al produttore di fonogrammi ed agli artisti interpreti o esecutori dei medesimi, ma dall'altro stabilisce anche che «l'esercizio di tale diritto spetto al produttore, il quale ripartisce il compenso con gli artisti interpreti o esecutori interessati»;
    pertanto il potere di negoziare e gestire i diritti connessi al diritto d'autore nel settore musica è ancora esclusivamente riservato ai soli produttori di fonogrammi ed il relativo mercato è sostanzialmente soggetto al controllo delle tre major multinazionali (Universal Music, Sony Music e Warner Music) che, per mezzo di SCF, Consorzio Fonografici, raccolgono i compensi dovuti ai produttori discografici e agli artisti;
    si tratta di un'evidente posizione di subalternità degli artisti e delle imprese intermediarie dei loro diritti rispetto ai produttori fonografici ed alle loro organizzazioni di gestione collettiva: questi ultimi negoziano a propria discrezione e raccolgono anche la quota dei compensi spettante agli artisti, spesso trattenendola e facendone oggetto di successivo negoziato, ai fini della ripartizione in favore degli artisti;
    la previsione dell'articolo 73 della legge 633 del 1941 oltre che essere inadeguata e superata alla luce dell'intervenuta liberalizzazione, lede l'articolo 3 della Costituzione (uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini), poiché – sulla medesima materia – consente all'industria dei produttori di fonogrammi piena libertà di azione, mentre comprime la libertà degli artisti, i quali, secondo questa norma, non potrebbero affidare ad un intermediario di propria fiducia la gestione integrale ed autonoma di tali diritti connessi;
    in gran parte dei Paesi europei vi è una netta separazione tra la gestione collettiva dei diritti dei produttori e quella degli artisti, che, pur nella distinzione, collaborano attivamente tra loro al fine di massimizzare le azioni di effettiva tutela di entrambe le categorie. Ed è anche per tale ragione che, ad esempio, in Francia, Spagna, Belgio e Olanda i volumi di diritti gestiti sono di gran lunga superiori a quelli raccolti in Italia;
    nel corso della discussione e votazione degli emendamenti al disegno di legge di conversione del decreto legge, il rappresentante del Governo ha dichiarato il proprio impegno affinché questa disparità giuridica di trattamento, in danno degli artisti e delle imprese intermediarie che li rappresentano venga rapidamente risolta,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre nella Legge di Stabilità 2014 – o in subordine in sede di recepimento della direttiva 2011/77/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2011, che modifica la direttiva 2006/116/CE concernente la durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi – la modifica dell'articolo 73 della legge n. 633 del 22 aprile 1941 nel senso di consentire anche agli artisti, interpreti ed esecutori gli stessi diritti previsti per le organizzazione imprenditoriali e quindi a far sì che l'esercizio al diritto al compenso previsto dagli articoli 73 e 73-bis della legge n. 633 del 22 aprile 1941 non sia più attribuito in via esclusiva al produttore, ma sia riconosciuto distintamente a tutte le imprese intermediarie dei diritti connessi al diritto d'autore che abbiano i requisiti richiesti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 dicembre 2012 e che abbiano ricevuto mandato dai singoli aventi diritto, inclusi gli artisti interpreti o esecutori, in posizione di autonomia e indipendenza reciproca.
9/1248-A-R/8. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Gioia.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 31, reca disposizioni per la semplificazione in materia di DURC;
   considerato che:
    il certificato di agibilità è il documento che autorizza l'impresa a far agire nei locali di proprietà (o di cui le stesse imprese abbiano un diritto personale di godimento) i lavoratori dello spettacolo artisti e tecnici, occupati nelle categorie da 1 a 14 dell'articolo 3 del decreto legislativo C.P.S. n. 708/47 (e successive modifiche ed integrazioni) in relazione ad uno specifico evento (o ad una serie di eventi). L'agibilità viene rilasciata dalla gestione ex-Enpals previo accertamento della regolarità degli adempimenti contributivi o a seguito di presentazione di idonee garanzie (articolo 10 decreto legislativo C.P.S. n. 708/47). In particolare, in conformità alle disposizioni vigenti dal 1o gennaio 2008, il rilascio del certificato è subordinato all'assenza di debiti contributivi da parte dell'impresa richiedente nei confronti dell'Ente. Infatti, nel caso in cui l'impresa risulti debitrice sarà necessario regolarizzare la posizione debitoria versando l'importo dovuto (anche ratealmente) o produrre fideiussione bancaria o assicurativa di importo pari all'ammontare dei debiti contributivi; di fatto, la predetta certificazione svolge la medesima funzione che attualmente ricopre il documento unico di regolarità contributiva (DURC). Appare pertanto necessario, in chiave semplificativa, uniformare le due discipline riconducendo anche le aziende dello spettacolo al sistema DURC,

impegna il Governo

ad uniformare la disciplina relativa al certificato di agibilità che autorizza l'impresa a far agire nei locali di proprietà i lavoratori dello spettacolo artisti e tecnici, al documento unico di regolarità contributiva.
9/1248-A-R/9Ciprini, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Rizzetto, Bechis, Tripiedi.


   La Camera,
   premesso che:
    i datori di lavoro o i consulenti del lavoro delegati, previa autenticazione con PIN, possono consultare gli attestati dei propri dipendenti attraverso i servizi messi a disposizione dall'Inps tramite la consultazione dell'area dedicata;
    attraverso questo meccanismo, il datore di lavoro o il consulente da lui delegato può consultare e stampare un attestato di malattia fornendo il numero di protocollo del certificato e il codice fiscale associato;
   considerato che le domande relative a prestazioni previdenziali (maternità, permessi disabili eccetera) se pur compilati in via telematica, devono poi essere consegnati in cartaceo al datore di lavoro;
   ritenuto che l'utilizzo di internet velocizza e riduce i costi connessi alla richiesta delle suddette prestazioni previdenziali,

impegna il Governo

ad introdurre meccanismi che consentano l'invio diretto agli intermediari delle domande relative a prestazioni previdenziali così come già avviene per la verifica dei certificati di malattia.
9/1248-A-R/10Tripiedi, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Bechis, Rizzetto, Ciprini.


   La Camera,
   premesso che:
    in caso di infortunio sul luogo di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a inoltrare la denuncia all'Inail tramite il portale nell'area dedicata;
    per la richiesta di liquidazione, è necessario da parte del datore l'inserimento di dati sia relativi all'azienda, quelli relativi alla dinamica dell'incidente e quelli relativi all'inquadramento del lavoratore infortunato;
   considerato che nei casi di infortunio del dipendente part time l'INAIL, dopo aver ricevuto la relativa denuncia, richiede dei dati aggiuntivi all'impresa (orario part time, orario full time applicato in azienda e retribuzione di riferimento annuale) per poter procedere alla liquidazione;
   ritenuto che tale doppia comunicazione risulta superflua ed onerosa,

impegna il Governo

a sollecitare la realizzazione di integrazioni del sistema informatico che lo rendano più completo per il tramite dell'inserimento di una finestra apposita al fine di permettere all'operatore di inserire già in sede di prima denuncia l'orario di lavoro del dipendente da indennizzare e conseguentemente consentire all'INAIL di provvedere alle erogazioni in modo più celere e diretto.
9/1248-A-R/11Cominardi, Baldassarre, Rostellato, Ciprini, Tripiedi, Rizzetto, Bechis.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 34, reca disposizioni in materia di trasmissione in via telematica del certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, del certificato di parto e del certificato di interruzione di gravidanza;
   considerato che attualmente una lavoratrice in gravidanza che ha la necessità di astenersi dal posto di lavoro in modo anticipato rispetto al periodo obbligatorio è chiamata a svolgere una serie di adempimenti burocratici quali:
    1. fare un'istanza al Ministero del lavoro;
    2. predisposizione da parte del Ministero del lavoro di una richiesta di visita alla ASL competente;
    3. visita medica;
    4. consegna da parte della lavoratrice del certificato medico rilasciato dalla ASL, al Ministero del lavoro che a sua volta rilascia il provvedimento di autorizzazione;
    tale procedura si attiva ad ogni proroga dell'astensione anticipata;
    di fatto l'intervento del Ministero del Lavoro non aggiunge alcuna garanzia di correttezza dell'astensione trattandosi di manifestazione accertabile solo sul piano medico;
    appare opportuno elidere ogni intervento nella suddetta prassi da parte del ministero del lavoro in quanto il rilascio del certificato della ASL costituisce di per se documento idoneo ad astenersi dal posto di lavoro al pari di qualsiasi certificazione medica per malattia;
    una prima soluzione è stata introdotta a decorrere dal 1o aprile 2012, (ai sensi del DL 5/2012) con riferimento all'ipotesi di cui all'articolo 17, comma 2, lettera a), decreto legislativo n. 151/2001, (cioè gravi complicazioni della gravidanza o forme morbose pregiudizievoli) l'autorizzazione è disposta dalla sola ASL con modalità definite con Accordo sancito in sede di Conferenza permanente Stato/Regioni. In attesa della convocazione della Conferenza Stato/Regioni, il Ministero del lavoro sollecita gli Uffici periferici (DTL) a concludere intese con le AA.SS.LL. per consentire tempestivamente l'emanazione dei provvedimenti di interdizione anticipata (ML lett. circ. n. 7247/2012). Tuttavia, la lungaggine di queste intese di fatto lascia ancora inalterato il problema in diverse parti d'Italia,

impegna il Governo

ad adottare le necessarie iniziative tese a rafforzare la tutela della lavoratrice in gravidanza, con particolare riferimento allo snellimento delle procedure per l'ottenimento dell'astensione dal lavoro in periodo anticipato a quello obbligatorio.
9/1248-A-R/12Bechis, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Tripiedi, Ciprini, Rizzetto.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
   considerato che il decreto legislativo n. 81/2008 all'articolo 8 comma 4 prevede che con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, che vengano definite le regole tecniche per la realizzazione ed il funzionamento del SINP, nonché le regole per il trattamento dei dati;
   tenuto conto che ad oggi il suddetto sistema è privo di operatività nonostante sia essenziale avviare il medesimo in quanto fondamentale per riunire tutte le informazioni inerenti agli infortuni sul lavoro, alle malattie professionali e alle attività di prevenzione e vigilanza svolte dai vari enti competenti,

impegna il Governo

a porre in essere nell'immediato e comunque entro e non oltre il 31 dicembre 2013 ogni atto necessario a rendere effettiva l'operatività del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP).
9/1248-A-R/13Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Rizzetto, Bechis, Sorial.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
   considerato che il nuovo testo unico per la sicurezza sul lavoro (articolo 304, decreto legislativo n. 81/2008) ha di fatto abrogato le disposizioni che regolamentano il registro infortuni (decreto del Presidente della Repubblica n. 547/55 nonché decreto ministeriale 12 settembre 1958; articolo 4, comma 5, lettera O), decreto legislativo n. 626/94) ma che nonostante ciò, il Ministero del lavoro (Nota Min. lav. 21 maggio 2008 Prot. 25/SEGR/0006587) e l'INAIL (Nota INAIL 22 maggio 2008 Prot. 6002.23/05/2008.0004404) hanno precisato che fino al momento dell'istituzione del SINP (sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro) nulla muta in merito agli obblighi di annotazione degli infortuni sull'apposito registro;
   tenuto conto che il registro infortuni, sulla base di come è andata evolvendosi la gestione del rapporto di lavoro, rappresenta oggi un adempimento formale inutile e dispendioso per le aziende con l'aggravante della previsione di pesanti sanzioni a carico delle stesse, fino all'importo di 15.000 euro in caso di scorretta tenuta del medesimo registro;
    tenuto conto che la stessa vidimazione del registro infortuni per le nuove aziende comporta inutile dispendio di tempo in quanto ogni ASL utilizza modelli e modalità differenti per la richiesta e l'invio del registro infortuni per la vidimazione e la sua restituzione,

impegna il Governo

a rendere operativo il SINP entro e non oltre il 31 dicembre 2013 in modo da poter rendere attuativa l'abrogazione delle disposizioni connesse agli obblighi di annotazione del registro infortuni e conseguentemente rimuovere ogni onere sanzionatorio a carico delle aziende inadempienti entro e non oltre il 1o gennaio 2014.
9/1248-A-R/14Rostellato, Baldassarre, Cominardi, Bechis, Ciprini, Tripiedi, Rizzetto.


   La Camera,
   premesso che in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
   considerato che come previsto dall'articolo 71, comma 11 e comma 12 del decreto legislativo n. 81/2008 il datore di lavoro è tenuto a sottoporre le attrezzature di lavoro a verifiche periodiche volte a valutarne l'effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza avvalendosi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati;
   ritenuto come dette onerose verifiche rivestano fondamentale importanza in tema di sicurezza del lavoro,

impegna il Governo

a stanziare parte dei fondi INAIL (cosiddetto «tesoretto») per istituire meccanismi premianti attraverso i quali lo Stato possa contribuire ai costi per le verifiche sui macchinari, per le piccole e medie aziende dove gli elevati standard di sicurezza abbiano garantito la riduzione di eventi infortunistici.
9/1248-A-R/15Rizzetto, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Bechis.


   La Camera,
   premesso che in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
   considerato che come previsto dall'articolo 71, comma 11 e comma 12 del decreto legislativo n. 81/2008 il datore di lavoro è tenuto a sottoporre le attrezzature di lavoro a verifiche periodiche volte a valutarne l'effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza avvalendosi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati;
   ritenuto come dette onerose verifiche rivestano fondamentale importanza in tema di sicurezza del lavoro,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di stanziare parte dei fondi INAIL (cosiddetto «tesoretto») per istituire meccanismi premianti attraverso i quali lo Stato possa contribuire ai costi per le verifiche sui macchinari, per le piccole e medie aziende dove gli elevati standard di sicurezza abbiano garantito la riduzione di eventi infortunistici.
9/1248-A-R/15. (Testo modificato nel corso della seduta) Rizzetto, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Bechis.


   La Camera,
   premesso che in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
   considerato che a distanza di anni non sono ancora state fornite risposte certe a quei lavoratori che loro malgrado si sono trovati sottoposti ad esercitare la loro attività lavorativa a stretto contatto con l'amianto;
   ritenuto che valga la pena di ricordare come la diretta conseguenza della detta esposizione è il così detto «mesotelioma maligno», una forma rara di cancro che ha origine nel mesotelio, la membrana che riveste e protegge la maggior parte degli organi interni del corpo. Il mesotelio è costituito da due strati, uno che circonda l'organo stesso, e l'altro che forma un rivestimento a sacco interno ad esso. Tra questi due strati si produce normalmente una piccola quantità di liquido, per lubrificare i movimenti degli organi protetti. Quando le normali cellule del mesotelio vanno fuori controllo e si moltiplicano rapidamente, si parla di mesotelioma. La forma più comune di mesotelioma è il mesotelioma «pleurico», che si genera nel rivestimento dei polmoni. Altre forme sono il mesotelioma «peritoneale», che riguarda il rivestimento della cavità addominale, e il mesotelioma «pericardiaco», che riguarda il rivestimento del cuore; l'esposizione può essere lavorativa, per gli operatori impegnati nella produzione e nell'utilizzo industriale di amianto e derivati, o paraoccupazionale, per l'uso dei relativi manufatti. L'esposizione può essere anche non professionale, cioè correlata all'uso dei manufatti per scopi non lavorativi e naturale, nei rari casi di esposizione in locazioni geologiche a polveri di origine naturale, non di cava. L'incidenza di questa neoplasia appare in crescita in tutto il mondo con circa 2,2 casi per milione di abitanti; essendo fortemente correlata all'uso industriale dell'amianto, attualmente vietato da 20 anni (1992) ed in fase di eliminazione in alcuni paesi, ed essendo la patologia ad alta latenza temporale (il periodo di incubazione è di circa 30 anni), si prevede un livello costante di incidentalità della malattia in Italia fino al 2020 (cioè circa 30 anni dopo il 1992), ed una successiva decrescita; il mesotelioma è quasi sempre provocato dall'esposizione alla fibra di amianto. Molte persone vi sono state esposte nella vita militare; altre a causa del loro lavoro; altri ancora, secondariamente, attraverso il contatto con gli operai esposti. A causa della sua latenza, il cancro potrebbe non manifestarsi per 20-50 anni, e oltre, dopo l'esposizione,

impegna il Governo

ad adottare le necessarie iniziative tese a rafforzare la tutela del diritto al risarcimento di quanti sono stati uccisi o resi invalidi dal proprio lavoro a contatto con l'amianto ed a prevedere in favore di questi lavoratori la possibilità di derogare all'articolo 24 del decreto legge n. 201 del 2011 convertito in legge n. 214 del 2011 ai fini dell'accesso al prepensionamento previsto dalla legge n. 257 del 1992.
9/1248-A-R/16Sibilia, Bechis, Baldassarre, Rostellato, Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Rizzetto, Antezza.


   La Camera,
   premesso che in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 32, reca disposizioni per la semplificazione di adempimenti formali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro;
   considerato che a distanza di anni non sono ancora state fornite risposte certe a quei lavoratori che loro malgrado si sono trovati sottoposti ad esercitare la loro attività lavorativa a stretto contatto con l'amianto;
   ritenuto che valga la pena di ricordare come la diretta conseguenza della detta esposizione è il così detto «mesotelioma maligno», una forma rara di cancro che ha origine nel mesotelio, la membrana che riveste e protegge la maggior parte degli organi interni del corpo. Il mesotelio è costituito da due strati, uno che circonda l'organo stesso, e l'altro che forma un rivestimento a sacco interno ad esso. Tra questi due strati si produce normalmente una piccola quantità di liquido, per lubrificare i movimenti degli organi protetti. Quando le normali cellule del mesotelio vanno fuori controllo e si moltiplicano rapidamente, si parla di mesotelioma. La forma più comune di mesotelioma è il mesotelioma «pleurico», che si genera nel rivestimento dei polmoni. Altre forme sono il mesotelioma «peritoneale», che riguarda il rivestimento della cavità addominale, e il mesotelioma «pericardiaco», che riguarda il rivestimento del cuore; l'esposizione può essere lavorativa, per gli operatori impegnati nella produzione e nell'utilizzo industriale di amianto e derivati, o paraoccupazionale, per l'uso dei relativi manufatti. L'esposizione può essere anche non professionale, cioè correlata all'uso dei manufatti per scopi non lavorativi e naturale, nei rari casi di esposizione in locazioni geologiche a polveri di origine naturale, non di cava. L'incidenza di questa neoplasia appare in crescita in tutto il mondo con circa 2,2 casi per milione di abitanti; essendo fortemente correlata all'uso industriale dell'amianto, attualmente vietato da 20 anni (1992) ed in fase di eliminazione in alcuni paesi, ed essendo la patologia ad alta latenza temporale (il periodo di incubazione è di circa 30 anni), si prevede un livello costante di incidentalità della malattia in Italia fino al 2020 (cioè circa 30 anni dopo il 1992), ed una successiva decrescita; il mesotelioma è quasi sempre provocato dall'esposizione alla fibra di amianto. Molte persone vi sono state esposte nella vita militare; altre a causa del loro lavoro; altri ancora, secondariamente, attraverso il contatto con gli operai esposti. A causa della sua latenza, il cancro potrebbe non manifestarsi per 20-50 anni, e oltre, dopo l'esposizione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le necessarie iniziative tese a rafforzare la tutela del diritto al risarcimento di quanti sono stati uccisi o resi invalidi dal proprio lavoro a contatto con l'amianto ed a prevedere in favore di questi lavoratori la possibilità di derogare all'articolo 24 del decreto legge n. 201 del 2011 convertito in legge n. 214 del 2011 ai fini dell'accesso al prepensionamento previsto dalla legge n. 257 del 1992.
9/1248-A-R/16. (Testo modificato nel corso della seduta) Sibilia, Bechis, Baldassarre, Rostellato, Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Rizzetto, Antezza.


   La Camera,
   considerato che:
    l'articolo 56-bis introdotto con emendamento dei relatori in Commissione, ridefinisce le modalità per il trasferimento dei beni demaniali di cui all'articolo 5, comma 1, lettera e) e comma 4 del decreto legislativo n. 85 del 2010;
    al comma 2 stabilisce che l'Agenzia del Demanio verifica la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento delle richieste di trasferimento;
    al comma 10 definisce la destinazione obbligatoria delle risorse rinvenienti dalla eventuale alienazione – o cessione di quote di fondi immobiliari cui i medesimi immobili siano conferiti – rinviando alla applicazione dell'articolo 9 comma 5 del decreto legislativo n. 85 del 2010 (riduzione del debito);
    l'articolo 9, comma 5, del decreto legislativo n. 85 del 2010 prescrive la destinazione delle risorse nette delle alienazioni al 75 per cento per la riduzione del debito dell'ente e 25 per cento al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato;
    nel definire tale destinazione il citato comma 10 si esprime – con modalità apparentemente estensive ed onnicomprensive – riferendosi all'intero patrimonio disponibile degli enti territoriali superando evidentemente l'oggetto stesso dell'articolo 56-bis (semplificazione delle procedure in materia di trasferimento di immobili agli enti territoriali);

impegna il Governo

a prevedere che l'Agenzia del demanio nella procedura di cui al comma 2 si coordini con le associazioni di rappresentanza degli enti territoriali rappresentate in conferenza unificata e di limitare la sfera di applicazione del comma 10 esclusivamente ai beni oggetto di trasferimento dallo stato agli enti territoriali.
9/1248-A-R/17Lorenzo Guerini, Rughetti, Guerra.


   La Camera,
   premesso che:
    il fax, o telefax nella sua forma corretta, è un servizio telefonico consistente nella trasmissione di immagini fisse, e dunque di copie di documenti cartacei, e che il primo strumento per tale trasmissione fu brevettato dallo scozzese Alexander Bain nel 1843, seppur in forma alquanto elementare rispetto alle evoluzioni successive, anche se ha mantenuto il medesimo principio di funzionamento;
    le prime stime degli esperti, dopo l'avvento dei personal computer negli anni ’70, prevedevano una diminuzione del consumo della carta, data la possibilità di leggere e lavorare direttamente da monitor, che risultarono invece infondate dato una crescita calcolata attorno al 50 per cento dal 1980 ad oggi del consumo (Economist);
    secondo uno studio del Bureau of International Recycling (BIR), l'Italia avrebbe consumato nel 2010 quasi 11 milioni di tonnellate di carta, più di Brasile, Russia, India, Francia, Spagna o Regno Unito, e di questa una grande percentuale non si può negare provenga dalla burocrazia della pubblica amministrazione, centrale e locale;
    con l'avvento delle più moderne tecnologie dell'informazione, con lo sviluppo della banda larga e di connessioni internet sicure ed efficienti è impensabile perpetrare un tale spreco di carta, e di conseguenza di risorse ambientali, considerando pure che la pubblica amministrazione deve avere una funzione pedagogica, oltre che di servizio, nei confronti dei cittadini; non è ammissibile che ad oggi, 2013, possano esistere pubblici uffici sprovvisti di una dotazione tecnologica adeguata al superamento del mezzo fax, né tantomeno è accettabile che funzionari pubblici non siano in grado di utilizzare tale strumentazione. Risulterebbe inoltre, questo, essere uno stimolo affinché vi sia una spinta all'alfabetizzazione e all'aggiornamento delle competenze del personale pubblico oltre che della dotazione tecnica degli uffici, nel caso fossero sprovvisti; la trasmissione di documenti e dati in modo telematico permette di ridurre i tempi e quindi permette di aumentare l'efficienza dell'azione amministrativa,

impegna il Governo

a proseguire nella digitalizzazione dei processi della pubblica amministrazione, a diminuire il consumo di carta degli uffici della pubblica amministrazione, e dunque ammodernando le pratiche di trasmissione di comunicazioni e documenti, eliminando l'ormai obsoleta pratica della trasmissione dei documenti via fax tra uffici e tra amministrazioni.
9/1248-A-R/18Coppola.


   La Camera,
   premesso che:
    il Ministro dell'interno ha approvato con decreto 16 marzo 2012, ai sensi dell'articolo 15, commi 7 e 8, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, il piano straordinario biennale concernente l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi delle strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre venticinque posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell'interno 9 aprile 1994, che non abbiano completato l'adeguamento alle suddette disposizioni di prevenzione incendi;
    l'attuale situazione deriva dal fatto che l'Italia, a suo tempo, ha recepito in toto la raccomandazione del Consiglio dell'unione europea del 22 dicembre 1986 per la protezione antincendio degli alberghi già esistenti, di per sé non cogente, senza porsi il problema delle effettive modalità di applicazione;
    molti altri Paesi hanno recepito la medesima raccomandazione solo per le nuove strutture, permettendo a quelle esistenti di adeguarsi solo in occasione di ristrutturazioni, modifiche o ampliamenti che sono periodicamente necessari;
    la normativa italiana non ha peraltro tenuto conto dell'intrinseca sicurezza della stragrande maggioranza dei nostri alberghi, i quali, diversamente da quelli di molti Paesi europei, dove il problema è sicuramente maggiore e più impellente, sono realizzati in muratura e non in legno e non fanno largo uso di moquette o simili;
    da quanto premesso si deduce che il decreto ministeriale 9 aprile 1994, da un lato ha stabilito obiettivi troppo viziosi e inattuabili, tanto da essere successivamente modificato per gli alberghi esistenti con il decreto ministeriale 6 ottobre 2003, dall'altro non ha previsto norme transitorie, facendo tabula rasa delle situazioni preesistenti, al punto che, anche gli adeguamenti effettuati dalle strutture in regola in base alla previgente legislazione, sono stati annullati;
    le proroghe che si sono succedute, in conseguenza di tale situazione, sono state sempre troppo brevi, al massimo due o tre anni, o di anno in anno, e non hanno consentito una effettiva programmazione degli investimenti e degli interventi, considerando che gli oneri specie per interventi di adeguamento implicano altre autorizzazioni che hanno tempistiche a loro volta molto lunghe ed, in alcuni casi, possono contrastare con le stesse scadenze delle normative antincendio;
    in Europa l'applicazione della raccomandazione che in Italia ha portato all'emanazione del DM 9 aprile 1994, è stata, quasi ovunque più cauta, secondo la «Relazione della Commissione sull'applicazione della Raccomandazione del Consiglio del 22 dicembre 1986 per la protezione antincendio degli alberghi già esistenti (86/666/CEE)» del 2001 nella quale sono state analizzate, a livello europeo, le modalità di applicazione dei vari stati della raccomandazione e gli interventi da attuare ai fini di una effettiva sicurezza antincendio delle strutture alberghiere;
   dalla predetta relazione si evince che:
    numerosi stati membri (Germania, Austria, Spagna, Danimarca, Finlandia, Regno Unito, Lussemburgo e Paesi Bassi) hanno scelto di limitare l'applicazione delle disposizioni della raccomandazione agli alberghi di nuova costruzione o al momento dell'esecuzione di lavori di risistemazione, di modifica o di ampliamento dei vecchi alberghi;
    la Commissione ritiene che le specificità del settore (complessità, varietà delle situazioni e dei contesti regolamentari nazionali) che avevano motivato la scelta di una raccomandazione come strumento giuridico, giustifichino il mantenimento di un approccio flessibile. Un'armonizzazione rigida delle prescrizioni tecniche applicabili in tutti gli alberghi esistenti nella Comunità non rappresenterebbe evidentemente una soluzione realizzabile;
    è opportuno inserire, in un'eventuale nuova raccomandazione, disposizioni più particolareggiate, adeguate e concrete, nei casi di alberghi esistenti qualora non fossero applicabili gli orientamenti della raccomandazione 86/666/CEE;
    infine, la stessa Unione europea si è posta il problema della disapplicazione della propria raccomandazione per gli alberghi esistenti ed ha incaricato l'HOTREC – associazione che rappresenta gli alberghi, i ristoranti e i bar europei – di sviluppare «linee guida» più flessibili che consentano, con interventi differenziati a seconda delle caratteristiche dell'albergo, di raggiungere il medesimo livello di sicurezza;
    è necessario intervenire con urgenza per aggiornare le disposizioni del decreto del Ministero dell'interno del 9 aprile 1994 recante «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere»,

impegna il Governo

ad aggiornare le disposizioni del citato decreto del Ministero dell'interno del 9 aprile 1994, semplificando i requisiti prescritti, in particolare per le strutture ricettive turistico-alberghiere fino a 50 posti letto, sospendendo i termini previsti per l'applicazione delle disposizioni contenute nel decreto del Ministero dell'interno del 16 marzo 2012 e rimodulando conseguentemente i tempi e le modalità di applicazione del decreto medesimo.
9/1248-A-R/19Bini, Petitti, Taranto, De Menech.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 37 del presente decreto legge si fa esplicito riferimento al rilancio delle cosiddette zone a burocrazia zero;
    la semplificazione diventa fondamentale per il rilancio dell'economia in particolar modo per quanto riguarda le regioni meridionali;
    esistono nel mezzogiorno aree industriali completamente infrastrutturate, in particolare quelle legate alle ex partecipazioni statali, già oggetto di tentativi di rilancio attraverso la programmazione negoziata;
    l'allocazione di eventuali investimenti, anche stranieri, potrebbe consentire il rilancio produttivo di siti oggi in grave difficoltà;
    tale impegno risponderebbe all'obiettivo illustrato recentemente dal Presidente del Consiglio Enrico Letta di rilanciare l'attrattività dell'Italia attraverso la mission di «destinazione Italia»,

impegna il Governo:

   a) ad autorizzare entro 30 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della conversione in legge del presente decreto legge la sperimentazione di zone a burocrazia zero una per ciascuna provincia delle regioni Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia individuate d'intesa con gli enti locali e le Regioni al fine di rilanciare lo sviluppo produttivo;
   b) a relazionare entro 12 mesi successivi dalla individuazione delle zone a burocrazia zero Ministero alle competenti commissioni parlamentari sui risultati conseguiti per valutarne esiti e apportare eventuali correttivi e implementazioni normative.
9/1248-A-R/20Burtone, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 37 del presente decreto legge si fa esplicito riferimento al rilancio delle cosiddette zone a burocrazia zero;
    la semplificazione diventa fondamentale per il rilancio dell'economia in particolar modo per quanto riguarda le regioni meridionali;
    esistono nel mezzogiorno aree industriali completamente infrastrutturate, in particolare quelle legate alle ex partecipazioni statali, già oggetto di tentativi di rilancio attraverso la programmazione negoziata;
    l'allocazione di eventuali investimenti, anche stranieri, potrebbe consentire il rilancio produttivo di siti oggi in grave difficoltà;
    tale impegno risponderebbe all'obiettivo illustrato recentemente dal Presidente del Consiglio Enrico Letta di rilanciare l'attrattività dell'Italia attraverso la mission di «destinazione Italia»,

impegna il Governo:

   a) a favorire la sperimentazione di zone a burocrazia zero anche sulle regioni Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia, al fine di rilanciare lo sviluppo produttivo;
   b) a relazionare entro 12 mesi successivi dalla individuazione delle zone a burocrazia zero alle competenti commissioni parlamentari sui risultati conseguiti per valutarne esiti e apportare eventuali correttivi e implementazioni normative.
9/1248-A-R/20. (Testo modificato nel corso della seduta) Burtone, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    con il disegno di legge recante la conversione del decreto-legge 69/2013 è intenzione meritoria del Governo quella di favorire lo sviluppo e la crescita del Paese;
    con il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 – semestre europeo – prime disposizioni urgenti per l'economia (Gazzetta Ufficiale n. 160 del 12 luglio 2011), era stato istituito, sperimentalmente per gli anni 2011 e 2012, un credito di imposta a favore delle imprese che finanziavano progetti di ricerca, in università ovvero enti pubblici di ricerca;
    il credito di imposta spettava per gli investimenti realizzati a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2012;
    il fondo in questione dal 31 dicembre 2012 non è stato rifinanziato e, pertanto, ritenuto utile continuare a favorire un'imprenditorialità altamente qualificata e di supporto al sistema economico nazionale,

impegna il Governo

ad assumere iniziative normative per rinnovare il credito d'imposta in parola anche per il biennio 2013/2014 e, nel contempo, nel caso siano risultate inutilizzate risorse rispetto all'impegno di spesa in precedenza previsto, di reinvestire le medesime per il biennio 2013/2014.
9/1248-A-R/21D'Arienzo, Crivellari, Sbrollini, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    con il disegno di legge recante la conversione del decreto-legge 69/2013 è intenzione meritoria del Governo quella di favorire lo sviluppo e la crescita del Paese;
    con il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 – semestre europeo – prime disposizioni urgenti per l'economia (Gazzetta Ufficiale n. 160 del 12 luglio 2011), era stato istituito, sperimentalmente per gli anni 2011 e 2012, un credito di imposta a favore delle imprese che finanziavano progetti di ricerca, in università ovvero enti pubblici di ricerca;
    il credito di imposta spettava per gli investimenti realizzati a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2010 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2012;
    il fondo in questione dal 31 dicembre 2012 non è stato rifinanziato e, pertanto, ritenuto utile continuare a favorire un'imprenditorialità altamente qualificata e di supporto al sistema economico nazionale,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di assumere iniziative normative per rinnovare il credito d'imposta in parola anche per il biennio 2013/2014 e, nel contempo, nel caso siano risultate inutilizzate risorse rispetto all'impegno di spesa in precedenza previsto, di reinvestire le medesime per il biennio 2013/2014.
9/1248-A-R/21. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Arienzo, Crivellari, Sbrollini, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 18 del provvedimento in esame, rubricato come «Sblocca cantieri, manutenzione reti e territorio e fondo piccoli Comuni», ai commi 8, 8-sexies e 9, prevede il finanziamento di interventi rispettivamente per l'edilizia scolastica e per investimenti nei Comuni con meno di 5.000 abitanti;
    l'effettiva operatività di tali interventi ed il conseguente effetto di sblocco dei cantieri e degli investimenti in settori di straordinario rilievo quali la messa in sicurezza degli edifici scolastici e del territorio, e importanti interventi infrastrutturali, rischia di essere depotenziata se non vanificata dai vincoli del Patto di stabilità interno,

impegna il Governo

ad adottare misure idonee ad escludere i pagamenti riferiti a tali finanziamenti dai limiti del Patto di stabilità interno degli enti interessati, per la quota di rispettiva competenza.
9/1248-A-R/22Guerra, Pastorino, Fragomeli, Braga, Lorenzo Guerini, Giuseppe Guerini, Gregori, Giulietti, Cimbro, Antezza, Marchetti, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 18 del provvedimento in esame, rubricato come «Sblocca cantieri, manutenzione reti e territorio e fondo piccoli Comuni», ai commi 8, 8-sexies e 9, prevede il finanziamento di interventi rispettivamente per l'edilizia scolastica e per investimenti nei Comuni con meno di 5.000 abitanti;
    l'effettiva operatività di tali interventi ed il conseguente effetto di sblocco dei cantieri e degli investimenti in settori di straordinario rilievo quali la messa in sicurezza degli edifici scolastici e del territorio, e importanti interventi infrastrutturali, rischia di essere depotenziata se non vanificata dai vincoli del Patto di stabilità interno,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare misure idonee ad escludere i pagamenti riferiti a tali finanziamenti dai limiti del Patto di stabilità interno degli enti interessati, per la quota di rispettiva competenza.
9/1248-A-R/22. (Testo modificato nel corso della seduta) Guerra, Pastorino, Fragomeli, Braga, Lorenzo Guerini, Giuseppe Guerini, Gregori, Giulietti, Cimbro, Antezza, Marchetti, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    con il disegno di legge recante la conversione del decreto-legge 69/2013 è intenzione meritoria del Governo quella di favorire lo sviluppo e la crescita del Paese;
    l'articolo 9 del decreto-legge in questione prevede tre punti per superare l'attuale stand-by nel delicato comparto dei fondi comunitari:
   1) la sussidiarietà per sostituirsi all'ente inadempiente;
   2) la conferenza dei servizi;
   3) il ricorso allo Stato, sentite le Regioni, e quindi alla nomina di uno o più Commissari ad acta;
    si tratta di previsioni che in parte consentono il superamento delle difficoltà esistenti. Infatti, quello che serve è anche favorire la cultura degli enti pubblici per stimolare investimenti mirati da parte dei medesimi e la strutturazione di uffici con persone preparate ed accorte sull'argomento;
    tale servizio deve essere trasversale a tutte le competenze (dal sociale all'economico) e finalizzato a «prendere in carico» il finanziamento dal momento che il Comune rappresenta una necessità fino alla contrattazione finale con il Ministero o l'Unione europea: una sorta, quindi, di agenzia per il fund-raising per il settore pubblico,

impegna il Governo

ad incentivare la costituzione di strutture adeguate a livello provinciale, con dirigente o alta professionalità riconosciuta ed adeguato personale, che svolga un servizio gratuito ed obbligatorio a favore dei piccoli e medi Comuni nel settore della ricerca e dell'avvio delle procedure per ottenere finanziamenti di ogni rango sulle specifiche esigenze rappresentate.
9/1248-A-R/23Crimì, D'Arienzo, Sbrollini.


   La Camera,
   premesso che:
    con il disegno di legge recante la conversione del decreto-legge 69/2013 è intenzione meritoria del Governo quella di favorire lo sviluppo e la crescita del Paese;
    l'articolo 9 del decreto-legge in questione prevede tre punti per superare l'attuale stand-by nel delicato comparto dei fondi comunitari:
   1) la sussidiarietà per sostituirsi all'ente inadempiente;
   2) la conferenza dei servizi;
   3) il ricorso allo Stato, sentite le Regioni, e quindi alla nomina di uno o più Commissari ad acta;
    si tratta di previsioni che in parte consentono il superamento delle difficoltà esistenti. Infatti, quello che serve è anche favorire la cultura degli enti pubblici per stimolare investimenti mirati da parte dei medesimi e la strutturazione di uffici con persone preparate ed accorte sull'argomento;
    tale servizio deve essere trasversale a tutte le competenze (dal sociale all'economico) e finalizzato a «prendere in carico» il finanziamento dal momento che il Comune rappresenta una necessità fino alla contrattazione finale con il Ministero o l'Unione europea: una sorta, quindi, di agenzia per il fund-raising per il settore pubblico,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto dei vincoli assunzionali e finanziari posti dalle normativa vigente, la possibilità di sostenere la costituzione di strutture adeguate, con dirigente o alta professionalità riconosciuta ed adeguato personale, che svolga un servizio a favore dei piccoli e medi Comuni nel settore della ricerca e dell'avvio delle procedure per ottenere finanziamenti di ogni rango sulle specifiche esigenze rappresentate.
9/1248-A-R/23. (Testo modificato nel corso della seduta) Crimì, D'Arienzo, Sbrollini.


   La Camera,
   premesso che:
    con il disegno di legge recante la conversione del decreto-legge 69/2013 è intenzione meritoria del Governo quella di contrastare il fenomeno dell'evasione fiscale;
    l'acquisto intracomunitario di bovini vivi sconta riva nella misura del 10 per cento;
    in ordine alle modalità ed ai termini per il versamento dell'imposta all'acquisto possiamo avere due situazioni:
   1) l'impresa agricola effettua direttamente l'acquisto dal fornitore francese, tedesco o polacco ed opera in regime normale Iva. In questo caso integra la fattura del cedente comunitario emessa senza imposta, dell'Iva italiana del 10 per cento. La fattura viene registrata sia nel registro acquisti che in quello delle vendite; quindi l'imposta si compensa e non viene versata al momento dell'acquisto. Di fatto l'Iva viene versata al momento della vendita degli animali a fine ciclo in quanto tutta l'Iva addebitata al cliente è dovuta (meno quella pagata sui mangimi);
   2) nella medesima situazione di cui al punto 1 in cui però l'impresa agricola rientra nel regime speciale di cui all'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. In questo caso la fattura comunitaria registrata nel registro acquisti non è detraibile e quindi l'Iva relativa all'acquisto comunitario viene versata entro il 16 del mese successivo a quello in cui la fattura è stata ricevuta (oppure entro il giorno 16 del secondo mese successivo al trimestre per le imprese con volume d'affari non superiore a 516.000 euro);
    nell'ipotesi 2) si sono verificate nel tempo delle frodi in quanto il commerciante (se assume la funzione di impresa cartiera) pur ricevendo la fattura comunitaria ed emettendo la fattura all'allevatore acquirente non versa l'Iva;
    la soluzione a questo fenomeno è l'inversione contabile nel senso di non lasciare in mano al commerciante «cartiera» l'imposta. Infatti con tale meccanismo definito reverse charge anche il commerciante italiano emette fattura senza Iva e quindi non può truffare lo Stato in quanto non viene in possesso dell'imposta. L'acquirente agricoltore riceve quindi una fattura italiana senza Iva e la applica secondo la procedura di cui ai punti 1 e 2;
    ai sensi della normativa vigente in materia, il cosiddetto reverse charge di cui all'articolo 17, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, può essere applicato «alle ulteriori operazioni individuate dal Ministro dell'economia e delle finanze, con propri decreti, in base alla direttiva 2006/69/CE del Consiglio, del 24 luglio 2006», ovvero individuate con decreto regolamentare nelle ipotesi in cui necessita la preventiva autorizzazione del Consiglio dell'Unione europea, che delibera all'unanimità su proposta della Commissione, ad introdurre misure speciali di deroga allo scopo di evitare elusioni o evasioni fiscali;
    nel caso di specie, non si può procedere alla modifica legislativa dell'articolo 17, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ma occorre emanare apposito regolamento ministeriale ai sensi del predetto articolo 17, comma 7, che annoveri il commercio di animali;
    sul punto, ad oggi, risulta essere stato emanato il solo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 10 luglio 2012, recante «Applicazione dell'inversione contabile alle prestazioni edili rese nell'ambito dell'Expo Milano 2015»,

impegna il Governo

ad avviare le previste procedure descritte in premessa per una nuova ipotesi di applicazione del cosiddetto reverse charge che comprenda le cessioni di bovini vivi (voce doganale 01.02) e loro carni (voce doganale 02.01) effettuate da soggetti diversi dai produttori agricoli di cui all'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972.
9/1248-A-R/24Zardini, D'Arienzo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9 del decreto-legge 21 giugno 2013, numero 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), al comma 1, reca misure per dare precedenza, nella trattazione degli affari di competenza delle amministrazioni statali, ai procedimenti, provvedimenti e atti, anche non aventi natura di provvedimento, in qualsiasi modo connessi all'uso dei fondi europei e, ai commi 2 e seguenti, per contrastare il mancato impiego dei fondi per la programmazione pluriennale 2007-2013;
    le difficoltà dell'Italia nell'uso dei fondi europei, che ad oggi, nonostante interventi dai risultati positivi come il piano di azione e coesione, determinano una capacità di spesa pari appena al 40 per cento, hanno caratteri strutturali e costituiscono una seria ipoteca sulle possibilità di crescita e sviluppo del Paese;
    le Istituzioni europee hanno definito estese riforme del sistema dei fondi per la programmazione settennale 2014-2020, sotto i profili dell'organizzazione e degli scopi e delle procedure;
    mentre si compiono tutti gli sforzi necessari per impiegare correttamente e nei termini di legge i fondi europei della corrente programmazione, è necessario provvedere affinché siano rimosse le difficoltà strutturali per il corretto e tempestivo impiego dei fondi della prossima programmazione,

impegna il Governo:

   in vista della programmazione pluriennale 2014-2020, ad assumere e promuovere con urgenza, sentite le Regioni e gli Enti locali, nonché le rappresentanze dei soggetti privati interessati, nel rispetto dei principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, le misure necessarie a rimuovere le difficoltà strutturali del Paese nel corretto e tempestivo impiego dei fondi europei, in particolare mediante provvedimenti volti a:
   a) una migliore scelta e concentrazione degli obiettivi, in armonia cogli scopi definiti a livello dell'Unione;
   b) un più efficace coordinamento delle azioni inerenti all'uso dei fondi;
   c) semplificare, velocizzare e rendere più trasparenti le procedure amministrative connesse all'impiego dei fondi;
   d) fornire adeguata assistenza ai privati, per la conoscenza, l'accesso e l'impiego dei fondi;
   e) assicurare la tempestiva e integrale copertura del cofinanziamento nazionale.
9/1248-A-R/25Pastorino, Giuseppe Guerini, Mosca, Gregori, Gozi, Moscatt, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 9 del decreto-legge 21 giugno 2013, numero 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), al comma 1, reca misure per dare precedenza, nella trattazione degli affari di competenza delle amministrazioni statali, ai procedimenti, provvedimenti e atti, anche non aventi natura di provvedimento, in qualsiasi modo connessi all'uso dei fondi europei e, ai commi 2 e seguenti, per contrastare il mancato impiego dei fondi per la programmazione pluriennale 2007-2013;
    le difficoltà dell'Italia nell'uso dei fondi europei, che ad oggi, nonostante interventi dai risultati positivi come il piano di azione e coesione, determinano una capacità di spesa pari appena al 40 per cento, hanno caratteri strutturali e costituiscono una seria ipoteca sulle possibilità di crescita e sviluppo del Paese;
    le Istituzioni europee hanno definito estese riforme del sistema dei fondi per la programmazione settennale 2014-2020, sotto i profili dell'organizzazione e degli scopi e delle procedure;
    mentre si compiono tutti gli sforzi necessari per impiegare correttamente e nei termini di legge i fondi europei della corrente programmazione, è necessario provvedere affinché siano rimosse le difficoltà strutturali per il corretto e tempestivo impiego dei fondi della prossima programmazione,

impegna il Governo:

   in vista della programmazione pluriennale 2014-2020, ad assumere e promuovere con urgenza, sentite le Regioni e gli Enti locali, nonché le rappresentanze dei soggetti privati interessati, nel rispetto dei principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, le misure necessarie a rimuovere le difficoltà strutturali del Paese nel corretto e tempestivo impiego dei fondi europei, in particolare mediante provvedimenti volti a:
   a) una migliore scelta e concentrazione degli obiettivi, in armonia cogli scopi definiti a livello dell'Unione;
   b) un più efficace coordinamento delle azioni inerenti all'uso dei fondi;
   c) semplificare, velocizzare e rendere più trasparenti le procedure amministrative connesse all'impiego dei fondi;
   d) fornire alle parti economiche e sociali e a tutti i soggetti portatori di interessi collettivi e conoscenze adeguata assistenza per la conoscenza, l'accesso e l'impiego dei fondi;
   e) assicurare la tempestiva e integrale copertura del cofinanziamento nazionale.
9/1248-A-R/25. (Testo modificato nel corso della seduta) Pastorino, Giuseppe Guerini, Mosca, Gregori, Gozi, Moscatt, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di conversione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, contiene alcuni interventi tesi a stimolare la ripresa economica del Paese, tra cui misure dirette al rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (regolato dall'articolo 2, comma 100, della legge n. 662 del 1996 e successive modificazioni);
    tali previsioni hanno l'obiettivo di incentivare gli investimenti e incrementare la competitività del tessuto produttivo, attraverso l'ampliamento delle possibilità di accesso al credito per le PMI, insieme ad una parziale riforma delle regole di accesso al medesimo Fondo di garanzia e ad una minore rigidità nella valutazione delle imprese ammesse, in considerazione delle difficoltà del ciclo economico e della stretta finanziaria e creditizia;
    il provvedimento prevede, inoltre, un'ulteriore forma di sostegno agli investimenti delle micro, piccole e medie imprese, introducendo meccanismi incentivanti per l'acquisto di beni strumentali d'impresa, rinnovo di macchinari, impianti e attrezzature ad uso produttivo, incentivi estesi, in sede di esame nelle commissioni riunite, anche alle piccole e medie imprese agricole e del settore della pesca;
    è necessario assicurare che i meccanismi incentivanti e il rafforzamento all'accesso al credito per le piccole e medie imprese, contenuti nelle disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, siano estesi anche alle aziende sequestrate e confiscate, per favorire il processo di emersione alla legalità e scongiurare il fallimento di tali aziende una volta acquisite alla gestione dello Stato;
    secondo recenti stime (Gli investimenti delle mafie, Progetto PON-Sicurezza 2007-2013) le mafie ricavano dalle loro attività illegali in Italia proventi equivalenti a circa l'1,7 del Prodotto interno lordo del Paese;
    secondo la stessa fonte, il 9 per cento dei beni finora confiscati alla criminalità organizzata sono aziende;
    di queste attività, secondo i dati contenuti nella Relazione annuale dell'ANBSC (Agenzia Nazionale Beni sequestrati e Confiscati) per il 2011 (aggiornata al 31 dicembre 2011), il 30 per cento sono già uscite dalla gestione, ossia hanno cessato di esistere prima di giungere alla fase di destinazione; il 18 per cento sono ancora in attesa della destinazione; il 51 per cento sono avviate alla vendita, alla liquidazione, al fallimento o stanno per uscire dalla gestione; e solo lo 0,4 per cento è destinato all'affitto;
    le aziende e i beni aziendali sequestrati soffrono particolarmente le lunghe procedure della fase giudiziaria, prima della confisca definitiva: durata, incertezza dei processi, la mancanza di una gestione aziendale competente e interessata alla continuazione dell'attività conducono a un forte indebolimento e più generalmente al fallimento delle imprese – le quali al momento del sequestro si trovano spesso già in tensioni finanziarie. La conseguenza di ciò è che spesso la totalità delle aziende arriva in gestione all'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati già tecnicamente fallita, con scarse possibilità di proseguire l'attività o di riposizionarsi sul mercato;
    pur in mancanza di stime ufficiali sulla proiezione di tali dati in termini di perdite di posti di lavoro, è facile concludere che il fenomeno riguardi decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici su tutto il territorio nazionale, appartenenti a tutti i settori produttivi;
    l'emersione alla legalità delle imprese sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata deve diventare un obiettivo prioritario per il Paese, il cui raggiungimento contribuirebbe a ridare fiato alla nostra economia e assumerebbe un importante valore simbolico per la maggiore diffusione di una cultura di lotta alle mafie;
    nel corso dell'esame del provvedimento nelle commissioni riunite, le misure di sostegno alle PMI ai fini dell'accesso al Fondo di garanzia sono state ulteriormente estese a nuove e determinate categorie (tra cui imprese ubicate in aree di crisi, PMI di autotrasporto merci, cooperative sociali, professionisti iscritti agli ordini professionali e determinate categorie di aderenti alle associazioni professionali, eccetera), per la cui definizione, per quanto attiene a priorità d'accesso e modalità di concessione della suddetta garanzia, viene demandato a successivi decreti del Ministro dello sviluppo economico da emanare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze; per quanto attiene alla finalità esplicitata di ampliare l'accesso al credito e ai relativi criteri, questi appaiono non esaustivi, rendendo possibile in sede di emanazione dei decreti ministeriali di attuazione l'esplicitazione di ulteriori e specifici criteri di valutazione,

impegna il Governo:

   a prevedere la possibilità, in sede di attuazione del provvedimento, di estendere l'accesso alle garanzie sui finanziamenti di cui al Fondo per le piccole e medie imprese anche alle aziende sequestrate (ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e dell'articolo 12-sexies decreto legge 8 giugno 1992, n. 356, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992 n. 356), allo scopo di favorirne l'emersione alla legalità; introducendo, ai fini dell'accesso, il rispetto della condizione che per le medesime siano ravvisabili prospettive di prosecuzione e che l'amministratore giudiziario presenti un Piano di risanamento industriale, volto a riqualificare la ripresa di un'attività produttiva sana e la reimmissione sul mercato delle aziende in oggetto;
   a valutare la possibilità, in sede di attuazione del provvedimento, di estendere anche alle cooperative sociali, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, nonché ai soggetti privati assegnatari di beni immobili o aziendali confiscati alle organizzazioni criminali operanti nel settore agricolo, l'accesso ai finanziamenti e ai contributi previsti per la realizzazione di migliorie, investimenti e realizzazione di impianti produttivi accessori o strumentali all'utilizzo aziendale dei beni stessi.
9/1248-A-R/26Garavini, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di conversione del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, contiene alcuni interventi tesi a stimolare la ripresa economica del Paese, tra cui misure dirette al rafforzamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (regolato dall'articolo 2, comma 100, della legge n. 662 del 1996 e successive modificazioni);
    tali previsioni hanno l'obiettivo di incentivare gli investimenti e incrementare la competitività del tessuto produttivo, attraverso l'ampliamento delle possibilità di accesso al credito per le PMI, insieme ad una parziale riforma delle regole di accesso al medesimo Fondo di garanzia e ad una minore rigidità nella valutazione delle imprese ammesse, in considerazione delle difficoltà del ciclo economico e della stretta finanziaria e creditizia;
    il provvedimento prevede, inoltre, un'ulteriore forma di sostegno agli investimenti delle micro, piccole e medie imprese, introducendo meccanismi incentivanti per l'acquisto di beni strumentali d'impresa, rinnovo di macchinari, impianti e attrezzature ad uso produttivo, incentivi estesi, in sede di esame nelle commissioni riunite, anche alle piccole e medie imprese agricole e del settore della pesca;
    è necessario assicurare che i meccanismi incentivanti e il rafforzamento all'accesso al credito per le piccole e medie imprese, contenuti nelle disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, siano estesi anche alle aziende sequestrate e confiscate, per favorire il processo di emersione alla legalità e scongiurare il fallimento di tali aziende una volta acquisite alla gestione dello Stato;
    secondo recenti stime (Gli investimenti delle mafie, Progetto PON-Sicurezza 2007-2013) le mafie ricavano dalle loro attività illegali in Italia proventi equivalenti a circa l'1,7 del Prodotto interno lordo del Paese;
    secondo la stessa fonte, il 9 per cento dei beni finora confiscati alla criminalità organizzata sono aziende;
    di queste attività, secondo i dati contenuti nella Relazione annuale dell'ANBSC (Agenzia Nazionale Beni sequestrati e Confiscati) per il 2011 (aggiornata al 31 dicembre 2011), il 30 per cento sono già uscite dalla gestione, ossia hanno cessato di esistere prima di giungere alla fase di destinazione; il 18 per cento sono ancora in attesa della destinazione; il 51 per cento sono avviate alla vendita, alla liquidazione, al fallimento o stanno per uscire dalla gestione; e solo lo 0,4 per cento è destinato all'affitto;
    le aziende e i beni aziendali sequestrati soffrono particolarmente le lunghe procedure della fase giudiziaria, prima della confisca definitiva: durata, incertezza dei processi, la mancanza di una gestione aziendale competente e interessata alla continuazione dell'attività conducono a un forte indebolimento e più generalmente al fallimento delle imprese – le quali al momento del sequestro si trovano spesso già in tensioni finanziarie. La conseguenza di ciò è che spesso la totalità delle aziende arriva in gestione all'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati già tecnicamente fallita, con scarse possibilità di proseguire l'attività o di riposizionarsi sul mercato;
    pur in mancanza di stime ufficiali sulla proiezione di tali dati in termini di perdite di posti di lavoro, è facile concludere che il fenomeno riguardi decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici su tutto il territorio nazionale, appartenenti a tutti i settori produttivi;
    l'emersione alla legalità delle imprese sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata deve diventare un obiettivo prioritario per il Paese, il cui raggiungimento contribuirebbe a ridare fiato alla nostra economia e assumerebbe un importante valore simbolico per la maggiore diffusione di una cultura di lotta alle mafie;
    nel corso dell'esame del provvedimento nelle commissioni riunite, le misure di sostegno alle PMI ai fini dell'accesso al Fondo di garanzia sono state ulteriormente estese a nuove e determinate categorie (tra cui imprese ubicate in aree di crisi, PMI di autotrasporto merci, cooperative sociali, professionisti iscritti agli ordini professionali e determinate categorie di aderenti alle associazioni professionali, eccetera), per la cui definizione, per quanto attiene a priorità d'accesso e modalità di concessione della suddetta garanzia, viene demandato a successivi decreti del Ministro dello sviluppo economico da emanare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze; per quanto attiene alla finalità esplicitata di ampliare l'accesso al credito e ai relativi criteri, questi appaiono non esaustivi, rendendo possibile in sede di emanazione dei decreti ministeriali di attuazione l'esplicitazione di ulteriori e specifici criteri di valutazione,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità, in sede di attuazione del provvedimento, di estendere l'accesso alle garanzie sui finanziamenti di cui al Fondo per le piccole e medie imprese anche alle aziende sequestrate (ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e dell'articolo 12-sexies decreto legge 8 giugno 1992, n. 356, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 1992 n. 356), allo scopo di favorirne l'emersione alla legalità; introducendo, ai fini dell'accesso, il rispetto della condizione che per le medesime siano ravvisabili prospettive di prosecuzione e che l'amministratore giudiziario presenti un Piano di risanamento industriale, volto a riqualificare la ripresa di un'attività produttiva sana e la reimmissione sul mercato delle aziende in oggetto;
   a valutare la possibilità, in sede di attuazione del provvedimento, di estendere anche alle cooperative sociali, di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, nonché ai soggetti privati assegnatari di beni immobili o aziendali confiscati alle organizzazioni criminali operanti nel settore agricolo, l'accesso ai finanziamenti e ai contributi previsti per la realizzazione di migliorie, investimenti e realizzazione di impianti produttivi accessori o strumentali all'utilizzo aziendale dei beni stessi.
9/1248-A-R/26. (Testo modificato nel corso della seduta) Garavini, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 296 del 2006 ha modificato il calcolo per il canone dei beni pertinenziali del Demanio Marittimo, intendendosi come tali quei beni immobili posti su area demaniale di difficile rimozione;
    il nuovo sistema prevede che il canone sia determinato utilizzando i valori commerciali degli immobili estrapolati dall'Osservatorio del Mercato Immobiliare moltiplicato per un coefficiente fisso e la metratura effettiva della bene in questione;
    tale tipologia ha determinato aumenti esorbitanti del canone (nell'ordine del 3000 per cento-5000 per cento) non gestibile dagli operatori;
    il TAR di Bologna aveva negato la sospensione cautelare degli atti impugnati concessi poi, invece, dal Consiglio di Stato e nel merito, pochi giorni fa il TAR di Bologna ha definitivamente respinto i ricorsi di modo che gli operatori dovranno necessariamente appellare le sentenze al Consiglio di Stato;
    i suddetti aumenti insieme ai cinque anni di arretrati hanno fatto maturare una situazione debitoria abnorme che condanna gli operatori al sicuro fallimento,

impegna il Governo

ad adottare provvedimenti tesi a sospendere i pagamenti e a rivedere i valori dei canoni e della normativa esistente.
9/1248-A-R/27Pizzolante, Abrignani, Arlotti, Bergamini, De Maria, Giacobbe, Petitti, Velo, Antezza, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 296 del 2006 ha modificato il calcolo per il canone dei beni pertinenziali del Demanio Marittimo, intendendosi come tali quei beni immobili posti su area demaniale di difficile rimozione;
    il nuovo sistema prevede che il canone sia determinato utilizzando i valori commerciali degli immobili estrapolati dall'Osservatorio del Mercato Immobiliare moltiplicato per un coefficiente fisso e la metratura effettiva della bene in questione;
    tale tipologia ha determinato aumenti esorbitanti del canone (nell'ordine del 3000 per cento-5000 per cento) non gestibile dagli operatori;
    il TAR di Bologna aveva negato la sospensione cautelare degli atti impugnati concessi poi, invece, dal Consiglio di Stato e nel merito, pochi giorni fa il TAR di Bologna ha definitivamente respinto i ricorsi di modo che gli operatori dovranno necessariamente appellare le sentenze al Consiglio di Stato;
    i suddetti aumenti insieme ai cinque anni di arretrati hanno fatto maturare una situazione debitoria abnorme che condanna gli operatori al sicuro fallimento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, provvedimenti tesi a rivedere i valori dei canoni e la normativa esistente, nonché, nelle more, a sospendere, per l'anno in corso, i pagamenti riferiti alla situazione debitoria in essere.
9/1248-A-R/27. (Testo modificato nel corso della seduta) Pizzolante, Abrignani, Arlotti, Bergamini, De Maria, Giacobbe, Petitti, Velo, Antezza, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 82 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, nel modificare la disciplina del concordato preventivo di cui all'articolo 161, sesto, settimo e ottavo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, prevede che: l'imprenditore depositi, unitamente al ricorso contenente la domanda «in bianco», l'elenco dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e il tribunale abbia la facoltà di anticipare alla fase prenotativa la nomina del commissario giudiziale (comma 1); il tribunale, nell'autorizzare gli atti urgenti di straordinaria amministrazione da compiersi fino all'apertura della procedura di concordato, acquisisca il parere del commissario giudiziale, se nominato (comma 2); gli obblighi informativi in capo all'imprenditore vengano rafforzati e il tribunale abbia la facoltà di abbreviare i termini della fase prenotativa, laddove l'attività compiuta dall'imprenditore sia manifestamente inidonea alla predisposizione del piano e della proposta (comma 3);
   considerato che:
    l'istituto del concordato «in bianco» è utilizzato anche con finalità liquidatorie dell'attività d'impresa e presta il fianco a condotte abusive, in danno del ceto dei creditori, come confermato da alcuni dati (Rapporto Cerved, maggio 2013) secondo cui tra l'11 settembre 2012 (data di entrata in vigore della riforma) e il 31 marzo 2013: il 37 per cento delle imprese che hanno avuto accesso al concordato «in bianco» era in liquidazione già prima di presentare la domanda;
    risulta necessario rafforzare i presidi volti a neutralizzare comportamenti abusivi, che hanno finalità esclusivamente dilatorie, senza però far venire meno per le imprese sane quel «respiro» che, altrimenti, non avrebbero. Appare, quindi, urgente intervenire con maggiore incisività su taluni ambiti che regolamentano la stessa procedura, anche prima che il Tribunale si pronunci sulla domanda di cui all'articolo 182-quinquies L.F., attraverso:
   la prededucibilità, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 111 L.F., della nuova finanza concessa a supporto del predisponendo Piano, laddove, nella stessa domanda in prenotazione verrà indicata tale esigenza, nonché, i relativi importi necessari, motivandone l'erogazione e specificando la canalizzazione a specifici pagamenti/utilizzi che consentano, anche a posteriori, una valutazione circa la corretta erogazione della stessa;
   la concessione della prededucibilità anche per tutte quelle forniture commerciali concesse a supporto del predisponendo Piano, laddove, le stesse forniture siano indicate nella domanda prenotativa e risultino, quindi, necessarie alla continuità dell'attività imprenditoriale e senza le quali verrebbe meno la stessa attività;
   la previsione, per i casi sopra previsti, del mantenimento della prededucibilità anche nel caso in cui il concordato non venga omologato e si apra, quindi, altra procedura concorsuale;
   la rimodulazione della figura del commissario, così come introdotta dal decreto-legge 69/2013;
   l'aumento dei termini di cui all'articolo 67, primo comma, nn. 1, 2, 3 e 4 L.F., di almeno sei mesi, nonché, di ugual periodo anche i termini di cui al secondo comma dell'articolo 67 L.F.,

impegna il Governo

a favorire, in tempi brevissimi, l'adozione di misure volte a rafforzare la tutela degli imprenditori «sani», consentendo al sistema bancario ed ai fornitori di accompagnare il risanamento delle imprese, nell'interesse collettivo, senza dover rischiare ulteriori capitali e merci che non vengano, in qualche maniera, garantiti; altresì, rimodulando le modalità di nomina e le funzioni del commissario, così come introdotto dal decreto-legge 69/2013; infine, ampliando la tutela della revocatoria fallimentare, ex articolo 67, primo comma, L.F., che non consenta di consolidare operazioni di dismissioni e/o accensioni di diritti, a qualsiasi titolo, relative al patrimonio dell'imprenditore, e/o dei garanti laddove previsto, nel corso della procedura, per la quale è prevista, invece, la sospensione di qualsiasi azione a tutela dei creditori.
9/1248-A-R/28Covello, Giampaolo Galli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 82 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, nel modificare la disciplina del concordato preventivo di cui all'articolo 161, sesto, settimo e ottavo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, prevede che: l'imprenditore depositi, unitamente al ricorso contenente la domanda «in bianco», l'elenco dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e il tribunale abbia la facoltà di anticipare alla fase prenotativa la nomina del commissario giudiziale (comma 1); il tribunale, nell'autorizzare gli atti urgenti di straordinaria amministrazione da compiersi fino all'apertura della procedura di concordato, acquisisca il parere del commissario giudiziale, se nominato (comma 2); gli obblighi informativi in capo all'imprenditore vengano rafforzati e il tribunale abbia la facoltà di abbreviare i termini della fase prenotativa, laddove l'attività compiuta dall'imprenditore sia manifestamente inidonea alla predisposizione del piano e della proposta (comma 3);
   considerato che:
    l'istituto del concordato «in bianco» è utilizzato anche con finalità liquidatorie dell'attività d'impresa e presta il fianco a condotte abusive, in danno del ceto dei creditori, come confermato da alcuni dati (Rapporto Cerved, maggio 2013) secondo cui tra l'11 settembre 2012 (data di entrata in vigore della riforma) e il 31 marzo 2013: il 37 per cento delle imprese che hanno avuto accesso al concordato «in bianco» era in liquidazione già prima di presentare la domanda;
    risulta necessario rafforzare i presidi volti a neutralizzare comportamenti abusivi, che hanno finalità esclusivamente dilatorie, senza però far venire meno per le imprese sane quel «respiro» che, altrimenti, non avrebbero. Appare, quindi, urgente intervenire con maggiore incisività su taluni ambiti che regolamentano la stessa procedura, anche prima che il Tribunale si pronunci sulla domanda di cui all'articolo 182-quinquies L.F., attraverso:
   la prededucibilità, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 111 L.F., della nuova finanza concessa a supporto del predisponendo Piano, laddove, nella stessa domanda in prenotazione verrà indicata tale esigenza, nonché, i relativi importi necessari, motivandone l'erogazione e specificando la canalizzazione a specifici pagamenti/utilizzi che consentano, anche a posteriori, una valutazione circa la corretta erogazione della stessa;
   la concessione della prededucibilità anche per tutte quelle forniture commerciali concesse a supporto del predisponendo Piano, laddove, le stesse forniture siano indicate nella domanda prenotativa e risultino, quindi, necessarie alla continuità dell'attività imprenditoriale e senza le quali verrebbe meno la stessa attività;
   la previsione, per i casi sopra previsti, del mantenimento della prededucibilità anche nel caso in cui il concordato non venga omologato e si apra, quindi, altra procedura concorsuale;
   la rimodulazione della figura del commissario, così come introdotta dal decreto-legge 69/2013;
   l'aumento dei termini di cui all'articolo 67, primo comma, nn. 1, 2, 3 e 4 L.F., di almeno sei mesi, nonché, di ugual periodo anche i termini di cui al secondo comma dell'articolo 67 L.F.,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori misure, anche nella legge fallimentare, volte a rafforzare la tutela degli imprenditori «sani», consentendo al sistema bancario ed ai fornitori di accompagnare il risanamento delle imprese, nell'interesse collettivo, senza dover rischiare ulteriori capitali e merci che non vengano, in qualche maniera, garantiti; e rimodulare ove necessario le modalità di nomina e le funzioni del commissario, così come introdotto dal decreto-legge 69/2013; migliorare la tutela della revocatoria fallimentare, ex articolo 67, primo comma, L.F., al fine di contrastare eventuali indebite operazioni di dismissioni e/o accensioni di diritti, a qualsiasi titolo, relative al patrimonio dell'imprenditore, e/o dei garanti laddove previsto, nel corso della procedura, per la quale è prevista, invece, la sospensione di qualsiasi azione a tutela dei creditori.
9/1248-A-R/28. (Testo modificato nel corso della seduta) Covello, Giampaolo Galli.


   La Camera,
   premesso che:
    tra le opere connesse all'Esposizione Universale che si terrà a Milano a partire dal 1o maggio 2015 (Expo 2015) è stato inserito l'intervento per la riqualificazione ed il potenziamento della Strada Provinciale n. 46 Rho-Monza, il cui iter è stato avviato con la sottoscrizione, in data 28 luglio 2006, della convenzione tra la Provincia di Milano e la Milano Serravalle-Milano Tangenziali SpA;
    il progetto – che rientra nelle tipologie elencate nell'Allegato II alla Parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, punto 10, denominato «autostrade e strade riservate alla circolazione automobilistica o tratti di esse, accessibili solo attraverso svincoli o intersezioni controllate e sulle quali sono vietati tra l'altro l'arresto e la sosta di autoveicoli» – prevede la trasformazione dell'attuale arteria stradale che collega Rho a Monza in un'autostrada urbana a due corsie per senso di marcia (prolungamento della tratta stradale A52); si tratta di un'opera fondamentale che collega da est ad ovest il Nord di Milano con la chiusura dell'anello delle tre tangenziali, con l'obiettivo di ridurre le attuali criticità viabilistiche esistenti;
    il tracciato complessivo è lungo 9.2 km, dall'attuale Tangenziale Nord (A52) in territorio del Comune di Paderno Dugnano, all'Autostrada A8 Milano-Laghi all'altezza dello svincolo di Rho Fiera;
    il lavoro è diviso in tre lotti funzionali: i primi due sono realizzati da Milano Tangenziali-Serravalle e collegano l'interconnessione con l'A52 in corrispondenza di Milano-Meda e lo scavalco della ferrovia Milano-Varese; il terzo lotto funzionale inerente la variante di Baranzate è realizzato da Autostrade per l'Italia e collega lo scavalco della ferrovia Milano-Varese con lo svincolo della ex strada statale n. 233 «Varesina»;
    i tempi di realizzazione dell'opera sono in netto contrasto con il programma iniziale del gennaio 2010 (dove l'inizio lavori era previsto per marzo 2012 e l'ultimazione a settembre 2014) e, parte, con l'aggiornamento di dicembre 2012 (inizio lavori luglio 2013 e ultimazione aprile 2015);
    l'attuale tratto della Rho-Monza/SP 46 più prossimo all'area di Expo 2015, interessato alla riqualificazione in oggetto, insiste per la gran parte del suo percorso sul territorio del Comune di Baranzate;
    l'attuale tratto cittadino della SP 46 in Comune di Baranzate (corrispondente al Lotto 3) è costituito da una sola carreggiata con una corsia per senso di marcia;
   rispetto all'attuale tratto della SP 46 la realizzazione in variante dell'intervento che insiste in comune di Baranzate risulta necessaria in relazione a considerazioni di carattere tecnico-geometrico e di rispetto della normativa sulla costruzione delle strade, che rendono non praticabile un adeguamento in sede della tratta esistente tra la SS 233 Varesina e la via Piave di Bollate;
    l'opera in oggetto riveste carattere di urgenza in quanto inerente le infrastrutture di interesse di Expo 2015, come indicato dalla comunicazione della Società Autostrade per l'Italia S.P.A., prot. 14342 del 9 luglio 2013 «Viabilità di Adduzione al sistema autostradale esistente A8-A52 Rho-Monza, Riqualifica e potenziamento della SP 46 nella tratta da Paderno a Rho – nuovo Polo Fieristico, Tratto compreso tra la intersezione con la S.S. 233 e il viadotto sulla linea FNM Milano-Saronno (escluso), Lotto 3 – Variante di Baranzate. Istanza per l'avvio della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni» inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a regione Lombardia, alla Provincia di Milano e ai comuni di Baranzate, Bollate, Milano, Novate Milanese;
    è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Parte Seconda n. 81 dell'11 luglio 2013 avviso pubblico relativo alla «Comunicazione di avvio della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA» dell'opera in oggetto;
    il tratto di SP 46 su cui insiste il Lotto 3 è quello attualmente più critico in quanto presenta solo una corsia per senso di marcia, mentre i tratti precedenti sono tutti a 2 corsie per senso di marcia. Il Lotto 3 è quindi quello più urgente;
    il tracciato del Lotto 3 si sviluppa quasi completamente fuori sede, pertanto le interferenze con l'attuale viabilità durante l'esecuzione dei lavori saranno limitate. Il Lotto 3 è quindi quello più semplice da realizzare;
    la mancata completa realizzazione di quanto in oggetto prima dell'inizio della manifestazione EXPO 2015 renderebbe di fatto inaccessibile il sito interessato all'evento per i flussi di traffico provenienti da est,

impegna il Governo

a finanziare e realizzare l'opera in oggetto prima dell'inizio della manifestazione EXPO 2015.
9/1248-A-R/29Peluffo, Braga.


   La Camera,
   premesso che:
    tra le opere connesse all'Esposizione Universale che si terrà a Milano a partire dal 1o maggio 2015 (Expo 2015) è stato inserito l'intervento per la riqualificazione ed il potenziamento della Strada Provinciale n. 46 Rho-Monza, il cui iter è stato avviato con la sottoscrizione, in data 28 luglio 2006, della convenzione tra la Provincia di Milano e la Milano Serravalle-Milano Tangenziali SpA;
    il progetto – che rientra nelle tipologie elencate nell'Allegato II alla Parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, punto 10, denominato «autostrade e strade riservate alla circolazione automobilistica o tratti di esse, accessibili solo attraverso svincoli o intersezioni controllate e sulle quali sono vietati tra l'altro l'arresto e la sosta di autoveicoli» – prevede la trasformazione dell'attuale arteria stradale che collega Rho a Monza in un'autostrada urbana a due corsie per senso di marcia (prolungamento della tratta stradale A52); si tratta di un'opera fondamentale che collega da est ad ovest il Nord di Milano con la chiusura dell'anello delle tre tangenziali, con l'obiettivo di ridurre le attuali criticità viabilistiche esistenti;
    il tracciato complessivo è lungo 9.2 km, dall'attuale Tangenziale Nord (A52) in territorio del Comune di Paderno Dugnano, all'Autostrada A8 Milano-Laghi all'altezza dello svincolo di Rho Fiera;
    il lavoro è diviso in tre lotti funzionali: i primi due sono realizzati da Milano Tangenziali-Serravalle e collegano l'interconnessione con l'A52 in corrispondenza di Milano-Meda e lo scavalco della ferrovia Milano-Varese; il terzo lotto funzionale inerente la variante di Baranzate è realizzato da Autostrade per l'Italia e collega lo scavalco della ferrovia Milano-Varese con lo svincolo della ex strada statale n. 233 «Varesina»;
    i tempi di realizzazione dell'opera sono in netto contrasto con il programma iniziale del gennaio 2010 (dove l'inizio lavori era previsto per marzo 2012 e l'ultimazione a settembre 2014) e, parte, con l'aggiornamento di dicembre 2012 (inizio lavori luglio 2013 e ultimazione aprile 2015);
    l'attuale tratto della Rho-Monza/SP 46 più prossimo all'area di Expo 2015, interessato alla riqualificazione in oggetto, insiste per la gran parte del suo percorso sul territorio del Comune di Baranzate;
    l'attuale tratto cittadino della SP 46 in Comune di Baranzate (corrispondente al Lotto 3) è costituito da una sola carreggiata con una corsia per senso di marcia;
   rispetto all'attuale tratto della SP 46 la realizzazione in variante dell'intervento che insiste in comune di Baranzate risulta necessaria in relazione a considerazioni di carattere tecnico-geometrico e di rispetto della normativa sulla costruzione delle strade, che rendono non praticabile un adeguamento in sede della tratta esistente tra la SS 233 Varesina e la via Piave di Bollate;
    l'opera in oggetto riveste carattere di urgenza in quanto inerente le infrastrutture di interesse di Expo 2015, come indicato dalla comunicazione della Società Autostrade per l'Italia S.P.A., prot. 14342 del 9 luglio 2013 «Viabilità di Adduzione al sistema autostradale esistente A8-A52 Rho-Monza, Riqualifica e potenziamento della SP 46 nella tratta da Paderno a Rho – nuovo Polo Fieristico, Tratto compreso tra la intersezione con la S.S. 233 e il viadotto sulla linea FNM Milano-Saronno (escluso), Lotto 3 – Variante di Baranzate. Istanza per l'avvio della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni» inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a regione Lombardia, alla Provincia di Milano e ai comuni di Baranzate, Bollate, Milano, Novate Milanese;
    è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Parte Seconda n. 81 dell'11 luglio 2013 avviso pubblico relativo alla «Comunicazione di avvio della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA» dell'opera in oggetto;
    il tratto di SP 46 su cui insiste il Lotto 3 è quello attualmente più critico in quanto presenta solo una corsia per senso di marcia, mentre i tratti precedenti sono tutti a 2 corsie per senso di marcia. Il Lotto 3 è quindi quello più urgente;
    il tracciato del Lotto 3 si sviluppa quasi completamente fuori sede, pertanto le interferenze con l'attuale viabilità durante l'esecuzione dei lavori saranno limitate. Il Lotto 3 è quindi quello più semplice da realizzare;
    la mancata completa realizzazione di quanto in oggetto prima dell'inizio della manifestazione EXPO 2015 renderebbe di fatto inaccessibile il sito interessato all'evento per i flussi di traffico provenienti da est,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di finanziare e realizzare il lotto 3 citato in premessa prima dell'inizio della manifestazione EXPO 2015.
9/1248-A-R/29. (Testo modificato nel corso della seduta) Peluffo, Braga.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 240 del 2010 ha innovato profondamente la figura del ricercatore universitario ponendo ad esaurimento il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato (RTI), nato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980, e introducendo la nuova figura di ricercatore a tempo determinato (RTD);
    specificatamente all'articolo 24, comma 3, sono introdotte due diverse tipologie di RTD: a) contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto del Ministro. I predetti contratti possono essere stipulati con il medesimo soggetto anche in sedi diverse; b) contratti triennali non rinnovabili, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), ovvero, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, o di borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri. Inoltre, al comma 5 è stabilito che «Nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, nel terzo anno di contratto di cui al comma 3, lettera b), l'università valuta il titolare del contratto stesso, che abbia conseguito l'abilitazione scientifica di cui all'articolo 16, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, lettera e). In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato nel ruolo dei professori associati.»;
    tale comma sancisce che il RTD tipologia b) rappresenta il nuovo canale per l'ingresso di giovani studiosi nel ruolo di professore (associato) universitario, attraverso un percorso simile alla procedura tenure-track da lungo tempo usata in molti altri paesi. Si tratta pertanto di una figura molto innovativa per il nostro paese e ciò, unitamente alle note riduzioni di finanziamento al sistema universitario nazionale, che si protraggono oramai da un quinquennio, sta rendendo difficile la sua concreta attuazione. Infatti, ad oltre due anni dall'emanazione della legge n. 240 del 2010, pochissime sono le posizioni di RTD tipologia b) bandite a livello nazionale, mentre più consistenti sono i bandi di RTD tipologia a);
    il Ministro dell'istruzione, università e ricerca, nel corso dell'audizione davanti alle Commissioni riunite di Senato e Camera, ha evidenziato essere «una priorità strategica quella di prevedere da subito un Piano straordinario nazionale reclutamento ricercatori ex articolo 24, comma 3, lettera b), legge n. 240 del 2010, con bando nazionale», quantificando in 1000 le posizioni di RTD tipologia b) da bandire per un costo a regime pari a circa 70 milioni di euro;
    sarebbe, pertanto, importante adoperarsi per rendere concreta una tale azione che, unitamente alla nota questione del diritto allo studio, sono la necessità prioritaria per il sistema universitario,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di varare misure urgenti e specifiche per uscire da questa impasse, che ovviamente tende a ritardare il processo di rinnovamento e ringiovanimento dei professori universitari (la cui età media si avvicina ormai a 60 anni).
9/1248-A-R/30Di Lello, Locatelli, Pastorelli.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge n. 240 del 2010 ha innovato profondamente la figura del ricercatore universitario ponendo ad esaurimento il ruolo di ricercatore a tempo indeterminato (RTI), nato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980, e introducendo la nuova figura di ricercatore a tempo determinato (RTD);
    specificatamente all'articolo 24, comma 3, sono introdotte due diverse tipologie di RTD: a) contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni, per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con decreto del Ministro. I predetti contratti possono essere stipulati con il medesimo soggetto anche in sedi diverse; b) contratti triennali non rinnovabili, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), ovvero, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, o di borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri. Inoltre, al comma 5 è stabilito che «Nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, nel terzo anno di contratto di cui al comma 3, lettera b), l'università valuta il titolare del contratto stesso, che abbia conseguito l'abilitazione scientifica di cui all'articolo 16, ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato, ai sensi dell'articolo 18, comma 1, lettera e). In caso di esito positivo della valutazione, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato nel ruolo dei professori associati.»;
    tale comma sancisce che il RTD tipologia b) rappresenta il nuovo canale per l'ingresso di giovani studiosi nel ruolo di professore (associato) universitario, attraverso un percorso simile alla procedura tenure-track da lungo tempo usata in molti altri paesi. Si tratta pertanto di una figura molto innovativa per il nostro paese e ciò, unitamente alle note riduzioni di finanziamento al sistema universitario nazionale, che si protraggono oramai da un quinquennio, sta rendendo difficile la sua concreta attuazione. Infatti, ad oltre due anni dall'emanazione della legge n. 240 del 2010, pochissime sono le posizioni di RTD tipologia b) bandite a livello nazionale, mentre più consistenti sono i bandi di RTD tipologia a);
    il Ministro dell'istruzione, università e ricerca, nel corso dell'audizione davanti alle Commissioni riunite di Senato e Camera, ha evidenziato essere «una priorità strategica quella di prevedere da subito un Piano straordinario nazionale reclutamento ricercatori ex articolo 24, comma 3, lettera b), legge n. 240 del 2010, con bando nazionale», quantificando in 1000 le posizioni di RTD tipologia b) da bandire per un costo a regime pari a circa 70 milioni di euro;
    sarebbe, pertanto, importante adoperarsi per rendere concreta una tale azione che, unitamente alla nota questione del diritto allo studio, sono la necessità prioritaria per il sistema universitario,

impegna il Governo

a promuovere il rinnovamento e ringiovanimento dei professori universitari (la cui età media si avvicina ormai a 60 anni).
9/1248-A-R/30. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Lello, Locatelli, Pastorelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, nel testo dell'articolo 5 all'esame di quest'Aula, come modificato dalle Commissioni, dopo aver disposto con il comma 7 l'abrogazione dell'articolo 1, comma 364, della legge n. 228 del 2012 («Legge di Stabilità 2013»), posto a salvaguardia «della quota di produzione di energia elettrica da impianti alimentati a bioliquidi» e di garanzia «del rispetto degli obiettivi in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili imposti dall'UE», al comma 1-bis introduce misure di carattere temporaneo e non strutturali per la salvaguardia e messa in sicurezza del comparto dei produttori di energia elettrica da bioliquidi;
    sebbene sia stato introdotto con il citato comma 7-bis un supporto temporaneo di due anni, attraverso un incremento percentuale dell'incentivo spettante, di contro è prevista una riduzione degli incentivi per tre anni più che proporzionale rispetto al supporto iniziale, legittimando ima disciplina poco armonica e certamente non proporzionale rispetto al riconoscimento iniziale, configurandosi nel contempo come un meccanismo difficilmente sostenibile dagli operatori del comparto, poiché ne mina alla radice la sopravvivenza economica, ne compromette le potenzialità e la capacità di pianificazione degli investimenti, con conseguenti e gravi riflessi economici, occupazionali oltre che produttivi per tutto il comparto;
    l'articolo 1, comma 364 della legge di stabilità 2013 disponeva invece la rimodulazione degli incentivi riconosciuti per la produzione di energia elettrica da bioliquidi, finalizzata all'armonizzazione delle potenzialità degli impianti al rinnovato scenario economico-produttivo ed al mutato quadro normativo entro i quali erano chiamati ad operare, senza che da questo derivassero oneri per il bilancio dello Stato e oneri aggiuntivi sulla bolletta elettrica;
    la relazione tecnica presentata dal Governo con riguardo all'articolo 5, comma 7, asserisce il presunto incremento degli oneri effettivi sulle tariffe conseguenti alla rimodulazione degli incentivi – asserzione controvertibile alla luce del fatto che la norma abrogata lascia invariato l'impatto economico previgente, essendo invariato il numero di incentivi riconosciuti;
   secondo la norma, infatti, i soli titolari di impianti esistenti al 31 dicembre 2012 possono optare tra un regime che incentiva in minor misura tutta l'energia prodotta dall'impianto e un regime che incentiva in misura più cospicua solo un ammontare contingentato di energia;
    appare opportuno segnalare inoltre che il comma 7 dell'articolo 5 in oggetto, abrogando una norma entrata in vigore il 1o gennaio 2013, avrebbe un valore retroattivo compromettendo in maniera deleteria la programmazione delle strategie industriali, dei piani di produzione e di approvvigionamento degli operatori del settore che avevano fatto legittimo affidamento sull'emanazione del decreto attuativo del Ministero dello sviluppo economico, il cui termine ultimo era fissato per il 30 gennaio 2013;
    tale soppressione, oltre a provocare un danno economico e finanziario alle aziende, lasciando tutti gli operatori in una grave impasse operativa che rischia di fatto di decretare la chiusura di buona parte delle giovani e strategiche realtà operative diffuse sul territorio nazionale, reca profili di incompatibilità con il diritto europeo, in particolare con la direttiva 2009/28/CE, che impone agli Stati membri di garantire la «stabilità a lungo termine di cui le imprese hanno bisogno per effettuare investimenti razionali e sostenibili nel settore delle energie rinnovabili» oltre che profili di illegittimità costituzionale per la compromissione dell'iniziativa economica privata di cui all'articolo 41 della Costituzione,

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi dei commi 7 e 7-bis dell'articolo 5, tenendo conto delle misure finora vigenti in materia al fine di una più ampia salvaguardia del comparto di cui in premessa, che si fondi sulla tutela delle potenzialità produttive, economiche ed occupazionali dello stesso nel medio-lungo periodo – ferme restando le esigenze di contenimento della spesa complessiva per gli incentivi erogati – e al fine di garantire un'auspicata armonia normativa e procedurale con quanto sancito dalla disciplina previgente.
9/1248-A-R/31Alfreider, Schullian, Plangger, Gebhard, Ottobre, Caruso, Distaso.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, nel testo dell'articolo 5 all'esame di quest'Aula, come modificato dalle Commissioni, dopo aver disposto con il comma 7 l'abrogazione dell'articolo 1, comma 364, della legge n. 228 del 2012 («Legge di Stabilità 2013»), posto a salvaguardia «della quota di produzione di energia elettrica da impianti alimentati a bioliquidi» e di garanzia «del rispetto degli obiettivi in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili imposti dall'UE», al comma 1-bis introduce misure di carattere temporaneo e non strutturali per la salvaguardia e messa in sicurezza del comparto dei produttori di energia elettrica da bioliquidi;

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi dei commi 7 e 7-bis dell'articolo 5, tenendo conto delle misure finora vigenti in materia al fine di una evoluzione del comparto di cui in premessa che consideri le potenzialità produttive, economiche ed occupazionali dello stesso nel medio-lungo periodo – ferme restando le esigenze di contenimento della spesa complessiva per gli incentivi erogati.
9/1248-A-R/31. (Testo modificato nel corso della seduta) Alfreider, Schullian, Plangger, Gebhard, Ottobre, Caruso, Distaso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 19 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante misure per il rilancio dell'economia, all'esame di questa Assemblea, attraverso una serie di novelle al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), incide sulla disciplina delle concessioni di lavori pubblici, relativamente alle dichiarazioni del soggetto concedente e alle condizioni che determinano la revisione del piano economico e finanziario degli investimenti del concessionario, nonché allo svolgimento di una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare le offerte, al coinvolgimento degli istituti finanziatori fin dalla fase di gara, alla previsione di clausole di risoluzione del contratto di concessione in caso di mancato reperimento del finanziamento privato;
    da tali novelle l'articolo 19, comma 2, esclude espressamente le operazioni di project financing che abbiano il bando di gara già pubblicato alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge;
    la lettera a) del comma 1 in particolare vuole fornire una sorta di garanzia al concessionario relativamente agli immobili che vengono ceduti, comprendendo, al punto 1 una prima modifica, integrativa del dell'articolo 143, comma 5, che prevede che il soggetto concedente, alla consegna dei lavori, fornisca una dichiarazione in cui attesti che è in possesso di tutte le autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, permessi o altri atti di assenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente e che i predetti atti sono legittimi, efficaci e validi;
    a tal proposito si ricorda che il suddetto comma 5 prevede che le amministrazioni aggiudicatrici, previa analisi di convenienza economica, possono prevedere nel piano economico finanziario e nella convenzione, a titolo di prezzo, la cessione in proprietà o in diritto di godimento di beni immobili nella loro disponibilità o allo scopo espropriati la cui utilizzazione ovvero valorizzazione sia necessaria all'equilibrio economico-finanziario della concessione;
    il punto 2 della medesima lettera a) sembra ampliare le fattispecie che consentono la revisione del piano, attraverso la novella dell'articolo 143, comma 8, che stabilisce che le norme legislative e regolamentari, che comunque incidono sull'equilibrio del piano economico finanziario (PEF) degli investimenti del concessionario comportano la sua necessaria revisione,

impegna il Governo

ad adottare iniziative normative volte a prevedere che le disposizioni di cui all'articolo 19, comma 1, lettera a) si applichino anche in caso di concessioni di lavori pubblici già affidate alla data di entrata in vigore del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69.
9/1248-A-R/32Schullian, Alfreider, Gebhard, Plangger, Ottobre.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 19 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante misure per il rilancio dell'economia, all'esame di questa Assemblea, attraverso una serie di novelle al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), incide sulla disciplina delle concessioni di lavori pubblici, relativamente alle dichiarazioni del soggetto concedente e alle condizioni che determinano la revisione del piano economico e finanziario degli investimenti del concessionario, nonché allo svolgimento di una consultazione preliminare con gli operatori economici invitati a presentare le offerte, al coinvolgimento degli istituti finanziatori fin dalla fase di gara, alla previsione di clausole di risoluzione del contratto di concessione in caso di mancato reperimento del finanziamento privato;
    da tali novelle l'articolo 19, comma 2, esclude espressamente le operazioni di project financing che abbiano il bando di gara già pubblicato alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge;
    la lettera a) del comma 1 in particolare vuole fornire una sorta di garanzia al concessionario relativamente agli immobili che vengono ceduti, comprendendo, al punto 1 una prima modifica, integrativa del dell'articolo 143, comma 5, che prevede che il soggetto concedente, alla consegna dei lavori, fornisca una dichiarazione in cui attesti che è in possesso di tutte le autorizzazioni, licenze, abilitazioni, nulla osta, permessi o altri atti di assenso comunque denominati previsti dalla normativa vigente e che i predetti atti sono legittimi, efficaci e validi;
    a tal proposito si ricorda che il suddetto comma 5 prevede che le amministrazioni aggiudicatrici, previa analisi di convenienza economica, possono prevedere nel piano economico finanziario e nella convenzione, a titolo di prezzo, la cessione in proprietà o in diritto di godimento di beni immobili nella loro disponibilità o allo scopo espropriati la cui utilizzazione ovvero valorizzazione sia necessaria all'equilibrio economico-finanziario della concessione;
    il punto 2 della medesima lettera a) sembra ampliare le fattispecie che consentono la revisione del piano, attraverso la novella dell'articolo 143, comma 8, che stabilisce che le norme legislative e regolamentari, che comunque incidono sull'equilibrio del piano economico finanziario (PEF) degli investimenti del concessionario comportano la sua necessaria revisione,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare iniziative normative volte a prevedere che le disposizioni di cui all'articolo 19, comma 1, lettera a) si applichino anche in caso di concessioni di lavori pubblici già affidate alla data di entrata in vigore del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69.
9/1248-A-R/32. (Testo modificato nel corso della seduta) Schullian, Alfreider, Gebhard, Plangger, Ottobre.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 84 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, all'esame di questa Camera in prima lettura, rivede la mediazione civile e commerciale soprattutto con riferimento alla recente sentenza della Corte costituzionale in materia;
    il decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, ha disciplinato i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, stabilendo in particolare all'articolo 4, comma 3, lettera b), che i mediatori abbiano una specifica formazione e uno specifico aggiornamento almeno biennale, da acquisire presso gli enti di formazione, nonché debbano partecipare, sempre nel biennio di aggiornamento e sotto la forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti;
    a tale proposito si evidenzia che l'articolo 4, comma 3, lettera b), è già stato oggetto di una revisione con il decreto ministeriale 6 luglio 2011, n. 145;
    sul territorio nazionale esistono molti casi di mediatori che, oltre al corso base previsto dalla legge per il riconoscimento della qualifica, hanno frequentato corsi di formazione pluriennali, anche all'estero, altamente specializzanti per l'elevata capacità tecnica che si acquisisce, ma che non vengono riconosciuti come tirocinio;
    per fare un esempio si cita la Camera di Commercio di Bolzano, che da anni si avvale di esperti della materia, riconosciuti a livello europeo e internazionale, per fare simulazioni pratiche di elevato impatto,

impegna il Governo

a rivedere ulteriormente i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione di cui al decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, nel senso di inserire anche venti simulazioni di elevato impatto pratico tra le forme di tirocinio obbligatorio ai sensi dell'articolo 4, comma 3, lettera b), gestite esclusivamente dagli organismi di formazione di cui all'articolo 18 del medesimo regolamento ministeriale.
9/1248-A-R/33Gebhard, Alfreider, Plangger, Schullian, Ottobre.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 84 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, all'esame di questa Camera in prima lettura, rivede la mediazione civile e commerciale soprattutto con riferimento alla recente sentenza della Corte costituzionale in materia;
    il decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, ha disciplinato i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, stabilendo in particolare all'articolo 4, comma 3, lettera b), che i mediatori abbiano una specifica formazione e uno specifico aggiornamento almeno biennale, da acquisire presso gli enti di formazione, nonché debbano partecipare, sempre nel biennio di aggiornamento e sotto la forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso organismi iscritti;
    a tale proposito si evidenzia che l'articolo 4, comma 3, lettera b), è già stato oggetto di una revisione con il decreto ministeriale 6 luglio 2011, n. 145;
    sul territorio nazionale esistono molti casi di mediatori che, oltre al corso base previsto dalla legge per il riconoscimento della qualifica, hanno frequentato corsi di formazione pluriennali, anche all'estero, altamente specializzanti per l'elevata capacità tecnica che si acquisisce, ma che non vengono riconosciuti come tirocinio;
    per fare un esempio si cita la Camera di Commercio di Bolzano, che da anni si avvale di esperti della materia, riconosciuti a livello europeo e internazionale, per fare simulazioni pratiche di elevato impatto,

impegna il Governo

a rivedere ulteriormente i criteri e le modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione di cui al decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, nel senso di elevare lo standard di qualità degli organismi al fine del migliore funzionamento dell'istituto.
9/1248-A-R/33. (Testo modificato nel corso della seduta) Gebhard, Alfreider, Plangger, Schullian, Ottobre.


   La Camera,
   premesso che:
    nel provvedimento in esame sono presenti interventi normativi e fiscali a sostegno dell'economia, delle imprese e della ricerca;
    il governo ha esplicitato, sin dal suo insediamento, la volontà di concentrare i suoi sforzi e la sua azione a sostegno della ripresa economica ed occupazionale, sostenendo i settori che esprimono eccellenza e potenzialità ed incentivando l'innovazione;
    il comparto della produzione di camper in Italia rappresenta una fetta molto consistente dell'intero settore europeo;
    dopo oltre due decenni di ininterrotta crescita di mercato, con significativi incrementi di volumi di produzione, di fatturato e di occupati per le imprese della filiera, il settore italiano della produzione di «camper» sta registrando da alcuni anni una sensibile inversione di tendenza. Tra il 2006 ed il 2011 si è passati infatti da circa 14.400 a circa 7 mila immatricolazioni annue di camper e caravan;
    il settore della camperistica genera in Italia oltre 600 milioni di euro di fatturato, di cui il 58 per cento destinato all'export, con oltre 7.000 dipendenti, 4.000 diretti e oltre 3.000 indiretti;
    nella zona della Valdelsa, (tra le province di Siena e di Firenze) è presente un distretto industriale della camperistica dove viene attualmente realizzato oltre l'80 per cento della produzione nazionale del comparto (nello specifico nei comuni di Barberino Val d'Elsa, Casole d'Elsa, Colle Val d'Elsa, Monteriggioni, Poggibonsi, San Casciano Val di Pesa, San Gimignano, Tavarnelle Val di Pesa). In tale territorio si registra un fatturato annuo di oltre 500 milioni di euro;
    sono qui presenti alcune delle aziende leader del settore a livello nazionale ed internazionale che, per le ragioni appena citate, hanno dovuto affrontare una forte riorganizzazione con conseguenti crisi occupazionale, un ricorso alla cassa integrazione e una forte riduzione del personale;
    ultima in ordine di tempo l'azienda Rimor, azienda storica della Valdelsa, che conta circa 180 dipendenti. L'azienda in gravi difficoltà economiche legate ad esposizioni e difficoltà nell'accesso al credito, nonostante avesse concordato alcune commesse per i mercati internazionali quantificabili in circa 20 milioni di euro, ha annunciato nei giorni scorsi la messa in mobilità tutti i dipendenti. Tale decisione è stata poi ritirata in seguito ad un tavolo di confronto che ha visto partecipare, oltre all'azienda, le parti sociali e le istituzioni locali fra cui la Regione Toscana. È stato infatti raggiunto un accordo condiviso che prevede, in alternativa alla procedura di mobilità, la richiesta di apertura di cassa integrazione straordinaria; è inoltre emerso l'esito positivo della procedura di concordato in continuità che potrebbe vedere l'ingresso di nuovi capitali nella società;
    complessivamente dal 2007 ad oggi, dai dati resi noti dalle amministrazioni locali e dalle associazioni dei produttori, a fronte di un crollo delle immatricolazioni in Italia che supera il 50 per cento e di una diminuzione dei volumi prodotto nell'ordine leggermente inferiore del 40 per cento, l'occupazione del distretto della Valdelsa, riferita soltanto alle aziende produttrici e non alle imprese totali della filiera, è scesa di 400 unità (da 1700 a 1300 addetti). Negli ultimi 5 anni il valore della produzione da 7 a 6 e del numero dei veicoli prodotti da 20 mila a 12 mila;
    in questi anni la Regione Toscana e le istituzioni locali hanno seguito con attenzione lo sviluppo e le problematiche del settore della camperistica, riconoscendone potenzialità e peculiarità e cercando di intervenire tempestivamente con politiche adeguate in grado di supportare soprattutto azioni tese ad accrescere la qualità del prodotto, la ricerca e l'innovazione, nonché la infrastrutturazione logistica sul territorio;
    si ricorda nello specifico che nel luglio 2007 è stato sottoscritto un protocollo d'intesa fra regione Toscana, la provincia di Siena, la provincia di Firenze, i comuni dei territori interessati, le associazioni imprenditoriali e sindacali per la riqualificazione della zona produttiva locale e la nascita di una filiera strutturata del camper anche attraverso finanziamenti in settori strategici di intervento come le infrastrutture, la logistica, la ricerca e la formazione;
    in seguito sono state inoltre avviate le procedure per realizzare uno snodo ferroviario della Valdelsa, in località Zambra: una infrastruttura logistica, che comporta un investimento di 1,2 milioni di euro, necessaria per supportare l'attività delle industrie della zona;
    vanno inoltre segnalate le iniziative a sostegno della camperistica presenti anche nell'ambito del «Progetto integrato per la meccanica» che la Regione Toscana ha approvato nelle scorse settimane. Il progetto prevede complessivamente in quattro anni risorse per circa 200 milioni di euro;
    le imprese Laika Caravans e Trigano hanno già attivato progetti di innovazione e di ricerca, cofinanziati con bando della regione Toscana che coinvolgono l'intera filiera ed i principali dipartimenti universitari dei tre atenei toscani (Pisa, Siena e Firenze) e che riguardano i consumi, materiali di costruzione più leggeri, tecnologia hi-tech e domotica;
    risulta evidente come tali sforzi rappresentino la volontà dei gruppi italiani ed europei di mantenere, e concentrare, in questa area il cuore e l'eccellenza della camperistica italiana, con l'intento di rendere più competitiva l'offerta nazionale;
    il mercato della camperistica risente non solo della crisi generalizzata economica e dei consumi, ma anche di una carenza di politiche fiscali ed infrastrutturali a sostegno del settore. La tassazione sui veicoli costituisce infatti la quinta voce di gettito erariale governativo e manca sul territorio italiano, a differenza di altri paesi europei, una efficace e moderna rete di strutture atte alla fruibilità del turismo all'aria aperta (come aree di sosta attrezzate e di accoglienza, e altro). Emerge da alcuni studi, con chiarezza, come per rilanciare il comparto sarebbe utile, in linea con la normativa già adottata da altri Paesi europei, modificare l'articolo 116 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, per introdurre l'innalzamento della guidabilità, per la patente «B», dei camper da 3,5 a 3,7 tonnellate. Con questa modifica i camper potrebbero essere dotati di dispositivi ed accessori capaci di elevare i livelli di sicurezza e di comfort aumentando al tempo stesso la platea di potenziali clienti;
    va inoltre rimarcato che molto spesso i camper rappresentano per alcune categorie di soggetti disabili una delle rare opportunità ricreative e di vacanza. In alcune nazioni (come ad esempio in Inghilterra) sono state introdotte, per promuovere ed incentivare tale fruizione, specifiche agevolazioni fiscali per i disabili e gli invalidi. Sarebbe opportuno quindi prevedere, anche nel nostro ordinamento, detrazioni e aiuti finanziari equiparando gli autocaravan ai mezzi di uso precipuo degli stessi disabili (come ad esempio le carrozzine) estendendo quindi le disposizioni già previste dall'articolo 8 della Legge 27 dicembre 1997, numero 449;
    all'industria del camper si devono inoltre importanti effetti indiretti sull'indotto turistico del nostro paese: nel 2010 infatti sono stati circa 2,6 milioni i turisti stranieri che hanno fatto una vacanza en plein air in Italia (dati dell'Osservatorio della Banca d'Italia), per un totale di 12 milioni di notti ed una spesa complessiva di 1,2 miliardi di euro. I turisti italiani che viaggiano nel nostro paese in camper invece sono 3 milioni, per una spesa complessiva di circa 1,4 miliardi di euro. Il turismo en plein air, secondo i dati Istat, rappresenta circa il 6 per cento del movimento turistico straniero in Italia. Nonostante l'Italia sia la destinazione più ambita per la bellezza dei luoghi da visitare rispetto alle principali nazioni europee in cui è più diffusa la cultura del «camper style», come Germania e Francia, risulta carente per offerta di luoghi di sosta, facilità di accesso alle strutture ricettive e servizi offerti;
    questa mancanza di politiche, rispetto alle altre nazioni europee, è testimoniata soprattutto dai dati: se in Italia dal 2006 al 2011 si è passati, per le immatricolazioni di nuovi camper, da 14.400 a poco più di 7.000 unità, nello stesso lasso temporale in Francia si è passati da 20.200 a 19.300, mentre in Germania da 18.400 a 21.700;
    alla luce di quanto esposto emerge quindi l'opportunità e l'utilità di un formale riconoscimento di questa filiera industriale della Valdelsa quale «distretto italiano della camperistica». In tale territorio è infatti concentrato oltre l'80 per cento della produzione italiana; qui si stanno già svolgendo importanti ricerche e potrebbe meglio caratterizzarsi uno spazio pubblico e privato di ricerca ed innovazione del prodotto, utilissimo a far camminare ulteriormente la camperistica, per tutelare i siti produttivi ed i livelli occupazionali, per far crescere fatturato, produzione e capacità di competere sul mercato;
    si è già insediato in Valdelsa un tavolo di lavoro, a cui partecipano regione Toscana, la provincia di Siena, la provincia di Firenze, i comuni dei territori interessati e l'Associazione produttori caravan e camper (Ape), le imprese, le organizzazioni sindacali, che sta ulteriormente lavorando per affinare il funzionamento del distretto e per chiedere al Ministero dello sviluppo economico il riconoscimento formale di questo ambito di «distretto nazionale del camper»;
    il riconoscimento del «distretto italiano della camperistica» è già stato oggetto di atti di sindacato ispettivo nella XVI Legislatura ed in particolare di una risoluzione in Commissione Attività Produttive sottoscritta da più parti politiche, della Camera dei Deputati la cui discussione era già stata avviata e non conclusa anche a causa delle elezioni anticipate;
    presso il Ministero dello Sviluppo Economico si sono svolti, durante la XVI legislatura, incontri relativi ai problemi ed allo sviluppo della camperistica, a cui hanno preso parte oltre alle istituzioni e ai soggetti interessati sul territorio, anche rappresentanti del dicastero del turismo e delle infrastrutture e dell'istituto del commercio estero,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di inserire, nei prossimi provvedimenti, iniziative urgenti utili anche a rilanciare con efficacia il comparto della camperistica italiana sostenendo concretamente le azioni, i progetti ed i finanziamenti già assunti dalle istituzioni territoriali (esposti in premessa). Nello specifico:
    norme finalizzate ad incentivare la ricerca e l'innovazione di prodotto nella camperistica, per tutelare i siti produttivi ed i livelli occupazionali, per far crescere il fatturato, la produzione e la capacità di competere sul mercato;
    norme a sostegno all'export ed in particolare per favorire l'accesso al credito delle aziende per le commesse destinate ai paesi esteri, dal momento che quasi il 60 della produzione italiana di caravan è destinata ai mercati internazionali;
    norme ed agevolazioni fiscali nei confronti delle famiglie con soggetti disabili che usufruiscono del camper;
    la possibilità di modificare il Codice della Strada per introdurre l'innalzamento della guidabilità, per la patente «B», dei camper da 3,5 a 3,7 tonnellate;
    la promozione della realizzazione di una efficace e moderna rete di strutture atte alla fruibilità del turismo all'aria aperta;
    a riprendere, attraverso un tavolo con la Regione Toscana, le Province di Siena e Firenze ed i Comuni interessati, un lavoro organico teso al rilancio del comparto, alla sua innovazione, all'ipotesi o riconoscimento del distretto in oggetto quale produttore del Camper Italiano per eccellenza.
9/1248-A-R/34Cenni, Colaninno, Dallai, Simoni, Nardella, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame dispone tra l'altro, norme in materia di semplificazione di quanto previsto dal titolo II del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante misure urgenti per l'agenda digitale e la trasparenza nella pubblica amministrazione, in tema di vigilanza e funzionamento dell'Agenzia per l'Italia digitale, nonché misure in favore dell'internazionalizzazione delle PMI;
    RetItalia internazionale Spa è una società a partecipazione pubblica, il cui capitale è interamente posseduto dall'Ice-Agenzia per la promozione, e svolge compiti di analisi di fabbisogni, progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture, servizi e sistemi informativi a supporto dell'internazionalizzazione e dei processi gestionali interni all'ICE, consentendo la loro integrazione e interconnessione con sistemi esterni, nonché di fornitura di assistenza qualificata al personale dell'ICE e alle PMI italiane, proponendo soluzioni sempre all'avanguardia nel panorama ICT e ponendo la dovuta attenzione al corretto equilibrio tra costi e benefici;
    il Ministero dello sviluppo economico ha assegnato a RetItalia internazionale Spa nel giugno 2011 e nell'aprile 2012 il portale Made in Italy, un sistema di commercio elettronico dei prodotti italiani sul mercato internazionale e l'International Trade Hub - Italia, un portale sponsorizzato dal «Tavolo strategico nazionale per la Trade Facilitation», che consente alle imprese italiane di accedere da un unico punto a tutti i processi relativi all'internazionalizzazione;
    a seguito della «spending review» il Ministero dello sviluppo economico ha dato indicazione di provvedere all'alienazione di RetItalia internazionale Spa e ha posto come prerequisito una severa ristrutturazione della società, al fine di renderla appetibile al mercato;
    in relazione alla natura «in house» di RetItalia internazionale Spa e delle limitate risorse rese disponibili alla «Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane», le professionalità e lo stesso patrimonio informatico, in gestione a RetItalia internazionale Spa, rischiano di andare dispersi in conseguenza dell'alienazione della società;
    sarebbe auspicabile, al fine di salvaguardare gli investimenti fatti, capitalizzare le risorse e le conoscenze professionali disponibili, valutare ipotesi di integrazione di RetItalia Internazionale Spa nella struttura della Pubblica amministrazione, intese come soluzioni più economiche e meno rischiose per l'integrità del patrimonio informativo messo a disposizione della Ex Ice nel corso degli anni;
    appare ulteriormente opportuno segnalare che nella legge di stabilità 2013 è stato previsto un incremento delle risorse destinate al funzionamento dell'Ice-Agenzia pari a dieci milioni di euro per l'anno 2013;
    in data 13 dicembre 2012 nell'ambito della discussione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 è stato accolto alla Camera dei deputati l'ordine del giorno n. 9/5626/33 che impegnava il Governo a valutare compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, l'opportunità di procedere all'integrazione di tutto il personale a tempo indeterminato appartenente alla società RetItalia internazionale Spa nei ruoli dell'Agenzia per l'Italia digitale previa procedura selettiva, finalizzata al collocamento del personale all'interno dell'Agenzia»;
    il suindicato impegno veniva rinnovato dal Governo in data 21 dicembre 2012 nell'ambito della discussione della legge di stabilità con l'accoglimento dell'ordine del giorno 9/5534-bis-B/36 nella cui premessa veniva evidenziato che alla luce degli incrementi previsti dalla legge di stabilità 2013 alle risorse dell'Ice-Agenzia «sarebbe ipotizzabile che parte di quelle risorse potesse essere utilizzata al fine di garantire il mantenimento di quel patrimonio di know-how ed expertise rappresentato dalla società RetItalia Internazionale Spa e messo al servizio della Pubblica amministrazione»;
    appare importante sottolineare che malgrado l'alienazione, RetItalia Internazionale spa continuerà a fornire servizi informativi all'Ice-agenzia attraverso un contratto quinquennale il cui valore massimo sarà pari a euro 15 milioni, che paradossalmente sarebbero sufficienti a coprire il costo dei lavoratori della Società,

impegna il Governo

a predisporre eventuali interventi volti a tutelare i lavoratori di RetItalia Internazionale Spa anche attraverso un'eventuale integrazione del personale della società in House nelle strutture della pubblica amministrazione al fine di salvaguardare le conoscenze maturate, la tenuta dei progetti già avviati e garantire una opportuna continuità operativa segnatamente sul versante della integrazione ed interconnessione dei servizi e dei sistemi informativi con i sistemi esterni.
9/1248-A-R/35Caruso.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame dispone tra l'altro, norme in materia di semplificazione di quanto previsto dal titolo II del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante misure urgenti per l'agenda digitale e la trasparenza nella pubblica amministrazione, in tema di vigilanza e funzionamento dell'Agenzia per l'Italia digitale, nonché misure in favore dell'internazionalizzazione delle PMI;
    RetItalia internazionale Spa è una società a partecipazione pubblica, il cui capitale è interamente posseduto dall'Ice-Agenzia per la promozione, e svolge compiti di analisi di fabbisogni, progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture, servizi e sistemi informativi a supporto dell'internazionalizzazione e dei processi gestionali interni all'ICE, consentendo la loro integrazione e interconnessione con sistemi esterni, nonché di fornitura di assistenza qualificata al personale dell'ICE e alle PMI italiane, proponendo soluzioni sempre all'avanguardia nel panorama ICT e ponendo la dovuta attenzione al corretto equilibrio tra costi e benefici;
    il Ministero dello sviluppo economico ha assegnato a RetItalia internazionale Spa nel giugno 2011 e nell'aprile 2012 il portale Made in Italy, un sistema di commercio elettronico dei prodotti italiani sul mercato internazionale e l'International Trade Hub - Italia, un portale sponsorizzato dal «Tavolo strategico nazionale per la Trade Facilitation», che consente alle imprese italiane di accedere da un unico punto a tutti i processi relativi all'internazionalizzazione;
    a seguito della «spending review» il Ministero dello sviluppo economico ha dato indicazione di provvedere all'alienazione di RetItalia internazionale Spa e ha posto come prerequisito una severa ristrutturazione della società, al fine di renderla appetibile al mercato;
    in relazione alla natura «in house» di RetItalia internazionale Spa e delle limitate risorse rese disponibili alla «Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane», le professionalità e lo stesso patrimonio informatico, in gestione a RetItalia internazionale Spa, rischiano di andare dispersi in conseguenza dell'alienazione della società;
    sarebbe auspicabile, al fine di salvaguardare gli investimenti fatti, capitalizzare le risorse e le conoscenze professionali disponibili, valutare ipotesi di integrazione di RetItalia Internazionale Spa nella struttura della Pubblica amministrazione, intese come soluzioni più economiche e meno rischiose per l'integrità del patrimonio informativo messo a disposizione della Ex Ice nel corso degli anni;
    appare ulteriormente opportuno segnalare che nella legge di stabilità 2013 è stato previsto un incremento delle risorse destinate al funzionamento dell'Ice-Agenzia pari a dieci milioni di euro per l'anno 2013;
    in data 13 dicembre 2012 nell'ambito della discussione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 è stato accolto alla Camera dei deputati l'ordine del giorno n. 9/5626/33 che impegnava il Governo a valutare compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, l'opportunità di procedere all'integrazione di tutto il personale a tempo indeterminato appartenente alla società RetItalia internazionale Spa nei ruoli dell'Agenzia per l'Italia digitale previa procedura selettiva, finalizzata al collocamento del personale all'interno dell'Agenzia»;
    il suindicato impegno veniva rinnovato dal Governo in data 21 dicembre 2012 nell'ambito della discussione della legge di stabilità con l'accoglimento dell'ordine del giorno 9/5534-bis-B/36 nella cui premessa veniva evidenziato che alla luce degli incrementi previsti dalla legge di stabilità 2013 alle risorse dell'Ice-Agenzia «sarebbe ipotizzabile che parte di quelle risorse potesse essere utilizzata al fine di garantire il mantenimento di quel patrimonio di know-how ed expertise rappresentato dalla società RetItalia Internazionale Spa e messo al servizio della Pubblica amministrazione»;
    appare importante sottolineare che malgrado l'alienazione, RetItalia Internazionale spa continuerà a fornire servizi informativi all'Ice-agenzia attraverso un contratto quinquennale il cui valore massimo sarà pari a euro 15 milioni, che paradossalmente sarebbero sufficienti a coprire il costo dei lavoratori della Società,

impegna il Governo

a valutare eventuali interventi volti a tutelare i lavoratori di RetItalia Internazionale Spa al fine di salvaguardare le conoscenze maturate, la tenuta dei progetti già avviati e garantire una opportuna continuità operativa segnatamente sul versante della integrazione ed interconnessione dei servizi e dei sistemi informativi con i sistemi esterni.
9/1248-A-R/35. (Testo modificato nel corso della seduta) Caruso.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 69 del 21 giugno 2013, reca «disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia» e dedica il Capo I alle misure per il sostegno delle imprese; Entrambi questi obiettivi rappresentano al momento la prima vera emergenza, perché dalla ripresa dell'attività imprenditoriale derivano il rilancio dell'occupazione e della produttività dell'intero Paese;
    gli effetti della crisi che stiamo attraversando non si possono comprendere appieno, e quindi contrastare, se non si tiene conto della specificità del tessuto economico italiano che è caratterizzato dalla prevalente presenza di piccole imprese, a vocazione fortemente territoriale, che da sempre sono l'asse trainante dell'economia;
    è innegabile che oggi uno dei maggiori fattori limitanti per gli investimenti produttivi sia costituito dalle difficoltà di accesso al credito per le aziende, soprattutto quelle di minori dimensioni, indipendentemente dalla loro produttività e dalla loro storia creditizia;
    il Fondo di garanzia di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662 costituisce un utile strumento per superare la stretta creditizia per le piccole aziende, e deve essere incrementato nella sua capienza e operatività;
    l'articolo 1 del decreto n. 69 del 2013, si pone l'obiettivo di rendere più agevole l'accesso al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, attraverso l'adozione di specifiche disposizioni volte a garantire un più ampio accesso al credito;
    il medesimo Fondo è uno strumento finanziato con Fondi Pubblici, dunque a valere sulla fiscalità generale, compreso il gettito derivante dalle realtà produttive, che sappiamo essere quantificato in maniera molto disomogenea tra i diversi territori del Paese;
    appare come una questione di equità cercare di far si che vi sia corrispondenza tra il contributo fiscale generato da ciascun territorio a favore del Bilancio statale e il corrispondente impegno da parte del bilancio pubblico laddove quello stesso territorio si trovi in difficoltà come quelle derivanti dall'attuale congiuntura economica,

impegna il Governo

ad adottare disposizioni volte a far si che le risorse del Fondo di garanzia di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. vengano ripartite tra le Regioni in maniera proporzionale alla capacità contributiva di ciascuna Regione, aiutando in questo modo i territori locali, specie quelli a più alta densità di imprese, a contrastare il sempre più evidente fenomeno di depauperamento produttivo ed occupazionale, generato dalla chiusura delle aziende e dalla conseguente perdita dei posti di lavoro.
9/1248-A-R/36Fedriga, Guidesi, Borghesi, Matteo Bragantini, Invernizzi.


   La Camera,
   premesso che:
    nel presente decreto legge ex articolo 33 si interviene sul procedimento di acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia. La presente disposizione appare disomogenea rispetto al complesso delle norme inserite nel presente decreto legge ed evidentemente priva dei requisiti costituzionali della necessità ed urgenza;
    senza novellare la legge n. 91 del 1992, viene così legificata, con una formulazione generica che non specifica gli eventuali inadempimenti dei genitori o della pubblica amministrazione, la dettagliata prassi amministrativa in materia;
    se da una lato una valutazione nel merito degli effetti che produrrà l'introduzione della presente disposizione è positiva e in linea con le recenti norme giurisprudenziali, dall'altro lato la portata di tale intervento governativo deve essere valutata in un ottica più ampia rispetto alla sua specifica entità;
    il Governo con questa disposizione interviene nell'ambito della normativa che regola le procedure relative all'acquisizione della cittadinanza;
    fin dalla passata legislatura il tema della cittadinanza ha occupato ed ancora oggi occupa grande spazio nel dibattito politico. Questa misura del Governo se considerata in termini politici appare come un test per vagliare la disponibilità della maggioranza su un prossimo intervento strutturato di modifica della normativa vigente in materia di acquisizione della cittadinanza finalizzata all'introduzione nel nostro Paese del principio dello ius soli. È difatti, necessario ribadire che questo decreto legge ex articolo 33 interviene a regolare proprio uno dei pochi casi previsti dal nostro ordinamento giuridico di applicazione dello ius soli;
    quando si affronta il tema del diritto alla cittadinanza non si può ragionare sotto la spinta di argomentazioni suggestive ma non razionali. L'utilizzo strumentale di argomentazioni finalizzate a facilitare e incrementare l'acquisizione della cittadinanza, quale strumento essenziale di una effettiva integrazione nella società, anche attraverso l'utilizzo di patinate immagini di bambini nati e cresciuti in Italia e privati di questo diritto, è socialmente pericoloso;
    prevedere, difatti, la cittadinanza a chi, anche se figlio di clandestini appena sbarcati, nasca sul suolo italiano (ius soli), sarebbe molto più pericoloso degli sbarchi di massa. Infatti non solo il nascituro diverrebbe italiano con tutti i diritti ma permetterebbe a genitori, fratelli e altri parenti di entrare nel nostro Paese con possibilità di permanenza illimitata. Una ondata di nuovi disperati preventivamente legalizzati ma senza specializzazione alcuna e senza lavoro prede della povertà e dello sfruttamento;
    se gli obiettivi del presente decreto legge sono quelli di apportare modifiche normative atte a semplificare e limitare gli effetti negativi dell'apparato burocratico, sul tema della cittadinanza sarebbe stato più opportuno introdurre mediante modifiche all'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, un percorso virtuoso per l'integrazione degli stranieri e apolidi presenti regolarmente nel nostro Paese introducendo anche l'obbligatorietà di un test di naturalizzazione propedeutico alla acquisto della cittadinanza.
    un percorso di reale integrazione e assimilazione nella società italiana e nelle sue varie e fondamentali realtà locali, in modo da vivere attivamente nel nostro Paese, evitando ghettizzazioni che possono portare a disagi e, in alcuni casi, a fenomeni di devianza;
    il metodo da noi individuato per raggiungere questo scopo è quello di richiedere all'immigrato che intende diventare cittadino italiano il superamento di un esame che ne dimostri il reale livello di integrazione nella nostra società, esame che, oltre a comprendere una prova di lingua italiana e locale, in base alla regione di residenza, comprende anche domande di cultura generale, storia, cultura e tradizioni e sistemi istituzionali, sia nazionali sia locali. L'esame non è da considerare come un ulteriore aggravio delle procedure per l'ottenimento della cittadinanza, ma come un invito all'immigrato ad approfondire la conoscenza del nostro Paese in modo da comprendere nel modo migliore gli usi e i costumi, le leggi, i diritti e i doveri che derivano dall'appartenere alla nostra nazione, per poter convivere quanto meglio possibile con la popolazione autoctona,

impegna il Governo

a promuovere, in tutte le sedi competenti, strumenti atti ad avviare percorsi virtuosi volti a far si che nel momento dell'ottenimento della cittadinanza lo straniero possa essere in grado di dimostrare di essere pienamente inserito nel contesto storico socio culturale del nostro Paese, anche rispetto alle differenti realtà territoriali.
9/1248-A-R/37Invernizzi, Matteo Bragantini, Guidesi, Borghesi.


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia, ogni giorno, si registra la chiusura di 40 aziende, per la maggior parte dislocate in Lombardia, Lazio e Veneto. I fallimenti delle imprese sono cresciuti del 65 per cento in quattro anni, per quasi 50 mila fallimenti dall'inizio della crisi, di cui oltre 3 mila solo nei primi tre mesi di quest'anno. In questi tre mesi il numero di imprese fallite ha registrato un incremento del 13 per cento rispetto al 2012;
    questi dati evidenziano la necessità di mettere a punto con la massima urgenza strumenti di politica economica nuovi ed innovativi, sperimentando formule che coniughino più obiettivi per di uscire da una situazione di stagnazione altrimenti senza prospettive;
    il decreto-legge n. 69 del 2013 reca tra le altre disposizioni per il sostegno alle imprese, misure per l'accesso al credito attraverso il Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese e finanziamenti e contributi per l'acquisto di macchinari, impianti ed attrezzature, misure utili ma che non escono dal solco di quanto già esistente e quindi, per ora, non decisive per la ripresa;
    nel decreto in esame mancano iniziative mirate per creare aree di attrattività degli investimenti imprenditoriali, necessari a far avviare nuove realtà produttive e non solo a sostenere l'esistente;
    esistono esempi di buone pratiche già attuate dalle Regioni, in particolare la regione Lombardia, che mirano a fornire un supporto operativo e finanziario alla realizzazione di interventi per attrarre nuovi investimenti di impresa in zone industrialmente depresse, offrendo all'imprenditore che vi insedia una sede produttiva particolari agevolazioni burocratiche ed una riduzione progressiva del cuneo fiscale, a fronte di un impegno a rendere l'area di pertinenza nuovamente vitale operando tutte le operazioni di recupero ambientale e infrastrutturale necessarie,

impegna il Governo

a riconoscere alle Regioni il compito di individuare un elenco di aree industriali dismesse da destinare all'insediamento di nuove attività produttive, queste ultime incentivate attraverso la leva della riduzione degli oneri amministrativi e della progressiva riduzione del cuneo fiscale.
9/1248-A-R/38Guidesi, Matteo Bragantini, Invernizzi, Borghesi.


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia, ogni giorno, si registra la chiusura di 40 aziende, per la maggior parte dislocate in Lombardia, Lazio e Veneto. I fallimenti delle imprese sono cresciuti del 65 per cento in quattro anni, per quasi 50 mila fallimenti dall'inizio della crisi, di cui oltre 3 mila solo nei primi tre mesi di quest'anno. In questi tre mesi il numero di imprese fallite ha registrato un incremento del 13 per cento rispetto al 2012;
    questi dati evidenziano la necessità di mettere a punto con la massima urgenza strumenti di politica economica nuovi ed innovativi, sperimentando formule che coniughino più obiettivi per di uscire da una situazione di stagnazione altrimenti senza prospettive;
    il decreto-legge n. 69 del 2013 reca tra le altre disposizioni per il sostegno alle imprese, misure per l'accesso al credito attraverso il Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese e finanziamenti e contributi per l'acquisto di macchinari, impianti ed attrezzature, misure utili ma che non escono dal solco di quanto già esistente e quindi, per ora, non decisive per la ripresa;
    nel decreto in esame mancano iniziative mirate per creare aree di attrattività degli investimenti imprenditoriali, necessari a far avviare nuove realtà produttive e non solo a sostenere l'esistente;
    esistono esempi di buone pratiche già attuate dalle Regioni, in particolare la regione Lombardia, che mirano a fornire un supporto operativo e finanziario alla realizzazione di interventi per attrarre nuovi investimenti di impresa in zone industrialmente depresse, offrendo all'imprenditore che vi insedia una sede produttiva particolari agevolazioni burocratiche ed una riduzione progressiva del cuneo fiscale, a fronte di un impegno a rendere l'area di pertinenza nuovamente vitale operando tutte le operazioni di recupero ambientale e infrastrutturale necessarie,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di riconoscere alle Regioni il compito di individuare un elenco di aree industriali dismesse da destinare all'insediamento di nuove attività produttive valutando le eventuali misure di incentivazione.
9/1248-A-R/38. (Testo modificato nel corso della seduta) Guidesi, Matteo Bragantini, Invernizzi, Borghesi.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto n. 69 del 21 giugno 2013, all'articolo 46, interviene sul alcune disposizioni che limitano la possibilità per gli enti locali di effettuare spese di rappresentanza e spese per missioni, prevedendo che tali limiti non si applichino agli enti locali coinvolti nell'organizzazione del Grande Evento EXPO Milano 2015;
    il grande Evento EXPO Milano 2015, come hanno avuto modo di sottolineare le massime autorità istituzionali primo tra tutti il Presidente della Repubblica, è un evento di rilevanza mondiale, che può diventare il volano per avviare la ripresa economica dell'intero Paese;
    il grande Evento EXPO Milano 2015 è un evento che coinvolge il Governo Italiano, la regione Lombardia, la provincia di Milano, il comune di Milano e la Camera di Commercio di Milano nella società di Gestione, e numerosi enti locali dell'hinterland;
    dagli amministratori locali e dalla regione Lombardia è stato più volte sottolineato come il vero limite alla buona riuscita dell'evento, che prevede la realizzazione di opere infrastrutturali necessarie da tempo e destinate a restare in eredità ai territori coinvolti dopo la conclusione dell'evento sarà possibile solo attraverso una specifica deroga alle regole del Patto di stabilità interno, senza la quale sono a rischio la finanzi abilità delle opere,

impegna il Governo

a prevedere, per gli enti locali e territoriali coinvolti nell'organizzazione del grande evento Expo 2015, una specifica deroga ai vincoli imposti dal Patto di stabilità interno, per le sole spese correlate all'organizzazione dell'evento e alla realizzazione di opere ad esso connesse;
9/1248-A-R/39Rondini, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto n. 69 del 21 giugno 2013, all'articolo 46, interviene sul alcune disposizioni che limitano la possibilità per gli enti locali di effettuare spese di rappresentanza e spese per missioni, prevedendo che tali limiti non si applichino agli enti locali coinvolti nell'organizzazione del Grande Evento EXPO Milano 2015;
    il grande Evento EXPO Milano 2015, come hanno avuto modo di sottolineare le massime autorità istituzionali primo tra tutti il Presidente della Repubblica, è un evento di rilevanza mondiale, che può diventare il volano per avviare la ripresa economica dell'intero Paese;
    il grande Evento EXPO Milano 2015 è un evento che coinvolge il Governo Italiano, la regione Lombardia, la provincia di Milano, il comune di Milano e la Camera di Commercio di Milano nella società di Gestione, e numerosi enti locali dell'hinterland;
    dagli amministratori locali e dalla regione Lombardia è stato più volte sottolineato come il vero limite alla buona riuscita dell'evento, che prevede la realizzazione di opere infrastrutturali necessarie da tempo e destinate a restare in eredità ai territori coinvolti dopo la conclusione dell'evento sarà possibile solo attraverso una specifica deroga alle regole del Patto di stabilità interno, senza la quale sono a rischio la finanzi abilità delle opere,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di prevedere, per gli enti locali e territoriali coinvolti nell'organizzazione del grande evento Expo 2015, una specifica deroga ai vincoli imposti dal Patto di stabilità interno, per le sole spese correlate all'organizzazione dell'evento e alla realizzazione di opere ad esso connesse;
9/1248-A-R/39. (Testo modificato nel corso della seduta) Rondini, Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera.


   La Camera,
   premesso che:
    nel presente decreto legge ex articolo 33 si interviene sul procedimento di acquisto della cittadinanza per lo straniero nato in Italia. La presente disposizione appare disomogenea rispetto al complesso delle norme inserite nel presente decreto legge ed evidentemente priva dei requisiti costituzionali della necessità ed urgenza;
    avendo a cuore il destino della nostra Repubblica e la sicurezza dei suoi cittadini, dobbiamo mettere al centro del patto di cittadinanza i doveri e, in primo luogo, il dovere di lealtà verso chi ha accolto generosamente i nuovi venuti, come anche il dovere di rispetto nei confronti dei più importanti beni tutelati dal diritto penale;
    non possiamo esimerci dallo stigmatizzare l'incapacità manifesta di questo Governo di comprendere il reale problema che in questo particolare momento di crisi economica internazionale avrebbe dovuto essere affrontato con estrema urgenza, considerata la necessità di apportare soluzioni immediate ad una questione che rischia di avere un allarmante impatto sociale;
    tutte le previsioni macroeconomiche degli istituti ed organismi accreditati fotografano un Paese in una situazione di vera e propria recessione;
    la grave congiuntura economico-finanziaria che sta attraversando il nostro paese ha determinato e determinerà ancora di più nei prossimi mesi rilevanti ricadute negative sull'occupazione. I lavoratori più a rischio – anche per la tipologia delle loro mansioni e dei relativi contratti – saranno sicuramente i lavoratori stranieri. Tale situazione creerà rilevanti problemi non solo sotto il profilo strettamente occupazionale, ma anche dal punto di vista della sicurezza pubblica, considerato il rischio attuale che molti stranieri, perdendo il posto di lavoro – in assenza di altri ammortizzatori sociali quali la famiglia e la comunità di appartenenza – finiscano per incrementare le fila della criminalità;
    è necessario avviare uno studio sui flussi migratori che proceda: alla raccolta di dati ed all'elaborazione di statistiche sulle migrazioni internazionali, sulla popolazione dimorante abitualmente e sull'acquisizione della cittadinanza, sui permessi di soggiorno e sul soggiorno di cittadini di paesi extracomunitari, nonché sui rimpatri; al monitoraggio del fenomeno della disoccupazione degli stranieri titolari di permesso di soggiorno conseguente alla crisi economica in atto e alla formulazione di politiche attive di reinserimento di tali categorie di lavoratori; all'analisi della capacità recettiva del paese, in rapporto alle singole realtà territoriali, in riferimento ai posti di lavoro disponibili nei diversi settori occupazionali, alla disponibilità di alloggi, alla disponibilità e al costo dei servizi garantiti; all'analisi dell'impatto dell'immigrazione sotto il profilo del rapporto tra costi e benefici con particolare riguardo ai pubblici servizi; all'analisi del grado di integrazione degli stranieri presenti sul territorio nazionale anche in rapporto ai paesi di provenienza; alla formulazione di proposte per la revisione del meccanismo dei flussi di ingresso di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, finalizzate ad includere nelle quote annualmente stabilite anche gli ingressi nel territorio dello Stato per motivi di ricongiungimento familiare,

impegna il Governo

ad assumere iniziative volte a contenere l'arrivo di nuova manodopera immigrata nel nostro Paese, anche sospendendo l'adozione dei decreti che determinano i flussi di ingresso per i lavoratori extracomunitari;
9/1248-A-R/40Prataviera, Matteo Bragantini, Invernizzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, al capo II, reca «Misure per il potenziamento dell'agenda digitale italiana», a tal fine anche novellando i decreti legge che negli ultimi anni sono intervenuti in materia di digitalizzazione;
    il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 all'articolo 1, comma 2, prevedeva che il Ministro dell'interno emanasse un decreto per stabilire le modalità tecniche di produzione, distribuzione, gestione e supporto all'utilizzo del documento unificato entro il 19 giugno 2013. Tale scadenza non è stata rispettata;
    il medesimo decreto, all'articolo 3, comma 1, prevedeva l'emanazione di un decreto per stabilire i tempi di realizzazione del censimento della popolazione e delle abitazioni per stabilire i contenuti dell'Archivio nazionale dei numeri civici e delle strade urbane. Tale scadenza non è stata rispettata;
    il medesimo decreto, all'articolo 3, comma 4, prevedeva un regolamento per il complessivo riordino del sistema statistico nazionale, con rafforzamento dell'indipendenza professionale dell'ISTAT e il miglioramento del suo assetto organizzativo, da emanare entro il 17 marzo 2013. Tale scadenza non è stata rispettata;
    il medesimo decreto, all'articolo 4, comma 1, prevedeva che presso il Ministero dello Sviluppo economico fosse pubblicato un «Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata» delle imprese e dei professionisti entro il 19 giugno 2013. Tale scadenza non è stata rispettata;
    il medesimo decreto, all'articolo 5, comma 3, prevedeva che fosse emanato un decreto per stabilire l'accesso delle CCIAA e l'aggiornamento al registro delle imprese entro il 17 febbraio 2013. Tale scadenza non è stata rispettata;
    il medesimo decreto, all'articolo 7, comma 3 prevedeva l'emanazione di un decreto per l'invio in forma telematica della certificazione medica dei figli per la fruizione dei congedi parentali entro il 30 giugno 2013. Tale scadenza non è stata rispettata;
   in linea con gli obiettivi dell'Agenda Digitale Europea e con le azioni intraprese dai principali Paesi europei che si sono da tempo dotati di piani strategici di sviluppo delle reti di nuova generazione (NGN), è quanto mai doveroso che il nostro Paese preveda misure che intervengano nel settore del digitale, essendo uno dei pochi nei quali all'investimento corrisponde un ritorno di Pil, ma è a dir poco inutile se non vengono rispettate i termini degli adempimenti previsti,

impegna il Governo

ad adempiere, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, alle scadenze temporali tuttora non rispettate previste dal decreto legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, in materia di digitalizzazione.
9/1248-A-R/41Grimoldi, Caparini, Guidesi.


   La Camera,
   premesso che:
    un settore cruciale per la crescita di tutto il Paese è quello dei servizi telefonici ed in questo provvedimento sono completamente assenti misure in questo ambito, soprattutto volte a colmare l'immotivato squilibrio provocato dalla tassa di cui all'articolo 21 della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, come da ultimo sostituita dalla tariffa di cui al decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1995, e successive modificazioni, concernente la tassa di concessione governativa per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione;
    se da un lato tale tassa è particolarmente sfavorevole per l'utenza di telefonia in abbonamento e genera un carico fiscale irragionevole, dall'altra i soggetti che forniscono in Italia servizi di comunicazione elettronica attraverso internet, indipendentemente dal rilascio delle autorizzazioni richieste ai sensi della normativa italiana ad oggi non sono tenuti a versare un contributo annuale in rapporto al fatturato generato per i servizi forniti in Italia;
    l'abolizione di questa tassa potrebbe colmare lo squilibrio esistente attraverso la contribuzione di soggetti che, operando formalmente al di fuori del territorio italiano, si avvantaggiano non poco dal presente stato di cose, poiché da un lato forniscono servizi di comunicazione elettronica sul territorio italiano, essendo di fatto svincolati da molte delle regole vigenti in Italia nel settore, dall'altro, godendo, per le stesse ragioni, di un regime fiscale favorevole, che, di nuovo, costituisce una condizione asimmetrica a svantaggio degli operatori di telecomunicazione radicati sul territorio, non sono in grado di «restituire» all'Italia, in termini fiscali, il valore, diretto e indiretto, generato attraverso la vendita di servizi di comunicazione e dei correlati proventi pubblicitari, spesso molto ingente;
    attualmente la tassa di concessione governativa grava sulle utenze mobili dei privati per 5,16 euro/mese e per le utenze delle aziende, dei professionisti, dei commercianti per 12,91 euro/mese;
    il beneficio della soppressione di questa tassa anacronistica (nasceva negli anni ’90 come tassa sul lusso, ed ora il telefonino non è sicuramente più un lusso) sarebbe quindi diretto per i cittadini,

impegna il Governo

ad intervenire, con gli appositi strumenti normativi, al fine di abolire la tassa di cui all'articolo 21 della tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, come da ultimo sostituita dalla tariffa di cui al decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1995, e successive modificazioni, concernente la tassa di concessione governativa per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione, al contempo prevedendo sistemi di contribuzione da parte dei soggetti che forniscono in Italia servizi di comunicazione elettronica attraverso internet, indipendentemente dal rilascio delle autorizzazioni richieste ai sensi della normativa italiana.
9/1248-A-R/42Bossi, Caparini, Guidesi, Fedriga.


   La Camera,
   premesso che:
    la magistratura onoraria non ha più un ruolo complementare e occasionale dell'amministrazione della giustizia;
    attualmente sussistono diverse categorie di giudici onorari, con altrettanto diversi criteri di selezione, con diverse retribuzioni e così diverse durate di rapporti di lavoro, ma tutti improntati ad una precarietà non giustificata dalla esemplare qualità del servizio che sempre più viene fornito con alto tasso di professionalità dai magistrati onorari;
    la magistratura onoraria, se opportunamente inquadrata, potrebbe essere il volano di un nuovo andamento dell'amministrazione della giustizia, avvicinando la giustizia ai cittadini e assicurando la celerità del servizio, in attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, oltre ad uniformarsi ai paesi più civili in tema di celerità dei procedimenti giudiziari;
    occorre una soluzione a regime che preveda nuove modalità di accesso e di retribuzione oltre che di stabilizzazione degli incarichi e che tenga conto anche della previdenza;
    è assolutamente indilazionabile un intervento immediato in materia di giudici onorari, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 106, secondo comma, della Costituzione,

impegna il Governo

a formulare una proposta organica di riforma della magistratura onoraria tale da consentire al Parlamento di approvarla entro la data del 31 dicembre 2013, astenendosi dal ricorrere ad ulteriori provvedimenti emergenziali, temporanei o tesi a proroghe dell'esistente.
9/1248-A-R/43Attaguile, Molteni.


   La Camera,
   premesso che:
    la magistratura onoraria non ha più un ruolo complementare e occasionale dell'amministrazione della giustizia;
    attualmente sussistono diverse categorie di giudici onorari, con altrettanto diversi criteri di selezione, con diverse retribuzioni e così diverse durate di rapporti di lavoro, ma tutti improntati ad una precarietà non giustificata dalla esemplare qualità del servizio che sempre più viene fornito con alto tasso di professionalità dai magistrati onorari;
    la magistratura onoraria, se opportunamente inquadrata, potrebbe essere il volano di un nuovo andamento dell'amministrazione della giustizia, avvicinando la giustizia ai cittadini e assicurando la celerità del servizio, in attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, oltre ad uniformarsi ai paesi più civili in tema di celerità dei procedimenti giudiziari;
    occorre una soluzione a regime che preveda nuove modalità di accesso e di retribuzione oltre che di stabilizzazione degli incarichi e che tenga conto anche della previdenza;
    è assolutamente indilazionabile un intervento immediato in materia di giudici onorari, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 106, secondo comma, della Costituzione,

impegna il Governo

a formulare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, una proposta organica di riforma stabile della magistratura onoraria.
9/1248-A-R/43. (Testo modificato nel corso della seduta) Attaguile, Molteni.


   La Camera,
   premesso che:
    rilevato come ancora una volta per ottenere efficienza e speditezza con riforme del processo, è necessario procedere con interventi di organizzazione e di redistribuzione di risorse umane e materiali che sono le uniche misure idonee a garantire l'accelerazione dei processi, mentre procedere solo a modificazioni normative tese all'introduzione o modificazione o integrazione di istituti esistenti, non consente alcun aumento di efficace ed effettivo aumento dell'efficienza del sistema giudiziario,

impegna il Governo

nell'ambito dell'attuazione della nuova dislocazione sul territorio degli Uffici Giudiziari, ad esaminare, analizzare e valutare il territorio nazionale sia sotto il profilo geografico, sia sotto quello produttivo, sia sotto quello delle strutture e dell'organizzazione giudiziaria esistente, al fine di individuare se e dove sia necessario introdurre o potenziare competenze specializzate della magistratura al fine di un maggiore affidamento da parte delle imprese e degli investitori e soprattutto tenendo in imprescindibile considerazione il diritto del cittadino e del lavoratore ad un facile accesso ed una giustizia qualitativamente soddisfacente
9/1248-A-R/44Marcolin, Molteni.


   La Camera,
   premesso che:
    rilevato come ancora una volta per ottenere efficienza e speditezza con riforme del processo, è necessario procedere con interventi di organizzazione e di redistribuzione di risorse umane e materiali che sono le uniche misure idonee a garantire l'accelerazione dei processi, mentre procedere solo a modificazioni normative tese all'introduzione o modificazione o integrazione di istituti esistenti, non consente alcun aumento di efficace ed effettivo aumento dell'efficienza del sistema giudiziario,

impegna il Governo

nell'ambito dell'attuazione della nuova dislocazione sul territorio degli Uffici Giudiziari, ad esaminare, analizzare e valutare se e dove sia necessario introdurre o potenziare competenze specializzate della magistratura al fine di un maggiore affidamento da parte delle imprese e degli investitori e soprattutto tenendo in imprescindibile considerazione il diritto del cittadino e del lavoratore ad un facile accesso ed una giustizia qualitativamente soddisfacente.
9/1248-A-R/44. (Testo modificato nel corso della seduta) Marcolin, Molteni.


   La Camera,
   premesso che:
    la politica di revisione della geografia giudiziaria adottata dal precedente Governo con l'esercizio della delega contenuta nell'articolo 1, comma 2, della legge n. 148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 138 del 2011, – soppressione di tutte le sezioni distaccate dei tribunali, di quasi tutti i tribunali non capoluogo di provincia e degli uffici dei giudici di pace –, in un contesto di grave crisi del settore giustizia, ha ulteriormente aggravato la situazione del sistema. Ed, infatti, facendo solo «cassa» nell'immediato per importi modesti – senza peraltro che vengano tenuti in debita considerazione i costi del trasferimento del personale e delle risorse materiali – e producendo nel breve delle diseconomie di scala, dovute alla creazione di macro strutture di tribunali che risulteranno dei veri e propri «carrozzoni», tali da compromettere ulteriormente il già carente servizio della giustizia, causerà che molti cittadini saranno indotti, di fatto, a rinunciare alla tutela costituzionalmente garantita dei propri diritti in una sede accentrata e molte volte lontana, a discapito di una giustizia di prossimità, che, come dimostrano i dati statistici, è efficiente e oltremodo la più conforme ai parametri europei;
    rilevato che i decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148» e 7 settembre 2012, n. 156 «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148», disattendono le indicazioni contenute nei pareri delle Commissioni Giustizia della Camera dei deputati e del Senato, che rilevavano come i principi e i criteri direttivi contenuti nell'articolo 1, comma 2, della delega prevista dalla legge n. 148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 138 del 2011, fossero stati recepiti solo in parte, poiché non si teneva conto, tra l'altro, dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, oltre a non preservare nuove strutture recentemente finanziate, tra cui quelle di Chiavari e Bassano del Grappa;
    la politica di revisione della geografia giudiziaria del precedente Governo deriva da scelte, difficilmente apprezzabili, se si considera che in diverse circostanze, e con dichiarazioni apparse sui maggiori quotidiani nazionali, è stato affermato che la criminalità organizzata mafiosa è ben radicata nel Nord del nostro paese, e ciò nonostante le uniche sedi di Tribunale «ripescate», nel definitivo ridisegno della geografia giudiziaria, per ragioni connesse al contrasto alle mafie sono state solo quelle del sud (Caltagirone e Sciacca in Sicilia, Castrovillari, Lamezia Terme e Paola in Calabria, e Cassino), mentre al nord, in base agli atti del precedente Governo, non esiste alcun problema di infiltrazioni della criminalità organizzata che suggerisca il mantenimento dei Tribunali quali presidi del territorio,

impegna il Governo

ad adottare con urgenza un provvedimento normativo correttivo dei decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, al fine di dare puntuale attuazione ai contenuti dei pareri approvati dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati del 1o agosto 2012 e dall'altro ramo del Parlamento, e conseguentemente la riviviscenza degli uffici giudiziari soppressi in difformità ai citati pareri ovvero ad adottare con urgenza un provvedimento normativo di proroga dell'entrata in vigore, non inferiore a dodici mesi, delle disposizioni concernenti la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156.
9/1248-A-R/45Molteni, Matteo Bragantini.


   La Camera,
   preso atto che l'articolo 18 istituisce un fondo per la realizzazione di infrastrutture, con particolare riferimento alle infrastrutture di rilevanza strategica nazionale:
   premesso che:
    la strada statale 434 Transpolesana (SS 434), che collega Verona a Rovigo, è una delle arterie principali di penetrazione alla città di Verona ed è inserita nella legge obiettivo quale infrastruttura strategica nazionale;
    l'asse viario, con sezione a quattro corsie, ha una lunghezza di oltre 80 chilometri e inizia a Verona, allacciandosi alla Tangenziale Sud-Est, tra le uscite dell'autostrada A4 di Verona Sud e Verona Est, attraversa i comuni della bassa veronese, entra in provincia di Rovigo nel comune di Giacciano con Baruchella, attraversa Badia Polesine, Lendinara, Villamarzana (dove è stato costruito uno svincolo dell'autostrada A 13) per terminare in una rotatoria in località Borsea del comune di Rovigo;
    al completamento dell'arteria viaria mancano pochi Km dell'ultimo pezzo di collegamento tra l'autostrada A4 e la città di Verona e tale mancanza crea un imbuto al traffico di penetrazione alla città. Gli elevatissimi volumi di traffico, le lunghissime attese alle intersezioni, i conseguenti livelli di congestione e inquinamento, hanno dato origine a numerose e ripetute forme di protesta presso le Amministrazioni comunali, provinciali, regionali e nazionali, lamentando i disagi, l'invivibilità e la pericolosità delle vie che interessano una vasta e popolosa zona della città;
    sia l'apertura dello svincolo di interconnessione con l'A/13, avvenuta nel 2007, sia la prevista apertura del raccordo autostradale con l'autostrada Valdastico sud, collocano la «Transpolesana» tra le arterie di primaria importanza nell'area Nord Est;
    il completamento del collegamento fra la SS. 434 «Transpolesana» e la via Basso Acquar, nel comune di Verona, riveste un'importanza strategica fondamentale, non solo per decongestionare la zona sud della città, ma anche e soprattutto per la funzione sovracomunale di distribuzione del traffico veicolare da e per la Tangenziale Sud ai grandi centri intermodali e alla contigua Autostrada A4;
    il prolungamento della strada statale n. 434 «Transpolesana», oltre l'autostrada A4 fino alla città di Verona, è compreso nel Piano investimenti ANAS 2007-2011 e precisamente nella sezione area di inseribilità dell'allegato A «Elenco opere infrastrutturali di nuova realizzazione per l'anno 2007 con proiezione programmatica fino al 2011» per un costo di circa 46.150.000,00 euro;
    l'alta incidentalità che caratterizza la strada statale e i ripetuti disagi lamentati dai cittadini rendono indispensabile l'adozione di misure urgenti, di carattere straordinario, che possano garantire l'immediato finanziamento dell'ultimo tratto di collegamento della strada statale n. 434, oltre l'autostrada A4, fino alla città di Verona,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative ai fini della realizzazione del prolungamento della strada statale n. 434 «Transpolesana», oltre l'autostrada A4 fino alla città di Verona, a valere sul Fondo di cui al comma 1 dell'articolo 18.
9/1248-A-R/46Matteo Bragantini.


   La Camera,
   preso atto che l'articolo 18 istituisce un fondo per la realizzazione di infrastrutture, con particolare riferimento alle infrastrutture di rilevanza strategica nazionale:
   premesso che:
    la strada statale 434 Transpolesana (SS 434), che collega Verona a Rovigo, è una delle arterie principali di penetrazione alla città di Verona ed è inserita nella legge obiettivo quale infrastruttura strategica nazionale;
    l'asse viario, con sezione a quattro corsie, ha una lunghezza di oltre 80 chilometri e inizia a Verona, allacciandosi alla Tangenziale Sud-Est, tra le uscite dell'autostrada A4 di Verona Sud e Verona Est, attraversa i comuni della bassa veronese, entra in provincia di Rovigo nel comune di Giacciano con Baruchella, attraversa Badia Polesine, Lendinara, Villamarzana (dove è stato costruito uno svincolo dell'autostrada A 13) per terminare in una rotatoria in località Borsea del comune di Rovigo;
    al completamento dell'arteria viaria mancano pochi Km dell'ultimo pezzo di collegamento tra l'autostrada A4 e la città di Verona e tale mancanza crea un imbuto al traffico di penetrazione alla città. Gli elevatissimi volumi di traffico, le lunghissime attese alle intersezioni, i conseguenti livelli di congestione e inquinamento, hanno dato origine a numerose e ripetute forme di protesta presso le Amministrazioni comunali, provinciali, regionali e nazionali, lamentando i disagi, l'invivibilità e la pericolosità delle vie che interessano una vasta e popolosa zona della città;
    sia l'apertura dello svincolo di interconnessione con l'A/13, avvenuta nel 2007, sia la prevista apertura del raccordo autostradale con l'autostrada Valdastico sud, collocano la «Transpolesana» tra le arterie di primaria importanza nell'area Nord Est;
    il completamento del collegamento fra la SS. 434 «Transpolesana» e la via Basso Acquar, nel comune di Verona, riveste un'importanza strategica fondamentale, non solo per decongestionare la zona sud della città, ma anche e soprattutto per la funzione sovracomunale di distribuzione del traffico veicolare da e per la Tangenziale Sud ai grandi centri intermodali e alla contigua Autostrada A4;
    il prolungamento della strada statale n. 434 «Transpolesana», oltre l'autostrada A4 fino alla città di Verona, è compreso nel Piano investimenti ANAS 2007-2011 e precisamente nella sezione area di inseribilità dell'allegato A «Elenco opere infrastrutturali di nuova realizzazione per l'anno 2007 con proiezione programmatica fino al 2011» per un costo di circa 46.150.000,00 euro;
    l'alta incidentalità che caratterizza la strada statale e i ripetuti disagi lamentati dai cittadini rendono indispensabile l'adozione di misure urgenti, di carattere straordinario, che possano garantire l'immediato finanziamento dell'ultimo tratto di collegamento della strada statale n. 434, oltre l'autostrada A4, fino alla città di Verona,

impegna il Governo

a valutare le opportune iniziative ai fini della realizzazione del prolungamento della strada statale n. 434 «Transpolesana», oltre l'autostrada A4 fino alla città di Verona.
9/1248-A-R/46. (Testo modificato nel corso della seduta) Matteo Bragantini.


   La Camera,
   preso atto che l'articolo 26-bis prevede che le stazioni appaltanti debbano motivare, all'atto della determina a contrarre, circa le ragioni della mancata suddivisione dell'appalto in lotti, allo scopo di dare concreta attuazione alla legge 11 novembre 2011, n. 180, «statuto delle imprese» e al principio, inserito all'articolo 2, comma 1-bis del codice dei contratti pubblici, secondo il quale, per favorire l'accesso agli appalti delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti devono suddividere gli appalti in lotti funzionali, ove ciò sia possibile ed economicamente conveniente;
   premesso che:
    la legge 11 novembre 2011, n. 180, «statuto delle imprese» prevede anche il principio dell'introduzione di modalità di coinvolgimento, nella realizzazione di grandi infrastrutture nonché delle connesse opere integrative o compensative, delle imprese residenti nelle regioni e nei territori nei quali sono localizzati gli investimenti, con particolare attenzione alle micro, piccole e medie imprese;
    la diffusione degli appalti a km zero, ossia il privilegio del criterio della «territorialità», che costituisce un riferimento oggettivo nella scelta delle imprese da invitare alle gare d'appalto, è una garanzia di convenienza economica, di minori impatti ambientali provocati dal trasporto delle persone e delle merci e di maggiore responsabilizzazione nello svolgimento dei lavori;
    infatti, l'esecuzione dei lavori da imprese che non hanno legami con il territorio interessato comporta spesso una minore responsabilità sociale da parte delle stesse imprese, essendo evidente che un'impresa che ha sede nell'area stessa dell'intervento si sente maggiormente responsabilizzata a garantire l'ottimale svolgimento dei lavori;
    le leggi regionali sugli appalti, come ad esempio quella della regione Lombardia, incentivano la partecipazione delle micro, piccole e medie imprese agli appalti, anche prevedendo in via sperimentale, all'interno della programmazione degli appalti da parte delle amministrazioni aggiudicatrici del sistema regionale, quote di riserva e criteri di premialità correlati alla sostenibilità ambientale nel territorio di localizzazione del soggetto appaltante, alla tutela del lavoro e dei lavoratori ed alla suddivisione degli appalti in lotti e lavorazioni specifiche;
    l'obiettivo è quello degli appalti a km zero, ossia privilegiare il criterio della «territorialità» per tutti gli appalti, grandi e piccoli, attraverso l'applicazione di maggior punteggio nei bandi,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative dirette ad incentivare le stazioni appaltanti, parallelamente alla suddivisione degli appalti in lotti, ad assegnare, nei propri bandi di gara per l'aggiudicazione di lavori, servizi e forniture, quote di riserva e criteri di premialità per le imprese locali, in stretta correlazione con la sostenibilità ambientale nel proprio territorio e la tutela del lavoro e dei lavoratori.
9/1248-A-R/47Gianluca Pini, Guidesi.


   La Camera,
   premesso che:
    le feste paesane e molti altri tipi di manifestazioni costituiscono un forte elemento di aggregazione per la cittadinanza e servono a tener vive le tradizioni popolari;
    di contro anche i piccoli comuni e le associazioni territoriali tutte le volte che organizzano eventi pubblici di intrattenimento devono pagare l'imposta sugli spettacoli,

impegna il Governo

a ridurre del 50 per cento l'importo che i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti e le associazioni territoriali devono pagare alla SIAE a titolo di imposta sugli spettacoli, nel corso di manifestazioni.
9/1248-A-R/48Buonanno.


   La Camera,
   premesso che:
    le strategie di sicurezza dell'approvvigionamento energetico fino ad oggi adottate dall'U.E. hanno portato ad aumentare la diversificazione delle fonti e delle aree geografiche di rifornimento, al fine di ridurre i rischi legati alla forte dipendenza nei confronti di Paesi esteri;
    l'Italia è ancora oggi priva di una politica energetica in grado di alleggerire la forte dipendenza dalle importazioni estere; gli alti costi energetici che ne derivano stanno mettendo in seria difficoltà l'apparato produttivo ed anche economico del Paese, che dipende per oltre l'80 per cento, per l'importazione di combustibili fossili, da altri Pesi;
    il quadro di riferimento deve essere necessariamente quello di una più generale pianificazione energetica che veda nella diversificazione delle fonti e delle aree di approvvigionamento, nella costruzione e nell'ammodernamento delle infrastrutture energetiche, nello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili e dell'efficienza energetica i punti fondamentali da cui ripartire per arrivare a disporre, in tempi relativamente brevi, di energia a basso costo, al pari degli altri Paesi europei;
    in Italia, la bolletta energetica è del 18 per cento più alta rispetto alla media europea. Dall'allineamento dei prezzi dei prodotti energetici italiani (energia elettrica, gas e carburanti) a quelli medi europei deriverebbe un risparmio annuo di circa 25 miliardi;
    gli alti costi energetici sostenuti dall'Italia rappresentano una delle maggiori cause dello svantaggio competitivo del Paese rispetto agli altri Paesi europei;
   l'articolo 5, del decreto in esame, che reca una serie di misure diverse per ridurre i costi dell'energia elettrica, manca di una visione strategica di lungo periodo in grado di rendere il mercato dell'energia più efficiente e competitivo;
    il Presidente del Consiglio dei ministri, in occasione del Consiglio Europeo straordinario del 22 maggio 2013, è stato impegnato dal Parlamento a sollecitare Sa costruzione del mercato unico europeo dell'energia elettrica e del gas, al fine di sfruttare le opportunità di riduzione dei costi offerte dalle politiche di sviluppo energetico e dalle nuove tecnologie del settore;
   il settore energetico è strategico per l'economia del Paese, con un giro di affari, in crescita, attorno al 20 per cento del Pil e con quasi mezzo milione di posti di lavoro creati,

impegna il Governo

ad adottare un'azione programmatica in campo energetico, in linea con le iniziative intraprese a livello europeo, che punti ad una maggiore diversificazione delle fonti di energia e ad una conseguente riduzione della dipendenza dalla fonte fossile, ai fini di un drastico contenimento dei costi energetici a beneficio dei consumatori finali, con particolare riguardo alle piccole e medie imprese.
9/1248-A-R/49Allasia, Guidesi, Matteo Bragantini.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame introduce alcune misure di semplificazione dei procedimenti amministrativi inerenti l'avvio di iniziative produttive sul territorio nazionale;
    l'articolo 37, in particolare, intende dare rapida attuazione alle iniziative di sviluppo delle zone a burocrazia zero;
    l'eccesso degli oneri burocratici è una delle principali cause dello svantaggio competitivo dell'Italia rispetto agli altri Paesi europei. Il peso della burocrazia si quantifica in un costo annuo per le imprese di circa 26 miliardi di euro, pari a circa 1,5 punti di Pil;
    in Italia, il processo di snellimento della burocrazia è in atto da tempo, ma l'insuccesso delle iniziative fino ad oggi adottate per una reale semplificazione delle attività di impresa dipende dal fatto che tali iniziative si scontrano con apparato amministrativo ancora troppo inefficiente e farraginoso;
    l'articolo 37-bis, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha previsto che nell'ambito delle attività di sperimentazione di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, che proseguono fino al 31 dicembre 2013, possono essere individuate «zone a burocrazia zero», non soggette a vincolo paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico;
    la disciplina relativa alle zone a burocrazia zero non risulta ancora essere del tutto avviata;
    la riforma del sistema burocratico sconta infatti incredibili ritardi di attuazione, costringendo il Paese a spendere circa quattro volte tanto rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea per avviare un impresa;
    l'attuale situazione economica richiede scelte che abbiano come primo obiettivo quello di restituire maggiore competitività al Paese, puntando prima di tutto a rimuovere gli ostacoli che impediscono l'esercizio dell'attività produttiva; in tal senso la riforma della burocrazia dovrebbe rappresentare una priorità per il Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di nominare appositi commissari ad acta, d'intesa con le Regioni, per dare concreta attuazione alle zone a burocrazia zero, ove tale riforma non sia stata ancora avviata, e ad adottare nell'immediato i provvedimenti necessari per rendere permanenti le agevolazioni amministrative e fiscali riconosciute alle nuove iniziative produttive ubicate nelle medesime zone a burocrazia zero.
9/1248-A-R/50Giancarlo Giorgetti, Matteo Bragantini, Guidesi, Borghesi, Invernizzi.


   La Camera,
    preso atto che l'articolo 41, comma 1, contiene norme di semplificazione della disciplina prevista dal Codice dell'ambiente di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 per le bonifiche dei siti inquinati (SIN) e per l'emungimento delle acque di falda;
    considerato che le nuove norme da una parte chiariscono che le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di dette acque con il punto di immissione delle stesse in un corpo ricettore, previo trattamento di depurazione, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico, e come tali soggette al regime di cui alla Parte III del Codice, e dall'altra prevedono che gli interventi di emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate sono ammessi in via residuale, dovendo essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento, o isolare le fonti di contaminazione dirette o indirette;
   premesso che:
    sin dal 2002, il SIN di Caffaro, a Brescia, è stato individuato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare come sito fortemente contaminato dal pcb e quindi da bonificare; tale sito, nonostante sia in disuso, continua ad emettere policlorobifenili (PCB) e altri pericolosi inquinanti;
   dallo stabilimento ex Caffaro si è costretti a pompare dieci milioni di metri cubi d'acqua l'anno dai pozzi interni all'azienda, con evidenti costi ingenti, per impedire che la prima falda salga troppo e vada a contatto con i veleni sottostanti ai capannoni;
    sebbene quest'acqua, prima di finire nel vaso Franzagola di via Morosini e da qui al Fiume Grande, passi attraverso un sistema di filtraggio a carboni attivi non risultano abbattuti tutti gli inquinanti, con evidenti rischi sanitari;
    occorre intraprendere urgenti misure economiche e ambientali per completare gli interventi di bonifica del SIN di Caffaro e fermare l'emungimento della falda e lo sversamento di inquinanti,

impegna il Governo

ad assumere tutte le iniziative necessarie, economiche e ambientali, per fermare l'emungimento della falda e completare le operazioni di bonifica del SIN bresciano dello stabilimento della ex Caffaro.
9/1248-A-R/51Caparini, Borghesi, Grimoldi.


   La Camera,
    preso atto che l'articolo 41, comma 1, contiene norme di semplificazione della disciplina prevista dal Codice dell'ambiente di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 per le bonifiche dei siti inquinati (SIN) e per l'emungimento delle acque di falda;
    considerato che le nuove norme da una parte chiariscono che le acque emunte convogliate tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il punto di prelievo di dette acque con il punto di immissione delle stesse in un corpo ricettore, previo trattamento di depurazione, sono assimilate alle acque reflue industriali che provengono da uno scarico, e come tali soggette al regime di cui alla Parte III del Codice, e dall'altra prevedono che gli interventi di emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate sono ammessi in via residuale, dovendo essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento, o isolare le fonti di contaminazione dirette o indirette;
   premesso che:
    sin dal 2002, il SIN di Caffaro, a Brescia, è stato individuato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare come sito fortemente contaminato dal pcb e quindi da bonificare; tale sito, nonostante sia in disuso, continua ad emettere policlorobifenili (PCB) e altri pericolosi inquinanti;
   dallo stabilimento ex Caffaro si è costretti a pompare dieci milioni di metri cubi d'acqua l'anno dai pozzi interni all'azienda, con evidenti costi ingenti, per impedire che la prima falda salga troppo e vada a contatto con i veleni sottostanti ai capannoni;
    sebbene quest'acqua, prima di finire nel vaso Franzagola di via Morosini e da qui al Fiume Grande, passi attraverso un sistema di filtraggio a carboni attivi non risultano abbattuti tutti gli inquinanti, con evidenti rischi sanitari;
    occorre intraprendere urgenti misure economiche e ambientali per completare gli interventi di bonifica del SIN di Caffaro e fermare l'emungimento della falda e lo sversamento di inquinanti,

impegna il Governo

a valutare le opportune iniziative per proseguire e completare le operazioni di bonifica del SIN bresciano dello stabilimento della ex Caffaro.
9/1248-A-R/51. (Testo modificato nel corso della seduta) Caparini, Borghesi, Grimoldi.


   La Camera,
   premesso che:
    considerato che la finalità del provvedimento è quella di semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese anche allo scopo di sostenere il flusso del credito alle attività produttive, diversificando e migliorando l'accesso ai finanziamenti;
    valutato come il testo introduca misure di semplificazione fiscale, con la soppressione della responsabilità solidale dell'appaltatore per il versamento all'erario dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto;
    attestato come nel corso dell'esame del provvedimento è stata inserita una disposizione nella quale si stabilisce come, a partire dal 2014, le imprese appaltatrici, prima di ricevere il pagamento della prestazione, dovranno consegnare il nuovo Documento Unico di Regolarità Tributaria (Durt);
    stimato infatti come relativamente alle ritenute sui redditi di lavoro dipendente circa il rapporto di subappalto, in luogo dell'attuale documentazione e consistente in una asseverazione rilasciata da professionisti e Caf, ovvero, in alternativa, in un'autocertificazione del prestatore, viene prevista l'acquisizione da parte dell'appaltatore presso l'agenzia delle Entrate di un documento, il Durt, appunto, attestante «l'inesistenza di debiti tributari per imposte, sanzioni o interessi, scaduti e non estinti dal subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo o di parti di esso»;
    considerato che se il pagamento della prestazione avviene in assenza della prescritta documentazione, scatta la responsabilità solidale dell'appaltatore per le omissioni nei versamenti delle ritenute di lavoro dovute dal subappaltatore;
    valutato come l'agenzia delle Entrate è impossibilitata ad avere le informazioni «in tempo reale» circa eventuali violazioni nei versamenti e che per sopperire a tale lacuna, la medesima disposizione preveda l'istituzione di un portale in cui «i soggetti interessati» avranno l'obbligo di trasmettere, in via digitale, «i dati contabili e i documenti primari relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle imposte dovute»;
    rammentato come la maggior parte dei subappaltatori ha una dimensione ed una struttura aziendale di piccole dimensioni, è presumibile immaginare che questo adempimento amministrativo risulterà particolarmente complesso, comportando così un ulteriore aggravio burocratico;
    osservato che il provvedimento così come oggi risultante a seguito della disposizione ivi descritta risulta perciò contraddittorio rispetto alle finalità per le quali lo stesso era stato emanato, diventando, di fatto, l'ennesimo onere per le aziende,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a rivedere al più presto le disposizioni inerenti l'introduzione del documento definito DURT, valutandone i potenziali negativi effetti sulla realizzazione delle opere e sulla attività delle imprese.
9/1248-A-R/52Busin, Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini.


   La Camera,
   premesso che:
    considerato che la finalità del provvedimento è quella di semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese anche allo scopo di sostenere il flusso del credito alle attività produttive, diversificando e migliorando l'accesso ai finanziamenti;
    valutato come il testo introduca misure di semplificazione fiscale, con la soppressione della responsabilità solidale dell'appaltatore per il versamento all'erario dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto;
    attestato come nel corso dell'esame del provvedimento è stata inserita una disposizione nella quale si stabilisce come, a partire dal 2014, le imprese appaltatrici, prima di ricevere il pagamento della prestazione, dovranno consegnare il nuovo Documento Unico di Regolarità Tributaria (Durt);
    stimato infatti come relativamente alle ritenute sui redditi di lavoro dipendente circa il rapporto di subappalto, in luogo dell'attuale documentazione e consistente in una asseverazione rilasciata da professionisti e Caf, ovvero, in alternativa, in un'autocertificazione del prestatore, viene prevista l'acquisizione da parte dell'appaltatore presso l'agenzia delle Entrate di un documento, il Durt, appunto, attestante «l'inesistenza di debiti tributari per imposte, sanzioni o interessi, scaduti e non estinti dal subappaltatore alla data di pagamento del corrispettivo o di parti di esso»;
    considerato che se il pagamento della prestazione avviene in assenza della prescritta documentazione, scatta la responsabilità solidale dell'appaltatore per le omissioni nei versamenti delle ritenute di lavoro dovute dal subappaltatore;
    valutato come l'agenzia delle Entrate è impossibilitata ad avere le informazioni «in tempo reale» circa eventuali violazioni nei versamenti e che per sopperire a tale lacuna, la medesima disposizione preveda l'istituzione di un portale in cui «i soggetti interessati» avranno l'obbligo di trasmettere, in via digitale, «i dati contabili e i documenti primari relativi alle retribuzioni erogate, ai contributi versati e alle imposte dovute»;
    rammentato come la maggior parte dei subappaltatori ha una dimensione ed una struttura aziendale di piccole dimensioni, è presumibile immaginare che questo adempimento amministrativo risulterà particolarmente complesso, comportando così un ulteriore aggravio burocratico;
    osservato che il provvedimento così come oggi risultante a seguito della disposizione ivi descritta risulta perciò contraddittorio rispetto alle finalità per le quali lo stesso era stato emanato, diventando, di fatto, l'ennesimo onere per le aziende,

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a rivalutare le disposizioni inerenti l'introduzione del documento definito DURT.
9/1248-A-R/52. (Testo modificato nel corso della seduta) Busin, Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto è intervenuto, all'articolo 82, sulla fattispecie del concordato prenotativo, disciplinando tuttavia aspetti di minore importanza; trascurando il concordato in continuità, il finanziamento delle imprese in concordato, la regolamentazione dei contratti in corso;
    non comprendendo perché il decreto del fare intervenga solo sul concordato prenotativo, risolvendo uno dei problemi non tra i più urgenti, e fermo restando che occorre intervenire sull'intera disciplina del concordato preventivo;
    ricordato come il concordato preventivo in questo ultimo triennio 2011-2013 ha avuto una ampia diffusione, e che dal 2012 è previsto dal legislatore del 2012 il cosiddetto concordato con continuità aziendale;
    valutato come la diffusione di tale procedura concorsuale minore sta mettendo a dura prova il principio della certezza dei rapporti giuridici attraverso l'appannamento del principio della concorsualità dei crediti ante procedura e della pericolosa diffusione di un grande numero di crediti prededucibili;
    stimato che il percorso legislativo intrapreso dal legislatore è negli intenti apprezzabile, nella misura in cui è finalizzato a tutelare i valori aziendali ma che tuttavia questo va necessariamente ripensato e chiarito anche in relazione alle prassi giurisprudenziali a tutt'oggi del tutto non uniformi,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative finalizzate ad una maggiore chiarezza normativa in materia di concordato preventivo, facendo salvi i principi di concorsualità e certezza dei crediti nei rapporti di fornitura di beni e servizi limitando altresì la diffusione dei crediti prededucibili.
9/1248-A-R/53Borghesi, Busin.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto è intervenuto, all'articolo 82, sulla fattispecie del concordato prenotativo, disciplinando tuttavia aspetti di minore importanza; trascurando il concordato in continuità, il finanziamento delle imprese in concordato, la regolamentazione dei contratti in corso;
    non comprendendo perché il decreto del fare intervenga solo sul concordato prenotativo, risolvendo uno dei problemi non tra i più urgenti, e fermo restando che occorre intervenire sull'intera disciplina del concordato preventivo;
    ricordato come il concordato preventivo in questo ultimo triennio 2011-2013 ha avuto una ampia diffusione, e che dal 2012 è previsto dal legislatore del 2012 il cosiddetto concordato con continuità aziendale;
    valutato come la diffusione di tale procedura concorsuale minore sta mettendo a dura prova il principio della certezza dei rapporti giuridici attraverso l'appannamento del principio della concorsualità dei crediti ante procedura e della pericolosa diffusione di un grande numero di crediti prededucibili;
    stimato che il percorso legislativo intrapreso dal legislatore è negli intenti apprezzabile, nella misura in cui è finalizzato a tutelare i valori aziendali ma che tuttavia questo va necessariamente ripensato e chiarito anche in relazione alle prassi giurisprudenziali a tutt'oggi del tutto non uniformi,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative finalizzate ad una maggiore chiarezza normativa in materia di concordato preventivo.
9/1248-A-R/53. (Testo modificato nel corso della seduta) Borghesi, Busin.


   La Camera,
   premesso che:
    i residui di coltivazione e di lavorazione di marmi e lapidei sono una frazione dei materiali coltivati e successivamente lavorati che non possono essere immessi sul mercato delle pietre ornamentali, a differenza dei prodotti primari dai quali derivano, esclusivamente a causa della loro forma irregolare e per l'aspetto che interrompe la continuità estetica del prodotto primario. Per il resto la composizione chimica e chimico-fisica non si discosta da quella del prodotto principale. È, pertanto, evidente che all'interno della categoria dei sottoprodotti i residui di coltivazione e di lavorazione presentano caratteristiche peculiari che necessitano di una disciplina specifica, proporzionata ai minori rischi per gli interessi pubblici tutelati, che ne faciliti l'utilizzo come sottoprodotto in sostituzione di altri materiali di cava;
    in assenza di una disciplina queste sostanze residuali rimangono inutilizzate e poste in discarica mineraria, secondo le procedure del decreto legislativo n. 117 del 2008, con conseguenze dannose per lo stesso ambiente e le imprese;
    la necessità di chiarire a livello normativo le specificità dei residui in parola nasce dall'errata equiparazione che l'articolo 186 del Codice dell'Ambiente opera tra le terre e le rocce da scavo ed i residui di coltivazione e di lavorazione della pietra e del marmo;
    il comma 1 lettera e), del citato articolo 186, obbliga il produttore dei residui, nel caso in cui intenda utilizzarli sotto la qualifica sottoprodotti, a verificare se il sito di lavorazione o di coltivazione sia contaminato. La verifica è senz'altro opportuna per le terre e rocce da scavo che derivano da interventi finalizzati alla realizzazione di opere edili pubbliche e private il cui scopo non è quello di reperire materiale di cava per la successiva commercializzazione. Al contrario i residui di origine estrattiva e di lavorazione di marmi e lapidei derivano da attività esclusivamente estrattive e, quindi, da luoghi che per loro natura sono destinati alla produzione di materiali di cava la cui commercializzazione, anche sotto forma di lavorati, non richiede alcuna verifica nei riguardi di eventuale contaminazione del sito di provenienza. Al produttore, quindi, deve rimanere il solo obbligo di autocertificare la sussistenza di tale provenienza;
    le caratteristiche chimiche e chimico-fisiche dei residui sono uguali a quelle dei prodotti primari che non sono sottoposti alla verifica di compatibilità ambientale in funzione del sito di utilizzo (lettera f) comma 1 del citato articolo 186). Il requisito di qualità ambientale è dimostrato attraverso un test di cessione che attesta che il materiale sia inerte, anche in presenza di una lavorazione che utilizza sostanza aggiunte;
    tra i residui di lavorazione si devono annoverare anche i fanghi di segagione che sono costituiti dall'acqua utilizzata per il taglio e dalla frazione fine proveniente dal sezionamento del blocco della pietra e del marmo. Premesso che tendenzialmente i cicli di lavorazione non alterano la composizione chimico-fisica originaria della parte fine, tuttavia, occorre sottolineare che in alcuni casi la tipologia, non tanto di segagione, quanto piuttosto di trattamento del materiale, ad esempio lucidatura, arricchisce il fango di elementi estranei. Per questo motivo alcune Amministrazioni, alle quali compete l'applicazione dell'articolo 186 del Codice dell'Ambiente, aprioristicamente classificano indistintamente rifiuti tutti i fanghi, sopra descritti, ritenendo che derivino non dalla lavorazione della pietra, ma da un autonomo processo che consiste nella chiarificazione delle acque per consentirne la reimmissione nel ciclo di segagione della pietra;
    il comma 7-ter del menzionato articolo 186 cita i residui di lavorazione della pietra e del marmo senza nessuna preclusione nei riguardi dei fanghi che da essa derivano,

impegna il Governo:

   a predisporre misure di semplificazione per le procedure per il riutilizzo, quale sottoprodotto, dei residui di coltivazione e di lavorazione di marmi e lapidei;
   consentendo alle imprese l'utilizzo di tali materiali per la sostituzione dei materiali di cava per reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, nell'ambito delle aree di estrazione e delle relative aree di lavorazione, nonché per interventi di recupero ambientale.
9/1248-A-R/54Caon, Buonanno, Matteo Bragantini.


   La Camera,
   premesso che:
    le uniche quattro Case da gioco italiane autorizzate stanno attraversando una congiuntura gravemente sfavorevole per quel che riguarda i ricavi, tanto che i Casinò di Campione d'Italia e di Sanremo hanno dichiarato lo stato di crisi, il Comune di Venezia ha deciso di privatizzarne la gestione, e sono a rischio gli investimenti previsti dal Casinò di Saint-Vincent;
    le Case da gioco autorizzate nel nostro Paese danno oggi lavoro a circa 3.000 dipendenti oltre a generare un notevole indotto sull'economia locale; le stesse concorrono al finanziamento diretto degli Enti Pubblici detentori dei diritti di concessione; la crisi del settore è destinata quindi ad avere gravi ricadute occupazionali ed economiche nei territori interessati;
    le cause della situazione di difficoltà sono dovute, accanto alla generale congiuntura negativa dell'economia del Paese, alla fortissima concorrenza rappresentata da una sempre crescente offerta di nuove tipologie di gioco, spesso non esenti dalla componente dell'azzardo, e soprattutto gestita senza un adeguato controllo sulle transazioni economiche e senza adeguate tutele per quel che riguarda l'accesso da parte di minori; a ciò si aggiungono provvedimenti legislativi che, seppur concepiti con intenti condivisibili, penalizzano l'attività senza un ritorno concreto in termini di efficacia;
    le Case da gioco italiane subiscono inoltre la concorrenza di quelle presenti nei Paesi limitrofi (Austria, Francia, Slovenia e Svizzera), spesso ubicate a pochi chilometri dalla frontiera, in cui o non vi è limitazione alcuna all'uso del contante, o vi sono limiti molto più alti rispetto a quelli vigenti in Italia;
    le quattro Case da gioco italiane, tutte a controllo pubblico, sono da tempo assoggettate ad una serie stringente di obblighi a garanzia delle tracciabilità e legittimità delle transazioni, quali l'obbligo di identificare tutti i clienti, la registrazione di coloro che effettuano transazioni di importo pari o superiore ai 2.000 euro, la segnalazione delle operazioni sospette all'Unità di Informazione Finanziaria presso la Banca d'Italia;
    le Case da gioco autorizzate sono luoghi nei quali i controlli, la sicurezza e la stessa lotta alle ludopatie sono più facilmente realizzabili rispetto alla «deregulation» oggi rappresentata dalle innumerevoli offerte di giochi presenti sul web, negli esercizi commerciali e nelle cosiddette «sale slot»;
    le Case da gioco autorizzate sono altresì realtà attive in una pluralità di servizi afferenti al turismo, alla ristorazione, alla ricezione e partecipano, con risorse economiche ed umane, ad eventi di forte rilevanza artistica e culturale, al punto da essere, di fatto, parte della storia sociale del Paese,

impegna il Governo

ad istituire, in tempi brevi, un tavolo di confronto con gli organismi di rappresentanza delle Case da gioco per valutare iniziative atte a favorirne la ripresa economica e a definire un'organica disciplina del gioco d'azzardo.
9/1248-A-R/55Marguerettaz.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 23 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, reca «Disposizioni urgenti per il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico»;
    il decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, concernente la revisione della disciplina delle tasse e dei diritti marittimi, ha disposto, all'articolo 4, un adeguamento di dette imposte al tasso di inflazione calcolato in un periodo, che è stato poi individuato con decreto ministeriale adottato il 24 dicembre 2012 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze in quello 1o gennaio 1993 – 31 dicembre 2011;
    l'adeguamento stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica e ripreso dal decreto ministeriale di cui sopra, è stato stabilito nella misura del 75 per cento del tasso di inflazione per tutti i porti nazionali, mentre per il solo porto di Trieste è stato stabilito nella misura del 100 per cento del tasso di inflazione;
    com’è evidente, i provvedimenti hanno introdotto una rilevante differenziazione fra il trattamento riservato alla generalità dei porti nazionali ed il porto di Trieste, facendo gravare su quest'ultimo un carico fiscale più oneroso;
    si intende ricordare in questa sede, peraltro, che lo scalo giuliano è sottoposto ad un particolare status giuridico dovuto agli impegni che lo Stato italiano ha assunto in sede internazionale a seguito del Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947 (Allegato VII), e vi è, quindi, nello scalo un regime giuridico di punto franco il quale impone una disciplina speciale che preveda norme di favore per gli scambi commerciali posti in essere nel porto di Trieste;
    i provvedimenti oltre ad aver ignorato le prescrizioni di diritto internazionale ancora in vigore che prevedono norme di maggior favore per lo scalo giuliano, hanno comunque operato un indiscriminato aumento delle tasse e dei diritti portuali applicabili al porto di Trieste,

impegna il Governo

a rispettare le norme di diritto internazionale che impegnano lo Stato italiano a garantire un particolare status giuridico al porto di Trieste e, conseguentemente, a rimuovere le penalizzazioni fiscali introdotte con il Decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, e rese attuative con il decreto ministeriale adottato il 24 dicembre 2012 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, relativamente al porto di Trieste.
9/1248-A-R/56Rosato, Blazina, Brandolin, Coppola, Malisani, Zanin.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 23 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, reca «Disposizioni urgenti per il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico»;
    il decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, concernente la revisione della disciplina delle tasse e dei diritti marittimi, ha disposto, all'articolo 4, un adeguamento di dette imposte al tasso di inflazione calcolato in un periodo, che è stato poi individuato con decreto ministeriale adottato il 24 dicembre 2012 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze in quello 1o gennaio 1993 – 31 dicembre 2011;
    l'adeguamento stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica e ripreso dal decreto ministeriale di cui sopra, è stato stabilito nella misura del 75 per cento del tasso di inflazione per tutti i porti nazionali, mentre per il solo porto di Trieste è stato stabilito nella misura del 100 per cento del tasso di inflazione;
    com’è evidente, i provvedimenti hanno introdotto una rilevante differenziazione fra il trattamento riservato alla generalità dei porti nazionali ed il porto di Trieste, facendo gravare su quest'ultimo un carico fiscale più oneroso;
    si intende ricordare in questa sede, peraltro, che lo scalo giuliano è sottoposto ad un particolare status giuridico dovuto agli impegni che lo Stato italiano ha assunto in sede internazionale a seguito del Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947 (Allegato VII), e vi è, quindi, nello scalo un regime giuridico di punto franco il quale impone una disciplina speciale che preveda norme di favore per gli scambi commerciali posti in essere nel porto di Trieste;
    i provvedimenti oltre ad aver ignorato le prescrizioni di diritto internazionale ancora in vigore che prevedono norme di maggior favore per lo scalo giuliano, hanno comunque operato un indiscriminato aumento delle tasse e dei diritti portuali applicabili al porto di Trieste,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di rispettare le norme di diritto internazionale che impegnano lo Stato italiano a garantire un particolare status giuridico al porto di Trieste e, conseguentemente, a rimuovere le penalizzazioni fiscali introdotte con il Decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2009, n. 107, e rese attuative con il decreto ministeriale adottato il 24 dicembre 2012 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, relativamente al porto di Trieste.
9/1248-A-R/56. (Testo modificato nel corso della seduta) Rosato, Blazina, Brandolin, Coppola, Malisani, Zanin.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 18 prevede, al comma 1, l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita tra cinque annualità fino al 2017 che, secondo quanto prevede la norma, è volto a consentire nell'anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori;
    sulla base del combinato disposto del comma 11 dell'articolo 18 e del comma 11-bis dell'articolo 25, le risorse revocate al 31 dicembre 2013, nel caso in cui non siano conseguite le predette finalità degli interventi finanziabili indicate al comma 1, saranno attribuite prioritariamente a una serie di infrastrutture ed interventi tra i quali: il completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino, il collegamento ferroviario Novara-Seregno-Malpensa, la realizzazione del collegamento Torino-Ceres/Aeroporto di Caselle;
    le specifiche infrastrutture finanziabili dal predetto Fondo, che saranno individuate con uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, si riferiranno a interventi cantierabili, che in conseguenza di tali caratteristiche potranno utilizzare integralmente le risorse ad essi destinate, e che, per tale ragione, non è allo stato stimabile l'eventuale consistenza delle risorse revocate;
   segnalato infine che la relazione tecnica riferita al citato articolo 18 precisa che a una prima fase di rilancio del settore infrastrutturale a seguito dell'attuazione del medesimo articolo «dovrà seguire, con la legge di stabilità 2014, un'azione coerente con le priorità strategiche e di ampia portata temporale, con la previsione di stanziamenti aggiuntivi per la realizzazione di opere che, nei prossimi anni, consentano al Paese di raggiungere un adeguato livello di infrastrutturazione a sostegno della crescita e dello sviluppo»,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative, anche in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità per il 2014, volte ad incrementare la dotazione finanziaria del Fondo di cui al citato articolo 18 allo scopo di garantire il finanziamento delle ulteriori opere alle quali il comma 11-bis dell'articolo 25 attribuisce prioritariamente le relative risorse revocate.
9/1248-A-R/57Nastri.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 18 prevede, al comma 1, l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita tra cinque annualità fino al 2017 che, secondo quanto prevede la norma, è volto a consentire nell'anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori;
    sulla base del combinato disposto del comma 11 dell'articolo 18 e del comma 11-bis dell'articolo 25, le risorse revocate al 31 dicembre 2013, nel caso in cui non siano conseguite le predette finalità degli interventi finanziabili indicate al comma 1, saranno attribuite prioritariamente a una serie di infrastrutture ed interventi tra i quali: il completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino, il collegamento ferroviario Novara-Seregno-Malpensa, la realizzazione del collegamento Torino-Ceres/Aeroporto di Caselle;
    le specifiche infrastrutture finanziabili dal predetto Fondo, che saranno individuate con uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, si riferiranno a interventi cantierabili, che in conseguenza di tali caratteristiche potranno utilizzare integralmente le risorse ad essi destinate, e che, per tale ragione, non è allo stato stimabile l'eventuale consistenza delle risorse revocate;
   segnalato infine che la relazione tecnica riferita al citato articolo 18 precisa che a una prima fase di rilancio del settore infrastrutturale a seguito dell'attuazione del medesimo articolo «dovrà seguire, con la legge di stabilità 2014, un'azione coerente con le priorità strategiche e di ampia portata temporale, con la previsione di stanziamenti aggiuntivi per la realizzazione di opere che, nei prossimi anni, consentano al Paese di raggiungere un adeguato livello di infrastrutturazione a sostegno della crescita e dello sviluppo»,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare ulteriori iniziative normative, anche in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità per il 2014, volte ad incrementare la dotazione finanziaria del Fondo di cui al citato articolo 18 allo scopo di garantire il finanziamento delle ulteriori opere alle quali il comma 11-bis dell'articolo 25 attribuisce prioritariamente le relative risorse revocate.
9/1248-A-R/57. (Testo modificato nel corso della seduta) Nastri.


   La Camera,
   premesso che:
    con le misure di cui all'articolo 52 del provvedimento il Governo ha recepito il cambiamento di rotta da far assumere ad Equitalia nelle strategie di recupero dei crediti auspicato dal Parlamento, ottemperando a quanto previsto da una risoluzione approvata dalla Commissione Finanze della Camera con la quale si chiedeva di introdurre elementi di «maggiore flessibilità» e di intervenire «per evitare che gli strumenti della riscossione possano pregiudicare la sopravvivenza economica del soggetto debitore, salvaguardando in tal modo gli stessi interessi erariali;
    più specificatamente il comma 1 del suddetto articolo introduce il divieto di pignoramento dell'immobile adibito ad abitazione principale da parte dell'agente della riscossione e prevede piani di rateazione più lunghi per il pagamento dei debiti tributari;
    la crisi economica ha, infatti, messo a dura prova la capacità di rimborso di famiglie e imprese, tanto che la cronaca ci consegna quasi quotidianamente casi drammatici di episodi consequenziali all'espropriazione della casa di abitazione ed al suo pignoramento;
    impignorabilità sancita nel decreto riguarda solo le azioni esecutive di Equitalia non anche quelle del settore bancario. Esso, infatti, non esclude affatto che per debiti nettamente inferiori, altri soggetti creditori, come per esempio banche o privati, possano comunque procedere al pignoramento immobiliare dell'abitazione principale;
    tale scenario impone al Parlamento, nel quadro di una riforma organica del sistema tributario, di modificare le attuali regole della riscossione dei debiti da parte dei creditori, siano essi pubblici o privati, per adattarle alle reali condizioni dei nostri concittadini, anche con la previsione, per legge, della salvaguardia di un bene primario come quello della casa di abitazione non di lusso attraverso la dichiarazione d'impignorabilità;
    un rapporto elaborato da Adusbef e Federconsumatori, sulla base dei dati raccolti nei principali Tribunali italiani, alla data del 30 settembre 2012 e proiettati al 31 dicembre, ci consegna un trend allarmante: se tra il 2008 e il 2011 i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari sono aumentati di circa il 75 per cento, nello studio si stima che con il +22,8 per cento del 2012, il quinquennio si chiude con un dato praticamente raddoppiato. Ciò significa che nel solo 2012, oltre 45 mila famiglie, circa 8.500 in più rispetto al 2011, sono state costrette ad abbandonare la propria casa nell'impossibilità di reggere il pagamento delle rate del mutuo ed oltre 100 mila case sono finite all'asta,

impegna il Governo:

   a prevedere, nel quadro di una riforma organica del sistema impositivo sul patrimonio immobiliare, l'esenzione dell'IMU per l'immobile pignorato adibito dal debitore ad abitazione principale;
   ad emanare un provvedimento che affronti la grave emergenza abitativa attraverso una sospensione degli sfratti e garantendo alle famiglie la cui unica casa sia pignorata dalle banche, la possibilità di continuare per un tempo congruo a risiedervi.
9/1248-A-R/58Paglia, Lavagno.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, a seguito delle modifiche approvate presso le Commissioni riunite I (Affari Costituzionali) e V (Bilancio) ha previsto una riduzione di 20,75 milioni di euro per l'anno 2013 delle risorse relative al Piano nazionale banda larga;
    il Piano Nazionale Banda Larga, autorizzato dalla Commissione europea, si pone l'obiettivo di azzerare il digital divide in Italia consentendo l'accesso alla banda larga a tutta la popolazione oggi esclusa dalla network society;
    il piano è mirato all'eliminazione del deficit infrastrutturale presente in oltre 6 mila località del Paese, i cui costi di sviluppo non possono essere sostenuti dal mercato, poiché economicamente non redditizie;
    si tratta di un progetto ambizioso che entro il 2013 avrebbe consentito agli 8,5 milioni d'italiani – che a fine 2008 si trovavano ancora nelle condizioni di divario digitale – di usufruire di una moderna infrastruttura di telecomunicazioni rilanciando l'economia del Paese, poiché i benefici di questi investimenti hanno dirette ricadute su cittadini e imprese;
    il citato Piano nasce dall'esigenza di avere un'unica strategia nazionale per abbattere il digital divide, ai sensi dell'articolo 1 della legge 18 giugno 2009, n. 69 che attribuisce al Ministero dello Sviluppo Economico il coordinamento di tutti i programmi d'intervento avviati nel territorio italiano volti all'implementazione delle reti a banda larga;
   considerato che:
    come pure evidenziato dalla stampa nazionale, parte di tali risorse avrebbero dovuto eliminare il digital divide nelle Regioni del Centro-Nord ed i bandi per utilizzare i fondi per costruire reti banda a larga sono stati pubblicati solo recentissimamente (per esempio, la settimana scorsa era stata bandita una gara per il Friuli Venezia Giulia),

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di prevedere ulteriori iniziative normative volte ad adottare, già con il prossimo provvedimento di natura finanziaria, adeguate iniziative urgenti tese a ripristinare i fondi per il Piano Nazionale Banda Larga.
9/1248-A-R/59Boccadutri, Quaranta, Nardi, Lacquaniti, Ferrara, Matarrelli, Marcon, Melilla, Airaudo, Di Salvo, Pilozzi, Zaratti, Piazzoni, Ricciatti, Nicchi, Pellegrino, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 5 del disegno di legge di conversione in esame, prevede al comma 1, l'estensione dell'ambito di applicazione della cosiddetta «Robin Tax», ossia l'addizionale IRES, per le imprese che operano nel comparto energetico; finora la «Robin Tax» era applicata alle imprese energetiche che avevano conseguito nel periodo di imposta precedente un volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro e un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro;
    con la modifica apportata dal testo in esame, l'addizionale IRES viene quindi ora applicata alle imprese energetiche con più di 3 milioni di fatturato e 300 mila euro di imponibile. La sensibile riduzione di queste soglie di fatturato e di imponibile, produce conseguentemente un sensibile ampliamento della platea delle imprese che operano nel settore energetico a cui viene applicata questa addizionale, e ciò finisce per colpire anche non poche società che operano nell'ambito delle rinnovabili. E questo proprio nel momento in cui gli incentivi sono in scadenza e la flessione del mercato europeo fa preoccupare non poco gli addetti ai lavori;
    si ricorda che il decreto-legge n. 112 del 2008, che ha introdotto la «Robin Tax» (addizionale IRES) per le imprese del comparto energetico, escludeva espressamente dalla medesima addizionale le imprese «che producono energia elettrica mediante l'impiego prevalente di biomasse e di fonte solare-fotovoltaica o eolica»;
    successivamente l'articolo 7, lettera c), del decreto-legge n. 138 del 2011, ha abrogato la disposizione del suddetto decreto 112/2008, ricomprendendo (almeno teoricamente, visti i volumi di fatturato e di imponibile richiesti ai fini dell'applicazione dell'addizionale IRES) anche le imprese che operano nell'ambito delle rinnovabili tra le imprese del settore energetico a cui viene applicata la Robin Tax,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere l'esclusione dall'addizionale IRES di cui in premessa, per le imprese che producono energia elettrica mediante l'impiego prevalente di fonti rinnovabili.
9/1248-A-R/60Kronbichler, Zaratti, Zan, Pellegrino, Lacquaniti, Caparini.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 32 e 35 del decreto legge recano disposizioni che modificano il decreto legislativo n. 81 del 2008, in materia di tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro (Testo Unico);
    tali articoli vengono rubricate come misure di semplificazione, ma rappresentano un indebolimento delle misure di protezione e tutela previste dal Testo Unico;
    l'Italia ha il triste primato di avere un terzo di morti nel lavoro in più della media europea. Una strage che conquista le scena mediatica e l'attenzione pubblica solo quando, drammaticamente, le vittime sono molte: il crollo di Barletta, l'incendio Thyssen-Krupp, i tumori dell'amianto di Enimont, il Porto di Genova; ma, lo stillicidio delle tante morti quotidiane si perde, invisibile, nella cronaca nera, o meglio, bianca;
    c’è una sensibilità sociale e politica troppo fragile rispetto alla gravità degli eventi. Un Governo responsabile di fronte a questa realtà drammatica dovrebbe la guardia per aumentare la consapevolezza, non fare sconti sugli obblighi per la tutela della salute e della sicurezza del lavoro;
    l'Osservatorio di Bologna, considera «morti sul lavoro» tutte le persone che perdono la vita mentre svolgono il lavoro, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa e dalla loro età. Dall'inizio dell'anno sono documentati 325 morti per infortuni sui luoghi di lavoro e oltre 650 se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere. Un panorama più realistico rispetto a quello rilevato dai dati ufficiali dell'INAIL che comprende solo i suoi assicurati che non esauriscono certo tutte le figure del mercato del lavoro a partire dalle sue zone grigie e più oscure;
    una realtà di dolore che ci chiama ad un continuo impegno e a non leggere in superficie il decremento degli infortuni mortali rilevato dalla recente relazione dell'INAIL, decremento che va rapportato alla pesante flessione dell'occupazione;
    vi è un «massacro diffuso» che avviene spesso per le condizioni di informalità e di assenza di diritti. Luoghi di lavoro dove le norme sulla prevenzione e sulla sicurezza sono poco osservate perché gli stessi lavoratori sono spesso gli stessi imprenditori, lavoratori autonomi e artigiani, oppure stranieri che fanno notizia solo per i reati veri o presunti ma non quando sono vittime;
    morti, infortuni, patologie che mostrano il volto di una doppia Italia: quella del lavoro che non c’è e quella del lavoro inumano, sfruttato, precario, irregolare, ricattato; che fa ammalare, disperare e spezza la vita al di fuori di controlli, garanzie, norme, diritti;
    le morti bianche sono casi di «normale» vita da lavoro, le cause sono innervate nel modo della produzione. Di fronte a questo sconvolgente dato di fatto, il messaggio del Governo delle larghe intese è quello di allentare i controlli, trattare le regole come vincoli innaturali, una burocrazia fastidiosa da sopprimere;
    ciò viene realizzato in nome «del fare comunque», in nome del mercato libero, del risultato d'impresa e, per tante persone, in nome di una misera sopravvivenza. Il fatto che morire, ammalarsi, invalidarsi sul lavoro non susciti indignazione al di là dell'emozione del momento, è anche l'effetto di questa crisi che porta a considerare l'incidente un rischio inevitabile, un male che ci può stare;
    in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro c’è bisogno di più protezione, non di «lasciar fare»: è pericoloso permettere di tornare alla autocertificare la valutazione dei rischi; limitare il rispetto delle norme sulla sicurezza sulla base della grandezza dell'impresa o della stagionalità del lavoro, perché il rischio dell'incidente non dipende dalla durata del lavoro o dalla grandezza di un'impresa. Anzi si annida proprio nelle piccole imprese o nei lavori di breve durata, in cui viene a mancare l'esperienza e la conoscenza dell'azienda e dei suoi rischi;
    se effettivamente è avvertita l'esigenza di una manutenzione del Testo Unico essa deve essere fatta salvaguardando i principi e le tutele effettive approntate dalla legge e nell'ambito di un intervento organico, coerente e non occasionale come quello contenuto nel decreto n. 69 del 2013 o in quello successivo n. 76, all'esame del Senato,

impegna il Governo

a promuovere, a partire dall'autunno 2013, una campagna straordinaria di ispezioni, della durata almeno trimestrale, sul rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro nei comparti più a rischio (edilizia, trasportiate.), coordinando tutte le risorse umane disponibili (ispettorati del lavoro, delle ASL, dell'INPS, dell'INAIL, etc.), sulla base di un programma elaborato dai Ministeri del lavoro e della salute.
9/1248-A-R/61Nicchi, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Piazzoni, Placido, Boccadutri, Ragosta, Paglia, Lavagno, Marcon, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 32 e 35 del decreto legge recano disposizioni che modificano il decreto legislativo n. 81 del 2008, in materia di tutela della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro (Testo Unico);
    tali articoli vengono rubricate come misure di semplificazione, ma rappresentano un indebolimento delle misure di protezione e tutela previste dal Testo Unico;
    l'Italia ha il triste primato di avere un terzo di morti nel lavoro in più della media europea. Una strage che conquista le scena mediatica e l'attenzione pubblica solo quando, drammaticamente, le vittime sono molte: il crollo di Barletta, l'incendio Thyssen-Krupp, i tumori dell'amianto di Enimont, il Porto di Genova; ma, lo stillicidio delle tante morti quotidiane si perde, invisibile, nella cronaca nera, o meglio, bianca;
    c’è una sensibilità sociale e politica troppo fragile rispetto alla gravità degli eventi. Un Governo responsabile di fronte a questa realtà drammatica dovrebbe la guardia per aumentare la consapevolezza, non fare sconti sugli obblighi per la tutela della salute e della sicurezza del lavoro;
    l'Osservatorio di Bologna, considera «morti sul lavoro» tutte le persone che perdono la vita mentre svolgono il lavoro, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa e dalla loro età. Dall'inizio dell'anno sono documentati 325 morti per infortuni sui luoghi di lavoro e oltre 650 se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere. Un panorama più realistico rispetto a quello rilevato dai dati ufficiali dell'INAIL che comprende solo i suoi assicurati che non esauriscono certo tutte le figure del mercato del lavoro a partire dalle sue zone grigie e più oscure;
    una realtà di dolore che ci chiama ad un continuo impegno e a non leggere in superficie il decremento degli infortuni mortali rilevato dalla recente relazione dell'INAIL, decremento che va rapportato alla pesante flessione dell'occupazione;
    vi è un «massacro diffuso» che avviene spesso per le condizioni di informalità e di assenza di diritti. Luoghi di lavoro dove le norme sulla prevenzione e sulla sicurezza sono poco osservate perché gli stessi lavoratori sono spesso gli stessi imprenditori, lavoratori autonomi e artigiani, oppure stranieri che fanno notizia solo per i reati veri o presunti ma non quando sono vittime;
    morti, infortuni, patologie che mostrano il volto di una doppia Italia: quella del lavoro che non c’è e quella del lavoro inumano, sfruttato, precario, irregolare, ricattato; che fa ammalare, disperare e spezza la vita al di fuori di controlli, garanzie, norme, diritti;
    le morti bianche sono casi di «normale» vita da lavoro, le cause sono innervate nel modo della produzione. Di fronte a questo sconvolgente dato di fatto, il messaggio del Governo delle larghe intese è quello di allentare i controlli, trattare le regole come vincoli innaturali, una burocrazia fastidiosa da sopprimere;
    ciò viene realizzato in nome «del fare comunque», in nome del mercato libero, del risultato d'impresa e, per tante persone, in nome di una misera sopravvivenza. Il fatto che morire, ammalarsi, invalidarsi sul lavoro non susciti indignazione al di là dell'emozione del momento, è anche l'effetto di questa crisi che porta a considerare l'incidente un rischio inevitabile, un male che ci può stare;
    in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro c’è bisogno di più protezione, non di «lasciar fare»: è pericoloso permettere di tornare alla autocertificare la valutazione dei rischi; limitare il rispetto delle norme sulla sicurezza sulla base della grandezza dell'impresa o della stagionalità del lavoro, perché il rischio dell'incidente non dipende dalla durata del lavoro o dalla grandezza di un'impresa. Anzi si annida proprio nelle piccole imprese o nei lavori di breve durata, in cui viene a mancare l'esperienza e la conoscenza dell'azienda e dei suoi rischi;
    se effettivamente è avvertita l'esigenza di una manutenzione del Testo Unico essa deve essere fatta salvaguardando i principi e le tutele effettive approntate dalla legge e nell'ambito di un intervento organico, coerente e non occasionale come quello contenuto nel decreto n. 69 del 2013 o in quello successivo n. 76, all'esame del Senato,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di promuovere, a partire dall'autunno 2013, una campagna straordinaria di ispezioni, della durata almeno trimestrale, sul rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro nei comparti più a rischio (edilizia, trasportiate.), coordinando tutte le risorse umane disponibili (ispettorati del lavoro, delle ASL, dell'INPS, dell'INAIL, etc.), sulla base di un programma elaborato dai Ministeri del lavoro e della salute.
9/1248-A-R/61. (Testo modificato nel corso della seduta) Nicchi, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Piazzoni, Placido, Boccadutri, Ragosta, Paglia, Lavagno, Marcon, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    articolo 31 del decreto-legge reca una serie di modifiche relative al documento unico di regolarità contributiva (DURC);
    che il testo originario del decreto legge estendeva la validità del DURC da 90 a 180 giorni, mentre con un emendamento approvato in Commissione la validità è stata elevato a 120 giorni;
    ciò non risolve i problemi che erano già stati riscontrati, derivanti dall'estensione di validità del DURC. Essa ha i seguenti effetti:
   1) nessun effetto pratico prima dell'inizio dei lavori perché tra la gara e la firma del contratto passano mediamente ben oltre 6 mesi e, quindi, non vi è la possibilità di utilizzare un DURC, rilasciato 120 giorni prima, per la verifica dell'autodichiarazione anche ai fini della stipula del contratto stesso;
   2) un effetto negativo per la regolarità contributiva mensile nei confronti di Inps e Cassa edile a fronte di un modestissimo «risparmio» di richiesta di DURC. Oggi per un appalto vengono richiesti per SAL 3 DURC all'anno, con la nuova normativa ne basteranno 2 (tranne che per il saldo finale);
   3) un effetto disastroso riguardo alle verifiche necessarie ai fini dell'applicazione della responsabilità solidale che, realizzate utilizzando un DURC che ha validità di 4 mesi, rischia di creare un buco di 3 mesi di responsabilità, di cui gli enti interessanti non vengono a conoscenza,

impegna il Governo

a stimare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a riportare la validità del DURC a massimo 90 giorni o a individuare ulteriori modalità di accertamento in tempo reale delle regolarità verificate attraverso il DURC, impedendo che possano esserci dei buchi temporali durante i quali possano essere pregiudicati, in particolare, i diritti previdenziali e assicurativi dei lavoratori.
9/1248-A-R/62Airaudo, Di Salvo, Placido.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 31 del decreto legge reca una serie di modifiche relative al documento unico di regolarità contributiva (DURC);
    in particolare modifica l'articolo 118, comma 6, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice degli appalti pubblici, prevedendo che: «Ai fini del pagamento delle prestazioni rese nell'ambito dell'appalto o del subappalto, la stazione appaltante acquisisce d'ufficio il documento unico di regolarità contributiva in corso di validità relativo all'affidatario e a tutti i subappaltatori»;
    lo stesso articolo 118, del decreto legislativo n. 163 del 2006 contiene il comma 6-bis, introdotto nel 2007, il quale prevede che: «Al fine di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare, il documento unico di regolarità contributiva è comprensivo della verifica della congruità della incidenza della mano d'opera relativa allo specifico contratto affidato. Tale congruità, per i lavori è verificata dalla Cassa Edile in base all'accordo assunto a livello nazionale tra le parti sociali firmatarie del contratto collettivo nazionale comparativamente più rappresentative per l'ambito del settore edile ed il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali»,

impegna il Governo

a prevedere che, ai fini del pagamento delle prestazioni rese nell'ambito dell'appalto o del subappalto, per contrastare il lavoro sommerso in edilizia, la stazione appaltante acquisisca d'ufficio dalla Cassa edile la verifica della congruità tra il fatturato del lavoro appaltato ed il numero di lavoratori delle ditte che si sono aggiudicate l'appalto regolarmente iscritti presso la Cassa edile.
9/1248-A-R/63Placido, Airaudo, Di Salvo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 31 del decreto legge reca una serie di modifiche relative al documento unico di regolarità contributiva (DURC);
    in particolare modifica l'articolo 118, comma 6, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice degli appalti pubblici, prevedendo che: «Ai fini del pagamento delle prestazioni rese nell'ambito dell'appalto o del subappalto, la stazione appaltante acquisisce d'ufficio il documento unico di regolarità contributiva in corso di validità relativo all'affidatario e a tutti i subappaltatori»;
    lo stesso articolo 118, del decreto legislativo n. 163 del 2006 contiene il comma 6-bis, introdotto nel 2007, il quale prevede che: «Al fine di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare, il documento unico di regolarità contributiva è comprensivo della verifica della congruità della incidenza della mano d'opera relativa allo specifico contratto affidato. Tale congruità, per i lavori è verificata dalla Cassa Edile in base all'accordo assunto a livello nazionale tra le parti sociali firmatarie del contratto collettivo nazionale comparativamente più rappresentative per l'ambito del settore edile ed il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali»,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile all'attuazione dell'articolo 118 richiamato in premessa.
9/1248-A-R/63. (Testo modificato nel corso della seduta) Placido, Airaudo, Di Salvo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 30 del disegno di legge di conversione in esame, introduce norme finalizzate a semplificare l'attività edilizia;
    diverse delle modifiche introdotte, rimuovono vincoli di natura urbanistica posti a tutela del bene comune, con il rischio più che concreto di contribuire ad alterare l'equilibrio urbanistico delle nostre città, senza peraltro arrecare significativi benefici al settore edilizio nel suo insieme, ormai saturo ormai di edifici e immobili invenduti;
    tra queste norme troviamo quelle che fanno rientrare – tranne che per gli immobili vincolati – tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, anche quelli che consentono di modificare la «sagoma» (purché sia rispettata la volumetria esistente) degli edifici interessati anche in parte da interventi di demolizione/ricostruzione. In pratica la norma consentirà negli interventi di demolizione e ricostruzione di attenersi al rispetto della volumetria precedente, saltando l'obbligo per i costruttori di rispettare la sagoma dell'edificio;
    viene inoltre fatto ricomprendere della ristrutturazione edilizia (e quindi non più come intervento di «nuova costruzione», con il conseguente rispetto di alcune disposizioni tra le quali le distanze, le altezze, ecc.) anche il ripristino/ricostruzione di edifici crollati o demoliti;
    accanto a questo viene introdotto una semplificazione della procedura per ottenere il rilascio del certificato di agibilità, che può essere richiesto anche per singoli edifici o singole porzioni della costruzione;
    all'interno poi del singolo edificio, può essere dichiarata agibile l'unità effettivamente ultimata, anche se un'altra unità, per esempio di difficile collocazione commerciale, rimane temporaneamente a stato di rustico. Finora, interventi complessi, di più piani o di più edifici, potevano ottenere solo un'unica e complessiva agibilità, con il risultato di dover attendere – per commercializzare gli immobili – l'ultimazione di tutte le opere del complesso edilizio;
    queste norme di deregulation rischiano di favorire ulteriormente le «città arlecchino», invece di promuovere la ricomposizione architettonica. Norme di delegificazione e di allentamento delle disposizioni vigenti in campo edilizio e urbanistico in sostanziale continuità con i vari Piani casa approvati da molte regioni, e quanto fatto in materia dai precedenti governi della scorsa legislatura. E tutto questo in un territorio già «ferito» da un'urbanizzazione troppo spesso fuori controllo,

impegna il Governo:

   a valutare le possibili ricadute negative dal punto di vista dell'equilibrio e dell'assetto urbanistico, delle norme di semplificazioni esposte in premessa, introdotte nel provvedimento in esame, a fronte di un loro probabile scarso effetto di rilancio del comparto edilizio;
   a prevedere che nei casi di modifica della sagoma dell'edificio, previsti dal provvedimento in esame, questa debba avvenire nel rispetto dell'indice di copertura della zona in cui ricade l'immobile;
   ad adottare e sostenere opportune iniziative legislative volte a prevedere una normativa in materia di normativa urbanistica e di governo del territorio, che contenga principi irrinunciabili, omogenei e condivisi in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo e rigoroso per le regioni.
9/1248-A-R/64Zaratti, Pellegrino, Zan.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 30 del disegno di legge di conversione in esame, introduce norme finalizzate a semplificare l'attività edilizia;
    diverse delle modifiche introdotte, rimuovono vincoli di natura urbanistica posti a tutela del bene comune, con il rischio più che concreto di contribuire ad alterare l'equilibrio urbanistico delle nostre città, senza peraltro arrecare significativi benefici al settore edilizio nel suo insieme, ormai saturo ormai di edifici e immobili invenduti;
    tra queste norme troviamo quelle che fanno rientrare – tranne che per gli immobili vincolati – tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, anche quelli che consentono di modificare la «sagoma» (purché sia rispettata la volumetria esistente) degli edifici interessati anche in parte da interventi di demolizione/ricostruzione. In pratica la norma consentirà negli interventi di demolizione e ricostruzione di attenersi al rispetto della volumetria precedente, saltando l'obbligo per i costruttori di rispettare la sagoma dell'edificio;
    viene inoltre fatto ricomprendere della ristrutturazione edilizia (e quindi non più come intervento di «nuova costruzione», con il conseguente rispetto di alcune disposizioni tra le quali le distanze, le altezze, ecc.) anche il ripristino/ricostruzione di edifici crollati o demoliti;
    accanto a questo viene introdotto una semplificazione della procedura per ottenere il rilascio del certificato di agibilità, che può essere richiesto anche per singoli edifici o singole porzioni della costruzione;
    all'interno poi del singolo edificio, può essere dichiarata agibile l'unità effettivamente ultimata, anche se un'altra unità, per esempio di difficile collocazione commerciale, rimane temporaneamente a stato di rustico. Finora, interventi complessi, di più piani o di più edifici, potevano ottenere solo un'unica e complessiva agibilità, con il risultato di dover attendere – per commercializzare gli immobili – l'ultimazione di tutte le opere del complesso edilizio;
    queste norme di deregulation rischiano di favorire ulteriormente le «città arlecchino», invece di promuovere la ricomposizione architettonica. Norme di delegificazione e di allentamento delle disposizioni vigenti in campo edilizio e urbanistico in sostanziale continuità con i vari Piani casa approvati da molte regioni, e quanto fatto in materia dai precedenti governi della scorsa legislatura. E tutto questo in un territorio già «ferito» da un'urbanizzazione troppo spesso fuori controllo,

impegna il Governo:

   a valutare le possibili ricadute negative dal punto di vista dell'equilibrio e dell'assetto urbanistico, delle norme di semplificazioni esposte in premessa introdotte nel provvedimento in esame;
   a valutare l'opportunità di adottare opportune iniziative legislative volte a prevedere una normativa in materia di normativa urbanistica e di governo del territorio, che contenga principi irrinunciabili, omogenei e condivisi in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo e rigoroso per le regioni.
9/1248-A-R/64. (Testo modificato nel corso della seduta) Zaratti, Pellegrino, Zan.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 12-bis del provvedimento al nostro esame è prevista l'estensione del tetto agli stipendi dei manager, oggi previsto per le società controllate dalla PA non quotate (che non può comunque essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione – circa 300mila euro), anche alle società che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica anche se quotate;
    gli emolumenti degli amministratori delle società non quotate che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica dovranno essere adottati sulla base di criteri determinati dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con le amministrazioni vigilanti. I predetti criteri devono essere aderenti alle migliori pratiche internazionali e tener conto dei risultati aziendali. In ogni caso, le eventuali componenti variabili degli emolumenti degli amministratori non potranno essere previste né erogate per le società il cui risultato di esercizio non sia positivo;
    nella situazione di crisi nella quale si trova immerso anche il nostro Paese, l'opinione pubblica ritiene opportuno che tutti i settori della società siano compartecipi dei sacrifici necessari e ritiene non più tollerabile i considerevoli e sproporzionati emolumenti fissi e variabili che molti manager anche di società private si auto-elargiscono, nonché le loro super liquidazioni spesso neanche lontanamente giustificate dai risultati conseguiti nelle conduzione delle aziende loro affidate;
    in seguito al malcontento generale per gli alti bonus dei top manager o per le liquidazioni di lusso dei medesimi, il 3 marzo scorso con un referendum popolare è stato approvato dal 67,9 per cento dei cittadini svizzeri che hanno partecipato alla consultazione, una legge d'iniziativa popolare la quale prevede il rafforzamento dei diritti degli azionisti per impedire il versamento di stipendi e bonus eccessivamente elevati;
    il testo del quesito referendario, battezzato «Iniziativa Minder», dal nome del principale proponente, – Thomas Minder – riguarda le società quotate in Borsa in Patria o all'estero, e prevede anche il divieto delle buonuscite o dei bonus di entrata («golden hello» e «golden goodbye») oltre che i bonus previsti nei contratti di vendita o di acquisizione di una società;
    il non rispetto di tale divieto sarà punito con tre anni di carcere e un'ammenda pari a 6 anni si salario;

  in particolare:
   l'assemblea generale degli azionisti voterà ogni anno l'importo delle retribuzioni del consiglio di amministrazione, della direzione generale e dell'organo consultivo. Non saranno più i dirigenti ad avere l'ultima parola sui compensi;
   i membri del consiglio d'amministrazione potranno rimanere in carica un anno;
   per gli azionisti che non possono essere presenti alle assemblee è prevista la votazione a distanza;
   sono abolite le liquidazioni, i bonus all'uscita e altre forme di indennità, le retribuzioni anticipate, i premi per acquisizioni e vendite, i contratti di consulenza da parte di società appartenenti al gruppo per il quale si esercita la professione;
    i cittadini svizzeri hanno voluto dare agli azionisti un controllo più diretto non solo sugli stipendi, ma anche sulla gestione; infatti, la norma che limita a un anno il tempo di permanenza in consiglio di amministrazione tende a dare la possibilità all'azionista di cambiare i rappresentanti e di ridurre il rischio che le relazioni personali prevalgano sull'interesse dell'azienda;
    i cittadini elvetici sembrano aver dato una risposta chiara a due interrogativi:
   è giusto che il capo di un'azienda guadagni centinaia o migliaia di volte più della persona che percepisce il salario minimo ?
   può il contributo di una sola persona, essere talmente importante da essere retribuito in misura tanto diversa? In altre parole, un compenso così elevato è giustificato da un effettivo ritorno sugli utili ?
    sono domande che dovremmo porci anche in relazione alla situazione del nostro Paese, basti pensare ai casi del top management Fiat e di altre grandi società;
    la ricetta elvetica non rappresenta certo la soluzione di questa complessa problematica ma, insieme ad una profonda riforma del nostro sistema fiscale, può costituire un ulteriore passo nella giusta direzione per ridurre le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi,

impegna il Governo a:

   prendere le opportune iniziative, anche legislative, per riformare il diritto societario al fine di:
    a) rimettere nella potestà dell'assemblea degli azionisti delle società quotate l'importo delle retribuzioni del consiglio di amministrazione, della direzione generale e dell'organo consultivo;
    b) stabilire che i membri del consiglio d'amministrazione possano rimanere in carica per un periodo limitato;
    c) abolire le liquidazioni, i bonus all'uscita e altre forme di indennità, le retribuzioni anticipate, i premi per acquisizioni e vendite, i contratti di consulenza da parte di società appartenenti al gruppo per il quale il dirigente esercita la sua attività.
9/1248-A-R/65Di Salvo, Airaudo, Placido, Boccadutri, Ragosta, Paglia, Lavagno, Marcon, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 12-bis del provvedimento al nostro esame è prevista l'estensione del tetto agli stipendi dei manager, oggi previsto per le società controllate dalla PA non quotate (che non può comunque essere superiore al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione – circa 300mila euro), anche alle società che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica anche se quotate;
    gli emolumenti degli amministratori delle società non quotate che svolgono servizi di interesse generale anche di rilevanza economica dovranno essere adottati sulla base di criteri determinati dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con le amministrazioni vigilanti. I predetti criteri devono essere aderenti alle migliori pratiche internazionali e tener conto dei risultati aziendali. In ogni caso, le eventuali componenti variabili degli emolumenti degli amministratori non potranno essere previste né erogate per le società il cui risultato di esercizio non sia positivo;
    nella situazione di crisi nella quale si trova immerso anche il nostro Paese, l'opinione pubblica ritiene opportuno che tutti i settori della società siano compartecipi dei sacrifici necessari e ritiene non più tollerabile i considerevoli e sproporzionati emolumenti fissi e variabili che molti manager anche di società private si auto-elargiscono, nonché le loro super liquidazioni spesso neanche lontanamente giustificate dai risultati conseguiti nelle conduzione delle aziende loro affidate;
    in seguito al malcontento generale per gli alti bonus dei top manager o per le liquidazioni di lusso dei medesimi, il 3 marzo scorso con un referendum popolare è stato approvato dal 67,9 per cento dei cittadini svizzeri che hanno partecipato alla consultazione, una legge d'iniziativa popolare la quale prevede il rafforzamento dei diritti degli azionisti per impedire il versamento di stipendi e bonus eccessivamente elevati;
    il testo del quesito referendario, battezzato «Iniziativa Minder», dal nome del principale proponente, – Thomas Minder – riguarda le società quotate in Borsa in Patria o all'estero, e prevede anche il divieto delle buonuscite o dei bonus di entrata («golden hello» e «golden goodbye») oltre che i bonus previsti nei contratti di vendita o di acquisizione di una società;
    il non rispetto di tale divieto sarà punito con tre anni di carcere e un'ammenda pari a 6 anni si salario;

  in particolare:
   l'assemblea generale degli azionisti voterà ogni anno l'importo delle retribuzioni del consiglio di amministrazione, della direzione generale e dell'organo consultivo. Non saranno più i dirigenti ad avere l'ultima parola sui compensi;
   i membri del consiglio d'amministrazione potranno rimanere in carica un anno;
   per gli azionisti che non possono essere presenti alle assemblee è prevista la votazione a distanza;
   sono abolite le liquidazioni, i bonus all'uscita e altre forme di indennità, le retribuzioni anticipate, i premi per acquisizioni e vendite, i contratti di consulenza da parte di società appartenenti al gruppo per il quale si esercita la professione;
    i cittadini svizzeri hanno voluto dare agli azionisti un controllo più diretto non solo sugli stipendi, ma anche sulla gestione; infatti, la norma che limita a un anno il tempo di permanenza in consiglio di amministrazione tende a dare la possibilità all'azionista di cambiare i rappresentanti e di ridurre il rischio che le relazioni personali prevalgano sull'interesse dell'azienda;
    i cittadini elvetici sembrano aver dato una risposta chiara a due interrogativi:
   è giusto che il capo di un'azienda guadagni centinaia o migliaia di volte più della persona che percepisce il salario minimo ?
   può il contributo di una sola persona, essere talmente importante da essere retribuito in misura tanto diversa? In altre parole, un compenso così elevato è giustificato da un effettivo ritorno sugli utili ?
    sono domande che dovremmo porci anche in relazione alla situazione del nostro Paese, basti pensare ai casi del top management Fiat e di altre grandi società;
    la ricetta elvetica non rappresenta certo la soluzione di questa complessa problematica ma, insieme ad una profonda riforma del nostro sistema fiscale, può costituire un ulteriore passo nella giusta direzione per ridurre le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi,

impegna il Governo a:

   a valutare l'opportunità di iniziative, anche legislative, per riformare il diritto societario al fine di:
    a) rimettere nella potestà dell'assemblea degli azionisti delle società quotate l'importo delle retribuzioni del consiglio di amministrazione, della direzione generale e dell'organo consultivo;
    b) stabilire che i membri del consiglio d'amministrazione possano rimanere in carica per un periodo limitato;
    c) abolire le liquidazioni, i bonus all'uscita e altre forme di indennità, le retribuzioni anticipate, i premi per acquisizioni e vendite, i contratti di consulenza da parte di società appartenenti al gruppo per il quale il dirigente esercita la sua attività.
9/1248-A-R/65. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Salvo, Airaudo, Placido, Boccadutri, Ragosta, Paglia, Lavagno, Marcon, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    la città di Reggio Calabria è stata destinataria del progetto MUSA, promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica (DFP) – Ufficio Formazione del Personale della Pubblica Amministrazione (UFPPA), con l'obiettivo di rafforzare le capacità delle Amministrazioni locali nel governare i settori della mobilità urbana e, in riferimento allo sviluppo degli attrattori culturali, di incrementare la competitività dei propri territori;
    il Sistema di Mobilità Sostenibile (SMS) proposto per la città di Reggio Calabria è finalizzato a raccordare il tessuto urbano con i principali poli attrattori, dislocati lungo gli assi perpendicolari alla costa (Ospedali, Cittadella Universitaria, Centro Direzionale, Nuovo Palazzo di Giustizia, ecc.), adeguatamente integrato sia con Tasse ferroviario, sia con l'attuale rete urbana di servizio pubblico;
    il SMS è basato su un sistema di trasporto in sede riservata da realizzare adottando una tecnologia con minimo impatto sull'ambiente;
    il piano consta di tre lotti che vedono il coinvolgimento di più amministrazioni pubbliche nonché di società a partecipazione pubblica;
    la realizzazione di queste infrastrutture consentirebbe alla città di Reggio Calabria di migliorare il suo patrimonio infrastrutturale al servizio dei cittadini per una migliore funzionalità dei servizi anche di natura comprensoriale anche in relazione al progetto di città metropolitana,

impegna il Governo

a convocare entro 60 giorni dalla conversione in legge del presente decreto legge un tavolo istituzionale con i soggetti interessati al fine di stabilire le risorse necessarie e un crono programma dettagliato che porti alla realizzazione degli interventi di cui in premessa.
9/1248-A-R/66Battaglia.


   La Camera,
   considerato che:
    la Robin Tax è correttamente pensata per colpire i soggetti che realizzano extraprofitti operando nel settore dell'energia, come esplicitato anche nella relazione illustrativa del provvedimento;
    esistono sul mercato consorzi e società consortili di imprese, che operano sul mercato dell'energia, per raggiungere esattamente lo stesso scopo perseguito dalla norma, ovvero quello di ridurre il costo della fornitura di energia;
    è noto che i consorzi e le società consortili tentano di raggiungere tale scopo organizzandosi ed agendo in modo da sommare il potere di acquisto e le competenze di molte imprese, la cui sopravvivenza – in termini competitivi sui mercati nazionale e internazionali – è particolarmente dipendente dall'incidenza del prezzo dell'energia sulle loro produzioni, al fine di spuntare prezzi competitivi, nelle modalità rese possibili dal mercato e dalla normativa vigente;
    alcuni di tali consorzi dichiarano nel loro statuto di non avere finalità di lucro ma gestendo il portafoglio della domanda energetica di molte imprese (a volte centinaia) il loro volume di affari diventa notevole (anche centinaia di milioni di euro) e dal punto di vista puramente fiscale, può, dunque, accadere che i bilanci presentino ricavi ed imponibili sostanzialmente «casuali» al 31 dicembre, solo in modo congiunturale ed occasionale a causa di cicli di fornitura e pagamenti dell'anno termico che non coincidono con l'anno fiscale;
    tali consorzi e società consortili, anche nel caso in cui gli utili fossero presenti, per statuto non procedono alla loro distribuzione, neanche in caso di scioglimento;
    gli eventuali avanzi di gestione vengono destinati a riserva ed investiti in ulteriori servizi alle imprese, sempre tesi alla riduzione del costo della fornitura energetica, in una logica mutualistica;
    applicare la Robin tax a tali soggetti risulta quindi particolarmente inappropriato, in quanto così facendo, si tassano i soggetti più sensibili al costo dell'energia, che già soffrono le conseguenze dell'esistenza di quegli altri soggetti che fanno extraprofitti sul mercato dell'energia e che sono il giusto bersaglio della norma introdotta dal decreto del fare all'articolo 5, e che portano all'innalzamento dei prezzi;
   la Robin Tax infatti non è semplicemente una tassa ma una sopratassa (una addizionale) pensata per chi fa sopraprofitti sul mercato dell'energia e tali consorzi e società consortili che non hanno scopo di lucro non chiedono di non pagare le tasse regolari (IRES), ma solo di non pagare la sopratassa «Robin Tax» pensata per soggetti di natura diversa,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di non applicare l'addizionale IRES denominata «Robin tax» ai consorzi e alle società consortili che non hanno fine di lucro. Tale modifica consentirebbe comunque di perseguire l'obiettivo di operare una riduzione effettiva degli oneri generali del sistema elettrico e dei prezzi dell'energia pagati da famiglie ed imprese (come richiesto dal comma 8 dell'articolo 5 del decreto in esame), evitando però di aggiungere una tassazione eccessiva sui soggetti maggiormente sensibili al prezzo dell'energia, che agiscono al servizio delle imprese associate in consorzi e società consortili che non hanno scopo di lucro e che in misura massima soffrono per l'elevato prezzo dell'energia in Italia.
9/1248-A-R/67Abrignani.


   La Camera,
   considerato che:
    la Robin Tax è correttamente pensata per colpire i soggetti che realizzano extraprofitti operando nel settore dell'energia, come esplicitato anche nella relazione illustrativa del provvedimento;
    esistono sul mercato consorzi e società consortili di imprese, che operano sul mercato dell'energia, per raggiungere esattamente lo stesso scopo perseguito dalla norma, ovvero quello di ridurre il costo della fornitura di energia;
    è noto che i consorzi e le società consortili tentano di raggiungere tale scopo organizzandosi ed agendo in modo da sommare il potere di acquisto e le competenze di molte imprese, la cui sopravvivenza – in termini competitivi sui mercati nazionale e internazionali – è particolarmente dipendente dall'incidenza del prezzo dell'energia sulle loro produzioni, al fine di spuntare prezzi competitivi, nelle modalità rese possibili dal mercato e dalla normativa vigente;
    alcuni di tali consorzi dichiarano nel loro statuto di non avere finalità di lucro ma gestendo il portafoglio della domanda energetica di molte imprese (a volte centinaia) il loro volume di affari diventa notevole (anche centinaia di milioni di euro) e dal punto di vista puramente fiscale, può, dunque, accadere che i bilanci presentino ricavi ed imponibili sostanzialmente «casuali» al 31 dicembre, solo in modo congiunturale ed occasionale a causa di cicli di fornitura e pagamenti dell'anno termico che non coincidono con l'anno fiscale;
    tali consorzi e società consortili, anche nel caso in cui gli utili fossero presenti, per statuto non procedono alla loro distribuzione, neanche in caso di scioglimento;
    gli eventuali avanzi di gestione vengono destinati a riserva ed investiti in ulteriori servizi alle imprese, sempre tesi alla riduzione del costo della fornitura energetica, in una logica mutualistica;
    applicare la Robin tax a tali soggetti risulta quindi particolarmente inappropriato, in quanto così facendo, si tassano i soggetti più sensibili al costo dell'energia, che già soffrono le conseguenze dell'esistenza di quegli altri soggetti che fanno extraprofitti sul mercato dell'energia e che sono il giusto bersaglio della norma introdotta dal decreto del fare all'articolo 5, e che portano all'innalzamento dei prezzi;
   la Robin Tax infatti non è semplicemente una tassa ma una sopratassa (una addizionale) pensata per chi fa sopraprofitti sul mercato dell'energia e tali consorzi e società consortili che non hanno scopo di lucro non chiedono di non pagare le tasse regolari (IRES), ma solo di non pagare la sopratassa «Robin Tax» pensata per soggetti di natura diversa,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di non applicare l'addizionale IRES denominata «Robin tax» ai consorzi e alle società consortili che non hanno fine di lucro. Tale modifica consentirebbe comunque di perseguire l'obiettivo di operare una riduzione effettiva degli oneri generali del sistema elettrico e dei prezzi dell'energia pagati da famiglie ed imprese (come richiesto dal comma 8 dell'articolo 5 del decreto in esame), evitando però di aggiungere una tassazione eccessiva sui soggetti maggiormente sensibili al prezzo dell'energia, che agiscono al servizio delle imprese associate in consorzi e società consortili che non hanno scopo di lucro e che in misura massima soffrono per l'elevato prezzo dell'energia in Italia.
9/1248-A-R/67. (Testo modificato nel corso della seduta) Abrignani.


   La Camera,
   premesso che:
    in materia di servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento (servizi a rete che si caratterizzano per un uso efficiente dell'energia, in particolare quando hanno alla base un impianto di cogenerazione) vi è, attualmente, un vuoto di regolazione, da colmare con urgenza; ed, infatti, il legislatore ha fornito una definizione «di rimando» del teleriscaldamento in un decreto ministeriale del 2005 che si occupa della produzione combinata di energia elettrica e calore; inoltre, l'attività di teleriscaldamento non è soggetta a regolamentazione delle condizioni di fornitura da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
    i servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento sono oggi prestati in condizione di sostanziale monopolio, in quanto i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio; ciò può comportare significativi problemi sotto il profilo della concorrenza, attinenti, ad esempio, al livello delle tariffe per il servizio di teleriscaldamento, ma anche alle possibili restrizioni alla interfuel competition, con particolare riferimento a quelle derivanti dagli obblighi di connessione alla rete di teleriscaldamento ed agli ostacoli alla disconnessione da tale rete posti da alcuni Comuni;
    vi è, dunque, l'esigenza di un Regolatore terzo, imparziale e tecnicamente specializzato, in grado di definire, in chiave pro-concorrenziale, criteri e modalità per la determinazione dei corrispettivi del servizio, anche nell'ottica di una maggiore trasparenza e protezione degli utenti;
    tale Regolatore può essere individuato nell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che, ai sensi della sua legge istitutiva (n.481/1995), è chiamata a promuovere la concorrenza nei settori regolati e a tutelare gli utenti (articolo 1);
    pertanto l'AEEG, vista anche la competenza maturata in quasi vent'anni di regolazione dei servizi energetici, appare il soggetto più indicato per consentire di superare l'attuale situazione in cui i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio, in regime di sostanziale monopolio; tutto ciò con evidenti riflessi positivi per i consumatori,

impegna il Governo

attribuire all'AEEG le funzioni di regolazione e controllo in materia di teleriscaldamento e teleraffrescamento.
9/1248-A-R/68Magorno, Bonaccorsi, Bratti.


   La Camera,
   premesso che:
    in materia di servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento (servizi a rete che si caratterizzano per un uso efficiente dell'energia, in particolare quando hanno alla base un impianto di cogenerazione) vi è, attualmente, un vuoto di regolazione, da colmare con urgenza; ed, infatti, il legislatore ha fornito una definizione «di rimando» del teleriscaldamento in un decreto ministeriale del 2005 che si occupa della produzione combinata di energia elettrica e calore; inoltre, l'attività di teleriscaldamento non è soggetta a regolamentazione delle condizioni di fornitura da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
    i servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento sono oggi prestati in condizione di sostanziale monopolio, in quanto i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio; ciò può comportare significativi problemi sotto il profilo della concorrenza, attinenti, ad esempio, al livello delle tariffe per il servizio di teleriscaldamento, ma anche alle possibili restrizioni alla interfuel competition, con particolare riferimento a quelle derivanti dagli obblighi di connessione alla rete di teleriscaldamento ed agli ostacoli alla disconnessione da tale rete posti da alcuni Comuni;
    vi è, dunque, l'esigenza di un Regolatore terzo, imparziale e tecnicamente specializzato, in grado di definire, in chiave pro-concorrenziale, criteri e modalità per la determinazione dei corrispettivi del servizio, anche nell'ottica di una maggiore trasparenza e protezione degli utenti;
    tale Regolatore può essere individuato nell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che, ai sensi della sua legge istitutiva (n.481/1995), è chiamata a promuovere la concorrenza nei settori regolati e a tutelare gli utenti (articolo 1);
    pertanto l'AEEG, vista anche la competenza maturata in quasi vent'anni di regolazione dei servizi energetici, appare il soggetto più indicato per consentire di superare l'attuale situazione in cui i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio, in regime di sostanziale monopolio; tutto ciò con evidenti riflessi positivi per i consumatori,

impegna il Governo

attribuire all'AEEG le funzioni di regolazione e controllo sulle condizioni di accesso alle reti e sulla qualità dei servizi in materia di teleriscaldamento e teleraffrescamento.
9/1248-A-R/68. (Testo modificato nel corso della seduta) Magorno, Bonaccorsi, Bratti.


   La Camera,
   premesso che:
    il Regolamento (UE) n. 1227/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, concernente l'integrità e la trasparenza del mercato dell'energia all'ingrosso, prevede che le autorità nazionali di regolamentazione nel settore energetico (nel caso italiano, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas) possano essere investite del compito di monitorare le attività di negoziazione di prodotti energetici all'ingrosso a livello nazionale;
    inoltre, l'articolo 13 del Regolamento stesso impone agli Stati membri di far sì che le proprie autorità nazionali di regolamentazione, entro il 29 giugno 2013, siano dotate dei poteri di indagine e di esecuzione necessari per l'espletamento delle funzioni inerenti l'attuazione del divieto d'abuso di informazioni privilegiate (insider trading), del divieto di manipolazione del mercato, nonché dell'obbligo di pubblicità delle informazioni privilegiate;
    infine, l'articolo 18 del Regolamento fa obbligo agli Stati membri di stabilire la disciplina sanzionatoria applicabile in caso di violazioni delle disposizioni contenute nel Regolamento medesimo; d'altronde i mercati dell'energia all'ingrosso dell'Unione sono sempre più interconnessi, ragion per cui gli abusi di mercato in uno Stato membro si ripercuotono spesso non solo sui prezzi all'ingrosso dell'elettricità e del gas naturale oltre i confini nazionali, ma anche sui prezzi al dettaglio per i consumatori e le piccole imprese, di conseguenza il compito di garantire l'integrità dei mercati necessita di competenze multilivello attribuite sia a livello dei singoli Stati membri, sia a livello europeo; tale sistema di enforcement è essenziale ai fini del completamento di un mercato interno dell'energia pienamente funzionante, interconnesso e integrato;
    risulta pertanto urgente, anche per evitare l'apertura di procedure d'infrazione a carico dell'Italia, attribuire all'AEEG i poteri di monitoraggio, verifica, indagine e sanzione previsti dal suddetto Regolamento, e ciò in particolare alla luce del superamento del summenzionato termine del 29 giugno 2013, nonché in vista della prossima operatività del sistema di monitoraggio dei mercati energetici, quando sarà imprescindibile che l'Autorità disponga di tutti i poteri necessari per l'espletamento delle funzioni ad essa attribuite,

impegna il Governo

ad attribuire all'Autorità per l'energia elettrica e il gas i poteri di monitoraggio, di verifica del rispetto dei divieti di cui agli articoli 3 e 5 e dell'obbligo di cui all'articolo 4 del Regolamento (UE) n. 1227/2011, di indagine, anche in collaborazione con ACER e con gli altri regolatori nazionali dell'energia, e di sanzione, in caso di violazioni delle disposizioni del suddetto Regolamento, nonché in caso di mancata ottemperanza agli obblighi informativi previsti dagli articoli 8 e 9 dello stesso Regolamento.
9/1248-A-R/69Bonaccorsi.


   La Camera,
   premesso che:
    il Regolamento (UE) n. 1227/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, concernente l'integrità e la trasparenza del mercato dell'energia all'ingrosso, prevede che le autorità nazionali di regolamentazione nel settore energetico (nel caso italiano, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas) possano essere investite del compito di monitorare le attività di negoziazione di prodotti energetici all'ingrosso a livello nazionale;
    inoltre, l'articolo 13 del Regolamento stesso impone agli Stati membri di far sì che le proprie autorità nazionali di regolamentazione, entro il 29 giugno 2013, siano dotate dei poteri di indagine e di esecuzione necessari per l'espletamento delle funzioni inerenti l'attuazione del divieto d'abuso di informazioni privilegiate (insider trading), del divieto di manipolazione del mercato, nonché dell'obbligo di pubblicità delle informazioni privilegiate;
    infine, l'articolo 18 del Regolamento fa obbligo agli Stati membri di stabilire la disciplina sanzionatoria applicabile in caso di violazioni delle disposizioni contenute nel Regolamento medesimo; d'altronde i mercati dell'energia all'ingrosso dell'Unione sono sempre più interconnessi, ragion per cui gli abusi di mercato in uno Stato membro si ripercuotono spesso non solo sui prezzi all'ingrosso dell'elettricità e del gas naturale oltre i confini nazionali, ma anche sui prezzi al dettaglio per i consumatori e le piccole imprese, di conseguenza il compito di garantire l'integrità dei mercati necessita di competenze multilivello attribuite sia a livello dei singoli Stati membri, sia a livello europeo; tale sistema di enforcement è essenziale ai fini del completamento di un mercato interno dell'energia pienamente funzionante, interconnesso e integrato;
    risulta pertanto urgente, anche per evitare l'apertura di procedure d'infrazione a carico dell'Italia, attribuire all'AEEG i poteri di monitoraggio, verifica, indagine e sanzione previsti dal suddetto Regolamento, e ciò in particolare alla luce del superamento del summenzionato termine del 29 giugno 2013, nonché in vista della prossima operatività del sistema di monitoraggio dei mercati energetici, quando sarà imprescindibile che l'Autorità disponga di tutti i poteri necessari per l'espletamento delle funzioni ad essa attribuite,

impegna il Governo

a completare l'attuazione del Regolamento (UE) n. 1227/2011, in particolare per attribuire all'Autorità per l'energia elettrica e il gas i poteri di monitoraggio, di verifica del rispetto dei divieti di cui agli articoli 3 e 5 e dell'obbligo di cui all'articolo 4 del Regolamento (UE) n. 1227/2011, di indagine, anche in collaborazione con ACER e con gli altri regolatori nazionali dell'energia, e di sanzione, in caso di violazioni delle disposizioni del suddetto Regolamento, nonché in caso di mancata ottemperanza agli obblighi informativi previsti dagli articoli 8 e 9 dello stesso Regolamento.
9/1248-A-R/69. (Testo modificato nel corso della seduta) Bonaccorsi.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia tra le quali particolare importanza rivestono le misure per il sostegno alle imprese e quelle per il potenziamento dell'agenda digitale italiana;
    tuttavia con le ultime modifiche del decreto in commento sono stati ridotti i fondi dedicati alla banda larga mandando in crisi il piano nazionale che mirava a eliminare il digital divide entro il 2014, cioè a coprire tutti gli italiani con banda larga ad almeno 2 Megabit, grazie a fondi pubblici;
    si tratta di 20,75 milioni sui 150 milioni che l'Agenda Digitale stanziava (con il decreto Crescita 2.0) per eliminare il digital divide nel Centro-Nord entro il 2014 i cui bandi sono appena partiti; restano invece intatti i circa 100 milioni di euro che il Ministero sta stanziando in bandi per le regioni del Sud Italia, dove per altro si era già concentrata l'azione dei precedenti governi per eliminare il digital divide;
    si ritiene che le regioni più penalizzate da questo taglio saranno nel Centro Nord, con esclusione della Lombardia, delle Marche e della Provincia Autonoma di Trento, che si sono mosse da anni contro il digital divide, tanto che dovrebbero riuscire a eliminarlo già entro dicembre,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a ripristinare i fondi del piano nazionale banda larga al fine di evitare ulteriori rinvii nell'eliminazione del digital divide sul territorio nazionale.
9/1248-A-R/70Rampi, Mosca, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia tra le quali particolare importanza rivestono le misure per il sostegno alle imprese e quelle per il potenziamento dell'agenda digitale italiana;
    tuttavia con le ultime modifiche del decreto in commento sono stati ridotti i fondi dedicati alla banda larga mandando in crisi il piano nazionale che mirava a eliminare il digital divide entro il 2014, cioè a coprire tutti gli italiani con banda larga ad almeno 2 Megabit, grazie a fondi pubblici;
    si tratta di 20,75 milioni sui 150 milioni che l'Agenda Digitale stanziava (con il decreto Crescita 2.0) per eliminare il digital divide nel Centro-Nord entro il 2014 i cui bandi sono appena partiti; restano invece intatti i circa 100 milioni di euro che il Ministero sta stanziando in bandi per le regioni del Sud Italia, dove per altro si era già concentrata l'azione dei precedenti governi per eliminare il digital divide;
    si ritiene che le regioni più penalizzate da questo taglio saranno nel Centro Nord, con esclusione della Lombardia, delle Marche e della Provincia Autonoma di Trento, che si sono mosse da anni contro il digital divide, tanto che dovrebbero riuscire a eliminarlo già entro dicembre,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a ripristinare i fondi del piano nazionale banda larga al fine di evitare ulteriori rinvii nell'eliminazione del digital divide sul territorio nazionale.
9/1248-A-R/70. (Testo modificato nel corso della seduta) Rampi, Mosca, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500) ha introdotto l'imposta sulle transazioni finanziarie;
    in particolare, è previsto che siano soggette alla nuova imposta le seguenti operazioni: il trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter), mentre l'aliquota è dell'0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione; per il 2013, considerata anche la partenza a esercizio già iniziato, la percentuale è fissata nella misura dello 0,22 per cento (per le operazioni over the counter) e dello 0,12 (per le operazioni concluse nei mercati regolamentati);
    sono altresì imponibili, le operazioni sui cosiddetti strumenti derivati, in misura fissa determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto, e le negoziazioni ad alta frequenza relative ad azioni, ad altri strumenti partecipativi e derivati su equità;
    secondo molti analisti e operatori, la tassa sulle transazioni finanziarie, così come attualmente congegnata, determinerà un gettito notevolmente inferiore a quanto stabilito dalla relazione tecnica alla legge di stabilità;
    nella passata legislatura fu votato a larghissima maggioranza un ordine del giorno, coerente con quanto deliberato dal Parlamento europeo, che impegnava il Governo a considerare un ampliamento della base imponibile tale da includere tutti gli strumenti derivati e una conseguente riduzione delle aliquote: se tale ordine del giorno avesse avuto seguito, avrebbe potuto anche garantire un maggior gettito rispetto a quanto stabilito dalla legge di stabilità, tuttavia si è scelto di procedere per una strada diversa;
    infatti, l'articolo 56 del provvedimento all'esame – con una modifica all'articolo 1, comma 497, della legge di stabilità 2013 – proroga al 1o settembre 2013 la decorrenza e al 16 ottobre 2013 il termine di versamento dell'imposta sulle transazioni finanziarie per le operazioni su strumenti derivati (di cui al comma 492) e per le negoziazioni ad alta frequenza su strumenti finanziari derivati e valori mobiliari (di cui al comma 495);
    per i trasferimenti di proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi (di cui al comma 491) e per le negoziazioni ad alta frequenza sui predetti trasferimenti, effettuati fino al 30 settembre 2013, il termine entro il quale effettuare il versamento è fissato al 16 ottobre 2013;
    è, invece, necessario rivedere complessivamente tutta l'architettura del tributo;
    durante l'esame nelle Commissioni referenti erano stati presentati due emendamenti finalizzati a ridisciplinare l'imposta sulle transazioni finanziarie, ritirati a seguito dell'impegno da parte del Governo a una riflessione sulla struttura della norma, considerato che vi è interesse del Parlamento a proseguire nella strada intrapresa e l'Esecutivo non può non tenere conto della necessità di delineare soluzioni strutturali e condivise, anche a livello europeo,

impegna il Governo:

   ad aprire un confronto con le Camere in merito alla struttura e al gettito stimato dell'imposta sulle transazioni finanziarie in occasione della presentazione e dell'esame della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza;
   qualora siano confermate, in tale sede, le ipotesi che stimano un gettito notevolmente inferiore a quanto valutato in occasione dell'introduzione dell'imposta sulle transazioni finanziarie, a individuare, in maniera condivisa con il Parlamento, una riforma della medesima imposta finalizzata a ridurne l'aliquota allo 0,01 per cento e ampliarne la base imponibile a tutte le operazioni, destinando l'eventuale maggior gettito alla riduzione della pressione fiscale sul lavoro.
9/1248-A-R/71Boccia, Sisto, Marcon, Castelli, Andrea Romano, Borghesi, Villarosa, Bobba.


   La Camera,
   premesso che:
    la legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500) ha introdotto l'imposta sulle transazioni finanziarie;
    in particolare, è previsto che siano soggette alla nuova imposta le seguenti operazioni: il trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter), mentre l'aliquota è dell'0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione; per il 2013, considerata anche la partenza a esercizio già iniziato, la percentuale è fissata nella misura dello 0,22 per cento (per le operazioni over the counter) e dello 0,12 (per le operazioni concluse nei mercati regolamentati);
    sono altresì imponibili, le operazioni sui cosiddetti strumenti derivati, in misura fissa determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto, e le negoziazioni ad alta frequenza relative ad azioni, ad altri strumenti partecipativi e derivati su equità;
    secondo molti analisti e operatori, la tassa sulle transazioni finanziarie, così come attualmente congegnata, determinerà un gettito notevolmente inferiore a quanto stabilito dalla relazione tecnica alla legge di stabilità;
    nella passata legislatura fu votato a larghissima maggioranza un ordine del giorno, coerente con quanto deliberato dal Parlamento europeo, che impegnava il Governo a considerare un ampliamento della base imponibile tale da includere tutti gli strumenti derivati e una conseguente riduzione delle aliquote: se tale ordine del giorno avesse avuto seguito, avrebbe potuto anche garantire un maggior gettito rispetto a quanto stabilito dalla legge di stabilità, tuttavia si è scelto di procedere per una strada diversa;
    infatti, l'articolo 56 del provvedimento all'esame – con una modifica all'articolo 1, comma 497, della legge di stabilità 2013 – proroga al 1o settembre 2013 la decorrenza e al 16 ottobre 2013 il termine di versamento dell'imposta sulle transazioni finanziarie per le operazioni su strumenti derivati (di cui al comma 492) e per le negoziazioni ad alta frequenza su strumenti finanziari derivati e valori mobiliari (di cui al comma 495);
    per i trasferimenti di proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi (di cui al comma 491) e per le negoziazioni ad alta frequenza sui predetti trasferimenti, effettuati fino al 30 settembre 2013, il termine entro il quale effettuare il versamento è fissato al 16 ottobre 2013;
    è, invece, necessario rivedere complessivamente tutta l'architettura del tributo;
    durante l'esame nelle Commissioni referenti erano stati presentati due emendamenti finalizzati a ridisciplinare l'imposta sulle transazioni finanziarie, ritirati a seguito dell'impegno da parte del Governo a una riflessione sulla struttura della norma, considerato che vi è interesse del Parlamento a proseguire nella strada intrapresa e l'Esecutivo non può non tenere conto della necessità di delineare soluzioni strutturali e condivise, anche a livello europeo,

impegna il Governo:

   ad aprire un confronto con le Camere in merito alla struttura e al gettito stimato dell'imposta sulle transazioni finanziarie in occasione della presentazione e dell'esame della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza;
   qualora siano confermate, in tale sede, le ipotesi che stimano un gettito notevolmente inferiore a quanto valutato in occasione dell'introduzione dell'imposta sulle transazioni finanziarie, a valutare, in maniera condivisa con il Parlamento la possibilità di una riforma della medesima imposta finalizzata a ridurne l'aliquota e ampliarne la base imponibile, destinando l'eventuale maggior gettito alla riduzione della pressione fiscale sul lavoro.
9/1248-A-R/71. (Testo modificato nel corso della seduta) Boccia, Sisto, Marcon, Castelli, Andrea Romano, Borghesi, Villarosa, Bobba.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame interviene, nello specifico all'articolo 18, commi 8 e 8-bis, in materia scolastica attraverso interventi destinati all'innalzamento della messa in sicurezza degli edifici scolastici;
     la messa in sicurezza e l'ammodernamento degli edifici scolastici rappresentano un obiettivo determinante ed una priorità necessaria ad assicurare l'incolumità degli studenti, dei docenti e di tutti i soggetti che operano all'interno delle strutture scolastiche, sia statali che paritarie, in coerenza con quanto previsto dal sistema nazionale integrato di istruzione di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62;
    è opportuno procedere inoltre ad un completamento dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica che, istituita dalla legge n. 23 dell'11 gennaio 1996 e finalizzata ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del patrimonio edilizio scolastico, doveva costituire uno strumento fondamentale che potesse fornire una visione chiara ed analitica dello stato dell'edilizia scolastica, anche attraverso una mappatura degli stessi fini della programmazione di interventi di manutenzione e di ammodernamento ma, ad oggi, risulta ancora non del tutto concretizzata;
    il decreto-legge in esame, nello specifico al comma 8 dell'articolo 18, dispone che l'Inail destini fino a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016 agli interventi del piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici di cui all'articolo 53, comma 5, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35;
   sarebbe opportuno assegnare la manutenzione ordinaria fino a 80.000 euro alle istituzioni scolastiche autonome, anche associate in rete,

impegna il Governo:

   a provvedere, alla luce di quanto descritto in premessa e, sulla base del piano di edilizia scolastica previsto dall'articolo 53, comma 5, del decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, ad adottare le opportune iniziative normative finalizzate all'attuazione di misure per l'ammodernamento e la messa in sicurezza degli edifici scolastici, del sistema nazionale integrato d'istruzione, previo completamento dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica;
   a voler prevedere che i Ministeri interessati definiscano i criteri e le priorità per la ripartizione dei fondi destinati dall'Inail, per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016, agli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici, di cui all'articolo 53, comma 5, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, anche attraverso la pubblicazione sui relativi siti internet;
   a valutare altresì l'opportunità di prevedere che la manutenzione ordinaria fino a 80.000 euro sia assegnata alle istituzioni scolastiche autonome, anche associate in rete.
9/1248-A-R/72Centemero.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame interviene, nello specifico all'articolo 18, commi 8 e 8-bis, in materia scolastica attraverso interventi destinati all'innalzamento della messa in sicurezza degli edifici scolastici;
     la messa in sicurezza e l'ammodernamento degli edifici scolastici rappresentano un obiettivo determinante ed una priorità necessaria ad assicurare l'incolumità degli studenti, dei docenti e di tutti i soggetti che operano all'interno delle strutture scolastiche, sia statali che paritarie, in coerenza con quanto previsto dal sistema nazionale integrato di istruzione di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62;
    è opportuno procedere inoltre ad un completamento dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica che, istituita dalla legge n. 23 dell'11 gennaio 1996 e finalizzata ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalità del patrimonio edilizio scolastico, doveva costituire uno strumento fondamentale che potesse fornire una visione chiara ed analitica dello stato dell'edilizia scolastica, anche attraverso una mappatura degli stessi fini della programmazione di interventi di manutenzione e di ammodernamento ma, ad oggi, risulta ancora non del tutto concretizzata;
    il decreto-legge in esame, nello specifico al comma 8 dell'articolo 18, dispone che l'Inail destini fino a 100 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016 agli interventi del piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici di cui all'articolo 53, comma 5, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35;
   sarebbe opportuno assegnare la manutenzione ordinaria fino a 80.000 euro alle istituzioni scolastiche autonome, anche associate in rete,

impegna il Governo

a voler prevedere che i Ministeri interessati definiscano i criteri e le priorità per la ripartizione dei fondi destinati dall'Inail, per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016, agli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici, di cui all'articolo 53, comma 5, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, anche attraverso la pubblicazione sui relativi siti internet.
9/1248-A-R/72. (Testo modificato nel corso della seduta) Centemero.


   La Camera:
   premesso che:
    il disegno di legge di conversione interviene su una moltitudine di settori e contiene una notevole quantità di disposizioni ampie e complesse, molto spesso eterogenee tra loro, che s'inseriscono all'interno di un contesto europeo più generale, rappresentato dalle raccomandazioni rivolte all'Italia, nel quadro della procedura di coordinamento delle riforme economiche per la competitività rappresentate dal semestre europeo per il 2013 e presentate dalla Commissione europea lo scorso maggio;
    nell'ambito dei diversi ambiti d'intervento il provvedimento d'urgenza contiene con una serie di misure nell'ambito del settore dei trasporti e del sistema infrastrutturale connesso, anche attraverso stanziamento di adeguate risorse finanziarie;
    il decreto-legge tuttavia non contempla specifiche norme nei riguardi del comparto dell'autotrasporto, la cui crisi che si inserisce in quella più generale dell'economia nazionale, ha raggiunto livelli di inasprimento e attanaglia in maniera sempre più stringente gli operatori del settore;
    le criticità in corso sono così evidenti e dilaganti in particolare per il Mezzogiorno e la Sicilia che proprio in questi ultimi giorni è stata annunciata una nuova mobilitazione a Catania degli autotrasportatori che comprenderà azioni quali manifestazioni di protesta e un fermo, per ribadire una situazione divenuta oramai estrema;
    le associazioni e le categorie di rappresentanza degli autotrasportatori in particolare, evidenziano che nell'ambito dei settori dell'autotrasporto e della logistica, il ricorso maggiore all'intermodalità, rappresenta uno strumento indispensabile al perseguimento di adeguate misure volte a favorire la competitività, è costituito dall’«ecobonus», incentivo nazionale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica dell'11 aprile 2006, destinato a sostenere le imprese di autotrasporto che trasferiscono quote di merci che viaggiano su mezzi pesanti dalla strada alle vie del mare;
    tale misura d'incentivo che si prefigge l'obiettivo di sostenere le imprese di autotrasporto e fare il miglior uso possibile delle rotte marittime, prevede il rimborso fino ad un massimo del 30 per cento, del prezzo pagato dalle aziende, che scelgono la via marittima, ed è ritenuta fondamentale in termini di decongestionamento del traffico viario;
    la recente della decisione della Commissione europea che ha infatti deciso di accettare la richiesta italiana di proroga di un anno del contributo Ecobonus per le autostrade del mare, rappresenta certamente una delibera positiva e condivisibile, in particolare in una fase economica così depressiva come quella che sta affrontando il Paese ed in particolare il medesimo comparto afflitto da una serie di criticità soprattutto finanziarie oltre che di collegamento infrastrutturale;
    l'autorizzazione europea ad erogare gli incentivi riveste notevole importanza per il settore dell'autotrasporto, contribuirà a crescere il valore e l'attendibilità del sistema di aiuti per il trasferimento dei mezzi pesanti per le autostrade del mare, al fine di soddisfare le aspettative del comparto interessato;
    risulta indispensabile tuttavia procedere al rimborso delle retribuzione spettanti alle imprese dell'autotrasporto, attraverso una definizione del contributo europeo anticipato dalle stesse aziende,

impegna il Governo:

ad attivare in sede comunitaria le procedure d'intervento per la liquidazione delle domande di rimborso, tuttora residue per gli anni pregressi 2010 e 2011, nei riguardi delle imprese di autotrasporto ed in particolare quelle siciliane, al fine di fronteggiare sia la difficile situazione economica, che le complessità derivanti dalle caratteristiche proprie di questa modalità di trasporto contraddistinta da una marcata rigidità.
9/1248-A-R/73Garofalo.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di conversione, contiene una moltitudine di disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, finalizzate a fornire impulso alla crescita del Paese, attraverso misure di semplificazione amministrativa e normativa, il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture e il miglioramento dell'efficienza del sistema giudiziario;
    il provvedimento reca un ampio novero di interventi la cui cornice di riferimento è costituita dalle raccomandazioni rivolte all'Italia nel quadro del semestre europeo, presentate dalla Commissione europea lo scorso maggio 2013;
    nell'ambito delle aree di intervento indicate nella prima parte, il decreto-legge indica tra l'altro numerose disposizioni volte ad incrementare migliori condizioni favorevoli per l'attività delle imprese che operano nei settori diversi, la riallocazione dei fattori produttivi con l'obiettivo comune di incentivare gli investimenti, incrementare la competitività e rimuovere gli ostacoli di un quadro regolamentare ridondante di complessità e di costi degli adempimenti amministrativi e fiscali;
    le innovazioni normative articolate e organizzate proposte all'interno del medesimo provvedimento d'urgenza, volte a sostenere le imprese attraverso l'introduzione di misure di semplificazione ed accelerazione amministrativa, per stimolare la ripresa del comparto produttivo, necessitano di essere affiancate dalla concertazione locale sulla programmazione negoziata, in particolare sui patti territoriali e i contratti d'area, la cui esperienza, non soltanto nel recente passato, ha conseguito importanti risultati, non solo in termini d'investimento e nuova occupazione, ma anche con riferimento al coinvolgimento del partenariato locale, crescita sociale e coesione istituzionale;
    la professionalità e l'esperienza acquisita dai soggetti responsabili della programmazione negoziata, in una fase come quella attuale caratterizzata da una crisi dell'economia reale e dell'evidente calo della produzione e della domanda interna, costituisce una risorsa indispensabile da utilizzare, nell'ambito della gestione delle crisi aziendali, in particolare per definire le procedure di mobilità, la riorganizzazione o la ristrutturazione interna, la riconversione produttiva, il potenziale sviluppo di nuovi mercati e le diversificazioni produttive;
    interventi affini e similari previsti all'interno del decreto-legge, nell'ambito del sostegno alle imprese, in grado di determinare nuove forme di sviluppo locale, che riescano a valorizzare gli elementi positivi riscontrati dalla programmazione negoziata nel corso degli anni, appaiono opportuni e condivisibili, se valutati in un'ottica di aggiornamento dell'operatività e finalità dei contratti d'area e dei patti territoriali;
    favorire pertanto la promozione di nuove forme di accordi territoriali attivati a livello regionale, in maniera da modulare strumenti efficaci di investimento e di nuova occupazione, coinvolgendo l'apporto e l'esperienza consolidata dei soggetti in grado di consentire un coordinamento nazionale, attraverso un'azione di stimolo per la burocrazia ministeriale al fine di fissare i presupposti per una ripresa della crescita dell'economia, può determinare una svolta positiva e rilevante per l'intero sistema economico e produttivo nazionale,

impegna il Governo:

a prevedere nei prossimi interventi legislativi, adeguate misure finalizzate a sostenere in maniera più incisiva l'avvio di politiche comunitarie, nazionali, regionali e locali, rivolte alla soluzione delle crisi industriali che insistono sui territori del Paese, individuando nella Rete dei soggetti gestori di strumenti operativi quali i contratti d'area e i patti territoriali, gli attori attivi di riferimento e di coordinamento per la pubblica amministrazione e gli enti locali.
9/1248-A-R/74Faenzi, Saltamartini, Parisi, Famiglietti, Bernardo, Pagano, Cirielli, Galati, Pisicchio, Vaccaro, Tidei, Giovanna Sanna, Palese, Matarrese.


   La Camera,
   considerato che:
    l'articolo 82 del provvedimento, modifica il concordato preventivo di cui all'articolo 161 e successivi del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;
   sino alla modifica della disciplina del concordato preventivo, introdotta nel 2012, costituiva principio generale in materia di Contratti Pubblici il fatto che fossero esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né potessero essere affidatari di subappalti, e non potessero stipulare i relativi contratti i soggetti che fossero in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, o nei cui riguardi fosse in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni (Art. 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE);
    con la modifica della disciplina del concordato preventivo, mediante l'introduzione dell'articolo 186-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (e consequenziale conforme modifica dell'articolo 38, primo comma lettera a) del Codice dei Contratti Pubblici), è stata invece prevista la possibilità, per le imprese che intendono avvalersi del concordato preventivo, di poter continuare la propria attività anche mediante la prosecuzione dei contratti in corso con la Pubblica Amministrazione. Con la stessa norma è stato consentito alle imprese con in corso una procedura di concordato preventivo di poter partecipare ad ulteriori gare per l'assegnazione di Contratti Pubblici;
    la disposizione risponde alla ratio di consentire la prosecuzione dell'attività da parte delle imprese in difficoltà finanziaria anche al fine di salvaguardare l'occupazione. La specifica disposizione in esame ha, inoltre, come scopo anche quello di evitare la sospensione dell'esecuzione dei contratti in questione ed in particolare la conclusione della realizzazione delle opere pubbliche anche a fronte dello stato di difficoltà e/o di insolvenza dell'impresa aggiudicataria;
    l'applicazione della nuova norma ha però, in concreto, creato alcuni problemi alla filiera delle imprese a valle di quelle aziende aggiudicatarie che si sono avvalse della nuova disposizione: subappaltatori e fornitori delle imprese aggiudicatarie hanno proceduto a stipulare i relativi contratti basando le proprie valutazioni sul presupposto della solvibilità delle imprese in questione in considerazione, da un lato, della particolare selezione che il sistema delle gare pubbliche dovrebbe garantire e, dall'altro, sul fatto che le imprese che contraggono con la P.A. non potevano accedere alle procedure concorsuali pena la loro esclusione dal sistema;
    in questo quadro subappaltatori e fornitori hanno concesso credito alle imprese aggiudicatarie accumulando esposizioni anche rilevanti e quindi, in ultima analisi, finanziando l'esecuzione di importati opere pubbliche; con la riforma del concordato tale situazione si è improvvisamente modificata e subappaltatori e fornitori si sono trovati con importanti esposizioni la cui riscossione è risulta bloccata dagli effetti del ricorso per concordato preventivo presentato dalle imprese aggiudicatarie. Ciò ha comportato l'effetto contrario a quello sperato in quanto le imprese della filiera a valle sono state costrette a sospendere le forniture di servizi o materiali essenziali alla prosecuzione delle opere con l'articolo 26-ter, introdotto dalle Commissioni della Camera, è stato previsto che nei contratti di appalto relativi a lavori di realizzazione di opere pubbliche è possibile la corresponsione in favore dell'appaltatore di un'anticipazione pari al 10 per cento dell'importo contrattuale,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità che il citato 10 per cento delle somme anticipate dalla stazione appaltante vengano utilizzate anche per soddisfare i crediti dei subappaltatori e fornitori di servizi o materiali e che, quindi, in tale ambito i loro crediti vengano considerati «essenziali» al fine della prosecuzione dell'attività di impresa e del completamento dell'opera.
9/1248-A-R/75Giammanco.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 41 del decreto all'esame dell'Assemblea prevede disposizioni in materia ambientale;
    il comma 4, in particolare, reca disposizioni relative all'attività di allestimenti mobili di pernottamenti e relativi accessori, temporaneamente ancorati al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti riconducendo tali attività alla definizione degli interventi di nuova costruzione soggetti a regime autorizzativo;
    il citato comma 4 lascia ampio spazio interpretativo e conferma la necessità dell'autorizzazione edilizia per le case mobili presenti all'interno del campeggio;
    tale norma è destinata ad essere foriera di dubbi interpretativi e di un corposo contenzioso,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità che le installazioni mobili di pernottamento, quali roulotte, campers e case mobili, destinati alla sosta e al soggiorno degli ospiti, qualora gli stessi vengano collocati anche permanentemente, all'interno di strutture turistiche-ricettive all'aperto, non rientrino tra gli interventi di nuova costruzione e non costituiscano in ogni caso attività rilevante ai fini urbanistici, edilizi, e paesaggistici, purché ottemperino alle specifiche disposizioni degli ordinamenti regionali di settore.
9/1248-A-R/76Gelmini.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di conversione recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, contiene numerosissimi interventi suddivisi in tre Titoli, rispettivamente, in materia di crescita, di semplificazione, di efficienza del sistema giudiziario e di definizione del contenzioso civile;
    nell'ambito del titolo I gli articoli 1 e 2 prevedono, per le piccole e medie imprese, rispettivamente, l'ampliamento del ricorso al Fondo di garanzia nonché il ricorso al finanziamento per l'acquisto di macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature;
    le suddette misure sono volte, tra l'altro, a favorire la crescita del tessuto imprenditoriale sul territorio nazionale anche a tutela del livello occupazionale; ad interrompere la crescita del numero delle aziende interessate dal fenomeno della delocalizzazione;
    come recentemente rilevato anche dalle associazioni di categoria, sempre maggiori sono le aziende interessate dal fenomeno della delocalizzazione con conseguente trasferimento all'estero dell'attività produttiva con inevitabile aumento della disoccupazione nell'area in cui ha origine l'attività di impresa;
    in particolare, secondo quanto recentemente rilevato dalla CGIA di Mestre, vi sono oltre 27 mila imprese che hanno trasferito all'estero una parte della propria attività produttiva;
    rilevato l'insostituibile ruolo trainante per l'economia nazionale svolto delle imprese di piccole e medie dimensioni;
    considerata l'importanza degli interventi agevolativi previsti dal presente provvedimento a favore delle imprese di piccole e medie dimensioni;
    considerata altresì l'esigenza di evitare che tali imprese, destinatarie di incentivi per l'acquisto di macchinari e impianti, procedano alla delocalizzazione dei propri impianti all'estero, con conseguenti ricadute negative sui livelli di occupazione nel Paese;
    ravvisata pertanto la necessità di prevedere la revoca o la sospensione degli incentivi nel caso in cui, nelle more del periodo di ammortamento dei cespiti ammessi all'incentivo, l'impresa proceda, nel settore produttivo in cui i cespiti medesimi sono impiegati, alla riduzione del numero degli occupati sul territorio nazionale e all'aumento del numero degli stessi fuori del territorio nazionale,

impegna il Governo:

ad adottare le opportune iniziative affinché, sin dall'adozione dei decreti con cui saranno stabiliti i criteri e le condizioni di accesso agli incentivi di cui all'articolo 2, si preveda la revoca o la sospensione dei predetti incentivi nel caso in cui, nelle more del periodo di ammortamento dei cespiti ammessi all'incentivo, l'impresa proceda, nel settore produttivo in cui i cespiti medesimi sono impiegati, alla riduzione del numero degli occupati sul territorio nazionale e all'aumento del numero degli stessi fuori del territorio nazionale.
9/1248-A-R/77Saltamartini, Milanato.


   La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge di conversione recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, contiene numerosissimi interventi suddivisi in tre Titoli, rispettivamente, in materia di crescita, di semplificazione, di efficienza del sistema giudiziario e di definizione del contenzioso civile;
    nell'ambito del titolo I gli articoli 1 e 2 prevedono, per le piccole e medie imprese, rispettivamente, l'ampliamento del ricorso al Fondo di garanzia nonché il ricorso al finanziamento per l'acquisto di macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature;
    le suddette misure sono volte, tra l'altro, a favorire la crescita del tessuto imprenditoriale sul territorio nazionale anche a tutela del livello occupazionale; ad interrompere la crescita del numero delle aziende interessate dal fenomeno della delocalizzazione;
    come recentemente rilevato anche dalle associazioni di categoria, sempre maggiori sono le aziende interessate dal fenomeno della delocalizzazione con conseguente trasferimento all'estero dell'attività produttiva con inevitabile aumento della disoccupazione nell'area in cui ha origine l'attività di impresa;
    in particolare, secondo quanto recentemente rilevato dalla CGIA di Mestre, vi sono oltre 27 mila imprese che hanno trasferito all'estero una parte della propria attività produttiva;
    rilevato l'insostituibile ruolo trainante per l'economia nazionale svolto delle imprese di piccole e medie dimensioni;
    considerata l'importanza degli interventi agevolativi previsti dal presente provvedimento a favore delle imprese di piccole e medie dimensioni;
    considerata altresì l'esigenza di evitare che tali imprese, destinatarie di incentivi per l'acquisto di macchinari e impianti, procedano alla delocalizzazione dei propri impianti all'estero, con conseguenti ricadute negative sui livelli di occupazione nel Paese;
    ravvisata pertanto la necessità di prevedere la revoca o la sospensione degli incentivi nel caso in cui, nelle more del periodo di ammortamento dei cespiti ammessi all'incentivo, l'impresa proceda, nel settore produttivo in cui i cespiti medesimi sono impiegati, alla riduzione del numero degli occupati sul territorio nazionale e all'aumento del numero degli stessi fuori del territorio nazionale,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative affinché, sin dall'adozione dei decreti con cui saranno stabiliti i criteri e le condizioni di accesso agli incentivi di cui all'articolo 2, si preveda la revoca o la sospensione dei predetti incentivi nel caso in cui, nelle more del periodo di ammortamento dei cespiti ammessi all'incentivo, l'impresa proceda, nel settore produttivo in cui i cespiti medesimi sono impiegati, alla riduzione del numero degli occupati sul territorio nazionale e all'aumento del numero degli stessi fuori del territorio nazionale.
9/1248-A-R/77. (Testo modificato nel corso della seduta) Saltamartini, Milanato.


   La Camera,
   considerato che:
    il comma 4 dell'articolo 41, nel contesto delle disposizioni di carattere ambientale, integra la definizione di interventi di nuova costruzione recata dall'articolo 3 del testo unico edilizia (decreto del Presidente della Repubblica 380 del 2001), escludendo dagli interventi di nuova costruzione le installazioni posizionate, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti;
    si tratta di una norma che dovrebbe consentire di «risolvere alcune questioni interpretative, spesso causa di sequestri e di blocco dell'attività» e di dirimere un conflitto trasversale tra competenze statali, regionali ed interpretazioni giurisprudenziali che hanno posto gli imprenditori del settore in una costante incertezza giuridica;
    l'iniziativa legislativa ripropone quello schema che non più tardi quattro anni fa un precedente Governo aveva proposto con l'articolo 3 comma 9 della legge 23 luglio 2009 n. 99. Il legislatore di allora, per superare la medesima condizione di incertezza giuridica, con la seguente formulazione, sicuramente più convincente sul piano lessicale, aveva così stabilito: «Al fine di garantire migliori condizioni di competitività sul mercato internazionale e dell'offerta di servizi turistici, nelle strutture turistico ricettive all'aperto le installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili, al pernottamento, anche se collocati permanentemente per l'esercizio dell'attività, entro il perimetro delle strutture turistico-ricettive regolarmente autorizzate, purché ottemperino alle specifiche condizioni strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali, non costituiscono in alcun caso attività rilevante ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici.»;
    la norma, che sulle prime sembrava aver consentito di superare le criticità interpretative del passato, è stata impugnata dalla Regione Toscana e dalla Regione Lazio. La Corte Costituzionale, con sentenza 278 del 2010 ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, sostenendo che oltrepassava i confini delle competenze che la norma di cui all'articolo 117 Cost. in quanto statuiva in materia di governo del territorio e specificava, in particolare, che la disciplina si risolveva in una normativa dettagliata e specifica, che comprimeva la potestà del legislatore regionale;
    è opportuno quindi che l'impostazione del comma 4 dell'articolo 41 del decreto in esame venga modificata, facendola rientrare nell'ambito della legge quadro, prevedendo che, in termini generali e quale che sia la norma regionale, la struttura ricettiva all'aperto debitamente autorizzata sconta già un carico urbanistico, dal che le strutture che si trovano al suo interno, a prescindere dalle caratteristiche strutturali e, comunque, rispettose delle normative regionali, non abbisognano di uno specifico titolo edilizio e paesaggistico-ambientale,

impegna il Governo:

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a modificare la norma di cui all'articolo 41 comma 4 del decreto-legge in esame prevedendo che i diversi allestimenti mobili a fini turistici «non rientrano, tra gli interventi di nuova costruzione e non costituiscono in alcun caso attività rilevante ai fini urbanistici qualora gli stessi vengano collocati, anche permanentemente, all'interno di strutture turistiche-ricettive all'aperto, regolarmente autorizzate e nei limiti della ricettività assentita, purché ottemperino alle specifiche disposizioni degli ordinamenti regionali di settore».
9/1248-A-R/78Latronico.


   La Camera,
   premesso che:
    è necessario consolidare l'attività di garanzia collettiva dei fidi, anche incentivando di interventi di fusione e di accorpamento tra gli stessi; in particolare la funzione di sostegno alle PMI esercitata dai confidi è di estrema importanza nelle regioni in ritardo di sviluppo;
    con l'articolo 39, comma 7, del decreto-legge, n. 201 del 2011, è stata inserita una importante previsione per favorire il grado di patrimonializzazione dei confidi, prevedendo anche la partecipazione al patrimonio dei confidi di imprese non finanziarie di grandi dimensioni e di enti pubblici e privati a condizione che le piccole e medie imprese ed i professionisti soci dispongano almeno della metà più uno dei voti esercitabili nell'assemblea e la nomina dei componenti degli organi che esercitano funzioni di gestione e di supervisione strategica sia riservata all'assemblea;
    l'evoluzione del settore della garanzia fidi ha dimostrato che nell'ultimo triennio, in una fase di crisi economica e finanziaria, il supporto all'accesso al credito delle piccole e medie imprese è stato garantito in modo rilevante non solo dai confidi vigilati dalla Banca d'Italia (i cosiddetti confidi 107), ma anche dai confidi ordinari (i cosiddetti confidi 106);
    il Fondo PMI di cui all'articolo 1 del provvedimento in esame ha la caratteristica di facilitare l'accesso al credito da parte delle PMI in quanto riduce le garanzie che le stesse offrono al sistema bancario e permette ai Confidi di alleggerire la propria esposizione complessiva mantenendo pertanto la capacità di assistere le imprese associate,

impegna il Governo:

   valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, volta a
    a) rafforzare la patrimonializzazione dei Confidi;
    b) favorire l'attività dei Confidi nell'azione di sostegno alle imprese e del capitalismo di territorio;
   salvaguardare la loro natura mutualistica e rafforzandone l'importante ruolo di cerniera tra imprese e sistema bancario in questa particolare contingenza economica;
   esaltare il ruolo dei confidi nell'ambito della gestione delle risorse di cui al Fondo per le PMI, previsto dall'articolo 2, comma 100 della legge n.662 del 1996.
9/1248-A-R/79Pagano.


   La Camera,
   consapevole dell'importanza dell'emittenza locale in un sistema radiotelevisivo ispirato ai principi della libera manifestazione del pensiero e del pluralismo dell'informazione;
   consapevole, altresì, della stretta correlazione fra lo sviluppo del sistema televisivo locale e la crescita della piccola e media impresa;
   considerate le riduzioni sistematiche operate sul fondo in favore dell'emittenza locale previsto dell'articolo 10 della legge 422 del 1993, tagli operati anche a bilanci chiusi e con effetto retroattivo in un momento già di forte difficoltà, originato dalla crisi dei mercati e dei consumi;
   consapevole che gli effetti della crisi stanno producendo ripercussioni sulla stabilità finanziaria e industriale di molte emittenti che già hanno avviato forti riduzioni di personale e investimenti;
   considerato che:
    la lettera c) del comma 1 dell'articolo 61, prevede una riduzione delle risorse spettanti al sostegno dell'emittenza radiotelevisiva locale, per 19 milioni nel 2013 e 7,4 milioni nel 2014;
    tale riduzione, sia pure soppressa in commissione, è l'ultima di una serie che ha portato il contributo complessivo destinato al settore da 150 milioni di euro annui nel 2008-2009 ad cifra attorno ai 50 milioni nel 2013,

impegna il Governo:

   a varare, nella Legge di Stabilità 2014 norme a tutela del fondo per l'emittenza locale istituito dall'articolo 10 della legge n. 422 del 1993, recuperando tutti i tagli effettuati e riportando la sua capienza a 150 milioni l'anno a decorrere dal 2014, in linea con quanto già erogato negli anni 2008-2009;
   ad adottare un provvedimento di urgenza al fine di recuperare un consistente afflusso di risorse verso il sistema dell'emittenza radiotelevisiva locale, anche per il 2013.
9/1248-A-R/80Sisto, Palese, Boccia, Giammanco, Ginefra, Saltamartini, Brunetta, Grassi, Galati, Decaro, Fitto, Cicu, Pisicchio, Fucci, Distaso.


   La Camera,
   consapevole dell'importanza dell'emittenza locale in un sistema radiotelevisivo ispirato ai principi della libera manifestazione del pensiero e del pluralismo dell'informazione;
   consapevole, altresì, della stretta correlazione fra lo sviluppo del sistema televisivo locale e la crescita della piccola e media impresa;
   considerate le riduzioni sistematiche operate sul fondo in favore dell'emittenza locale previsto dell'articolo 10 della legge 422 del 1993, tagli operati anche a bilanci chiusi e con effetto retroattivo in un momento già di forte difficoltà, originato dalla crisi dei mercati e dei consumi;
   consapevole che gli effetti della crisi stanno producendo ripercussioni sulla stabilità finanziaria e industriale di molte emittenti che già hanno avviato forti riduzioni di personale e investimenti;
   considerato che:
    la lettera c) del comma 1 dell'articolo 61, prevede una riduzione delle risorse spettanti al sostegno dell'emittenza radiotelevisiva locale, per 19 milioni nel 2013 e 7,4 milioni nel 2014;
    tale riduzione, sia pure soppressa in commissione, è l'ultima di una serie che ha portato il contributo complessivo destinato al settore da 150 milioni di euro annui nel 2008-2009 ad cifra attorno ai 50 milioni nel 2013,

impegna il Governo:

   a valutare, in un quadro di compatibilità finanziaria, la possibilità di varare, nella Legge di Stabilità 2014 norme a tutela del fondo per l'emittenza locale istituito dall'articolo 10 della legge n. 422 del 1993, recuperando tutti i tagli effettuati e riportando la sua capienza a 150 milioni l'anno a decorrere dal 2014, in linea con quanto già erogato negli anni 2008-2009;
   ad adottare un provvedimento di urgenza al fine di recuperare un consistente afflusso di risorse verso il sistema dell'emittenza radiotelevisiva locale, anche per il 2013.
9/1248-A-R/80. (Testo modificato nel corso della seduta) Sisto, Palese, Boccia, Giammanco, Ginefra, Saltamartini, Brunetta, Grassi, Galati, Decaro, Fitto, Cicu, Pisicchio, Fucci, Distaso.


   La Camera,
   considerato che:
    con il comma 4-bis dell'articolo 44 è stata disposta la proroga di un anno dell'obbligo di assicurazione obbligatoria per responsabilità civile (RC) a carico dei professionisti, limitatamente agli esercenti delle professioni sanitarie, in quanto in questo settore la mole dei procedimenti per danno rischia di determinare, nelle attuali condizioni, l'esplosione dei premi assicurativi e di conseguenza degli oneri che si scaricherebbero sull'utenza;
    per tutte le altre professioni, esclusi gli avvocati, tale obbligo decorre dal 13 agosto del 2013 ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137, sul riordino delle professioni;
    il citato articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2013, prevede che l'obbligo di assicurazione possa essere ottemperato anche in regime convenzionale tra compagnie e consigli nazionali o enti previdenziali dei professionisti;
    dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2013 i Consigli nazionali hanno tentato più volte di ottenere un regime concezionale con le Compagnie assicurative, non ottenendo alcun risultato significativo: le Compagnie assicurative preferiscono assicurare i professionisti singolarmente, invece che soggiacere ad un regime generale che li tutela complessivamente,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte:
    a prorogare di un anno l'obbligatorietà della sottoscrizione di una assicurazione obbligatoria per responsabilità civile a carico dei professionisti, al fine di raggiungere un accordo tra Consigli nazionali e Compagnie assicurative per la stipula di convenzioni collettive negoziate;
    a prevedere che il regime convenzionale tra compagnie assicuratrici e professionisti sia obbligatorio e non facoltativo;
    a prevedere che le convenzioni collettive negoziate dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti previste dal medesimo articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2012 debbano tenere conto dei seguenti criteri:
    a) obbligo delle compagnie ad assicurare il professionista richiedente;
    b) possibilità per le Compagnie di disdettare la polizza o di incrementare il premio solo a seguito dell'accertamento effettivo della responsabilità professionale;
    c) divieto di applicazione di clausole unilaterali o vessatorie;
    d) competenza specifica dei periti assicurativi chiamati a valutare la responsabilità del professionista.;
    e) adeguata valutazione delle specifiche caratteristiche di ciascuna professione.
9/1248-A-R/81Milanato.


   La Camera,
   considerato che:
    con il comma 4-bis dell'articolo 44 è stata disposta la proroga di un anno dell'obbligo di assicurazione obbligatoria per responsabilità civile (RC) a carico dei professionisti, limitatamente agli esercenti delle professioni sanitarie, in quanto in questo settore la mole dei procedimenti per danno rischia di determinare, nelle attuali condizioni, l'esplosione dei premi assicurativi e di conseguenza degli oneri che si scaricherebbero sull'utenza;
    per tutte le altre professioni, esclusi gli avvocati, tale obbligo decorre dal 13 agosto del 2013 ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137, sul riordino delle professioni;
    il citato articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2013, prevede che l'obbligo di assicurazione possa essere ottemperato anche in regime convenzionale tra compagnie e consigli nazionali o enti previdenziali dei professionisti;
    dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2013 i Consigli nazionali hanno tentato più volte di ottenere un regime concezionale con le Compagnie assicurative, non ottenendo alcun risultato significativo: le Compagnie assicurative preferiscono assicurare i professionisti singolarmente, invece che soggiacere ad un regime generale che li tutela complessivamente,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di estendere la proroga della stipula di una assicurazione obbligatoria per responsabilità civile a carico dei professionisti, al fine di raggiungere un accordo tra Consigli nazionali e Compagnie assicurative per la stipula di convenzioni collettive negoziate;
   a promuovere l'efficace e progressiva realizzazione di un regime convenzionale tra compagnie assicuratrici e professionisti obbligatorio e non facoltativo.
9/1248-A-R/81. (Testo modificato nel corso della seduta) Milanato.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in commento reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, tra cui, particolare importanza per i settori economici del Paese rivestono quelle per la semplificazione amministrativa e per il rilancio delle infrastrutture. In tale ambito l'articolo 27 reca, tra l'altro, delle semplificazioni in materia di procedure CIPE, intervenendo sulla disciplina delle opere strategiche, al fine di accelerare la nuova procedura di approvazione unica del progetto preliminare (PP) e del progetto definitivo (PD) da parte, appunto, del CIPE, prevista dall'articolo 169-bis del decreto legislativo 163 del 2006;
    il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) è un organo collegiale del Governo di decisione politica in ambito economico e finanziario che svolge funzioni di coordinamento in materia di programmazione della politica economica da perseguire a livello nazionale, comunitario ed internazionale; esamina, pertanto, la situazione socio-economica generale ai fini dell'adozione di provvedimenti congiunturali; individua gli indirizzi e le azioni necessarie per il conseguimento degli obiettivi di politica economica; alloca le risorse finanziarie a programmi e progetti di sviluppo; approva le principali iniziative di investimento pubblico del Paese;
    il Comitato si riunisce in sedute con cadenza periodica su convocazione del Presidente del Consiglio dei Ministri, che lo presiede e ne fissa l'ordine del giorno sulla base degli argomenti inoltrati al Comitato stesso dalle Amministrazioni proponenti ed esaminati nel corso di riunioni preparatorie;
    la trasparenza dell'azione amministrativa rappresenta un fattore rilevante per l'efficacia degli interventi, pertanto si avverte la necessità di favorire l'attuazione di procedure più chiare che diano garanzie sui tempi e sugli esiti degli interventi, offrendo la concreta possibilità alle istituzioni coinvolte ed ai soggetti interessati di poter intervenire nella pianificazione e nella programmazione delle scelte dell'azione amministrativa. In base a queste considerazioni sarebbe opportuno che il Parlamento conoscesse con un congruo anticipo l'ordine del giorno delle sedute del CIPE,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di prevedere procedure di maggiore trasparenza per le sedute del CIPE pubblicando l'ordine del giorno delle sedute sul sito internet del Comitato almeno 5 giorni prima della seduta.
9/1248-A-R/82Mariani, Braga, Borghi, Mariastella Bianchi, Bratti, Carrescia, Cassano, Cominelli, Dallai, Decaro, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Marroni, Mazzoli, Morassut, Moretto, Realacci, Giovanna Sanna, Zardini.


   La Camera,
   premesso che:
    le manovre degli ultimi anni hanno ridotto in modo rilevante le risorse destinate alle infrastrutture prioritarie in tutto il territorio nazionale;
    particolarmente grave è stata la cancellazione – dapprima con un taglio lineare in forza del decreto-legge n. 112 del 2008 e poi con l'azzeramento del capitolo con la legge di bilancio pluriennale 2009-2011 – delle somme già stanziate dalla legge Finanziaria 2008, la quale disponeva che «al fine di assicurare la realizzazione del secondo stralcio del sistema ferroviario metropolitano regionale veneto è autorizzato un contributo decennale di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008», finanziando in tal modo una parte essenziale dei 140 milioni di euro complessivamente stimati all'epoca (fine 2007) come necessari al completamento delle tratte del SFMR ancora non finanziate, ovvero Treviso-Conegliano, Treviso-Castelfranco, Padova-Monselice e San Donà-Portogruaro;
    il Sistema ferroviario metropolitano regionale (SFMR), che prevede una rete di treni regionali ad elevata frequenza ad orario cadenzato, è un sistema di mobilità avanzato imperniato sui tre poli principali, Venezia, Padova e Treviso, e su una serie di poli secondari; il completamento di tale progetto potrebbe garantire livelli di integrazione territoriale e di prestazioni di trasporto adeguati al tessuto industriale e alla mobilità sociale di un'area strategica del territorio nazionale, la c.d. area metropolitana PA.TRE.VE., che concorre alla formazione del PIL del paese con una quota del 9,4 per cento, seconda solo alla Lombardia;
    da ultimo i sindaci delle città capoluogo di Padova, Venezia e Treviso hanno avviato un percorso condiviso per verificare la realizzazione insieme di una nuova Città metropolitana;
    nonostante il carattere strategico dell'infrastruttura per la summenzionata area centrale del Veneto, nel settembre 2010 il CIPE, nel proprio Programma Infrastrutture Strategiche – 8o Allegato Infrastrutture, pur finanziando i sistemi metropolitani di numerose città italiane per un importo complessivo di 1.500 milioni di euro, non ha menzionato minimamente il progetto SFMR veneto, non considerando la circostanza che la stessa Regione Veneto avesse accantonato 56 milioni di Euro, in attesa dell'arrivo del finanziamento statale;
   sul volgere del termine del 2012, la Regione del Veneto ha approvato un progetto di orario cadenzato per il sistema ferroviario regionale, riduttivo del precedente progetto SFMR per il quale, fino ad oggi, sono state realizzate soltanto opere infrastrutturali, quali sottopassi e parcheggi scambiatori, in primo luogo, oltre che una manciata di nuove fermate. Poiché con questo nuovo progetto della Regione, coperto da fondi propri, si andrà a finanziare solamente il servizio di trasporto, mentre rimarrebbero ancora necessarie delle opere infrastrutturali nelle stazioni per migliorarne l'accessibilità e la possibilità di interscambio con gli altri mezzi pubblici;
    che la realizzazione dell'originario progetto del SFMR, incluso nella programma nazionale delle Infrastrutture strategiche, appare oggi, per quanto premesso, a maggior ragione necessario per dotare di una infrastruttura adeguata alla mobilità delle persone l'area socio-economica metropolitana costituita dalle tre province di Venezia, Padova e Treviso, affinché sia in grado di competere con aree vicine e simili sul piano produttivo ma dotate di una assai migliore mobilità, quali quelle delle due Regioni confinanti entrambe a statuto speciale e con regioni europee quali la Carinzia,

impegna il Governo:

ad adottare al più presto le opportune iniziative volte a provvedere al ripristino delle risorse a favore della realizzazione del sistema ferroviario metropolitano veneto, secondo quanto proposto dalla delibera del CIPE n. 56 del 2008.
9/1248-A-R/83Rubinato, Mognato, Naccarato, Rotta, Crivellari, Martella, Murer, Casellato, Ginato, De Menech, Sbrollini, Zardini.


   La Camera,
   premesso che:
    le manovre degli ultimi anni hanno ridotto in modo rilevante le risorse destinate alle infrastrutture prioritarie in tutto il territorio nazionale;
    particolarmente grave è stata la cancellazione – dapprima con un taglio lineare in forza del decreto-legge n. 112 del 2008 e poi con l'azzeramento del capitolo con la legge di bilancio pluriennale 2009-2011 – delle somme già stanziate dalla legge Finanziaria 2008, la quale disponeva che «al fine di assicurare la realizzazione del secondo stralcio del sistema ferroviario metropolitano regionale veneto è autorizzato un contributo decennale di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008», finanziando in tal modo una parte essenziale dei 140 milioni di euro complessivamente stimati all'epoca (fine 2007) come necessari al completamento delle tratte del SFMR ancora non finanziate, ovvero Treviso-Conegliano, Treviso-Castelfranco, Padova-Monselice e San Donà-Portogruaro;
    il Sistema ferroviario metropolitano regionale (SFMR), che prevede una rete di treni regionali ad elevata frequenza ad orario cadenzato, è un sistema di mobilità avanzato imperniato sui tre poli principali, Venezia, Padova e Treviso, e su una serie di poli secondari; il completamento di tale progetto potrebbe garantire livelli di integrazione territoriale e di prestazioni di trasporto adeguati al tessuto industriale e alla mobilità sociale di un'area strategica del territorio nazionale, la c.d. area metropolitana PA.TRE.VE., che concorre alla formazione del PIL del paese con una quota del 9,4 per cento, seconda solo alla Lombardia;
    da ultimo i sindaci delle città capoluogo di Padova, Venezia e Treviso hanno avviato un percorso condiviso per verificare la realizzazione insieme di una nuova Città metropolitana;
    nonostante il carattere strategico dell'infrastruttura per la summenzionata area centrale del Veneto, nel settembre 2010 il CIPE, nel proprio Programma Infrastrutture Strategiche – 8o Allegato Infrastrutture, pur finanziando i sistemi metropolitani di numerose città italiane per un importo complessivo di 1.500 milioni di euro, non ha menzionato minimamente il progetto SFMR veneto, non considerando la circostanza che la stessa Regione Veneto avesse accantonato 56 milioni di Euro, in attesa dell'arrivo del finanziamento statale;
   sul volgere del termine del 2012, la Regione del Veneto ha approvato un progetto di orario cadenzato per il sistema ferroviario regionale, riduttivo del precedente progetto SFMR per il quale, fino ad oggi, sono state realizzate soltanto opere infrastrutturali, quali sottopassi e parcheggi scambiatori, in primo luogo, oltre che una manciata di nuove fermate. Poiché con questo nuovo progetto della Regione, coperto da fondi propri, si andrà a finanziare solamente il servizio di trasporto, mentre rimarrebbero ancora necessarie delle opere infrastrutturali nelle stazioni per migliorarne l'accessibilità e la possibilità di interscambio con gli altri mezzi pubblici;
    che la realizzazione dell'originario progetto del SFMR, incluso nella programma nazionale delle Infrastrutture strategiche, appare oggi, per quanto premesso, a maggior ragione necessario per dotare di una infrastruttura adeguata alla mobilità delle persone l'area socio-economica metropolitana costituita dalle tre province di Venezia, Padova e Treviso, affinché sia in grado di competere con aree vicine e simili sul piano produttivo ma dotate di una assai migliore mobilità, quali quelle delle due Regioni confinanti entrambe a statuto speciale e con regioni europee quali la Carinzia,

impegna il Governo

nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, a ricercare iniziative volte ad assicurare le risorse necessarie alla realizzazione del sistema ferroviario metropolitano veneto.
9/1248-A-R/83. (Testo modificato nel corso della seduta) Rubinato, Mognato, Naccarato, Rotta, Crivellari, Martella, Murer, Casellato, Ginato, De Menech, Sbrollini, Zardini.


   La Camera,
   premesso che:
    nel contesto definitivo del decreto Fare è stato correttamente posto il problema della difesa dei fondi per l'emittenza locale, e si è pertanto riusciti ad eliminare il taglio di 19 milioni di euro per l'anno 2013 e di 7,4 milioni di euro per l'anno 2014 che era stato ipotizzato nella stesura originaria del provvedimento;
    in questo momento di drammatica crisi economica, che incide significativamente sulla raccolta pubblicitaria, ogni taglio ai fondi per l'emittenza locale rischierebbero di essere un colpo mortale a carico della PMI nel settore della comunicazione e dell'informazione, con effetti negativi che sarebbero potenzialmente devastanti sui livelli di occupazione, ma sopratutto sulla garanzia della pluralità dell'informazione;
    l'emittenza locale è anche un'insostituibile volano di sostegno di tutto il tessuto della PMI locale che, attraverso tale strumento si veicola la pubblicità dei propri prodotti e guadagna e consolida i propri spazi di mercato;
    appare pertanto indispensabile prevedere un urgente intervento di ripristino delle somme che sono state ometto di tagli pregressi al Fondo per l'emittenza locale; che la copertura economica per la restituzione dei fondi sottratti potrebbe essere trovata nel capitolo di spesa per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili conferiti dallo Stato a fondi immobiliari, di cui al comma 139 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012» n. 228;
    che in tal modo si darebbe davvero corso ai propositi enunciati dal Governo di effettuare tagli selettivi della spesa pubblica, i cui cespiti consentirebbero di sostenere la ripresa della PMI e la crescita economica del Paese,

impegna il Governo

a verificare la possibilità di reintegrare il fondo dell'emittenza locale delle somme stornate nei precedenti esercizi, attraverso coperture di spesa coerenti agli obiettivi generali di spending review enunciati dal Governo stesso.
9/1248-A-R/84D'Agostino, Matarrese, Vargiu.


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito dell'esame dell'Atto Camera 1248 recante «Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», sono stati approvati, nelle Commissioni riunite I e V, due articoli aggiuntivi, il 54-bis e il 54-ter, che prevedono, rispettivamente, modifiche alla legge n. 190 del 6 novembre 2012 in materia di «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», nonché al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 concernente «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190»;
    in particolare, quanto al primo dei due articoli aggiuntivi, il 54-bis, si introducono modifiche alla disciplina della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche in Autorità nazionale anticorruzione (CIVIT), prevedendo che l'Autorità esprima pareri facoltativi in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico, agli organi dello Stato, e non più a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, bensì alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ministri – Dipartimento della Funzione pubblica»;
    alla stessa Presidenza, la CIVIT deve rendere pareri facoltativi per assicurare l'uniforme applicazione della legge 190/12 e dei decreti legislativi da essa previsti;
    l'Autorità, su (sola) richiesta della Presidenza del Consiglio - Dipartimento della Funzione pubblica, è chiamata ad esprimere pareri facoltativi in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali. In seguito a tali pareri, si prevede che il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto degli stessi, emanerà proprie direttive;
    quanto al secondo articolo aggiuntivo, il 54-ter, si interviene invece sull'attività relativa alla Vigilanza dell'Autorità, stabilendo che la stessa, a seguito di segnalazione della (sola) Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, o d'ufficio, possa sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull'atto di conferimento dell'incarico, nonché segnalare il caso alla Corte dei conti per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. L'amministrazione, ente pubblico o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento dell'incarico deve motivare l'atto tenendo conto delle osservazioni dell'Autorità;
    l'Autorità nazionale anticorruzione, come modificata, anche rispetto alla interpretazione delle disposizioni del decreto legislativo 39 del 2013 e alla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, è chiamata ad esprimere pareri non più su iniziativa delle amministrazioni e degli enti interessati, ma sulla sola richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica. Il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto dei pareri espressi dalla Autorità, emana quindi proprie direttive sull'interpretazione delle disposizioni del presente decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi;
    in relazione alle modifiche introdotte, in data 22 luglio 2013, con una formale presa di posizione, la dottoressa Romilda Rizzo, Presidente della CIVIT, ha espresso forte preoccupazione riguardo all'inopportunità di tali correttivi che lederebbero gravemente la piena autonomia nelle funzioni dell'autorità da lei presieduta,

impegna il Governo:

a valutare gli effetti applicativi degli articoli 54-bis e 54-ter, al fine di adottare eventuali iniziative normative volte ad evitare il grave vulnus che si verrebbe a creare rispetto all'autonomia e all'indipendenza della Commissione indipendente per la valutazione la trasparenza e l'integrità delle amministrazione pubbliche (Autorità nazionale Anticorruzione) nello svolgimento delle funzioni che le sono state attribuite dalla legge 6 novembre 2012, n. 190.
9/1248-A-R/85Migliore, Pilozzi, Kronbichler, Marcon, Boccadutri, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito dell'esame dell'Atto Camera 1248 recante «Conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», sono stati approvati, nelle Commissioni riunite I e V, due articoli aggiuntivi, il 54-bis e il 54-ter, che prevedono, rispettivamente, modifiche alla legge n. 190 del 6 novembre 2012 in materia di «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», nonché al decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 concernente «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190»;
    in particolare, quanto al primo dei due articoli aggiuntivi, il 54-bis, si introducono modifiche alla disciplina della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche in Autorità nazionale anticorruzione (CIVIT), prevedendo che l'Autorità esprima pareri facoltativi in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico, agli organi dello Stato, e non più a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, bensì alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ministri – Dipartimento della Funzione pubblica»;
    alla stessa Presidenza, la CIVIT deve rendere pareri facoltativi per assicurare l'uniforme applicazione della legge 190/12 e dei decreti legislativi da essa previsti;
    l'Autorità, su (sola) richiesta della Presidenza del Consiglio - Dipartimento della Funzione pubblica, è chiamata ad esprimere pareri facoltativi in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali. In seguito a tali pareri, si prevede che il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto degli stessi, emanerà proprie direttive;
    quanto al secondo articolo aggiuntivo, il 54-ter, si interviene invece sull'attività relativa alla Vigilanza dell'Autorità, stabilendo che la stessa, a seguito di segnalazione della (sola) Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, o d'ufficio, possa sospendere la procedura di conferimento dell'incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull'atto di conferimento dell'incarico, nonché segnalare il caso alla Corte dei conti per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. L'amministrazione, ente pubblico o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento dell'incarico deve motivare l'atto tenendo conto delle osservazioni dell'Autorità;
    l'Autorità nazionale anticorruzione, come modificata, anche rispetto alla interpretazione delle disposizioni del decreto legislativo 39 del 2013 e alla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, è chiamata ad esprimere pareri non più su iniziativa delle amministrazioni e degli enti interessati, ma sulla sola richiesta della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica. Il Ministro della pubblica amministrazione e la semplificazione, tenuto conto dei pareri espressi dalla Autorità, emana quindi proprie direttive sull'interpretazione delle disposizioni del presente decreto e sulla loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi;
    in relazione alle modifiche introdotte, in data 22 luglio 2013, con una formale presa di posizione, la dottoressa Romilda Rizzo, Presidente della CIVIT, ha espresso forte preoccupazione riguardo all'inopportunità di tali correttivi che lederebbero gravemente la piena autonomia nelle funzioni dell'autorità da lei presieduta,

impegna il Governo:

a valutare gli effetti applicativi degli articoli 54-bis e 54-ter, anche al fine di ridefinire i compiti in un'ottica di rafforzamento della civit.
9/1248-A-R/85. (Testo modificato nel corso della seduta) Migliore, Pilozzi, Kronbichler, Marcon, Boccadutri, Melilla.


   La Camera,
   in sede di esame del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia;
   premesso che:
    l'articolo 18 del provvedimento in esame prevede, al comma 1, l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita per cinque anni, di cui: 1) 335 milioni di euro per l'anno 2013; 2) 405 milioni di euro per l'anno 2014; 3) 652 milioni di euro per l'anno 2015; 4) 535 milioni di euro per l'anno 2016; 5) 142 milioni di euro per l'anno 2017;
    in particolare, il comma 1 dell'articolo 18 precisa che il citato Fondo è volto a consentire nell'anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori;
    detto Fondo ha delle caratteristiche di assoluta novità in quanto andrà a finanziare sia infrastrutture comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001 (ed. «legge obiettivo») che opere non incluse in tale programma. Accanto ad interventi relativi alle infrastrutture strategiche il Fondo andrà a finanziare anche interventi di manutenzione del territorio e per la sua messa in sicurezza, nonché interventi di piccola dimensione. Si tratta, pertanto, di uno strumento di carattere straordinario giustificato dall'esigenza, enunciata nella norma e nelle relazioni di accompagnamento, di rilancio della realizzazione del settore infrastrutturale nell'attuale situazione economica;
    con riguardo agli interventi finanziabili di carattere generico, essi riguardano: 1) il completamento delle infrastrutture di rilevanza strategica nazionale in corso di realizzazione; 2) il potenziamento dei nodi; 3) lo standard di interoperabilità dei corridoi europei e il miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari; 4) il superamento di criticità sulle infrastrutture viarie concernenti ponti e gallerie;
    per quanto riguarda invece gli specifici interventi finanziabili, essi riguardano: 1) il collegamento ferroviario funzionale tra la Regione Piemonte e la Valle d'Aosta; 2) l'asse di collegamento tra la strada statale 640 e l'autostrada A19 Agrigento – Caltanissetta; 3) gli assi autostradali Pedemontana Veneta e Tangenziale Esterna Est di Milano;
    entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in commento con delibere CIPE possono essere finanziate, a valere sulle risorse del citato Fondo, nei limiti delle risorse annualmente disponibili: 1) l'asse viario Quadrilatero Umbria-Marche; 2) la tratta Colosseo-Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma; 3) la linea M4 della metropolitana di Milano; 4) il collegamento Milano-Venezia secondo lotto Rho-Monza;
    nel caso in cui non risultino attivabili altre fonti di finanziamento, con delibere del CIPE potranno altresì essere finanziati i seguenti interventi: 1) la linea 1 della metropolitana di Napoli; 2) l'asse autostradale Ragusa-Catania e la tratta Cancello-Frasso Telesino della linea AV/AC Napoli-Bari;
    inoltre, il comma 11-bis dell'articolo 25, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, attribuisce prioritariamente le risorse del Fondo di cui al comma 1 dell'articolo 18, qualora revocate in base a quanto disposto dal comma 11 del medesimo articolo, ad alcuni interventi ed infrastrutture, ovverosia: 1) il completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino; 2) per la regione Piemonte, a titolo di contributo per spese sostenute per la realizzazione del collegamento Torino-Ceres/Aeroporto di Caselle; 3) al collegamento ferroviario Novara-Seregno-Malpensa (potenziamento e variante di Galliate); 4) per la regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per la realizzazione della terza corsia della tratta autostradale A4 Quarto d'Altino-Villesse-Gorizia, al fine di consentire l'attuazione dell'O.P.C.M. 3702/2008 e successive modificazioni; 5) e infine gli interventi di soppressione ed automazione di passaggi a livello sulla rete ferroviaria mediante costruzione di idonei manufatti sostitutivi o deviazioni stradali o di miglioramento delle condizioni di esercizio di passaggi a livello non eliminabili, individuati, con priorità per la tratta terminale pugliese del corridoio ferroviario adriatico da Bologna a Lecce, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
    il progetto di potenziamento della linea ferroviaria Pontremolese, con l'obiettivo di realizzare una linea a doppio binario, di collegamento tra la pianura Padana e l'Europa Centrale, tra le regioni Toscana, Liguria e Emilia Romagna ed in particolare i porti di Livorno e La Spezia, era già presente nei piani FS negli anni ’80 e confermato nell'ambito delle necessità di potenziamento generale del collegamento Tirreno-Brennero (TI BRE);
    sono già state realizzate le tratte in territorio ligure ed alcune tratte toscane ed emiliane. Il progetto preliminare del completamento della linea prevede: il raddoppio in variante ed in affiancamento con 3 lotti funzionali per uno sviluppo complessivo di 64 chilometri circa: Parma-Osteriazza, circa 25,5 chilometri; Berceto-Pontremoli, circa 21 chilometri; Pontremoli-Chiesaccia, circa 17,5 chilometri;
    in sede di approvazione del progetto preliminare RFI individua quale lotto prioritario il Parma-Osteriazza, a sua volta suddiviso in 3 sub-lotti: Parma-Vicofertile Vicofertile-Collecchio, Collecchio-Osteriazza. Dei 3 sub-lotti vengono ritenuti prioritariamente funzionali i sub-lotti Parma-Vicofertile e Collecchio-Osteriazza,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative volte a finanziare il completamento del raddoppio della linea ferroviaria Parma-La Spezia «Pontremolese», nonché l'asse autostradale Salerno-Reggio Calabria.
9/1248-A-R/86Nardi, Maestri, Quaranta, Aiello, Lacquaniti, Matarrelli, Ferrara, Pilozzi, Kronbichler, Marcon, Boccadutri, Melilla, Scotto, Mariani.


   La Camera,
   in sede di esame del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia;
   premesso che:
    l'articolo 18 del provvedimento in esame prevede, al comma 1, l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un Fondo con una dotazione complessiva pari a 2.069 milioni di euro ripartita per cinque anni, di cui: 1) 335 milioni di euro per l'anno 2013; 2) 405 milioni di euro per l'anno 2014; 3) 652 milioni di euro per l'anno 2015; 4) 535 milioni di euro per l'anno 2016; 5) 142 milioni di euro per l'anno 2017;
    in particolare, il comma 1 dell'articolo 18 precisa che il citato Fondo è volto a consentire nell'anno 2013 la continuità dei cantieri in corso ovvero il perfezionamento degli atti contrattuali finalizzati all'avvio dei lavori;
    detto Fondo ha delle caratteristiche di assoluta novità in quanto andrà a finanziare sia infrastrutture comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001 (ed. «legge obiettivo») che opere non incluse in tale programma. Accanto ad interventi relativi alle infrastrutture strategiche il Fondo andrà a finanziare anche interventi di manutenzione del territorio e per la sua messa in sicurezza, nonché interventi di piccola dimensione. Si tratta, pertanto, di uno strumento di carattere straordinario giustificato dall'esigenza, enunciata nella norma e nelle relazioni di accompagnamento, di rilancio della realizzazione del settore infrastrutturale nell'attuale situazione economica;
    con riguardo agli interventi finanziabili di carattere generico, essi riguardano: 1) il completamento delle infrastrutture di rilevanza strategica nazionale in corso di realizzazione; 2) il potenziamento dei nodi; 3) lo standard di interoperabilità dei corridoi europei e il miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari; 4) il superamento di criticità sulle infrastrutture viarie concernenti ponti e gallerie;
    per quanto riguarda invece gli specifici interventi finanziabili, essi riguardano: 1) il collegamento ferroviario funzionale tra la Regione Piemonte e la Valle d'Aosta; 2) l'asse di collegamento tra la strada statale 640 e l'autostrada A19 Agrigento – Caltanissetta; 3) gli assi autostradali Pedemontana Veneta e Tangenziale Esterna Est di Milano;
    entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento in commento con delibere CIPE possono essere finanziate, a valere sulle risorse del citato Fondo, nei limiti delle risorse annualmente disponibili: 1) l'asse viario Quadrilatero Umbria-Marche; 2) la tratta Colosseo-Piazza Venezia della linea C della metropolitana di Roma; 3) la linea M4 della metropolitana di Milano; 4) il collegamento Milano-Venezia secondo lotto Rho-Monza;
    nel caso in cui non risultino attivabili altre fonti di finanziamento, con delibere del CIPE potranno altresì essere finanziati i seguenti interventi: 1) la linea 1 della metropolitana di Napoli; 2) l'asse autostradale Ragusa-Catania e la tratta Cancello-Frasso Telesino della linea AV/AC Napoli-Bari;
    inoltre, il comma 11-bis dell'articolo 25, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, attribuisce prioritariamente le risorse del Fondo di cui al comma 1 dell'articolo 18, qualora revocate in base a quanto disposto dal comma 11 del medesimo articolo, ad alcuni interventi ed infrastrutture, ovverosia: 1) il completamento della copertura del Passante ferroviario di Torino; 2) per la regione Piemonte, a titolo di contributo per spese sostenute per la realizzazione del collegamento Torino-Ceres/Aeroporto di Caselle; 3) al collegamento ferroviario Novara-Seregno-Malpensa (potenziamento e variante di Galliate); 4) per la regione Autonoma Friuli Venezia Giulia per la realizzazione della terza corsia della tratta autostradale A4 Quarto d'Altino-Villesse-Gorizia, al fine di consentire l'attuazione dell'O.P.C.M. 3702/2008 e successive modificazioni; 5) e infine gli interventi di soppressione ed automazione di passaggi a livello sulla rete ferroviaria mediante costruzione di idonei manufatti sostitutivi o deviazioni stradali o di miglioramento delle condizioni di esercizio di passaggi a livello non eliminabili, individuati, con priorità per la tratta terminale pugliese del corridoio ferroviario adriatico da Bologna a Lecce, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
    il progetto di potenziamento della linea ferroviaria Pontremolese, con l'obiettivo di realizzare una linea a doppio binario, di collegamento tra la pianura Padana e l'Europa Centrale, tra le regioni Toscana, Liguria e Emilia Romagna ed in particolare i porti di Livorno e La Spezia, era già presente nei piani FS negli anni ’80 e confermato nell'ambito delle necessità di potenziamento generale del collegamento Tirreno-Brennero (TI BRE);
    sono già state realizzate le tratte in territorio ligure ed alcune tratte toscane ed emiliane. Il progetto preliminare del completamento della linea prevede: il raddoppio in variante ed in affiancamento con 3 lotti funzionali per uno sviluppo complessivo di 64 chilometri circa: Parma-Osteriazza, circa 25,5 chilometri; Berceto-Pontremoli, circa 21 chilometri; Pontremoli-Chiesaccia, circa 17,5 chilometri;
    in sede di approvazione del progetto preliminare RFI individua quale lotto prioritario il Parma-Osteriazza, a sua volta suddiviso in 3 sub-lotti: Parma-Vicofertile Vicofertile-Collecchio, Collecchio-Osteriazza. Dei 3 sub-lotti vengono ritenuti prioritariamente funzionali i sub-lotti Parma-Vicofertile e Collecchio-Osteriazza,

impegna il Governo:

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di adottare le opportune iniziative normative volte a finanziare il completamento del raddoppio della linea ferroviaria Parma-La Spezia «Pontremolese», nonché l'asse autostradale Salerno-Reggio Calabria.
9/1248-A-R/86. (Testo modificato nel corso della seduta) Nardi, Maestri, Quaranta, Aiello, Lacquaniti, Matarrelli, Ferrara, Pilozzi, Kronbichler, Marcon, Boccadutri, Melilla, Scotto, Mariani.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 73 dell'Atto Camera 1248 recante «Conversione in legge del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», per i laureati in giurisprudenza all'esito di un corso di durata almeno quadriennale, si prevede la possibilità del tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari;
    in particolare, trattasi di stage della durata complessiva di diciotto mesi da effettuarsi presso le Corti di appello, i tribunali ordinari, gli uffici e i tribunali di sorveglianza e i tribunali per i minorenni;
    il comma 8 dello stesso articolo prevede, tuttavia, che allo svolgimento dello stage non sia connesso alcun compenso, neanche sotto forma di rimborso spese;
    considerato che in altro provvedimento del governo, il decreto legge 28 giugno 2013, n. 76 recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», la cui legge di conversione è attualmente in discussione al Senato, si prevede invece espressamente il rimborso spese per i partecipanti agli stage, non potrebbe non rappresentare una grave discrasia che il primo a venir meno a tale impegno verso gli stagisti sia proprio il governo, che vorrebbe tutelare invece gli stessi nel settore privato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere un equo compenso per gli stagisti presso gli uffici giudiziari.
9/1248-A-R/87Daniele Farina, Sannicandro, Migliore, Boccadutri, Di Salvo, Pilozzi, Marcon, Kronbichler, Piazzoni, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 73 dell'Atto Camera 1248 recante «Conversione in legge del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», per i laureati in giurisprudenza all'esito di un corso di durata almeno quadriennale, si prevede la possibilità del tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari;
    in particolare, trattasi di stage della durata complessiva di diciotto mesi da effettuarsi presso le Corti di appello, i tribunali ordinari, gli uffici e i tribunali di sorveglianza e i tribunali per i minorenni;
    il comma 8 dello stesso articolo prevede, tuttavia, che allo svolgimento dello stage non sia connesso alcun compenso, neanche sotto forma di rimborso spese;
    considerato che in altro provvedimento del governo, il decreto legge 28 giugno 2013, n. 76 recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», la cui legge di conversione è attualmente in discussione al Senato, si prevede invece espressamente il rimborso spese per i partecipanti agli stage, non potrebbe non rappresentare una grave discrasia che il primo a venir meno a tale impegno verso gli stagisti sia proprio il governo, che vorrebbe tutelare invece gli stessi nel settore privato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere un equo compenso per gli stagisti presso gli uffici giudiziari, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica.
9/1248-A-R/87. (Testo modificato nel corso della seduta) Daniele Farina, Sannicandro, Migliore, Boccadutri, Di Salvo, Pilozzi, Marcon, Kronbichler, Piazzoni, Melilla.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 69 del 2013 all'articolo 48 prevede una modifica del Codice dell'ordinamento militare (decreto-legge n. 66 del 15 marzo 2010) che introduce un articolo sulla «Cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale»;
    l'articolo prevede che il Ministero della Difesa, d'intesa con il Ministero degli Affari esteri può svolgere per conto di altri Stati esteri con i quali sussistono accordi di cooperazione o di reciproca assistenza tecnico-militare, attività di supporto tecnico-amministrativo, per l'acquisizione di materiale di armamento prodotti dall'industria nazionale anche in uso alle Forze armate e per correlate esigenze di sostegno logistico e assistenza tecnica;
    attualmente sono in vigore accordi di cooperazione militare nel campo della difesa con Albania, Algeria, Arabia Saudita, Argentina, Brasile, Bulgaria, Repubblica Ceca, Cile, Corea del Sud, Croazia, Emirati Arabi, Estonia, Filippine, Finlandia, Georgia, Gibuti, Giordania, Grecia, India, Lettonia, Libano, Lituania, Repubblica Macedone, Malaysia, Malta, Moldova, Oman, Perù, Serbia, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Tunisia, Ucraina, Russia, USA, Uzbekistan e Vietnam;
    tra i Paesi per cui il Ministero della Difesa potrà svolgere attività di intermediazione vi sono diversi paesi che, secondo autorevoli ed indipendenti osservatori internazionali, sono coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani e conflitti;
    tale attività del Ministero della Difesa è pertanto estremamente delicata e richiede quindi almeno un impegno alla trasparenza,

impegna il Governo:

ad inserire nella Relazione annuale inviata al Parlamento ai sensi della legge 9 luglio 1990, n. 185 e successive modificazioni, tutti i dettagli delle attività svolte dal Ministero della difesa in base all'articolo 48 del decreto-legge n. 69 del 2013 indicando specificatamente per singolo contratto: la natura del proprio supporto tecnico-amministrativo, la tipologia dei singoli materiali, il valore, la quantità e il Paese destinatario intermedio ed utilizzatore finale, il dettaglio dei rimborsi percepiti per tale attività in maniera univoca e collegata con le informazioni precedenti.
9/1248-A-R/88Piras, Duranti.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 69 del 2013 all'articolo 48 prevede una modifica del Codice dell'ordinamento militare (decreto-legge n. 66 del 15 marzo 2010) che introduce un articolo sulla «Cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale»;
    l'articolo prevede che il Ministero della Difesa, d'intesa con il Ministero degli Affari esteri può svolgere per conto di altri Stati esteri con i quali sussistono accordi di cooperazione o di reciproca assistenza tecnico-militare, attività di supporto tecnico-amministrativo, per l'acquisizione di materiale di armamento prodotti dall'industria nazionale anche in uso alle Forze armate e per correlate esigenze di sostegno logistico e assistenza tecnica;
    attualmente sono in vigore accordi di cooperazione militare nel campo della difesa con Albania, Algeria, Arabia Saudita, Argentina, Brasile, Bulgaria, Repubblica Ceca, Cile, Corea del Sud, Croazia, Emirati Arabi, Estonia, Filippine, Finlandia, Georgia, Gibuti, Giordania, Grecia, India, Lettonia, Libano, Lituania, Repubblica Macedone, Malaysia, Malta, Moldova, Oman, Perù, Serbia, Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Tunisia, Ucraina, Russia, USA, Uzbekistan e Vietnam;
    tra i Paesi per cui il Ministero della Difesa potrà svolgere attività di intermediazione vi sono diversi paesi che, secondo autorevoli ed indipendenti osservatori internazionali, sono coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani e conflitti;
    tale attività del Ministero della Difesa è pertanto estremamente delicata e richiede quindi almeno un impegno alla trasparenza,

impegna il Governo:

ad inserire nella Relazione annuale inviata al Parlamento ai sensi della legge 9 luglio 1990, n. 185 e successive modificazioni, tutti i dettagli delle attività svolte dal Ministero della difesa in base all'articolo 48 del decreto-legge n. 69 del 2013 indicando la natura del proprio supporto tecnico-amministrativo, la tipologia dei singoli materiali, il valore, la quantità e il Paese destinatario intermedio ed utilizzatore finale, il dettaglio dei rimborsi percepiti per tale attività in maniera univoca e collegata con le informazioni precedenti.
9/1248-A-R/88. (Testo modificato nel corso della seduta) Piras, Duranti.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame contiene all'articolo 18, commi 8 ed 8-bis, misure in materia di riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici;
    dopo 20 anni dalla sua messa al bando, l'amianto è presente ancora in oltre 2.400 le scuole italiane. Secondo una stima in difetto dell'Osservatorio – nazionale amianto, che fotografa la situazione drammatica in cui versano gli istituti scolastici, sono oltre 30mila, tra ragazzi, docenti, bidelli ed amministrativi, le persone esposte al rischio di sviluppare una patologia incurabile;
    la presenza di questo materiale altamente nocivo, che aveva trovato fino al 1992 larghissimo impiego in moltissimi settori ed in particolare nell'edilizia, è distribuita in percentuali più o meno simili sull'intero territorio nazionale, ove si continua a morire, al ritmo di circa 5mila vittime l'anno, di patologie terribili che possono sorgere anche dopo 30-40 anni dalla prima esposizione all'agente patogeno;
    di fatto in tutto il Paese si continua a rinvenire amianto in manufatti ancora in opera, soprattutto in grandi impianti a servizio di processi produttivi, navi e traghetti, oltre che negli ambienti di vita pubblica come, oltre alle scuole, gli ospedali e altri edifici aperti al pubblico, e, dunque, si rende necessario incentivarne la bonifica;
    dal 1992 ad oggi, anno di emanazione della legge n. 257 in materia di cessazione dell'impiego dell'amianto, la stessa è stata soltanto parzialmente attuata per ciò che concerne la mappatura della presenza di amianto e la relativa bonifica, nonché per l'individuazione dei siti di discarica o le modalità di trattamento del materiale rimosso;
    la vastità e la gravità del fenomeno è testimoniata anche dai dati derivanti dalla perimetrazione dei SIN (Siti di interesse nazionale), che ne individuano 57 su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di oltre 300 comuni e con una superficie interessata pari a 1.800 chilometri quadrati di aree marine, lagunari e lacustri e 5.500 chilometri quadrati di aree terrestri;
    la legislazione italiana riconosce quali Siti d'Interesse Nazionale (SIN) quelle aree in cui l'inquinamento di suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee è talmente esteso e grave da costituire un serio pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente naturale si tratta in generale di zone industriali dismesse, aree in cui l'attività industriale è ancora attiva, porti, ex miniere, cave, discariche non conformi alla legislazione, discariche abusive;
    le bonifiche di queste aree possano favorire ricerca e innovazione, creare occupazione e salvaguardare territorio e salute umana. Per trasformarle da problema a opportunità ci sono però alcuni passaggi obbligati come la fine della gestione emergenziale, un Piano Nazionale per le bonifiche dei SIN che miri a investimenti legati a efficienza e sostenibilità, certezza sulle risorse finanziarie da parte del Governo e soprattutto un confronto aperto con le rappresentanze di cittadini, sindacati e associazioni ambientaliste;
    attesi i positivi risultati già conseguiti nella bonifica di alcuni SIN, è necessario assicurare la continuità dei finanziamenti anche alla luce del fatto che la recentissima Legge 7.8.2012, n. 134 «Misure urgenti per la crescita del Paese ha previsto all'articolo 36-bis (Razionalizzazione dei criteri di individuazione dei siti di interesse nazionale), al comma 2-bis, che “Sono in ogni caso individuati quali siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, i siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto”»;
    secondo il Piano Nazionale Amianto pubblicato nel marzo u.s. dal Ministero della Salute, in funzione dei finanziamenti disponibili, tra i circa 380 siti in classe di rischio 1 devono essere individuati quelli caratterizzati da più diffusa rilevanza sociale ed ambientale come ad esempio scuole, caserme ed ospedali in contesto urbano;
    sempre secondo il suddetto Piano, per gli interventi di messa in sicurezza di emergenza si può stimare un fabbisogno immediato di alcune decine di milioni di euro;
    è necessario coinvolgere il Ministero dell'Istruzione per mettere in atto e completare nell'arco temporale di tre – cinque anni, in modo omogeneo a livello nazionale, i necessari interventi di bonifica degli edifici scolastici, garantendo la prevenzione nei confronti della popolazione più giovane;
    il reperimento delle risorse finanziarie può essere coadiuvato da interventi di defiscalizzazione delle attività di bonifica, come ad esempio la sostituzione delle coperture con pannelli fotovoltaici, oppure prevedere l'esclusione dei fondi destinati alla bonifica dell'amianto dal «Patto di Stabilita»,

impegna il Governo:

   a procedere senza ulteriori rinvii ad assumere tutte le iniziative, anche normative, per la completa bonifica dall'amianto nelle scuole italiane, recuperando in tempi rapidi le risorse già stanziate ed i fondi europei già destinati, ed escludendo, ai fini del computo del saldo finanziario rilevante per la verifica del rispetto del Patto di stabilità interno di cui agli articoli 31 e 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183, le spese in conto capitale effettuate da regioni ed enti locali mediante utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, necessarie per la realizzazione di opere immediatamente cantierabili finalizzate alla messa in sicurezza ed alla bonifica dell'amianto negli edifici scolastici;
   ad assumere iniziative normative atte ad escludere dal saldo finanziario del Patto di Stabilità le spese sostenute dagli enti locali per interventi finalizzati alla bonifica dei Siti di interesse nazionale (SIN), ed a favorire l'autorizzazione di nuovi siti dedicati allo smaltimento, anche mediante l'impiego di cave e miniere dismesse gestite e controllate da enti pubblici.
9/1248-A-R/89Lavagno, Pilozzi, Zaratti, Melilla, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame contiene all'articolo 18, commi 8 ed 8-bis, misure in materia di riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici;
    dopo 20 anni dalla sua messa al bando, l'amianto è presente ancora in oltre 2.400 le scuole italiane. Secondo una stima in difetto dell'Osservatorio – nazionale amianto, che fotografa la situazione drammatica in cui versano gli istituti scolastici, sono oltre 30mila, tra ragazzi, docenti, bidelli ed amministrativi, le persone esposte al rischio di sviluppare una patologia incurabile;
    la presenza di questo materiale altamente nocivo, che aveva trovato fino al 1992 larghissimo impiego in moltissimi settori ed in particolare nell'edilizia, è distribuita in percentuali più o meno simili sull'intero territorio nazionale, ove si continua a morire, al ritmo di circa 5mila vittime l'anno, di patologie terribili che possono sorgere anche dopo 30-40 anni dalla prima esposizione all'agente patogeno;
    di fatto in tutto il Paese si continua a rinvenire amianto in manufatti ancora in opera, soprattutto in grandi impianti a servizio di processi produttivi, navi e traghetti, oltre che negli ambienti di vita pubblica come, oltre alle scuole, gli ospedali e altri edifici aperti al pubblico, e, dunque, si rende necessario incentivarne la bonifica;
    dal 1992 ad oggi, anno di emanazione della legge n. 257 in materia di cessazione dell'impiego dell'amianto, la stessa è stata soltanto parzialmente attuata per ciò che concerne la mappatura della presenza di amianto e la relativa bonifica, nonché per l'individuazione dei siti di discarica o le modalità di trattamento del materiale rimosso;
    la vastità e la gravità del fenomeno è testimoniata anche dai dati derivanti dalla perimetrazione dei SIN (Siti di interesse nazionale), che ne individuano 57 su tutto il territorio nazionale, con il coinvolgimento di oltre 300 comuni e con una superficie interessata pari a 1.800 chilometri quadrati di aree marine, lagunari e lacustri e 5.500 chilometri quadrati di aree terrestri;
    la legislazione italiana riconosce quali Siti d'Interesse Nazionale (SIN) quelle aree in cui l'inquinamento di suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee è talmente esteso e grave da costituire un serio pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente naturale si tratta in generale di zone industriali dismesse, aree in cui l'attività industriale è ancora attiva, porti, ex miniere, cave, discariche non conformi alla legislazione, discariche abusive;
    le bonifiche di queste aree possano favorire ricerca e innovazione, creare occupazione e salvaguardare territorio e salute umana. Per trasformarle da problema a opportunità ci sono però alcuni passaggi obbligati come la fine della gestione emergenziale, un Piano Nazionale per le bonifiche dei SIN che miri a investimenti legati a efficienza e sostenibilità, certezza sulle risorse finanziarie da parte del Governo e soprattutto un confronto aperto con le rappresentanze di cittadini, sindacati e associazioni ambientaliste;
    attesi i positivi risultati già conseguiti nella bonifica di alcuni SIN, è necessario assicurare la continuità dei finanziamenti anche alla luce del fatto che la recentissima Legge 7.8.2012, n. 134 «Misure urgenti per la crescita del Paese ha previsto all'articolo 36-bis (Razionalizzazione dei criteri di individuazione dei siti di interesse nazionale), al comma 2-bis, che “Sono in ogni caso individuati quali siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, i siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto”»;
    secondo il Piano Nazionale Amianto pubblicato nel marzo u.s. dal Ministero della Salute, in funzione dei finanziamenti disponibili, tra i circa 380 siti in classe di rischio 1 devono essere individuati quelli caratterizzati da più diffusa rilevanza sociale ed ambientale come ad esempio scuole, caserme ed ospedali in contesto urbano;
    sempre secondo il suddetto Piano, per gli interventi di messa in sicurezza di emergenza si può stimare un fabbisogno immediato di alcune decine di milioni di euro;
    è necessario coinvolgere il Ministero dell'Istruzione per mettere in atto e completare nell'arco temporale di tre – cinque anni, in modo omogeneo a livello nazionale, i necessari interventi di bonifica degli edifici scolastici, garantendo la prevenzione nei confronti della popolazione più giovane;
    il reperimento delle risorse finanziarie può essere coadiuvato da interventi di defiscalizzazione delle attività di bonifica, come ad esempio la sostituzione delle coperture con pannelli fotovoltaici, oppure prevedere l'esclusione dei fondi destinati alla bonifica dell'amianto dal «Patto di Stabilita»,

impegna il Governo:

   a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di procedere senza ulteriori rinvii ad assumere tutte le iniziative, anche normative, per la completa bonifica dall'amianto nelle scuole italiane, recuperando in tempi rapidi le risorse già stanziate ed i fondi europei già destinati, ed escludendo, ai fini del computo del saldo finanziario rilevante per la verifica del rispetto del Patto di stabilità interno di cui agli articoli 31 e 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183, le spese in conto capitale effettuate da regioni ed enti locali mediante utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, necessarie per la realizzazione di opere immediatamente cantierabili finalizzate alla messa in sicurezza ed alla bonifica dell'amianto negli edifici scolastici;
   ad assumere iniziative normative atte ad escludere dal saldo finanziario del Patto di Stabilità le spese sostenute dagli enti locali per interventi finalizzati alla bonifica dei Siti di interesse nazionale (SIN), ed a favorire l'autorizzazione di nuovi siti dedicati allo smaltimento, anche mediante l'impiego di cave e miniere dismesse gestite e controllate da enti pubblici.
9/1248-A-R/89. (Testo modificato nel corso della seduta) Lavagno, Pilozzi, Zaratti, Melilla, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, all'articolo 3 in materia di programmazione forestale, prevede al comma 1, l'emanazione di linee guida da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali e del Ministero dell'ambiente sulla cui base le Regioni definiscono le linee di tutela, conservazione, valorizzazione e sviluppo del settore forestale nel territorio di loro competenza attraverso la redazione e la revisione dei propri piani forestali;
    con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 16 giugno 2005 sono state quindi emanate le suddette «Linee guida di programmazione forestale», relativamente agli interventi per una gestione forestale sostenibile, e all'individuazione di obiettivi strategici della politica forestale nazionale; l'articolo 1, punto V, delle Linee guida di programmazione forestale prevede un fabbisogno finanziario per la realizzazione dei piani di cui alle presenti linee guida è stimato in termini programmatici in 250 milioni di euro per ciascun anno del biennio 2006-2007;
    nessuna risorsa è stata in seguito stanziata e ripartita tra le Regioni; la legge n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007) prevede, al comma 1082 dell'articolo 1, un programma quadro per il settore forestale finalizzato a favorire la gestione forestale sostenibile e a valorizzare la multifunzionalità degli ecosistemi forestali. Le azioni previste dal programma quadro possono accedere alle risorse di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nei limiti definiti dal CIPE nella deliberazione di cui allo stesso articolo 61, comma 3, della citata legge n. 289 del 2002.»;
    il comma 1084 dell'articolo 1 ha disposto che per l'attuazione dei piani nazionali di settore, compreso quello forestale, di competenza del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2007 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009;
    nessuna risorsa è stata in seguito stanziata e ripartita tra le Regioni;
    il Programma Quadro per il Settore Forestale (PQSF), oggetto dell'Accordo sancito il 18 dicembre 2008, prevede 25 azioni chiave da sostenere per l'attuazione dell'obiettivo di Piano di incentivare la gestione forestale sostenibile al fine di tutelare il territorio, contenere il cambiamento climatico, attivando e rafforzando la filiera forestale dalla sua base produttiva e garantendo, nel lungo termine, la diversità delle risorse forestali; Il PQSF è uno strumento di programmazione nazionale fondamentale per la manutenzione del territorio, redatto e pienamente concordato con le Regioni, e i Piani forestali regionali sono ad esso conformi. Pertanto gli interventi e le azioni di manutenzione del territorio in questi previsti sarebbero immediatamente cantierabili; si rammenta, infine, la discussione alla Camera dei deputati su alcune mozioni sulla messa in sicurezza del territorio e la loro approvazione avvenuta lo scorso 26 giugno, testimoniano la sensibilità dell'istituzione al tema della prevenzione dei dissesti tramite l'auspicato finanziamento di un programma di manutenzione e di messa in sicurezza del territorio, con particolare riguardo alla gestione sostenibile dei boschi, alle sistemazioni idrauliche e agli interventi idrogeologici,

impegna il Governo:

a individuare, fin dalla prossima legge di stabilità, le risorse necessarie per il finanziamento del Programma Quadro per il Settore Forestale, per l'attuazione della gestione forestale sostenibile e, di conseguenza, per finanziare gli interventi e le azioni dei piani forestali regionali, ai fini della manutenzione e messa in sicurezza del nostro territorio, interventi ed azioni con certo e positivo riflesso anche per le positive ricadute occupazionali.
9/1248-A-R/90Zan, Zaratti, Pellegrino, Marcon, Pilozzi, Boccadutri, Melilla, Kronbichler, Gadda.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227, all'articolo 3 in materia di programmazione forestale, prevede al comma 1, l'emanazione di linee guida da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali e del Ministero dell'ambiente sulla cui base le Regioni definiscono le linee di tutela, conservazione, valorizzazione e sviluppo del settore forestale nel territorio di loro competenza attraverso la redazione e la revisione dei propri piani forestali;
    con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 16 giugno 2005 sono state quindi emanate le suddette «Linee guida di programmazione forestale», relativamente agli interventi per una gestione forestale sostenibile, e all'individuazione di obiettivi strategici della politica forestale nazionale; l'articolo 1, punto V, delle Linee guida di programmazione forestale prevede un fabbisogno finanziario per la realizzazione dei piani di cui alle presenti linee guida è stimato in termini programmatici in 250 milioni di euro per ciascun anno del biennio 2006-2007;
    nessuna risorsa è stata in seguito stanziata e ripartita tra le Regioni; la legge n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007) prevede, al comma 1082 dell'articolo 1, un programma quadro per il settore forestale finalizzato a favorire la gestione forestale sostenibile e a valorizzare la multifunzionalità degli ecosistemi forestali. Le azioni previste dal programma quadro possono accedere alle risorse di cui all'articolo 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nei limiti definiti dal CIPE nella deliberazione di cui allo stesso articolo 61, comma 3, della citata legge n. 289 del 2002.»;
    il comma 1084 dell'articolo 1 ha disposto che per l'attuazione dei piani nazionali di settore, compreso quello forestale, di competenza del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2007 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009;
    nessuna risorsa è stata in seguito stanziata e ripartita tra le Regioni;
    il Programma Quadro per il Settore Forestale (PQSF), oggetto dell'Accordo sancito il 18 dicembre 2008, prevede 25 azioni chiave da sostenere per l'attuazione dell'obiettivo di Piano di incentivare la gestione forestale sostenibile al fine di tutelare il territorio, contenere il cambiamento climatico, attivando e rafforzando la filiera forestale dalla sua base produttiva e garantendo, nel lungo termine, la diversità delle risorse forestali; Il PQSF è uno strumento di programmazione nazionale fondamentale per la manutenzione del territorio, redatto e pienamente concordato con le Regioni, e i Piani forestali regionali sono ad esso conformi. Pertanto gli interventi e le azioni di manutenzione del territorio in questi previsti sarebbero immediatamente cantierabili; si rammenta, infine, la discussione alla Camera dei deputati su alcune mozioni sulla messa in sicurezza del territorio e la loro approvazione avvenuta lo scorso 26 giugno, testimoniano la sensibilità dell'istituzione al tema della prevenzione dei dissesti tramite l'auspicato finanziamento di un programma di manutenzione e di messa in sicurezza del territorio, con particolare riguardo alla gestione sostenibile dei boschi, alle sistemazioni idrauliche e agli interventi idrogeologici,

impegna il Governo:

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di individuare, fin dalla prossima legge di stabilità, le risorse necessarie per il finanziamento del Programma Quadro per il Settore Forestale, per l'attuazione della gestione forestale sostenibile e, di conseguenza, per finanziare gli interventi e le azioni dei piani forestali regionali, ai fini della manutenzione e messa in sicurezza del nostro territorio, interventi ed azioni con certo e positivo riflesso anche per le positive ricadute occupazionali.
9/1248-A-R/90. (Testo modificato nel corso della seduta) Zan, Zaratti, Pellegrino, Marcon, Pilozzi, Boccadutri, Melilla, Kronbichler, Gadda.


   La Camera,
   premesso che:
    il costo dell'energia elettrica in Italia, per molteplici ragioni di tipo strutturale, economico e giuridico, negli ultimi anni è stato molto al di sopra della media europea costituendo un pesante limite allo sviluppo dell'industria e un fardello per le famiglie italiane;
    negli ultimi anni, fattori concomitanti come la crisi economica e la diffusione massiccia delle fonti energetiche rinnovabili, hanno contribuito a ridurre drasticamente il Prezzo medio dell'energia elettrica scambiata sul mercato riavvicinandolo agli standard europei;
    in particolare le fonti rinnovabili, producendo energia a costi marginali pari a zero, hanno avuto un ruolo decisivo nell'abbassare i costi dell'energia elettrica specie nelle ore centrali della giornata;
    uno dei principali strumenti che ha consentito tale diffusione è stato l'istituto dello «scambio sul posto» (SSP) che consente al proprietario di un impianto a fonte rinnovabile di scambiare il valore dell'energia prodotta dal proprio impianto con quella effettivamente prelevata dalla rete;
    oggi questo istituto presenta dei limiti che ne impediscono un pieno dispiegamento dal momento che gli incentivi pubblici volgono correttamente al termine e che le tecnologie delle fonti rinnovabili, in primis quella fotovoltaico ed eolica, possono essere competitive sul mercato senza bisogno di incentivi pubblici ma in un quadro giuridico certo e favorevole;
    in particolare, lo scambio sul posto, per poter ampliare i suoi effetti sul costo complessivo dell'energia, necessita di cambiamenti normativi volti ad aumentare la potenza dell'impianto entro la quale è possibile fruire dello scambio sul posto e di eliminare il principio dell'obbligo di coincidenza fisica del punto di immissione in rete dell'energia rinnovabile prodotta e del punto di prelievo dell'energia dalla rete;
    ciò amplierebbe in maniera considerevole la platea di soggetti in grado di fruire dell'istituto, attesa che spesso i tetti delle abitazioni e dei capannoni industriali non consentono di installare il proprio impianto;
    in ogni caso, tali cambiamenti dovrebbero avvenire tenendo conto dei costi di dispacciamento e degli oneri di gestione della rete elettrica,

impegna il Governo:

   a elaborare e approvare una proposta di modifica della disciplina dell'istituto dello «Scambio sul posto», di cui alla Delibera AEEG 74/2008, basata sui seguenti principi:
    innalzamento della potenza massima dell'impianto entro la quale poter fruire dello scambio sul posto;
    eliminazione dell'obbligo di coincidenza fisica tra i punti di immissione e di prelievo per tutti gli utenti che si avvalgono dello scambio sul posto (SSP), tenuto degli oneri di dispacciamento, trasmissione e gestione della rete elettrica.
9/1248-A-R/91Piazzoni, Pilozzi, Zaratti, Zan, Lacquaniti, Pellegrino.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 57 del decreto legge reca interventi ministeriali diretti al sostegno e allo sviluppo delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale, mediante la concessione di contributi alla spesa nel limite del 50 per cento della quota relativa alla contribuzione a fondo perduto disponibili sul Fondo per la ricerca applicata (FAR);
    il FAR fu creato nel 1999 proprio con lo scopo di riordinare e razionalizzare tutto il sistema di agevolazione alla ricerca industriale gestito dal MIUR (all'epoca MURST);
    gli interventi da finanziare riguardano principalmente lo sviluppo di start up innovative e di spin off universitari, la valorizzazione di progetti di social innovation per giovani con meno di 30 anni, il potenziamento del rapporto tra il mondo della ricerca pubblica e le imprese, il potenziamento infrastrutturale delle università e degli enti pubblici di ricerca;
    in pratica il Governo utilizza risorse già destinate alla ricerca, procedendo ad una diversa ripartizione e, in parte, diversa finalizzazione, ma non ne stanzia di nuove;
    in particolare, il comma 1, alla lettera i), dispone che i contributi sono destinati anche al «ai supporto e alla incentivazione dei ricercatori che risultino vincitori di grant europei o di progetti a carico dei fondi PRIN o FIRB»;
    così come è formulata, la disposizione sembra voler dire che il sostegno economico viene assicurato ad integrazione delle somme derivanti da grant europei o da PRIN o FIRB, ma tali programmi coprono già completamente i costi della ricerca e dei ricercatori;
    sarebbe necessario che il Governo chiarisse che il sostegno economico viene dato per progetti ulteriori elaborati da ricercatori che abbiano fatto parte di team di ricerca finanziati da progetti europei, PRIN o FIRB;
    inoltre, è fondamentale che il Governo chiarisca che i beneficiari degli incentivi alla ricerca siano non solo i vincitori, ma tutti i ricercatori che abbiano fatti parte di team di ricerca finanziati da grant europei o da PRIN o FIRB;
    infatti, il vincitore è soltanto uno, ma i risultati scientifici e le elaborazioni dei progetti vanno ascritti anche e soprattutto all'intero team di ricercatori e non solo chi lo ha vinto;
    in caso contrario verrebbero danneggiati i ricercatori più giovani, che pur essendo coloro che più attivamente partecipano a ricerche scientifiche, finanziati da grant europei o da PRIN o FIRB, non possiedono i requisiti per poterne essere presentatori e vincitori,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere, nell'ambito del comma 1, lettera i), dell'articolo 57, che il sostegno e l'incentivazione è per progetti di ricerca ulteriori elaborati da ricercatori che risultino aver partecipato – e non solo che ne siano vincitori – a progetti finanziati da grant europei o a progetti a carico dei fondi PRIN o FIRB.
9/1248-A-R/92Giancarlo Giordano, Costantino, Fratoianni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 59 del decreto legge stanzia risorse per l'erogazione di «borse per la mobilità» a favore di studenti che, avendo conseguito risultati scolastici eccellenti, intendano iscriversi a corsi di laurea in regioni diverse da quella di residenza;
    l'articolo prevede che venga predisposta una graduatoria unica nazionale dei vincitori delle borse di studio, al cui pagamento provvederanno direttamente le Università con le risorse ad esse trasferite dal Ministero;
    condizione per l'assegnazione delle borse di studio è che lo studente si iscriva presso una università collocata in regione diversa da quella di residenza della propria famiglia;
    in considerazione di tale condizione, il giudizio su tali borse di studio non può che essere negativo, in quanto promuovono la «migrazione» di studenti dalle università ubicate nelle regioni di residenza verso quelle di altre regioni;
    già oggi esiste un problema di trasferimento massiccio di studenti universitari dalle Università del Sud a quelle del Nord, che determina un forte impoverimento del tessuto sociale, economico e politico delle regioni del Mezzogiorno. Molti studenti che migrano per studiare non fanno ritorno nelle proprie regioni una volta laureati;
    occorre favorire i più meritevoli e meno abbienti che vogliano iscriversi all'università, ma senza costringerli alla migrazione. Tale obiettivo può essere raggiunto aumentando le risorse per il diritto allo studio che sono sempre più ridotte,

impegna il Governo:

a individuare e stanziare maggiori risorse per il diritto allo studio universitario, a favore di giovani meritevoli e non abbienti, senza costringerli ad abbandonare – per usufruire del diritto, le regioni di residenza.
9/1248-A-R/93Costantino, Fratoianni, Giancarlo Giordano.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 59 del decreto legge stanzia risorse per l'erogazione di «borse per la mobilità» a favore di studenti che, avendo conseguito risultati scolastici eccellenti, intendano iscriversi a corsi di laurea in regioni diverse da quella di residenza;
    l'articolo prevede che venga predisposta una graduatoria unica nazionale dei vincitori delle borse di studio, al cui pagamento provvederanno direttamente le Università con le risorse ad esse trasferite dal Ministero;
    condizione per l'assegnazione delle borse di studio è che lo studente si iscriva presso una università collocata in regione diversa da quella di residenza della propria famiglia;
    in considerazione di tale condizione, il giudizio su tali borse di studio non può che essere negativo, in quanto promuovono la «migrazione» di studenti dalle università ubicate nelle regioni di residenza verso quelle di altre regioni;
    già oggi esiste un problema di trasferimento massiccio di studenti universitari dalle Università del Sud a quelle del Nord, che determina un forte impoverimento del tessuto sociale, economico e politico delle regioni del Mezzogiorno. Molti studenti che migrano per studiare non fanno ritorno nelle proprie regioni una volta laureati;
    occorre favorire i più meritevoli e meno abbienti che vogliano iscriversi all'università, ma senza costringerli alla migrazione. Tale obiettivo può essere raggiunto aumentando le risorse per il diritto allo studio che sono sempre più ridotte,

impegna il Governo:

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di individuare e stanziare maggiori risorse per il diritto allo studio universitario, a favore di giovani meritevoli e non abbienti, senza costringerli ad abbandonare – per usufruire del diritto, le regioni di residenza.
9/1248-A-R/93. (Testo modificato nel corso della seduta) Costantino, Fratoianni, Giancarlo Giordano.


   La Camera,
   premesso che:
    con riferimento alle professioni regolamentate, il decreto legge 138 del 2011, all'articolo 3, comma 5, ha disposto che con decreto del Presidente della Repubblica, gli ordinamenti professionali devono essere riformati anche al fine di prevedere, tra l'altro, l'obbligo da parte del professionista di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti; il suddetto decreto del Presidente della Repubblica, del 7 agosto 2012, n. 137, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2012, n. 189, e all'articolo 5 ha disposto che il suindicato obbligo di assicurazione «acquista efficacia decorsi dodici mesi dall'entrata in vigore del presente decreto»;
    il termine quindi per la stipula di un'assicurazione obbligatoria da parte dei professionisti per i danni derivanti al cliente dall'esercizio dell'attività professionale, è fissato al 15 agosto 2013. Da questa data il professionista, al momento dell'assunzione dell'incarico, sarà tenuto a riferire al cliente gli estremi della polizza e il relativo massimale;
    il disegno di legge di conversione in esame, prevede all'articolo 44, comma 4-quater, che unicamente per gli esercenti le professioni sanitarie, gli obblighi di assicurazione, si applicano decorsi due anni dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto del Presidente della Repubblica. L'obbligatorietà scatta quindi ad agosto 2014, un anno dopo quanto previsto per gli altri ordini professionali,

impegna il Governo:

ad adottare ulteriori iniziative normative volte ad estendere la prevista proroga per la stipula di un'assicurazione obbligatoria da parte dei professionisti, ora concessa esclusivamente per le professioni sanitarie, anche alle altre categorie professionali, di cui all'articolo 3, del decreto legge 138 del 2011.
9/1248-A-R/94Pellegrino, Brandolin, Gandolfi, Garofalo, Oliverio, Manfredi, Rizzetto.


   La Camera,
   premesso che:
    con riferimento alle professioni regolamentate, il decreto legge 138 del 2011, all'articolo 3, comma 5, ha disposto che con decreto del Presidente della Repubblica, gli ordinamenti professionali devono essere riformati anche al fine di prevedere, tra l'altro, l'obbligo da parte del professionista di stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale. Le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti; il suddetto decreto del Presidente della Repubblica, del 7 agosto 2012, n. 137, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2012, n. 189, e all'articolo 5 ha disposto che il suindicato obbligo di assicurazione «acquista efficacia decorsi dodici mesi dall'entrata in vigore del presente decreto»;
    il termine quindi per la stipula di un'assicurazione obbligatoria da parte dei professionisti per i danni derivanti al cliente dall'esercizio dell'attività professionale, è fissato al 15 agosto 2013. Da questa data il professionista, al momento dell'assunzione dell'incarico, sarà tenuto a riferire al cliente gli estremi della polizza e il relativo massimale;
    il disegno di legge di conversione in esame, prevede all'articolo 44, comma 4-quater, che unicamente per gli esercenti le professioni sanitarie, gli obblighi di assicurazione, si applicano decorsi due anni dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto del Presidente della Repubblica. L'obbligatorietà scatta quindi ad agosto 2014, un anno dopo quanto previsto per gli altri ordini professionali,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di estendere la proroga per la stipula di un'assicurazione obbligatoria da parte dei professionisti, ora concessa esclusivamente per le professioni sanitarie, anche alle altre categorie professionali, di cui all'articolo 3, del decreto legge 138 del 2011.
9/1248-A-R/94. (Testo modificato nel corso della seduta) Pellegrino, Brandolin, Gandolfi, Garofalo, Oliverio, Manfredi, Rizzetto.


   La Camera,
   premesso che:
    il Presidente del Consiglio Letta ha ribadito in più di una occasione l'importanza della valorizzazione della cultura (intesa sia come tutela del patrimonio culturale si come produzione culturale) e l'impegno dell'esecutivo in tal senso;
    l'articolo 11 del provvedimento proroga di un solo anno le agevolazioni scadenti il 31 dicembre prossimo per la produzione, la distribuzione e l'esercizio per il settore cinematografico, disponendo uno stanziamento ridotto del 50 per cento delle risorse inizialmente previste che ammontavano a 90 milioni per tre anni;
    lo stanziamento di 45 milioni di euro è insufficiente a raggiungere i sopraddetti scopi, sia per l'esiguità della somma (si tenga conto che, negli anni 2011 e 2011, sono stati utilizzati dagli interessati crediti d'imposta per circa 70 milioni di euro annui), sia per la mancanza di previsioni per gli anni successivi al prossimo, il che costituisce un fattore fortemente disincentivante all'uso dell'agevolazione;
    l'attività del settore cinematografico, è fortemente connotata dalla necessità di programmazione a lunga scadenza e da utili e significative certezze, soprattutto in questo difficile frangente economico, sul mantenimento di uno strumento di sostegno che ha dato, in questi primi quattro anni di attuazione, ottimi risultati, tanto da essere considerato ormai imprescindibile per il cinema italiano;
    una quota ridotta di tax credit renderebbe di fatto inutile e ingestibile la misura, bloccando nell'immediato il 90 per cento dei film prodotti sul territorio e facendo perdere già da quest'anno occupazione a oltre 2500 lavoratori del settore;
    la mancanza di adeguate risorse metterebbe a rischio l'arrivo di produzioni estere sul territorio italiano e, nel contempo, provocherebbe la delocalizzazione all'estero delle produzioni, vanificando l'impatto sul territorio, anche grazie all'incremento del turismo;
    si annullerebbe in tal modo l'effetto virtuoso dell'emersione del lavoro sommerso, praticamente azzerato nel settore grazie all'introduzione del tax credit, per non dimenticare che il 40 per cento delle sale cinematografiche, in prevalenza piccole e medie strutture, non potrà digitalizzare gli impianti, rischiando così la chiusura,

impegna il Governo:

a considerare, nella predisposizione della prossima legge di stabilità o attraverso ogni altra iniziativa, anche di tipo normativo, che riterrà idonea, l'opportunità e necessità di assicurare risorse adeguate all'agevolazione di cui in premessa e valutarne una sua doverosa stabilizzazione e consolidamento come misura permanente per lo sviluppo del cinema italiano.
9/1248-A-R/95Andrea Romano, Zanetti, Nesi.


   La Camera,
   premesso che:
    il Presidente del Consiglio Letta ha ribadito in più di una occasione l'importanza della valorizzazione della cultura (intesa sia come tutela del patrimonio culturale si come produzione culturale) e l'impegno dell'esecutivo in tal senso;
    l'articolo 11 del provvedimento proroga di un solo anno le agevolazioni scadenti il 31 dicembre prossimo per la produzione, la distribuzione e l'esercizio per il settore cinematografico, disponendo uno stanziamento ridotto del 50 per cento delle risorse inizialmente previste che ammontavano a 90 milioni per tre anni;
    lo stanziamento di 45 milioni di euro è insufficiente a raggiungere i sopraddetti scopi, sia per l'esiguità della somma (si tenga conto che, negli anni 2011 e 2011, sono stati utilizzati dagli interessati crediti d'imposta per circa 70 milioni di euro annui), sia per la mancanza di previsioni per gli anni successivi al prossimo, il che costituisce un fattore fortemente disincentivante all'uso dell'agevolazione;
    l'attività del settore cinematografico, è fortemente connotata dalla necessità di programmazione a lunga scadenza e da utili e significative certezze, soprattutto in questo difficile frangente economico, sul mantenimento di uno strumento di sostegno che ha dato, in questi primi quattro anni di attuazione, ottimi risultati, tanto da essere considerato ormai imprescindibile per il cinema italiano;
    una quota ridotta di tax credit renderebbe di fatto inutile e ingestibile la misura, bloccando nell'immediato il 90 per cento dei film prodotti sul territorio e facendo perdere già da quest'anno occupazione a oltre 2500 lavoratori del settore;
    la mancanza di adeguate risorse metterebbe a rischio l'arrivo di produzioni estere sul territorio italiano e, nel contempo, provocherebbe la delocalizzazione all'estero delle produzioni, vanificando l'impatto sul territorio, anche grazie all'incremento del turismo;
    si annullerebbe in tal modo l'effetto virtuoso dell'emersione del lavoro sommerso, praticamente azzerato nel settore grazie all'introduzione del tax credit, per non dimenticare che il 40 per cento delle sale cinematografiche, in prevalenza piccole e medie strutture, non potrà digitalizzare gli impianti, rischiando così la chiusura,

impegna il Governo:

a considerare, nella predisposizione della prossima legge di stabilità o attraverso ogni altra iniziativa, anche di tipo normativo, che riterrà idonea, l'opportunità di assicurare risorse adeguate all'agevolazione di cui in premessa e valutarne una sua doverosa stabilizzazione e consolidamento come misura permanente per lo sviluppo del cinema italiano.
9/1248-A-R/95. (Testo modificato nel corso della seduta) Andrea Romano, Zanetti, Nesi.


   La Camera,
   premesso che:
    il costo dell'energia elettrica in Italia, per molteplici ragioni di tipo strutturale, economico e giuridico, negli ultimi anni è stato molto al di sopra della media europea costituendo un pesante limite allo sviluppo dell'industria e un fardello per le famiglie italiane;
    negli ultimi anni, fattori concomitanti come la crisi economica e la diffusione massiccia delle fonti energetiche rinnovabili, hanno contribuito a ridurre drasticamente il Prezzo medio dell'energia elettrica scambiata sul mercato riavvicinandolo agli standard europei;
    il sistema degli incentivi pubblici in favore dei soggetti che utilizzano bioliquidi per la produzione di energia termica ed elettrica è stato concepito per ridurre la dipendenza dall'estero del sistema Italia e aumentare la competitività delle imprese che fruiscono degli incentivi;
    nella maggioranza dei casi infatti, i soggetti che utilizzano tale forma di incentivi utilizzano per le esigenze proprie e per le società ad esse collegate l'energia elettrica e termica prodotta dagli impianti;
    ciò ha consentito a tali imprese di restare competitive sul mercato nazionale e internazionale abbassando notevolmente l'incidenza dei costi energetici, notoriamente i più alti in Europa;
    l'articolo 5, comma 7, del disegno di legge in esame, riguarda il mancato aumento degli incentivi per l'energia elettrica prodotta da biocombustibili liquidi. Detto comma abroga infatti i commi 7-bis, 7-ter e 7-quater dell'articolo 25 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, come introdotti dalla legge di stabilità 2013; in tal modo si abrogano quindi le norme della legge stabilità 2013, che prevedevano una maggiorazione degli incentivi all'elettricità prodotta da biocombustibili liquidi entro un limite massimo di ore annue di funzionamento, che doveva essere definito con decreto ministeriale. Non ci sarà, quindi il ritocco al rialzo previsto, che avrebbe consentito, a patto di ridurre la produzione, di avere incentivi maggiorati a tutti gli impianti esistenti da «bioliquidi sostenibili»;
    in sostituzione del suddetto meccanismo di incentivazione, il comma 7-bis, ne introduce un altro, lasciando la possibilità ai titolari di impianti di generazione energia elettrica alimentati da bioliquidi sostenibili entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012 di opzione tra il mantenimento al diritto agli incentivi spettanti sulla produzione di energia elettrica, come riconosciuti alla data di entrata in esercizio, oppure un meccanismo che prevede un aumento degli incentivi spettanti nei primi due anni e una riduzione negli anni successivi, o comunque entro la fine del periodo di incentivazione su una produzione di energia pari a quella sulla quale è stato riconosciuto il predetto incremento. L'incremento è applicato sul coefficiente moltiplicativo spettante per gli impianti a certificati verdi e, per gli impianti a tariffa onnicomprensiva, sulla tariffa omnicomprensiva spettante al netto del prezzo di cessione dell'energia elettrica definito dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
    dunque la riduzione degli incentivi, così come approvata, andrebbe ad arrecare danni economici notevoli poiché gli investimenti pianificati ed effettuati si sono basati su un livello di incentivi previsto dalla legge in vigore;
    le ripercussioni sui livelli occupazionali di molte imprese andrebbero ad aggravare una già pesante situazione sociale in molti territori;
    sarebbe dunque corretto mantenere il livello degli incentivi in favore dei bioliquidi sostenibili, quantomeno a favore di quegli impianti operanti in assetto cogenerativo e la cui generazione sia destinata, principalmente, ad alimentare, siti industriali, artigianali, dei servizi, complessi produttivi, attività industriali collegate e con forte propensione all'esportazione, anche indirettamente per il tramite di società partecipate,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere adeguati incentivi in favore dei bioliquidi sostenibili per gli impianti operanti in assetto cogenerativo e la cui generazione sia destinata, principalmente, ad alimentare, siti industriali, artigianali, dei servizi, complessi produttivi, attività industriali collegate e con forte propensione all'esportazione, anche indirettamente per il tramite di società partecipate.
9/1248-A-R/96Pilozzi, Zaratti, Zan, Pellegrino, Piazzoni.


   La Camera,
   premesso che:
    il costo dell'energia elettrica in Italia, per molteplici ragioni di tipo strutturale, economico e giuridico, negli ultimi anni è stato molto al di sopra della media europea costituendo un pesante limite allo sviluppo dell'industria e un fardello per le famiglie italiane;
    negli ultimi anni, fattori concomitanti come la crisi economica e la diffusione massiccia delle fonti energetiche rinnovabili, hanno contribuito a ridurre drasticamente il Prezzo medio dell'energia elettrica scambiata sul mercato riavvicinandolo agli standard europei;
    il sistema degli incentivi pubblici in favore dei soggetti che utilizzano bioliquidi per la produzione di energia termica ed elettrica è stato concepito per ridurre la dipendenza dall'estero del sistema Italia e aumentare la competitività delle imprese che fruiscono degli incentivi;
    nella maggioranza dei casi infatti, i soggetti che utilizzano tale forma di incentivi utilizzano per le esigenze proprie e per le società ad esse collegate l'energia elettrica e termica prodotta dagli impianti;
    ciò ha consentito a tali imprese di restare competitive sul mercato nazionale e internazionale abbassando notevolmente l'incidenza dei costi energetici, notoriamente i più alti in Europa;
    l'articolo 5, comma 7, del disegno di legge in esame, riguarda il mancato aumento degli incentivi per l'energia elettrica prodotta da biocombustibili liquidi. Detto comma abroga infatti i commi 7-bis, 7-ter e 7-quater dell'articolo 25 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, come introdotti dalla legge di stabilità 2013; in tal modo si abrogano quindi le norme della legge stabilità 2013, che prevedevano una maggiorazione degli incentivi all'elettricità prodotta da biocombustibili liquidi entro un limite massimo di ore annue di funzionamento, che doveva essere definito con decreto ministeriale. Non ci sarà, quindi il ritocco al rialzo previsto, che avrebbe consentito, a patto di ridurre la produzione, di avere incentivi maggiorati a tutti gli impianti esistenti da «bioliquidi sostenibili»;
    in sostituzione del suddetto meccanismo di incentivazione, il comma 7-bis, ne introduce un altro, lasciando la possibilità ai titolari di impianti di generazione energia elettrica alimentati da bioliquidi sostenibili entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012 di opzione tra il mantenimento al diritto agli incentivi spettanti sulla produzione di energia elettrica, come riconosciuti alla data di entrata in esercizio, oppure un meccanismo che prevede un aumento degli incentivi spettanti nei primi due anni e una riduzione negli anni successivi, o comunque entro la fine del periodo di incentivazione su una produzione di energia pari a quella sulla quale è stato riconosciuto il predetto incremento. L'incremento è applicato sul coefficiente moltiplicativo spettante per gli impianti a certificati verdi e, per gli impianti a tariffa onnicomprensiva, sulla tariffa omnicomprensiva spettante al netto del prezzo di cessione dell'energia elettrica definito dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas;

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi dei commi 7 e 7-bis dell'articolo 5, tenendo conto delle misure finora vigenti in materia al fine di una evoluzione del comparto di cui in premessa che consideri le potenzialità produttive, economiche ed occupazionali dello stesso nel medio-lungo periodo – ferme restando le esigenze di contenimento della spesa complessiva per gli incentivi erogati – valutando la possibilità di tenere conto della presenza degli impianti operanti in assetto co-generativo e la cui generazione sia destinata principalmente ad alimentare siti industriali.
9/1248-A-R/96. (Testo modificato nel corso della seduta) Pilozzi, Zaratti, Zan, Pellegrino, Piazzoni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 56 del provvedimento al nostro esame prevede la proroga del termine di versamento dell'imposta sulle transazioni finanziarie dal 16 luglio (data prevista dall'ultima Legge di Stabilità) al 16 ottobre 2013;
    nello specifico la proroga interessa tutte le operazioni regolate a decorrere dal primo marzo 2013 e negoziate dopo il 28 febbraio scorso e gli ordini inviati dal primo marzo 2013 per l'imposta «antispeculazione» che riguarda i sistemi di trading ad alta frequenza;
    l'imposta sulle transazioni finanziarie scatta in caso di trasferimento della proprietà di azioni emesse da società residenti in Italia. Entro il 16 luglio, termine fissato dalla Legge di stabilità 2013, gli intermediari avrebbero dovuto corrispondere l'ITF applicando per quest'anno un'aliquota dello 0,22 per cento per i trasferimenti che avvengono in mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione;
    la posticipazione del pagamento dell'Imposta sulle transazioni finanziarie è una scelta immotivata e per questo inaccettabile, anche perché conferma il segnale di disimpegno verso la tassazione di rendite e ricchezze. La stampa ha dato notizia che lo spostamento sarebbe motivato dalla mancanza di «indicazioni sui criteri e le modalità di versamento che dovevano essere definiti dall'Agenzia delle entrate»;
    se questo fosse vero si configurerebbe, ad avviso dei presentatori del presente atto di indirizzo, una gravissima responsabilità dell'Agenzia che avrebbe ritardato la messa in opera della legge. Ma se, invece, fosse utilizzato come motivazione per giustificare il rinvio, si configurerebbe, sempre ad avviso dei presentatori del presente atto di indirizzo, di una altrettanto grave forma di boicottaggio politico di riforme fiscali che colpiscono interessi consolidati. Inoltre tale scelta ha come conseguenza la riduzione del gettito previsto (- 6,75 milioni per il 2013);
    nelle proposte dei movimenti che lottano contro la speculazione finanziaria e da parte di svariati economisti, la ITF dovrebbe essere un'imposta (dell'ordine dello 0,05 per cento) su ogni transazione finanziaria. Gli impatti sono trascurabili per chi opera con orizzonti di lungo periodo, mentre diventano tanto più rilevanti quanto più gli obiettivi sono di breve termine. Si tratta di una delle misure più efficaci per frenare la speculazione e per ridurre l'instabilità sui mercati finanziari. Dopo anni di campagne delle reti della società civile, finalmente, ad inizio 2013, la Commissione europea ha pubblicato una propria bozza di direttiva, che deve ora essere discussa e approvata dalle altre istituzioni europee;
    la proposta di un ITF nasce come strumento per «gettare un granello di sabbia negli ingranaggi della speculazione», intervenendo a monte per bloccarne gli impatti devastanti. In attesa del percorso europeo, con l'ultima legge di stabilità, il governo Monti (articolo 1, commi 491-500, legge n. 228/2012) ha introdotto l'ITF in Italia;
    la disposizione inserita dal Governo Monti nella legge di stabilità 2013 introduceva un'imposta di bollo, una proposta debole che non prevede di tassare i derivati mentre non si colpisce il trading ad alta frequenza, tanto per fare due esempi;
    viceversa, occorrerebbe essere più incisivi sul versante dei derivati, in particolare per tassare i derivati a prescindere da quale sia lo strumento finanziario trattato (il 98% non riguardano azioni) e mantenere ad ogni costo l'imposta sugli scambi ad alta frequenza,

impegna il Governo:

    a prendere le opportune iniziative, anche legislative, al fine di adeguare la normativa nazionale entro 6 mesi dall'approvazione della proposta di direttiva COM (2013) 71, prevedendo in particolare:
    a) l'introduzione del principio di emissione a complemento del più generale principio di residenza, onde limitare quanto più possibile i fenomeni di delocalizzazione degli istituti finanziari;
    b) l'applicazione dell'imposta sulle transazioni finanziarie a tutti i derivati, anche a quelli negoziati fuori mercato, ai prodotti strutturati e alle operazioni realizzate intra-gruppo o da intermediari finanziari inclusi gli hedge fund;
   e, da subito, a prendere le opportune iniziative, anche legislative, per modificare le norme nazionali vigenti in materia di Imposta sulle transazioni finanziarie, al fine di:
    1) definire il valore della transazione come valore della singola operazione, e non più come «saldo netto delle transazioni regolate giornalmente relative al medesimo strumento finanziario e concluse nella stessa giornata operativa da un medesimo soggetto, ovvero il corrispettivo versato», allo scopo di contrastare le operazioni speculative veloci e ripetute;
    2) applicare l'ITF anche ai derivati che hanno come sottostante titoli di Stato.
9/1248-A-R/97Marcon, Pilozzi, Boccadutri, Melilla, Ragosta, Paglia, Lavagno.


   La Camera,
   premesso che:
    in riferimento alle problematiche riguardanti il settore portuale italiano e in particolare l'attuazione dell'autonomia finanziaria delle Autorità Portuali;
    ritenuto che tale attuazione rappresenta uno dei principali strumenti atti a favorire lo sviluppo dei porti al fine di garantire il finanziamento degli interventi di manutenzione, messa in sicurezza e riqualificazione dei porti italiani contribuendo in tal modo anche all'avvio di numerosi cantieri dando così un contributo importante alla ripresa economica e occupazionale;
    preso atto che il decreto-legge 69 del 2013, all'articolo 22, prevede apprezzabili misure per l'aumento della produttività nei porti come l'aumento da 70 a 90 milioni di euro, a partire dall'anno 2013 e seguenti, da destinare agli investimenti alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali;
    sottolineato il ruolo strategico della portualità per la ripresa e lo sviluppo del Paese, e per favorire la competitività del sistema Paese,

impegna il Governo:

ad adottare ulteriori iniziative normative affinché, a partire dal 2014, venga data progressiva attuazione all'autonomia finanziaria destinando il due per cento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta sull'importazione delle merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto.
9/1248-A-R/98Tullo, Meta, Velo, Pagani, Mauri, Mognato, Brandolin, Bruno Bossio, Giacobbe, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    in riferimento alle problematiche riguardanti il settore portuale italiano e in particolare l'attuazione dell'autonomia finanziaria delle Autorità Portuali;
    ritenuto che tale attuazione rappresenta uno dei principali strumenti atti a favorire lo sviluppo dei porti al fine di garantire il finanziamento degli interventi di manutenzione, messa in sicurezza e riqualificazione dei porti italiani contribuendo in tal modo anche all'avvio di numerosi cantieri dando così un contributo importante alla ripresa economica e occupazionale;
    preso atto che il decreto-legge 69 del 2013, all'articolo 22, prevede apprezzabili misure per l'aumento della produttività nei porti come l'aumento da 70 a 90 milioni di euro, a partire dall'anno 2013 e seguenti, da destinare agli investimenti alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali;
    sottolineato il ruolo strategico della portualità per la ripresa e lo sviluppo del Paese, e per favorire la competitività del sistema Paese,

impegna il Governo:

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative affinché venga data progressiva attuazione ad una più ampia autonomia finanziaria di ciascun porto.
9/1248-A-R/98. (Testo modificato nel corso della seduta) Tullo, Meta, Velo, Pagani, Mauri, Mognato, Brandolin, Bruno Bossio, Giacobbe, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in commento reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, tra cui, particolare importanza per i settori economici del Paese rivestono quelle per la semplificazione amministrativa e di riduzione degli oneri per le imprese;
    le problematiche connesse con la manutenzione dei corsi d'acqua e la prevenzione del dissesto idrogeologico, con particolare riguardo per le zone montane e collinari hanno avuto un fondamentale passaggio con l'entrata in vigore dei Piani di assetto idrogeologici (PAI);
    i medesimi PAI, ai fini della tutela dell'assetto idrogeologico, prevedono specifici tagli di vegetazione da eseguirsi nell'ambito di interventi di manutenzione idraulica ai sensi del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 (Testo unico sulle opere idrauliche) nelle zone comprese nella fascia A dei piani di assetto idrogeologico per i corsi d'acqua per i quali queste sono definite, nelle zone comprese entro una fascia di 10 metri dal ciglio di sponda per gli altri corsi d'acqua nonché nelle pari di isole fluviali interessate dalla piena ordinaria;
    tale procedura viene particolarmente resa difficoltosa, onerosa e rallentata dalle previsioni di autorizzazione richieste e prescritte dall'articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio),

impegna il Governo:

a modificare la norma del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (orientamento e modernizzazione del settore forestale), stabilendo in via semplificatoria che i predetti interventi di taglio vegetazionale eseguiti nell'ambito di interventi di manutenzione idraulica, che non comportano alterazione permanente dello stato dei luoghi, non costituiscono attività selvicolturale, e pertanto per essi non venga richiesta l'autorizzazione prescritta dall'articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
9/1248-A-R/99Borghi, Bargero.


   La Camera,
   premesso che:
    straordinari eventi sismici hanno interessato tutto il territorio della Lunigiana e della Garfagnana nel mese di giugno 2013;
    i danni subiti sono ingenti, valutati per circa 70 miliardi di euro e circa 1000 abitazioni sono inagibili o parzialmente inagibili nei territori della Lunigiana (in particolare nei comuni di Fivizzano e Casola) e circa 500 abitazioni danneggiate nei territori della Garfagnana;
    gli eventi sismici, considerati straordinarietà, purtroppo, nel corso di questi ultimi anni, sono diventati quasi «ordinarietà» e costringono, gioco forza, istituzioni, enti, imprese, società civile, semplici cittadini, a ripensare e rivedere il modello di sviluppo che, dovrà, necessariamente, risultare più attento alle esigenze del territorio;
    dopo le prime fasi dell'emergenza, in cui tutto il sistema di protezione civile ha più che egregiamente fronteggiato l'incalzare dei tragici eventi assieme alle forze dello Stato, di concerto con il pronto intervento della regione Toscana e delle squadre di volontariato regionale e provinciale, nonché l'impegno dei sindaci e degli enti locali, occorre adesso mettere mano alle operazioni di messa in sicurezza del territorio e delle abitazioni nonché allo stanziamento di finanziamenti per la ricostruzione di tutte le aree danneggiate degli immobili; si tratta, è evidente, di un'opera ricostruttiva rilevante che, da prime valutazioni, prevede uno sforzo di carattere finanziario di circa 70 milioni di euro e che le finanze della provincia e dei comuni non possono assolutamente sostenere, avendo l'obbligo di fare riferimento ai vincoli di spesa che sono imposti dal patto di stabilità;
    non sono state assunte iniziative volte a prevedere uno stanziamento per le gravi problematiche che si sono evidenziate come per tutte le altre emergenze che hanno riguardato diverse province e comuni italiani,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di assumere concrete iniziative prevedendo il rifinanziamento del fondo nazionale della protezione civile, consentendo alla stessa di ottenere le funzioni di guida e di gestione della ricostruzione delle aree danneggiate oppure attraverso un provvedimento legislativo che possa far fronte alle emergenze consentendo così di procedere alle messe in sicurezza, al ripristino e alle riparazioni di immobili, così come sono stati resi disponibili i fondi per cittadini ed imprese che abbiano subito danni in seguito al terremoto nei territori di Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia con un decreto legge del 24 aprile 2013;
   a valutare la possibilità di consentire ai comuni interessati dagli eventi sismici in questione e in particolare Fivizzano, Casola in Lunigiana e Minucciano, di escludere dal patto di stabilità le spese per investimenti in opere pubbliche anche per il rilancio dell'economia in queste zone così già duramente colpite.
9/1248-A-R/100Rigoni.


   La Camera,
   premesso che
    il provvedimento in commento reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, tra cui, particolare importanza per i settori economici del Paese rivestono quelle per la semplificazione amministrativa e per il rilancio delle infrastrutture. In tale ambito l'articolo 18 reca una pluralità di interventi immediatamente finanziabili e cantierabili, con l'obiettivo di contribuire a far ripartire la crescita economica dell'Italia;
    in particolare il comma 10 prevede un programma di interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione all'ANAS Spa, che soffre di un significativo debito manutentore e che richiede, in particolare, interventi di messa in sicurezza e ripristino delle opere (ponti, viadotti, gallerie) anche in considerazione del tempo trascorso dalla costruzione che, in numerosi casi, supera la durata della «vita utile» prevista progettualmente;
   il decreto legislativo 12 giugno 2003, n. 210, di recepimento della direttiva 2000/9/CE in materia di impianti a fune, ha prodotto una sostanziale evoluzione della normativa tecnica del settore e sembrerebbe contrastare con la normativa nazionale contenuta nel decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 2 gennaio 1985, in particolare, per quello che riguarda il concetto di «vita tecnica» degli impianti a fune; infatti al pari della «vita utile» prevista per ponti, viadotti e galleria, la «vita tecnica» degli impianti a fune, come intesa dal DM 2 gennaio 1985, è il periodo di utilizzo massimo per ogni impianto, nel corso del quale la sicurezza e la regolarità del servizio possono ritenersi garantite;
    la Direttiva comunitaria 2000/9/CE, innova ed integra il concetto di «vita tecnica», considerando rilevante l'effettiva durata dell'esercizio dell'impianto e lo stato di usura dei vari componenti e non fissa rigide scadenze per l'integrale sostituzione degli impianti stessi. Infatti utilizzando i sistemi di controllo e revisione attualmente in uso possono essere garantiti i criteri di sicurezza per i viaggiatori stabiliti sia dal decreto ministeriale 2 gennaio 1985 che dalla direttiva europea 2000/9/CE affrancandosi dalla necessità di predeterminare un termine oltre il quale è vietato il funzionamento dell'impianto;
    la mancata uniforme applicazione sul territorio nazionale della normativa in oggetto, nonché il mancato adeguamento alla regolamentazione europea per le fattispecie previste, produce forti effetti distorsivi per la concorrenza, a favore di regioni – italiane ed europee – le quali, potendo usufruire di normative meno rigide, hanno oneri di ammortamento degli impianti meno gravosi e conseguentemente costi di esercizio più competitivi,

impegna il Governo:

   ad uniformare la disciplina in parola per gli impianti a fune di cui al decreto legislativo 12 giugno 2003, n. 210 e ricompresi anche nell'ambito di applicazione del decreto ministeriale 2 gennaio 1985, al fine di poter valutare e definire correttamente la vita tecnica degli impianti in rapporto all'effettivo utilizzo e stato di usura degli stessi;
   a valutare l'opportunità, nelle more dell'adeguamento normativo e nel rispetto delle esigenze di sicurezza degli utenti, di procedere ad una ulteriore proroga dei termini di scadenza degli impianti di cui al decreto ministeriale 2 gennaio 1985.
9/1248-A-R/101Velo, Bini, Rotta, Fanucci.


   La Camera,
   premesso che
    il provvedimento in commento reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, tra cui, particolare importanza per i settori economici del Paese rivestono quelle per la semplificazione amministrativa e per il rilancio delle infrastrutture. In tale ambito l'articolo 18 reca una pluralità di interventi immediatamente finanziabili e cantierabili, con l'obiettivo di contribuire a far ripartire la crescita economica dell'Italia;
    in particolare il comma 10 prevede un programma di interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione all'ANAS Spa, che soffre di un significativo debito manutentore e che richiede, in particolare, interventi di messa in sicurezza e ripristino delle opere (ponti, viadotti, gallerie) anche in considerazione del tempo trascorso dalla costruzione che, in numerosi casi, supera la durata della «vita utile» prevista progettualmente;
   il decreto legislativo 12 giugno 2003, n. 210, di recepimento della direttiva 2000/9/CE in materia di impianti a fune, ha prodotto una sostanziale evoluzione della normativa tecnica del settore e sembrerebbe contrastare con la normativa nazionale contenuta nel decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 2 gennaio 1985, in particolare, per quello che riguarda il concetto di «vita tecnica» degli impianti a fune; infatti al pari della «vita utile» prevista per ponti, viadotti e galleria, la «vita tecnica» degli impianti a fune, come intesa dal DM 2 gennaio 1985, è il periodo di utilizzo massimo per ogni impianto, nel corso del quale la sicurezza e la regolarità del servizio possono ritenersi garantite;
    la Direttiva comunitaria 2000/9/CE, innova ed integra il concetto di «vita tecnica», considerando rilevante l'effettiva durata dell'esercizio dell'impianto e lo stato di usura dei vari componenti e non fissa rigide scadenze per l'integrale sostituzione degli impianti stessi. Infatti utilizzando i sistemi di controllo e revisione attualmente in uso possono essere garantiti i criteri di sicurezza per i viaggiatori stabiliti sia dal decreto ministeriale 2 gennaio 1985 che dalla direttiva europea 2000/9/CE affrancandosi dalla necessità di predeterminare un termine oltre il quale è vietato il funzionamento dell'impianto;
    la mancata uniforme applicazione sul territorio nazionale della normativa in oggetto, nonché il mancato adeguamento alla regolamentazione europea per le fattispecie previste, produce forti effetti distorsivi per la concorrenza, a favore di regioni – italiane ed europee – le quali, potendo usufruire di normative meno rigide, hanno oneri di ammortamento degli impianti meno gravosi e conseguentemente costi di esercizio più competitivi,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di uniformare la disciplina in parola per gli impianti a fune di cui al decreto legislativo 12 giugno 2003, n. 210 e ricompresi anche nell'ambito di applicazione del decreto ministeriale 2 gennaio 1985, al fine di poter valutare e definire correttamente la vita tecnica degli impianti in rapporto all'effettivo utilizzo e stato di usura degli stessi;
   a valutare l'opportunità, nelle more dell'adeguamento normativo e nel rispetto delle esigenze di sicurezza degli utenti, di procedere ad una ulteriore proroga dei termini di scadenza degli impianti di cui al decreto ministeriale 2 gennaio 1985.
9/1248-A-R/101. (Testo modificato nel corso della seduta) Velo, Bini, Rotta, Fanucci.


   La Camera,
   in occasione dell'esame del disegno di legge A.C. n. 1248 di conversione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia;
   premesso che:
    l'articolo 39 reca modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 142 del 2004) in tema di uso individuale dei beni culturali e di autorizzazione paesaggistica;
    considerato che in materia di semplificazione della pianificazione paesaggistica appare opportuno riconsiderare il rapporto tra pianificazione paesaggistica e pianificazione territoriale delle aree naturali protette, al fine di evitare duplicazioni di ruoli e funzioni, nonché certezza della disciplina di tutela delle aree protette, garantendo un adeguato coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di introdurre, nell'ambito di uno dei prossimi provvedimenti in materia di semplificazione, le opportune modifiche agli articoli 135 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 142 del 2004) al fine di prevedere che nelle more della formazione del Piano paesaggistico, nei territori delle aree naturali protette per il quali sia vigente il Piano del parco o il Piano di gestione, le competenze in materia di autorizzazione paesaggistica siano esercitate sulla base del Piano dei parco o del Piano di gestione e che le previsioni contenute nel Piano del parco o del Piano di gestione, qualora approvati in recepimento della normativa in materia di tutela del paesaggio, siano prevalenti sulle previsioni dei Piani paesaggistici.
9/1248-A-R/102Braga, Valiante.


   La Camera,
   in occasione dell'esame del disegno di legge A.C. n. 1248 di conversione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia;
   premesso che:
    l'articolo 39 reca modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 142 del 2004) in tema di uso individuale dei beni culturali e di autorizzazione paesaggistica;
    considerato che in materia di semplificazione della pianificazione paesaggistica appare opportuno riconsiderare il rapporto tra pianificazione paesaggistica e pianificazione territoriale delle aree naturali protette, al fine di evitare duplicazioni di ruoli e funzioni, nonché certezza della disciplina di tutela delle aree protette, garantendo un adeguato coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di introdurre, nell'ambito di uno dei prossimi provvedimenti in materia di semplificazione, le opportune modifiche agli articoli 135 e 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 142 del 2004) al fine di prevedere che nelle more della formazione del Piano paesaggistico, nei territori delle aree naturali protette per il quali sia vigente il Piano del parco o il Piano di gestione, le competenze in materia di autorizzazione paesaggistica siano esercitate sulla base del Piano dei parco o del Piano di gestione.
9/1248-A-R/102. (Testo modificato nel corso della seduta) Braga, Valiante.


   La Camera,
   premesso che:
    negli scorsi mesi vi è stato ampio dibattito politico sulle condizioni di assoluta incertezza normativa ed economico-finanziaria nelle quali gli enti locali sono stati costretti a chiudere il consuntivo 2012;
    in particolare, secondo le disposizioni di cui all'articolo 13, comma 12-bis del decreto-legge 201 del 2011 i comuni iscrivono nel bilancio di previsione l'entrata da imposta municipale propria in base agli importi stimati dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze per ciascun comune. L'accertamento convenzionale non dà diritto al riconoscimento da parte dello Stato dell'eventuale differenza tra gettito accertato convenzionalmente e gettito reale;
    a tale situazione di diffusa precarietà in un momento storico già di per sé molto complesso dal punto di vista legislativo ed economico, si aggiungono i gravosi tagli previsti dall'articolo 16, comma 6, del decreto-legge n. 95/2012 che rendono in alcuni casi quasi impossibile programmare ed erogare i servizi minimi essenziali ai propri cittadini;
    proprio per le difficoltà oggettive di approvazione del bilancio di previsione l'articolo 1, comma 381 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 ha differito il termine di approvazione del bilancio di previsione 2013 prima al 30 giugno e successivamente al 30 settembre;
    poiché secondo l'articolo 163, comma 1, della legge 18 agosto del 2000, n. 267 gli enti locali in esercizio provvisorio possono effettuare, per ciascun intervento, spese in misura non superiore mensilmente ad un dodicesimo delle somme previste nel bilancio deliberato, con esclusione delle spese tassativamente regolate dalla legge o non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi,

impegna il Governo:

   a prevedere una modifica del decreto legislativo 18 agosto del 2000, n. 267 (TUEL) che consenta agli enti locali, nelle more di approvazione del bilancio di previsione, qualora norme statali ne abbiano differito il termine, di effettuare, per ciascun intervento, spese in misura non superiore a quanto definitivamente accertato nell'ultimo bilancio approvato.
9/1248-A-R/103Casati, Cimbro, Guerra, Pastorino.


   La Camera,
   premesso che
    il provvedimento in commento reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, finalizzate a fornire impulso alla crescita del Paese, attraverso misure di semplificazione amministrativa e normativa, il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture e il miglioramento dell'efficienza del sistema giudiziario;
    in particolare l'articolo 46 prevede misure speciali per i territori e le istituzioni coinvolte nell'evento EXPO 2015;
    infatti, l'appuntamento con EXPO 2015 è di fondamentale importanza non solo per la città di Milano e la regione Lombardia ma anche per tutto il territorio nazionale. È evidente, inoltre, che per favorire l'accesso al luogo dove si svolgerà l'Esposizione Universale sono stati programmati interventi infrastrutturali, connessi all'evento – quali la realizzazione di vasche di laminazione per contenere possibili esondazioni di torrenti, la realizzazione delle vie dell'acqua, la riqualificazione di strade, la creazione di parcheggi, di punti di interscambio ferroviario, di piste ciclabili ecc. – che prevedono l'intervento economico degli Enti locali sui cui territori sono state previste tali opere;
    pertanto risulta necessario che, viste le ristrettezze economiche nelle quali si trovano i Comuni e la mancanza di risorse del Governo per sopperire ad eventuali ritardi nell'attuazione delle opere connesse ad Expo, le risorse impiegate dagli enti locali per la realizzazione di tali opere sia escluse dal computo del patto di stabilità interno,

impegna il Governo:

al fine di consentire il pieno raggiungimento degli obiettivi previsti entro il 2015, a valutare l'opportunità di escludere dal computo del patto di stabilità interno le risorse impiegate dagli enti locali per la realizzazione di interventi infrastrutturali connessi alla realizzazione di EXPO 2015.
9/1248-A-R/104Cimbro.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 34 della Costituzione, secondo cui «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi», è tra le prescrizioni più importanti della Carta Costituzionale che non hanno ancora trovato piena attuazione, con pesanti conseguenze sulla mobilità e sulla coesione sociale, sulle prospettive delle giovani generazioni, sulla qualità del capitale umano;
    negli ultimi 10 anni le immatricolazioni universitarie sono in costante calo: dal picco di 338.482 immatricolati del 2003-2004 si è passati nel 2011-2012 a 280.144, con un calo del 17 per cento. Solo nell'ultimo anno, le immatricolazioni sono diminuite del 10 per cento. Per laureati nella fascia di età 25-34 anni l'Italia si colloca al 34o posto su 37 paesi OCSE;
    l'Italia, uno dei 18 Paesi Ue a prevedere le tasse universitarie, si pone al terzo posto in Europa per livello di contribuzione studentesca, e prevede uno dei più bassi livelli di assistenza finanziaria agli studenti: ottiene una borsa di studio solo il 7 per cento degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6 per cento della Francia (1,6 miliardi), il 30 per cento della Germania (2 miliardi) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato (-11,2 per cento), mentre è aumentato negli altri paesi (Francia +25,9 per cento, Germania +18,6 per cento, Spagna +39 per cento);
    risulta necessario migliorare la capacità del sistema di orientare le scelte degli studenti, e favorire una maggiore libertà di scelta dei medesimi rispetto agli Atenei nei quali svolgere il proprio percorso formativo, attraverso strumenti che, accompagnando lo sviluppo e il potenziamento del sistema di diritto allo studio regionale, rendano equilibrate le ragioni di tali scelte tra qualità degli Atenei e efficienza dei sistemi di diritto allo studio;
    si valuta quindi positivamente l'avvio di un programma nazionale di diritto allo studio, il quale, in un'ottica di cooperazione e integrazione tra Stato e Regioni, assicuri, nel rispetto dei principi costituzionali, la funzionalità del sistema universitario e la garanzia costituzionale dei livelli essenziali delle prestazioni di diritto allo studio;
    il sistema universitario non può ulteriormente sopportare tagli del finanziamento statale, tagli che rischiano, inoltre, di essere aggravati dall'immediata applicazione del combinato disposto delle norme di cui all'articolo 59-bis e all'articolo 60, comma 01,

impegna il Governo:

   a) nell'attuazione della norma di cui all'articolo 59-bis «Programma nazionale per il sostegno degli studenti capaci e meritevoli», a prevedere comunque l'intesa con le Regioni nel rispetto dei vincoli costituzionali, anche al fine di rendere omogenei obiettivi e criteri tra il sistema regionale e il Programma in parola;
   b) a garantire, in sede di discussione della prossima Legge di Stabilità, risorse aggiuntive al Fondo integrativo del diritto allo studio universitario tali da consentire alle Regioni di erogare la borsa di studio almeno alla stessa percentuale di aventi diritto rispetto all'anno accademico precedente, fermo restando l'obiettivo generale di soddisfare l'intera platea degli idonei eliminando la figura dell'idoneo non borsista;
   c) a valutare l'opportunità di intervenire affinché sia ripristinato, in sede di discussione della prossima Legge di Stabilità, il Fondo di Finanziamento ordinario almeno al valore dell'assestamento di Bilancio del 2012 e ad armonizzare e rendere più graduali, nella loro applicazione, le percentuali di finanziamento previste dall'articolo 59-bis e dal comma 01 dell'Articolo 60, al fine di garantire la funzionalità del sistema universitario.
9/1248-A-R/105Speranza, De Micheli, Bellanova, Coscia, Ghizzoni, Marco Meloni, Ascani, Manzi, Piccoli Nardelli, D'Ottavio, Malpezzi, Carocci, Bonafè, Pes, Raciti, Rocchi, Rampi, Blazina, Antezza, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione dell'edilizia scolastica nel nostro Paese è grave. Oltre il 50 per cento dei 42 mila edifici in cui vivono milioni di studenti e di operatori scolastici non sarebbe a norma e diecimila di essi dovrebbero addirittura essere abbattuti;
    peraltro, la situazione ha rilievi di vera emergenza alla luce della politica scolastica assunta negli ultimi anni con l'aumento del rapporto alunni/docenti. Tale disposizione, attuata nel quadro di un sistema nazionale di edifici scolastici vetusti, spesso non a norma in termini di sicurezza, ha determinato il sovraffollamento degli alunni in classi non idonee ad ospitarli;
    l'articolo 18, comma 8, del provvedimento in esame, allo scopo di aumentare il livello di sicurezza degli edifici scolastici, prevede che l'INAIL destini 100 milioni di euro, per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016, per gli interventi del piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici;
    durante l'esame in sede referente è stato inserito, inoltre, il comma 8-ter che autorizza, per l'anno 2014, la spesa di 150 milioni di euro per attuare misure urgenti in materia di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui sia stata censita la presenza di amianto, e garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico;
    appare, inoltre, necessario emanare ulteriori disposizioni affinché gli enti territoriali possano adempiere con adeguate risorse e sulla base di una corretta attività programmatoria al compito previsto dalla legge n. 23 del 1996 (c.s. legge Masini) di garantire la sicurezza degli edifici scolastici di loro proprietà,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, in sede di discussione del primo provvedimento utile, di prevedere una norma che assicuri una deroga al patto di stabilità degli enti locali relativa agli interventi di edilizia scolastica per consentire l'utilizzo virtuoso delle risorse già disponibili in bilancio o già assegnate.
9/1248-A-R/106Coscia, D'Ottavio, Zampa, Malpezzi, Carocci, Manzi, Rampi, Pes, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Rocchi, Bonafè, Piccoli Nardelli, Antezza, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione dell'edilizia scolastica nel nostro Paese è grave. Oltre il 50 per cento dei 42 mila edifici in cui vivono milioni di studenti e di operatori scolastici non sarebbe a norma e diecimila di essi dovrebbero addirittura essere abbattuti;
    peraltro, la situazione ha rilievi di vera emergenza alla luce della politica scolastica assunta negli ultimi anni con l'aumento del rapporto alunni/docenti. Tale disposizione, attuata nel quadro di un sistema nazionale di edifici scolastici vetusti, spesso non a norma in termini di sicurezza, ha determinato il sovraffollamento degli alunni in classi non idonee ad ospitarli;
    l'articolo 18, comma 8, del provvedimento in esame, allo scopo di aumentare il livello di sicurezza degli edifici scolastici, prevede che l'INAIL destini 100 milioni di euro, per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016, per gli interventi del piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici;
    durante l'esame in sede referente è stato inserito, inoltre, il comma 8-ter che autorizza, per l'anno 2014, la spesa di 150 milioni di euro per attuare misure urgenti in materia di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui sia stata censita la presenza di amianto, e garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico;
    appare, inoltre, necessario emanare ulteriori disposizioni affinché gli enti territoriali possano adempiere con adeguate risorse e sulla base di una corretta attività programmatoria al compito previsto dalla legge n. 23 del 1996 (c.s. legge Masini) di garantire la sicurezza degli edifici scolastici di loro proprietà,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità, in sede di discussione del primo provvedimento utile, di prevedere una norma che assicuri una deroga al patto di stabilità degli enti locali relativa agli interventi di edilizia scolastica per consentire l'utilizzo virtuoso delle risorse già disponibili in bilancio o già assegnate.
9/1248-A-R/106. (Testo modificato nel corso della seduta) Coscia, D'Ottavio, Zampa, Malpezzi, Carocci, Manzi, Rampi, Pes, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Rocchi, Bonafè, Piccoli Nardelli, Antezza, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    la misura degli «abbandoni precoci da istruzione e formazione» è uno dei due indicatori relativi al settore istruzione e formazione scelti per monitorare i progressi dell'Unione Europea verso gli obiettivi strategici di crescita «intelligente, sostenibile e inclusiva» fissati per il 2020;
    promuovere lo sviluppo della conoscenza e contrastare la dispersione scolastica sono le due facce dell'impegno prioritario dell'Unione Europea nel campo dell'istruzione;
    l'aumento dell'istruzione è connesso all'occupabilità degli individui, alla produttività e al benessere di ogni Paese e quindi maggiori livelli di istruzione rappresentano un investimento positivo, invece, bassi livelli aumentano il rischio di povertà e difficoltà di impiego;
    il provvedimento in esame non prevede interventi a sostegno dell'autonomia scolastica, per abbattere l'alto tasso di dispersione scolastica che nel nostro Paese, in alcune Regioni, ha raggiunto livelli allarmanti;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, in sede di discussione della prossima legge di stabilità, a reperire risorse adeguate a sostegno di interventi volti ad abbattere l'alto tasso di dispersione scolastica, anche al fine di rendere il settore istruzione in linea con il disegno di sviluppo tracciato dalla Strategia di Lisbona 2020.
9/1248-A-R/107Pes, Coscia, D'Ottavio, Malpezzi, Manzi, Rampi, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Rocchi, Bonafè, Piccoli Nardelli, Carocci, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 47 del provvedimento in esame rivede i criteri in base ai quali dovrà essere gestito il Fondo di garanzia per mutui relativi ad attività sportive, istituito presso L'istituto di credito Sportivo;
    con la stipula dei suddetti mutui è possibile avviare l'acquisto di immobili da destinare ad attività sportive o strumentali a queste, promuovere la cultura sportiva, gestire gli impianti sportivi e la realizzazione di eventi sportivi, avviare iniziative di sostegno e sviluppo delle attività culturali, l'acquisto, la costruzione, la ristrutturazione ed il miglioramento di luoghi ed immobili destinati ad attività culturali o strumentali ad essa;
    sono inoltre finanziabili interventi strumentali al raggiungimento di uno scopo sportivo o culturale;
    risulta possibile l'ammissibilità al finanziamento di oneri diversi da quelli sopra elencati a condizione che si tratti di investimenti ed attività complementari o accessorie ai settori dello sport e dei beni e delle attività culturali che, pur essendo suscettibili di autonoma individuazione sono, strutturalmente o per effetto di apposita convenzione, posti al servizio o di utilità per lo svolgimento dell'attività sportiva (o culturale) o immobili od impianti ove queste si svolgono;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di destinare parte dei finanziamenti del Fondo di garanzia, istituito presso l'istituto di credito sportivo, per la promozione della attività fisica nella scuola con particolare riferimento ai Giochi sportivi studenteschi e per finanziare le ricerche e studi sulla storia dello sport.
9/1248-A-R/108Coccia, Coscia, D'Ottavio, Malpezzi, Carocci, Manzi, Rampi, Pes, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Rocchi, Bonafè, Piccoli Nardelli.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 4 e 5 dell'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, hanno operato la riduzione del numero delle istituzioni scolastiche dotate di autonomia e degli incarichi di dirigente scolastico;
    la relazione tecnica allegata al provvedimento succitato specificava che – dall'attuazione degli articoli 4 e 5 – le istituzioni scolastiche autonome sarebbero state ridotte di 1130 unità, con conseguente riduzione dei posti di dirigente scolastico e di direttore dei servizi generali e amministrativi e con un economia di spesa di circa 85 milioni di euro;
    in seguito all'approvazione della suddetta norma e dopo il ricorso di legittimità costituzionale posto dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Umbria, Puglia, Basilicata e Sicilia, la Corte Costituzionale (sentenza 147 del 7 giugno 2012) ha stabilito che (...) lo Stato non può imporre alle Regioni di costituire obbligatoriamente istituti comprensivi, né di stabilire quale debba essere la loro consistenza numerica in termini di alunni, in quanto si tratta di competenza esclusiva delle Regioni;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, anche con l'approvazione di un provvedimento ad hoc, affinché i criteri per l'individuazione delle istituzioni scolastiche ed educative, sede di dirigenza scolastica e di direttore dei servizi generali ed amministrativi, siano definiti previo accordo tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e le regioni in sede di Conferenza unificata.
9/1248-A-R/109Rocchi, Carocci, Coscia, Zampa, Malpezzi, Manzi, Rampi, Pes, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Bonafè, Piccoli Nardelli, D'Ottavio.


   La Camera,
   premesso che:
    la cultura costituisce, prima di tutto, un diritto fondamentale dei cittadini e da questo principio discende la responsabilità pubblica di sostenerne lo sviluppo e la diffusione e di porre le politiche culturali al centro di un'idea di crescita sociale, civile ed economica del Paese;
    nonostante le difficoltà create dalla grave crisi economica, bisogna avvicinare progressivamente la spesa pubblica a livelli europei, partendo dal presupposto che quello in cultura è un investimento, e al tempo stesso individuare strumenti di programmazione che aiutino a spendere meglio e a evitare la dispersione di risorse;
    occorre fare di più per attrarre nuove risorse private nel settore della cultura perché, come dimostrato dall'esperimento degli incentivi fiscali per il cinema, se ben congegnate, queste politiche aiutano lo sviluppo del settore e portano allo Stato risorse maggiori di quelle a cui rinuncia;
    per promuovere mecenatismo e sponsorizzazioni è necessario ripensare e armonizzare l'intero settore le defiscalizzazioni, che consideriamo il principale strumento per attrarre investimenti, pur riconoscendone alcuni limiti, semplificare le procedure amministrative e di sburocratizzare le piccole liberalità individuali;
    l'Italia ha bisogno di vere e proprie politiche industriali dedicate al comparto creativo e culturale, come precondizione per uscire dalla crisi: l'impegno economico profuso in questi settori in occidente e tra i paesi in via di sviluppo dimostra che la competitività e il benessere collettivo aumentano solo di pari passo alla diffusione della cultura e agli investimenti nell'innovazione;
    secondo il rapporto Symbola Unioncamere 2012, le imprese registrate nel settore produttivo culturale nel 2011 (escluse le cosiddette industrie correlate) erano 443.653, il 7,3 per cento delle imprese italiane registrate; esse hanno prodotto in termini di valore aggiunto 75,806 miliardi di euro che corrispondono a circa il 5,4 per cento dell'economia nazionale, in termini di occupazione, il settore sviluppa 1.390.000 addetti pari al 5,6 per cento del totale degli occupati;
    fino al 2005, l'Italia era seconda solo alla Cina in questo particolare settore dell'export ed era il primo tra i paesi cosiddetti «sviluppati»; il nostro Paese, secondo i dati UNCTAD 2008, esportava in tutto il mondo circa 28 miliardi di dollari di prodotti culturali e creativi, possedeva una quota del mercato mondiale pari all'8,3 per cento e poteva vantare un tasso di crescita nel periodo 2000-2005 del 5,9 per cento. Ma solo pochi anni dopo, l'Italia, nella Top 20 dei paesi esportatori di beni creativi, è scivolata al quinto posto dietro Cina, USA, Germania e Hong Kong, ed è scesa dal primo al terzo posto tra i paesi sviluppati (Rapporto 2010 UNCTAD sull'Economia Creativa);
    le industrie culturali e creative rappresentano uno dei settori trainanti in Europa: esse producono il doppio dei ricavi dell'industria automobilistica, crescono ad una velocità molto superiore rispetto alle altre industrie, producono occupazione anche nei periodi di crisi, impegnano lavoratori altamente qualificati ed è solo attuando le necessarie politiche di sostegno e sviluppo del settore che possiamo scongiurare il rischio che l'Italia perda lo straordinario vantaggio competitivo che la sua storia le ha regalato;
    il programma Europa Creativa dell'Unione Europea, che stabilisce misure e stanziamenti per cultura, media e audiovisivo per il settennio 2014-2020, costituisce una opportunità strategica per gli operatori del settore culturale e creativo italiani, ma è necessario che il nostro sistema si dia strumenti adeguati e maggiore capacità di programmazione;
    riconoscendo la qualifica di micro, piccola e media impresa ai sensi della disciplina comunitaria vigente in materia ai soggetti produttori di attività, beni e servizi culturali, così come definiti ai commi 4 e 5 dell'articolo 4 della Convenzione UNESCO sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali, conclusasi a Parigi il 20 ottobre 2005 e ratificata dall'Italia il 19 febbraio 2007 con Legge n. 19, e agli organismi dello spettacolo, nelle diverse articolazioni di genere e di settori di attività cinematografiche, teatrali, musicali, di danza, di circhi e di spettacoli viaggianti, costituiti in forma di impresa, si potrà applicare anche alle imprese del settore culturale e creativo la normativa e gli incentivi in vigore per le micro, piccole e medie imprese, come i finanziamenti per lo sviluppo delle PMI, il sostegno alle imprese – in particolare nella fase di start up – per portarle a camminare sulle proprie gambe, ma anche nei processi di internazionalizzazione, nelle attività di formazione e aggiornamento professionale delle maestranze, accesso al credito, norme anti trust;
    la governance pubblica per il cinema e l'audiovisivo deve essere orientata ad obiettivi culturali e di interesse collettivo: la formazione e la qualificazione professionale; il sostegno e la promozione della sperimentazione, dell'innovazione dei linguaggi, delle opere prime e seconde e delle opere difficili; la promozione estera; la diffusione del cinema e dell'audiovisivo presso il pubblico; il sostegno alla fruizione e all'ampliamento della domanda; la salvaguardia e la valorizzazione delle sale di prossimità e dei circuiti di qualità;
    è indispensabile dare al settore cinematografico, e in generale al settore audiovisivo nel suo complesso, la cui attività è fortemente connotata dalla necessità di programmazione a lunga scadenza, utili e significative certezze, nel presente difficile frangente economico, sul mantenimento di uno strumento di sostegno come il tax credit che ha dato, in questi primi tre anni di attuazione, ottimi risultati, tanto da essere considerato ormai imprescindibile per il cinema italiano;
    le politiche di sviluppo devono accompagnare le imprese indipendenti sul mercato e farle diventare competitive e autonome; e con esse sostenere le produzioni meno commerciali. Aprire un mercato particolarmente oppresso dalle concentrazioni come quello cineaudiovisivo è una condizione indispensabile per garantirne il pluralismo;
    la disciplina di sostegno pubblico per il cinema (decreto legislativo n. 28/2004 – «Legge Urbani») stabilisce che l'accesso ai contributi statali per la produzione dei film sia vincolato, tra l'altro, ad un sistema di reference a punteggio che coinvolge la parte artistica e creativa dell'opera proposta al finanziamento, favorendo i film ai quali partecipano sceneggiatori, registi, attori già noti e accreditati presso il pubblico e, dunque, sul mercato. Abolire il reference artistico, previsto per l'accesso ai contributi statali per la produzione dalle norme per il sostegno pubblico, modificando le norme della Legge Urbani (decreto legislativo n. 28 del 2004), favorirebbe invece la possibilità di accesso ai contributi dello Stato a quei progetti realizzati con il lavoro dei più giovani e degli emergenti;
    i così detti «premi sugli incassi» stabiliti dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 28 del 2004 sono individuati dalla disposizione di legge come «incentivi per la produzione», ma il meccanismo in base al quale vengono erogati li trasforma, di fatto, in aiuti automatici di Stato per le imprese di produzione, che premiano quasi unicamente il main stream e alimentano le posizioni dominanti, sia sotto il profilo imprenditoriale, che sotto il profilo dei generi (circostanza questa che, tra l'altro, mette in mora l'Italia rispetto al Trattato europeo sulla libera concorrenza). Destinare, a saldi invariati, le risorse assegnate ai così detti «premi sugli incassi» a produzioni a basso costo, opere sperimentali, opere prime e seconde, darebbe forza a nuove iniziative, nuovi linguaggi e nuove forme imprenditoriali grazie ad una redistribuzione dei fondi pubblici;
    l'audiovisivo, a differenza di quanto accade in Europa, è trattato nella legislazione italiana separatamente dal cinema e trova una sua collocazione solo nel Testo Unico per i Servizi Media Audiovisivi e Radiofonici (decreto legislativo n. 177 del 2005, che ha raccolto nell'articolo 44 le norme ex legge n. 122 del 1998 – cosiddetto Legge Veltroni) nella parte riguardante gli obblighi di investimento e di programmazione di opere europee da parte delle televisioni. L'esclusione dell'audiovisivo da una legislazione di sostegno organica e che ne riconosca l'interesse culturale, impedisce all'Italia di far valere per questo comparto il principio dell'eccezione culturale e tale carenza normativa è stata ed è tutt'ora anche la causa del fenomeno della delocalizzazione estera delle produzioni di ambientazione italiana;
    le modifiche apportate al T.U. dei Media Audiovisivi e Radiofonici nel 2010 con il cosiddetto decreto Romani hanno, tra l'altro, prodotto la cancellazione del regolamento AgCom che recava una disciplina sui diritti di utilizzazione economica delle opere audiovisive tra i diversi soggetti (produttori ed emittenti televisive) determinando l'assenza di norme di salvaguardia per i produttori indipendenti nella negoziazione dei diritti di sfruttamento commerciale delle opere con i broadcaster, il che produce l'impossibilità per le imprese di produzione di formare un proprio patrimonio impedendo così alle stesse, tra l'altro, di accedere ai finanziamenti del programma europeo MEDIA;
    il Fondo Unico dello Spettacolo che la legge 12 novembre 2011 n.133 aveva stabilizzato in 411 milioni di euro per il triennio 2012/2014, è stato ridotto dalla Legge di Stabilità 2013 di 21 milioni di euro per il corrente esercizio;
    per le Fondazioni lirico sinfoniche, i Teatri stabili, e altre importanti istituzioni culturali italiane, come i circuiti teatrali regionali, l'inserimento nell'elenco ISTAT (articolo 1, comma 144 della legge 24 dicembre 2012, n. 228) impatta negativamente sui bilanci, in una misura che varia dal 15 all'80 per cento, per le spese su «consumi intermedi» che costituiscono elementi primari dell'attività svolta in riconoscimento di un pubblico interesse;

impegna il Governo:

   a mettere in atto tutte le azioni e gli interventi normativi e finanziari e le opportune correzioni delle norme vigenti al fine di favorire lo sviluppo delle industrie culturali e creative come elemento strategico per la ripresa della crescita del Paese, sostenendole nelle fasi di start up e nei processi di consolidamento ed internazionalizzazione;
    a perseguire l'obiettivo di portare progressivamente la spesa pubblica per la cultura ai livelli europei, considerando la cultura un investimento fondamentale per la crescita e lo sviluppo, ad operare le compensazioni normative volte a fornire ai comparti della cultura e della creatività gli strumenti indispensabili per il loro funzionamento e sviluppo, ad armonizzare gli interventi fiscali a partire dal ripristino del contributo destinato al rifinanziamento del tax credit per il cinema integrando i fondi mancanti ed estendendo il tax credit al comparto dell'audiovisivo e alle altre forme di spettacolo dal vivo, a ripensare e armonizzare l'intero settore le defiscalizzazioni, semplificare le procedure amministrative e sburocratizzare le piccole liberalità individuali per promuovere mecenatismo e sponsorizzazioni.
9/1248-A-R/110Orfini, Coccia, Coscia, D'Ottavio, Malpezzi, Carocci, Manzi, Rampi, Pes, Raciti, Ghizzoni, Blazina, Rocchi, Bonafè, Piccoli Nardelli, Antezza, Basso.


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito del provvedimento in esame risultano assenti norme di riordino in materia di reclutamento e formazione iniziale del personale docente;
    con l'approvazione del decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249 sulla formazione iniziale docenti le modalità di formazione e reclutamento del personale docente nelle scuole con lingua di insegnamento slovena e bilingue slovena-italiana nella regione Friuli Venezia Giulia risultano essere di difficile applicazione, vista la mancata emanazione dello specifico decreto di cui all'articolo 15, comma 25 del decreto ministeriale medesimo,

impegna il Governo:

    a valutare l'opportunità di emanare uno specifico decreto, come previsto all'articolo 15, comma 25 del DM 10 settembre 2010, n. 249, al fine dell'adattamento delle disposizioni in esso contenute alle particolari esigenze della formazione degli insegnanti delle scuole in lingua slovena e bilingue previa intesa con la regione Friuli Venezia Giulia, che ha già predisposto una proposta in tal senso;
    a valutare l'opportunità, anche attraverso l'emanazione di un provvedimento ad hoc, di intervenire affinché – già dal prossimo anno accademico – presso le Università del Friuli Venezia Giulia vengano istituiti, anche ai sensi della Convenzione con le Università della Repubblica di Slovenia, i percorsi formativi specifici che abilitino all'insegnamento presso tali scuole, regolamentando le modalità di accesso in base ai requisiti già previsti dalla legislazione vigente;
    a valutare, altresì, l'opportunità di rivedere tutta la materia che riguarda le modalità di formazione, abilitazione e accesso ai ruoli del personale docente delle scuole di cui sopra, anche stabilendo le modalità di riconoscimento, ai fini dell'insegnamento in tali scuole, di eventuali abilitazioni conseguite all'estero, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206.
9/1248-A-R/111Blazina.


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito del provvedimento in esame risultano assenti norme di riordino in materia di reclutamento e formazione iniziale del personale docente;
    con l'approvazione del decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249 sulla formazione iniziale docenti le modalità di formazione e reclutamento del personale docente nelle scuole con lingua di insegnamento slovena e bilingue slovena-italiana nella regione Friuli Venezia Giulia risultano essere di difficile applicazione, vista la mancata emanazione dello specifico decreto di cui all'articolo 15, comma 25 del decreto ministeriale medesimo,

impegna il Governo:

    a valutare l'opportunità di emanare uno specifico decreto, come previsto all'articolo 15, comma 25 del DM 10 settembre 2010, n. 249, al fine dell'adattamento delle disposizioni in esso contenute alle particolari esigenze della formazione degli insegnanti delle scuole in lingua slovena e bilingue previa intesa con la regione Friuli Venezia Giulia, che ha già predisposto una proposta in tal senso;
    a valutare l'opportunità, anche attraverso l'emanazione di un provvedimento ad hoc, di intervenire affinché – già dal prossimo anno accademico – presso le Università del Friuli Venezia Giulia vengano istituiti, anche ai sensi della Convenzione con le Università della Repubblica di Slovenia, i percorsi formativi specifici che abilitino all'insegnamento presso tali scuole, regolamentando le modalità di accesso in base ai requisiti già previsti dalla legislazione vigente.
9/1248-A-R/111. (Testo modificato nel corso della seduta) Blazina.


   La Camera,
   premesso che:
    nel provvedimento in esame risulta assente una norma tesa a proporre l'efficacia della graduatoria del concorso pubblico presso l'amministrazione centrale e periferica del Ministero per i beni e le attività culturali;
    tale intervento appare fondamentale al fine di non vanificare il risultato di un concorso già espletato e al fine di lasciare aperta la possibilità di un incremento degli organici attingendo ad una graduatoria di persone molto qualificate, la cui preparazione è stata già testata con il superamento delle varie prove di un difficile concorso pubblico,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, in sede di discussione del primo provvedimento utile, al fine di rafforzare l'efficacia delle azioni e degli interventi di tutela del settore dei beni culturali, di prorogare l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, presso l'amministrazione centrale e periferica del Ministero per i beni e le attività culturali.
9/1248-A-R/112Bossa, Coscia, Ghizzoni.


   La Camera,
   premesso che:
    le politiche culturali degli ultimi 5 anni sono state caratterizzate dalla perdurante riduzione dei finanziamenti pubblici;
    i beni culturali italiani, malgrado la situazione di grave difficoltà economica, sono una risorsa insostituibile e non delocalizzabile del patrimonio del Paese;
    dai dati europei emerge con evidenza che le risorse destinate alle attività e ai beni culturali nel nostro Paese sono palesemente inadeguati. L'Italia, infatti, si colloca ai livelli più bassi delle varie graduatorie europee. Pertanto si pone la necessità di invertire la tendenza e porsi l'obiettivo di incrementare significativamente le risorse pubbliche e di attivare strumenti di programmazione che aiutino a spendere meglio e a evitare la dispersione di risorse e una seria politica di monitoraggio della spesa (pubblica e privata) in grado di quantificarne il volume e di definire qualità ed efficacia degli investimenti per la realizzazione della missione pubblica;
    il provvedimento in esame prevede già un insieme coordinato di interventi per sostenere il rilancio del nostro patrimonio culturale, il turismo, lo spettacolo e il cinema e l'Agenda digitale;
    tale inversione di tendenza necessita di ulteriori interventi di sostegno alla cultura;

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità – anche con l'approvazione di provvedimenti ad hoc – di perseguire l'obiettivo di portare progressivamente la spesa pubblica per la cultura ai livelli europei;
   a valutare l'opportunità di prevedere fra gli interventi per l'agenda digitale italiana l'elemento del «patrimonio culturale» fra quelli di interesse del provvedimento;
   a valutare il ripristino dei comitati tecnici e degli altri organi collegiali operanti presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per consentire il corretto funzionamento del consiglio superiore dei beni culturali;
9/1248-A-R/113Piccoli Nardelli, Coscia, Ghizzoni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'attuale struttura tariffaria dell'elettricità prevede un prezzo unitario che aumenta al crescere dei consumi. Tale distorsione, non presente negli altri paesi europei, ha di fatto orientato i consumatori all'utilizzo di tecnologie alimentate a gas per il riscaldamento e la cottura e all'acquisto di auto alimentate da carburanti liquidi o a gas (metano/GPL);
    l'utilizzo di tecnologie elettriche consente di ridurre le emissioni di CO2: con le pompe di calore la riduzione è del 60 per cento rispetto ad altre forme di riscaldamento mentre con l'auto elettrica è del 40 per cento nei trasporti urbani;
    il maggior impiego di tecnologie elettriche avanzate consentirebbe, di risparmiare energia nel riscaldamento e nella produzione di acqua calda con le pompe di calore, nella cottura dei cibi con l'utilizzo delle cucine a induzione e nei trasporti attraverso la diffusione delle auto elettriche o il maggior utilizzo del trasporto su ferro;
    la diffusione dell'auto elettrica e della pompa di calore consentirebbero di annullare le emissioni locali (polveri sottili) legate a trasporto e riscaldamento, oggi responsabili di più del 60 per cento delle emissioni inquinanti locali, rendendo le nostre città più pulite e vivibili,

impegna il Governo

a sollecitare l'adozione di provvedimenti, da parte delle autorità competenti e senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, volti a modificare l'attuale struttura progressiva delle tariffe elettriche rispetto ai consumi e ad introdurre tariffe aderenti al costo del servizio al fine di agevolare la diffusione di tecnologie elettriche avanzate più efficienti, meno inquinanti e meno costose.
9/1248-A-R/114Librandi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge in esame dispone un potenziamento degli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, attraverso l'ampliamento della platea di imprese potenziali beneficiarie del Fondo e l'individuazione di misure volte ad escludere l'accesso al Fondo per operazioni finanziarie già deliberate dai soggetti finanziatori, con l'intento evidente di circoscrivere la concessione della garanzia alle imprese che, effettivamente, abbiano bisogno di un sostegno pubblico per poter accedere al credito bancario;
    si tratta di intervento utile in questo momento di difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese, soprattutto quelle più piccole;
    nell'attuale congiuntura economica grazie al sistema della garanzia, in particolar modo quello rappresentato dai Confidi, è stato possibile fornire alle PMI il consueto supporto per consentire loro l'accesso alle necessarie fonti di finanziamento, accollandosi, in alcuni casi, rischi maggiori delle proprie disponibilità patrimoniali;
    per consentire ai Confidi di continuare in questa opera di favorire l'accesso al credito per le piccole e medie aziende è necessario sostenerne lo sviluppo anche attraverso il rafforzamento patrimoniale;

impegna il Governo

a prevedere, nella prossima legge di stabilità, misure volte a potenziare e sostenere i Consorzi fidi, mettendoli nelle condizioni di poter continuare a svolgere, con lo stesso vigore, quella funzione di «ammortizzatore sociale» sino ad ora garantita alle PMI.
9/1248-A-R/115Causin.


   La Camera,
   premesso che:
    l'attuale formulazione dell'articolo 50 del decreto-legge al nostro esame modifica il comma 28 dell'articolo 35 del decreto-legge n. 223 del 2006 prevedendo l'abrogazione della responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore concernente l'IVA, mentre lascia in essere quella concernente le ritenute di lavoro dipendente;
    questo implica peraltro che persiste la necessità di porre in essere tutti gli adempimenti procedurali previsti dalla disciplina per evitare di incorrere nella responsabilità solidale in questione, seppure con riguardo alle sole ritenute di lavoro dipendente;
    si tratta di adempimenti che risulterebbero per di più ancora più gravosi ove le modifiche alla disciplina recate in prima lettura alla Camera trovassero definitiva approvazione e comunque, anche nella loro formulazione tutt'oggi vigente, assolutamente inidonei a garantire un contrasto all'evasione fiscale sufficientemente efficace da giustificare la farraginosità delle procedure scaricate sulle imprese,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui in premessa, al fine di prevedere, sin dalla prossima legge di stabilità, un intervento normativo, fortemente auspicato dal mondo imprenditoriale, volto ad abrogare in toto la disciplina recata dai commi da 28 a 28-ter dell'articolo 35 del decreto-legge n. 223 del 2006 e ad introdurre controlli preventivi per contrastare il lavoro nero e l'evasione fiscale che facciano leva sull'ampio bagaglio informativo già in possesso dell'Amministrazione finanziaria per il tramite dell'Anagrafe tributaria.
9/1248-A-R/116Zanetti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del decreto-legge interviene per migliorare l'efficacia degli interventi del Fondo di garanzia per le piccole medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Tale Fondo interviene a favore sia a favore delle piccole e medie imprese sia a favore dei consorzi e le società consortili, costituite tra piccole e medie imprese e le società consortili miste;
    il Fondo agisce, anche, per le operazioni di contro-garanzia e co-garanzia sulle garanzie concesse da Confidi ed altri Fondi di Garanzia a favore delle imprese per il reperimento di credito;
    come è noto i Confidi predispongono garanzie di primo livello nei confronti del soggetto finanziatore (es. Banche) e possono attingere al succitato Fondo per irrobustire gli effetti di dette garanzie. Ora, nella negativa congiuntura economica e con le difficoltà del settore bancario nell'erogazione del credito, alla luce anche dei dettami di Basilea 2 e 3, un ulteriore contributo volto alla mitigazione del rischio credito può influire per facilitare nuovi finanziamenti alle imprese;
    il settore assicurativo, sino ad oggi, non è mai stato investito pienamente per valutare un proprio apporto operativo nella filiera del credito. Mentre sarebbe opportuno aprire a tale possibilità, lasciando all'IVASS il compito di valutare le varie soluzioni di applicabilità, nell'ambito però di un indirizzo e principio prefissato;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare interventi, anche di tipo normativo, volti a favorire un intervento assicurativo di secondo livello che s'innesti tra le garanzie dei garanti di primo livello e quelle del Fondo in argomento, al fine di facilitare la possibilità per le imprese di accedere a nuovi finanziamenti in questo particolare momento.
9/1248-A-R/117Sberna, Sottanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'università italiana vanta una tradizione di formazione di talenti di primissimo livello, come conferma l'esperienza del successo che i nostri laureati ottengono quando si recano all'estero, dove riescono ad occupare posti prestigiosi proprio grazie alla loro serietà e competenza;
    l'eccellenza e il talento vanno però coltivati e rinnovati soprattutto in tempi di crisi economica e sociale, creando le opportunità necessarie per stimolare e favorire l'emergere delle persone più brillanti a prescindere dalle loro condizioni familiari;
    l'esigenza di competere su uno scenario internazionale e il bisogno di formazione delle élites ha indotto riforme importanti nei sistemi di istruzione superiore di molti Paesi europei ed extraeuropei, nello spirito di chi vuole implementare la società della conoscenza, come il Trattato di Lisbona prima e quello di Bologna poi ci raccomandano;
    in Italia, accanto ai tradizionali corsi di laurea, sono state intraprese iniziative di valorizzazione dell'eccellenza in ambito universitario mediante la creazione di percorsi destinati a giovani di talento, che senza discriminare nessuno offrono alle persone più motivate la possibilità di coltivare a tutto campo la loro personalità;
    in questo contesto vanno annoverati anche i collegi universitari, veri centri d'eccellenza di antica tradizione, ma dotati di un elevato coefficiente di innovazione; centri in cui ogni studente, sulla base del proprio merito personale, è messo nelle condizioni di sviluppare capacità e talenti che integrano quelli strettamente culturali, specificamente messi a disposizione dalle rispettive facoltà;
    i collegi universitari infatti cercano di sviluppare le capacità individuali e relazionali di ogni studente mettendole quotidianamente a confronto con quelle dei colleghi in un rapporto di collaborazione che favorisce lo sviluppo delle competenze culturali interdisciplinari, li sollecita a partecipare a scambi internazionali con iniziative che hanno un alto potenziale scientifico, umano e sociale, attraverso le diverse forme di collaborazione che creano abiti idonei alla direzione e al coordinamento di iniziative;
    considerato quindi che la valorizzazione del merito e delle eccellenze deve essere uno degli obiettivi del nostro Paese, accanto alla indispensabile internazionalizzazione a cui ci sollecitano i prossimi impegni europei, e come è auspicato dai recenti trattati internazionali, a cominciare dalla strategia di Lisbona;

impegna il Governo

ad adottare iniziative utili per sostenerli e valorizzarli in quanto scuole di alta formazione non solo per la futura classe dirigente ma anche per uno svolgimento di eccellenza del lavoro ordinario nei diversi campi della vita sociale.
9/1248-A-R/118Binetti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'università italiana vanta una tradizione di formazione di talenti di primissimo livello, come conferma l'esperienza del successo che i nostri laureati ottengono quando si recano all'estero, dove riescono ad occupare posti prestigiosi proprio grazie alla loro serietà e competenza;
    l'eccellenza e il talento vanno però coltivati e rinnovati soprattutto in tempi di crisi economica e sociale, creando le opportunità necessarie per stimolare e favorire l'emergere delle persone più brillanti a prescindere dalle loro condizioni familiari;
    l'esigenza di competere su uno scenario internazionale e il bisogno di formazione delle élites ha indotto riforme importanti nei sistemi di istruzione superiore di molti Paesi europei ed extraeuropei, nello spirito di chi vuole implementare la società della conoscenza, come il Trattato di Lisbona prima e quello di Bologna poi ci raccomandano;
    in Italia, accanto ai tradizionali corsi di laurea, sono state intraprese iniziative di valorizzazione dell'eccellenza in ambito universitario mediante la creazione di percorsi destinati a giovani di talento, che senza discriminare nessuno offrono alle persone più motivate la possibilità di coltivare a tutto campo la loro personalità;
    in questo contesto vanno annoverati anche i collegi universitari, veri centri d'eccellenza di antica tradizione, ma dotati di un elevato coefficiente di innovazione; centri in cui ogni studente, sulla base del proprio merito personale, è messo nelle condizioni di sviluppare capacità e talenti che integrano quelli strettamente culturali, specificamente messi a disposizione dalle rispettive facoltà;
    i collegi universitari infatti cercano di sviluppare le capacità individuali e relazionali di ogni studente mettendole quotidianamente a confronto con quelle dei colleghi in un rapporto di collaborazione che favorisce lo sviluppo delle competenze culturali interdisciplinari, li sollecita a partecipare a scambi internazionali con iniziative che hanno un alto potenziale scientifico, umano e sociale, attraverso le diverse forme di collaborazione che creano abiti idonei alla direzione e al coordinamento di iniziative;
    considerato quindi che la valorizzazione del merito e delle eccellenze deve essere uno degli obiettivi del nostro Paese, accanto alla indispensabile internazionalizzazione a cui ci sollecitano i prossimi impegni europei, e come è auspicato dai recenti trattati internazionali, a cominciare dalla strategia di Lisbona;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative utili per sostenerli e valorizzarli in quanto scuole di alta formazione non solo per la futura classe dirigente ma anche per uno svolgimento di eccellenza del lavoro ordinario nei diversi campi della vita sociale.
9/1248-A-R/118. (Testo modificato nel corso della seduta) Binetti.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 2 e 3 dell'articolo 22 del decreto-legge in esame intervengono al fine di rafforzare l'autonomia delle autorità portuali in ordine all'aumento o alla riduzione delle tasse portuali sulle merci e per l'ancoraggio, consentendo una più efficace risposta alla concorrenza dei porti degli altri paesi;
    in particolare il comma 2 prevede nei casi in cui le autorità portuali si avvalgano della facoltà di riduzione della tassa di ancoraggio in misura superiore al settanta per cento, viene esclusa la possibilità di pagare il tributo con la modalità dell'abbonamento annuale;
    fino al 30 giugno 2013 le autorità portuali hanno avuto la possibilità di variare in aumento e in diminuzione le tasse portuali senza il suddetto vincolo della modalità di pagamento;
    la facoltà di variare le tasse portuali, soprattutto per i porti di transhipment, è fondamentale per garantire la competitività dei porti italiani rispetto agli altri porti mediterranei;
    sarebbe opportuno dunque mantenere tale facoltà inalterata, senza introdurre vincoli i cui effetti sarebbero oltretutto da verificare non potendosi escludere che porterebbero a deviazioni di traffico anche tra porti nazionali;

impegna il Governo

a valutare gli effetti derivanti dall'applicazione della disposizione contenuta nel terzo periodo del comma 2 dell'articolo 22 del decreto-legge, considerando l'opportunità di non escludere la possibilità di pagare il tributo con la modalità dell'abbonamento annuale così come previsto nel sistema previgente.
9/1248-A-R/119Oliaro.


   La Camera,
   premesso che:
    i commi 2 e 3 dell'articolo 22 del decreto-legge in esame intervengono al fine di rafforzare l'autonomia delle autorità portuali in ordine all'aumento o alla riduzione delle tasse portuali sulle merci e per l'ancoraggio, consentendo una più efficace risposta alla concorrenza dei porti degli altri paesi;
    in particolare il comma 2 prevede nei casi in cui le autorità portuali si avvalgano della facoltà di riduzione della tassa di ancoraggio in misura superiore al settanta per cento, viene esclusa la possibilità di pagare il tributo con la modalità dell'abbonamento annuale;
    fino al 30 giugno 2013 le autorità portuali hanno avuto la possibilità di variare in aumento e in diminuzione le tasse portuali senza il suddetto vincolo della modalità di pagamento;
    la facoltà di variare le tasse portuali, soprattutto per i porti di transhipment, è fondamentale per garantire la competitività dei porti italiani rispetto agli altri porti mediterranei;
    sarebbe opportuno dunque mantenere tale facoltà inalterata, senza introdurre vincoli i cui effetti sarebbero oltretutto da verificare non potendosi escludere che porterebbero a deviazioni di traffico anche tra porti nazionali;

impegna il Governo

a valutare gli effetti derivanti dall'applicazione della disposizione contenuta nel terzo periodo del comma 2 dell'articolo 22 del decreto-legge, considerando eventualmente l'opportunità di non escludere la possibilità di pagare il tributo con la modalità dell'abbonamento annuale così come previsto nel sistema previgente.
9/1248-A-R/119. (Testo modificato nel corso della seduta) Oliaro.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 1, lettera a) dell'articolo 24 del decreto-legge in oggetto, modifica l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE in materia ferroviaria e che disciplina i canoni di accesso all'infrastruttura ferroviaria;
    l'articolo 17, in particolare definisce attualmente la procedura per la determinazione del canone dovuto per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria nazionale prevedendo che, ai fini dell'accesso e dell'utilizzo equo e non discriminatorio dell'infrastruttura ferroviaria da parte delle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, il canone sia stabilito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del Gestore dell'infrastruttura ferroviaria (vale a dire Rfi Spa), previo parere del CIPE e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza;
    con la modifica del comma 1 lettera a) si prevede invece che il decreto ministeriale debba solo approvare la proposta del Gestore per l'individuazione del canone dovuto e che il decreto stesso sia adottato semplicemente sentita la Conferenza Stato-Regioni, anziché previa intesa con la Conferenza stessa, come previsto in precedenza;
    in virtù della tipologia del servizio offerto appare opportuno che il diritto dovere di determinare in maniera equa e non discriminatoria la misura del canone per l'accesso alla infrastruttura ferroviaria debba restare in capo al proprietario concedente dell'infrastruttura stessa, cioè allo Stato attraverso il Ministero competente, e non può essere trasferito al concessionario gestore dell'infrastruttura,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della norma succitata al fine di rivederne il contenuto restituendo in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la competenza esclusiva nel determinare il canone così come previsto dall'articolo 17 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE.
9/1248-A-R/120Vitelli, Oliaro.


   La Camera,
   premesso che:
    il comma 1, lettera a) dell'articolo 24 del decreto-legge in oggetto, modifica l'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE in materia ferroviaria e che disciplina i canoni di accesso all'infrastruttura ferroviaria;
    l'articolo 17, in particolare definisce attualmente la procedura per la determinazione del canone dovuto per l'accesso all'infrastruttura ferroviaria nazionale prevedendo che, ai fini dell'accesso e dell'utilizzo equo e non discriminatorio dell'infrastruttura ferroviaria da parte delle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, il canone sia stabilito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, acquisita una motivata relazione da parte del Gestore dell'infrastruttura ferroviaria (vale a dire Rfi Spa), previo parere del CIPE e d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano limitatamente ai servizi di loro competenza;
    con la modifica del comma 1 lettera a) si prevede invece che il decreto ministeriale debba solo approvare la proposta del Gestore per l'individuazione del canone dovuto e che il decreto stesso sia adottato semplicemente sentita la Conferenza Stato-Regioni, anziché previa intesa con la Conferenza stessa, come previsto in precedenza;
    in virtù della tipologia del servizio offerto appare opportuno che il diritto dovere di determinare in maniera equa e non discriminatoria la misura del canone per l'accesso alla infrastruttura ferroviaria debba restare in capo al proprietario concedente dell'infrastruttura stessa, cioè allo Stato attraverso il Ministero competente, e non può essere trasferito al concessionario gestore dell'infrastruttura,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della norma succitata.
9/1248-A-R/120. (Testo modificato nel corso della seduta) Vitelli, Oliaro.


   La Camera,
   premesso che:
    in caso di leasing finanziario, la deducibilità dei canoni è correlata ad una «durata minima fiscale» dell'operazione e al principio dell'inerenza del bene rispetto all'attività svolta;
    in via generale, la disciplina attuale (articolo 102, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) prevede che, a prescindere dalla durata contrattuale effettiva, la durata minima fiscale del contratto di leasing non sia inferiore ai 2/3 del periodo d'ammortamento ordinario, mentre, regole specifiche riguardano i contratti di leasing immobiliare e di autovetture;
    sarebbe opportuna, limitatamente a nuovi contratti di leasing finanziario, una modifica alla normativa vigente che consenta una deducibilità fiscale anticipata rispetto alla situazione attuale, sia in relazione ai beni mobili strumentali all'attività di impresa, sia ai beni immobili, portando ad esempio il periodo di deducibilità fiscale del leasing pari alla metà del periodo di ammortamento corrispondente ai coefficienti ministeriali per i beni strumentali e per i veicoli utilizzati direttamente dall'impresa, nonché a nove anni per gli immobili;
    tale intervento modificativo, oltre ad essere vantaggioso per le imprese che investono, avrebbe altresì un effetto espansivo sul volume dei contratti di leasing finanziario, il cui ammontare stipulato nel periodo gennaio-dicembre 2012 è risultato pari a 16,657 miliardi di euro (Fonte Assilea);
    l'anticipazione della deducibilità fiscale dei canoni di leasing finanziario non avrebbe un impatto negativo in termini di gettito per l'Erario, data la grave crisi economico-finanziaria in cui versa la maggior parte delle imprese italiane;

impegna il Governo

al fine di incentivare le imprese nella stipula di nuovi contratti di leasing finanziario, a valutare l'opportunità di adottare misure agevolative in favore del leasing finanziario, introducendo modifiche che consentano una deducibilità fiscale anticipata rispetto alla normativa vigente.
9/1248-A-R/121Sottanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    in caso di leasing finanziario, la deducibilità dei canoni è correlata ad una «durata minima fiscale» dell'operazione e al principio dell'inerenza del bene rispetto all'attività svolta;
    in via generale, la disciplina attuale (articolo 102, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) prevede che, a prescindere dalla durata contrattuale effettiva, la durata minima fiscale del contratto di leasing non sia inferiore ai 2/3 del periodo d'ammortamento ordinario, mentre, regole specifiche riguardano i contratti di leasing immobiliare e di autovetture;
    sarebbe opportuna, limitatamente a nuovi contratti di leasing finanziario, una modifica alla normativa vigente che consenta una deducibilità fiscale anticipata rispetto alla situazione attuale, sia in relazione ai beni mobili strumentali all'attività di impresa, sia ai beni immobili, portando ad esempio il periodo di deducibilità fiscale del leasing pari alla metà del periodo di ammortamento corrispondente ai coefficienti ministeriali per i beni strumentali e per i veicoli utilizzati direttamente dall'impresa, nonché a nove anni per gli immobili;
    tale intervento modificativo, oltre ad essere vantaggioso per le imprese che investono, avrebbe altresì un effetto espansivo sul volume dei contratti di leasing finanziario, il cui ammontare stipulato nel periodo gennaio-dicembre 2012 è risultato pari a 16,657 miliardi di euro (Fonte Assilea);
    l'anticipazione della deducibilità fiscale dei canoni di leasing finanziario non avrebbe un impatto negativo in termini di gettito per l'Erario, data la grave crisi economico-finanziaria in cui versa la maggior parte delle imprese italiane;

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di incentivare le imprese nella stipula di nuovi contratti di leasing finanziario, valutando l'opportunità di adottare misure agevolative.
9/1248-A-R/121. (Testo modificato nel corso della seduta) Sottanelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il «Decreto del fare» reca disposizioni volte alla semplificazione di specifiche procedure in materia di sicurezza sul lavoro, finalizzate a rimuovere obblighi di natura esclusivamente formale, che non hanno alcuna reale ricaduta sulla efficacia delle azioni di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
    le semplificazioni previste riguardano principalmente gli obblighi aziendali relativi alle figure del datore di lavoro, dei dirigenti e in alcuni casi anche del responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli stessi lavoratori. Nessuna semplificazione è invece presa in considerazione per quanto attiene alla figura del medico competente, titolare di compiti e obblighi fondamentali per la tutela della salute dei lavoratori, cui peraltro la legge attribuisce attualmente anche oneri burocratici di estrema difficoltà applicativa, assolutamente avulsi dalla necessità di creare la massima condizione di tutela della sicurezza del lavoratore;
    in particolare, l'articolo 40, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevede che, entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento, il medico competente, esclusivamente per via telematica, trasmetta ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in allegato 3B;
    l'articolo 3, comma 2, del decreto ministeriale 9 luglio 2012 recante «Contenuti e modalità di trasmissione dei dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori» ribadisce che la trasmissione dei dati utilizzabili a fini epidemiologici inerenti ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria debba essere effettuata unicamente in via telematica dal medico competente entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento;
    l'articolo 4, comma 1 del decreto ministeriale 9 luglio 2012, recante «Disposizioni transitorie e entrata in vigore» dispone che al fine di consentire una valutazione approfondita della rispondenza delle previsioni del presente decreto a criteri di semplicità e certezza nella raccolta e delle modalità di trasmissione delle informazioni, è individuato un periodo transitorio di mesi 12 a far data dall'entrata in vigore del presente decreto per la sperimentazione delle disposizioni previste (fino al 24 agosto 2013);
    esclusivamente con riferimento al periodo di sperimentazione, il termine per la trasmissione delle informazioni, di cui al citato allegato 3B del decreto legislativo n. 81 del 2008, è scaduto il 30 giugno 2013;
    è importante evidenziare che l'articolo 4, comma 4, dello stesso decreto 9 luglio 2012, dispone in merito alla durata del periodo transitorio di sperimentazione, con riferimento a possibili difficoltà di raccolta e trasmissione telematica delle informazioni di cui al comma 1 dell'articolo 40, che la sanzione pecuniaria da 1.000 a 4.000 euro di cui all'articolo 58, comma 1, lettera e), sia sospesa sino al termine della sperimentazione;
    l'INAIL, solamente a far data dal 22 maggio 2013, ha reso attivo un applicativo web strutturato in maniera da rendere il più possibile standardizzate le operazioni di inserimento e trasmissione dei dati;
    l'utilizzo della piattaforma predisposta dall'INAIL risulta particolarmente complesso, mentre appare problematico lo stesso accesso al sistema: che il mondo sanitario e scientifico di riferimento ha ripetutamente e ufficialmente esternato le proprie perplessità sia nel merito della raccolta dei dati, che sull'efficacia degli indicatori selezionati per le trasmissioni finalizzate alla valutazione delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali,

impegna il Governo:

   a prevedere, nei prossimi provvedimenti normativi, la possibilità di modificare l'articolo 40 del decreto legislativo n. 81 del 2008, con particolare riferimento agli effetti conseguenti alle disposizioni in esso contenute, disponendo una proroga del termine della sperimentazione almeno sino al 31 dicembre 2013, con conseguente sospensione del pesante apparato sanzionatorio a carico dei medici competenti;
    ad attivare un tavolo di confronto con le associazioni che raccolgono i medici competenti, finalizzato a valutare ogni opportuna modifica delle disposizioni contenute all'articolo 4 del decreto ministeriale 9 luglio 2012, finalizzate ad eliminare eventuali gravami burocratici per i medici competenti dai quali non discendano effettivi miglioramenti delle condizioni di tutela della salute del lavoratore.
9/1248-A-R/122Vargiu.


   La Camera,
   premesso che:
    il «Decreto del fare» reca disposizioni volte alla semplificazione di specifiche procedure in materia di sicurezza sul lavoro, finalizzate a rimuovere obblighi di natura esclusivamente formale, che non hanno alcuna reale ricaduta sulla efficacia delle azioni di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
    le semplificazioni previste riguardano principalmente gli obblighi aziendali relativi alle figure del datore di lavoro, dei dirigenti e in alcuni casi anche del responsabile del servizio di prevenzione e protezione aziendale, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli stessi lavoratori. Nessuna semplificazione è invece presa in considerazione per quanto attiene alla figura del medico competente, titolare di compiti e obblighi fondamentali per la tutela della salute dei lavoratori, cui peraltro la legge attribuisce attualmente anche oneri burocratici di estrema difficoltà applicativa, assolutamente avulsi dalla necessità di creare la massima condizione di tutela della sicurezza del lavoratore;
    in particolare, l'articolo 40, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevede che, entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento, il medico competente, esclusivamente per via telematica, trasmetta ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in allegato 3B;
    l'articolo 3, comma 2, del decreto ministeriale 9 luglio 2012 recante «Contenuti e modalità di trasmissione dei dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori» ribadisce che la trasmissione dei dati utilizzabili a fini epidemiologici inerenti ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria debba essere effettuata unicamente in via telematica dal medico competente entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento;
    l'articolo 4, comma 1 del decreto ministeriale 9 luglio 2012, recante «Disposizioni transitorie e entrata in vigore» dispone che al fine di consentire una valutazione approfondita della rispondenza delle previsioni del presente decreto a criteri di semplicità e certezza nella raccolta e delle modalità di trasmissione delle informazioni, è individuato un periodo transitorio di mesi 12 a far data dall'entrata in vigore del presente decreto per la sperimentazione delle disposizioni previste (fino al 24 agosto 2013);
    esclusivamente con riferimento al periodo di sperimentazione, il termine per la trasmissione delle informazioni, di cui al citato allegato 3B del decreto legislativo n. 81 del 2008, è scaduto il 30 giugno 2013;
    è importante evidenziare che l'articolo 4, comma 4, dello stesso decreto 9 luglio 2012, dispone in merito alla durata del periodo transitorio di sperimentazione, con riferimento a possibili difficoltà di raccolta e trasmissione telematica delle informazioni di cui al comma 1 dell'articolo 40, che la sanzione pecuniaria da 1.000 a 4.000 euro di cui all'articolo 58, comma 1, lettera e), sia sospesa sino al termine della sperimentazione;
    l'INAIL, solamente a far data dal 22 maggio 2013, ha reso attivo un applicativo web strutturato in maniera da rendere il più possibile standardizzate le operazioni di inserimento e trasmissione dei dati;
    l'utilizzo della piattaforma predisposta dall'INAIL risulta particolarmente complesso, mentre appare problematico lo stesso accesso al sistema: che il mondo sanitario e scientifico di riferimento ha ripetutamente e ufficialmente esternato le proprie perplessità sia nel merito della raccolta dei dati, che sull'efficacia degli indicatori selezionati per le trasmissioni finalizzate alla valutazione delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali,

impegna il Governo:

   a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di prevedere, nei prossimi provvedimenti normativi, la possibilità di modificare l'articolo 40 del decreto legislativo n. 81 del 2008, con particolare riferimento agli effetti conseguenti alle disposizioni in esso contenute, disponendo una proroga del termine della sperimentazione almeno sino al 31 dicembre 2013, con conseguente sospensione del pesante apparato sanzionatorio a carico dei medici competenti;
    ad attivare un tavolo di confronto con le associazioni che raccolgono i medici competenti, finalizzato a valutare ogni opportuna modifica delle disposizioni contenute all'articolo 4 del decreto ministeriale 9 luglio 2012, finalizzate ad eliminare eventuali gravami burocratici per i medici competenti dai quali non discendano effettivi miglioramenti delle condizioni di tutela della salute del lavoratore.
9/1248-A-R/122. (Testo modificato nel corso della seduta) Vargiu.


   La Camera,
   premesso che:
    in materia di servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento (servizi a rete che si caratterizzano per un uso efficiente dell'energia, in particolare quando hanno alla base un impianto di cogenerazione) vi è, attualmente, un vuoto di regolazione, da colmare con urgenza;
    il legislatore ha fornito, infatti, una definizione «di rimando» del teleriscaldamento in un decreto ministeriale del 2005 che si occupa della produzione combinata di energia elettrica e calore; inoltre, l'attività di teleriscaldamento non è soggetta a regolamentazione delle condizioni di fornitura da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
    i servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento sono oggi prestati in condizione di sostanziale monopolio, in quanto i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio; ciò può comportare significativi problemi sotto il profilo della concorrenza, attinenti, ad esempio, al livello delle tariffe per il servizio di teleriscaldamento, ma anche alle possibili restrizioni alla interfuel competition, con particolare riferimento a quelle derivanti dagli obblighi di connessione alla rete di teleriscaldamento ed agli ostacoli alla disconnessione da tale rete posti da alcuni Comuni;
    vi è, dunque, l'esigenza di un Regolatore terzo, imparziale e tecnicamente specializzato, in grado di definire, in chiave pro-concorrenziale, criteri e modalità per la determinazione dei corrispettivi del servizio, anche nell'ottica di una maggiore trasparenza e protezione degli utenti;
    tale Regolatore può essere individuato nell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che, ai sensi della sua legge istitutiva (n. 481/1995), è chiamata a promuovere la concorrenza nei settori regolati e a tutelare gli utenti (articolo 1);
    pertanto l'AEEG, vista anche la competenza maturata in quasi vent'anni di regolazione dei servizi energetici, appare il soggetto più indicato per consentire di superare l'attuale situazione in cui i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio, in regime di sostanziale monopolio; tutto ciò con evidenti riflessi positivi per i consumatori,

impegna il Governo

ad adottare iniziative anche di tipo di normativo volte ad attribuire all'AEEG le funzioni di regolazione e controllo in materia di tele riscaldamento e teleraffrescamento.
9/1248-A-R/123Fauttilli.


   La Camera,
   premesso che:
    in materia di servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento (servizi a rete che si caratterizzano per un uso efficiente dell'energia, in particolare quando hanno alla base un impianto di cogenerazione) vi è, attualmente, un vuoto di regolazione, da colmare con urgenza;
    il legislatore ha fornito, infatti, una definizione «di rimando» del teleriscaldamento in un decreto ministeriale del 2005 che si occupa della produzione combinata di energia elettrica e calore; inoltre, l'attività di teleriscaldamento non è soggetta a regolamentazione delle condizioni di fornitura da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
    i servizi di teleriscaldamento e teleraffrescamento sono oggi prestati in condizione di sostanziale monopolio, in quanto i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio; ciò può comportare significativi problemi sotto il profilo della concorrenza, attinenti, ad esempio, al livello delle tariffe per il servizio di teleriscaldamento, ma anche alle possibili restrizioni alla interfuel competition, con particolare riferimento a quelle derivanti dagli obblighi di connessione alla rete di teleriscaldamento ed agli ostacoli alla disconnessione da tale rete posti da alcuni Comuni;
    vi è, dunque, l'esigenza di un Regolatore terzo, imparziale e tecnicamente specializzato, in grado di definire, in chiave pro-concorrenziale, criteri e modalità per la determinazione dei corrispettivi del servizio, anche nell'ottica di una maggiore trasparenza e protezione degli utenti;
    tale Regolatore può essere individuato nell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che, ai sensi della sua legge istitutiva (n. 481/1995), è chiamata a promuovere la concorrenza nei settori regolati e a tutelare gli utenti (articolo 1);
    pertanto l'AEEG, vista anche la competenza maturata in quasi vent'anni di regolazione dei servizi energetici, appare il soggetto più indicato per consentire di superare l'attuale situazione in cui i fornitori definiscono unilateralmente le condizioni di accesso al servizio, in regime di sostanziale monopolio; tutto ciò con evidenti riflessi positivi per i consumatori,

impegna il Governo

ad attribuire all'AEEG le funzioni di regolazione e controllo sulle condizioni di accesso alle reti e sulla qualità dei servizi in materia di tele riscaldamento e teleraffrescamento.
9/1248-A-R/123. (Testo modificato nel corso della seduta) Fauttilli.


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito delle misure di semplificazione amministrativa sono stati prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori, di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in materia edilizia;
    il testo si riferisce ai titoli abitativi «rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del presente decreto» ma il successivo ultimo comma prevede che le disposizioni dell'articolo 30 si applicano dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ingenerando possibili dubbi interpretativi;

impegna il Governo

ad ogni attività utile per risolvere i conflitti interpretativi nel senso di applicare effettivamente la proroga agli interventi in essere alla data del decreto, risultando altrimenti vanificato la finalità di semplificazione.
9/1248-A-R/124Matarrese.


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito delle misure di semplificazione amministrativa sono stati prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori, di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in materia edilizia;
    il testo si riferisce ai titoli abitativi «rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del presente decreto» ma il successivo ultimo comma prevede che le disposizioni dell'articolo 30 si applicano dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ingenerando possibili dubbi interpretativi;

impegna il Governo

ad ogni attività utile per risolvere eventuali conflitti interpretativi nel senso di applicare effettivamente la proroga agli interventi in essere alla data del decreto, risultando altrimenti vanificato la finalità di semplificazione.
9/1248-A-R/124. (Testo modificato nel corso della seduta) Matarrese.


   La Camera,
   premesso che:
    secondo le analisi più recenti, il commercio del falso nel nostro Paese, con il solo riferimento al mercato interno (senza dunque considerare la quota di merci contraffatte che partono dall'Italia verso l'estero), avrebbe prodotto un fatturato annuo di circa 7 miliardi di euro, con un'ingente perdita per il bilancio dello Stato, in termini di mancate entrate fiscali;
    a tali effetti negativi sul piano dell'economia nazionale, si aggiungono i pericoli che l'utilizzo di prodotti contraffatti può comportare per la salute dei cittadini, posto che questi ultimi tendono ad inserirsi con sempre maggiore frequenza nel circuito produttivo legale, sfuggendo a qualsiasi tipologia di controllo e senza alcun tipo di garanzia per i consumatori;
    il made in Italy rappresenta non solo un marchio conosciuto nel mondo, ma anche un tessuto produttivo di altissima qualità, a vari livelli e nei settori più differenti, caratterizzato da ingegno, lavoro e capacità di produrre ricchezza;
    l'Unione europea non ha ancora approvato disposizioni armonizzate sul made in, tale indifferenza denota un grave limite politico e strategico, poiché i maggiori partner commerciali dell'Unione europea, hanno invece introdotto l'obbligo dell'indicazione del paese dell'origine sul prodotto e sul relativo imballaggio;
    tale posizione è un danno grave per le piccole e medie imprese italiane, sottoposte alla concorrenza sleale della contraffazione in un momento di crisi profonda e perdurante come quella attuale;
    attualmente il Parlamento europeo sta discutendo il «Pacchetto sicurezza prodotti e vigilanza del mercato» composto da due proposte di regolamento (COM(2013)75 relativo alla sorveglianza del mercato dei prodotti e COM(2013)78 relativo alla sicurezza dei prodotti per i consumatori;
    la proposta di Regolamento sulla sicurezza dei prodotti definisce una serie di norme che intendono assicurare la piena tracciabilità dei beni e prevede obblighi, proporzionati e calibrati, per tutta la filiera dal fabbricante all'importatore al distributore;
    è fondamentale per il nostro sistema produttivo che le norme previste dal «pacchetto sicurezza prodotti e vigilanza del mercato» siano adottate in tempi rapidi in Italia, al fine di fornire un'adeguata tutela al consumatore;

impegna il Governo

ad attivarsi in sede europea al fine di sollecitare l'iter dell'approvazione delle citate proposte di regolamento salvaguardando in particolare il contenuto dell'articolo 7 della proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti per i consumatori COM(2013)78 relativo alla piena tracciabilità dei prodotti con la definizione delle nuove disposizioni in materia di made in.
9/1248-A-R/125Sanga.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 52, comma 1, del presente decreto modifica e integra la disciplina della riscossione delle imposte contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, prevedendo una serie di misure finalizzate ad agevolare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità;
    in particolare, accertata l'impossibilità per il contribuente di assolvere il pagamento secondo un piano di rateazione ordinario ed accertata la solvibilità del contribuente in relazione al piano di rateazione richiesto, è ampliata fino a dieci anni la possibilità di rateazione del pagamento delle imposte (120 rate mensili), eventualmente prorogabile per altri dieci anni; è inoltre ampliato a otto il numero di rate non pagate, anche non consecutive, a partire dal quale il debitore decade dal beneficio della rateizzazione del proprio debito tributario;
    le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo o di affidamento dei carichi all'Agente della riscossione, le somme aventi ad oggetto le comunicazioni di irregolarità inviate ai contribuenti a seguito della liquidazione delle dichiarazione o dei controlli formali; nonché le somme dovute al fisco a seguito di adesione ai processi verbali di constatazione, agli inviti a comparire all'accertamento con adesione, alla conciliazione giudiziale e all'omessa impugnazione dell'avviso di accertamento o di liquidazione prevedono possibilità di dilazione dei pagamenti con modalità, criteri e termini che evidenziano consistenti differenze difficilmente giustificabili dal punto di vista logico-giuridico e generano non giustificabili discriminazioni, con conseguenti dubbi in merito al rispetto dell'articolo 3 della Costituzione;
    in particolare se si rateizza a seguito di adesione a processo verbale di constatazione, definizioni in accertamento con adesione e conciliazioni e, fatto salvo il pagamento della prima, non si paga una sola rata entro il termine di scadenza della successiva, si decade dal beneficio ed è irrogate una sanzione pari al 60 per cento del tributo che resta ancora da versare;
    se si rateizzano le somme dovute a seguito delle comunicazioni di irregolarità inviate ai contribuenti a seguito della liquidazione delle dichiarazione o dei controlli formali (cosiddetti avvisi bonari), si decade dalla rateazione in caso di mancato pagamento di una sola rata entro il termine del versamento della rata successiva ed è irrogata una sanzione pari al 30 per cento della sola rata non versata;
    infine se si rateizzano i carichi di ruolo, ai sensi di quanti previsto dal citato articolo 52 del presente decreto si decade solo se non si versano otto rate anche non consecutive e non viene irrogata alcuna sanzione per il mancato pagamento della rate;
    le evidenti differenze non paiono sufficientemente supportate da ragioni di merito pertanto sarebbe auspicabile intervenire al fine di procedere ad una radicale revisione dell'istituto della rateazione delle somme dovute al fisco mantenendo la distinzione tra l'accesso all'istituto della rateazione legato alla obiettiva e temporanea situazione di difficoltà, da valutarsi da parte dell'Agente della riscossione, per i carichi di ruolo e meccanismi automatici previsti dalla legge per i casi in cui il contribuente richieda la rateazione delle somme in una fase precedente la riscossione;

impegna il Governo

ad intervenire sul processo di dilazione delle somme dovute al fisco al fine di eliminare le differenze tra la rateazione conseguente all'utilizzo di istituti deflattivi del contenzioso (come l'adesione ai processi verbali di constatazione, agli inviti a comparire, all'accertamento con adesione, alla conciliazione giudiziale, e all'acquiescenza) e la rateazione conseguente alle somme dovute a seguito delle comunicazioni di irregolarità inviate ai contribuenti (cosiddetti avvisi bonari).
9/1248-A-R/126Laforgia, Moretti.


   La Camera,
   premesso che:
    la disciplina della rateazione delle somme dovute al fisco non è omogenea ma coesistono diverse tipologie di dilazione di pagamento;
    le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo o di affidamento dei carichi all'Agente della riscossione l'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, statuisce, al comma 1, che l'agente della riscossione, su richiesta del contribuente, può concedere nell'ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di settantadue rate mensili;
    l'articolo 52 del presente decreto modifica e integra la disciplina della riscossione delle imposte contenuta nel citato decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, prevedendo una serie di misure finalizzate ad agevolare i contribuenti in difficoltà economica o con momentanea carenza di liquidità tra le quali la possibilità di estendere la dilazione di pagamento fino a 120 rate nei casi di comprovata e grave situazione di difficoltà, eventualmente prorogabile per altri dieci anni;
    l'articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, dispone, al comma 1, che le somme dovute per le comunicazioni di irregolarità (cosiddetti avvisi bonari) inviate ai contribuenti a seguito della liquidazione delle dichiarazioni di cui all'articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 – ai fini delle imposte dirette –, e all'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 – ai fini dell'Iva – o dei controlli formali di cui all'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, possono essere versate in un numero massimo di sei rate trimestrali di pari importo, ovvero, se superiori a cinquemila euro, in un numero massimo di venti rate trimestrali di pari importo;
    in particolare le due rateazioni si differenziano per alcuni aspetti sostanziali quali il diritto ad accedere al beneficio, il periodo di rateazione, la decadenza dal beneficio e le sanzioni connesse al mancato rispetto del piano;
    nelle more di una complessiva riforma del sistema dell'accertamento e della riscossione è necessario un coordinamento delle nuove disposizioni per la riscossione mediante ruolo di cui all'articolo 52 del presente decreto con l'attuale disciplina prevista per le dilazioni concesse dall'Agenzia delle entrate sugli avvisi bonari al fine di permettere ai contribuenti che si trovino, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica di riuscire ad adempiere all'obbligazione senza incorrere nell'iscrizione a ruolo del debito in tempi ristretti con un significativo aggravio di sanzioni, interessi ed aggio per l'agente della riscossione;

impegna il Governo

nelle more di una complessiva riforma del sistema dell'accertamento e della riscossione, a prevedere, qualora il contribuente si trovi, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, la possibilità di aumentare il numero di rate della dilazione di cui all'articolo 3-bis, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462 al fine di evitare l'affidamento dei carichi all'Agente della riscossione con un significativo aggravio delle somme dovute in termini di sanzioni, interessi ed aggi.
9/1248-A-R/127Amoddio, Antezza, Biondelli, Sbrollini, Arlotti, Folino.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame contiene una serie di misure finalizzate a garantire, nell'ottica della tutela della salute del cittadino, disposizioni per la semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela stessa;
    l'attività fisica, specialmente quella sportiva non agonistica è sicuramente un fattore di promozione della salute e non di rischio ed è dovere dello Stato assicurarne la massima diffusione;
    in base alla normativa attuale prevista dall'articolo 7, comma 11 del decreto-legge n. 158 del 2012 convertito con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189 prevede che: «Al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un'attività sportiva non agonistica o amatoriale il Ministro della salute, con proprio decreto, adottato di concerto con il Ministro delegato al turismo e allo sport, dispone garanzie sanitarie mediante l'obbligo di idonea certificazione medica, nonché linee guida per l'effettuazione di controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l'impiego, da parte di società sportive sia professionistiche che dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita»;
    il testo del Decreto Ministeriale pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 luglio, nel ribadire la salvaguardia della salute dei cittadini che praticano sport a livello non agonistico o amatoriale;
    dispone l'obbligo di certificazione medica e l'introduzione di nuovi accertamenti sanitari per i praticanti; e ne differenzia la tipologia secondo la tipologia di attività sportiva posta in essere;
    individua una nuova tipologia di attività fisica denominata «ludico-motoria», descritta non tanto in base ai contenuti tecnici dell'attività stessa, quanto in base alla estraneità al tesseramento e all'attività di associazioni sportive di qualsiasi tipo;
    definisce non ben precisati «contesti autorizzati e organizzati» all'esercizio di tale attività secondo le normative vigenti senza indicare quali siano le normative che autorizzano ad organizzare tale ad oggi sconosciuta attività;
    obbliga ad una nuova, onerosa, certificazione ed onerosi accertamenti a carico delle persone che volessero svolgere tale attività con il prevedibile effetto dell'abbandono dell'attività sportiva da parte dei soggetti meno abbienti;
    introduce l'obbligo per i non precisati incaricati dei succitati non precisati «contesti», poi denominati «strutture e luoghi», di ricevere e conservare tali certificati, prefigurando per questi soggetti la responsabilità di individuare la soglia oltre la quale l'attività motoria possa considerarsi «saltuaria e non ripetitiva» e quindi non soggetta a certificazione obbligatoria;
    introduce nuovi onerosi accertamenti per ottenere la certificazione obbligatoria per l'attività non agonistica tra cui l'effettuazione di un ECG a riposo sulla cui efficacia nella prevenzione degli eventi avversi la comunità scientifica nutre fortissimi dubbi;
    dispone che l'attività svolta presso le associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline associate, federazioni sportive, anche non in qualità di tesserati, debba considerarsi comunque «non agonistica» ai fini della certificazione, mentre è palese e assodato che tali organismi organizzano e svolgono una rilevantissima ed estesa attività assolutamente definibile come ludico-motoria, per soggetti tesserati e non e che tale disposizione produrrebbe a questi organismi un grave danno, caricando frequentatori ed organizzatori di queste attività di oneri economici e burocratici non spettanti invece ai frequentatori dei succitati indefiniti «contesti», e prefigurando quindi due tipi diversi di tutela sanitaria per la stessa tipologia di attività;
    obbliga tutte le società e associazioni sportive di dotarsi di un defibrillatore, prevedendo la facoltà di associarsi per dotazione ed uso, ma non prevedendo obblighi di nessuna natura per i proprietari e i gestori degli impianti sportivi, disposizione questa che carica sulle ASD, in larghissima percentuale costituite da poche decine di soci volontari, un grave peso economico e di responsabilità che andrebbe in altro modo ripartito,

impegna il Governo:

   a stabilire, così come previsto per la dotazione e l'uso dei defibrillatori il termine di trenta mesi dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale del decreto ministeriale anche per la messa a regime del nuovo sistema di certificazione;
   a promuovere un tavolo di lavoro che veda la partecipazione di Enti di Promozione sportiva, Discipline Associate, Federazioni Sportive, per produrre chiarimenti e determinare linee guida, tali da conciliare la sicurezza delle persone che svolgono attività motoria e sportiva con l'obiettivo della massima diffusione di tale pratica, delle pari opportunità per l'accesso per tutti i cittadini, della semplificazione burocratica per praticanti ed organizzatori.
9/1248-A-R/128Fossati, Lenzi, Giuditta Pini, Coccia.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame contiene una serie di misure finalizzate a garantire, nell'ottica della tutela della salute del cittadino, disposizioni per la semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela stessa;
    l'attività fisica, specialmente quella sportiva non agonistica è sicuramente un fattore di promozione della salute e non di rischio ed è dovere dello Stato assicurarne la massima diffusione;
    in base alla normativa attuale prevista dall'articolo 7, comma 11 del decreto-legge n. 158 del 2012 convertito con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189 prevede che: «Al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un'attività sportiva non agonistica o amatoriale il Ministro della salute, con proprio decreto, adottato di concerto con il Ministro delegato al turismo e allo sport, dispone garanzie sanitarie mediante l'obbligo di idonea certificazione medica, nonché linee guida per l'effettuazione di controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l'impiego, da parte di società sportive sia professionistiche che dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita»;
    il testo del Decreto Ministeriale pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 20 luglio, nel ribadire la salvaguardia della salute dei cittadini che praticano sport a livello non agonistico o amatoriale;
    dispone l'obbligo di certificazione medica e l'introduzione di nuovi accertamenti sanitari per i praticanti; e ne differenzia la tipologia secondo la tipologia di attività sportiva posta in essere;
    individua una nuova tipologia di attività fisica denominata «ludico-motoria», descritta non tanto in base ai contenuti tecnici dell'attività stessa, quanto in base alla estraneità al tesseramento e all'attività di associazioni sportive di qualsiasi tipo;
    definisce non ben precisati «contesti autorizzati e organizzati» all'esercizio di tale attività secondo le normative vigenti senza indicare quali siano le normative che autorizzano ad organizzare tale ad oggi sconosciuta attività;
    obbliga ad una nuova, onerosa, certificazione ed onerosi accertamenti a carico delle persone che volessero svolgere tale attività con il prevedibile effetto dell'abbandono dell'attività sportiva da parte dei soggetti meno abbienti;
    introduce l'obbligo per i non precisati incaricati dei succitati non precisati «contesti», poi denominati «strutture e luoghi», di ricevere e conservare tali certificati, prefigurando per questi soggetti la responsabilità di individuare la soglia oltre la quale l'attività motoria possa considerarsi «saltuaria e non ripetitiva» e quindi non soggetta a certificazione obbligatoria;
    introduce nuovi onerosi accertamenti per ottenere la certificazione obbligatoria per l'attività non agonistica tra cui l'effettuazione di un ECG a riposo sulla cui efficacia nella prevenzione degli eventi avversi la comunità scientifica nutre fortissimi dubbi;
    dispone che l'attività svolta presso le associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline associate, federazioni sportive, anche non in qualità di tesserati, debba considerarsi comunque «non agonistica» ai fini della certificazione, mentre è palese e assodato che tali organismi organizzano e svolgono una rilevantissima ed estesa attività assolutamente definibile come ludico-motoria, per soggetti tesserati e non e che tale disposizione produrrebbe a questi organismi un grave danno, caricando frequentatori ed organizzatori di queste attività di oneri economici e burocratici non spettanti invece ai frequentatori dei succitati indefiniti «contesti», e prefigurando quindi due tipi diversi di tutela sanitaria per la stessa tipologia di attività;
    obbliga tutte le società e associazioni sportive di dotarsi di un defibrillatore, prevedendo la facoltà di associarsi per dotazione ed uso, ma non prevedendo obblighi di nessuna natura per i proprietari e i gestori degli impianti sportivi, disposizione questa che carica sulle ASD, in larghissima percentuale costituite da poche decine di soci volontari, un grave peso economico e di responsabilità che andrebbe in altro modo ripartito,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di stabilire che la messa a regime del nuovo sistema di certificazione decorre dal termine di trenta mesi dall'entrata in vigore del decreto ministeriale 20 luglio 2013;
   a promuovere un tavolo di lavoro che veda la partecipazione di Enti di Promozione sportiva, Discipline Associate, Federazioni Sportive, per produrre chiarimenti e determinare linee guida, tali da conciliare la sicurezza delle persone che svolgono attività motoria e sportiva con l'obiettivo della massima diffusione di tale pratica, delle pari opportunità per l'accesso per tutti i cittadini, della semplificazione burocratica per praticanti ed organizzatori.
9/1248-A-R/128. (Testo modificato nel corso della seduta) Fossati, Lenzi, Giuditta Pini, Coccia.


   La Camera,
   premesso che:
    è evidentemente necessario identificare misure atte a sbloccare ulteriormente la capacità di investimento dei Comuni soggetti ai vincoli del patto di stabilità interno;
    è altrettanto importante, data la grave situazione di crisi che il paese sta attraversando, individuare sistemi che permettano di agire «a saldo zero», e dunque senza alcun aggravio sui saldi di finanza pubblica;
    in tal senso si potrebbe prevedere un meccanismo che permetta agli enti virtuosi, ovvero gli enti che hanno rispettato gli obiettivi fissati per l'anno 2012, di poter effettuare investimenti in settori strategici per la comunità che rappresentano e per l'intero Paese per un importo pari alla differenza, se positiva, tra saldo finanziario e saldo obiettivo;
    uno di questi settori più importanti e delicati in questo senso è sicuramente quello della messa in sicurezza degli edifici scolastici,

impegna il Governo

a prevedere un meccanismo simile a quello esposto in premessa, che, senza oneri per lo Stato, rappresenti una sorta di premio compensativo visto che proprio i comuni virtuosi sono stati maggiormente penalizzati dalle disposizioni del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, sullo sblocco dei pagamenti della Pubblica Amministrazione.
9/1248-A-R/129Moretti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 27, comma 1, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che le domande dirette a conseguire le concessioni e le autorizzazioni per gli accessi se interessano strade o autostrade statali, sono presentate al competente ufficio della società ANAS spa e, in caso di strade in concessione, all'ente concessionario, che provvede a trasmetterle con il proprio parere al competente ufficio della società ANAS spa, ove le convenzioni di concessione non consentono al concessionario di adottare il relativo provvedimento;
    il comma 8 del citato articolo 27 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che nella determinazione della somma da versare all'ente rilasciarne si deve tenere conto delle soggezioni che derivano alla strada o all'autostrada, del valore economico risultante dal provvedimento e del vantaggio che il beneficiario ricava dal provvedimento stesso;
    questi criteri sono tradotti in una formula matematica, la cui applicazione è suscettibile di produrre canoni di diverso importo, in funzione dei fattori che la formula stessa prende in considerazione (tipologia di accesso, larghezza geometrica, importanza della strada eccetera) così che la formula matematica e i parametri per l'individuazione dei canoni non sono in alcun modo stabiliti dal legislatore ma approvati unilateralmente dal consiglio di amministrazione della società e sono parte costitutiva del provvedimento annuale di determinazione dei canoni (sottoposto a vigilanza ministeriale, quindi firmato dal presidente della società ANAS spa e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ai sensi e per gli effetti della disposizione citata);
    ai sensi dell'articolo 55, comma 23, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, sono iniziati, nel 1998, gli aumenti unilaterali da parte della società ANAS spa del canone sui passi carrai in base alle nuove tabelle e ai nuovi coefficienti di calcolo, che hanno comportato aumenti discrezionali, in particolare nella regione Veneto;
    c’è un'evidente disparità di trattamento tra cittadini che hanno accesso alla proprietà attraverso passi carrai insistenti su strade non statali e cittadini che invece si ritrovano gravati dal canone per la concessione di passi carrai per l'accesso a strade statali con l'ovvia conseguenza che il valore di abitazioni e/o attività commerciali affacciate sulle stesse si è drasticamente deprezzato;
    l'articolo 25 del presente decreto in via di conversione reca disposizioni concernenti la governance dell'Anas e in questa sede sembrerebbe pertanto utile ridefinire anche il tema delle entrate proprie della società in particolare per quanto attiene ai canoni di accesso;
    il rappresentante del Governo, in sede di esame del provvedimento nelle Commissioni di merito, ha dichiarato di assumere un impegno stringente sul tema, considerata l'impossibilità di attendere ulteriori anni per una soluzione di una situazione ormai giunta ad un punto critico;
    sarebbe necessario modificare le disposizioni di legge che affidano alla società ANAS piena discrezionalità per il computo degli importi stabilendo che gli incrementi dei canoni non possano superare l'andamento dell'inflazione corrente;

impegna il Governo

ad assumere idonee iniziative volte a sospendere immediatamente la riscossione dei pagamenti contestati in attesa della puntuale revisione dei canoni nonché ad intervenire, già in sede di presentazione della prossima legge di stabilità, al fine superare le disparità di trattamento da parte della società ANAS Spa prevedendo in particolare l'eliminazione del canone dovuto per i passi carrai o quanto meno prevedendo la revisione della modalità di calcolo del canone improntata a criteri di logicità tale da consentire ai concessionari di verificare ed eventualmente contestare l'ammontare della pretesa economica.
9/1248-A-R/130De Menech, Miotto, Rubinato.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 27, comma 1, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che le domande dirette a conseguire le concessioni e le autorizzazioni per gli accessi se interessano strade o autostrade statali, sono presentate al competente ufficio della società ANAS spa e, in caso di strade in concessione, all'ente concessionario, che provvede a trasmetterle con il proprio parere al competente ufficio della società ANAS spa, ove le convenzioni di concessione non consentono al concessionario di adottare il relativo provvedimento;
    il comma 8 del citato articolo 27 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevede che nella determinazione della somma da versare all'ente rilasciarne si deve tenere conto delle soggezioni che derivano alla strada o all'autostrada, del valore economico risultante dal provvedimento e del vantaggio che il beneficiario ricava dal provvedimento stesso;
    questi criteri sono tradotti in una formula matematica, la cui applicazione è suscettibile di produrre canoni di diverso importo, in funzione dei fattori che la formula stessa prende in considerazione (tipologia di accesso, larghezza geometrica, importanza della strada eccetera) così che la formula matematica e i parametri per l'individuazione dei canoni non sono in alcun modo stabiliti dal legislatore ma approvati unilateralmente dal consiglio di amministrazione della società e sono parte costitutiva del provvedimento annuale di determinazione dei canoni (sottoposto a vigilanza ministeriale, quindi firmato dal presidente della società ANAS spa e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ai sensi e per gli effetti della disposizione citata);
    ai sensi dell'articolo 55, comma 23, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, sono iniziati, nel 1998, gli aumenti unilaterali da parte della società ANAS spa del canone sui passi carrai in base alle nuove tabelle e ai nuovi coefficienti di calcolo, che hanno comportato aumenti discrezionali, in particolare nella regione Veneto;
    c’è un'evidente disparità di trattamento tra cittadini che hanno accesso alla proprietà attraverso passi carrai insistenti su strade non statali e cittadini che invece si ritrovano gravati dal canone per la concessione di passi carrai per l'accesso a strade statali con l'ovvia conseguenza che il valore di abitazioni e/o attività commerciali affacciate sulle stesse si è drasticamente deprezzato;
    l'articolo 25 del presente decreto in via di conversione reca disposizioni concernenti la governance dell'Anas e in questa sede sembrerebbe pertanto utile ridefinire anche il tema delle entrate proprie della società in particolare per quanto attiene ai canoni di accesso;
    il rappresentante del Governo, in sede di esame del provvedimento nelle Commissioni di merito, ha dichiarato di assumere un impegno stringente sul tema, considerata l'impossibilità di attendere ulteriori anni per una soluzione di una situazione ormai giunta ad un punto critico;
    sarebbe necessario modificare le disposizioni di legge che affidano alla società ANAS piena discrezionalità per il computo degli importi stabilendo che gli incrementi dei canoni non possano superare l'andamento dell'inflazione corrente;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere idonee iniziative in tema di revisione dei canoni nonché l'opportunità di intervenire, già in sede di presentazione della prossima legge di stabilità, al fine superare le disparità di trattamento da parte della società ANAS Spa prevedendo in particolare l'eliminazione del canone dovuto per i passi carrai o quanto meno prevedendo la revisione della modalità di calcolo del canone improntata a criteri di logicità tale da consentire ai concessionari di verificare ed eventualmente contestare l'ammontare della pretesa economica.
9/1248-A-R/130. (Testo modificato nel corso della seduta) De Menech, Miotto, Rubinato.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 82 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, nel modificare la disciplina del concordato preventivo di cui all'articolo 161, sesto, settimo e ottavo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, prevede che: l'imprenditore depositi, unitamente al ricorso contenente la domanda «in bianco», l'elenco dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e il tribunale abbia la facoltà di anticipare alla fase prenotativa la nomina del commissario giudiziale (comma 1); il tribunale, nell'autorizzare gli atti urgenti di straordinaria amministrazione da compiersi fino all'apertura della procedura di concordato, acquisisca il parere del commissario giudiziale, se nominato (comma 2); gli obblighi informativi in capo all'imprenditore vengano rafforzati e il tribunale abbia la facoltà di abbreviare i termini della fase prenotativa, laddove l'attività compiuta dall'imprenditore sia manifestamente inidonea alla predisposizione del piano e della proposta (comma 3);
    considerato che l'istituto del concordato «in bianco» è prevalentemente utilizzato con finalità liquidatorie dell'attività d'impresa e presta il fianco a condotte abusive, in danno soprattutto dei fornitori commerciali, come confermato da alcuni dati (Rapporto Cerved, maggio 2013) secondo cui tra l'11 settembre 2012 (data di entrata in vigore della riforma) e il 31 marzo 2013: i) il 37 per cento delle imprese che hanno avuto accesso al concordato «in bianco» era in liquidazione già prima di presentare la domanda; ii) il 24 per cento delle imprese in questione non ha assolto l'obbligo di depositare, insieme alla domanda, i bilanci degli ultimi tre esercizi;
    risulta dunque necessario rafforzare i presidi volti a neutralizzare tali comportamenti abusivi, che hanno finalità esclusivamente dilatorie, intervenendo con maggiore incisività su alcuni ambiti regolamentari, quali la durata della fase prenotativa, nel corso della quale il debitore beneficia della sospensione dei pagamenti e della paralisi delle azioni esecutive e cautelari dei creditori; i controlli sulla gestione del patrimonio dell'imprenditore durante tale fase; le tutele riconosciute ai crediti per forniture commerciali laddove queste finiscano per avere una funzione analoga alle operazioni di finanziamento, attualmente prededucibili, volte a garantire la sopravvivenza dell'impresa durante la fase prenotativa;

impegna il Governo

a favorire in tempi brevissimi l'adozione di misure volte a rafforzare la tutela dei creditori-fornitori commerciali nel concordato «in bianco», quali la riduzione tout court di termini della fase prenotativa; l'obbligatorietà della nomina anticipata del commissario giudiziale; il riconoscimento del beneficio della prededuzione anche a somministrazioni, forniture e appalti eseguiti a favore dell'imprenditore in crisi nei mesi immediatamente precedenti la presentazione della domanda di concordato, funzionali alla prosecuzione dell'attività d'impresa e tuttavia non pagati.
9/1248-A-R/131Giampaolo Galli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 82 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, nel modificare la disciplina del concordato preventivo di cui all'articolo 161, sesto, settimo e ottavo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, prevede che: l'imprenditore depositi, unitamente al ricorso contenente la domanda «in bianco», l'elenco dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti e il tribunale abbia la facoltà di anticipare alla fase prenotativa la nomina del commissario giudiziale (comma 1); il tribunale, nell'autorizzare gli atti urgenti di straordinaria amministrazione da compiersi fino all'apertura della procedura di concordato, acquisisca il parere del commissario giudiziale, se nominato (comma 2); gli obblighi informativi in capo all'imprenditore vengano rafforzati e il tribunale abbia la facoltà di abbreviare i termini della fase prenotativa, laddove l'attività compiuta dall'imprenditore sia manifestamente inidonea alla predisposizione del piano e della proposta (comma 3);
    considerato che l'istituto del concordato «in bianco» è prevalentemente utilizzato con finalità liquidatorie dell'attività d'impresa e presta il fianco a condotte abusive, in danno soprattutto dei fornitori commerciali, come confermato da alcuni dati (Rapporto Cerved, maggio 2013) secondo cui tra l'11 settembre 2012 (data di entrata in vigore della riforma) e il 31 marzo 2013: i) il 37 per cento delle imprese che hanno avuto accesso al concordato «in bianco» era in liquidazione già prima di presentare la domanda; ii) il 24 per cento delle imprese in questione non ha assolto l'obbligo di depositare, insieme alla domanda, i bilanci degli ultimi tre esercizi;
    risulta dunque necessario rafforzare i presidi volti a neutralizzare tali comportamenti abusivi, che hanno finalità esclusivamente dilatorie, intervenendo con maggiore incisività su alcuni ambiti regolamentari, quali la durata della fase prenotativa, nel corso della quale il debitore beneficia della sospensione dei pagamenti e della paralisi delle azioni esecutive e cautelari dei creditori; i controlli sulla gestione del patrimonio dell'imprenditore durante tale fase; le tutele riconosciute ai crediti per forniture commerciali laddove queste finiscano per avere una funzione analoga alle operazioni di finanziamento, attualmente prededucibili, volte a garantire la sopravvivenza dell'impresa durante la fase prenotativa;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare eventuali ulteriori misure volte a rafforzare la tutela dei creditori-fornitori commerciali nel concordato «in bianco».
9/1248-A-R/131. (Testo modificato nel corso della seduta) Giampaolo Galli.


   La Camera,
   premesso che:
    in base a quanto disposto dall'articolo 1, commi 340 e seguenti della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dall'articolo 1, commi 561 e seguenti della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono state individuate, come zone franche urbane, una serie di aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, con lo scopo di favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale;
    l'articolo 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 ha stabilito che le agevolazioni per le Zone Franche Urbane sono state rifinanziate a carico della riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013 oggetto del Piano di azione coesione;
    il decreto ministeriale 10 aprile 2013 recante Condizioni, limiti, modalità e termini di decorrenza delle agevolazioni fiscali e contributive in favore di micro e piccole imprese localizzate nelle Zone Franche Urbane delle regioni dell'Obiettivo «Convergenza»), in attuazione della norma sopra citata, ha però escluso la Basilicata, in particolare Matera, poiché, seppur in origine individuata quale zona franca urbana, la Regione non rientrava nell'Obiettivo «Convergenza»;
    l'area del materano resta interessata da una situazione di profonda crisi produttiva, acuita, in particolare, negli ultimi giorni dal denunciato stato di crisi occupazionale degli stabilimenti Natuzzi;

impegna il Governo

a negoziare con la Commissione della UE, in considerazione degli specifici obiettivi del Piano di Azione e coesione, la possibilità di estendere all'area di Matera, in deroga ai vincoli di utilizzo delle risorse comunitarie per le aree in phasing-out, l'ammissibilità delle agevolazioni da ultimo finanziate dal «decreto sviluppo», ovvero a provvedere con risorse nazionali a finanziare tali agevolazioni, al fine di garantire un intervento a sostegno dell'economia produttiva dell'area ed evitare quella che sarebbe altrimenti una grave discriminazione, determinata unicamente dall'individuazione statistica dei livelli di reddito della Basilicata, rilevata in epoca precedente all'esplosione della crisi produttiva e occupazionale.
9/1248-A-R/132Antezza, Folino.


   La Camera,
   premesso che:
    in base a quanto disposto dall'articolo 1, commi 340 e seguenti della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e dall'articolo 1, commi 561 e seguenti della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono state individuate, come zone franche urbane, una serie di aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, con lo scopo di favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale;
    l'articolo 37 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 ha stabilito che le agevolazioni per le Zone Franche Urbane sono state rifinanziate a carico della riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai Fondi strutturali 2007-2013 oggetto del Piano di azione coesione;
    il decreto ministeriale 10 aprile 2013 recante Condizioni, limiti, modalità e termini di decorrenza delle agevolazioni fiscali e contributive in favore di micro e piccole imprese localizzate nelle Zone Franche Urbane delle regioni dell'Obiettivo «Convergenza»), in attuazione della norma sopra citata, ha però escluso la Basilicata, in particolare Matera, poiché, seppur in origine individuata quale zona franca urbana, la Regione non rientrava nell'Obiettivo «Convergenza»;
    l'area del materano resta interessata da una situazione di profonda crisi produttiva, acuita, in particolare, negli ultimi giorni dal denunciato stato di crisi occupazionale degli stabilimenti Natuzzi;

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di estendere all'area di Matera l'ammissibilità delle agevolazioni da ultimo finanziate dal «decreto sviluppo», al fine di garantire un intervento a sostegno dell'economia produttiva dell'area ed evitare quella che sarebbe altrimenti una grave discriminazione, determinata unicamente dall'individuazione statistica dei livelli di reddito della Basilicata, rilevata in epoca precedente all'esplosione della crisi produttiva e occupazionale.
9/1248-A-R/132. (Testo modificato nel corso della seduta) Antezza, Folino.


   La Camera,
   premesso che:
    l'amianto è una sostanza altamente nociva per la salute che produce effetti cancerogeni rilevanti;
    tale sostanza è stata prodotta ed utilizzata nel campo dell'industria e dell'edilizia già a partire dagli anni 40’ fino all'introduzione della legge 27 marzo 1992, n. 257, recante appunto «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto»;
    nonostante i divieti relativi alla produzione, estrazione e utilizzo dell'amianto, la presenza di tale materiale nei diversi territori del Paese è ancora altissima e costituisce una fonte di grave pericolo per la salute delle persone;
    gli interventi di bonifica continuano ad avere costi decisamente troppo elevati per poter essere sostenuti dai privati, specie in un periodo di profonda crisi economica come quello che sta attraversando la società italiana;
    la tutela della salute delle persone rispetto alla presenza dell'amianto negli edifici pubblici e privati, nei centri abitati e nelle diverse aree del territorio italiano è dovere primario delle istituzioni della Repubblica;
    il Governo ha già affrontato diverse questioni relative alla tutela dell'ambiente e alla salvaguardia della salute delle persone, tuttavia è necessario un ulteriore sforzo anche per la soluzione del problema della diffusa presenza dell'amianto nel Paese,

impegna il Governo:

   a realizzare, compatibilmente con vincoli di spesa, un piano nazionale straordinario per la raccolta dell'amianto e la bonifica delle aree e degli edifici in cui è presente attraverso lo stanziamento di risorse dedicate e l'introduzione di forti agevolazioni fiscali;
   ad istituire un'apposita task force per il monitoraggio ed il coordinamento degli interventi sul territorio nazionale, avendo particolare attenzione delle aree più critiche ed esposte al grave pericolo per la salute causato dalla presenza dell'amianto.
9/1248-A-R/133Ribaudo, Moscatt, Culotta, Ventricelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'amianto è una sostanza altamente nociva per la salute che produce effetti cancerogeni rilevanti;
    tale sostanza è stata prodotta ed utilizzata nel campo dell'industria e dell'edilizia già a partire dagli anni 40’ fino all'introduzione della legge 27 marzo 1992, n. 257, recante appunto «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto»;
    nonostante i divieti relativi alla produzione, estrazione e utilizzo dell'amianto, la presenza di tale materiale nei diversi territori del Paese è ancora altissima e costituisce una fonte di grave pericolo per la salute delle persone;
    gli interventi di bonifica continuano ad avere costi decisamente troppo elevati per poter essere sostenuti dai privati, specie in un periodo di profonda crisi economica come quello che sta attraversando la società italiana;
    la tutela della salute delle persone rispetto alla presenza dell'amianto negli edifici pubblici e privati, nei centri abitati e nelle diverse aree del territorio italiano è dovere primario delle istituzioni della Repubblica;
    il Governo ha già affrontato diverse questioni relative alla tutela dell'ambiente e alla salvaguardia della salute delle persone, tuttavia è necessario un ulteriore sforzo anche per la soluzione del problema della diffusa presenza dell'amianto nel Paese,

impegna il Governo:

   a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di realizzare un piano nazionale straordinario per la raccolta dell'amianto e la bonifica delle aree e degli edifici in cui è presente;
   ad istituire un'apposita task force per il monitoraggio ed il coordinamento degli interventi sul territorio nazionale, avendo particolare attenzione delle aree più critiche ed esposte al grave pericolo per la salute causato dalla presenza dell'amianto.
9/1248-A-R/133. (Testo modificato nel corso della seduta) Ribaudo, Moscatt, Culotta, Ventricelli.


   La Camera,
   premesso che:
    tra le funzioni fondamentali degli Enti Locali vi è l'edilizia scolastica, settore tra i più rilevanti per gli investimenti degli enti locali sia in nuovi edifici sia nella messa in sicurezza e manutenzione ordinaria e straordinaria di quelli esistenti;
    lo stato delle scuole del nostro paese ci consegna una fotografia disarmante, dei 42mila edifici scolastici presenti in tutta Italia: il 29 per cento non ha il certificato di agibilità sanitaria, il 42 per cento quello di agibilità statica, il 48 per cento non rispetta la normativa antincendio;
    più del 60 per cento degli edifici scolastici italiani, in aree sismiche o no, sono stati costruiti prima del 1970 e solo l'8 per cento negli ultimi vent'anni. La stessa percentuale di plessi non è dotata neppure di scale di sicurezza o porte anti-panico;
    il problema non è circoscritto alla sola manutenzione ordinaria; gli enti locali non hanno più i fondi neanche per effettuare gli interventi urgenti e straordinari: crescono, infatti, fino a costituire il 56 per cento del totale, gli edifici che negli ultimi 5 anni non hanno goduto di nessun tipo di intervento. Nella situazione attuale, a causa delle rigorosa applicazione del patto di stabilità, gli enti locali si ritrovano nell'impossibilità di fronteggiare eventi improvvisi o guasti banali che diventano anch'essi rischiosi per l'incolumità della comunità scolastica,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia consentito agli Enti locali la realizzazione di interventi di manutenzione straordinaria ed urgente e messa in sicurezza delle scuole finalizzata a garantire l'incolumità fisica degli studenti del personale in deroga alle regole sul patto di stabilità interno.
9/1248-A-R/134Culotta, Moscatt, Ribaudo, Ventricelli.


   La Camera,
   premesso che:
    tra le funzioni fondamentali degli Enti Locali vi è l'edilizia scolastica, settore tra i più rilevanti per gli investimenti degli enti locali sia in nuovi edifici sia nella messa in sicurezza e manutenzione ordinaria e straordinaria di quelli esistenti;
    lo stato delle scuole del nostro paese ci consegna una fotografia disarmante, dei 42mila edifici scolastici presenti in tutta Italia: il 29 per cento non ha il certificato di agibilità sanitaria, il 42 per cento quello di agibilità statica, il 48 per cento non rispetta la normativa antincendio;
    più del 60 per cento degli edifici scolastici italiani, in aree sismiche o no, sono stati costruiti prima del 1970 e solo l'8 per cento negli ultimi vent'anni. La stessa percentuale di plessi non è dotata neppure di scale di sicurezza o porte anti-panico;
    il problema non è circoscritto alla sola manutenzione ordinaria; gli enti locali non hanno più i fondi neanche per effettuare gli interventi urgenti e straordinari: crescono, infatti, fino a costituire il 56 per cento del totale, gli edifici che negli ultimi 5 anni non hanno goduto di nessun tipo di intervento. Nella situazione attuale, a causa delle rigorosa applicazione del patto di stabilità, gli enti locali si ritrovano nell'impossibilità di fronteggiare eventi improvvisi o guasti banali che diventano anch'essi rischiosi per l'incolumità della comunità scolastica,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia consentito agli Enti locali la realizzazione di interventi di manutenzione straordinaria ed urgente e messa in sicurezza delle scuole finalizzata a garantire l'incolumità fisica degli studenti del personale in deroga alle regole sul patto di stabilità interno.
9/1248-A-R/134. (Testo modificato nel corso della seduta) Culotta, Moscatt, Ribaudo, Ventricelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione europea attraverso un'apposita pianificazione e programmazione stanzia nei confronti dell'Italia ingenti risorse economiche finalizzate a promuovere un maggiore sviluppo e favorire la coesione e la crescita sociale;
    per ottenere ed utilizzare al meglio le risorse stanziate dall'Ue occorre, tuttavia, un certo livello di conoscenze e di capacità progettuali e gestionali;
    molti dei canali di finanziamento delle risorse messe a disposizione dalla Ue, purtroppo, non vengono sfruttati a pieno dall'Italia per una sostanziale inadeguatezza di informazione delle Pubbliche Amministrazioni e degli operatori privati;
    la perdita o la mancata utilizzazione delle risorse comunitarie reca un grave pregiudizio sotto il profilo economico e sociale e contribuisce ad alimentare un clima di sfiducia e di distanza dalle istituzioni nazionali ed europee;
    in questo particolare momento di crisi economica e sociale, l'Italia non può più permettersi di perdere ulteriori risorse messe a disposizione dalla Ue, che risultano di vitale importanza per riattivare il tessuto socio-economico del Paese,

impegna il Governo

a realizzare di un piano di informazione e di formazione istituzionale rivolto sia agli enti pubblici sia ai soggetti privati, per favorire il pieno sfruttamento delle risorse comunitarie messe a disposizioni per il Paese.
9/1248-A-R/135Moscatt, Culotta, Ribaudo, Ventricelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione europea attraverso un'apposita pianificazione e programmazione stanzia nei confronti dell'Italia ingenti risorse economiche finalizzate a promuovere un maggiore sviluppo e favorire la coesione e la crescita sociale;
    per ottenere ed utilizzare al meglio le risorse stanziate dall'Ue occorre, tuttavia, un certo livello di conoscenze e di capacità progettuali e gestionali;
    molti dei canali di finanziamento delle risorse messe a disposizione dalla Ue, purtroppo, non vengono sfruttati a pieno dall'Italia per una sostanziale inadeguatezza di informazione delle Pubbliche Amministrazioni e degli operatori privati;
    la perdita o la mancata utilizzazione delle risorse comunitarie reca un grave pregiudizio sotto il profilo economico e sociale e contribuisce ad alimentare un clima di sfiducia e di distanza dalle istituzioni nazionali ed europee;
    in questo particolare momento di crisi economica e sociale, l'Italia non può più permettersi di perdere ulteriori risorse messe a disposizione dalla Ue, che risultano di vitale importanza per riattivare il tessuto socio-economico del Paese,

impegna il Governo

a realizzare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, un piano di informazione e di formazione istituzionale rivolto sia agli enti pubblici sia ai soggetti privati, per favorire il pieno sfruttamento delle risorse comunitarie messe a disposizioni per il Paese.
9/1248-A-R/135. (Testo modificato nel corso della seduta) Moscatt, Culotta, Ribaudo, Ventricelli.


   La Camera,
   premesso che:
    la grande rete viaria del Paese è in buona parte costituita da infrastrutture realizzate in epoche oramai remote e secondo previsione normative ampiamente superate;
    la vetustà di tali opere è, spesso, fonte di pericolo per la sicurezza della strada, per l'incolumità degli automobilisti e per il normale funzionamento della rete viaria con rilevanti conseguenze per l'utenza e le attività produttive;
    molte delle opere in questione richiedono continui interventi di manutenzione;
    il pericolo di crolli, cedimenti e smottamenti di strade o ponti è assai concreto, specie nei periodi in cui si verificano forti precipitazioni;
    l'Azienda Nazionale Autonoma delle Strade (ANAS), svolge un ruolo strategico ed indispensabile nella gestione del sistema viario,

impegna il Governo

a realizzare, di concerto con l'ANAS, un piano straordinario di monitoraggio del sistema viario più antiquato che può essere causa di pericolo per l'incolumità pubblica e per il normale funzionamento della rete viaria.
9/1248-A-R/136Ventricelli, Moscatt, Culotta, Ribaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    la grande rete viaria del Paese è in buona parte costituita da infrastrutture realizzate in epoche oramai remote e secondo previsione normative ampiamente superate;
    la vetustà di tali opere è, spesso, fonte di pericolo per la sicurezza della strada, per l'incolumità degli automobilisti e per il normale funzionamento della rete viaria con rilevanti conseguenze per l'utenza e le attività produttive;
    molte delle opere in questione richiedono continui interventi di manutenzione;
    il pericolo di crolli, cedimenti e smottamenti di strade o ponti è assai concreto, specie nei periodi in cui si verificano forti precipitazioni;
    l'Azienda Nazionale Autonoma delle Strade (ANAS), svolge un ruolo strategico ed indispensabile nella gestione del sistema viario,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di realizzare, di concerto con l'ANAS, un piano straordinario di monitoraggio del sistema viario più antiquato che può essere causa di pericolo per l'incolumità pubblica e per il normale funzionamento della rete viaria.
9/1248-A-R/136. (Testo modificato nel corso della seduta) Ventricelli, Moscatt, Culotta, Ribaudo.


   La Camera,
   premesso che:
    per il comune di Marsciano ed altri paesi limitrofi dell'Umbria colpiti dagli eventi sismici del 2009, è stato dichiarato lo stato di emergenza con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 dicembre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4 del 7 gennaio 2010;
    con l'ordinanza del 3 marzo 2010 n. 3853 sono stati delineati i primi interventi urgenti, affidati alla competenza del Presidente della regione Umbria nominato commissario delegato, ed è stata autorizzata la spesa di 15 milioni di euro a carico del fondo della protezione civile;
    un ulteriore finanziamento è stato concesso dal comma 84 dell'articolo 1 della 220 (legge di stabilità 2011), che ha autorizzato la spesa di 3 milioni di euro per l'anno 2011 e di 3 milioni di euro per l'anno 2012;
    il 19 aprile 2012 è stato approvato alla Camera l'ordine del giorno Sereni e altri 9/5109-AR/118 che impegnava il Governo a valutare l'opportunità di estendere l'esenzione dal pagamento dell'Imu anche ai cittadini proprietari di immobili distrutti o inagibili a seguito del sisma ricadenti nei territori dei comuni per i quali è stato dichiarato lo stato di emergenza a seguito di calamità naturali avvenute successivamente al 31 dicembre 2008, tra i quali rientra anche il comune di Marsciano;
    il comma 1, lettera a), n. 2) dell'articolo 11 del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 dicembre 2012, n. 213, novella l'articolo 3 del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74 convertito dalla legge n. 122 del 2012, introducendo il comma 1-bis che, di fatto, esclude i contratti stipulati dai privati beneficiari dei contributi per l'esecuzione di lavori o l'acquisizione di beni o servizi connessi agli interventi di ricostruzione e riparazione delle abitazioni private e di immobili ad uso non abitativo dall'applicazione di talune disposizioni riguardanti i contratti pubblici;

impegna il Governo

ad applicare le disposizioni di cui all'articolo 3, comma 1-bis, del decreto-legge 6 giugno 2012 n. 74 convertito, con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2012, n. 122, agli interventi di ricostruzione, riparazione e miglioramento sismico di immobili compresi all'interno del piano di recupero del borgo storico di Spina del Comune di Marsciano di cui all'articolo 1, comma 3, dell'ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 3853 del 3 marzo 2010, danneggiati dal sisma del 15 dicembre 2009.
9/1248-A-R/137Giulietti, Sereni, Verini, Ascani.


   La Camera,
   è evidentemente necessario per il funzionamento del sistema giustizia prevedere ulteriori norme di modernizzazione del sistema, per la riqualificazione del personale e nonché un piano di assunzioni congruo che permetta di far fronte alla gravissima carenza di organici degli uffici giudiziari;
   una misura urgente che permetterebbe di fare fronte all'arretrato e contribuirebbe ad un miglioramento immediato dell'azione degli uffici giudiziari sarebbe quella di prevedere forme contrattuali che permettano il prosieguo dell'attività di quei lavoratori cassaintegrati, in mobilità, Isu, disoccupati o inoccupati, che abbiano svolto il tirocinio formativo presso il Ministero della giustizia in virtù dello stanziamento di cui all'articolo 1 comma 25 lettera c) legge 24 dicembre 2012, n. 228;

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di approntare adeguati stanziamenti per l'adeguamento degli organici del personale della giustizia, con particolare riferimento a quei lavoratori della giustizia di cui in premessa, i quali, durante lo svolgimento del loro tirocinio, sono stati spesso fondamentali nello smaltimento dell'arretrato e a sostenere, nell'ambito delle proprie prerogative, i progetti di legge che introducono simili figure, tra i quali quelli dell’«Ufficio del processo».
9/1248-A-R/138Verini, Ascani, Ferro.


   La Camera,
   è evidentemente necessario per il funzionamento del sistema giustizia prevedere ulteriori norme di modernizzazione del sistema, per la riqualificazione del personale e nonché un piano di assunzioni congruo che permetta di far fronte alla gravissima carenza di organici degli uffici giudiziari;
   una misura urgente che permetterebbe di fare fronte all'arretrato e contribuirebbe ad un miglioramento immediato dell'azione degli uffici giudiziari sarebbe quella di prevedere forme contrattuali che permettano il prosieguo dell'attività di quei lavoratori cassaintegrati, in mobilità, Isu, disoccupati o inoccupati, che abbiano svolto il tirocinio formativo presso il Ministero della giustizia in virtù dello stanziamento di cui all'articolo 1 comma 25 lettera c) legge 24 dicembre 2012, n. 228;

impegna il Governo

a considerare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di approntare adeguati stanziamenti per l'adeguamento degli organici del personale della giustizia, con particolare riferimento a quei lavoratori della giustizia di cui in premessa.
9/1248-A-R/138. (Testo modificato nel corso della seduta) Verini, Ascani, Ferro.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame detta, tra le molte altre, numerose disposizioni volte a semplificare gli adempimenti formali in materia di lavoro, alcune delle quali rischiano di generare effetti contraddittori – e contrari rispetto alle intenzioni del legislatore – riguardo alle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori;
    in particolare, le misure soppressive dell'articolo 54 e modificative dell'articolo 56 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 – contenute nell'articolo 32 del provvedimento – miranti a semplificare le procedure di comunicazione e notifica di denuncia degli infortuni sul lavoro da parte del datore di lavoro, rischiano di comportare ripercussioni in tema di accertamento di reati o violazioni di leggi concernenti la sicurezza sul lavoro;
    i predetti interventi normativi, infatti, eliminano l'obbligo posto a carico del datore di lavoro di comunicare all'autorità di pubblica sicurezza gli infortuni sul lavoro mortali o che abbiano causato l'inabilità al lavoro per più di tre giorni e stabiliscono che la direzione territoriale del lavoro – settore ispezione del lavoro possa procedere ad un'inchiesta al fine di accertarne le cause e le modalità non più d'ufficio ma esclusivamente su richiesta del lavoratore infortunato, di un superstite o dell'INAIL; tale soluzione – data anche le difficoltà causate dalla presumibile mancanza di una serie di dati indispensabili all'INAIL per poter agire in caso di mancata richiesta degli altri soggetti – appare pregiudizievole soprattutto per i tanti lavoratori stranieri che operano nel nostro Paese e molto spesso non possono contare sul supporto dei familiari;
    le modifiche adottate, inoltre, ipotizzano l'immediata e piena operatività del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP) – che a 5 anni di distanza dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 81 del 2008, che lo istituiva, non è ancora attivo – e un grado di coinvolgimento, collaborazione e scambio di informazioni e dati delicati tra le amministrazioni interessate, che presuppongono un modello organizzativo e di coordinamento che appare, al momento, lontano dal trovare attuazione;
    inoltre, sempre in materia di sicurezza sul lavoro, l'articolo 35 demanda a un decreto interministeriale la definizione di semplificazione degli adempimenti relativi all'informazione, formazione e sorveglianza sanitaria previsti dal decreto legislativo 81/2008, applicabili alle prestazioni lavorative inferiori alle 50 giornate annue, le quali tengono conto anche degli obblighi assolti dallo stesso o da altri datori nei confronti del lavoratore nel corso dell'anno;
    anche la predetta disposizione non può non generare forti perplessità relative al timore di una possibile attenuazione delle necessarie garantire e tutele attinenti la salute e sicurezza dei lavoratori;

impegna il Governo

a effettuare un monitoraggio puntuale della reale applicazione delle misure suddette al fine di verificarne la mancanza di ripercussioni negative – in termini di salute e sicurezza – nei confronti dei lavoratori e, nel caso contrario, ad approntare immediati interventi normativi volti a rafforzare le disposizioni e le procedure di tutela e di garanzia dei medesimi.
9/1248-A-R/139Zappulla, Boccuzzi, Damiano, Gnecchi, Bellanova, Albanella, Baruffi, Casellato, Faraone, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Madia, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Simoni.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame detta, tra le molte altre, numerose disposizioni volte a semplificare gli adempimenti formali in materia di lavoro;
    in particolare, le misure soppressive dell'articolo 54 e modificative dell'articolo 56 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 – contenute nell'articolo 32 del provvedimento – miranti a semplificare le procedure di comunicazione e notifica di denuncia degli infortuni sul lavoro da parte del datore di lavoro, rischiano di comportare ripercussioni in tema di accertamento di reati o violazioni di leggi concernenti la sicurezza sul lavoro;
    i predetti interventi normativi, infatti, eliminano l'obbligo posto a carico del datore di lavoro di comunicare all'autorità di pubblica sicurezza gli infortuni sul lavoro mortali o che abbiano causato l'inabilità al lavoro per più di tre giorni e stabiliscono che la direzione territoriale del lavoro – settore ispezione del lavoro possa procedere ad un'inchiesta al fine di accertarne le cause e le modalità non più d'ufficio ma esclusivamente su richiesta del lavoratore infortunato, di un superstite o dell'INAIL;
    inoltre, sempre in materia di sicurezza sul lavoro, l'articolo 35 demanda a un decreto interministeriale la definizione di semplificazione degli adempimenti relativi all'informazione, formazione e sorveglianza sanitaria previsti dal decreto legislativo 81/2008, applicabili alle prestazioni lavorative inferiori alle 50 giornate annue, le quali tengono conto anche degli obblighi assolti dallo stesso o da altri datori nei confronti del lavoratore nel corso dell'anno;
    anche la predetta disposizione non può non generare forti perplessità relative al timore di una possibile attenuazione delle necessarie garantire e tutele attinenti la salute e sicurezza dei lavoratori;

impegna il Governo

a effettuare un monitoraggio puntuale della reale applicazione delle misure suddette al fine di verificarne la mancanza di ripercussioni negative – in termini di salute e sicurezza – nei confronti dei lavoratori al fine di valutare l'opportunità di approntare eventuali interventi normativi volti a rafforzare le disposizioni e le procedure di tutela e di garanzia dei medesimi.
9/1248-A-R/139. (Testo modificato nel corso della seduta) Zappulla, Boccuzzi, Damiano, Gnecchi, Bellanova, Albanella, Baruffi, Casellato, Faraone, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Madia, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Simoni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 58 del provvedimento in esame ha disposto l'anticipo di un anno della facoltà attribuita alle università e agli enti di ricerca di effettuare assunzioni di personale nella misura del 50 per cento – in luogo del 20 per cento – della spesa relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente;
    le risorse destinante a finanziare il pur lodevole intervento in materia di parziale sblocco del turn over sono state, purtroppo, reperite utilizzando i risparmi conseguenti alle riduzioni di spesa per i servizi esternalizzati nelle scuole, nel cui ambito assumono un particolare rilievo i servizi di pulizia, solitamente affidati a società che operano mediante l'apporto di lavoratori precari;
    i tagli stimati, ammontanti a 25 milioni di euro per il 2014 e 49,8 milioni per il 2015, comporteranno gravi ricadute sociali per gli oltre 20 mila lavoratori coinvolti – negli ultimi anni soggetti a cospicue riduzioni degli stipendi a causa della costante diminuzione dei fondi destinati a tali servizi, e attualmente retribuiti con poche centinaia di euro al mese – e penalizzeranno, in tema di mantenimento dell'igiene e della sicurezza, i quasi 4 mila istituti scolastici di ogni ordine e grado già profondamente segnati dagli ultimi interventi in materia di contenimento della spesa;
    in un contesto socio-economico caratterizzato dal prolungarsi di una fase recessiva che non mostra segni di attenuazione, gli sforzi devono essere principalmente indirizzati al supporto delle fasce di popolazione più esposte alla crisi, le quali, senza il dovuto sostegno, rischiano di essere relegate ai margini della società;
    in data 22 luglio 2013, il Governo, in sede di Ministero dell'istruzione, dell'università e della Ricerca, si è mostrato consapevole della rilevanza del problema, sottoscrivendo con le organizzazioni sindacali di categoria in rappresentanza dei lavoratori ex Lsu, un'intesa volta a dare continuità al confronto finalizzato ad approfondire le problematiche di natura occupazionale e reddituale di tali lavoratori;

impegna il Governo

ad adoperarsi al fine di adottare i provvedimenti necessarie a ripristinare le risorse necessarie a garantire il mantenimento dei servizi attualmente corrisposti dai servizi esternalizzati nelle scuole, al fine di tutelare l'occupazione e il reddito dei lavoratori coinvolti e di non pregiudicare il mantenimento dell'igiene e della sicurezza degli istituti scolastici.
9/1248-A-R/140Bellanova, Damiano, Coscia, Gnecchi, Albanella, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Maestri, Simoni, Zappulla, Ascani, Blazina, Bonafè, Bossa, Carocci, Coccia, D'Ottavio, Ghizzoni, La Marca, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Raciti, Rampi, Rocchi, Zampa, Capone, Manfredi, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 58 del provvedimento in esame ha disposto l'anticipo di un anno della facoltà attribuita alle università e agli enti di ricerca di effettuare assunzioni di personale nella misura del 50 per cento – in luogo del 20 per cento – della spesa relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente;
    le risorse destinante a finanziare il pur lodevole intervento in materia di parziale sblocco del turn over sono state, purtroppo, reperite utilizzando i risparmi conseguenti alle riduzioni di spesa per i servizi esternalizzati nelle scuole, nel cui ambito assumono un particolare rilievo i servizi di pulizia, solitamente affidati a società che operano mediante l'apporto di lavoratori precari;
    i tagli stimati, ammontanti a 25 milioni di euro per il 2014 e 49,8 milioni per il 2015, comporteranno gravi ricadute sociali per gli oltre 20 mila lavoratori coinvolti – negli ultimi anni soggetti a cospicue riduzioni degli stipendi a causa della costante diminuzione dei fondi destinati a tali servizi, e attualmente retribuiti con poche centinaia di euro al mese – e penalizzeranno, in tema di mantenimento dell'igiene e della sicurezza, i quasi 4 mila istituti scolastici di ogni ordine e grado già profondamente segnati dagli ultimi interventi in materia di contenimento della spesa;
    in un contesto socio-economico caratterizzato dal prolungarsi di una fase recessiva che non mostra segni di attenuazione, gli sforzi devono essere principalmente indirizzati al supporto delle fasce di popolazione più esposte alla crisi, le quali, senza il dovuto sostegno, rischiano di essere relegate ai margini della società;
    in data 22 luglio 2013, il Governo, in sede di Ministero dell'istruzione, dell'università e della Ricerca, si è mostrato consapevole della rilevanza del problema, sottoscrivendo con le organizzazioni sindacali di categoria in rappresentanza dei lavoratori ex Lsu, un'intesa volta a dare continuità al confronto finalizzato ad approfondire le problematiche di natura occupazionale e reddituale di tali lavoratori;

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, la possibilità di adottare i provvedimenti necessarie a ripristinare le risorse necessarie a garantire il mantenimento dei servizi attualmente corrisposti dai servizi esternalizzati nelle scuole, al fine di tutelare l'occupazione e il reddito dei lavoratori coinvolti e di non pregiudicare il mantenimento dell'igiene e della sicurezza degli istituti scolastici.
9/1248-A-R/140. (Testo modificato nel corso della seduta) Bellanova, Damiano, Coscia, Gnecchi, Albanella, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Maestri, Simoni, Zappulla, Ascani, Blazina, Bonafè, Bossa, Carocci, Coccia, D'Ottavio, Ghizzoni, La Marca, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Raciti, Rampi, Rocchi, Zampa, Capone, Manfredi, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    la mancanza di certezze costituisce per le imprese e per i lavoratori un handicap molto significativo, a maggior ragione in una situazione di difficoltà economica come l'attuale, rispetto alla possibilità di programmare e di contribuire alla ripresa della crescita;
    le sedi genovesi di alcune importanti aziende nazionali e un numero rilevante di lavoratori fanno i conti da molti anni con una situazione grave di incertezza relativa alla certificazione dell'esposizione all'amianto;
    infatti, a seguito di una indagine avviata dalla Procura di Genova circa sette anni fa, tutt'ora in corso e non pervenuta ad oggi ad alcuna conclusione, aveva avuto impulso una serie di procedure di verifica da parte di INAIL e INPS, alle quali è seguita la revoca da parte dell'INAIL di un numero consistente di certificazioni a suo tempo rilasciate ad altrettanti lavoratori di aziende dove notoriamente si è utilizzato amianto nei rispettivi cicli produttivi;
    tale revoca aveva riguardato sia ex lavoratori già pensionati, sia lavoratori ancora in attività;
    per gli ex lavoratori già in pensione, il comma 14 bis all'articolo 7-ter del decreto-legge n. 5 del 2009, ha disposto il mantenimento dei trattamenti pensionistici erogati prima dell'entrata in vigore del decreto-legge stesso, ed è in via di soluzione la situazione dei lavoratori già licenziati;
    per lavoratori ancora in attività permane una situazione per cui la revoca delle certificazioni non consente di accedere ai benefici previsti per gli esposti all'amianto;
    è opportuno quindi operare affinché si possa individuare una soluzione in grado di salvaguardare le certificazioni già rilasciate dall'Inail anche per questi lavoratori, lasciando impregiudicata, ovviamente, l'azione della magistratura nell'accertamento di eventuali casi di dolo;
    le considerazioni suddette sono rafforzate dalle seguenti:
     sono state revocate anche certificazioni di lavoratori in cui è stata accertata l'insorgenza di patologie derivanti dall'esposizione all'amianto;
     nel contenzioso legale attivato dai singoli lavoratori interessati viene riconosciuto il diritto ai benefici previsti, nella maggioranza dei casi;
     la revoca delle certificazioni da parte dell'Inail è avvenuta in modo massivo e non a seguito di verifica della loro illegittimità;
     nelle altre realtà territoriali, in ambito nazionale, i lavoratori nelle stesse condizioni, con gli stessi requisiti, occupati spesso in siti produttivi delle stesse aziende, con stesse lavorazioni e condizioni ambientali di lavoro, hanno visti riconosciuti, sulla base della stessa normativa e identiche procedure, i benefici previdenziali derivanti dall'esposizione all'amianto;
     i dati del Registro Nazionale Mesoteliomi non lasciano dubbi, purtroppo, sulla pesantissima incidenza di questa patologia nella regione Liguria:
    a. rispetto agli oltre 1200 casi di mesotelioma maligno che si verificano in Italia, l'incidenza media annua registrata in Liguria è di 175 casi (anni 2005-2006; l'incidenza media era di 130 casi nel 1996-97), quasi il 15 per cento;
    b. il numero di casi di mesotelioma segnalati al registro Nazionale per il periodo 1993-2004 è 9166 a livello nazionale, di cui 1246 in Liguria, oltre il 13 per cento, i casi di mesotelioma pleurico sono 8485, di cui in Liguria 1217, oltre il 14 per cento. L'incidenza nella provincia di Genova è superiore alla media regionale. La popolazione Ligure corrisponde a meno del 3 per cento della popolazione nazionale;
    c. i casi registrati sino al 30.6.2009 in Liguria sono 2028;
    d. è in corso presso il Centro Operativo Regionale del Registro una verifica ulteriore sulla correlazione tra le storie lavorative, le aziende di provenienza e l'insorgenza dei tumori; inoltre l'aggiornamento dei dati evidenza che i casi ad oggi registrati sono saliti a circa 2500;
    e. la Liguria registra il maggior numero in assoluto di casi nei settori: Fabbricazione di prodotti in metallo, Cantieri navali, Cantieri navali (riparazioni e demolizioni), Trasporti marittimi, Trasporti aerei e terrestri, Estrazioni e raffinerie di petrolio;
    l'articolo 42-ter, inserito in corso di esame del presente provvedimento ha – pur in modo parziale – recepito l'esigenza di un intervento volto a tutelare i suddetti lavoratori;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative di carattere normativo volte a mantenere validi ed efficaci i provvedimenti di certificazione di esposizione all'amianto rilasciati dall'istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, ai fini del conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n.257, rendendo, inoltre, senza effetti – salvo il caso di dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva – i provvedimenti di revoca delle certificazioni rilasciate.
9/1248-A-R/141Giacobbe, Oliaro, Biasotti, Tullo, Gnecchi, Bellanova, Basso, Boccuzzi, Carocci, Pastorino, Vazio.


   La Camera,
   premesso che:
    la mancanza di certezze costituisce per le imprese e per i lavoratori un handicap molto significativo, a maggior ragione in una situazione di difficoltà economica come l'attuale, rispetto alla possibilità di programmare e di contribuire alla ripresa della crescita;
    le sedi genovesi di alcune importanti aziende nazionali e un numero rilevante di lavoratori fanno i conti da molti anni con una situazione grave di incertezza relativa alla certificazione dell'esposizione all'amianto;
    infatti, a seguito di una indagine avviata dalla Procura di Genova circa sette anni fa, tutt'ora in corso e non pervenuta ad oggi ad alcuna conclusione, aveva avuto impulso una serie di procedure di verifica da parte di INAIL e INPS, alle quali è seguita la revoca da parte dell'INAIL di un numero consistente di certificazioni a suo tempo rilasciate ad altrettanti lavoratori di aziende dove notoriamente si è utilizzato amianto nei rispettivi cicli produttivi;
    tale revoca aveva riguardato sia ex lavoratori già pensionati, sia lavoratori ancora in attività;
    per gli ex lavoratori già in pensione, il comma 14 bis all'articolo 7-ter del decreto-legge n. 5 del 2009, ha disposto il mantenimento dei trattamenti pensionistici erogati prima dell'entrata in vigore del decreto-legge stesso, ed è in via di soluzione la situazione dei lavoratori già licenziati;
    per lavoratori ancora in attività permane una situazione per cui la revoca delle certificazioni non consente di accedere ai benefici previsti per gli esposti all'amianto;
    è opportuno quindi operare affinché si possa individuare una soluzione in grado di salvaguardare le certificazioni già rilasciate dall'Inail anche per questi lavoratori, lasciando impregiudicata, ovviamente, l'azione della magistratura nell'accertamento di eventuali casi di dolo;
    le considerazioni suddette sono rafforzate dalle seguenti:
     sono state revocate anche certificazioni di lavoratori in cui è stata accertata l'insorgenza di patologie derivanti dall'esposizione all'amianto;
     nel contenzioso legale attivato dai singoli lavoratori interessati viene riconosciuto il diritto ai benefici previsti, nella maggioranza dei casi;
     la revoca delle certificazioni da parte dell'Inail è avvenuta in modo massivo e non a seguito di verifica della loro illegittimità;
     nelle altre realtà territoriali, in ambito nazionale, i lavoratori nelle stesse condizioni, con gli stessi requisiti, occupati spesso in siti produttivi delle stesse aziende, con stesse lavorazioni e condizioni ambientali di lavoro, hanno visti riconosciuti, sulla base della stessa normativa e identiche procedure, i benefici previdenziali derivanti dall'esposizione all'amianto;
     i dati del Registro Nazionale Mesoteliomi non lasciano dubbi, purtroppo, sulla pesantissima incidenza di questa patologia nella regione Liguria:
    a. rispetto agli oltre 1200 casi di mesotelioma maligno che si verificano in Italia, l'incidenza media annua registrata in Liguria è di 175 casi (anni 2005-2006; l'incidenza media era di 130 casi nel 1996-97), quasi il 15 per cento;
    b. il numero di casi di mesotelioma segnalati al registro Nazionale per il periodo 1993-2004 è 9166 a livello nazionale, di cui 1246 in Liguria, oltre il 13 per cento, i casi di mesotelioma pleurico sono 8485, di cui in Liguria 1217, oltre il 14 per cento. L'incidenza nella provincia di Genova è superiore alla media regionale. La popolazione Ligure corrisponde a meno del 3 per cento della popolazione nazionale;
    c. i casi registrati sino al 30.6.2009 in Liguria sono 2028;
    d. è in corso presso il Centro Operativo Regionale del Registro una verifica ulteriore sulla correlazione tra le storie lavorative, le aziende di provenienza e l'insorgenza dei tumori; inoltre l'aggiornamento dei dati evidenza che i casi ad oggi registrati sono saliti a circa 2500;
    e. la Liguria registra il maggior numero in assoluto di casi nei settori: Fabbricazione di prodotti in metallo, Cantieri navali, Cantieri navali (riparazioni e demolizioni), Trasporti marittimi, Trasporti aerei e terrestri, Estrazioni e raffinerie di petrolio;
    l'articolo 42-ter, inserito in corso di esame del presente provvedimento ha – pur in modo parziale – recepito l'esigenza di un intervento volto a tutelare i suddetti lavoratori;

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare iniziative di carattere normativo volte a mantenere validi ed efficaci i provvedimenti di certificazione di esposizione all'amianto rilasciati dall'istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, ai fini del conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n.257, rendendo, inoltre, senza effetti – salvo il caso di dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva – i provvedimenti di revoca delle certificazioni rilasciate.
9/1248-A-R/141. (Testo modificato nel corso della seduta) Giacobbe, Oliaro, Biasotti, Tullo, Gnecchi, Bellanova, Basso, Boccuzzi, Carocci, Pastorino, Vazio.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 3 del provvedimento in esame contiene misure volte a rifinanziare lo strumento dei contratti di sviluppo in relazione ai programmi afferenti ai settori industria e agroindustria riguardanti territori regionali attualmente privi di copertura finanziaria;
    tali disposizioni evidenziano la consapevolezza da parte del Parlamento e del Governo della necessità di approntare interventi volti a incentivare gli investimenti, soprattutto nell'attuale contesto socio-economico, caratterizzato da una fase recessiva che non mostra segnali di inversione;
    l'esigenza di provvedimenti di supporto è sempre più diffusa, in tutte le aree del territorio nazionale;
    in particolare, la Valle del Sacco – comprendente le province di Roma e Frosinone – sta vivendo una profonda crisi industriale, con decine di vertenze che coinvolgono migliaia di lavoratori;
    il fallimento della Videocon Technologies di Anagni rappresenta uno dei casi più gravi della crisi in atto, con circa 1100 i dipendenti in mobilità dal 14 giugno; a tale sconfortante situazione si aggiungono, tra le altre, la chiusura dello stabilimento di Alstom e della Caffaro sempre a Colleferro l'imminente crisi annunciata dalla KSS di Colleferro con 450 addetti e la chiusura di decine di altre aziende;
    in considerazione di ciò, la Regione Lazio, accogliendo la sollecitazione dell'Amministrazione Provinciale di Frosinone, dei novantuno comuni della provincia e delle forze sociali, ha, in forza di delibera G.R. n. 589 del 5 dicembre 2012, presentato istanza di riconoscimento del Sistema Locale del Lavoro (SLL) di Frosinone come area in situazione di crisi industriale complessa, con impatto significativo sulla politica industriale nazionale, ai sensi dell'articolo 27 decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134;
    si è tenuto il 14 gennaio 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico un incontro tra il Ministero, la Regione Lazio, la Provincia di Frosinone, la CCIAA, il Consorzio ASI e rappresentanze delle organizzazioni datoriali e sindacali, al termine del quale è stato sottoscritto un verbale di incontro al quale i partecipanti si sono impegnati ad elaborare una proposta di riconversione industriale dell'area, in funzione della definizione di un accordo di programma complessivo;
    l'Amministrazione Provinciale ed il Consorzio ASI hanno selezionato, attraverso un avviso pubblico, 147 manifestazioni di interesse da parte di imprese nazionali pronte ad insediarsi nell'area, con investimenti previsti pari a 347 milioni di euro ed occupazione prevista a regime di 1796 nuove unità, di cui 1230 ex VDC;
    la Regione Lazio ha manifestato la volontà di cofinanziare il progetto di riconversione industriale;
    da notizie derivanti dagli organi d'informazione la firma sull'Accordo di Programma sarebbe imminente;

impegna il Governo

anche in considerazione del drammatico contesto economico in cui versa il territorio, a valutare l'opportunità di adoperarsi al fine di consentire ai comuni di Colleferro, Valmontone, Artena, Segni, Gavignano, Montelanico, Gorga e Carpinete Romano di essere parte integrante dell'Accordo di programma di cui in premessa.
9/1248-A-R/142Carella.


   La Camera,
   premesso che:
    il Servizio civile nazionale, come previsto dalla legge 64/2000, è attualmente l'unica forma istituzionale di difesa della patria non armata e non violenta rivolta ai giovani;
   considerato:
    che la forte impronta educativa porta coloro che Io assolvono a maturare e praticare con maggior consapevolezza esperienze concrete di cittadinanza attiva, soprattutto nelle comunità locali di appartenenza;
    che i giovani in servizio civile adempiono in varie forme ai principi costituzionali di solidarietà sociale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti, ai servizi alla persona, alla educazione alla pace, alla salvaguardia e tutela del patrimonio ambientale, artistico, culturale e ai servizi di protezione civile;
    che i giovani attraverso il servizio civile acquisiscono competenze e abilità utili all'orientamento lavorativo e all'inserimento nel mercato del lavoro, in particolare nel terzo settore,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di reperire i fondi necessari affinché l'esperienza del Servizio civile non subisca ulteriori tagli e quindi riduzioni del numero dei giovani coinvolti; a modificare laddove possibile la normativa fiscale che a vario modo incide negativamente sullo stanziamento annuale complessivo.
9/1248-A-R/143Patriarca, Biondelli, Beni, Sbrollini, Capone, Scuvera, Miotto, Carnevali, D'Incecco, Lenzi, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame apporta una sostanziale modifica al disposto contenuto nel decreto legislativo n. 151 del 2001;
    attualmente, infatti, secondo quanto disposto dal comma 1 articolo 1 del decreto legislativo n. 151 del 2001, la lavoratrice in gravidanza, prima dell'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, deve consegnare al datore di lavoro e all'Ente previdenziale il certificato medico riportante la data presunta del parto. Entro 30 giorni dalla data effettiva del parto poi, deve inviare il certificato di parto ovvero la relativa dichiarazione sostitutiva (articolo 1 comma 2 decreto legislativo n. 151 del 2001);
    stando alle modifiche previste dall'articolo 34, entro 90 giorni dall'entrata in vigore del suddetto decreto (a far tempo quindi dal 19 settembre 2013) l'obbligo di invio all'Inps del certificato di gravidanza non graverà più in capo alla dipendente bensì quest'onere sarà annoverato tra gli obblighi a carico del medico del servizio sanitario nazionale o con questo convenzionato così come il certificato di parto o di interruzione di gravidanza dovrà essere inviato esclusivamente in modalità telematica, dalla struttura sanitaria pubblica o privata convenzionata, seguendo le medesime indicazioni disposte per l'invio del certificato di gravidanza e prestando attenzione ad indicare nel certificato la data di parto o di interruzione della gestazione;
    entro il primo semestre successivo all'entrata in vigore del presente decreto-legge, la normativa prevede l'emanazione di un nuovo decreto teso a definire i tempi e le modalità di invio del certificato di gravidanza indicante la DPP, di parto o di interruzione di gravidanza. In ogni caso, la trasmissione dovrà avvenire esclusivamente in modalità telematica, utilizzando il sistema di trasmissione attualmente utilizzato per l'invio dei certificati di malattia;

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di rendere immediatamente operativo il sistema di invio telematico dei certificati in oggetto; nonché a valutare l'opportunità di prevedere un riordino delle misure relative ai congedi parentali;
   a valutare l'opportunità di adottare misure di sistema in linea con la necessità di costruire politiche reali, strutturali di sostegno per i giovani e le famiglie, tanto italiane quanto migranti, che prendano in considerazione, oltre a misure di carattere prettamente economico anche lo sviluppo della rete dei servizi sul territorio, a partire dai consultori familiari, dagli asili nido, dal sostegno alla non autosufficienza, allo sviluppo generale delle azioni per la domiciliarità.
9/1248-A-R/144Sbrollini, Lenzi, Scuvera, Biondelli, Patriarca, Beni, Capone, Miotto, Carnevali, D'Incecco.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede la soppressione di una serie di certificazioni sanitarie, sulla base delle valutazioni di un gruppo di lavoro istituito presso il Ministero della salute, con il compito di procedere ad una ricognizione della normativa in materia, per individuare le pratiche sanitarie di certificazione o di autorizzazione prive ormai di valenza sanitaria;
    il documento finale del gruppo di lavoro istituito presso il Ministero della salute in data 13 ottobre 2004 per la semplificazione delle procedure relative alle autorizzazioni, certificazioni ed idoneità sanitarie contiene un elenco molto più ampio di certificazioni ormai prive di valenza sanitaria rispetto a quelle abrogate dal provvedimento in esame e, il cui mantenimento comporta un dispendio economico per il cittadino e uno spreco di energie per le aziende sanitarie deputate al rilascio delle medesime,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di ampliare l'elenco delle certificazioni ritenute oramai prive di valenza sanitaria includendo eventualmente anche tra quelle da abrogare il certificato per ammissione a soggiorni di vacanza per i minori, quali colonie marine e centri estivi previsto dalle circolari del Ministero della sanità 24 giugno 1992, 25 e 20 aprile 2000, n 6; il certificato di vaccinazione per ammissione in scuole pubbliche, nonché in particola modo a valutare l'opportunità di rivedere i certificati previsti dal regolamento di polizia mortuaria di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285.
9/1248-A-R/145Gelli, Lenzi, Biondelli, Patriarca, Beni, Sbrollini, Capone, Miotto, Carnevali, D'Incecco.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame, volto alla semplificazione amministrativa e allo stimolo dell'economia, è stato soprannominato «il Decreto del Fare» come sinonimo di concretezza, di programmi operosi per la ripresa del Paese, di collaborazione fra settori diversi della società, con l'obiettivo comune di uscire dalla crisi;
    in questa ottica del «fare» manca però un impegno preciso a considerare la politiche attive di inclusione delle persone con disabilità, anche se è stato approvato durante l'iter in Commissione un emendamento che esclude i soggetti ai quali è già stata accertata da parte degli uffici competenti una menomazione o una patologia stabilizzate o ingravescente di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 2 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 225 del 27 settembre 2007, inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide o da sindrome di Down, e che abbiano ottenuto il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento o di comunicazione, dalle visite di controllo sulla permanenza dello stato invalidante da parte degli uffici dell'istituto nazionale della previdenza sociale (INPS);
    il Governo, all'interno della IV Conferenza Nazionale sulla disabilità, ha presentato il «Programma d'Azione Biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità», documento elaborato a marzo dall'Osservatorio Nazionale;
    il Programma prevede sette linee di intervento che coprono trasversalmente, in un'ottica di mainstreaming, gli aspetti più importanti per la realizzazione della piena inclusione nella vita sociale delle persone con disabilità e, per ogni intervento, individua l'obiettivo e il tipo di azione necessaria per conseguirlo;
    il Programma d'azione rappresenta, senza dubbio, un primo fondamentale contributo alla definizione di una complessiva azione strategica da parte dell'Italia sul tema della disabilità, in accordo con il nuovo quadro delle Nazioni Unite e pienamente coerente con la Strategia europea sulla disabilità 2010-2020, per promuovere la progressiva e piena inclusione in tutti gli ambiti della vita sociale;

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di inserire il programma d'Azione Biennale all'interno delle misure del «Decreto del fare», al fine di renderle operative il prima possibile, affinché all'interno della nostra società si sviluppi una reale e concreta cultura volta al superamento delle problematiche dell'integrazione delle persone disabili;
   a valutare l'opportunità di semplificare tutte le procedure burocratiche relative al riconoscimento, al mantenimento ed alle eventuali verifiche riguardanti l'invalidità.
9/1248-A-R/146Scuvera, Lenzi, Biondelli, Patriarca, Beni, Sbrollini, Capone, Miotto, Carnevali, D'Incecco, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame, volto alla semplificazione e di stimolo all'economia è stato soprannominato «il Decreto del Fare» come sinonimo di concretezza, di programmi operosi per la ripresa del Paese, di collaborazione fra pezzi diversi della società, con l'obiettivo comune di uscire dalla crisi;
    in quest'ottica non si può non considerare l'annosa questione riguardante il calcolo dei limiti reddituali da applicare ai fini della titolarità della pensione agli invalidi civili;
    la sezione lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza n. 7320 del 22 marzo 2013 è infatti intervenuta nuovamente sulla questione dei limiti reddituali da applicare ai fini della concessione della pensione agli invalidi civili affermando che il reddito a cui fare riferimento non è solo quello individuale, ma deve essere sommato a quello del coniuge, se presente, ribadendo, quindi, quanto già affermato nella Sentenza del 2011 (Sezione Lavoro, n. 4677 del 25 febbraio 2011);
    in precedenza con la sentenza n. 4677 del 25 febbraio 2011, la Corte di Cassazione aveva stabilito che il limite reddituale previsto per la concessione della pensione di invalidità civile agli invalidi al 100 per cento (fissato nel 2011 a 15.154,24 euro) non era solo quello personale, ma anche quello dell'eventuale coniuge;
    già la sentenza del 2011 era di segno contrario rispetto a precedenti – fra l'altro recenti – pronunzie della Corte stessa (sentenze nn. 18825 del 2008, 7259 del 2009 e 20426 del 2010;
    gli interventi della Corte di Cassazione, trovano fondamento nella farraginosità della normativa vigente e, seppur, non pronunciati a sezioni unite rappresentano solo un orientamento giurisprudenziale che può essere motivatamente superato da altre sentenze, vanno letti con grande prudenza in quanto mettono a rischio le pensioni di oltre 850.000 persone,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire urgentemente con proprio atto affinché i limiti reddituali di tutte le provvidenze economiche previste dall'articolo 14-septies del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, siano quelli individuali e non anche quelli dell'eventuale coniuge presente.
9/1248-A-R/147Miotto, Lenzi, Biondelli, Patriarca, Beni, Sbrollini, Murer, Capone, Carnevali, D'Incecco, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    la formazione sulla salute e sicurezza è una misura generale di tutela, prevista dall'articolo 15 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e un obbligo sanzionato dagli articoli 32, 34, 37, 98 e Titoli da II a XI dello stesso decreto e prima di esso dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, in recepimento delle direttive comunitarie;
    l'Italia è già stata condannata con sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee nella causa C-49/00, che ha dichiarato che «non avendo definito le capacità e le attitudini di cui devono essere in possesso le persone responsabili delle attività di protezione e di prevenzione dei rischi professionali per la salute e la sicurezza dei lavoratori, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli articoli 6, n. 3, lettera a), e 7, numeri 3, 5 e 8, della direttiva del Consiglio 12 giugno 1989, 89/391/CEE, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro»;
    tuttora, risultano presenti varie offerte formative «illegittime» ai sensi della vigente normativa e qualificabili come «raggiri» o «frodi» nei confronti dei datori di lavoro poiché attivate da soggetti che non hanno i requisiti previsti dalla vigente normativa oppure perché prevedono un numero di partecipanti superiore al massimo consentito oppure perché non prevedono verifiche finali degli apprendimenti;
    la frequenza a dette offerte formative «illegittime» non esonera il datore di lavoro dagli obblighi e dalle conseguenti sanzioni, per cui i datori di lavoro possono essere puniti con sanzioni penali in caso di violazione degli obblighi formativi, anche in caso di accettazione di attestati rilasciati a seguito di frequenza alle offerte formative «illegittime» di cui sopra (culpa in eligendo e culpa in vigilando);
    varie ASL hanno emesso provvedimenti di diffida nei confronti di offerte formative «illegittime», e tra esse le ASL di Bergamo, Brescia, Marche-5, ma nonostante ciò rimangono presenti innumerevoli offerte formative «illegittime»;
    risulta che a volte partecipano a tali offerte formative «illegittime» come docenti o come discenti addirittura funzionari pubblici dei Ministeri, Direzioni provinciali del lavoro, Istituti ed Enti sottoposti alla vigilanza dei Ministeri competenti, ASL ed altri Enti della pubblica amministrazione statale e territoriale, creando confusione tra i datori di lavoro e gli altri soggetti interessati (sindacati, rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori, e altro);
    il del decreto legislativo 81 del 2008 (articoli 32, 34, 37, 98 ed altri) assegna ex lege giustamente attività formative alle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e loro Enti bilaterali, purtroppo con purtroppo con parziali genericità di loro identificazione poiché in alcuni articoli ove non sempre è identificato il requisito «comparativamente più rappresentative sul piano nazionale», previsto invece per gli organismi paritetici (articolo 2);
    risultano costituite pseudo-associazioni di pseudo-rappresentanza imprenditoriale o dei lavoratori per sfruttare le opportunità assegnate ex lege alle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e loro Enti bilaterali;
    dette pseudo-associazioni non hanno requisiti validi, esempio un CAF di riferimento o la sottoscrizione – non per mera adesione – di un contratto collettivo e che a volte non hanno neppure un dipendente e non esiste un controllo capillare sulla loro attività, né ai fini fiscali e retributivi né ai fini della qualità, a differenza degli Enti di formazione accreditati dalle Regioni;
    il Governo aveva già assunto impegni di intervento su quanto sopra premesso con il Parlamento in data 5 giugno 2012, in occasione dell'interrogazione n. 5-06587,

impegna il Governo:

   ad adottare nei tempi più immediati uno o più provvedimenti e per la semplificazione e la certezza degli adempimenti connessi alla salute e sicurezza sul lavoro, ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, tra cui, in particolare per la disciplina:
    1) della validità della formazione pregressa, ove conforme di datori di lavoro, dirigenti, preposti, lavoratori, responsabili e addetti ai servizi di prevenzione e protezione, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, ed altri soggetti aventi titolo, indipendentemente dalla tipologia dei rapporti di lavoro e loro durata (come indicato dagli Accordi Stato Regioni del 21.12.2011 e 25.07.2012);
    2) della consegna degli attestati di formazione pregressa ai dirigenti, preposti, lavoratori, responsabili e addetti ai servizi di prevenzione e protezione, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza ed altri soggetti aventi titolo;
    3) dei criteri di validità dei Corsi di formazione e di aggiornamento ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, comprensiva del massimo dei partecipanti (pari ad un massimo di 30 persone per i corsi per responsabili e addetti dei servizi di prevenzione e protezione, articolo 32 e di 35 persone per i corsi per lavoratori, preposti e dirigenti, articolo 37, commi 1 e 7) nonché degli obblighi di verifiche finali degli apprendimenti;
    4) dei criteri di autorizzazione agli Enti formativi costituiti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori e loro Enti bilaterali solo in presenza del requisito «comparativamente più rappresentative sul piano nazionale»;
    5) delle attività di ispezione degli Enti formativi legittimati ex lege, per verificarne l'effettiva rappresentatività e la regolarità fiscale, contributiva e retributiva, nonché l'immediato l'invio alle Regioni o altre Autorità competenti dei verbali di verifiche finali, ove previsto dal decreto legislativo 81 del 2008;
    6) della conferma del divieto dei funzionari pubblici dal partecipare – a qualsiasi titolo – a Corsi di Formazione o di aggiornamento e altre offerte formative «illegittime» di cui al punto 3, nonché a darne immediata comunicazione all'autorità di controllo e vigilanza al fine di attivare le conseguenti attività ispettive.
9/1248-A-R/148Boccuzzi, Zappulla, Damiano, Gnecchi, Bellanova, Albanella, Baruffi, Casellato, Faraone, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Madia, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Simoni.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in oggetto, a seguito dell'esame parlamentare, interviene meritoriamente in materia di determinazione del prezzo più basso per i bandi delle gare pubbliche, ai sensi del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, reintroducendo, all'articolo 32, comma 7-bis un criterio generale volto ad escludere le spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, e delle misure di adempimento alle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
    tale importante misura è volta ad assicurare che i trattamenti economici dei lavoratori e le indispensabili misure per garantire la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro non rischino di essere compromessi dalla ricerca della massima economicità dell'offerta e può essere completata tenendo conto che per alcuni settori, ai fini della determinazione del prezzo più basso è opportuno, tenere conto anche delle retribuzioni derivanti dalla contrattazione integrativa di secondo livello che, nel caso dell'edilizia corrisponde alla contrattazione integrativa territoriale,

impegna il Governo

ad adottare, per quanto di sua competenza, ogni misura utile per assicurare una corretta applicazione del principio contenuto nella disposizione citata in premessa, nel rispetto della regolarità e dell'equa concorrenzialità delle imprese nell'aggiudicazione degli appalti pubblici, tenendo conto delle differenze che caratterizzano la contrattazione nei diversi settori produttivi.
9/1248-A-R/149Damiano, Boccuzzi, Zappulla, Gnecchi, Bellanova, Albanella, Baruffi, Casellato, Faraone, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Madia, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Simoni, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    con un emendamento presentato dai relatori al provvedimento in esame è stata prevista la possibilità per il Governo di nominare con proprio decreto un nuovo Commissario straordinario per la spending review;
    il Commissario avrà il «compito di formulare indirizzi e proposte, anche di carattere normativo, nelle materie e per i soggetti» di cui ad un Comitato interministeriale, previsto dal medesimo emendamento, presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri e composto dal Ministro dell'economia e delle finanze, dal Ministro dell'interno, dal Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo, dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con funzioni di Segretario del Consiglio dei ministri, e che opererà «al fine di coordinare l'azione del Governo e le politiche volte all'analisi e al riordino della spesa pubblica e migliorare la qualità dei servizi pubblici offerti»;
    per l'indennità da corrispondere al nominando Commissario è prevista un'autorizzazione di spesa nel limite massimo di 150 mila euro per l'anno 2013, di 300 mila euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 e 200 mila per l'anno 2016;
    il Commissario straordinario, in base alla norma, potrà anche essere estraneo alla Pubblica Amministrazione e sembrerebbe già essere stato individuato il destinatario dell'incarico,

impegna il Governo

con riferimento alla nomina da effettuare ad agire con la massima trasparenza e nel senso di una concreta attività dello stesso, e del previsto Comitato interministeriale, ai fini della riduzione della spesa pubblica.
9/1248-A-R/150Corsaro.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 52 del decreto-legge in esame dispone che non possano più essere espropriate le prime case di proprietà adibite ad uso abitativo nei quali il debitore risiede anagraficamente;
    rimane, tuttavia, la possibilità per il concessionario della riscossione di procedere al pignoramento degli stessi immobili;
    inoltre, nella disposizione che inibisce l'espropriazione della prima casa non è contenuto alcuna indicazione in merito alla possibilità di espropriare le pertinenze del medesimo immobile che, come noto, sono accatastate separatamente;
    infine, nessuna modifica è apportata al testo che disciplina la riscossione in relazione alla possibilità del concessionario della riscossione di iscrivere ipoteca sui beni immobiliari del creditore,

impegna il Governo

ad integrare attraverso ulteriori iniziative normative la disciplina contenuta nelle disposizioni di cui in premessa al fine di stabilire in maniera espressa anche la impignorabilità della prima casa di abitazione, nonché delle relative pertinenze, e di escludere tali beni immobiliari anche dall'iscrizione ad ipoteca.
9/1248-A-R/151Maietta.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 61 del provvedimento in esame dispone tra le modalità di copertura finanziaria dello stesso, un aumento dell'accise sulla benzina e sul gasolio per autotrazione, pari a 75 milioni di euro per il 2014;
    nonostante la presentazione di un emendamento che reperiva una diversa copertura della somma indicata, il Governo ha voluto mantenere la sua posizione a danno dei cittadini, che subiscono continuamente tali aumenti;
    l'aumento delle accise sulla benzina costituisce, infatti, una sorta di copertura per tutte le stagioni, e, anche quando dovrebbe avere carattere temporaneo, misteriosamente si stabilizza sempre,

impegna il Governo

ad utilizzare, nel prosieguo della sua attività e a copertura dei suoi prossimi provvedimenti, delle norme di copertura finanziaria che piuttosto che gravare ancora sui contribuenti siano reperite attraverso tagli alla spesa pubblica.
9/1248-A-R/152Totaro.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 59 del provvedimento in esame prevede un'autorizzazione di spesa di complessivi 17 milioni di euro per gli anni 2013-2015, finalizzata all'erogazione di borse per la mobilità in favore di studenti che intendano iscriversi nel prossimo anno accademico ad una università che abbia sede in una regione diversa da quella di residenza;
    per avere accesso al beneficio è necessario aver conseguito in Italia, nell'anno scolastico 2012/2013, un diploma di istruzione secondaria di secondo grado, con voto almeno pari a 95/100, congiuntamente ad ulteriori criteri per l'inserimento nella graduatoria di ammissione al beneficio;
    il comma 5 demanda ad un decreto interministeriale adottato dal Ministero dell'istruzione, università e ricerca e dal Ministero dell'economia e delle finanze, che dovrà essere adottato entro il prossimo 30 luglio, la definizione di ulteriori criteri per la formazione della graduatoria;
    il mero riferimento al voto di diploma quale criterio di accesso al beneficio può dar luogo a notevoli disparità, posto che le stesse votazioni non sono assegnate dagli istituti con criteri di omogeneità né tra diverse scuole, né tra diverse Regioni;
    appare pertanto opportuno prevedere un coefficiente di valutazione che permetta di omogeneizzare le votazioni conseguite a livello nazionale,

impegna il Governo

a prevedere, in sede di emanazione del citato decreto interministeriale, un coefficiente di valutazione che possa rendere più omogeneo il criterio della votazione conseguita al diploma, al fine di evitare disparità di trattamento tra studenti.
9/1248-A-R/153Rampelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il Capo II del provvedimento in esame, composto dal solo articolo 73, detta un'articolata disciplina volta a consentire l'accesso a stage formativi teorico-pratici della durata di 18 mesi presso gli uffici della magistratura ordinaria e amministrativa, riservati ai laureati più meritevoli delle facoltà di giurisprudenza, all'esito di un corso almeno quadriennale;
    il comma 13, in particolare, reca disposizioni in merito alla valutazione dello stage per l'accesso alla professione di avvocato e di notaio;
    con riferimento all'accesso alla professione forense va ricordato che di recente, con la legge 31 dicembre 2012, n. 247, è stata dettata la «Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense», che reca diverse norme in materia di tirocinio professionale;
    nel dettaglio, l'articolo 41 fissa il criterio minimo di almeno un semestre di pratica presso uno studio legale, mentre l'articolo 43 prevede l'obbligo della frequenza e delle verifiche presso le scuole forensi;
    l'articolo 44, invece, demanda ad una apposito regolamento la disciplina dell'attività di praticantato presso gli uffici giudiziari;
    al fine di disciplinare in modo omogeneo la materia dell'accesso alla professione forense appare opportuno creare un coordinamento tra le due normative;

impegna il Governo

ad armonizzare le normative di cui in premessa, anche attraverso l'inserimento di disposizioni nell'emanando decreto ministeriale di cui all'articolo 44 della legge 247/20112.
9/1248-A-R/154La Russa.


   La Camera,
   premesso che:
    il Capo II del provvedimento in esame, composto dal solo articolo 73, detta un'articolata disciplina volta a consentire l'accesso a stage formativi teorico-pratici della durata di 18 mesi presso gli uffici della magistratura ordinaria e amministrativa, riservati ai laureati più meritevoli delle facoltà di giurisprudenza, all'esito di un corso almeno quadriennale;
    il comma 13, in particolare, reca disposizioni in merito alla valutazione dello stage per l'accesso alla professione di avvocato e di notaio;
    con riferimento all'accesso alla professione forense va ricordato che di recente, con la legge 31 dicembre 2012, n. 247, è stata dettata la «Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense», che reca diverse norme in materia di tirocinio professionale;
    nel dettaglio, l'articolo 41 fissa il criterio minimo di almeno un semestre di pratica presso uno studio legale, mentre l'articolo 43 prevede l'obbligo della frequenza e delle verifiche presso le scuole forensi;
    l'articolo 44, invece, demanda ad una apposito regolamento la disciplina dell'attività di praticantato presso gli uffici giudiziari;
    al fine di disciplinare in modo omogeneo la materia dell'accesso alla professione forense appare opportuno creare un coordinamento tra le due normative;

impegna il Governo

a individuare criteri utili all'armonizzazione delle normative di cui in premessa, anche attraverso l'inserimento di disposizioni nell'emanando decreto ministeriale di cui all'articolo 44 della legge 247/20112.
9/1248-A-R/154. (Testo modificato nel corso della seduta) La Russa.


   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto-legge in oggetto, e precipuamente con le disposizioni contenute al Titolo III, si interviene in materia di giustizia;
    in particolare, l'articolo 84 reintroduce nel testo del decreto legislativo n. 28 del 2010 tutte le disposizioni dichiarate incostituzionali, per eccesso di delega, dalla sentenza n. 272 del 2012 della Corte costituzionale;
    il Governo, infatti, dando attuazione alla delega in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, contenuta nell'articolo 60 della legge 69 del 2009, aveva previsto che il procedimento di mediazione stragiudiziale rappresentasse una condizione di procedibilità dell'azione civile in relazione ad un cospicuo numero di controversie aventi ad oggetto diritti disponibili;
    con riferimento alla disposizione di cui all'articolo 5 della legge 28, che, appunto, recitava «L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale», alcuni giudici avevano, tuttavia, sollevato questioni di legittimità costituzionale per la supposta violazione di parametri costituzionali quali l'eccesso di delega, il diritto di azione e difesa, la ragionevole durata del processo, ed il principio di eguaglianza;
    la sentenza n. 272 del 2012 della Corte ha accolto il primo dei profili, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010 per eccesso di delega, e ha assorbito logicamente e giuridicamente altri vizi della legge, che, sebbene rilevati e sollevati dalle numerose ordinanze di rimessione, non sono stati esaminati nel dettaglio perché assorbiti dalla ragione di incostituzionalità più generale, pur essendo assolutamente fondati;
    tali vizi sono, ad esempio, relativi alla obbligatorietà e all'onerosità della mediazione, nonché all'assenza di garanzie circa la preparazione dei mediatori;
    la ripresentazione, pura e semplice, delle disposizioni già dichiarate incostituzionali, pur ancorandole in una legge ordinaria, non risolve ancora molti dubbi relativi all'attuale configurazione dell'istituto della mediazione obbligatoria,

impegna il Governo

ad attuare una più organica revisione della disciplina della mediazione di cui al decreto legislativo 28 del 2010, affinché tale istituto rispetti pienamente tutte le norme costituzionali in materia di diritto alla difesa.
9/1248-A-R/155Cirielli.


   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto-legge in oggetto, e precipuamente con le disposizioni contenute al Titolo III, si interviene in materia di giustizia;
    in particolare, l'articolo 84 reintroduce nel testo del decreto legislativo n. 28 del 2010 tutte le disposizioni dichiarate incostituzionali, per eccesso di delega, dalla sentenza n. 272 del 2012 della Corte costituzionale;
    il Governo, infatti, dando attuazione alla delega in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, contenuta nell'articolo 60 della legge 69 del 2009, aveva previsto che il procedimento di mediazione stragiudiziale rappresentasse una condizione di procedibilità dell'azione civile in relazione ad un cospicuo numero di controversie aventi ad oggetto diritti disponibili;
    con riferimento alla disposizione di cui all'articolo 5 della legge 28, che, appunto, recitava «L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale», alcuni giudici avevano, tuttavia, sollevato questioni di legittimità costituzionale per la supposta violazione di parametri costituzionali quali l'eccesso di delega, il diritto di azione e difesa, la ragionevole durata del processo, ed il principio di eguaglianza;
    la sentenza n. 272 del 2012 della Corte ha accolto il primo dei profili, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010 per eccesso di delega, e ha assorbito logicamente e giuridicamente altri vizi della legge, che, sebbene rilevati e sollevati dalle numerose ordinanze di rimessione, non sono stati esaminati nel dettaglio perché assorbiti dalla ragione di incostituzionalità più generale, pur essendo assolutamente fondati;
    tali vizi sono, ad esempio, relativi alla obbligatorietà e all'onerosità della mediazione, nonché all'assenza di garanzie circa la preparazione dei mediatori,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di attuare una più organica revisione della disciplina della mediazione di cui al decreto legislativo 28 del 2010.
9/1248-A-R/155. (Testo modificato nel corso della seduta) Cirielli.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame prevede disposizioni volte alla semplificazione delle modalità trasmissione del certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, del certificato di parto e del certificato di interruzione di gravidanza da parte della lavoratrice all'INPS per l'erogazione delle prestazioni di maternità, introducendo la trasmissione in via telematica dei suddetti certificati;
    infatti, attualmente tali certificati devono essere consegnati dalla lavoratrice in modalità cartacea presso le sedi dell'Inps territorialmente competenti allo sportello ovvero tramite lettera raccomandata;
    la telematizzazione dell'intero iter amministrativo della maternità comporta effetti di semplificazione che direttamente coinvolgono anche le prestazioni legate ai congedi parentali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere tempi certi e un iter più veloce per la realizzazione dell'invio telematico dei certificati in oggetto eventualmente prevedendo che tale invio possa essere fatto direttamente dal medico del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionato ovvero dalla competente struttura sanitaria pubblica o privata convenzionata, utilizzando il sistema di trasmissione delle certificazioni di malattia, di cui al decreto del Ministro della Salute 26 febbraio 2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 19 marzo 2010 n. 65.
9/1248-A-R/156Biondelli, Scuvera, Patriarca, Beni, Sbrollini, Capone, Miotto, Carnevali, D'Incecco, Lenzi, Antezza.


   La Camera,
   premesso che:
    la spesa delle pubbliche amministrazioni per incarichi e consulenze nel 2011 (dati della Funzione pubblica), ammonta a 1,3 miliardi, spesa stabile nel tempo nonostante le velleità di «valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni» e la normativa che, alla fine, ne ha imposto la riduzione;
    appare palese la configurazione di una vera e propria violazione delle disposizioni sul contenimento della spesa pubblica, ex decreto-legge n. 78 del 2010;
    inoltre, stante il numero esorbitante di posizioni apicali e dirigenti (di livello generale e non), nonché il rapporto tra il loro numero e quello degli impiegati che essi dirigono, nonché la loro remunerazione, nonché il numero degli impiegati pubblici (3,3 milioni) non appare giustificabile una necessità così intensa di così ampi ricorsi alle consulenze o agli incarichi (agli incarichi corrispondono in molti casi i cosiddetti «co.co.pro.» – molti dei quali vengono prorogati e poi «stabilizzati»);
    le pubbliche amministrazioni non sono in grado di autoregolarsi per ridurre il ricorso agli «esterni», nonostante i vincoli normativi e la copiosa giurisprudenza della Corte dei conti, che sanziona e condanna spesso avventati contratti di tale natura;
    spesso si tratta di contratti atipici il cui oggetto appare contra legem, e ancor più spesso incarichi di lavoro autonomo hanno oggetti contrattuali che andrebbero qualificati come appalti di servizi (in particolare, quando riguardano attività di progettazione, incarichi urbanistici, consulenze gestionali, difesa in giudizio), almeno stando alla normativa e ai principi europei e in contrasto con la liberalizzazione dei mercati e la tutela della concorrenza,

impegna il Governo:

   ad adottare le iniziative, anche legislative, finalizzate all'adempimento tempestivo della riduzione delle consulenze e degli incarichi della pubblica amministrazione;
   a riferire presso le competenti Commissioni parlamentari in ordine ai dati ed alla spesa riferiti all'anno 2012 e al primo semestre dell'anno in corso.
9/1248-A-R/157Dadone.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame all'articolo 5 comma 7-bis interviene per concedere ulteriori possibilità ai titolari di impianti di generazione elettrica da bioliquidi sostenibili;
    risultano spesso collegati ad imprese agricole o a servizio delle stesse senza che sia stato normato il settore in maniera sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico né sia garantita la sovranità alimentare nel nostro paese; addirittura l'assetto normativo si sta avviando verso un progressivo utilizzo dei rifiuti come fonte di bioliquidi, allontanando il sistema dalla strategia «rifiuti zero»,

impegna il Governo

a programmare le reali necessità locali di energia elettrica e termica da bioliquidi, promuovendo la conversione degli impianti a biogas (combustione altamente inquinante anche per la vicinanza ai centri abitati) in impianti a biometano, e dissuadendo dalla costruzione di nuovi impianti energetici (dal costo di oltre 5 milioni di euro per impianto da 1 MWh di picco).
9/1248-A-R/158Alberti.


   La Camera,
   premesso che:
    all'interno del decreto del fare all'articolo 41 è stato inserito con la lettera a) del comma 3 una modifica al decreto legge 24 marzo 2012 n. 28 che consente di utilizzare per riporti, rialzi e riempimenti anche miscele eterogenee di terre e materiali di risulta senza specificare le relative percentuali né il tipo di materiale consentito con il rischio di contaminare le suddette miscele con residui di eternit e altre sostanze cancerogene presenti come scarti di precedenti edificazioni dando un significato nuovo alla parola «suolo» che non può essere condivisa;
    appare allarmante il fatto che si parli di «miscela eterogenea» lasciando ampia interpretazione alla materia, né si comprende come una modifica alla definizione di suolo, che va a influenzare a cascata tutte le normative a questa collegata, possa essere inserita all'interno di un decreto omnibus che dovrebbe puntare al rilancio dell'economia,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare le opportune iniziative normative volte ad espungere dal testo del Decreto una norma che comporterebbe la possibilità di utilizzare per riporti, rialzi e riempimenti anche miscele eterogenee di terre e materiali di risulta senza alcun tipo di controllo, con grave rischio per la tutela della salute e dell'ambiente.
9/1248-A-R/159Paolo Bernini.


   La Camera,
   premesso che:
    all'interno del provvedimento in esame vi è il comma 41 dell'articolo 41 che contiene modifiche al Decreto del Presidente della Repubblica 6 Giugno 2001 n. 380 i contenuti del quale già in prima stesura risultano essere alquanto opinabili;
    a seguito delle modifiche avvenute in commissione si è peggiorata la norma con una semplice sostituzione di un termine, ossia «posizionati» con «istallati». L'installazione di strutture all'interno di campeggi, perché questo si intende per strutture ricettive all'aperto, significa andare a inserire strutture come container abitativi o similari all'interno di zone verdi. In pratica si liberalizza la costruzione di fabbricati di dubbia qualità architettonica ed edilizia anche all'interno di aree protette di particolare pregio paesaggistico;
    inoltre tutto questo viene demandato alle Regioni, che più che il Governo centrale, possono subire pressioni da parte delle lobby,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare le opportune iniziative normative volte ad espungere dal testo del Decreto una norma che comporterebbe la possibilità di realizzare ed installare all'interno di strutture ricettive all'aperto qualsiasi tipo di costruzione e struttura con il solo limite di un generico ancoraggio temporaneo al suolo.
9/1248-A-R/160Basilio.


   La Camera,
   premesso che:
    studi trasportistici hanno messo in evidenza come il Corridoio Tirrenico meridionale A12 – Appia e bretella autostradale Cisterna Valmontone non risponda alle esigenze di eliminare le lunghe file delle auto private da e per Roma. L'opera, in questo contesto, appare inutile;
    solo la riduzione dei flussi di traffico può dare sollievo in quella situazione così congestionata investendo nella metropolitana leggera e potenziando la rete ferroviaria pontina. Contestualmente è necessario risolvere l'adeguamento in sicurezza della Via Pontina per salvare vite umane (560 morti per incidenti stradali negli ultimi 20 anni e 10 solo nel 2012),

impegna il Governo

ad assegnare le risorse che con la delibera CIPE n. 88 del 2010 oggi sono destinate al «Corridoio tirrenico meridionale A12 – Appia e bretella autostradale Cisterna Valmontone» alla messa in sicurezza della via Pontina nonché alle finalità di cui al comma 8 dell'articolo 18 del provvedimento in esame.
9/1248-A-R/161Frusone.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 28 introduce l'istituto dell'indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo;
    la disciplina, introdotta in via sperimentale, richiede un coordinamento con la disciplina generale del procedimento amministrativo, in particolare con l'articolo 2 della legge 241 del 1990, oggetto di recenti modifiche (legge 6 novembre 2012, n. 190) che non sono state assimilate nel testo del provvedimento in titolo. Quest'ultimo non prevede l'anticipazione ad una fase precontenziosa della valutazione di irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza dell'istanza da parte del titolare del potere sostitutivo e gli effetti che ne derivano sul diritto all'indennizzo. Strumento, quest'ultimo, di semplificazione dell'azione amministrativa e di deflazione del contenzioso giudiziario. Si segnalano, ulteriormente, le incertezze in merito al computo dei termini per azionare il diritto all'indennizzo, ed ai presupposti delle azioni esperibili dinanzi all'autorità giurisdizionale;
    il nuovo istituto dell'indennizzo da ritardo impone pertanto un coordinamento con la disciplina del procedimento amministrativo, ed una ponderata analisi e valutazione dei suoi effetti sui procedimenti giurisdizionali azionabili, in modo che siano pienamente rispettati i principi di semplificazione, efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa. Diversamente, vi è il rischio di introdurre nell'ordinamento ulteriori oneri e adempimenti a carico delle amministrazioni, con l'effetto di aggravare il procedimento amministrativo, senza apprestare efficaci strumenti di tutela,

impegna il Governo:

   a definire il limite temporale di applicazione delle norme introdotte in via sperimentale dall'articolo 28;
   a coordinare il provvedimento con la disciplina generale del procedimento amministrativo e a sottoporre al Parlamento il monitoraggio relativo all'applicazione della disposizione normativa, attenendosi per ogni ulteriore provvedimento al rispetto della procedura di delegificazione prevista dall'articolo 17, comma 2, della legge 400 della 1988.
9/1248-A-R/162Corda.


   La Camera,
   premesso che:
    con l'articolo 30 del Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia sono state apportate significative modifiche al Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380;
    che le modifiche in questione riguardano, tra le altre cose, la definizione stessa delle categorie di intervento edilizio, con specifico riferimento alla cosiddetta «ristrutturazione edilizia» di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Testo Unico;
    che le modifiche sono essenzialmente finalizzate a ricondurre nel campo di applicazione della cosiddetta Segnalazione Certificata di Inizio Attività, di cui all'articolo 19 della legge 241 del 1990, gli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nella demolizione e ricostruzione degli immobili esistenti, che comportano la modifica della sagoma, lasciando invariato il solo volume;
    in base all'articolo 3 del citato Testo Unico, così come riformato con il Decreto legge 69 del 2013, un intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio esistente, per poter essere qualificato come ristrutturazione edilizia – e dunque essere realizzato mediante presentazione di una Segnalazione Certificata di Inizio Attività – deve comportare, soltanto, il rispetto della volumetria preesistente, senza alcun obbligo espresso rispetto ad altri parametri edilizi ed urbanistici fondamentali quali la destinazione d'uso, le superfici utilizzabili, i prospetti, l'altezza del fabbricato e l'indice di occupazione del suolo occupato dall'edificio stesso;
    in base all'articolo 10 dello stesso Testo Unico, per un intervento edilizio che non preveda la modifica della sagoma, ma che comporti modifica delle superfici e dei prospetti – oltre che della destinazione d'uso per i soli immobili ubicati all'interno delle zone «A» – è, invece, necessario acquisire il permesso di costruire;
    che le modifiche non sistematiche del Testo Unico – apportate in quest'ultimi anni con l'intento di propiziare la «ripartenza» del comparto edilizio – hanno indebolito e reso meno intellegibile, sia per gli amministratori locali che per gli operatori del settore, il quadro normativo, che viene applicato in modo non univoco e disomogeneo;
    che la crisi del comparto edilizio non va addebitata esclusivamente alla «rigidità» del quadro normativo, ma alla crisi economica del nostro paese e in particolare alla crisi del credito e a un forte indebolimento della domanda interna;
   considerato che:
    è strettamente indispensabile conoscere gli effettivi impatti delle modifiche normative al Testo Unico in materia edilizia, sia sul piano della loro concreta applicazione da parte degli enti locali, che in merito ai risultati sul piano socio-economico che le predette modifiche normative intendevano e intendono perseguire,

impegna il Governo:

   a fornire alle competenti Commissioni Parlamentari – entro 6 mesi dall'entrata in vigore delle modifiche al Testo Unico apportare con il Decreto legge 69 del 2013 – una analisi degli impatti delle modifiche normative apportate al Testo Unico nell'ultimo quinquennio;
   a predisporre, pubblicare, e mantenere costantemente aggiornata, una relazione sullo stato del «comparto edilizio» in Italia, che indichi, con riferimento ad ambiti geografici ed archi temporali di riferimento appropriati, almeno:
    a) il numero, la tipologia e la localizzazione (con riferimento alle zone territoriali del decreto ministeriale 1444 del 1968) dei titoli edilizi presentati per la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia;
    b) il numero, la tipologia e la localizzazione (con riferimento alle zone territoriali del decreto ministeriale 1444 del 1968) degli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti ovvero in corso di esecuzione;
    c) il numero, la tipologia e localizzazione (con riferimento alle zone territoriali del decreto ministeriale 1444 del 1968) degli interventi di ristrutturazione edilizia, per i quali i competenti uffici comunali hanno rilasciato gli appositi titoli abilitativi, rispetto ai quali gli operatori non hanno provveduto a ritirare l'autorizzazione richiesta, ovvero a dare esecuzione dei lavori;
    d) volume degli investimenti connessi alla realizzazione degli interventi di ristrutturazione edilizia e numero dei lavoratori occupati con riferimento alle singole annualità dell'ultimo quinquennio;
   presentare un disegno di legge che contenga esclusivamente l'organica riscrittura del Testo Unico in materia edilizia, e in particolare delle norme relative alla disciplina degli interventi edilizi e dei correlati titoli abilitativi.
9/1248-A-R/163Mannino.


   La Camera,
   premesso che:
    con l'articolo 30 del Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69 recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia sono state apportate significative modifiche al Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380;
    che le modifiche in questione riguardano, tra le altre cose, la definizione stessa delle categorie di intervento edilizio, con specifico riferimento alla cosiddetta «ristrutturazione edilizia» di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Testo Unico;
    che le modifiche sono essenzialmente finalizzate a ricondurre nel campo di applicazione della cosiddetta Segnalazione Certificata di Inizio Attività, di cui all'articolo 19 della legge 241 del 1990, gli interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nella demolizione e ricostruzione degli immobili esistenti, che comportano la modifica della sagoma, lasciando invariato il solo volume;
    in base all'articolo 3 del citato Testo Unico, così come riformato con il Decreto legge 69 del 2013, un intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio esistente, per poter essere qualificato come ristrutturazione edilizia – e dunque essere realizzato mediante presentazione di una Segnalazione Certificata di Inizio Attività – deve comportare il rispetto della volumetria preesistente;
    in base all'articolo 10 dello stesso Testo Unico, per un intervento edilizio che non preveda la modifica della sagoma, ma che comporti modifica delle superfici e dei prospetti – oltre che della destinazione d'uso per i soli immobili ubicati all'interno delle zone «A» – è, invece, necessario acquisire il permesso di costruire;
    che le modifiche non sistematiche del Testo Unico – apportate in quest'ultimi anni con l'intento di propiziare la «ripartenza» del comparto edilizio – hanno reso complesso, sia per gli amministratori locali che per gli operatori del settore, il quadro normativo, che viene applicato in modo non univoco e disomogeneo;
    che la crisi del comparto edilizio non va addebitata esclusivamente alla «rigidità» del quadro normativo, ma alla crisi economica del nostro paese e in particolare alla crisi del credito e a un forte indebolimento della domanda interna;
   considerato che:
    è strettamente indispensabile conoscere gli effettivi impatti delle modifiche normative al Testo Unico in materia edilizia, sia sul piano della loro concreta applicazione da parte degli enti locali, che in merito ai risultati sul piano socio-economico che le predette modifiche normative intendevano e intendono perseguire,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa per la successiva informativa alle competenti Commissioni Parlamentari;
   a valutare l'opportunità di presentare un disegno di legge che contenga esclusivamente l'organica riscrittura del Testo Unico in materia edilizia.
9/1248-A-R/163. (Testo modificato nel corso della seduta) Mannino.


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione dell'edilizia scolastica italiana versa in condizioni disastrose e i comuni italiani, vincolati dagli obblighi derivanti dal rispetto del patto di stabilità, hanno difficoltà ad attivare congrui investimenti ormai indispensabili al corretto funzionamento delle attività didattiche;
    nel X Rapporto su sicurezza, qualità e comfort in cui si fa riferimento a 111 edifici monitorati in 10 regioni, CittadinanzAttiva racconta che ben tre scuole su quattro non sono in regola con tutte le certificazioni di sicurezza e la manutenzione è ridotta al lumicino. I numeri parlano chiaro: lesioni strutturali in una scuola su dieci, distacchi di intonaco in una su cinque ed infiltrazioni in una su quattro. Manutenzione deficitaria, condizioni igienico-sanitarie non sufficienti e mancanza di certificazioni moltiplicano le tragedie sfiorate come quelle recenti di Cordenons in provincia di Pordenone o di Villa Bonelli a Roma. Situazioni di disagio strutturale si registrano anche nelle aule. Ben una su quattro mostra gravi segni di fatiscenza. Il 49 per cento risulta senza avvolgibili e persiane e il 57 per cento ha le finestre rotte. Senza contare che gli impianti elettrici e le misure antincendio sono inadeguate nel 78 per cento dei casi: porte con apertura antipanico quasi inesistenti in tutte le strutture monitorate, scale di sicurezza assenti nel 21 per cento dei casi, uscite di emergenza assenti nel 16 per cento e non segnalate nel 15 per cento. La conclusione è che, in queste aule, il rischio di rimanere intrappolati in caso di emergenza è elevato;
    molti comuni italiani si trovano nella condizione di non poter utilizzare i fondi eccedenti il bilancio per attivare investimenti i tal senso;
    circa il 58 per cento delle scuole risulta costruito prima dell'entrata in vigore delle prescrizioni antisismiche, nel 1974 (il dato ministeriale è del 55 per cento circa). Se a questo aggiungiamo che la percentuale di scuole presenti, a livello nazionale, nelle tre zone a rischio sismico è il 54,4 per cento del totale delle scuole pubbliche ed il 59 per cento del campione monitorato da CittadinanzAttiva, il quadro che ne esce risulta estremamente preoccupante;
    lo stop al consumo di suolo e la tutela del paesaggio rappresentano delle priorità assolute per la politica nazionale;
    il dissesto idrogeologico è ogni anno causa di ingenti danni alla popolazione e alle cose,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative normative affinché gli interventi previsti dall'articolo 18 comma 8 siano destinati esclusivamente agli edifici scolastici di proprietà pubblica e alle situazioni emergenziali;
   affinché le risorse revocate a causa del mancato conseguimento alla data del 31 dicembre 2013 delle finalità indicate all'articolo 18 comma 1 vengano destinate all'implementazione del fondo per l'edilizia scolastica;
   affinché i fondi di cui all'articolo 18 comma 9 siano destinati in via prioritaria all'acquisizione e alla gestione sostenibile di aree destinate a verde pubblico ovvero non compromesse dall'urbanizzazione, nonché alla riqualificazione ambientale di aree degradate ovvero a basso grado di naturalizzazione;
   affinché i fondi di cui all'articolo 18 comma 9 siano destinati unicamente alla ristrutturazione di edifici pubblici, ovvero di manutenzione di reti viarie nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio con priorità per interventi di messa in sicurezza per prevenire il dissesto idrogeologico e sismico. Possono essere ammesse nuove costruzioni di edifici pubblici e nuove reti viarie, sulla base di effettive esigenze edificatorie o infrastrutturali e accertata l'assenza di alternative di reimpiego e riorganizzazione degli immobili e delle infrastrutture esistenti;
   affinché i fondi di cui all'articolo 18 comma 9 siano destinati alla ristrutturazione di edifici pubblici finalizzata alla riduzione della vulnerabilità sismica urbana.
9/1248-A-R/164De Rosa.


   La Camera,
   premesso che:
    la situazione dell'edilizia scolastica italiana versa in condizioni disastrose e i comuni italiani, vincolati dagli obblighi derivanti dal rispetto del patto di stabilità, hanno difficoltà ad attivare congrui investimenti ormai indispensabili al corretto funzionamento delle attività didattiche;
    nel X Rapporto su sicurezza, qualità e comfort in cui si fa riferimento a 111 edifici monitorati in 10 regioni, CittadinanzAttiva racconta che ben tre scuole su quattro non sono in regola con tutte le certificazioni di sicurezza e la manutenzione è ridotta al lumicino. I numeri parlano chiaro: lesioni strutturali in una scuola su dieci, distacchi di intonaco in una su cinque ed infiltrazioni in una su quattro. Manutenzione deficitaria, condizioni igienico-sanitarie non sufficienti e mancanza di certificazioni moltiplicano le tragedie sfiorate come quelle recenti di Cordenons in provincia di Pordenone o di Villa Bonelli a Roma. Situazioni di disagio strutturale si registrano anche nelle aule. Ben una su quattro mostra gravi segni di fatiscenza. Il 49 per cento risulta senza avvolgibili e persiane e il 57 per cento ha le finestre rotte. Senza contare che gli impianti elettrici e le misure antincendio sono inadeguate nel 78 per cento dei casi: porte con apertura antipanico quasi inesistenti in tutte le strutture monitorate, scale di sicurezza assenti nel 21 per cento dei casi, uscite di emergenza assenti nel 16 per cento e non segnalate nel 15 per cento. La conclusione è che, in queste aule, il rischio di rimanere intrappolati in caso di emergenza è elevato;
    molti comuni italiani si trovano nella condizione di non poter utilizzare i fondi eccedenti il bilancio per attivare investimenti i tal senso;
    circa il 58 per cento delle scuole risulta costruito prima dell'entrata in vigore delle prescrizioni antisismiche, nel 1974 (il dato ministeriale è del 55 per cento circa). Se a questo aggiungiamo che la percentuale di scuole presenti, a livello nazionale, nelle tre zone a rischio sismico è il 54,4 per cento del totale delle scuole pubbliche ed il 59 per cento del campione monitorato da CittadinanzAttiva, il quadro che ne esce risulta estremamente preoccupante;
    lo stop al consumo di suolo e la tutela del paesaggio rappresentano delle priorità assolute per la politica nazionale;
    il dissesto idrogeologico è ogni anno causa di ingenti danni alla popolazione e alle cose,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative normative affinché gli interventi previsti dall'articolo 18 comma 8 siano destinati esclusivamente agli edifici scolastici di proprietà pubblica e alle situazioni emergenziali;
   affinché le risorse revocate a causa del mancato conseguimento alla data del 31 dicembre 2013 delle finalità indicate all'articolo 18 comma 1 vengano destinate anche all'edilizia scolastica;
   affinché i fondi di cui all'articolo 18 comma 9 siano destinati anche all'acquisizione e alla gestione sostenibile di aree destinate a verde pubblico ovvero non compromesse dall'urbanizzazione, nonché alla riqualificazione ambientale di aree degradate ovvero a basso grado di naturalizzazione;
   affinché i fondi di cui all'articolo 18 comma 9 siano destinati anche alla ristrutturazione di edifici pubblici, ovvero di manutenzione di reti viarie nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio e per interventi di messa in sicurezza per prevenire il dissesto idrogeologico e sismico;
   affinché i fondi di cui all'articolo 18 comma 9 siano destinati anche alla ristrutturazione di edifici pubblici finalizzata alla riduzione della vulnerabilità sismica urbana.
9/1248-A-R/164. (Testo modificato nel corso della seduta) De Rosa.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame all'articolo 41-ter interviene per modificare il testo unico in materia ambientale, decreto-legge 152 del 2006;
    la norma modificata inserisce fra gli impianti ad impatto ambientale scarsamente significativo gli impianti di essicazione di materiali vegetali impiegati da imprese agricole o a servizio delle stesse;
    inoltre, al comma 7-bis dell'articolo 5 del provvedimento in esame, gli impianti alimentati da bioliquidi vengono definiti «sostenibili»;
    va segnalata la mancanza di un piano energetico nazionale e le numerose criticità emerse nell'esercizio degli impianti citati, che hanno portato alla nascita di oltre 350 comitati di cittadini contro impianti a biogas e biomasse, per l'abnorme consumo di territorio sottratto alla produzione di cibo o mangimi, l'utilizzo di materie prime non locali e di colture dedicate, la sommatoria di inquinamento in aree spesso già sature (la combustione del biogas per un impianto da 1 MW produce circa 10 tonnellate annue di NOX, la combustione di biomasse legnose oltre 30 tonnellate, pari alle emissioni di 30.000 automobili che percorrano ciascuna 8000 chilometri nell'area circostante all'impianto), gli incentivi speculativi che portano ad oltre 10 miliardi di euro annui in questo settore fra impiantistica e pagamento della scarsa energia prodotta;
    appare urgente e non più rinviabile un'adeguata regolamentazione del settore, come chiesto nella mozione 1-00096 presentata nelle scorse settimane,

impegna il Governo

a riservare l'inserimento degli impianti a biogas e biomasse e relativi annessi fra gli impianti ad impatto ambientale scarsamente significativo ai soli impianti aziendali che abbiano una potenza massima inferiore a 0.25 MW e che non utilizzino mais o sole culture dedicate.
9/1248-A-R/165Zolezzi.


   La Camera,
   premesso che:
    lo stato quantitativo di mi corpo idrico sotterraneo può influire sulla qualità ecologica delle acque superficiali e sugli ecosistemi terrestri connessi a tale corpo idrico sotterraneo;
    per garantire un buono stato delle acque sotterranee è necessario un intervento tempestivo e una programmazione stabile sul lungo periodo delle misure di protezione, visti i tempi necessari per la formazione e il ricambio naturali di tali acque. Nel calendario delle misure adottate per conseguire un buono stato delle acque sotterranee e invertire le tendenze significative e durature all'aumento della concentrazione delle sostanze inquinanti nelle acque sotterranee è opportuno tener conto di tali tempi;
    rilevato che ogni intervento sulla falda genera un'alterazione del livelli piezometrici, delle pressioni e dei flussi idrici nell'acquifero che non è immediatamente prevedibile se non è stata precedentemente eseguita una caratterizzazione dell'acquifero e delle sue dinamiche;
    al fine di assicurarsi che gli interventi previsti dal comma 1 dell'articolo 41 del provvedimento in esame abbiano effetti positivi duraturi,

impegna il Governo

a prendere in considerazione l'ipotesi di predisporre un adeguamento normativo che tenga conto delle criticità esposte in premessa in modo da garantire che la valutazione e la scelta delle azioni di intervento sui corpi idrici debbano essere subordinate all'acquisizione di un adeguato quadro conoscitivo della falda e della sua specificità, da concretizzarsi mediante la realizzazione, da parte di professionisti idonei ed abilitati, di un modello idrogeologico della falda.
9/1248-A-R/166Segoni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 41 del provvedimento recante disposizioni in materia ambientale, al comma 6 detta disposizioni volte alla nomina, con decreti del Ministro dell'ambiente, di uno o più commissari ad acta per provvedere, in via sostitutiva degli enti competenti in via ordinaria alla realizzazione e l'avvio della gestione degli impianti nella Regione Campania, già previsti e non ancora realizzati e ad altre iniziative strettamente necessarie e che detta norma riguarda, pur senza nominarli, gli inceneritori;
    sebbene la questione rifiuti campani sia stata per molti anni all'attenzione del Governo e dei media nazionali a tutt'oggi persistono situazioni assolutamente critiche per quanto riguarda V incenerimento illegale di rifiuti e materiale di ogni tipo, come dimostra la drammatica quanto dimenticata «terra dei Fuochi» con ricadute devastanti su terra ed aria e quindi sulla salute delle popolazioni;
    nella soprachiamata Terra dei fuochi, la cittadinanza registra quasi a ritmo quotidiano roghi tossici ad elevatissimo tasso inquinante ai quali la politica non riesce a porre argine e tende più che altro e colpevolmente a stendere un telo di oblio, lasciando appunto che ogni male ricada sui cittadini spesso inermi o peggio ancora inconsapevoli,

impegna il Governo

ad avviare un piano straordinario di recupero e bonifica dei territori interessati dagli incendi garantendo il ripristino della legalità e il massimo livello di tutela per la salute delle persone e dell'ambiente.
9/1248-A-R/167Busto.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto Legge 69 del 2013, all'articolo 18, comma 6, destina fondi per la realizzazione del tratto Colosseo – Piazza Venezia nell'ambito del proseguimento dei lavori della linea della metropolitana C di Roma;
    le modifiche apportate al comma originario prevedono che il fondo per il tratto suddetto venga destinato solo nel caso in cui la tratta della stessa linea metropolitana Pantano–Centocelle sia messa in pre-esercizio entro il 15 dicembre 2013;
    il progetto iniziale prevedeva che la linea Pantano–Centocelle dovesse entrare in esercizio entro il 15 ottobre 2013;
    l'intero tracciato originario della metro «C» è ormai sostanzialmente variato e questo obbliga alla redazione di una nuova complessiva e univoca Valutazione d'impatto Ambientale, le aree interessate sono sostanzialmente diverse e, ad oggi, non è prevista alcuna procedura di verifica ambientale;
    tali aree oltre ad essere sottoposte a vincoli archeologici e paesaggistici presentano rischi idrogeologici;
    il tracciato che riguardava il territorio del Celio è stato spostato per gravi problemi degli edifici già in dissesto, ma anche il nuovo percorso intercetta la falda idrica e non ne sono stati valutati i rischi;
    inoltre la Valutazione di Impatto Ambientale è obbligatoria per le nuove aree vincolate interessate da profondi scavi per i pozzi di aerazione e lo scavo a cielo aperto delle stazioni;
    risulta che la stazione prevista a Piazza Venezia sarà eliminata dal progetto a causa delle importati strutture archeologiche ritrovate durante la fase di indagine,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sottoporre l'intero tracciato della linea C della metropolitana di Roma un unico procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale.
9/1248-A-R/168Daga.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, è stato aggiunto all'articolo 41 «disposizioni in materia ambientale» il comma 6-quater in relazione al tema dell'importazione di rifiuti in Campania destinati allo smaltimento;
    tale disposizione, seppur migliorativa rispetto alla disciplina vigente, perché limitativa del flusso di rifiuti in entrata in una regione come la Campania già soggetta a gravi criticità nella gestione dei rifiuti e caratterizzata da un significato deficit impiantistico per quel che concerne una adeguata raccolta differenziata e per quel che concerne il riciclo dei rifiuti prevede, tuttavia, un obbligo limitato nel tempo (fino alla costruzione degli impianti di cui al comma 6 del medesimo articolo o non oltre 2 anni dalla legge di conversione del decreto in oggetto) e nella tipologia di rifiuto (rifiuti urbani e rifiuti speciali pericolosi e non destinati allo smaltimento),

impegna il Governo

a porre in essere misure per arrestare definitivamente qualunque flusso di rifiuti, di qualunque specie, in entrata nella regione Campania o, comunque, prevedere una tempistica certa entro cui si possa realizzare tale divieto generale di importazione di rifiuti in Campania.
9/1248-A-R/169Tofalo.


   La Camera,
   premesso che:
    all'interno del Decreto del fare è stato presentato all'articolo 18 il comma 2 che prevede il miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari, dando priorità ad interventi di potenziamento dei corridoi europei quando invece il problema principale in Italia è sulle tratte ferroviarie utilizzate per i trasporti regionali ed interregionali usufruiti dai lavoratori pendolari;
    è noto il grado di sovraffollamento nelle linee principali nelle ore di punta, per raggiungere il luogo di lavoro e dei disagi che i lavoratori riscontrano lungo le medesime tratte;
    ancora più preoccupante è lo stato delle linee ferroviarie in alcune Regioni, come ad esempio la Sicilia;
    un provvedimento che ha l'obiettivo di rilanciare l'economia nel nostro paese avrebbe dovuto dedicare maggiore priorità e attenzione agli interventi di potenziamento delle linee secondarie e all'elettrificazione di quelle che ancora oggi vengono percorse da convogli alimentati da diesel;
    inoltre parte delle risorse stanziate per realizzare quanto previsto dall'articolo 18 del provvedimento in esame sarebbero state molto più utilmente impiegate se destinate all'implementazione delle attività di manutenzione che si svolgono all'interno delle officine delle Ferrovie dello Stato e che sono indispensabili per mantenere elevato il livello di sicurezza delle nostre linee ferroviarie, mentre, proprio in questi giorni si stanno paventando riduzione di personale e chiusura di officine destinate a questo tipo di attività,

impegna il Governo

ad avviare iniziative volte a migliorare prioritariamente i servizi per il trasporto pendolari, prevedendo l'aumento del numero delle corse negli orari di maggior sovraffollamento e/o l'aumento del numero dei vagoni.
9/1248-A-R/170Terzoni.


   La Camera,
   premesso che:
    all'interno del Decreto del fare è stato presentato all'articolo 18 il comma 2 che prevede il miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari, dando priorità ad interventi di potenziamento dei corridoi europei quando invece il problema principale in Italia è sulle tratte ferroviarie utilizzate per i trasporti regionali ed interregionali usufruiti dai lavoratori pendolari;
    è noto il grado di sovraffollamento nelle linee principali nelle ore di punta, per raggiungere il luogo di lavoro e dei disagi che i lavoratori riscontrano lungo le medesime tratte;
    ancora più preoccupante è lo stato delle linee ferroviarie in alcune Regioni, come ad esempio la Sicilia;
    un provvedimento che ha l'obiettivo di rilanciare l'economia nel nostro paese avrebbe dovuto dedicare maggiore priorità e attenzione agli interventi di potenziamento delle linee secondarie e all'elettrificazione di quelle che ancora oggi vengono percorse da convogli alimentati da diesel;
    inoltre parte delle risorse stanziate per realizzare quanto previsto dall'articolo 18 del provvedimento in esame sarebbero state molto più utilmente impiegate se destinate all'implementazione delle attività di manutenzione che si svolgono all'interno delle officine delle Ferrovie dello Stato e che sono indispensabili per mantenere elevato il livello di sicurezza delle nostre linee ferroviarie, mentre, proprio in questi giorni si stanno paventando riduzione di personale e chiusura di officine destinate a questo tipo di attività,

impegna il Governo

ad avviare iniziative volte a migliorare prioritariamente i servizi per il trasporto pendolari.
9/1248-A-R/170. (Testo modificato nel corso della seduta) Terzoni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 41, comma 5, reca disposizioni sul commissariamento della provincia di Roma in materia di rifiuti,

impegna il Governo:

   a prevedere forme di controllo del commissario ad acta attraverso la concertazione con gli enti locali e gli organismi istituzionali preposti al controllo e alla tutela del territorio;
   ad attribuire al commissario il ruolo di risoluzione dell'emergenza e la gestione virtuosa del ciclo di rifiuti attraverso il miglioramento del sistema di trattamento a freddo, di raccolta differenziata porta a porta e di implementazione di impianti di riciclo al fine di minimizzare la quantità del prodotto sversato in discarica, l'incenerimento e il recupero energetico.
9/1248-A-R/171Vignaroli.


   La Camera,
   premesso che:
    la realizzazione della tratta 3 della linea 1 della metropolitana di Torino (Collegno–Cascine Vica) garantirebbe benefici significativi per decine di migliaia di cittadini grazie al decongestionamento delle principali vie stradali di accesso a Torino-Ovest, in particolare:
     benefici sociali: diminuirebbero i tempi di percorrenza;
     benefici ambientali: la metropolitana sostituisce con efficienza il trasporto su gomma e conduce a significative riduzioni delle emissioni di gas serra ed inquinanti come ossidi di azoto, ossidi di zolfo, metalli pesanti;
     una raccolta di più di 22 mila firme ha espresso un grande consenso verso la realizzazione dell'opera da parte della popolazione locale;

impegna il Governo

ad adottare un apposito atto normativo volto ad inserire all'interno del prossimo piano di finanziamento del GIRE la quota prevista per il finanziamento della tratta 3 della linea 1 della metropolitana di Torino (Collegno–Cascine Vica).
9/1248-A-R/172Della Valle.


   La Camera,
   premesso che:
    la realizzazione della tratta 3 della linea 1 della metropolitana di Torino (Collegno–Cascine Vica) garantirebbe benefici significativi per decine di migliaia di cittadini grazie al decongestionamento delle principali vie stradali di accesso a Torino-Ovest, in particolare:
     benefici sociali: diminuirebbero i tempi di percorrenza;
     benefici ambientali: la metropolitana sostituisce con efficienza il trasporto su gomma e conduce a significative riduzioni delle emissioni di gas serra ed inquinanti come ossidi di azoto, ossidi di zolfo, metalli pesanti;
     una raccolta di più di 22 mila firme ha espresso un grande consenso verso la realizzazione dell'opera da parte della popolazione locale;

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare atti normativi volti ad assicurare le risorse necessarie a finanziare la tratta 3 della linea 1 della metropolitana di Torino (Collegno–Cascine Vica).
9/1248-A-R/172. (Testo modificato nel corso della seduta) Della Valle.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 19 in materia di concessioni e defiscalizzazione, al comma 3, contiene una disposizione che riduce da 500 milioni a 200 milioni l'importo minimo di valore della singola opera per l'accesso alla agevolazione fiscale IRES ed IRAP;
    attualmente è consentito «la realizzazione di quelle infrastrutture di notevole rilevanza il cui piano economico-finanziario presenta dei costi di investimento che impediscono al piano stesso di raggiungere l'equilibrio» (Decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese», convertito, con modificazioni, in legge 17 dicembre 2012, n. 221);
    ciò è attualmente possibile grazie al riconoscimento di un credito d'imposta su IRES ed IRAP che può creare un pericoloso volano per la costruzione di – recita la relazione all'Atto del Senato n. 3533 – «opere non sostenibili sotto il profilo economico finanziario che lo diverrebbero in virtù del riconoscimento del credito di imposta a favore del realizzatore»;
    tutto ciò comporta un pericolo ed un trasferimento di rischio a spese delle risorse pubbliche, cui si possono aggiungere quelli derivanti delle clausole di salvaguardia previste nelle convenzioni per la realizzazione di queste opere e destinate a coprire eventuali gestioni deficitarie degli interventi così realizzati (ad esempio, nel caso della realizzazione delle opere autostradali, per insufficienza degli introiti derivanti dai pedaggi);
    lo stesso Rapporto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, «Analisi di alcuni settori di spesa pubblica» del marzo 2013, evidenzia un'alta mortalità del Project Finance per motivi che dipendono dall'inadeguata analisi preliminare sulla fattibilità dell'operazione, che i vantaggi di questo tipo di finanziamento sono puramente contabili e non consentono alcun effettivo risparmio per la finanza pubblica, in quanto dovranno essere previsti esborsi futuri (o mancati introiti) da parte dell'operatore pubblico a favore del privato, addivenendo alla conclusione che normalmente il settore pubblico possa finanziarsi a costi inferiori a quello privato e che pertanto i progetti in Partenariato Pubblico Privato sono più costosi dei progetti tradizionali di investimento pubblico. Inoltre, «sotto il profilo della ripartizione dei rischi, è posta in evidenza una certa asimmetria che induce i privati a minimizzare l'assunzione di rischi e/o a selezionare Iniziative con basso rischio e alti rendimenti;
    da questo punto di vista i vantaggi economici sarebbero molto limitati in quanto in un'ottica di finanza pubblica è opportuno l'opzione PPP (partenariato pubblico privato) a condizione che i privati si accollino i rischi che li competono;
   considerato che:
    alcuni tipi di investimenti pubblici sono caratterizzati da elevata incertezza e da esternalità positive. In questi casi il settore privato si impegnerà solo nel caso possa contare su specifiche garanzie pubbliche (dissolvendo così in parte i vantaggi del PPP)»;
    con la riforma della legge 109 del 1994, l'istituto della concessione è stato totalmente rivisto: viene meno il limite di durata della concessione, precedentemente a trenta anni, e viene abrogato il limite massimo del 50 per cento del contributo che l'Amministrazione poteva corrispondere al concessionario al fine di garantire l'equilibrio economico finanziario della gestione, in presenza di prezzi amministrati e, quindi, di elementi economici sottratti alla capacità decisionale, ed al rischio, dell'impresa;
    dunque dal 2002 i promotori privati possono proporre e realizzare opere con una concessione nella quale l'Amministrazione aggiudicatrice garantisce il 100 per cento del costo;
    l'effetto domino, dopo le modifiche introdotte, è subito esploso, effetto domino che ha investito in maniera ancora più preoccupante anche l'iniziativa diretta delle Amministrazioni Pubbliche;
    gran parte dei progetti che si stanno realizzando sono stati affidati solo grazie alle modifiche apportate all'istituto della concessione e la tenuta dei bilanci futuri delle Aziende pubbliche e degli Enti Locali sarà tutta da verificare,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di riesaminare la proficuità dell'utilizzo dello strumento del Project finance per la costruzione di opere di interesse pubblico, in considerazione anche delle agevolazioni fiscali riconosciute, che rappresentano un onere per il bilancio dello Stato in un momento di grave crisi economica.
9/1248-A-R/173D'Incà.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 19 in materia di concessioni e defiscalizzazione, al comma 3, contiene una disposizione che riduce da 500 milioni a 200 milioni l'importo minimo di valore della singola opera per l'accesso alla agevolazione fiscale IRES ed IRAP;
    attualmente è consentito «la realizzazione di quelle infrastrutture di notevole rilevanza il cui piano economico-finanziario presenta dei costi di investimento che impediscono al piano stesso di raggiungere l'equilibrio» (Decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese», convertito, con modificazioni, in legge 17 dicembre 2012, n. 221);
    ciò è attualmente possibile grazie al riconoscimento di un credito d'imposta su IRES ed IRAP che può creare un pericoloso volano per la costruzione di – recita la relazione all'Atto del Senato n. 3533 – «opere non sostenibili sotto il profilo economico finanziario che lo diverrebbero in virtù del riconoscimento del credito di imposta a favore del realizzatore»;
    tutto ciò comporta un pericolo ed un trasferimento di rischio a spese delle risorse pubbliche, cui si possono aggiungere quelli derivanti delle clausole di salvaguardia previste nelle convenzioni per la realizzazione di queste opere e destinate a coprire eventuali gestioni deficitarie degli interventi così realizzati (ad esempio, nel caso della realizzazione delle opere autostradali, per insufficienza degli introiti derivanti dai pedaggi);
    lo stesso Rapporto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, «Analisi di alcuni settori di spesa pubblica» del marzo 2013, evidenzia un'alta mortalità del Project Finance per motivi che dipendono dall'inadeguata analisi preliminare sulla fattibilità dell'operazione, che i vantaggi di questo tipo di finanziamento sono puramente contabili e non consentono alcun effettivo risparmio per la finanza pubblica, in quanto dovranno essere previsti esborsi futuri (o mancati introiti) da parte dell'operatore pubblico a favore del privato, addivenendo alla conclusione che normalmente il settore pubblico possa finanziarsi a costi inferiori a quello privato e che pertanto i progetti in Partenariato Pubblico Privato sono più costosi dei progetti tradizionali di investimento pubblico. Inoltre, «sotto il profilo della ripartizione dei rischi, è posta in evidenza una certa asimmetria che induce i privati a minimizzare l'assunzione di rischi e/o a selezionare Iniziative con basso rischio e alti rendimenti;
    da questo punto di vista i vantaggi economici sarebbero molto limitati in quanto in un'ottica di finanza pubblica è opportuno l'opzione PPP (partenariato pubblico privato) a condizione che i privati si accollino i rischi che li competono;
   considerato che:
    alcuni tipi di investimenti pubblici sono caratterizzati da elevata incertezza e da esternalità positive. In questi casi il settore privato si impegnerà solo nel caso possa contare su specifiche garanzie pubbliche (dissolvendo così in parte i vantaggi del PPP)»;
    con la riforma della legge 109 del 1994, l'istituto della concessione è stato totalmente rivisto: viene meno il limite di durata della concessione, precedentemente a trenta anni, e viene abrogato il limite massimo del 50 per cento del contributo che l'Amministrazione poteva corrispondere al concessionario al fine di garantire l'equilibrio economico finanziario della gestione, in presenza di prezzi amministrati e, quindi, di elementi economici sottratti alla capacità decisionale, ed al rischio, dell'impresa;
    dunque dal 2002 i promotori privati possono proporre e realizzare opere con una concessione nella quale l'Amministrazione aggiudicatrice garantisce il 100 per cento del costo;
    l'effetto domino, dopo le modifiche introdotte, è subito esploso, effetto domino che ha investito in maniera ancora più preoccupante anche l'iniziativa diretta delle Amministrazioni Pubbliche;
    gran parte dei progetti che si stanno realizzando sono stati affidati solo grazie alle modifiche apportate all'istituto della concessione e la tenuta dei bilanci futuri delle Aziende pubbliche e degli Enti Locali sarà tutta da verificare,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di riesaminare la disciplina dello strumento del Project finance per la costruzione di opere di interesse pubblico, in considerazione anche delle agevolazioni fiscali riconosciute, che rappresentano un onere per il bilancio dello Stato in un momento di grave crisi economica.
9/1248-A-R/173. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Incà.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e fra queste rientrano le norme di semplificazione in materia edilizia (articolo 30);
    in particolare vengono semplificate le norme in materia di demolizione e ricostruzione (comma 1, lettera a) limitandone, tuttavia, l'ambito di intervento alle sole opere connesse alla ristrutturazione edilizia;
    tale semplificazione è limitativa in quanto non prende in considerazione le opere di demolizione edilizia connesse all'abbattimento delle opere abusive secondo il procedimento disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001;
    tale normativa attuale è assolutamente inadeguata in quanto pone a carico delle amministrazioni comunali procedenti una serie infinita di adempimenti burocratici che ritardano in modo inaccettabile la esecuzione della demolizione d'ufficio;
    di tali ritardi si avvantaggiano coloro che hanno costruito immobili senza rispettare la normativa vigente e sulle quali neanche pagano le imposte fiscali;
    i ritardi nei procedimenti delle demolizioni d'ufficio, inoltre, frenano l'economia del settore delle imprese di demolizione partecipanti alle gare di appalto per gli interventi di demolizione e riduzione in pristino degli abusi edilizi,

impegna il Governo

a valutare ogni iniziativa normativa di competenza al fine di semplificare i procedimenti amministrativi diretti alla demolizione d'ufficio degli abusi edilizi.
9/1248-A-R/174Spessotto.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 34, reca disposizioni in materia di trasmissione in via telematica del certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, del certificato di parto e del certificato di interruzione di gravidanza;
    considerato che attualmente una lavoratrice in gravidanza che ha la necessità di astenersi dal posto di lavoro in modo anticipato rispetto al periodo obbligatorio è chiamata a svolgere una serie di adempimenti burocratici quali:
     1. fare un'istanza al Ministero del lavoro:
     2. predisposizione da parte del Min. Lavoro di una richiesta di visita alla ASL competente;
     3. visita medica;
     4. consegna da parte della lavoratrice del certificato medico rilasciato dalla ASL, al Ministero del Lavoro che a sua volta rilascia il provvedimento di autorizzazione;
    tale procedura si attiva ad ogni proroga dell'astensione anticipata;
    di fatto l'intervento del Ministero del lavoro non aggiunge alcuna garanzia di correttezza dell'astensione trattandosi di manifestazione accertabile solo sul piano medico;
    appare opportuno elidere ogni intervento nella suddetta prassi da parte del ministero del lavoro in quanto il rilascio del certificato della ASL costituisce di per se documento idoneo ad astenersi dal posto di lavoro al pari di qualsiasi certificazione medica per malattia;
    una prima soluzione è stata introdotta a decorrere dal 1o aprile 2012, (ai sensi del decreto-legge 5 del 2012) con riferimento all'ipotesi di cui all'articolo 17, comma 2, lettera a), decreto legislativo n. 151 del 2001, (cioè gravi complicazioni della gravidanza o forme morbose pregiudizievoli) l'autorizzazione è disposta dalla sola ASL con modalità definite con Accordo sancito in sede di Conferenza permanente Stato/Regioni. In attesa della convocazione della Conferenza Stato/Regioni, il Ministero del lavoro sollecita gli Uffici periferici (DTL) a concludere intese con le AA.SS.LL. per consentire tempestivamente l'emanazione dei provvedimenti di interdizione anticipata (ML lett. circ. n. 7247/2012). Tuttavia, la lungaggine di queste intese di fatto lascia ancora inalterato il problema in diverse parti d'Italia,

impegna il Governo

ad adottare le necessarie iniziative tese a rafforzare la tutela della lavoratrice in gravidanza, con particolare riferimento allo snellimento delle procedure per l'ottenimento dell'astensione dal lavoro in periodo anticipato a quello obbligatorio.
9/1248-A-R/175Colonnese.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 34, reca disposizioni in materia di trasmissione in via telematica del certificato medico di gravidanza indicante la data presunta del parto, del certificato di parto e del certificato di interruzione di gravidanza;
    la funzione sociale della maternità continua ad essere penalizzata rispetto all'accesso e alla permanenza nel mercato del lavoro, ciò è imputabile a diversi fattori quali l'iniqua distribuzione dei carichi di lavoro familiare, la persistente carenza dei servizi per l'infanzia, le forme di discriminazione sul lavoro subite dalle donne madri o in gravidanza, l'insufficienza delle reti di aiuto formale (asili nido e strutture per l'infanzia);
    la peculiarità del nostro Paese è ravvisabile nel ricorso intenso alla rete di aiuti informale e alla solidarietà intergenerazionale. Sei bambini su dieci sono affidati ai nonni quando la madre lavora. Questo avviene principalmente per la carenza di servizi per l'infanzia; l'offerta di asili nido, misurata rispetto al numero dei bambini di età inferiore ai tre anni, mostra tuttavia differenze rilevanti nel livello di attivazione territoriale del servizio. La loro carenza, soprattutto al Sud e nelle Isole, condiziona decisamente il rapporto con il lavoro delle donne, al punto tale che 564mila donne inattive hanno dichiarato che sarebbero disponibili a lavorare e a cercare lavoro, in presenza di servizi sociali adeguati; tra le donne occupate, 160 mila passerebbero da un regime orario part-time a full time;
    l'interruzione dell'attività lavorativa dovuta alla nascita di un figlio può comportare un rischio elevato di non reinserirsi nel mondo del lavoro, o di rimanerne a lungo al di fuori. Tra le donne che nel corso della vita hanno smesso di lavorare, il 17,7 per cento lo ha fatto per la nascita del figlio; emerge in tutta evidenza la necessità di tutelare i diritti della donna nella fase della vita in cui deve conciliare l'essere madre con la sua partecipazione alla vita attiva e produttiva,

impegna il Governo

a porre in essere nell'immediato ogni iniziativa, anche di carattere legislativo, volta a favorire le pari opportunità nel mondo del lavoro, con specifico riferimento alla figura della donna, attraverso lo stanziamento di fondi utili a migliorare i servizi e le strutture per l'infanzia.
9/1248-A-R/176Nesci, D'Ambrosio.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia le disposizioni del Titolo III del provvedimento, recante «Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»;
    l'articolo 64 – modificato per aspetti esclusivamente formali nel corso dell'esame in sede referente – individua i requisiti per la nomina del giudice ausiliario, in analogia alle previsioni già contenute nell'ordinamento sulla selezione della magistratura onoraria. Il riferimento pare essere all'articolo 42-ter del regio decreto 12 del 1941 sull'ordinamento giudiziario, che stabilisce i requisiti per la nomina a giudice onorario (Got) e a vice procuratore onorario (Vpo) di tribunale;
    in particolare, a parte la laurea in giurisprudenza, l'articolo 64 del decreto-legge non stabilisce alcun requisito inerente la residenza (nel comune del distretto della corte d'appello per cui si fa domanda);
    il citato articolo 42-ter del regio decreto 12 del 1941, al contrario, per la nomina di Got e Vpo, prevede tra i requisiti la residenza in un comune compreso nel distretto in cui ha sede l'ufficio giudiziario per il quale è presentata domanda, fatta eccezione per coloro che esercitano la professione di avvocato o le funzioni notarili;
    la legge sulle sezioni stralcio n. 276 del 1997 (articolo 2) non prevedeva, invece, alcun requisito di residenza per la nomina dei giudici onorari aggregati (Goa);
    i requisiti previsti dall'articolo 64 sono la cittadinanza italiana, l'esercizio dei diritti civili e politici, non avere riportato condanne per delitti non colposi, non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza, avere idoneità fisica e psichica, non avere precedenti disciplinari diversi dalla sanzione più lieve prevista dall'ordinamento della professione di provenienza;
    con particolare riferimento al requisito anagrafico la norma prevede, al momento di presentazione della domanda:
     per i magistrati (anche onorari) e gli avvocati dello Stato a riposo, nonché i professori universitari, un limite massimo di 75 anni di età;
     per gli avvocati e i notai, invece, tale limite è di 60 anni;
    il limite anagrafico per i Goa era di 67 anni. Per Got e Vpo è, invece, stabilito un minimo di 25 anni ed un massimo di 69;
    per notai e avvocati un ulteriore requisito consiste nell'iscrizione all'albo da almeno 5 anni, termine evidentemente individuato come sintomatico di adeguata esperienza professionale;
    in capo ai requisiti per la nomina a giudice ausiliario sono poste condivisibili condizioni ostative legate alla compresenza di incarichi pubblici (elettivi e non) di natura politica, istituzionale, dirigenziale, oltreché religiosi, le quali si ritiene necessario, pena la vanificazione della norma, debbano estendersi ai cinque anni successivi la cessazione dei citati incarichi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere ai cinque anni successivi la cessazione dei citati incarichi.
9/1248-A-R/177Luigi Di Maio, D'Ambrosio.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia le disposizioni del Titolo III del provvedimento, recante «Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»;
    il decreto individua i requisiti per la nomina del giudice ausiliario, in analogia alle previsioni già contenute nell'ordinamento sulla selezione della magistratura onoraria. Il riferimento pare essere all'articolo 42-ter del regio decreto 12 del 1941 sull'ordinamento giudiziario, che stabilisce i requisiti per la nomina a giudice onorario (Got) e a vice procuratore onorario (Vpo) di tribunale, precisa la finalità e l'ambito applicativo della disciplina del Capo I del titolo III del decreto-legge in esame (Giudici ausiliari, articoli 62-72): la riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti civili, di lavoro e previdenza presso le corti d'appello sulla base delle priorità individuate dai programmi di lavoro per la gestione dei procedimenti civili pendenti redatti dai presidenti delle stesse Corti;
    l'articolo 37 del decreto legge 98 del 2111 (legge 111 del 2011) ha previsto che i capi degli uffici giudiziari, sentiti i presidenti dei rispettivi consigli dell'ordine degli avvocati, entro il 31 gennaio di ogni anno debbano redigere un programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti con cui determinare:
     a) gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno in corso;
     b) gli obiettivi di rendimento dell'ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa;
    come si legge nella relazione illustrativa, è proprio presso le corti d'appello che si registra un aumento delle pendenze (che invece non si verifica davanti ai tribunali): nelle corti d'appello, nel 2010 erano pendenti 443.435 procedimenti, mentre nel 2011 ne erano pendenti 448.810. Nei tribunali invece le pendenze erano 3.486.487 nel 2010 e 3.452.462 nel 2011;
    l'articolo 63 – modificato nel corso dell'esame da parte delle Commissioni – stabilisce, per le indicate finalità di deflazione del contenzioso civile pendente presso le Corti d'appello, la nomina, con decreto del ministro della giustizia, di un numero massimo di 400 giudici ausiliari (comma 1). Secondo la relazione illustrativa, tale numero appare idoneo ad assicurare la definizione, ogni anno, di 36.000 procedimenti (ovvero 90 per ogni giudice ausiliario);
    il comma 3 dell'articolo 63 del decreto-legge individua le categorie professionali che possono fare domanda per ottenere la nomina a giudice ausiliario ovvero i magistrati (ordinari, contabili e amministrativi) e gli avvocati dello Stato a riposo, i professori universitari in materie giuridiche di prima o seconda fascia, anche a tempo determinato o a riposo, i ricercatori universitari in materie giuridiche, gli avvocati (cui l'articolo 65 attribuisce preferenza a fini della nomina, v. ultra) ed i notai (per entrambe le ultime due categorie, anche se a riposo);
    all'articolo 61 (Durata dell'ufficio di giudice ausiliario) cui è stata apportata una modifica esclusivamente formale nel corso dell'esame in sede referente – stabilisce in 10 anni il termine massimo di permanenza nell'ufficio di giudice ausiliario. In base ai commi 1 e 2, infatti, la funzione può essere svolta per cinque anni, prorogabili per un pari periodo con decreto del ministro della giustizia (ex articolo 65 del decreto);
    il comma 3 prevede la cessazione dall'incarico di giudice ausiliario – oltre che per le ipotesi di dimissioni, revoca, decadenza e mancata conferma – al compimento dei 78 anni di età;
    ciò significa che, anche ove il mandato quinquennale (primo o secondo) non sia concluso, il raggiungimento del limite anagrafico indicato costituisce motivo di decadenza di diritto dall'incarico;
    le ragioni sottese all'utilizzo di uno strumento di emergenza-urgenza quale quello del decreto-legge, inducono inoltre a ritenere che l'esperienza del giudice ausiliario debba necessariamente trovare una sua contenuta, certa, definizione temporale in vista di una più organica e coerente riforma del sistema della giustizia civile, e che pertanto appare opportuno modificare l'articolo 67 del decreto in esame, fissando un termine perentorio non rinnovabile di cinque anni alla durata dell'incarico di giudice ausiliario,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di prevedere ulteriori iniziative normative volte a porre una modifica al decreto valida per stabilire un termine perentorio non rinnovabile di cinque anni alla durata dell'incarico di giudice ausiliario.
9/1248-A-R/178Carinelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia le disposizioni del Titolo III del provvedimento, recante «Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»;
    il decreto individua i requisiti per la nomina del giudice ausiliario, in analogia alle previsioni già contenute nell'ordinamento sulla selezione della magistratura onoraria. Il riferimento pare essere all'articolo 42-ter del regio decreto 12 del 1941 sull'ordinamento giudiziario, che stabilisce i requisiti per la nomina a giudice onorario (Got) e a vice procuratore onorario (Vpo) di tribunale, precisa la finalità e l'ambito applicativo della disciplina del Capo I del titolo III del decreto-legge in esame (Giudici ausiliari, articoli 62-72): la riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti civili, di lavoro e previdenza presso le corti d'appello sulla base delle priorità individuate dai programmi di lavoro per la gestione dei procedimenti civili pendenti redatti dai presidenti delle stesse Corti;
    l'articolo 37 del decreto-legge 98 del 2111 (legge 111 del 2011) ha previsto che i capi degli uffici giudiziari, sentiti i presidenti dei rispettivi consigli dell'ordine degli avvocati, entro il 31 gennaio di ogni anno debbano redigere un programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti con cui determinare:
     a) gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno in corso;
     b) gli obiettivi di rendimento dell'ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa.
    come si legge nella relazione illustrativa, è proprio presso le corti d'appello che si registra un aumento delle pendenze (che invece non si verifica davanti ai tribunali): nelle corti d'appello, nel 2010 erano pendenti 443.435 procedimenti, mentre nel 2011 ne erano pendenti 448.810. Nei tribunali invece le pendenze erano 3.486.487 nel 2010 e 3.452.462 nel 2011;
    l'articolo 63 – modificato nel corso dell'esame da parte delle Commissioni – stabilisce, per le indicate finalità di deflazione del contenzioso civile pendente presso le Corti d'appello, la nomina, con decreto del ministro della giustizia, di un numero massimo di 400 giudici ausiliari (comma 1). Secondo la relazione illustrativa, tale numero appare idoneo ad assicurare la definizione, ogni anno, di 36.000 procedimenti (ovvero 90 per ogni giudice ausiliario);
    il comma 3 dell'articolo 63 del decreto-legge individua le categorie professionali che possono fare domanda per ottenere la nomina a giudice ausiliario ovvero i magistrati (ordinari, contabili e amministrativi) e gli avvocati dello Stato a riposo, i professori universitari in materie giuridiche di prima o seconda fascia, anche a tempo determinato o a riposo, i ricercatori universitari in materie giuridiche, gli avvocati (cui l'articolo 65 attribuisce preferenza a fini della nomina, v. ultra) ed i notai (per entrambe le ultime due categorie, anche se a riposo);
    al fine di riservare alla funzione di giudice ausiliario categorie professionali caratterizzate da una più elevata offerta sul mercato del lavoro, peraltro maggiormente esposte alla crisi economica in corso, si propone di espungere dall'elenco delle possibili professioni di provenienza i magistrati ordinari, contabili e amministrativi; gli avvocati dello Stato; i professori universitari in materie giuridiche di prima e seconda fascia anche a tempo definito ed i notai. Riservando così l'accesso alla funzione di giudice ausiliario agli avvocati, ai ricercatori universitari in materie giuridiche,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di prevedere ulteriori iniziative normative volte a riservare l'accesso alla funzione di giudice ausiliario agli avvocati, ai ricercatori universitari in materie giuridiche.
9/1248-A-R/179Pinna.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 54-bis e 54-ter del provvedimento in titolo introducono modifiche ai recenti provvedimenti legislativi in materia di vigilanza sulla corruzione e sulla conferibilità e compatibilità degli incarichi nella pubblica amministrazione e negli enti di diritto pubblico;
    la materia della corruzione è diventata ormai centrale nel dibattito politico degli ultimi anni, atteso che essa va assumendo sempre più i connotati di una «degenerazione diffusa del tessuto sociale», i fatti corruttivi essendo l'apice di quella cattiva amministrazione che comprende una congerie di fenomeni: dai ritardi agli inadempimenti, dalla scarsissima attenzione alle domande e alle esigenze dei cittadini e delle imprese al clientelismo, dall'assenteismo al conflitto di interessi, alle condotte illecite non sanzionate, agli sprechi;
    non si contano i buoni proponimenti in materia, nonché gli studi e le ricerche commissionate per introdurre strumenti adeguati ed affinati per adeguare il costume della p.a. al dettato costituzionale; a questo proposito il tema dei controlli amministrativi è apparso centrale per il buon funzionamento e per la garanzia della legalità e dell'integrità nella p.a., da ritenersi, stando anche ai dati di altri Paesi, fortemente efficace nella lotta ai fenomeni di malamministrazione, corruttela e illegalità; in sostanza, si tratta di instaurare un sistema di tutela marcatamente preventivo, severissimo sui controlli di tutti i fattori in gioco;
    il nostro Paese sopporta una zavorra dell'ordine di 60 miliardi annui, a tanto ammonta il costo della nostra corruzione, che nessuna economia può reggere e che altro non è che una tassa occulta sui cittadini estranei all'accordo criminale; le attività di controllo e di contrasto alla corruzione svolgono un ruolo chiave per l'economia di un Paese, in quanto consentono di liberare energie vitali compresse, che possono aiutare lo sviluppo dei mercati, e favoriscono situazioni di emersione delle attività economiche che giovano al sistema generale della fiscalità;
    la cosiddetta «legge anticorruzione» – faticosamente approvata nella scorsa legislatura – ad avviso del sottoscrittore del presente atto di indirizzo ha introdotto norme «minime» di controllo, di carattere preventivo per combattere i fenomeni di mal amministrazione: la legge si limita a prevedere un monitoraggio dei settori più esposti al rischio corruttivo, nonché un rafforzamento dell'attività di controllo e monitoraggio con specifico riferimento ai meccanismi di formazione delle decisioni in tali settori;
    gli articoli del provvedimento indicati, ad avviso del sottoscrittore del presente atto di indirizzo, minano l'impalcatura della legge anticorruzione e del decreto legislativo in materia di incarichi nella pubblica amministrazione in particolare con riguardo alla competenza in materia di controlli e di segnalazioni su fatti ed eventi da controllare, nonché con riguardo all'ambito oggettivo di applicazione; essi assegnano competenze in ordine all'ambito soggettivo di applicazione dei due atti normativi, nonché competenze di ordine interpretativo delle medesime norme; al contempo, la possibilità di inviare all'Autorità preposta alla vigilanza «segnalazioni» di fenomeni censurabili e sanzionabili, prima generalmente ed indifferentemente prevista, appare esclusivo appannaggio della funzione pubblica, sia esso dipartimento della presidenza del consiglio o competente dicastero;
    ad avviso del sottoscrittore del presente atto di indirizzo, in sostanza, sembra essere stato introdotto una sorta di «imbuto» alle segnalazioni di casi sospetti, un filtro obbligato delle notizie sui casi sospetti di corruzione;
    con l'introduzione degli articoli indicati si modificano i poteri attribuiti all'autorità di vigilanza anticorruzione, in particolare per quanto attiene alla sua indipendenza, al suo ruolo e alle sue funzioni, in quanto essi risultano «schiacciata» a favore di potestà trasferite ad altri organi;
    l'Autorità di vigilanza anticorruzione deve mantenere uno status, operativo indipendente rispetto agli organi del Governo e della pubblica amministrazione tutta; ad avviso del sottoscrittore del presente atto di indirizzo è da definirsi debole la scelta compiuta nella scorsa legislatura – l'Autorità non ha affatto le caratteristiche sostanziali e giuridiche che ne giustificano il nome – quindi, toccare determinate sue prerogative o, peggio, rendere «superabili le sue determinazioni, decisioni o interpretazioni da organi politici appare fuori luogo e non in linea con la volontà dichiarata di voler combattere i mali della nostra amministrazione;
    «Se non ora quando» – tale fu il grido comune degli scienziati e degli umanisti che negli Anni Settanta intendevano unire le proprie conoscenze in favore dell'umanità – slogan che appare ben adeguato al nostro contesto: quando si imprimerà una brusca inversione di rotta per una rieducazione all'etica pubblica, che prescinda, di base, dal fatto che un comportamento sia o no penalmente rilevante o perseguibile, ma si leghi ai concetti di responsabilità, dignità, opportunità di fare o non fare qualcosa ? Non appare un buon inizio né una buona performance intaccare l'Autorità di contrasto alla corruzione della pubblica amministrazione,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi degli articoli 54-bis e 54-ter, affinché le modifiche ivi previste non inibiscano o ammorbidiscano i poteri e le funzioni attribuiti all'Autorità di vigilanza sulla corruzione nonché le attività di contrasto ai fenomeni di malamministrazione e illegalità.
9/1248-A-R/180Fraccaro.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 29-bis ha lo scopo di ripristinare la possibilità di cumulare i mandati monocratici degli enti locali con un numero di abitanti compreso tra 5.000 e 15.000 abitanti con il mandato parlamentare e con gli incarichi di governo;
    l'articolo indicato riporta nella rubrica la definizione di «interpretazione autentica»: oltre ad essere, ad avviso del presentatore del presente ordine del giorno, fuorviante e falsa, la rubrica introduce una fattispecie normativa che non dovrebbe comparire in questo decreto-legge;
    questa norma confligge palesemente con il sentimento generale dell'opinione pubblica, oltre ad essere in ovvio e aperto contrasto con la normativa recentemente introdotta e immediatamente «interpretata»;
    in un momento in cui il sistema economico nazionale risulta essere particolarmente difficile, privo di sbocchi a breve termine e senza reali proposte da parte delle forze di maggioranza, con un debito pubblico che ha recentemente raggiunto i 2.047 miliardi di euro, pari a più del 130 per cento del PIL, questa norma riduce ulteriormente il già bassissimo grado di fiducia dei cittadini nel nostro sistema politico-istituzionale;
    ad avviso del sottoscrittore del presente atto di indirizzo è penoso registrare che, ancora una volta, i partiti hanno preferito preservare i privilegi di pochi a discapito dell'interesse nazionale e del buon senso, tenendo conto in particolare dell'esiguo numero di parlamentari la cui situazione ricadrebbe oggi nell'ambito di applicazione dell'articolo 29-bis, disposizione che risulta altresì essere stata stigmatizzata anche dai colleghi di partito dei firmatari della relativa proposta emendativa,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 29-bis, eventualmente al fine di ripristinare la normativa originaria in materia di incompatibilità con gli incarichi di governo e con il mandato parlamentare per le cariche elettive di natura monocratica degli enti locali con una popolazione superiore ai 5.000 abitanti
9/1248-A-R/181Nuti.


   La Camera,
   premesso che:
    nel contesto della disciplina della riscossione coattiva delle imposte sul reddito effettuata mediante espropriazione immobiliare, con la sentenza n. 281 del 2011 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 85, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nella parte in cui questo prevedeva che, se il terzo incanto ha esito negativo, l'assegnazione dell'immobile allo Stato ha luogo «per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede», anziché per il prezzo base del terzo incanto;
    la Consulta, riconoscendo la non implausibilità delle ricostruzioni del quadro normativo offerte dal Giudice dell'esecuzione del Tribunale ordinario di Forlì e dal Giudice dell'esecuzione del Tribunale ordinario di Torino nelle rispettive ordinanze di remissione, ha escluso la possibilità di interpretare la disposizione censurata in modo da superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale connessi all'irragionevolezza della stessa, ed è giunta quindi a pronunciarsi nel senso sopra indicato;
    la disposizione contenuta nella lettera m) del comma 1 dell'articolo 52 del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia (C. 1248-A/R), volendo apportare delle modifiche al medesimo articolo 85, comma 1, del medesimo decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, così «recita»: «all'articolo 85, comma 1, le parole: «minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede» sono sostituite dalle seguenti: «prezzo base del terzo incanto», andando di fatto a ripetere pedissequamente il dispositivo della sentenza della Corte costituzionale n. 281/2011;
    la disposizione contenuta nella lettera m) del comma 1 dell'articolo 52, vorrebbe dunque andare a modificare, ad avviso della presentatrice del presente ordine del giorno, in modo assurdo e perpetrando un'aberrazione giuridica, una parte di una disposizione che a norma dell'articolo 136 della Costituzione è già stata espunta dall'ordinamento a seguito della citata pronuncia della Consulta, non potendosi considerare il contenuto della disposizione incriminata come una banale, mera e innocua ripetizione di quanto stabilito dalla Corte, costituendo questo invece in realtà un vero e proprio nonsenso giuridico, che potrebbe peraltro rischiare di creare dei problemi interpretativi in capo agli operatori giuridici;

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi della lettera m) del comma 1 dell'articolo 52, al fine di adottare iniziative normative volte a sanare quella che, ad avviso della presentatrice del presente atto, appare una grave irregolarità.
9/1248-A-R/182Dieni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 13 interviene sulle disposizioni del decreto legge 5 del 2012 e del decreto legge 83 del 2012 recanti la disciplina dell'Agenda digitale italiana;
    in particolare, l'articolo 13 interviene sulla governance dell'Agenda digitale italiana, ovvero sulla Cabina di regia competente all'attuazione dell'agenda stessa, istituendo peraltro al suo interno un organismo consultivo denominato Tavolo permanente per l'innovazione e l'agenda digitale italiana;
    l'articolo 13 apporta modifiche alle modalità di nomina del direttore dell'Agenzia, interviene sulla composizione del Comitato di indirizzo, dispone in tema di competenze e risorse umane dell'agenzia, tutto questo senza alcuna pianificazione e senza strategie;
    l'agenda digitale è lo strumento cardine per l'uniformità tecnica dei sistemi informativi pubblici, è il simbolo dell'innovazione e portatrice di 35 miliardi di euro di risorse per l'economia, ma la sua attuazione è risultata, fin dal principio, fortemente problematica;
    a tutt'oggi, nonostante i ripetuti interventi legislativi, non sono chiare le posizioni di comando e di indirizzo, nonché le priorità del lungo elenco di programmi che l'agenda digitale è chiamata a realizzare,

impegna il Governo

mediante il Commissario incaricato dell'attuazione dell'Agenda digitale, a riferire con cadenza trimestrale alle competenti Commissioni della Camera dei Deputati in ordine ai programmi e all'avanzamento dell'attuazione dell'Agenda digitale.
9/1248-A-R/183Toninelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'Agenda Digitale Italiana (ADI) è stata istituita il primo marzo 2012 per intervenire in alcuni settori cruciali, quali: identità digitale, PA digitale/Open data, istruzione digitale, sanità digitale, pagamenti elettronici e giustizia digitale; l'Agenda è quindi nata per un duplice obiettivo: da un lato, sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) per favorire l'innovazione, la crescita economica e la competitività, grazie a un mercato digitale unico basato su Internet veloce; dall'altro l'Agenda ha lo scopo di portare nel breve periodo grandi trasformazioni nella vita quotidiana dei cittadini;
    è qui che l'Italia deve investire per la sua crescita, poiché la rivoluzione digitale si riverbera in modo articolato non solo nei settori economici di un Paese, ma anche e soprattutto nel suo profilo sociale. Cogliere le opportunità della rivoluzione digitale significa, quindi, essere consapevoli che la valorizzazione e la gestione di questa innovazione è un compito che deve essere preso in carico «orizzontalmente» da tutti i settori delle istituzioni e delle imprese, sfruttando il potenziale delle ICT per risolvere le sfide sociali emergenti;
    tuttavia, nonostante le migliori intenzioni con cui il nostro Paese si è impegnato a recepire, nel maggio 2010, la normativa comunitaria in materia, l'Agenda digitale italiana ha attraversato diverse stratificazioni dal punto di vista normativo, non sempre conseguendo i risultati sperati; di recente, particolari novità si registrano nella concezione della cabina di regia che ha visto un ulteriore e significativo cambio di impostazione con l'emanazione del provvedimento in titolo; le novità introdotte riguardano la governance dell'Agenda digitale italiana: ad avviso del sottoscrittore del presente atto di indirizzo, ancora una volta ci si è quindi preoccupati di spartire le poltrone disponibili, invece di disciplinare in modo più rigoroso l'attività dell'Agenda, della quale, nonostante il lungo elenco di programmi e l'indicazione di attività, non si conoscono gli obiettivi, le priorità, la pianificazione e le strategie,

impegna il Governo

a riferire tempestivamente alle Commissioni competenti della Camera dei Deputati in ordine alla pianificazione dei lavori e alle priorità per l ?attuazione ed il raggiungimento degli obiettivi dei sei assi strategici in cui è suddivisa.
9/1248-A-R/184Lombardi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 49 del presente decreto legge stabilisce la proroga termini di alcune disposizioni contenute nel decreto 95 del 6 luglio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;
    nella precedente legislatura il governo attraverso il così detto processo di revisione della spesa pubblica aveva stimato di reperire risorse pari a 4,5 miliardi per il 2012, 10,5 miliardi per il 2013 e 11 miliardi per l'anno 2014 da destinare al risanamento dei conti pubblici;
    un gran numero di norme inserite nel decreto 95 del 6 luglio 2012 rinviavano a provvedimenti attuativi, molti dei quali non risultano ad oggi essere stati varati;
    essendo fondamentale, ai fini degli obiettivi di bilancio e di finanza pubblica, procedere quanto prima alla realizzazione della razionalizzazione e dell'efficientamento delle spese della pubblica amministrazione e che per raggiungere tale obiettivo è necessario soprattutto rispettare le scadenze temporali previste,

impegna il Governo:

   a non adottare nei futuri provvedimenti legislativi ulteriori norme di proroga e differimento termini in materia di spending review;
   a procedere tempestivamente all'emanazione dei provvedimenti attuativi non ancora varati al fine di poter conseguire quanto prima i risparmi attesi.
9/1248-A-R/185Cozzolino.


   La Camera,
   premesso che:
    il territorio che perde produzioni subisce una contrazione dei lavoratori impiegati in quel settore e perde competitività strutturale, giacché se prima delocalizzare significava solo dare all'esterno funzioni semplici, attualmente si delocalizzano funzioni importanti (ingegneria, software, progettazione) che vanno sicuramente ad incidere negativamente sul sistema economico e sociale;
    se è comunque difficile creare nuovo lavoro per lavoratori non professionalizzati ma comunque flessibili, è ancora più complicato trovarne per professionisti laureati, sicuramente meno flessibili. A lungo andare anche il tessuto produttivo si modifica, dato che una singola produzione necessita anche di uno sfondo di subforniture che, ovviamente, perdono di ragione economiche ad esistere, cioè il cosiddetto «indotto» tende a scomparire;
    l'articolo 2 del decreto-legge in esame introduce un meccanismo incentivante per le micro, piccole e medie imprese che vogliono effettuare investimenti per l'acquisto, anche tramite leasing, di macchinari, impianti, attrezzature ad uso produttivo;
    il meccanismo prevede l'intervento di Cassa depositi e prestiti presso la gestione separata della quale viene costituito un plafond che sarà utilizzato dalla medesima Cassa per fornire, fino al 31 dicembre 2016, provvista dalle banche per la concessione di finanziamenti alle imprese che intendono effettuare investimenti per rinnovare i propri macchinari;
    i finanziamenti sono erogati dalle banche che aderiscono alla convenzione da stipulare tra il Ministero dello sviluppo economico (sentito il Ministero dell'economia e delle finanze), Cassa depositi e prestiti S.p.A. e ABI;
    a tale convenzione (o convenzioni) è rimessa altresì la disciplina di dettaglio, per quanto attiene, in particolare, alle modalità operative per la concessione dei finanziamenti agevolati, dei contratti tipo di finanziamento e cessione del credito, incluse le attività di monitoraggio e di rendicontazione svolte dalle banche;
    inoltre si prevede nell'erogazione di un contributo statale alle imprese che accedono ai predetti finanziamenti bancari per coprire parte degli interessi;
    il contributo è infatti calcolato in rapporto agli interessi sui finanziamenti bancari. È rimessa ad un decreto dello Sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la determinazione della misura massima del contributo nonché la definizione delle condizioni di accesso e le modalità di funzionamento,

impegna il Governo

a prevedere, nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria, che i finanziamenti erogati ai sensi dell'articolo 2 alle imprese beneficiare vengano da queste restituite, in caso di delocalizzazione degli impianti produttivi in un Paese non appartenente all'Unione europea, se a questa consegue riduzione del personale dell'azienda in questione.
9/1248-A-R/186Fantinati, Colletti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 5 del decreto-legge in esame modifica le modalità di determinazione delle tariffe concesse agli impianti in regime Cip6;
    si rileva che nel 2011 i costi totali dei ritiri del OSE per l'energia CIP6 sono pari a 3,257 miliardi di euro: il 28,2 per cento alle rinnovabili vere e proprie (918 milioni di euro) e per il 72,8 per cento alle assimilate (2.339 milioni di euro), come gli inceneritori e la combustione di sottoprodotti delle raffinerie e di altri processi industriali, non proprio processi puliti;
    sono stati rescissi in maniera anticipata 51 contratti di incentivazione i cui costi sul rapporto del GSE riferito al 2012 non vengono menzionati;
    da un'indagine dell'Autorità energia e gas si evince che il grupp Edison grazie al Cip6/assimilate, si è portata nelle casse la ragguardevole cifra di circa 486 milioni di euro. Se poi aggiungiamo i suoi contributi relativi per il Cip6/rinnovabili, arriviamo alla cifra di circa 536 milioni di euro (per l'anno 2011),

impegna il Governo

a rivedere la normativa Cip6 del 1992, sia dei contratti in essere che dei contratti rescissi anticipatamente, analizzando i costi e le ricadute della componente tariffaria a carico dell'utente e altri eventuali oneri a carico dello Stato.
9/1248-A-R/187Crippa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 5 del decreto-legge in esame modifica le modalità di determinazione delle tariffe concesse agli impianti in regime Cip6;
    si rileva che nel 2011 i costi totali dei ritiri del OSE per l'energia CIP6 sono pari a 3,257 miliardi di euro: il 28,2 per cento alle rinnovabili vere e proprie (918 milioni di euro) e per il 72,8 per cento alle assimilate (2.339 milioni di euro), come gli inceneritori e la combustione di sottoprodotti delle raffinerie e di altri processi industriali, non proprio processi puliti;
    sono stati rescissi in maniera anticipata 51 contratti di incentivazione i cui costi sul rapporto del GSE riferito al 2012 non vengono menzionati;
    da un'indagine dell'Autorità energia e gas si evince che il grupp Edison grazie al Cip6/assimilate, si è portata nelle casse la ragguardevole cifra di circa 486 milioni di euro. Se poi aggiungiamo i suoi contributi relativi per il Cip6/rinnovabili, arriviamo alla cifra di circa 536 milioni di euro (per l'anno 2011),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rivedere la normativa Cip6 del 1992, sia dei contratti in essere che dei contratti rescissi anticipatamente, analizzando i costi e le ricadute della componente tariffaria a carico dell'utente e altri eventuali oneri a carico dello Stato.
9/1248-A-R/187. (Testo modificato nel corso della seduta) Crippa.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in esame reca un insieme di norme eterogenee, rispettivamente, misure per la crescita; misure in materia di semplificazione e misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile;
    si evince chiaramente che nel provvedimento sono presenti disposizioni che trattano settori importanti per la nostra economia;
    a tal proposito il decreto-legge non ha previsto nulla nel comparto turistico che rappresenta un pilastro dell'economia italiana per il suo contributo di circa il 10 per cento al PIL. Il volume di posti di lavoro che genera e gli effetti indiretti favorevoli su altri comparti dell'economia italiana. Spesso però esso non è sufficientemente considerato come settore economico, forse a causa della sua trasversalità. Le aziende turistiche italiane devono misurarsi in un ambiente estremamente competitivo;
    la competitività del settore è in crisi come registrato nel 2012 dal calo degli arrivi e delle presenze turistiche: i dati parziali infatti rilevano un decremento, rispettivamente, del 5,7 per cento e del 6,8 per cento rispetto al 2011, anno in cui i turisti internazionali avevano invece superato la soglia dei 47,4 milioni, toccando un massimo storico a partire dal 2005;
    si stima in 2 miliardi di euro il fatturato annuo che se ne va all'estero sottraendo alle imprese italiane circa 300 milioni di euro di ricavi;
    con il decreto-legge 70 del 2011 sul semestre europeo (convertito in legge n. 106/2011) si è cercato di rilanciare il settore con l'istituzione, nei territori costieri, dei «Distretti turistici» con l'obiettivo di riqualificare e rilanciare l'offerta nazionale, migliorando al contempo l'efficienza nell'organizzazione e nella produzione dei servizi;
    questi Distretti possono esser creati nei territori su richiesta delle imprese del settore che vi operano secondo una procedura abbastanza complessa che prevede: un'intesa delle aziende con le Regioni interessate, propedeutica all'emanazione di un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DCPM) istitutivo; la delimitazione del Distretto con un'intesa tra le Regioni, il Ministero dell'economia e delle finanze e i Comuni interessati, previa conferenza di servizi obbligatoria, a cui deve partecipare anche l'Agenzia del demanio;
    il termine per la delimitazione territoriale dei Distretti, poco pubblicizzati, era fissato al 31 dicembre 2012 dal decreto sul semestre europeo, ma con la legge di Stabilità 2013 (n. 228 del 2012) è stato rinviato al 30 giugno 2013;
    alla scadenza summenzionata, sono stati delimitati pochissimi Distretti, circostanza che non favorirà il loro sviluppo e la possibilità di usufruire di una serie di agevolazioni amministrative, finanziarie, fiscali e per il settore ricerca & sviluppo,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di estendere fino al 31 dicembre 2014 il termine per la delimitazione territoriale dei Distretti turistici la cui formazione deve essere oggetto di un'apposita campagna informativa;
   a semplificare l’iter formativo dei Distretti turistici la cui complessità può scoraggiare le imprese del settore;
   ad adottare opportuni provvedimenti per il rilancio del settore turistico nel suo complesso.
9/1248-A-R/188Prodani.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 37 del decreto-legge in esame interviene nella materia della semplificazione degli oneri burocratici delle imprese. Tale materia è oggetto di una normazione che negli ultimi anni è stata particolarmente copiosa e ha prodotto una stratificazione di disposizioni la cui lettura coordinata risulta non sempre agevole;
    in particolare l'oggetto dell'intervento sono i percorsi sperimentali di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le iniziative ed attività delle imprese, attivati tramite lo strumento delle convenzioni di cui all'articolo 12 del decreto-legge 9 febbraio, 2012. n. 5;
    ad oggi le sperimentazioni della normativa burocrazia zero sono in corso nelle Regioni Abruzzo, Sicilia, Toscana, Veneto e Basilicata ma non si conoscono i risultati di tali sperimentazioni;

impegna il Governo

a verificare le attività di sperimentazione fino ad ora adottate ed a monitorare l'attivazione e l'efficacia dello Sportello Unico delle Attività Produttive (SUAP).
9/1248-A-R/189Da Villa.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 4 del decreto-legge limita ai soli clienti domestici l'applicazione transitoria del servizio di tutela gas, cioè il servizio per il quale per alcuni clienti c.d. «vulnerabili», i prezzi di riferimento sono determinati dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
    la norma comporta le seguenti conseguenze non aumenta la concorrenza del mercato ma aumenta solo i margini di manovra delle società venditrici di gas in termini di condizioni praticabili; rimuove il diritto del cliente finale (impresa) di poter chiedere in qualsiasi istante, ai sensi dell'articolo 3 dell'Allegato delle deliberazione ARG/gas n 64/09, al proprio fornitore di praticare le condizioni economiche stabilite dall'Autorità per l'energia trimestralmente; sottrae tutte le imprese dalla possibilità di usufruire i benefici della riforma recentemente varata dall'Autorità e che avrà effetto da ottobre di quest'anno; favorisce gli operatori di mercato più rilevanti in termini di quote di mercato in quanto avverrà (o già avviene) un passaggio inconsapevole da un regime all'altro ma senza cambiare fornitore;
    inoltre la norma ha escluso le utenze relative ad attività del servizio pubblico dall'applicazione del servizio tutela del gas,

impegna il Governo

ad adottare un opportuno provvedimento volto a garantire le utenze del servizio pubblico e le piccole e medie imprese dall'applicazione del servizio tutela del gas.
9/1248-A-R/190Petraroli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del decreto-legge in esame introduce un meccanismo incentivante per le micro, piccole e medie imprese che vogliono effettuare investimenti per l'acquisto, anche tramite leasing, di macchinari, impianti, attrezzature ad uso produttivo;
    i soggetti destinatari della misura agevolativa sono le micro, piccole e medie imprese ai sensi della Raccomandazione 2003/361/Ce della Commissione del 6 maggio 2003;
    i finanziamenti sono erogati dalle banche che aderiscono alla convenzione da stipulare tra il Ministero dello sviluppo economico (sentito il Ministero dell'economia e delle finanze), Cassa depositi e prestiti S.p.A. e ABI;
    a tale convenzione (o convenzioni) è rimessa altresì la disciplina di dettaglio, per quanto attiene, in particolare, alle modalità operative per la concessione dei finanziamenti agevolati, dei contratti tipo di finanziamento e cessione del credito, incluse le attività di monitoraggio e di rendicontazione svolte dalle banche;
    inoltre si prevede nell'erogazione di un contributo statale alle imprese che accedono ai predetti finanziamenti bancari per coprire parte degli interessi;
    il contributo è infatti calcolato in rapporto agli interessi sui finanziamenti bancari. È rimessa ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la determinazione della misura massima del contributo nonché la definizione delle condizioni di accesso e le modalità di funzionamento,

impegna il Governo

a prevedere meccanismi premiali a favore delle imprese che beneficiando del contributo dell'articolo 2 del decreto-legge in esame aumentano il livello occupazionale.
9/1248-A-R/191Vallascas.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 6 del provvedimento reca disposizioni in materia di agevolazioni sull'acquisto del gasolio per il riscaldamento delle coltivazioni sotto serra;
    nella notte tra giovedì 17 e venerdì 18 luglio le Commissioni riunite bilancio e affari costituzionali hanno approvato l'emendamento 6.13 dei relatori, che aggiunge due commi all'articolo 6 del provvedimento;
    ad avviso della presentatrice del presente ordine del giorno i due commi aggiuntivi sono stati approvati senza che né i relatori né il Governo abbiano sentito il dovere di illustrarne in modo adeguato il contenuto;
    il comma 4-bis inserito con l'emendamento 6.13, attribuisce ai progetti di riconversione del comparto bieticolo saccarifero il carattere di «interesse strategico» nonché il riconoscimento di «priorità di carattere nazionale in considerazione dei prevalenti profili di sviluppo economico di tali insediamenti produttivi»;
    il comma 4-ter sostituisce integralmente il comma 2 dell'articolo 29 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, e che era stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 62 del 2013; il comma novellato sembra riproporre, nella sostanza, l'attribuzione al Comitato interministeriale istituito con decreto-legge n. 2 del 2006 al fine di avviare le misure per la riconversione delle aziende di produzione bieticolo-saccarifera, dando al comitato medesimo la possibilità di nominare dei Commissari ad acta per l'attuazione dei progetti di riconversione, già cassata dalla suprema Corte con la citata sentenza 62/2013;
    la procedura con la quale è stata modificata la norma appare molto criticabile anche per la contrazione dei tempi per l'esame del testo da parte delle Commissioni e a causa della decisione del Governo di porre la fiducia sul provvedimento, cancellando completamente ogni possibilità di dibattito e contraddittorio su un tema così delicato;
    l'ipotesi di riconversione degli zuccherifici presenti nel territorio nazionale sta destando allarme e preoccupazione in molte realtà territoriali e vi è una forte preoccupazione per le possibili conseguenze ambientali e sanitarie che porterebbero alcune scelte, giustificate da presunte esigenze di tutela dei posti di lavoro, ma dietro alle quali si teme possano esserci torti interessi economici, che nulla hanno a che vedere con il benessere della collettività,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dei commi 4-bis e 4-ter dell'articolo 6 al fine di evitare che anche tali disposizioni possano incorrere in sanzioni di illegittimità costituzionale.
9/1248-A-R/192Agostinelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 58 comma 1 del provvedimento all'esame prevede che il turn over degli enti di ricerca e delle università passi dal 20 per cento al 50 per cento. Lo stesso articolo (comma 2) rifinanzia il fondo ordinario delle università. Le singole università potranno quindi assumere nel rispetto delle specifiche disposizioni sui limiti di spesa per il personale senza superare, a livello di sistema, il 50 per cento della spesa rispetto alle cessazioni;
    il limite del turn over previsto dal decreto-legge n. 112 del 2008 non è l'unico limite che insiste sulle assunzioni poiché le università sono penalizzate anche dal tetto di spesa per il personale sulle risorse complessive. Ad esempio, per le università sussistono i vincoli all'impiego delle risorse liberate dal turn-over definiti dal decreto legislativo n. 49 del 2012 attuativo della legge 240/2010;
    date le difficoltà di bilancio degli atenei e le riduzioni al FFO degli ultimi anni, questi vincoli possono rendere teorico il turn-over al 50 per cento a fronte di atenei che potranno reclutare utilizzando percentuali di molto inferiori di budget;
    in base all'articolo 5 decreto legislativo n 49 del 29 marzo 2012, l'aumento della tassazione a carico degli studenti rappresenta l'unica strada per incrementare la possibilità di effettuare i reclutamenti,

impegna il Governo

ad intraprendere iniziative finalizzate a non far ricadere sugli studenti il costo dei nuovi reclutamenti ove, negli atenei, non siano disponibili le risorse necessarie, anche valutando la possibilità di ripristinare il sistema di tassazione antecedente alle modifiche introdotte dall'articolo 7, comma 42, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in quanto prevedeva che la contribuzione studentesca non poteva eccedere il 20 per cento dell'importo del finanziamento ordinario dello Stato.
9/1248-A-R/193Vacca.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame, all'articolo 58 comma 1 prevede che il turn over degli enti di ricerca e delle università passi dal 20 per cento al 50 per cento. In sostanza, si ampliano le facoltà di assumere delle università e degli enti di ricerca per l'anno 2014, elevando dal 20 a 50 per cento il limite di spesa consentito a rispetto alle cessazioni dell'anno precedente;
    a tal fine, si incrementa il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO) di 21,4 milioni di euro nel 2014 e di 42,7 milioni di euro dal 2015 e il Fondo per il finanziamento degli enti di ricerca vigilati dal MIUR (FOE) di 3,6 milioni di euro nel 2014 e di 7,1 milioni di euro dal 2015;
    ai sensi del comma 5, ai maggiori oneri derivanti dall'aumento della facoltà di assunzione si provvede utilizzando parte dei risparmi conseguenti alle riduzioni di spesa per i servizi esternalizzati nelle scuole;
    in particolare la succitata disposizione fissa, per le istituzioni scolastiche ed educative statali, a decorrere dall'anno scolastico 2013/2014, un tetto alla spesa per l'acquisto di servizi esternalizzati, che devono avvenire nel rispetto dell'obbligo di avvalersi delle convenzioni quadro CONSIP: la spesa, infatti, non può essere superiore a quella che si sosterrebbe per coprire i posti di collaboratore scolastico accantonati ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 119/2009;
   considerato che:
    la relazione illustrativa e la relazione tecnica chiariscono che l'importo a base di gara previsto per «la stipulanda convenzione Consip» per i servizi esternalizzati – che si prevede divenga attiva per il mese di settembre 2013 – sarà pari alla spesa che si sarebbe sostenuta per assumere un numero di collaboratori scolastici pari a quanti sono i posti accantonati in organico. Il limite di spesa annuale è stimato in circa 280 milioni di euro – derivanti dal prodotto fra il numero dei posti di collaboratore scolastico accantonati nell'a.s. 2012-2013, pari a 11.851 posti, e lo stipendio annuale lordo di un collaboratore scolastico supplente, pari a 23.581,37 euro – a fronte di una spesa attuale di 390 milioni di euro;
    pertanto, la spesa che lo stato sosterrebbe annualmente per le assunzioni di 11.851 persone è pari a 280,2 milioni di Euro, a condizioni economiche e contrattuali per i lavoratori sicuramente più vantaggiose rispetto a quelle applicate agli operatori assunti da ditte esterne;
    in definitiva, il risparmio complessivo derivante dalle disposizioni recate dal comma 5 ammonta, in base alla relazione tecnica, a 110 milioni di euro annui a decorrere dal 2014 e di 36,6 milioni di euro già nel 2013;
    è dunque evidente che dalla esternalizzazione dei servizi non deriva alcun vantaggio economico per le casse dello Stato (o degli Enti), pertanto vengono meno gli stessi presupposti che giustificherebbero le esternalizzazioni stesse,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di verificare l'opportunità di non utilizzare i servizi di esternalizzazione per i servizi corrispondenti alle mansioni spettanti ai collaboratori scolastici e a predisporre l'assunzione degli 11851 dei collaboratori scolastici ordinariamente spettante sulla base degli accantonamenti sui posti di organico di diritto;
   a verificare, inoltre, la possibilità che i lavoratori attualmente utilizzati con le mansioni di collaboratore scolastico e già impegnati nei servizi esternalizzati nelle istituzioni scolastiche attraverso convenzioni stipulate ai sensi dell'articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni, siano inseriti in un percorso di assunzione diretta, sulla base dei titoli relativi al servizio prestato in progetti di lavoro socialmente utili e/o in qualità di collaboratore scolastico, presso le istituzioni scolastiche o amministrazioni pubbliche.
9/1248-A-R/194Luigi Gallo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 58, comma 1, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, prevede che il turn over degli enti di ricerca e delle università attualmente previsto al 20 per cento venga innalzato fino al 50 per cento;
    attraverso l'innalzamento della percentuale del turn over per l'anno 2014, le università e gli enti di ricerca potranno così disporre di un incremento del limite di spesa previsto per nuove unità di personale da assumere in rapporto alle complessive cessazioni dal servizio nell'anno precedente;
    secondo i nuovi parametri introdotti dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 circa i limiti di spesa e di indebitamento previsti per singolo ateneo, ogni università potrà disporre assunzioni di nuovo personale, fino e non oltre il 50 per cento, a livello di sistema, della spesa consentita rispetto alle cessazioni avvenute nel corso dell'anno precedente, con un incremento del 30 per cento rispetto a quanto previsto dalla precedente formulazione del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112;
    attraverso l'attuazione delle disposizioni previste dall'articolo 58 si otterrà una variazione in aumento del personale da assumere pari a 1500 posti da ordinario e 1500 posti da ricercatore in tenure track sul Fondo di Finanziamento Ordinario nel 2014, ma tale variazione non può considerarsi soddisfacente;
    l'aumento della percentuale al 100 per cento della spesa consentita sarebbe stata opportuna quanto necessaria dal momento che, attualmente, sia la ricerca che il sistema accademico in Italia non riescono a garantire quegli standard qualitativi necessari per un paese che voglia realmente competere con gli altri Paesi europei;
    non può non considerarsi che quello previsto dall'articolo 58, che richiama il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, non rappresenta il solo limite alla spesa per le assunzioni degli atenei e degli enti di ricerca, dal momento che queste hanno visto, nel corso degli ultimi anni, una costante riduzione dei fondi ad essi destinati e una conseguente riduzione dell'effettivo tetto della spesa del personale, con una soglia per le assunzioni effettivamente possibili ben al di sotto del 50 per cento;
    enti di ricerca come l'istituto Nazionale di Vulcanologia e Geofisica, che nonostante la sua rilevanza nazionale e i suoi livelli di eccellenza, presenta evidenti carenze organiche e si compone per oltre il 30 per cento da personale precario che non dispone di alcuna possibilità di turn over, sono l'evidente esempio di quanto sia necessaria la previsione di un aumento del limite di spesa possibile sino al 100 per cento,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a predisporre un innalzamento al 100 per cento della soglia del limite di spesa previsto per nuove unità di personale da assumere in rapporto alle complessive cessazioni dal servizio nell'anno precedente, consentendo ai singoli enti di ricerca e agli atenei di stanziare le risorse già in loro possesso per l'assunzione di nuovo personale, impedendo così ulteriori e progressive riduzioni degli standard qualitativi della ricerca e dell'offerta universitaria italiana.
9/1248-A-R/195D'Uva.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame all'articolo 11 estende al periodo d'imposta 2014 i crediti d'imposta per la produzione, la distribuzione e l'esercizio cinematografico previsti dall'articolo 1, commi da 325 a 328 e da 330 a 337, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e successive modificazioni, nel limite massimo di spesa di 45 milioni;
    i meccanismi di incentivazione fiscale a favore degli investimenti nel settore cinematografico, introdotti dalla legge finanziaria 2008 per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e per i due periodi d'imposta successivi, sono stati prorogati a partire dal 1o gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 dall'articolo 2, comma 4, del decreto-legge n. 225/2010;
    nella succitata disposizione, tuttavia, la disciplina dell'agevolazione è stata modificata al fine di introdurre un limite massimo di spesa di 45 milioni di euro, dunque l'agevolazione è decurtata del 50 per cento rispetto a quella prevista per il 2013;
    il mondo del cinema grida a gran voce la protesta per il previsto dimezzamento delle risorse e tutte le categorie del cinema sono pronte ad intraprendere ogni iniziativa di protesta immediata;
    in un settore già in sofferenza, il dimezzamento dell'agevolazione produrrà come conseguenza immediata il rischio di licenziamento per 2500 lavoratori, e inevitabilmente le intelligenze e le alte qualifiche di chi fa il cinema saranno costrette al silenzio e all'inattività,

impegna il Governo

ad intervenire, attraverso ulteriori iniziative normative, affinché sia ripristinato al più presto il tax credit sulla cifra minima indispensabile di 90 milioni di euro, sia stabilizzato definitivamente e avviato un percorso immediato di rilancio del settore audiovisivo.
9/1248-A-R/196Di Benedetto.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame all'articolo 11 estende al periodo d'imposta 2014 i crediti d'imposta per la produzione, la distribuzione e l'esercizio cinematografico previsti dall'articolo 1, commi da 325 a 328 e da 330 a 337, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e successive modificazioni, nel limite massimo di spesa di 45 milioni;
    i meccanismi di incentivazione fiscale a favore degli investimenti nel settore cinematografico, introdotti dalla legge finanziaria 2008 per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e per i due periodi d'imposta successivi, sono stati prorogati a partire dal 1o gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 dall'articolo 2, comma 4, del decreto-legge n. 225/2010;
    tra le attività culturali oltre alla cinematografia un posto di grande rilevanza spetta anche all'attività di produzione, di distribuzione ed esercizio dei prodotti musicali;
    pertanto, sarebbe auspicabile sostenere la trasformazione dell'industria musicale verso i nuovi scenari aperti al mercato dalla rivoluzione tecnologica e, dall'altro, quella di promuovere fortemente il prodotto musicale italiano e dei giovani, favorendo lo sviluppo di sinergie fra cinema, musica, teatro e danza, essendo tali settori sempre più interdipendenti tra loro;
    la musica registrata genera valore aggiunto per una molteplicità di imprese, operatori e settori industriali: piattaforme digitali e di social media, produttori di apparecchiature audio, lettori Mp3 e smartphone, motori di ricerca, rivenditori e gestori di locali dove si fa intrattenimento, programmatori radiotelevisivi, commercianti e promoter di concerti, ognuno di essi trae vantaggio dai continui investimenti che le case discografiche dedicano alla scoperta, alla crescita e alla promozione dei talenti artistici, le cifre raccolte dall'ifpi rivelano che l'industria investe annualmente il 26 per cento dei suoi ricavi – 4,5 miliardi di dollari – in questo genere di attività;
    il settore musicale costituisce un momento strategico e di crescita civile e sociale del cittadino e della collettività e un importante segmento economico del Paese: un settore che individua e sviluppa nuovi talenti, valorizzandoli, promuovendoli anche all'estero. Questo patrimonio artistico, fatto di tradizioni, esperienze e professionalità, va tutelato, promosso, rilanciato e incentivato in quanto esso rappresenta l'identità del nostro Paese. Pertanto, la musica, come gli altri settori dello spettacolo, ha bisogno di un progetto politico forte e di una disciplina nazionale di sistema,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere il beneficio del credito d'imposta anche alle imprese produttrici di prodotti fonografici che svolgono questa attività in maniera prevalente e continuativa, affinché in questo periodo di grande crisi economica, il settore della produzione musicale possa rappresentare un volano per la crescita dell'economia.
9/1248-A-R/197Battelli.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento all'esame all'articolo 11 estende al periodo d'imposta 2014 i crediti d'imposta per la produzione, la distribuzione e l'esercizio cinematografico previsti dall'articolo 1, commi da 325 a 328 e da 330 a 337, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e successive modificazioni, nel limite massimo di spesa di 45 milioni;
    i meccanismi di incentivazione fiscale a favore degli investimenti nel settore cinematografico, introdotti dalla legge finanziaria 2008 per il periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007 e per i due periodi d'imposta successivi, sono stati prorogati a partire dal 1o gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 dall'articolo 2, comma 4, del decreto-legge n. 225/2010;
    tra le attività culturali oltre alla cinematografia un posto di grande rilevanza spetta anche all'attività di produzione, di distribuzione ed esercizio dei prodotti musicali;
    pertanto, sarebbe auspicabile sostenere la trasformazione dell'industria musicale verso i nuovi scenari aperti al mercato dalla rivoluzione tecnologica e, dall'altro, quella di promuovere fortemente il prodotto musicale italiano e dei giovani, favorendo lo sviluppo di sinergie fra cinema, musica, teatro e danza, essendo tali settori sempre più interdipendenti tra loro;
    la musica registrata genera valore aggiunto per una molteplicità di imprese, operatori e settori industriali: piattaforme digitali e di social media, produttori di apparecchiature audio, lettori Mp3 e smartphone, motori di ricerca, rivenditori e gestori di locali dove si fa intrattenimento, programmatori radiotelevisivi, commercianti e promoter di concerti, ognuno di essi trae vantaggio dai continui investimenti che le case discografiche dedicano alla scoperta, alla crescita e alla promozione dei talenti artistici, le cifre raccolte dall'ifpi rivelano che l'industria investe annualmente il 26 per cento dei suoi ricavi – 4,5 miliardi di dollari – in questo genere di attività;
    il settore musicale costituisce un momento strategico e di crescita civile e sociale del cittadino e della collettività e un importante segmento economico del Paese: un settore che individua e sviluppa nuovi talenti, valorizzandoli, promuovendoli anche all'estero. Questo patrimonio artistico, fatto di tradizioni, esperienze e professionalità, va tutelato, promosso, rilanciato e incentivato in quanto esso rappresenta l'identità del nostro Paese. Pertanto, la musica, come gli altri settori dello spettacolo, ha bisogno di un progetto politico forte e di una disciplina nazionale di sistema,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di estendere il beneficio del credito d'imposta anche alle imprese produttrici di prodotti fonografici che svolgono questa attività in maniera prevalente e continuativa, affinché in questo periodo di grande crisi economica, il settore della produzione musicale possa rappresentare un volano per la crescita dell'economia.
9/1248-A-R/197. (Testo modificato nel corso della seduta) Battelli.


   La Camera,
   premesso che:
    durante l'esame in commissione è stata inserita l'abrogazione delle disposizioni che prevedevano la messa in liquidazione, dal 1o gennaio 2014, della Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo – ARCUS Spa ed è stata prevista la revisione del decreto ministeriale 182/2008, con il quale sono stati dettati criteri e modalità per l'utilizzo degli stanziamenti previsti per le infrastrutture, destinati ai beni e alle attività culturali;
    in sostanza la modifica approvata in commissione abroga le disposizioni della spending review che disciplinavano la messa in liquidazione della Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo – ARCUS spa, riportando nell'ambito dell'ordinaria gestione del Ministero per i beni e le attività culturali le attività finora svolte dalla Società;
    i motivi della messa in liquidazione dell'Arcus rispondevano a ragioni di risparmio e razionalizzazione, oltre che alla perdita di credibilità dell'azienda dopo le vicende legate anche al restauro di uno dei palazzi di Propaganda Fide;
    inoltre le succitate disposizioni erano destinate a determinare significativi risparmi di spesa, in quanto sopprimevano la società ARCUS spa, a totale partecipazione pubblica, riportando nell'ambito dell'ordinaria attività di gestione del Ministero per i beni e le attività culturali le attività finora demandate alla suddetta società. Veniva, altresì, previsto il trasferimento dei beni residuanti dalla liquidazione della società al Ministero per i beni e le attività culturali che subentrava nei rapporti giuridici attivi e passivi già facenti capo alla predetta società;
    l'Arcus SpA è nata nel febbraio 2004 con un Atto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (ai sensi della legge 16 ottobre 2003, n. 291) ed un capitale sociale iniziale di 8 milioni di euro interamente sottoscritto dal Ministero dell'economia. L'operatività aziendale della Società derivava dai programmi di indirizzo oggetto di decreti annuali del Ministero per i beni e le attività culturali (MIBAC) e di quello delle infrastrutture e dei trasporti. Il MIBAC esercitava inoltre i diritti di azionista;
    il compito dell'Arcus era di svolgere un'attività propulsiva di promozione e sostegno di grandi iniziative, sviluppando progetti ambiziosi, creando competenze, diffondendo best practice, sostenendo iniziative innovative e meritorie. La concessione di finanziamenti si poneva come una attività strumentale rispetto al conseguimento degli obiettivi d'ultima istanza. La Società godeva annualmente del 3 per cento degli stanziamenti previsti per le infrastrutture che, in base alla legge finanziaria 2003 (27/12/2002, n. 289, articolo 60) sono destinati a favore della tutela e dei beni e delle attività culturali. Il decreto interministeriale n. 182 (2008) ne ha regolamentato definitivamente l'attività;
    tuttavia i problemi cominciano a partire da alcuni impieghi, a detta di molti «clientelari» che Arcus ha intrattenuto nel corso del tempo, vanificando di fatto le finalità per le quali la società era stata istituita,

impegna il Governo

ad intraprendere iniziative finalizzate al monitoraggio degli effetti delle disposizioni che abrogano le norme della spending review che prevedevano la messa in liquidazione della Società Arcus spa, proprio in considerazione dei notevoli risparmi di spesa che ne sarebbero derivati, e ad intraprendere iniziative di controlli ulteriori sulla gestione delle attività della Società.
9/1248-A-R/198Simone Valente.


   La Camera,
   premesso che:
    al fine di assicurare il diritto allo studio sono necessari sostanziali interventi volti a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che attualmente non riescono a garantire pienamente, e a tutti i soggetti, il diritto di accesso allo studio;
    così come disposto dal decreto al nostro esame, al fine di assicurare il sostegno del merito e della mobilità interregionale degli studenti universitari si prevede l'introduzione di strumenti nuovi e ulteriori rispetto a quelli già previsti da altri decreti legislativi già in vigore, mentre nulla si dispone circa la razionalizzazione delle risorse da destinare a quelli già esistenti, né si garantisce la rimozione degli ostacoli che di fatto ne impediscono l'accesso;
    nella legge di stabilità dell'anno 2012 si prevedevano tagli al Fondo per le borse di studio per oltre il 75 per cento percento dei fondi da destinare, con una evidente quanto incomprensibile limitazione del diritto di accesso allo studio, e in piena contraddizione con l'articolo 3 secondo comma dalla Costituzione italiana;
    attualmente in Italia i fondi da destinare alle borse di studio universitarie sono in continua e costante diminuzione, e la possibilità di accesso da parte degli studenti meritevoli diventa annualmente più difficile, dal momento che più di 45 mila studenti capaci e meritevoli ma privi dei mezzi economici necessari, non ricevono la borsa di studio per mancanza di fondi e ai quali viene negato di fatto il diritto allo studio;
    in particolare, anziché la disposizione di nuovi strumenti, vi è l'urgenza di garantire e assicurare, attraverso la rimozione degli ostacoli che di fatto ne impediscono l'accesso, il pieno utilizzo di tutti gli strumenti che già si dispongono per la tutela del diritto allo studio universitario, quali servizi abitativi, servizi di ristorazione, trasporti e mobilità internazionale, che non sono mai stati realmente utilizzati a causa delle continue riduzione dei fondi di spesa ad essi destinati,

impegna il Governo

ad effettuare sostanziali interventi volti a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che attualmente non riescono a garantire pienamente, e a tutti i soggetti, il diritto di accesso allo studio, soprattutto razionalizzando e garantendo le risorse per una piena ed effettiva erogazione degli strumenti già previsti a sostegno del diritto allo studio.
9/1248-A-R/199Marzana.


   La Camera,
   premesso che:
    una quota del fondo di finanziamento ordinario è determinata dall'applicazione dell'articolo 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1;
    l'articolo 60 del provvedimento in esame prescrive che la quota del finanziamento ordinario destinata alla promozione e al sostegno dell'incremento qualitativo delle attività delle università statali e al miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza nell'utilizzo delle risorse, a partire dal 2014, in misura non inferiore al 20 per cento, con incrementi annuali non inferiori all'uno per cento e fino ad un massimo del 30 per cento;
    la succitata quota di finanziamento ordinario sarà determinata in base ai parametri individuati dall'ANVUR;
    che i dati di riferimento delle classifiche ANVUR sono riferiti al periodo compreso tra il 2004 e il 2010 e che, quindi, rappresenta la fotografia dell'università di 3 anni fa;
    appare inopportuno e discriminatorio modificare i requisiti di finanziamento legandoli ai risultati di ricerche e classifiche già stilate,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rivedere tutto il sistema di assegnazione della quota premiale, ancorandolo a criteri e parametri valutativi più attuali e di renderlo meno drastico rispetto al sistema previsto dal decreto-legge 180 del 2008.
9/1248-A-R/200Brescia.


   La Camera,
   premesso che:
    la forte recessione che ha colpito il nostro Paese ha creato un disagio diffuso e rischia di gettare in povertà molti cittadini, si parla già di sette milioni di persone in povertà soprattutto a causa della disoccupazione e della perdita del posto del lavoro derivante dal fallimento di numerose piccole e medie imprese;
    si consideri che il progressivo impoverimento delle classi sociali più deboli è causato anche dall'aumento del costo della vita, soprattutto del costo dei beni di prima necessità, assolutamente sproporzionato rispetto al diminuito potere di acquisto dei salari e stipendi, in seguito all'adozione dell'euro;
    è ingiusto che i cittadini paghino con la vita l'incapacità della classe dirigente del Paese, che da anni detiene il potere, e che non è stata in grado di predisporre iniziative dirette a prevenire e fronteggiare gli effetti di una crisi economica internazionale devastante,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre procedure preposte ad escludere la pignorabilità dei beni indispensabili per l'esercizio dell'arte o professione.
9/1248-A-R/201Fico.


   La Camera,
   premesso che:
    la promozione del commercio di sistemi d'arma «made in Italy» da parte del personale delle Forze Armate di cui all'articolo 48, richiede che siano rafforzate le forme di controllo da parte del Parlamento stabilite nella legge 9 luglio 1990, n.185,

impegna il Governo

a fornire dettagliatamente gli esiti di tutte le attività di cui al comma 1 dell'articolo 48 inserendoli nella relazione annuale inviata alla Presidenza del Consiglio ai sensi della legge 9 luglio 1990, n. 185 e successive modificazioni, indicando specificamente per singolo contratto: la natura del proprio supporto tecnico-amministrativo e contrattuale; la tipologia dei singoli materiali, il valore, la quantità e il Paese destinatario intermedio nonché l'utilizzatore finale; il dettaglio dei proventi derivanti da tali attività in maniera univoca e collegata con le informazioni precedenti.
9/1248-A-R/202Artini.


   La Camera,
   premesso che:
    le attività di cui all'articolo 48 rendono opportuno che siano rafforzate le forme di controllo da parte del Parlamento stabilite nella legge 9 luglio 1990, n.185,

impegna il Governo

a fornire dettagliatamente gli esiti di tutte le attività di cui al comma 1 dell'articolo 48 inserendoli nella relazione annuale inviata alla Presidenza del Consiglio ai sensi della legge 9 luglio 1990, n. 185 e successive modificazioni, indicando: la natura del proprio supporto tecnico-amministrativo e contrattuale; la tipologia dei singoli materiali, il valore, la quantità e il Paese destinatario intermedio nonché l'utilizzatore finale; il dettaglio dei proventi derivanti da tali attività in maniera univoca e collegata con le informazioni precedenti.
9/1248-A-R/202. (Testo modificato nel corso della seduta) Artini.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 41 del decreto in esame è stato inserito il comma 3-bis che stabilisce alcune norme per regolamentare i test di cessione dei materiali granulari;
    in particolare si va a sostituire i commi 2 e 3 del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, convertito dalla legge 24 marzo 2012 n. 28;
    nella nuova formulazione viene aggiunto il comma 3-bis nel quale si indica che le spese per l'esecuzione dei test sono a carico dei soggetti richiedenti le verifiche;
    a nostro avviso bisognerebbe rendere maggiormente trasparente questo passaggio facilitando eventuali verifiche dei test effettuati lasciando a disposizione un campione di materiale non testato. Il problema è che il controllore è lo stesso controllato, come nella più classica delle prassi italiane: la ditta che deve vendere il materiale è la stessa che si carica degli oneri del test rivolgendosi a laboratori (certificati). Prevedendo che il laboratorio certificato al quale affidare il test di cessione venga scelto dall'acquirente si garantisce una maggiore «imparzialità» spezzando il legame controllore-controllato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere un meccanismo in grado di garantire maggiore trasparenza con l'introduzione della possibilità di scelta del laboratorio certificato da parte dell'acquirente.
9/1248-A-R/203Chimienti.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 41, comma 6 e 7, reca disposizioni sul commissariamento della Regione Campania in materia di rifiuti,

impegna il Governo:

   a indicare, attraverso forme di tutela e controllo, la via virtuosa per il recupero e il riciclo dei materiali;
   a contrastare la grave e diffusa illegalità legata alle ecomafie e alle infiltrazioni di carattere camorristico nell'ambito della gestione dei rifiuti in Campania a della realizzazione degli impianti di recupero e trattamento dei materiali per mezzo tutti i necessari strumenti autorizzativi;
   ad adottare iniziative normative volte a prevedere che il decreto ministeriale che stabilisce le modalità di messa a carico degli enti e soggetti inadempienti degli oneri derivanti dalla nomina di uno o più Commissari ad acta ai sensi dell'articolo 41, comma 6, siano sottoposti al previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.
9/1248-A-R/204Ruocco.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 18, comma 8-sexies, del decreto-legge in esame si prevede che la somma di 150 milioni di euro giacente sul conto corrente bancario acceso presso Intesa Sanpaolo spa, relativo alla gestione stralcio del Fondo speciale della ricerca applicata, sia versata all'entrata del bilancio dello Stato entro il 31 gennaio 2014 per essere assegnata al fondo unico per l'edilizia scolastica,

impegna il Governo

a trasmettere alle competenti Commissioni parlamentari l'elenco dei fondi speciali relativi al bilancio statale e delle relative risorse che giacciono presso istituti bancari, nonché l'elenco delle banche interessate, comprensivo delle condizioni in materia di interessi.
9/1248-A-R/205Pisano.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 disciplina l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle micro, piccole e medie imprese;
    i finanziamenti sono concessi, entro il 31 dicembre 2016, dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario, a valere su un plafond di provvista, costituito, per le finalità di cui all'articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, presso la gestione separata di Cassa depositi e prestiti S.p.A., per l'importo massimo di 2,5 miliardi di euro incrementabili, sulla base delle risorse disponibili ovvero che si renderanno disponibili con successivi provvedimenti legislativi, fino al limite massimo di 5 miliardi di euro secondo gli esiti del monitoraggio sull'andamento dei finanziamenti effettuato dalla Cassa depositi e prestiti S.p.a., comunicato trimestralmente al Ministero dello sviluppo economico ed al Ministero dell'economia e delle finanze;
    alle imprese il Ministero dello sviluppo economico concede un contributo preposto al pagamento degli interessi sul finanziamento erogato dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario;
    la concessione dei finanziamenti può essere assistita dalla garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nella misura massima dell'ottanta per cento dell'ammontare del finanziamento;
    sembra eccessivo che le banche e gli intermediari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario provvedano all'erogazione di un finanziamento a valere su un plafond di provvista, costituito, per le finalità di cui all'articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, presso la gestione separata di Cassa depositi e prestiti S.p.A., per di più assistito dalla garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nella misura massima dell'ottanta per cento dell'ammontare del finanziamento;
    il contributo concesso dal Ministero dello sviluppo economico preposto al pagamento degli interessi sul finanziamento erogato dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario risulta un ulteriore ed eccessivo onere non necessario a carico dei cittadini;
    i principali beneficiari delle opportunità concesse dall'articolo 2 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, sembrano essere le banche piuttosto che le micro, piccole e medie imprese;
    un'erogazione diretta da parte di Cassa depositi e prestiti s.p.a., seppur assistita dalla garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nella misura massima dell'ottanta per cento dell'ammontare del finanziamento, risulterebbe più efficiente e meno oneroso,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a consentire l'erogazione diretta di finanziamenti da parte di Cassa depositi e prestiti s.p.a., senza alcuna intermediazione da parte delle banche e degli intermediari finanziari.
9/1248-A-R/206Barbanti.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 2 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 disciplina l'erogazione di finanziamenti per l'acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle micro, piccole e medie imprese;
    i finanziamenti sono concessi, entro il 31 dicembre 2016, dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario, a valere su un plafond di provvista, costituito, per le finalità di cui all'articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, presso la gestione separata di Cassa depositi e prestiti S.p.A., per l'importo massimo di 2,5 miliardi di euro incrementabili, sulla base delle risorse disponibili ovvero che si renderanno disponibili con successivi provvedimenti legislativi, fino al limite massimo di 5 miliardi di euro secondo gli esiti del monitoraggio sull'andamento dei finanziamenti effettuato dalla Cassa depositi e prestiti S.p.a., comunicato trimestralmente al Ministero dello sviluppo economico ed al Ministero dell'economia e delle finanze;
    alle imprese il Ministero dello sviluppo economico concede un contributo preposto al pagamento degli interessi sul finanziamento erogato dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario;
    la concessione dei finanziamenti può essere assistita dalla garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nella misura massima dell'ottanta per cento dell'ammontare del finanziamento;
    il contributo concesso dal Ministero dello sviluppo economico preposto al pagamento degli interessi sul finanziamento erogato dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati all'esercizio dell'attività di leasing finanziario risulta un ulteriore ed eccessivo onere non necessario a carico dei cittadini;
    i principali beneficiari delle opportunità concesse dall'articolo 2 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, sembrano essere le banche piuttosto che le micro, piccole e medie imprese;
    un'erogazione diretta da parte di Cassa depositi e prestiti s.p.a., seppur assistita dalla garanzia del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nella misura massima dell'ottanta per cento dell'ammontare del finanziamento, risulterebbe più efficiente e meno oneroso,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate.
9/1248-A-R/206. (Testo modificato nel corso della seduta) Barbanti.


   La Camera,
   premesso che:
    la forte recessione che ha colpito il nostro Paese ha creato un disagio diffuso e rischia di gettare in povertà molti cittadini, si parla già di sette milioni di persone in povertà soprattutto a causa della disoccupazione e della perdita del posto del lavoro derivante dal fallimento di numerose piccole e medie imprese;
    si consideri che il progressivo impoverimento delle classi sociali più deboli è causato anche dall'aumento del costo della vita, soprattutto del costo dei beni di prima necessità, assolutamente sproporzionato rispetto al diminuito potere di acquisto dei salari e stipendi, in seguito all'adozione dell'euro;
    dall'acuirsi della crisi trasformatasi in recessione, ad oggi si sono intensificati i casi di gesti davvero disperati di piccoli imprenditori e padri di famiglia, che non riescono più a mantenere la propria famiglia e spesso compiono gesti estremi contro se stessi e, nei casi più drammatici, anche nei confronti dei propri cari;
    è ingiusto che i cittadini paghino con la vita l'incapacità della classe dirigente del Paese, che da anni detiene il potere, e che non è stata in grado di predisporre iniziative dirette a prevenire e fronteggiare gli effetti di una crisi economica internazionale devastante;
    nell'impossibilità concreta di predisporre misure preposte alla ripresa economica, sarebbe preferibile assumere iniziative che tutelino la «prima casa» in quanto patrimonio indispensabile per lo sviluppo della persona umana e per l'integrità psico-fisica dei cittadini,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a disporre l'impignorabilità dell'unico immobile di proprietà del debitore adibito ad uso abitativo, ad eccezione delle ipotesi di ipoteca volontaria e con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministero per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9;
   a valutare l'opportunità di introdurre misure volte a disporre l'impignorabilità dell'immobile di proprietà del debitore adibito ad uso abitativo nel quale il debitore risiede anagraficamente, ad eccezione delle ipotesi di ipoteca volontaria e con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministero per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9.
9/1248-A-R/207Villarosa.


   La Camera,
   premesso che:
    dagli studi effettuati dagli esperti del Sole 24ore e pubblicati il 26 giugno 2013, si evincerebbe che il gettito erariale della Tobin tax non dovrebbe superare i 300 milioni di euro, a fronte del miliardo stimato originariamente;
    dall'applicazione della Tobin tax sono escluse molte delle operazioni svolte dai «day trader» altamente speculative;
    sarebbe preferibile tassare i grandi patrimoni ed in particolar modo gli speculatori piuttosto che i comuni cittadini, i quali ormai vertono in situazioni economiche precarie e sono spinti a compiere gesti estremi e poco dignitosi,

impegna il Governo

ad introdurre, attraverso ulteriori iniziative normative, una un'imposta specifica, nella misura minima del 25 per cento, che colpisca gli interessi, premi ed ogni altro provento di cui all'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e sui redditi diversi di cui all'articolo 67, comma 1, lettere da c-bis a c-quinquies del medesimo decreto, realizzati con operazioni effettuate entro le 48 ore.
9/1248-A-R/208Pesco.


   La Camera,
   premesso che:
    nella relazione introduttiva del decreto-legge al capo terzo si predispongono «misure per il rilancio delle infrastrutture» che nell'articolo 18 nel dettaglio vengono stanziate somme specificatamente per il «potenziamento dei nodi, standard di interoperabilità dei corridoi europei e miglioramento delle prestazioni della rete e dei servizi ferroviari» insieme ad altre finalità menzionate;
    è altresì contemplato «uno stanziamento di 100 milioni di euro, per l'anno 2014, al programma “6.000 Campanili”, concernente interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici ovvero di realizzazione e manutenzione di reti viarie nonché di salvaguardia e messa in sicurezza del territorio»;
    viene disposto «che con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sia approvato un programma di interventi di manutenzione straordinaria di ponti, viadotti e gallerie della rete stradale di interesse nazionale in gestione all'ANAS Spa, che soffre di un significativo debito manutentorio e che richiede, in particolare, interventi di messa in sicurezza e ripristino delle opere (ponti, viadotti, gallerie) anche in considerazione del tempo trascorso dalla costruzione che, in numerosi casi, supera la durata della “vita utile” prevista progettualmente»;
    è stato previsto per ciascuno degli anni dal 2014 al 2016 fino a 100 milioni di euro finalizzato ad un piano di riqualificazione degli immobili destinati all'edilizia scolastica, per innalzarne il livello di sicurezza;
    nella relazione tecnica riguardante l'articolo 18 al comma 13 che descrive la copertura finanziaria dell'articolato si cita testualmente che la copertura finanziaria medesima «degli oneri derivanti dall'articolo, pari a 2.069 milioni di euro, (...), è assicurata mediante, (...), risorse destinate alla ridefinizione dei rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina (235 milioni) e allo stato non necessarie non essendo definito il contenzioso con il general contractor;
    il Ponte sullo Stretto è un'opera faraonica che nei decenni ha comportato investimenti statali ad esclusivo vantaggio della burocrazia, dei consulenti, degli esperti e del progetto su carta del manufatto senza mai alcuna utile e concreta ricaduta a beneficio della popolazione messinese e dell'intero territorio sul quale l'infrastruttura sarebbe dovuta insistere,

impegna il Governo:

   a destinare una parte delle risorse per le opere infrastrutturali per finanziare:
    a) il trasporto ferroviario della Regione Sicilia;
    b) i collegamenti marittimi nello Stretto di Messina;
    c) la riqualificazione degli immobili di edilizia scolastica nella provincia di Messina;
   a valutare l'opportunità di finanziare opere infrastrutturali di pubblica utilità nella città di Messina mediante l'utilizzo del programma denominato «6000 campanili».
9/1248-A-R/209Rizzo, Currò.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 23, al comma 2, modifica le disposizioni assunte con la manovra Monti contenta nel decreto-legge 201/2011, che aveva introdotto tariffe molto elevate per lo stazionamento nei porti delle imbarcazioni, misura che non prodotto il gettito atteso, ma ha ridotto l'utilizzo ed il turismo nautico nelle nostre località marittime;
    di fatto, una parte di turisti sia italiani che stranieri hanno dirottato su località marittime limitrofe alle coste italiane, dove vige un regime fiscale agevolato rispetto al nostro;
    per rimediare alla inopportuna misura citata, con il presente decreto si provvede a sopprimere le tariffe per le imbarcazioni fino a 14 metri, mentre si dimezzano le tariffe da 14 a 20 metri;
    l'aumento delle tariffe di stazionamento potrebbe non essere l'unica causa del crollo del settore nautico, che, dall'analisi dei dati, ha subito un trend negativo già a decorrere dall'anno 2008, a seguito del manifestarsi del periodo di crisi finanziaria internazionale;
    esiste un altro elemento che rende i nostri porti turistici meno concorrenziali di altri paesi limitrofi, quali ad esempio la Croazia, ossia l'applicazione dell'aliquota IVA ridotta sui servizi turistici portuali, laddove in Italia solo i servizi alberghieri scontano l'aliquota ridotta del 10 per cento, mentre nei porti è applicata la più elevata del 21 per cento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, compatibilmente con le risorse a disposizione e nel rispetto dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica, di estendere l'aliquota ridotta del 10 per cento ai servizi turistici portuali equiparandoli ai servizi alberghieri, al fine di rilanciare il turismo nei porti turistici italiani.
9/1248-A-R/210Currò.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 23, al comma 2, modifica le disposizioni assunte con la manovra Monti contenta nel decreto-legge 201/2011, che aveva introdotto tariffe molto elevate per lo stazionamento nei porti delle imbarcazioni, misura che non prodotto il gettito atteso, ma ha ridotto l'utilizzo ed il turismo nautico nelle nostre località marittime;
    di fatto, una parte di turisti sia italiani che stranieri hanno dirottato su località marittime limitrofe alle coste italiane, dove vige un regime fiscale agevolato rispetto al nostro;
    per rimediare alla inopportuna misura citata, con il presente decreto si provvede a sopprimere le tariffe per le imbarcazioni fino a 14 metri, mentre si dimezzano le tariffe da 14 a 20 metri;
    l'aumento delle tariffe di stazionamento potrebbe non essere l'unica causa del crollo del settore nautico, che, dall'analisi dei dati, ha subito un trend negativo già a decorrere dall'anno 2008, a seguito del manifestarsi del periodo di crisi finanziaria internazionale;
    esiste un altro elemento che rende i nostri porti turistici meno concorrenziali di altri paesi limitrofi, quali ad esempio la Croazia, ossia l'applicazione dell'aliquota IVA ridotta sui servizi turistici portuali, laddove in Italia solo i servizi alberghieri scontano l'aliquota ridotta del 10 per cento, mentre nei porti è applicata la più elevata del 21 per cento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, compatibilmente con la normativa comunitaria e con le risorse a disposizione e nel rispetto dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica, di estendere l'aliquota ridotta del 10 per cento ai servizi turistici portuali equiparandoli ai servizi alberghieri, al fine di rilanciare il turismo nei porti turistici italiani.
9/1248-A-R/210. (Testo modificato nel corso della seduta) Currò.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 61 prevedeva nel testo iniziale la riduzione delle risorse destinate alle misure di sostegno previste dell'emittenza televisiva locale e dell'emittenza radiofonica locale e nazionale;
    durante l’iter nelle Commissioni di merito la copertura di cui all'articolo 61 è stata modificata, al fine di eliminare il suddetto taglio;
    le suddette risorse sono state ripristinate, in seguito alle istanze pervenute che denunciavano la crisi nel settore con gravi riflessi sui livelli occupazionali,

impegna il Governo:

   ad attivare, per il tramite del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, procedure di monitoraggio finalizzate alla verifica della regolarità nell'andamento dei livelli occupazionali del personale impiegato presso le emittenti televisive locali, ponendo particolare attenzione alle istanze di denuncia di crisi del settore, con lo specifico obiettivo di prevenire strumentalizzazioni da parte delle aziende interessate, in relazione a richieste di cassa integrazione non supportate dai requisiti di effettivo stato di crisi;
   a porre in essere ogni iniziativa utile a tutelare i lavoratori di un settore a sostegno del quale continuano ad essere stanziate risorse che devono tradursi in adeguato supporto al mantenimento dei livelli occupazionali.
9/1248-A-R/211Cariello.


   La Camera,
   premesso che:
    dai dati contenuti nella relazione della Commissione parlamentare antimafia emerge con chiarezza il preoccupante fenomeno dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto economico lombardo;
    il presidente del Consiglio Enrico Letta, nelle dichiarazioni recentemente fatte in occasione della sua visita a Milano dello scorso 20 maggio 2013, ha sostenuto la necessità di implementare il contrasto alle organizzazioni criminali nella Regione Lombardia anche in previsione di Expo 2015 ed ha ribadito che l'impegno del Governo contro le attività illecite e illegali sarà totale;
    il 28 maggio 2013, il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato, all'unanimità, su proposta della Commissione antimafia, una mozione che impegna il presidente della Regione ad intervenire presso il Ministero dell'interno per scongiurare la chiusura del presidio della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) presso lo scalo aeroportuale di Malpensa;
    il Presidente Maroni ha confermato il forte impegno che la Regione intende intraprendere per contrastare il fenomeno mafioso in Lombardia;
    i sindacati di polizia Siulp e Cisl ed associazioni della società civile come «Libera» hanno manifestato la loro contrarietà alla chiusura del presidio antimafia nel principale aeroporto milanese;
    alla luce degli imminenti impegni connessi all'Expo 2015 che determineranno, presso lo scalo aeroportuale di Malpensa, un aumento notevole di passeggeri e di merci, è necessario rilanciare e potenziare il ruolo di una struttura investigativa dell'antimafia sul territorio,

impegna il Governo

affinché ponga in atto azioni di contrasto alla mafia in Lombardia in occasione dell'evento EXPO, attraverso il potenziamento della presenza della Dia sul territorio regionale ed, in particolare, disponga la revoca della disposizione relativa alla chiusura del presidio DIA di Malpensa.
9/1248-A-R/212Caso.


   La Camera,
   premesso che:
    dai dati contenuti nella relazione della Commissione parlamentare antimafia emerge con chiarezza il preoccupante fenomeno dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto economico lombardo;
    il presidente del Consiglio Enrico Letta, nelle dichiarazioni recentemente fatte in occasione della sua visita a Milano dello scorso 20 maggio 2013, ha sostenuto la necessità di implementare il contrasto alle organizzazioni criminali nella Regione Lombardia anche in previsione di Expo 2015 ed ha ribadito che l'impegno del Governo contro le attività illecite e illegali sarà totale;
    il 28 maggio 2013, il Consiglio Regionale della Lombardia ha approvato, all'unanimità, su proposta della Commissione antimafia, una mozione che impegna il presidente della Regione ad intervenire presso il Ministero dell'interno per scongiurare la chiusura del presidio della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) presso lo scalo aeroportuale di Malpensa;
    il Presidente Maroni ha confermato il forte impegno che la Regione intende intraprendere per contrastare il fenomeno mafioso in Lombardia;
    i sindacati di polizia Siulp e Cisl ed associazioni della società civile come «Libera» hanno manifestato la loro contrarietà alla chiusura del presidio antimafia nel principale aeroporto milanese;
    alla luce degli imminenti impegni connessi all'Expo 2015 che determineranno, presso lo scalo aeroportuale di Malpensa, un aumento notevole di passeggeri e di merci, è necessario rilanciare e potenziare il ruolo di una struttura investigativa dell'antimafia sul territorio,

impegna il Governo

affinché ponga in atto azioni di contrasto alla mafia in Lombardia in occasione dell'evento EXPO, anche attraverso il potenziamento della presenza della Dia sul territorio regionale e valutando nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di disporre la revoca della chiusura del presidio DIA di Malpensa.
9/1248-A-R/212. (Testo modificato nel corso della seduta) Caso.


   La Camera,
   premesso che:
    ormai è prassi del Governo attuale e dei precedenti attingere alle risorse che i contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi destinano nella misura dell'8 per mille agli interventi realizzati dallo Stato per coprire gli oneri dei provvedimenti emanati;
    di recente è già accaduto in sede di conversione del decreto-legge 35/2013, suscitando la contrarietà delle forze politiche;
    nell'articolo 61 del presente decreto-legge, sono decurtati 10 milioni di euro per il 2013 dalle risorse relative alla quota dell'8 per mille per integrare la copertura degli oneri connessi ai primi due titoli del provvedimento;
    il continuo ricorso all'utilizzo per altri scopi delle risorse statali dell'8 per mille di fatto mortificano la volontà dei contribuenti, rendendo vane le loro scelte,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di reintegrare, con ulteriori iniziative normative, le risorse sottratte agli interventi da realizzare con la quota dell'8 per mille a favore dello Stato e a rispettare in futuro l'apposita destinazione delle suddette risorse.
9/1248-A-R/213Sorial.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 46, in materia di disposizioni sull'organizzazione dell'Expò di Milano, sono state apportate modifiche nelle Commissioni di merito, fra cui si segnala il comma 1-ter, emendamento inizialmente presentato dal Movimento 5Stelle e riformulato dai relatori;
    la nuova norma è finalizzata a garantire la trasparenza nell'utilizzo delle risorse pubbliche da parte del Comune di Milano, nonché degli enti coinvolti nella realizzazione dell'evento, mediante la pubblicazione sui siti ufficiali delle spese sostenute per l'organizzazione del grande evento Expò;
    la proposta emendativa iniziale presentata dal Movimento 5Stelle era più incisiva, prevedendo la pubblicazione delle spese in forma dettagliata,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a migliorare e rendere più incisiva la norma modificando il testo al fine di inserire la rendicontazione delle spese sostenute in considerazione delle risorse pubbliche destinate all'evento.
9/1248-A-R/214Cancelleri.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 18 reca misure volte a sbloccare cantieri, prevedere opere di manutenzione delle reti, del territorio e a istituire un fondo per i piccoli Comuni;
    il 9 dicembre del 2012, dopo quasi 30 anni di lavori per la realizzazione del «passante ferroviario», è stato avviato a Torino il cosiddetto Servizio Ferroviario Metropolitano, per un investimento complessivo di oltre 1,4 miliardo di euro;
    detto SFM comprende da subito 5 linee: SFM1 (Pont-Rivarolo-Chieri), SFM2 (Pinerolo-Chivasso), SFM3 (Torino-Susa/Bardonecchia), SFM4 (Torino-Bra) e la SFM5 (Torino-Aereoporto-Ceres) ma è in programma l'estensione a nove linee entro la fine del 2016;
    la linea SFM5 Torino-Ceres al momento è monca in virtù della scelta progettuale/politica di non sfruttare l'attuale tunnel ferroviario esistente sotto via Stradella a Torino (realizzato per Italia ’90), non interconnettendolo al passante previo raggiungimento della stessa profondità, puntando invece sulla costruzione di una nuova stazione ferroviaria a Rebaudengo/Fossata e di un nuovo tunnel ferroviario sotto Corso Grosseto, quest'ultimo dal costo di almeno 180 milioni di euro (di cui 160 a carico della Regione, 142 di fondi FSC e 18 propri della Regione Piemonte già stanziati nel bilancio previsionale pluriennale 2013-2015, e 20 milioni a carico del Cipe). Detta linea al momento si attesta a Stazione Dora GTT, a meno di 100 metri dalla futura stazione Dora SFM;
    contestualmente non sono ancora state terminate le stazioni SFM di Dora e Zappata. Dette stazioni dovevano essere terminate e consegnate «al grezzo» da RFI al Comune di Torino che si era impegnato a completarle con una spesa complessiva di circa 40 milioni di euro (rispettivamente 23 e 15,75 milioni di euro, di cui solo 7 a carico della Regione), ma i lavori sono fermi perché quei soldi non sono ancora stati stanziati;
    la mancanza della stazione Dora SFM crea notevoli disagi in quanto i passeggeri che vengono/vanno dalle Valli di Lanzo e in particolare coloro i quali intendono recarsi in treno da/al aeroporto di Caselle devono, una volta scesi a Dora GTT, aspettare la coincidenza del bus «Dora Fly» o analogo bus di linea per collegare la stazione con il centro città, in particolare con la stazione di Torino Porta Susa e la linea 1 della metropolitana torinese;
    sul fronte della metropolitana 1 di Torino si sta lentamente portando a termine il prolungamento a sud da Lingotto a Bengasi (mentre ancora in fase di ideazione è il necessario prolungamento al di fuori del centro abitato metropolitano, ad esempio fino all'uscita della tangenziale Debouchè), mentre è oggetto di concitate trattative lo stanziamento nazionale del 60 per cento dei fondi per il prolungamento a ovest da Fermi sino a Rivoli-Cascine Vica nei pressi dello svincolo della tangenziale per un costo totale di oltre 330 milioni di euro, di cui circa 50 milioni di euro a carico della Regione Piemonte. Di detta tratta sarebbe auspicabile un prolungamento almeno sino a Rivoli città (il progetto originario prevedeva addirittura l'approdo a Rosta, poi ridimensionato a Rivoli Perosa nei pressi dell'Auchan e dello svincolo autostradale),

impegna il Governo

ad intervenire con idonei provvedimenti al fine di favorire al più presto la realizzazione della tratta 3 Collegno-Rivoli della linea 1 della Metropolitana di Torino.
9/1248-A-R/215Castelli.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 42-bis prevede misure finalizzate alla semplificazione in merito alle verifiche dell'Inps sull'accertamento dell'invalidità,

impegna il Governo

a inviare una relazione alle competenti commissioni parlamentari nella quale siano indicati:
   a) il numero di accertamenti dell'invalidità eseguiti;
   b) il numero di false invalidità, parziali o totali che è stato accertato;
   c) il costo degli accertamenti da parte dell'Inps.
9/1248-A-R/216Di Vita.


   La Camera,
   premesso che:
    all'articolo 17, comma 1, lettera e), capoverso 15-quinquies, è previsto che per la realizzazione della piattaforma tecnologica centrale di cui al comma 15, è autorizzata una spesa non superiore a 10 milioni di euro per il 2014 e a 5 milioni di euro a decorrere dal 2015, da definire su base annua con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze su proposta dell'Agenzia per l'Italia digitale, coerentemente con le esigenze avanzate dalle regioni e dalle province autonome;
    che le somme stanziate per la realizzazione della piattaforma tecnologica centrale appare spropositata in particolare in relazione alla previsione di una spesa di 5 milioni di euro l'anno a partire dal 2015 senza soluzione di continuità,

impegna il Governo:

   ad attenersi, in sede di definizione su base annua della risorse necessarie, alle risorse effettivamente necessarie e certificabili finalizzate alla realizzazione della piattaforma tecnologica centrale relativa al Fascicolo sanitario elettronico;
   ad inviare con cadenza annuale alle competenti commissioni parlamentari e suddiviso per voci di spesa, la definizione del fabbisogno annuale.
9/1248-A-R/217Baroni.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 43 prevede che i comuni, trasmettano i dati relativi al consenso o al diniego alla donazione degli organi al Sistema informativo trapianti, di cui all'articolo 7, comma 2, della legge 1o aprile 1999, n. 91;
    la disponibilità o il diniego alla donazione degli organi dovrebbe essere contenuta sia nella carta di identità che nel passaporto, in quanto questa informazione può essere fondamentale per poter salvare altre vite umane o migliorare le condizioni di vita di tanti che attendono un organo,

impegna il Governo

a valutare la possibilità, attraverso idonee iniziative normative, che la disponibilità o il diniego alla donazione degli organi sia contenuta sia nella carta di identità che nel passaporto con un apposito codice seriale corrispondente al soggetto.
9/1248-A-R/218Dall'Osso.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 44 comma 3 prevede che fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2011/62/UE, non si applica il disposto di cui al primo periodo dell'articolo 54, comma 3, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, e successive modificazioni. Fino alla stessa data, le materie prime di cui all'articolo 54, comma 2, del medesimo decreto legislativo, anche importate da paesi terzi, devono essere corredate di una certificazione di qualità che attesti la conformità alle norme di buona fabbricazione rilasciata dalla persona qualificata responsabile della produzione del medicinale che utilizza le materie prime. Resta ferma la possibilità, per l'AIFA, di effettuare ispezioni dirette a verificare la conformità delle materie prime alla certificazione resa;
    questo comma, a detta dei presentatori sarebbe dovuto essere soppresso per difendere la salute iniziando ad applicare una norma che dal 2006 sarebbe in vigore, che prevede che le materie prime devono essere certificate da autorità competenti di uno Stato dell'Unione Europea e non dalla autocertificazione del responsabile della produzione che utilizza le materie prime;
    la lotta alla contraffazione dei farmaci e il diritto alla salute non possono e non devono essere soggette a logiche mercantili, visto che anche di recente abbiamo assistito a scandali relativi a farmaci messi in commercio contraffatti e dirigenti di aziende farmaceutiche sono stati arrestati, per questi motivi non è più il tempo di azioni dilatorie;
    che sarebbe necessario da parte del Governo una maggiore attenzione alla salute dei cittadini piuttosto che sostenere logiche mercantili da parte delle aziende farmaceutiche,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative normative volte a recepire, nel minor tempo possibile, la direttiva 2011/62/UE e dare così applicazione al disposto di cui al primo periodo dell'articolo 54, comma 3, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, e successive modificazioni, che prevede che le materie prime devono essere certificate da autorità competenti di uno Stato dell'Unione Europea e non dalla autocertificazione del responsabile della produzione che utilizza le materie prime, in quanto più tutelante per la salute dei cittadini.
9/1248-A-R/219Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 44 comma 3 prevede che fino alla data di entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento della direttiva 2011/62/UE, non si applica il disposto di cui al primo periodo dell'articolo 54, comma 3, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, e successive modificazioni. Fino alla stessa data, le materie prime di cui all'articolo 54, comma 2, del medesimo decreto legislativo, anche importate da paesi terzi, devono essere corredate di una certificazione di qualità che attesti la conformità alle norme di buona fabbricazione rilasciata dalla persona qualificata responsabile della produzione del medicinale che utilizza le materie prime. Resta ferma la possibilità, per l'AIFA, di effettuare ispezioni dirette a verificare la conformità delle materie prime alla certificazione resa;
    questo comma, a detta dei presentatori sarebbe dovuto essere soppresso per difendere la salute iniziando ad applicare una norma che dal 2006 sarebbe in vigore, che prevede che le materie prime devono essere certificate da autorità competenti di uno Stato dell'Unione Europea e non dalla autocertificazione del responsabile della produzione che utilizza le materie prime;
    la lotta alla contraffazione dei farmaci e il diritto alla salute non possono e non devono essere soggette a logiche mercantili, visto che anche di recente abbiamo assistito a scandali relativi a farmaci messi in commercio contraffatti e dirigenti di aziende farmaceutiche sono stati arrestati, per questi motivi non è più il tempo di azioni dilatorie,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative normative volte a recepire, nel minor tempo possibile, la direttiva 2011/62/UE e dare così applicazione al disposto di cui al primo periodo dell'articolo 54, comma 3, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, e successive modificazioni, che prevede che le materie prime devono essere certificate da autorità competenti di uno Stato dell'Unione Europea e non dalla autocertificazione del responsabile della produzione che utilizza le materie prime, in quanto più tutelante per la salute dei cittadini.
9/1248-A-R/219. (Testo modificato nel corso della seduta) Mantero.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 44, comma 4-ter, capoverso 5-ter prevede che in caso di mancata presentazione entro trenta giorni dal rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio di un medicinale di cui al comma 3, l'AIFA sollecita l'azienda titolare della relativa autorizzazione all'immissione in commercio a presentare la domanda di classificazione di cui al comma 1 entro i successivi trenta giorni. Decorso inutilmente tale termine, viene data informativa nel sito istituzionale dell'AIFA e viene meno la collocazione nell'apposita sezione di cui al comma 5;
    la previsione che del superamento del termine previsto per la presentazione della classificazione del farmaco salva vita sia data informativa sul sito istituzionale dell'Aifa risulta essere blanda ed inefficace,

impegna il Governo

a prevedere, anche con successivi atti di natura legislativa, l'assunzione di azioni significative ed efficaci nei confronti di aziende farmaceutiche che ritardano volutamente la presentazione della domanda di classificazione in particolare quando queste si riferiscono a farmaci salva vita.
9/1248-A-R/220Silvia Giordano.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 44 prevede che, relativamente al personale delle aree della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, che presta servizio presso le strutture sanitarie pubbliche per le quali l'ordinamento italiano richiede, ai fini del riconoscimento di vantaggi economici o professionali, che l'esperienza professionale e l'anzianità siano maturate senza soluzione di continuità, tale condizione non si applica se la soluzione di continuità dipende dal passaggio dell'interessato da una struttura sanitaria, di cui alla legge 10 luglio 1960, n. 735, di uno Stato membro a quella di un altro Stato membro;
    tale provvedimento crea una evidente disparità di trattamento, privilegiando nell'ambito della sanità pubblica le dirigenze mediche, veterinarie e sanitarie,

impegna il Governo

a valutare, anche attraverso interventi di natura legislativa, che la deroga prevista per le aree della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, all'articolo 44 sia prevista per tutti gli operatori delle strutture pubbliche.
9/1248-A-R/221Lorefice.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 49-quater prevede che, nelle more dello svolgimento delle attività di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, l'Associazione italiana della Croce Rossa possa presentare, entro il 30 settembre 2013, con certificazione congiunta del presidente e del direttore generale, un'istanza di accesso ad anticipazione di liquidità, per l'anno 2014, nel limite massimo di 150 milioni di euro al Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento del tesoro e Dipartimento della ragioneria generale dello Stato;
    l'anticipazione è concessa, previa presentazione da parte della CRI di un piano di pagamenti dei debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre 2012 anche a carico di singoli comitati territoriali, a valere sulla sezione per assicurare la liquidità dei debiti certi, liquidi ed esigibili degli enti del Servizio sanitario nazionale del Fondo di cui all'articolo 1, comma 10, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64,

impegna il Governo

a porre in essere ogni attività di vigilanza e di verifica affinché sia accertatele garantita la restituzione delle somme erogate in anticipazione di liquidità per il 2014 con i relativi interessi.
9/1248-A-R/222Cecconi.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 44, comma 4-quater prevede che, nelle more della disciplina organica in materia di condizioni assicurative per gli esercenti le professioni sanitarie, gli obblighi di cui al comma 5 dell'articolo 12 della legge 8 novembre 2012, n. 189 si applicano decorsi due dalla data di entrata in vigore della citata legge;
    presso la XII Commissione permanente «Affari Sociali» si è avviato l’iter su proposte di legge recanti la disciplina organica in materia di condizioni assicurative per gli esercenti le professioni sanitarie,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa di sua competenza volta a contribuire all'introduzione di una disciplina organica in materia di condizioni assicurative per gli esercenti le professioni sanitarie.
9/1248-A-R/223Grillo.


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 44, comma 4-quater prevede che, nelle more della disciplina organica in materia di condizioni assicurative per gli esercenti le professioni sanitarie, gli obblighi di cui al comma 5 dell'articolo 12 della legge 8 novembre 2012, n. 189 si applicano decorsi due dalla data di entrata in vigore della citata legge;
    presso la XII Commissione permanente «Affari Sociali» si è avviato l’iter su proposte di legge recanti la disciplina organica in materia di condizioni assicurative per gli esercenti le professioni sanitarie,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di avviare iniziative di sua competenza volta a contribuire all'introduzione di una disciplina organica in materia di condizioni assicurative per gli esercenti le professioni sanitarie.
9/1248-A-R/223. (Testo modificato nel corso della seduta) Grillo.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987, che regola il settore della cooperazione internazionale novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    non appaiono comprensibili le ragioni che spingono a modificare tali due articoli all'interno di un provvedimento che prevede disposizioni d'urgenza volte al rilancio dell'economia e il quale, pertanto, non affronta direttamente la riforma dell'attuale legge sulla cooperazione internazionale;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 8, al comma 3, prevede, che le somme statali non utilizzate alla fine dell'intervento siano versate all'entrata del bilancio dello Stato,

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi dell'articolo 8, comma 3, al fine di predisporre ulteriori interventi normativi affinché le somme non utilizzate possano in realtà essere più proficuamente riutilizzate per la concessione di prestiti agevolati alle piccole imprese attraverso il microcredito, e particolarmente alle persone che hanno perso il lavoro, agli svantaggiati, alle minoranze etniche o che intendano avviare in proprio una piccola impresa in loco.
9/1248-A-R/224Spadoni, Colletti, De Lorenzis.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    non appaiono comprensibili le ragioni che spingono a modificare tali due articoli all'interno di un provvedimento che prevede disposizioni d'urgenza volte al rilancio dell'economia e il quale, pertanto, non affronta direttamente la riforma dell'attuale legge sulla cooperazione internazionale;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 prevede, tra le altre, la concessione di prestiti dagli istituti di credito a imprese italiane o per agevolare gli apporti di capitale delle imprese italiane nelle imprese miste,

impegna il Governo

ad predisporre ulteriori interventi normativi che prevedano finanziamenti agevolati a imprese e organizzazioni che lavorano nel campo dell'ambiente, dello sviluppo sostenibile, dei servizi sociali, della cultura e della cooperazione internazionale.
9/1248-A-R/225Tacconi.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    non appaiono comprensibili le ragioni che spingono a modificare tali due articoli all'interno di un provvedimento che prevede disposizioni d'urgenza volte al rilancio dell'economia e il quale, pertanto, non affronta direttamente la riforma dell'attuale legge sulla cooperazione internazionale;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 prevede, tra le altre, il finanziamento di imprese miste da realizzarsi in Paesi in via di sviluppo (PVS) o concedano altre forme di agevolazione identificate dal CIPE che promuovano lo sviluppo dei Paesi beneficiari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre ulteriori interventi preposti alla diffusione del microcredito nei Paesi in via di sviluppo con i quali saranno realizzate imprese miste come previsto dal citato articolo 7.
9/1248-A-R/226Del Grosso.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 prevede, tra le altre, il finanziamento di imprese miste da realizzarsi in Paesi in via di sviluppo (PVS) o concedano altre forme di agevolazione identificate dal CIPE che promuovano lo sviluppo dei Paesi beneficiari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre ulteriori interventi preposti alla diffusione del microcredito nei Paesi in via di sviluppo con i quali saranno realizzate imprese miste come previsto dal citato articolo 7.
9/1248-A-R/226. (Testo modificato nel corso della seduta) Del Grosso.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    non appaiono comprensibili le ragioni che spingono a modificare tali due articoli all'interno di un provvedimento che prevede disposizioni d'urgenza volte al rilancio dell'economia e il quale, pertanto, non affronta direttamente la riforma dell'attuale legge sulla cooperazione internazionale;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 prevede, tra le altre, la costituzione di imprese miste,

impegna il Governo

a predisporre ulteriori interventi normativi che disciplinino maggiormente la natura delle previste imprese miste, nel senso di prevedere che le stesse adottino progetti di sviluppo altamente sostenibili sia economicamente che socialmente.
9/1248-A-R/227Di Battista, Colletti, De Lorenzis.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 prevede, tra le altre, la costituzione di imprese miste,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre ulteriori interventi che disciplinino maggiormente la natura delle previste imprese miste, nel senso di prevedere che le stesse adottino progetti di sviluppo altamente sostenibili sia economicamente che socialmente.
9/1248-A-R/227. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Battista, De Lorenzis.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    non appaiono comprensibili le ragioni che spingono a modificare tali due articoli all'interno di un provvedimento che prevede disposizioni d'urgenza volte al rilancio dell'economia e il quale, pertanto, non affronta direttamente la riforma dell'attuale legge sulla cooperazione internazionale;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 prevede, tra le altre, che possono essere concessi crediti agevolati a investitori pubblici o privati o a organizzazioni internazionali, affinché finanzino imprese miste da realizzarsi in Paesi in via di sviluppo (PVS) o concedano altre forme di agevolazione identificate dal CIPE che promuovano lo sviluppo dei Paesi beneficiari,

impegna il Governo

a predisporre ulteriori interventi normativi affinché venga garantita, nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 7 evidenziato in premessa, un'attenzione e una sensibilità particolari a favore della cultura della sostenibilità degli interventi che le imprese italiane, di concerto con quelle locali, ovvero dei Paesi in via di sviluppo, affronteranno d'ora in avanti.
9/1248-A-R/228Scagliusi.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 prevede, tra le altre, che possono essere concessi crediti agevolati a investitori pubblici o privati o a organizzazioni internazionali, affinché finanzino imprese miste da realizzarsi in Paesi in via di sviluppo (PVS) o concedano altre forme di agevolazione identificate dal CIPE che promuovano lo sviluppo dei Paesi beneficiari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre ulteriori interventi affinché venga garantita, nell'ambito di quanto previsto dall'articolo 7 evidenziato in premessa, un'attenzione e una sensibilità particolari a favore della cultura della sostenibilità degli interventi che le imprese italiane, di concerto con quelle locali, ovvero dei Paesi in via di sviluppo, affronteranno d'ora in avanti.
9/1248-A-R/228. (Testo modificato nel corso della seduta) Scagliusi.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    non appaiono comprensibili le ragioni che spingono a modificare tali due articoli all'interno di un provvedimento che prevede disposizioni d'urgenza volte al rilancio dell'economia e il quale, pertanto, non affronta direttamente la riforma dell'attuale legge sulla cooperazione internazionale;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 prevede, tra le altre, che possano essere concessi crediti agevolati a investitori pubblici o privati o a organizzazioni internazionali,

impegna il Governo

a predisporre ulteriori interventi normativi affinché tali crediti agevolati possano essere concessi anche direttamente all'impresa mista al fine di mobilitare risorse finanziarie e capacità attraverso partenariati pubblico-privati, valorizzando il contributo che operatori economici italiani possono offrire allo sviluppo.
9/1248-A-R/229Grande.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 prevede, tra le altre, che possano essere concessi crediti agevolati a investitori pubblici o privati o a organizzazioni internazionali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre ulteriori interventi normativi affinché tali crediti agevolati possano essere concessi anche direttamente all'impresa mista al fine di mobilitare risorse finanziarie e capacità attraverso partenariati pubblico-privati, valorizzando il contributo che operatori economici italiani possono offrire allo sviluppo.
9/1248-A-R/229. (Testo modificato nel corso della seduta) Grande.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    non appaiono comprensibili le ragioni che spingono a modificare tali due articoli all'interno di un provvedimento che prevede disposizioni d'urgenza volte al rilancio dell'economia e il quale, pertanto, non affronta direttamente la riforma dell'attuale legge sulla cooperazione internazionale;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 prevede, tra le altre, che possono essere concessi crediti agevolati a investitori pubblici o privati o a organizzazioni internazionali, affinché finanzino imprese miste da realizzarsi in Paesi in via di sviluppo (PVS) senza alcun riferimento a quelle già eventualmente realizzate,

impegna il Governo

a predisporre ulteriori interventi normativi affinché il finanziamento di cui all'articolo 7 menzionato in premessa, venga esteso anche alle imprese miste già realizzate.
9/1248-A-R/230Manlio Di Stefano, Colletti, De Lorenzis.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    non appaiono comprensibili le ragioni che spingono a modificare tali due articoli all'interno di un provvedimento che prevede disposizioni d'urgenza volte al rilancio dell'economia e il quale, pertanto, non affronta direttamente la riforma dell'attuale legge sulla cooperazione internazionale;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 introduce, tra gli altri, un Fondo di Garanzia a «tutela dei prestiti concessi da istituti di credito», ad esempio banche commerciali private, aggiungendo ulteriori intermediari finanziari,

impegna il Governo

a predisporre ulteriori interventi normativi volti a favorire l'utilizzo di fondi «etici» o «crediti cooperativi», specificando meglio anche la tipologia dei citati istituti di credito.
9/1248-A-R/231D'Ambrosio.


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 7 e 8 del decreto-legge in esame modificano la legge 49/1987 che regola il settore della cooperazione internazionale, novellando l'articolo 7 e introducendo un nuovo articolo, il 14-bis;
    in tale materia sarebbe più opportuno mantenere un metodo di lavoro consultivo degli attori rilevanti della società civile che pure da anni collaborano con le Istituzioni affinché venga approvato un testo di legge condiviso e che regolamenti in modo innovativo il settore della cooperazione internazionale;
    l'articolo 7 introduce, tra gli altri, un Fondo di Garanzia a «tutela dei prestiti concessi da istituti di credito», ad esempio banche commerciali private, aggiungendo ulteriori intermediari finanziari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre interventi normativi affinché vengano maggiormente finanziate le imprese coinvolte nella cooperazione internazionale che svolgono attività di sostegno a progetti promossi da piccole e medie imprese locali e che siano particolarmente sensibili al tema dello sfruttamento delle risorse naturali del Paese in cui operano.
9/1248-A-R/231. (Testo modificato nel corso della seduta) D'Ambrosio.


   La Camera,
   esaminato il provvedimento in titolo,
    valutate insufficienti le misure introdotte a sostegno del comparto primario, già fortemente penalizzato dall'aumento dei costi di produzione delle materie prime, dalle difficoltà di accesso al credito per le aziende agricole e da eccezionali e continue avversità climatiche e ambientali;
    considerato che le aziende agricole e del settore della pesca non possono accedere al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese che l'articolo 1 del provvedimento in esame rafforza, prevedendo l'introduzione di elementi di flessibilità al fine di calibrare i criteri di valutazione economico-finanziaria previsti per l'accesso alla garanzia in funzione dell'andamento generale dell'economia e del mercato finanziario e creditizio;
    visto che molte aziende agricole e del settore della pesca, ancorché in difficoltà in considerazione della crisi economica che colpisce il comparto e che inevitabilmente si riverbera sui dati di bilancio, possiedono tuttavia un enorme potenziale di crescita ma risultano penalizzate dalla stretta creditizia e dalla impossibilità di accesso al credito,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare ulteriori iniziative normative volte a inserire le imprese agricole e della pesca tra i beneficiari del Fondo di Garanzia, al fine di estendere le misure introdotte a sostegno delle imprese anche al settore primario.
9/1248-A-R/232Lupo.


   La Camera,
   esaminato il provvedimento in titolo,
    valutate insufficienti le misure introdotte a sostegno del comparto agricolo;
   premesso che:
    l'agricoltura è l'unico settore attualmente in crescita. Nel primo trimestre 2013, infatti, il settore primario ha registrato un aumento del valore aggiunto sia in termini congiunturali (+4,7 per cento) sia in termini tendenziali (+0,1 per cento);
    un settore in controtendenza, rispetto al momento di grave crisi economica che sta vivendo il Paese, che registra una crescita nell'occupazione e nell’export del made in Italy ma che avrebbe comunque necessità di adeguati e mirati interventi strutturali;
    questi segnali positivi non sono affiancati da una politica di sostegno e anzi, sulle spalle del settore agricolo italiano pesano non pochi problemi, dalla questione dell'IMU in agricoltura, non ancora completamente risolta, all'aumento dei costi di produzione, fino al fenomeno della contraffazione agroalimentare che sta compromettendo l'agricoltura tradizionale e biologica nazionale;
    in particolare l'articolo 1 del decreto-legge in esame, esclude completamente le imprese agricole dalla garanzia diretta del Fondo di garanzia che l'articolo amplia ristruttura e pertanto non beneficiano delle possibilità di accesso al credito previste per le altre imprese ma solo della controgaranzia a favore dei Confidi operanti nei settori agricolo agroalimentare e della pesca, riteniamo utile mantenere la riserva del 30 per cento dell'importo di rifinanziamento del Fondo agli interventi di controgaranzia a favore dei confidi,

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi dell'articolo 1, comma 3, al fine di adottare iniziative normative volte a riservare il 30 per cento dell'importo di rifinanziamento del Fondo di garanzia agli interventi di controgaranzia a favore dei Confidi.
9/1248-A-R/233Gagnarli.


   La Camera,
   esaminato il provvedimento in titolo,
    valutate insufficienti le misure introdotte a sostegno del comparto agricolo;
   premesso che:
    l'agricoltura è l'unico settore attualmente in crescita. Nel primo trimestre 2013, infatti, il settore primario ha registrato un aumento del valore aggiunto sia in termini congiunturali (+4,7 per cento) sia in termini tendenziali (+0,1 per cento);
    un settore in controtendenza, rispetto al momento di grave crisi economica che sta vivendo il Paese, che registra una crescita nell'occupazione e nell’export del made in Italy ma che avrebbe comunque necessità di adeguati e mirati interventi strutturali;
    in particolare l'articolo 1 del decreto-legge in esame, esclude completamente le imprese agricole dalla garanzia diretta del Fondo di garanzia che l'articolo amplia ristruttura e pertanto non beneficiano delle possibilità di accesso al credito previste per le altre imprese ma solo della controgaranzia a favore dei Confidi operanti nei settori agricolo agroalimentare e della pesca, riteniamo utile mantenere la riserva del 30 per cento dell'importo di rifinanziamento del Fondo agli interventi di controgaranzia a favore dei confidi,

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi dell'articolo 1, comma 3 citato in premessa.
9/1248-A-R/233. (Testo modificato nel corso della seduta) Gagnarli.


   La Camera,
   esaminato il provvedimento in titolo,
    valutate insufficienti le misure introdotte a sostegno del comparto agricolo;
    considerata la necessità di sostenere il ricambio generazionale nel settore primario, posto che l'occupazione giovanile, come risulta da recenti statistiche cresce solo in agricoltura che fa registrare un aumento record di oltre l'8,5 per cento nelle assunzioni di giovani sotto i 35 anni di età al primo trimestre 2013, non ostante gli effetti negativi della crisi economica che impatta fortemente sui costi di produzione non adeguatamente compensati da un aumento dei consumi;
    visto che alcuni recenti interventi normativi hanno disposto la vendita dei terreni agricoli e a vocazione agricola di proprietà dello Stato e degli enti territoriali ai giovani imprenditori agricoli;
    rilevato tuttavia che la terra è un bene comune e che il suo accesso non può essere inquadrato in uno schema di vendita che, di fatto, trasforma i terreni agricoli statali in un bene privato;
    considerato che la stessa finalità di sostegno e potenziamento del settore agricolo nazionale può essere adeguatamente perseguita attraverso l'affidamento in locazione di detti terreni ai giovani imprenditori e ai giovani agricoltori come definiti dal Regolamento CE n. 1698/2005 del Consiglio del 20 settembre 2005,

impegna il Governo

a valorizzare, promuovere e potenziare il settore agricolo nazionale, valutando la possibilità di rivedere la disciplina della vendita delle terre agricole e a vocazione agricola al fine di disporne l'affidamento in locazione, favorendo il ricambio generazionale e il primo insediamento da parte di i giovani imprenditori e giovani agricoltori.
9/1248-A-R/234Parentela.


   La Camera,
   esaminato il provvedimento in titolo,
    valutate insufficienti le misure introdotte a sostegno del comparto agricolo;
   premesso che:
    la normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008, ha avuto, nel corso degli anni, una lunga evoluzione in considerazione delle modifiche suggerite dai vari comparti del mondo del lavoro e dei progressi della tecnica e della scienza conseguiti dall'umanità;
    i lavoratori del settore agricolo sono quelli che risentono più di altri dell'insorgenza di malattie professionali: il numero delle denunce secondo l'INAIL è in continuo aumento, passando dalle circa 1.800 unità del 2008, alle 7.700 del 2012;
    quanto esposto dipende, oltre che dalla particolare gravosità del lavoro in agricoltura anche da una maggiore sensibilizzazione degli operatori del settore agricolo e dei medici di base;
    le malattie più comuni, rispetto agli infortuni, presentano un'insorgenza lenta e talora subdola che richiede tempi di latenza e di palese manifestazione, anche molto prolungati;
    l'articolo 35, al capoverso 13-ter, del provvedimento in esame dispone norme in materia di «semplificazione della sorveglianza sanitaria», stabilendo tra l'altro che le visite da effettuarsi annualmente siano invece effettuate ogni due anni, segnando una battuta di arresto, se non un passo indietro, sul principio sancito che tutti i lavoratori, indipendentemente dal fatto che siano assunti a tempo determinato o stagionalmente, debbano essere tutelati dal punto di vista della salute e della sicurezza,

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi di tutte le disposizioni contenute nel provvedimento volte a modificare il decreto legislativo n. 81 del 2008, al fine di scongiurare ogni eventuale possibilità, ancorché remota, di ledere le garanzie e i diritti dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
9/1248-A-R/235Massimiliano Bernini.


   La Camera,
   considerato che il provvedimento in esame è quello che si definisce un decreto «omnibus», che all'articolo 41 interviene tra l'altro per modificare il testo unico in materia ambientale di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006;
   valutata l'inopportunità di intervenire con un decreto-legge, motivato da ragioni di necessità ed urgenza, su una materia come quella ambientale, il cui impatto su ogni aspetto della vita quotidiana è talmente rilevante da richiedere una disciplina organica e strutturata;
   premesso che:
    l'articolo 41-ter del provvedimento in esame, inserisce, tra gli impianti ad inquinamento scarsamente significativo, gli impianti di essiccazione di materiali vegetali impiegati da imprese agricole o a servizio delle stesse;
    in particolare, introduce per gli stessi una potenza termica nominale, per corpo essiccante, uguale o inferiore a 1 MW, se alimentati a biomasse o a biodiesel o a gasolio come tale o in emulsione a biodiesel, e uguale o inferiore a 3 MW, se alimentati a metano o a gpl o a biogas;
    la reale portata inquinante di tali impianti di essiccazione non può essere considerata scarsamente inquinante, specie in alcuni particolari periodi dell'anno e semplificare la normativa che regolamenta tali impianti appare un alleggerimento fin tropo largo delle maglie cucite a tutela dell'ambiente;

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle modifiche al testo unico ambientale contenute nel provvedimento in esame riferite agli impianti considerati ad inquinamento scarsamente significativo con particolare riferimento all'introduzione degli impianti di essiccazione di materiale vegetale impiegato dalle imprese agricole, al fine di riconsiderarne l'opportunità.
9/1248-A-R/236Gallinella.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame è quello che si definisce un decreto omnibus che all'articolo 41 interviene per modificare il Testo Unico in materia ambientale, decreto legislativo n. 152 del 2006;
    considerata l'importanza e la portata della materia ambientale, appare inopportuno intervenire per modificare una così delicata norma in un contesto confuso quanto inadatto quale quello di questo decreto-legge, specie considerando le implicazione che una tale modifica potrebbe avere;
    l'articolo 41-ter del decreto in esame, inserisce tra gli impianti ad inquinamento scarsamente significativo gli impianti di essiccazione di materiali vegetali impiegati da imprese agricole o a servizio delle stesse;
    in particolare introduce per gli stessi una potenza termica nominale, per corpo essiccante, uguale o inferiore a 1 MW, se alimentati a biomasse o a biodiesel o a gasolio come tale o in emulsione a biodiesel, e uguale o inferiore a 3 MW, se alimentati a metano o a gpl o a biogas;
    la potenza termica per gli impianti alimentati a metano, gpl e biodiesel appare sproporzionatamente elevata, specie considerando che già un impianto di essiccazione da 1 MW non può essere considerato scarsamente inquinante in quanto un cogeneratore di meno di 1 MW, collegato al biodigestore, brucerà un quantitativo di metano equivalente a quello di circa 3.500 case di oltre 100 metri quadrati di superficie;
    è importante rilevare che per realizzare un impianto da 1 MW è necessario utilizzare un grande quantità di terreno agricolo, sottraendolo, in questo modo, alla coltivazione,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 41-ter, al fine di adottare iniziative normative volte a riconsiderare la potenza degli impianti di essiccazione di materiale vegetale impiegato dalle imprese agricole, in particolare quelli alimentati a metano, gpl e biogas, portandoli da 3 MW a 1 MW.
9/1248-A-R/237Benedetti.


   La Camera,
   premesso che:
    la Regione Puglia fissa a 0,4 ng/TEQ/Nm3 il limite massimo di emissioni (legge regionale n. 81 del 2008);
    nell'area circostante lo Stabilimento Ilva di Taranto insistono altri stabilimenti fortemente inquinanti già presenti all'interno della perimetro S.I.N. che contribuiscono al degrado ambientale;
    il decreto ministeriale n. 22 del 14 febbraio 2013 consente ai cementifici di bruciare combustibili solidi secondari (CSS) derivati dalla selezioni di rifiuti;

impegna il Governo

  a valutare l'opportunità di:

   rivedere la norma di riferimento sull'emissioni inquinanti della 152/2006 e portarla a 0,2 ng/TEQ/Nm3 di emissioni inquinanti, affinché la regione Puglia possa rimodulare conseguentemente le emissioni previste dalla legge regionale n. 81 del 2008 definite a 0,4 ng/TEQ/Nm3 che attualmente non consentono una adeguata tutela sanitaria in tutto il territorio di Taranto;
   adottare tutte le necessarie misure cautelative per evitare che eventuali prescrizioni seguite presso lo stabilimento ILVA di Taranto vengano inficiate dalle emissioni di attività limitrofe di tutta l'area perimetrata nel SIN di Taranto, nonché a considerare nella sua complessità, l'inquinamento di Taranto come il prodotto di tutti gli stabilimenti industriali e non, che arrecano grave danno alla salute dei cittadini di Taranto e Statte;
   sospendere, a tempo indeterminato, la combustione dei CSS (Combustibili Solidi Secondari, decreto ministeriale 22 del 14 febbraio 2013), per i cementifici di Taranto.
9/1248-A-R/238L'Abbate.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 14 reca misure per favorire la diffusione del domicilio digitale, intervenendo sul processo di digitalizzazione delle comunicazioni cartacee;
    l'articolo 48, comma 2, del codice dell'amministrazione digitale decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dispone l'equiparazione tra la posta elettronica certificata e la notifica a mezzo posta;
    l'articolo 45, comma 2, del codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dispone che il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore,

impegna il Governo

ad intervenire con provvedimenti idonei ad assicurare la certezza della ricezione della comunicazione elettronica, utilizzando come data valida, ai fini legali, l'apertura della casella di posta da parte del destinatario.
9/1248-A-R/239Cristian Iannuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, all'articolo 1 dell'allegato 10 determina i diritti amministrativi e i contributi di cui agli articoli 34 e 35, comma 2, del codice delle comunicazioni elettroniche;
    al fine di assicurare la copertura degli oneri di cui sopra, le imprese titolari di autorizzazione generale per l'installazione e fornitura di reti pubbliche di comunicazioni, comprese quelle basate sull'impiego di radiofrequenze, e per l'offerta del servizio telefonico accessibile al pubblico, sono tenute al pagamento annuo di un contributo che è determinato sulla base della popolazione potenzialmente destinataria dell'offerta;
    questo regime di contribuzione, non tenendo conto della dimensione d'impresa, di fatto favorisce i grandi carrier nazionali di telecomunicazione, penalizzando viceversa i piccoli operatori che non possono farsi carico degli ingenti oneri amministrativi previsti;
    la mancata presenza di piccoli operatori di telecomunicazione impedisce lo sviluppo di un mercato a livello di territorio e le iniziative locali per la diffusione della banda larga che potrebbero andare a coprire zone cosiddette «buie», dove la scarsa clientela non interessa i grandi operatori nazionali delle telecomunicazioni;
    il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, dovrebbe favorire lo sviluppo di nuovi servizi ed attività imprenditoriali rimuovendo gli ostacoli che scoraggiano l'ingresso di nuovi operatori, in particolare nel settore delle telecomunicazioni,

impegna il Governo

a rivedere il regime dei contributi disposti all'articolo 1 dell'allegato 10 del decreto legislativo 1o agosto 2003, n. 259, adattando gli oneri dei diritti amministrativi, oltre che alla dimensione della popolazione interessata dell'offerta di fornitura di reti pubbliche di telecomunicazioni o del servizio telefonico accessibile al pubblico, anche alla dimensione d'impresa e, quindi, al numero delle utenze effettivamente attive.
9/1248-A-R/240Paolo Nicolò Romano.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n.69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 18 reca misure volte a sbloccare cantieri, prevedere opere di manutenzione delle reti, del territorio e a istituire un fondo per i piccoli Comuni;
    il comma 4 del medesimo articolo introduce misure volte a garantire la prosecuzione e quindi realizzazione dei lavori relativi al «Corridoio tirrenico meridionale A12 – Appia e bretella autostradale Cisterna Valmontone»;
    le associazioni ambientalistiche hanno espresso forti perplessità e contrarietà alla realizzazione del corridoio tirrenico meridionale A12, nello specifico la tratta Cisterna Valmontone, denunciando la possibile devastazione di ben due riserve naturali, Decima Malafede e la Riserva Statale del litorale romano, caratterizzate da primaria importanza per la fauna e l'avifauna stanziale e migratoria e l'erosione di migliaia di ettari coltivati nell'agropontino, con ricadute sul mercato ortofrutticolo,

impegna il Governo

a valutare l'ipotesi di sospendere la realizzazione del corridoio tirrenico meridionale A12, nello specifico la tratta Cisterna Valmontone.
9/1248-A-R/241Nicola Bianchi.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 25, reca misure urgenti di settore in materia di infrastrutture e trasporti;
    l'articolo 4 del decreto 5 novembre 1987, n. 508, emanato in recepimento della direttiva CEE n. 561 del 1974, prevede tra i requisiti di accesso alla professione di trasportatore l'onorabilità;
    il successivo Regolamento Ce 1071/2009, recepito dallo Stato italiano con decreto dirigenziale 25 novembre 2011, n. 291, ha stabilito nuove norme per l'accesso alla professione per tutte le imprese che esercitano l'attività di autotrasporto di cose e persone per conto di terzi, imponendo un adeguamento della posizione in base alla nuova disciplina dei requisiti di capacità professionale, finanziaria e di onorabilità;
    tra i requisiti di onorabilità, non sono stati previsti accertamenti specifici in materia antimafia, quali la verifica di informative antimafia interdittive,

impegna il Governo

a valutare l'ipotesi di inserire ulteriori requisiti di onorabilità per la professione di trasportatore di merci su strada nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali e ad inserire tra i criteri richiesti per la cessazione del requisito di onorabilità, anche la presenza di una informativa antimafia interdittiva.
9/1248-A-R/242Catalano.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 18 reca misure volte a sbloccare cantieri, prevedere opere di manutenzione delle reti, del territorio e a istituire un fondo per i piccoli comuni;
    il comma 9 del medesimo articolo prevede uno stanziamento di 100 milioni di euro, per l'anno 2014, al programma «6000 Campanili», concernente interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici ovvero realizzazione e manutenzione di reti viarie nonché di salvaguardia messa in sicurezza del territorio,

impegna il Governo

a valutare l'ipotesi di destinare i fondi di cui al comma 9 per il finanziamento di interventi di messa in sicurezza degli edifici pubblici, escludendo, quindi, interventi volti alla realizzazione di nuove strutture.
9/1248-A-R/243Liuzzi.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 18 reca misure volte a sbloccare cantieri, prevedere opere di manutenzione delle reti, del territorio e a istituire un fondo per i piccoli comuni;
    il raccordo autostradale tra Campogalliano e Sassuolo è stato proposto innumerevoli volte negli ultimi 25 anni, nonostante le sopravvenute modifiche ai tracciati di viabilità locali;
    a seguito della realizzazione nel 2004 del raccordo Modena-Sassuolo, l'autostrada Campogalliano-Sassuolo rischierebbe di divenire un'inutile parallela che si svilupperebbe a una distanza inferiore ai 3 km dal casello di Modena Nord;
    i costi di realizzazione dell'opera hanno subito un incremento esponenziale negli ultimi dieci anni, passando da un costo iniziale stimato nel dicembre 2001 di 175,595 milioni di euro a un costo attuale stimato intorno ai 598,000 milioni di euro, con un aumento, rispetto alle stime iniziali, di oltre il 340 per cento;
    tale tratto autostradale, con un costo di 40 milioni di euro al km, rischierebbe, dunque, di essere una delle opere più costose mai realizzate,

impegna il Governo

ad interrompere la realizzazione del raccordo autostradale Campogalliano-Sassuolo di collegamento tra la A22 e la SS 467 pedemontana e ad utilizzare le risorse già stanziate per opere di ripristino, messa in sicurezza e ammodernamento dell'attuale sistema stradale della provincia modenese e per opere di miglioramento e ammodernamento dell'attuale sistema ferroviario di trasporto pubblico della provincia modenese, con particolare riferimento alla tratta Sassuolo-Modena e Modena-Carpi.
9/1248-A-R/244Dell'Orco.


   La Camera,
   premesso che:
    in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia, l'articolo 22 reca misure urgenti per l'aumento della produttività nei porti;
    le operazioni di dragaggio delle aree portuali sono fondamentali al fine di garantire, in considerazione delle dimensioni sempre più notevoli delle navi, approdi in sicurezza delle stesse e la competitività dei porti;
    la lettera b) del comma 1 dell'articolo 22 di cui sopra, mira ad introdurre una semplificazione ulteriore nelle opere di dragaggio, sopprimendo, al comma 2, lettera a), dell'articolo 5-bis della legge 28 gennaio 1994, n. 84, le parole: «analoghe al fondo naturale con riferimento al sito di prelievo»,

impegna il Governo

a valutare l'ipotesi di intraprendere qualsiasi iniziativa destinata a garantire una adeguata tutela dell'ambiente e del paesaggio e assicurare che il materiale derivante dalle attività di dragaggio, prima della immissione, presenti caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche analoghe al fondo di destinazione.
9/1248-A-R/245De Lorenzis.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia le disposizioni del Titolo III del provvedimento, recante «Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»;
   l'articolo 72 che disciplina lo stato giuridico e indennità dei giudici ausiliari, articolo non modificato nel corso dell'esame in sede referente – attribuisce ai giudici ausiliari lo stato giuridico di magistrati onorari;
    il comma 2 fissa in 200 euro l'indennità onnicomprensiva da attribuire ai giudici, con cadenza trimestrale, per ogni provvedimento che definisce il processo, anche parzialmente ovvero solo su alcune delle domande proposte con l'atto di citazione o rispetto solo ad alcune delle parti;
    il comma 3 stabilisce, in ogni caso: un limite massimo dell'indennità annua da attribuire al giudice ausiliario (20.000 euro), precisando che su di essa non sono dovuti contributi previdenziali;
   la cumulabilità dell'indicata indennità con i trattamenti pensionistici o di quiescenza cui abbia, eventualmente, diritto il giudice ausiliario;
    si ricorda che la legge n. 276 del 1997 prevedeva, invece, il diritto dei giudici onorari aggregati ai contributi previdenziali. Al contrario, sulla base della normativa vigente i Got (come i giudici di pace) non hanno diritto ad alcuna copertura previdenziale;
    la legge n. 276 del 1997 attribuiva ai giudici onorari aggregati – dopo l'ingresso dell'euro – una indennità di euro 10.329,14 annui da corrispondere a rate mensili, oltre ad euro 129,11 per ogni sentenza che definisse il processo ovvero per ogni verbale di conciliazione, da corrispondere ogni tre mesi;
    il Testo Unico spese di giustizia (decreto del Presidente della Repubblica 115/2002) prevede (articolo 64) che ai giudici onorari di tribunale spetti un'indennità di 98 per le attività di udienza svolte nello stesso giorno ed un'ulteriore indennità di 98 ove il complessivo impegno lavorativo per le attività di udienza superi le cinque ore;
    il compenso previsto (duecento euro, onnicomprensivo per ogni provvedimento definitorio al lordo di imposte e contributi previdenziali) appare insufficiente ai fini del conseguimento degli elevati livelli di professionalità ed efficienza richiesti agli istituendi giudici ausiliari,

impegna il Governo

a valutare iniziative normative per aumentare l'importo del compenso previsto per ogni provvedimento definitorio fino a trecento euro.
9/1248-A-R/246Colletti.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia le disposizioni del Titolo III del provvedimento, recante «Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»;
    il decreto-legge, all'articolo 82, ha la finalità di contrastare l'abuso dello strumento del concordato preventivo in bianco, introdotto nel 2012, quale mezzo per la risoluzione anticipata della crisi d'impresa e la protezione del patrimonio del debitore;
    come si legge nella relazione illustrativa, dai primi risultati emersi dalle rilevazioni statistiche condotte dal Ministero della giustizia hanno consentito di rilevare un incremento del ricorso all'istituto del cosiddetto «concordato in bianco», con finalità non del tutto corrispondenti alle finalità che ne hanno ispirato l'introduzione, ossia l'anticipazione degli effetti protettivi del patrimonio dell'impresa in crisi. L'intervento è volto pertanto a conservare la flessibilità e la snellezza dello strumento, approntando però delle misure volte ad implementare il patrimonio informativo dei creditori e del tribunale già in sede di fissazione del termine per il deposito della proposta, del piano e della restante documentazione;
    viene riconosciuto al tribunale il potere di anticipare la nomina del commissario giudiziale di cui all'articolo 163, secondo comma, n. 3 «legge fallimentare», al momento di adozione del decreto di cui all'articolo 161, sesto comma, della «legge fallimentare», a cui vengono di fatto attribuiti diversi compiti, tra cui il compito di analizzare i documenti depositati dal debitore per rispondere agli obblighi informativi previsti dallo stesso decreto, tra cui la situazione finanziaria aggiornata dell'impresa, verificare l'adeguatezza dell'attività svolta dall'impresa ai fini della successiva predisposizione della proposta e del piano, nonché segnalare se il debitore ha posto in essere condotte pregiudizievoli delle ragioni dei creditori, a norma dell'articolo 173 della legge fallimentare;
    le predette modifiche hanno l'obiettivo di permettere al tribunale di verificare e reprimere eventuali condotte abusive, come l'uso del concordato preventivo quale escamotage per non pagare i creditori, spesso altre imprese, ingenerando un effetto domino dirompente: pertanto la nomina del commissario giudiziale è da considerarsi un atto indispensabile all'apertura di ogni procedura di concordato preventivo,

impegna il Governo

a valutare ogni iniziativa normativa di competenza al fine di rendere obbligatoria la nomina del commissario giudiziale in ogni procedura di concordato preventivo e prevenire eventuali abusi dello strumento per la soluzione anticipata della crisi d'impresa.
9/1248-A-R/247Businarolo.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia le disposizioni del Titolo III del provvedimento, recante «Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»;
    l'articolo 84, modificato nel corso dell'esame in sede referente, novella il decreto legislativo n. 28 del 2010, reintroducendo le disposizioni sul carattere obbligatorio della mediazione dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte costituzionale, per eccesso di delega (sentenza n. 272 del 2012);
    la disposizione, inoltre:
     assegna all'istituto della mediazione obbligatoria un carattere transitorio (durata 4 anni) e sperimentale (monitoraggio degli effetti dell'istituto a partire dal secondo anno di sperimentazione);
     esclude dalla mediazione obbligatoria le controversie in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti nonché le controversie rispetto alle quali si sia già attivata la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite ai sensi dell'articolo 696-bis del codice di procedura civile
     prevede la mediazione obbligatoria anche per giudizi già instaurati in primo grado o addirittura in sede d'appello, rimettendo al giudice la valutazione sull'esigenza di procedervi;
     rende obbligatoria l'assistenza dell'avvocato di tutte le parti al procedimento di mediazione;
     interviene sul procedimento di mediazione, prevedendo che:
      il procedimento non possa durare più di tre mesi (attualmente sono quattro);
      si debba tenere un primo incontro, in cui il mediatore verifica con le parti le possibilità di proseguire il tentativo di mediazione; se l'incontro non ha esito positivo e il procedimento si chiude subito, niente è dovuto al mediatore;
     gli avvocati iscritti all'albo sono di diritto mediatori, pur dovendo garantire una specifica formazione;
    analiticamente, le Commissioni riunite hanno approvato un emendamento che premette all'articolo 84 comma 1, lettera a), la lettera 0a), con la quale è novellato l'articolo 1 del decreto legislativo per quanto riguarda la definizione della mediazione;
    se fino ad oggi la mediazione è stata definita come l'attività svolta da un terzo imparziale per assistere le parti sia nella ricerca di un accordo amichevole, sia nella formulazione di una proposte di risoluzione della controversia; con la novella all'esame della Assemblea, mediazione è sempre la ricerca di un accordo amichevole, che può da ultimo – ed eventualmente – approdare alla formulazione di una proposta di composizione della controversia;
    la lettera a) del comma 1 ripristina l'originario contenuto del decreto legislativo, intervenendo sull'articolo 4 (Accesso alla mediazione), comma 3, per prevedere a carico dell'avvocato l'obbligo di informare il cliente, già all'atto del conferimento dell'incarico, della necessita di avvalersi del procedimento di mediazione a fronte di controversie per le quali la mediazione è obbligatoria;
    le lettere da a-bis) a e) novellano l'articolo 5 del decreto legislativo, in tema di condizione di procedibilità della mediazione e rapporti tra mediazione e processo;
    in particolare, la lettera b) reinserisce la disposizione (ora comma 1-bis dell'articolo 5) dichiarata incostituzionale dalla Corte, prevedendo la mediazione come condizione di procedibilità dell'azione in relazione ad una serie di controversie, tra le quali sono state espunte (rispetto al testo del 2010) le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti.;
    le Commissioni riunite hanno inoltre emendato questa disposizione prevedendo che la mediazione obbligatoria già prevista per le controversie relative al risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, è da intendersi estesa alle controversie in tema di responsabilità sanitaria, intesa come la responsabilità degli esercenti professioni sanitarie;
    pertanto si rende facoltativo il ricorso all'istituto della mediazione, laddove l'esperimento del procedimento di mediazione non sia necessario alla procedibilità della domanda giudiziale. Ciò al fine di evitare il ripetersi di un nuovo pronunciamento di incostituzionalità della Consulta che sul tema si è già espressa, con sentenza n. 272/2012, dichiarando il decreto legislativo n. 28 del 2010 incostituzionale per eccesso di delega relativa agli aspetti di obbligatorietà, onerosità, assenza di garanzie circa la preparazione dei mediatori,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione al fine di adottare ogni iniziativa normativa successiva atta a rendere facoltativo il ricorso all'istituto della mediazione laddove l'esperimento del procedimento di mediazione non sia necessario alla procedibilità della domanda giudiziale.
9/1248-A-R/248Bonafede.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia le disposizioni del Titolo III del provvedimento, recante «Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»;
    il Capo II (composto dal solo articolo 73) detta un'articolata disciplina volta a consentire l'accesso a stage formativi teorico-pratici della durata di 18 mesi presso gli uffici della magistratura ordinaria e amministrativa, riservati ai laureati più meritevoli delle facoltà di giurisprudenza, all'esito di un corso almeno quadriennale;
    ai sensi del comma 1, gli uffici giudiziari interessati dagli stage sono:
     per la magistratura ordinaria, i tribunali e le corti d'appello (lo stage sul processo penale potrà svolgersi solo presso il giudice del dibattimento; escluse quindi le procure e gli uffici del GIP e del GUP);
     per la magistratura amministrativa, sia il Tar che il Consiglio di Stato;
    disposizioni particolari riguardano gli uffici di giustizia amministrativa presso la regione Sicilia e la regione autonoma del Trentino Alto-Adige;
    nel corso dell'esame in sede referente le Commissioni riunite hanno aggiunto all'elencazione degli uffici giudiziari, gli uffici e i tribunali di sorveglianza nonché i tribunali per i minorenni ed hanno precisato che anche le province autonome di Trento e Bolzano dovranno disciplinare, nell'ambito della propria autonomia statuaria, gli stage presso il Tar di Trento la sezione distaccata di Bolzano;
    l'accesso a domanda ai periodi di formazione – possibili una sola volta – è subordinato dal decreto-legge al possesso dei seguenti requisiti:
     laurea in giurisprudenza all'esito di un corso di durata almeno quadriennale, ottenuta von punteggio minimo di 102 su 110;
     media di almeno 27/30 negli esami nelle materie più significative del corso di laurea, individuate dal comma 1 dell'articolo 73;
     età massima di 28 anni;
     requisiti di onorabilità consistenti nel non avere riportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzioni e non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza;
    le Commissioni riunite hanno emendato il comma 1 stabilendo un punteggio di laurea minimo di 105 su 110, da intendersi come requisito alternativo alla media di almeno 27 su 30 nelle materie individuate come più significative. Le Commissioni hanno inoltre portato a 30 anni l'età massima degli stagisti, al momento della presentazione della domanda;
    i requisiti d'accesso allo stage formativo appaiono troppo stringenti specificatamente alla media degli esami universitari, ai voti conseguiti, all'età richiesta e alla durata del tirocinio, configurando un evidente problema di bilanciamento tra una domanda di qualità e specializzazione rivolta al tirocinante a fronte di una del tutto insufficiente offerta, da parte dell'amministrazione della giustizia, in termini economici e professionali, pertanto i tirocinanti saranno selezionati solamente in base alla media degli esami ed al voto di laurea più elevato,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di un'iniziativa normativa di competenza al fine di inserire i soggetti che abbiano presentato domanda per l'accesso allo stage in una graduatoria pubblicamente consultabile, da aggiornare con cadenza semestrale in un'ottica di trasparenza e meritocrazia.
9/1248-A-R/249Sarti.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia le disposizioni del Titolo III del provvedimento, recante «Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»;
    il Capo II (composto dal solo articolo 73) detta un'articolata disciplina volta a consentire l'accesso a stage formativi teorico-pratici della durata di 18 mesi presso gli uffici della magistratura ordinaria e amministrativa, riservati ai laureati più meritevoli delle facoltà di giurisprudenza, all'esito di un corso almeno quadriennale;
    ai sensi del comma 1, gli uffici giudiziari interessati dagli stage sono:
     per la magistratura ordinaria, i tribunali e le corti d'appello (lo stage sul processo penale potrà svolgersi solo presso il giudice del dibattimento; escluse quindi le procure e gli uffici del GIP e del GUP);
     per la magistratura amministrativa, sia il Tar che il Consiglio di Stato;
    disposizioni particolari riguardano gli uffici di giustizia amministrativa presso la regione Sicilia e la regione autonoma del Trentino Alto-Adige;
    nel corso dell'esame in sede referente le Commissioni riunite hanno aggiunto all'elencazione degli uffici giudiziari, gli uffici e i tribunali di sorveglianza nonché i tribunali per i minorenni ed hanno precisato che anche le province autonome di Trento e Bolzano dovranno disciplinare, nell'ambito della propria autonomia statuaria, gli stage presso il Tar di Trento la sezione distaccata di Bolzano;
    l'accesso a domanda ai periodi di formazione – possibili una sola volta – è subordinato dal decreto-legge al possesso dei seguenti requisiti:
     laurea in giurisprudenza all'esito di un corso di durata almeno quadriennale, ottenuta von punteggio minimo di 102 su 110;
     media di almeno 27/30 negli esami nelle materie più significative del corso di laurea, individuate dal comma 1 dell'articolo 73;
     età massima di 28 anni;
     requisiti di onorabilità consistenti nel non avere riportato condanne per delitti non colposi o a pena detentiva per contravvenzioni e non essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza;
    le Commissioni riunite hanno emendato il comma 1 stabilendo un punteggio di laurea minimo di 105 su 110, da intendersi come requisito alternativo alla media di almeno 27 su 30 nelle materie individuate come più significative. Le Commissioni hanno inoltre portato a 30 anni l'età massima degli stagisti, al momento della presentazione della domanda;
    i requisiti d'accesso allo stage formativo appaiono troppo stringenti specificatamente alla media degli esami universitari, ai voti conseguiti, all'età richiesta e alla durata del tirocinio, configurando un evidente problema di bilanciamento tra una domanda di qualità e specializzazione rivolta al tirocinante a fronte di una del tutto insufficiente offerta, da parte dell'amministrazione della giustizia, in termini economici e professionali, pertanto i tirocinanti saranno selezionati solamente in base alla media degli esami ed al voto di laurea più elevato,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di un'iniziativa al fine di inserire i soggetti che abbiano presentato domanda per l'accesso allo stage in una graduatoria pubblicamente consultabile, da aggiornare con cadenza semestrale in un'ottica di trasparenza e meritocrazia.
9/1248-A-R/249. (Testo modificato nel corso della seduta) Sarti.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia le disposizioni del Titolo III del provvedimento, recante «Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»;
    il Capo II (composto dal solo articolo 73) detta un'articolata disciplina volta a consentire l'accesso a stage formativi teorico-pratici della durata di 18 mesi presso gli uffici della magistratura ordinaria e amministrativa, riservati ai laureati più meritevoli delle facoltà di giurisprudenza, all'esito di un corso almeno quadriennale;
    viene chiarito che, per il periodo di attività presso il tribunale o la corte d'appello, l'ammesso allo stage non ha diritto ad alcuna forma di compenso, e di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione. Il rapporto non costituisce ad alcun titolo rapporto subordinato (di pubblico impiego) o autonomo (comma 8);
    in relazione al tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari, è indispensabile e assicurare un riconoscimento retributivo al tirocinio formativo, come previsto per analoghe forme di formazione finalizzata a professioni qualificate che vengono retribuite, corrispondente almeno ad un rimborso delle spese ed in ogni caso non inferiore ad un importo mensile di 500 euro. Risulta altresì inaccettabile, secondo qualsiasi normativa sul lavoro, che il tirocinio formativo sia svolto in assenza di un'adeguata copertura assicurativa contro gli infortuni per gli stagisti,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate, al fine di adottare iniziative normative finanziarie volte ad assegnare agli ammessi allo stage un compenso pari ad euro 500 netti mensili e ad assicurare un'adeguata copertura assicurativa contro gli infortuni per gli stagisti.
9/1248-A-R/250Ferraresi, Nesci.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia le disposizioni del Titolo III del provvedimento, recante «Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»;
    il decreto individua i requisiti per la nomina del giudice ausiliario, in analogia alle previsioni già contenute nell'ordinamento sulla selezione della magistratura onoraria. Il riferimento pare essere all'articolo 42-ter del regio decreto n. 12 del 1941 sull'ordinamento giudiziario, che stabilisce i requisiti per la nomina a giudice onorario (Got) e a vice procuratore onorario (Vpo) di tribunale, precisa la finalità e l'ambito applicativo della disciplina del Capo I del titolo III del decreto-legge in esame (Giudici ausiliari, articoli 62-72): la riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti civili, di lavoro e previdenza presso le corti d'appello sulla base delle priorità individuate dai programmi di lavoro per la gestione dei procedimenti civili pendenti redatti dai presidenti delle stesse Corti;
    l'articolo 37 del decreto-legge n. 98 del 2011 (legge n. 111 del 2011) ha previsto che i capi degli uffici giudiziari, sentiti i presidenti dei rispettivi consigli dell'ordine degli avvocati, entro il 31 gennaio di ogni anno debbano redigere un programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti con cui determinare:
     a) gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno in corso;
     b) gli obiettivi di rendimento degli uffici, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto de la durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa;
    come si legge nella relazione illustrativa, è proprio presso le corti d'appello che si registra un aumento delle pendenze (che invece non si verifica davanti ai tribunali): nelle corti appello, nel 2010 erano pendenti 443.435 procedimenti, mentre nel 2011 ne erano pendenti 448.810. Nei tribunali invece le pendenze erano 3.486.487 nel 2010 e 3.452.462 nel 2011;
    l'articolo 63 – modificato nel corso dell'esame da parte delle Commissioni – stabilisce, per le indicate finalità di deflazione del contenzioso civile pendente presso le corti d appello, la nomina, con decreto del Ministro della giustizia, di un numero massimo di 400 giudici ausiliari (comma 1);
    secondo la relazione illustrativa, tale numero appare idoneo ad assicurare la definizione, ogni anno, di 36.000 procedimenti (ovvero 90 per ogni giudice ausiliario);
    il comma 3 dell'articolo 63 del decreto-legge individua le categorie professionali che possono fare domanda per ottenere la nomina a giudice ausiliario ovvero i magistrati (ordinari, contabili e amministrativi) e gli avvocati dello Stato a riposo, i professori universitari in materie giuridiche di prima o seconda fascia, anche a tempo determinato o a riposo, i ricercatori universitari in materie giuridiche, gli avvocati (cui l'articolo 65 attribuisce preferenza a fini della nomina) ed i notai (per entrambe le ultime due categorie, anche se a riposo);
    pur nella considerazione che l'istituenda figura del giudice ausiliario possa, sulla base di una straordinarietà della sua funzione, rispondere almeno e soltanto in via provvisoria, alla prioritaria esigenza di smaltimento dell'arretrato civile, appare necessario aumentarne il numero complessivo,

impegna il Governo

a valutare ogni iniziativa normativa di competenza al fine di aumentare il numero delle figure di giudice ausiliario a seicento unità.
9/1248-A-R/251Turco.


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge in titolo reca disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia e rientrano negli ambiti di competenza della Commissione giustizia le disposizioni del Titolo III del provvedimento, recante «Misure per l'efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»;
    il decreto individua i requisiti per la nomina del giudice ausiliario, in analogia alle previsioni già contenute nell'ordinamento sulla selezione della magistratura onoraria. Il riferimento pare essere all'articolo 42-ter del regio decreto n. 12 del 1941 sull'ordinamento giudiziario, che stabilisce i requisiti per la nomina a giudice onorario (Got) e a vice procuratore onorario (Vpo) di tribunale, precisa la finalità e l'ambito applicativo della disciplina del Capo I del titolo III del decreto-legge in esame (Giudici ausiliari, articoli 62-72): la riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti civili, di lavoro e previdenza presso le corti d'appello sulla base delle priorità individuate dai programmi di lavoro per la gestione dei procedimenti civili pendenti redatti dai presidenti delle stesse Corti;
    l'articolo 37 del decreto-legge n. 98 del 2011 (legge n. 111 del 2011) ha previsto che i capi degli uffici giudiziari, sentiti i presidenti dei rispettivi consigli dell'ordine degli avvocati, entro il 31 gennaio di ogni anno debbano redigere un programma per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti con cui determinare:
     a) gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno in corso;
     b) gli obiettivi di rendimento degli uffici, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto de la durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa;
    come si legge nella relazione illustrativa, è proprio presso le corti d'appello che si registra un aumento delle pendenze (che invece non si verifica davanti ai tribunali): nelle corti appello, nel 2010 erano pendenti 443.435 procedimenti, mentre nel 2011 ne erano pendenti 448.810. Nei tribunali invece le pendenze erano 3.486.487 nel 2010 e 3.452.462 nel 2011;
    l'articolo 63 – modificato nel corso dell'esame da parte delle Commissioni – stabilisce, per le indicate finalità di deflazione del contenzioso civile pendente presso le corti d appello, la nomina, con decreto del Ministro della giustizia, di un numero massimo di 400 giudici ausiliari (comma 1);
    secondo la relazione illustrativa, tale numero appare idoneo ad assicurare la definizione, ogni anno, di 36.000 procedimenti (ovvero 90 per ogni giudice ausiliario);
    il comma 3 dell'articolo 63 del decreto-legge individua le categorie professionali che possono fare domanda per ottenere la nomina a giudice ausiliario ovvero i magistrati (ordinari, contabili e amministrativi) e gli avvocati dello Stato a riposo, i professori universitari in materie giuridiche di prima o seconda fascia, anche a tempo determinato o a riposo, i ricercatori universitari in materie giuridiche, gli avvocati (cui l'articolo 65 attribuisce preferenza a fini della nomina) ed i notai (per entrambe le ultime due categorie, anche se a riposo);
    pur nella considerazione che l'istituenda figura del giudice ausiliario possa, sulla base di una straordinarietà della sua funzione, rispondere almeno e soltanto in via provvisoria, alla prioritaria esigenza di smaltimento dell'arretrato civile, appare necessario aumentarne il numero complessivo,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, ogni iniziativa normativa di competenza al fine di aumentare il numero delle figure di giudice ausiliario a seicento unità.
9/1248-A-R/251. (Testo modificato nel corso della seduta) Turco.


INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Iniziative di competenza in relazione al fenomeno dei roghi nelle discariche della cosiddetta «Terra dei fuochi» in Campania – 3-00223

   FORMISANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il gravissimo fenomeno dei roghi dolosi di discariche in Campania, nella cosiddetta «Terra dei fuochi», non accenna a diminuire. Nel 2013 già oltre 800 sono i roghi che si sono sviluppati in quelle zone martoriate;
   nella ormai ex Campania felix, infatti, si continua a bruciare rifiuti tossici di ogni genere e pericolosità e si prosegue negli sversamenti illegali di rifiuti tossici ed industriali;
   è noto che tra poco tempo verranno fatti partire molti bandi per le bonifiche ed è facile immaginare che il nuovo flusso di denaro attirerà ancora una volta le ecomafie, che probabilmente non sono estranee ai nuovi roghi;
   le indagini sui recenti incendi mostrano un salto di qualità per quel che riguarda i materiali usati per dare alle fiamme i rifiuti. Infatti, oltre ai purtroppo tradizionali copertoni, sono stati utilizzati per la prima volta frigoriferi, con un ulteriore aumento della pericolosità delle conseguenze dei roghi;
   gli incendi non sono l'unico dramma che colpisce la «Terra dei fuochi». In sei mesi circa sono stati effettuati ben 150 sequestri di aree contaminate. Il generale Sergio Costa, comandante del Corpo forestale provinciale di Napoli, ha affermato che i suoi uomini, di fatto, sono costretti ad un sequestro al giorno di terreni inquinati;
   in particolare, appare ancor più angoscioso, se possibile, quanto scoperto a Caivano, dove è stata riscontrata la presenza del micidiale veleno toluene in un terreno coltivato;
   nella discarica abusiva sono stati, inoltre, trovati decine di metri cubi di terreno indenne, ammonticchiati ai lati della parte «infetta». Questo terreno pulito serviva per «ravvivare» lo strato superficiale, contaminato, e permettere, quindi, la coltivazione degli ortaggi. Si tratta di una constatazione di enorme gravità, perché fa comprendere che chi coltivava quegli alimenti ben sapeva dove lo stesse facendo, e soprattutto sopra cosa;
   altro gravissimo sito inquinante è quello della ex Resit a Giugliano, laddove numerose inchieste hanno stabilito che per 20 anni sono stati sversati rifiuti tossici, tra i quali i fanghi della Acna di Cengio, con la contaminazione delle stesse falde acquifere presenti nella zona;
   nelle due cave, dette «Z» ed «X», della ex Resit sono presenti fenomeni sconcertanti, come le cosiddette «fumarole», ossia fumi pestilenziali che si levano dalla sommità della discarica, rendendo irrespirabile l'aria della zona, e questo mentre nei campi vicini si prosegue a coltivare come se nulla fosse;
   non si tratta di una questione locale, ma nazionale a tutti gli effetti, sia perché i rifiuti bruciati e sepolti nella «Terra dei fuochi» provengono da industrie dislocate in tutta Italia, industrie che preferiscono collaborare con la camorra piuttosto che con chi lavora onestamente, sia perché la salvaguardia dell'ambiente è un tema di vitale importanza per la stessa coesione nazionale;
   roghi e sversamenti abusivi avvengono anche perché, nonostante l'impegno costante delle forze dell'ordine, manca una sorveglianza continua nella aree più a rischio e non si può chiedere ai comuni, che spesso sono in difficili condizioni economiche, di provvedere da soli;
   occorre non solo stroncare i fenomeni sopra riportati, ma anche colpire con durezza i responsabili di questo stato di cose, non limitandosi a punire i camionisti che portano i rifiuti, ma arrivando anche ai responsabili di più alto livello;
   la questione delle discariche e dei ritardi nelle bonifiche è motivo di sanzioni da parte dell'Unione europea nei confronti del nostro Paese;
   il Ministro interrogato ha annunciato una serie di importanti misure per intervenire sulla vicenda, mentre la regione Campania ha assicurato che interverrà con coi fondi per le aree sottoutilizzate –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, per quanto di sua competenza, fissare gli obiettivi, anche temporalmente, e i modi per giungere ad una soluzione definitiva della situazione sopra illustrata e che perdura da troppo tempo, con danni gravissimi ed innegabili alla salute dei cittadini non solo campani. (3-00223)


Iniziative d'urgenza per garantire il regolare avvio del prossimo anno scolastico, con particolare riferimento al contenzioso sviluppatosi in relazione alla procedura concorsuale in corso per il reclutamento di dirigenti scolastici – 3-00224

   COSCIA, ROCCHI, MALPEZZI, CAROCCI, GHIZZONI, ASCANI, BLAZINA, BONAFÈ, BOSSA, COCCIA, D'OTTAVIO, LA MARCA, MALISANI, MANZI, NARDUOLO, ORFINI, PES, PICCOLI NARDELLI, RACITI, RAMPI, MARTELLA, ROSATO, DE MARIA e FRAGOMELI. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 13 luglio 2011 è stato adottato il decreto del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – 4a serie speciale – concorsi n. 56 del 15 luglio 2011, con il quale veniva bandito il concorso per titoli ed esami per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado e per gli istituti educativi;
   tuttavia, la suddetta procedura concorsuale ha rilevato forti elementi di criticità: non è una coincidenza, infatti, se in diverse regioni gli uffici scolastici hanno dovuto affrontare ricorsi per presunte irregolarità che hanno portato a pronunce dei tribunali amministrativi regionali e, in un caso, dello stesso Consiglio di Stato, determinando l'annullamento di tutta o parte della procedura;
   tale è il caso della regione Molise dove, con sentenza del 7 dicembre 2012, il tribunale amministrativo regionale ha annullato le fasi concorsuali svolte per riconosciuti vizi nella formazione della commissione giudicante;
   ed ancora in Toscana dove, con sentenza del tribunale amministrativo regionale del 19 aprile 2013, sono state riconosciute le ragioni dei ricorrenti che adducevano irregolarità nella sostituzione di componenti della commissione giudicante, nonché vizi nella correzione delle prove scritte. L'effetto della sentenza, attualmente sospeso per l'accoglimento di istanza di sospensiva, produrrà l'annullamento della graduatoria di merito, nonché la revoca di tutti i contratti per dirigente scolastico già posti in essere;
   l'8 febbraio 2013 il tribunale amministrativo regionale della Campania ha stabilito la sospensione cautelare degli esami orali, intimando alla direzione scolastica regionale di bloccare le prove e, dunque, accogliendo le ragioni dei ricorrenti;
   identica sorte ha subito il concorso nella regione Abruzzo dove, l'11 luglio 2013, il tribunale amministrativo regionale ha decretato l'annullamento dell'elenco dei candidati ammessi agli orali;
   ancora più grave e clamorosa appare la situazione del concorso svoltosi nella regione Lombardia, dove, con sentenza n. 3747 dell'11 luglio 2013, il Consiglio di Stato ha rigettato l'appello promosso dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avverso alla sentenza del tribunale amministrativo regionale della Lombardia, che aveva annullato il concorso svolto nella medesima regione per violazione del principio dell'anonimato, in conseguenza della ritenuta trasparenza delle buste utilizzate in sede di esame per contenere gli elaborati scritti; si è così determinata l'impossibilità, con grave danno per l'utenza, di poter ricoprire le numerose sedi vacanti con una dirigenza titolare e stabile;
   alla luce di quanto descritto, appare evidente il senso di incertezza e preoccupazione che il mondo della scuola sta vivendo a causa di procedure apparse costellate di errori probabilmente dovuti a qualche leggerezza o superficialità e spesso riconducibili a norme farraginose, che, più che garantire trasparenza e correttezza, sono riuscite a far lievitare il contenzioso ed a creare un grave vulnus che sta seriamente compromettendo la funzionalità di molte scuole, nonché il regolare avvio del prossimo anno scolastico;
   tali episodi appaiono preoccupanti per le conseguenze sia sul piano dei costi per la pubblica amministrazione che per la qualità ed efficienza dei servizi all'utenza, minacciate dall'aggravarsi del disagio di tante scuole (la percentuale di scuole senza dirigente scolastico varia, a seconda delle regioni, dal 25 per cento al 50 per cento) che con fatica cercano di realizzare un minimo di stabilità negli assetti di governo e vengono in tal modo spinte nella più totale incertezza, ulteriormente aggravata dall'impossibilità di garantire stabilità contando sulle figure dei collaboratori del dirigente scolastico, che, dall'anno scolastico 2011/2012, hanno visto fortemente ridotte le possibilità di ottenere esoneri o semiesoneri dall'insegnamento;
   le scuole, e con esse le comunità locali, le famiglie e gli studenti, hanno diritto ad un dirigente scolastico titolare stabile, presente ed efficace, nel pieno delle sue funzioni, perché solo la stabilità garantisce la definizione e l'attuazione di piani formativi di qualità, la verifica e valutazione dei risultati, il sostegno al lavoro dei docenti e, in definitiva, rende la scuola una comunità inclusiva ed aperta al territorio –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per predisporre con urgenza i necessari atti amministrativi e/o normativi che, in questa fase di contenziosi aperti, possano garantire il regolare avvio del prossimo anno scolastico con una dirigenza stabile e adeguatamente coadiuvata dall'attività dei vicari e dei collaboratori del dirigente. (3-00224)


Iniziative per l'erogazione delle risorse previste per il 2013 a favore delle scuole paritarie e politiche di supporto ed implementazione del sistema nazionale integrato d'istruzione – 3-00225

   CENTEMERO e BALDELLI. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'istruzione e la formazione rappresentano ambiti di particolare importanza per ogni Paese, sia per il pieno e consapevole esercizio dei diritti di cittadinanza che per la valorizzazione del capitale umano. A questo scopo, tra i compiti dello Stato vi è quello di tutelare il diritto alla libertà di scelta educativa, diritto riconosciuto nelle Costituzioni e nelle legislazioni della gran parte degli Stati membri del Consiglio d'Europa, compreso il nostro Paese, l'Italia;
   tutto questo è stato chiaramente ribadito nella risoluzione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa n. 1904, F-67075 di Strasburgo, del 4 ottobre 2012, «Il diritto alla libertà di scelta educativa in Europa», la quale, dopo aver ribadito che «in un quadro giuridico nazionale appropriato, le scuole che non sono gestite dallo Stato (di seguito “scuole private”, indipendentemente dalla terminologia e dalle diversità specifiche nei diversi Paesi) possano favorire lo sviluppo di un'educazione di qualità e l'adeguamento dell'offerta formativa alla domanda delle famiglie» raccomanda agli Stati membri del Consiglio d'Europa:
    a) «6.1. di procedere rapidamente all'analisi richiesta per identificare le riforme necessarie a garantire in maniera effettiva il diritto alla libertà di scelta educativa;
    b) 6.2. di assicurare una messa in opera progressiva di queste riforme a ciascun livello di governo (Stato, regioni, enti locali) secondo le proprie competenze in materia, al fine di andare verso miglioramenti sistematici auspicabili in termini ragionevoli e tenendo conto delle implicazioni di disponibilità finanziaria»;
   il rapporto Education at a glance del 2010 evidenzia che nei Paesi Ocse i Governi, a seguito della crisi economica globale, stanno ridefinendo i loro impegni finanziari e l'istruzione è al centro di un rinnovato interesse. Education at a Glance del 2010 prende in esame la seguente questione: in che misura i genitori possono scegliere le scuole dei loro figli. Per quanto concerne la libertà di scelta delle famiglie, il rapporto mette in evidenzia che, oltre alle scuole pubbliche, i Paesi in genere hanno una varietà di istituzioni educative superiore all'Italia. Sono quattro dei cinque Paesi Ocse per i quali i dati sono disponibili, che consentono a scuole private che dipendono dal Governo e a scuole private indipendenti di fornire l'istruzione obbligatoria. La quota di scuole private che dipendono dal Governo supera il 10 per cento in sette Paesi. Tra i sistemi utilizzati per favorire la libertà di scelta vi sono incentivi fiscali come i voucher per la scolarizzazione, soprattutto per gli studenti economicamente svantaggiati, o sgravi fiscali a favore di genitori o famiglie e anche per i privati che danno finanziamenti alle scuole. Il rapporto Ocse mette in evidenza che i finanziamenti pubblici alle scuole dovrebbero essere effettivamente legati al numero di alunni, ossia il finanziamento dovrebbe seguire lo studente per rendere effettiva le libertà di scelta delle famiglie;
   la legge 10 marzo 2000, n. 62, in attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, ha sancito che il nostro è un sistema integrato di istruzione, che comprende scuole statali, scuole paritarie private e comunali, e ha sancito le condizioni per il riconoscimento della parità scolastica tra le scuole statali e le scuole non statali e della funzione pubblica svolta a pieno titolo da queste ultime. Nel sistema nazionale di istruzione, la realizzazione della parità scolastica rappresenta il riconoscimento della libertà di scelta da parte delle famiglie nell'educazione scolastica dei propri figli e dà attuazione a numerosi principi costituzionali;
   la Costituzione, infatti, sancisce all'articolo 3 l'uguaglianza dei cittadini e all'articolo 30 il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. La Repubblica, inoltre, detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato (articolo 33), ossia senza oneri per la loro istituzione, come è chiarito dai dibattiti dell'Assemblea costituente, ma non per il funzionamento;
   il costante richiamo europeo al sostegno di tutti gli istituti pubblici deve far riflettere la nostra società su cosa si intenda per scuola pubblica e per sistema nazionale di istruzione integrato, che forniscono il loro servizio a tante famiglie sul territorio nazionale: in questo contesto, infatti, spesso l'aggettivo «pubblico» non indica ciò che è statale, ma ciò che nasce per il popolo, per tutti. Un servizio è pubblico quando è accessibile a tutti in modo libero, senza preclusione né economica, né sociale, rispetto ai potenziali fruitori;
   il modello europeo conferma la conclusione che la qualifica di «servizio pubblico» non deriva dalla qualifica del «soggetto gestore», bensì dall'intrinseca utilità del servizio stesso, i cui requisiti sono indicati e valutati dallo Stato che ha compiti di controllo del soggetto gestore (enti privati e pubblici) di tale servizio;
   questo principio favorisce nel resto d'Europa la libertà di scelta educativa, da parte delle famiglie, di un servizio educativo pubblico tra una pluralità di gestori accreditati;
   in questo contesto il diritto alla libertà di scelta educativa deve essere assolutamente tutelato, mentre attualmente appare fortemente contratto rispetto ad una situazione di emergenza finanziaria;
   la situazione delle scuole paritarie nel nostro Paese risulta essere particolarmente grave a causa di diversi fattori, tra cui le difficoltà di carattere economico che riguardano molte famiglie e la lentezza dei trasferimenti dei contributi statali e della maggioranza delle amministrazioni regionali e comunali, che generalmente concorrono al sostegno delle scuole paritarie gestite da enti no-profit;
   i circa 500 milioni di euro di finanziamento alle scuole paritarie sono una parte dei 40 miliardi di euro di spesa per la scuola pubblica e rappresentano una piccola parte, che, però, ha una fondamentale importanza, laddove il sistema delle scuole statali non riesce ad arrivare, in particolare sulla scuola dell'infanzia su cui è necessario tornare ad investire;
   le scuole paritarie contano 1.042.000 alunni, ovvero circa il 12 per cento dell'intera popolazione scolastica, e svolgono un ruolo eccellente in termini di servizi educativi;
   anche secondo quanto è emerso dalle recenti dichiarazioni del Ministro interrogato in occasione della presentazione delle linee programmatiche del proprio mandato alle Commissioni riunite istruzione pubblica, beni culturali del Senato della Repubblica e Cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati, occorre salvaguardare il carattere plurale del nostro sistema di istruzione mediante misure volte a tutelare la qualità e l'inclusività anche delle scuole pubbliche paritarie;
   è auspicabile che sia data la giusta attenzione all'indagine conoscitiva, richiesta dal gruppo parlamentare Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente, in Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati, sul sistema scolastico italiano di istruzione e formazione integrato in Italia e in Europa (libertà di scelta, autonomia e qualità) riguardante un'analisi approfondita del sistema nazionale di istruzione e formazione integrato, come designato dalla legge n. 62 del 2000 in un confronto con i sistemi degli altri Stati membri dell'Unione europea;
   il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, all'articolo 2 («riduzione dei costi della politica»), dispone che le regioni riducano i costi collegati agli apparati politici;
   dette riduzioni dovevano essere decise dalle regioni entro il 23 dicembre 2012, ovvero entro il 7 giugno 2013, qualora occorressero modifiche statutarie;
   la disposizione prevede, inoltre, che l'80 per cento dei trasferimenti dovuti a ciascuna regione sia assegnabile ed erogabile solo a condizione che la medesima regione abbia attuato le suddette disposizioni di contenimento dei costi della politica. Sono esclusi dall'applicazione di questa sanzione soltanto gli stanziamenti destinati al servizio sanitario nazionale ed al trasporto pubblico locale;
   risulta che per tali motivi sarebbero stati accantonati circa 160 milioni di euro del fondo destinato ai trasferimenti alle regioni per il sostegno alle scuole paritarie (Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – capitolo di bilancio 1299);
   tale accantonamento riguarderebbe tutte le regioni, anche quelle che hanno effettuato le disposizioni di contenimento dei costi della politica (cioè la maggior parte);
   tale trasferimento non rappresenta un trasferimento effettivo alle regioni, bensì una mera partita di giro verso le quasi 14.000 scuole paritarie, che, come previsto dalla legge di stabilità per il 2013, sanno di poter contare su un contributo complessivo di 502 milioni di euro per il 2013 –:
   se il Governo, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga doveroso procedere con la massima urgenza all'erogazione delle risorse per il 2013, da destinare alle scuole paritarie, che risultano attualmente accantonate, e possa dare avvio a politiche di supporto ed implementazione del sistema nazionale integrato d'istruzione, come previsto dalle normative ed in linea con i Paesi dell'Unione europea, anche attraverso la stabilizzazione, per il prossimo triennio, dei finanziamenti previsti a sostegno delle scuole paritarie del nostro Paese. (3-00225)


Iniziative normative volte ad introdurre il reato di omicidio stradale, garantendo l'effettiva espiazione della pena detentiva in carcere da parte dei responsabili nonché l'applicazione della custodia cautelare in carcere – 3-00226

   RONDINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI e PRATAVIERA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sera di martedì 10 luglio 2013, a mezzanotte circa, la sedicenne Beatrice Papetti, mentre attraversava la strada provinciale Padana Superiore a Gorgonzola, è stata investita da un'auto pirata ad altissima velocità, che ha poi continuato nella sua folle corsa senza fermarsi per prestare soccorso;
   dopo sette giorni di indagini serrate da parte delle forze dell'ordine per individuare l'autore del crimine, che nel frattempo era fuggito e si era nascosto, martedì 16 luglio 2013 El Habib Gabardi, ambulante di 39 anni, separato con un figlio di sette, si è costituito e ha ammesso di essere stato lui a investire la ragazza la notte del 10 luglio;
   i carabinieri di Cassano, impegnati giorno e notte nelle ricerche dell'investitore di Beatrice, con l'ausilio delle altre forze dell'ordine e grazie anche alle riprese effettuate dalle telecamere della zona, erano ormai arrivati a delle perquisizioni in una serie di parcheggi nelle vicinanze di Ornago, in Brianza, poco lontano da Roncello, paese in cui abita El Habib, il quale, dunque, non poteva non esserne a conoscenza, dato il rilievo mediatico della vicenda;
   due giorni dopo che i carabinieri avevano tradotto in carcere El Habib Gabardi, il giudice per le indagini preliminari di Milano, Alessandro Santangelo, dopo l'interrogatorio di garanzia, non ha accolto le richieste del pubblico ministero, che, invece, aveva chiesto che l'uomo venisse tenuto in carcere, e dunque ha concesso all'investitore gli arresti domiciliari;
   tra le motivazioni del giudice per le indagini preliminari di Milano, vi è che non esiste pericolo di inquinamento delle prove e di fuga dell'imputato, il che appare del tutto assurdo considerato il comportamento dell'imputato, che si è dato proprio alla fuga dopo aver investito la ragazza di Gorgonzola e per i successivi giorni, per sottrarsi alle ricerche delle forze dell'ordine, nascondendo anche l'auto in un garage;
   il 39enne marocchino, dunque, dopo due soli giorni a San Vittore, è tornato nella sua casa a due piani, in una tranquilla corte nel centro di Roncello, in Brianza;
   Nerio Papetti, il padre della ragazza, fino ad ora pacato, appresa la notizia degli arresti domiciliari dell'investitore della figlia, ha così commentato: «Le leggi italiane hanno ucciso mia figlia per la seconda volta. È un provvedimento inaccettabile» e tale decisione «vanifica il lavoro di indagine svolto dai carabinieri»;
   la decisione del giudice per le indagini preliminari di Milano ha comunque suscitato rabbia e amarezza non solo nella famiglia della ragazza investita, che ora ha dato mandato all'avvocato Domenico Musicco, presidente dell'Associazione vittime della strada, ma altresì in tutta l'opinione pubblica;
   è del tutto condivisibile il pensiero del padre per cui per tali reati la giusta pena non possa che essere il carcere, anche per scoraggiare in futuro la commissione degli stessi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali interventi e iniziative intenda adottare al riguardo, nel rispetto delle reciproche attribuzioni che la Costituzione assegna ai vari organi costituzionali, e se ritenga opportuno adottare iniziative per introdurre nel nostro ordinamento il reato di omicidio stradale a carico di chi provoca incidenti mortali e di assicurare a chi si macchia di tale reato l'espiazione della pena negli appositi istituti penitenziari, fin dal momento dell'arresto. (3-00226)


Iniziative di competenza per garantire l'effettivo accesso alla giustizia in Campania, in considerazione del processo di riorganizzazione degli uffici giudiziari – 3-00227

   MIGLIORE, SANNICANDRO e DANIELE FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la riforma della geografia giudiziaria, avviata dal Governo Monti, ha condotto ad una profonda razionalizzazione delle strutture giudiziarie sulla base di criteri matematico-statistici che difficilmente tengono conto delle realtà territoriali e, soprattutto, dell'opportunità di far funzionare realmente gli uffici giudiziari;
   in particolare, tale riforma prevede, ai sensi del decreto legislativo n. 155 del 2012, il taglio di ben 31 tribunali e 220 sezioni distaccate di tribunale;
   particolarmente complicata, a seguito della nuova mappatura degli uffici giudiziari, è la situazione che si configura per la Campania, dove si prevede la soppressione di centinaia di uffici – tra cui le sezioni distaccate del tribunale di Napoli istituite a Frattamaggiore, Casoria, Afragola e Marano – con contestuale previsione di messa in opera del tribunale di Napoli Nord, presso la sede monumentale del Castello aragonese di Aversa, a cui verrebbero assegnate tali sezioni distaccate;
   nel dettaglio, si prevede la soppressione delle cosiddette nuove sedi distaccate del tribunale di Napoli, quali: Pozzuoli, aperta solo due anni fa, completamente a norma e ristrutturata; Marano, rispetto al quale sono stati spesi 3 milioni di euro per la messa in sicurezza e a norma (con consegna prevista per fine 2013), i cui ruoli pendenti sono ingenti; Afragola, sede completamente a norma di recentissima costruzione; Frattamaggiore; Casoria, con ingente carico di ruoli; Ischia, con tutti gli intuibili problemi per gli utenti della giustizia derivanti dalla mancanza di un tribunale sull'isola; Portici;
   l'operatività della mutata organizzazione è prevista a partire dal 13 settembre 2013, data a partire dalla quale le udienze dovranno, quindi, celebrarsi nei nuovi uffici giudiziari;
   rispetto alla messa in opera di tale tribunale si nutrono dubbi, in quanto entro il 13 settembre 2013 sembra pressoché impossibile l'organizzazione della sede a norma; senza contare, da un lato, i costi notevoli dell'operazione e, dall'altro il fatto che, trattandosi di un castello, ovvero un bene artistico-storico plurivincolato, è necessario attendere i nulla osta delle varie soprintendenze;
   anche in relazione alle piante organiche, sembra difficile che il Consiglio superiore della magistratura riesca in così breve tempo ad istruirle e pubblicarle prima della suddetta data;
   il presidente del tribunale di Napoli, Alemi, ha chiesto al competente Ministero, nonché al Consiglio superiore della magistratura, una proroga strategica delle sedi di Casoria, Ischia e Marano, in relazione al sovrabbondante carico di ruoli facenti capo ad esse;
   alla luce di quanto rilevato, si paventa, dunque, un collasso del «sistema giustizia» campano, peraltro senza alcun risparmio di risorse economiche, ratio principale della revisione della geografia giudiziaria. E tutto ciò con tutte le intuibili conseguenze negative rispetto al diritto dei cittadini di accedere alla giustizia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire con urgenza, nell'ambito delle proprie competenze, rispetto alla situazione illustrata in premessa, al fine di garantire il regolare esercizio del diritto di accesso alla giustizia in Campania, in particolare adottando disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 155 del 2012 che tengano conto della specificità territoriale e delle esigenze civili della comunità campana. (3-00227)


Iniziative ispettive presso la procura di Varese in relazione al caso di Giuseppe Uva – 3-00228

   FERRARESI, AGOSTINELLI, BONAFEDE, BUSINAROLO, COLLETTI, MICILLO, SARTI, PETRAROLI e TURCO. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2008, Giuseppe Uva e Alberto Biggiogero venivano condotti nella caserma dei carabinieri di Varese, senza alcuna formale attività di polizia e nessun verbale d'arresto, da un'autovettura dei carabinieri sopraggiunta in seguito alla chiamata da parte di alcuni cittadini in merito al disturbo che Uva e Biggiogero stavano arrecando loro per lo spostamento di alcune transenne a seguito dei festeggiamenti per la vittoria dell'Italia;
   in data 14 giugno 2008, successivamente all'intervento dei carabinieri e al ricovero in regime di trattamento sanitario obbligatorio, decedeva a soli 43 anni presso il reparto di psichiatria dell'ospedale di circolo di Varese Giuseppe Uva;
   la procura della Repubblica di Varese iscriveva nel registro delle notizie di reato i medici che avevano preso in cura Giuseppe Uva prima del decesso, dottor Fraticelli e dottor Catenazzi, e ne chiedeva successivamente il rinvio a giudizio per il reato di cui all'articolo 589 del codice penale, omicidio colposo, per errata somministrazione di psicofarmaci;
   a seguito della celebrazione dell'udienza preliminare di cui al suddetto procedimento, su indicazione del giudice, la procura della Repubblica di Varese iscriveva pure, per il medesimo reato, altro medico che era intervenuto nella cura di Giuseppe Uva, dottoressa Finazzi;
   circa il primo procedimento menzionato, il giudice per l'udienza preliminare pronunciava sentenza ex articolo 425 del codice di procedura penale, poi annullata dalla Corte di cassazione, nei confronti del dottor Catenazzi e rinviava a giudizio il dottor Fraticelli;
   il dottor Fraticelli veniva processato dal tribunale di Varese, che, in data 23 aprile 2012, nella persona del giudice, dottor Orazio Muscato, pronunciava la sentenza n. 498 del 2012, con la quale assolveva il dottor Fraticelli con la formula «perché il fatto non sussiste» e ordinava «la trasmissione degli atti al pubblico ministero in sede con riferimento agli accadimenti occorsi tra l'intervento dei carabinieri e l'ingresso di Giuseppe Uva al pronto soccorso dell'ospedale di Varese», con ciò escludendo che la causa della morte di Giuseppe Uva potesse ravvisarsi nelle condotte dei medici che lo avevano preso in cura dopo il suo ingresso in ospedale e ritenendo che si dovessero, invece, vagliare le condotte di tutti i soggetti che erano intervenuti dopo il suo arresto e fino al suo ingresso in ospedale;
   già dal settembre 2009, la procura della Repubblica di Varese aveva aperto un ulteriore fascicolo rubricato al n. 5509/2009, che dovrebbe avere ad oggetto le circostanze che hanno condotto alla morte di Giuseppe Uva, con particolare riferimento a quanto occorso prima del suo ingresso in ospedale;
   secondo il tribunale di Varese: «Va rimarcato con chiarezza come costituisca un legittimo diritto dei congiunti di Uva Giuseppe – innanzitutto sul piano dei più elementari sentimenti propri della specie umana – conoscere, dopo quasi quattro anni, se negli accadimenti intervenuti antecedentemente all'ingresso del loro congiunto in ospedale siano ravvisabili profili di reato; e ciò tenuto conto che permangono ad oggi ignote le ragioni per le quali Uva Giuseppe – nei cui confronti non risulta essere stato redatto un verbale di arresto o di fermo, mentre sarebbe stata operata una semplice denuncia per la contravvenzione di cui all'articolo 659 del codice penale – è stato prelevato e portato in caserma, così come tuttora sconosciuti rimangono gli accadimenti intervenuti all'interno della stazione dei carabinieri di Varese (certamente concitati, se è vero che sul posto confluirono anche alcune volanti della polizia) ed al cui esito Uva – che mai in precedenza aveva manifestato problemi di natura psichiatrica – verrà ritenuto necessitare di un intervento particolarmente invasivo quale il trattamento sanitario obbligatorio»;
   nel suddetto procedimento non è stato mai ascoltato dal pubblico ministero titolare dell'indagine, dottor Agostino Abate, Alberto Biggiogero, condotto in caserma insieme a Giuseppe Uva, il quale ha, fin dal giorno successivo alla morte di Giuseppe, formalmente denunciato di aver sentito le sue grida atroci provenire dalla stanza dove era stato rinchiuso, tanto da chiamare dalla stessa caserma il 118 per chiedere un intervento, successivamente negato, per ordine proveniente dalla stessa caserma dei carabinieri;
   senz'altro, a tutt'oggi, i congiunti di Giuseppe Uva non hanno ricevuto alcun avviso di richiesta di archiviazione del pubblico ministero dottor Abate che consenta di sottoporre ad un giudice per le indagini preliminari, come da disposizioni di codice, la fondatezza di una sua richiesta di archiviazione per le notizie di reato in ordine al trattenimento in caserma;
   per converso, nell'ambito del fascicolo 5509/09, a fine marzo 2013, il dottor Abate ha comunicato la conclusione delle sue indagini per reati di diffamazione a carico di Lucia Uva, nonché di responsabili della trasmissione televisiva «Le Iene»;
   la nipote di Giuseppe Uva, Angela De Milato, ha successivamente sporto una denuncia innanzi alla procura di Brescia nei confronti del dottor Abate per le condotte tenute in relazione al fascicolo 5509/09, denunciando un'illecita «cestinazione» delle notizie di reato inerenti quanto occorso in caserma, senza la dovuta sottoposizione al giudice per le indagini preliminari degli esiti delle indagini compiute sul punto dalla procura, così di fatto integrando condotte di abuso d'ufficio e favoreggiamento nei confronti dei soggetti che potenzialmente potrebbero essere sottoposti ad indagini;
   in data 16 giugno 2014, interverrà la prescrizione dei reati, inerenti la fase di trattenimento di Giuseppe Uva prima dell'ingresso in pronto soccorso, ipotizzati nella denuncia delle sorelle di Giuseppe Uva: arresto illegale ex articolo 606 del codice penale, omicidio colposo, lesioni personali aggravate dalla qualifica di pubblico ufficiale, violenza privata;
   la procura generale della Repubblica presso la corte d'appello di Milano ha respinto l'istanza di avocazione presentata dall'avvocato Fabio Anselmo nell'interesse delle signore Angela De Milito, Lucia Uva, Carmela Uva e Maria Altomare Uva nell'ambito del procedimento penale n. 5509/2009, a fronte dell'iscrizione nel registro degli indagati della signora Lucia Uva e dei responsabili della trasmissione «Le Iene»;
   la morte di Giuseppe Uva resta tuttora senza colpevoli, in quanto il giudice per l'udienza preliminare di Varese, Giuseppe Fazio, il 16 aprile 2013 ha prosciolto il dottor Matteo Catenazzi e assolto la dottoressa Enrica Finazzi dall'accusa di omicidio colposo;
   il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Battarino, in data 20 luglio 2013, non ha accolto la richiesta di archiviazione depositata dal pubblico ministero Abate in data 29 giugno 2013, rilevando altresì all'interno del decreto che:
    a) la richiesta del pubblico ministero risulta ricca di rilievi pesantemente critici dell'operato del giudice nella sentenza 498 del 23 aprile 2012, ma non è assistita «dal supporto di indagini diverse e successive rispetto a quelle compiute nel procedimento che ha dato luogo all'assoluzione citata e alla trasmissione di notizia di reato alla procura della Repubblica di Varese»;
    b) «l'iscrizione delle persone asseritamente presenti all'interno della caserma dei carabinieri, per le quali ora si chiede l'archiviazione, è avvenuta solo il 7 maggio 2013», ovvero dopo 5 anni dalla morte di Giuseppe Uva, e ricorda che «l'iscrizione degli indagati nel registro delle notizie di reato è dovere ineludibile e immediato imposto dall'articolo 335 del codice di procedura penale»;
    c) «la stessa qualificazione giuridica dei fatti, risultante dall'iscrizione delle persone asseritamente presenti all'interno della caserma dei carabinieri come indagati per mere lesioni personali semplici, contraddice gli esiti argomentativi della sentenza n. 498/2012» (dove si assolve il medico Fraticelli, sentenza confermata anche dalla sentenza della corte d'appello) e risulta, quindi, «apodittica, a fronte di un evento – la morte di Giuseppe Uva – da ritenersi allo stato privo di spiegazione giudizialmente accertata» –:
   se non reputi necessario assumere iniziative ispettive presso la procura di Varese ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di competenza, ivi compresa la promozione dell'azione disciplinare. (3-00228)


Misure per garantire la sicurezza degli agenti di polizia penitenziaria, anche in relazione alla carenza di personale e alla questione del sovraffollamento carcerario – 3-00229

   BINETTI, MARAZZITI, SANTERINI e PIEPOLI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto denunciato dal sindacato di polizia penitenziaria Sappe, si è verificata nei giorni scorsi una nuova aggressione nel carcere di Rebibbia nei confronti di un ispettore e due agenti di polizia penitenziaria da parte di una detenuta (per la quale era stata disposta la sorveglianza a vista), che si rifiutava di tornare in cella;
   questo ennesimo episodio di violenza aggrava una situazione già estremamente complessa: la carenza di personale e il costante sovraffollamento (la struttura romana è la più grande della regione, ospitando 1.758 detenuti), con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in istituti affollati oltre ogni limite e soprattutto di chi in quei luoghi deve lavorare, sono concause dei numerosissimi fatti di violenza registrati negli ultimi anni;
   spesso, come a Rebibbia, il personale di polizia penitenziaria è stato ed è lasciato da solo a gestire quotidianamente all'interno delle prigioni italiane moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione;
   il carcere è una primaria esigenza di ciascuna società e bisogna rivolgere particolare attenzione al ruolo della polizia all'interno della casa circondariale, una risorsa primaria e strategica per il reintegro del detenuto e del suo diritto alla tutela della salute –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire tempestivamente, al fine di garantire adeguata sicurezza agli agenti ed alle strutture in cui essi operano. (3-00229)


Intendimenti del Governo in merito a recenti sviluppi della vicenda di Cesare Battisti – 3-00230

   GIORGIA MELONI e RAMPELLI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riferito il 28 giugno 2013 da alcune agenzie di informazione giornalistica, l'ex terrorista italiano Cesare Battisti rischierebbe l'espulsione dal Brasile a causa di una condanna, inflittagli in quel Paese, per uso di falsi timbri sul passaporto;
   come noto, Cesare Battisti, all'epoca appartenente al gruppo terrorista Proletari armati per il comunismo, nel nostro Paese è stato condannato all'ergastolo, con sentenze passate in giudicato, per quattro omicidi avvenuti tra il 1978 e il 1979;
   Battisti, già arrestato nel 1979 in Italia, riuscì ad evadere dal carcere nel 1981 e da allora ha trascorso la sua latitanza tra la Francia, il Messico ed il Brasile, dove è stato nuovamente arrestato nel marzo del 2007, a conclusione di un procedimento di indagini congiunte tra la polizia francese e i carabinieri del raggruppamento operativo speciale;
   la richiesta di estradizione per Battisti, presentata dal Governo italiano a quello brasiliano nel 2008, è stata, tuttavia, respinta e la relativa procedura archiviata, a fronte del fatto che le autorità governative brasiliane avevano deciso di accordare a Battisti lo status di rifugiato politico;
   il rifiuto opposto dalle autorità brasiliane alla richiesta di estradizione aveva determinato un moto di forte indignazione in tutto il Paese, anche a causa della motivazione del diniego, cioè il «fondato timore di persecuzione del Battisti per le sue idee politiche» –:
   se il Governo sia informato di quanto riportato dalla stampa e quali urgenti provvedimenti intenda assumere nel caso Battisti sia espulso dal Brasile affinché sia finalmente consegnato alla giustizia italiana per scontare la sua pena. (3-00230)