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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 26 giugno 2013

TESTO AGGIORNATO AL 24 LUGLIO 2013

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 26 giugno 2013.

  Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Bergamini, Berretta, Biancofiore, Bocci, Boccia, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Bueno, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Centemero, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Gianni Farina, Fassina, Fedi, Ferranti, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Kyenge, La Marca, La Russa, Legnini, Letta, Lombardi, Lorenzin, Lupi, Merlo, Meta, Migliore, Nissoli, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Porta, Realacci, Rigoni, Sani, Santelli, Sereni, Simoni, Sorial, Speranza, Vezzali, Vito.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Ascani, Baldassarre, Baretta, Bergamini, Berretta, Biancofiore, Bocci, Boccia, Bonomo, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Bueno, Calabria, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Centemero, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Lello, Luigi Di Maio, Epifani, Gianni Farina, Fassina, Fedi, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Kyenge, La Marca, La Russa, Lattuca, Legnini, Letta, Lombardi, Lorenzin, Lupi, Antonio Martino, Merlo, Meta, Migliore, Nissoli, Orlando, Pannarale, Pisicchio, Pistelli, Porta, Quartapelle Procopio, Realacci, Ricciatti, Rigoni, Rostellato, Sani, Santelli, Schullian, Sereni, Simoni, Sorial, Speranza, Vezzali, Vito.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 25 giugno 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
  FAENZI e PARISI: «Interventi in favore delle aree della regione Toscana colpite da eventi alluvionali nei giorni dal 10 al 13 novembre e nei giorni 27 e 28 novembre 2012» (1261);
  NASTRI: «Modifica dell'articolo 117-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, concernente il contratto dell'apertura di credito bancario e la nullità delle clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto» (1262);
  NASTRI: «Introduzione degli articoli 186-ter, 186-quater e 186-quinquies del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di guida sotto l'influsso di bevande alcoliche» (1263);
  D'UVA ed altri: «Modifiche alla legge 20 maggio 1985, n. 222, concernenti la destinazione della quota dell'otto per mille del gettito dell'imposta sul reddito delle persone fisiche a diretta gestione statale e l'obbligo di informazione, divulgazione e propaganda da parte dello Stato» (1264);
  MONGIELLO: «Istituzione dei gruppi di promozione del turismo nelle regioni del Mezzogiorno d'Italia» (1265);
  MARZANO ed altri: «Modifiche alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante norme in materia di procreazione medicalmente assistita» (1266);
  MINARDO: «Disposizioni concernenti la tracciabilità dei prodotti agricoli e agroalimentari per la tutela del consumatore e il contrasto della contraffazione dei prodotti nazionali» (1267);
  DE MENECH: «Disposizioni per l'elezione diretta dei presidenti e dei consigli delle province interamente montane» (1268);
  MERLO e BORGHESE: «Modifica all'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di reintegrazione della cittadinanza in favore delle donne che l'hanno perduta a seguito del matrimonio con uno straniero e dei loro discendenti» (1269).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

  La proposta di legge FERRANTI ed altri: «Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili» (331) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Basso.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  GRASSI ed altri: «Ineleggibilità dei titolari di altri incarichi elettivi o di governo a livello europeo, nazionale, regionale, provinciale e comunale» (682).

   II Commissione (Giustizia):
  FIANO ed altri: «Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di discriminazione razziale, e nuove norme in materia di discriminazioni motivate dall'identità di genere, dall'orientamento sessuale o dalla disabilita delle persone» (280) Parere delle Commissioni I, XII e XIV;
  GRASSI ed altri: «Riconoscimento giuridico di diritti, responsabilità e facoltà alle persone che fanno parte di unioni di fatto e delega al Governo per la disciplina della successione tra le medesime» (684) Parere delle Commissioni I, V, VIII, XI e XII;
  COLLETTI ed altri: «Modifica dell'articolo 145 del codice di procedura civile, concernente la notificazione degli atti alle persone giuridiche» (1032) Parere delle Commissioni I, V e X.

   VII Commissione (Cultura):
  OLIVERIO ed altri: «Norme per la salvaguardia, il restauro e la valorizzazione del percorso storico-artistico denominato “Itinerario basiliano”» (473) Parere delle Commissioni I, V, VIII, X e XIII.

   XI Commissione (Lavoro):
  GEBHARD ed altri: «Disposizioni in favore delle madri lavoratrici in materia di età pensionabile» (115) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria) e XII;
  DAMIANO ed altri: «Modifiche al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, concernenti la costituzione di fondi di riserva presso le forme pensionistiche complementari» (534) Parere delle Commissioni I, V, VI e XIV;
  DAMIANO ed altri: «Modifica dell'articolo 3 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 479, concernente l'ordinamento e la struttura organizzativa dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, nonché delega al Governo per il riordino degli organi collegiali territoriali dei medesimi enti» (556) Parere delle Commissioni I, V e X;
  FEDRIGA ed altri: «Modifiche all'articolo 11 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, concernente le deduzioni agli effetti dell'imposta regionale sulle attività produttive, all'articolo 5 della legge 8 marzo 2000, n. 53, concernente i congedi per la formazione, in favore dei lavoratori studenti, nonché all'articolo 4 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, in materia di diritto degli studenti stranieri agli studi universitari» (671) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), X, XII e XIV;
  ELVIRA SAVINO: «Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, concernenti l'indennità di maternità e l'introduzione del congedo di paternità obbligatorio» (820) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), X e XII.

   XIII Commissione (Agricoltura):
  CATANOSO GENOESE: «Riordino delle competenze del Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agro-alimentari e disposizioni per la razionalizzazione e il potenziamento dei controlli nel settore agroalimentare» (336) Parere delle Commissioni I, II, IV, V, VI, X, XI, XII e XIV.

Adesione di deputati ad una proposta di modificazione al Regolamento.

  La proposta di modificazione al Regolamento, Doc. II, n. 3: «Articolo 22: modifica della denominazione della XII Commissione permanente», presentata dal deputato Lenzi (annunziata nella seduta del 18 giugno 2013), è stata successivamente sottoscritta anche dai deputati AMATO, BIONDELLI, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, GRASSI, IORI, MIOTTO, SCUVERA.

Comunicazioni di nomine ministeriali.

  Il Ministero della giustizia, con lettera in data 20 giugno 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento al dottor Marco Mancinetti, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di direttore della Direzione generale della giustizia civile, nell'ambito del Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia.

  Tale comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla II Commissione (Giustizia).

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 24 giugno 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente la revoca dell'incarico di livello dirigenziale generale, conferito al dottor Enrico Martino, di direttore della Direzione relazioni internazionali, nell'ambito del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze.

  Tale comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla VI Commissione (Finanze).

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 24 giugno 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le comunicazioni concernenti il conferimento al dottor Felice Assenza, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di direttore ad interim della Direzione generale degli affari generali, delle risorse umane e per i rapporti con le regioni e gli enti territoriali, nell'ambito del Dipartimento delle politiche competitive, della qualità agroalimentare e della pesca del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, e la revoca del medesimo incarico al dottor Stefano Vaccari.

  Tali comunicazioni sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla XIII Commissione (Agricoltura).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE FERRANTI ED ALTRI; COSTA: DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI PENE DETENTIVE NON CARCERARIE E DISPOSIZIONI IN MATERIA DI SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON MESSA ALLA PROVA E NEI CONFRONTI DEGLI IRREPERIBILI (A.C. 331-927-A)

A.C. 331-A – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

Capo I
DELEGA AL GOVERNO

Art. 1.
(Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie).

  1. Il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per l'introduzione delle pene detentive non carcerarie nel codice penale e nella normativa complementare con le modalità e nei termini previsti dai commi 2 e 3 e nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
   a) prevedere, tra le pene principali, la reclusione e l'arresto presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, di seguito denominato «domicilio», di durata continuativa o per singoli giorni della settimana o per fasce orarie;
   b) prevedere che, per i delitti puniti con la reclusione fino a sei anni, il giudice, tenuto conto dei criteri indicati dall'articolo 133 del codice penale, possa applicare la reclusione presso il domicilio in misura corrispondente alla pena irrogata;
   c) prevedere che, per le contravvenzioni punite con la pena dell'arresto, sola o congiunta alla pena pecuniaria, la pena detentiva principale sia, in via alternativa e tenuto conto dei criteri indicati dall'articolo 133 del codice penale, anche l'arresto presso il domicilio, in misura non inferiore a cinque giorni e non superiore a tre anni;
   d) prevedere che, nei casi indicati nelle lettere b) e c), il giudice possa prescrivere l'utilizzo delle particolari modalità di controllo di cui all'articolo 275-bis del codice di procedura penale;
   e) prevedere che le disposizioni di cui alle lettere b) e c) non si applichino nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale;
   f) prevedere che, nella fase dell'esecuzione della pena, il giudice sostituisca le pene previste nelle lettere b) e c) con le pene della reclusione o dell'arresto, qualora non risulti disponibile un domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato ovvero il comportamento del condannato, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, risulti incompatibile con la prosecuzione delle stesse, anche sulla base delle esigenze di tutela della persona offesa dal reato;
   g) prevedere che, per la determinazione della pena agli effetti dell'applicazione della reclusione e dell'arresto presso il domicilio, si applichino i criteri di cui all'articolo 278 del codice di procedura penale;
   h) prevedere l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 385 del codice penale nei casi di allontanamento non autorizzato del condannato dal domicilio di cui alle lettere b) e c);
   i) coordinare la disciplina delle pene detentive non carcerarie con quella delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, anche modificando, ove necessario, i presupposti applicativi di queste ultime, ovvero sopprimendo, anche in parte, le stesse, al fine di razionalizzare e graduare il sistema delle pene e delle sanzioni sostitutive in concreto applicabili dal giudice di primo grado;
   l) coordinare la disciplina delle pene detentive non carcerarie con quella delle misure alternative alla detenzione previste dal vigente ordinamento penitenziario, anche alla luce delle modifiche intervenute con la legge 26 novembre 2010, n. 199, nonché con la disciplina dettata dal testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313.

  2. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono adottati entro il termine di otto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Gli schemi dei decreti legislativi, a seguito di deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alle Camere per l'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti possono essere emanati anche in mancanza dei predetti pareri. Qualora tale termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal primo periodo o successivamente, la scadenza di quest'ultimo è prorogata di sessanta giorni. Nella redazione dei decreti legislativi di cui al presente comma il Governo tiene conto delle eventuali modificazioni della normativa vigente comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega. I predetti decreti legislativi contengono, altresì, le disposizioni necessarie al coordinamento con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia.
  3. Entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti legislativi di cui al presente articolo possono essere emanati uno o più decreti legislativi correttivi e integrativi, con il rispetto del procedimento di cui al comma 2.
  4. Dall'attuazione della delega di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
  5. Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono ai compiti derivanti dall'attuazione della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

A.C. 331-A – Proposte emendative

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO 1 DEL TESTO UNIFICATO

ART. 1.
(Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie).

  Sopprimerlo.
*1. 2. Ferraresi, Colletti, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Micillo, Sarti.

  Sopprimerlo.
*1. 10. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Sopprimerlo.
*1. 70. Cirielli.

  Al comma 1, sopprimere le lettere a), b) e c).

  Conseguentemente, al medesimo comma:
   lettera
d), sopprimere le parole: nelle lettere b) e c);
   lettera
e), sopprimere le parole: di cui alle lettere b) e c);
   lettera
f), sopprimere le parole: nelle lettere b) e c);
   lettera
h), sopprimere le parole: di cui alle lettere b) e c).
1. 200. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, sopprimere la lettera a).
1. 203. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera a), sostituire le parole: tra le pene principali con le seguenti: come misura alternativa.
1. 201. Colletti, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Micillo, Sarti, Ferraresi.

  Al comma 1, lettera a), sopprimere la parole: principali.
1. 202. Colletti, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Micillo, Sarti, Ferraresi.

  Al comma 1, lettera a), sopprimere le parole: o per singoli giorni della settimana o per fasce orarie.
*1. 300. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera a), sopprimere le parole: o per singoli giorni della settimana o per fasce orarie.
*1. 301. Colletti, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Micillo, Sarti.

  Al comma 1, lettera a), aggiungere, in fine, le parole:, in ogni caso in misura non inferiore a centottanta giorni.
1. 204. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera a), aggiungere, in fine, le parole:, in ogni caso in misura non inferiore a novanta giorni.
1. 205. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera a), aggiungere, in fine, le parole:, in ogni caso in misura non inferiore a sessanta giorni.
1. 206. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera a), aggiungere, in fine, le parole:, in ogni caso in misura non inferiore a quarantacinque giorni.
1. 207. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera a), aggiungere, in fine, le parole:, in ogni caso in misura non inferiore a trenta giorni.
1. 208. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera b), sostituire le parole: sei anni con le seguenti: un anno.
*1. 24. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), sostituire le parole: sei anni con le seguenti: un anno.
*1. 209. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), sostituire le parole: sei anni con le seguenti: due anni.
**1. 23. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera b), sostituire le parole: sei anni con le seguenti: due anni.
**1. 210. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), sostituire le parole: sei anni con le seguenti: tre anni.
*1. 3. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), sostituire le parole: sei anni con le seguenti: tre anni.
*1. 22. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), sostituire le parole: sei anni con le seguenti: quattro anni.
**1. 211. Colletti, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Micillo, Sarti, Ferraresi.

  Al comma 1, lettera b), sostituire le parole: sei anni con le seguenti: quattro anni.
**1. 212. Cirielli.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 280-bis, 283, 289, 304, 316, 316-ter, 318, 323, 336, 337, 343, 346-bis, 353, 356, 368, primo comma, 372, 373, 374-bis, 388, 388-ter, 414, 420, 423-bis, 424, 429, primo comma, 431, primo comma, 432, 433, 434, primo comma, 435, 474, 476, primo comma, 478, 556, 564, 572, primo comma, 588, secondo comma, 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies, 610, 612-bis, 614, 624, 624-bis, primo e secondo commi, 633, 635-quater, 640 e 648, secondo comma, del codice penale, 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, 6, comma 3, 12, comma 1, e 22, comma 12, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, 2, comma 1, 3, comma 1, e 8, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
1. 255. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 280-bis, 283, 289, 304, 316, 316-ter, 318, 323, 336, 337, 343, 346-bis, 353, 356, 368, primo comma, 372, 373, 374-bis, 388, 388-ter, 414, 420, 423-bis, 424, 429, primo comma, 431, primo comma, 432, 433, 434, primo comma, 435, 474, 476, primo comma, 478, 556, 564, 572, primo comma, 588, secondo comma, 624-bis, primo e secondo commi, 635-quater, 640 e 648, secondo comma, del codice penale, 6, comma 3, 12, comma 1, e 22, comma 12, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, 2, comma 1, 3, comma 1, e 8, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
1. 256. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 280-bis, 283, 289, 304, 336, 337, 343, 346-bis, 353, 356, 368, primo comma, 372, 373, 374-bis, 414, 420, 423-bis, 429, primo comma, 431, primo comma, 432, 433, 434, primo comma, 435, 476, primo comma, 556, 564, 572, primo comma, 588, secondo comma, 612-bis, 624-bis, primo e secondo commi, 635-quater e 648, secondo comma, del codice penale, 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, 6, comma 3, 12, comma 1, e 22, comma 12, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, 2, comma 1, 3, comma 1, e 8, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
1. 257. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 280-bis, 283, 289, 304, 336, 337, 343, 346-bis, 353, 356, 368, primo comma, 372, 373, 374-bis, 414, 420, 423-bis, 429, primo comma, 431, primo comma, 432, 433, 434, primo comma, 435, 476, primo comma, 556, 564, 572, primo comma, 588, secondo comma, 612-bis, 624-bis, primo e secondo commi, 635-quater e 648, secondo comma, del codice penale, 6, comma 3, 12, comma 1, e 22, comma 12, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, 2, comma 1, 3, comma 1, e 8, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
1. 258. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 316, 316-ter, 318, 323, 346-bis, 388, 388-ter, 420, 423-bis, 424, 478, 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies, 610, 612-bis, 614, 624, 624-bis, primo e secondo commi, 633, 640 del codice penale, 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, 6, comma 3, 12, comma 1, e 22, comma 12, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
1. 259. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 316, 316-ter, 318, 323, 346-bis, 388, 388-ter, 420, 424, 474, 478, 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies, 610, 612-bis, 614, 624, 624-bis, primo e secondo comma, 633, 640 del codice penale e 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
1. 260. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 316, 316-ter, 318, 323, 346-bis, 388, 388-ter, 420, 424, 474, 478, 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies, 610, 612-bis, 614, 624, 633, 640 del codice penale e 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
1. 261. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 316, 316-ter, 318, 323, 346-bis, 388, 388-ter, 420, 424, 474, 478, 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies, 610, 612-bis, 614, 624, 633 e 640 del codice penale.
1. 262. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 316, 316-ter, 318, 323, 346-bis, 388 e 388-ter del codice penale.
1. 267. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 346-bis, 420, 424, 474, 478, 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies, 610, 612-bis, 614, 624, 633 e 640 del codice penale.
1. 263. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 346-bis, 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies e 612-bis del codice penale.
1. 273. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 346-bis, 612-bis, 624-bis, primo e secondo comma, del codice penale e 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285,
1. 278. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 346-bis e 612-bis del codice penale e 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285,
1. 283. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 346-bis e 612-bis del codice penale,.
*1. 284. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 346-bis e 612-bis del codice penale,.
*1. 285. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, esclusi i delitti di cui agli articoli 390, 412, 572, 609-quinquies, 612 e 612-bis del codice penale, nonché per i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, per delitti previsti dal libro II, titolo XII, Capo III, sezione I del codice penale.
1. 268. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies, 610, 612-bis, 614, 624, 633 e 640 del codice penale.
1. 264. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies, 610, 612-bis, 614, 624 e 640 del codice penale.
1. 265. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies, 610, 612-bis e 624-bis, primo e secondo comma, del codice penale.
1. 270. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies, 610 e 612-bis del codice penale.
1. 271. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 600-ter, quarto comma, 600-quater, 600-octies e 612-bis del codice penale.
1. 276. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 610, 612-bis, 614, 624, 633 e 640 del codice penale e 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285,.
1. 269. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 612-bis, 624, 624-bis, primo e secondo comma, del codice penale, 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, 2, comma 1, 3, comma 1, e 8, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
1. 266. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 612-bis e 624-bis, primo e secondo comma, del codice penale, 2, comma 1, 3, comma 1, e 8, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
1. 275. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 612-bis del codice penale, 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, 2, comma 1, 3, comma 1, e 8, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
1. 272. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 2, comma 1, 3, comma 1, e 8, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, e 73, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
1. 279. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 6, comma 3, 12, comma 1, e 22, comma 12, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,
1. 280. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti dei reati di cui agli articoli 2, comma 1, 3, comma 1, e 8, comma 1, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74,
1. 281. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, esclusi i delitti di cui agli articoli 612-bis e i delitti di cui all'articolo 624 del codice penale, come aggravato dall'articolo 625, primo comma, numeri 4) e 7).
1. 282. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 316 del codice penale,.
1. 286. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 316-ter del codice penale,.
1. 287. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 318 del codice penale,.
1. 288. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 323 del codice penale,.
1. 289. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 346-bis del codice penale,.
1. 290. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 388 del codice penale,.
1. 291. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 388-ter del codice penale,.
1. 292. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, esclusi i delitti di cui all'articolo 390 del codice penale,.
1. 293. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, esclusi i delitti di cui all'articolo 412 del codice penale,.
1. 294. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 420 del codice penale,.
1. 295. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 424 del codice penale,.
1. 296. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 474 del codice penale,.
1. 297. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 478 del codice penale,.
1. 298. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 600-bis, secondo comma, del codice penale,.
1. 299. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 600-ter, quarto comma, del codice penale,.
1. 350. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 600-quater del codice penale,.
1. 351. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 600-octies del codice penale,.
1. 302. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 610 del codice penale,.
1. 303. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 612-bis del codice penale,.
*1. 304. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 612-bis del codice penale,.
*1. 305. Colletti, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Micillo, Sarti, Ferraresi.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 614 del codice penale,.
1. 306. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 624 del codice penale,.
1. 307. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 633 del codice penale,.
1. 308. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 640 del codice penale,.
1. 309. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, salvo che si tratti del reato di cui all'articolo 189, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285,
1. 310. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, esclusi i delitti di cui all'articolo 3 della legge 18 aprile 1975, n. 110,
1. 311. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, lettera b), dopo le parole: sei anni aggiungere le seguenti:, esclusi i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354,
1. 312. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, lettera b), dopo la parola: possa aggiungere la seguente: anche.
1. 213. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera b), dopo la parola: applicare aggiungere le seguenti:, come misura alternativa alla pena principale,
1. 214. Colletti, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Micillo, Sarti, Ferraresi.

  Al comma 1, lettera b), aggiungere, in fine, le parole: con previsione dell'obbligo di prestare, per il condannato, un lavoro di pubblica utilità non retribuito.
1. 215. Ferraresi, Colletti, Turco, Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Micillo, Sarti.

  Al comma 1, dopo la lettera b), aggiungere la seguente:
   b-bis)
la pena di cui alla lettera b) si calcola ai sensi dell'articolo 157, secondo comma, del codice penale.
1. 216. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, lettera c), dopo le parole: dell'arresto aggiungere le seguenti: non superiore nel massimo a mesi otto.
1. 219. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera c), dopo le parole: dell'arresto aggiungere le seguenti: non superiore nel massimo a mesi nove.
*1. 20. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera c), dopo le parole: dell'arresto aggiungere le seguenti: non superiore nel massimo a mesi nove.
*1. 218. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera c), dopo le parole: dell'arresto aggiungere le seguenti: non superiore nel massimo ad anni uno.
**1. 21. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera c), dopo le parole: dell'arresto aggiungere le seguenti: non superiore nel massimo ad anni uno.
**1. 220. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera c), sopprimere la parola: principale.
1. 217. Colletti, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Micillo, Sarti, Ferraresi.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni e non superiore a tre anni con le seguenti: trenta giorni e non superiore a sei anni.
1. 221. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: un anno.
1. 222. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: undici mesi.
1. 223. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: dieci mesi.
1. 224. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: nove mesi.
1. 225. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: otto mesi.
1. 226. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: sette mesi.
1. 227. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: sei mesi.
*1. 67. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: sei mesi.
*1. 228. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: cinque mesi.
**1. 66. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: cinque mesi.
**1. 229. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: quattro mesi.
*1. 65. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: quattro mesi.
*1. 230. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: tre mesi.
**1. 64. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: tre mesi.
**1. 231. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: due mesi.
*1. 63. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: due mesi.
*1. 232. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: trenta giorni.
**1. 62. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: trenta giorni.
**1. 233. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera c), sostituire le parole: cinque giorni con le seguenti: quindici giorni.
1. 234. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, dopo la lettera c), aggiungere la seguente:
   c-bis)
prevedere che le disposizioni di cui alle lettere b) e c) non si applichino qualora:
    1) la reclusione o l'arresto presso il domicilio non siano idonei a evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati;
    2) la reclusione o l'arresto presso il domicilio possano ledere le esigenze di tutela delle persone offese dal reato.

*1. 68. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, dopo la lettera c), aggiungere la seguente:

  c-bis) prevedere che le disposizioni di cui alle lettere b) e c) non si applichino qualora:
   1) la reclusione o l'arresto presso il domicilio non siano idonei a evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati;
   2) la reclusione o l'arresto presso il domicilio possano ledere le esigenze di tutela delle persone offese dal reato.
*1. 235. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, sopprimere la lettera d).
1. 5. Colletti, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Micillo, Sarti, Ferraresi.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99,
*1. 15. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99,
*1. 236. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99,
*1. 237. Cirielli.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, primo comma,
1. 240. Cirielli.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, secondo comma,
*1. 16. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, secondo comma,
*1. 238. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, secondo comma,
*1. 241. Cirielli.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, terzo comma,
**1. 17. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, terzo comma,
**1. 239. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, terzo comma,
**1. 242. Cirielli.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, quarto comma,
*1. 18. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, quarto comma,
*1. 69. Cirielli.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, quarto comma,
*1. 243. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, quinto comma,
**1. 19. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, lettera e), dopo la parola: articoli aggiungere la seguente: 99, quinto comma,
**1. 244. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera e), aggiungere, in fine, le parole:, nonché i delitti di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354.
1. 245. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, dopo la lettera e), aggiungere la seguente:

  e-bis) prevedere l'estensione del divieto di applicazione della detenzione domiciliare di cui alle lettere b) e c), ai condannati per delitti commessi ai sensi degli articoli 572, 609 e 612-bis del codice penale
1. 249. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, dopo la lettera e) aggiungere la seguente:
  e-bis)
prevedere l'estensione del divieto di applicazione della detenzione domiciliare di cui alle lettere b) e c), ai condannati per delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, e per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, per delitti previsti dal libro II, titolo XII, Capo III, sezione I del medesimo codice.
1. 250. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, lettera f), sopprimere le parole: non risulti disponibile un domicilio idoneo ad assicurare la custodia del condannato ovvero”.

  Conseguentemente, alla medesima lettera, aggiungere, in fine, le seguenti parole:. Qualora invece non risulti disponibile un domicilio idoneo ad assicurare la custodia, il giudice effettua la segnalazione al comune di residenza o di domicilio, riservandosi l'attivazione delle pene previste alle lettere b) e c) non appena avuta conferma di una soluzione abitativa.
1. 251. Carnevali.

  Al comma 1, sopprimere la lettera g).
*1. 13. Molteni, Attaguile, Fedriga, Gianluca Pini, Matteo Bragantini.

  Al comma 1, sopprimere la lettera g).
*1. 246. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, lettera g), dopo le parole: si applichino aggiungere le seguenti:, salvo tenere conto della continuazione, della recidiva, delle circostanze aggravanti del reato e non delle circostanze di cui agli articoli 62 e 62-bis del codice penale, e in quanto compatibili,.
**1. 14. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

  Al comma 1, lettera g), dopo le parole: si applichino aggiungere le seguenti:, salvo tenere conto della continuazione, della recidiva, delle circostanze aggravanti del reato e non delle circostanze di cui agli articoli 62 e 62-bis del codice penale, e in quanto compatibili,.
**1. 247. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, dopo la lettera g), aggiungere la seguente:
  g-bis)
prevedere che per la determinazione della pena agli effetti dell'applicazione della reclusione o dell'arresto presso il domicilio, si applichino i criteri di cui all'articolo 157, secondo comma, del codice penale.
1. 252. Colletti, Sarti.

  Al comma 1, lettera h), dopo la parola: penale aggiungere le seguenti: adeguando le pene previste con un aumento del doppio del minimo e della metà del massimo della pena edittale detentiva prevista.

  Conseguentemente, alla medesima lettera, aggiungere, in fine, le parole:, escludendo il condannato dalla riammissione agli istituti previsti dalle lettere b) e c) e di quello previsto e disciplinato dagli articoli 168-bis codice penale e seguenti.
1. 253. Molteni, Attaguile.

  Al comma 1, sopprimere la lettera i).
1. 248. Colletti, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Micillo, Sarti, Ferraresi.

  Al comma 1, lettera i), sostituire le parole da: anche modificando fino alla fine della lettera con le seguenti: introducendo, in luogo della semidetenzione, la sanzione sostitutiva della detenzione presso l'abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, innalzando i limiti di pena attualmente previsti per l'applicabilità delle sanzioni sostitutive ed anche modificando, ove necessario, gli ulteriori presupposti applicativi delle medesime, al fine di razionalizzare e graduare il sistema delle pene e delle sanzioni sostitutive in concreto applicabili dal giudice.
1. 8. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 1, sopprimere la lettera l).
1. 355. Colletti, Turco, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Micillo, Sarti, Ferraresi.

  Al comma 1, lettera l), dopo le parole: ordinamento penitenziario aggiungere le seguenti: innalzando in ogni caso i limiti di pena previsti dall'articolo 47-ter, commi 1, 1.1. e 1-bis della legge 25 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni.
1. 9. Agostinelli, Bonafede, Businarolo, Colletti, Ferraresi, Micillo, Sarti, Turco.

  Al comma 2, secondo periodo, sostituire le parole da: per l'espressione fino a: per materia con le seguenti: , corredati di relazione tecnica, per l'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari.
1. 400. (da votare ai sensi dell'articolo 86, comma 4-bis, del Regolamento).

  Sostituire il comma 5 con il seguente:
  5. Al fine di rendere disponibili le risorse necessarie per le finalità di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 1, è disposto per gli anni 2014, 2015 e 2016 un incremento pari a 500 milioni di euro annui delle dotazioni di uomini e mezzi delle forze di polizia impegnate in attività connesse al contenuto della presente legge, anche in deroga alle vigenti disposizioni in materia di turn-over e limitazione delle assunzioni del comparto. All'onere di cui al primo periodo, pari a 500 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, si provvede mediante riduzione delle dotazioni finanziarie iscritte a legislazione vigente, nell'ambito delle spese rimodulabili di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge n. 196 del 2009, delle missioni di spesa di ciascun ministero.
1. 254. Molteni, Attaguile, Invernizzi, Guidesi, Rondini, Prataviera.

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

Misure per contrastare la diffusione di farmaci falsificati e iniziative per il recepimento della direttiva 2011/62/UE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano – 3-00141

   CECCONI, BARONI, DALL'OSSO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dalla letteratura scientifica unanime emerge con chiarezza che la diffusione e l'uso di farmaci contraffatti o falsificati comporta rischi di assoluta gravità per la salute dei pazienti, in relazione alla dose terapeutica del principio attivo e anche in relazione agli eccipienti;
   detti fenomeni assumono una gravità ulteriore quando si tratta di contraffazione e/o falsificazione di farmaci destinati al lattante e in genere all'infanzia;
   in data 19 giugno 2013 si è appreso dagli organi d'informazione che tre dirigenti della casa farmaceutica nazionale Geymonat, sono stati arrestati dai carabinieri del Nas di Latina con l'accusa di aver contraffatto il medicinale Ozopulmin, utilizzato per la cura di affezioni respiratorie di bambini e lattanti;
   i tre dirigenti della casa farmaceutica Geymonat avrebbero messo in commercio il farmaco contro la tosse Ozopulmin, sostituendo il principio attivo con un altro inefficace e capace di simularne la presenza durante i controlli;
   nelle case degli italiani ci sarebbero ancora 9.500 confezioni di Ozopulmin e i carabinieri dei Nas hanno lanciato un appello, affinché chi ne ha le porti immediatamente ai Nas o alle farmacie per il ritiro;
   l'arresto dei tre dirigenti della casa farmaceutica Geymonat può far ipotizzare la presenza di un mercato ufficiale, a fronte anche di un mercato «grigio» gestito da imprese farmaceutiche;
   non è stata ancora recepita la direttiva 2011/62/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, al fine di impedire l'ingresso di medicinali falsificati nella catena di fornitura legale, malgrado ci sia una comunicazione ufficiale da parte dell'Unione europea dell'apertura di una procedura di infrazione che è stata depositata presso la Commissione affari sociali della Camera dei deputati –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per garantire che in Italia non circolino altri farmaci falsificati destinati all'uso umano e in tale ambito se non ritenga improrogabile recepire con urgenza la direttiva 2011/62/UE perché operi una disciplina maggiormente rigorosa per i farmaci falsificati. (3-00141)
(25 giugno 2013)


Iniziative per ripristinare la disciplina sull'orario massimo di lavoro settimanale e sul diritto al riposo per il personale medico e sanitario, in attuazione della direttiva 2003/88/CE – 3-00142

   LENZI, AMATO, ARGENTIN, BENI, BIONDELLI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, CRIMÌ, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, IORI, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PICCIONE, SBROLLINI, SCUVERA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, «Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro», l'Italia ha recepito le direttive dell'Unione europea che limitano in 48 ore (straordinario compreso) l'orario massimo settimanale di lavoro e fissano il riposo giornaliero in almeno 11 ore, assicurando così una protezione minima a tutti i lavoratori contro orari di lavoro eccessivi e contro il mancato rispetto di periodi minimi di riposo;
   con l'articolo 3, comma 85, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), si prevede che le disposizioni di cui all'articolo 7 del citato decreto legislativo n. 66 del 2003 «non si applicano al personale del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale, per il quale si fa riferimento alle vigenti disposizioni contrattuali in materia d'orario di lavoro, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori», introducendo così una prima deroga sui riposi per il personale delle aree dirigenziali degli enti e delle aziende del servizio sanitario nazionale, seguita successivamente dall'articolo 41, comma 13, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008 n. 133, che modifica la normativa sull'orario di lavoro settimanale, prevedendo che: «Al personale delle aree dirigenziali degli enti e delle aziende del servizio sanitario nazionale, in ragione della qualifica posseduta e delle necessità di conformare l'impegno di servizio al pieno esercizio della responsabilità propria dell'incarico dirigenziale affidato, non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 4 e 7 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66. La contrattazione collettiva definisce le modalità atte a garantire ai dirigenti condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata ed il pieno recupero delle energie psico-fisiche»;
   con tali modifiche si demanda, di fatto, alla contrattazione collettiva la tutela di un diritto previsto nella legislazione comunitaria, a cui, peraltro, l'Italia si era già adeguata, sulla base di una presunta equivalenza tra lo stato giuridico dirigenziale delineato dalla direttiva europea e quello della dirigenza medica e sanitaria italiana;
   la vicenda sul mancato rispetto dell'orario massimo di lavoro e del diritto al risposo settimanale della dirigenza medica del servizio sanitario nazionale assume un significato più ampio, visto che la stessa letteratura scientifica internazionale collega direttamente la mancanza del riposo e gli orari prolungati di lavoro dei medici ad un netto incremento degli eventi avversi, ad un aumento del rischio clinico dei pazienti e, quindi ad una mancanza di tutela della salute dei cittadini;
   su tale materia è intervenuta più volte anche la giurisprudenza comunitaria e con la sentenza «Jaeger» del settembre 2003 la Corte di giustizia europea ha stabilito che:
    a) il «periodo di riposo» è una nozione di diritto comunitario che non può essere interpretata in funzione delle prescrizioni delle varie normative degli Stati membri;
    b) il diritto dei lavoratori al riconoscimento di periodi di riposo non può essere subordinato dagli Stati membri a qualsivoglia condizione, poiché esso deriva direttamente dalle disposizioni della direttiva;
    c) i medici non possono essere esclusi dalle tutele generali neanche quando svolgono i servizi di guardia: «Una siffatta interpretazione s'impone a maggior ragione in quanto si tratta di medici che garantiscono un servizio di guardia nei centri sanitari, dato che i periodi durante i quali la loro opera non è richiesta per far fronte ad urgenze, non si può escludere che gli interessati siano chiamati a intervenire, oltre che per le urgenze più o meno brevi e frequenti, per seguire lo stato dei pazienti posti sotto la loro sorveglianza o per svolgere compiti amministrativi»;
   inoltre, la giurisprudenza comunitaria ha riconosciuto carattere eccezionale alle deroghe previste dall'articolo 17 della direttiva 104/1993/CE (ora articoli 17-19 della direttiva 88/2003/CE), stabilendo che esse «devono essere interpretate in modo che la loro portata sia limitata a quanto strettamente necessario alla tutela degli interessi che tali deroghe permettono di proteggere»;
   dopo la deroga il lavoratore ha in ogni caso diritto a periodi equivalenti di riposo compensativo. Tali periodi devono sottrarre il lavoratore ad ogni obbligo nei confronti del datore, così da consentirgli di «dedicarsi liberamente e senza interruzioni ai suoi propri interessi al fine di neutralizzare gli effetti del lavoro sulla sicurezza e la salute dell'interessato»;
   i periodi equivalenti devono essere costituiti da un numero di ore consecutive corrispondenti alla riduzione del riposo praticata e devono essere collocati immediatamente a ridosso del periodo di lavoro che intendono compensare, «al fine di evitare uno stato di fatica o di sovraccarico del lavoratore dovuti all'accumulo di periodi di lavoro consecutivi»;
   alla luce di tali interpretazioni e delle modifiche legislative intercorse dal 2003 ad oggi che ledono il diritto dei medici al riposo settimanale e al rispetto dell'orario massimo di lavoro settimanale non superiore alle 48 ore compresi gli straordinari, la Commissione europea ha inviato all'Italia nell'aprile 2012 una lettera di messa in mora riguardante la non applicazione della direttiva 88/2003/CE sugli orari di lavoro e i tempi di riposo per il personale medico e sanitario inquadrato come dirigente del servizio sanitario nazionale;
   la Commissione europea, pena il possibile deferimento alla Corte di giustizia europea, ha dato all'Italia due mesi di tempo per riallineare la sua legislazione alla direttiva sull'orario di lavoro, in quanto la deroga prevista dal citato articolo 17, lettera a), della direttiva, che consente la sua non applicazione quando si tratta «di dirigenti o di altre persone aventi potere di decisione autonomo», non può essere applicato ai medici che lavorano per la sanità pubblica italiana, poiché, anche se sono classificati ufficialmente come «amministratori», non godono, però, delle prerogative dirigenziali o di autonomia rispetto al proprio orario di lavoro –:
   quali iniziative urgenti si intendano adottare per ripristinare anche per il personale medico e sanitario la validità delle disposizioni sull'orario massimo di lavoro settimanale e sul diritto al riposo presenti nella direttiva 2003/88/CE, onde evitare che l'Italia possa essere deferita alla Corte di giustizia europea. (3-00142)
(25 giugno 2013)


Iniziative per garantire la diagnosi precoce di patologie in età giovanile – 3-00143

   BALDELLI e CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   un sistema di accertamenti diagnostici preventivi tra i giovani italiani aiuterebbe i percorsi terapeutici di numerose patologie e contribuirebbe a ridurre la spesa sostenuta dal servizio sanitario nazionale;
   con l'abolizione del servizio di leva obbligatoria avvenuta nel 2005, che ha comportato numerosi effetti positivi per i giovani italiani, è venuta meno l'occasione del controllo medico cui si sottoponevano i cittadini di sesso maschile in cui si verificava l'idoneità fisica dei giovani, mediante accertamenti diagnostici, strumentali e di laboratorio, in esito ai quali venivano spesso diagnosticate patologie di diversa natura, anche di origine genetica, come quelle dell'apparato riproduttivo e cardiovascolari, e, più in generale, disturbi dello sviluppo somatico –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per garantire diagnosi precoci di patologie, anche di natura genetica, per le fasce più giovani della popolazione. (3-00143)
(25 giugno 2013)


Misure per il rilancio dell'economia della Sardegna, anche con riferimento all'attuazione della cosiddetta continuità territoriale dal doppio binario – 3-00144

   DI GIOIA. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   il 20o rapporto del CRENOS, il Centro ricerche economiche Nord-Sud, ha descritto in toni drammatici la crisi economica che sta attraversando la regione Sardegna;
   alla stagnazione in termini di crescita del reddito e dei consumi si accompagna una drastica riduzione degli investimenti;
   il numero di disoccupati è passato dai 67 mila del 2007 ai 109 mila nel 2012;
   il prodotto interno lordo pro capite della Sardegna è passato dall'80 per cento al 78 per cento rispetto alla media europea ed è, attualmente, molto al di sotto della media nazionale (17.810 rispetto ai 27.490);
   la struttura produttiva ha subito un forte decremento e gli investimenti pubblici, in settori strategici e competitivi per il sistema economico dell'isola, risultano del tutto insufficienti e marginali, con una quota destinata a ricerca, sviluppo e formazione che non raggiunge neanche l'1 per cento;
   per non parlare di settori strategici come l'agricoltura, l'industria e i servizi-turismo, dove vi è stato un decremento del 42 per cento;
   infine, per quanto riguarda la cassa integrazione, vi è stato un incremento delle ore autorizzate del 600 per cento, a dimostrazione del crollo dell'intero sistema produttivo dell'isola e di indicatori economici peggiori rispetto a quelli medi italiani, che, a loro volta, risultano peggiori rispetto alle medie europee;
   come è noto, da parte della regione Sardegna, delle sue istituzioni regionali e locali, vi è la richiesta di maggiore autonomia, al fine di favorire una ripresa economica che appare impossibile stante le normative attuali;
   ad oggi ben 340 su 377 comuni della Sardegna hanno deliberato a favore della zona franca. Da parte di moltissimi cittadini l'interesse verso questo argomento è notevole, nella speranza che contribuisca a risollevare l'economia isolana;
   da tempo i sostenitori dell'iniziativa chiedono a gran voce che venga data attuazione al dettato del decreto legislativo n. 75 del 1998, che sancisce lo status di zona franca per 6 porti della Sardegna e per le aree industriali ad essi collegate e collegabili. Un decreto legislativo mai attuato, che i promotori della zona franca vogliono non solo portare a compimento, ma estendere integralmente a tutta la Sardegna;
   appare, d'altra parte, evidente che in attesa della realizzazione della zona franca sia necessario prevedere elementi di fiscalità di vantaggio, abbattimento dei costi per l'approvvigionamento energetico e i trasporti, al fine di limitare i maggiori oneri per cittadini e imprese causati dalla condizione di insularità e perifericità;
   ciò appare necessario ed urgente per porre fine ad un'oggettiva condizione di sfavore, rispetto a tutti gli altri contesti italiani ed europei, che, seppure in ritardo di sviluppo come la Sardegna, non sono gravati da tali condizioni;
   a tal fine appare necessario, come elemento iniziale e ovviamente non risolutivo delle problematiche che investono l'economia isolana, prevedere, così come richiesto dalle associazioni dei consumatori, una continuità territoriale dal doppio binario: senza previsione di oneri pubblici per i vantaggi riservati ai cittadini sardi sul modello del regime attuale e, per converso, con l'utilizzo di risorse regionali e nazionali per estendere i medesimi vantaggi anche ai non residenti –:
   quali strumenti economici si intendano adottare, sin da subito, al fine di colmare il gap attualmente esistente tra la regione Sardegna e il resto del Paese, al fine di rilanciare l'economia dell'isola, e se non si ritenga, stante l'inizio della stagione turistica, utile intervenire immediatamente al fine di attivare la continuità territoriale dal doppio binario, così come prevista nelle premesse. (3-00144)
(25 giugno 2013)


Dati e iniziative in ordine all'utilizzo dei fondi strutturali europei da parte dell'Italia – 3-00145

   RAMPELLI. — Al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   dai più recenti dati pubblicati in materia, risulta che l'Italia, pur migliorando la sua performance nell'assorbimento dei fondi strutturali, continua ad essere il fanalino di coda dei 27 Paesi dell'Unione europea;
   secondo gli ultimi dati disponibili, infatti, la media europea relativa alla quota di fondi comunitari utilizzati si attesta oltre il 50 per cento, mentre quella dell'Italia è ferma al 40 per cento;
   da qui al 2015 vi sarebbero ancora 31 miliardi di euro di cofinanziamento, a valere sul fondo europeo di sviluppo regionale e sul fondo sociale europeo, da spendere, salvo essere definitivamente dispersi;
   a margine dell'Ecofin a Lussemburgo, il 21 giugno 2013, il Ministro dell'economia e delle finanze, Saccomanni, ha dichiarato che l'Italia deve concentrarsi nell'utilizzo dei fondi comunitari già disponibili, stigmatizzando il ritardo accumulato nell'utilizzo di quelli computati e autorizzati –:
   a quanto ammontino i fondi europei inutilizzati e quali interventi urgenti il Governo intenda assumere affinché il nostro Paese riesca ad usufruire pienamente delle risorse messe a disposizione dall'Unione europea. (3-00145)
(25 giugno 2013)


Iniziative per evitare disparità di trattamento derivanti dall'applicazione del recente decreto ministeriale riguardante l'ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato – 3-00146

   BOCCADUTRI e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 334, aveva definito le modalità e i contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato a livello nazionale per l'anno accademico 2013/2014;
   in particolare, l'articolo 10, comma 3, del decreto stabilisce che, per la valutazione delle prove, un massimo di 90 punti è assegnato per la valutazione dei test e un massimo di 10 punti è assegnato per la valutazione del percorso scolastico;
   i suddetti 10 punti erano attribuiti esclusivamente ai candidati che avrebbero ottenuto un voto di maturità almeno pari a 80/100, rapportato alla distribuzione in percentili dei voti ottenuti dagli studenti che avrebbero conseguito la maturità nella stessa scuola nell'anno scolastico 2011/2012;
   il 31 maggio 2013 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvedeva a pubblicare, sul sito www.universitaly.it, i suddetti percentili calcolati per ogni scuola;
   dall'applicazione del meccanismo di cui al decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 334, risultavano premiati gli studenti che frequentano scuole dove i voti degli esami di Stato, nell'ultimo anno, sono stati generalmente bassi; dall'applicazione dei suddetti percentili, risultavano, in particolare, premiati gli studenti iscritti a scuole paritarie e penalizzati coloro che frequentano istituti pubblici i cui studenti si sono distinti;
   in seguito alle numerose proteste sollevate da diversi istituti scolastici, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvedeva a ritirare il decreto ministeriale 24 aprile 2013, n. 334, e ad adottare il decreto ministeriale 12 giugno 2013, n. 449;
   con il nuovo decreto sono state rinviate a settembre 2013 le prove di ammissione ai corsi di laurea a numero programmato ed è stato ridefinito il meccanismo di attribuzione del bonus di 10 punti;
   in particolare, si stabilisce che «il punteggio viene attribuito esclusivamente ai candidati che hanno ottenuto un voto all'esame di Stato almeno pari a 80/100 e il cui voto sia non inferiore all'80esimo percentile della distribuzione dei voti della propria commissione d'esame nell'anno scolastico 2012/2013 secondo una tabella»;
   l'applicazione del «criterio del percentile», pur inteso quale condicio sine qua non, alle singole commissioni causa delle evidenti disparità, in virtù delle quali, per esempio, in talune commissioni (quelle dove vi sono voti nella media più alti) il punteggio potrebbe essere attribuito solo agli studenti che si diplomano con il voto 100/100, mentre in altre (quelle dove vi sono voti nella media più bassi) verrebbe attribuito anche a studenti che si diplomano con il voto di 80/100;
   il suddetto decreto, dunque, è addirittura peggiorativo del precedente poi ritirato, perché lascia immutata la discriminazione tra scuole con studenti nella media meno bravi e scuole con studenti nella media più bravi, introducendo, tuttavia, forme di discriminazione all'interno della stessa scuola; come è noto, infatti, le commissioni sono create all'interno della stessa scuola accorpando due o più classi, non sempre omogenee come livello di preparazione; a ciò si aggiunga che il percentile (criterio statistico) può dare questi risultati fortemente discriminatori se applicati ad un campione piccolo –:
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per evitare la suddetta grave disparità di trattamento.
(3-00146)
(25 giugno 2013)


Intendimenti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca in merito all'ipotesi di sospendere il cosiddetto bonus maturità, anche nell'ottica della rideterminazione del numero dei posti disponibili nei corsi di laurea in medicina e chirurgia e della loro distribuzione su base regionale – 3-00147

   INVERNIZZI, CAPARINI, GRIMOLDI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, FEDRIGA, GUIDESI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   anche quest'anno saranno migliaia, in tutta Italia, i neodiplomati che si cimenteranno nei test di ammissione alle facoltà universitarie a numero chiuso (medicina, odontoiatria, veterinaria, architettura e professioni sanitarie);
   quest'anno sono in leggero calo il numero dei posti messi a disposizione: gli aspiranti medici potranno contare su 10.021 posti, 152 in meno rispetto allo scorso anno (nel 2012 per un numero di posti simile sono state circa 77 mila le iscrizioni ai test) ed anche i candidati veterinari dovranno fare i conti con un numero di posti inferiore (825 posti), mentre in lieve aumento saranno i posti messi a disposizione per odontoiatria (954) ed infine saranno 8.640 quelli per architettura;
   il recente decreto ministeriale n. 449 del 2013, che stabilisce le nuove modalità con le quali si svolgeranno i test di ammissione alle facoltà a numero chiuso programmato a livello nazionale, prevede le modalità di selezione, il valore del voto di maturità, il numero di quesiti a cui verranno sottoposti i concorrenti dei quiz e l'istituzione di una graduatoria nazionale;
   quest'anno per la prima volta i punti sul voto di maturità incideranno sull'accesso ai corsi universitari a numero chiuso. Chi riceverà una buona valutazione al diploma di maturità godrà di qualche beneficio in più. Chi conseguirà un punteggio che va dall'80 al 100, e non inferiore all'80o percentile della distribuzione dei voti della propria commissione d'esame nell'anno scolastico 2012/2013, potrà avere dai 1 ai 10 punti extra, ovvero, per aspirare al bonus, bisognerà essere nel 20 per cento più bravo degli studenti valutati dalla stessa commissione;
   il «bonus maturità» in realtà non è una vera e propria novità in quanto questa «dote» era già stata ideata nel 2007 dal Governo Prodi, con la finalità di consentire ai maturati eccellenti di partire in vantaggio, ma finora non era mai stata applicata, grazie anche all'opposizione della Lega Nord;
   secondo gli interroganti il voto all'esame di maturità rischia di essere falsato ed inattendibile perché potrebbe essere influenzato da svariati fattori, per esempio, potrebbe non tener conto del livello qualitativo medio degli studenti dei singoli istituti, penalizzando, di fatto, chi frequenta strutture che garantiscono standard elevati, creando quindi disparità;
   alla luce delle attuali innovazioni un voto alto al diploma ha un'importanza fondamentale. Si pensi al fatto che nel 2012 un punteggio totale di 40/50 punti era la soglia minima di accesso alle facoltà più ambite e, quindi, 10 punti in più possono davvero fare la differenza;
   si aggiunge così un nuovo problema a quello dei test, che a medicina (con un solo posto disponibile ogni dieci domande) già oggi, ad avviso degli interroganti, garantiscono l'accesso più per fortuna che per capacità;
   il decreto ministeriale ha optato per una graduatoria a livello nazionale. Questo vuol dire che se uno studente non rientra nel numero dei posti previsto per l'ateneo in cui sostiene l'esame, ma col suo punteggio rientra nel numero dei posti totali a livello nazionale, si «prenota» per un posto in un altro ateneo;
   nel 2015 si stima che mancheranno circa 7.600 medici, in quanto, anche a causa dell'abbandono degli studi, i posti a disposizione non saranno sufficienti a coprire il fabbisogno di medici;
   le università del Nord «sfornano» a malapena la metà dei medici che servono, con il risultato che in alcune regioni buona parte dei medici viene da fuori –:
   se non si ritenga opportuno sospendere il «bonus maturità», in attesa dell'individuazione di un meccanismo che garantisca omogeneità di valutazione e dell'attuazione dell'articolo 29, comma 6, della legge n. 240 del 2010 (riforma universitaria), che prevede la rideterminazione del numero dei posti disponibili nei corsi di laurea in medicina e chirurgia e la loro distribuzione su base regionale, al fine riequilibrare l'offerta formativa in relazione al fabbisogno di personale medico del bacino territoriale di riferimento. (3-00147)
(25 giugno 2013)


Iniziative volte a garantire il regolare svolgimento dei corsi di laurea in scienza della formazione primaria nel prossimo anno accademico – 3-00148

   SANTERINI, CAPUA, MOLEA e VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il diploma di laurea quinquennale in scienze della formazione primaria costituisce titolo di accesso ai concorsi per l'insegnamento nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria;
   attraverso il corso vengono fornite agli studenti le conoscenze teoriche e le competenze operative necessarie per lo svolgimento delle attività educative e didattiche nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria;
   per l'accesso a tali corsi è previsto un numero programmato ed un test di ingresso;
   ad oggi agli interroganti non risulta che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia ancora fornito il numero del contingente previsto per il prossimo anno accademico, la data del test nonché i criteri per l'elaborazione di tale test;
   tale ritardo rischierebbe di compromettere e far slittare di almeno un mese, come già accaduto negli ultimi due anni, l'inizio dell'anno accademico, provocando disagi agli studenti, alle famiglie e agli atenei;
   inoltre, non sarebbero stati stabiliti i contingenti relativi ai tutor che devono accompagnare gli studenti nel tirocinio presso le scuole, figure fondamentali per garantire una reale e concreta formazione dei futuri docenti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno adottare in tempi rapidi iniziative volte a garantire il regolare svolgimento dei corsi. (3-00148)
(25 giugno 2013)


MOZIONI MARCON, SPADONI, BENI, SBERNA ED ALTRI N. 1-00051, GIORGIA MELONI ED ALTRI N. 1-00118, FORMISANO ED ALTRI N. 1-00120, BRUNETTA E CICU N. 1-00121, ROSSI E DELLAI N. 1-00122, SCANU ED ALTRI N. 1-00123 E SPERANZA, BRUNETTA, DELLAI, PISICCHIO E FORMISANO N. 1-00125 CONCERNENTI LA PARTECIPAZIONE ITALIANA AL PROGRAMMA DI REALIZZAZIONE DELL'AEREO JOINT STRIKE FIGHTER-F35

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    il Joint Strike Fighter (F-35) è un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche, ovvero bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e capacità di interazione con tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra, che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità supersoniche;
    il progetto per la realizzazione di questo velivolo è frutto di un accordo tra gli Stati Uniti e 8 Paesi partner, tra cui l'Italia, partner di secondo livello, che prevede la realizzazione di 3.173 velivoli per un costo complessivo stimato di 396 miliardi di dollari, anche se nessuno, allo stato attuale, è in grado di quantificare il costo finale dell'intero progetto e, quindi, di ogni singolo aereo, comunque oggi stimato intorno ai 190 milioni di dollari;
    tra i Paesi partner sono sempre crescenti i dubbi su questo progetto, tanto che: la Gran Bretagna deciderà il numero degli aerei da acquistare dopo la pubblicazione del Strategic defence and security review, nel 2015; l'Olanda ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un pesante voto contrario al progetto; l'Australia non userà l'F-35 come piattaforma esclusiva acquistando anche altri aerei; la Turchia ha rinviato l'acquisto dei primi F-35; la Norvegia ha minacciato di ripensare le sue scelte sul Joint Strike Fighter; la Danimarca ha riaperto la gara per decidere entro il 2015 di quale aereo dotarsi ed il Canada ha sospeso la gara per l'acquisto del nuovo caccia;
    in Canada, in particolare, il ripensamento nasce dalle polemiche dovute alle omissioni sui costi fatte dal Governo: uno studio indipendente (Kpgm) ed altri organi di controllo pubblici hanno, infatti, stabilito che il costo complessivo in 40 anni, includendo anche l'uso e la manutenzione, è di oltre 45 miliardi di dollari, tre volte le previsioni fatte dal Governo;
    ai quasi 400 velivoli che verrebbero a mancare rispetto alle ipotesi iniziali si potrebbero aggiungere anche ipotesi di tagli da parte del Pentagono rispetto ai 2.443 previsti; questo comporterebbe un ulteriore aumento del costo unitario per tutti gli acquirenti;
    il programma presenta diverse criticità costantemente evidenziate e denunciate sia dal Government Accountability Office (GAO) che dal Pentagono. Oltre all'inarrestabile lievitare dei costi ed i ritardi del programma, nel tempo, si sono riscontrati molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, al lievitare dei costi; i problemi del casco del pilota, la vulnerabilità ai fulmini, i problemi al motore che hanno portato allo stop dei voli dell'aereo, la denuncia dei piloti dell'incapacità di combattere non avendo nessuna chance di successo in uno scontro reale con un aereo sono solo alcuni dei maggiori problemi finora riscontrati nell'F-35;
    l'Italia partecipa al progetto sin dal suo inizio, nel 1998, con una richiesta iniziale di 131 aerei, ridotta poi nel 2012 a 90 velivoli, considerati dalle Forze armate «indispensabili» perché andrebbero a sostituire tre linee di velivoli: i Tornado, gli AMX e gli AV-8B, senza, tuttavia, alcuna spiegazione circa il ruolo di un aereo tanto sofisticato, considerati gli impegni internazionali italiani;
    nel 2009 le Commissioni difesa di Camera e Senato, esprimendo parere favorevole al programma, hanno posto alcune condizioni: la conclusione di accordi industriali e governativi che consentano un ritorno industriale per l'Italia proporzionale alla sua partecipazione finanziaria, anche al fine di tutelare i livelli occupazionali; la fruizione da parte dell'Italia dei risultati delle attività di ricerca relative al programma; la preventiva individuazione di adeguate risorse finanziarie che non incidano sugli stanziamenti destinati ad assicurare l'efficienza della componente terrestre e, più in generale, dell'intero strumento militare;
    tali condizioni, in parte già espresse anche in precedenza, non hanno trovato riscontro nell'avanzamento del progetto: gli oneri previsti per l'Italia nelle prime tre fasi ammontano a 1.942 milioni di dollari a cui vanno aggiunti gli oltre 800 milioni di euro per la costruzione della FACO (Final Assembly and Check Out) a Cameri (Novara); contestualmente, le industrie italiane hanno ottenuto appalti per circa 800 milioni di dollari: a fronte dei circa 3 miliardi di euro spesi fanno un ritorno di poco sopra al 20 per cento delle spese, che difficilmente renderà possibile un ritorno di circa 14 miliardi di euro, cioè il 100 per cento più volte sbandierato dai Governi che hanno sostenuto questo progetto;
    fonti governative e militari negli anni hanno ipotizzato l'arrivo di 10.000 posti di lavoro, mentre secondo stime sindacali si tratterebbero al massimo di circa 2.000 posti e per di più sarebbero ricollocazioni di lavoratori precedentemente impegnati con l’Eurofighter;
    il Parlamento ha approvato una legge delega al Governo che prevede un taglio di 30.000 militari e del 30 per cento delle strutture, portando i risparmi conseguiti all'investimento, in particolare sull'F35;
    secondo quanto rivelato dal quotidiano britannico Guardian, il Pentagono ha stanziato 11 miliardi di dollari per ammodernare il proprio arsenale di bombe atomiche, comprese quelle depositate nelle basi americane all'estero o in quelle di Paesi alleati;
    si tratta di 200 bombe B61 a caduta libera depositate nelle basi Nato europee in Belgio, Olanda, Germania e Turchia; in Italia risultano esserci 90 bombe di cui 50 custodite nella base di Aviano, in Friuli, e 40 a Ghedi, vicino Brescia, anche se le ultime stime parlano della metà, cioè 20;
    degli 11 miliardi di dollari stanziati, 10 servirebbero per prolungare la vita operativa delle B61 e 1 miliardo di dollari per dotare gli ordigni di alette di coda per trasformarle in bombe atomiche guidate;
    le nuove B61-12 al contrario delle vecchie B61, che hanno il sistema di puntamento analogico, avranno il puntamento digitale, compatibile con i sistemi elettronici dell'F35-A;
    anche se il nostro Paese ha aderito al trattato di non proliferazione nucleare, in base all'accordo Nato di condivisione nucleare «Nuclear sharing agreements» si prevedono una serie di impegni di condivisione di strutture ed infrastrutture: oltre allo stoccaggio delle bombe, che restano sotto il controllo degli Stati Uniti, è previsto l'addestramento di piloti italiani per il possibile uso delle armi e la partecipazione italiana alle riunioni del Nuclear Planning Group della Nato;
    il programma dell'F35 è diventato un progetto dal costo elevato, a fronte di prestazioni peraltro incerte, non corrispondente alle esigenze difensive del nostro Paese, con ricadute industriali ed occupazionali molto lontane dalle aspettative, e che rischia anche di compromettere le politiche di disarmo;
    in una scuola su tre (su due al Sud) mancano i certificati di sicurezza. Migliaia stanno su territori a rischio sismico o idrogeologico. Si tratta non solo dell'intonaco che cade, dell'infiltrazione d'acqua, dell'umidità. Lo stato dell'edilizia scolastica nel nostro Paese è drammatico, al punto che in alcune città le amministrazioni si trovano nel dilemma se aprire una scuola non a norma o lasciare a casa i bambini;
    dei 42 mila edifici scolastici presenti in tutta Italia il 29 per cento non ha il certificato di agibilità sanitaria, il 42 per cento quello di agibilità statica, il 47,81 per cento non rispetta le norme anti incendio. Più del 60 per cento non è dotato neppure di scale di sicurezza o porte anti panico. E poi ci sono le strutture con l'amianto (11,13 per cento) e quelle con il radon, un gas radioattivo. Oltre il 60 per cento delle scuole ha più di 40 anni. Se poi si aggiunge che per via della loro ubicazione territoriale le scuole italiane sono soggette al rischio sismico, idrogeologico, vulcanico e industriale, il panorama assume tratti drammatici tanto da connotarsi come un'emergenza;
    ma non è solo la messa in sicurezza straordinaria a mancare. Gli enti locali non hanno più i fondi neanche per la manutenzione: crescono, infatti, fino a costituire il 56 per cento del totale, gli edifici che negli ultimi 5 anni non hanno goduto di nessun tipo di intervento;
    secondo un'indagine di Legambiente, sono ben 6.633 i comuni in cui sono presenti aree ad alta criticità idrogeologica, l'82 per cento del totale delle amministrazioni comunali italiane. Dal 1950 al 2009 sono state oltre 6.300 le vittime del dissesto idrogeologico;
    gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni prima degli anni ’90, a 4-5 all'anno;
    secondo i recenti dati forniti dal Consiglio nazionale dei geologi, dal 1996 al 2008 in Italia sono stati spesi più di 27 miliardi di euro per dissesto idrogeologico e terremoti, oltre al fatto che 6 milioni di italiani abitano nei 29.500 chilometri quadrati del territorio considerati ad elevato rischio idrogeologico, e ben 1.260.000 sono gli edifici a rischio frane e alluvioni. Di questi, sono 6.000 le scuole e 531 gli ospedali;
    a questo si aggiunge il crescente grado di rischio di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
    nell'anno scolastico 2010/2011, secondo l'Istat, risultano iscritti agli asili nido comunali 157.743 bambini di età tra zero e due anni, mentre altri 43.897 usufruiscono di asili nido convenzionati o sovvenzionati dai comuni, per un totale di 201.640 utenti;
    nel 2010 la spesa imperniata per gli asili nido da parte dei comuni o, in alcuni casi, di altri enti territoriali delegati dai comuni stessi è di circa 1 miliardo e 227 milioni di euro, al netto delle quote pagate dalle famiglie;
    fra il 2004 e il 2010, nonostante il graduale ampliamento dell'offerta pubblica, la quota di domanda soddisfatta è ancora limitata rispetto al potenziale bacino di utenza: gli utenti degli asili nido sono passati dal 9 per cento dei residenti tra zero e due anni dell'anno scolastico 2003/2004, all'11,8 per cento del 2010/2011, mentre rimangono molto ampie le differenze territoriali: la percentuale di bambini che usufruisce di asili nido comunali o finanziati dai comuni varia dal 3,3 per cento al Sud al 16,8 per cento al Nord-est,

impegna il Governo:

   a cancellare la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35;
   a procedere in tempi rapidi ad un'attenta ridefinizione del modello di difesa italiano sulla base del dettato costituzionale e della politica estera italiana, affermando un ruolo centrale per la politica europea e sostenendo il ruolo di peacekeeping per le Forze armate;
   a subordinare qualsiasi decisione sui sistemi d'arma da acquisire alla definizione del modello di difesa;
   ad attivare meccanismi che favoriscano la riconversione dell'industria legata alla produzione delle armi, al fine di salvaguardare i posti di lavoro che verrebbero a mancare per la sospensione di alcuni programmi di nuovi sistemi d'arma;
   ad attivarsi presso la Nato e gli Stati Uniti per chiedere un'immediata rimozione di qualsiasi ordigno nucleare presente sul territorio italiano;
   a destinare le somme così risparmiate ad un programma straordinario di investimenti pubblici riguardanti piccole opere e finalizzato, ad esempio, alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, alla tutela del territorio nazionale dal rischio idro-geologico e alla realizzazione di un piano pluriennale per l'apertura di asili nido.
(1-00051) «Marcon, Spadoni, Beni, Sberna, Aiello, Agostinelli, Amoddio, Airaudo, Alberti, Bossa, Boccadutri, Artini, Franco Bordo, Baldassarre, Capone, Costantino, Barbanti, Civati, Di Salvo, Baroni, Coccia, Duranti, Basilio, Fossati, Daniele Farina, Battelli, Incerti, Fava, Bechis, Mognato, Ferrara, Benedetti, Raciti, Fratoianni, Massimiliano Bernini, Scuvera, Giancarlo Giordano, Paolo Bernini, Zanin, Kronbichler, Nicola Bianchi, Zappulla, Lacquaniti, Bonafede, Lavagno, Brescia, Matarrelli, Brugnerotto, Melilla, Businarolo, Migliore, Busto, Nardi, Cancelleri, Nicchi, Cariello, Paglia, Carinelli, Palazzotto, Caso, Pannarale, Castelli, Pellegrino, Catalano, Piazzoni, Cecconi, Pilozzi, Chimienti, Piras, Ciprini, Placido, Colletti, Quaranta, Colonnese, Ragosta, Cominardi, Ricciatti, Corda, Sannicandro, Cozzolino, Scotto, Crippa, Zan, Currò, Zaratti, D'Ambrosio, Dadone, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Furnari, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Labriola, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zaccagnini, Zolezzi, Gasbarra, Marzano, Decaro, Pastorino, Mattiello, Gigli, Gadda».


   La Camera,
   premesso che:
    il programma Joint Strike Fighter è stato avviato negli Stati Uniti nella prima metà degli anni ’90, nell'ambito del progetto Joint Advanced Strike Technology (JAST), e prevedeva lo sviluppo di un aereo da combattimento di nuova generazione, che fosse in grado di combinare la capacità di un lungo periodo di impiego con la possibilità di sostituire, con un unico aereo in più versioni, un'ampia gamma di velivoli della flotta militare statunitense, compresi quelli a decollo verticale;
    il programma Joint Strike Fighter si svolge nell'ambito di una cooperazione internazionale tra Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca;
    l'Italia ha aderito al programma già dalla fine del 1998, quando con il Governo D'Alema è stato firmato il Memorandum of agreement per la fase concettuale dimostrativa, con un primo investimento di 10 miliardi di dollari, ed è partner di secondo livello, insieme all'Olanda, con una quota d'investimento totale pari a quasi il quattro per cento;
    in attuazione del programma Joint Strike Fighter, è stato sviluppato un velivolo caccia multiruolo di quinta generazione con spiccate caratteristiche di bassa osservabilità da parte dei sistemi radar (stealth) e di interconnessione di tutti i sistemi di comunicazione, informazione e scambio dati (net-centriche);
    l'F-35 Lightning II sarà prodotto in tre versioni ed è destinato a sostituire circa 250 velivoli attualmente impiegati dalle Forze armate italiane, la cui dismissione è inevitabile per obsolescenza e limiti strutturali;
    nell'aprile del 2009 le Commissioni difesa di Camera e Senato hanno espresso parere favorevole sullo schema di programma predisposto dal Governo in ordine all'acquisto di 131 velivoli F35, al costo di 12,9 miliardi di euro, spalmati fino al 2026, e alla realizzazione, presso l'aeroporto militare di Cameri (Novara), di una linea di assemblaggio finale e di verifica (Faco) per i velivoli destinati ai Paesi europei;
    il 15 febbraio 2012, il Ministro della Difesa pro tempore, ammiraglio Di Paola, nell'illustrare alle Commissioni difesa di Camera e Senato le linee di indirizzo per la revisione dello strumento militare, ha annunciato un ridimensionamento del programma: «l'esame fatto a livello tecnico e operativo porta a ritenere come perseguibile, da un punto di vista operativo e di sostenibilità, un obiettivo programmatico dell'ordine di 90 velivoli (con una riduzione di circa 40 velivoli, pari a un terzo del programma), una riduzione importante che, tuttavia, salvaguarda anche la realtà industriale e che, quindi, rappresenta una riduzione significativa coerente con l'esigenza di oculata revisione della spesa»;
    in quella sede, la necessità di proseguire nel programma è stata, altresì, posta in relazione con la necessità di sostituire tre linee di velivoli, i Tornado, gli Amx e gli AV-8 B, che nell'arco dei prossimi 15 anni usciranno progressivamente dalla linea operativa per vetustà;
    il programma Joint Strike Fighter offre all'industria italiana un ritorno tecnologico e occupazionale di significativo valore: dal punto di vista industriale, l'F35 vede protagoniste le maggiori aziende del settore aeronautica (Alenia aeronautica e Avio solo per citarne alcune) e sosterrà la produzione dell'industria aeronautica italiana per i prossimi anni, mentre l'indotto include sia grandi aziende, sia piccole e medie imprese in numerose regioni;
    sotto il profilo occupazionale, inoltre, oltre alle centinaia di ingegneri coinvolti nelle fasi di studio, progettazione e realizzazione del velivolo, un importante ritorno è legato alla citata Final assembly and check out (Faco) di Cameri, che darà occupazione a millecinquecento persone direttamente e a circa diecimila con l'indotto, la quale si prevede che avvii la propria attività produttiva nel 2016 per proseguirla per almeno 40 anni;
    i mutamenti del quadro geopolitico globale, in cui alla relativa stabilità dell'area atlantica corrisponde la crescente instabilità di aree di rilevante interesse strategico in Asia e Africa e la significativa riduzione della presenza militare statunitense in Europa, impongono nuove e crescenti responsabilità al sistema di difesa, che è chiamato a potenziare la propria autonomia ed efficienza operativa all'interno delle severe compatibilità dettate dagli obiettivi di finanza pubblica;
    in questo quadro, la modernizzazione della componente aerotattica costituisce un'esigenza obiettiva ed irrinunciabile del sistema di difesa euro-atlantica, nell'ambito della quale gli F35 rappresentano un'arma strategica che, qualora si decidesse di rinunciare alla sua messa a punto e produzione, sarebbe impossibile acquisire;
    inoltre, l'abbandono del programma Joint Strike Fighter comporterebbe delle conseguenze gravissime, sia sotto il profilo dell'ammodernamento dei nostri strumenti militari, sia in termini di danni economici, visto che, come già ricordato, l'Italia ha aderito al programma un quindicennio fa ed ha già investito risorse ingenti nella sua attuazione, sia, infine, con riferimento ai citati benefici per le aziende italiane in termini industriali e occupazionali;
    per quanto attiene alle criticità in ordine ai costi di produzione per i nuovi velivoli, appena pochi giorni fa, il 19 giugno 2013, il Sottosegretario alla difesa americano Kendall, nel corso di un'audizione al Congresso, ha dichiarato che i costi per aeromobile si stanno riducendo,

impegna il Governo:

   a rispettare gli impegni internazionali assunti in ordine alla realizzazione del programma Joint Strike Fighter, al fine di tutelare sia l'impegno finanziario sin qui sostenuto, sia l'aumento della produzione industriale nazionale ad esso connesso ed i conseguenti effetti sui livelli occupazionali;
   a proseguire, anche attraverso il costante raccordo con i competenti organi parlamentari, nella valutazione delle modalità di attuazione del programma, nonché, in un quadro più generale, nella scelta degli investimenti che si ritiene debbano essere realizzati, nel breve e nel medio periodo, per assicurare una più efficiente integrazione dello strumento militare italiano nel sistema di difesa euro-atlantica;
   a continuare a sostenere il ruolo dell'Italia, in sede internazionale, in qualità di protagonista e in qualità di partner strategico nella ricerca, individuazione e messa a punto di innovazioni tecnologiche.
(1-00118) «Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Nastri».


   La Camera,
   premesso che:
    il Joint Strike Fighter (F35) è un cacciabombardiere di quinta generazione, il cui progetto è stato avviato negli Stati Uniti nella prima metà degli anni ’90, nell'ambito del progetto Joint Advanced Strike Technology (JAST), e che prevedeva lo sviluppo di un aereo da combattimento;
    il cacciabombardiere F35 dovrebbe sostituire, con un solo aereo, tutta una serie di velivoli ormai obsoleti ed è previsto che abbia caratteristiche di bassa osservabilità da parte dei radar e di interconnessione a tutti i sistemi di comunicazione, informazione e scambio di dati;
    il programma Joint Strike Fighter si svolge nell'ambito di un accordo tra gli Stati Uniti ed otto Paesi partner: Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Turchia, Canada, Australia, Norvegia e Danimarca;
    l'Italia, partner di secondo livello, ha aderito al programma già dalla fine del 1998, con una richiesta iniziale di 131 aerei, ridotta nel 2012 a 90, quota ritenuta indispensabile dalle Forze armate italiane, a causa della necessità di sostituire tre linee di velivoli ormai obsoleti;
    il primo investimento italiano è stato di 10 miliardi di dollari. Il nostro Paese ha una quota d'investimento totale nel progetto Joint Strike Fighter pari a quasi il 4 per cento;
    dubbi crescenti si stanno diffondendo tra i partner sull'utilità del progetto F35. Tra l'altro, l'Olanda, partner di secondo livello come l'Italia nel programma, ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un voto contrario al progetto, mentre la Danimarca ha riaperto la gara per decidere entro il 2015 se dotarsi di questo tipo di aereo e la Norvegia ha messo in discussione la sua partecipazione al progetto;
    per quel che riguarda l'Italia, nel 2009 le Commissioni difesa di Camera e Senato hanno espresso parere favorevole al programma, ma con alcune condizioni che riguardavano la conclusione di accordi industriali e governativi, in grado di generare un ritorno industriale per il nostro Paese proporzionale alla sua partecipazione finanziaria, in modo anche da tutelare i livelli di occupazione. È dubbio che questi impegni possano davvero essere rispettati;
    le industrie italiane hanno ottenuto appalti per circa 800 milioni di dollari. Si tratta di una cifra certamente significativa ma che potrebbe non consentire il raggiungimento del previsto ritorno del 100 per cento come auspicato dai vari Governi che si sono succeduti;
    per quel che riguarda i posti di lavoro, discordanti sono le cifre fornite dai Governi e dai militari, che parlano di circa 10 mila nuovi posti di lavoro, e quelle dei sindacati, che prevedono non più di 2000 posti, nati dalla ricollocazione di lavoratori precedentemente impiegati in altri settori;
    dubbi sulla fattibilità del progetto, sui suoi costi e sui vantaggi che esso porterebbe al nostro Paese, sono, dunque, leciti, ma non è pensabile un ritiro unilaterale del nostro Paese dal programma Joint Strike Fighter, ritiro che esporrebbe l'Italia all'accusa di essere un partner inaffidabile, con evidenti ricadute negative, non solo d'immagine, per il nostro Paese e per le sue imprese;
    non appare, comunque, assurdo immaginare una riduzione del ruolo dell'Italia nel programma, in modo da liberare risorse da utilizzare per interventi urgenti in ambiti anche diversi da quello militare, ma qualunque iniziativa di questo genere andrebbe intrapresa in accordo con le istituzioni sovranazionali competenti,

impegna il Governo:

   ad escludere qualunque decisione unilaterale del nostro Paese, concordando in ambito europeo ed euro-atlantico l'eventuale riduzione della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter;
   a definire in accordo con il Parlamento l'utilizzo delle risorse liberate qualora si procedesse alla riduzione della quota di partecipazione italiana al programma degli F35;
   ad operare in tutte le sedi competenti a livello sovranazionale per dare sempre maggior forza alla politica comune europea di difesa, inserendo in quest'ottica anche l'utilizzo dei caccia F35.
(1-00120) «Formisano, Tabacci, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    in un mondo sempre più globalizzato, che vede affacciarsi sulla scena nuovi attori in grado di incidere sugli equilibri internazionali e nuovi rischi, è ormai ineludibile per i Paesi europei impegnarsi per lo sviluppo di un'effettiva politica estera e di sicurezza comune, in un quadro di collaborazione con le alleanze atlantiche;
    la maggior parte dei Paesi europei è impegnata ad analizzare le opportunità che possono derivare dall'integrazione europea della difesa, con particolare riferimento alla costituzione di asset operativi e addestrativi comuni, finalizzati ad una piena interoperabilità, nonché alla promozione di sinergie industriali finalizzate alla ricerca, allo sviluppo e alla produzione di programmi comuni sulla base di accordi di cooperazione o di cooperazione rafforzata;
    il Consiglio europeo di dicembre 2013 costituirà un appuntamento fondamentale per dare impulso alla costruzione della difesa europea e tutti i Paesi dell'Unione europea saranno chiamati, in quella sede, a trovare convergenza e complementarietà, anche con l'obiettivo di ricercare il miglior utilizzo delle risorse disponibili, nell'attuale e complesso quadro finanziario generale;
    i principali Paesi europei hanno avviato processi di revisione delle rispettive Forze armate e il Parlamento italiano ha approvato la legge di revisione dello strumento militare che delinea Forze armate sostenibili, nel prevedibile quadro finanziario, assicurandone l'efficacia operativa;
    la difesa è un bene primario e i fondamenti del nostro «modello di difesa» sono contenuti nella Costituzione, con particolare riferimento all'articolo 11, che recita: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo»; e a questi fondamenti si uniformano le scelte relative alle Forze armate;
    secondo i dati riportati nel Fact sheet (aprile 2013) del noto centro Stockolm international peace research InstituteSipri – la spesa militare in Italia si è ridotta del 5,2 per cento tra il 2011 e il 2012 e del 19 per cento tra il 2003 e il 2012, ovvero di gran lunga la maggiore riduzione – unica a «due cifre» – riscontrata fra i Paesi occidentali;
    la tematica dell'acquisizione dei sistemi d'arma costituisce solo un aspetto della pianificazione generale della difesa, di cui la parte più rilevante è costituita dalla complessità delle problematiche inerenti al personale, tenendo conto della riconosciuta specificità;
    il documento programmatico pluriennale per la difesa per il triennio 2013-2015, presentato al Parlamento, prevede un insieme di programmi di acquisizione di mezzi e sistemi d'arma funzionali a garantire il sistema di difesa nazionale, in coerenza con i compiti istituzionali;
    in particolare, è prevista la sostituzione dei velivoli aerotattici della Marina e dell'Aeronautica prossimi alla fine della vita operativa, mediante la progressiva realizzazione del programma modulare di F35, avviata nel 1998 e attualmente in fase di industrializzazione, mentre le fasi successive di implementazione saranno decise da Governo e Parlamento, ciascuno secondo le proprie prerogative, alla luce anche delle necessità del sistema di difesa, del concerto con gli altri Paesi europei e della Nato e della relativa compatibilità finanziaria;
    il primo veicolo non potrà comunque essere disponibile, nella migliore delle ipotesi, che alla fine del 2015;
    le commissioni parlamentari competenti hanno manifestato l'intendimento di avviare audizioni ed indagini conoscitive, in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013, per verificare la coerenza della pianificazione dell'investimento, anche alla luce delle parallele iniziative degli altri Paesi europei,

impegna il Governo:

   a dare impulso, a partire dal Consiglio europeo di dicembre 2013, a concrete iniziative per la crescita della dimensione di difesa comune europea;
   al pieno rispetto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, allo scopo di garantire al Parlamento di esercitare le proprie prerogative.
(1-00121) «Brunetta, Cicu».


   La Camera,
   premesso che:
    i fondamenti del nostro «modello di difesa» sono contenuti nella Costituzione, con particolare riferimento all'articolo 11 che recita: «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo» e che a questi fondamenti si uniformano le scelte relative alle Forze armate;
    l'articolo 52 della Costituzione, interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 164 del 1985, riconosce il valore della difesa della Patria anche attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato;
    in un mondo sempre più globalizzato, che vede affacciarsi sulla scena nuovi attori in grado di incidere sugli equilibri internazionali e nuovi rischi, è ormai ineludibile per i paesi europei impegnarsi per lo sviluppo di un'effettiva politica estera e di sicurezza comune, in un quadro di collaborazione con le alleanze atlantiche;
    la maggior parte dei paesi europei è impegnata ad analizzare le opportunità che possono derivare dall'integrazione europea della Difesa, con particolare riferimento alla costituzione di asset operativi e addestrativi comuni, finalizzati ad una piena interoperabilità, nonché alla promozione di sinergie industriali finalizzate alla ricerca, sviluppo e produzione di programmi comuni sulla base di accordi di cooperazione o di cooperazione rafforzata;
    il prossimo Consiglio europeo di dicembre costituirà un appuntamento fondamentale per dare impulso alla costruzione della Difesa europea e tutti i paesi dell'Unione saranno chiamati, in quella sede, a trovare convergenza e complementarietà, anche con l'obiettivo di ricercare il miglior utilizzo delle risorse disponibili, nell'attuale complesso quadro finanziario generale;
    con l'entrata in vigore dell'articolo 4 della legge n. 244 del 31 dicembre 2012, è stata attribuita al Parlamento la competenza sui programmi dei sistemi d'arma a seguito di valutazioni riguardanti la situazione geopolitica internazionale, l'individuazione delle sfide strategiche incombenti anche alla luce delle condizioni generali della finanza pubblica, che nel momento attuale risultano caratterizzate da una gravissima crisi economica e sociale;
    i principali paesi europei hanno avviato processi di revisione delle rispettive Forze armate e il Parlamento italiano ha approvato le legge di revisione dello strumento militare che delinea Forze armate sostenibili, nel prevedibile quadro finanziario, assicurandone l'efficacia operativa;
    secondo i dati riportati nel Fact Sheet (aprile 2013) del noto centro Stockolm International Peace Research Institute – SIPRI – la spesa militare in Italia si è ridotta del 5,2 per cento tra il 2011 e il 2012, e del 19 per cento tra il 2003 e il 2012, ovvero di gran lunga la maggiore riduzione – unica a «2 cifre» – riscontrata tra i paesi occidentali;
    la tematica dell'acquisizione dei sistemi d'arma costituisce solo un aspetto della pianificazione generale della Difesa, di cui la parte più rilevante è costituita dalla complessità delle problematiche inerenti il personale, tenendo conto della riconosciuta specificità;
    nell'ambito della razionalizzazione della spesa per investimenti occorre una seria riflessione sul mutamento degli scenari strategici. In questo senso è necessario valutare la compatibilità dei programmi a fronte delle nuove esigenze strategiche per la sicurezza del Paese – rafforzando le capacità operative delle nostre Forze armate – nonché delle risorse disponibili e dei ritorni industriali, anche con riguardo all'obiettivo di conseguire più elevati livelli occupazionali rispetto a quanto al momento prevedibile;
    il Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2013-2015, all'attenzione del Parlamento, prevede un insieme di programmi di acquisizione di mezzi e sistemi d'arma funzionali a garantire il sistema di difesa nazionale, in coerenza con i compiti istituzionali, e con la legge n. 244 del 31 dicembre 2012, relativa alla delega «per la revisione dello strumento militare nazionale»;
    le Commissioni parlamentari competenti hanno manifestato l'intendimento di avviare audizioni ed indagini conoscitive, in particolare sull'incidenza dei programmi di armamento e di rinnovamento dei sistemi d'arma, delle opere, dei mezzi e dei beni direttamente destinati alla difesa nazionale, sugli obiettivi di difesa nazionale e di finanza pubblica, per verificare la coerenza della pianificazione dell'investimento, anche alla luce dette parallele iniziative degli altri paesi europei, nonché delle condizioni generali di finanza pubblica, che nel momento attuale risultano caratterizzate da una complessa crisi economica che ha ripercussioni sul piano sociale,

impegna il Governo:

   a dare impulso, a partire dal Consiglio europeo di dicembre, a concrete iniziative per la crescita della dimensione di Difesa comune europea in una prospettiva di condivisa razionalizzazione della spesa;
   al pieno rispetto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, allo scopo di garantire al Parlamento di esercitare le proprie prerogative, con specifico riferimento alle fasi successive a quella in corso del programma F35.
(1-00122) «Rossi, Dellai».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

   La Camera,
   premesso che:
    i fondamenti del nostro «modello di difesa» sono contenuti nella Costituzione, con particolare riferimento all'articolo 11 che recita: «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo», e che a questi fondamenti si uniformano le scelte relative alle Forze armate;
    l'articolo 52 della Costituzione, interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 164 del 1985, riconosce il valore della difesa della Patria anche attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato; in un mondo sempre più globalizzato, che vede affacciarsi sulla scena nuovi attori in grado di incidere sugli equilibri internazionali e nuovi rischi, è ormai ineludibile per i paesi europei impegnarsi per lo sviluppo di un'effettiva politica estera e di sicurezza comune, in un quadro di collaborazione con le alleanze atlantiche;
    la maggior parte dei paesi europei è impegnata ad analizzare le opportunità che possono derivare dall'integrazione europea della Difesa, con particolare riferimento alla costituzione di asset operativi e addestrativi comuni, finalizzati ad una piena interoperabilità, nonché alla promozione di sinergie industriali finalizzate alla ricerca, sviluppo e produzione di programmi comuni sulla base di accordi di cooperazione o di cooperazione rafforzata;
    il prossimo Consiglio europeo di dicembre costituirà un appuntamento fondamentale per dare impulso alla costruzione della Difesa europea e tutti i paesi dell'Unione saranno chiamati, in quella sede, a trovare convergenza e complementarietà, anche con l'obiettivo di ricercare il miglior utilizzo delle risorse disponibili, nell'attuale complesso quadro finanziario generale;
    con l'entrata in vigore dell'articolo 4 della legge 244 del 31 dicembre 2012, è stata attribuita al Parlamento la competenza sull'adozione dei programmi dei sistemi d'arma a seguito di valutazioni riguardanti la situazione geopolitica internazionale, l'individuazione delle sfide strategiche incombenti e, nondimeno, la coerenza e la congruità degli investimenti militari, anche alla luce delle condizioni generali della finanza pubblica, che nel momento attuale risultano caratterizzate da una gravissima crisi economica e sociale;
   tenuto conto che:
    i principali paesi europei hanno avviato processi di revisione delle rispettive Forze armate e che il Parlamento italiano ha approvato le legge di revisione dello strumento militare che delinea Forze armate sostenibili, nel prevedibile quadro finanziario, assicurandone l'efficacia operativa;
   considerato che:
    secondo i dati riportati nel Fact Sheet (aprile 2013) del noto centro Stockholm International Peace Research Institute – SIPRI – la spesa militare in Italia si è ridotta del 5,2 per cento tra il 2011 e il 2012, e del 19 per cento tra il 2003 e il 2012, ovvero di gran lunga la maggiore riduzione – unica a «2 cifre» – riscontrata fra i paesi occidentali; la tematica dell'acquisizione dei sistemi d'arma costituisce solo un aspetto della pianificazione generale della Difesa, di cui la parte più rilevante è costituita dalla complessità delle problematiche inerenti il personale, tenendo conto della riconosciuta specificità;
    nell'ambito della razionalizzazione della spesa per investimenti occorre una seria riflessione sul mutamento degli scenari strategici. In questo senso è necessario valutare la compatibilità dei programmi a fronte delle nuove esigenze strategiche per la sicurezza del Paese – rafforzando le capacità operative delle nostre Forze armate – nonché delle risorse disponibili e dei ritorni industriali, anche con riguardo all'obiettivo di conseguire più elevati livelli occupazionali rispetto a quanto al momento prevedibile;
    si rende sempre più necessario il potenziamento delle politiche finalizzate alla prevenzione dei conflitti, da conseguire con puntuali attività di intelligence e di rafforzamento delle relazioni diplomatiche fra i vari paesi, nonché con forti azioni di sostegno a favore della cooperazione internazionale e del volontariato civile e religioso impegnato nei teatri di guerra;
    il Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2013-2015, all'attenzione del Parlamento, prevede un insieme di programmi di acquisizione di mezzi e sistemi d'arma funzionali a garantire il sistema di difesa nazionale, in coerenza con i compiti istituzionali, e con la legge 244 del 31 dicembre 2012, relativa alla delega «per la revisione dello strumento militare nazionale»;
    le Commissioni parlamentari competenti hanno manifestato l'intendimento di avviare audizioni ed indagini conoscitive, in particolare sull'incidenza dei programmi di armamento e di rinnovamento dei sistemi d'arma, delle opere, dei mezzi e dei beni direttamente destinati alla difesa nazionale, sugli obiettivi di difesa nazionale e di finanza pubblica, per verificare la coerenza della pianificazione dell'investimento, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, e anche alla luce delle parallele iniziative degli altri paesi europei, nonché delle condizioni generali di finanza pubblica, che nel momento attuale risultano caratterizzate da una complessa crisi economica che ha ripercussioni sul piano sociale,

impegna il Governo:

   a dare impulso, a partire dal Consiglio europeo di dicembre, a concrete iniziative per la crescita della dimensione di Difesa comune europea in una prospettiva di condivisa razionalizzazione della spesa;
   al pieno rispetto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, allo scopo di garantire al Parlamento di esercitare le proprie prerogative;
   in particolare, relativamente al programma F35, a non procedere a nessuna fase di acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 44.
(1-00123) «Scanu, Speranza, Manciulli, Villecco Calipari, De Micheli, Giacomelli, Grassi, Martella, Velo, Bellanova, Fregolent, Garavini, Pollastrini, De Maria, Rosato, Mauri».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

   La Camera,
   premesso che:
    i fondamenti del nostro «modello di difesa» sono contenuti nella Costituzione, con particolare riferimento all'articolo 11 che recita: «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo», e che a questi fondamenti si uniformano le scelte relative alle Forze armate;
    l'articolo 52 della Costituzione: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l'esercizio dei diritti politici. L'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», interpretato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 164 del 1985, riconosce il valore della difesa della Patria anche attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato;
    in un mondo sempre più globalizzato, che vede affacciarsi sulla scena nuovi attori in grado di incidere sugli equilibri internazionali e nuovi rischi, è ormai ineludibile per i paesi europei impegnarsi per lo sviluppo di un'effettiva politica estera e di sicurezza comune, in un quadro di collaborazione con le alleanze atlantiche;
    la maggior parte dei paesi europei è impegnata ad analizzare le opportunità che possono derivare dall'integrazione europea della difesa, con particolare riferimento alla costituzione di asset operativi e addestrativi comuni, finalizzati ad una piena interoperabilità, nonché alla promozione di sinergie industriali finalizzate alla ricerca, sviluppo e produzione di programmi comuni sulla base di accordi di cooperazione o di cooperazione rafforzata;
   il prossimo Consiglio europeo di dicembre costituirà un appuntamento fondamentale per dare impulso alla costruzione della Difesa europea e tutti i paesi dell'Unione saranno chiamati, in quella sede, a trovare convergenza e complementarietà, anche con l'obiettivo di ricercare il miglior utilizzo delle risorse disponibili, nell'attuale complesso quadro finanziario generale;
   con l'entrata in vigore dell'articolo 4 della legge n. 244 del 31 dicembre 2012, è stata attribuita al Parlamento la competenza sulla coerenza dell'adozione dei programmi dei sistemi d'arma a seguito di valutazioni riguardanti la situazione geopolitica internazionale, l'individuazione delle sfide strategiche incombenti e, nondimeno, la coerenza e la congruità degli investimenti militari, anche alla luce delle condizioni generali della finanza pubblica e della crisi economica e sociale;

  tenuto conto che:
   i principali paesi europei hanno avviato processi di revisione delle rispettive Forze armate e che il Parlamento italiano ha approvato la legge di revisione dello strumento militare che delinea Forze armate sostenibili, nel prevedibile quadro finanziario, assicurandone l'efficacia operativa;

  considerato che:
   secondo i dati riportati nel Fact Sheet (aprile 2013) del noto centro Stockolm International Peace Research Institute – SIPRI – la spesa militare in Italia si è ridotta del 5,2 per cento tra il 2011 e il 2012, e del 19 per cento tra il 2003 e il 2012, ovvero di gran lunga la maggiore riduzione – unica a «2 cifre» – riscontrata fra i paesi occidentali;
   la tematica dell'acquisizione dei sistemi d'arma costituisce solo un aspetto della pianificazione generale della Difesa, di cui la parte più rilevante è costituita dalla complessità delle problematiche inerenti al personale, tenendo conto della riconosciuta specificità;
   nell'ambito della razionalizzazione della spesa per investimenti occorre una seria riflessione sul mutamento degli scenari strategici. In questo senso è necessario valutare la compatibilità dei programmi a fronte delle nuove esigenze strategiche per la sicurezza del Paese – rafforzando le capacità operative delle nostre Forze armate – nonché delle risorse disponibili e dei ritorni industriali, anche con riguardo all'obiettivo di conseguire più elevati livelli occupazionali rispetto a quanto al momento prevedibile;
   si rende sempre più necessario il potenziamento delle politiche finalizzate alla prevenzione dei conflitti, da conseguire con puntuali attività di intelligence e di rafforzamento delle relazioni diplomatiche fra i vari paesi, nonché con forti azioni di sostegno a favore delle forze armate, della cooperazione internazionale e del volontariato civile e religioso impegnato nei teatri di guerra;
   il Documento Programmatico Pluriennale per la Difesa per il triennio 2013-2015, all'attenzione del Parlamento, prevede un insieme di programmi di acquisizione di mezzi e sistemi d'arma funzionali a garantire il sistema di difesa nazionale, tra cui la sostituzione dei velivoli aerotattici della marina e dell'aeronautica prossimi alla fine della vita operativa, in coerenza con i compiti istituzionali, e con la legge n. 244 del 31 dicembre 2012, relativa alla delega «per la revisione dello strumento militare nazionale»;
   le Commissioni parlamentari competenti hanno manifestato l'intendimento di avviare audizioni ed indagini conoscitive in vista del Consiglio europeo di dicembre, in particolare sui sistemi d'arma destinati alla difesa, per verificare la coerenza della pianificazione dell'investimento, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, e anche alla luce delle parallele iniziative degli altri paesi europei,

impegna il Governo:

   a dare impulso, a partire dal Consiglio europeo di dicembre, a concrete iniziative per la crescita della dimensione di Difesa comune europea in una prospettiva di condivisa razionalizzazione della spesa;
   al pieno rispetto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244, allo scopo di garantire al Parlamento di esercitare le proprie prerogative;
   in particolare, relativamente al programma F35, a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, ai sensi dell'articolo 4 della legge 31 dicembre 2012, n. 244.
(1-00125) «Speranza, Brunetta, Dellai, Pisicchio, Formisano».


(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

MOZIONI SPERANZA, BRUNETTA, MATARRESE, PASTORELLI ED ALTRI N. 1-00017, MATARRESE ED ALTRI N. 1-00111, ZAN ED ALTRI N. 1-00112, SEGONI ED ALTRI N. 1-00114, GRIMOLDI ED ALTRI N. 1-00117 E GIORGIA MELONI E RAMPELLI N. 1-00124 CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA TUTELA E LA SICUREZZA DEL TERRITORIO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL DISSESTO IDROGEOLOGICO

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la tutela e la sicurezza del territorio italiano, unitamente alla tutela delle acque, rappresentano un interesse prioritario della collettività; il suolo è una risorsa ambientale non riproducibile, la cui trasformazione produce effetti permanenti su ambiente e paesaggio;
    la fragilità del territorio italiano è documentata e sempre più evidente: i dati forniti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sul finire della passata legislatura classificano circa il 10 per cento del territorio nazionale ad elevata criticità idrogeologica, ossia a rischio di alluvioni, frane e valanghe; i due terzi delle aree esposte a rischio riguardano i centri urbani, le infrastrutture e le aree produttive; più in generale e con diversa intensità, il rischio di frane e alluvioni riguarda tutto il territorio nazionale; l'89 per cento dei comuni sono soggetti a rischio idrogeologico e 5,8 milioni di italiani vivono sotto tale minaccia;
    alla particolare conformazione geologica del territorio italiano, alla fragile e mutevole natura dei suoli che lo compongono ed all'acuirsi delle variazioni climatiche estreme, non è stata contrapposta una tutela specifica dalla forte pressione antropica che si regista nel nostro Paese: l'Italia è, infatti, un Paese fortemente antropizzato, con una densità media pari a 189 abitanti per chilometro quadrato, assai superiore alla media dell'Europa pari a 118 abitanti per chilometro quadrato e con fortissime sperequazioni nella distribuzione territoriale;
    secondo i dati Istat, il trend del consumo di suolo nel nostro Paese è cresciuto a ritmi impressionanti, pari a 244.000 ettari all'anno di suolo divorato da cemento ed asfalto; si è assistito, negli ultimi decenni, ad una crescita continua dell'urbanizzazione, al diffondersi di una cementificazione spesso incontrollata all'artificializzazione di corsi d'acqua minori, fiumare e canali e alla sottrazione di aree libere, agricole e boschive, quali presidi per la tenuta del territorio italiano, di cui si paga un prezzo altissimo ogni qualvolta, sul nostro Paese si abbattono piogge particolarmente intense;
    l'assenza di un'adeguata pianificazione territoriale da parte degli stessi enti preposti alla gestione del territorio ed il ricorso improprio agli oneri di urbanizzazione quale fonte prioritaria di finanziamento per i bilanci comunali, hanno spesso privato il «bene suolo» del suo valore pubblico, riducendolo ad un mero serbatoio da cui attingere risorse;
    la pratica dell'abusivismo ha minato la creazione di una cultura diffusa in materia di sicurezza del territorio, di rispetto delle regole e di salvaguardia del suolo come risorsa per le generazioni future;
    l'assenza di un'adeguata pianificazione territoriale unita a una cementificazione incontrollata ha prodotto una rilevante perdita di terreni per la produzione agricola che, insieme alla desertificazione all'improduttività dei suoli, sono fattori di rischio per gli equilibri ambientali;
    gli eventi alluvionali che hanno colpito anche in queste ultime settimane i territori dell'Emilia Romagna e della Liguria, e ripetutamente nei mesi passati anche la Toscana, le Marche, il Veneto, la Campania, la Sicilia dimostrano quanto il problema del dissesto idrogeologico non sia più catalogabile nella logica dell'emergenza, per la frequenza degli eventi e per la gravità delle ricadute prodotte sui, sistemi territoriali coinvolti;
    ciò nonostante nella gestione delle risorse pubbliche per la tutela dell'ambiente si evidenzia un deficit di pianificazione e programmazione con una spesa improduttiva e molte volte dirottata su altre finalità; uno studio dell'Associazione artigiani e piccole imprese Mestre (Cgia) ha indicato che solo l'1,1 per cento delle imposte «ecologiche» sull'energia, sui trasporti e sulle attività inquinanti, pagate dai cittadini allo Stato e agli enti locali, è destinato alla protezione dell'ambiente; il 98,9 per cento va a coprire altre voci di spesa;
    più in generale, occorre sottolineare come la politica di tutela del territorio continua a destinare la gran parte delle risorse disponibili, che restano comunque scarse, all'emergenza, anziché ad una effettiva opera di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, che è l'unico modo per prevenire danni economici e perdite di vite umane inaccettabili; ad esempio, a fronte di un finanziamento della legge n. 183 del 1989 per la difesa «strutturale» del suolo, pari a soli 2 miliardi di euro negli ultimi 20 anni, sono stati spesi ben 213 miliardi di euro per arginare le mille emergenze che si sono verificate: 161 miliardi di euro per coprire i danni provocati dai terremoti e 52 miliardi di euro per riparare i disastri derivanti dal dissesto idrogeologico. Tra il 1999 ed il 2008, inoltre, sotto stati spesi 58 miliardi di euro per la difesa del suolo, la riduzione dell'inquinamento e l'assetto idrogeologico, ma di questi oltre il 50 per cento è stato assorbito dalle spese di parte corrente e solo 26 miliardi di euro sono stati destinati ad investimenti per la prevenzione dei rischi;
    gli stanziamenti ordinari riguardanti la difesa del suolo e il rischio idrogeologico, iscritti nei bilanci di previsione degli ultimi anni, indicano pesanti riduzioni di risorse, facendo venir meno la certezza di poter disporre delle risorse necessarie a politiche di prevenzione, che hanno bisogno di continuità per poter essere efficaci e registrando, nei fatti, uno spostamento delle modalità di finanziamento che privilegia una gestione straordinaria, mediante strumenti che non sempre hanno prodotto risultati soddisfacenti;
    il piano straordinario per la prevenzione del rischio idrogeologico, previsto dalla Legge finanziaria per il 2010, che aveva assegnato per interventi straordinari al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fondi per 1 miliardo di euro a valere sulle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, non ha prodotto i risultati attesi, anche a causa del mancato e tempestivo trasferimento di risorse;
    la situazione determinatasi per effetto della mancata attuazione del piano straordinario contro il dissesto idrogeologico è risultata talmente grave da «costringere» il Governo Monti ad adottare tre apposite delibere del Cipe, la prima (n. 8 del 2012) allo scopo di individuare fra gli interventi di rilevanza strategica regionale quelli per la mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma già sottoscritti fra il Ministero dell'ambiente e le regioni del Mezzogiorno, con conseguente assegnazione di complessivi 680 milioni di euro; la seconda (la n. 6 del 2012) per lo stanziamento di 130 milioni di euro, anch'essi per interventi diretti a fronteggiare i fenomeni di dissesto idrogeologico in alcune aree delle regioni del Centro-Nord; la terza (la n. 87 del 2012) per l'assegnazione di ulteriori 1.060 milioni di euro, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, per il finanziamento di interventi per la manutenzione straordinaria del territorio nelle regioni del Mezzogiorno;
    in ogni caso, comunque, ancora prima dell'individuazione di nuove risorse economiche, occorre mettere mano con decisione all'infrastrutturazione istituzionale nel campo delle politiche per la difesa del suolo. La maggiore criticità oggi riscontrabile è, infatti, dovuta al mancato completamento del riassetto della governance e da una frammentazione e sovrapposizione di competenze: soggetti e strumenti che appesantiscono, rendendolo meno efficiente, a volte paralizzandolo, il sistema di pianificazione, programmazione, gestione e monitoraggio degli interventi;
    a livello nazionale si sconta, a tutt'oggi, la mancanza di una regia unitaria delle azioni di difesa del suolo e di gestione della risorsa idrica; l'adeguamento alle normative comunitarie – direttiva n. 2000/60/CE sulle acque ed alluvioni – avrebbe necessariamente richiesto la definizione di ruoli e competenze che sono ancora confuse tra livelli distrettuali e regionali, con l'effetto di non rendere riconoscibile la catena delle responsabilità; l'attuale revisione dei livelli istituzionali e la diversa attribuzione di funzioni in materia di pianificazione territoriale di scala vasta e di tutela delle risorse ambientali rischiano, peraltro, di creare nuove criticità;
    il sistema di gestione preposto per la difesa del suolo, la tutela delle acque e i servizi idrici è di tipo spiccatamente centralistico, incapace di coordinare sinergicamente competenze, ruoli, responsabilità e poteri decisionali delle istituzioni interessate e di armonizzare contenuti, modalità di approvazione, attuazione ed aggiornamento dei diversi strumenti di pianificazione; l'istituzione delle otto autorità di bacino distrettuali, non ancora operative, alle quali viene attribuita la potestà pianificatoria, trova limiti nella stessa delimitazione territoriale dei distretti approvata, nella loro architettura istituzionale, dovuto ad un eccessivo peso ministeriale e a un conflitto latente con il sistema delle regioni, deleterio per gli organismi che dovrebbero fondarsi sul principio cooperativo tra Stato e regioni a fronte di competenze concorrenti in materia territoriale, e nella stessa operatività economica di tali organismi, a causa delle crescenti difficoltà finanziarie del settore pubblico;
    i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, da predisporre per il raggiungimento degli obiettivi della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE entro il termine di nove anni dalla sua emanazione, sono stati adottati dai comitati istituzionali delle autorità di bacino, ma sono tuttora in attesa di definitiva approvazione da parte del Consiglio dei ministri (ad oggi il Governo ha approvato solo tre schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recanti approvazione di piani di gestione distrettuali), con il risultato di aver prodotto fin qui solo effetti limitativi per i territori interessati, senza aver invece dispiegato le azioni positive in essi previste;
    a livello comunitario, oltre alla direttiva quadro sulle acque n. 2000/60/CE, solo parzialmente attuata con il decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto Codice ambientale), altri importanti atti legislativi comunitari in materia di gestione delle acque e di difesa del suolo sono stati parzialmente assunti e recepiti dal nostro Paese, tra cui la direttiva sulle alluvioni n. 2007/60/CE, recepita con il decreto legislativo n. 49 del 2010 che, però, mal si integra con il citato Codice ambientale;
    tratto fondante del progetto comunitario, a cui dovrebbe ispirarsi l'azione del nostro Paese in materia di difesa del suolo, è il perseguimento di un'azione programmatica non limitata al semplice bilanciamento delle esigenze di sicurezza, di quelle ecologiche ed economiche, ma finalizzata all'obiettivo di un cambiamento del modello di sviluppo, attraverso scelte di destinazione ed uso del territorio. Punti caratterizzanti di tale programma sono la ricostruzione ecologica dei corsi d'acqua, lo sfruttamento dei processi di qualificazione dell'agricoltura come cura e presidio del territorio, l'introduzione dell'analisi economica nei processi decisionali, al fine di realizzare gli interventi che portano maggior beneficio alla collettività piuttosto che favorire la redditività immediata del singolo, l'assunzione, nel quadro degli scenari di cambiamento, anche dei cambiamenti climatici, la promozione di politiche di adattamento piuttosto che il ricorso ad interventi strutturali, la valorizzazione di pratiche di tipo «negoziale-dialogico» e di partecipazione e coinvolgimento del pubblico nella ricerca di scelte condivise;
    la maggior parte degli interventi finalizzati alla difesa del suolo, realizzati in Italia, sono interventi strutturali di difesa passiva, nonostante sia ormai dimostrato che il binomio «dissesto-intervento di difesa del dissesto» può dar luogo a soluzioni localmente soddisfacenti, ma se applicato diffusamente può provocare effetti negativi, non solo perché spesso il rapporto costo/efficacia è sfavorevole, ma anche perché la realizzazione di un intervento a monte può aggravare i pericoli a valle. Al contrario, occorre puntare sulle attività di carattere preventivo, che pongano l'enfasi sul valore delle regole di uso del suolo, sul monitoraggio delle situazioni di rischio e sul grado di conoscenza e consapevolezza delle popolazioni del livello di esposizione al rischio di un territorio;
    anche la gestione delle sempre più frequenti emergenze dovute al dissesto idrogeologico, in capo nel nostro Paese ad un sistema di protezione civile tra i più qualificati al mondo, ha dovuto misurarsi negli ultimi anni con crescenti difficoltà, accentuate dall'incertezza del sistema normativo di riferimento anche a seguito dell'intervento abrogativo intervenuto con sentenza n. 22 del 2012 della Corte costituzionale; la conseguente adozione da parte del Governo Monti delle misure del decreto-legge n. 59 del 2012, in materia di protezione civile non hanno però fugato tutti i dubbi degli amministratori locali in ordine al fatto che in caso di calamità naturali gli eventuali interventi di protezione civile messi in atto da organismi statali, in particolare quelli approntati dalle Forze armate, non sono posti a carico degli enti territoriali rappresentanti delle popolazioni colpite dalle medesime calamità naturali;
    in Italia il mercato assicurativo offre la garanzia per rischi da catastrofi naturali come estensione della garanzia base incendio, ma tale offerta è più diffusa nelle polizze alle imprese e più rara per i privati; occorrerebbe promuovere la diffusione di una moderna cultura che tenga conto del rischio da catastrofi naturali e dei suoi drammatici effetti e costi umani, sociali ed economici, e in tale ottica è da ritenere indispensabile un incisivo intervento dello Stato che affianchi e renda più conveniente e sostenibile per i cittadini i costi di un sistema di copertura assicurativa volontaria degli edifici; andrebbero pertanto incoraggiate forme di trasferimento dei rischi catastrofali sul modello di quanto accade in altri paesi, quale la Francia, dove vige un regime assicurativo semi obbligatorio che vede lo Stato nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza;
    è quanto mai necessario richiamare ad un nuovo e più incisivo impegno il Parlamento e il Governo, anche alla luce dei deludenti risultati registrati in questi anni e della necessità di individuare soluzioni tempestive ed avanzate per fronteggiare il ripetersi di episodi calamitosi ed emergenziali, sempre più gravi e difficilmente risolvibili esclusivamente con interventi ex post, sempre più costosi e sostanzialmente inefficaci;
    un piano strutturale di messa in sicurezza e di manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua, finalizzato alla riduzione del rischio idrogeologico, rappresenta uno straordinario strumento di rilancio economico e di creazione di occupazione, a partire dalla riattivazione degli investimenti immediatamente cantierabili da parte degli enti locali e quindi da una revisione delle regole del Patto di stabilità interno che oggi impediscono la realizzazione di interventi fondamentali sul fronte della prevenzione,

impegna il Governo:

   a considerare la manutenzione del territorio e la difesa idrogeologica una priorità per il Paese, in quanto finalizzata a garantire la sicurezza dei cittadini;
   a contrastare ogni iniziativa di indebolimento della pianificazione territoriale, in passato pesantemente compromessa da indiscriminati interventi di condono edilizio, salvaguardando la centralità della pianificazione territoriale integrata di scala vasta nelle scelte in itinere di ridefinizione dei livelli istituzionali esistenti, privilegiando la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nell'allocazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte ad una gestione ordinaria delle procedure, in primo luogo salvaguardando e sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione dal rischio idrogeologico;
   a prevedere l'attivazione di un Fondo nazionale per la difesa del suolo e la riduzione del rischio idrogeologico finalizzato alla realizzazione da parte del Ministero dell'ambiente, di concerto con i soggetti istituzionali territorialmente preposti, di un Piano organico con obiettivi a breve e medio termine per la sicurezza e la manutenzione del territorio, che possa consentire agli enti competenti di aggiornare i propri documenti di progettazione e renderli finanziabili nell'ambito delle risorse attivabili nel quadro delle politiche di coesione per il ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020;
   ad adottare politiche, che, contrastando il fenomeno dell'abbandono dei terreni, del disboscamento e quindi dell'improduttività del terreno stesso, riconoscano il valore strategico dell'agricoltura come presidio del territorio;
   a dare piena attuazione, nell'ambito della propria competenza, ai principi e ai contenuti delle direttive europee in materia di gestione delle risorse idriche e di alluvioni, assumendo le opportune iniziative di natura amministrativa e normativa che possano portare ad una significativa riorganizzazione del sistema di responsabilità e competenze, che elimini sovrapposizioni ed incongruenze del quadro esistente, puntando ad una maggiore cooperazione tra i livelli amministrativi ed il sistema delle competenze tecniche esterne, ad un effettivo coordinamento tra politiche settoriali e territoriali nonché ad una reale attuazione dei requisiti di partecipazione pubblica attiva e di informazione/educazione al rischio, anche mediante la valorizzazione di esperienze virtuose di programmazione negoziata territoriale, come i contratti di fiume;
   ad adottare iniziative normative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare le modifiche al quadro normativo vigente nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e del governo delle risorse idriche, al fine di rendere finalmente operative le autorità di bacino distrettuali secondo una governance che tenga conto delle esigenze di riequilibrio istituzionale sostenute dalle regioni, di una delimitazione più funzionale dei distretti e di un sistema di governo in grado di riconoscere e valorizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze delle strutture tecniche di bacino esistenti a livello regionale e locale, nonché a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE;
   ad assumere iniziative volte a promuovere, nell'ambito della revisione delle regole del Patto di stabilità interno, un piano straordinario di manutenzione diffusa del territorio e dei corsi d'acqua, che coinvolga il sistema delle autonomie locali e che rechi forme di incentivazione della partecipazione attiva della popolazione, anche mediante la sperimentazione di progetti che coinvolgano lavoratori temporaneamente beneficiari di ammortizzatori sociali;
   a promuovere, per quanto di propria competenza, le opportune modifiche normative che garantiscano la possibilità del sistema della protezione civile di operare in modo tempestivo ed efficace nel campo del contrasto ai danni provocati dal dissesto idrogeologico, anche mediante la revisione delle criticità eventualmente riscontrate in sede di applicazione della nuova normativa prevista dal decreto-legge n. 59 del 2012;
   a valutare l'opportunità di introdurre forme di assicurazione da rischi naturali che vedano comunque il coinvolgimento obbligatorio dello Stato anche solo nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza.
(1-00017)
(Ulteriore nuova formulazione) «Speranza, Brunetta, Matarrese, Pastorelli, Braga, Mariani, Borghi, Latronico, Dellai, Sarro, Realacci, Cenni, Zardini, Dallai, Dorina Bianchi, Arlotti, Taranto, Tino Iannuzzi, Alli, Rampi, Oliverio, Fiano, Gadda, Sottanelli, Pili, Pastorino, Grassi, Lenzi, Velo, Bratti, Causin, Castiello, Vella, Rosato, Tidei, Garavini, Carrescia, D'Incecco, Lodolini, Manfredi, Magorno, Quartapelle Procopio, D'Agostino, Cinzia Maria Fontana, Tullo, Daniela Cardinale, Maestri, Manzi, Marzano, Rossi, Vecchio, Marantelli, Moretto, Distaso, Ghizzoni, Giulietti, Gregori, Vargiu, Zanetti, Patriarca, Cimbro, Sereni, Crivellari, Laforgia, Mazzoli, Leonori, Tentori, Giovanna Sanna, Cominelli, Narduolo, Amoddio, Piepoli, Fabbri, Verini, Fregolent, Martella, Rigoni, Giacobbe, Sani, Fontanelli, Rossomando, Guerra, Senaldi, Lorenzo Guerini, Giuseppe Guerini, Morassut, Rotta, Mariastella Bianchi, Lattuca, Basso, Marco Meloni, Marchi, Ferrari, Scuvera, Sbrollini, Rubinato, Valiante, Antezza, Schirò Planeta, Monchiero, Rabino, Marazziti, Piccione, Ribaudo, Biondelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno del dissesto idrogeologico rappresenta un problema estremamente diffuso nel nostro Paese che risulta, infatti, soggetto a rapidi e periodici processi che ne alterano il territorio e producono conseguenze spesso devastanti; molto spesso si tratta di fenomeni connessi al defluire delle acque libere in superficie e nel sottosuolo che causano l'alterazione dello stato di stabilità dei terreni e dei pendii e/o l'esondazione dei corsi d'acqua per rilevanti e repentini aumenti di portata. Questi fenomeni si manifestano sotto forma di erosioni, frane o alluvioni dovuti a cause strutturali o occasionali. Gli effetti del dissesto incidono sia sulla perdita di vite umane e provocano evidenti alterazioni ambientali e dei territori che si ripercuotono su tutte le attività dell'uomo, con rilevanti danni per le comunità colpite;
    il rischio idrogeologico nel nostro Paese è in gran parte imputabile all'azione dell'uomo nella trasformazione ed edificazione dei territori. La densità della popolazione, la progressiva urbanizzazione, l'abbandono dei terreni montani, l'edificazione in aree a rischio, il disboscamento e la mancata o carente manutenzione dei corsi d'acqua e dei versanti e/o pendii a rischio di instabilità hanno sicuramente aggravato la situazione e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano, aumentandone l'esposizione ai rischi di dissesto idrogeologico;
    i pericoli per la popolazione italiana sono evidenti se si osserva l'andamento dei fenomeni di dissesto verificatisi negli ultimi cinquanta anni. L'analisi del documento di studio in materia prodotto da Ance e da Cresme evidenzia un progressivo aumento del rischio per la popolazione dovuto all'espansione urbana, che ha interessato tutta l'Italia in maniera rilevante a partire dal dopoguerra e che ha determinato l'antropizzazione anche dei territori più fragili dal punto di vista idrogeologico. Negli anni il mutato stile di vita della popolazione ha determinato un progressivo allontanamento dalle aree interne a favore dei centri urbani e l'abbandono della funzione di manutenzione e presidio territoriale, che da sempre assicurava un equilibrio del territorio. I versanti boschivi, gli alvei fluviali e i territori agricoli abbandonati hanno lasciato posto a frane e inondazioni;
    la dimensione del problema appare evidente solo se si pensa che, a partire dall'inizio del secolo, gli eventi di dissesto idrogeologico gravi sono stati oltre 4.000 e hanno provocato ingenti danni a persone, case e infrastrutture, ma, soprattutto, hanno provocato circa 12.600 morti, mentre il numero dei dispersi, dei feriti e degli sfollati supera i 700 mila;
    sulla base dei dati raccolti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso il progetto Avi, tra il 1985 e il 2001 si sono verificati in Italia circa 15.000 eventi di dissesto (gravi e/o lievi), di cui 13.500 frane e 1.500 piene. Alcuni di questi hanno avuto ripercussioni sulla popolazione, provocando vittime o danneggiando i centri abitati. Dei 15.000 eventi, 120 hanno provocato vittime, 95 frane e 25 alluvioni e hanno causato circa 970 morti;
    successivamente al 2002 il progetto Avi è stato interrotto. Il Cresme e l'Ance, sulla base di un lavoro di raccolta dati, sono riusciti a ricostruire l'andamento degli eventi di dissesto nel periodo recente, dimostrando come il territorio italiano sia caratterizzato da un forte rischio naturale;
    secondo i predetti dati, le aree a elevato rischio sismico sono circa il 44 per cento della superficie nazionale (131 mila chilometri quadrati) e interessano il 36 per cento dei comuni (2.893) e quelle ad elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10 per cento della superficie italiana (29.500 chilometri quadrati) e riguardano l'89 per cento dei comuni (6.631);
    nelle aree ad elevato rischio sismico vivono 21,8 milioni di persone (36 per cento della popolazione), per un totale di 8,6 milioni di famiglie, e si trovano circa 5,5 milioni di edifici tra residenziali e non residenziali;
    la popolazione residente nelle aree ad elevato rischio idrogeologico è, invece, pari a 5,8 milioni di persone (9,6 per cento della popolazione), per un totale di 2,4 milioni di famiglie. In queste aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici. Tra questi, particolarmente esposti al rischio, sono i capannoni per le attività produttive, che, richiedendo ampi spazi costruttivi, spesso si trovano ai margini delle città, al confine con aree a rischio, e le aree urbane interessate da corsi d'acqua soggetti a rapide variazioni di regime idraulico;
    geograficamente, il rischio sismico maggiore riguarda le regioni della fascia appenninica e del Sud Italia. Al primo posto c’è la Campania, in cui 5,3 milioni di persone vivono nei 489 comuni a rischio sismico elevato. Seguono la Sicilia, con 4,7 milioni di persone in 356 comuni a rischio e la Calabria, dove tutti i comuni sono coinvolti, per un totale di circa 2 milioni di persone. In queste tre regioni il patrimonio edilizio è esposto a rischio sismico maggiore: Sicilia (2,5 milioni di abitazioni), Campania (2,1 milioni di abitazioni), Calabria (1,2 milioni);
    la superficie italiana ad elevata criticità idrogeologica è per il 58 per cento soggetta a fenomeni di frane (17.200 chilometri quadrati) e per il 42 per cento è a rischio alluvione (12.300 chilometri quadrati). Sommando questi due elementi di criticità, l'Emilia-Romagna è la regione che presenta un maggior livello di esposizione al rischio, con 4.316 chilometri quadrati, pari al 19,5 per cento della superficie. Seguono la Campania (19,1 per cento di aree critiche), il Molise (18,8 per cento) e la Valle d'Aosta (17,1 per cento). Su scala regionale, invece, in cinque regioni – la Valle d'Aosta, l'Umbria, il Molise, la Calabria e la Basilicata – tutti i comuni hanno una quota di superficie territoriale interessata da aree di elevata criticità idrogeologica. Su scala provinciale, invece, al primo posto c’è Napoli, dove 576 mila persone risiedono nelle aree a rischio elevato (208 mila abitazioni), al secondo posto Torino (326 mila persone e 148 mila abitazioni) e al terzo Roma (216 mila persone e quasi 96 mila abitazioni);
    la pericolosità degli eventi naturali è senza dubbio amplificata dall'elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano. Oltre il 60 per cento degli edifici (circa 7 milioni) è stato costruito prima del 1971, quindi prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica per nuove costruzioni (1974). Di questi, oltre 2,5 milioni risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione e, quindi, più esposti ai rischi idrogeologici;
    il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, è pari a 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi all'anno. Il 75 per cento del totale, 181 miliardi di euro, riguarda i terremoti, il restante 25 per cento, 61,5 miliardi di euro, è da addebitare al dissesto idrogeologico. Solo dal 2010 a oggi si stimano costi per 20,5 miliardi (l'8 per cento del totale), considerando i 13,3 miliardi di euro quantificati per il terremoto in Emilia-Romagna;
    i dati innanzi indicati evidenziano la necessità di un piano strategico nazionale, sostenuto da una decisa azione politica, che programmi interventi finalizzati, soprattutto in via preventiva, alla tutela del territorio ed alla salvaguardia della salute e dell'incolumità dei cittadini del nostro Paese in una logica unitaria di gestione del territorio e di semplificazione tra le competenze e le responsabilità dei diversi enti preposti;
    questa necessità emerge anche dalla circostanza che gli stanziamenti ordinari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, finalizzati alla tutela e conservazione del territorio, sarebbero stati ridotti del 91 per cento negli ultimi 5 anni come riportato dai dati Ance-Cresme;
    i dati sulla spesa delle risorse stanziate non sono incoraggianti: più della metà degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico finanziati in base al decreto-legge n. 180 del 1998 sembrerebbe che non siano ancora stati conclusi;
    le risorse del «Piano Cipe delle opere prioritarie», destinate, tre anni fa, alla riduzione del rischio idrogeologico (circa 2 miliardi di euro, compresi i relativi cofinanziamenti regionali), risulterebbero impegnate per meno del 10 per cento;
    nel 2009 è stato varato il programma di messa in sicurezza degli edifici scolastici da 1 miliardo di euro, successivamente ridotto a circa 800 milioni di euro: ad oggi, pare che sia stato impegnato meno del 10 per cento dei fondi;
    appare evidente e necessario, dunque, risolvere rapidamente il problema della programmazione ed attuazione degli interventi e dello stanziamento e della spesa effettiva delle risorse per la messa in sicurezza del territorio;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe sottolineato, recentemente, l'urgenza di un piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio, il cosiddetto «piano Clini», quantificando gli investimenti necessari in 1,2 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni,

impegna il Governo:

   a considerare la manutenzione del territorio e la difesa idrogeologica una priorità per il Paese in quanto finalizzata a garantire la sicurezza dei cittadini;
   ad individuare, in tempi brevi, soluzioni efficaci, anche di tipo normativo, che possano, nell'ambito di un piano strategico nazionale di intervento finalizzato alla riduzione del rischio idrogeologico, garantire agli enti locali la possibilità di destinare risorse nei bilanci per gli investimenti necessari a garantire la sicurezza e la qualità della vita dei cittadini tramite la messa in sicurezza delle scuole ed interventi di manutenzione dei territori e dei corsi d'acqua, anche prevedendo di escludere queste risorse dal patto di stabilità interno;
   a procedere in tempi rapidi all'attuazione dei lavori relativi al piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio, cosiddetto «piano Clini», elaborato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, affinché sia possibile programmare interventi in una logica integrata ed unitaria di gestione e di semplificazione tra competenze e responsabilità dei vari enti preposti, investendo i previsti 1,2 miliardi di euro all'anno per 20 anni con certezza di risorse in termini di stanziamento e spesa;
   a prevedere, nell'ambito delle risorse disponibili del «piano Clini», incentivi per il rimboschimento e/o l'impianto di colture agricole in aree a rischio, quale primo presidio di difesa idrogeologica.
(1-00111) «Matarrese, Dellai, Causin, D'Agostino, Piepoli, Vargiu, Vecchio, Sottanelli, Zanetti, Rossi, Schirò Planeta, Monchiero, Rabino, Marazziti».


   La Camera,
   premesso che:
    i sempre più frequenti fenomeni alluvionali e calamitosi che colpiscono il nostro Paese, mettono in luce drammaticamente l'estrema fragilità del territorio italiano e la necessità di una sua ormai improcrastinabile messa in sicurezza complessiva, contestualmente a una sostenibile pianificazione urbanistica. A questo si aggiunge il crescente grado di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani, in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
    peraltro, gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni, prima degli anni ’90, a 4-5 l'anno;
    secondo dati forniti del Consiglio nazionale dei geologi, dal 1996 al 2008 in Italia sono stati spesi più di 27 miliardi di euro per dissesto idrogeologico e terremoti, oltre al fatto che 6 milioni di italiani abitano nei 29.500 chilometri quadrati del territorio considerati ad elevato rischio idrogeologico e ben 1.260.000 sono gli edifici a rischio per frane e alluvioni. Di questi, sono 6.000 le scuole e 531 gli ospedali;
    circa il 10 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e sono oltre 6.600 i comuni interessati;
    solo nell'ultimo triennio lo Stato ha stanziato circa un miliardo di euro per le emergenze causate da eventi calamitosi di natura idrogeologica in tredici regioni. Per la prevenzione, invece, sono stati stanziati solo 2 miliardi di euro in 10 anni, laddove il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro;
    si continua, invece, a rincorrere le emergenze e le calamità e a contare i danni, e troppo spesso purtroppo le numerose vittime, stanziando ogni volta ingenti risorse economiche necessarie per ricostruire le aree colpite;
    vanno, comunque, segnalati i complessivi 1.870 milioni di euro assegnati dal Cipe, nell'ambito della programmazione del fondo per lo sviluppo e la coesione, con tre diverse delibere (n. 8 del 2012, n. 6 del 2012 e n. 87 del 2012) per il contrasto al rischio idrogeologico di rilevanza regionale;
    rimane il taglio costante che in questi ultimi anni c’è stato agli stanziamenti ordinari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la difesa del suolo, che si sono ridotti in maniera drastica e inaccettabile;
    anche le risorse complessivamente assegnate alla Protezione civile sono assolutamente insufficienti e il relativo fondo ha subito in questi ultimi anni una consistente riduzione;
    parallelamente lo stesso fondo regionale di protezione civile, che ha permesso, dal momento della sua attivazione avvenuta con l'articolo 138, comma 16, della legge n. 388 del 2000, di realizzare un efficace sistema nazionale di protezione civile articolato sul territorio, non è stato più rifinanziato. L'ultima annualità finanziata del suddetto fondo è stata il 2008 (erogata nel corso del 2010);
    si ricorda che l'impiego delle risorse del suddetto fondo regionale, inoltre, ha permesso di fronteggiare con efficacia i numerosi eventi calamitosi di rilievo regionale verificatisi in questi ultimi anni, permettendo alle strutture nazionali della protezione civile italiana di concentrarsi sulle emergenze di grandi proporzioni;
    la legge finanziaria per il 2010 aveva destinato 1 miliardo di euro alla realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico, individuate dalla direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile nazionale. La stessa norma aveva, altresì, individuato, quale strumento privilegiato per l'utilizzo delle risorse, l'accordo di programma da sottoscrivere con le regioni interessate. Detti accordi di programma sono stati sottoscritti praticamente con tutte le regioni;
    le suddette risorse stanziate dalla legge finanziaria per il 2010, sono state successivamente ridotte di 200 milioni di euro per far fronte ad eventi calamitosi;
    considerando complessivamente le risorse statali fondo per aree sottoutilizzate, quelle di bilancio del Ministero e le risorse regionali, il valore complessivo degli accordi di programma sottoscritti e registrati è pari a circa 2.155 milioni di euro;
    tuttavia, decorsi due anni dall'entrata in vigore della legge finanziaria per il 2010, il piano straordinario per il dissesto idrogeologico in molte regioni presenta notevoli difficoltà di attuazione. Detto piano, di fatto, non è praticamente mai decollato: si tratta di risorse di fatto in gran parte «virtuali». Quelle poche risorse che risultano a disposizione degli enti territoriali sono difficili da spendere a causa dei vincoli del patto di stabilità;
    è, invece, necessario che le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per gli interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico possano beneficiare dell'esclusione dai vincoli del patto di stabilità, che rappresentano un evidente fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
    nell'audizione alla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati del 30 novembre 2011, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Corrado Clini, aveva sottolineato la necessità di «creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata (....) ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente per la prevenzione del dissesto idrogeologico»;
    l'avvio di un piano pluriennale per la messa in sicurezza del territorio del nostro Paese non solo avrebbe una straordinaria valenza e un reale interesse pubblico, ma rappresenterebbe la vera «grande opera» strategica di cui il nostro Paese ha prioritariamente bisogno. In più, al contrario della miriade di opere infrastrutturali a cui si è data priorità, sarebbe l'unica opera pubblica diffusa su tutto il territorio nazionale, in grado di attivare da subito migliaia di cantieri con evidenti ricadute positive dal punto di vista occupazionale. L'opera di risanamento territoriale, al contrario della grande opera infrastrutturale, è, infatti, distribuita e diffusa sul territorio, realizzabile anche per gradi e per processi di intervento monitorati nel tempo, in grado di produrre attività ed economie durevoli, oltreché un elevato numero di persone impiegate nettamente superiore al modello della «grande infrastruttura»;
    le politiche per la difesa del suolo devono riguardare gli elementi strutturali del rischio, ossia: la messa in sicurezza del territorio e la riduzione dei rischi legati agli usi impropri del territorio, compreso il fenomeno dell'abusivismo;
    sotto questo aspetto il nostro territorio è, infatti, consumato e segnato profondamente, anche «grazie» al contributo nefasto del fenomeno dell'abusivismo troppo spesso ignorato o tollerato, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, e anzi alimentato anche dalle deprecabili norme di condono edilizio approvate negli anni scorsi;
    i passati condoni edilizi hanno, infatti, contribuito fortemente ad alimentare la convinzione diffusa che sul territorio si possa compiere qualsiasi azione, anche senza avere l'autorizzazione di legge. È, invece, indispensabile sconfiggere questa cultura e riportare la necessaria trasparenza e rigore su tutti gli interventi urbanistici che trasformano il territorio e il paesaggio;
    peraltro, va evidenziato che gli interessi che sottendono spesso al comparto delle costruzioni, si sommano agli storici interessi legati ai cambi di destinazione d'uso delle aree agricole e all'edificabilità dei suoli, entrando così troppo spesso in conflitto con una seria e corretta programmazione e gestione del nostro territorio. Purtroppo, troppi piani urbanistico-territoriali hanno spesso accompagnato e assecondato questo orientamento, anche perché gli oneri di urbanizzazione vengano spesso usati per ripianare i bilanci dei comuni e questo spinge i comuni stessi a costruire per fare cassa, anche a scapito di una corretta e sostenibile gestione del territorio;
    un lavoro predisposto qualche tempo fa dal Wwf Italia con l'Università dell'Aquila fa, infatti, emergere dati che devono far riflettere: dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500 per cento e si è valutato che dal 1990 al 2005 si è stati capaci di trasformare oltre 3,5 milioni di ettari, cioè una superficie grande quasi quanto il Lazio e l'Abruzzo messi insieme. Fra questi ci sono 2 milioni di fertile terreno agricolo, che oggi è stato coperto da capannoni, case, strade ed altro;
    la pianificazione urbanistica e l'assetto del territorio sono, quindi, inevitabilmente strettamente connessi. Il governo del territorio include, infatti, l'urbanistica, l'edilizia, i programmi infrastrutturali, il contrasto al dissesto idrogeologico, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio;
    gli interventi per la tutela e il risanamento del suolo e del sottosuolo vanno, quindi, necessariamente coordinati – se vogliono essere realmente efficaci – con le leggi urbanistiche e con i piani regolatori – soprattutto con quelli urbanistici comunali, e non soltanto con i grandi piani territoriali;
    il decreto legislativo n. 49 del 2010, recependo la direttiva 2007/60/CE, ha previsto una specifica disciplina per la gestione dei rischi alluvionali. Esso ha attribuito alle autorità di bacino distrettuali (previste dal codice ambientale) la competenza per la valutazione preliminare del rischio alluvioni, la predisposizione delle mappe della pericolosità e del rischio alluvioni. A dette autorità di bacino distrettuali compete l'adozione dei piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico e la predisposizione di appositi piani di gestione del rischio alluvione coordinati a livello di distretto idrografico. Dette autorità di bacino distrettuali, peraltro, non sono ancora operative;
    in questo ambito, manca comunque una regia unitaria di gestione della risorsa idrica capace di armonizzare e coordinare con efficacia le diverse competenze e i ruoli tra i vari soggetti istituzionali coinvolti e si registra una mancanza di «coordinamento» tra Stato e regioni;
    un progetto sperimentale, che, se avviato, potrebbe contribuire sensibilmente all'opera capillare di manutenzione del nostro territorio, è quello relativo alla creazione di una sorta di «corpo giovanile per la difesa del territorio», che opererebbe in ambito regionale, composto di giovani iscritti nelle liste di disoccupazione e la cui famiglia abbia un isee non superiore ad una determinata somma, da impiegare per un anno in coordinamento con il Corpo forestale dello Stato, e dopo debita formazione, per le opere di pulizia dei corsi d'acqua, dei bacini lacustri e delle rive, per il rimboschimento dei bacini idrografici e per la difesa del suolo nell'ambito di singoli bacini o sottobacini idrografici. A detti giovani verrebbe corrisposta un'indennità mensile da definire ed esente da imposte e contributi,

impegna il Governo:

   ad avviare, in raccordo con le regioni, un piano pluriennale per la difesa del suolo nel nostro Paese, quale vera e prioritaria «grande opera» infrastrutturale, in grado non solamente di mettere in sicurezza il fragile territorio italiano, ma di attivare migliaia di cantieri distribuiti sul territorio, con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;
   ad assumere iniziative affinché l'utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, da parte di regioni ed enti locali, per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico, venga escluso dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, che finisce per rappresentare un fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
   a individuare ulteriori risorse, nonché a sbloccare risorse già previste per la prevenzione del rischio idrogeologico, anche attraverso:
    a) la rimodulazione di delibere Cipe e di fondi esistenti;
    b) la revisione – in accordo con le regioni – delle priorità della «legge obiettivo», al fine di mettere in testa le opere di difesa de suolo, a cominciare dai piani stralcio predisposti dalle autorità di bacino per la messa in sicurezza delle aree più a rischio;
   a velocizzare i tempi medi di trasferimento delle risorse, già stanziate, a favore dei territori colpiti da calamità naturali;
   ad adottare le opportune iniziative affinché i comuni provvedano a redigere in tempi brevi dei piani attuativi minimi per la messa in sicurezza del loro territorio, individuando da subito le aree a rischio prioritario;
   ad assumere iniziative per integrare le risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il contrasto al dissesto idrogeologico;
   ad adottare iniziative per provvedere al rifinanziamento del fondo regionale di protezione civile, praticamente azzerato, e che ha finora consentito di realizzare un efficace sistema nazionale di protezione civile articolato sul territorio;
   a prevedere, nell'ambito delle proprie competenze e in stretto coordinamento con gli enti locali interessati, una mappatura degli insediamenti urbanistici nelle aree a più elevato rischio idrogeologico, individuando idonee forme di agevolazioni finalizzate alla loro delocalizzazione, prevedendo contestualmente il divieto assoluto di edificabilità in dette aree;
   ad adottare e sostenere opportune iniziative volte a prevedere una normativa in materia di pianificazione urbanistica e di governo del territorio, che contenga principi irrinunciabili, omogenei e condivisi, in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo e rigoroso per le regioni, con particolare riferimento alla necessità di riconoscere il territorio come bene comune e risorsa limitata, perseguendo l'obiettivo di limitare il consumo del suolo, anche attraverso il contenimento della diffusione urbana, disincentivando a tal fine nuovi impieghi di suolo a fini insediativi e infrastrutturali e favorendo il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti;
   a valutare la possibilità di avviare il progetto sperimentale di impiego di giovani, come esposto in premessa, per la manutenzione e la tutela del territorio.
(1-00112) «Zan, Pellegrino, Zaratti, Migliore, Di Salvo, Kronbichler, Piazzoni, Nardi».


   La Camera,
   premesso che:
    i sempre più frequenti fenomeni alluvionali e calamitosi che colpiscono il nostro Paese, mettono in luce drammaticamente l'estrema fragilità del territorio italiano e la necessità di una sua ormai improcrastinabile messa in sicurezza complessiva, contestualmente a una sostenibile pianificazione urbanistica. A questo si aggiunge il crescente grado di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani, in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
    peraltro, gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni, prima degli anni ’90, a 4-5 l'anno;
    secondo dati forniti del Consiglio nazionale dei geologi, dal 1996 al 2008 in Italia sono stati spesi più di 27 miliardi di euro per dissesto idrogeologico e terremoti, oltre al fatto che 6 milioni di italiani abitano nei 29.500 chilometri quadrati del territorio considerati ad elevato rischio idrogeologico e ben 1.260.000 sono gli edifici a rischio per frane e alluvioni. Di questi, sono 6.000 le scuole e 531 gli ospedali;
    circa il 10 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e sono oltre 6.600 i comuni interessati;
    solo nell'ultimo triennio lo Stato ha stanziato circa un miliardo di euro per le emergenze causate da eventi calamitosi di natura idrogeologica in tredici regioni. Per la prevenzione, invece, sono stati stanziati solo 2 miliardi di euro in 10 anni, laddove il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro;
    si continua, invece, a rincorrere le emergenze e le calamità e a contare i danni, e troppo spesso purtroppo le numerose vittime, stanziando ogni volta ingenti risorse economiche necessarie per ricostruire le aree colpite;
    vanno, comunque, segnalati i complessivi 1.870 milioni di euro assegnati dal Cipe, nell'ambito della programmazione del fondo per lo sviluppo e la coesione, con tre diverse delibere (n. 8 del 2012, n. 6 del 2012 e n. 87 del 2012) per il contrasto al rischio idrogeologico di rilevanza regionale;
    rimane il taglio costante che in questi ultimi anni c’è stato agli stanziamenti ordinari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la difesa del suolo, che si sono ridotti in maniera drastica e inaccettabile;
    anche le risorse complessivamente assegnate alla Protezione civile sono assolutamente insufficienti e il relativo fondo ha subito in questi ultimi anni una consistente riduzione;
    parallelamente lo stesso fondo regionale di protezione civile, che ha permesso, dal momento della sua attivazione avvenuta con l'articolo 138, comma 16, della legge n. 388 del 2000, di realizzare un efficace sistema nazionale di protezione civile articolato sul territorio, non è stato più rifinanziato. L'ultima annualità finanziata del suddetto fondo è stata il 2008 (erogata nel corso del 2010);
    si ricorda che l'impiego delle risorse del suddetto fondo regionale, inoltre, ha permesso di fronteggiare con efficacia i numerosi eventi calamitosi di rilievo regionale verificatisi in questi ultimi anni, permettendo alle strutture nazionali della protezione civile italiana di concentrarsi sulle emergenze di grandi proporzioni;
    la legge finanziaria per il 2010 aveva destinato 1 miliardo di euro alla realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico, individuate dalla direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile nazionale. La stessa norma aveva, altresì, individuato, quale strumento privilegiato per l'utilizzo delle risorse, l'accordo di programma da sottoscrivere con le regioni interessate. Detti accordi di programma sono stati sottoscritti praticamente con tutte le regioni;
    le suddette risorse stanziate dalla legge finanziaria per il 2010, sono state successivamente ridotte di 200 milioni di euro per far fronte ad eventi calamitosi;
    considerando complessivamente le risorse statali fondo per aree sottoutilizzate, quelle di bilancio del Ministero e le risorse regionali, il valore complessivo degli accordi di programma sottoscritti e registrati è pari a circa 2.155 milioni di euro;
    tuttavia, decorsi due anni dall'entrata in vigore della legge finanziaria per il 2010, il piano straordinario per il dissesto idrogeologico in molte regioni presenta notevoli difficoltà di attuazione. Detto piano, di fatto, non è praticamente mai decollato: si tratta di risorse di fatto in gran parte «virtuali». Quelle poche risorse che risultano a disposizione degli enti territoriali sono difficili da spendere a causa dei vincoli del patto di stabilità;
    è, invece, necessario che le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per gli interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico possano beneficiare dell'esclusione dai vincoli del patto di stabilità, che rappresentano un evidente fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
    nell'audizione alla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati del 30 novembre 2011, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Corrado Clini, aveva sottolineato la necessità di «creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata (....) ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente per la prevenzione del dissesto idrogeologico»;
    l'avvio di un piano pluriennale per la messa in sicurezza del territorio del nostro Paese non solo avrebbe una straordinaria valenza e un reale interesse pubblico, ma rappresenterebbe la vera «grande opera» strategica di cui il nostro Paese ha prioritariamente bisogno. In più, al contrario della miriade di opere infrastrutturali a cui si è data priorità, sarebbe l'unica opera pubblica diffusa su tutto il territorio nazionale, in grado di attivare da subito migliaia di cantieri con evidenti ricadute positive dal punto di vista occupazionale. L'opera di risanamento territoriale, al contrario della grande opera infrastrutturale, è, infatti, distribuita e diffusa sul territorio, realizzabile anche per gradi e per processi di intervento monitorati nel tempo, in grado di produrre attività ed economie durevoli, oltreché un elevato numero di persone impiegate nettamente superiore al modello della «grande infrastruttura»;
    le politiche per la difesa del suolo devono riguardare gli elementi strutturali del rischio, ossia: la messa in sicurezza del territorio e la riduzione dei rischi legati agli usi impropri del territorio, compreso il fenomeno dell'abusivismo;
    sotto questo aspetto il nostro territorio è, infatti, consumato e segnato profondamente, anche «grazie» al contributo nefasto del fenomeno dell'abusivismo troppo spesso ignorato o tollerato, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, e anzi alimentato anche dalle deprecabili norme di condono edilizio approvate negli anni scorsi;
    i passati condoni edilizi hanno, infatti, contribuito fortemente ad alimentare la convinzione diffusa che sul territorio si possa compiere qualsiasi azione, anche senza avere l'autorizzazione di legge. È, invece, indispensabile sconfiggere questa cultura e riportare la necessaria trasparenza e rigore su tutti gli interventi urbanistici che trasformano il territorio e il paesaggio;
    peraltro, va evidenziato che gli interessi che sottendono spesso al comparto delle costruzioni, si sommano agli storici interessi legati ai cambi di destinazione d'uso delle aree agricole e all'edificabilità dei suoli, entrando così troppo spesso in conflitto con una seria e corretta programmazione e gestione del nostro territorio. Purtroppo, troppi piani urbanistico-territoriali hanno spesso accompagnato e assecondato questo orientamento, anche perché gli oneri di urbanizzazione vengano spesso usati per ripianare i bilanci dei comuni e questo spinge i comuni stessi a costruire per fare cassa, anche a scapito di una corretta e sostenibile gestione del territorio;
    un lavoro predisposto qualche tempo fa dal Wwf Italia con l'Università dell'Aquila fa, infatti, emergere dati che devono far riflettere: dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500 per cento e si è valutato che dal 1990 al 2005 si è stati capaci di trasformare oltre 3,5 milioni di ettari, cioè una superficie grande quasi quanto il Lazio e l'Abruzzo messi insieme. Fra questi ci sono 2 milioni di fertile terreno agricolo, che oggi è stato coperto da capannoni, case, strade ed altro;
    la pianificazione urbanistica e l'assetto del territorio sono, quindi, inevitabilmente strettamente connessi. Il governo del territorio include, infatti, l'urbanistica, l'edilizia, i programmi infrastrutturali, il contrasto al dissesto idrogeologico, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio;
    gli interventi per la tutela e il risanamento del suolo e del sottosuolo vanno, quindi, necessariamente coordinati – se vogliono essere realmente efficaci – con le leggi urbanistiche e con i piani regolatori – soprattutto con quelli urbanistici comunali, e non soltanto con i grandi piani territoriali;
    il decreto legislativo n. 49 del 2010, recependo la direttiva 2007/60/CE, ha previsto una specifica disciplina per la gestione dei rischi alluvionali. Esso ha attribuito alle autorità di bacino distrettuali (previste dal codice ambientale) la competenza per la valutazione preliminare del rischio alluvioni, la predisposizione delle mappe della pericolosità e del rischio alluvioni. A dette autorità di bacino distrettuali compete l'adozione dei piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico e la predisposizione di appositi piani di gestione del rischio alluvione coordinati a livello di distretto idrografico. Dette autorità di bacino distrettuali, peraltro, non sono ancora operative;
    in questo ambito, manca comunque una regia unitaria di gestione della risorsa idrica capace di armonizzare e coordinare con efficacia le diverse competenze e i ruoli tra i vari soggetti istituzionali coinvolti e si registra una mancanza di «coordinamento» tra Stato e regioni;
    un progetto sperimentale, che, se avviato, potrebbe contribuire sensibilmente all'opera capillare di manutenzione del nostro territorio, è quello relativo alla creazione di una sorta di «corpo giovanile per la difesa del territorio», che opererebbe in ambito regionale, composto di giovani iscritti nelle liste di disoccupazione e la cui famiglia abbia un isee non superiore ad una determinata somma, da impiegare per un anno in coordinamento con il Corpo forestale dello Stato, e dopo debita formazione, per le opere di pulizia dei corsi d'acqua, dei bacini lacustri e delle rive, per il rimboschimento dei bacini idrografici e per la difesa del suolo nell'ambito di singoli bacini o sottobacini idrografici. A detti giovani verrebbe corrisposta un'indennità mensile da definire ed esente da imposte e contributi,

impegna il Governo:

   ad avviare, in raccordo con le regioni, un piano pluriennale per la difesa del suolo nel nostro Paese, quale vera e prioritaria «grande opera» infrastrutturale, in grado non solamente di mettere in sicurezza il fragile territorio italiano, ma di attivare migliaia di cantieri distribuiti sul territorio, con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;
   ad assumere iniziative affinché l'utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, da parte di regioni ed enti locali, per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico, venga escluso dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, che finisce per rappresentare un fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
   a individuare ulteriori risorse, nonché a sbloccare risorse già previste per la prevenzione del rischio idrogeologico, anche attraverso:
    a) la rimodulazione di delibere Cipe e di fondi esistenti;
    b) la revisione – in accordo con le regioni – delle priorità della «legge obiettivo», al fine di mettere in testa le opere di difesa de suolo, a cominciare dai piani stralcio predisposti dalle autorità di bacino per la messa in sicurezza delle aree più a rischio;
   a velocizzare i tempi medi di trasferimento delle risorse, già stanziate, a favore dei territori colpiti da calamità naturali;
   ad adottare le opportune iniziative affinché i comuni provvedano a redigere in tempi brevi dei piani attuativi minimi per la messa in sicurezza del loro territorio, individuando da subito le aree a rischio prioritario;
   ad assumere iniziative per integrare le risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il contrasto al dissesto idrogeologico;
   ad adottare iniziative per provvedere al rifinanziamento del fondo regionale di protezione civile, praticamente azzerato, e che ha finora consentito di realizzare un efficace sistema nazionale di protezione civile articolato sul territorio, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di finanza pubblica;
   a prevedere, nell'ambito delle proprie competenze e in stretto coordinamento con gli enti locali interessati, una mappatura degli insediamenti urbanistici nelle aree a più elevato rischio idrogeologico, individuando idonee forme di agevolazioni finalizzate alla loro delocalizzazione, prevedendo contestualmente il divieto assoluto di edificabilità in dette aree;
   ad adottare e sostenere opportune iniziative volte a prevedere una normativa in materia di pianificazione urbanistica e di governo del territorio, che contenga principi irrinunciabili, omogenei e condivisi, in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo e rigoroso per le regioni, con particolare riferimento alla necessità di riconoscere il territorio come bene comune e risorsa limitata, perseguendo l'obiettivo di limitare il consumo del suolo, anche attraverso il contenimento della diffusione urbana, disincentivando a tal fine nuovi impieghi di suolo a fini insediativi e infrastrutturali e favorendo il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti;
   a valutare la possibilità di avviare il progetto sperimentale di impiego di giovani, come esposto in premessa, per la manutenzione e la tutela del territorio.
(1-00112)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Zan, Pellegrino, Zaratti, Migliore, Di Salvo, Kronbichler, Piazzoni, Nardi».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è uno dei Paesi europei maggiormente colpiti da disastri naturali; dai dati presentati nell'Annuario dei dati ambientali 2008, pubblicato dall'Ispra, emerge che l'Italia è caratterizzata da un territorio fragile per quanto concerne il dissesto idrogeologico: circa il 10 per cento è classificato a elevato rischio per alluvioni, frane e valanghe e più di 2/3 delle aree esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive. Le dimensioni del fenomeno vengono rese chiaramente se si considera che, negli ultimi 50 anni, sono stati spesi per sopperire ai danni, limitatamente ai fenomeni alluvionali, più di 16 miliardi di euro, circa il 10 per cento del territorio italiano e più dell'80 per cento dei comuni italiani sono interessati da aree a forte criticità idrogeologica; mentre l'Annuario 2011 afferma che «gli eventi con conseguenze disastrose, che si registrano annualmente, dimostrano che l'azione di contrasto al dissesto idrogeologico risulta complessivamente insufficiente. Ne consegue che, oltre alla necessità di investire maggiori risorse, sembra indispensabile intervenire anche su una differente modalità di gestione del territorio»;
    l'enorme criticità del nostro Paese è stata evidenziata anche dal rapporto curato dal dipartimento della protezione civile di Legambiente «Ecosistema rischio 2011 – Monitoraggio sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico», secondo il quale: «Frane e alluvioni comportano ogni anno un bilancio pesantissimo per il nostro Paese, sia per le perdite di vite umane che per gli ingenti danni economici. A fronte di ingenti risorse stanziate per il funzionamento della macchina dei soccorsi, per l'alloggiamento e l'assistenza agli sfollati, per supportare e risarcire le attività produttive e i cittadini colpiti e per i primi interventi di urgenza, è evidente l'assoluta necessità di maggiori investimenti in termini di prevenzione, attraverso cui affermare una nuova cultura dell'impiego del suolo che metta al primo posto la sicurezza della collettività e ponga fine a usi speculativi e abusivi del territorio»;
    i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico sono ben 6.633, l'82 per cento del totale; una fragilità che è particolarmente elevata in regioni come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d'Aosta e nella Provincia autonoma di Trento (dove il 100 per cento dei comuni è classificato a rischio), seguite da Marche e Liguria (99 per cento), da Lazio e Toscana (98 per cento); sebbene in molte regioni la percentuale di comuni interessati dal fenomeno possa essere leggermente inferiore, la dimensione del rischio è comunque preoccupante, come dimostrano i fenomeni alluvionali che colpiscono – con conseguenze spesso gravi – anche zone dove si registra una minore propensione al rischio;
    la superficie delle aree ad alta criticità idrogeologica si estende per 29.517 chilometri quadrati, il 9,8 per cento dell'intero territorio nazionale, di cui 12.263 chilometri quadrati (4,1 per cento del territorio) a rischio alluvioni e 15.738 chilometri quadrati (5,2 per cento del territorio) a rischio frana;
    sempre secondo le stime del rapporto curato da Legambiente, oltre 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni; inoltre, ancora riprendendo le valutazioni del dossier di Legambiente «la stima del numero di cittadini quotidianamente esposti al pericolo di frane e alluvioni testimonia chiaramente come, negli ultimi decenni, l'antropizzazione delle aree a rischio sia stata eccessivamente pesante. Osservando le aree vicino ai fiumi, risulta evidente l'occupazione crescente delle zone di espansione naturale dei corsi d'acqua con abitazioni, insediamenti industriali, produttivi e commerciali e attività agricole e zootecniche; l'urbanizzazione di tutte quelle aree dove il fiume in caso di piena può espandersi liberamente ha rappresentato e rappresenta una delle maggiori criticità del dissesto idrogeologico italiano. Anche gli interventi di difesa idraulica continuano a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci: in molti casi vengono realizzati argini senza un serio studio sull'impatto che possono portare a valle, vengono cementificati gli alvei e alterate le dinamiche naturali dei fiumi. Soprattutto, troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire»;
    in 1.121 comuni – l'85 per cento di quelli analizzati in «Ecosistema rischio 2011» – sono presenti abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana, e nel 31 per cento dei casi in tali zone sono presenti addirittura interi quartieri. Nel 56 per cento dei comuni campione dell'indagine in aree a rischio sono presenti fabbricati industriali, che, in caso di calamità, comportano un grave pericolo, oltre che per le vite dei dipendenti, per l'eventualità di sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. Nel 20 per cento dei comuni intervistati sono state costruite in aree a rischio idrogeologico strutture sensibili, come scuole e ospedali, e nel 26 per cento dei casi strutture ricettive turistiche o commerciali;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dall'analisi dei dati ambientali contenuti negli annuari dell'Ispra, ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa 1 miliardo di euro all'anno; tale cifra è pari a quasi 3 volte quello che in media è stato stanziato annualmente dal Governo negli anni che vanno dal 1991 al 2011 per le opere di prevenzione; la cifra complessiva risulta, inoltre, superiore a quanto servirebbe per le opere più urgenti di mitigazione del rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico, e quantificate in 40 miliardi di euro;
    il progetto IFFI (Inventario dei fenomeni franosi in Italia), realizzato dall'Ispra e dalle regioni e province autonome, ha censito ad oggi oltre 486.000 fenomeni franosi che interessano un'area di 20.721 chilometri quadrati, pari al 6,9 per cento del territorio nazionale;
    il 68 per cento delle frane europee si verifica in Italia e, dal 1900, le frane hanno causato 10.000 morti e 350.000 sfollati;
    secondo uno studio effettuato dal 1944 al 1990 sul dissesto geologico e geoambientale, prendendo in considerazione 152 eventi calamitosi tra fenomeni idrogeologici e terremoti tettonici, i fenomeni idrogeologici, rappresentano, con 31 miliardi di euro circa, un quarto delle risorse stanziate nell'intero periodo considerato;
    le cause e concause sono numerose:
     a) la particolare fragilità intrinseca del territorio dovuta alla conformazione geomorfologica, geologica e geografica;
     b) l'enorme peso del fattore umano, a cui bisogna addebitare: l'eccessivo consumo di suolo; un'irrazionale edificazione, sia in termini di pianificazione urbanistica sia in termini di abusivismo e sanatorie; incendi, in gran parte dolosi; una cattiva gestione del territorio, con l'abbandono del terreni agricoli, soprattutto nelle aree caratterizzate da media e alta pendenza, e la mancata osservanza delle prescrizioni di massima della polizia forestale nella gestione dei boschi; l'alterazione delle dinamiche naturali dei fiumi; l'estrazione illegale di inerti; la cementificazione degli alvei; il disboscamento dei versanti collinari e montuosi;
     c) l'indiscutibile ruolo dei mutamenti climatici, ai quali si deve attribuire l'aumento e l'inasprimento dei fenomeni meteorologici eventi ad elevata intensità, che mettono a dura prova il già fragile equilibrio territoriale;
    il rischio è definito come il prodotto di tre fattori: la pericolosità, ossia la probabilità che si verifichi un evento calamitoso, il valore esposto – il valore monetario o umano di ciò che è esposto al rischio – e la vulnerabilità, ossia il grado di perdita, atteso degli elementi esposti al rischio, al verificarsi di un fenomeno calamitoso; la riduzione del rischio dovrebbe agire su tutti questi fattori; nonostante la sua complessità, il problema è noto e si dispone degli strumenti tecnici per affrontarlo e contrastarlo;
    dal 2002 l'Italia ha attivato un piano straordinario di telerilevamento ambientale (PST-A), attraverso un accordo di programma tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della protezione civile e Ministero della difesa, d'intesa con le regioni e le province autonome;
    sul geoportale nazionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono disponibili in formato digitale i dati che permettono di analizzare i movimenti del suolo e degli edifici ad altissima precisione, consentendo di realizzare, con un'opportuna organizzazione, in brevissimo tempo e a costi sostenibili, un efficiente sistema di sorveglianza dei dissesti a scala nazionale;
    l'insegnamento delle scienze della terra, geologiche ed ambientali nel sistema scolastico e universitario italiano è in evidente declino: riceve poco spazio nell'istruzione inferiore e superiore ed è persino in crisi nell'ambito universitario;
    l'Emilia-Romagna, devastata da sisma, inondazioni, frane, aveva quattro dipartimenti storici di scienze della terra, ma nessuno di essi è sopravvissuto alla «riforma Gelmini» che ha causato la loro soppressione; è chiaro che l'offerta formativa e i risultati della ricerca scientifica ne risentono, sia nel breve che nel lungo periodo;
    tutto questo mentre emerge in maniera sempre più chiara e condivisa che solo la manutenzione del territorio, in particolare delle foreste, gli usi ricreativi che il bosco può offrire, la naturale capacità di depurazione e trattenimento delle acque sono fondamentali per la messa in sicurezza dei nostri centri abitati;
    come ebbe a dire l'economista ed esperto di economia agraria, Arrigo Serpieri, nel 1923, «se si lavora bene in montagna, la gente a valle dorme sonni tranquilli», ed è per questo che oggi è ancor di più necessario sviluppare la consapevolezza che quegli 11 milioni di ettari di foreste, ovvero il 36 per cento del territorio nazionale, sono un patrimonio inestimabile che va tutelato attraverso una gestione attiva, guidata da una vera e propria programmazione forestale; le attività agro-forestali, attraverso pratiche di gestione sostenibile, possono, infatti, incidere positivamente sul presidio del territorio e sulla prevenzione dei fenomeni di dissesto, tenuto conto che buona parte del Paese è tuttora rurale;
    inoltre, è stato ampiamente dimostrato che l'uso dei diserbanti, come pratica per la ripulitura delle scarpate stradali, delle massicciate ferroviarie e delle fasce di connessione tra seminativi e viabilità interpoderale, aumenta notevolmente il rischio di attivazione di piccoli e medi movimenti di terra, a causa della mancanza della copertura erbacea in grado di attutire l'effetto di erosione superficiale delle acque meteoriche;
    il rischio idrogeologico è diventato anche una priorità politica, così come lo hanno definito il Presidente del Consiglio dei ministri Letta, i Ministri Orlando e Lupi e praticamente tutte le forze politiche nei loro programmi e nei loro discorsi in Aula, all'inizio della XVI legislatura;
    nelle ultime legislature in più circostanze i Governi, a seguito dell'approvazione di atti di indirizzo, si sono impegnati ad assumere iniziative concrete per rafforzare le politiche di prevenzione e di riduzione del rischio idrogeologico; malgrado ciò, il 2010 è stato l'ultimo anno che ha visto l'inserimento di significative risorse destinate alla prevenzione e alla mitigazione del rischio idrogeologico,

impegna il Governo:

   a promuovere un profondo aggiornamento ed un'integrazione dei quadri conoscitivi nazionali e degli enti locali, riguardanti le conoscenze geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche e sismiche, allo scopo di produrre nuovi strumenti urbanistici e cartografici geotematici relativi alla pericolosità geomorfologica, idraulica e di microzonazione sismica, finalizzati ad un più razionale e coscienzioso governo del territorio, così come previsto dal quadro normativo comunitario;
   a prendere in considerazione quanto emerso dal gruppo di lavoro tecnico promosso dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ha redatto le linee guida per la valutazione del dissesto idrogeologico e la sua mitigazione attraverso misure e interventi in campo agricolo e forestale, dalle quali emergono indirizzi e metodologie, che, sulla base dell'integrazione di banche dati territoriali dei comparti ambiente e agricoltura, consentono l'individuazione, su tutto il territorio nazionale, delle aree prioritarie di intervento e delle misure di mitigazione più idonee, in aree agro-forestali sia attive sia abbandonate, riavviando l'attività di ricerca e coordinamento del citato gruppo di lavoro costituito dal Governo precedente e mettendo in atto le indicazioni emerse devono essere messe su tutto il territorio italiano;
   ad assumere iniziative per ripristinare le risorse necessarie per rilanciare un piano generale di prevenzione del rischio idrogeologico, attribuendo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una cifra non inferiore ad un miliardo di euro per il prossimo triennio, con l'obiettivo di finanziare gli articoli 67 e 70 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   ad investire fondi, proprio in base a quanto emerso dalle linee guida, per interventi mirati, individuati dai piani di salvaguardia ambientali già predisposti;
   ad individuare adeguati finanziamenti per l'attuazione del programma quadro per il settore forestale come richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni, nell'ambito degli incontri tecnici e politici che hanno portato all'approvazione finale del programma quadro per il settore forestale già nel 2008;
   a predisporre un'attenta pianificazione territoriale e di salvaguardia del suolo, evitando di ricorrere allo strumento, che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare incivile, del condono, impedendo nuove costruzioni in aree a rischio;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le pubbliche amministrazioni locali abbiano maggiori vincoli nel riperimetrare aree mappate a rischio, sviluppando forme e misure di controllo, anche mediante l'impiego di tecniche di telerilevamento;
   ad avviare una concreta ed efficace azione di contrasto al fenomeno dell'abusivismo edilizio, garantendo l'assoluta esclusione di ogni ipotesi di condono, nonché adeguate risorse alle amministrazioni locali per l'abbattimento e acquisizione degli immobili realizzati abusivamente;
   ad attuare politiche per la riduzione di emissioni di gas serra, in modo da ridurre nel lungo termine l'impatto del cambiamento climatico in atto;
   ad incentivare e sostenere la piccola agricoltura nel recuperare terreni abbandonati e nell'adottare pratiche rispettose per il territorio e per la protezione del suolo;
   a far rispettare i contenuti della direttiva europea 2009/128/CE, nella parte che riguarda l'applicazione di tecniche alternative all'uso dei diserbanti nelle operazioni di ripulitura delle scarpate stradali, massicciate ferroviarie e fasce di connessione tra seminativi e viabilità interpoderale;
   ad incentivare e sostenere pratiche di cura e salvaguardia del territorio attraverso una gestione forestale attiva e sostenibile, coinvolgendo pienamente i gestori degli usi civici e delle proprietà collettive (comunanze agrarie e consorzi forestali);
   a promuovere strumenti che sostengano la creazione di posti di lavoro per giovani operai forestali, con lo scopo di svolgere l'importantissima attività di manutenzione e gestione attiva dei boschi, posto che tale creazione di posti di lavoro, oltre a rispondere almeno in parte alla grave crisi occupazionale che soffre il nostro Paese, garantirebbe anche di mantenere la presenza e il controllo sul territorio attraverso il ripopolamento delle aree interne, dove l'età media della popolazione supera ormai i 45 anni;
   ad assumere iniziative per escludere dal patto di stabilità per gli enti pubblici territoriali le spese sostenute per: interventi di messa in sicurezza e ripristino in caso di eventi calamitosi, interventi di prevenzione come stabilizzazione di versanti, manutenzione ordinaria e straordinaria di opere accessorie al reticolo stradale, ivi comprese opere per il deflusso delle acque e manufatti atti a favorire la stabilità del terreno, della roccia o della sede stradale, interventi per migliorare il drenaggio delle acque meteoriche e del reticolo idrico superficiale, interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di argini, sponde e manufatti per la protezione delle sponde di corsi d'acqua, interventi di adeguamento o miglioramento antisismico di edifici pubblici;
   ad assumere iniziative per prevedere un sistema di incentivi fiscali, simili a quelli per le ristrutturazioni o gli adeguamenti energetici, o un regime di iva agevolata, per chi investe nella sicurezza del territorio, delle infrastrutture o degli edifici, individuando opportuni strumenti premiali per i privati cittadini o le imprese – in particolar modo agricole e turistiche – che compiono interventi per la riduzione del rischio idrogeologico, come la stabilizzazione dei versanti e il miglioramento del drenaggio, o sismico;
   a valutare l'opportunità di introdurre forme assicurative obbligatorie sui rischi idrogeologici sulle nuove costruzioni, con il coinvolgimento dello Stato come controllore e riassicuratore di ultima istanza, in modo che il mercato si autoregoli verso recuperi/ristrutturazioni, invece che verso nuove costruzioni, e in modo che venga comunque disincentivata la costruzione in aree a rischio;
   ad assumere iniziative per prevedere contributi al finanziamento delle reti di monitoraggio pluviometriche, nivometriche, idrometriche, sismiche, molto spesso dismesse dagli enti pubblici territoriali per carenza di fondi;
   ad offrire più spazio all'educazione ambientale nella scuola inferiore e alle scienze della terra nella scuola superiore e nelle università («legge Gelmini» n. 240 del 2010, articolo 2, comma 2, lettera b)), lasciando autonomia agli atenei in merito alle decisioni sulla numerosità massima e minima dei dipartimenti, consentendo di individuare misure di salvaguardia di settori scientifico-disciplinari, come scienze della terra, ingegneria civile e ambientale, portatori di un impatto scientifico, sociale e culturale rilevante in settori ritenuti strategici, come quello della difesa da catastrofi naturali;
   in tale ambito a promuovere una riorganizzazione dei dipartimenti, assicurando che a ciascuno di essi sia assegnato un congruo numero di professori e ricercatori afferenti a settori scientifico-disciplinari omogenei, anche individuando opportune misure per salvaguardare l'identità di aree disciplinari riconosciute a livello nazionale e internazionale;
   ad accelerare il processo per la valorizzazione della ricerca scientifica e dell'avanzamento tecnologico, già avviato con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004, in cui la Protezione civile sia preposta anche ad attività di prevenzione e previsione e non solo a gestire le emergenze;
   ad assumere iniziative per prevedere che, in caso di dichiarazione dello stato di emergenza in seguito ad eventi calamitosi, venga innescata una «filiera dei soccorsi e dell'emergenza a chilometro zero», facendo in modo che le ditte, i generi di prima necessità, i materiali acquistati provengano dallo stesso comune interessato dall'emergenza, ove non possibile dalla stessa provincia, ove non possibile dalla stessa regione.
(1-00114) «Segoni, Daga, De Rosa, Terzoni, Busto, Mannino, Tofalo, Zolezzi, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Catalano, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è uno dei Paesi europei maggiormente colpiti da disastri naturali; dai dati presentati nell'Annuario dei dati ambientali 2008, pubblicato dall'Ispra, emerge che l'Italia è caratterizzata da un territorio fragile per quanto concerne il dissesto idrogeologico: circa il 10 per cento è classificato a elevato rischio per alluvioni, frane e valanghe e più di 2/3 delle aree esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive. Le dimensioni del fenomeno vengono rese chiaramente se si considera che, negli ultimi 50 anni, sono stati spesi per sopperire ai danni, limitatamente ai fenomeni alluvionali, più di 16 miliardi di euro, circa il 10 per cento del territorio italiano e più dell'80 per cento dei comuni italiani sono interessati da aree a forte criticità idrogeologica; mentre l'Annuario 2011 afferma che «gli eventi con conseguenze disastrose, che si registrano annualmente, dimostrano che l'azione di contrasto al dissesto idrogeologico risulta complessivamente insufficiente. Ne consegue che, oltre alla necessità di investire maggiori risorse, sembra indispensabile intervenire anche su una differente modalità di gestione del territorio»;
    l'enorme criticità del nostro Paese è stata evidenziata anche dal rapporto curato dal dipartimento della protezione civile di Legambiente «Ecosistema rischio 2011 – Monitoraggio sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico», secondo il quale: «Frane e alluvioni comportano ogni anno un bilancio pesantissimo per il nostro Paese, sia per le perdite di vite umane che per gli ingenti danni economici. A fronte di ingenti risorse stanziate per il funzionamento della macchina dei soccorsi, per l'alloggiamento e l'assistenza agli sfollati, per supportare e risarcire le attività produttive e i cittadini colpiti e per i primi interventi di urgenza, è evidente l'assoluta necessità di maggiori investimenti in termini di prevenzione, attraverso cui affermare una nuova cultura dell'impiego del suolo che metta al primo posto la sicurezza della collettività e ponga fine a usi speculativi e abusivi del territorio»;
    i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico sono ben 6.633, l'82 per cento del totale; una fragilità che è particolarmente elevata in regioni come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d'Aosta e nella Provincia autonoma di Trento (dove il 100 per cento dei comuni è classificato a rischio), seguite da Marche e Liguria (99 per cento), da Lazio e Toscana (98 per cento); sebbene in molte regioni la percentuale di comuni interessati dal fenomeno possa essere leggermente inferiore, la dimensione del rischio è comunque preoccupante, come dimostrano i fenomeni alluvionali che colpiscono – con conseguenze spesso gravi – anche zone dove si registra una minore propensione al rischio;
    la superficie delle aree ad alta criticità idrogeologica si estende per 29.517 chilometri quadrati, il 9,8 per cento dell'intero territorio nazionale, di cui 12.263 chilometri quadrati (4,1 per cento del territorio) a rischio alluvioni e 15.738 chilometri quadrati (5,2 per cento del territorio) a rischio frana;
    sempre secondo le stime del rapporto curato da Legambiente, oltre 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni; inoltre, ancora riprendendo le valutazioni del dossier di Legambiente «la stima del numero di cittadini quotidianamente esposti al pericolo di frane e alluvioni testimonia chiaramente come, negli ultimi decenni, l'antropizzazione delle aree a rischio sia stata eccessivamente pesante. Osservando le aree vicino ai fiumi, risulta evidente l'occupazione crescente delle zone di espansione naturale dei corsi d'acqua con abitazioni, insediamenti industriali, produttivi e commerciali e attività agricole e zootecniche; l'urbanizzazione di tutte quelle aree dove il fiume in caso di piena può espandersi liberamente ha rappresentato e rappresenta una delle maggiori criticità del dissesto idrogeologico italiano. Anche gli interventi di difesa idraulica continuano a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci: in molti casi vengono realizzati argini senza un serio studio sull'impatto che possono portare a valle, vengono cementificati gli alvei e alterate le dinamiche naturali dei fiumi. Soprattutto, troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire»;
    in 1.121 comuni – l'85 per cento di quelli analizzati in «Ecosistema rischio 2011» – sono presenti abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana, e nel 31 per cento dei casi in tali zone sono presenti addirittura interi quartieri. Nel 56 per cento dei comuni campione dell'indagine in aree a rischio sono presenti fabbricati industriali, che, in caso di calamità, comportano un grave pericolo, oltre che per le vite dei dipendenti, per l'eventualità di sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. Nel 20 per cento dei comuni intervistati sono state costruite in aree a rischio idrogeologico strutture sensibili, come scuole e ospedali, e nel 26 per cento dei casi strutture ricettive turistiche o commerciali;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dall'analisi dei dati ambientali contenuti negli annuari dell'Ispra, ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa 1 miliardo di euro all'anno; tale cifra è pari a quasi 3 volte quello che in media è stato stanziato annualmente dal Governo negli anni che vanno dal 1991 al 2011 per le opere di prevenzione; la cifra complessiva risulta, inoltre, superiore a quanto servirebbe per le opere più urgenti di mitigazione del rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico, e quantificate in 40 miliardi di euro;
    il progetto IFFI (Inventario dei fenomeni franosi in Italia), realizzato dall'Ispra e dalle regioni e province autonome, ha censito ad oggi oltre 486.000 fenomeni franosi che interessano un'area di 20.721 chilometri quadrati, pari al 6,9 per cento del territorio nazionale;
    il 68 per cento delle frane europee si verifica in Italia e, dal 1900, le frane hanno causato 10.000 morti e 350.000 sfollati;
    secondo uno studio effettuato dal 1944 al 1990 sul dissesto geologico e geoambientale, prendendo in considerazione 152 eventi calamitosi tra fenomeni idrogeologici e terremoti tettonici, i fenomeni idrogeologici, rappresentano, con 31 miliardi di euro circa, un quarto delle risorse stanziate nell'intero periodo considerato;
    le cause e concause sono numerose:
     a) la particolare fragilità intrinseca del territorio dovuta alla conformazione geomorfologica, geologica e geografica;
     b) l'enorme peso del fattore umano, a cui bisogna addebitare: l'eccessivo consumo di suolo; un'irrazionale edificazione, sia in termini di pianificazione urbanistica sia in termini di abusivismo e sanatorie; incendi, in gran parte dolosi; una cattiva gestione del territorio, con l'abbandono del terreni agricoli, soprattutto nelle aree caratterizzate da media e alta pendenza, e la mancata osservanza delle prescrizioni di massima della polizia forestale nella gestione dei boschi; l'alterazione delle dinamiche naturali dei fiumi; l'estrazione illegale di inerti; la cementificazione degli alvei; il disboscamento dei versanti collinari e montuosi;
     c) l'indiscutibile ruolo dei mutamenti climatici, ai quali si deve attribuire l'aumento e l'inasprimento dei fenomeni meteorologici eventi ad elevata intensità, che mettono a dura prova il già fragile equilibrio territoriale;
    il rischio è definito come il prodotto di tre fattori: la pericolosità, ossia la probabilità che si verifichi un evento calamitoso, il valore esposto – il valore monetario o umano di ciò che è esposto al rischio – e la vulnerabilità, ossia il grado di perdita, atteso degli elementi esposti al rischio, al verificarsi di un fenomeno calamitoso; la riduzione del rischio dovrebbe agire su tutti questi fattori; nonostante la sua complessità, il problema è noto e si dispone degli strumenti tecnici per affrontarlo e contrastarlo;
    dal 2002 l'Italia ha attivato un piano straordinario di telerilevamento ambientale (PST-A), attraverso un accordo di programma tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della protezione civile e Ministero della difesa, d'intesa con le regioni e le province autonome;
    sul geoportale nazionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono disponibili in formato digitale i dati che permettono di analizzare i movimenti del suolo e degli edifici ad altissima precisione, consentendo di realizzare, con un'opportuna organizzazione, in brevissimo tempo e a costi sostenibili, un efficiente sistema di sorveglianza dei dissesti a scala nazionale;
    l'insegnamento delle scienze della terra, geologiche ed ambientali nel sistema scolastico e universitario italiano è in evidente declino: riceve poco spazio nell'istruzione inferiore e superiore ed è persino in crisi nell'ambito universitario;
    l'Emilia-Romagna, devastata da sisma, inondazioni, frane, aveva quattro dipartimenti storici di scienze della terra, ma nessuno di essi è sopravvissuto alla «riforma Gelmini» che ha causato la loro soppressione; è chiaro che l'offerta formativa e i risultati della ricerca scientifica ne risentono, sia nel breve che nel lungo periodo;
    tutto questo mentre emerge in maniera sempre più chiara e condivisa che solo la manutenzione del territorio, in particolare delle foreste, gli usi ricreativi che il bosco può offrire, la naturale capacità di depurazione e trattenimento delle acque sono fondamentali per la messa in sicurezza dei nostri centri abitati;
    come ebbe a dire l'economista ed esperto di economia agraria, Arrigo Serpieri, nel 1923, «se si lavora bene in montagna, la gente a valle dorme sonni tranquilli», ed è per questo che oggi è ancor di più necessario sviluppare la consapevolezza che quegli 11 milioni di ettari di foreste, ovvero il 36 per cento del territorio nazionale, sono un patrimonio inestimabile che va tutelato attraverso una gestione attiva, guidata da una vera e propria programmazione forestale; le attività agro-forestali, attraverso pratiche di gestione sostenibile, possono, infatti, incidere positivamente sul presidio del territorio e sulla prevenzione dei fenomeni di dissesto, tenuto conto che buona parte del Paese è tuttora rurale;
    inoltre, è stato ampiamente dimostrato che l'uso dei diserbanti, come pratica per la ripulitura delle scarpate stradali, delle massicciate ferroviarie e delle fasce di connessione tra seminativi e viabilità interpoderale, aumenta notevolmente il rischio di attivazione di piccoli e medi movimenti di terra, a causa della mancanza della copertura erbacea in grado di attutire l'effetto di erosione superficiale delle acque meteoriche;
    il rischio idrogeologico è diventato anche una priorità politica, così come lo hanno definito il Presidente del Consiglio dei ministri Letta, i Ministri Orlando e Lupi e praticamente tutte le forze politiche nei loro programmi e nei loro discorsi in Aula, all'inizio della XVI legislatura;
    nelle ultime legislature in più circostanze i Governi, a seguito dell'approvazione di atti di indirizzo, si sono impegnati ad assumere iniziative concrete per rafforzare le politiche di prevenzione e di riduzione del rischio idrogeologico; malgrado ciò, il 2010 è stato l'ultimo anno che ha visto l'inserimento di significative risorse destinate alla prevenzione e alla mitigazione del rischio idrogeologico,

impegna il Governo:

   a promuovere un profondo aggiornamento ed un'integrazione dei quadri conoscitivi nazionali e degli enti locali, riguardanti le conoscenze geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche e sismiche, allo scopo di produrre nuovi strumenti urbanistici e cartografici geotematici relativi alla pericolosità geomorfologica, idraulica e di microzonazione sismica, finalizzati ad un più razionale e coscienzioso governo del territorio, così come previsto dal quadro normativo comunitario;
   a prendere in considerazione quanto emerso dal gruppo di lavoro tecnico promosso dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ha redatto le linee guida per la valutazione del dissesto idrogeologico e la sua mitigazione attraverso misure e interventi in campo agricolo e forestale, dalle quali emergono indirizzi e metodologie, che, sulla base dell'integrazione di banche dati territoriali dei comparti ambiente e agricoltura, consentono l'individuazione, su tutto il territorio nazionale, delle aree prioritarie di intervento e delle misure di mitigazione più idonee, in aree agro-forestali sia attive sia abbandonate, riavviando l'attività di ricerca e coordinamento del citato gruppo di lavoro costituito dal Governo precedente e mettendo in atto le indicazioni emerse devono essere messe su tutto il territorio italiano;
   ad assumere iniziative per ripristinare le risorse necessarie per rilanciare un piano generale di prevenzione del rischio idrogeologico, attribuendo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una cifra non inferiore ad un miliardo di euro per il prossimo triennio, con l'obiettivo di finanziare gli articoli 67 e 70 del decreto legislativo n. 152 del 2006, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di finanza pubblica;
   ad investire fondi, proprio in base a quanto emerso dalle linee guida, per interventi mirati, individuati dai piani di salvaguardia ambientali già predisposti;
   ad individuare adeguati finanziamenti per l'attuazione del programma quadro per il settore forestale come richiesto dalla Conferenza Stato-Regioni, nell'ambito degli incontri tecnici e politici che hanno portato all'approvazione finale del programma quadro per il settore forestale già nel 2008;
   a predisporre un'attenta pianificazione territoriale e di salvaguardia del suolo, evitando di ricorrere allo strumento, che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare incivile, del condono, impedendo nuove costruzioni in aree a rischio, nei limiti delle proprie competenze;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le pubbliche amministrazioni locali abbiano maggiori vincoli nel riperimetrare aree mappate a rischio, sviluppando forme e misure di controllo, anche mediante l'impiego di tecniche di telerilevamento;
   ad avviare una concreta ed efficace azione di contrasto al fenomeno dell'abusivismo edilizio, garantendo l'assoluta esclusione di ogni ipotesi di condono, nonché adeguate risorse alle amministrazioni locali per l'abbattimento e acquisizione degli immobili realizzati abusivamente, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e relativamente alle proprie competenze;
   ad attuare politiche per la riduzione di emissioni di gas serra, in modo da ridurre nel lungo termine l'impatto del cambiamento climatico in atto;
   ad incentivare e sostenere la piccola agricoltura nel recuperare terreni abbandonati e nell'adottare pratiche rispettose per il territorio e per la protezione del suolo;
   a far rispettare i contenuti della direttiva europea 2009/128/CE, nella parte che riguarda l'applicazione di tecniche alternative all'uso dei diserbanti nelle operazioni di ripulitura delle scarpate stradali, massicciate ferroviarie e fasce di connessione tra seminativi e viabilità interpoderale;
   ad incentivare e sostenere pratiche di cura e salvaguardia del territorio attraverso una gestione forestale attiva e sostenibile, coinvolgendo pienamente i gestori degli usi civici e delle proprietà collettive (comunanze agrarie e consorzi forestali), compatibilmente con le risorse pubbliche ed i vincoli di bilancio;
   ad assumere iniziative per escludere dal patto di stabilità per gli enti pubblici territoriali le spese sostenute per: interventi di messa in sicurezza e ripristino in caso di eventi calamitosi, interventi di prevenzione come stabilizzazione di versanti, manutenzione ordinaria e straordinaria di opere accessorie al reticolo stradale, ivi comprese opere per il deflusso delle acque e manufatti atti a favorire la stabilità del terreno, della roccia o della sede stradale, interventi per migliorare il drenaggio delle acque meteoriche e del reticolo idrico superficiale, interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di argini, sponde e manufatti per la protezione delle sponde di corsi d'acqua, interventi di adeguamento o miglioramento antisismico di edifici pubblici;
   ad assumere iniziative per prevedere un sistema di incentivi fiscali, simili a quelli per le ristrutturazioni o gli adeguamenti energetici, o un regime di iva agevolata, per chi investe nella sicurezza del territorio, delle infrastrutture o degli edifici, individuando opportuni strumenti premiali per i privati cittadini o le imprese – in particolar modo agricole e turistiche – che compiono interventi per la riduzione del rischio idrogeologico, come la stabilizzazione dei versanti e il miglioramento del drenaggio, o sismico, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di bilancio;
   a valutare l'opportunità di introdurre forme assicurative obbligatorie sui rischi idrogeologici sulle nuove costruzioni, con il coinvolgimento dello Stato come controllore e riassicuratore di ultima istanza, in modo che il mercato si autoregoli verso recuperi/ristrutturazioni, invece che verso nuove costruzioni, e in modo che venga comunque disincentivata la costruzione in aree a rischio;
   ad assumere iniziative per prevedere contributi al finanziamento delle reti di monitoraggio pluviometriche, nivometriche, idrometriche, sismiche, molto spesso dismesse dagli enti pubblici territoriali per carenza di fondi, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di finanza pubblica;
   ad assumere iniziative per prevedere che, in caso di dichiarazione dello stato di emergenza in seguito ad eventi calamitosi, venga innescata una «filiera dei soccorsi e dell'emergenza a chilometro zero», facendo in modo che le ditte, i generi di prima necessità, i materiali acquistati provengano dallo stesso comune interessato dall'emergenza, ove non possibile dalla stessa provincia, ove non possibile dalla stessa regione.
(1-00114)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Segoni, Daga, De Rosa, Terzoni, Busto, Mannino, Tofalo, Zolezzi, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Catalano, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    i dissesti idrogeologici, i deboli equilibri tra patrimonio naturale ed insediamenti urbani, la forte antropizzazione di alcune aree del Paese rappresentano costanti criticità che, nei casi di eccezionalità degli eventi naturali, spesso diventano disastrose emergenze;
    si rende indispensabile individuare una strategia politica rivolta maggiormente alla prevenzione, alla cura del territorio, all'adozione di pratiche di vigilanza attiva e di manutenzione costante del suolo, che sia in grado di mantenere in uno stato di concreta sicurezza le aree più sensibili dal punto di vista di rischio idrogeologico;
    l'abbandono dei terreni montani, il disboscamento, la costruzione, spesso abusiva, sui versanti a rischio, la mancata pulizia dei corsi d'acqua e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico e ad alluvioni;
    in effetti, la situazione di rischio idrogeologico del territorio italiano è nota e conclamata. Uno studio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare evidenzia che il 9,8 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e che sono 6.633 i comuni interessati, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani. In particolare, il 24,9 per cento dei comuni è interessato da aree a rischio frana, il 18,6 per cento da aree a rischio alluvione e il 38,4 per cento da aree a rischio sia di frana che di alluvione;
    nella XVI legislatura, la Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati ha approvato, il 21 aprile 2009, la risoluzione n. 8-00040, volta alla definizione di un programma pluriennale di interventi per la difesa del suolo, votata positivamente da tutte le forze politiche presenti nella commissione parlamentare;
    tale risoluzione, facendo presente che il nostro Paese è fortemente compromesso da fenomeni di dissesto idrogeologico e che appare ormai urgente ed inderogabile attivare serie misure di contrasto alla rottura degli equilibri del particolare e rinomato territorio naturale delle regioni italiane, ha segnalato che, per fare fronte a problematiche così complesse ed impellenti, sarebbe necessario prevedere un programma pluriennale di interventi, coordinato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ma da attuarsi da parte degli enti periferici e territoriali competenti per legge, il cui valore non avrebbe dovuto essere inferiore ad almeno 5 miliardi di euro;
    successivamente, il 26 gennaio 2010 è stata approvata all'unanimità dall'Assemblea della Camera dei deputati la mozione n. 1-00324, che, tra l'altro, ha impegnato il Governo ad attuare quanto previsto dalla citata risoluzione n. 8-00040;
    il 30 novembre 2011 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore aveva sottolineato la necessità di creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la prevenzione del dissesto idrogeologico;
    tuttavia, non risultano attuate azioni concrete e strutturali contro i dissesti idrogeologici;
    nella XVI legislatura per la prima volta si è cercato di attuare un coordinamento tra i soggetti che a vario titolo hanno competenze in materia di dissesto idrogeologico, che in passato attuavano programmazioni di interventi indipendenti;
    l'articolo 2, comma 240, della legge finanziaria per il 2010 aveva destinato 1.000 milioni di euro ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico (individuate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile). La stessa norma aveva, altresì, individuato, quale strumento privilegiato per l'utilizzo delle risorse, l'accordo di programma da sottoscrivere con le regioni interessate;
    già dai primi mesi del 2010 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato le procedure per dare attuazione alle citate disposizioni normative, avviando una serie di consultazioni con tutte le regioni interessate, coinvolgendo le autorità di bacino competenti e il dipartimento nazionale della protezione civile, che si sono concluse con la sottoscrizione, con tutte le regioni, di specifici accordi di programma che individuano e finanziano gli interventi prioritari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico. Tutti gli accordi di programma sono stati, inoltre, registrati alla Corte dei conti;
    le risorse stanziate dalla legge finanziaria per il 2010 sono state dapprima ridotte di 100 milioni di euro, per far fronte ai danni provocati dall'alluvione del dicembre 2009 in Liguria, Toscana ed Emilia-Romagna (articolo 17, comma 2-bis, del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010), successivamente ulteriormente ridotte per 100 milioni di euro, per far fronte alle spese conseguenti allo stato di emergenza in Veneto, Liguria, Campania e Sicilia (articolo 2, comma 12-quinquies, del decreto-legge n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, il cosiddetto «decreto mille proroghe»);
    tenuto conto dei tagli, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha incrementato la dotazione di risorse prevista dalla legge finanziaria per il 2010, con le risorse disponibili sul proprio bilancio per la difesa del suolo (annualità 2008-2009-2010-2011), per un importo di circa 400 milioni di euro, destinando, quindi, al finanziamento dei piani un totale di circa 1.200 milioni di euro di risorse statali;
    a tali risorse sono state aggiunte le risorse regionali per un importo di circa 954 milioni di euro, dato che al momento della sottoscrizione degli accordi di programma tutte le regioni avevano cofinanziato, in misura variabile ma sostanziale, gli interventi inseriti negli stessi accordi di programma stipulati per un totale di circa 2.155 milioni di euro;
    per ogni regione è stato nominato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, un commissario straordinario delegato all'attuazione degli interventi (articolo 17 del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010); tuttavia, il sistema dei commissari non ha funzionato, le risorse non sono state rese disponibili e, di fatto, il piano straordinario per il dissesto in molte regioni ha presentato evidentemente notevoli difficoltà di attuazione. La mancata assegnazione delle risorse previste ha comportato la necessità di operare rimodulazioni, in parte già effettuate, degli accordi già sottoscritti, con evidente pregiudizio dell'azione dello Stato nel campo della difesa del suolo;
    in particolare, sono stati inseriti, nell'ambito del piano nazionale per il Sud, in ripartizione del fondo per lo sviluppo e la coesione, tutti gli interventi già individuati negli accordi con le regioni del Mezzogiorno. Le regioni coinvolte attivamente nel processo sono state la Basilicata, la Calabria, la Campania, il Molise, la Puglia, la Sicilia e la Sardegna, per un ammontare di risorse pari a 1.870 milioni di euro;
    pertanto, in attuazione delle procedure introdotte a norma delle predette disposizioni, si è riscontrato che non sempre esse si sono dimostrate snelle e in grado di rispondere tempestivamente alle effettive necessità dei territori interessati, evidenziando spesso ritardi nelle fasi di predisposizione dei provvedimenti convenzionali ed amministrativi, impossibilità di poter disporre di risorse adeguate ed effettivamente spendibili, disallineamenti tra i tempi in cui sarebbe necessario effettuare gli interventi rispetto a quelli in cui questi sono necessari o diventano concretamente eseguibili;
    va sottolineato che i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei rischi e dei pericoli derivanti dalle calamità naturali sono gli amministratori locali e, pertanto, sembrerebbe opportuno mettere gli stessi amministratori al centro delle attività relative all'individuazione, alla predisposizione ed all'esecuzione degli interventi di mitigazione allo scopo censiti;
    appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, eliminando le disposizioni che, di fatto, rendono farraginose le procedure atte all'esecuzione degli interventi ed all'assegnazione delle risorse;
    nell'auspicato processo di ricognizione delle norme potrebbe essere inserita anche la previsione di un fondo volto a risarcire i soggetti, che, a seguito di eventi calamitosi legati al dissesto idrogeologico, abbiano subito danni ai loro beni;
    al riguardo va fatto presente che il fabbisogno finanziario necessario per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza complessiva delle situazioni di dissesto del territorio nazionale appare essere imponente: nella XVI legislatura è stato calcolato un ammontare di 44 miliardi di euro, di cui 27 miliardi di euro per l'area del Centro-Nord, 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno e 4 miliardi di euro per il patrimonio costiero;
    risulta, altresì, evidente che, se non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle calamità naturali,

impegna il Governo:

   ad intraprendere iniziative urgenti finalizzate a modificare l'attuale disciplina in materia di interventi nelle situazioni a più elevato rischio idrogeologico e a salvaguardare la sicurezza delle infrastrutture e il patrimonio ambientale e culturale, evitando sistemi centralizzati di gestione degli interventi e privilegiando la logica della prevenzione rispetto a quella della gestione dell'emergenza;
   a sbloccare le risorse già previste nella XVI legislatura dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione del dissesto idrogeologico;
   ad attivare un organico programma di interventi per il riassetto territoriale delle aree a rischio idrogeologico, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con le singole regioni, articolato attraverso azioni che prevedano progetti strategici di difesa dal rischio idrogeologico relativi alle aree urbane e agli insediamenti produttivi di particolare rilievo, interventi puntuali di riduzione del rischio idrogeologico, anche con riferimento ai piccoli comuni, e interventi di manutenzione diffusa del territorio, nonché di singole opere di difesa esistenti;
   ad assumere iniziative volte ad istituire un sistema di finanziamento delle opere basato sia sulla concessione e conseguente erogazione di risorse direttamente ai comuni, alle province, ai consorzi di bonifica, alle comunità montane e agli altri soggetti competenti, ai sensi della normativa vigente in materia di difesa del territorio e tutela dell'ambiente, sia sulla concessione di contributi da parte dello Stato, pari agli oneri per capitale ed interessi di ammortamento di mutui o altre operazioni finanziarie che i predetti soggetti possano essere autorizzati a contrarre con la Cassa depositi e prestiti o istituti finanziari, nell'ambito di autorizzazioni di spesa pluriennali a carico dello Stato, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica;
   ad assumere iniziative normative per prevedere l'esclusione di tali finanziamenti pluriennali e delle risorse provenienti dallo Stato, dalle regioni e di quelle proprie degli enti locali, destinate ad interventi di prevenzione, manutenzione del territorio e contrasto al dissesto idrogeologico, dai vincoli previsti dal patto di stabilità interno;
   ad adottare specifiche iniziative, anche di natura normativa, volte a garantire l'attuazione da parte degli enti locali degli interventi di messa in sicurezza del proprio territorio per le aree a rischio prioritario e di interventi di rimboscamento e di riutilizzo dei terreni agricoli abbandonati;
   ad intraprendere specifiche iniziative, anche di natura normativa, volte a prevedere il rifinanziamento del fondo regionale della protezione civile, ovvero l'istituzione di un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, finalizzato alla concessione di indennizzi e per il risarcimento dei danni provocati dalle calamità naturali connessi al dissesto idrogeologico del territorio;
   ad assumere iniziative di competenza, anche normative, finalizzate a prevedere che i comuni possano concedere crediti edilizi in favore di soggetti che procedono alla delocalizzazione dei propri immobili, non abusivi, situati in aree classificate a rischio, verso siti sicuri e ad adottare provvedimenti concreti contro l'abusivismo edilizio e per la demolizione degli immobili abusivi in aree soggette a rischio idrogeologico.
(1-00117) «Grimoldi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    i dissesti idrogeologici, i deboli equilibri tra patrimonio naturale ed insediamenti urbani, la forte antropizzazione di alcune aree del Paese rappresentano costanti criticità che, nei casi di eccezionalità degli eventi naturali, spesso diventano disastrose emergenze;
    si rende indispensabile individuare una strategia politica rivolta maggiormente alla prevenzione, alla cura del territorio, all'adozione di pratiche di vigilanza attiva e di manutenzione costante del suolo, che sia in grado di mantenere in uno stato di concreta sicurezza le aree più sensibili dal punto di vista di rischio idrogeologico;
    l'abbandono dei terreni montani, il disboscamento, la costruzione, spesso abusiva, sui versanti a rischio, la mancata pulizia dei corsi d'acqua e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico e ad alluvioni;
    in effetti, la situazione di rischio idrogeologico del territorio italiano è nota e conclamata. Uno studio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare evidenzia che il 9,8 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e che sono 6.633 i comuni interessati, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani. In particolare, il 24,9 per cento dei comuni è interessato da aree a rischio frana, il 18,6 per cento da aree a rischio alluvione e il 38,4 per cento da aree a rischio sia di frana che di alluvione;
    nella XVI legislatura, la Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati ha approvato, il 21 aprile 2009, la risoluzione n. 8-00040, volta alla definizione di un programma pluriennale di interventi per la difesa del suolo, votata positivamente da tutte le forze politiche presenti nella commissione parlamentare;
    tale risoluzione, facendo presente che il nostro Paese è fortemente compromesso da fenomeni di dissesto idrogeologico e che appare ormai urgente ed inderogabile attivare serie misure di contrasto alla rottura degli equilibri del particolare e rinomato territorio naturale delle regioni italiane, ha segnalato che, per fare fronte a problematiche così complesse ed impellenti, sarebbe necessario prevedere un programma pluriennale di interventi, coordinato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ma da attuarsi da parte degli enti periferici e territoriali competenti per legge, il cui valore non avrebbe dovuto essere inferiore ad almeno 5 miliardi di euro;
    successivamente, il 26 gennaio 2010 è stata approvata all'unanimità dall'Assemblea della Camera dei deputati la mozione n. 1-00324, che, tra l'altro, ha impegnato il Governo ad attuare quanto previsto dalla citata risoluzione n. 8-00040;
    il 30 novembre 2011 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore aveva sottolineato la necessità di creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la prevenzione del dissesto idrogeologico;
    tuttavia, non risultano attuate azioni concrete e strutturali contro i dissesti idrogeologici;
    nella XVI legislatura per la prima volta si è cercato di attuare un coordinamento tra i soggetti che a vario titolo hanno competenze in materia di dissesto idrogeologico, che in passato attuavano programmazioni di interventi indipendenti;
    l'articolo 2, comma 240, della legge finanziaria per il 2010 aveva destinato 1.000 milioni di euro ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico (individuate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile). La stessa norma aveva, altresì, individuato, quale strumento privilegiato per l'utilizzo delle risorse, l'accordo di programma da sottoscrivere con le regioni interessate;
    già dai primi mesi del 2010 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato le procedure per dare attuazione alle citate disposizioni normative, avviando una serie di consultazioni con tutte le regioni interessate, coinvolgendo le autorità di bacino competenti e il dipartimento nazionale della protezione civile, che si sono concluse con la sottoscrizione, con tutte le regioni, di specifici accordi di programma che individuano e finanziano gli interventi prioritari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico. Tutti gli accordi di programma sono stati, inoltre, registrati alla Corte dei conti;
    le risorse stanziate dalla legge finanziaria per il 2010 sono state dapprima ridotte di 100 milioni di euro, per far fronte ai danni provocati dall'alluvione del dicembre 2009 in Liguria, Toscana ed Emilia-Romagna (articolo 17, comma 2-bis, del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010), successivamente ulteriormente ridotte per 100 milioni di euro, per far fronte alle spese conseguenti allo stato di emergenza in Veneto, Liguria, Campania e Sicilia (articolo 2, comma 12-quinquies, del decreto-legge n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, il cosiddetto «decreto mille proroghe»);
    tenuto conto dei tagli, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha incrementato la dotazione di risorse prevista dalla legge finanziaria per il 2010, con le risorse disponibili sul proprio bilancio per la difesa del suolo (annualità 2008-2009-2010-2011), per un importo di circa 400 milioni di euro, destinando, quindi, al finanziamento dei piani un totale di circa 1.200 milioni di euro di risorse statali;
    a tali risorse sono state aggiunte le risorse regionali per un importo di circa 954 milioni di euro, dato che al momento della sottoscrizione degli accordi di programma tutte le regioni avevano cofinanziato, in misura variabile ma sostanziale, gli interventi inseriti negli stessi accordi di programma stipulati per un totale di circa 2.155 milioni di euro;
    per ogni regione è stato nominato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, un commissario straordinario delegato all'attuazione degli interventi (articolo 17 del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010); tuttavia, il sistema dei commissari non ha funzionato, le risorse non sono state rese disponibili e, di fatto, il piano straordinario per il dissesto in molte regioni ha presentato evidentemente notevoli difficoltà di attuazione. La mancata assegnazione delle risorse previste ha comportato la necessità di operare rimodulazioni, in parte già effettuate, degli accordi già sottoscritti, con evidente pregiudizio dell'azione dello Stato nel campo della difesa del suolo;
    in particolare, sono stati inseriti, nell'ambito del piano nazionale per il Sud, in ripartizione del fondo per lo sviluppo e la coesione, tutti gli interventi già individuati negli accordi con le regioni del Mezzogiorno. Le regioni coinvolte attivamente nel processo sono state la Basilicata, la Calabria, la Campania, il Molise, la Puglia, la Sicilia e la Sardegna, per un ammontare di risorse pari a 1.870 milioni di euro;
    pertanto, in attuazione delle procedure introdotte a norma delle predette disposizioni, si è riscontrato che non sempre esse si sono dimostrate snelle e in grado di rispondere tempestivamente alle effettive necessità dei territori interessati, evidenziando spesso ritardi nelle fasi di predisposizione dei provvedimenti convenzionali ed amministrativi, impossibilità di poter disporre di risorse adeguate ed effettivamente spendibili, disallineamenti tra i tempi in cui sarebbe necessario effettuare gli interventi rispetto a quelli in cui questi sono necessari o diventano concretamente eseguibili;
    va sottolineato che i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei rischi e dei pericoli derivanti dalle calamità naturali sono gli amministratori locali e, pertanto, sembrerebbe opportuno mettere gli stessi amministratori al centro delle attività relative all'individuazione, alla predisposizione ed all'esecuzione degli interventi di mitigazione allo scopo censiti;
    appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, eliminando le disposizioni che, di fatto, rendono farraginose le procedure atte all'esecuzione degli interventi ed all'assegnazione delle risorse;
    nell'auspicato processo di ricognizione delle norme potrebbe essere inserita anche la previsione di un fondo volto a risarcire i soggetti, che, a seguito di eventi calamitosi legati al dissesto idrogeologico, abbiano subito danni ai loro beni;
    al riguardo va fatto presente che il fabbisogno finanziario necessario per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza complessiva delle situazioni di dissesto del territorio nazionale appare essere imponente: nella XVI legislatura è stato calcolato un ammontare di 44 miliardi di euro, di cui 27 miliardi di euro per l'area del Centro-Nord, 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno e 4 miliardi di euro per il patrimonio costiero;
    risulta, altresì, evidente che, se non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle calamità naturali,

impegna il Governo:

   ad intraprendere iniziative urgenti finalizzate a modificare l'attuale disciplina in materia di interventi nelle situazioni a più elevato rischio idrogeologico e a salvaguardare la sicurezza delle infrastrutture e il patrimonio ambientale e culturale, evitando sistemi centralizzati di gestione degli interventi e privilegiando la logica della prevenzione rispetto a quella della gestione dell'emergenza;
   a sbloccare le risorse già previste nella XVI legislatura dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione del dissesto idrogeologico;
   ad attivare un organico programma di interventi per il riassetto territoriale delle aree a rischio idrogeologico, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con le singole regioni, articolato attraverso azioni che prevedano progetti strategici di difesa dal rischio idrogeologico relativi alle aree urbane e agli insediamenti produttivi di particolare rilievo, interventi puntuali di riduzione del rischio idrogeologico, anche con riferimento ai piccoli comuni, e interventi di manutenzione diffusa del territorio, nonché di singole opere di difesa esistenti;
   ad assumere iniziative volte ad istituire un sistema di finanziamento delle opere basato sia sulla concessione e conseguente erogazione di risorse direttamente ai comuni, alle province, ai consorzi di bonifica, alle comunità montane e agli altri soggetti competenti, ai sensi della normativa vigente in materia di difesa del territorio e tutela dell'ambiente, sia sulla concessione di contributi da parte dello Stato, pari agli oneri per capitale ed interessi di ammortamento di mutui o altre operazioni finanziarie che i predetti soggetti possano essere autorizzati a contrarre con la Cassa depositi e prestiti o istituti finanziari, nell'ambito di autorizzazioni di spesa pluriennali a carico dello Stato, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica;
   ad assumere iniziative normative per prevedere l'esclusione di tali finanziamenti pluriennali e delle risorse provenienti dallo Stato, dalle regioni e di quelle proprie degli enti locali, destinate ad interventi di prevenzione, manutenzione del territorio e contrasto al dissesto idrogeologico, dai vincoli previsti dal patto di stabilità interno;
   ad adottare specifiche iniziative, anche di natura normativa, volte a garantire l'attuazione da parte degli enti locali degli interventi di messa in sicurezza del proprio territorio per le aree a rischio prioritario e di interventi di rimboscamento e di riutilizzo dei terreni agricoli abbandonati;
   ad intraprendere specifiche iniziative, anche di natura normativa, volte a prevedere il rifinanziamento del fondo regionale della protezione civile, ovvero l'istituzione di un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, finalizzato alla concessione di indennizzi e per il risarcimento dei danni provocati dalle calamità naturali connessi al dissesto idrogeologico del territorio, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di finanza pubblica;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative di competenza, anche normative, finalizzate a prevedere che i comuni possano concedere crediti edilizi in favore di soggetti che procedono alla delocalizzazione dei propri immobili, non abusivi, situati in aree classificate a rischio, verso siti sicuri e ad adottare provvedimenti concreti contro l'abusivismo edilizio e per la demolizione degli immobili abusivi in aree soggette a rischio idrogeologico, compatibilmente con le risorse disponibili ed i vincoli di finanza pubblica.
(1-00117)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Grimoldi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».


   La Camera,
   premesso che:
    da indagini realizzate dal Ministero dell'ambiente e da altri organismi risulta che almeno il 10 per cento della superficie italiana, pari a 29.500 chilometri quadrati, è esposta ad un elevato rischio di dissesto idrogeologico;
    questa percentuale di territorio nazionale è concentrata nell'89 per cento dei comuni, vale a dire che l'89 per cento dei comuni è interessato da aree ad alta vulnerabilità, e che siamo in presenza di un rischio diffuso nel territorio nazionale con particolare evidenza soprattutto nelle aree più fortemente urbanizzate e antropizzate;
    sul territorio italiano, già fragile per caratteristiche geomorfologiche, incidono anche i cambiamenti climatici, con l'alternanza di forti piogge a periodi di siccità ed eventi estremi che producono l'impatto maggiore soprattutto nelle aree più urbanizzate e negli insediamenti produttivi;
    la serie storica degli eventi climatici definiti «estremi», quali alluvioni, inondazioni, frane, terremoti e simili, negli ultimi 15-20 anni in Italia mette in evidenza che i relativi «tempi di ritorno» sono più brevi, cioè si verificano con una frequenza più ravvicinata rispetto ai decenni precedenti;
   gli interventi necessari per la messa in sicurezza sono molteplici: da un lato quelli per realizzare la riduzione del rischio derivante dalle precipitazioni intense, come il drenaggio e la raccolta delle acque a contenere le alluvioni e, dall'altro, quelli tesi a individuare ed efficientare le aree marginali utilizzate per l'agricoltura e le attività forestali, progressivamente abbandonate e, quindi, particolarmente vulnerabili, infine quelli per la gestione e la regimazione delle acque, anche attraverso la realizzazione di canali scolmatori, adeguamento delle reti fognarie e puntuale gestione della rete delle idrovore, soprattutto per le aree più esposte al rischio di sommersione perché immediatamente al di sotto del livello del mare;
    sul complesso delle opere di prevenzione che dovrebbero essere realizzate pesano, tuttavia, in egual misura, la difficoltà nella programmazione e nel coordinamento tra gli enti preposti, nonché da un lato l'insufficienza delle risorse finanziarie e dall'altro la scarsa efficacia nella spesa;
    inoltre, nella maggior parte dei casi, la capacità di spesa non è proporzionata rispetto all'urgenza degli interventi necessari;
    il Ministro pro tempore dell'ambiente, Corrado Clini, ha predisposto e trasmesso al Cipe un «Piano nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici e per la messa in sicurezza del territorio» all'interno del quale sono censite le vulnerabilità del territorio nazionale (mappa della vulnerabilità), le tipologie di interventi necessari, il fabbisogno finanziario stimato pari a oltre 40 miliardi in 15 anni; sono inoltre stimati l'efficacia degli interventi già finanziati e gli strumenti necessari per rendere praticabile, fattibile ed efficiente gli interventi individuati e in via di finanziamento;
    in base al Piano, le risorse necessarie per eseguire interventi di messa in sicurezza, realizzare opere di drenaggio e raccolta delle acque, recuperare le aree agricole e boschive abbandonate e contrastare i fenomeni di erosione delle coste, sono pari a circa 40 miliardi di euro per i prossimi 15 anni, di cui il 60 per cento destinato a interventi pubblici, il 30 per cento al sostegno delle iniziative delle imprese e il restante 10 per cento alle associazioni e cooperative disponibili a recuperare aree marginali;
    inoltre, il Piano muove dall'affermazione che la messa in sicurezza del territorio nazionale è una misura infrastrutturale, che deve essere considerata dall'Unione europea come le altre misure infrastrutturali strategiche per lo sviluppo dell'Europa e che, perciò, dovrebbe godere del regime di deroga dal Patto di stabilità che può muovere altre risorse utili per la crescita e sviluppo;
    dagli interventi per contrastare il dissesto idrogeologico non deriva, infatti, solo un risparmio di costi ma anche il valore positivo degli interventi realizzati con relativa aggiunta di investimenti ed entrate suscettibili di coprire l'esborso di risorse che ha generato un debito temporaneo;
    riguardo alla proposta di introdurre un'assicurazione obbligatoria per gli edifici delle zone più vulnerabili lo Stato non può esimersi dal provvedere alla sicurezza del territorio e l'assicurazione dovrebbe essere complementare e non sostitutiva delle politiche pubbliche di prevenzione; andrebbero inoltre previste misure per la defiscalizzazione dei costi assicurativi;
    accanto alla messa in sicurezza delle aree a rischio di dissesto, appare quanto mai necessaria anche una complessiva opera su tutto il territorio finalizzata a prevenire ogni trasformazione che metta a rischio l'equilibrio ambientale e il paesaggio, con adozione di provvedimenti e piani atti a coniugare lo sviluppo economico con la tutela ambientale,

impegna il Governo:

   a programmare gli interventi di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, individuando la copertura dei relativi costi anche facendo ricorso all'intervento dell'Unione europea per la deroga dal Patto di stabilità;
   a reperire risorse adeguate per intervenire sulla prevenzione, anche coinvolgendo il settore privato attraverso i meccanismi premiali della riqualificazione e del recupero;
   a fare in modo che le risorse già disponibili siano spese in maniera efficace e tempestiva, individuando meccanismi di semplificazione e sburocratizzazione;
   ad attuare il Piano Clini presentato al Cipe nel dicembre 2012, inserendolo in un'azione politica fondata su una nuova legge quadro per il governo del territorio;
   ad intervenire opportunamente per ridurre in maniera drastica il consumo di suolo, anche attraverso politiche di sostituzione edilizia, di demolizione di ecomostri e insediamenti abusivi ed ex abusivi attraverso progetti condivisi pubblico/privato tesi alla riqualificazione e al recupero delle coste, delle aree di pregio naturalistico e paesaggistico, delle aree agricole o montane, dei centri storici;
   ad adottare politiche di governo del territorio che si integrino con quelle urbanistiche, agricole e forestali e che sappiano stimolare il settore edilizio a riconvertirsi da espansione e consumo del suolo a riqualificazione, recupero e sostituzione, secondo le tecnologie antisismiche e della bioarchitettura.
(1-00124) «Giorgia Meloni, Rampelli».


   La Camera,
   premesso che:
    da indagini realizzate dal Ministero dell'ambiente e da altri organismi risulta che almeno il 10 per cento della superficie italiana, pari a 29.500 chilometri quadrati, è esposta ad un elevato rischio di dissesto idrogeologico;
    questa percentuale di territorio nazionale è concentrata nell'89 per cento dei comuni, vale a dire che l'89 per cento dei comuni è interessato da aree ad alta vulnerabilità, e che siamo in presenza di un rischio diffuso nel territorio nazionale con particolare evidenza soprattutto nelle aree più fortemente urbanizzate e antropizzate;
    sul territorio italiano, già fragile per caratteristiche geomorfologiche, incidono anche i cambiamenti climatici, con l'alternanza di forti piogge a periodi di siccità ed eventi estremi che producono l'impatto maggiore soprattutto nelle aree più urbanizzate e negli insediamenti produttivi;
    la serie storica degli eventi climatici definiti «estremi», quali alluvioni, inondazioni, frane, terremoti e simili, negli ultimi 15-20 anni in Italia mette in evidenza che i relativi «tempi di ritorno» sono più brevi, cioè si verificano con una frequenza più ravvicinata rispetto ai decenni precedenti;
   gli interventi necessari per la messa in sicurezza sono molteplici: da un lato quelli per realizzare la riduzione del rischio derivante dalle precipitazioni intense, come il drenaggio e la raccolta delle acque a contenere le alluvioni e, dall'altro, quelli tesi a individuare ed efficientare le aree marginali utilizzate per l'agricoltura e le attività forestali, progressivamente abbandonate e, quindi, particolarmente vulnerabili, infine quelli per la gestione e la regimazione delle acque, anche attraverso la realizzazione di canali scolmatori, adeguamento delle reti fognarie e puntuale gestione della rete delle idrovore, soprattutto per le aree più esposte al rischio di sommersione perché immediatamente al di sotto del livello del mare;
    sul complesso delle opere di prevenzione che dovrebbero essere realizzate pesano, tuttavia, in egual misura, la difficoltà nella programmazione e nel coordinamento tra gli enti preposti, nonché da un lato l'insufficienza delle risorse finanziarie e dall'altro la scarsa efficacia nella spesa;
    inoltre, nella maggior parte dei casi, la capacità di spesa non è proporzionata rispetto all'urgenza degli interventi necessari;
    il Ministro pro tempore dell'ambiente, Corrado Clini, ha predisposto e trasmesso al Cipe un «Piano nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici e per la messa in sicurezza del territorio» all'interno del quale sono censite le vulnerabilità del territorio nazionale (mappa della vulnerabilità), le tipologie di interventi necessari, il fabbisogno finanziario stimato pari a oltre 40 miliardi in 15 anni; sono inoltre stimati l'efficacia degli interventi già finanziati e gli strumenti necessari per rendere praticabile, fattibile ed efficiente gli interventi individuati e in via di finanziamento;
    in base al Piano, le risorse necessarie per eseguire interventi di messa in sicurezza, realizzare opere di drenaggio e raccolta delle acque, recuperare le aree agricole e boschive abbandonate e contrastare i fenomeni di erosione delle coste, sono pari a circa 40 miliardi di euro per i prossimi 15 anni, di cui il 60 per cento destinato a interventi pubblici, il 30 per cento al sostegno delle iniziative delle imprese e il restante 10 per cento alle associazioni e cooperative disponibili a recuperare aree marginali;
    inoltre, il Piano muove dall'affermazione che la messa in sicurezza del territorio nazionale è una misura infrastrutturale, che deve essere considerata dall'Unione europea come le altre misure infrastrutturali strategiche per lo sviluppo dell'Europa e che, perciò, dovrebbe godere del regime di deroga dal Patto di stabilità che può muovere altre risorse utili per la crescita e sviluppo;
    dagli interventi per contrastare il dissesto idrogeologico non deriva, infatti, solo un risparmio di costi ma anche il valore positivo degli interventi realizzati con relativa aggiunta di investimenti ed entrate suscettibili di coprire l'esborso di risorse che ha generato un debito temporaneo;
    riguardo alla proposta di introdurre un'assicurazione obbligatoria per gli edifici delle zone più vulnerabili lo Stato non può esimersi dal provvedere alla sicurezza del territorio e l'assicurazione dovrebbe essere complementare e non sostitutiva delle politiche pubbliche di prevenzione; andrebbero inoltre previste misure per la defiscalizzazione dei costi assicurativi;
    accanto alla messa in sicurezza delle aree a rischio di dissesto, appare quanto mai necessaria anche una complessiva opera su tutto il territorio finalizzata a prevenire ogni trasformazione che metta a rischio l'equilibrio ambientale e il paesaggio, con adozione di provvedi- menti e piani atti a coniugare lo sviluppo economico con la tutela ambientale,

impegna il Governo:

   a programmare gli interventi di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, individuando la copertura dei relativi costi anche facendo ricorso all'intervento dell'Unione europea per la deroga dal Patto di stabilità;
   a reperire risorse adeguate per intervenire sulla prevenzione, anche coinvolgendo il settore privato attraverso i meccanismi premiali della riqualificazione e del recupero;
   a fare in modo che le risorse già disponibili siano spese in maniera efficace e tempestiva, individuando meccanismi di semplificazione e sburocratizzazione;
   a valutare l'adozione di una nuova legge quadro per il governo del territorio e in questo ambito a procedere nel senso dell'attuazione del piano Clini compatibilmente con lo stato dell'arte e nel rispetto dei saldi di finanza pubblica;
   ad intervenire opportunamente per ridurre in maniera drastica il consumo di suolo, anche attraverso politiche di sostituzione edilizia, di demolizione di ecomostri e insediamenti abusivi ed ex abusivi attraverso progetti condivisi pubblico/privato tesi alla riqualificazione e al recupero delle coste, delle aree di pregio naturalistico e paesaggistico, delle aree agricole o montane, dei centri storici;
   ad adottare politiche di governo del territorio che si integrino con quelle urbanistiche, agricole e forestali e che sappiano stimolare il settore edilizio a riconvertirsi da espansione e consumo del suolo a riqualificazione, recupero e sostituzione, secondo le tecnologie antisismiche e della bioarchitettura.
(1-00124)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Giorgia Meloni, Rampelli».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)