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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 11 giugno 2013

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta dell'11 giugno 2013.

  Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Bergamini, Berretta, Biancofiore, Bocci, Boccia, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, Legnini, Letta, Lorenzin, Lupi, Merlo, Migliore, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Santelli, Sereni, Simoni, Speranza, Vezzali.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Bergamini, Berretta, Biancofiore, Bocci, Boccia, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Capezzone, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Luigi Di Maio, Epifani, Fassina, Ferranti, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Gebhard, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, Legnini, Letta, Lombardi, Lorenzin, Lupi, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Realacci, Sani, Santelli, Sereni, Simoni, Speranza, Vezzali, Vito.

Annunzio di proposte di legge.

   In data 6 giugno 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   DAMBRUOSO: «Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e al codice penale, in materia di reati commessi con il mezzo della stampa o delle trasmissioni radiotelevisive o con altri mezzi di diffusione, nonché di diffamazione e di ingiuria» (1165);
   CAON: «Modifica all'articolo 2 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, e altre disposizioni per il contenimento della propagazione delle nutrie e dei piccioni» (1166);
   FARAONE ed altri: «Diritti delle persone autistiche. Norme per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle persone affette da autismo e per l'assistenza alle loro famiglie» (1167);
   BINETTI ed altri: «Disposizioni in favore della ricerca sulle malattie rare, della loro prevenzione e cura, nonché istituzione dell'Agenzia nazionale per le malattie rare» (1168);
   ZACCAGNINI e GAGNARLI: «Modifiche all'articolo 842 del codice civile e all'articolo 15 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di abolizione del diritto di accesso al fondo altrui per l'esercizio della caccia» (1169);
   CENTEMERO: «Abrogazione dei commi 13, 14 e 15 dell'articolo 14 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, concernenti il transito del personale docente dichiarato permanentemente inidoneo alla funzione e degli insegnanti tecnico-pratici nei ruoli del personale non docente» (1170);
   MAGORNO e BRUNO BOSSIO: «Modifiche alla legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense» (1171);
   GREGORI ed altri: «Introduzione dell'articolo 4-bis della legge 23 giugno 1927, n. 1188, in materia di divieto di dedicare strade, monumenti, lapidi o altri ricordi permanenti a persone condannate per crimini di guerra o contro l'umanità ovvero per delitti di mafia o terrorismo» (1172).

  In data 7 giugno 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   GALLINELLA ed altri: «Modifiche all'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari» (1173);
   COLLETTI ed altri: «Modifiche al codice penale in materia di prescrizione dei reati» (1174);
   POLIDORI: «Disciplina del mercato dei materiali gemmologici» (1175);
   FAENZI: «Modifica all'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in materia di deroga al patto di stabilità interno in favore degli enti locali per la realizzazione di piani per la messa in sicurezza del territorio contro i rischi derivanti dal dissesto idrogeologico, nonché disposizioni per la valorizzazione delle aree agricole e il contenimento del consumo di suolo» (1176).

  In data 10 giugno 2013 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   GAROFALO: «Modifica all'articolo 72 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di sistemi di sicurezza dei seggiolini per i bambini» (1177);
   IACONO: «Disposizioni per l'istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico» (1178);
   ABRIGNANI: «Introduzione dell'articolo 294-bis del codice penale, concernente l'impedimento o la turbativa di riunioni politiche e di propaganda elettorale» (1179);
   RUOCCO ed altri: «Introduzione di un limite massimo dei trattamenti economici erogati dalle amministrazioni statali e divieto di cumulo tra pensioni e redditi di lavoro» (1180);
   D'INCÀ ed altri: «Modifiche al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e altre disposizioni in materia di agevolazioni fiscali per la realizzazione di opere pubbliche infrastrutturali mediante l'utilizzazione dei contratti di partenariato pubblico-privato» (1181).

  Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge VILLECCO CALIPARI: «Misure per il contrasto delle povertà» (269) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Valeria Valente.

  La proposta di legge DALLAI ed altri: «Disposizioni per la valorizzazione e la salvaguardia della ’Via Francigena’» (294) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Maestri.

  La proposta di legge FRANCESCO SANNA ed altri: «Modifica dell'articolo 416-ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso» (328) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Bonomo.

  La proposta di legge FERRANTI ed altri: «Modifiche al codice civile e al codice penale e altre disposizioni in materia di false comunicazioni sociali e di falsità nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale, di autoriciclaggio, di scambio elettorale politico-mafioso, di delitti di frode fiscale, nonché per il contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione e nei rapporti tra privati» (330) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Rossomando.

  La proposta di legge BASSO ed altri: «Modifiche all'articolo 7 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, e altre disposizioni in materia di divieto della pubblicità dei giochi con vincita in denaro e disciplina dell'autorizzazione all'esercizio dei medesimi» (574) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Carra.

  La proposta di legge NACCARATO: «Modifiche agli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale, in materia di autoriciclaggio» (612) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Carra.

Ritiro di una proposta di legge.

  Il deputato Gallinella ha comunicato, anche a nome degli altri firmatari, di ritirare la seguente proposta di legge:

  GALLINELLA ed altri: «Modifica all'articolo 4 della legge 3 febbraio 2011, n. 4, in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari» (938).

  La proposta di legge sarà pertanto cancellata dall'ordine del giorno.

Ritiro di sottoscrizione ad una proposta di legge.

  Il deputato Pellegrino ha comunicato di ritirare la propria sottoscrizione alla proposta di legge:
   REALACCI ed altri: «Norme per il contenimento dell'uso di suolo e la rigenerazione urbana» (70).

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sotto indicate Commissioni permanenti:
   I Commissione (Affari costituzionali):
  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE CAUSI: «Modifiche alla parte seconda della Costituzione in materia di forma di governo, composizione e funzioni del Parlamento e potestà legislativa dello Stato e delle regioni» (148) Parere delle Commissioni II, III, V, VI, VII, IX, X, XI e XII;
  FORMISANO ed altri: «Norme in materia di finanziamento dei partiti, movimenti e associazioni con finalità politiche e per l'introduzione delle elezioni primarie per la scelta dei candidati a cariche pubbliche elettive» (255) Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V e VI;
  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE BRAMBILLA: «Modifica all'articolo 9 della Costituzione, in materia di tutela del benessere degli animali» (306) Parere delle Commissioni VII, VIII, XII e XIII;
  GRASSI ed altri: «Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione in materia di democrazia interna dei partiti» (681) Parere delle Commissioni II, V e VII;
  LENZI: «Abrogazione della legge 21 dicembre 2005, n. 270, recante modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, e ripristino dell'efficacia delle disposizioni preesistenti, con modificazioni» (718);
  BOCCADUTRI ed altri: «Modifiche alla legge 6 luglio 2012, n. 96, e altre disposizioni concernenti il finanziamento privato e la trasparenza dell'attività dei partiti e movimenti politici nonché la disciplina e i limiti dei rimborsi per le spese elettorali effettivamente sostenute» (733) Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni) e VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria);
  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE GIANCARLO GIORGETTI ed altri: «Modifiche agli articoli 116, 117 e 119 della Costituzione, concernenti l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni e l'istituzione delle macroregioni, attraverso referendum popolare, con attribuzione alle medesime di risorse in misura non inferiore al 75 per cento del gettito tributario prodotto nel loro territorio, nonché disposizione transitoria riguardante il trasferimento delle funzioni amministrative ai comuni e alle regioni» (758) Parere delle Commissioni V e VI;
  «Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore» (1154) Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII e IX.
   II Commissione (Giustizia):
  BURTONE: «Modifica dell'articolo 416-ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso» (204) Parere della I Commissione;
  BRESSA ed altri: «Introduzione degli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale e altre disposizioni in materia di tortura» (276) Parere delle Commissioni I, III, V e XII;
  CAUSI: «Disposizioni per la sospensione della decorrenza di termini relativi ad adempimenti a carico del libero professionista in caso di malattia o di infortunio» (277) Parere delle Commissioni I, V, VI, X e XII;
  GRASSI ed altri: «Disposizioni in materia di destinazione di beni in favore di persone con gravi disabilità e di discendenti privi di mezzi di sostentamento» (685) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria) e XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento).
   V Commissione (Bilancio):
  MARTELLA ed altri: «Modifiche alla legge 20 maggio 1985, n. 222, in materia di destinazione di una quota dell'otto per mille del gettito dell'imposta sul reddito delle persone fisiche a diretta gestione statale al finanziamento di progetti di ricerca ad alto contenuto scientifico miranti al miglioramento della qualità della vita» (657) Parere delle Commissioni I, VII e XII;
   MARTELLA ed altri: «Norme per la valorizzazione e il decentramento amministrativo in favore dei territori confinanti con le regioni a statuto speciale» (672) Parere delle Commissioni I, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, IX, X, XII, XIII e XIV.
   VI Commissione (Finanze):
  BRAMBILLA: «Modifica all'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di detraibilità di spese sostenute per la cura di animali da compagnia» (309) Parere delle Commissioni I, V, XII e XIII;
  BRAMBILLA: «Disposizioni per la revisione degli elementi di spesa indicativi di capacità contributiva relativi agli animali di affezione» (310) Parere delle Commissioni I, V, XII e XIII;
  PASTORELLI ed altri: «Disposizioni agevolative in materia di determinazione dell'interesse e delle spese relativi alle operazioni di credito agrario e peschereccio» (575) Parere delle Commissioni I, II, V, XIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento) e XIV.
   VII Commissione (Cultura):
  VERINI ed altri: «Disposizioni per la celebrazione del centenario della nascita di Alberto Burri» (544) Parere delle Commissioni I e V;
  BRAMBILLA: «Divieto dell'utilizzazione di animali in spettacoli e manifestazioni popolari» (800) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, XII e XIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento).
   VIII Commissione (Ambiente):
  SANI: «Istituzione del Consorzio per la gestione e la salvaguardia della laguna di Orbetello» (305) Parere delle Commissioni I, II, V e XI.
   IX Commissione (Trasporti):
  MONGIELLO ed altri: «Ripristino delle agevolazioni tariffarie postali per i prodotti editoriali» (476) Parere delle Commissioni I, V, VI, VII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XII e XIV.
   X Commissione (Attività Produttive):
  BENAMATI ed altri: «Modifica all'articolo 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, concernente il piano territoriale degli orari di apertura degli esercizi commerciali e artigianali» (1042) Parere delle Commissioni I, V, XI e XIV.
   XI Commissione (Lavoro):
  BOBBA: «Disposizioni concernenti l'integrazione della composizione della Commissione medico-ospedaliera per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, di cui all'articolo 193 del codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e del Comitato di verifica per le cause di servizio, previsto dall'articolo 10 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461» (172) Parere delle Commissioni I, IV, V e XII;
  MONGIELLO ed altri: «Modifiche alla legge 29 marzo 1985, n. 113, concernenti l'albo professionale nazionale e il collocamento al lavoro dei centralinisti telefonici e degli operatori della comunicazione minorati della vista» (435) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, IX, X, XII e XIV;
  DAMIANO ed altri: «Norme sulla rappresentanza e sulla rappresentatività delle organizzazioni sindacali, sull'efficacia dei contratti collettivi di lavoro e sui diritti dei lavoratori in materia di informazione e consultazione aziendale» (519) Parere delle Commissioni I, II, V, VI e X;
  DAMIANO ed altri: «Abrogazione del capo I del titolo V del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e disciplina del lavoro intermittente nei settori del turismo e dello spettacolo» (520) Parere delle Commissioni I, V, VII e X;
  SBROLLINI ed altri: «Modifiche all'articolo 47 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in materia di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all'amianto» (620) Parere delle Commissioni I, II, IV, V, VIII, IX, X e XII;
  MARTELLA ed altri: «Disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità nelle piccole imprese e nelle cooperative sociali» (673) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), X, XII e XIV;
  DAMIANO ed altri: «Modifiche agli articoli 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e 6 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, concernenti i requisiti per la fruizione delle deroghe in materia di accesso al trattamento pensionistico» (727) Parere delle Commissioni I, IV, V, VI, IX e XII;
  POLVERINI: «Modifiche agli articoli 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e 6 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, in materia di requisiti per la fruizione delle deroghe in materia di accesso al trattamento pensionistico, nonché altre disposizioni concernenti il pensionamento flessibile e delega al Governo per la diffusione della cultura previdenziale nelle scuole» (946) Parere delle Commissioni I, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, IX, X e XII.
   XII Commissione (Affari sociali):
  BOBBA ed altri: «Istituzione del servizio civile delle persone anziane» (171) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII e XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale);
  BRAMBILLA e GIAMMANCO: «Divieto di sperimentazione sugli animali e misure per il sostegno dei metodi sostitutivi di ricerca» (287) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VII, XIII e XIV;
  BRAMBILLA: «Modifiche all'articolo 3 della legge 12 ottobre 1993, n. 413, in materia di obiezione di coscienza alla sperimentazione animale» (312) Parere delle Commissioni I, V, VII, XI e XIII;
  BRAMBILLA ed altri: «Disciplina delle attività e delle terapie assistite dagli animali» (313) Parere delle Commissioni I, II, V, VII, XI e XIII;
  MONGIELLO ed altri: «Disposizioni concernenti l'etichettatura dei tagliandi delle lotterie istantanee e la prevenzione della dipendenza da gioco» (433) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII e X;
  BIONDELLI ed altri: «Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto dell'obesità grave e di abbattimento delle barriere architettoniche nei luoghi pubblici e privati e nei trasporti pubblici» (668) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII, IX, XIII e XIV;
  BIONDELLI ed altri: «Istituzione del progetto nazionale ’Anziani valore aggiunto nella società civile’» (670) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, X e XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale).
   XIII Commissione (Agricoltura):
  BRAMBILLA e GIAMMANCO: «Divieto di allevamento, cattura e uccisione di animali per la produzione di pellicce» (288) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VIII, X, XII e XIV;
  BRAMBILLA: «Istituzione dell'Ufficio del Garante per i diritti degli animali» (307) Parere delle Commissioni I, II, V, VI, XI, XII e XIV;
  BRAMBILLA: «Divieto della pratica della caccia nel territorio nazionale» (318) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XI e XIV;
  MONGIELLO ed altri: «Misure per favorire l'innovazione e la competitività delle imprese del settore agromeccanico» (437) Parere delle Commissioni I, V, VI, VII, VIII, X, XI e XIV.
   Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e XII (Affari sociali):
  GRASSI ed altri: «Disposizioni in materia di tutela dei diritti della famiglia e istituzione dell'Autorità garante della famiglia» (683) Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, IX, X e XI.
   Commissioni riunite VI (Finanze) e XI (Lavoro):
  SALTAMARTINI: «Delega al Governo per incentivare l'adozione di statuti partecipativi delle imprese» (640) Parere delle Commissioni I, V, X, XII e XIV;
  MARTELLA ed altri: «Agevolazioni fiscali per l'assunzione di dirigenti temporanei e a progetto e di consulenti di direzione nelle piccole e medie imprese» (659) Parere delle Commissioni I, II, V, X e XIV.
   Commissioni riunite VII (Cultura) e VIII (Ambiente):
  SANI: «Disposizioni per la tutela e la valorizzazione del patrimonio minerario d'interesse storico, archeologico, paesaggistico e ambientale» (304) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), IX, X, XI, XIII e XIV.
   Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive):
  VACCARO: «Norme per il risparmio energetico e lo sviluppo dell'impiego di energia da fonti rinnovabili negli edifici pubblici» (511) Parere delle Commissioni I, V, VI e XIV.

Assegnazione del programma di lavoro della Commissione europea, del programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea e della relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea.

  La comunicazione recante il programma di lavoro della Commissione per il 2013 (COM(2012) 629 final – Vol. 1/2) e i relativi allegati (COM(2011) 629 final – vol. 2/2), trasmessa dalla Commissione europea e già annunciata in data 13 novembre 2012, il programma di diciotto mesi del Consiglio dell'Unione europea (1° gennaio 2013 – 30 giugno 2014) (17426/12), trasmesso dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri e già annunciato in data 22 gennaio 2013, e la relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea relativa all'anno 2013 (Doc, LXXXVII-bis, n. 1; già Doc. LXXXVII-bis n. 3, della XVI legislatura), trasmessa dal Ministro per gli affari europei e annunciata in data odierna, sono assegnati, per l'esame generale, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) e, per l'esame delle parti di rispettiva competenza, a tutte le altre Commissioni permanenti nonché al Comitato per la legislazione.

Annuncio della pendenza di un procedimento giudiziario ai fini di una deliberazione in materia di insindacabilità.

  Con lettera pervenuta in data 4 giugno 2013, l'onorevole Aniello Formisano ha rappresentato alla Presidenza – allegando documentazione al riguardo – che è pendente nei suoi confronti un procedimento penale presso l'autorità giudiziaria di Torre Annunziata (il n. 12075/12 RGNR) per fatti che, a suo avviso, concernono opinioni espresse nell'esercizio delle sue funzioni parlamentari, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione.
  Tali atti sono stati assegnati alla competente Giunta per le autorizzazioni.

Trasmissione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 3 giugno 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 8-ter del Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, con cui è autorizzato, in relazione a un intervento da realizzare tramite contributi assegnati in sede di ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale, l'utilizzo delle economie di spesa realizzate dalla provincia di Lodi, a valere su contributi concessi per l'anno 2010, per ulteriori lavori concernenti il sito archeologico annesso al convento di San Domenico.
  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

Annunzio di sentenze della Corte costituzionale.

  La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
   con lettera in data 29 maggio 2013, sentenza n. 101 del 22-29 maggio 2013 (Doc. VII, n. 65), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 5, commi 1, 2 e 3, 6 e 7 della legge della regione Toscana 31 gennaio 2012, n. 4 (Modifiche alla legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 «Norme per il governo del territorio» e della legge regionale 16 ottobre 2009, n. 58 «Norme in materia di prevenzione e riduzione del rischio sismico»):
  alla VIII Commissione (Ambiente);

   con lettera in data 29 maggio 2013, sentenza n. 102 del 22-29 maggio 2013 (Doc. VII, n. 66), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 14 della legge della regione Lombardia 27 febbraio 2007, n. 5 (Interventi normativi per l'attuazione della programmazione regionale e di modifica e integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2007), come risultante a seguito delle modifiche introdotte, successivamente, dall'articolo 1, comma 8, lettera a), della legge della regione Lombardia 31 marzo 2008, n. 5 (Interventi normativi per l'attuazione della programmazione regionale e di modifica e integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2008), dall'articolo 4 della legge della regione Lombardia 23 dicembre 2008, n. 33, recante «Disposizioni per l'attuazione del documento di programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell'articolo 9-ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulla procedura della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della regione – Collegato 2009)», e dall'articolo 23 della legge della regione Lombardia 5 febbraio 2010, n. 7 (Interventi normativi per l'attuazione della programmazione regionale e di modifica e integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2010):
  alla VIII Commissione (Ambiente);

   con lettera in data 29 maggio 2013, sentenza n. 103 del 22-29 maggio 2013 (Doc. VII, n. 67), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 15, comma 1, lettera c), della legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2009), sostitutivo dell'articolo 11, comma 5, della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2008):
  alla VIII Commissione (Ambiente);

   con lettera in data 29 maggio 2013, sentenza n. 104 del 22-29 maggio 2013 (Doc. VII, n. 68), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, della legge della regione Abruzzo 17 luglio 2012, n. 33 (Modifiche all'articolo 29 della legge regionale 10 gennaio 2012, n. 1 «Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della regione Abruzzo. Legge finanziaria 2012», norme in materia di rimborso ai cittadini affetti da patologie oncologiche e provvedimenti finanziari riguardanti le Comunità montane):
  alla XII Commissione (Affari sociali);

   con lettera in data 29 maggio 2013, sentenza n. 105 del 22-29 maggio 2013 (Doc. VII, n. 69), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 della legge della regione Abruzzo 5 aprile 2012, n. 16 [Modifiche alla legge regionale 14 settembre 1999, n. 77 (Norme in materia di organizzazione e rapporti di lavoro della regione Abruzzo) ed alla legge regionale 23 marzo 2000, n. 43 (Contributo al Circolo d'arte e cultura «Il Quadrivio» di Sulmona per l'organizzazione del Premio Sulmona)], nella parte in cui sostituisce l'articolo 22, comma 5, della legge della regione Abruzzo 14 settembre 1999, n. 77 (Norme in materia di organizzazione e rapporti di lavoro della regione Abruzzo):
  alla I Commissione (Affari costituzionali);

   con lettera in data 29 maggio 2013, sentenza n. 106 del 22-29 maggio 2013 (Doc. VII, n. 70), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 1, della legge della Regione siciliana 15 maggio 1991, n. 27 (Interventi a favore dell'occupazione), come sostituito dall'articolo 19, comma 2, della legge regionale 1o settembre 1993, n. 25 (Interventi straordinari per l'occupazione produttiva in Sicilia) e successivamente modificato dall'articolo 3 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 24 (Integrazioni e modifiche alla legge regionale 21 dicembre 1995, n. 85 ed interpretazione autentica degli articoli 1 e 12. Modifiche dell'articolo 19 della legge regionale 1o settembre 1993, n. 25 e dell'articolo 12 della legge regionale 21 settembre 1990, n. 36), nella parte in cui prevede, ai fini del riconoscimento della riserva a favore dei soggetti in possesso del prescritto titolo di studio che per un periodo non inferiore a centottanta giorni abbiano partecipato alla realizzazione dei progetti di utilità collettiva disciplinati dall'articolo 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – «Legge finanziaria 1988»), la condizione, contemplata dall'articolo 1, comma 2, della legge regionale 21 dicembre 1995, n. 85 (Norme per l'inserimento dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità collettiva di cui all'articolo 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67 ed interventi per l'attuazione di politiche attive del lavoro), che detti soggetti fossero in servizio alla data del 31 ottobre 1995:
  alla XI Commissione (Lavoro);

   con lettera in data 5 giugno 2013, sentenza n. 116 del 3-5 giugno 2013 (Doc. VII, n. 76), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall'articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214:
  alla XI Commissione (Lavoro);

   con lettera in data 5 giugno 2013, sentenza n. 117 del 3-5 giugno 2013 (Doc. VII, n. 77), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 37 della legge della regione Basilicata 8 agosto 2012, n. 16 (Assestamento del bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 2012 e del bilancio pluriennale per il triennio 2012/2014):
  alla X Commissione (Attività produttive);

   con lettera in data 5 giugno 2013, sentenza n. 118 del 3-5 giugno 2013 (doc. VII, n. 78), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2 e 3, limitatamente alla lettera a) del comma 1, della legge della regione Campania 11 ottobre 2011, n. 16, recante «Modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 19 gennaio 2007, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione Campania – Legge finanziaria regionale 2007), modifica ed integrazione dell'articolo 9 della legge regionale 27 marzo 2009, n. 4 (Legge elettorale) e modifica ed integrazione dell'articolo 28 della legge regionale 5 giugno 1996, n. 13 (Nuove disposizioni in materia di trattamento indennitario agli eletti alla carica di consigliere regionale della Campania)»:
  alla I Commissione (Affari costituzionali);

   con lettera in data 5 giugno 2013, sentenza n. 119 del 3-5 giugno 2013 (Doc. VII, n. 79), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 17, comma 3, del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124 (Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell'articolo 8 della legge 14 febbraio 2003, n. 30), nel testo vigente prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo 1o settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), nella parte in cui dispone che il ricorso al Comitato regionale per i rapporti di lavoro sospende anziché interrompe il termine di cui all'articolo 22 della legge n. 689 del 1981 (Modifiche al sistema penale);
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo articolo 17, comma 3, del decreto legislativo n. 124 del 2004, sollevata, in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione, dal tribunale ordinario di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana:
  alla XI Commissione (Lavoro);

   con lettera in data 5 giugno 2013, sentenza n. 120 del 3-5 giugno 2013 (Doc. VII, n. 80), con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 63 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), nella parte in cui non prevede l'incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti:
  alla I Commissione (Affari costituzionali).

  La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria le seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzio- nali), se non già assegnate alla stessa in sede primaria:
   sentenza n. 107 del 22-29 maggio 2013 (Doc. VII, n. 71), con la quale:
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 11 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES) sollevate, in relazione agli articoli 3 e 77, primo comma, della Costituzione, dal tribunale di Trani:
  alla XI Commissione (Lavoro);

   sentenza n. 108 del 22-29 maggio 2013 (Doc. VII, n. 72), con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 19, comma 1, lettera c), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito in legge dall'articolo 1 della legge 28 gennaio 2009, n. 2, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 4 e 38 della Costituzione, dal tribunale di Lucca:
  alla XI Commissione (Lavoro);

   sentenza n. 109 del 22-29 maggio 2013 (Doc. VII, n. 73), con la quale:
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9, comma 8, della legge della Regione siciliana 24 giugno 1986, n. 31 (Norme per l'applicazione nella Regione siciliana della legge 27 dicembre 1985, n. 816, concernente aspettative, permessi e indennità degli amministratori locali. Determinazione delle misure dei compensi per i componenti delle commissioni provinciali di controllo. Norme in materia di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri comunali, provinciali e di quartiere), sollevata dal tribunale ordinario di Palermo, in riferimento agli articoli 3 e 51 della Costituzione:
  alla I Commissione (Affari costituzionali);

   sentenza n. 110 del 22-29 maggio 2013 (Doc. VII, n. 74), con la quale:
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 48, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dalla commissione tributaria provinciale di Milano:
  alla II Commissione (Giustizia);

   sentenza n. 114 del 22-31 maggio 2013 (Doc. VII, n. 75), con la quale:
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 11 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 22 gennaio 2010, n. 2 (Norme in materia di agricoltura, usi civici, utilizzazione delle acque pubbliche, energia, urbanistica e tutela dell'ambiente), sollevata dal tribunale superiore delle acque pubbliche, in riferimento agli articoli 3, 41 e 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione all'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE, relativa alla promozione della energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno della elettricità), e in riferimento agli articoli 39 (rectius: 34), 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ed alle direttive comunitarie 2003/54/CE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 96/92/CE), e 2001/77/CE (direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità);
    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 10, comma 1, della predetta legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 2 del 2010 e dell'articolo 24, comma 1, della legge della stessa Provincia 21 dicembre 2011, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2012 e per il triennio 2012-2014 – Legge finanziaria 2012), sollevata, in riferimento a principi e norme comunitarie;
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dei predetti articoli 10, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 2 del 2010 e dell'articolo 24, comma 1, della legge della stessa Provincia n. 15 del 2011, sollevata in riferimento agli articoli 3, 41 e 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione all'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo n. 387 del 2003, e in riferimento agli articoli 39 (rectius: 34), 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonché alle direttive comunitarie 2003/54 CE e 2001/77 CE:
  alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive);

   sentenza n. 121 del 3-5 giugno 2013 (Doc. VII, n. 81), con la quale:
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 10, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, 97, 118, 119 e 120 della Costituzione, nonché all'articolo 11 del decreto legislativo 6 marzo 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), dalla regione Veneto:
  alla VI Commissione (Finanze);

   sentenza n. 122 del 3-5 giugno 2013 (Doc. VII, n. 82), con la quale:
    dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione promosso dalla Provincia autonoma di Trento in relazione alla nota del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 19 giugno 2012, n. 5438, ricevuta dalla presidenza della Provincia il 27 giugno 2012;
    dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione promosso dalla Provincia autonoma di Trento in relazione agli «atti citati nella suddetta nota»;
    dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione promosso dalla Provincia autonoma di Trento in relazione a «tutti gli eventuali altri atti o attività, mai comunicati alla ricorrente Provincia, dai quali risulta, mediante l'inserimento nella Rete europea, la definitiva intenzione del Governo di procedere alla realizzazione dell'autostrada Valdastico Nord a prescindere dalla necessaria intesa con la Provincia di Trento»;
    dichiara che spettava allo Stato, e per esso al Ministro delle infrastrutture e trasporti, esprimere il definitivo parere favorevole riguardo alla proposta di regolamento COM(2011)650, nei sensi di cui in motivazione:
  alla VIII Commissione (Ambiente).

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  La Corte dei conti – Sezione del controllo sugli enti, con lettera in data 6 giugno 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente nazionale per il mediocredito, per gli esercizi 2010 e 2011. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 28).
  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VI Commissione (Finanze).

Trasmissione dal Ministro per gli affari europei.

  Il Ministro per gli affari europei, con lettera in data 5 giugno 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea relativa all'anno 2013 (Doc. LXXXVII-bis, n. 1; già Doc. LXXXVII-bis, n. 3, della XVI legislatura).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 6 giugno 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Tali atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  Con la medesima comunicazione, il Governo ha altresì richiamato l'attenzione sui seguenti documenti, già trasmessi dalla Commissione europea e assegnati, ai sensi, dell'articolo 127 del Regolamento, in data 4 giugno 2013, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Comunicazione della Commissione – Porti: un motore per la crescita (COM(2013) 295 final), assegnata in sede primaria alla IX Commissione (Trasporti);
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro normativo per l'accesso al mercato dei servizi portuali e la trasparenza finanziaria dei porti (COM(2013) 296 final), assegnata in sede primaria alla IX Commissione (Trasporti), nonché alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà.

  Il Consiglio dell'Unione europea, in data 7 e 11 giugno 2013, ha trasmesso, ai sensi del Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (Rifusione) (14654/2/12 REV 2) e relativa motivazione (14654/2/12 REV 2 ADD 1);
   posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione del regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un terzo o da un apolide (Rifusione) (15605/3/12 REV 3) e relativa motivazione (15605/3/12 REV 3 ADD 1);
   posizione del Consiglio in prima lettura in vista dell'adozione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (8260/2/13 REV 2) e relativa motivazione (8260/2/13 REV 2 ADD 1).

  La Commissione europea, in data 6, 7 e 10 giugno 2013, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa le disposizioni per la gestione delle spese relative alla filiera alimentare, alla salute e al benessere degli animali, alla sanità delle piante e al materiale riproduttivo vegetale, che modifica le direttive 98/56/CE, 2000/29/CE e 2008/90/CE del Consiglio, i regolamenti (CE) n. 178/2002, (CE) n. 882/2004 e (CE) n. 396/2005, la direttiva 2009/128/CE, nonché il regolamento (CE) n. 1107/2009, e che abroga le decisioni 66/399/CEE, 76/894/CEE e 2009/470/CE del Consiglio (COM(2013) 327 final) e relativo documento di accompagnamento – Documento di lavoro dei servizi della Commissione – Sintesi della valutazione d'impatto (SWD(2013) 194 final), che sono assegnati in sede primaria alle Commissioni riunite XII (Affari sociali) e XIII (Agricoltura). La predetta proposta di regolamento è altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 10 giugno 2013;
   Proposta di decisione del Consiglio che autorizza Austria e Malta ad aderire, nell'interesse dell'Unione europea, alla convenzione dell'Aia, del 15 novembre 1965, relativa alla notificazione e alla comunicazione all'estero degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (COM(2013) 338 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura e alla qualità delle statistiche per la procedura per gli squilibri macroeconomici (COM(2013) 342 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio). Tale proposta è altresì assegnata alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 10 giugno 2013;
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo a norma dell'articolo 294, paragrafo 6, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riguardante la posizione del Consiglio sull'adozione di una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (COM(2013) 411 final), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo a norma dell'articolo 294, paragrafo 6, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riguardante la posizione del Consiglio sull'adozione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti asilo (COM(2013) 415 final), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali);
   Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo a norma dell'articolo 294, paragrafo 6, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riguardante la posizione del Consiglio in vista dell'adozione di una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (COM(2013) 416 final), che è assegnata in sede primaria alla I Commissione (Affari costituzionali).

Trasmissione dal Garante del contribuente della regione Lazio.

  Il Garante del contribuente per il Lazio, in data 4 giugno 2013, ha trasmesso la relazione sullo stato dei rapporti tra fisco e contribuenti nel campo della politica fiscale, per l'anno 2012, predisposta ai sensi dell'articolo 13, comma 13-bis, della legge 27 luglio 2000, n. 212.
  Questa relazione è trasmessa alla VI Commissione (Finanze).

Comunicazione di nomine ministeriali.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 6 giugno 2013, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le comunicazioni concernenti il conferimento alla dottoressa Silvana Ceravolo, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di direttore amministrativo della Scuola superiore dell'economia e delle finanze e la revoca del medesimo incarico alla dottoressa Concettina Ciminiello.
  Tali comunicazioni sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla VI Commissione (Finanze).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: RATIFICA ED ESECUZIONE DELLA CONVENZIONE TRA LA REPUBBLICA ITALIANA E LA REPUBBLICA DI SAN MARINO PER EVITARE LE DOPPIE IMPOSIZIONI IN MATERIA DI IMPOSTE SUL REDDITO E PER PREVENIRE LE FRODI FISCALI, CON PROTOCOLLO AGGIUNTIVO, FATTA A ROMA IL 21 MARZO 2002, E DEL RELATIVO PROTOCOLLO DI MODIFICA, FATTO A ROMA IL 13 GIUGNO 2012 (A.C. 875-A) ED ABBINATA PROPOSTA DI LEGGE (A.C. 901)

A.C. 875-A – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO

Sul testo del provvedimento elaborato dalla Commissione di merito:

PARERE FAVOREVOLE.

A.C. 875-A – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).

  1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma il 21 marzo 2002, e il relativo Protocollo di modifica, fatto a Roma il 13 giugno 2012.

A.C. 875-A – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 2.
(Ordine di esecuzione).

  1. Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione e al relativo Protocollo di modifica di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della loro entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 30 della Convenzione stessa e dall'articolo VII del Protocollo stesso.
  2. Con provvedimento del Direttore generale delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, adottato d'intesa con il Direttore dell'Agenzia delle entrate, sono definite le modalità applicative delle disposizioni previste dall'articolo V del Protocollo di modifica di cui all'articolo 1.

A.C. 875-A – Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 3.
(Copertura finanziaria).

  1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in euro
3.282.000 a decorrere dall'anno 2014, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per gli anni 2014 e 2015, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e spe-ciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.
  2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

A.C. 875-A – Articolo 4

ARTICOLO 4 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 4.
(Entrata in vigore).

  1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

A.C. 875-A – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che presso la Repubblica di San Marino sono impiegati circa 5.400 lavoratori italiani transfrontalieri che costituiscono il 30 per cento della realtà occupazionale della Repubblica sanmarinese e rappresentano, pertanto, una risorsa fondamentale per garantire, specie in questo periodo di crisi, lo sviluppo economico di entrambi i Paesi;
   sottolineata l'esigenza di ricondurre ad equità l'intollerabile situazione fiscale cui sono sottoposti i lavoratori italiani transfrontalieri anche a causa della introduzione di un iniquo aggravio fiscale introdotto a partire dal 2011 dalla Repubblica di San Marino, che ha provocato dannose conseguenze economiche a carico dei medesimi;
   evidenziato che l'articolo 1 comma 549 della legge 24 dicembre 2012 ha prorogato anche per l'anno 2013 la franchigia fiscale di 6.700 euro per i redditi da lavoro dipendente prestato dai transfrontalieri e prevede che ai fini della determinazione della misura dell'acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuto per l'anno 2014 non si tenga conto della suddetta franchigia di esenzione;
   pertanto i lavoratori frontalieri sono costretti per gli anni 2013 e 2014 ad anticipare le imposte dovute attraverso il pagamento di acconti calcolati sul 100 per cento del reddito senza tener conto in fase di anticipazione delle reali tasse dovute in relazione alla franchigia fiscale;
   preso atto dell'impegno assunto dall'Italia ai sensi dell'articolo VI, comma 6, del Protocollo di modifica della Convenzione fiscale italo-sanmarinese, a prevedere una norma di legge che esenti una quota del reddito lordo dei lavoratori frontalieri, al fine di regolamentare definitivamente la materia secondo un principio di equità fiscale che riconosca l'alto valore per il Paese del lavoro all'estero,

impegna il Governo

ad esercitare al più presto l'iniziativa legislativa al fine di dare piena attuazione all'articolo 15 della Convenzione fiscale italo-sanmarinese, come modificato dall'articolo VI, comma 6, del Protocollo di modifica della Convenzione.
9/875-A/1Arlotti, Gianluca Pini.


   La Camera,
   premesso che:
    l'accordo in materia di doppia imposizione fiscale tra Italia e San Marino sarà ratificato oggi alla Camera dei deputati e che già la settimana prossima l’iter sarà avviato anche al Senato, per giungere nel più breve tempo possibile alla ratifica definitiva;
    la ratifica è il passaggio indispensabile sia per la fuoriuscita della Repubblica di San Marino dalla black list sia per la stabilizzazione del lavoratori frontalieri;
    la realtà dei lavoratori frontalieri non è certamente insignificante. Il serbatoio principale è rappresentato dalla Svizzera con circa 60.000 lavoratori italiani frontalieri, di cui 48.000 in Canton Ticino provenienti dalle province di Como, Varese e Verbano-Cusio-Ossola, 6.500 nei Grigioni, provenienti soprattutto dalla provincia di Sondrio e in piccola parte da quella di Bolzano, 1.500 nel Vallese provenienti dalla zona di Verbano-Cusio-Ossola. A questi si aggiungono i più di 6.000 cittadini italiani che dall'Emilia-Romagna e dalle Marche si recano a lavorare nella Repubblica di San Marino, i 3.700 che giornalmente dalla provincia di Imperia si recano a lavorare soprattutto nel Principato di Monaco e in Francia (1.500), nonché altre centinaia di italiani che per lo stesso motivo si recano in Austria, in Slovenia e nella Città del Vaticano;
    in base alla normativa vigente, è infatti considerato frontaliero il soggetto residente in Italia che non soggiorna all'estero, ma che presta l'attività, in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, nelle zone di frontiera e in altri Paesi limitrofi. Tuttavia risulta impossibile stabilire un concetto univoco che comprenda criteri obiettivi per la definizione del lavoro frontaliero. Tale concetto copre infatti realtà diverse, a seconda che si considerino l'accezione dell'Unione europea – enunciata in particolare in materia di sicurezza sociale – o le numerose definizioni contenute nelle convenzioni bilaterali di doppia imposizione, valide per la determinazione del regime fiscale applicabile ai lavoratori frontlieri. In virtù della normativa dell'Unione europea, l'espressione «lavoratore frontaliero» designa qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro (criterio politico), dove torna in teoria ogni giorno o almeno una volta alla settimana (criterio temporale). Le convenzioni bilaterali ritengono elementi costitutivi della nozione di lavoro frontaliero sia la residenza sia la condizione di lavoro all'estero presso una zona di frontiera e/o in Paesi limitrofi, e (come nel caso Italia-Svizzera) anche il rientro quotidiano presso il luogo di residenza in Italia;
    i redditi derivanti dal lavoro dipendente prestato, in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, all'estero in aree di frontiera e in altri Stati vicini a quello domestico, da soggetti residenti nel territorio dello Stato italiano, fino a tutto il 2011, concorrono a formare il reddito complessivo per l'importo eccedente la quota di 8.000 euro, franchigia stabilita dalla legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003). Le leggi finanziarie successive hanno prorogato questa disposizione per gli anni dal 2004 al 2010. Nel 2011, con la legge n. 216 del 29 dicembre 2011, la franchigia è stata fissata a 6.700 euro. Il reddito dei frontalieri è assoggettato al pagamento delle imposte in Italia fatti salvi gli eventuali accordi bilaterali contro le doppie imposizioni. Nell'ipotesi in cui la retribuzione riconosciuta al lavoratore frontaliero sia sottoposta a tassazione sia in Italia sia nel territorio straniero è applicabile l'articolo 165 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni, che prevede al comma 1, un credito sulle imposte pagate all'estero a titolo definitivo, fino a concorrenza della quota d'imposta
corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all'estero ed il reddito complessivo,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative, come stabilito dall'accordo in fase di ratifica, che risolvano in maniera definitiva la questione del trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri, perché dal 2013, senza queste iniziative e senza franchigia, le tasse in Italia si pagherebbero sul 100 per cento dell'imponibile. Occorre una prospettiva organica, da non rinnovare anno per anno, così da evitare che la tassazione dei redditi dei lavoratori frontalieri continui a essere sottoposta alla precarietà delle successive leggi di stabilità e goda invece di una norma autonoma e senza limiti di validità.
9/875-A/2Pizzolante, Gianluca Pini.


   La Camera,
   premesso che:
    la Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali e il relativo Protocollo di modifica sono innanzitutto un passaggio resosi necessario al fine di adeguarne il contenuto agli standard internazionali previsti dall'attuale modello OCSE in materia;
    le modifiche apportate dal Protocollo alla Convenzione consentono senza dubbio di colmare il ritardo rispetto agli obiettivi di scambio di informazioni in materia fiscale tra San Marino e l'Italia e quindi di compiere un significativo passo avanti sul piano della trasparenza bancaria tra le due Parti contraenti;
    tuttavia, il testo emendato della Convenzione presenta alcuni aspetti problematici: in particolare, l'articolo 10, sostituito dall'articolo I del Protocollo di modifica, prevede che l'aliquota d'imposta sui dividendi corrisposti da una società residente in uno Stato a soggetti residenti nell'altro Stato, sia ridotta allo 0 per cento (rispetto al 5 per cento previsto dal testo originario), nel caso in cui il beneficiario dei dividendi sia una società di capitali che detenga almeno il 10 per cento del capitale della società che li distribuisce; ciò, favorisce i soggetti giuridici detentori del controllo su tali società, a scapito degli altri azionisti, che sono invece assoggettati a un'aliquota del 15 per cento, introducendo un trattamento differente da quello previsto in altre Convenzioni per evitare le doppie imposizioni stipulate con altri Stati;
    inoltre, anche l'articolo 11, riscritto dall'articolo II del Protocollo di modifica, presenta qualche perplessità: infatti, prevede che l'aliquota d'imposta sugli interessi provenienti da uno Stato e pagati a soggetti residenti nell'altro Stato sia ridotto, anche in tal caso, allo 0 per cento, qualora il beneficiario degli interessi stessi sia una società di capitali che detenga almeno il 25 per cento del capitale della società che li paga;
    è opportuno che per il futuro, in occasione della stipula di accordi con altri Stati, si presti la massima attenzione alle clausole su tale delicata materia, anche in considerazione della difficoltà a rimediare successivamente ad eventuali difetti o lacune che si dovessero evidenziare nelle disposizioni convenzionali,

impegna il Governo

   ad adottare le opportune iniziative volte a monitorare:
    il traffico di capitali tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino;
    quali e quante sono le società costituite nella Repubblica di San Marino che percepiscono utili o dividendi o canoni o interessi di origine italiana;
    quali e quante saranno le nuove società che si costituiranno nella Repubblica di San Marino nell'arco di 36 mesi e che percepiranno utili o dividendi o canoni o interessi di origine italiana;
    quali e quante saranno le società costituite nella Repubblica di San Marino che percepiranno utili o dividendi o canoni o interessi di origine italiana che a loro volta siano partecipate o controllate da società di un altro Stato;
    gli eventuali accorpamenti e fusioni di pacchetti azionari al fine dell'elusione della tassazione nel paese di origine stabilita dal Trattato;
   a relazionare annualmente al Parlamento sugli esiti di quest'opera di monitoraggio.
9/875-A/3Pesco, Sibilia, Pisano, Barbanti, Villarosa, L'Abbate, Zaccagnini, Petraroli, Della Valle, Di Battista, Spadoni, Da Villa.


DISEGNO DI LEGGE: RATIFICA ED ESECUZIONE DELL'ACCORDO TRA IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA E IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA DI LITUANIA IN MATERIA DI RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE, FATTO A VILNIUS IL 21 FEBBRAIO 2013 (A.C. 841)

A.C. 841 – Articolo 1

ARTICOLO 1 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).

  1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Lituania in materia di rappresentanze diplomatiche, fatto a Vilnius il 21 febbraio 2013.

A.C. 841 – Articolo 2

ARTICOLO 2 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 2.
(Ordine di esecuzione).

  1. Piena ed intera esecuzione è data all'Accordo di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall'articolo 6 dell'Accordo stesso.

A.C. 841 – Articolo 3

ARTICOLO 3 DEL DISEGNO DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEL GOVERNO

Art. 3.
(Entrata in vigore).

  1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

MOZIONI LUIGI GALLO ED ALTRI N. 1-00035, GIANCARLO GIORDANO ED ALTRI N. 1-00076, SANTERINI ED ALTRI N. 1-00077, BUONANNO ED ALTRI N. 1-00083, COSCIA ED ALTRI N. 1-00084, CENTEMERO ED ALTRI N. 1-00085, FORMISANO ED ALTRI N. 1-00086, GIORGIA MELONI N. 1-00090, COSCIA, CENTEMERO, SANTERINI ED ALTRI N. 1-00091 CONCERNENTI MISURE A SOSTEGNO DELLA SCUOLA, DELL'UNIVERSITÀ E DELLA CULTURA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    nella relazione congiunta 2010 del Consiglio e della Commissione dell'Unione europea sull'attuazione del programma di lavoro «Istruzione e formazione 2010», l'istruzione e la formazione sono al centro dell'agenda di Lisbona per la crescita e l'occupazione e costituiscono un elemento essenziale del suo follow-up fino al 2020. Per la crescita e l'occupazione, ed anche per l'equità e l'inclusione sociale, è fondamentale dar vita a un «triangolo della conoscenza: istruzione/ricerca/innovazione» che funzioni e fare in modo che tutti i cittadini siano meglio qualificati; pertanto, viene ribadita la necessità di investire nei sistemi di istruzione e formazione anche, e soprattutto, in periodi di crisi economica per rispondere a sfide socioeconomiche essenziali;
    dalla relazione sopra citata si legge che, a livello nazionale, gli Stati membri dovranno, tra l'altro, garantire: investimenti efficienti nei sistemi di istruzione e formazione a tutti i livelli (dalla scuola materna all'insegnamento superiore), migliorare i risultati nel settore dell'istruzione in ciascun segmento (prescolastico, elementare, secondario, professionale e superiore) nell'ambito di un'impostazione integrata, che comprenda le competenze fondamentali e miri a ridurre l'abbandono scolastico e migliorare l'apertura e la pertinenza dei sistemi di istruzione, creando quadri nazionali delle qualifiche, e conciliare meglio i risultati nel settore dell'istruzione con le esigenze del mercato del lavoro;
    gli interventi nel settore culturale, intesi come la valorizzazione dell'immenso patrimonio culturale e come sostegno delle università e degli istituti di ricerca, possono costituire incentivo alle imprese virtuose e rilanciare il turismo: basti pensare che uno studio del 2008, realizzato dall'istituto Guglielmo Tagliacarne per l'Unioncamere e il Ministero per i beni e le attività culturali, mette in evidenza un settore culturale che ricopre una posizione di primo piano nell'economia nazionale, quantificabile al 2006 in un valore aggiunto di circa 167 miliardi di euro e un assorbimento di 3,8 milioni di occupati (rispettivamente il 12,7 per cento e il 15,4 per cento del totale delle attività economiche);
    secondo la ricerca «Sponsor Value® - Cultura e Spettacolo» realizzata da StageUpSport & Leisure Business e Ipsos, se l'Italia investisse in cultura quanto mediamente fanno Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna, il prodotto interno lordo nazionale indotto raggiungerebbe i 140 miliardi di euro, con un incremento rispetto ad oggi del 253 per cento;
    per «cultura» si deve intendere una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica e conoscenza, tutela dei beni culturali, sviluppo e fruizione della produzione culturale, in questo senso il rapporto dialettico tra sviluppo economico e culturale rappresenta un volano per la crescita produttiva e sociale;
    le politiche in materia di cultura che hanno caratterizzato le precedenti legislature sono state fortemente condizionate da una progressiva e perdurante riduzione dei finanziamenti pubblici; basti pensare che, a fronte di stanziamenti pari a 2.098 milioni di euro per l'anno 2008, si è passati a soli 1.512 milioni di euro previsti dalla legge di bilancio 2013, determinando una decurtazione di circa un quarto degli stanziamenti previsti;
    la politica dei tagli, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo sconsiderata, che nella XVI legislatura nel solo settore scuola ed università ha tolto 7.565 milioni di euro all'istruzione, all'università e alla ricerca, con un taglio alla voce di bilancio dello Stato che passa, negli ultimi cinque anni, dal 10,6 per cento al 9,1 per cento, producendo un processo di impoverimento culturale e sociale che mina la stabilità del vivere civile e solidale, relega l'Italia agli ultimi posti in Europa in quanto a investimenti nell'istruzione, quando invece Germania e Francia investono fino a 10 volte più del nostro Paese;
    i tagli lineari effettuati nella scuola, compresi i pesanti tagli ai fondi «Miglioramento dell'offerta formativa» e «Fondo delle istituzioni scolastiche», che solo nell'ultimo anno sono stati decurtati del 33 per cento, hanno comportato, tra l'altro, il ridimensionamento della rete scolastica, la riduzione del tempo pieno, l'impossibilità di svolgere attività laboratoriali e in compresenza, una complessiva riduzione dei servizi e delle offerte formative (come i corsi di recupero e potenziamento), fino a una grave carenza di risorse per l'ordinario funzionamento delle scuole;
    dal settembre 2008 al settembre 2013 il numero degli alunni dalla prima elementare alla quinta liceo è cresciuto di 90.990 unità e, in uno sviluppo normale del rapporto discente-docente, questa crescita avrebbe dovuto significare 9.000 insegnanti in più; al contrario, in cinque anni ci sono stati 81.614 docenti in meno;
    sempre nei cinque anni presi in considerazione, le classi sono diminuite di 9.285 unità, mentre ne sarebbero servite 4.500 in più (con una media di 20 alunni per aula), vista la forte crescita di iscritti, con la naturale conseguenza che sono aumentate le «classi pollaio»: il limite di 20 alunni per classe in presenza di un compagno con disabilità – regola definita per legge – quasi mai viene rispettato;
    a fronte della più bassa percentuale in Europa di spesa pubblica in istruzione (fonte Eurostat), l'Italia ha tagliato in ogni ciclo scolastico: 28.032 posti nella primaria, 22.616 nella secondaria di primo grado, 31.464 nella secondaria di secondo grado; inoltre, con gli accorpamenti, alla fine dell'anno scolastico scompariranno 2.094 scuole, il 20 per cento, e si calcola che sono 557 gli istituti sul territorio senza un preside, né un dirigente amministrativo;
    il precariato scolastico – che conta ormai oltre 200.000 tra insegnanti abilitati e non formalmente abilitati anche se idonei all'insegnamento – è diventato un elemento strutturale del sistema, anche a causa delle suddette politiche che hanno impedito un graduale assorbimento di chi, dopo aver superato procedure concorsuali, frequentato corsi e conseguito titoli abilitanti, per anni ha prestato la propria professionalità, garantendo, di fatto, il funzionamento della scuola pubblica;
    secondo un rapporto di Legambiente del 2012, quasi la metà degli edifici scolastici non possiede le certificazioni di agibilità, più del 65 per cento non ha il certificato di prevenzione incendi e il 36 per cento degli edifici ha bisogno di interventi di manutenzione urgenti, senza contare che il 32,42 per cento delle strutture si trova in aree a rischio sismico e un 10,67 per cento in aree ad alto rischio idrogeologico;
    il decreto ministeriale del 3 ottobre 2012, recante l'approvazione del programma di edilizia scolastica, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 7 del 9 gennaio 2013, relativo al piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, riguarda 989 edifici scolastici per un costo stimato complessivo di 111.800.000,00 euro; tuttavia, non si può fare a meno di rilevare che dalla ripartizione regionale dei fondi il rapporto tra il valore del finanziamento con il numero di scuole (pubbliche e private) presenti in ciascuna regione (dati Istat 2011), il Nord ne riceverà il 69 per cento, il Centro il 28 per cento e il Sud e le Isole appena il 3 per cento, un'evidente ripartizione squilibrata che consegna un Italia con territori che non hanno gli stessi diritti di avere scuole di uguale livello in termini di sicurezza;
    le risorse economiche destinate all'università sono state drasticamente diminuite per effetto del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, ed in particolare sono stati tagliati oltre 1.440 milioni di euro sui fondi di finanziamento ordinario delle università;
    si sono ridotte in maniera drammatica le possibilità di reclutamento e avanzamento di carriera e si limitano le possibilità di utilizzo delle risorse per cessazioni, al punto che se nel 2010 gli atenei in media sono riusciti a mantenere un reclutamento pari al 41 per cento circa dei pensionamenti, per l'attuazione del decreto-legge n. 180 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1 del 2009, d'ora in poi la percentuale media – stando alle simulazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – sarà almeno dimezzata, con una consequenziale migrazione di ricercatori all'estero;
    la legge n. 240 del 2010, di riforma del sistema universitario, ha soppresso la figura del ricercatore a tempo indeterminato, sostituendola con quella del ricercatore a tempo determinato, escludendolo da qualsiasi possibilità di crescita professionale e di carriera; inoltre, la riforma stessa rende insostenibili molti corsi di laurea, che saranno costretti a chiudere, in quanto i criteri stabiliti non tengono conto del quadro reale esistente, ma sono volti anch'essi esclusivamente ad un taglio delle spese;
    in particolare, nell'ultimo anno i ricercatori strutturati si sono ridotti di 400 unità (passando da 23.800 a 23.400), mentre quelli precari sono passati da 33.000 a 13.400. Pertanto, questi quasi ventimila precari sono stati, di fatto, «espulsi» dal sistema accademico: niente rinnovo, niente tutele, niente università. Un risultato dovuto principalmente alla costante riduzione dei finanziamenti ministeriali e al blocco del turn-over. L'Adi stima che l'85 per cento degli assegnisti di ricerca odierni non potrà intraprendere la carriera universitaria;
    il decreto-legge n. 95 del 2012, cosiddetto spending review, ha modificato l'articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 306 del 1997, che limitava al 20 per cento del fondo di funzionamento ordinario delle università l'ammontare complessivo del gettito delle tasse universitarie per ateneo e, di conseguenza, ha liberalizzato la tassazione universitaria, facendo sì che il minor gettito di risorse da parte dello Stato sia coperto dallo studente con una tassazione molto più onerosa;
    il decreto legislativo n. 68 del 2012 ha modificato completamente l'impianto del diritto allo studio, già abbastanza iniquo, riducendo drasticamente il numero di idonei per le borse di studio, in quanto i nuovi criteri sono stati studiati nell'ottica di tagliare la spesa, e comportando un aumento della tassa regionale per il diritto allo studio;
    il settore dei beni culturali rientra tra gli assi principali di riferimento anche a livello europeo, fondandosi esso sul riconoscimento delle ampie potenzialità espresse dalle attività connesse alla conservazione, al restauro e alla gestione del patrimonio culturale e su quanto esse siano in grado di contribuire in modo efficace alla realizzazione di una concreta ed efficace politica costruttiva con effetto sinergico su diversi settori;
    l'Italia è il Paese che possiede il patrimonio artistico e culturale più importante del mondo, sia in termini di quantità (l'Italia è il Paese con la maggior distribuzione di musei sul territorio) che di qualità; una fonte di informazione autorevole in merito è rappresentata dalla lista del patrimonio mondiale elaborata dall'Unesco, Organizzazione delle Nazioni unite per l'educazione, la scienza e la cultura, dalla quale risulta che l'Italia è il Paese che detiene il maggiore patrimonio culturale del mondo; pertanto, se adeguatamente valorizzato, rappresenterebbe una risorsa inestimabile in termini socioculturali ed economici;
    tuttavia, l'inadeguatezza delle risorse, destinate alla conservazione e alla valorizzazione dell'immenso patrimonio italiano dei beni culturali, è diventata oltremodo insostenibile; pertanto, è auspicabile una politica di rilancio del piano di manutenzione ordinaria dei beni culturali, con fondi da rimodulare e con risorse ulteriori;
    anche il settore dello spettacolo subisce tagli in conseguenza delle misure della spending review e della recente sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2012, che ha ordinato il reintegro dei tagli agli stipendi dei dirigenti; la cifra complessiva di stanziamento del fondo unico per lo spettacolo, il finanziamento che lo Stato dà al settore, è pari a 389,8 milioni per il 2013. Nel 2012 erano 411, 414 nel 2010, addirittura 527 nel 2001. Si tratta di un taglio consistente (20 milioni) che riduce oltremodo l'investimento statale nel settore, confermando così le peggiori previsioni;
    lo stanziamento sarà distribuito, come sempre, per il 47 per cento alle fondazioni liriche (ma per effetto del taglio si divideranno 10,1 milioni di euro in meno), il cinema vedrà il 18,59 per cento e i teatri 16,4 per cento, con 3,4 milioni di euro in meno, alla musica andrà il 14,10 per cento del fondo unico per lo spettacolo;
    a fronte dei tagli effettuati, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo sconsiderati, diventa, dunque, indispensabile investire nell'intero settore culturale con strategie di lungo periodo e con risorse certe e continuative; alcune possibili fonti di finanziamento possono essere le seguenti:
     a) si possono distribuire in maniera più intelligente i tagli lineari definiti con le manovre di finanza pubblica, recuperando finanziamenti per i settori della conoscenza e della cultura;
     b) si possono abolire le province, che, secondo quanto emerge dal rapporto Italia 2008 dell'Eurispes, porterebbe ad un risparmio di almeno 10,6 miliardi di euro, pur nell'ipotesi che il personale delle province (pari a 62.778 tra dirigenti e impiegati secondo la Ragioneria generale dello Stato) venisse reimpiegato in altre amministrazioni o istituzioni locali;
     c) si può attuare la graduale e progressiva riduzione delle spese militari, a partire dall'abolizione del «Programma F-35» e dal ritiro delle truppe italiane dall'Afghanistan;
     d) si possono abolire i rimborsi elettorali pari a 91 milioni di euro, relativi a queste ultime elezioni, comprensivi di quelli già rifiutati dal Movimento 5 Stelle con una semplice rinuncia sottoscritta e firmata, alla portata di qualsiasi altra forza politica;
     e) si possono abolire i contributi elettorali ai partiti;
     f) si possono da subito abolire i finanziamenti diretti e indiretti all'editoria;
     g) si possono ridurre le indennità parlamentari;
     h) si possono abolire gradualmente le risorse destinate alle scuole paritarie;
    è dovere delle istituzioni favorire la realizzazione dei sistemi di istruzione e formazione più aperti al territorio, che prevedano una maggiore integrazione sistemica con gli organismi territoriali che intervengono per la risoluzione delle problematiche sociali e familiari, che rispondano meglio al benessere dei cittadini e della comunità in cui vivono, al loro sano sviluppo culturale e ad una piena occupazione nella società con adeguato reddito;
    è dovere delle stesse istituzioni attuare riforme, continuando contemporaneamente a investire nei sistemi di istruzione e formazione per rispondere alle sfide socioeconomiche che ci si presentano, sfruttando meglio le potenzialità che le nuove tecnologie offrono in termini di promozione dell'innovazione e della creatività, per rinnovare i processi di insegnamento-apprendimento;
    non si può più consentire lo sperpero dell'immenso patrimonio culturale italiano attualmente in atto; è, quindi, imprescindibile garantire l'accesso e la fruizione delle risorse culturali del Paese, potenziando la struttura ricettiva dei musei, con evidente impatto positivo sull'industria del turismo e sull'occupazione;
    è necessario introdurre meccanismi virtuosi di reperimento e distribuzione delle risorse nel settore dello spettacolo, anche traendo spunto dalle soluzioni adottate in altri Paesi europei,

impegna il Governo:

   ad adottare politiche che concentrino risorse aggiuntive sul settore della conoscenza ed un piano di rientro di massimo 2 anni delle risorse sottratte nella XVI legislatura al settore cultura, scuola e università, individuando fonti di finanziamento reperibili nell'immediato;
   a non perdere di vista l'importanza di investire nella scuola, nella preparazione dei giovani, nella valorizzazione dei saperi, anche restituendo al ruolo dei docenti la centralità che loro compete, affinché quello italiano diventi un sistema di istruzione veramente innovativo e capace di interpretare la complessità del presente e di garantire più certezze nel futuro;
   a ricoprire tutte le cattedre vacanti prima dell'inizio dell'anno scolastico 2013/2014, anche con un piano triennale di assunzioni che preveda la stabilizzazione del maggior numero di docenti precari, con l'inserimento organico nella scuola di nuove figure professionali (psicologi, pedagogisti tutor, consiglieri di orientamento, specialisti nella gestione di disabilità gravi, consuler, educatori) e con investimenti in formazione in itinere qualificata per i docenti orientata alle best practice in Italia e in Europa;
   a programmare la costruzione di un sistema integrato e trasversale che coinvolga formazione, università, nuove tecnologie e linguaggi plurimediali, biblioteche, editoria, eventi, musei, valorizzazione del patrimonio artistico, start-up, turismo, infrastrutture locali, trasporti sostenibili e comunicazione;
   a prevedere un piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici per l'adeguamento strutturale di tutti i plessi nell'arco di 4 anni, con una maggiore entità di fondi per le regioni del Sud e per le Isole fortemente penalizzate con la ripartizione regionale dei fondi destinati all'edilizia scolastica (decreto ministeriale del 3 ottobre 2012 – Gazzetta Ufficiale n. 7 del 9 gennaio 2013);
   a prevedere un sistema che garantisca adeguate risorse per gli istituti che hanno risultati qualitativi più bassi, al fine di aumentare lo standard qualitativo del sistema scuola italiano ed evitare di penalizzare i territori con maggior disagi sociali ed economici;
   a ripristinare pienamente la possibilità di esercitare il diritto allo studio con opportuni fondi adeguati a garantire borse di studio e strutture di accoglienza per gli studenti che non hanno le opportunità economiche per sostenere i costi dell'università, valutando tra questi i più meritevoli;
   a ridiscutere il metodo di finanziamento delle università, legando il fondo di finanziamento ordinario a meccanismi che valutino l'effettivo impatto socio-economico che il laureato ha nella società, rivedendo il meccanismo del costo standard per studente;
   a coordinare e selezionare con le università, i centri di ricerca e le imprese, i progetti di ricerca prioritari nei settori nei quali il Paese può diventare leader e sui quali concentrare le risorse finanziarie e umane e a favorire l'insediamento nei territori, anche sulla base dei risultati conseguiti da tali ricerche, di imprese innovative, con capitali reperiti sul mercato;
   a realizzare un piano di investimenti pluriennale per i beni culturali, non limitandosi ad interventi straordinari dettati solo dall'urgenza e dalla contingenza, ma attraverso una seria programmazione che veda il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle regioni;
   a prevedere forme di agevolazione, anche di tipo fiscale, per gli operatori del settore dello spettacolo, riconoscendone il valore culturale, al fine di garantirne la sopravvivenza in questo momento di crisi che colpisce, soprattutto, le individualità e le piccole realtà artistiche.
(1-00035) «Luigi Gallo, Di Benedetto, Brescia, Simone Valente, Vacca, Marzana, D'Uva, Battelli, Chimienti, Micillo, Luigi Di Maio, Rigoni».
(8 maggio 2013)


   La Camera,
   premesso che:
    la scuola pubblica è «organo costituzionale», come scriveva Piero Calamandrei; luogo dove principi fondativi e formazione civile si incontrano. La scuola è un diritto fondamentale che non può essere subordinato alla logica economica, unica norma di riferimento del tempo che viviamo, perché laddove accada i vincoli economici sarebbero illegittimi, come recentemente affermato dalla Corte dei conti della Campania;
   a settembre 2012, l'Ocse ha presentato il suo rapporto annuale «Education at a glance» con dati, grafici e statistiche sulla qualità dell'istruzione nei paesi Ocse; le indagini Ocse dimostrano che le società mediamente più colte sono più ricche e più sicure, perché dalla qualità dell'istruzione pubblica dipendono, oltre alla capacità di innovazione e di competizione internazionale del sistema produttivo, la qualità stessa della partecipazione civile e sociale, quindi della democrazia;
   il rapporto Ocse disegna un quadro disastroso per l'Italia, che si colloca tra gli ultimi sette paesi per livello di istruzione superiore ed universitaria. Solo il 35 per cento di italiani infatti possiede un adeguato livello di formazione culturale, contro il 50-70 per cento dei paesi più avanzati: la percentuale degli studenti inseriti in un percorso formativo in Italia non si è modificata dal 2005 al 2010; i diplomati sono il 44 per cento contro la media dell'Unione europea del 66 per cento, i laureati 11 per cento contro la media dell'Unione europea del 23 per cento; il 48 per cento della popolazione tra i 25 e 64 anni ha conseguito al massimo la licenza media, contro una media dell'Unione europea del 29 per cento; il 35 per cento di popolazione vive in situazione di sostanziale illetteratismo, rispetto a una media del 10-15 per cento dei paesi più avanzati, e un altro 30 per cento di adulti ha competenze esposte al rischio di rapida obsolescenza;
   strettamente legato a tali dati è l'aumento del numero di neet (giovani che non sono inseriti in percorsi di istruzione o formazione, non hanno un impiego e non stanno cercando un'occupazione), che raggiunge il 25 per cento, rispetto ad una media europea del 15,8 per cento, e che fa piazzare l'Italia quinta su 32 paesi Ocse;
   il numero di studenti e studentesse che proseguono il loro percorso accademico all'estero è fermo al 2,5 per cento;
   i dati dimostrano chiaramente le conseguenze di politiche scolastiche che hanno avuto come unico riferimento la logica della riduzione dei costi e del pareggio di bilancio, attuata con tagli indiscriminati ai finanziamenti e alle risorse umane, e come unico risultato lo smantellamento della scuola pubblica e il rafforzamento della tendenza alla «privatizzazione dei saperi». Il nostro Paese si colloca, infatti, 34esimo su un totale di 35 paesi per qualità generale della formazione, costo medio per lo Stato di ogni studente e investimenti in istruzione (dati Eurostat 2013, 8,5 per cento del prodotto interno lordo a fronte del 10,9 per cento dell'Unione europea): i contributi privati ormai arrivano a coprire il 10 per cento della spesa totale, solo il 20 per cento della spesa totale dedicata all'università è dedicata alle risorse per i sussidi (media Ocse circa il 25 per cento);
   a seguito dei tagli, dal 2008 al 2013 è stata prodotta una riduzione di organico pari a 81.614 docenti e 43.878 unità di personale ata, nonostante l'incremento delle iscrizioni, ed è stata mortificata, conseguentemente, l'offerta formativa: al compimento del primo ciclo della «riforma Gelmini» la scuola primaria passerà da un'offerta formativa settimanale di 30 ore a 27 ore, senza la possibilità di istituire nuove sezioni a tempo pieno; la secondaria di primo grado ha patito un'analoga riduzione dei quadri orari e la secondaria di secondo grado ha subito una forte riduzione dell'orario curriculare a discapito delle attività di laboratorio degli istituti tecnici e professionali, decurtate per il 30 per cento;
   dal 2010/2011 ad oggi il processo di dimensionamento indiscriminato ha ridotto il numero delle istituzioni scolastiche autonome da 9.131 dell'anno in corso a 8.646 dell'anno scolastico 2013/2014, cui si aggiunge la «istituzionalizzazione» delle scuole in reggenza perché sottodimensionate;
   quest'anno il fondo per il miglioramento dell'offerta formativa è stato decurtato per pagare gli scatti di anzianità del 2011 a detrimento del patto contratto con l'utenza, sancito dal piano dell'offerta formativa, strumento giuridico vincolante come da decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999;
   le gravi differenze territoriali tra Nord e Sud del Paese nella qualità del sistema educativo restano sostanzialmente invariate; la dispersione scolastica, intesa come uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione, è particolarmente alta, oltre il 22 per cento in Sicilia, Sardegna e Campania, ma è soprattutto la quota di neet che presenta differenze territoriali particolarmente preoccupanti: mentre nel Nord si attesta a circa il 15 per cento, in Campania e Sicilia oltre un terzo dei giovani di 15-29 anni non studia, non è inserito in alcun programma di formazione e non lavora;
   le donne conseguono un titolo universitario più elevato rispetto agli uomini, tendono meno ad abbandonare gli studi, hanno un livello di competenza alfabetica migliore e fanno più formazione continua, ma resta più alta tra loro la quota di giovani che non studiano e non lavorano e più bassa la partecipazione culturale;
   oltre al ritardo rispetto alla media europea e al fortissimo divario territoriale, si riscontra, in tutti gli indicatori che rispecchiano istruzione, formazione continua e livelli di competenze, che il livello di istruzione e competenze raggiunto dipende in larga parte dall'estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio; la scuola, quindi, non riesce a produrre il cosiddetto «valore aggiunto» perché le diseguaglianze sociali restano tali;
   il percorso formativo, finalizzato a raggiungere e mantenere conoscenze e competenze adeguate per aumentare l'occupabilità delle persone e realizzare stili di vita adeguati alla società, è un percorso continuo che inizia con la scuola dell'infanzia e si estende oltre la scuola secondaria o l'università con la formazione continua e, più in generale, con le attività di partecipazione culturale; tuttavia, nell'attuale ordinamento l'obbligo di istruzione riguarda solo la fascia di età tra i 6 e i 16 anni;
   e tuttavia tra gli orientamenti recenti che si desumono dalla ricerca Ocse e dalle sollecitazioni europee è forte l'attenzione dei legislatori per l'espansione dell'accesso alla scuola della prima infanzia, nella convinzione, fondata su dati, che l'istruzione nella prima infanzia è correlata con i migliori risultati scolastici negli anni successivi. Dunque, è necessario pianificare l'istituzionalizzazione dell'obbligo di frequenza del terzo anno della scuola dell'infanzia per poi estenderla al segmento 3-18, perché una scuola di qualità accompagni la crescita dei bambini fino al compimento della maggiore età. In tal senso si dovrebbe avviare un processo di incremento del 10 per cento del numero di sezioni di scuola statale attualmente funzionanti, integrando i contributi alle scuole comunali per produrre un analogo incremento, ciò allo scopo di rispettare le vocazioni e le realtà territoriali;
   gli attuali parametri di calcolo per l'attribuzione delle somme del cosiddetto capitolone (decreto ministeriale n. 21 del 2007) non rispondono a quanto stabilito dalla legge sull'autonomia, che prevede una dotazione ordinaria e una dotazione perequativa, che non ha trovato attuazione, mentre è necessario che tutti i fondi statali destinati alle scuole abbiano un unico canale di finanziamento;
   la sfasatura dei tempi della contabilità generale dello Stato con quella delle istituzioni scolastiche ostacola il regolare funzionamento della scuola pubblica; la situazione finanziaria degli istituti scolastici è aggravata dal fatto che le scuole vantano, nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, crediti per oltre 1 miliardo di euro;
   l'Unione delle province d'Italia ha avvertito che l'anno scolastico 2013/2014 è a rischio a causa dei tagli della spending review e del Patto di stabilità, che rischiano di azzerare la capacità di programmare spese e investimenti per gli edifici scolastici gestiti dalle province (le superiori); secondo l'Unione delle province d'Italia almeno quattro-cinquecento istituti non dovrebbero riaprire a settembre 2013, perché avrebbero bisogno di interventi straordinari di manutenzione;
   l'introduzione affrettata delle tecnologie per il trattamento informatico dei provvedimenti amministrativi si è finora tradotto in un doppio lavoro per le segreterie e per gli utenti interni ed esterni della scuola (docenti, ata, genitori), dal momento che l'inserimento dei dati ha comportato la duplicazione (on line e cartacea) delle pratiche amministrative;
   occorre invertire le politiche relative alla riduzione del personale della scuola e ripristinare il numero di docenti necessario all'organico funzionale, affinché il numero di alunni per classe risponda alle normative sulla sicurezza e sia stabilito in base all'autonomia organizzativa delle scuole, al tipo di attività programmata e alle modalità di organizzazione della didattica, e adeguare il salario dei docenti ai parametri europei;
   nel rispetto del dettato costituzionale, deve essere garantito ai comuni che gestiscono direttamente le scuole dell'infanzia di poter continuare a farlo, impedendo il progressivo abbandono dell'erogazione pubblica diretta di questi servizi. A tal fine, ai comuni devono essere consentiti l'allentamento dei vincoli di spesa imposti dal Patto di stabilità e la possibilità di stabilizzare le educatrici e gli educatori anche al di fuori del blocco del turn over;
   dalle ricerche condotte sugli stage previsti dall'alternanza scuola-lavoro emerge che i diritti degli studenti sono tenuti in poco conto e che questi rischiano di essere sfruttati dall'azienda, anziché realmente formati; i tutor interni (docenti dell'istituto) ed esterni (supervisori dell'azienda) spesso sono assenti poiché costretti a seguire un numero eccessivo di studenti e con i tagli apportati dal decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, le ore di flessibilità legate alla formazione professionale sono aumentate a discapito di quelle trascorse a scuola; gli studenti non sono considerati assunti secondo un regolare contratto, quindi non vengono garantiti loro né il rimborso spese, né la remunerazione e la copertura assicurativa è parziale e vale solo nei casi di danni permanenti o di morte; prioritaria appare, dunque, la difesa dei loro diritti, con l'adozione dello statuto dei diritti degli studenti in stage;
   è necessario superare il metodo di valutazione dei test Invalsi, direttamente derivato dalla valutazione degli alunni e contestato nelle scuole e dagli esperti, perché si sovrappone alla funzione di valutazione degli alunni di cui sono competenti i docenti e non aggiunge altri criteri e rilevazioni legate ai contesti, all'organizzazione, alla disponibilità di risorse;
   secondo dati del Consiglio universitario nazionale, dal 2003-2004 c’è stato un calo delle immatricolazioni del 17 per cento, corrispondenti a 58 mila studenti in meno, fenomeno che cresce con il peggiorare della crisi; le fonti di finanziamento del diritto allo studio universitario sono tre: il fondo statale integrativo, la tassa per il diritto allo studio universitario e le risorse regionali, ma l'ammontare del fondo non è certo, ma è stabilito di volta in volta dalle leggi di stabilità, frutto di contrattazioni tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed il Ministero dell'economia e delle finanze; l'insufficienza delle risorse finanziarie e l'inadeguatezza del sistema di finanziamento comportano, da un lato, una limitata platea di aventi diritto al sistema delle borse di studio (10 per cento nel 2010/2011 sul totale degli studenti iscritti, rispetto a paesi, come la Francia e Germania, in cui risulta rispettivamente del 26 e 30 per cento), dall'altro, l'esistenza della figura dell’«idoneo non beneficiario», ovvero dello studente che corrisponde ai criteri previsti dal bando, ma non riceve la borsa di studio a causa della scarsità dei finanziamenti nazionali, con impressionante differenza tra le diverse regioni; nel 2011-2012 gli studenti «idonei non beneficiari» di borsa di studio sono stati 57.000 e la cifra è in costante aumento;
   occorre individuare le risorse necessarie, divise tra Stato e regioni, per coprire il fabbisogno di tutti gli idonei, senza gravare sugli studenti e sulle famiglie con ulteriori innalzamenti della tassa regionale; infatti, l'importo della tassa regionale per il diritto allo studio universitario – che fino al 2012 era fissata autonomamente entro un range nazionale (tra i 62 e i 133 euro) – a seguito del decreto legislativo n. 68 del 2012 è aumentata a 140 euro per tutti oppure è prevista una suddivisione in tre fasce 120, 140, 160 (elevabile fino a 200 euro) in base all'Isee;
   le risorse regionali sono pari ad almeno il 40 per cento dell'assegnazione relativa al fondo statale, ma non esistono criteri certi per calcolare le risorse regionali. Le regioni, ad esempio, ritengono che si debba comprendere nel computo delle risorse anche la spesa per gli alloggi e la ristorazione; elevato è lo squilibrio interregionale rispetto alle prestazioni: la soglia Isee per ricevere la borsa di studio varia da regione a regione (tra i 14.697 euro ed i 19.596 euro nel 2011/2012), nonché gli importi di borsa sono diversi, anche in base alle diverse detrazioni per alloggio e vitto, quando applicate, e ci sono tanti bandi quante sono gli enti, agenzie o uffici al diritto allo studio universitario (se ne contano più di 50), in assenza di livelli essenziali delle prestazioni vincolanti a livello macro-regionale;
   rispetto ai dati 2010/2011 i posti letto gestiti dagli enti regionali sono circa 43.000 a fronte di 85.000 aventi diritto fuori sede: in media, l'alloggio viene garantito ad uno studente su due degli aventi diritto. Sul totale degli studenti, la percentuale che beneficia di posto letto è del 3 per cento (in base ai dati Eurostudent, su 23 paesi europei l'Italia è penultima);
   la mobilità internazionale è fortemente influenzata dalla condizione sociale della famiglia di origine: il 9 per cento circa dei figli di laureati ha effettuato un'esperienza di studio all'estero, contro il 3 per cento circa di figli di genitori con istruzione medio-bassa (dati Eurostudent);
   la legge n. 390 del 1991 riconosce alle regioni la possibilità di disciplinare i prestiti d'onore incentivando la realizzazione di prestiti da parte delle regioni e delle università agli studenti, in molti casi come forme sostitutive delle borse di studio; negli ultimi anni sono stati stanziati complessivamente circa 50 milioni di euro su quattro differenti linee di azione non coordinate tra di loro: il fondo per la concessione una tantum di prestiti fiduciari (istituito con la Legge finanziaria per il 2004), il finanziamento agli atenei per progetti sperimentali e innovativi per la concessione agli studenti di prestiti d'onore (decreto ministeriale del 23 ottobre 2003), il progetto «DiamogliCredito» (2007) del Ministero delle politiche giovanili, poi trasformato nel progetto «DiamogliFuturo» (2010). Tali strumenti costituiscono forme di indebitamento per gli studenti che dovranno poi restituire il prestito entro alcuni anni dalla laurea con degli interessi non bassi;
   i servizi mensa vengono sempre più spesso esternalizzati da parte degli enti del diritto allo studio universitario, con aumenti dei costi a scapito della qualità e della possibilità di proporre un sistema di tariffe agevolate per accedere al servizio ristorazione che esenti dal pagamento gli studenti idonei alla borsa di studio;
   la «riforma Gelmini» ha determinato molti gravi danni nell'offerta didattica: si è voluto unire la didattica alla ricerca, affidando molte responsabilità ai dipartimenti, i quali non hanno gli strumenti per occuparsene; in molti casi sono sorte le scuole, con compiti di coordinamento che nessuno, finora, è riuscito a chiarire con precisione; il progressivo invecchiamento del corpo docente e le enormi difficoltà di reclutare nuovi insegnanti, a fronte di fondi in costante diminuzione, stanno decretando la morte dell'università pubblica;
   il Governo Monti ha tolto 300 milioni di euro al fondo di finanziamento ordinario, principale fonte di entrata degli atenei italiani, con il risultato che molte università sono sull'orlo del default, che sicuramente ci sarà in assenza di provvedimenti rapidi che assegnino nuove risorse alle università;
   il conseguimento di un adeguato rapporto tra spesa per ricerca e sviluppo e prodotto interno lordo è uno dei cinque obiettivi cardine stabiliti nell'ambito della strategia «Europa 2020» per accrescere i livelli di produttività, di occupazione e di benessere sociale; in tale prospettiva, particolare risalto viene dato alla necessità di incentivare l'investimento privato in ricerca e sviluppo. Nel 2010 – secondo dati diffusi dall'Istat a dicembre 2012 – il rapporto tra ricerca e sviluppo e prodotto interno lordo dell'Italia è all'1,26 per cento, inalterato rispetto al 2009; resta così per lo più stabile il gap con i paesi europei più avanzati. La debolezza italiana si conferma anche nel settore privato con un rapporto tra spesa in ricerca e sviluppo delle imprese e prodotto interno lordo pari a 0,68 per cento, in leggero aumento rispetto al 2009, ma ancora stabilmente al di sotto della media europea (1,24 per cento nel 2010). Il personale impegnato in attività di ricerca (espresso in termini di unità equivalenti a tempo pieno) risulta pari a 225.632 unità, in calo dello 0,4 per cento rispetto all'anno precedente;
   a fronte di tutto questo, anche i provvedimenti più recenti, quali la proposta di test d'ingresso per le scuole superiori, l'approvazione del regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione da parte del Consiglio dei ministri in prorogatio dopo le elezioni e senza il coinvolgimento del mondo della scuola, l'annuncio di un piano nazionale contro la disoccupazione giovanile indicano il persistere di politiche emergenziali; occorre, invece, invertire la rotta con un graduale e costante incremento dell'investimento pubblico per l'istruzione, per portare l'Italia ai livelli della media dei paesi dell'Unione europea (oltre il 6 per cento) ed in linea con le strategie Lisbona e Horizon 2020, attraverso l'elaborazione di un progetto unico e coerente finalizzato a garantire un'istruzione pubblica di qualità, inclusiva, laica, aperta, accessibile a tutte e tutti in un sistema di apprendimento permanente lungo tutto l'arco della vita, in grado di ristabilire una stretta connessione tra conoscenza, sviluppo sostenibile, occupazione e partecipazione democratica;
   dalla crisi economica si esce anche con più investimenti nella cultura e nell'arte, in grado di stimolare consumi diversi, oltre che di produrre ricchezza, ma in maniera pervicace si continuano a tagliare le risorse del fondo unico per lo spettacolo;
   come riconosciuto dalla strategia «Europa 2020», i settori culturale e creativo costituiscono un'importante fonte potenziale di occupazione. Negli ultimi dieci anni l'occupazione complessiva in tali settori è cresciuta in misura tre volte superiore rispetto alla crescita occupazionale registrata dall'economia dell'Unione europea nel suo insieme. I settori culturale e creativo sono anche una fonte di creatività e di innovazione non tecnologica per l'intera economia, grazie alla produzione di servizi e beni competitivi e di alta qualità. Infine, attraverso i pertinenti legami con il settore dell'istruzione, la cultura può contribuire efficacemente alla formazione di una forza lavoro qualificata e adattabile, integrando così le prestazioni economiche,

impegna il Governo

   ad aumentare la qualità complessiva dell'istruzione pubblica, recuperando i tagli effettuati negli ultimi anni (pari a circa il 6 per cento del suo bilancio);
   a rendere obbligatoria, prima dell'accesso alla scuola elementare, la frequentazione di un anno della scuola dell'infanzia, incrementando del 10 per cento il numero delle sezioni di scuola dell'infanzia, rispettandone le identità territoriali (comunale o statale);
   a innalzare l'obbligo scolastico a 18 anni, da svolgere esclusivamente nel sistema di istruzione, escludendo esplicitamente che l'ultimo anno dell'obbligo scolastico possa essere svolto attraverso i contratti di apprendistato nelle aziende;
   a rivedere il percorso scolastico complessivo dai 5 ai 18 anni; a garantire che in ogni parte del Paese sia soddisfatta la richiesta di percorsi di istruzione secondaria superiore espressa dagli studenti e dalle famiglie, offrendo tutti gli indirizzi previsti dal sistema;
   a combattere la dispersione scolastica con appositi strumenti e risorse, tenendo anche conto delle specificità territoriali e, in particolare, della gravità di tale fenomeno nelle regioni del Mezzogiorno;
   a consentire ai comuni di poter continuare la gestione diretta delle scuole dell'infanzia, escludendo dai vincoli di spesa imposti dal Patto di stabilità quelle sostenute per la gestione pubblica di tali servizi, e a permettere la stabilizzazione delle educatrici e degli educatori anche superando il blocco del turn over;
   ad assumere iniziative per ridurre e, progressivamente, eliminare il finanziamento delle scuole private anche se paritarie, destinando le risorse disponibili prima prioritariamente e poi esclusivamente alla scuola pubblica;
   a stabilire e attuare un piano nazionale per mettere in sicurezza gli edifici, individuando le risorse necessarie sulla base delle necessità rilevate dagli enti locali;
   a stabilizzare il personale precario della scuola, ripartendo da quanto previsto nel 2008 dal Governo Prodi, che aveva trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento ed aveva programmato un piano di assunzioni di 150.000 docenti precari in tre anni;
   a rivedere i modi e le finalità della prima formazione, del reclutamento, della formazione in servizio del personale della scuola;
   ad eliminare la somministrazione dei test Invalsi, individuando metodi che siano in grado di sviluppare lo spirito critico degli studenti e la valutazione da parte di tutte le componenti della scuola;
   a prevedere una valutazione del sistema scolastico affidata ad un ente autonomo, non di diretta nomina ministeriale, dotato di risorse adeguate e specifiche, facendo sì che tale valutazione non abbia finalità premiali, ma compensative e di supporto alle scuole e ai docenti, sia svolta con modalità statistiche e non in maniera censoria ed in collegamento con la valutazione europea dei sistemi scolastici;
   a riconoscere e a smobilizzare il miliardo di euro di crediti vantati dalle scuole nei confronti dello Stato;
   a stanziare risorse per investimenti e formazione mirati a garantire l'efficienza dell'amministrazione scolastica e il corretto uso delle tecnologie per il trattamento informatico dei procedimenti;
   a introdurre l'adozione e l'approvazione obbligatoria dello statuto delle studentesse e degli studenti in stage, per garantire i diritti basilari a tutti gli studenti che frequentano stage e momenti formativi all'interno delle aziende, in particolare il rimborso delle spese e una copertura assicurativa totale a favore degli studenti;
   ad intervenire in materia di diritto allo studio, nella prospettiva di un'autonomia responsabile, in modo da rendere più omogenea la materia sul territorio nazionale; a individuare principi generali e a disciplinare in maniera estensiva le garanzie di accesso, specie per gli studenti più deboli e i migranti, alle borse di studio, agli alloggi, alle mense e ai trasporti;
   a coinvolgere continuativamente i componenti del Forum delle associazioni studentesche, che dovranno svolgere un ruolo di proposta e di supporto nei confronti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca quando sarà elaborata la proposta di legge quadro in materia di diritto allo studio;
   ad elevare a 350 milioni di euro le risorse del fondo statale integrativo per il diritto allo studio universitario e a portare tale stanziamento a regime, con una pianificazione almeno triennale del finanziamento del fondo nazionale integrativo;
   a stabilire criteri standard per il calcolo delle risorse regionali da destinare al diritto allo studio universitario;
   a introdurre un bando unico per il diritto allo studio, che sarà costruito tenendo conto dei livelli essenziali delle prestazioni su base macro-regionale e che vincolerà le regioni a garantire un livello di prestazioni minime che potrà soltanto essere migliorato rispetto alle linee guida nazionali;
   a stabilire una soglia dell'Isee di 21.000 euro in tutte le regioni per l'accesso alla borsa di studio e un importo minimo della borsa su base nazionale, con importi massimi valutati sulla base dei costi della vita locale; a introdurre criteri automatici di revisione della soglia massima Isee, in corrispondenza delle modifiche di detti parametri;
   a prevedere l'esenzione dalla tassa regionale per il diritto allo studio per tutti gli studenti idonei a ricevere la borsa di studio e per quelli che, pur non potendo accedere alle borsa di studio, hanno redditi bassi e vanno sostenuti nella scelta di intraprendere e proseguire gli studi universitari; a stabilire, nell'applicazione della tassa, criteri di effettiva progressività in base al reddito per tutti gli altri;
   a rispettare la normativa prevista dalla legge n. 338 del 2000 che cofinanzia la realizzazione di nuovi studentati, incrementando le risorse statali disponibili e prevedendo una relazione annuale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al Parlamento che informi sulla disponibilità di nuovi alloggi e posti letto, sullo stato di avanzamento di quelli in corso di realizzazione e sul loro ammontare complessivo;
   a favorire il riutilizzo e la riconversione di edifici di proprietà degli enti pubblici che possano essere destinati ad abitazioni per studenti a canone calmierato, in modo da favorire la concorrenza al canone di libero mercato;
   a introdurre specifiche disposizioni a favore degli studenti che denunciano gli affitti in nero, anche cofinanziando l'istituzione di un fondo regionale per l'assistenza legale a tali studenti;
   a introdurre sgravi fiscali a favore dei proprietari di immobili sfitti che li mettano a disposizione a canone calmierato agli studenti, attraverso appositi contratti;
   a favorire esperienze di co-housing e social housing, anche attraverso sgravi fiscali sui contratti e sulle utenze, che sono risultate positive in molti paesi europei e che potrebbero svolgere un ruolo anche nel recupero di aree della città in stato di degrado;
   a rivedere i criteri di merito per l'assegnazione delle borse di studio, recependo le richieste delle organizzazioni studentesche, al fine di attuare realmente ed efficacemente il dettato costituzionale della garanzia della possibilità per «i capaci e i meritevoli anche se privi di mezzi» di accedere ai più alti gradi dell'istruzione; a coordinare l'intervento con gli atenei in modo da rispettare la loro autonomia didattica;
   ad aumentare i contributi per progetti, come Erasmus e Leonardo, che favoriscono la mobilità internazionale;
   a eliminare il prestito d'onore, nella sua regolamentazione attuale, facendo confluire gli stanziamenti previsti per «DiamogliCredito» e per il fondo per il merito all'interno del fondo integrativo nazionale per le borse di studio;
   a stabilire, d'intesa con le regioni, una tariffa massima nazionale per il servizio mensa, stanziando a tal fine idonee risorse pubbliche che rendano sostenibili i prezzi dei pasti da parte degli studenti e a introdurre sistemi di verifica della qualità dei servizi mensa rilevata dall'utenza;
   ad assegnare al fondo di finanziamento ordinario dell'università risorse sufficienti a sostenere i fabbisogni dell'università pubblica e comunque non inferiori a 300 milioni di euro;
   a incrementare, nell'ambito del piano nazionale della ricerca, la percentuale di prodotto interno lordo destinata alla ricerca e allo sviluppo, in modo da favorire il raggiungimento degli obiettivi europei entro il 2020;
   a incrementare lo stanziamento complessivo del fondo unico per lo spettacolo di almeno 150 milioni di euro per portarlo ai livelli del 2001;
   a destinare, già con le prossime iniziative di natura politica e finanziaria, adeguate risorse per il perseguimento degli obiettivi del presente atto di indirizzo, tenendo conto che tali disponibilità potrebbero essere eventualmente reperite attraverso:
    a) l'aumento delle aliquote prelievo erariale unico sugli apparecchi da intrattenimento;
    b) l'aumento dei canoni di concessione radio-tv;
    c) l'incremento del 15 per cento dell'aliquota dei capitali scudati;
    d) l'aumento della ritenuta sui redditi delle rendite finanziarie fino al 23 per cento;
    e) l'incremento dell'aliquota irpef per le persone fisiche con reddito complessivo oltre 100.000 euro;
    f) il definanziamento dei costi del programma F35;
    g) il definanziamento dell'acquisto dei sommergibili in base a quanto previsto dal documento programmatico pluriennale per la difesa per il triennio 2013-2015;
    h) l'adozione di nuove disposizioni per l'emersione di materia imponibile e contributiva con riferimento agli immigrati privi di permesso di soggiorno;
    i) la revisione ed eventuale soppressione di alcune agevolazioni fiscali (tax expenditures), considerato che l'ammontare complessivo degli effetti dei 263 regimi agevolativi indicato nell'allegato del bilancio di previsione per il 2013 è pari a 156.231 milioni per il 2013, a 156.168 milioni per il 2014 e a 155.423 milioni per il 2015;
    l) la tassazione progressiva sui grandi patrimoni immobiliari oltre gli 800.000 euro.
(1-00076) «Giancarlo Giordano, Costantino, Fratoianni, Migliore, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    una società democratica promuove una cittadinanza consapevole sviluppando politiche a favore della cultura, dell'educazione e dell'istruzione;
    cultura, educazione e istruzione rappresentano veri e propri beni comuni tutelati dalla Costituzione e condivisi tra i cittadini;
    nonostante l'unanime consenso sul valore della formazione e dell'istruzione, la scuola, l'università e il patrimonio culturale in questi anni sono stati depauperati;
    Internet ha allargato a dismisura e aperto a tutti l'accesso all'immensa mole di dati disponibili cambiando profondamente la nostra idea di cultura, apprendimento e istruzione e aprendo un divario tra ciò che si apprende a scuola e ciò si impara online, che dovrebbero, invece, essere connessi;
    va, quindi, rielaborato il modo in cui la società trasmette alle nuove generazioni i saperi fondamentali per comprendere il mondo, intendendo per «cultura» una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica e conoscenza, tutela e valorizzazione dei beni, promuovendo una trasformazione del sistema d'istruzione, in un rapporto dialettico tra sviluppo economico e culturale;
    appare evidente come la scuola debba essere sostenuta nel ruolo di fornire gli strumenti di base e le competenze chiave (i «saperi di cittadinanza») dentro un ambiente di apprendimento globale costituito dalle reti della conoscenza online e in una società sempre più «orizzontale» e che debba essere operato un forte investimento verso la sua digitalizzazione;
    l'università e la ricerca costituiscono un bene fondamentale per il sistema Paese. Il modello di sviluppo dei prossimi anni non può essere quello del passato, con scarsa capacità di produrre innovazione. L'investimento in questo campo non si misura su risultati immediati ma sulla capacità di rendere nuovamente competitiva l'Italia sul piano internazionale;
    il ruolo della cultura e del sistema di formazione, in particolare, risiede nell'attuazione del principio di una reale giustizia educativa, cioè il passaggio dalla proclamazione delle pari opportunità di accesso alla responsabilità dei sistemi formativi nel produrre uguali possibilità di riuscita facendosi carico delle differenze individuali e sociali, a garanzia di quella mobilità sociale indispensabile in una società democratica. Quindi, un sistema di istruzione deve essere realizzato secondo parametri non solo di efficienza ma anche di equità;
    il progresso di una società, infatti, come è messo in evidenza dal rapporto 2013 Cnel-Istat sul Bes (benessere equo e sostenibile), non si misura solo attraverso parametri di carattere economico, ma anche sociale e ambientale;
    la relazione del gruppo di lavoro in materia economico-sociale ed europea (il gruppo dei «saggi» istituito dal Presidente Napolitano nell'aprile 2013) indica tra le priorità la lotta agli squilibri tra le aree del Paese e tra le singole scuole, messi in evidenza, tra gli altri, dai test Invalsi, dai dati Ocse Pisa, dai rapporti sulla qualità della scuola italiana di Tuttoscuola e dalla fondazione Agnelli;
    ancora oggi il successo scolastico e formativo è condizionato dalle origini socio-economiche, tanto che la probabilità di essere in ritardo alla fine delle medie da parte di uno studente figlio di genitori con licenza media è quattro volte superiore a quella del compagno figlio di genitori laureati;
    i divari sociali di apprendimento e le disparità in particolare nella lettura rischiano di compromettere il percorso scolastico, specialmente degli studenti di origine più svantaggiata, generando il grave fenomeno dell'abbandono e della dispersione scolastica, come dimostra anche l'alto numero di neet (ragazzi senza scuola e senza lavoro) tra i 15 e i 29 anni;
    va crescendo la disparità delle scuole che presentano buoni rendimenti e quelle di minore qualità, dove, tra l'altro, vengono spesso indirizzati gli alunni di origine immigrata, anche se nati e cresciuti in Italia;
    appare particolarmente grave la carenza di sicurezza generata dallo stato di incuria dell'edilizia scolastica, su cui il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha focalizzato l'attenzione;
    occorre, dunque, agire su diversi fronti: favorire la frequenza alla scuola dell'infanzia (di cui è provato l'effetto positivo sulla riuscita scolastica successiva), contrastare l'abbandono, collegare la formazione professionale con il territorio e il lavoro, potenziare il diritto allo studio, intervenire per gli alunni con bisogni educativi speciali, promuovere l'integrazione degli alunni immigrati divenuti ormai «cittadini» di fatto, valorizzare il ruolo delle famiglie, mettere in sicurezza la scuola; insomma una scuola inclusiva, interculturale e maggiormente coinvolgente, che non sia solo dello Stato, né solo delle famiglie o degli individui, ma della comunità;
    per operare queste trasformazioni non occorrono soltanto risorse, ma anche una rinnovata visione complessiva del sistema integrato di istruzione – comprendente la scuola statale e non statale – inteso come «bene comune», basato sul miglioramento della qualità attraverso quattro fondamentali processi, e cioè il potenziamento dell'autonomia, la valutazione (delle persone, dei docenti, degli istituti), l'apertura del sistema e la formazione dei docenti;
    occorre rendere effettiva l'autonomia delle scuole, liberandole da vincoli eccessivamente burocratici e introducendo una maggiore libertà di sperimentazione per gli istituti, pur nel controllo delle performance complessive in uscita; l'obiettivo strategico dell'attivazione di una larga autonomia vale sia per gli istituti scolastici sia per gli atenei, con responsabilizzazione piena dei rispettivi vertici;
    la valutazione e l'autovalutazione delle scuole e degli atenei costituiscono la via maestra per evitare sprechi e valorizzare la qualità. La messa a sistema della valutazione, promossa dal Governo precedente mediante l'applicazione del regolamento dell'8 marzo 2013, che istituisce e disciplina il sistema nazionale di valutazione delle scuole pubbliche e delle istituzioni formative accreditate dalle regioni, va rafforzata, favorendone la trasparenza e l'efficienza a livello internazionale;
    la cooperazione degli studenti e delle famiglie va promossa facilitando tutte le forme di partecipazione, anche economica, alla vita delle istituzioni scolastiche e universitarie, nella prospettiva della «sussidiarietà orizzontale» espressa dall'articolo 118 della Costituzione, concretizzando la possibilità di perseguire lo sviluppo della cultura come interesse generale da parte dei cittadini;
    è necessario agire sul nodo storico del reclutamento degli insegnanti, cercando di contemperare i diritti dei docenti «precari» e quelli dei giovani laureati, promuovendo un auspicato ricambio generazionale e favorendo l'aumento del numero dei docenti maschi in un insegnamento che negli ultimi anni si è notevolmente femminilizzato; in particolare, il meccanismo dei concorsi, che va messo a regime, presenta notevoli criticità per quanto riguarda i contenuti delle prove, nonché la competenza e le condizioni di lavoro degli esaminatori;
    altrettanto centrale appare l'organizzazione di un sistema coerente tra formazione iniziale, di tipo culturale ma anche orientata alla professionalizzazione – armonizzata con i traguardi di competenze definiti dalle indicazioni nazionali – e la formazione in servizio (da potenziare e promuovere con risorse adeguate); in questo quadro la scuola potrà riconoscere e creare figure di sistema collegate ad incentivi e ad una rendicontazione sociale dei risultati;
    in tale ambito va prestata particolare attenzione e risorse a una formazione dei docenti equilibrata tra la componente disciplinare e quella pedagogico-didattica, finora trascurata ma indispensabile per comprendere i nuovi bambini e adolescenti, agire sulla motivazione allo studio, affrontare i conflitti tra pari, valorizzare gli stili di apprendimento, sostenere i bisogni educativi speciali, curare la dimensione socio-affettiva tra reale e virtuale, gestire le nuove forme di razzismo, intolleranza e bullismo anche in rete, mentre ancora oggi il 78 per cento delle scuole medie dichiara di praticare maggiormente la lezione frontale;
    i casi di maltrattamento degli alunni nelle aule scolastiche da parte degli operatori educativi che dovrebbero proteggerli mostrano come la loro formazione non debba curare solo gli aspetti culturali o intellettuali, ma siano necessarie nuove e più mirate modalità per selezionare persone eticamente competenti, con attitudine alla professione educativa e personalità equilibrate;
    la dimensione educativa va valorizzata anche sostenendo tutte le forme di partenariato tra gli insegnanti e gli educatori professionali, e più in generale tra la scuola e il mondo associativo e del volontariato;
    va valorizzata, altresì, la risorsa costituita dagli insegnanti per gli insegnanti, cioè le possibilità offerte dal tirocinio e da altre forme di tutoring per i docenti in formazione, creando e sostenendo modelli di alleanza tra scuole e università nella formazione attiva e partecipata dei docenti,

impegna il Governo:

   a rimettere la cultura al centro dell'agenda politica, a promuovere una trasformazione del sistema di istruzione in direzione di una più larga autonomia, di una cultura della valutazione e autovalutazione degli obiettivi, di un'apertura alla sussidiarietà orizzontale e di una qualificazione della formazione dei docenti;
   ad investire con maggiore convinzione e risorse nell'equità della scuola come luogo di cittadinanza, nel rispetto e nella cura verso alunni e studenti, nel valore del ruolo dei docenti, nella capacità da parte del sistema formativo di gestire i nuovi processi di conoscenza e di intelligenza collettiva;
   a dare piena attuazione all'articolo 118 della Costituzione per favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, nello sviluppo della cultura, dell'educazione e dell'istruzione come bene comune, secondo il principio della sussidiarietà orizzontale;
   a contrastare la dispersione scolastica operando per una riduzione del tasso di abbandono scolastico precoce, oggi troppo alto (18 per cento), dando piena attuazione all'Agenda di Lisbona dell'Unione europea; ad assicurare a ogni adolescente che esce da un ciclo scolastico un servizio efficiente di orientamento scolastico e professionale; a rendere più efficaci le connessioni con il sistema produttivo;
   a completare, rafforzare e migliorare il nuovo sistema di valutazione, affidando una funzione di benchmark ad alcuni istituti come modello di buone pratiche nei confronti degli altri, operando anche per introdurre incentivi legati alla valutazione del corpo docente, posto che solo tale sistema di verifica, purché adeguato ai diversi contesti locali e sociali, permetterà di passare da una scuola che si limita a dichiarare il proprio operato attraverso i piani formativi ad una scuola che individui e consegua i suoi obiettivi in modo mirato secondo il principio delle competenze;
   a rivedere le modalità di organizzazione dei concorsi dal punto di vista delle tipologie delle prove, della selezione e delle condizioni di lavoro degli esaminatori, a garanzia dell'effettiva qualità della scelta degli idonei; ad approntare un piano di formazione degli insegnanti in servizio che parta dai bisogni mirati e contestualizzati localmente, si sviluppi secondo metodologie innovative di ricerca-azione anche basata sulle esperienze, con una valutazione finale degli esiti;
   ad operare in direzione di un'effettiva e decisa semplificazione delle procedure amministrative e burocratiche che attualmente assorbono gran parte delle energie degli operatori scolastici;
   a produrre un monitoraggio attento degli effetti prodotti dalle riforme dell'università degli ultimi anni, evitando un ulteriore shock riformatore, accompagnato da una valutazione seria e equilibrata della ricerca di base ed applicata, scientifica e umanistica, secondo i criteri della valutazione della qualità della ricerca; ad investire sull'università in modo mirato e finalizzato, promuovendo una vera equità (borse di studio e prestiti d'onore), facilitando l'accesso a fondi per la ricerca, favorendo a tutti i livelli l'internazionalizzazione delle scuole e delle università.
(1-00077) «Santerini, Dellai, Capua, Molea, Vezzali, Caruso, Causin, Galgano, Rossi, Schirò Planeta, Vitelli».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    le scuole non statali raccolgono il 7 per cento della popolazione scolastica pari a circa 700 mila studenti, dalle materne alle medie superiori. Per quanto riguarda la distribuzione nei vari gradi scolastici, un'indagine dell'Associazione scuole non statali assegna il 70 per cento degli iscritti alle scuole materne, l'8 per cento alla scuola elementare, il 9 per cento alla scuola media inferiore e il 13 per cento alla scuola superiore;
    di fronte ad una tale situazione si deve concludere che la scuola statale è un nostro grande patrimonio, che si sta via via depauperando a causa non solo della diminuzione di risorse ad essa destinate, ma anche a causa di motivazioni di ordine culturale e di modelli di insegnamento; è necessario innestare progressivamente all'interno del sistema scolastico italiano livelli sempre più ampi di competizione, abbandonando il modello basato sul monopolio statale dell'insegnamento;
   è necessario innestare progressivamente all'interno del sistema scolastico italiano livelli sempre più ampi di competizione, abbandonando il modello basato sul monopolio statale dell'insegnamento;
    per questo motivo si ritiene che sia necessario garantire il massimo sostegno alla scuola non statale, incentivando così la concorrenza tra istituti scolastici e rendendo finalmente effettivo il diritto di scelta da parte delle famiglie;
    bisogna riconoscere il valore della scuola non statale, consapevoli che così facendo anche quella statale sarà costretta a mettersi in gioco aggiornando i programmi e introducendo sempre maggiore autonomia soprattutto nella didattica;
    si ritiene necessario mettere in atto politiche volte a valorizzare la scuola privata, ma in un'ottica costante di miglioramento di quella pubblica, garantendo a tutti la possibilità scelta, indipendentemente dalle capacità economiche, e una scuola privata non elitaria che consenta ad un numero sempre crescente di alunni di frequentare le scuole migliori, affinché pubblico e privato siano messi finalmente sullo stesso piano in virtuosa concorrenza, eliminando progressivamente il monopolio statale nell'educazione;
    per una piena attuazione dell'autonomia scolastica e per recuperare competitività, la scuola deve poter contare su insegnanti con conoscenze culturali, storiche ed economiche del proprio territorio;
    in quest'ottica, una selezione basata sulle effettive capacità e preparazione in un quadro di valutazione omogeneo, con i criteri di verifica a livello regionale, consentirebbe di centrare l'obiettivo, avviando un percorso virtuoso del quale si avvantaggerebbe l'intero Paese;
    una soluzione potrebbe essere quella di intervenire sulla disomogeneità di valutazione, segnalata anche dalle indagini internazionali, che penalizza vaste aree del Paese, avviando un percorso di riequilibrio attraverso il reclutamento del personale docente tramite concorsi regionali e mediante lo scorrimento delle graduatorie provinciali ad esaurimento;
    investire in cultura significa anche sviluppare la vocazione turistica di ogni singolo territorio, intendendo come cultura anche le bellezze naturali, gli usi, i costumi, le tradizioni e le manifestazioni popolari ed enogastronomiche di un luogo o di una regione, con lo scopo di valorizzarli;
    per quanto attiene alla ricerca scientifica, bisogna necessariamente distinguere fra ricerca strategica di interesse generale e ricerca finalizzata, connessa con le attività produttive del territorio;
    è indispensabile conseguentemente distinguere fra soggetti deputati allo svolgimento dell'attività di ricerca pura e soggetti diversi preposti a finanziarla e a coordinarla;
    per quanto afferisce a quest'ultimo aspetto è necessario sottolineare che il finanziamento pubblico si dovrebbe limitare ad investire nelle strutture essenziali per la ricerca, mentre la maggior parte degli interventi e dei finanziamenti dovrebbero provenire dal mondo produttivo, per finalizzare gli studi ai settori di punta per il mercato evitando di disperdere le sempre più limitate risorse disponibili,

impegna il Governo

   ad assumere iniziative anche di natura economica, che consentano di attuare effettivamente il principio di parità scolastica, dando così la possibilità agli alunni e alle loro famiglie di poter decidere in libertà il tipo di scuola da frequentare, tutto ciò a reale vantaggio di una rinnovata competitività tra modelli educativi e per il miglioramento dell'offerta formativa nel suo complesso;
   ad assumere iniziative volte a pervenire gradatamente al reclutamento degli insegnanti su base regionale, anche al fine di evitare le numerose richieste di trasferimento con conseguenti rallentamenti nell'organizzazione della didattica;
   a promuovere la salvaguardia e la valorizzazione della cultura del Paese, posto che iniziative di tal genere assecondano la vocazione turistica e attrattiva dei singoli territori e nell'attuale situazione di pesante crisi economica che attanaglia il Paese potrebbero consentire di arrivare a «vivere di cultura», con positivi risvolti occupazionali;
   a porre in essere politiche che nel settore della ricerca scientifica siano volte a incentivare il mondo produttivo ad investire in ricerca e sviluppo al fine di far riacquisire competitività al Paese e creare occupazione.
(1-00083) «Buonanno, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    è necessario cambiare profondamente le politiche perseguite dai Governi negli ultimi 5 anni sull'istruzione, l'università, la ricerca e la cultura, centrate su pesanti tagli lineari che hanno colpito in modo insostenibile il sistema mettendo a rischio anche i livelli minimi di funzionamento con la grave conseguenza non solo di mettere in discussione diritti fondamentali di cittadinanza ma anche di far venir meno uno dei punti di forza necessari per promuovere la fuori uscita dalla crisi economica e una nuova crescita e sviluppo sostenibile per il nostro Paese;
    il recente rapporto Ocse 2012 evidenzia come la media di investimenti in istruzione dei paesi membri sia cresciuta fortemente negli ultimi anni e risulti pari al 5,7 per cento del prodotto interno lordo, ma l'Italia si colloca al di sotto della media, investendo solo il 4,5 per cento del prodotto interno lordo. Penultima in graduatoria, davanti solo alla Slovacchia. Eppure è dimostrato che la maggiore spesa per istruzione produce rendimenti certi, come un maggior gettito fiscale ed una maggiore occupabilità e la stessa Banca d'Italia sostiene, sulla base di complesse analisi, che il rendimento medio dell'investimento in istruzione è dell'8,9 per cento;
    l'umiliazione sistematica delle istituzioni della conoscenza pubblica è in palese contrasto sia con la Strategia Europa 2010 che con quella del 2020 e ha contribuito in modo decisivo alla crisi economica del nostro Paese;
    l'Italia ha dunque commesso un errore strategico ignorando la risposta prevalente alla crisi nei paesi più avanzati, in cui proprio gli investimenti sul sistema dell'istruzione, della ricerca e del patrimonio culturale non solo sono stati salvaguardati ma incentivati;
    gli obiettivi di Europa 2020 chiedono a tutti gli Stati membri di promuovere una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile basata sulla conoscenza come fattore di ricchezza e, conseguentemente, di attivare forti ed efficaci investimenti in capitale umano a partire dal potenziamento e dall'incremento della qualità dei sistemi di istruzione e formazione;
    tali investimenti, insieme ad un maggiore sostegno del sistema di apprendimento permanente, consentirebbero di proseguire, nel contempo la mobilità sociale – che nel nostro Paese è sostanzialmente bloccata – nonché la realizzazione personale e lavorativa. Grazie ad un efficace sistema di apprendimento per tutta la vita sarà possibile promuovere equità, coesione sociale e cittadinanza attiva, anche al fine di incoraggiare la creatività e l'innovazione a tutti i livelli dell'istruzione, della formazione, della ricerca e dell'economia;
    i «saggi» nominati dal Presidente della Repubblica, in linea con la strategia europea, dedicano un'intera sezione al ruolo strategico dell'istruzione e in particolare evidenziano che «Tutte le analisi condotte sul tema della crescita economica indicano nella disponibilità di un capitale umano di qualità uno degli ingredienti fondamentali per sfruttare appieno le nuove tecnologie, per favorire l'innovazione e l'aumento della produttività. Di conseguenza, migliorare le performance dei sistemi di istruzione e formazione è fondamentale per assicurare nel medio termine una crescita economica in grado di riassorbire la disoccupazione e la sottoccupazione di cui è afflitto il nostro Paese»;
    il Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta, nel discorso con cui ha chiesto la fiducia al Parlamento, ha tra l'altro sottolineato come «la società della conoscenza e dell'integrazione si costruisca sui banchi di scuola e nelle università», impegnando il Governo a ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori e riducendo il ritardo rispetto all'Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica;
    gli elementi e i dati critici che sull'argomento riguardano il nostro Paese sono particolarmente preoccupanti:
     secondo le classifiche internazionali, l'Italia presenta un forte deficit in termini di qualità del capitale umano rispetto ai principali paesi europei. Esso riguarda sia le competenze maturate dai giovani al termine della scuola dell'obbligo, sia la quota di laureati sulla popolazione. Inoltre, la formazione svolta dalle imprese è significativamente inferiore a quella tipica degli altri paesi europei;
     il tasso di abbandono scolastico in Italia è al 18,8 per cento a fronte di una media UE del 13,4 per cento e dell'obiettivo posto dall'Europa 2020 di ridurla al 10 per cento; per quanto riguarda i laureati nella fascia di età tra i 30 e 34 siamo all'ultimo posto con il 20,3 per cento, molto lontani dalla media europea del 34,6 per cento e dall'obiettivo 2020 del 40 per cento;
     il rapporto annuale 2012 dell'ISTAT, fa emergere un vero e proprio allarme educativo. L'Italia ha un altro primato negativo in Europa: 2 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni non sono né a scuola, né al lavoro vivendo così in una condizione di vuoto a grandissimo rischio. Il dato cresce fino a 3,2 milioni se si apre la forbice fino ai 34 anni;
     nella scuola centinaia di migliaia di docenti e personale ata sono precari e l'Italia ha tagliato ben 132.000 posti negli organici del personale della scuola con legge n. 133 del luglio 2008. Dal 2009 al 2012 –10 per cento di docenti e –10 per cento di personale tecnico e amministrativo. La classe docente italiana è la più anziana d'Europa: oltre il 22 per cento ha più di 60 anni, contro il 6,9 per cento in Spagna, l'8,2 per cento in Francia, il 10,2 per cento in Germania; solo il 4,7 per cento dei docenti ha meno di 34 anni, contro il 31,6 per cento in Germania, il 22 per cento in Francia e il 19 per cento in Spagna. I giovani laureati che abbandonano l'Italia sono più che raddoppiati dal 2002 al 2011 (ISTAT); siamo al 18o posto su venti paesi Ocse nel rapporto tra ricercatori e occupati;
     i salari dei docenti delle scuole italiane sono tra i più bassi d'Europa. Secondo i dati Eurydice, che si riferiscono all'anno scolastico 2011-2012, un maestro in Italia guadagna al massimo 32.924 euro lordi, di media 26.359. In Gran Bretagna circa il 60 per cento in più. Un professore delle scuole medie guadagna all'anno da 24.131 euro a 36,157 (in media 28.257). Un insegnante di liceo da 24.141 a 37.799 (la media è sotto i trentamila). Secondo il rapporto Education at a glance, lo stipendio di un docente italiano a fine carriera è di 4.000 dollari in meno rispetto alla media Ocse;
     nel sistema universitario, l'Italia coniuga tasse molto elevate (terza in Europa dopo UK e Paesi Bassi, che però vantano una spesa per studente quasi doppia) e il peggior sistema di diritto allo studio. Ottiene una borsa di studio solo il 7 per cento degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6 per cento della Francia (1,6 miliardi), il 30 per cento della Germania (2 miliardi) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato (-11,2 per cento), mentre è aumentato negli altri paesi (Francia +25,9 per cento, Germania +18,6 per cento, Spagna +39 per cento);
    non è da ignorare, inoltre, il dato riportato dalle indagini internazionali sul rendimento degli studi che confermano la centralità e la decisiva influenza positiva esercitata dalla confortevole e adeguata organizzazione degli spazi scolastici sull'efficacia dell'attività didattica e sui livelli di apprendimento;
    la situazione dell'edilizia scolastica nel nostro Paese è grave. Oltre il 50 per cento dei 42 mila edifici in cui vivono milioni di studenti e di operatori scolastici non sarebbe a norma e diecimila di essi dovrebbero addirittura essere abbattuti;
    peraltro, la situazione ha rilievi di vera emergenza alla luce della politica scolastica assunta negli ultimi anni con l'aumento del rapporto alunni/docenti. Tale disposizione, attuata nel quadro di un sistema nazionale di edifici scolastici vetusti, spesso non a norma in termini di sicurezza, ha determinato il sovraffollamento degli alunni in classi non idonee ad ospitarli;
    si condividono le linee programmatiche che la Ministra Maria Chiara Carrozza ha illustrato nel corso della seduta congiunta delle VII Commissione permanenti di Camera e Senato che segnano una netta discontinuità rispetto alle politiche governative perseguite nel passato e nelle quali si afferma tra l'altro, in linea con l'Europa, che «le politiche per l'istruzione, l'università e la ricerca sono di rilevanza strategica per il Governo. In particolare, il livello di istruzione e formazione ha un legame diretto con il tasso di sviluppo economico di una certa popolazione e di un certo Paese in un dato momento storico. Tale legame è sempre esistito ma appare oggi ancora più forte per il rapido diffondersi dei nuovi modelli organizzativi e dell'uso delle tecnologie»;
    si apprezzano gli impegni contenuti nelle predette linee programmatiche relativamente alla cooperazione istituzionale tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, nel quadro di una visione unitaria del sistema pubblico dell'istruzione, a partire dagli interventi urgenti sull'edilizia scolastica e alla piena attuazione dell'autonomia scolastica, al potenziamento e allo sviluppo dell'offerta formativa dalle sezioni primavera alle scuole dell'infanzia, al tempo pieno e al tempo prolungato, all'istruzione superiore, all'alternanza scuola/lavoro e all'istruzione tecnica superiore, all'educazione degli adulti e all'educazione permanente, alle politiche per il personale con la valorizzazione professionale, la formazione in servizio, la stabilizzazione progressiva del personale precario e nuove norme di reclutamento per i giovani, l'avvio di un nuovo sistema di valutazione;
    si sottolineano anche gli impegni riferiti all'università, con particolare riferimento al ripristino di adeguati finanziamenti statali sia per le università che per la ricerca, insieme al definitivo sblocco delle assunzioni entro i limiti del bilancio degli atenei e degli enti di ricerca e il ripristino di livelli di autonomia responsabile degli atenei e degli enti;
    al settore universitario sono necessari adeguati finanziamenti a valere sul Fondo di finanziamento ordinario delle università e sul fondo del diritto allo studio e va eliminato il rigido contingentamento delle assunzioni introdotto dalla spending review 2012, che sta mettendo a rischio la sostenibilità dell'offerta formativa;
    il settore dell'alta formazione artistica musicale e coreutica, uno dei vanti della cultura italiana ancora oggi in grado di attrarre centinaia di studenti stranieri, deve essere oggetto di un intervento diretto e urgente di riordino legislativo e di significativi investimenti finanziari con l'obiettivo di istituire un sistema unitario e integrato della formazione superiore post-secondaria che veda convivere con pari dignità e in pieno coordinamento tutte le istituzioni (università, politecnici, istituti universitari ad ordinamento speciale, accademie di belle arti, conservatori di musica eccetera), ciascuna mantenendo la propria autonomia, come garantito dalla Costituzione, e il proprio modello formativo, non di rado frutto di tradizioni storiche e di durature esperienze che hanno grande prestigio a livello mondiale; in questo quadro vanno anche affrontati e risolti i delicati problemi degli istituti musicali pareggiati e quelli del personale del settore;
    la necessità di una inversione di tendenza si palesa anche per il settore della cultura poiché anche le politiche culturali degli ultimi 5 anni sono state caratterizzate dalla perdurante riduzione dei finanziamenti pubblici;
    i beni culturali italiani, malgrado la situazione di grave difficoltà economica, sono una risorsa insostituibile e non delocalizzabile del patrimonio del Paese;
    occorre aumentare e rimodulare il finanziamento per le attività istituzionali di tutela e conservazione, presupposto indispensabile per la fruizione dei beni culturali del nostro Paese;
    una parte importante del patrimonio culturale del nostro Paese è costituito da biblioteche e archivi che conservano, racchiusi in preziose raccolte di volumi e fondi documentari di estrema importanza, la memoria storica e collettiva della nazione;
    occorre, dopo anni in cui gli Istituti di cultura e le riviste culturali hanno visto diminuire fino quasi a scomparire i trasferimenti pubblici, adeguare agli standard europei il sostegno dato alle fondazioni e istituzioni culturali;
    tra le diverse misure possibili, si ritiene essenziale proporre l'eliminazione del pagamento dell'IVA sugli acquisti degli Istituti (che non ricercano utili); la riduzione dell'IVA per le riviste che scelgono di pubblicare in formato digitale; tariffe differenziali se non gratuità per alcune spese come quelle postali; sistema differenziato di sussidi e sgravi per investimenti e per alcune categorie di spese degli Istituti e delle Riviste; revisione delle modalità di sgravi relative alle erogazioni liberali; eliminazione IRAP per le fondazioni;
    dare riconoscimento, dignità, diritti, certezze, ai professionisti della cultura e della creatività è un fatto di civiltà e crescita poiché le politiche attive per la cultura e la creatività rappresentano una delle condizioni indispensabili per uscire dalla crisi valorizzando un patrimonio trascurato;
    l'inadeguatezza e la scarsità degli stanziamenti per la produzione e l'industria dello spettacolo dal vivo e del cinema italiani potrebbero determinare la chiusura di interi settori di attività che, al contrario, sono da considerare strategici per la ripresa del Paese e necessitano di adeguatezza progettuale, sia in termini di finanziamento, sia in termini di programmazione e di politica di interventi;
    dai dati europei emerge con evidenza che le risorse destinate alle attività e ai beni culturali nel nostro Paese sono palesemente inadeguati. L'Italia, infatti, si colloca ai livelli più bassi delle varie graduatorie europee. Pertanto si pone la necessità di invertire la tendenza e porsi l'obiettivo di incrementare significativamente le risorse pubbliche e di attivare strumenti di programmazione che aiutino a spendere meglio e a evitare la dispersione di risorse e una seria politica di monitoraggio della spesa (pubblica e privata) in grado di quantificarne il volume e di definire qualità ed efficacia degli investimenti per la realizzazione della missione pubblica;
    il ministro Bray nel corso dell'audizione alla VII Commissione della Camera e del Senato, illustrando le sue linee programmatiche, ha indicato le nuove politiche culturali in discontinuità rispetto al passato ed ha opportunamente ribadito che: «la cultura è un bene comune e un diritto. La tutela, lo sviluppo e la diffusione dei beni, delle attività e dei valori della cultura si collocano necessariamente al centro degli obiettivi di crescita economica, civile e sociale del nostro Paese. La cultura costituisce un bene comune di straordinaria ricchezza e complessità, che in tutte le sue diverse manifestazioni deve essere protetto e potenziato»,

impegna il Governo

   a riportare gradualmente l'investimento per l'istruzione e la formazione almeno al livello medio dei paesi Ocse (5,7 per cento del prodotto interno lordo), tornando ad investire sulla conoscenza per garantire a tutti pari opportunità di apprendimento e di educazione e per promuovere una nuova crescita economica dell'Italia;
   a definire un piano pluriennale per la sicurezza e messa a norma del patrimonio scolastico, concordato e cofinanziato tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, anche prevedendo l'esclusione di questi ultimi dai vincoli del Patto di stabilità: a favorire per quanto di competenza un rapido iter della proposta di legge finalizzata a destinare una quota dell'otto per mille del gettito irpef a diretta gestione statale a interventi di valorizzazione e ammodernamento del patrimonio immobiliare scolastico;
   ad attuare pienamente l'autonomia delle istituzioni scolastiche in campo didattico, finanziario, amministrativo e gestionale, partendo dall'attuazione dell'articolo 50 del decreto-legge n. 5 del 2012 con l'assegnazione almeno triennale dell'organico funzionale ad ogni istituzione scolastica e a livello di reti di scuole, con la definizione di un budget triennale e l'erogazione annuale tempestiva dei fondi prevedendo un consistente aumento del Fis, con l'avvio di un efficace sistema di valutazione nazionale con il compito di affiancare e sostenere le scuole per affermare la cultura dell'autovaluzione nella definizione degli obiettivi, nella verifica dei risultati, nell'individuazione delle criticità e nelle azioni per migliorare i risultati in modo da dare a tutti gli studenti le stesse opportunità di apprendimento e di successo scolastico;
   a potenziare le sezioni primavera e le scuole dell'infanzia e a favorire, per quanto di competenza un rapido iter della proposta di legge per il potenziamento e lo sviluppo dei servizi educativi e scolastici per l'infanzia da 0 a 6 anni poiché è decisivo investire sull'educazione dei più piccoli per promuovere un nuovo futuro per il Paese;
   a potenziare il tempo pieno e il tempo prolungato nella scuola primaria e nella scuola media e ad attuare pienamente l'obbligo scolastico a 16 anni;
   ad attivare il monitoraggio previsto per la verifica dell'attuazione del regolamento sul riordino della scuola superiore e a correggere le criticità riscontrate in particolare per quanto riguarda i laboratori e la riduzione e l'accorpamento delle classi di concorso;
   a rilanciare l'istruzione tecnica e professionale e l'alta formazione tecnica con la realizzazione di programmi e progetti mirati in particolare per facilitare tirocini e alternanza scuola-lavoro nonché realizzare dei veri e propri laboratori innovativi per favorire la crescita con un opportuno coordinamento tra istituti scolastici, imprese, enti locali e regioni, università ed enti di ricerca;
   a rilanciare una piena e corretta attuazione della legge n. 440 del 1997, i cui finanziamenti nel corso degli anni sono stati ridotti ad un terzo, con il ripristino almeno dell'iniziale stanziamento;
   a definire un piano pluriennale per l'immissione in ruolo del personale precario e il reclutamento di giovani insegnanti, prevedendo la stabilizzazione dei posti attualmente vacanti e coperti con incarichi annuali, compresi quelli destinati agli insegnanti di sostegno e quelli necessari per gli organici funzionali;
   ad intervenire affinché venga sanata l'ingiustizia subita dai lavoratori della scuola della cosiddetta «quota 96», favorendo, per quanto di competenza, un rapido iter della proposta di legge A.C. 249 già assegnata alla XI Commissione permanente della Camera, liberando migliaia di posti di lavoro e così favorendo l'allineamento all'Europa per quanto riguarda l'età anagrafica dei docenti;
   a favorire per quanto di competenza, un rapido iter della proposta di legge che modifica la norma, introdotta con la spending review (articolo 14, comma 13, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012) per definire un piano per un adeguato utilizzo del personale dichiarato inidoneo, tenendo conto delle effettive condizioni di salute e delle competenze acquisite nonché, per coloro che lo richiedono e hanno i requisiti applicare l'istituto della dispensa;
    a elaborare un piano straordinario finalizzato a riconoscere il ruolo sociale e dare il giusto valore al personale della scuola, a partire dagli insegnanti, avviando una nuova stagione con il rinnovo del contratto di lavoro sia con la previsione dell'aumento dei salari che con la definizione di incentivi legati alla professionalità e all'impegno profuso nel migliorare la qualità e la sperimentazione di innovazione della didattica;
    a riprendere il percorso di riforma dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica seguendo la linea strategica indicata in premessa di istituire un sistema unitario e integrato di tutta la formazione superiore post-secondaria e ad affrontare e a risolvere i delicati problemi degli istituti musicali pareggiati e del relativo personale;
    ad assumere iniziative per riportare il finanziamento statale delle università e degli enti di ricerca almeno ai livelli di cinque anni fa e, comunque, a varare un programma graduale di investimenti che porti l'Italia a rispettare gli obiettivi previsti dal programma Europa 2020 in termini di spesa per l'istruzione e la ricerca, nonché di numero di laureati;
    a valutare l'opportunità di adottare specifiche iniziative volte al ringiovanimento del corpo docente universitario, mediante l'immissione di giovani ricercatori meritevoli, e alla salvaguardia di discipline scientifiche e umanistiche di grande tradizione, irrinunciabili nel panorama universitario di un Paese avanzato come l'Italia, abolendo comunque il blocco delle assunzioni pur entro un quadro di sostenibilità economica dei bilanci universitari e riequilibrando il personale tra le varie fasce docenti, garantendo possibilità di carriera a tutti coloro che lo meritano;
    a destinare al tema della contribuzione studentesca universitaria e del diritto allo studio universitario un'attenta e strategica riflessione complessiva e, di conseguenza, ad adottare un nuovo quadro organico di iniziative normative e di investimenti finanziari statali, allo scopo di sostenere gli studenti universitari capaci dei meritevoli le cui famiglie non sono in grado di sostenere i costi di formazione superiore e di mantenimento agli studi, affinché i loro talenti possano liberamente esplicarsi nei tempi, nei modi e nei luoghi da loro scelti e affinché si contribuisca a riattivare la mobilità sociale per rendere la società italiana più equa e fiduciosa;
    ad assumere iniziative per ridefinire competenze e ruolo dell'ANVUR al fine di trasformare l'indispensabile valutazione della qualità dei risultati delle attività didattiche e di ricerca in una occasione per innescare un processo di miglioramento continuo e di piena responsabilizzazione in tutte le istituzioni, da incentivare anche con opportuni finanziamenti premiali aggiuntivi rispetto a quelli ordinari;
    a perseguire l'obiettivo di portare progressivamente la spesa pubblica per la cultura ai livelli europei considerando la cultura un investimento fondamentale per la crescita e lo sviluppo in una realtà come l'Italia che possiede il patrimonio culturale per quantità e qualità più grande del pianeta;
    ad avviare un piano di investimenti pluriennale per la tutela dei beni culturali non limitandosi ad interventi straordinari e urgenti;
    a individuare nel settore della cultura strumenti di programmazione certi che consentano un utilizzo più efficiente ed efficace delle risorse a partire dalla riorganizzazione dei finanziamenti strordinari;
   ad assumere iniziative per prorogare, a decorrere dal 1o gennaio 2014, l'erogazione delle misure fiscali del tax credit e del tax shelter a vantaggio dell'industria cinematografica e a reperire risorse aggiuntive a sostegno del settore dello spettacolo, anche attraverso il finanziamento del Fondo unico per lo spettacolo (FUS);
   a rilanciare il settore dei beni culturali, rendendo più stabili anche i contributi delle istituzioni di cultura tutelate dal Ministero che hanno un forte ruolo di riferimento per la ricerca e di formazione all'interno della società.
(1-00084) «Coscia, Bellanova, Speranza, Ghizzoni, De Micheli, Giacomelli, Grassi, Martella, Velo, De Maria, Fregolent, Garavini, Pollastrini, Rosato, Mauri, Ascani, Blazina, Bonafè, Bossa, Carocci, Coccia, D'Ottavio, La Marca, Malpezzi, Manzi, Malisani, Narduolo, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Raciti, Rampi, Rocchi, Zampa, Basso».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    le indicazioni dell'Unione europea, e in particolare di UE 2020 e precedentemente della strategia di Lisbona, individuano un nuovo tipo di percorso basato sull'economia della conoscenza, caratterizzato da riforme profonde e volto a promuovere una crescita sostenibile, intelligente, l'occupazione, l'innovazione, la competitività, il rafforzamento della coesione sociale, economica e territoriale. È necessario, in un momento di crisi economica e finanziaria come quello che attraversa il nostro Paese in questo momento, ridefinire la spesa pubblica e gli investimenti, in particolar modo quelli relativi alla istruzione, formazione, università e ricerca, in linea con gli obiettivi UE 2020. Tra le priorità della Strategia UE 2020 viene individuata «una crescita basata sulla conoscenza». L'obiettivo è quello di creare uno spazio europeo della conoscenza che consente a tutti gli attori (studenti, docenti, ricercatori, istituti di istruzione, centri di ricerca e imprese) di beneficiare della libera circolazione delle persone, delle conoscenze e delle tecnologie, e pertanto di supportare ed incentivare tutta le misure volte alla mobilità;
    la Commissione europea inoltre osserva che alla tradizionale sequenza studi-lavoro-pensione vanno sostituendosi nuovi modelli di vita lavorativa, caratterizzati da interruzioni e riprese intermittenti dell'attività, che offrono maggiori opportunità ai lavoratori. La creazione di nuovi posti di lavoro renderà infatti necessarie nuove competenze, la gestione della transizione da un posto di lavoro ad un altro e tra periodi di formazione ed occupazione. Nel quadro del programma europeo «Istruzione e formazione» (ET2010) quattro sono gli obiettivi strategici: fare in modo che l'apprendimento permanente e la mobilità divengano una realtà, migliorare la qualità e l'efficienza dell'istruzione e della formazione, promuovere l'equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva, incoraggiare la creatività e l'innovazione inclusa l'imprenditorialità a tutti i livelli dell'istruzione e della formazione. Tra gli standard individuati nelle conclusioni del Consiglio del 12 maggio 2009 i più significativi sono:
     entro il 2020 il 15 per cento di adulti dovrebbe partecipare all'apprendimento permanente;
     entro il 2020 i risultati insufficienti di lettura, matematica e scienze dovrebbero essere inferiori al 15 per cento;
     entro il 2020 la percentuale di persone tra i 30 anni e i 34 anni in possesso di un diploma di istruzione superiore dovrebbe essere almeno del 40 per cento;
    la qualità degli apprendimenti e la formazione degli studenti, nell'intera filiera dell'istruzione (scuola e università), è l'elemento centrale di qualsiasi azione e di qualsiasi intervento sia normativo sia amministrativo nel nostro sistema scolastico;
    le indagini nazionali (INVALSI) ed internazionali (OCSE-PISA) evidenziano che i quindicenni italiani hanno migliorato le loro competenze, anche se permangono alcune criticità. In particolare, nell'indagine PISA 2009 si evidenzia una scarsa competenza negli studenti quindicenni italiani in lettura, matematica e scienze. Bassa è anche la percentuale di studenti che completano il secondo ciclo di istruzione, di laureati, di persone con titoli di istruzione superiore;
    nel rapporto Education at a glance del 2010, relativo all'area OCSE, si evidenzia che dato che i governi, a seguito della crisi economica globale, stanno ridefinendo i loro impegni finanziari, l'istruzione è al centro di un rinnovato interesse. Da un lato rappresenta una grande voce della spesa pubblica in molti paesi. Dall'altro investire in istruzione è essenziale se i paesi vogliono sviluppare il loro potenziale di crescita di lungo periodo e per rispondere ai cambiamenti tecnologici e demografici che stanno ridisegnando i mercati del lavoro. Il rapporto evidenzia che tutti i paesi OCSE investono fortemente in formazione e sottolinea, inoltre, che quest'ultima svolge un ruolo fondamentale anche nel contribuire a mantenere più a lungo i lavoratori in attività – un vantaggio che sta divenendo una necessità, per l'invecchiamento della popolazione nei paesi OCSE. Evidenti sono i benefìci sociali ed economici dell'istruzione, ma al tempo stesso non sembra essere sufficiente semplicemente spendere di più. È preoccupante che all'aumento significativo della spesa per studente negli ultimi dieci anni non abbia corrisposto il miglioramento della qualità nei risultati dell'apprendimento. Anche il segretario generale dell'OCSE Angel Gurria nel suo editoriale in Education at a glance ha voluto evidenziare che i risultati «sottolineano la portata dello sforzo che è necessario affinché l'istruzione si rinnovi, in modo da accrescere il valore dell'investimento»;
    sempre nel rapporto Education at a glance del 2010 si sottolinea che l'apprendimento non finisce al terzo livello e molti adulti continuano la formazione e lo studio nel corso della loro vita lavorativa: nei paesi OCSE oltre il 40 per cento degli adulti partecipa ad attività di istruzione formale e non formale in un anno. Nella maggior parte dei paesi OCSE, negli ultimi dieci anni quasi tutti hanno avuto accesso ad almeno 12 anni di istruzione formale. La mobilità degli studenti – vale a dire gli studenti che si recano in un altro paese per seguire un corso di studi di livello terziario – continua ad espandersi. Nel 2008, oltre 3,3 milioni di studenti universitari erano iscritti al di fuori del loro paese di cittadinanza, con un aumento del 10,7 per cento rispetto all'anno precedente. La transizione dalla scuola al mercato del lavoro non è sempre invece agevole per i giovani, e in molti paesi alcuni ragazzi più grandi (15-19 anni) non sono in formazione e nemmeno tra le forze lavoro o in cerca di lavoro;
    attualmente l'autonomia scolastica è rimasta una enunciazione priva di «sostanza» se non quella didattica. Per passare da un sistema gerarchico ad uno che favorisca e sviluppi i rapporti di rete tra le scuole nell'ottica anche di realizzare un vero organico funzionale è necessario fare altri passi decisivi verso la piena autonomia delle istituzioni scolastiche. Anche sotto l'aspetto finanziario ormai le scuole gestiscono solo i fondi per il funzionamento ordinario ed i contributi dei genitori avendo quindi tutte le risorse umane e finanziarie ingessate da una idea ancora centralistica di gestione da parte dello Stato;
    le necessità che vengano attuate politiche di programmazione pluriennale dei finanziamenti a tutto il sistema nazionale di istruzione ed alle università diventa sempre più urgente, permettendo in questo modo alle istituzioni scolastiche e alle università di disporre di budget finanziari che garantiscano l'autonomia nell'utilizzo delle risorse pubbliche stanziate, per il raggiungimento degli obiettivi, dei livelli essenziali di prestazione, degli standard definiti a livello nazionale;
    occorre fissare chiaramente obiettivi, standard e misure che definiscano il livello nazionale di istruzione e formazione, nell'ottica dell’accountability e, per quanto concerne la definizione di budget e della spesa, diventa sempre più necessario definire, inoltre costi standard;
    nell'ambito dei meccanismi di valutazione riguardanti l'allocazione dei fondi occorre una definizione chiara degli stessi, che si ispiri alla trasparenza ed alla meritocrazia, implementando e rendendo operativo il sistema di valutazione delle istituzioni scolastiche e del personale, sulla base di progetti Vsq (Valutazione per lo sviluppo della qualità delle scuole) e «Valorizza» per la valorizzazione e la valutazione del personale docente, avviati nell'anno scolastico 2010-2011;
    è doveroso definire politiche per migliorare la formazione degli studenti, anche al fine di impedire il fenomeno dell'abbandono precoce e della dispersione scolastica, fornendo loro le adeguate competenze richieste dal mercato del lavoro;
    è necessario stabilire nuove modalità di reclutamento del personale del comparto scuola anche allo scopo di impedire eventuali contenziosi promossi contro la pubblica amministrazione;
    in questo quadro risulta fondamentale la qualità della formazione e del servizio offerto alle famiglie. Investire nella formazione, introducendo al contempo dei parametri di qualità e di valutazione degli istituti scolastici (sistema nazionale di valutazione) e una riforma del sistema di reclutamento, diventano elementi sempre più centrali. Qualità e servizio servono per combattere la dispersione scolastica e favorire l'inclusione sociale e la cittadinanza attiva;
    è necessario elaborare un nuovo piano triennale di assunzione in ruolo del personale precario, per il 2014/2017, anche in considerazione del turn-over complessivo di 44.000 unità, secondo i dati forniti dal MIUR;
    altri obiettivi sono la mobilità, l'occupabilità e l'apprendimento delle lingue, la qualità della formazione e del servizio offerto alle famiglie: l'obiettivo è quello di prevedere un piano di sviluppo degli asili nido, l'avvio e lo sviluppo dell'agenda digitale nelle scuole e l'autonomia da parte delle scuole nella scelta degli organici e nella gestione dell'offerta formativa;
    per quanto riguarda l'indicazione UE 2020 relativa all'occupabilità è necessario un rafforzamento dell'asse tecnico-professionale, favorendo il rapporto scuola-impresa e sostenendo i percorsi di formazione professionale, sul modello tedesco. Va inoltre potenziata ed incentivata tutta la normativa inerente al rapporto scuola-impresa, università-impresa, intervenendo anche con una modifica della riforma Fornero per ciò che concerne tirocini e apprendistato. In raccordo con il mondo produttivo: vanno incentivati gli sportelli di placement nelle scuole e nelle università, gli ITS (Istituti Tecnici Superiori), gli IFTS e i poli tecnico-professionali;
    occorre, per quanto concerne in particolare il dimensionamento, fare chiarezza sulle competenze, in base a quanto disposto ex articolo 117 della Costituzione, tra Stato e ragioni e rendere effettiva l'autonomia delle istituzioni scolastiche attraverso il raccordo con le realtà territoriali;
    nell'ottica di garantire la pluralità del sistema di istruzione è opportuno stabilizzare, su base pluriennale, il finanziamento alle scuole paritarie, anche per garantire la libertà di scelta delle famiglie nell'educazione scolastica dei propri figli;
    occorre individuare modalità, anche nuove, per esercitare il diritto allo studio con la creazione di nuove borse di studio e di residenze per gli studenti universitari e prevedere forme di rendicontazione pubbliche di verifica degli esiti e dei risultati raggiunti dalle scuole rispetto agli obiettivi, agli standard ed ai livelli essenziali di prestazione definiti a livello nazionale;
    i dati che risultano da alcuni studi relativi alla situazione attuale relativa all'edilizia scolastica rivelano che quest'ultima deve certamente essere considerata una priorità, legata non soltanto ad una situazione di grave emergenza e dunque di sicurezza per il personale scolastico e gli alunni, bensì anche per far sì che l'ammodernamento della scuola possa tenere il passo con le altre realtà europee. I dati sono davvero preoccupanti: da un rapporto stilato da Cittadinanzattiva sulla sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici è emerso infatti che la scuola italiana è una scuola di aule fatiscenti, di manutenzione sempre più scarsa e certificazioni di sicurezza assenti: una scuola su cinque (20,7 per cento) non è sicura, mentre una su tre (36 per cento), quanto a sicurezza, rasenta appena la sufficienza. Uno studio condotto dal Sole 24 ore ha invece rivelato che per mettere in sicurezza le scuole d'Italia è stato stanziato, negli ultimi due anni, più di un miliardo (1,188 per l'esattezza) e di fatto sono stati spesi soltanto 73 milioni. Su tale argomento il gruppo PdL ha richiesto l'avvio di un'indagine conoscitiva in Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera, in cui si evidenzia la necessità e l'urgenza di una pianificazione nazionale in materia, tenendo conto di un patrimonio edilizio antiquato, che per il 60 per cento è stato costruito in un periodo antecedente dell'entrata in vigore della normativa antisismica e che per circa il 33 per cento si trova in aree a rischio sismico e per il 10,67 per cento in aree a rischio sismico e per il 10,67 per cento in aree ad alto rischio idrogeologico. Nella richiesta di indagine conoscitiva si è sottolineata la necessità del completamento dell'anagrafe dell'edilizia scolastica, istituita dalla legge n. 23 dell'11 gennaio 1996, per evidenziare le emergenze e quantificare le risorse o razionalizzare l'erogazione. È necessaria inoltre una mappatura reale degli edifici scolastici, con un monitoraggio riservato agli asili nido ed alle scuole d'infanzia, con la realizzazione di strutture adeguate alle nuove esigenze didattiche;
    per quanto concerne il settore universitario è necessario sostenere un percorso di internazionalizzazione delle università, che devono diventare parte integrante del sistema di istruzione superiore europeo, rendendole così più competitive;
    è indispensabile prevedere una serie di misure tra cui: una revisione del Fondo premiale (istituito con la legge n. 240 del 2010) permettendo l'inserimento nel tessuto produttivo dei laureati; la modifica della percentuale relativa al suddetto Fondo premiale, elevandola rispetto ai parametri attuali: l'assegnazione delle risorse per il FF0 (Fondo finanziario ordinario) su base triennale; la revisione, nell'ottica di un ricambio delle professionalità nel mondo accademico, del meccanismo del turn-over;
    è necessario altresì agire secondo un orizzonte temporale pluriennale, in cui il budget su cui sviluppare il sistema sia coerente con le politiche e le strategie che il Paese ha come obiettivo;
    in tema di reclutamento universitario bisogna continuare quanto stabilito dalla legge n. 240 del 2010, mentre sarebbe opportuno valutare forme di raccordo tra realtà universitarie e realtà territoriali;
    è altresì opportuno prevedere forme di agevolazioni per gli studenti per l'accesso ai vari servizi, considerare l'inserimento nel percorso di laurea (triennale e magistrale) per favorire, sulla scorta della Comunicazione Europea Impresa ed Università del 2009, l'obbligo di un tirocinio formativo che colleghi l'ambito universitario con il mercato del lavoro;
    sarebbe infine necessario sostenere il diritto allo studio attraverso un raccordo concreto tra realtà universitaria e territorio,

impegna il Governo:

   a completare il percorso dell'autonomia scolastica in modo da rendere le scuole in grado di essere riconosciute anche in base ai parametri europei come vere istituzioni autonome, favorendo, secondo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, il raccordo con il territorio, gli enti locali, le associazioni di categoria, le università, i musei, le imprese, e a formare reti di scuole;
   a definire politiche per garantire la qualità della formazione degli studenti, riducendo, secondo i parametri della Strategia UE 2020, l'abbandono scolastico e favorendo la formazione delle competenze chiave per l'apprendimento permanente, indicate nella raccomandazione del Parlamento e del Consiglio europeo del 18 dicembre 2006, finalizzate all'inclusione sociale, all'occupabilità e alla coesione sociale;
   a sostenere politiche di raccordo e di cooperazione costante tra formazione e mercato del lavoro, favorendo progetti di alternanza scuola-lavoro, tirocini, apprendistato, didattica laboratoriale e diffusione nell'istruzione terziaria degli ITS;
   a prevedere un piano di messa in sicurezza, di efficientizzazione energetica, di abbattimento delle barriere architettoniche, di dotazione delle infrastrutture digitali del complesso degli edifici scolastici italiani, individuando le necessarie risorse economico-finanziarie;
   ad adottare politiche, che attraverso la programmazione triennale dei finanziamenti al sistema nazionale di istruzione, alle università e agli ITS, permettano di disporre di un budget finanziario e dell'autonomia dell'utilizzo delle risorse pubbliche stanziate e finalizzate al raggiungimento degli obiettivi, dei livelli essenziali di prestazione, degli standard definiti a livello nazionale in relazione alla definizione della spesa anche secondo costi standard;
   a rendere stabile, su base triennale, le forme di sostegno alle scuole paritarie, per garantire la pluralità del sistema di istruzione come previsto dalla legge 10 marzo 2000, n. 62;
   ad individuare modalità, anche innovative, per esercitare il diritto allo studio per tutto il sistema nazionale d'istruzione attraverso la creazione di borse di studio, la collaborazione tra scuola, università, enti locali, associazioni di categoria, associazioni e la creazione di residenze per gli studenti universitari;
   a sviluppare, nell'ottica di valorizzare l'autonomia, il sistema nazionale di valutazione che permetta alle scuole di rendere trasparenti i risultati, il miglioramento e l’accountability, dimensione fondamentale di ogni autonomia in uno Stato democratico, definendo meccanismi di valutazione e autovalutazione basati su criteri e parametri chiari e trasparenti, quantitativi e qualitativi, e anche meritocratici, a partire dalle esperienze del sistema di valutazione delle istituzioni scolastiche e dei docenti dei progetti «Vsq» e «Valorizza» avviati nell'anno scolastico 2010-2011, ciò al fine di pervenire alla costruzione di un sistema italiano in linea con quello dei paesi dell'Unione europea, moderno ed efficiente di valutazione nell'ottica di un continuo miglioramento della qualità del sistema di istruzione e formazione;
   a dare continuità e ad implementare i progetti «Vsq» e «Valorizza» per attuare concretamente il sistema di valutazione definito dalla legge nel rispetto dell'autonomia delle tre componenti che costituiscono il sistema nazionale;
   a sostenere il percorso di internazionalizzazione e di mobilità di studenti e del personale, nell'ottica dell'implementazione della strategia UE 2020 e finalizzato alla creazione di uno spazio europeo della conoscenza e della mobilità;
   a definire percorsi di valorizzazione del ruolo e della professionalità dei docenti e di aggiornamento professionale, riconoscendo l'importante compito sociale svolto;
   a sviluppare il piano di innovazione digitale e di formazione del personale non solo docente delle scuole senza il quale qualunque nuova apparecchiatura rischia di rimanere inutilizzata, indirizzo che va anche nella direzione di ridurre la dispersione scolastica creando una didattica più laboratoriale che rappresenta una dimensione essenziale per intercettare le intelligenze multiple di tanti ragazzi che invece restano ai margini, posto che questo processo di innovazione va incontro alle esigenze di rinnovamento dell'istruzione tecnica e professionale che deve caratterizzarsi proprio dal cosiddetto «Learning by doing» che oggi è possibile estendere a tutte le discipline proprio grazie alle Ict;
   a definire nuove modalità di reclutamento del personale del comparto scuola che evitino la formazione di nuovo precariato e l'apertura di nuove graduatorie, e che senza automatismi valorizzino le competenze e la professionalità acquisite e che riducano anche il rischio di eventuali contenziosi nei confronti dalla pubblica amministrazione;
   a definire un nuovo piano triennale per l'assunzione dei docenti, che da diversi anni prestano servizio a tempo determinato e che prolunghi il Piano previsto dal decreto-legge n. 70 del 2011, articolo 9, comma 17;
   a prevedere, alla luce di una più netta e chiara individuazione delle competenze previste dall'articolo 117 della Costituzione e del percorso di riforma costituzionale intrapreso, le opportune forme di collaborazione tra amministrazione centrale e periferica, tra Stato e regioni, in particolar modo per le questioni relative al dimensionamento scolastico ed alla gestione del personale;
   a sostenere un piano per lo sviluppo di asili nido, delle scuole dell'infanzia, delle sezioni primavera e di servizi alle famiglie, con particolare attenzione per i disabili e per i bisogni educativi speciali;
   a prevedere forme di rendicontazione pubblica che verifichino gli esiti e i risultati raggiunti dalle scuole rispetto agli obiettivi, agli standard e ai livelli essenziali di prestazione definiti a livello nazionale;
   a rendere operativo, nel percorso di laurea (triennale e magistrale), il Dialogo dell'Unione europea «Impresa ed Università», che prevede tirocini formativi e raccordi tra l'università e il mondo del lavoro e l'attuazione di diverse forme di incontro tra università e tessuto produttivo, in modo da favorire anche la presenza di sportelli di placement in ogni ateneo;
   a considerare all'interno del Fondo premiale (istituito dalla legge n. 240 del 30 dicembre 2010) anche l'inserimento nel tessuto produttivo dei laureati e a rivedere la percentuale di Fondo premiale, elevandola rispetto agli attuali parametri;
   ad assegnare le risorse per il FFO (Fondo finanziario ordinario) su base triennale in modo da garantire ad ogni ateneo una pianificazione più efficiente e nell'ottica della definizione e dello sviluppo dell'identità dell'ateneo;
   a valutare una revisione del turn-over per consentire l'ingresso nel mondo accademico di nuove leve e di valorizzare le professionalità, continuando a seguire le procedure indicate dalla legge n. 240 del 30 dicembre 2010 per il reclutamento universitario, senza ricorrere a procedure straordinarie e superate;
   a valutare forme di agevolazioni degli studenti che, affiancandosi al diritto allo studio, permettano l'accesso a servizi essenziali a condizioni agevolate;
   a sostenere, rendendo pienamente operativa, la Fondazione per il merito.
(1-00085) «Centemero, Baldelli, Gelmini, Abrignani, Galan, Lainati, Longo, Palmieri, Petrenga».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    la strategia decennale per la crescita dell'Europa, detta “Strategia 2020”, fissa cinque obiettivi quantitativi validi per l'intera Unione europea, da raggiungere entro l'anno 2020;
    questi obiettivi vengono poi tradotti in obiettivi nazionali che riflettano la situazione e le circostanze specifiche di ogni paese;
    nell'audizione dell'allora Presidente Istat, oggi Ministro, Enrico Giovannini, tenuta il 23 aprile 2013 di fronte alle Commissioni speciali della Camera e del Senato per l'esame di disegni di legge di conversione di decreti-legge e di altri provvedimenti urgenti adottati dal Governo, sono stati forniti dati che evidenziano quanto lontana sia l'Italia dal raggiungimento degli obiettivi fissati;
    in particolare le difficoltà si evidenziano tra l'altro in aree molto importanti quali il numero di laureati, gli abbandoni scolastici, gli investimenti in ricerca e sviluppo;
    la percentuale di prodotto interno lordo speso in Italia nel 2011 (fonte Istat) per la ricerca e lo sviluppo, ad esempio, è pari all'1,25 per cento, mentre l'obiettivo dell'Europa è il raggiungimento del 3 per cento. L'Italia punta ad arrivare ad una spesa dell'1,53 per cento, poco più della metà, quindi, di quanto previsto dall'Europa;
    per quel che riguarda il numero di laureati, l'Italia raggiunge sempre nel 2011 la quota del 21,7 per cento e si pone come obiettivo il 26-27 per cento, mentre l'Europa punta al 40 per cento nel 2020;
    infine, per quel che riguarda la riduzione degli abbandoni scolastici (per 100 persone di 18-24 anni), nel nostro Paese si raggiunge la quota del 17,6 per cento e si punta ad arrivare al 2020 con il 16 per cento di abbandoni. L'Unione europea vuole arrivare al 18 per cento;
    dietro questi dati vi sono certo realtà diverse per territori e tipologia di soggetti, ma sta di fatto che il mondo legato in vario modo alla conoscenza soffre particolarmente nel nostro Paese;
    preoccupa il fatto che si continui a parlare di Unione europea solo per i parametri economico-finanziari, mentre la “Strategia 2020” per quel che riguarda, in particolare, i temi della conoscenza, passa quasi totalmente sotto silenzio nella discussione pubblica. Ciò impedisce che si comprenda il valore no solo pratico ma anche simbolico di questa strategia;
    questo assordante silenzio fa sì anche che alla fin fine il nostro Paese si accontenti di obiettivi mediocri, che lo collocano alle ultime posizioni di tutte le classifiche europee, mentre sarebbe necessario lavorare con convinzione per superare gli obiettivi mediocri e puntare a raggiungere quelli fissati dall'Unione europea nella sua strategia;
    invece l'investimento italiano in conoscenza e gli obiettivi che ci si è posti per quel che riguarda il fondamentale settore della ricerca e sviluppo, sono deboli e marginali quando, invece dovrebbero essere prioritari per la strategia di sviluppo italiana;
    la stessa “Strategia 2020” della Unione europea considera l'università come motore dello sviluppo economico e sociale di ogni paese;
    in Italia il numero di laureati cresce rispetto al passato, ma il distacco con la Unione europea rimane invariato, mentre si riduce il numero delle iscrizioni alle università, anche per le difficili situazioni economiche nelle quali si trovano molte famiglie;
    purtroppo, il Fondo statale per il diritto allo studio, che di solito era pari a 150 milioni di euro l'anno, è stato ridotto rispettivamente a 15 e 13 milioni per il 2013 e 2014, colpendo duramente quei giovani meritevoli, ma in condizioni economiche disagiate, che si sono visti chiudere la possibilità di studiare;
    la scarsità di investimenti nella conoscenza non è indifferente alle difficoltà sempre maggiori che il nostro Paese incontra. Non è affatto vero, come venne improvvidamente affermato in passato, che la “cultura non si mangia”. Senza cultura, senza conoscenza, senza ricerca un paese muore anche dal punto di vista economico;
    lo testimonia bene la cosiddetta “fuga di cervelli”. È, infatti, vero che molti giovani italiani laureati, soprattutto nelle scienze sulle quali si basa lo sviluppo moderno (nanotecnologie, informatica, e altro), lasciano l'Italia per andare a lavorare in altre nazioni, laddove ottengono migliori gratificazioni economiche e hanno maggiori speranze di fare carriera in quanto non sia possibile in Italia. Ma il vero problema non sta nel fatto che i giovani italiani vadano all'estero, in particolare in Europa. Si tratterebbe di un fenomeno naturale e positivo se vi fosse uno scambio con altri paesi europei. Al contrario, invece, ben pochi laureati non italiani decidono di venire a lavorare da noi, e altrettanto pochi italiani decidono di rientrare in Italia dopo un periodo di lavoro all'estero;
    questo stato di cose non può che deprimere anche l'economia di un paese che si trova sempre di più a dover fare a meno delle migliori intelligenze, non riuscendo, quindi a seguire il processo di innovazione tecnologica e produttiva sempre più forte in Europa;
    in più, in Italia si registra un altissimo numero di abbandoni scolastici da parte dei giovani immigrati che vivono in Italia stabilmente. Si tratta di un'occasione sprecata perché tutti i dati confermano l'aumento di imprese individuali di stranieri, che mostrano, in particolare i giovani, una forte volontà di affermazione e riscatto, che se correttamente sostenuta dal mondo della scuola non potrebbe che portare vantaggio all'intero Paese, che avrebbe forze fresche e preparate per migliorare la competitività italiana, oltre, ovviamente, a ridurre tutte quelle difficoltà di integrazione che incontrano gli “stranieri” che vivono, studiano e lavorano in Italia, soprattutto i più giovani;
    conoscenza è anche protezione e valorizzazione dei beni culturali ed architettonici italiani. Si tratta, come è noto, di una ricchezza unica al mondo, che però appare spesso trascurata e negletta, come se spendere in difesa del patrimonio culturale italiano fosse sprecare soldi in un momento tanto delicato per la nostra economia, le nostre imprese e la nostra famiglia;
    investire in questo campo, invece, è fondamentale per rilanciare anche l'economia, che non può non basarsi sulla protezione e sulla valorizzazione di questo patrimonio culturale. Infatti, una migliore valorizzazione dei luoghi d'interesse culturale del nostro Paese porterebbe certamente benefici nel settore dell'occupazione ed in quello delle risorse da poter utilizzare per poter effettuare lavori di conservazione e restauro essenziali al mantenimento in buon essere dell'immensità dei beni culturali che il Paese possiede e creando occupazione con l'assunzione di personale qualificato nella gestione e valorizzazione dei beni culturali;
    nonostante, ed anzi proprio a causa, dell'attuale stato di crisi appare, quindi, necessario investire nei sistemi dell'istruzione, della formazione, della ricerca, ed in quella valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, in modo da favorire la crescita del nostro Paese, andando oltre la pur importante valutazione del prodotto interno lordo perseguendo un'idea di futuro nuova e coraggiosa, che attualmente sembra mancare oggi al nostro Paese,

impegna il Governo

   a riconsiderare gli obiettivi italiani di crescita relativi alla Strategia Europea 2020, aggiornandoli in maniera più ambiziosa in modo da raggiungere entro la data fissata il livello degli altri grandi paesi europei per quel che riguarda i settori della conoscenza, non essendo accettabile l'idea che l'Italia si rassegni ad obiettivi minori o poco ambiziosi;
   ad assumere iniziative per reintegrare, compatibilmente con le esigenze di bilancio, la dotazione del fondo statale per il diritto allo studio, in modo che sia possibile concretamente aiutare i giovani meritevoli e disagiati economicamente;
   ad attuare, come emendato dal Presidente del Consiglio nel suo discorso d'insediamento, una politica industriale che incentivi anche le tante piccole e medie imprese italiane, che restano la spina dorsale del sistema produttivo italiano, ad investire in ricerca e sviluppo e quindi in competitività;
    ad attuare, come più volte annunciato, tutte le iniziative volte a frenare la “fuga di cervelli” italiani verso l'estero, in modo da evitare un sempre più accentuato impoverimento anche intellettuale del nostro Paese, in settori di grande importanza strategica;
   ad intraprendere tutte quelle iniziative necessarie per reperire risorse, anche chiedendo l'intervento di sponsor privati, necessarie alla protezione ed alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale, artistico e paesaggistico, in modo, non solo da salvaguardare per le future generazioni quelle bellezze che sono state affidate dai nostri antenati, ma anche per farne concreto volano di sviluppo economico per il nostro Paese in modo da ottenere una crescita, anche economica, duratura.
(1-00086) «Formisano, Tabacci, Pisicchio, Capelli, Lo Monte».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,

impegna il Governo

   a riconsiderare gli obiettivi italiani di crescita relativi alla Strategia Europea 2020, aggiornandoli in maniera più ambiziosa in modo da raggiungere entro la data fissata il livello degli altri grandi paesi europei per quel che riguarda i settori della conoscenza, non essendo accettabile l'idea che l'Italia si rassegni ad obiettivi minori o poco ambiziosi;
   ad assumere iniziative per reintegrare, compatibilmente con le esigenze di bilancio, la dotazione del fondo statale per il diritto allo studio, in modo che sia possibile concretamente aiutare i giovani meritevoli e disagiati economicamente;
   ad attuare, come emendato dal Presidente del Consiglio nel suo discorso d'insediamento, una politica industriale che incentivi anche le tante piccole e medie imprese italiane, che restano la spina dorsale del sistema produttivo italiano, ad investire in ricerca e sviluppo e quindi in competitività;
    ad attuare, come più volte annunciato, tutte le iniziative volte a frenare la “fuga di cervelli” italiani verso l'estero, in modo da evitare un sempre più accentuato impoverimento anche intellettuale del nostro Paese, in settori di grande importanza strategica;
   ad intraprendere tutte quelle iniziative necessarie per reperire risorse, anche chiedendo l'intervento di sponsor privati, necessarie alla protezione ed alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale, artistico e paesaggistico, in modo, non solo da salvaguardare per le future generazioni quelle bellezze che sono state affidate dai nostri antenati, ma anche per farne concreto volano di sviluppo economico per il nostro Paese in modo da ottenere una crescita, anche economica, duratura.
(1-00086)
(Testo modificato nel corso della seduta). «Formisano, Tabacci, Pisicchio, Capelli, Lo Monte».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    il diritto allo studio ed all'istruzione nel nostro Paese sono riconosciuti come diritti fondamentali, e come tali trovano menzione nella nostra Carta costituzionale, che dedica al tema ben due articoli, il 33 ed il 34;
    la scuola, anche e soprattutto per la sua caratteristica di obbligatorietà rispetto all'istruzione universitaria, rappresenta un percorso formativo di straordinaria importanza per ciascun individuo;
    attraverso di essa, i bambini hanno il primo approccio al sapere ed allo studio, e dovrebbero scoprire il fascino dell'apprendimento e della cultura;
    in una fase successiva, l'istruzione universitaria dovrebbe permettere ai nostri giovani di affrontare sia il mondo accademico, sia quello del lavoro, con un livello di preparazione, anche sotto il profilo della conoscenza delle lingue, tale da poter sostenere il confronto con i giovani laureati di tutto il resto del mondo;
    purtroppo, a partire dagli anni settanta, il sistema scolastico italiano, all'epoca uno dei punti di forza del nostro Paese, ha subito un lento ma inarrestabile declino, i cui segni più evidenti sono stati, nei decenni, l'abbassamento degli standard qualitativi dell'istruzione primaria e gli elevati tassi di abbandono degli studi universitari;
    questo declino ha numerose cause ma passa sempre, inesorabilmente, attraverso l'incapacità degli attuali modelli d'insegnamento di conquistare i ragazzi all'istruzione, di conquistarli alla lettura, di appassionare alle materie oggetto d'insegnamento;
    a questo si sono aggiunti, negli anni, sempre più problemi strutturali, organizzativi e di bilancio che hanno sovente, purtroppo, portato con loro anche la disaffezione dello stesso corpo docente;
    in un mondo sempre più competitivo e nel quale la sfida per i nostri figli diviene ogni giorno più difficile, l'Italia dovrà essere in grado di formare in modo adeguato le nuove generazioni, e perciò deve ripensare tutto il suo sistema educativo,

impegna il Governo

   a razionalizzare gli investimenti pubblici sia nel campo della scuola, destinando alla formazione dei docenti e alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, sia nel campo universitario, abbattendo i privilegi e lottando contro gli sprechi, affinché ad essa sia restituita la sua vera missione culturale e sociale;
   ad avviare le procedure per accelerare il conseguimento dei titoli professionali, mettendo i nostri giovani in condizione di affrontare la sfida dei propri coetanei europei ed intercontinentali;
   a rafforzare il legame tra strutture universitarie ed imprese, al fine di poter offrire ai giovani meritevoli immediate soluzioni professionali;
   a riavviare il processo di autonomia amministrativa e finanziaria delle istituzioni scolastiche universitarie, coniugandolo con seri criteri di responsabilità di gestione;
   ad effettuare una ricognizione geografica delle strutture e istituzioni universitarie su tutto il territorio nazionale, al fine di evitare duplicazioni, sedi inutili e sprechi;
   a procedere, attraverso i competenti organismi a ciò preposti, ad una implementazione dei sistemi di valutazione e di aggiornamento del corpo docente, per permettere ai professori di svolgere al meglio il proprio compito e riconoscendo ad essi la centralità della funzione docente nell'ambito della società contemporanea;
   ad incentivare, attraverso la sottoscrizione di accordi e convenzioni con associazioni culturali, ricreative e sportive, ed enti di varia natura, l'apertura delle sedi scolastiche ed universitarie anche oltre l'orario didattico, al fine di farne dei poli di aggregazione anche sociale;
   a potenziare in questo quadro il ruolo dello sport nelle scuole primarie e secondarie, riconoscendo ad esso il suo fondamentale valore come momento di aggregazione ed inclusione;
   a rivedere i criteri per la ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario delle università, attribuendo maggior peso a criteri qualitativi, parametri di efficienza, eccellenza, qualità dei servizi e della ricerca, rispetto all'applicazione di criteri meramente quantitativi, quale, ad esempio, il numero degli iscritti;
   ad operare nel senso di uno snellimento delle procedure per favorire la mobilità dai nostri studenti e attraverso lo sviluppo di nuovi scambi e partnership tra le università e gli enti pubblici di ricerca.
(1-00090) «Giorgia Meloni, Rampelli, Corsaro».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,

impegna il Governo

   a razionalizzare gli investimenti pubblici sia nel campo della scuola, destinando alla formazione dei docenti e alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, sia nel campo universitario, abbattendo i privilegi e lottando contro gli sprechi, affinché ad essa sia restituita la sua vera missione culturale e sociale;
   ad avviare le procedure per accelerare il conseguimento dei titoli professionali, mettendo i nostri giovani in condizione di affrontare la sfida dei propri coetanei europei ed intercontinentali;
   a rafforzare il legame tra strutture universitarie ed imprese, al fine di poter offrire ai giovani meritevoli immediate soluzioni professionali;
   a riavviare il processo di autonomia amministrativa e finanziaria delle istituzioni scolastiche universitarie, coniugandolo con seri criteri di responsabilità di gestione;
   ad effettuare una ricognizione geografica delle strutture e istituzioni universitarie su tutto il territorio nazionale, al fine di evitare duplicazioni, sedi inutili e sprechi;
   a procedere, attraverso i competenti organismi a ciò preposti, ad una implementazione dei sistemi di valutazione e di aggiornamento del corpo docente, per permettere ai professori di svolgere al meglio il proprio compito e riconoscendo ad essi la centralità della funzione docente nell'ambito della società contemporanea;
   ad incentivare, attraverso la sottoscrizione di accordi e convenzioni con associazioni culturali, ricreative e sportive, ed enti di varia natura, l'apertura delle sedi scolastiche ed universitarie anche oltre l'orario didattico, al fine di farne dei poli di aggregazione anche sociale;
   a potenziare in questo quadro il ruolo dello sport nelle scuole primarie e secondarie, riconoscendo ad esso il suo fondamentale valore come momento di aggregazione ed inclusione;
   a rivedere i criteri per la ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario delle università, attribuendo maggior peso a criteri qualitativi, parametri di efficienza, eccellenza, qualità dei servizi e della ricerca, rispetto all'applicazione di criteri meramente quantitativi, quale, ad esempio, il numero degli iscritti;
   ad operare nel senso di uno snellimento delle procedure per favorire la mobilità dai nostri studenti e attraverso lo sviluppo di nuovi scambi e partnership tra le università e gli enti pubblici di ricerca.
(1-00090)
(Testo modificato nel corso della seduta). «Giorgia Meloni, Rampelli, Corsaro».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    il recente rapporto Ocse 2012 evidenzia come la media di investimenti in istruzione dei paesi membri sia cresciuta fortemente negli ultimi anni e risulti pari al 5,7 per cento del Pil, ma l'Italia si colloca al di sotto della media, investendo solo il 4,5 per cento del Pil. Penultimi in graduatoria, davanti solo alla Slovacchia. Eppure è dimostrato che la maggiore spesa per istruzione produce rendimenti certi, come un maggior gettito fiscale ed una maggiore occupabilità e la stessa Banca d'Italia sostiene, sulla base di complesse analisi, che il rendimento medio dell'investimento in istruzione è dell'8,9 per cento;
    le indicazioni dell'Unione europea, in particolare della Strategia UE 2020 e della precedente Strategia di Lisbona e della UE 2020, sono volte a sviluppare un'economia basata sulla conoscenza, caratterizzata da riforme profonde e volta a promuovere una crescita sostenibile, intelligente, l'occupazione, l'innovazione, la competitività, il rafforzamento della coesione sociale, economica e territoriale. In un momento di crisi economica e finanziaria, come quello che attraversa il nostro Paese, risulta indispensabile ridefinire la spesa pubblica e gli investimenti, in particolar modo quelli relativi alla istruzione, formazione, università e ricerca, in linea con gli obiettivi UE 2020. Ulteriore obiettivo è creare uno spazio europeo della conoscenza che consenta a tutti gli attori (studenti, docenti, ricercatori, istituti di istruzione, centri di ricerca e imprese) di beneficiare della libera circolazione delle persone, delle conoscenze e delle tecnologie, e pertanto di supportare ed incentivare tutte le misure volte alla mobilità. Nel quadro del programma europeo «Istruzione e formazione» (ET2010) inoltre quattro sono gli obiettivi strategici: fare in modo che l'apprendimento permanente e la mobilità divengano una realtà, migliorare la qualità e l'efficienza dell'istruzione e della formazione, promuovere l'equità, la coesione sociale e la cittadinanza attiva, incoraggiare la creatività e l'innovazione inclusa l'imprenditorialità a tutti i livelli dell'istruzione e della formazione;
    il rapporto Education at a glance del 2010, relativo all'area Ocse, si evidenzia che dato che i governi, a seguito della crisi economica globale, stanno ridefinendo i loro impegni finanziari, l'istruzione è al centro di un rinnovato interesse. Sono infatti evidenti i benefici sociali ed economici dell'istruzione, ma al tempo stesso non sembra essere sufficiente semplicemente spendere di più. È preoccupante che all'aumento significativo della spesa per studente negli ultimi dieci anni non abbia corrisposto il miglioramento della qualità nei risultati dell'apprendimento. Anche il segretario generale dell'Ocse Angel Gurria nel suo editoriale in Education at a glance ha voluto evidenziare che i risultati «sottolineano la portata dello sforzo che è necessario affinché l'istruzione si rinnovi in modo da accrescere il valore dell'investimento»;
    tali investimenti, insieme ad un maggiore sostegno del sistema di apprendimento permanente, consentirebbero di perseguire, nel contempo la mobilità sociale – che nel nostro Paese è sostanzialmente bloccata – nonché la realizzazione personale e lavorativa. Grazie ad un efficace sistema di apprendimento per tutta la vita sarà possibile promuovere equità, coesione sociale e cittadinanza attiva, anche al fine di incoraggiare la creatività e l'innovazione a tutti i livelli dell'istruzione, della formazione, della ricerca e dell'economia;
    la Relazione del Gruppo di lavoro in materia economico-sociale ed europea (il gruppo dei «saggi» istituito dal Presidente Napolitano nell'aprile 2013) indica tra le priorità la lotta agli squilibri tra le aree del Paese e tra le singole scuole, messi in evidenza, tra gli altri, dai test Invalsi, dai dati Ocse Pisa, dai rapporti sulla qualità della scuola italiana di Tuttoscuola e dalla Fondazione Agnelli. Ancora oggi il successo scolastico e formativo è condizionato dalle origini socio-economiche, tanto che la probabilità di essere in ritardo alla fine delle medie da parte di uno studente figlio di genitori con licenza media è quattro volte superiore a quella del compagno figlio di genitori laureati. I divari sociali di apprendimento e le disparità in particolare nella lettura, rischiano di compromettere il percorso scolastico, specialmente degli studenti di origine più svantaggiata, generando il grave fenomeno dell'abbandono e della dispersione scolastica, come dimostra anche l'alto numero di NEET (ragazzi senza scuola e senza lavoro) tra i 15 e i 29 anni;
    va crescendo la disparità delle scuole che presentano buoni rendimenti e quelle di minore qualità, dove tra l'altro vengono spesso indirizzati gli alunni di origine immigrata, anche se nati e cresciuti in Italia;
    i «saggi» nominati dal Presidente della Repubblica, in linea con la strategia europea, dedicano un'intera sezione al ruolo strategico dell'istruzione e in particolare evidenziano che «Tutte le analisi condotte sul tema della crescita economica indicano nella disponibilità di un capitale umano di qualità uno degli ingredienti fondamentali per sfruttare appieno le nuove tecnologie, per favorire l'innovazione e l'aumento della produttività. Di conseguenza, migliorare le performance dei sistemi di istruzione e formazione è fondamentale per assicurare nel medio termine una crescita economica in grado di riassorbire la disoccupazione e la sottoccupazione di cui è afflitto il nostro Paese»;
    il Presidente del Consiglio Enrico Letta, nel discorso con cui ha chiesto la fiducia al Parlamento, ha tra l'altro sottolineato come «la società della conoscenza e dell'integrazione si costruisca sui banchi di scuola e nelle università», impegnando il Governo a ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori e riducendo il ritardo rispetto all'Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica;
    gli elementi e i dati che sull'argomento riguardano il nostro Paese sono particolarmente preoccupanti:
     secondo le classifiche internazionali, l'Italia presenta un forte deficit in termini di qualità del capitale umano rispetto ai principali paesi europei. Esso riguarda sia le competenze maturate dai giovani al termine della scuola dell'obbligo, sia la quota di laureati sulla popolazione. Inoltre, la formazione svolta dalle imprese è significativamente inferiore a quella tipica degli altri paesi europei;
     il tasso di abbandono scolastico in Italia è al 18,8 per cento a fronte di una media UE del 13,4 per cento e dell'obiettivo posto dall'Europa 2020 di ridurlo al 10 per cento; per quanto riguarda i laureati nella fascia di età tra i 30 e 34 siamo all'ultimo posto con il 20,3 per cento, molto lontani dalla media europea del 34,6 per cento e dall'obiettivo 2020 del 40 per cento;
     il rapporto annuale 2012 dell'ISTAT, fa emergere un vero e proprio allarme educativo. L'Italia ha un altro primato negativo in Europa: 2 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni non sono né a scuola, né al lavoro vivendo così in una condizione di vuoto a grandissimo rischio. Il dato cresce fino a 3,2 milioni se si apre la forbice fino ai 34 anni;
     i salari dei docenti delle scuole italiane sono tra i più bassi d'Europa. Secondo i dati Eurydice, che si riferiscono all'anno scolastico 2011-2012, un maestro in Italia guadagna al massimo 32.924 euro lordi, di media 26.359. In Gran Bretagna circa il 60 per cento in più. Un professore delle scuole medie guadagna all'anno da 24.131 euro a 36.157 (in media, 28.257). Un insegnante di liceo da 24.141 a 37.799 (la media è sotto i trentamila). Secondo il rapporto Education at a glance, lo stipendio di un docente italiano a fine carriera è di 4.000 dollari in meno rispetto alla media Ocse;
     nel sistema universitario, l'Italia coniuga tasse molto elevate (terza in Europa dopo UK e Paesi Bassi, che però vantano una spesa per studente quasi doppia) e il peggior sistema di diritto allo studio. Ottiene una borsa di studio solo il 7 per cento degli studenti, con 258 milioni di euro di fondi pubblici, contro il 25,6 per cento della Francia (1,6 miliardi), il 30 per cento della Germania (2 miliardi) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni). In 5 anni il nostro dato è calato (-11,2 per cento), mentre è aumentato negli altri paesi (Francia +25,9 per cento, Germania +18,6 per cento, Spagna +39 per cento);
    va poi evidenziata come vera e propria emergenza la situazione dell'edilizia scolastica nel nostro Paese. Oltre il 50 per cento dei 42 mila edifici in cui vivono milioni di studenti e di operatori scolastici non sarebbe a norma e diecimila di essi dovrebbero addirittura essere abbattuti. Non è inoltre stata ancora completata l'anagrafe dell'edilizia scolastica. Su questa emergenza verrà avviata un'indagine conoscitiva in Commissione VII;
    si condividono le linee programmatiche che la Ministra Maria Chiara Carrozza ha illustrato nel corso della seduta congiunta delle VII Commissione permanenti di Camera e Senato, in linea con l'Europa, che «le politiche per l'istruzione, l'università e la ricerca sono di rilevanza strategica per il Governo. In particolare, il livello di istruzione e formazione ha un legame diretto con il tasso di sviluppo economico di una certa popolazione e di un certo paese in un dato momento storico. Tale legame è sempre esistito ma appare oggi ancora più forte per il rapido diffondersi dei nuovi modelli organizzativi e dell'uso delle tecnologie»;
    si apprezzano gli impegni contenuti nelle predette linee programmatiche relativamente alla cooperazione istituzionale tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, nel quadro di una visione unitaria del sistema pubblico dell'istruzione, a partire dagli interventi urgenti sull'edilizia scolastica e alla piena attuazione dell'autonomia scolastica, al potenziamento e allo sviluppo dell'offerta formativa dalle sezione primavera alle scuole dell'infanzia, al tempo pieno e al tempo prolungato, all'istruzione superiore, all'alternanza scuola/lavoro e all'istruzione tecnica superiore, all'educazione degli adulti e all'educazione permanente, alle politiche per il personale con la valorizzazione professionale, la formazione in servizio, la stabilizzazione progressiva del personale precario e nuove norme di reclutamento per i giovani, l'avvio di un nuovo sistema di valutazione;
    secondo quanto previsto dai regolamenti attuativi delle riforme si sottolinea l'importanza di effettuare il monitoraggio sull'attuazione dei regolamenti ed in particolare per quanto riguarda i laboratori e la riduzione e l'accorpamento delle classi di concorso;
    si sottolineano anche gli impegni riferiti all'università, con particolare riferimento al ripristino di adeguati finanziamenti statali sia per le università che per la ricerca, insieme al definitivo sblocco delle assunzioni entro i limiti del bilancio degli atenei e degli enti di ricerca e il ripristino di livelli di autonomia responsabile degli atenei e degli enti;
    il settore dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica deve essere oggetto di un intervento diretto e urgente di riordino legislativo e di significativi investimenti finanziari con l'obiettivo di istituire un sistema unitario e integrato della formazione superiore post-secondaria che veda convivere con pari dignità e in pieno coordinamento tutte le istituzioni (università, politecnici, istituti universitari ad ordinamento speciale, accademie di belle arti, conservatori di musica, eccetera), ciascuna mantenendo la propria autonomia; in questo quadro vanno anche affrontati e risolti i delicati problemi degli istituti musicali pareggiati e quelli del personale del settore;
    si evidenzia inoltre la necessità di nuovi investimenti per il settore della cultura: i beni culturali italiani sono una risorsa insostituibile e non delocalizzabile del patrimonio del Paese. Una parte importante del patrimonio culturale del nostro Paese è costituito da biblioteche e archivi che conservano, racchiusi in preziose raccolte di volumi e fondi documentari di estrema importanza, la memoria storica e collettiva della nazione. Occorre adeguare agli standard europei il sostegno dato alle fondazioni e istituzioni culturali, agli istituti di cultura e alle riviste culturali;
    dare riconoscimento, dignità, diritti, certezze, ai professionisti della cultura e della creatività poiché le politiche attive per la cultura e la creatività rappresentano una delle condizioni indispensabili per uscire dalla crisi valorizzando un patrimonio trascurato;
    la produzione e l'industria dello spettacolo dal vivo e del cinema italiani sono da considerare strategici per la ripresa del Paese e necessitano di adeguatezza progettuale, sia in termini di finanziamento, sia in termini di programmazione e di politica di interventi;
    il Ministro Bray nel corso dell'audizione alla VII Commissione della Camera e del Senato, illustrando le sue linee programmatiche, ha indicato le nuove politiche culturali in discontinuità rispetto al passato ed ha opportunamente ribadito che: «la cultura è un bene comune e un diritto. La tutela, lo sviluppo e la diffusione dei beni, delle attività e dei valori della cultura si collocano necessariamente al centro degli obiettivi di crescita economica, civile e sociale del nostro Paese. La cultura costituisce un bene comune di straordinaria ricchezza e complessità, che in tutte le sue diverse manifestazioni deve essere protetto e potenziato»,

impegna il Governo

   a portare gradualmente l'investimento per l'istruzione e la formazione almeno al livello medio dei paesi Ocse (5,7 per cento del PIL), tornando ad investire sulla conoscenza per garantire a tutti pari opportunità di apprendimento e di educazione e per promuovere una nuova crescita economica dell'Italia;
   ad agire altresì attivando processi di miglioramento della qualità a partire dalle risorse interne della scuola e dell'università;
   a definire un piano pluriennale, utilizzando l'anagrafe dell'edilizia scolastica come strumento di analisi del sistema e di programmazione degli interventi, per la sicurezza, messa a norma, l'efficienza e l'ecosostenibilità energetica, l'abbattimento delle barriere architettoniche, la dotazione di infrastrutture digitali del patrimonio scolastico, concordato e cofinanziato tra lo Stato, le regioni e gli enti locali, anche prevedendo la deroga al Patto di stabilità; sostenere l'approvazione urgente della proposta di legge finalizzata a destinare una quota dell'otto per mille del gettito Irpef;
   ad attuare pienamente il percorso dell'autonomia scolastica in modo da rendere le scuole, nell'ambito del sistema nazionale unitario dell'istruzione, in grado di essere riconosciute anche in base ai parametri europei come vere istituzioni autonome, favorendo, secondo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, il raccordo con il territorio, gli enti locali, le associazioni di categoria, le università, gli enti di ricerca, i musei, le imprese, favorendo anche la formazione di reti di scuole. A tal fine risultando particolarmente importante l'attuazione dell'articolo 50 del decreto-legge n. 5 del 2012 con l'assegnazione, almeno triennale, dell'organico funzionale ad ogni istituzione scolastica, anche a livello di reti di scuole;
   a sostenere l'autonomia delle scuole attraverso una programmazione certa dei finanziamenti, attraverso la definizione di un budget triennale, l'erogazione annuale tempestiva di fondi e il ripristino del Fondo d'istituito e dei finanziamenti originariamente previsti dalla legge n. 440 del 1997;
   ad attivare, rafforzare e migliorare, nell'ottica della valorizzazione dell'autonomia scolastica, il sistema nazionale di valutazione, che affiancando e sostenendo le scuole possa consentire l'affermazione della cultura della valutazione e dell'autovalutazione, qualitativa e quantitativa, al fine di definire gli obiettivi, verificare i risultati, individuare le criticità e le azioni per migliorare i risultati, in modo da dare a tutti gli studenti le stesse opportunità di apprendimento e di successo scolastico;
   a potenziare il tempo pieno e il tempo prolungato nella scuola primaria e nella scuola secondaria di II grado e ad attuare pienamente l'obbligo scolastico a 16 anni e il diritto-dovere alla formazione fino a 18 anni;
   a continuare il rilancio dell'istruzione tecnica e professionale e l'alta formazione tecnica (ITS) con la realizzazione di programmi e progetti atti a facilitare l'alternanza scuola-lavoro, i tirocini e l'apprendistato, al fine di realizzare forme innovative e laboratori, attraverso un opportuno coordinamento tra istituti scolastici, imprese, enti locali e regioni, università ed enti di ricerca per favorire la crescita;
   a definire un piano pluriennale per l'immissione in ruolo del personale precario, per dare certezza e stabilità alle scuole, prevedendo la stabilizzazione dei posti attualmente vacanti e coperti con incarichi annuali compresi quelli destinati agli insegnanti di sostegno e quelli necessari per gli organici funzionali; parallelamente curare il reclutamento di giovani laureati, rivedendo e semplificando le modalità concorsuali e l'individuazione degli esaminatori;
   ad intervenire a favore dei lavoratori della scuola della cosiddetta «quota 96», favorendo per quanto di competenza un rapido iter della proposta di legge AC 249 già assegnata alla XI Commissione permanente della Camera, consentendo così nuove assunzioni e favorendo l'allineamento all'Europa per quanto riguarda l'età anagrafica dei docenti;
   a favorire per quanto di competenza un rapido iter della proposta di legge che modifica la norma, introdotta con la «spending review» (articolo 14, comma 13, legge 135 del 2012), definendo un piano per un adeguato utilizzo del personale inidoneo, tenendo conto delle effettive condizioni di salute e delle competenze acquisite nonché, per coloro che lo richiedono e hanno i requisiti applicare l'istituto della dispensa;
   a sviluppare il piano di innovazione digitale e di formazione del personale non solo docente delle scuole, senza il quale qualunque nuova apparecchiatura rischia di rimanere inutilizzata, indirizzo che va anche nella direzione di ridurre la dispersione scolastica, creando una didattica più laboratoriale e di introdurre nella scuola un utilizzo critico dei media;
   a elaborare un piano straordinario finalizzato a riconoscere il ruolo sociale e a dare il giusto valore al personale della scuola, a partire dagli insegnanti, avviando una nuova stagione con il rinnovo del contratto di lavoro sia con la previsione dell'aumento dei salari che con la definizione di incentivi legati alla professionalità e all'impegno profuso nel migliorare la qualità e la sperimentazione di innovazione della didattica, tale valorizzazione va collegata anche alla formazione in servizio, e a una rendicontazione sociale dei risultati;
   a sostenere il percorso di internazionalizzazione e di mobilità di studenti e del personale, nell'ottica dell'implementazione della strategia UE 2020 e finalizzato alla creazione di uno spazio europeo della conoscenza e della mobilità;
   a riprendere il percorso di riforma dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, seguendo la linea strategica indicata in premessa di istituire un sistema unitario e integrato di tutta la formazione superiore post-secondaria e affrontare e risolvere i delicati problemi degli istituti musicali pareggiati e del relativo personale;
   a ripristinare i 300 milioni di euro a valere sull'FFO delle università statali alle università e i 51 milioni agli enti di ricerca e comunque a varare un programma graduale di investimenti che porti l'Italia a rispettare gli obiettivi previsti dalla Strategia UE 2020;
   ad intervenire affinché siano sbloccati le assunzioni ed il turn over, entro un quadro di sostenibilità economica dei bilanci universitari e riequilibrando il personale tra le varie fasce docenti, garantendo possibilità di carriera a tutti coloro che lo meritano;
   a destinare al tema della contribuzione studentesca universitaria e del diritto allo studio universitario un'attenta e strategica riflessione complessiva e, di conseguenza, ad adottare un nuovo quadro organico di provvedimenti legislativi e di investimenti finanziari statali, allo scopo di sostenere gli studenti universitari capaci e meritevoli le cui famiglie non sono in grado di sostenere i costi di formazione superiore e di mantenimento agli studi affinché i loro talenti possano liberamente esplicarsi nei tempi, nei modi e nei luoghi da loro scelti e così si contribuisca a riattivare la mobilità sociale per rendere la società italiana più equa e fiduciosa;
   a migliorare il sistema di valutazione dell'università e della ricerca, a partire dal ruolo dell'ANVUR, semplificando i vincoli burocratici in direzione di una piena responsabilizzazione in tutte le istituzioni, da incentivare anche con opportuni finanziamenti premiali aggiuntivi rispetto a quelli ordinari;
   a perseguire l'obiettivo di portare progressivamente la spesa pubblica per la cultura ai livelli europei, considerando la cultura un investimento fondamentale per la crescita e lo sviluppo;
   ad avviare un piano di investimenti pluriennali per la tutela dei beni culturali non limitandosi ad interventi straordinari e urgenti;
   a individuare nel settore della cultura strumenti di programmazione certi che consentano un utilizzo più efficiente ed efficace delle risorse a partire dalla riorganizzazione dei finanziamenti straordinari;
   ad avviare una politica di monitoraggio della spesa pubblica e privata in ambito culturale in grado di quantificarne il volume e di definire qualità ed efficacia degli investimenti per la realizzazione della missione pubblica;
   a rilanciare il settore dei beni culturali, rendendo più stabili anche i contributi delle istituzioni di cultura tutelate dal Ministero che hanno un forte ruolo di riferimento per la ricerca e di formazione all'interno della società.
(1-00091) «Coscia, Centemero, Santerini, Ghizzoni, Ascani, Blazina, Bonafè, Bossa, Carocci, Coccia, D'Ottavio, La Marca, Malpezzi, Manzi, Malisani, Narduolo, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Raciti, Rampi, Rocchi, Zampa, Gelmini, Galan, Lainati, Longo, Palmieri, Petrenga, Abrignani, Capua, Molea, Vezzali, Biondelli, Antezza, Amoddio, Piccione».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


Risoluzione

   La Camera,
   al termine del dibattito sulla mozione relativa alle misure a sostegno della scuola, dell'università e della cultura,
   premesso che:
    appare indispensabile ed urgentissimo per la crescita e l'occupazione, ed anche per l'equità e l'inclusione sociale investire nei sistemi di istruzione e formazione anche, e soprattutto, in periodi di crisi economica per rispondere a sfide socioeconomiche essenziali garantendo investimenti efficienti nei sistemi di istruzione e formazione a tutti i livelli (dalla scuola materna all'insegnamento superiore), migliorare i risultati nel settore dell'istruzione in ciascun segmento (prescolastico, elementare, secondario, professionale e superiore);
    i tagli effettuati nella scuola hanno comportato, il ridimensionamento della rete scolastica, la riduzione del tempo pieno, una complessiva riduzione dei servizi e delle offerte formative fino a una grave carenza di risorse per l'ordinario funzionamento delle scuole e numerosi sono gli istituti sul territorio senza un preside, né un dirigente amministrativo unitamente all'incresciosa problematica dei presidi di scuola precari: in particolare è utile ricordare che la mancata risoluzione di tale problematica costerebbe al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca già 4 milioni di euro per il contenzioso dinanzi al giudice del lavoro;
    si ricorda poi la situazione drammatica in cui versa l'edilizia scolastica dove meno del 20 per cento degli edifici scolastici possiede il certificato di prevenzione incendi e il 30 per cento si trova in zone ad elevata sismicità ed in particolare al sud (come da rapporto di Cittadinanzattiva marzo 2013);
    a ciò si aggiunge l'inadeguatezza delle risorse, destinate alla valorizzazione dell'immenso patrimonio italiano dei beni culturali;
    il numero totale degli addetti alla ricerca pubblica nel nostro Paese è molto basso rispetto a qualsiasi paese avanzato e che registriamo un notevole gap generazionale con un vuoto che arriva fino ai 50 anni;
    la dote più importante di chi fa ricerca è la conoscenza, la quale permette di operare nei territori di frontiera della ricerca medesima, la graduale andata in pensione degli attuali portatori di conoscenza, senza che abbiano potuto trasferirla ai trentenni e quarantenni, che attualmente sono quasi inesistenti, è il danno più grave all'intero sistema di ricerca del nostro Paese;
    la qualità scientifica degli addetti alla ricerca risiede nella loro produzione scientifica internazionale e non nei finanziamenti ricevuti, la cui valutazione ex post non accerta la reale validità di quanto prodotto;
    si è verificato secondo i firmatari del presente atto il totale fallimento dei corsi di laurea 3+2;
    l'autonomia degli atenei non è stata fino ad oggi utilizzata per migliorare l'università ma nella stragrande maggioranza dei casi solo per gestire potere;
    i dottorati di ricerca sono la speranza del Paese per preparare i giovani con conoscenze di frontiera e che, invece, al momento, le scuole di dottorato sono massificate, eterogenee e con nessuna specificità culturale di frontiera e con pochissime borse a disposizione;
    si fa infine riferimento alle linee programmatiche esposte in audizione dall'onorevole Ministro Carrozza concernenti interventi per il personale della scuola e i precari previa elaborazione di un nuovo piano di assunzione per assicurarne l'assorbimento,

impegna il Governo

   ad intraprendere tutte le iniziative necessarie ad intervenire:
    1. per garantire gli investimenti al fine di migliorare i risultati in ogni segmento del settore dell'istruzione e della formazione;
    2. per affrontare la grave carenza di risorse per l'ordinario funzionamento delle scuole;
    3. per risolvere l'urgente problematica del precariato scolastico;
    4. per monitorare e rimodulare le risorse destinate all'edilizia scolastica, garantendo il completamento dell'Anagrafe scolastica entro il 2013;
    5. per rimpinguare principalmente i ranghi di esperti ricercatori 35-40 enni mediante concorsi nazionali;
    6. per creare un'anagrafe della produttività scientifica dei ricercatori tesa ad evidenziare i ricercatori scientificamente più produttivi a livello internazionale sulla base delle sole loro pubblicazioni scientifiche al fine di valorizzare principalmente chi produce con minor dispendio economico;
    7. per ridurre drasticamente il numero delle lauree triennali, fatte salve quelle che hanno dimostrato nel tempo la loro autonoma validità di mercato, al fine di riorganizzarle in corsi quinquennali veri e propri, rispetto gli attuali 3+2;
    8. per prevedere una normativa quadro rispetto alla autonomia degli atenei univoca e cogente per tutte le università, entro la quale ciascun ateneo possa esercitare il proprio diritto di azione.
(6-00013) «Di Lello, Di Gioia, Locatelli, Pastorelli».


MOZIONI MIGLIORE ED ALTRI N. 1-00045, LENZI ED ALTRI N. 1-00074, LOREFICE ED ALTRI N. 1-00078, BRUNETTA ED ALTRI N. 1-00079, RONDINI ED ALTRI N. 1-00080, BINETTI ED ALTRI N. 1-00081, TINAGLI ED ALTRI N. 1-00082, FORMISANO ED ALTRI N. 1-00087 E GIORGIA MELONI N. 1-00089 RELATIVE AL DIRITTO ALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA IN AMBITO MEDICO-SANITARIO

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese, in ambito medico-sanitario il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge riguardo: all'interruzione della gravidanza, laddove l'obiezione è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978; alla sperimentazione animale, dove l'obiezione di coscienza è disciplinata dalla legge n. 413 del 1993; alla procreazione medicalmente assistita, dove l'obiezione di coscienza viene prevista e disciplinata dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004;
    l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza da parte del personale sanitario in relazione all'interruzione volontaria di gravidanza riveste particolare importanza, per le sue ricadute socio-sanitarie sulle donne e sulla stessa funzionalità del servizio sanitario nazionale;
    l'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, riporta – tra l'altro – i dati definitivi sull'obiezione di coscienza esercitata da ginecologi, anestesisti e personale non medico nel 2010. I dati che emergono sono molto eloquenti e impongono ancora una volta, e con forza, una seria riflessione sulla garanzia e la qualità del servizio per l'interruzione della gravidanza disciplinata dalla legge n. 194 del 1978;
    la relazione dice che in Italia ben il 69,3 per cento dei ginecologi del servizio pubblico è obiettore di coscienza. In pratica, quasi sette medici ginecologi su dieci è obiettore. Se si analizzano i dati su base territoriale, si trova che, ad eccezione della Valle d'Aosta, dove i ginecologi obiettori sono solamente il 16,7 per cento, le percentuali regionali non scendono mai al di sotto del 51,5 per cento. I dati medi aggregati per Nord, Centro, Sud e Isole indicano percentuali di ginecologi obiettori di coscienza pari rispettivamente al 65,4 per cento, al 68,7 per cento, al 76,9 per cento e al 71,3 per cento. Il maggior numero di ginecologi obiettori si trova al Sud, con la punta più alta in Molise, dove si raggiunge l'85 per cento;
    i dati della relazione al Parlamento in realtà non riescono a fotografare lo stato reale della sua applicazione sul territorio nazionale, che risulta ben più grave di quella riferita dal Ministro pro tempore;
    si ricordano, in tal senso, i dati resi noti da Laiga (Libera associazione italiana dei ginecologi per l'applicazione della legge 194) il 14 giugno 2012 e risultanti da un attento monitoraggio dello stato di attuazione della legge nella regione Lazio, dai quali emerge una situazione reale ben più grave di quanto riportato nella relazione del Ministro pro tempore: nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 (esclusi gli ospedali religiosi che invocano una obiezione «di struttura» e le cliniche accreditate, la maggior parte delle quali ignora semplicemente il problema) non si eseguono interruzioni di gravidanza. Nella medesima regione ha posto obiezione di coscienza il 91,3 per cento dei ginecologi ospedalieri. In 3 province su 5 (Frosinone, Rieti, Viterbo) non è possibile eseguire aborti terapeutici, il che costringe le donne alla triste migrazione verso i pochi centri della capitale, sempre più congestionati, o in altre regioni, o all'estero;
    molte strutture ospedaliere, per garantire l'applicazione della legge, ricorrono a specialisti esterni convenzionati con il sistema sanitario ed assunti esclusivamente per le interruzioni di gravidanza (medici Sumai), o a medici «a gettone», con un significativo aggravio per il sistema sanitario nazionale;
    a livello nazionale, la principale conseguenza di un numero così elevato di obiettori di coscienza è quella di rendere sempre più difficoltosa la stessa applicazione della legge n. 194 del 1978, con effetti negativi sia per la funzionalità dei vari enti ospedalieri e, quindi, del sistema sanitario nazionale, sia per le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza;
    la drammaticità dello stato di applicazione della legge comporta l'allungamento dei tempi di attesa, con maggiori rischi per la salute delle donne e maggiori rischi professionali per i pochi non obiettori, costretti loro malgrado ad una cattiva pratica clinica;
    a fronte di questo stato «di emergenza» le donne devono spesso migrare da una regione all'altra o addirittura all'estero e, soprattutto tra le immigrate, risulta necessario il ricorso all'aborto clandestino;
    il diritto all'obiezione di coscienza in materia di aborto per il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie è sancito dall'articolo 9 della suddetta legge n. 194 del 1978, che, allo stesso tempo, prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate siano «tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale»;
    la legge n. 194 del 1978 prevede, quindi, scelte individuali e responsabilità pubbliche. L'obiezione di coscienza è, infatti, un diritto della persona, ma non della struttura;
    al personale sanitario viene garantito di poter sollevare l'obiezione di coscienza. Ma quel che è un diritto del singolo, non è un diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha, anzi, l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie;
    i dati sopra indicati sulle percentuali molto elevate di obiettori comportano, oltre che evidenti ricadute negative sulla stessa effettiva attuazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza e, quindi, sulle donne che rivendicano l'inviolabile libera scelta a farne ricorso, anche conseguenze oggettivamente pesanti sui sempre più pochi medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza, con il rischio più che concreto di una dequalificazione professionale e di conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera;
    il diritto della donna ad interrompere una gravidanza indesiderata e quello del personale sanitario a sollevare obiezione di coscienza dovrebbero poter convivere, affinché nessun soggetto veda negata la propria libertà. Di fatto, tale ipotesi trova estrema difficoltà nel realizzarsi per i numeri esorbitanti dei medici obiettori, che spesso si rifiutano anche di segnalare alle pazienti un medico non obiettore o un'altra struttura sanitaria autorizzata all'interruzione volontaria di gravidanza;
    dal 2009 l'Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato l'immissione in commercio del mifepristone, o RU486, per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, nel rispetto dei precetti normativi previsti dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978; tale articolo prevede che l'interruzione volontaria di gravidanza possa essere praticata in ospedali pubblici generali e specializzati e «case di cura autorizzate e presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati». L'articolo 8 non precisa il regime in cui deve essere praticata l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica (ricovero ordinario, day hospital, prestazione ambulatoriale). Il Ministro della salute pro tempore, in data 24 febbraio 2010, ha chiesto in proposito il parere del Consiglio superiore di sanità; il Consiglio superiore di sanità, nella seduta del 18 marzo 2010, ha individuato il ricovero ordinario come il regime più idoneo per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica;
    i dati riportati dalla letteratura internazionale, nonché i dati della regione Emilia-Romagna che ha adottato il regime di day hospital, non confermano la scelta e le raccomandazioni del Consiglio superiore di sanità; gli stessi dati del Ministero della salute sull'interruzione volontaria di gravidanza medica dicono che dal 2005 al 2011 circa 15 mila donne hanno scelto il metodo farmacologico e che il 76 per cento delle pazienti ha scelto la dimissione volontaria dopo la somministrazione del mifepristone, senza che vi siano state complicazioni maggiori rispetto alle donne che sono state ricoverate fino all'espulsione;
    risulta improrogabile la necessità di valorizzare e ridare piena centralità ai consultori, quale servizio per la rete di sostegno alla sessualità libera e alla procreazione responsabile. Come conferma anche l'ultima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, «nel tempo i consultori familiari non sono stati, nella maggior parte dei casi, potenziati né adeguatamente valorizzati. In diversi casi l'interesse intorno al loro operato è stato scarso ed ha avuto come conseguenza il mancato adeguamento delle risorse, della rete di servizi, degli organici, delle sedi»,

impegna il Governo:

   a garantire la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale nel pieno riconoscimento della libera scelta e del diritto alla salute delle donne, assumendo tutte le iniziative, nell'ambito delle proprie competenze;
   ad attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di assicurare, come prevede la legge, il reale ed efficiente espletamento, da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e degli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologica;
   a garantire il pieno rispetto della legge da parte di ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio), posto che solo a fronte di questo impegno può essere concesso l'accreditamento;
   ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia garantita come opzione a tutte le donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere;
   a promuovere il monitoraggio specifico regionale dell'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, anche praticata in day hospital, al fine di verificare la piena applicazione della legge, nonché ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia proposta come opzione alle donne che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere quale percorso intraprendere, fornendo alle medesime la piena conoscenza delle modalità e dei risultati emersi;
   ad assumere iniziative per costituire un tavolo tecnico di monitoraggio con gli assessori regionali per verificare la piena e corretta attuazione della legge n. 194 del 1978, con particolare riferimento agli articoli 5, 7 e 9, al fine di evitare ogni forma di discriminazione fra operatori sanitari, obiettori e non obiettori;
   anche ai fini di una maggiore trasparenza nel rapporto tra cittadini e medici di famiglia, ad assumere iniziative per mettere in condizione gli ordini provinciali dei medici chirurghi e degli odontoiatri di monitorare l'applicazione della legge n. 194 del 1978, anche in riferimento agli articoli 5, 7 e 9;
   ad assumere iniziative per valorizzare e ridare piena centralità ai consultori familiari, quale servizio fondamentale nell'attivare la rete di sostegno per la procreazione responsabile, nonché strutture assistenziali per l'attivazione del percorso per l'interruzione volontaria di gravidanza nel rispetto delle scelte e della salute delle donne;
   fermi restando l'obbligo di dispensazione dei farmaci e l'adeguata informazione degli utenti previsti dalla legislazione vigente, ad assumere iniziative affinché le competenti federazioni nazionali degli ordini professionali del personale sanitario si adoperino per garantire uniformità sul territorio nazionale in ordine agli indirizzi deontologici relativi all'esercizio dell'obiezione di coscienza.
(1-00045)
(Ulteriore nuova formulazione) «Migliore, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti, Rigoni».


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese, in ambito medico-sanitario il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge riguardo: all'interruzione della gravidanza, laddove l'obiezione è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978; alla sperimentazione animale, dove l'obiezione di coscienza è disciplinata dalla legge n. 413 del 1993; alla procreazione medicalmente assistita, dove l'obiezione di coscienza viene prevista e disciplinata dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004;
    l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza da parte del personale sanitario in relazione all'interruzione volontaria di gravidanza riveste particolare importanza, per le sue ricadute socio-sanitarie sulle donne e sulla stessa funzionalità del servizio sanitario nazionale;
    l'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, riporta – tra l'altro – i dati definitivi sull'obiezione di coscienza esercitata da ginecologi, anestesisti e personale non medico nel 2010. I dati che emergono sono molto eloquenti e impongono ancora una volta, e con forza, una seria riflessione sulla garanzia e la qualità del servizio per l'interruzione della gravidanza disciplinata dalla legge n. 194 del 1978;
    la relazione dice che in Italia ben il 69,3 per cento dei ginecologi del servizio pubblico è obiettore di coscienza. In pratica, quasi sette medici ginecologi su dieci è obiettore. Se si analizzano i dati su base territoriale, si trova che, ad eccezione della Valle d'Aosta, dove i ginecologi obiettori sono solamente il 16,7 per cento, le percentuali regionali non scendono mai al di sotto del 51,5 per cento. I dati medi aggregati per Nord, Centro, Sud e Isole indicano percentuali di ginecologi obiettori di coscienza pari rispettivamente al 65,4 per cento, al 68,7 per cento, al 76,9 per cento e al 71,3 per cento. Il maggior numero di ginecologi obiettori si trova al Sud, con la punta più alta in Molise, dove si raggiunge l'85 per cento;
    i dati della relazione al Parlamento in realtà non riescono a fotografare lo stato reale della sua applicazione sul territorio nazionale, che risulta ben più grave di quella riferita dal Ministro pro tempore;
    si ricordano, in tal senso, i dati resi noti da Laiga (Libera associazione italiana dei ginecologi per l'applicazione della legge 194) il 14 giugno 2012 e risultanti da un attento monitoraggio dello stato di attuazione della legge nella regione Lazio, dai quali emerge una situazione reale ben più grave di quanto riportato nella relazione del Ministro pro tempore: nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31 (esclusi gli ospedali religiosi che invocano una obiezione «di struttura» e le cliniche accreditate, la maggior parte delle quali ignora semplicemente il problema) non si eseguono interruzioni di gravidanza. Nella medesima regione ha posto obiezione di coscienza il 91,3 per cento dei ginecologi ospedalieri. In 3 province su 5 (Frosinone, Rieti, Viterbo) non è possibile eseguire aborti terapeutici, il che costringe le donne alla triste migrazione verso i pochi centri della capitale, sempre più congestionati, o in altre regioni, o all'estero;
    molte strutture ospedaliere, per garantire l'applicazione della legge, ricorrono a specialisti esterni convenzionati con il sistema sanitario ed assunti esclusivamente per le interruzioni di gravidanza (medici Sumai), o a medici «a gettone», con un significativo aggravio per il sistema sanitario nazionale;
    a livello nazionale, la principale conseguenza di un numero così elevato di obiettori di coscienza è quella di rendere sempre più difficoltosa la stessa applicazione della legge n. 194 del 1978, con effetti negativi sia per la funzionalità dei vari enti ospedalieri e, quindi, del sistema sanitario nazionale, sia per le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza;
    la drammaticità dello stato di applicazione della legge comporta l'allungamento dei tempi di attesa, con maggiori rischi per la salute delle donne e maggiori rischi professionali per i pochi non obiettori, costretti loro malgrado ad una cattiva pratica clinica;
    a fronte di questo stato «di emergenza» le donne devono spesso migrare da una regione all'altra o addirittura all'estero e, soprattutto tra le immigrate, risulta necessario il ricorso all'aborto clandestino;
    il diritto all'obiezione di coscienza in materia di aborto per il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie è sancito dall'articolo 9 della suddetta legge n. 194 del 1978, che, allo stesso tempo, prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate siano «tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale»;
    la legge n. 194 del 1978 prevede, quindi, scelte individuali e responsabilità pubbliche. L'obiezione di coscienza è, infatti, un diritto della persona, ma non della struttura;
    al personale sanitario viene garantito di poter sollevare l'obiezione di coscienza. Ma quel che è un diritto del singolo, non è un diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha, anzi, l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie;
    i dati sopra indicati sulle percentuali molto elevate di obiettori comportano, oltre che evidenti ricadute negative sulla stessa effettiva attuazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza e, quindi, sulle donne che rivendicano l'inviolabile libera scelta a farne ricorso, anche conseguenze oggettivamente pesanti sui sempre più pochi medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza, con il rischio più che concreto di una dequalificazione professionale e di conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera;
    il diritto della donna ad interrompere una gravidanza indesiderata e quello del personale sanitario a sollevare obiezione di coscienza dovrebbero poter convivere, affinché nessun soggetto veda negata la propria libertà. Di fatto, tale ipotesi trova estrema difficoltà nel realizzarsi per i numeri esorbitanti dei medici obiettori, che spesso si rifiutano anche di segnalare alle pazienti un medico non obiettore o un'altra struttura sanitaria autorizzata all'interruzione volontaria di gravidanza;
    dal 2009 l'Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato l'immissione in commercio del mifepristone, o RU486, per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, nel rispetto dei precetti normativi previsti dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978; tale articolo prevede che l'interruzione volontaria di gravidanza possa essere praticata in ospedali pubblici generali e specializzati e «case di cura autorizzate e presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati». L'articolo 8 non precisa il regime in cui deve essere praticata l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica (ricovero ordinario, day hospital, prestazione ambulatoriale). Il Ministro della salute pro tempore, in data 24 febbraio 2010, ha chiesto in proposito il parere del Consiglio superiore di sanità; il Consiglio superiore di sanità, nella seduta del 18 marzo 2010, ha individuato il ricovero ordinario come il regime più idoneo per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica;
    i dati riportati dalla letteratura internazionale, nonché i dati della regione Emilia-Romagna che ha adottato il regime di day hospital, non confermano la scelta e le raccomandazioni del Consiglio superiore di sanità; gli stessi dati del Ministero della salute sull'interruzione volontaria di gravidanza medica dicono che dal 2005 al 2011 circa 15 mila donne hanno scelto il metodo farmacologico e che il 76 per cento delle pazienti ha scelto la dimissione volontaria dopo la somministrazione del mifepristone, senza che vi siano state complicazioni maggiori rispetto alle donne che sono state ricoverate fino all'espulsione;
    risulta improrogabile la necessità di valorizzare e ridare piena centralità ai consultori, quale servizio per la rete di sostegno alla sessualità libera e alla procreazione responsabile. Come conferma anche l'ultima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, «nel tempo i consultori familiari non sono stati, nella maggior parte dei casi, potenziati né adeguatamente valorizzati. In diversi casi l'interesse intorno al loro operato è stato scarso ed ha avuto come conseguenza il mancato adeguamento delle risorse, della rete di servizi, degli organici, delle sedi»,

impegna il Governo:

   a garantire la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale nel pieno riconoscimento della libera scelta e del diritto alla salute delle donne, assumendo tutte le iniziative, nell'ambito delle proprie competenze;
   ad attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di assicurare, come prevede la legge, il reale ed efficiente espletamento, da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e degli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologica;
   a garantire il pieno rispetto della legge da parte di ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio), posto che solo a fronte di questo impegno può essere concesso l'accreditamento;
   ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia garantita come opzione a tutte le donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere;
   a promuovere il monitoraggio specifico regionale dell'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, anche praticata in day hospital, al fine di verificare la piena applicazione della legge, nonché ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia proposta come opzione alle donne che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere quale percorso intraprendere, fornendo alle medesime la piena conoscenza delle modalità e dei risultati emersi;
   ad assumere iniziative per costituire un tavolo tecnico di monitoraggio con gli assessori regionali per verificare la piena e corretta attuazione della legge n. 194 del 1978, con particolare riferimento agli articoli 5, 7 e 9, al fine di evitare ogni forma di discriminazione fra operatori sanitari, obiettori e non obiettori anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale garantendo la presenza di un'adeguata rete di servizi in ogni regione;
   anche ai fini di una maggiore trasparenza nel rapporto tra cittadini e medici di famiglia, ad assumere iniziative per mettere in condizione gli ordini provinciali dei medici chirurghi e degli odontoiatri di monitorare l'applicazione della legge n. 194 del 1978, anche in riferimento agli articoli 5, 7 e 9;
   ad assumere iniziative per valorizzare e ridare piena centralità ai consultori familiari, quale servizio fondamentale nell'attivare la rete di sostegno per la procreazione responsabile, nonché strutture assistenziali per l'attivazione del percorso per l'interruzione volontaria di gravidanza nel rispetto delle scelte e della salute delle donne;
   fermi restando l'obbligo di dispensazione dei farmaci e l'adeguata informazione degli utenti previsti dalla legislazione vigente, ad assumere iniziative affinché le competenti federazioni nazionali degli ordini professionali del personale sanitario si adoperino per garantire uniformità sul territorio nazionale in ordine agli indirizzi deontologici relativi all'esercizio dell'obiezione di coscienza.
(1-00045)
(Testo modificato nel corso della seduta) (Ulteriore nuova formulazione) «Migliore, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti, Rigoni».


   La Camera,
   premesso che:
    come si rileva dalle relazioni annuali sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, quest'ultima, nei suoi ormai trentacinque anni di attuazione, ha dato buoni risultati e il nostro Paese ha visto una progressiva riduzione del ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza. Nel 2011 sono state effettuate 109.538 interruzioni volontarie di gravidanza con un decremento del 5,6 per cento rispetto al 2010 e un decremento del 53,3 per cento rispetto al 1982, mentre il tasso di abortività per donna è calato all'8,3 per mille donne in età feconda dal 16,9 per mille del 1983;
    l'applicazione della legge ha trovato però recentemente un ostacolo nel sempre maggior ricorso all'obiezione di coscienza del personale sanitario. Infatti, dall'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, si evince che: «a livello nazionale, per i ginecologi, si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008, al 70,7 per cento del 2009 e al 69,3 per cento nel 2010; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 50,8 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,7 per cento nel 2010. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85,7 per cento in Molise, 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 81,3 per cento a Bolzano e 80,6 per cento in Sicilia. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più di 75 per cento in Molise e Campania e 78,1 per cento in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e in Valle d'Aosta (26,3 per cento). Per il personale non medico i valori sono più bassi e presentano una maggiore variabilità, con un massimo di 86,9 per cento in Sicilia e 79,4 per cento in Calabria»;
    tre regioni (Campania, Molise e Basilicata) hanno segnalato la riduzione dei servizi effettivi relativi all'interruzione volontaria di gravidanza;
    una tale situazione porta a ritenere che il clima lavorativo non sia favorevole al medico non obiettore e che, sui pochi che non obiettano, gravino carichi pesanti di lavoro tali da favorire una sempre maggior tendenza all'obiezione, fino alla definitiva chiusura del servizio con la grave conseguenza che le donne si devono rivolgere a strutture estere, all'uso dei farmaci non legali e all'aborto clandestino con grave pregiudizio per la loro salute. Queste sono le situazioni che la legge n. 194 del 1978 si proponeva di combattere;
    vale la pena ricordare che l'obiezione di coscienza è prevista all'articolo 9 della legge n. 194 del 1978: «Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione»; al terzo comma si precisa che: «l'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento»;
    lo stesso articolo stabilisce, però, al quarto comma che: «Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale»;
    la stessa legge n. 194 del 1978, quindi, distingue tra diritto del singolo all'obiezione e diritto della donna alla libera scelta in materia di procreazione, e tra diritto del singolo ad obiettare ad una legge dello Stato e obbligo per lo Stato di dare attuazione al servizio previsto;
    sul tema dell'obiezione di coscienza, istituto che risale nella sua prima applicazione al diritto ad obiettare al servizio militare, si è recentemente espresso il Comitato nazionale di bioetica. Il Comitato nel suo parere del 30 luglio 2012 così conclude:
   a) l'obiezione di coscienza in bioetica è costituzionalmente fondata (con riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo) e va esercitata in modo sostenibile; essa costituisce un diritto della persona e un'istituzione democratica necessaria a tenere vivo il senso della problematicità riguardo ai limiti della tutela dei diritti inviolabili; quando l'obiezione di coscienza inerisce a un'attività professionale, concorre ad impedire una definizione autoritaria ex lege delle finalità proprie della stessa attività professionale;
   b) la tutela dell'obiezione di coscienza, per la sua stessa sostenibilità nell'ordinamento giuridico, non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge, né indebolire i vincoli di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza al corpo sociale;
    su queste basi il Comitato nazionale di bioetica propone le seguenti raccomandazioni:
   a) nel riconoscere la tutela dell'obiezione di coscienza nelle ipotesi in cui viene in considerazione in bioetica, la legge deve prevedere misure adeguate a garantire l'erogazione dei servizi, eventualmente individuando un responsabile degli stessi;
   b) l'obiezione di coscienza in bioetica deve essere disciplinata in modo tale da non discriminare né gli obiettori né i non obiettori e, quindi, non far gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, servizi particolarmente gravosi o poco qualificanti;
   c) a tal fine, si raccomanda la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'obiezione di coscienza viene esercitata, che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori. Controlli di norma a posteriori dovrebbero inoltre accertare che l'obiettore non svolga attività incompatibili con quella a cui ha fatto obiezione;
    una compiuta applicazione della legge deve tener conto di fenomeni nuovi rilevanti, quali la presenza delle donne immigrate da altri paesi: ad oggi, il 34,2 per cento delle donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza sono immigrate;
    le donne immigrate tendono a ricorrere più facilmente all'aborto clandestino per la minor conoscenza dei loro diritti. Si pensi, ad esempio, all'importanza di un'adeguata informazione sulla possibilità di non riconoscere il bambino alla nascita o a quanto incide sulle scelte il timore di accedere a una struttura pubblica quando non si ha un regolare permesso di soggiorno;
    la relazione annuale sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 ha messo in luce come sia importante sviluppare un'adeguata campagna di prevenzione nei confronti di questa utenza e come essa debba basarsi sullo sviluppo e l'adeguamento ai nuovi bisogni della rete consultoriale, servizi a bassa soglia di accesso a cui già ora le donne immigrate tendono a rivolgersi in misura prevalente (il 53 per cento delle donne immigrate che hanno praticato l'interruzione volontaria di gravidanza si sono rivolte a un consultorio);
    dal 2005, prima in fase sperimentale realizzata all'ospedale Sant'Anna di Torino, poi con l'importazione diretta adottata in sei regioni (tra cui Toscana, Emilia Romagna, Puglia, Marche e Provincia autonoma di Trento) ed infine nel 2009, con l'autorizzazione in commercio da parte dell'Agenzia italiana del farmaco, vi è la possibilità di somministrare il mifepristone o RU486 per l'interruzione volontaria della gravidanza in regime di ricovero ordinario;
    secondo la nota «Interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine. Anni 2010-2011» del Ministero della salute, pubblicata il 28 febbraio 2013, si è passati dai 132 casi del 2005 (solo Toscana e Piemonte utilizzavano tale metodo) ai 7432 casi del 2011;
    tale incremento non è però omogeneo su tutto il territorio nazionale, basti pensare che nel 2011 nella regione Marche tale farmaco non è mai stato usato, mentre in Emilia Romagna ci sono stati 1717 casi, in Piemonte 1273 e nel Lazio solo 352,

impegna il Governo:

   a dare piena attuazione alla legge n. 194 del 1978 nel rispetto del diritto del singolo all'obiezione di coscienza;
   a predisporre, nei limiti delle proprie competenze, tutte le iniziative necessarie affinché nell'organizzazione dei sistemi sanitari regionali si attui il quarto comma dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, nella parte in cui si prevede l'obbligo di controllare e garantire l'attuazione del diritto della donna alla scelta libera e consapevole, anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale, garantendo la presenza di un'adeguata rete di servizi sul territorio in ogni regione;
   a promuovere un'equa diffusione della presenza sul territorio nazionale dei consultori familiari quale struttura socio-sanitaria in grado di aiutare la donna nella sua difficile scelta e strumento essenziale per le politiche di prevenzione e di promozione della maternità/paternità libera e consapevole, tenendo conto della necessità di rivolgersi anche alle donne immigrate da altri paesi;
   ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia proposta come opzione alle donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere quale percorso intraprendere;
   a promuovere, d'intesa con le autorità scolastiche, attività di informazione ed educazione alla salute nelle scuole, con particolare riferimento alle problematiche connesse alla tutela della salute sessuale e riproduttiva anche in collaborazione con la rete dei consultori;
   a presentare al più presto la relazione annuale al Parlamento così come prevista dalla legge n. 194 del 1978.
(1-00074)
(Nuova formulazione)  «Lenzi, Speranza, Bellanova, Sbrollini, Argentin, Beni, Carnevali, D'Incecco, Marzano, Miotto, Murer, Iori, Scuvera, Giuliani, Roberta Agostini, Martella».
(11 giugno 2013)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    come si rileva dalle relazioni annuali sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, quest'ultima, nei suoi ormai trentacinque anni di attuazione, ha dato buoni risultati e il nostro Paese ha visto una progressiva riduzione del ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza. Nel 2011 sono state effettuate 109.538 interruzioni volontarie di gravidanza con un decremento del 5,6 per cento rispetto al 2010 e un decremento del 53,3 per cento rispetto al 1982, mentre il tasso di abortività per donna è calato all'8,3 per mille donne in età feconda dal 16,9 per mille del 1983;
    l'applicazione della legge ha trovato però recentemente un ostacolo nel sempre maggior ricorso all'obiezione di coscienza del personale sanitario. Infatti, dall'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, si evince che: «a livello nazionale, per i ginecologi, si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008, al 70,7 per cento del 2009 e al 69,3 per cento nel 2010; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 50,8 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,7 per cento nel 2010. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85,7 per cento in Molise, 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 81,3 per cento a Bolzano e 80,6 per cento in Sicilia. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più di 75 per cento in Molise e Campania e 78,1 per cento in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e in Valle d'Aosta (26,3 per cento). Per il personale non medico i valori sono più bassi e presentano una maggiore variabilità, con un massimo di 86,9 per cento in Sicilia e 79,4 per cento in Calabria»;
    tre regioni (Campania, Molise e Basilicata) hanno segnalato la riduzione dei servizi effettivi relativi all'interruzione volontaria di gravidanza;
    una tale situazione porta a ritenere che il clima lavorativo non sia favorevole al medico non obiettore e che, sui pochi che non obiettano, gravino carichi pesanti di lavoro tali da favorire una sempre maggior tendenza all'obiezione, fino alla definitiva chiusura del servizio con la grave conseguenza che le donne si devono rivolgere a strutture estere, all'uso dei farmaci non legali e all'aborto clandestino con grave pregiudizio per la loro salute. Queste sono le situazioni che la legge n. 194 del 1978 si proponeva di combattere;
    vale la pena ricordare che l'obiezione di coscienza è prevista all'articolo 9 della legge n. 194 del 1978: «Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione»; al terzo comma si precisa che: «l'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento»;
    lo stesso articolo stabilisce, però, al quarto comma che: «Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale»;
    la stessa legge n. 194 del 1978, quindi, distingue tra diritto del singolo all'obiezione e diritto della donna alla libera scelta in materia di procreazione, e tra diritto del singolo ad obiettare ad una legge dello Stato e obbligo per lo Stato di dare attuazione al servizio previsto;
    sul tema dell'obiezione di coscienza, istituto che risale nella sua prima applicazione al diritto ad obiettare al servizio militare, si è recentemente espresso il Comitato nazionale di bioetica. Il Comitato nel suo parere del 30 luglio 2012 così conclude:
   a) l'obiezione di coscienza in bioetica è costituzionalmente fondata (con riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo) e va esercitata in modo sostenibile; essa costituisce un diritto della persona e un'istituzione democratica necessaria a tenere vivo il senso della problematicità riguardo ai limiti della tutela dei diritti inviolabili; quando l'obiezione di coscienza inerisce a un'attività professionale, concorre ad impedire una definizione autoritaria ex lege delle finalità proprie della stessa attività professionale;
   b) la tutela dell'obiezione di coscienza, per la sua stessa sostenibilità nell'ordinamento giuridico, non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge, né indebolire i vincoli di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza al corpo sociale;
    su queste basi il Comitato nazionale di bioetica propone le seguenti raccomandazioni:
   a) nel riconoscere la tutela dell'obiezione di coscienza nelle ipotesi in cui viene in considerazione in bioetica, la legge deve prevedere misure adeguate a garantire l'erogazione dei servizi, eventualmente individuando un responsabile degli stessi;
   b) l'obiezione di coscienza in bioetica deve essere disciplinata in modo tale da non discriminare né gli obiettori né i non obiettori e, quindi, non far gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, servizi particolarmente gravosi o poco qualificanti;
   c) a tal fine, si raccomanda la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'obiezione di coscienza viene esercitata, che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori. Controlli di norma a posteriori dovrebbero inoltre accertare che l'obiettore non svolga attività incompatibili con quella a cui ha fatto obiezione;
    una compiuta applicazione della legge deve tener conto di fenomeni nuovi rilevanti, quali la presenza delle donne immigrate da altri paesi: ad oggi, il 34,2 per cento delle donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza sono immigrate;
    le donne immigrate tendono a ricorrere più facilmente all'aborto clandestino per la minor conoscenza dei loro diritti. Si pensi, ad esempio, all'importanza di un'adeguata informazione sulla possibilità di non riconoscere il bambino alla nascita o a quanto incide sulle scelte il timore di accedere a una struttura pubblica quando non si ha un regolare permesso di soggiorno;
    la relazione annuale sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 ha messo in luce come sia importante sviluppare un'adeguata campagna di prevenzione nei confronti di questa utenza e come essa debba basarsi sullo sviluppo e l'adeguamento ai nuovi bisogni della rete consultoriale, servizi a bassa soglia di accesso a cui già ora le donne immigrate tendono a rivolgersi in misura prevalente (il 53 per cento delle donne immigrate che hanno praticato l'interruzione volontaria di gravidanza si sono rivolte a un consultorio);
    dal 2005, prima in fase sperimentale realizzata all'ospedale Sant'Anna di Torino, poi con l'importazione diretta adottata in sei regioni (tra cui Toscana, Emilia Romagna, Puglia, Marche e Provincia autonoma di Trento) ed infine nel 2009, con l'autorizzazione in commercio da parte dell'Agenzia italiana del farmaco, vi è la possibilità di somministrare il mifepristone o RU486 per l'interruzione volontaria della gravidanza in regime di ricovero ordinario;
    secondo la nota «Interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine. Anni 2010-2011» del Ministero della salute, pubblicata il 28 febbraio 2013, si è passati dai 132 casi del 2005 (solo Toscana e Piemonte utilizzavano tale metodo) ai 7432 casi del 2011;
    tale incremento non è però omogeneo su tutto il territorio nazionale, basti pensare che nel 2011 nella regione Marche tale farmaco non è mai stato usato, mentre in Emilia Romagna ci sono stati 1717 casi, in Piemonte 1273 e nel Lazio solo 352,

impegna il Governo:

   a dare piena attuazione alla legge n. 194 del 1978 nel rispetto del diritto del singolo all'obiezione di coscienza;
   a predisporre, nei limiti delle proprie competenze, tutte le iniziative necessarie affinché nell'organizzazione dei sistemi sanitari regionali si attui il quarto comma dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, nella parte in cui si prevede l'obbligo di controllare e garantire l'attuazione del diritto della donna alla scelta libera e consapevole, anche attraverso una diversa gestione e mobilità del personale, garantendo la presenza di un'adeguata rete di servizi sul territorio in ogni regione;
   a promuovere un'equa diffusione della presenza sul territorio nazionale dei consultori familiari quale struttura socio-sanitaria in grado di aiutare la donna nella sua difficile scelta e strumento essenziale per le politiche di prevenzione e di promozione della maternità/paternità libera e consapevole, tenendo conto della necessità di rivolgersi anche alle donne immigrate da altri paesi;
   ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia proposta come opzione alle donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter scegliere quale percorso intraprendere fornendo alle medesime la previa conoscenza delle modalità e dei rischi connessi;
   a promuovere, d'intesa con le autorità scolastiche, attività di informazione ed educazione alla salute nelle scuole, con particolare riferimento alle problematiche connesse alla tutela della salute sessuale e riproduttiva anche in collaborazione con la rete dei consultori;
   a presentare al più presto la relazione annuale al Parlamento così come prevista dalla legge n. 194 del 1978.
(1-00074)
(Testo modificato nel corso della seduta) (Nuova formulazione)  «Lenzi, Speranza, Bellanova, Sbrollini, Argentin, Beni, Carnevali, D'Incecco, Marzano, Miotto, Murer, Iori, Scuvera, Giuliani, Roberta Agostini, Martella».
(11 giugno 2013)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    il 7 ottobre 2010 l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha approvato la risoluzione n. 1763 in materia di obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche;
    nella citata risoluzione si indicava, oltre alla necessità di garantire l'obiezione di coscienza per l'operatore sanitario:
   a) la necessità di garantire che le donne possano accedere ai servizi con tempestività;
   b) la preoccupazione che l'obiezione di coscienza potesse danneggiare le donne meno abbienti;
   c) la necessità di contemperare sia la garanzia dell'accesso alle cure mediche e la tutela della salute delle donne che la garanzia di libertà di coscienza degli operatori sanitari;
    appare di tutta evidenza che, pur nel diritto di obiezione di coscienza, si debba assicurare che le pazienti siano informate per tempo di eventuali obiezioni, in modo da poter essere indirizzate a un altro operatore sanitario che non abbia fatto la scelta di obiezione di coscienza;
    vanno, altresì, garantiti alle pazienti i trattamenti appropriati, in particolare nei casi di emergenza ma anche nelle fasi pre e post intervento di interruzione della gravidanza;
    in Italia in ambito medico-sanitario il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge e i settori in cui trova applicazione vanno dall'interruzione della gravidanza che è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, alla sperimentazione animale, prevista dalla legge n. 413 del 1993, fino alla procreazione medicalmente assistita, come prevista dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004;
    relativamente all'interruzione volontaria di gravidanza il Ministero della salute afferma che l'obiezione di coscienza è esercitata in Italia da oltre il 70 per cento dei ginecologi nel servizio pubblico, mentre sono obiettori di coscienza oltre il 50 per cento degli anestesisti e oltre il 44,4 per cento per il personale non medico;
    è nelle regioni meridionali che si registra il dato più alto relativo agli obiettori di coscienza, solo tra i ginecologi risultano essere obiettori almeno 8 obiettori su 10;
    è di tutta evidenza che con un numero così elevato di ginecologi e operatori sanitari obiettori di coscienza appare problematica l'applicazione della legge n. 194 del 1978, con ricadute pesanti sulle donne che sono costrette alla ricerca di non obiettori o addirittura alla migrazione in altre regioni;
    sono stati oggetto di ricorsi al giudice anche casi nei quali l'obiezione di coscienza si è spinta fino al negare l'assistenza nelle fasi pre e post interruzione di gravidanza;
    casi sui quali è intervenuta la Corte di cassazione con la sentenza n. 14979 del 2 aprile 2013, che ha confermato la condanna ad un anno di carcere per omissione in atti d'ufficio con interdizione dell'esercizio della professione medica nei confronti di una dottoressa di un presidio ospedaliero che si era rifiutata di visitare una donna che, a seguito di interruzione volontaria di gravidanza, correva il rischio di un'emorragia, nonostante le richieste dell'ostetrica e dell'ordine di servizio avuto dal primario;
    il comma 3 dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978 esclude dall'obiezione l'assistenza antecedente e conseguente all'interruzione volontaria di gravidanza;
    si assiste anche a casi nei quali l'obiezione di coscienza da singola si trasforma in obiezione di coscienza della struttura, quando una struttura ha al suo interno personale esclusivamente obiettore; questo crea ulteriori difficoltà, in una situazione già difficile di per sé, alla donna nel suo diritto all'interruzione di gravidanza; si tratta di un'obiezione di struttura inaccettabile, in particolare in strutture che sono convenzionate con il sistema sanitario nazionale; in tali casi sarebbe opportuno intervenire sulle strutture «obiettrici» al fine di chiedere che sia presente anche personale non obiettore e, se persiste la situazione, occorrerebbe escludere tale struttura da qualsiasi convenzione pubblica;
    l'articolo 9 della legge n. 194 del 1978 prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza; va, quindi, ulteriormente affermato che l'obiezione di coscienza è un diritto della persona ma non della struttura;
    appare necessario procedere all'istituzione di un registro nazionale degli obiettori di coscienza e prevedere contestualmente che sul tesserino dell'ordine dei medici sia apposta la dicitura «obiettore di coscienza»;
    la crescita in questi anni del numero degli obiettori ha determinato la chiusura dei servizi, con ospedali privi di reparti di interruzione di gravidanza, perché praticamente la totalità di ginecologi, anestesisti e paramedici ha scelto l'obiezione di coscienza,

impegna il Governo

   a garantire il rispetto della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, e in particolare quanto previsto dall'articolo 9, nonché la sua piena applicazione, a tutela dei diritti e della salute delle donne;
   ad assumere iniziative con le amministrazioni regionali allo scopo di istituire tavoli di monitoraggio a livello locale, anche con la partecipazione di rappresentanti di associazioni per la tutela della salute delle donne, per verificare l'attuazione della legge n. 194 del 1978, allo scopo di avere dati periodici e certi, in particolare sul numero dei consultori sul territorio, nelle loro attività, sulla formazione degli operatori presenti nei consultori, nelle strutture ospedaliere che effettuano interruzione volontaria di gravidanza, sul numero di operatori coinvolti nell'interruzione volontaria di gravidanza per ogni struttura ospedaliera, sul numero delle strutture nelle quali non si effettuano attività di interruzione volontaria di gravidanza.
(1-00078)
(Nuova formulazione) «Lorefice, Baroni, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Silvia Giordano, Grillo, Mantero, Manlio Di Stefano, Fantinati, Castelli, Colonnese, Busto, Artini, Villarosa».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese, in ambito medico-sanitario, il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge riguardo:
     a) all'interruzione della gravidanza, laddove l'obiezione è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978;
     b) alla sperimentazione animale, dove l'obiezione di coscienza è disciplinata dalla legge n. 413 del 1993;
     c) alla procreazione medicalmente assistita, dove l'obiezione di coscienza viene prevista e disciplinata dall'articolo 16 della legge n. 40 del 2004;
    l'obiezione di coscienza è costituzionalmente fondata, con riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo, così come ha riconosciuto recentemente il Comitato nazionale di bioetica, organo consultivo della Presidenza del Consiglio dei ministri, nel parere «obiezione di coscienza e bioetica», approvato il 12 luglio 2012;
    la risoluzione 1763 del 2010 dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, «The right of conscientious objection in lawful medical care», afferma che: nessuna persona, ospedale o istituzione deve essere costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo per il rifiuto a eseguire, accogliere, assistere o sottoporsi a un aborto, all'esecuzione di un aborto spontaneo umano, o all'eutanasia o a qualsiasi atto che potrebbe causare, per qualsiasi ragione, la morte di un feto o di un embrione umano;
    i dati raccolti in modo capillare nelle regioni e presentati al Parlamento nella relazione annuale sull'attuazione della legge n. 194 del 1978 sono attendibili, completi ed esaustivi. Questi dati evidenziano una continua e costante diminuzione del ricorso delle donne all'aborto nel nostro Paese, attraverso tutti gli indicatori utilizzati. In particolare, dall'ultima relazione, presentata al Parlamento il 9 ottobre 2012, i dati preliminari relativi al 2011 mostrano un tasso di abortività (numero delle interruzioni volontarie di gravidanza per 1.000 donne in età feconda tra 15-49 anni, cioè l'indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza), nel 2011 pari al 7,8 per mille, un valore fra i più bassi a livello internazionale. Dalle relazioni sull'attuazione della legge n. 194 del 1978 si desume anche che per le minorenni il tasso di abortività in Italia è considerevolmente inferiore rispetto a quanto registrato negli altri Paesi, così come è minore l'abortività ripetuta;
    sempre dal confronto dei dati presentati nelle relazioni al Parlamento si evince che alla costante e continua diminuzione del numero di interruzioni volontarie di gravidanza corrisponde un aumento molto meno significativo del numero di obiettori di coscienza, sostanzialmente stabile negli ultimi anni;
    dalle cifre riportate nelle relazioni annuali sull'attuazione della legge n. 194 del 1978 non sembra esistere alcuna correlazione fra numero di obiettori di coscienza e tempi di attesa delle donne che chiedono l'interruzione volontaria di gravidanza. Appare chiaro, invece, che le modalità di accesso all'aborto dipendono dal livello e dalle scelte di organizzazione del servizio sanitario nelle singole regioni. Sulla base dei dati disponibili si può notare come in alcune regioni all'aumentare degli obiettori di coscienza diminuiscano i tempi di attesa delle donne e, viceversa, in altre regioni, al diminuire del numero di obiettori, addirittura aumentino i tempi di attesa. Si considerino, ad esempio, gli anni dal 2006 al 2009, un triennio in cui gli obiettori sono in aumento, dal 69,2 al 70,7 per cento. La percentuale di donne che aspetta meno di una settimana (oltre la settimana di riflessione prevista per legge) è aumentata, dal 56,7 per cento al 59,3 per cento, il che significa che l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza è migliorato. Al tempo stesso, diminuisce la percentuale di donne (dal 12,4 per cento all'11,1 per cento) che aspetta da 22 a 28 giorni. Confrontando, sempre nello stesso triennio, i dati regione per regione, per verificare l'eventuale correlazione tra tempi di attesa e numero degli obiettori, i risultati sono contraddittori: nel Lazio e in Piemonte, gli obiettori aumentano e i tempi di attesa diminuiscono. In Lombardia, invece, gli obiettori diminuiscono e i tempi di attesa aumentano. In Umbria la situazione è come in Lombardia, mentre in Emilia-Romagna succede una cosa ancora diversa: diminuiscono gli obiettori e anche i tempi di attesa;
    se ne deduce che non è il numero di obiettori di per sé a determinare l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza, ma il modo in cui le strutture sanitarie organizzano l'applicazione della legge n. 194 del 1978;
    secondo i dati raccolti dalla Laiga (Libera associazione italiana dei ginecologi per l'applicazione della legga 194) alcuni medici non obiettori, per motivi non noti, non eseguono l'interruzione volontaria di gravidanza, e che già oggi è possibile attuare sia forme di mobilità del personale (come previsto dall'articolo 9 della stessa legge n. 194 del 1978), sia forme di reclutamento differenziato,

impegna il Governo:

   a garantire sempre il diritto all'obiezione di coscienza, costituzionalmente fondato, così come previsto dalla normativa vigente;
   a garantire, altresì, il pieno accesso al servizio sanitario su tutto il territorio nazionale, nel rispetto della normativa vigente;
   ad assumere ogni iniziativa volta ad eliminare qualsiasi discriminazione fra lavoratori obiettori e non obiettori di coscienza;
   ad assumere ogni iniziativa per la piena applicazione della legge n. 194 del 1978, in tutte le sue parti, compresa quella preventiva a tutela della maternità;
   ad informare le donne straniere sulle opportunità e sulle modalità di accesso ai servizi di salute della donna, compresa l'interruzione volontaria di gravidanza, per evitare il ricorso a strutture clandestine;
   a promuovere, in riferimento a quanto previsto dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, di concerto con le amministrazioni regionali e nel rispetto delle disposizioni vigenti sulla privacy, l'accesso totale alle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione del servizio relativo all'interruzione volontaria di gravidanza e le modalità di attuazione dell'intero percorso dell'interruzione volontaria di gravidanza, ivi compreso il monitoraggio regionale dedicato alle modalità di aborto con RU486.
(1-00079) «Brunetta, Calabrò, Roccella, Fucci, Dorina Bianchi».
(11 giugno 2013)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo riconosce, all'articolo 3, il diritto alla vita sancendo che «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona»;
    a livello comunitario, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 2, afferma: «il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge»;
    la Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, sottoscritta ad Oviedo nel 1997, nel delineare una sorta di costituzione europea in materia di diritto a nascere, non riconosce valore personale assoluto al diritto di interruzione della gravidanza;
    la Carta europea dei diritti, adottata dal Consiglio europeo di Nizza il 7 dicembre 2000 e alla quale, con il Trattato di Lisbona, è stata attribuita la stessa efficacia giuridica delle norme dei Trattati, dopo aver affermato, all'articolo 1, l'inviolabilità della dignità umana, all'articolo 2 dispone: «ogni individuo ha il diritto alla vita»;
    dopo sessanta anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che ha sancito il pieno rispetto della dignità e della vita di ogni persona non sono state attuate politiche internazionali volte alla concretizzazione di tali principi;
    la denatalità in Europa, e soprattutto in Italia, è ormai una emergenza: entro il 2025 i primi paesi europei – Italia, Spagna, Germania, Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione;
    attualmente l'Europa ha un tasso di fecondità medio di 1,4 figli per donna, quando il livello di sostituzione – ossia il livello che permette di mantenere l'equilibrio – è di 2,1. L'evoluzione della percentuale di popolazione giovanile sul totale: nel 1950 si attestava su una percentuale del 26,2 per cento della popolazione europea al di sotto dei 15 anni, nel 1975 al 23,7 per cento, nel 2000 si sono ridotti al 17,5 per cento;
    in continuità con le decisioni prese negli ultimi decenni, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha ribadito (risoluzione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010) che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un feto o embrione umano, per qualsiasi motivo;
    l'Assemblea parlamentare ha sottolineato la necessità di affermare il diritto all'obiezione di coscienza insieme con la responsabilità dello Stato per assicurare che i pazienti siano in grado di accedere a cure mediche lecite in modo tempestivo;
    stante l'obbligo di garantire l'accesso alle cure mediche e legali per tutelare il diritto alla salute, così come l'obbligo di garantire il rispetto del diritto della libertà di pensiero, di coscienza e di religione di operatori sanitari degli Stati membri, l'Assemblea ha invitato il Consiglio d'Europa e gli Stati membri ad elaborare normative complete e chiare, che definiscano e regolino l'obiezione di coscienza in materia di servizi sanitari e medici;
    in materia di obiezione di coscienza si devono ricordare le indicazioni contenute: nel VI articolo dei principi di Nuremberg; nell'articolo 10, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; negli articoli 9 e 14 della Convenzione europea dei diritti umani; nell'articolo 18 della Convenzione internazionale dei diritti civili e politici; la promozione del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico è affermata nelle «linee guida» della federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia (Figo) e della Organizzazione mondiale della sanità (Who-Europe);
    in Italia il diritto all'obiezione di coscienza in campo medico è assicurato ed espressamente codificato dalle seguenti leggi: la legge n. 194 del 1978 che, all'articolo 9, ha introdotto una particolare specie di obiezione di coscienza, in materia di interruzione volontaria della gravidanza, riconosciuta al personale sanitario ed esercente attività ausiliarie, salvo nei casi urgenti nei quali è in gioco la vita di una persona; peraltro, una disposizione similare è contenuta anche nel codice di deontologia medica, approvato anch'esso nel 1978, che all'articolo 28 stabilisce che «qualora al medico vengano richiesti interventi che contrastino col suo convincimento clinico o che discordino con la sua coscienza, come nel caso di sterilizzazione, aborto o interventi di plastica, egli può rifiutare la propria opera pur nel rispetto della volontà del paziente»; la legge n. 413 del 1993 che disciplina l'obiezione di coscienza per la sperimentazione animale; l'articolo 16 della legge n. 40 del 2004 che riguarda la procreazione medicalmente assistita e riconosce al personale sanitario ed esercente le attività sanitarie accessorie la facoltà di astenersi dal compimento della procedura, adottando un'impostazione similare alla disciplina in materia di aborto;
    il nostro Paese deve essere da esempio nell'elaborare una linea politica di invito alla vita e operare per garantire tutte le condizioni utili ad una crescita della società incentrata sui valori di un umanesimo diffuso. Occorre, quindi, rimodulare l'azione politica sui valori fondanti della vita e della persona umana;
    Madre Teresa di Calcutta, Premio Nobel per la pace (17 ottobre 1979), nel discorso di premiazione disse di accettare il prestigioso riconoscimento esclusivamente a nome dei poveri e presentò l'aborto come il principale pericolo in grado di minacciare la pace nel mondo. La frase pronunciata dalla religiosa albanese – «Promettiamoci che in questa città nessuna donna possa dire di essere stata costretta ad abortire» – è carica di significati capaci di superare qualsiasi strumentalizzazione ideologica e diretta a considerare unicamente l'impegno nella tutela della vita nascente un'irrinunciabile prerogativa da parte di tutti;
    si ritiene, infatti, quanto meno singolare che proprio in un momento storico in cui l'opinione pubblica mostra una rinnovata attenzione alle tematiche di tutela della vita – basti pensare alle firme raccolte nella campagna (l'embrione uno di noi) finalizzata a sensibilizzare l'Unione europea sul tema della tutela della vita fin dal suo concepimento e alla grande manifestazione che ha visto scendere in piazza a Roma il 12 maggio 2013 più di trenta mila persone a difesa della vita) – si cerchi di aggirare lo spirito originario della legge n. 194 del 1978, con particolare riguardo agli aspetti di prevenzione-riflessione, proponendo campagne contro il diritto all'obiezione di coscienza e a favore della diffusione dell'aborto farmacologico;
    il tribunale amministrativo regionale della Puglia ha annullato, con la sentenza n. 3477 del 2010, la delibera di giunta regionale e i relativi atti dell'azienda sanitaria locale di Bari con cui venivano esclusi dalla presenza nei consultori ambulatoriali i medici obiettori di coscienza. Per i giudici amministrativi il provvedimento viola il principio costituzionale di eguaglianza, oltre che i principi posti a fondamento dell'obiezione di coscienza;
    pur ponendo l'accento sul valore storico che hanno rappresentato i consultori familiari per la società italiana, è doveroso, a distanza quasi di quarant'anni dall'approvazione della legge che ne prevedeva l'istituzione, riconsiderarne il lavoro svolto e l'attuale ruolo nel nostro Paese. Infatti, alla luce anche dei notevoli cambiamenti sopravvenuti nell'attuale contesto socio-culturale, è necessario dare nuova linfa vitale a ciò che già era ben esplicitato nelle intenzioni del legislatore che nel 1975 aveva emanato la legge n. 405 (ovvero l'assistenza alla famiglia, l'educazione alla maternità e alla paternità responsabile, l'educazione per l'armonico sviluppo fisico e psichico dei figli e per la realizzazione della vita familiare), ma che nei fatti è stato residualmente attuato, complice anche la talora mera funzione burocratica dei consultori, ridotti, troppo spesso, a pura assistenza sanitaria, deboli di quella necessaria sensibilità e competenza su problematiche sociali per i quali furono istituiti. In questa ottica sarebbe opportuno considerare come forza attiva anche il ruolo dei medici obiettori di coscienza all'interno dei presidi sociosanitari dei consultori familiari, anche al fine di dare piena attuazione alla prima parte della legge n. 194 del 1978, attraverso la reale presa in carico della donna per aiutarla a superare le cause che la inducono alla scelta di interrompere la gravidanza,

impegna il Governo

   a dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e a garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione, in linea con l'invito del Consiglio d'Europa (risoluzione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010);
   a promuovere iniziative finalizzate a mettere in campo tutte le risorse disponibili al fine di rafforzare gli interventi finalizzati ad offrire i giusti strumenti per far sì che la donna possa valutare la possibilità di considerare una scelta alternativa all'aborto;
   a farsi promotore presso le competenti istituzioni dell'Unione europea di politiche dirette al contrasto del fenomeno della denatalità.
(1-00080) «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Prataviera».
(11 giugno 2013)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo riconosce, all'articolo 3, il diritto alla vita sancendo che «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona»;
    a livello comunitario, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 2, afferma: «il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge»;
    la Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, sottoscritta ad Oviedo nel 1997, nel delineare una sorta di costituzione europea in materia di diritto a nascere, non riconosce valore personale assoluto al diritto di interruzione della gravidanza;
    la Carta europea dei diritti, adottata dal Consiglio europeo di Nizza il 7 dicembre 2000 e alla quale, con il Trattato di Lisbona, è stata attribuita la stessa efficacia giuridica delle norme dei Trattati, dopo aver affermato, all'articolo 1, l'inviolabilità della dignità umana, all'articolo 2 dispone: «ogni individuo ha il diritto alla vita»;
    dopo sessanta anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo che ha sancito il pieno rispetto della dignità e della vita di ogni persona non sono state attuate politiche internazionali volte alla concretizzazione di tali principi;
    la denatalità in Europa, e soprattutto in Italia, è ormai una emergenza: entro il 2025 i primi paesi europei – Italia, Spagna, Germania, Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione;
    attualmente l'Europa ha un tasso di fecondità medio di 1,4 figli per donna, quando il livello di sostituzione – ossia il livello che permette di mantenere l'equilibrio – è di 2,1. L'evoluzione della percentuale di popolazione giovanile sul totale: nel 1950 si attestava su una percentuale del 26,2 per cento della popolazione europea al di sotto dei 15 anni, nel 1975 al 23,7 per cento, nel 2000 si sono ridotti al 17,5 per cento;
    in continuità con le decisioni prese negli ultimi decenni, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha ribadito (risoluzione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010) che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un feto o embrione umano, per qualsiasi motivo;
    l'Assemblea parlamentare ha sottolineato la necessità di affermare il diritto all'obiezione di coscienza insieme con la responsabilità dello Stato per assicurare che i pazienti siano in grado di accedere a cure mediche lecite in modo tempestivo;
    stante l'obbligo di garantire l'accesso alle cure mediche e legali per tutelare il diritto alla salute, così come l'obbligo di garantire il rispetto del diritto della libertà di pensiero, di coscienza e di religione di operatori sanitari degli Stati membri, l'Assemblea ha invitato il Consiglio d'Europa e gli Stati membri ad elaborare normative complete e chiare, che definiscano e regolino l'obiezione di coscienza in materia di servizi sanitari e medici;
    in materia di obiezione di coscienza si devono ricordare le indicazioni contenute: nel VI articolo dei principi di Nuremberg; nell'articolo 10, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; negli articoli 9 e 14 della Convenzione europea dei diritti umani; nell'articolo 18 della Convenzione internazionale dei diritti civili e politici; la promozione del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico è affermata nelle «linee guida» della federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia (Figo) e della Organizzazione mondiale della sanità (Who-Europe);
    in Italia il diritto all'obiezione di coscienza in campo medico è assicurato ed espressamente codificato dalle seguenti leggi: la legge n. 194 del 1978 che, all'articolo 9, ha introdotto una particolare specie di obiezione di coscienza, in materia di interruzione volontaria della gravidanza, riconosciuta al personale sanitario ed esercente attività ausiliarie, salvo nei casi urgenti nei quali è in gioco la vita di una persona; peraltro, una disposizione similare è contenuta anche nel codice di deontologia medica, approvato anch'esso nel 1978, che all'articolo 28 stabilisce che «qualora al medico vengano richiesti interventi che contrastino col suo convincimento clinico o che discordino con la sua coscienza, come nel caso di sterilizzazione, aborto o interventi di plastica, egli può rifiutare la propria opera pur nel rispetto della volontà del paziente»; la legge n. 413 del 1993 che disciplina l'obiezione di coscienza per la sperimentazione animale; l'articolo 16 della legge n. 40 del 2004 che riguarda la procreazione medicalmente assistita e riconosce al personale sanitario ed esercente le attività sanitarie accessorie la facoltà di astenersi dal compimento della procedura, adottando un'impostazione similare alla disciplina in materia di aborto;
    il nostro Paese deve essere da esempio nell'elaborare una linea politica di invito alla vita e operare per garantire tutte le condizioni utili ad una crescita della società incentrata sui valori di un umanesimo diffuso. Occorre, quindi, rimodulare l'azione politica sui valori fondanti della vita e della persona umana;
    Madre Teresa di Calcutta, Premio Nobel per la pace (17 ottobre 1979), nel discorso di premiazione disse di accettare il prestigioso riconoscimento esclusivamente a nome dei poveri e presentò l'aborto come il principale pericolo in grado di minacciare la pace nel mondo. La frase pronunciata dalla religiosa albanese – «Promettiamoci che in questa città nessuna donna possa dire di essere stata costretta ad abortire» – è carica di significati capaci di superare qualsiasi strumentalizzazione ideologica e diretta a considerare unicamente l'impegno nella tutela della vita nascente un'irrinunciabile prerogativa da parte di tutti;
    si ritiene, infatti, quanto meno singolare che proprio in un momento storico in cui l'opinione pubblica mostra una rinnovata attenzione alle tematiche di tutela della vita – basti pensare alle firme raccolte nella campagna (l'embrione uno di noi) finalizzata a sensibilizzare l'Unione europea sul tema della tutela della vita fin dal suo concepimento e alla grande manifestazione che ha visto scendere in piazza a Roma il 12 maggio 2013 più di trenta mila persone a difesa della vita) – si cerchi di aggirare lo spirito originario della legge n. 194 del 1978, con particolare riguardo agli aspetti di prevenzione-riflessione, proponendo campagne contro il diritto all'obiezione di coscienza e a favore della diffusione dell'aborto farmacologico;
    il tribunale amministrativo regionale della Puglia ha annullato, con la sentenza n. 3477 del 2010, la delibera di giunta regionale e i relativi atti dell'azienda sanitaria locale di Bari con cui venivano esclusi dalla presenza nei consultori ambulatoriali i medici obiettori di coscienza. Per i giudici amministrativi il provvedimento viola il principio costituzionale di eguaglianza, oltre che i principi posti a fondamento dell'obiezione di coscienza;
    pur ponendo l'accento sul valore storico che hanno rappresentato i consultori familiari per la società italiana, è doveroso, a distanza quasi di quarant'anni dall'approvazione della legge che ne prevedeva l'istituzione, riconsiderarne il lavoro svolto e l'attuale ruolo nel nostro Paese. Infatti, alla luce anche dei notevoli cambiamenti sopravvenuti nell'attuale contesto socio-culturale, è necessario dare nuova linfa vitale a ciò che già era ben esplicitato nelle intenzioni del legislatore che nel 1975 aveva emanato la legge n. 405 (ovvero l'assistenza alla famiglia, l'educazione alla maternità e alla paternità responsabile, l'educazione per l'armonico sviluppo fisico e psichico dei figli e per la realizzazione della vita familiare), ma che nei fatti è stato residualmente attuato, complice anche la talora mera funzione burocratica dei consultori, ridotti, troppo spesso, a pura assistenza sanitaria, deboli di quella necessaria sensibilità e competenza su problematiche sociali per i quali furono istituiti. In questa ottica sarebbe opportuno considerare come forza attiva anche il ruolo dei medici obiettori di coscienza all'interno dei presidi sociosanitari dei consultori familiari, anche al fine di dare piena attuazione alla prima parte della legge n. 194 del 1978, attraverso la reale presa in carico della donna per aiutarla a superare le cause che la inducono alla scelta di interrompere la gravidanza,

impegna il Governo

   a dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e a garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione, in linea con l'invito del Consiglio d'Europa (risoluzione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010);
   a promuovere iniziative finalizzate a mettere in campo tutte le risorse disponibili al fine di rafforzare gli interventi finalizzati a rafforzarne il ruolo dei consultori familiari per una piena e corretta applicazione della legge nella parte relativa alla tutela della maternità;
   a farsi promotore presso le competenti istituzioni dell'Unione europea di politiche dirette al contrasto del fenomeno della denatalità.
(1-00080)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Prataviera».
(11 giugno 2013)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    la libertà di coscienza trova ampio riconoscimento nel diritto internazionale, in particolare nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (articolo 18), nel Patto internazionale sui diritti civili e politici (articolo 18) e nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, all'articolo 9, il quale recita: «ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione»;
    la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, all'articolo 10, comma 2, tutela specificamente il diritto all'obiezione di coscienza, confermando la crescente attenzione a livello internazionale verso la protezione di questo diritto;
    in continuità con le decisioni prese negli ultimi decenni, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha ribadito (risoluzione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010) che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un uomo, di un feto o embrione umano, per qualsiasi motivo;
    fermo l'obbligo di garantire l'accesso alle cure mediche legali per tutelare il diritto alla salute, così come l'obbligo di garantire il rispetto del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione degli operatori sanitari degli Stati membri, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha invitato il Consiglio d'Europa e gli Stati membri ad elaborare normative complete e chiare, che definiscano e regolino l'obiezione di coscienza in materia di servizi sanitari e medici, volte soprattutto a garantire il diritto all'obiezione di coscienza in relazione alla partecipazione alla procedura medica in questione e a far sì che i pazienti siano informati di ogni obiezione di coscienza in modo tempestivo e ricevano un trattamento appropriato, in particolare nei casi di emergenza;
    la promozione del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico è affermata nelle «linee guida» della Federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia (Figo) e della Organizzazione mondiale della sanità (Who-Europe);
    l'imperativo ad agire secondo coscienza e il diritto al rifiuto di prestazioni professionali contro coscienza è espressamente previsto dai codici deontologici delle principali professioni medico-sanitarie: dall'articolo 22 del codice di deontologia medica, dal punto 3.16 del codice deontologico 2010 dell'ostetrica/o e dall'articolo 8 del codice deontologico 2009 degli infermieri;
    il Comitato nazionale per la bioetica ha affrontato la questione dell'obiezione di coscienza nel documento «obiezione di coscienza e bioetica», pubblicato il 30 luglio 2012, nel quale si afferma che «l'obiezione di coscienza in bioetica è costituzionalmente fondata», «costituisce un diritto della persona» e risponde alla necessità di «assicurare una zona di rispetto della coscienza dei singoli», «anche in funzione del principio pluralista che caratterizza le democrazie contemporanee»;
    nello stesso documento il Comitato nazionale per la bioetica ricorda che l'obiezione di coscienza non è soltanto una forma di protezione della coscienza individuale, ma un’«istituzione democratica» che impedisce che «le maggioranze parlamentari o altri organi dello Stato neghino in modo autoritario la problematicità relativa ai confini della tutela dei diritti inviolabili»; in questo modo l'obiezione di coscienza si pone come «istanza critica» in un ordinamento democratico, segnando «una ulteriore presa di distanza dall'idea dello “Stato etico” come pretesa di imporre ex lege un solo punto di vista morale»;
    tale funzione di istanza critica è particolarmente evidente nell'obiezione di coscienza all'aborto, posto che il valore che ispira la scelta dell'obiettore è rappresentato dalla tutela della vita umana sin dal concepimento ed è noto che, nelle fondamentali sentenze nn. 27 del 1975 e 35 del 1997, la Corte costituzionale italiana ha affermato che «ha fondamento costituzionale la tutela del concepito, la cui situazione giuridica si colloca, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, tra i diritti inviolabili dell'uomo riconosciuti e garantiti dall'articolo 2 della Costituzione, denominando tale diritto come diritto alla vita, oggetto di specifica salvaguardia costituzionale»;
    la tutela del vita umana sin dal concepimento è del resto valore fondante della stessa legge n. 194 del 1978, recante «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», che, nel suo primo articolo, «riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio»; lo scopo dichiarato della legge n. 194 del 1978 è, infatti, quello di porre fine alla piaga dell'aborto clandestino e di evitare il ricorso all'aborto, rimuovendone e superandone le cause profonde di natura culturale, economica e sociale, attraverso una serie di azioni di informazione e di sostegno affidate prioritariamente ai consultori familiari istituiti dalla legge n. 405 del 1975;
    il Comitato nazionale per la bioetica ha, altresì, sottolineato che l'obiezione di coscienza deve essere esercitata in maniera «sostenibile», nel rispetto dei principi di legalità e di certezza del diritto (articolo 54 della Costituzione), oltre che dei diritti spettanti secondo la legge. A questo scopo ha formulato una serie di raccomandazioni tra cui la previsione di misure adeguate per:
     a) «garantire l'erogazione dei servizi, eventualmente individuando un responsabile degli stessi»;
     b) evitare la discriminazione tanto degli obiettori quanto dei non obiettori, non facendo gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, servizi particolarmente gravosi o poco qualificanti;
     c) predisporre «un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'obiezione di coscienza viene esercitata, che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori»;
     d) accertare attraverso controlli a posteriori che l'obiettore non svolga attività incompatibili con la sua scelta di obiezione;
    il contributo degli obiettori di coscienza all'attuazione della legge n. 194 del 1978 nelle sue parti finalizzate alla prevenzione dell'aborto può essere una valida prova della sincerità e autenticità dell'obiezione, ma è spesso difficile, se non impossibile, anche a causa del meccanismo della revoca immediata dell'obiezione di coscienza di cui all'articolo 9, sesto comma, della legge n. 194 del 1978,

impegna il Governo:

   a dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e a garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione, in linea con l'invito del Consiglio d'Europa e secondo le raccomandazioni espresse dal Comitato nazionale per la bioetica, nonché a prevedere adeguati strumenti per il coinvolgimento degli obiettori di coscienza nelle attività di prevenzione dell'aborto, anche valorizzando il ruolo degli ordini professionali;
   a dare attuazione a quanto indicato dal Comitato nazionale per la bioetica, in particolare per rendere «sostenibile» il diritto all'obiezione di coscienza, attraverso idonee misure che:
    a) garantiscano l'erogazione di tutti i servizi previsti dalla legge n. 194 del 1978;
    b) evitino la discriminazione tanto degli obiettori quanto dei non obiettori, anche per quanto riguarda i carichi di lavoro e la tipologia delle prestazioni professionali;
    c) accertino che il personale che si avvale del diritto all'obiezione non svolga attività non compatibili con tale scelta.
(1-00081) «Binetti, Balduzzi, Gigli, Sberna, Nissoli, Buttiglione, Cesa, Cera, De Mita, Marazziti, Santerini».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    la relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria della gravidanza, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, ha mostrato come in Italia il numero dei ginecologi obiettori di coscienza sia in considerevole aumento, passando, nei soli anni tra il 2005 e il 2009, dal 58,7 per cento al 70,7 per cento. Si è rilevato un aumento di obiettori anche tra gli anestesisti, passati dal 45,7 per cento al 51,7 per cento. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si registrano principalmente al Sud: 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise, 81,7 per cento in Sicilia e 81,3 per cento a Bolzano. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al Sud, con un massimo di più di 77 per cento in Molise e Campania e 75,6 per cento in Sicilia;
    parallelamente risultano in preoccupante aumento gli aborti dichiarati come «spontanei», passati secondo i dati Istat, dai quarantamila del 2008 ai settantacinquemila del 2011, un aumento del 75 per cento, che, secondo molte fonti, potrebbe essere il frutto di interventi illeciti non eseguiti in modo corretto;
    indagini delle forze dell'ordine testimoniano una crescente diffusione di fenomeni, come il contrabbando di farmaci (misoprostolo clandestino), che inducono l'interruzione di gravidanza con forti rischi per la salute e la vita delle donne, e il proliferare di cliniche e ambulatori fuorilegge. Solo nell'ultimo anno sono stati calcolati 188 procedimenti penali aperti per violazione della legge n. 194 del 1978, molti dei quali verso insospettabili professionisti che agivano indisturbati tra le mura dei loro studi;
    l'elevata presenza di medici obiettori sembra riflettersi anche sull'operatività e l'efficacia dei consultori nelle loro funzioni di prevenzione e supporto della donna nelle fasi antecedenti all'interruzione di gravidanza. Come evidenziato nella sopra citata relazione del Ministro della salute al Parlamento, l'efficacia ed il ruolo dei consultori nei processi di prevenzione e supporto all'interruzione di gravidanza appaiono in molti casi indebolita dalla mancanza di figure mediche adeguate o disponibili al rilascio del documento e della certificazione necessaria per l'interruzione volontaria della gravidanza, soprattutto al Sud. Un elemento che allontana le donne da queste strutture e dai loro indispensabili servizi di informazione, prevenzione e supporto. Infatti, nonostante i tassi di presenza di consultori sia di 1,5 consultori pubblici ogni 10.000 donne in età 15-49 anni tanto nell'Italia settentrionale quanto in quella meridionale; tuttavia, mentre al Nord il 50,6 per cento delle certificazioni per l'interruzione volontaria della gravidanza passano dai consultori, al Sud solo il 20,6 per cento e nelle isole addirittura il 15,8 per cento. In queste aree le donne, temendo di vedersi rifiutare la certificazione o di venire giudicate dal personale dei consultori, si rivolgono direttamente alle strutture che effettuano le interruzioni di gravidanza bypassando interamente il percorso consultoriale;
    l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza è previsto e disciplinato dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, secondo cui «il personale sanitario ed esercente le attività ausiliare non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione di gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza». Tuttavia, la stessa legge ne disciplina e regolamenta l'uso, stabilendo che «gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8» e stabilendo, inoltre, che la regione controlli e garantisca l'attuazione e l'effettiva erogazione di tali servizi «anche attraverso la mobilità del personale», una misura scarsamente se non per niente utilizzata dalle strutture fino ad oggi;
    l'obiezione di coscienza si configura, quindi, come un diritto della persona, ma non della struttura, che ha l'obbligo di erogare le prestazioni sanitarie previste dalla legge. La tutela del legittimo diritto all'obiezione di coscienza non può mettere a rischio la tutela del diritto alla salute fisica e psichica della donna che la legge n. 194 del 1978 mira a garantire ed è necessario trovare modalità affinché entrambi i diritti possano convivere armonicamente;
    il Comitato nazionale di bioetica, nel parere sull'obiezione di coscienza formulato al Governo il 30 luglio 2012, sostiene la necessità di un diritto all'obiezione «sostenibile», che «non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge, né indebolire i vincoli di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza al corpo sociale». Il Comitato nazionale di bioetica raccomanda, inoltre, al Governo «la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'obiezione di coscienza viene esercitata, che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori»;
    non esistono al momento efficaci strumenti di monitoraggio, premialità o penalizzazione per verificare, stimolare o supportare l'effettiva funzionalità delle strutture preposte all'applicazione della legge n. 194 del 1978, nonché per analizzare adeguatamente l'impatto del fenomeno dell'obiezione di coscienza sulla loro funzionalità. Gli indicatori di efficienza attualmente rilevati, come, per esempio, i tempi di attesa per l'interruzione di gravidanza, non sono in grado, da soli, di valutare tali aspetti perché sono proprio le regioni e le strutture ospedaliere con minori obiettori ad attrarre maggiori richieste di interruzione volontaria della gravidanza e ad avere, quindi, liste di attesa più lunghe. Senza contare che, allo stato attuale, è praticamente impossibile verificare se le donne che si cancellano da una lista di attesa lo facciano perché hanno effettivamente cambiato idea o perché, all'allungarsi dei tempi d'attesa, decidono di ricorrere all'aborto clandestino,

impegna il Governo:

   a condurre un'analisi conoscitiva approfondita sull'impatto dell'obiezione di coscienza sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, un'analisi condotta a livello di struttura e che si basi su dati e indicatori sufficientemente articolati in grado di affrontare il problema dell'interdipendenza tra presenza di personale non-obiettore e lunghezza delle liste di attesa;
   ad adottare tutte le iniziative di competenza necessarie affinché si garantisca il rispetto e la piena attuazione della legge n. 194 del 1978 in tutte le strutture del territorio, adottando, ove necessario, una revisione dell'organizzazione delle mansioni e del reclutamento delle strutture sanitarie che faccia leva sugli strumenti di mobilità del personale previsti dalla legge e che preveda forme di reclutamento differenziato atti a riequilibrare il numero di obiettori e non obiettori, così come raccomandato dal Comitato nazionale di bioetica;
   ad assumere iniziative per introdurre un sistema di monitoraggio costante e rigoroso delle azioni intraprese e dei risultati ottenuti dalle regioni sul fronte dell'applicazione della legge n. 194 del 1978 e della tutela della salute della donna in tutte le strutture operanti sul loro territorio, collegando a tali risultati meccanismi di premialità e penalizzazione;
   a rafforzare l'attività dei consultori, monitorando l'effettiva disponibilità del personale che vi opera a erogare tutti i servizi legati alle richieste di interruzione volontaria della gravidanza e ad emettere le necessarie documentazioni, promuovendo una maggiore interazione tra questi e le strutture ospedaliere e definendo percorsi integrati secondo standard e procedure che consentano di seguire e supportare la donna in tutte le fasi legate all'interruzione volontaria della gravidanza e di valutarne poi i risutati (così come previsto dal progetto «obiettivo materno-infantile» varato nel 2000 e rimasto purtroppo inattuato nella maggior parte dei consultori);
   a promuovere campagne di informazione e azioni volte a supportare il ricorso, nell'ambito d'uso disciplinato dalla legge, alle tecniche di interruzione di gravidanza che riducono sia i rischi per la salute fisica e psichica delle donne che l'impegno di risorse da parte del sistema sanitario nazionale, come, per esempio, l'interruzione di gravidanza farmacologica.
(1-00082) «Tinagli, Andrea Romano, Capua, Nesi, Cimmino, Rabino, Zanetti, Vecchio, Oliaro, D'Agostino, Antimo Cesaro, Molea».
(11 giugno 2013)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    la relazione sullo stato di attuazione della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria della gravidanza, presentata al Parlamento dal Ministro della salute il 9 ottobre 2012, ha mostrato come in Italia il numero dei ginecologi obiettori di coscienza sia in considerevole aumento, passando, nei soli anni tra il 2005 e il 2009, dal 58,7 per cento al 70,7 per cento. Si è rilevato un aumento di obiettori anche tra gli anestesisti, passati dal 45,7 per cento al 51,7 per cento. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si registrano principalmente al Sud: 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise, 81,7 per cento in Sicilia e 81,3 per cento a Bolzano. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al Sud, con un massimo di più di 77 per cento in Molise e Campania e 75,6 per cento in Sicilia;
    parallelamente risultano in preoccupante aumento gli aborti dichiarati come «spontanei», passati secondo i dati Istat, dai quarantamila del 2008 ai settantacinquemila del 2011, un aumento del 75 per cento, che, secondo molte fonti, potrebbe essere il frutto di interventi illeciti non eseguiti in modo corretto;
    indagini delle forze dell'ordine testimoniano una crescente diffusione di fenomeni, come il contrabbando di farmaci (misoprostolo clandestino), che inducono l'interruzione di gravidanza con forti rischi per la salute e la vita delle donne, e il proliferare di cliniche e ambulatori fuorilegge. Solo nell'ultimo anno sono stati calcolati 188 procedimenti penali aperti per violazione della legge n. 194 del 1978, molti dei quali verso insospettabili professionisti che agivano indisturbati tra le mura dei loro studi;
    l'elevata presenza di medici obiettori sembra riflettersi anche sull'operatività e l'efficacia dei consultori nelle loro funzioni di prevenzione e supporto della donna nelle fasi antecedenti all'interruzione di gravidanza. Come evidenziato nella sopra citata relazione del Ministro della salute al Parlamento, l'efficacia ed il ruolo dei consultori nei processi di prevenzione e supporto all'interruzione di gravidanza appaiono in molti casi indebolita dalla mancanza di figure mediche adeguate o disponibili al rilascio del documento e della certificazione necessaria per l'interruzione volontaria della gravidanza, soprattutto al Sud. Un elemento che allontana le donne da queste strutture e dai loro indispensabili servizi di informazione, prevenzione e supporto. Infatti, nonostante i tassi di presenza di consultori sia di 1,5 consultori pubblici ogni 10.000 donne in età 15-49 anni tanto nell'Italia settentrionale quanto in quella meridionale; tuttavia, mentre al Nord il 50,6 per cento delle certificazioni per l'interruzione volontaria della gravidanza passano dai consultori, al Sud solo il 20,6 per cento e nelle isole addirittura il 15,8 per cento. In queste aree le donne, temendo di vedersi rifiutare la certificazione o di venire giudicate dal personale dei consultori, si rivolgono direttamente alle strutture che effettuano le interruzioni di gravidanza bypassando interamente il percorso consultoriale;
    l'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza è previsto e disciplinato dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, secondo cui «il personale sanitario ed esercente le attività ausiliare non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione di gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza». Tuttavia, la stessa legge ne disciplina e regolamenta l'uso, stabilendo che «gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8» e stabilendo, inoltre, che la regione controlli e garantisca l'attuazione e l'effettiva erogazione di tali servizi «anche attraverso la mobilità del personale», una misura scarsamente se non per niente utilizzata dalle strutture fino ad oggi;
    l'obiezione di coscienza si configura, quindi, come un diritto della persona, ma non della struttura, che ha l'obbligo di erogare le prestazioni sanitarie previste dalla legge. La tutela del legittimo diritto all'obiezione di coscienza non può mettere a rischio la tutela del diritto alla salute fisica e psichica della donna che la legge n. 194 del 1978 mira a garantire ed è necessario trovare modalità affinché entrambi i diritti possano convivere armonicamente;
    il Comitato nazionale di bioetica, nel parere sull'obiezione di coscienza formulato al Governo il 30 luglio 2012, sostiene la necessità di un diritto all'obiezione «sostenibile», che «non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge, né indebolire i vincoli di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza al corpo sociale». Il Comitato nazionale di bioetica raccomanda, inoltre, al Governo «la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento, negli ambiti della bioetica in cui l'obiezione di coscienza viene esercitata, che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori»;
    non esistono al momento efficaci strumenti di monitoraggio, premialità o penalizzazione per verificare, stimolare o supportare l'effettiva funzionalità delle strutture preposte all'applicazione della legge n. 194 del 1978, nonché per analizzare adeguatamente l'impatto del fenomeno dell'obiezione di coscienza sulla loro funzionalità. Gli indicatori di efficienza attualmente rilevati, come, per esempio, i tempi di attesa per l'interruzione di gravidanza, non sono in grado, da soli, di valutare tali aspetti perché sono proprio le regioni e le strutture ospedaliere con minori obiettori ad attrarre maggiori richieste di interruzione volontaria della gravidanza e ad avere, quindi, liste di attesa più lunghe. Senza contare che, allo stato attuale, è praticamente impossibile verificare se le donne che si cancellano da una lista di attesa lo facciano perché hanno effettivamente cambiato idea o perché, all'allungarsi dei tempi d'attesa, decidono di ricorrere all'aborto clandestino,

impegna il Governo:

   a condurre un'analisi conoscitiva approfondita sull'impatto dell'obiezione di coscienza sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, un'analisi condotta a livello di struttura e che si basi su dati e indicatori sufficientemente articolati in grado di affrontare il problema dell'interdipendenza tra presenza di personale non-obiettore e lunghezza delle liste di attesa;
   ad adottare tutte le iniziative di competenza necessarie affinché si garantisca il rispetto e la piena attuazione della legge n. 194 del 1978 in tutte le strutture del territorio, adottando, ove necessario, una revisione dell'organizzazione delle mansioni e del reclutamento delle strutture sanitarie che faccia leva sugli strumenti di mobilità del personale previsti dalla legge e che preveda forme di reclutamento differenziato atti a riequilibrare il numero di obiettori e non obiettori, così come raccomandato dal Comitato nazionale di bioetica;
   ad assumere iniziative per introdurre un sistema di monitoraggio costante e rigoroso delle azioni intraprese e dei risultati ottenuti dalle regioni sul fronte dell'applicazione della legge n. 194 del 1978 e della tutela della salute della donna in tutte le strutture operanti sul loro territorio, collegando a tali risultati meccanismi di premialità e penalizzazione;
   a rafforzare l'attività dei consultori, monitorando l'effettiva disponibilità del personale che vi opera a erogare tutti i servizi legati alle richieste di interruzione volontaria della gravidanza e ad emettere le necessarie documentazioni, promuovendo una maggiore interazione tra questi e le strutture ospedaliere e definendo percorsi integrati secondo standard e procedure che consentano di seguire e supportare la donna in tutte le fasi legate all'interruzione volontaria della gravidanza e di valutarne poi i risutati (così come previsto dal progetto «obiettivo materno-infantile» varato nel 2000 e rimasto purtroppo inattuato nella maggior parte dei consultori);
   ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia proposta come opzione alle donne che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, debbano poter scegliere quale percorso intraprendere, fornendo alle medesime la piena conoscenza delle modalità e dei rischi connessi;
(1-00082)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Tinagli, Andrea Romano, Capua, Nesi, Cimmino, Rabino, Zanetti, Vecchio, Oliaro, D'Agostino, Antimo Cesaro, Molea».
(11 giugno 2013)
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, con la raccomandazione 1763 dell'ottobre 2010, ha ribadito esplicitamente il pieno riconoscimento del diritto di sollevare obiezione di coscienza in campo sanitario, quale espressione della più ampia libertà di opinione, coscienza, religione;
    il documento si pone in linea con le norme del diritto internazionale quali, ad esempio, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione europea sui diritti dell'uomo, nelle quali viene garantita ad ogni individuo la pienezza del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione;
    in particolare nella raccomandazione si legge che «nessuna persona, nessun ospedale o altro istituto sarà costretto, reso responsabile o sfavorito in qualsiasi modo a causa di un rifiuto ad eseguire, facilitare, assistere o essere sottoposto ad un aborto, all'esecuzione di un parto prematuro, o all'eutanasia o a qualsiasi atto che potrebbe provocare la morte di un feto o di un embrione umano, per qualsiasi ragione»;
    a tal proposito l'Assemblea ha sollecitato gli Stati membri che ne sono ancora privi, a definire e ad adottare specifici regolamenti e normative chiare per disciplinare e garantire l'obiezione di coscienza in relazione agli operatori dei servizi medici e sanitari;
    nello stesso documento l'Assemblea ha segnalato la necessità che sia garantita alle donne la possibilità di accedere ai servizi con tempestività, ed ha espresso il timore che l'obiezione di coscienza possa danneggiare le donne meno abbienti;
    inoltre, l'Assemblea ha indicato la necessità di ben regolamentare l'obiezione di coscienza, tenendo conto dell'obbligo di garantire sia l'accesso alle cure mediche e la tutela della salute, sia la libertà di coscienza degli operatori sanitari;
    per questo gli Stati membri della Unione europea devono operare per garantire il diritto all'obiezione di coscienza, ma anche la possibilità delle pazienti di ricevere i trattamenti appropriati, in particolare nei casi di emergenza, e di venire informate in tempo di eventuali obiezioni per poter reperire rapidamente un altro operatore sanitario non obiettore;
    nella medesima risoluzione 1763, si conferma il pieno diritto all'obiezione di coscienza dell'operatore sanitario ma all'interno di un «bilanciamento» con il diritto del paziente all'assistenza sanitaria. La risoluzione, esplicitamente, si preoccupa delle possibili discriminazioni che le donne possono subire, e ribadisce con forza la necessità di regole ben precise che garantiscano ai pazienti il trattamento sanitario adeguato;
    in Italia, il diritto all'obiezione di coscienza da parte degli operatori sanitari è disciplinato e garantito in particolar modo dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, che prevede una specifica forma di obiezione di coscienza legata all'interruzione volontaria della gravidanza. Anche la legge n. 40 del 2004, in relazione alla procreazione medicalmente assistita, ha previsto la possibilità per il personale sanitario di astenersi dal compiere le procedure richieste «quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione»;
    la relazione del Ministero della salute sull'attuazione della legge n. 194 del 1978, presentata al Parlamento il 9 ottobre 2012, ha confermato il dato risaputo di una notevole diffusione del fenomeno dell'obiezione di coscienza, «ma nel 2010 si evince una stabilizzazione generale del fenomeno dell'obiezione di coscienza tra i ginecologi e gli anestesisti, dopo un notevole aumento negli ultimi anni. Infatti, a livello nazionale, per i ginecologi si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008, al 70,7 per cento nel 2009 e al 69,3 per cento nel 2010; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 50,8 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,7 per cento nel 2010. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si osservano principalmente al sud; 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 85,7 per cento in Molise, 80,6 per cento in Sicilia, come pure a Bolzano con l'81 per cento. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più di 75 per cento in Molise e in Campania e 78,1 per cento in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e in Valle d'Aosta (26,3 per cento). Per il personale non medico i valori sono più bassi, con un massimo di 86,9 per cento in Sicilia e 79,4 per cento in Calabria. In materia di obiezione di coscienza è da segnalare che il Comitato nazionale per la bioetica (CNB) ha recentemente formulato un parere, nel quale ha riconosciuto che l'obiezione di coscienza è un diritto fondamentale della persona, costituzionalmente tutelato, e ha altresì affermato che la tutela dell'obiezione di coscienza «non deve limitare né rendere più gravoso l'esercizio di diritti riconosciuti per legge». Al riguardo, il CNB, affinché l'obiezione di coscienza venga esercitata in modo sostenibile, raccomanda che la legge preveda, accanto alla tutela dell'obiezione di coscienza, «misure adeguate a garantire l'erogazione dei servizi», che la disciplina sia tale «da non discriminare né gli obiettori né i non obiettori e quindi non far gravare sugli uni o sugli altri, in via esclusiva, servizi particolarmente gravosi o poco qualificanti», nonché «la predisposizione di un'organizzazione delle mansioni e del reclutamento (...) che può prevedere forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato atti a equilibrare, sulla base dei dati disponibili, il numero degli obiettori e dei non obiettori. A queste considerazioni si aggiunga inoltre che può essere attentamente valutata l'opportunità di un coinvolgimento del personale obiettore di coscienza in attività di prevenzione dell'aborto, in maniera coerente con le convinzioni di coscienza manifestate.»;
    alla luce dei dati qui sopra riportati, appare necessario comunque sottolineare che il rispetto del diritto di sollevare obiezione di coscienza non può prescindere dalla considerazione di altri diritti fondamentali;
    si è, infatti, di fronte a due soggetti entrambi titolari di diritti soggettivi riconosciuti dalla legge, e a due principi che idealmente dovrebbero poter convivere, ma che spesso entrano in contrasto perché l'elevato numero di obiezioni di coscienza può rendere difficoltosa l'applicazione corretta della legge n. 194 del 1978;
    va ricordato, inoltre, che il diritto all'obiezione di coscienza, sancito dall'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, è un diritto strettamente personale e non della struttura, la quale deve garantire, a norma di legge, l'espletamento delle procedure e degli interventi necessari per l'interruzione di gravidanza;
    come osserva la citata relazione del Ministro della salute al Parlamento sullo stato della legge n. 194, «Il ricorso al Consultorio familiare per la documentazione/certificazione rimane ancora basso (40,4 per cento), specialmente al Sud e Isole, anche se in aumento, in gran parte per il maggior ricorso ad esso da parte delle donne straniere (53,3 per cento) rispetto al 33,9 per cento relativa alle italiane). Le cittadine straniere ricorrono più facilmente al Consultorio familiare in quanto servizio a bassa soglia di accesso, anche grazie alla presenza in alcune sedi della mediatrice culturale. Il numero dei consultori familiari pubblici notificato recentemente dalle regioni, è stato 2.204 e 149 quelli privati; pertanto risultano 0,7 consultori per 20.000 abitanti, come nel periodo 2006-2009, valore inferiore a quanto previsto dalle legge n. 34 del 1996 (1 ogni 20.000 abitanti)»,

impegna il Governo:

   ad adottare le misure opportune per dare piena attuazione alle indicazioni dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e al tempo stesso assicurare il diritto alla salute di tutti i cittadini e il diritto di ricevere le cure richieste;
   ad attivarsi, per quanto di sua competenza, al fine di assicurare, pur nel rispetto del diritto all'obiezione di coscienza, il pieno ed efficiente espletamento da parte degli enti ospedalieri delle procedure necessarie per le eventuali richieste di interruzione volontaria di gravidanza;
   a promuovere un potenziamento della presenza sul territorio del nostro Paese dei consultori familiari, quali strutture in grado di aiutare la donna nella difficile scelta che ha di fronte, ed anche strumento indispensabile per le politiche di prevenzione, oltre che come strumento essenziale di attivazione del percorso per l'interruzione volontaria della gravidanza;
   ad assicurare la tempestività dell'intervento regolatorio, come richiesto anche dall'Unione europea, in modo da consentire una buona programmazione delle attività sanitarie, che implichino la legittimità dell'obiezione di coscienza, ma anche l'accesso alle cure mediche e la tutela della salute, in modo da evitare una potenziale conflittualità dannosa per lo stesso diritto alla salute.
(1-00087) «Formisano, Tabacci, Pisicchio, Capelli, Lo Monte».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 22 maggio 1978, n. 194, ha introdotto nel nostro ordinamento la pos
sibilità per le donne di ricorrere, con tempi e modalità determinate, alla interruzione volontaria di gravidanza, affiancando tuttavia il diritto alla procreazione cosciente e responsabile al valore sociale della maternità e la tutela della vita umana fin dal suo inizio, nella prospettiva, anzitutto, di fornire le più ampie forme di assistenza in quel particolare contesto nel quale viene a trovarsi la donna dinanzi all'ipotesi di una interruzione della propria gravidanza;
    l'approvazione di questa legge era stata preceduta da due importanti avvenimenti in materia di sostegno alle donne in gravidanza, quali, in primo luogo l'approvazione della legge 29 luglio 1975, n. 405, e, in secondo luogo, la sentenza n. 27 del 1975 della Corte costituzionale;
    con la prima erano stati disciplinati i consultori familiari, ed erano state espressamente indicate, tra le loro finalità, quella di fornire assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità e alla paternità responsabile, la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile, nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti, la tutela della salute della donna e del nascituro, la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza, consigliando i metodi e i farmaci adatti a ciascun caso;
    con la legge n. 405 quindi, il consultorio viene a costituire un autentico snodo non solo medico, ma anche sociale, diffuso sul territorio, all'interno del quale le donne potranno trovare un punto di riferimento gratuito e aperto a tutti per ogni questione attinente (anche, ma non solo) alla propria vita procreativa;
    nello stesso anno, la pronuncia della Corte costituzionale, intervenuta sul tema quando era ancora vigente la legislazione che sanzionava penalmente l'interruzione volontaria della gravidanza, ancorò il diritto della donna in gravidanza e il diritto alla vita del concepito nel sistema costituzionale, individuando principi poi recepiti nella legge n. 194 e consolidatisi nella giurisprudenza successiva, comprendendoli entrambi, in linea generale, nella tutela costituzionale della protezione della maternità di cui all'articolo 31;
    sotto il profilo costituzionale, la tutela del concepito e quella della madre trovano poi, altresì, separato e ulteriore fondamento in ulteriori disposizioni, quali l'autonoma tutela del concepito, riconducibile all'articolo 2 della Carta, laddove riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, la tutela della madre, nell'ambito dell'articolo 32 a protezione della salute;
    secondo la citata sentenza della Corte, il legislatore avrebbe avuto l'obbligo di predisporre le cautele necessarie per impedire che l'aborto fosse procurato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che sarebbero potuti derivare alla madre dal proseguimento della gestazione, stabilendo che la liceità dell'aborto dovesse essere «ancorata ad una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a giustificarla»;
    la legge n. 194 recita nel suo primo articolo: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite»;
    l'articolo 2 della legge riprende, invece, il tema dei consultori e della loro funzione in relazione alla materia della legge, indicando il dovere che hanno nei confronti della donna in stato di gravidanza, informandola sui diritti garantitegli dalla legge e sui servizi di cui può usufruire, sui diritti delle gestanti in materia laborale;
    inoltre, i consultori dovrebbero assolvere alla funzione di «contribuire a far superare le cause che possono portare all'interruzione della gravidanza», anche attraverso la formulazione di proposte agli enti locali per il sostegno alle maternità contrassegnate da particolari problematiche;
    l'esperienza applicativa della legge n. 194 del 1978, ha posto in evidenza come, dopo un iniziale aumento per la completa emersione dell'aborto dalla clandestinità, la cui entità prima della legalizzazione era stimata tra i 220 e i 500 mila aborti l'anno, si sia potuta osservare una costante diminuzione dell'interruzione volontaria di gravidanza nel nostro Paese;
    dal 1983 i tassi di abortività sono diminuiti in tutti i gruppi di età, più marcatamente in quelli centrali, mentre, per quanto riguarda le minorenni, il tasso di abortività nel 2010 è risultato pari a 4,5 per 1.000 (4,4 per 1.000 nel 2009), con valori più elevati nell'Italia settentrionale e centrale, ma, come già negli anni precedenti, si conferma il minore ricorso all'aborto tra le giovani in Italia rispetto a quanto registrato negli altri paesi dell'Europa occidentale;
    in generale, nel corso degli anni le più rapide riduzioni del ricorso all'aborto sono state osservate tra le donne più istruite, tra le occupate e tra le coniugate, per le quali, anche grazie a una maggiore competenza di partenza, sono risultati più efficaci i programmi e le attività di promozione della procreazione responsabile, principalmente svolti dai consultori familiari;
    il tasso di abortività (numero delle interruzioni volontarie di gravidanza per 1.000 donne in età feconda tra 15-49 anni), l'indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza nel 2011 è risultato pari a 7,8 per 1.000, con un decremento del 5,3 per cento rispetto al 2010 (8,3 per 1.000) e un decremento del 54,7 per cento rispetto al 1982 (17,2 per 1.000), e il valore italiano è tra i più bassi di quelli osservati nei paesi industrializzati;
    a fronte della continua riduzione del ricorso all'aborto tra le donne italiane, riduzione più lenta nelle condizioni di maggiore svantaggio sociale, l'aumento degli aborti effettuati da donne straniere, dovuto al costante incremento della loro presenza nel Paese, rappresenta una criticità importante;
    questi dati, tuttavia, devono essere inquadrati nell'ambito della generale e progressiva riduzione del numero delle gravidanze e delle nascite in Italia dagli anni ottanta ad oggi, e allora si evince come in proporzione alle gravidanze avviate quelle oggetto di interruzione volontaria di gravidanza non rappresentano affatto un trend in diminuzione;
    permangono, infatti, delle forti criticità nell'applicazione della legge 194 del 1978 sia sotto il profilo della prevenzione e della comunicazione, proprio tra i più giovani, tra le donne straniere, nelle fasce sociali più deboli e disagiate, sia sotto il profilo delle possibili alternative per le donne che pensano di ricorrere all'aborto, laddove, invece, il legislatore voleva esaltare proprio questo ruolo dissuasivo rispetto al non portare a termine la propria gravidanza;
    sotto il profilo dell'assistenza e del sostegno alle donne in gravidanza, solo per citare un esempio, appare ancora sottodimensionato l'importantissimo ruolo svolto dai centri di aiuto alla vita, istituiti dalla stessa legge, che ogni anno accolgono migliaia di donne in difficoltà, quasi la metà delle quali sono incinta, e che ancora non hanno raggiunto la necessaria diffusione sul territorio nazionale;
    sono gravissime le notizie riportate in questi giorni dagli organi di stampa circa il diffuso ritorno a pratiche di aborto clandestino da parte di donne che non otterrebbero adeguata assistenza nelle strutture pubbliche;
    gli aborti illegali calcolati dal Ministero della sanità nel 2008 sarebbero stati ventimila, e il fenomeno sarebbe in costante crescita;
    gli aborti clandestini sarebbero praticati in strutture cliniche illegali, con farmaci di contrabbando, e mettono seriamente in pericolo la salute, se non la stessa vita, delle donne che li praticano, per non parlare del fatto che in quelle sedi neanche la pur minima esigenza di tutela della vita del nascituro gode di alcuna considerazione,

impegna il Governo

   a verificare che, nel rispetto della libertà degli obiettori di coscienza, le strutture pubbliche sanitarie continuino a garantire l'applicazione della legge 194 del 1978, preservando le donne che scelgono di interrompere la propria gravidanza da pratiche illegali e pericolose per la propria salute e la propria vita, prevedendo al contempo che anche la somministrazione della pillola RU 486 avvenga nel pieno rispetto dei pareri espressi dal Consiglio superiore di sanità;
   a potenziare, attraverso l'opera dei consultori, l'attività per la prevenzione dell'aborto, mediante adeguate campagne di informazione e sensibilizzazione, in particolare tra i più giovani e nelle fasce sociali più disagiate, non ultimo attraverso l'educazione sessuale;
   a sostenere, a livello normativo e finanziario, tutte quelle iniziative che offrano a queste madri un'alternativa all'aborto, attraverso la creazione di ulteriori centri di aiuto che possano accoglierle e sostenerle nella loro maternità, attraverso forme di sostegno economico erogato direttamente alle madri, attraverso la creazione di politiche abitative che favoriscano questa categoria ed individuando ogni altra iniziativa utile a sostenere questi nuovi genitori;
   ad adottare adeguate politiche a sostegno della natalità e della famiglia, quali l'introduzione del quoziente familiare, l'applicazione dell'aliquota agevolata dell'IVA sui prodotti per l'infanzia, la previsione della possibilità di astenersi dal lavoro per periodi determinati per entrambi i genitori, il potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, anche applicando il modello delle Tagesmutter;
   a rimuovere le cause economiche e sociali, che portano a rinunciare alla maternità, attraverso forme di sostegno, una corretta applicazione della legislazione vigente, ed attraverso il rilancio dell'occupazione femminile, garantendo il part-time e diffondendo il telelavoro.
(1-00089) «Giorgia Meloni».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 22 maggio 1978, n. 194, ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità per le donne di ricorrere, con tempi e modalità determinate, alla interruzione volontaria di gravidanza, affiancando tuttavia il diritto alla procreazione cosciente e responsabile al valore sociale della maternità e la tutela della vita umana fin dal suo inizio, nella prospettiva, anzitutto, di fornire le più ampie forme di assistenza in quel particolare contesto nel quale viene a trovarsi la donna dinanzi all'ipotesi di una interruzione della propria gravidanza;
    l'approvazione di questa legge era stata preceduta da due importanti avvenimenti in materia di sostegno alle donne in gravidanza, quali, in primo luogo l'approvazione della legge 29 luglio 1975, n. 405, e, in secondo luogo, la sentenza n. 27 del 1975 della Corte costituzionale;
    con la prima erano stati disciplinati i consultori familiari, ed erano state espressamente indicate, tra le loro finalità, quella di fornire assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità e alla paternità responsabile, la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile, nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti, la tutela della salute della donna e del nascituro, la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza, consigliando i metodi e i farmaci adatti a ciascun caso;
    con la legge n. 405 quindi, il consultorio viene a costituire un autentico snodo non solo medico, ma anche sociale, diffuso sul territorio, all'interno del quale le donne potranno trovare un punto di riferimento gratuito e aperto a tutti per ogni questione attinente (anche, ma non solo) alla propria vita procreativa;
    nello stesso anno, la pronuncia della Corte costituzionale, intervenuta sul tema quando era ancora vigente la legislazione che sanzionava penalmente l'interruzione volontaria della gravidanza, ancorò il diritto della donna in gravidanza e il diritto alla vita del concepito nel sistema costituzionale, individuando principi poi recepiti nella legge n. 194 e consolidatisi nella giurisprudenza successiva, comprendendoli entrambi, in linea generale, nella tutela costituzionale della protezione della maternità di cui all'articolo 31;
    sotto il profilo costituzionale, la tutela del concepito e quella della madre trovano poi, altresì, separato e ulteriore fondamento in ulteriori disposizioni, quali l'autonoma tutela del concepito, riconducibile all'articolo 2 della Carta, laddove riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, la tutela della madre, nell'ambito dell'articolo 32 a protezione della salute;
    secondo la citata sentenza della Corte, il legislatore avrebbe avuto l'obbligo di predisporre le cautele necessarie per impedire che l'aborto fosse procurato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che sarebbero potuti derivare alla madre dal proseguimento della gestazione, stabilendo che la liceità dell'aborto dovesse essere «ancorata ad una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a giustificarla»;
    la legge n. 194 recita nel suo primo articolo: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite»;
    l'articolo 2 della legge riprende, invece, il tema dei consultori e della loro funzione in relazione alla materia della legge, indicando il dovere che hanno nei confronti della donna in stato di gravidanza, informandola sui diritti garantitegli dalla legge e sui servizi di cui può usufruire, sui diritti delle gestanti in materia laborale;
    inoltre, i consultori dovrebbero assolvere alla funzione di «contribuire a far superare le cause che possono portare all'interruzione della gravidanza», anche attraverso la formulazione di proposte agli enti locali per il sostegno alle maternità contrassegnate da particolari problematiche;
    l'esperienza applicativa della legge n. 194 del 1978, ha posto in evidenza come, dopo un iniziale aumento per la completa emersione dell'aborto dalla clandestinità, la cui entità prima della legalizzazione era stimata tra i 220 e i 500 mila aborti l'anno, si sia potuta osservare una costante diminuzione dell'interruzione volontaria di gravidanza nel nostro Paese;
    dal 1983 i tassi di abortività sono diminuiti in tutti i gruppi di età, più marcatamente in quelli centrali, mentre, per quanto riguarda le minorenni, il tasso di abortività nel 2010 è risultato pari a 4,5 per 1.000 (4,4 per 1.000 nel 2009), con valori più elevati nell'Italia settentrionale e centrale, ma, come già negli anni precedenti, si conferma il minore ricorso all'aborto tra le giovani in Italia rispetto a quanto registrato negli altri paesi dell'Europa occidentale;
    in generale, nel corso degli anni le più rapide riduzioni del ricorso all'aborto sono state osservate tra le donne più istruite, tra le occupate e tra le coniugate, per le quali, anche grazie a una maggiore competenza di partenza, sono risultati più efficaci i programmi e le attività di promozione della procreazione responsabile, principalmente svolti dai consultori familiari;
    il tasso di abortività (numero delle interruzioni volontarie di gravidanza per 1.000 donne in età feconda tra 15-49 anni), l'indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza nel 2011 è risultato pari a 7,8 per 1.000, con un decremento del 5,3 per cento rispetto al 2010 (8,3 per 1.000) e un decremento del 54,7 per cento rispetto al 1982 (17,2 per 1.000), e il valore italiano è tra i più bassi di quelli osservati nei paesi industrializzati;
    a fronte della continua riduzione del ricorso all'aborto tra le donne italiane, riduzione più lenta nelle condizioni di maggiore svantaggio sociale, l'aumento degli aborti effettuati da donne straniere, dovuto al costante incremento della loro presenza nel Paese, rappresenta una criticità importante;
    questi dati, tuttavia, devono essere inquadrati nell'ambito della generale e progressiva riduzione del numero delle gravidanze e delle nascite in Italia dagli anni ottanta ad oggi, e allora si evince come in proporzione alle gravidanze avviate quelle oggetto di interruzione volontaria di gravidanza non rappresentano affatto un trend in diminuzione;
    permangono, infatti, delle forti criticità nell'applicazione della legge 194 del 1978 sia sotto il profilo della prevenzione e della comunicazione, proprio tra i più giovani, tra le donne straniere, nelle fasce sociali più deboli e disagiate, sia sotto il profilo delle possibili alternative per le donne che pensano di ricorrere all'aborto, laddove, invece, il legislatore voleva esaltare proprio questo ruolo dissuasivo rispetto al non portare a termine la propria gravidanza;
    sotto il profilo dell'assistenza e del sostegno alle donne in gravidanza, solo per citare un esempio, appare ancora sottodimensionato l'importantissimo ruolo svolto dai centri di aiuto alla vita, istituiti dalla stessa legge, che ogni anno accolgono migliaia di donne in difficoltà, quasi la metà delle quali sono incinta, e che ancora non hanno raggiunto la necessaria diffusione sul territorio nazionale;
    sono gravissime le notizie riportate in questi giorni dagli organi di stampa circa il diffuso ritorno a pratiche di aborto clandestino da parte di donne che non otterrebbero adeguata assistenza nelle strutture pubbliche;
    gli aborti illegali calcolati dal Ministero della sanità nel 2008 sarebbero stati ventimila, e il fenomeno sarebbe in costante crescita;
    gli aborti clandestini sarebbero praticati in strutture cliniche illegali, con farmaci di contrabbando, e mettono seriamente in pericolo la salute, se non la stessa vita, delle donne che li praticano, per non parlare del fatto che in quelle sedi neanche la pur minima esigenza di tutela della vita del nascituro gode di alcuna considerazione,

impegna il Governo

   a verificare che, nel rispetto della libertà degli obiettori di coscienza, le strutture pubbliche sanitarie continuino a garantire l'applicazione della legge 194 del 1978, preservando le donne che scelgono di interrompere la propria gravidanza da pratiche illegali e pericolose per la propria salute e la propria vita, prevedendo al contempo che anche la somministrazione della pillola RU 486 avvenga nel pieno rispetto dei pareri espressi dal Consiglio superiore di sanità;
   a potenziare, attraverso l'opera dei consultori, l'attività per la prevenzione dell'aborto, mediante adeguate campagne di informazione e sensibilizzazione, in particolare tra i più giovani e nelle fasce sociali più disagiate, non ultimo attraverso l'educazione sessuale;
   a sostenere, a livello normativo e finanziario, tutte quelle iniziative che offrano a queste madri un'alternativa all'aborto, attraverso la creazione di ulteriori centri di aiuto che possano accoglierle e sostenerle nella loro maternità, attraverso forme di sostegno economico erogato direttamente alle madri, attraverso la creazione di politiche abitative che favoriscano questa categoria ed individuando ogni altra iniziativa utile a sostenere questi nuovi genitori;
   a verificare la possibilità di adottare adeguate politiche a sostegno della natalità e della famiglia, quali l'introduzione del quoziente familiare, l'applicazione dell'aliquota agevolata dell'IVA sui prodotti per l'infanzia, la previsione della possibilità di astenersi dal lavoro per periodi determinati per entrambi i genitori, il potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, anche applicando il modello delle Tagesmutter;
   a rimuovere le cause economiche e sociali, che portano a rinunciare alla maternità, attraverso forme di sostegno, una corretta applicazione della legislazione vigente, ed attraverso il rilancio dell'occupazione femminile, garantendo il part-time e diffondendo il telelavoro.
(1-00089)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Giorgia Meloni».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno e vertente su materia analoga).


Risoluzione

   La Camera, al termine del dibattito sulla mozione relativa al diritto all'obiezione di coscienza in ambito medico-sanitario,
   premesso che:
    la legge n. 194 ha avuto il merito di togliere il velo di ipocrisia sull'aborto clandestino affermando il principio dell'autodeterminazione delle donne;
    il bilancio di questi 35 anni di vita della legge presenta luci ed ombre; tra le prime si annovera l'emersione dell'aborto clandestino, la diminuzione degli aborti, l'azione di informazione e di formazione svolta dai consultori; tra le seconde l'alto numero degli obiettori di coscienza tra gli operatori sanitari ed il costante smantellamento dei consultori in diverse aree del Paese, il loro funzionamento zoppo, la loro irregolare distribuzione geografica, con penalizzazione soprattutto delle regioni meridionali;
    i dati relativi all'obiezione di coscienza sono sorprendenti per la loro consistenza numerica: mediamente 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza; con l'eccezione della Valle d'Aosta, che pare presenti percentuali fisiologiche (16 per cento), non vi è realtà nel Paese dove la percentuale sia inferiore al 50 per cento con punte estreme nel Sud e nelle Isole dove 3 su 4 medici sono obiettori;
    il principio dell'obiezione di coscienza va difeso, quando esso venga da vero convincimento morale e non sia dettato da ragioni diverse;
    l'esercizio dell'obiezione di coscienza non deve impedire l'applicazione della legge n. 194 in tutte le sue parti,

impegna il Governo

   mentre si afferma la difesa del diritto all'obiezione di coscienza, a svolgere una rigorosa indagine conoscitiva sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, con un'attenzione particolare al tema del ricorso all'obiezione di coscienza che coinvolge la gran parte degli operatori sanitari;
   a verificare se, su tutto il territorio nazionale, la legge n. 194 del 1978 sia applicata nella sua interezza e la prestazione del servizio della IVG sia garantita;
   a rilevare la consistenza della rete nazionale dei consultori, la loro organizzazione, distribuzione territoriale, dotazione in termini di strutture e personale;
   ad informare tempestivamente sui risultati di questa indagine, al fine di individuare tutte le iniziative amministrative ed organizzative necessarie per assicurare l'applicazione della legge n. 194 in tutte le sue parti.
(6-00014) «Locatelli».