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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 9 gennaio 2018

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Piemonte, in particolar modo il Canavese e la Val di Susa, ma anche la Lombardia, sono stati oggetto per settimane (oltre 25 giorni consecutivi) di roghi di origine dolosa, che hanno distrutto la biodiversità e hanno causato la morte di migliaia di animali;

   è notizia di ottobre 2017 di oltre 600 sfollati in Piemonte a causa del rischio delle fiamme in zone urbanizzate;

   la devastazione compiuta ha costretto la regione Lombardia a richiedere lo stato di calamità naturale e, come nel caso degli incendi che hanno devastato l'area del Vesuvio, si assiste inermi all'assoluta inadeguatezza dei piani di emergenza e di intervento, soprattutto a tutela della biodiversità e degli animali quanto delle persone;

   si legge per fortuna che alcuni sindaci hanno inteso agire riguardo alla caccia:

   quanto ai roghi che si sono pericolosamente avvicinati all'area protetta del parco nazionale del Gran Paradiso, si è appreso che a Sparone le scuole sono state chiuse. «Il sindaco di Locana ha firmato un'ordinanza che vieta, sul territorio comunale, la caccia, la raccolta funghi e le escursioni turistiche. Due frazioni, Gascheria e Boschietto sono rimaste senza acqua: l'incendio, infatti, ha danneggiato la condotta idrica»;

   è in queste circostanze apocalittiche che gli animali selvatici che scampano alle fiamme sono messi sotto assedio dalle doppiette, per via della stagione venatoria in corso. Per questo, numerose associazioni animaliste hanno richiesto di fermare la caccia con provvedimenti a carattere d'urgenza, come imporrebbe anche la logica, soprattutto se si considerano tutti gli aspetti che conducono i presidenti di regione alla richiesta della declaratoria dello stato di calamità naturale. Tale intervento di fermo caccia è per altro previsto dalla normativa vigente in materia di caccia all'articolo 19 della legge n. 157 del 1992 –:

   se il Governo non ritenga che le particolari circostanze sopra descritte richiedano, oltre al riconoscimento dello stato di calamità naturale sebbene si tratti di roghi dolosi, per fermare la caccia e tutelare le specie selvatiche già vittime dei roghi;

   se il Governo, in considerazione del fatto che le specie selvatiche sono patrimonio indisponibile dello Stato non ritenga di dover promuovere adeguati piani di prevenzione e di azione a tutela della biodiversità tutta, che certamente è più volte vittima della inadeguata gestione attuale, come dimostrato di recente, in occasione dei roghi dolosi che hanno imperversato tutta l'estate e, che hanno riguardato quasi tutto il territorio italiano e che non sembrerebbero essere stati fermati.
(4-18956)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi il Governo ha annunciato una nuova operazione, lontana dal mare, da svolgersi nella Repubblica del Niger;

   si tratta, ad avviso dell'interrogante, di una follia sul piano strategico, politico e militare; un piano irrazionale anche sul piano logistico per un'Europa quasi priva di trasporti aerei strategici e finora costretta a noleggiare in Russia i giganteschi cargo Antonov An-124 o a chiedere il supporto dei C-17 statunitensi e britannici anche per spostare truppe e mezzi in Afghanistan;

   schierare truppe sul terreno aumenterà i bersagli a disposizione dei jihadisti per effettuare imboscate, attentati o seminare ordigni improvvisati lungo le piste desertiche battute dalle pattuglie;

   non è ancora chiaro quali e quanti Stati dell'Unione europea autorizzeranno l'impiego dei propri militari in azioni di combattimento, mentre in Italia si sottolinea, con quelli che l'interrogante giudica inganno e mistificazione, il ruolo dei militari per addestrare le forze nigerine;

   i francesi «giocano in casa» non solo perché il G-5 Sahel è composto da ex colonie di Parigi ma perché tale schieramento appare a tutela dei grandi interessi economici in termini di giacimenti di uranio, fondamentale nell'industria bellica;

   la presenza di basi in tutte le aree strategiche, inclusa quella prioritaria per l'Italia nel deserto tra Niger e Libia, rende quasi certo che l'operazione, con quartier generale a Sévaré (Mali) e comandi tattici in Niger e Mauritania, sarà guidata dai francesi;

   è stata divulgata la poco credibile versione secondo la quale non sarà una missione «combat»: il contingente — hanno dichiarato i vertici militari – avrà il compito di addestrare le forze nigerine e renderle in grado di contrastare efficacemente il traffico di migranti ed il terrorismo;

   anche i neofiti, però, comprendono che se si schiereranno truppe a Madama si dovranno mettere in conto anche operazioni di combattimento e del resto è inverosimile pensare che non sia «combat» un'operazione che deve «contrastare» terroristi, miliziani e trafficanti armati fino ai denti;

   un minimo contingente bilanciato in Niger, secondo gli analisti, rasenterebbe il migliaio di unità con costi stimabili in almeno 150 milioni annui. Privarlo degli assetti aerei ed elicotteristici consentirebbe di ridurre i costi della missione, ma renderebbe i militari dipendenti interamente dal supporto francese, sottolineando in questo modo la subalternità nazionale nei confronti di Parigi;

   un simile dispiegamento — secondo gli analisti di AnalisiDifesa.it – non ha alcun senso considerato che la missione in Niger rischia di rivelarsi utile a ridurre l'impegno e i costi di Parigi nell'operazione Barkhane senza però scalfire la leadership di Parigi nel Sahel, mentre circa il contrasto ai flussi migratori illegali non va dimenticato che i trafficanti potrebbero optare per rotte alternative, aggirando il dispositivo militare italiano grazie alle piste desertiche che attraversano il confine algerino per poi sconfinare in Libia a sud di Ghat, area in cui da alcuni mesi è stata registrata la presenza di miliziani dello Stato Islamico;

   l'arma più efficace (e la meno costosa) in mano all'Italia è rappresentata dai respingimenti garantiti e sicuri sulle coste libiche dei migranti soccorsi in mare in cooperazione con la Guardia costiera di Tripoli;

   si tratta dell'unica azione che scoraggerebbe realmente le partenze da tutta l'Africa, garantendo che nessun immigrato illegale possa mai raggiungere i porti italiani;

   non ha alcun senso inviare truppe e mezzi per tentare di bloccare il confine tra Libia e Niger se poi le navi militari italiane ed europee continueranno a sbarcare in Italia i clandestini riusciti a salpare dalle coste libiche –:

   se il Governo non intenda fornire urgentemente ogni utile elemento su questa nefasta pianificazione militare;

   se il Governo non intenda dismettere ogni progetto in tal senso per le ragioni indicate in premessa.
(4-18992)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha firmato il 12 ottobre 2017 il decreto di proroga della continuità territoriale 1 in scadenza, visto che la gara per i collegamenti dal capoluogo regionale è andata deserta;

   ad oggi non si ha nessuna notizia della pubblicazione del nuovo bando;

   Alitalia si era impegnata a garantire la gestione fino al 9 giugno 2018 le rotte per Roma e Milano;

   il Ministro dello sviluppo economico ha annunciato la definizione di un nuovo assetto societario di Alitalia nei prossimi giorni;

   occorre garantire che tale trapasso avvenga senza alcuna interruzione dei collegamenti con gli obblighi di servizio;

   l'Unione europea ha «bocciato» il nuovo piano di continuità territoriale proposto dalla regione Sardegna, considerate soprattutto le indebite compensazioni affidate proprio alle compagnie aeree;

   i regolamenti europei consentono un affidamento diretto solo per 7 mesi dall'avvenuta vacanza di contratto di oneri di servizio pubblico;

   ormai non esistono più i tempi per una nuova gara in grado di rispettare i sette mesi già avviati;

   vanno considerati i ritardi e l'incapacità di gestire la continuità territoriale da parte della regione Sardegna e dello stesso Governo –:

   se e come intendano garantire alla Sardegna e ai sardi il diritto alla mobilità da e per la Sardegna considerato che non si tratta di tariffe agevolate ma del sacrosanto diritto al riequilibrio di condizioni legate all'insularità della Sardegna.
(4-18996)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   non si fermano i «carichi di morte» dalla Sardegna;

   a niente sono valse le denunce, anche internazionali, della vigilia di Natale;

   l'allerta per il nuovo carico esplosivo è scattata il giorno dopo capodanno;

   il 2 gennaio 2018, poco dopo le 19,00 una squadra dei vigili del fuoco, come ha documentano l'interrogante, ha fatto ingresso al porto Canale di Cagliari per presidiare un nuovo inquietante carico di materiale esplosivo;

   si è trattato del primo blitz dell'anno, con un carico di bombe stivate nei container caricati dentro la nave che ha lasciato gli ormeggi del porto terminal poco prima delle 21,30;

   si tratta ancora una volta di un carico festivo e notturno con il chiaro intento di continuare a nascondere questo perenne «traffico di morte» che parte dal porto canale di Cagliari;

   si continua in un'alternanza sistematica di approdi e porti funzionale a depistare le informazioni anche in relazione a vari destinatari di questi carichi;

   il 3 gennaio 2018, la nave è giunta al porto di Marina di Carrara e da lì le strade si sarebbero diversificate per raggiungere qualche deposito italiano, francese, oppure verso il fronte balcanico;

   lo Stato italiano, nonostante i deliberanti di molti organismi internazionali, sta avallando in tutti i modi questo trasbordo anche verso Stati in guerra, a giudizio dell'interrogante, in violazione di tutte le leggi ordinarie e costituzionali sulla partecipazione alle guerre e al transito e trasporto di materiale bellico;

   il Governo continua attraverso la Farnesina e il Mistero della difesa a riportare notizie che all'interrogante appaiono destituite di fondamento e a coprire di fatto questo scandalo indecente che sta generando migliaia di morti in molte parti del mondo;

   le leggi italiane e la stessa Costituzione ripudiano la guerra e vietano la vendita di armi a Stati che siano in conflitto;

   a questo si aggiunge che l'Arabia Saudita continua in una guerra condannata a più riprese da tutti gli organismi internazionali, a partire dall'Onu;

   l'avallo del Governo italiano è secondo l'interrogante in contrasto con la normativa sotto ogni punto di vista e non si comprende come questo commercio verso Paesi in guerra non venga interrotto senza ulteriori gravi violazioni che stanno provocando migliaia di vittime, a partire dallo Yemen;

   l'interrogante ha auspicato più volte che il Governo e la regione garantiscano, anche attraverso piani di bonifica ambientale specifici, la ricollocazione del personale impegnato in quella fabbrica di morte;

   non farlo significa essere ulteriormente corresponsabili di quanto sta avvenendo in violazione di norme fondamentali;

   il grado di compromissione del Governo è, a giudizio dell'interrogante, gravissimo proprio perché si continua a tacere, negare o omettere la realtà dei fatti;

   è inspiegabile come lo stesso Parlamento europeo abbia invocato lo «stop» a quelle vendite, mentre in Italia si continua ad avallare questo insulso commercio di morte;

   un commercio che finirà, purtroppo, per ripercuotersi gravemente, in termini di flussi migratori, verso l'Occidente e l'Italia in particolar modo, incrementando i rischi di reazioni terroristiche verso il Paese;

   tutto questo deve cessare, senza che altre vittime e altre stragi siano alimentate indirettamente a causa dell'operato di un Governo che consente la commercializzazione di armi a uno Stato in guerra contro le popolazioni civili dello Yemen –:

   se il Governo intenda assumere iniziative per porre fine a questo commercio di armi dall'Italia verso Paesi in guerra;

   se non intenda promuovere con somma urgenza forme di riconversione produttiva e occupazionale per quella realtà produttiva;

   se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per garantire la riconversione occupazionale di quei lavoratori sul versante della bonifica ambientale e la ripresa economica del territorio attraverso il rilancio delle potenzialità dell'area.
(4-18997)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   gli orsi sono protetti da varie norme nazionali e internazionali;

   il progetto Life Ursus è iniziato dal 1999 con la reintroduzione di orsi provenienti dall'est Europa con l'obiettivo di ripopolare la zona, ma a farne le spese sono stati gli orsi stessi;

   ormai, da anni, sono emersi i gravi problemi da parte della provincia di Trento nell'attuare forme di tutela e di protezione nei confronti di questi;

   nessuno degli orsi del Trentino ha manifestato comportamenti impropri della specie; si tratta piuttosto di animali che, in determinate condizioni anche di pericolo, hanno messo in atto comportamenti etologicamente normali e perfettamente prevedibili; la definizione di «orsi problematici» è del tetto inadeguata e derivante da presupposto scorretto e gravissimo;

   spesso gli orsi sono stati considerati responsabili di danni che invece non sono loro ascrivibili;

   ad oggi gli orsi morti (accertati) sono 19 di cui 10 uccisi dall'uomo e tra questi 5 ad opera della provincia di Trento e della forestale in operazioni di cattura, 17 quelli non rilevati geneticamente, 2 emigrati e 2 ricatturati e costretti a vivere in cattività. Jurka ha pagato con la reclusione a vita e la sterilizzazione, il atto di essersi comportata come è naturale che fosse, compiendo qualche scorribanda in relazione alle quali scarsissimi interventi dissuasivi sono stati posti in essere, come invece fu richiesto in modo secco e determinato dallo staff dell'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

   l'uccisione dell'orsa Daniza in provincia di Trento lascia aperti numerosi interrogativi sotto molti aspetti anche in relazione al progetto Life Ursus e il conseguente piano di ripopolamento degli orsi in provincia di Trento;

   si parla ampiamente sulla stampa di gravi lesioni riportate dall'uomo aggredito, ma queste, da quanto è dato sapere, non sono state in alcun modo certificate da perizia medico-veterinaria legale. Così come alcune associazioni sostengono che sia stato il presunto aggredito ad essere l'aggressore dell'orso;

   a sostegno del provvedimento contingibile e urgente la provincia Autonoma di Trento non ha posto in essere alcuna attività istruttoria tesa a verificare anche con perizie medico-veterinarie legali, la veridicità e la coerenza del racconto del soggetto rimasto vittima della presunta aggressione;

   non si comprende da quali elementi comportamentali si sia proceduto a qualificare l'animale «pericoloso» al punto di giustificarne e ordinarne la cattura e financo, ove ritenuto necessario, l'abbattimento;

   la telenarcosi è una tecnica per la cattura degli animali selvatici, da utilizzare nei soli casi in cui non siano possibili una cattura o un contenimento privo di rischi per gli animali stessi e per gli operatori; tecnica praticata con fucile che si annovera tra le armi da sparo, in ossequio a quanto previsto dall'articolo 2 della legge n. 110 del 1975 e che costituisce atto medico che presuppone l'uso di farmaci anestetici (regolamentato dal decreto legislativo n. 193 del 2006) da inocularsi tramite un dardo, come specificato anche da una nota del Ministero della salute in data 13 dicembre 2004. La Corte di cassazione con la sentenza del 3 febbraio 1968 conferma che, ove queste pratiche non siano effettuate da personale medico le stesse vanno ad assumere rilevanza penale ai sensi dell'articolo 348 del codice penale che ai sensi dell'articolo 65 del decreto del Presidente della Repubblica n. 320 del 1954, recante «Regolamento di polizia veterinaria», le inoculazioni devono essere effettuate da medici veterinari –:

   quali siano le ragioni scientifiche, etologiche, veterinarie e comportamentali, debitamente provate ed argomentate da professionisti, che rendano necessarie la cattura dell'orso;

   se vi siano le prove certificate legalmente dal personale medico veterinario che attestino che le lesioni riportate dall'escursionista siano causate da un orso;

   in base a quali presupposti normativi sia possibile rinchiudere l'orso;

   quali specifiche motivazioni ed istruttorie siano alla base dell'ordinanza citata;

   quali soggetti siano autorizzati ad effettuare l'uso della telenarcosi, quale esperienza debbano avere per poter effettuare tale pratica, e quale sia il protocollo anestetico.
(4-18957)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   quest'anno l'Italia è stata sotto scacco di una infinita quantità di incendi dolosi ed è stata devastata in un periodo di fondamentale importanza biologica per la fauna selvatica;

   a causa dei cambiamenti climatici l'Italia è stata anche vittima di una siccità senza precedenti;

   in diversi distretti territoriali della penisola, con caratteristiche geografiche diverse e con ecotipi diversi, non si può agire nel medesimo modo; occorre mettere a disposizione le buone pratiche e fornire sostegno alla fauna selvatica in momenti così critici quanto delicati;

   è necessario sapere che non sarà la fine degli incendi a rappresentare la fine delle problematiche per gli animali selvatici, anzi; la situazione di questo periodo talmente critico deve essere meglio conosciuta: presumibilmente gli animali superstiti saranno costretti a spostarsi e la competizione anche per le poche risorse disponibili aumenterà in ragione della diminuzione drastica degli habitat ed è altrettanto presumibile che molte specie subiranno una drastica riduzione della consistenza della popolazione proprio per il danno subito;

   le specie terricole, come ricci e altri piccoli mammiferi, hanno subito i danni maggiori;

   si è stati testimoni della totale assenza di coordinamento negli interventi di soccorso, per altro obbligatori per legge, della fauna selvatica;

   questi animali hanno un habitat devastato ed è più che presumibile che i superstiti tendano a muoversi e a cercare nuovi territori; quindi, è d'obbligo rammentare con specifici provvedimenti, operativi e amministrativi, che si tratta di specie tutelate dalla normativa vigente;

   in considerazione della devastazione degli habitat, dell'impatto su tutta la biodiversità e degli anni che saranno necessari solo per far riprendere la vita in quegli ambienti, sarebbe stato opportuno valutare una moratoria sulla caccia, anziché autorizzare le preaperture in deroga, come concesso da molte regioni. Ogni tipo di impatto antropico in quei territori dovrebbe essere evitato –:

   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative, anche normative, per prevedere una moratoria sulla caccia in tutte le regioni colpite dagli incendi, dolosi e non dolosi, in considerazione del grave impatto che la biodiversità ha subito e per favorire la sopravvivenza degli animali scampati agli incendi e alla grave siccità;

   se e quali iniziative di competenza intendano assumere per il ripristino dei luoghi e per la tutela della biodiversità sopravvissuta;

   se intendano assumere iniziative per definire una serie di dovuti interventi sul campo che anche il singolo cittadino possa realizzare per gli animali selvatici;

   se intendano assumere iniziative per educare i cittadini delle aree colpite dagli incendi sui possibili comportamenti degli animali scampati agli stessi che, impauriti, possono vagare in cerca di nuovi habitat, di cibo e di soccorso;

   se intendano assumere iniziative per definire, in modo coerente e adeguato, un sistema a rete nazionale di intervento e soccorso per la fauna selvatica, del tutto inesistente o insufficiente nel nostro Paese, e renderlo efficace e pienamente operativo.
(4-18962)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la condizione nella quale sono i cuccioli dell'orsa KJ2, a seguito della sua uccisione, ha posto gli animali in situazione di difficoltà, fatica e stress psico-fisico. I cuccioli di orso bruno, infatti, in natura possono vivere con la madre dai due fino ai quattro anni durante i quali imparano le tecniche di sopravvivenza, quale cibo sia di maggiore valore nutrizionale e come procurarselo: essi imparano anche come cacciare, pescare e difendersi. Tali sono gli apprendimenti degli stessi nel corso dello sviluppo, tramite processi imitativi, durante tutto il periodo di vita condiviso con la madre. È evidente come, per cause forzate, ai cuccioli verranno a mancare queste necessarie fasi di crescita e di naturale sviluppo e acquisizione di tutti i pattern comportamentali che ogni orso cresciuto con la propria madre avrebbe;

   le orse proteggono i loro cuccioli, spaccano loro i tronchi di legno nei quali sono contenuti le tane degli insetti di cui si nutrono, li conducono in luoghi di alimentazione distanti dalla tana e che i cuccioli frequenteranno talvolta da adulti. Le madri costruiscono in autunno le tane nelle quali scaldare i cuccioli nella stagione invernale;

   è altrettanto evidente che trattandosi di cuccioli molto giovani, questi non siano in grado di gestirsi completamente da soli, procacciandosi il cibo in modo sufficiente o difendersi da altri orsi maschi o da lupi, potenziali loro predatori;

   più di una ricerca effettuata su cuccioli orfani di orso bruno ha dimostrato che è necessario mettere a disposizione cibo agli orsi orfani, con particolari specifiche metodiche, affinché il cibo non sia ricollegato alla presenza e alla figura umane, per poter consentire un regolare approvvigionamento alimentare, soprattutto con l'avvicinarsi del letargo, e la sopravvivenza;

   un'altra ricerca dimostra l'esigenza di aiutare gli orsi con cibo supplementare;

   il cofattore fondamentale per un'alta percentuale di sopravvivenza di cuccioli di orso bruno rimasti orfani è quindi l'accesso a cibo supplementare, oltre alla disponibilità di un vasto areale di territorio che mitigherebbe la possibilità di attacco da parte di predatori (orsi maschi, lupi). La medesima ricerca suggerisce di ricorrere ad una madre adottiva, soprattutto qualora gli orfani fossero ancora nella fase di allattamento, poiché con una elevata percentuale di successo le orse possono adottare e gestire anche fino a sei orsetti quando vi sia sufficiente cibo a disposizione, naturalmente presente o fornito su tutto il territorio, per consentire non solo alla madre ma anche a tutti i cuccioli, di crescere regolarmente;

   per quanto sopra descritto appare evidente all'interrogante che sussistano i presupposti per rilevare una cattiva gestione a cui i cuccioli sono stati sottoposti, in ragione della privazione della madre in tempi prematuri e con modalità drammatiche; gli stessi, stanno conseguentemente subendo gravi danni, sia sotto il profilo etologico che sotto il profilo fisico;

   la scienza suggerisce che i piccoli possono vivere anche fino ai 4 anni con la madre; se ne deduce il grado di rilevanza di questa relazione e la necessità imprescindibile che per la corretta e sana formazione socio-etologica si consenta a questo importante rapporto di svilupparsi in modo naturale –:

   se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere, per quanto di competenza, per garantire la sopravvivenza dei cuccioli e la loro tutela;

   se i Ministri non intendano assumere iniziative per affidare la gestione dei cuccioli al nucleo forestale del Comando dei carabinieri che, tramite un coordinatore, possa provvedere a costituire un pool di esperti per valutare le migliori soluzioni per garantire la sopravvivenza e la tutela dei cuccioli in natura con ogni dovuta precauzione;

   se i Ministri siano a conoscenza delle esperienze di gestione in natura di cuccioli di orso bruno riportate anche dalla letteratura scientifica, esperienze da cui si può attingere per la realizzazione immediata di un piano di azione e messa sicurezza degli stessi.
(4-18963)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   le zone a protezione speciale sono le zone a protezione speciale previste e regolamentate dalla direttiva comunitaria 79/409 cosiddetti «Uccelli» che, insieme ai Sic previsti dalla direttiva 92/43 «Habitat», recepita dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e del successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 2003, sono finalizzate alla conservazione degli habitat naturali e delle specie animali e vegetali di interesse comunitario e sono designate per tutelare la biodiversità attraverso specifici piani di gestione;

   queste aree costituiscono il sistema di Rete Natura 2000;

   nello specifico la zone a protezione speciale che si trova nel comune di Terre del Reno e, nella fattispecie, nella frazione S. Carlo provincia di Ferrara del Canale Cavo Napoleonico è oggetto di estesi e ripetuti incendi che devastano ettari ed ettari non solo di canneto, ma anche di alberi e cespugli proprio nel periodo primaverile di nidificazione di migliaia di uccelli acquatici e piccoli mammiferi, i quali muoiono a causa di questi incendi e non possono riprodursi in assenza di ambienti idonei, quando non vanno distrutti direttamente le uova e i nidiacei a causa dei roghi;

   come è noto la legge quadro n. 353 del 2000 «Legge-quadro in materia di incendi boschivi», all'articolo 10 recita: «Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia»;

   appare quindi all'interrogante del tutto bizzarra e fuori luogo la risposta che il comune e soprattutto la regione, in qualità di gestore della zona a protezione speciale, hanno voluto fornire ad un gruppo di cittadini in merito al fenomeno degli incendi. Sarebbe stato doveroso bloccare la caccia nelle aree colpite dagli incendi proprio per quanto previsto dalla legge sopraccitata –:

   se i Ministri interrogati siano in grado di fornire informazioni in merito alla corretta applicazione delle normative vigenti sulla tutela delle zone a protezione speciale, inclusa quella nel comune di Terre del Reno, frazione S. Carlo, provincia di Ferrara, relativa al Canale Cavo Napoleonico;

   se e quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere per il rispetto delle normative vigenti nazionali e delle direttive europee, tutelando realmente la biodiversità delle zone a protezione speciale e dei Sic e garantendo la coerente applicazione dei precetti normativi con la finalità di salvaguardare, anche a seguito della grave siccità e degli incendi che hanno devastato il Paese, tutte le specie che sono già state gravemente minacciate e che appartengono al patrimonio dello Stato, come tutti gli ecosistemi messi a dura prova dagli impatti antropici.
(4-18967)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   i media riportano un ulteriore fatto di cronaca gravissimo avvenuto di recente a Radicofani (Si) e che segnala la dimensione del dramma che riguarda l'uccisione di lupi che sta avvenendo indisturbata anche e soprattutto in Toscana;

   nello specifico, a Radicofani, due lupi impiccati sono stati legati al cartello di ingresso della città, come già avvenuto in altre circostanze, come ad esempio a Scansano;

   pochi giorni fa un ennesimo episodio similare è avvenuto in provincia di Rieti;

   già in precedenti interrogazioni l'interrogante ha evidenziato come questa deriva inaccettabile e questo attacco al patrimonio indisponibile dello Stato siano un fenomeno recrudescente, anche a causa di impropri e inadeguati progetti sul territorio che, anziché risolvere le conflittualità, le hanno acuite, favorendo questi episodi macabri ed inaccettabili per un Paese civile;

   infatti, si riscontrano episodi di uccisione dei lupi in aumento. Si rammenta che il lupo è patrimonio indisponibile dello Stato (secondo la ratio della legge n. 968 del 27 dicembre 1977 che ha elevato la fauna selvatica da «res nullius» a «res communitatis», cioè «patrimonio indisponibile dello Stato») e si tratta quindi di una specie particolarmente protetta da numerose normative nazionali ed internazionali;

   laddove sono state messe in pratica una serie di azioni «con l'uso di appropriati strumenti di prevenzione si riesce a minimizzare il conflitto tra predatori e zootecnia. Per esempio l'amministrazione provinciale di Firenze è impegnata fin dal 2005 in un progetto di prevenzione che ha portato alla riduzione della predazione del 90 per cento» (fonte Dottor Duccio Berzi «Tecniche, strategie e strumenti per la prevenzione dei danni da predatori al patrimonio zootecnico», Centro per lo studio e la documentazione sul lupo);

   secondo i dati del progetto «LIFE Medwolf» (LIFE11 NAT/IT/069), realizzato in Toscana, tra le aziende che hanno denunciato danni da predazione da canidi nel 2014, il 98 per cento di queste possiede allevamenti e pascoli non vigilati da pastori, il 57 per cento non ha cani da pastore-guardiania e solo il 41 per cento ha due cani ogni 500 pecore, l'85 per cento non ha recinzioni per prevenire l'attacco da parte di predatori;

   il progetto sopraccitato, sulla base del registro ufficiale delle predazioni, riporta che solo lo 0,3 per cento è la reale percentuale del patrimonio zootecnico ovino colpito dalla predazioni nel 2014, nell'ambito territoriale preso in considerazione dall'indagine scientifica;

   la presenza del lupo è un inequivocabile segnale positivo per tutto l'ecosistema e per la biodiversità, è quindi un indicatore biologico, in qualità di top predator, di un ambiente ecologicamente sostenibile;

   si è registrata la chiara posizione della Commissione europea che nell'aprile 2014 (E-002258-14) ha espresso la sua viva preoccupazione nei confronti degli atti di bracconaggio dei lupi, considerandolo «una minaccia per la salute dell'ambiente naturale, in particolare per il conseguimento degli obiettivi della direttiva "Habitat" e del primo obiettivo della strategia dell'UE per la biodiversità» –:

   se e quali iniziative i Ministri intendano assumere per la prevenzione di altri gravi atti di bracconaggio, anche in considerazione della perdita di patrimonio indisponibile dello Stato, e se a tal fine abbiano intenzione di assumere iniziative per ottenere il dovuto risarcimento, nonché per costituirsi parte civile negli eventuali procedimenti penali;

   se e quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati in relazione al grave danno causato dall'uccisione di un gran numero di lupi (considerato che gli esemplari rinvenuti rappresentano presumibilmente una minima parte di quelli uccisi realmente), vista la protezione speciale di cui gode la specie e anche alla luce del grave danno all'immagine – nazionale e internazionale – che si determina e del rischio di boicottaggio dei prodotti agricoli che risulterebbe esser stato prospettato da alcune associazioni.
(4-18975)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   con decreto ministeriale 17 giugno 2009, ad oltre quattro anni dall'apertura della struttura in mancanza di licenza, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute e il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, sentita la Conferenza unificata, hanno concesso alla Zoomarine s.p.a, il provvedimento di licenza di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73 (Attuazione della direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici), relativamente alla struttura sita in località via Casabianca, 61 – 00040 Pomezia (Roma);

   pur esprimendo parere favorevole, la Commissione degli esperti, in sede di sopralluogo ex articolo 6 del decreto legislativo n. 73 del 2005, ha ritenuto opportuno evidenziare una serie di prescrizioni;

   alla luce degli elementi acquisiti dall'interrogante, andrebbe verificato se presso la struttura in questione sia assicurata una piena conformità delle procedure e dei comportamenti alla normativa vigente, con riferimento al contatto con gli animali e alle precauzioni sanitarie;

   sono state effettuate, inoltre, numerose attività tra le quali una gara di velocità con i delfini di un noto nuotatore della Nazionale italiana e un record di apnea, tutte rigorosamente riportate dalla stampa;

   sono stati altresì pubblicizzati programmi di «pet therapy» con i delfini di cui vi è traccia sulla stampa;

   come è evidenziato dalla pubblicazione del Dottor Sandro Mazzariol ed altri, Dolphin Morbillivirus Infection in a Captive Harbor Seal (Phoc vitulina)(https://ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC355390) si è verificata la morte a causa di un virus di una foca presente nella struttura –:

   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per verificare il pieno rispetto delle previsioni del decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469, e il perdurare dei requisiti che hanno consentito il rilascio della licenza di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n. 73 del 2005 alla struttura Zoomarine;

   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere ogni iniziativa di competenza in relazione a tale materia, anche in considerazione della circostanza che le violazioni alla direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici, di cui il decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73, costituisce specifica e diretta applicazione, sono già state e sono oggetto di procedura di infrazione.
(4-18979)


   VIGNAROLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 6 gennaio 2018 Altroconsumo ha riferito di un'operazione del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri (Noe) di Milano, riguardante il settore degli abiti usati donati a fini solidali. «Non è la prima volta» riferisce Altroconsumo «che organizzazioni criminali macchiano la credibilità di una raccolta differenziata fatta di tanti operatori onesti. Complici, purtroppo, una filiera opaca e controlli insufficienti»;

   l'intervento del Noe ha messo alla luce non solo un traffico che ruotava intorno alla Nuova Tessil Pezzame, azienda che operava proprio nel trattamento degli abiti usati, ma anche l'esistenza di un legame indiretto tra Caritas e l'organizzazione criminale colpevole dei delitti ambientali;

   il Corriere della Sera del 29 novembre 2017 riporta che: Carmine Scarano (arrestato) gestiva la Ntp che operava direttamente o riceveva gli abiti raccolti da associazioni come «Vesti solidale» di Milano, una onlus che nasce in «un “sistema di cooperative” promosse da Caritas Ambrosiana»; l'ordinanza contiene l'intercettazione di una telefonata tra lo stesso Scarano e Carmine Guanci, noto esponente di Caritas Ambrosiana. Di fronte alla richiesta di ricevere un campione igienizzato per un cliente olandese, Scarano dice: «Ma perché tu vuoi fare questa avventura adesso?». E poi si lamenta: «costa!». Guanci risponde: «E certo che costa; se questo è disponibile a pagare noi facciamo tutto, se no che si fotta!». Poi Scarano conclude: «Io non ho mai voluto selezionare proprio per...uno dei motivi per cui non voglio selezionare è proprio questo! Cioè tu devi mettere a uno e un altro a guardare se si frega la roba»;

   l’Espresso ha pubblicato il 28 giugno 2017 un articolo in cui si sottolinea che «Tesmapri è il crocevia di rapporti che non appaiono sempre trasparenti». (...) «Nella compagine societaria dell'impresa di Montemurlo c'è stato anche l'ercolanese Giovanni Borrelli, imputato anche di avere avuto ruoli in imprese in odore di camorra» come mette a verbale il deputato Stefano Vignaroli durante l'audizione in commissione Ecomafie del presidente del consorzio nazionale abiti e accessori usati, Edoardo Amerini; e che «Tesmapri ha tra i suoi partner commerciali la società pratese ora in liquidazione Eurotrading International, guidata da Ciro Ascione, figlio di Vincenzo Ascione, entrambi indagati anche nell'inchiesta della Dda di Firenze. Quest'ultimo, originario di Torre del Greco e procuratore speciale della ditta di famiglia, è considerato dagli inquirenti “in collegamento d'interesse” con il clan Birra-Iacomino. È stato condannato all'ergastolo e poi assolto nel 2004 per l'omicidio di Ciro Cozzolino. Un pentito lo ha di nuovo accusato nel 2009, ma non poteva essere processato di nuovo per lo stesso reato. Oggi Vincenzo Ascione è latitante in Tunisia, dove si occupa sempre del business degli abiti usati ed è stato condannato in primo grado insieme al figlio per usura ai danni di un autosalone del pistoiese»;

   Tesmapri, l'intermediario che ha contribuito all'accumulo di ricchezze di Vincenzo Ascione a quanto risulta evidente agli occhi di ogni cittadino di Milano e dei comuni limitrofi che vede i contenitori gialli posizionati nelle strade, è partner commerciale della Caritas Ambrosiana con tanto di loghi affiancati sui contenitori –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione ai fatti richiamati in premessa e se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per monitorare un fenomeno che coinvolge anche soggetti la cui buona reputazione induce i cittadini a donare gli indumenti.
(4-18981)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   vi sono evidenze scientifiche che dimostrano che l'uso dei sonar a bassa frequenza impiegati dalle marinerie militari ha un impatto devastante sui grandi cetacei pelagici. Molte specie appartenenti all'ordine Cetacea sono particolarmente sensibili a forti emissioni acustiche, quali quelle generate dai sonar e dagli air-gun, che vanno sommate al rumore di fondo sottomarino e a quello generato dal normale traffico marittimo. Zifii (Ziphius cavirostris) e Capodogli (Physeter macrocephalus) sono tra le specie più sensibili e possono subire effetti negativi che vanno da disagio e stress, fino al danno acustico vero e proprio, con perdita di sensibilità uditiva che può manifestarsi come temporanea o permanente. L'esposizione a rumori molto forti inoltre può produrre anche danni fisiologici (emorragie) ad altri apparati, oltre a quelli uditivi, fino a provocare effetti letali;

   tali attività proseguono per ore e per giorni e permangono per anni e possono costituire un ostacolo e disturbare, compromettendolo, il già precario stato di salute e di conservazione dei cetacei, specialmente se le navi, le attrezzature e gli impianti che accompagnano l'attività di ricerca operano in un vasto territorio nel quale i cetacei vivono da sempre;

   consentire queste attività senza seguire in maniera trasparente, completa e corretta tali disposizioni e senza coinvolgere la comunità tecnico-scientifica in modo che possa intervenire nello studio, nelle attività di documentazione e recupero dell’habitat e negli episodi di spiaggiamento di cetacei significa un azzardo, con un grande rischio annunciato per l'intero ecosistema, con danno talvolta irreversibile, che si rifletterà inevitabilmente sulla biodiversità marina;

   la Nato utilizza i così detti low frequency active sonar (LFAS) anche nel Mediterraneo. Tali sonar, come sopra evidenziato, possono spiegare il loro effetto anche oltre i 100 chilometri e causare danni irreparabili all'organismo dei cetacei pelagici e non solo; ricerche scientifiche dimostrano il grave impatto causato dai sonar a bassa frequenza;

   è notizia recente che la Nato nelle acque di Turchia, Grecia e Italia stia operando per garantire la sicurezza del Mediterraneo (fonte: http://navaltoday.com);

   con l'istituzione del Santuario «Pelagos», le parti contraenti si sono impegnate a garantire una serie di azioni chiave;

   l'inserimento del Santuario per i mammiferi marini nella lista di aree specialmente protette di importanza mediterranea (Specialy Protected Areas of Mediterranean Importance - SPAMIs) impegna i 17 Stati e gli organismi internazionali aderenti al protocollo SPA al rispetto dei vincoli di cui sopra –:

   se i Ministri interrogati intendano fornire informazioni in merito a quanti e quali siano gli esperimenti di tipo militare che prevedano l'uso dei LFAS e che sono attualmente in corso o previsti nel Mar Mediterraneo;

   se i Ministri non ritengano di assumere iniziative per coinvolgere i ricercatori in operazioni che prevedano l'uso dei LFAS;

   se i Ministri interrogati, in ragione dell'alto valore ecologico del Mediterraneo, della presenza del Santuario dei cetacei e della sua biodiversità marina, non ritengano necessario assumere iniziative volte a prevedere la costituzione di un'apposita commissione di valutazione di tutte le operazioni che comprendano l'uso dei LFAS, anche in considerazione delle aggressioni di tipo antropico cui il mare è già sottoposto e che mettono a rischio la presenza di molte specie.
(4-18964)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il preposto commissario dell'Anas ha inoltrato a distinte procedure di verifica di assoggettamento a valutazione di impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i progetti di quattro varianti alla strada statale 51 di Alemagna (BL) (Varianti di Tai, Valle, San Vito e Cortina), e ha inserito tali progetti nel «Piano di interventi di adeguamento della rete viaria statale e delle relative connessioni con la viabilità locale» finalizzato ad «assicurare la (...) realizzazione degli eventi sportivi internazionali di sci alpino» programmati a Cortina d'Ampezzo nel marzo 2020 e nel febbraio 2021 (articolo 61 del decreto-legge n. 50 del 2017);

   le suddette varianti, per quanto individualmente di estensione contenuta, risultano però di notevole potenzialità di impatto locale e territoriale e di grande impegno di progettazione, valutazione e realizzazione (in galleria sotto abitato o a bordo fiume a rischio idrogeologico), tant'è che Comitati e associazioni locali e nazionali contestano, con specifiche osservazioni, alcuni aspetti critici dei progetti e dei rapporti ambientali preliminari presentati dall'Anas per ottenere l'esenzione dalla procedura di valutazione di impatto ambientale;

   in particolare, con tali osservazioni critiche mosse nei confronti di una lamentata sottovalutazione del rischio di impatti significativi atmosferici, acustici, idrogeologici e paesaggistici ascrivibili a quei progetti, comitati e associazioni chiedono, per ciascuna di queste opere, l'assoggettamento a valutazione di impatto ambientale, anche in considerazione della loro ricomprensione in un'area di tutela Unesco;

   viene contestato anche il ricorso alla pratica, già censurata in sede di Unione europea, del «salami slicing», lo spezzettamento in distinte procedure di un progetto unitariamente pensato e progettato dalla stessa mano tecnica sulla medesima infrastruttura – e che però trascura del tutto gli impatti cumulativi e di lungo periodo di una tale strategia di potenziamento della intera direttrice stradale –, e viene richiesta invece una procedura di valutazione di impatto ambientale unica e unitaria, che tenga in considerazione le implicazioni complessive e di lungo periodo, e ciò con particolare riguardo anche al «patrimonio dell'umanità delle Dolomiti»;

   viene altresì contestato l'ulteriore spezzettamento – con rinvio di ogni intervento di fondo a un indeterminato futuro – del tratto delle pericolose frane tra San Vito e Cortina, per il quale non vi è alcuna indicazione di intervento, malgrado la sua grave necessità ed urgenza e benché sia ricompreso tra tratti per i quali invece si propone variante, e ciò in contrasto con la circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 7 ottobre 1996, n. GAB 96/15208;

   tali spezzettamenti di un piano complessivo di importanti varianti ad avviso dell'interrogante sono stati decisi ed operati dal commissario dell'Anas sui progetti e sulle relative procedure di variante, restringendoli forzosamente entro il succitato piano e utilizzando così tempistiche e procedure semplificate, nonostante il piano debba contenere, a norma del decreto-legge n. 50 del 2017, solo «interventi di adeguamento della viabilità», e non varianti in nuova sede;

   lettera e impianto complessivo della norma lasciano intendere che nel piano siano inseribili solo «interventi di adeguamento» dei tracciati, dei nodi e delle connessioni esistenti, interventi anche importanti ma progettabili, approvabili e completamente realizzabili negli strettissimi tempi prescritti (31 dicembre 2019), e quindi anche per questo motivo individualmente di dimensioni limitate, contenuti negli spazi disponibili in adiacenza ai tracciati esistenti, senza varianti di tracciato e senza necessità di procedure di valutazione. Forzare invece in quel piano opere ritenute del tutto incompatibili con le caratteristiche dello stesso, oltre che a contestazioni e ricorsi, porterebbe, secondo l'interrogante, ad avviare lavori impossibili da concludere entro i tempi imposti, senza alcun beneficio per le comunità locali e con un evidente ulteriore danno di immagine, per Cortina, per le Dolomiti e per l'intero Paese, sotto gli occhi dell'intera opinione pubblica sportiva internazionale –:

   se le opere di notevole impegno progettuale/cantieristico e grande potenzialità d'impatto, ad avviso dell'interrogante inserite forzosamente dal commissario dell'Anas, e in contrasto con la tempistica prevista, nel piano di interventi di cui in premessa, risultino compatibili con le caratteristiche e le scadenze stabilite dalla legge che in quel piano ammette solo «adeguamenti»;

   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per garantire, nel rispetto della normativa vigente, un piano che sia fattibile e realizzabile integralmente nei tempi previsti, evitando il rischio di opere incompiute.
(4-18966)


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Mistral Air è un vettore aereo – di proprietà di Poste Italiane, i cui soci di maggioranza sono il Ministero dell'economia e delle finanze e Cassa depositi e prestiti – le cui attività di cargo postale (nel 2013 ha trasportato oltre 16 mila tonnellate di merce) rientrano a pieno titolo in quel servizio postale universale per il quale Poste italiane beneficia ogni anno di un contributo pubblico di circa 260 milioni di euro;

   Mistral Air ha di recente avviato una procedura di licenziamento collettivo per 19 piloti – su un totale di 44 comandanti e primi ufficiali in servizio con un contratto a tempo indeterminato – conseguente al ridimensionamento della flotta dei Boeing 737, attualmente costituita da un unico aeromobile con base a Fiumicino;

   stando a quanto riportato dall'Associazione nazionale piloti, la compagnia sarebbe intenzionata a cedere le attività di merci, posta e passeggeri a dei vettori est europei, che come Bulgarian e Bluebird svolgono già da tempo l'attività postale per conto Mistral;

   come denunciato dal presidente dell'Anp, il ricorso all'appalto da parte della Mistral Air, della maggior parte dei voli passeggeri e postali a piccole compagnie straniere, sta creando «esuberi di piloti e mettendo a repentaglio il futuro dell'azienda e dei lavoratori»;

   una lettera inviata ai sindacati dall'amministratore delegato Rosario Fava, giustifica questo dimezzamento dei piloti con «significative contrazioni dell'attività»: in particolare, si dice che il trasporto della posta è stato negativamente influenzato dallo sviluppo delle comunicazioni elettroniche, che ha determinato un definitivo e strutturale calo dei volumi, tale da giustificare il ricorso al licenziamento collettivo;

   l'amministratore delegato non fa però alcun accenno al significativo aumento, grazie al commercio elettronico, del trasporto dei pacchi postali, settore in costante crescita, come evidenziato di recente dallo stesso Del Fante – che ha sottolineato come «Il futuro passa dalla grande crescita dei pacchi e-commerce»;

   si omette altresì di evidenziare, a giudizio dell'interrogante, come, in forza dell'accordo siglato tra Amazon e Poste per la consegna dei pacchi, l'incremento dei volumi abbia raggiunto livelli tali che il trasporto delle merci con aeromobili Atr72, meno capienti – per quanto di conoscenza – è diventato problematico, con conseguenti ritardi sulla distribuzione e consegna della stessa merce;

   lo stesso Fava, in un'intervista rilasciata al Tempo nel mese di settembre 2017, faceva riferimento ad una necessaria ristrutturazione dell'azienda, sia attraverso lo sviluppo del settore cargo postale, con aeromobili 737 full cargo per sopperire alla crescente domanda di e-commerce, sia ottimizzando l'attività passeggeri di linea con aeromobili Atr72;

   lo stesso dichiarava, in merito alla salvaguardia dei livelli occupazionali: «si sono aperti dei canali di approfondimento con i lavoratori. Non stiamo parlando di tagli selvaggi»;

   in risposta all'interrogazione De Lorenzis n. 5-08222, il sottosegretario pro tempore De Caro rassicurava gli interroganti, poco più di un anno fa, su come i Ministeri competenti si stessero adoperando «per ogni utile iniziativa volta alla salvaguardia dei livelli occupazionali» dei dipendenti della Mistral Air;

   si rileva come ad oggi non sia stato ancora formalizzato nessun piano industriale aziendale sulla compagnia, né l'interrogante è a conoscenza di specifici piani di intervento ad hoc per Mistral e per i suoi dipendenti, all'interno del piano industriale di Poste, peraltro non ancora reso pubblico –:

   se i Ministri intendano rendere noti eventuali interventi di ristrutturazione ad hoc – auspicati dallo stesso Rosario Fava – previsti all'interno del contratto di programma di Poste italiane in via di definizione e quali siano le ragioni per cui, pur disponendo di una flotta adeguata, l'azienda abbi appaltato molti dei propri voli a vettori esteri;

   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per salvaguardare il futuro occupazionale dei 200 lavoratori impiegati nella compagnia Mistral Air, avendo anche riguardo all'incremento delle attività dell’e-commerce e delle consegne di pacchi postali.
(4-18969)


   VERRECCHIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in data 1° gennaio 2018 sono stati resi noti gli aumenti autostradali che in alcuni tratti hanno raggiunto un aumento fino al 50 per cento;

   in Abruzzo sulle tratte autostradali A24 e A25 l'aumento è stato di circa il 13 per cento;

   tale aumento pregiudica l'economia familiare dei pendolari, studenti e dello sviluppo economico dell'Abruzzo;

   nel 2017 si è intervenuti con ben 3 specifiche norme sulle autostrade A24 e A25, in funzione della messa in sicurezza delle medesime:

    1) l'articolo 52-quinquies del decreto-legge n. 50 ha sospeso per due anni l'obbligo di versare le rate del corrispettivo della concessione previa presentazione di un piano per interventi urgenti;

    2) l'articolo 16-bis del decreto-legge n. 91 ha autorizzato un contributo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2025 e nella relazione tecnica presentata dal Governo, si sottolinea che la norma in esame «prevedendo l'erogazione di un contributo in conto capitale che esclude il recupero delle somme mediante tariffa, non produce effetti sull'utenza»;

    3) il comma 725 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2018 (n. 205 del 2017) ha anticipato al 2018 58 milioni di euro previsti per il 2021 e 2022;

   l'aumento consentito dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti deve ritenersi eccessivo ove si consideri che sotto la gestione del Ministro pro tempore Lupi tali aumenti non avevano superato il 2 per cento;

   da anni si richiede un miglioramento del servizio su tale tratta dove si aspetta ancora la costruzione di una stazione di servizio tra Avezzano e Chieti, considerato che per circa 100 chilometri non c'è alcuna struttura per il rifornimento di carburante e per i servizi di necessità –:

   quali motivazioni abbiano indotto il Ministro interrogato a consentire un aumento tariffario così elevato per la maggior parte delle autostrade italiane ed, in particolare, per il tratto A24 ed A25 della regione Abruzzo;

   quali iniziative intenda adottare per ridurre l'impatto economico di tale decisione sull'economia abruzzese.
(4-18982)


   MELILLA, GREGORI, NICCHI, QUARANTA, MATARRELLI, SANNICANDRO, SCOTTO, FERRARA, ZARATTI, PIRAS, DURANTI, RICCIATTI e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   all'Autostrada dei Parchi sono stati concessi aumenti dei pedaggi autostradali nel 2018 del 12,8 per cento;

   negli ultimi 15 anni i pedaggi delle A24 e A25 sono aumentati di oltre il 200 per cento;

   è un fatto intollerabile a fronte di una inflazione annua di poco superiore mediamente all'1 per cento;

   nel 2017 l'inflazione in Italia è stata dell'1,3 per cento e dunque non è giustificabile un aumento esorbitante (di dieci volte rispetto all'inflazione) come quello accordato alla società di gestione delle autostrade che collegano Abruzzo e Lazio;

   sono in corso assemblee di sindaci e utenti sia nel versante laziale che in quello abruzzese. La protesta sta dilagando;

   dopo l'epifania è previsto un incontro dei presidenti delle regioni Lazio e Abruzzo con il Ministro Delrio per bloccare questi aumenti ingiustificati;

   un anno fa le organizzazioni dell'autotrasporto della Cna e dei consumatori hanno denunciato che le autostrade A24 e A25 non hanno rilevatori di nebbia e di ghiaccio, hanno una percentuale bassa di stalli per i veicoli pesanti, un numero insufficiente di stazioni di servizio (addirittura nessuna da Chieti a Magliano dei Marsi per oltre 100 chilometri), standard bassi per la sicurezza e la salvaguardia dell'ambiente. La messa in sicurezza antisismica (il cui confine con la manutenzione ordinaria e straordinaria, a carico del gestore, è molto stretto) della autostrada laziale e abruzzese è a totale carico dello Stato e sono stati stanziate ingenti risorse per centinaia di milioni di euro;

   l'autostrada è una infrastruttura fondamentale per l'economia abruzzese e laziale e questi aumenti rischiano di essere una ulteriore mazzata per il settore dell'autotrasporto, per i lavoratori pendolari, e in generale per i consumatori –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per la revoca di questi aumenti dei pedaggi autostradali.
(4-18983)


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in data 5 gennaio 2018 per alcune ore è stata interrotta al traffico la galleria San Rocco in territorio di Pisticci lungo la strada Pisticci-Pozzitello;

   la chiusura è stata determinata dalla caduta di alcuni calcinacci dalla volta della galleria che fortunatamente non hanno comportato pericolo per la incolumità degli automobilisti;

   dopo una serie di sopralluoghi e di verifiche tecniche con i tecnici comunali e i vigili del fuoco si è provveduto alla riapertura al traffico;

   in merito alla suddetta galleria l'interrogante ha già presentato in data 20 settembre 2017 una interrogazione, la n. 5-12222 ancora in attesa di risposta, a seguito di una precedente chiusura per manutenzione;

   la chiusura della galleria in questione e la impercorribilità del vecchio tracciato provinciale che dal 2002, anno di apertura della nuova strada, non è mai stata messa in sicurezza a tal punto da prevederne la chiusura al traffico per oggettiva pericolosità, comporta quindi l'isolamento di Pisticci dalla frazione di Pisticci Scalo costringendo gli automobilisti ad allungare di molti chilometri;

   Pisticci è il terzo centro abitato della Basilicata e tale arteria risulta essere strategica per la mobilità dei cittadini;

   considerata la rilevanza di tale infrastruttura per il territorio, si ritiene che non possa più continuare ad essere di competenza comunale;

   con il precedente atto di sindacato ispettivo si chiedeva di attivare un tavolo di confronto con Anas affinché tale arteria potesse rientrare nelle competenze del citato Ente –:

   anche in considerazione delle nuove criticità emerse, se non ritenga ormai improcrastinabile l'opportunità di convocare un tavolo interistituzionale, con la presenza di Anas e provincia, al fine di statalizzare il citato segmento di viabilità e di assicurare investimenti per la messa in sicurezza e la manutenzione di una infrastruttura strategica per l'intero comprensorio.
(4-18986)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   dall'8 gennaio il porto canale di Cagliari è sottoposto ad un piano dismissione di mezzi e attrezzature che ne renderanno sempre più compromessa l'operatività decretandone di fatto una dismissione;

   Governo e regione appaiono essere corresponsabili di questa situazione considerato che hanno reiteratamente disatteso le denunce dell'interrogante;

   per molti lavoratori degli oltre 700 si configura una stagione di cassaintegrazione dalle incerte e nefaste conseguenze;

   l'operazione di chiusura per il porto canale di Cagliari è stata resa nota con una comunicazione delle 17,23 del 29 dicembre 2017 a firma di Andrea Battilani, uno dei general manager della Cict, con la quale ha comunicato al gruppo manutenzione di Cagliari il piano di drastico ridimensionamento del porto canale;

   la comunicazione è secca: nell'ottica del contenimento dei costi dovuto al ridimensionamento dei volumi di traffico previsti nel 2018, in accordo con il reparto operativo è stato varato un piano di riduzione dell'utilizzo dei mezzi-attrezzature per l'anno 2018 che consentirà minori spese di esercizio. Il piano di riduzione, che sarà attuato a partire da lunedì 8 gennaio 2018, prevede l'utilizzo di alcuni mezzi-attrezzature mentre i restanti mezzi saranno parcheggiati nelle zone B04-B05 e saranno considerati non utilizzabili ma mantenuti in condizioni idonee ad essere utilizzati immediatamente in caso di variazioni positive dei volumi di traffico, attraverso interventi di manutenzione e movimentazione che saranno comunque sempre effettuati;

   si tratta di una formula, a giudizio dell'interrogante, edulcorata ma esplicita: si va verso la fermata per il crollo del transhipment e del traffico complessivo;

   la responsabilità politica, secondo l'interrogante, è tutta in capo ai Governi nazionali e regionali che più di un anno fa erano stati edotti su quanto stava avendo nel porto Canale;

   in un anno il tracollo è stato scandito da numeri impietosi: quasi il 50 per cento in meno;

   tutto questo ha fatto venir meno una delle clausole fondamentali del contratto di gestione del porto canale da parte della Conship che per esercitare la concessione doveva garantire un bugdet di movimentazione che appare decisamente fuori dagli attuali regimi di traffico;

   si fermano 2 delle grandi gru di banchina, 15 gru di piazzale, dieci trattori con semirimorchi;

   il «deserto» si era manifestato con i primi atti di sindacato ispettivo: le unità paganti a luglio 2016 erano state 17.000, nel 2017 appena 9.000. Nel 2016 i movimenti a luglio erano stati 34.000 a luglio 2017 risultavano 18.000;

   nel mese di dicembre 2017 la situazione è crollata ulteriormente e la situazione è drammaticamente destinata a peggiorare, visto che il disastro è stato attenuato da un disservizio di qualche settimana in un porto del Mediterraneo;

   si registra il blocco del collegamento inverso dall'India verso il nord Europa e l'effetto domino sta riguardando anche le rotte Canada-Mediterraneo e Golfo del Messico Mediterraneo;

   servono iniziative straordinarie e commissariali sia sul piano strategico che commerciale e occorre urgentemente riposizionare il porto nello scenario internazionale;

   da una verifica ministeriale sarebbero ancora disponibili i 20 milioni di euro statali per l'implementazione delle gru, con l'installazione di quelle più grandi, indispensabili per far rientrare il porto nei circuiti internazionali;

   all'investimento infrastrutturale deve essere affiancata una trattativa serrata e seria con un nuovo soggetto internazionale in grado di ristabilire la centralità del porto terminal container con un'interlocuzione diretta con China Shipping e Cosco, gli unici soggetti che in questo momento possono rendere nuovamente strategico Cagliari;

   deve essere previsto un taglio netto delle tasse di ancoraggio per essere competitivi con gli altri porti –:

   se non intenda attivarsi con urgenza e con quali iniziative per evitare la dismissione del porto canale di Cagliari.
(4-18988)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   secondo l'Associazione vittime della caccia, solo nel mese di ottobre 2017 e quindi solo dopo poco più di un mese dall'apertura della stagione venatoria 2017/18, sono ben 44 le vittime di armi da caccia e cacciatori: tra questi 4 i morti e 7 i feriti tra i non cacciatori tra cui una bambina nel giardino della sua casa a Forlì per un totale 27 i feriti 17 i morti;

   in relazione ai dati della stagione venatoria 2016/17 risulta che: il totale complessivo degli animali domestici vittime della caccia è 203, in cinque mesi ben 21 sono state le persone impallinate estranee alla caccia, 12 feriti in ambito venatorio e 9 in ambito extra-venatorio, 3 i minori vittime, 2 feriti e un suicida (disponibilità delle armi per omessa custodia); i cacciatori vittime di colleghi: 9 morti e 47 feriti. Quindi in totale: 12 morti e 68 feriti nell'arco della stagione venatoria;

   le regioni maggiormente colpite da questo fenomeno sono: il Veneto con 5 cittadini feriti tra cui un minore, e 7 cacciatori feriti; la Lombardia con 2 cittadini feriti e 5 cacciatori; il Lazio con un cittadino ferito e 5 cacciatori e 2 deceduti; l'Emilia Romagna con 2 cittadini feriti e 1 morto; la Campania 3 cittadini feriti tra cui un minore;

   durante le battute di caccia risultano (dai dati acquisiti tramite le rassegne stampa) 83 animali domestici uccisi solo negli ultimi 5 mesi dell'anno nella stagione venatoria 2016/17, 23 feriti e 45 casi di maltrattamento. Le regioni in cui questi episodi sono avvenuti sono: Umbria (35 animali domestici uccisi, 1 ferito, 5 casi di sevizie), la Puglia (31), la Sardegna (16), la Sicilia (15), il Veneto (15), l'Emilia Romagna (15), il Lazio (12), la Toscana (10), il Piemonte (8);

   interessante anche il dato che rileva come i responsabili dei crimini venatori, nei casi in cui è stato possibile individuare l'identità del responsabile di atti di bracconaggio o di caccia illegale, riguarda per il 79 per cento i cacciatori con regolare licenza di caccia;

   secondo la sentenza di cassazione penale n. 5435/3005 «per un bambino la vista di un'arma facilmente accessibile costituisce un'attrattiva irrefrenabile»;

   nell'analisi dei dati relativi agli incidenti di caccia appare quindi evidente che questi siano di diretta responsabilità di chi si aggira anche nelle proprietà private, considerato che è consentito ai cacciatori l'accesso a tali proprietà dall'articolo 842 del codice;

   per stessa ammissione dei cacciatori, in alcune «specialità» di caccia quale quella al cinghiale, accadono la maggior parte degli incidenti, per altro del tutto prevedibili e nei quali a morire sono per primi i cacciatori stessi –:

   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative alla luce dei preoccupanti dati riguardo alla strage che avviene durante le stagioni venatorie per mano di cacciatori, anche a danno dei comuni cittadini e degli animali domestici;

   se i Ministri non considerino opportuno assumere iniziative per rivedere le previsioni dell'articolo 842 del codice civile che, di fatto, garantiscono secondo l'interrogante evidenti privilegi ai cacciatori e non tutelano gli spazi privati e gli habitat in cui né i liberi cittadini né la biodiversità risultano protetti;

   se i Ministri non ritengano opportuno assumere iniziative affinché siano attuati più stringenti ed efficaci controlli per verificare le condizioni di salute, inclusa la sanità mentale, la capacità e le competenze dei cacciatori che, armati, possono causare evidentemente la morte e il ferimento di numerosi cittadini ogni anno, i quali non possono esercitare nemmeno il diritto di passeggiare o cercare funghi nei boschi perché rischiano constantemente la morte.
(4-18970)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa si apprende che Gilberto Caldarozzi sarebbe stato nominato dal Ministro interrogato vice direttore della direzione investigativa antimafia;

   Gilberto Caldarozzi è rientrato recentemente in polizia, dopo 5 anni di interdizione legati alle vicende del G8 di Genova, oltre a 3 anni e 8 mesi di condanna in via definitiva per aver falsificato prove al fine di alterare le responsabilità nella «macelleria messicana» della Diazoto;

   la nomina, peraltro, sarebbe di diretta competenza del Ministero, da cui la direzione investigativa antimafia dipende direttamente, senza intervento del capo della polizia, e risalirebbe ad alcune settimane fa;

   nelle ultime ore sono numerose le prese di posizione contro questa scelta, da parte di esponenti del mondo della giustizia e della cultura, preoccupati che si possa lanciare l'ennesimo segnale di rimozione nei confronti di una vicenda stigmatizzata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo;

   le persone offese, italiane e straniere, da veri e propri episodi di tortura, hanno il diritto di vivere in uno Stato che non premi chi ha ricevuto condanne per aver agito contro quei cittadini che avrebbe dovuto difendere in virtù della propria funzione;

   il capo della polizia Gabrielli in un'intervista del 19 luglio 2017 sembrava finalmente voler aprire una pagina nuova, riconoscendo gli errori drammatici nella gestione delle giornate del 2001 a Genova da parte degli apparati di sicurezza;

   ora decisioni come questa, che peraltro non dipendono da lui, ad avviso dell'interrogante rischiano invece di riportare indietro ad un'idea autoassolutoria delle istituzioni, che poco ha a che fare con la democrazia costituzionale –:

   quali siano le ragioni che abbiano indotto il Ministro interrogato alla nomina di cui in premessa, anche alla luce dell'impatto che essa può avere sull'opinione pubblica e sulla dignità e credibilità delle istituzioni, vista la condanna in via definitiva per fatti gravi, legati ad un contesto tragico, dello stesso Caldarozzi;

   se non ritenga di dover rivedere la propria decisione.
(4-18971)


   DIENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   molte famiglie nel comune di Reggio Calabria si trovano nella drammatica necessità di reperire un alloggio idoneo;

   si tratta di famiglie senza reddito o con reddito al di sotto della soglia di povertà, sottoposte a sfratti esecutivi, con minori a volte con disabilità o con adulti affetti da gravissime patologie;

   ci sono, inoltre, famiglie con bambini che abitano in alloggi impropri: in baracche, in garage, e nelle autovetture;

   tra queste famiglie ci sono i 22 nuclei che abitano dal 1960 nella baraccopoli dell'ex Polveriera del quartiere di Modena in condizioni antigieniche e in pericolo di vita;

   una parte delle baracche di questo insediamento sono localizzate accanto ad un imponente ex edificio militare, il quale, secondo una certificazione dei vigili del fuoco, potrebbe crollare sulle baracche vicine provocando una strage;

   i locali dello stesso edificio sono colmi di rifiuti di ogni genere per cui l'insediamento abitativo, ricettacolo di ratti e insetti di ogni genere, si trova in gravissime condizioni antigieniche, certificate già da tempo dall'azienda sanitaria provinciale;

   a seguito di questo alcune associazioni presenti nella città hanno presentato già nel 2013 diffida ex articolo 3 del decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, a vari enti, tra i quali alla locale prefettura allo svolgimento delle procedure di verifica volte ad accertare la sussistenza dei requisiti di permanenza degli assegnatari degli alloggi ERP nel comune di Reggio Calabria;

   per tutti questi casi le suddette associazioni che si occupano della tematica hanno fatto, più volte, richiesta al comune di Reggio Calabria delle assegnazioni di alloggi;

   per tutti i casi segnalati dalle associazioni la risposta ufficiale avuta, fino ad oggi, dal comune di Reggio Calabria è stata che non si può provvedere all'assegnazione, perché non c'è alcuna disponibilità di alloggi, nonostante le stesse associazioni ne abbiano identificato alcuni idonei;

   tale problematica si riafferma in tempi recenti tanto che nel 2015 lo stesso Ministro dell'interno precisava che, a fronte di una forte domanda di alloggi popolari, occorre salvaguardare i diritti di «chi ne ha davvero bisogno» e che avrebbe proceduto a monitorare costantemente la situazione;

   tale impegno tuttavia non risultava all'interrogante ad oggi osservato;

   vale la pena ricordare che nella relazione della Commissione di accesso al comune di Reggio Calabria ex articolo 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000 sarebbero emerse gravi illiceità che hanno condotto allo scioglimento del consiglio comunale con decreto del Presidente della Repubblica del 10 ottobre 2012 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 246 del 20 ottobre 2012; in particolare, risulta alle pagine 59 e 60 letteralmente che: «In riferimento alla gestione degli alloggi di residenza pubblica di competenza del comune, inoltre, pare doveroso sottolineare ulteriori profili di criticità»;

   in anagrafe, all'interno degli status di n. 3.850 intestatari di alloggi risulterebbe che 620 di questi risultavano nel 2012 deceduti, 44 emigrati e 4 irreperibili; la situazione non sarebbe significativamente mutata nei mesi successivi né risulterebbe che il comune di Reggio Calabria abbia effettuato le verifiche, previste dalla normativa vigente –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   se i Ministri interrogati non intendano ogni iniziativa di competenza per verificare le condizioni delle famiglie accampate nella baraccopoli dell'ex Polveriera del quartiere di Modena, anche in relazione ai risvolti di ordine pubblico, e la sussistenza, con speciale riferimento ai minori, dei gravi rischi per la salute e l'incolumità fisica denunciati dalle associazioni civili.
(4-18972)


   ANDREA MAESTRI, PASTORINO, CIVATI e BRIGNONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi giorni diversi organi di stampa hanno diffuso la notizia secondo la quale il Ministro interrogato avrebbe nominato Gilberto Caldarozzi vice direttore tecnico operativo della direzione investigativa antimafia (DIA) e che dall'11 settembre 2017 sarebbe subentrato al generale di brigata dei carabinieri Antonio Bacile. Il quotidiano Il Sole24Ore in quella stessa data ne dava notizia, affermando di averne avuto conferma da una nota «della direzione investigativa antimafia guidata dal generale di divisione della Guardia Finanza Nunzio Ferla» nota oggi introvabile;

   nel 2012 Caldarozzi fu condannato in via definitiva a 3 anni e 8 mesi di carcere per falso, per i fatti del G8 del 2001 a Genova. Per la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, è stato uno dei responsabili di quanto fatto a Genova dalle forze di polizia, mentre la Corte di Cassazione aveva sancito che quei fatti avevano gettato «discredito sull'Italia agli occhi del mondo intero»;

   Caldarozzi è rientrato nel suo ruolo nella polizia di Stato perché a luglio 2017 sono scaduti i cinque anni di interdizione dai pubblici uffici ai quali era stato condannato, come pena accessoria, insieme ad alcune delle 25 persone – tra alti dirigenti e capireparto della polizia – condannate per i pestaggi, i falsi verbali e le prove false relativi all'irruzione nella scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001;

   per le vittime, gli avvocati e i magistrati che hanno combattuto per verità sui pestaggi, le violenze e le torture praticate nel capoluogo ligure, il nuovo incarico alla direzione investigativa antimafia è «qualcosa di grottesco» –:

   se trovi conferma la notizia della nomina di Gilberto Caldarozzi alla direzione investigativa antimafia e se, in caso affermativo, intenda chiarire le motivazioni di tale decisione;

   se non ritenga opportuno e urgente assumere le iniziative di competenza per rimuovere Caldarozzi dall'incarico assunto, per le sue gravi responsabilità e la condanna inflittagli per i fatti accaduti al G8 di Genova del 2001, tenendo in considerazione i giudizi sul suo operato espressi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e dalla Corte di Cassazione.
(4-18974)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra il 31 dicembre 2017 e il 1° gennaio 2018 al Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo, in provincia di Catania, è avvenuto il primo assassinio di donna dell'anno. La vittima, Francis Miracle, è una giovane proveniente dalla Nigeria, ospite del centro insieme ai suoi due bambini e in attesa da oltre un anno del riconoscimento dello status di rifugiata;

   secondo una prima ricostruzione dei fatti, sarebbe stata accoltellata alla gola dal suo compagno – non residente nel centro – perché non voleva seguirlo in nord Italia dove lui viveva da solo. L'uomo avrebbe evasa controlli all'ingresso del centro e si sarebbe introdotto nell'area attraverso un buco nella recinzione;

   il Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo è tristemente noto ormai da diversi anni e ne è stata chiesta più volte la chiusura, anche in seguito ai diversi collegamenti avuti con il business dei migranti dello scandalo di «Mafia Capitale»;

   a giugno 2017 la Commissione parlamentare di sul sistema di accoglienza ha votato all'unanimità la relazione su questo centro che ne sollecitava la chiusura in tempi brevi, considerandolo «caso emblematico» non solo perché è la struttura più grande d'Europa destinata all'accoglienza dei migranti, ma soprattutto perché esempio di limiti e contraddizioni provocati da un approccio fallimentare al fenomeno migratorio e alla gestione dell'accoglienza, caratterizzato da condizioni igienico-sanitarie della struttura precarie, appartamenti spesso fatiscenti, scarsa trasparenza e molte opacità nella gestione e nell'amministrazione. La Commissione censurava la decisione di far sorgere il Centro di accoglienza per richiedenti asilo al Residence degli Aranci, 400 villette di proprietà della Pizzarotti di Parma affittate per circa sei milioni di euro, ad un costo «di gran lunga superiore a quello di mercato», rinunciando a ricercare soluzioni meno onerose come l'utilizzo di beni demaniali. Anomalia resa ancora più evidente dopo l'ingresso della società Pizzarotti nell'associazione d'imprese candidata alla gestione del centro, «una totale convergenza di interessi fra la proprietà immobiliare e le società incaricate della gestione del centro stesso»;

   si apprende dalla stampa che nel mese di dicembre 2017 la prefettura di Catania ha bandito quattro gare per assegnare la gestione delle diverse attività per il funzionamento del Centro di accoglienza per richiedenti asilo, per un valore complessivo di 50 milioni di euro e che l'impresa parmense Pizzarotti (come altre finite nell'inchiesta «Mafia Capitale», sarebbe tra le cooperative (in molti casi consorziate o raggruppate) che avrebbero presentato le proposte per aggiudicarsi l'appalto triennale;

   dal sito dell'Associazione Meltingpot si apprende che attualmente il Centro per richiedenti asilo di Mineo è sotto amministrazione giudiziaria straordinaria e che il Ministero dell'interno avrebbe una sede permanente nel centro con il compito di svolgere una missione ministeriale di controllo in sinergia con la prefettura;

   a giudizio degli interroganti l'omicidio di Francis Miracle fa tornare d'attualità il tema della sicurezza al Centro di accoglienza per richiedenti asilo, come dichiarato anche dal procuratore capo di Caltagirone Giuseppe Verzera che coordina le indagini, secondo il quale «Questo omicidio riconferma per l'ennesima volta che non si possono controllare 3.500 persone, come quelle che vivono nel Cara di Mineo. C'è un problema di sicurezza della struttura». Oltre al rischio concreto di incorrere in gestioni clientelari e scarsamente trasparenti –:

   se il Governo in seguito all'omicidio di Francis Miracle, non consideri urgente intervenire per assicurare la chiusura del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo in tempi brevi;

   se intenda riferire quale sia precisamente il compito della sede permanente del Ministero dell'interno nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo e se esistano responsabilità dei suoi dipendenti sulle condizioni della struttura, che hanno permesso all'omicida di entrare, evadendo i controlli previsti.
(4-18989)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   le infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto socio-economico del nord Italia sono diffuse e sempre più in crescita;

   Mafia, ’Ndrangheta e associazioni a delinquere di stampo mafioso sono da tempo radicate anche nel territorio cremasco e cremonese;

   Rocco Cristodaro è titolare dell'azienda Fazenda Rocco ubicata nel comune di Palazzo Pignano (CR);

   la Guardia di finanza di Crema (CR), d'intesa con i carabinieri del Comando provinciale di Milano, su delega della direzione distrettuale Antimafia di Milano, ha dato esecuzione al decreto con il quale il tribunale di Milano ha disposto il sequestro ed in seguito la confisca del patrimonio, stimato in 5 milioni di euro, di Rocco Cristodaro;

   Rocco Cristodaro è ritenuto essere, insieme al fratello Domenico, uno dei contabili, nel nord Italia, del clan Mangano;

   Rocco Cristodaro è stato sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per 3 anni e 6 mesi;

   la Fazenda Rocco a Scannabue, frazione di Palazzo Pignano, promuove e organizza una sorta di presepe con animali esotici aperto al pubblico;

   Libera contro le mafie, nella sua sezione locale di Crema, ha rilevato che «queste attività possano contribuire a rendere difficile per la popolazione la comprensione della gravità del fenomeno», e per «fenomeno» si intende quello dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto sociale del territorio;

   in un recente articolo di stampa, dal titolo «L'antimafia contro il presepe», apparso il 24 dicembre 2017 sul ilfattoquotidiano.it si legge che il sindaco di Palazzo Pignano, signor Bertoni Rosolino, ha dichiarato che «io e i miei concittadini abbiamo coscienza della gravità del fenomeno»;

   la Fazenda Rocco ha già avuto modo di sostenere e sponsorizzare altre iniziative pubbliche, di carattere commerciale, gastronomiche, sportive –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle attività della Fazenda Rocco tese alla propria promozione sul territorio cremasco;

   se si ritenga, anche sulla scorta delle dichiarazioni del primo cittadino del comune di Palazzo Pignano e in considerazione della gravità del fenomeno di intraprendere le azioni di competenza al riguardo.
(4-18994)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   come è noto, con sentenza n. 11 del 20 dicembre 2017, l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso presentato da un gruppo di docenti in possesso di diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001/02 — e pertanto abilitante all'insegnamento nelle scuola dell'infanzia e in quella primaria — volto ad ottenere il riconoscimento dell'inserimento degli stessi nelle graduatorie ad esaurimento di cui all'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge n. 296 del 27 dicembre 2006;

   detta sentenza ha ribaltato il precedente orientamento dello stesso organo giudiziario amministrativo, espresso ex plurimis con le sentenze nn. 1973/15, 3628/15, 3673/15, 3675/15, 3788/15, 4232/15, 5439/15, che avevano invece dato ragione ai ricorrenti e ne avevano consentito l'inserimento in dette graduatorie nonché la stipula, per migliaia di essi; di contratti di docenza a tempo determinato e a tempo indeterminato nelle scuole statali con apposizione di una clausola rescissoria in attesa di definizione nel merito del giudizio;

   con il respingimento del 20 dicembre del Consiglio di Stato — che di fatto rischia di travolgere gli analoghi ricorsi presentati da migliaia di docenti innanzi al giudice amministrativo dal 2014 ad oggi — si apre una fase di grande confusione e difficoltà per le istituzioni scolastiche che rischiano di perdere ad anno scolastico ampiamente avviato una parte consistente dei docenti in servizio. Ma soprattutto si profilano conseguenze drammatiche per quei docenti che rischiano l'annullamento dei contratti in essere;

   la situazione è resa ancor più complicata dall'annuncio di alcune organizzazioni sindacali di voler intraprendere ulteriori azioni innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo che, ove fossero accolte, renderebbero del tutto ingestibile la situazione ed esporrebbero lo Stato italiano al rischio di pesanti sanzioni, anche in relazione alla sentenza della Corte di giustizia europea «Mascolo» del 24 novembre 2014 riguardante l'abuso di contratti a tempo determinato nella scuola italiana –:

   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per la tutela della continuità didattica nel corrente anno scolastico e in relazione all'esigenza di approntare una soluzione politica e amministrativa alla situazione dei diplomati magistrali abilitati espulsi dalla graduatorie a esaurimento in seguito alla sentenza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato;

   se non ritenga urgente e opportuno assumere iniziative normative per la modifica dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 59 del 2017, nella parte in cui non prevede anche per la scuola dell'infanzia e la scuola primaria l'avvio di una fase transitoria e l'estensione del concorso riservato ai docenti abilitati, attualmente previsti esclusivamente per la scuola secondaria di I e II grado.
(4-18960)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   a seguito di segnalazioni ricevute riguardo alla favola intitolata «Il diverso» per gli studenti di terza elementare contenuta nel libro «Rossofuoco» della casa editrice Ardea, l'interrogante ha inviato una lettera al direttore della casa editrice per richiedere la rimozione immediata di questa, poiché, come si può verificare dal testo, è descritta una storia terrificante che suggerisce comportamenti eticamente inaccettabili ed anche del tutto illegali;

   per rappresentare ai bambini una storia, realistica e che avesse come oggetto l'accettazione del «diverso», in considerazione degli esempi che ci sono nel mondo animale di collaborazione e amore intra ed interspecifici, si sarebbe potuto evitare di citare e descrivere gli atti compiuti dallo «zio» (Fonte: «... di gatti ne ho abbastanza mi piacerebbe un cane di razza. Un giorno la gatta nera partorì quattro micetti e lo Zio Piero li fece sparire (...) poi andò dal suo amico che aveva un cane di razza setter e si fece dare un cucciolo (...) ma come faremo ad allattarlo»), protagonista del racconto e che prefigurano evidenti reati, come previsto dalla normativa vigente; infatti:

    l'abbandono di animali è un reato contravvenzionale che il nostro ordinamento prevede e punisce all'articolo 727 del codice penale;

    il reato di «maltrattamento di animali» è disciplinato dall'articolo 544-ter del codice penale (v. Libro II - Titolo IX-bis del codice penale), che punisce «chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche». La giurisprudenza ha chiarito che per integrare il reato non occorrono lesioni necessariamente fisiche, ma è sufficiente la sofferenza degli animali, poiché la norma mira a tutelarli quali esseri viventi in grado di percepire dolore, anche nel caso di lesioni di tipo ambientale e comportamentale (fonti: Cass. n. 46291/2003: Tribunale penale Torino 25 ottobre 2006; Cass. n. 24734/2010. Cass n. 46291/2003; Cass. n. 9668/1999: Cass. n. 601/1996; Tribunale Penale Torino 25 ottobre 2006);

    prendere un cucciolo di cane, togliendolo alla madre prematuramente per essere poi allattato è un altro comportamento illegittimo: è vietato allontanare cuccioli prima del secondo mese di vita, come previsto dall'ordinanza del Ministero della salute (ordinanza 20 luglio 2017, proroga dell'ordinanza contingibile e urgente 6 agosto 2013, come modificata dall'ordinanza 3 agosto 2015, concernente la tutela dell'incolumità pubblica dall'aggressione dei cani;

   un cane allontanato precocemente dalla madre e dai suoi fratelli, isolato e deprivato affettivamente e senza di stimoli sociali, può manifestare vere e proprie patologie del comportamento che possono anche divenire pericolose. Il rispetto dei tempi necessari alla formazione della relazione madre-cucciolo, dei cuccioli tra di loro e con gli adulti, garantisce una vita serena non solo per i cani, ma anche per i loro conviventi umani;

   è evidente che il testo in questione abbia urtato la naturale sensibilità ed empatia che i bambini provano per gli animali e, per questo, la casa editrice è, secondo l'interrogante, ancora più responsabile;

   la Federazione nazionale degli ordini dei veterinari ha ritenuto opportuno intervenire: il testo esprime «una serie di concetti pericolosamente arretrati ed errati, veicolando alle bambine e ai bambini che eliminare gli animali è accettabile, che solo i cani di razza sono desiderabili, che non è possibile evitare le gravidanze indesiderate e che i cuccioli possono essere allontanati dalla madre prima dello svezzamento. Tanta ignoranza non è ammissibile e il presidente Fnovi ha scritto alla Ministra Fedeli segnalando il testo» –:

   se la Ministra interrogata non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia offerta ai giovani studenti la possibilità di apprendere i principi base del corretto rapporto uomo-animale come prevede la zooantropologia didattica che dovrebbe essere materia proposta ai bambini e ai ragazzi, promuovendo un'informazione scientifica corretta ed etica in ambito scolastico.
(4-18978)


   MURER e MOGNATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   nella giornata dell'8 gennaio 2018, migliaia di insegnanti della scuola primaria e dell'infanzia hanno tenuto una manifestazione nazionale a Roma e manifestazioni locali in molte altre città italiane;

   la protesta scaturisce da una recente sentenza del Consiglio di Stato, pubblicata il 20 dicembre 2017, che nega alle maestre e ai maestri precari con il solo diploma magistrale conseguito fino al 2001/2002 di essere presenti nelle Gae (graduatorie a esaurimento);

   la sopra citata sentenza del Consiglio di Stato va in segno contrario a tutte le altre sentenze emesse negli ultimi tre anni, che avevano invece dato ragione a migliaia di insegnanti non in possesso della laurea;

   negando agli insegnanti di cui sopra il diritto all'inserimento nelle gae viene loro preclusa la possibilità di qualunque stabilizzazione dopo anni di precariato;

   ci si riferisce a docenti di classe e di sostegno che per anni sono stati indispensabili per il funzionamento della scuola pubblica;

   almeno seimila docenti già immessi in ruolo rischierebbero il licenziamento, mentre per altri migliaia di essi si prefigurerebbe l'espulsione dalle graduatorie, tornando paradossalmente alla funzione di supplenti ma per non più di 36 mesi e senza alcuna possibilità continuativa;

   ad agosto 2017 risultavano inseriti nelle graduatorie a esaurimento, complessivamente, 125 mila precari: 67.622 per l'infanzia e 57.369 per la primaria; di essi sono circa 50 mila i diplomati magistrati iscritti con riserva, gli stessi che ora si trovano messi alla porta e ritenuti non idonei a svolgere il lavoro che per anni hanno svolto e che tuttora svolgono quotidianamente;

   per sindacati e comitati di insegnanti la soluzione è quella di riaprire le graduatorie ad esaurimento per chi ha l'abilitazione, adottando un provvedimento urgente così da garantire anche la continuità didattica in vista poi di una soluzione legislativa definitiva e stabile, che dia certezze a insegnanti e mondo della scuola –:

   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, nell'ambito delle sue competenze, per rispondere con urgenza e tempestività alla vertenza di cui in premessa, che riguarda sia gli insegnanti sia tutto il mondo della scuola, che rischia di subire ulteriori e gravi disagi.
(4-18985)


   LEVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   nel 2014 le amministrazioni di Tufara e Gambatesa hanno stipulato un accordo di programma che prevedeva il trasferimento della didattica della scuola secondaria di primo grado a Tufara e della scuola primaria a Gambatesa;

   il 30 ottobre 2017 il sindaco di Gambatesa ha inviato una nota al comune di Tufara, alla procura della Repubblica, all'ufficio territoriale del Governo di Campobasso e al dirigente scolastico dell'istituto scolastico S. Elia a Pianisi, dopo la pubblicazione su alcuni organi di stampa della notizia che la sede della scuola media di Tufara presenterebbe una elevata vulnerabilità sismica. In questa nota specificava anche di mettere a disposizione per i ragazzi delle scuole medie l'edificio scolastico sito nel proprio comune;

   il 6 novembre 2017 la prefettura di Campobasso ha trasmesso a tutti i sindaci dei comuni della provincia la nota protocollo 3277 con la quale, «nell'ottica di contribuire a rasserenare il clima di apprensione diffusosi tra gli utenti della scuola e i genitori degli studenti a seguito dei recenti eventi sismici che hanno interessato regioni vicine», li invitava a controllare lo stato delle strutture adibite ad uso scolastico per valutare l'esigenza di possibili interventi a tutela della pubblica incolumità;

   il 10 novembre 2017 il dirigente scolastico della scuola di Tufara ha inviato ai sindaci di Tufara e Gambatesa, alla procura della Repubblica di Campobasso, all'ufficio territoriale del Governo di Campobasso e all'ufficio scolastico provinciale la nota protocollo 3312 con la quale sollecitava le amministrazioni ad individuare «entro 7 giorni dal ricevimento della presente nota» nuovi ambienti scolastici per poter svolgere le attività didattiche in via transitoria e nelle more della esecuzione dei necessari interventi di adeguamento sismico sul plesso di Tufara;

   il 17 novembre 2017 il sindaco di Tufara con una nota ha risposto al dirigente scolastico dell'istituto comprensivo di Tufara, chiedendo che per qualsiasi decisione fosse rispettato l'accordo di programma del 2014 sopracitato. Nella stessa nota è stato messo in evidenza come le risultanze dell'inchiesta della procura della Repubblica «non sono in possesso né del sindaco di Tufara, né del sindaco di Gambatesa, né tantomeno della dirigente scolastica e che se il Procuratore avesse riscontrato delle anomalie strutturali dell'immobile, avrebbe potuto mettere il plesso sotto sequestro, dal momento che dispone del potere di adottare tale provvedimento»;

   il 24 novembre 2017 il dirigente scolastico dell'istituto comprensivo sopra citato ha ordinato la sospensione delle attività didattiche a partire dalla data di lunedì 4 dicembre 2017 all'interno della scuola dell'infanzia e della scuola secondaria di primo grado di Tufara. Ha inoltre ordinato il trasferimento delle attività didattiche sia della scuola dell'infanzia che della scuola media presso la scuola «G. Josa» di Gambatesa;

   il sindaco di Tufara ha incaricato un ingegnere strutturista per compiere uno studio sulla situazione statica dei due edifici. Nella relazione tecnica, confrontando i risultati numerici riportati nelle tabelle, si evince che per ognuna delle strutture, i valori degli indicatori di rischio valutati con i due approcci risultano similari; tali valori infatti esprimono, per ogni singolo corpo strutturale, approssimativamente lo stesso livello di sicurezza sismico. Dall'analisi dei dati numerici ottenuti si può, inoltre, osservare che entrambi gli organismi edilizi scolastici di Gambatesa e Tufara non raggiungono il livello di sicurezza sismico dell'80 per cento previsto come obiettivo minimo per gli edifici esistenti dal Comitato tecnico scientifico della regione Molise con l'ordinanza commissariale n. 13 del 27 maggio 2003;

   dalle conclusioni della relazione tecnica sopracitata si evince che entrambi gli edifici scolastici dei comuni di Tufara e Gambatesa presentano dei coefficienti di vulnerabilità sismica pressoché assimilabili –:

   se il ministro non intenda assumere iniziative per verificare, in merito alla vicenda suesposta se siano state rispettate tutte le procedure ovvero se siano stati adottati da parte del dirigente scolastico atti rientranti nella sua competenza.
(4-18990)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PELLEGRINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   da alcuni giorni presso la sede dell'Inps di Gallipoli, a quanto consta all'interrogante, è comparso un avviso, affisso ad un muro che riporta quanto segue: «Si avvisa la clientela che per verifiche in corso a livello centrale sui conguagli fiscali il pagamento mensile della disoccupazione Naspi verrà effettuato a fine gennaio. La Direzione» (le sottolineature riportate sono scritte nell'avviso anche in grassetto);

   come noto, con il 2018, dopo l'approvazione dell'ultima legge di bilancio, l'Inps ha dovuto finalmente predisporre il calendario dei pagamenti per quanto riguarda pensione, cassa integrazione, disoccupazione «Naspi» e vitalizi, dando certezza a chi li percepisce;

   i pagamenti avverranno sempre al primo giorno bancabile, ovvero il primo giorno del mese in cui sarà possibile effettuare il pagamento;

   il calendario per il 2018 prevede che a gennaio il pagamento da parte dell'Inps avvenisse il giorno 2, che è il primo giorno bancabile;

   il mancato pagamento entro il termine indicato e in ogni caso la posticipazione a fine gennaio del pagamento della «Naspi» costituisce un problema molto grande per le persone e le famiglie che sulla «Naspi» contano per poter vivere, mangiare, pagare le bollette. Il rinvio del pagamento a fine mese, quale che sia la ragione è inaccettabile e ingiusto –:

   se il pagamento della indennità «Naspi» rinviato a fine gennaio 2018 si stia verificando solo in Puglia o in tutta Italia e se non intenda assumere urgentemente iniziative affinché l'Inps proceda subito ai pagamenti.
(4-18987)


   FASSINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il 9 giugno 2017 è stata avviata la procedura sindacale e amministrativa di licenziamento da parte della società Castelfrigo contro 75 dei 148 soci-lavoratori delle cooperative appaltatrici;

   al termine di suddetta fase, a partire dal 17 ottobre 2017, 75 soci-lavoratori erano tecnicamente in esubero e tecnicamente licenziabili e questi lavoratori hanno deciso di attendere le lettere di licenziamento in sciopero, quando il loro lavoro era già stato dichiarato dalle cooperative superfluo;

   attraverso canali ufficiosi si apprende che in data 27 dicembre 2017 sarebbe stato sottoscritto un testo di accordo separato Castelfrigo-Cisl; tale testo non è stato reso pubblico ufficialmente, ma attraverso comunicati e dichiarazioni della Fai-Cisl Emilia centrale. Il raggiungimento di questo accordo viene ben ribadito nell'intervista di Radio Città del Capo del 28 dicembre 2017 all'operatore della Fai-Cisl, tra i firmatari del testo. Nell'intervista si dichiara che i 52 lavoratori (su 127 totali) degli appalti di Castelfrigo che verranno salvati (attraverso una riassunzione di sei mesi presso un'agenzia interinale che li somministrerà alla Castelfrigo stessa) «sono quelli che stanno dentro, quelli che finora hanno lavorato, quelli che hanno creduto nel progetto dell'azienda e che, fin dall'inizio, quando è iniziata la vertenza, hanno continuato a lavorare». Lo stesso concetto viene ribadito nell'intervista ripetuta al Corriere Bologna della stessa giornata: i lavoratori «assunti» saranno solo quelli che «hanno continuato l'attività fino ad oggi, quelli che hanno creduto nell'azienda»; di fatto quelli che non hanno scioperato;

   da queste dichiarazioni risulta che per la prima volta in Italia l'esercizio del diritto di sciopero diventa elemento formale di discriminazione dei lavoratori in un accordo sindacale. Nella sostanza viene per la prima volta esplicitata pubblicamente la modalità dell'azione sindacale Fai-Cisl sul distretto delle carni: chi protesta contro il sistema di sfruttamento di quelle che appaiono false società di manodopera deve essere allontanato;

   da quanto si può ufficiosamente ricostruire, le trattative Castelfrigo-Cisl sarebbero state condotte in assenza di trasparenza, come risulta dalle stesse dichiarazioni nelle citate interviste, e sembrerebbero portate avanti dagli inizi di novembre fino al 27 dicembre 2017, data dell'accordo finale. Né le altre organizzazioni sindacali attive nella conduzione della delicata fase procedurale, né i lavoratori interessati dall'espulsione sono stati coinvolti. Inoltre, durante tutti gli incontri conoscitivi o di salvaguardia occupazionale presso la regione Emilia-Romagna non si è fatto mai cenno a questa trattativa;

   da un verbale di incontro Castelfrigo-Cisl, datato 22 novembre 2017, pubblicato in rete risulta che a quella data, nel mezzo della vertenza sindacale intrapresa dalla Cgil, Castelfrigo e Cisl avevano già concordato di espellere i lavoratori sgraditi alla Castelfrigo «ricercando soluzioni di continuità lavorativa per i soci-lavoratori che ancora continuano a prestare servizio effettivo all'interno dell'Azienda», cioè salvando quelli che continuano a lavorare, che non sono in sciopero;

   da quanto emerge, la società Castelfrigo intenderebbe fare ricorso a un'agenzia di lavoro interinale per un periodo di sei mesi (gennaio-giugno 2018) per procedere all'assunzione di 52 lavoratori, scelta questa scarsamente condivisibile data la necessità più volte ribadita dalla società di salvaguardare la competitività sul costo del lavoro. Ricorrendo al lavoro interinale (che ora si chiama «somministrato»), infatti, si aggiungerebbe il costo del contratto dell'industria alimentare (previsto dalla legge), ma anche il costo aggiuntivo del servizio chiesto dall'agenzia interinale –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e se intenda promuovere ogni iniziativa di competenza al fine di salvaguardare il diritto di sciopero e assicurare la tutela occupazionale dei lavoratori della Castelfrigo.
(4-18995)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   a Marrakech (14-22 novembre) ha avuto luogo la sessione dell'Iccat (International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas), l'organizzazione internazionale preposta alla conservazione del tonno nell'Oceano Atlantico e nei mari adiacenti, quale è il Mediterraneo;

   è evidente che, mai come in passato, si stia assistendo ad un intenso lavoro delle lobby che intendono convincere le Parti, al momento 51, tra cui anche l'Unione europea, ad abbandonare il sistema delle quote di cattura massime per ogni singolo Paese membro;

   tale sistema di quote, stando al parere di numerosi ricercatori, garantirebbe almeno la possibilità di ripopolamento del tonno rosso;

   finanche Slow food, non propriamente una organizzazione animalista, con Silvio Greco presidente del comitato scientifico di Slow fish ha lanciato l'allarme: «queste cifre sono eccessive. Tutta la comunità scientifica internazionale è d'accordo nel sostenere che aumentare le quote, o, peggio, abolirle non consentirebbe di ricostituire gli stock. Invitiamo pertanto i Governi a non abbassare la guardia perché il tonno non è salvo»;

   il comitato scientifico (Iccat) suggerisce un aumento del totale delle catture ammissibili fino a 36.000 tonnellate l'anno entro il 2020, che rappresenta il doppio delle catture del contingente del 2015. Come previsto dalla norma, nell'Unione europea, il Tac (totale ammissibile di cattura) per il 2017 è stabilito in 7.418,75 tonnellate da dividere tra gli stati membri, di cui 3.304,82 tonnellate all'Italia;

   è evidente che si tratti di quote non sostenibili e che non consentirebbero in alcun modo la sopravvivenza di tutte le specie di tonno per il futuro;

   si tratta inoltre di un allarme diffuso proprio dai ricercatori e dalle organizzazioni non governative internazionali per i sistemi di pesca utilizzati che minano le popolazioni esistenti quanto le specie non target tra cui cetacei, uccelli, tartarughe ed altre specie protette –:

   quali siano le strategie di tutela delle specie di tonno nel Mediterraneo e quale sia la posizione che i Ministri interrogati intendano sostenere in ragione della evidente necessità di tutela;

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della consistenza delle popolazioni delle specie oggetto di pesca e quali approfonditi studi e pubblicazioni siano stati effettuati;

   quali siano i metodi di redistribuzione delle quote di pesca previste dall'Iccat e come i Ministri interrogati intendano garantirne la corretta fruizione;

   con quali modalità, se previste, i Ministri interrogati intendano informare i cittadini su consumi più sostenibili e meno impattanti sulla biodiversità e sul Pianeta.
(4-18965)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il controllo delle attività della pesca e la lotta alle infrazioni sono azioni che ogni Stato membro dell'Unione europea è tenuto a compiere; per questo gli Stati membri che non rispettano tali norme sono perseguibili in base alla procedura d'infrazione;

   com'è noto tali controlli sono previsti dagli articoli 38-43 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tufe), dal regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio, del 20 novembre 2009, che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca;

   numerosi sono i casi che vedono coinvolti gli uomini delle Capitanerie di Porto nelle operazioni di controllo sulle attività di pesca. Com'è noto il Centro controllo nazionale pesca (Ccnp), anche con l'entrata in vigore del nuovo regolamento europeo di cui sopra, oltre al monitoraggio e al contrasto elle attività illegali su tutta la filiera della pesca, ha il compito di redigere il Registro nazionale delle infrazioni. Tale registro riporta tutti gli illeciti commessi in materia di politica della pesca;

   inoltre, ai sensi dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 4 del 2012, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali si avvale del Centro di controllo nazionale della pesca (Ccnp) del Comando generale delle capitanerie di porto, presso la cui centrale operativa Imrcc è istituito il centro di monitoraggio della pesca (FMC – Fisheries Monitoring Centre), operativo 24 ore su 24;

   secondo i dati pubblicati sul Rapporto annuale 2016 dal Comando generale delle capitanerie di porto, terzo reparto, l'attività svolta sul territorio nell'anno 2016 ha permesso di rilevare numerosi illeciti;

   da una attenta disamina si deduce non solo l'impegno del Comando delle capitanerie di porto, ma anche il perpetrarsi di numerosi illeciti che vanno dalla cattura di specie sottomisura, all'uso di attrezzi da pesca vietati, e di una lunga serie di illeciti penali;

   nonostante i chiari divieti, in particolar modo dell'uso delle reti pelagiche derivanti bandite in Europa dal 1° gennaio 2002, è possibile rinvenire notizie di ingenti sequestri delle forze dell'ordine di tali reti e di segnalazioni dei natanti;

   in tale contesto si inserisce il ruolo delle cooperative di pesca che non sono in grado di garantire in alcun modo la formazione e il rispetto dei precetti normativi –:

   se e come i Ministri interrogati intendano agire per porre fine alla distruzione della biodiversità marina, fermando la pesca illegale;

   se i Ministri interrogati intendano intraprendere ulteriori iniziative per contrastare l'uso delle reti bandite che causano la cattura di specie protette, come previsto dalla sentenza della Corte di giustizia europea del 29 ottobre 2009, nell'ottica di garantire non solo i dovuti controlli sulla pesca, ma anche di investire su un progetto teso a prevenire gli illeciti e non solo a sanzionarli, anche tramite una serie di impegni concreti, di concerto con le cooperative di pesca, stabilendo con queste i criteri per l'allontanamento dei trasgressori;

   se e come i Ministri interrogati intendano garantire la tutela della biodiversità anche tramite interventi di informazione che coinvolgono le strutture statali e i comuni (Anci), in particolar modo quelli rivieraschi, che devono assumere un ruolo prioritario nella formazione della consapevolezza dei cittadini, tramite la divulgazione delle normative vigenti che regolano la pesca.
(4-18977)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la presenza di armenti e di greggi all'interno di Parchi e aree protette, anche a causa della compresenza dei cani da guardia, è da considerarsi un fenomeno che può interferire a diversi livelli con la naturale presenza di specie particolarmente protette, quali gli orsi e i lupi. La denuncia di numerosi medici veterinari, tra cui, il dottor Argenio che nel 2014 è stato impegnato nell'emergenza di cimurro scoppiata nel Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise a gennaio 2013, come azione C2, in collaborazione con l'Istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo: «i Progetti Life non sono finanziati per sostituirsi agli Enti pubblici, non possono e non devono farlo. Incorrere in questo errore significa sollevare questi Enti e chi li rappresenta dalle loro responsabilità istituzionali. Noi dobbiamo solo cercare di stimolarli come abbiamo cercato di fare di fronte al focolaio di cimurro»;

   l'orso bruno dal punto di vista della sua tutela è inserito anche negli allegati II e IV della direttiva 92/43/CEE «Habitat» in quanto specie di interesse comunitario e prioritario; pertanto, ne è richiesta una rigorosa tutela su tutto il territorio nazionale. La specie è nelle categorie di minaccia della Iunc come «EN = endangered» quindi in pericolo di estinzione;

   il lupo è inserito negli allegati I, II per le tutele previste dalla direttiva «Habitat» (92/43/CEE, recepita dall'Italia con decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997), sia all'interno che al di fuori dei siti di Natura 2000; la Cities elenca il lupo nell'appedice II; il lupo è incluso anche nell'appendice II (specie strettamente protette) della Convenzione di Berna; la legge n. 157 del 1992 inserisce il lupo, come l'orso, nelle specie «particolarmente protette»; la Iucn annovera la specie tra quelle «VU» ovvero vulnerabili;

   negli ultimi anni a causa di agenti patogeni forse riconducibili a interazioni con il bestiame domestico sono morti due orsi che vivevano nel massiccio Duchessa — Velino — Sirente. È stato accertato che almeno l'80 per cento delle patologie ritenute importanti per l'orso provengono dal bestiame domestico o da cani randagi. Sono state recentemente segnalate all'interno della popolazione quattro importanti malattie tra cui: brucellosi, cimurro, parvirosi ed epatite infettiva canina, tutte legate a serbatoi domestici. Anche l'epidemia di tubercolosi rilevata nel 2014 a Gioia dei Marsi in una mandria di bovini evidenzia la gravità della situazione sanitaria;

   il problema del pascolo e delle interazioni con bestiame domestico, non sempre in stato di salute ottimale, il disturbo diretto e l'eccessivo sfruttamento delle risorse alimentari, i pascoli affittati dagli enti parco, lo spargimento di bocconi avvelenati sono criticità su cui si ha il dovere di intervenire;

   anche in considerazione di quanto previsto dalla rete Natura 2000, istituita ai sensi della direttiva 92/43/CEE «Habitat» e che è costituita dai siti di interesse comunitario (SIC), identificati dagli Stati membri secondo quanto stabilito dalla stessa direttiva (tali siti vengono successivamente designati quali zone speciali di conservazione (ZSC) e comprendono anche le zone di protezione speciale (ZPS) istituite ai sensi della direttiva 2009/147/CE «uccelli» concernente la conservazione degli uccelli selvatici), è necessario garantire che la presenza dei pascoli non danneggi gli animali selvatici –:

   se i Ministri interrogati non ritengano che vi sia una emergenza sanitaria che richieda iniziative immediate, con la sospensione delle attività zootecniche nelle aree colpite e adeguati controlli sanitari, anche per prevenire la diffusione ulteriore di patologie ai selvatici;

   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere iniziative di competenza per garantire e tutelare lupi ed orsi anche in ragione del loro status «Iucn» di specie in pericolo di estinzione;

   se i Ministri non ritengano di dover pianificare una strategia nazionale, di concerto con i massimi esperti medici veterinari, istituendo una commissione/gruppo di lavoro interministeriale stabile.
(4-18955)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   i dati Istat segnalano una significativa riduzione dei consumi di latte, uova e carni e in particolare di coniglio e di agnello;

   quella per carni, pur restando la componente alimentare più importante, torna a diminuire, attestandosi a 93,53 euro mensili (da 98,25 nel 2015);

   i macelli attivi in Italia adibiti all'uccisione dei conigli sono 32; in alcuni di essi si uccidono anche 30.000 individui al giorno;

   si rileva che i dati sul consumo pro capite di carne di coniglio in Italia sono discordanti si va dai 4,2 chilogrammi annui calcolati dall'Ismea ai 2,6 chilogrammi dell'Istat;

   è più in generale riscontrabile una riduzione dei consumi di carne, formaggi e uova nel 2016/2017: carni rosse: - 5,8 per cento; salumi ed affettati: - 5,3 per cento; latte e dei suoi derivati: - 3,2 per cento; uova: - 0,7 per cento;

   è rilevante invece l'aumento dei consumi dei prodotti di origine vegetale per i regimi alimentari vegani e vegetariani. Nella grande distribuzione i prodotti Veg hanno fatturato 357 milioni di euro nel 2016, con un incremento del 18 per cento negli ultimi 12 mesi;

   i prodotti sostitutivi della carne hanno venduto +27,1 per cento rispetto all'anno precedente, come le formulazioni sostitutive al latte e di origine vegetale hanno incrementato la vendita di +19 per cento;

   il consumo di frutta e verdura è aumentato del 2 per cento e anche il comparto del biologico trova sempre più consensi con un aumento dei consumi del +20 per cento;

   a fronte della urgenza inderogabile globale di diminuire drasticamente la produzione di Co2 con la conseguente e necessaria riduzione dei consumi di carne, uova, latte e derivati secondo le indicazioni della Fao e della Chatham house e di numerose altre organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite che in numerose pubblicazioni hanno dimostrato come questi settori siano ben più impattanti addirittura delle energie fossili, anche i cittadini italiani rispondono positivamente in tal senso e con gran senso di responsabilità; invece, il Governo interviene per sostenere i diversi settori che causano più di altri le emissioni di Co2 e che hanno riscontrato una flessione della domanda. Incentivi fiscali, sgravi, pubblicità di settore sono i metodi più utilizzati;

   con la riforma della Pac 2020 il Ministro Martina ha inviato al commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale Phil Hogan un documento con le priorità italiane di riforma della politica agricola comune post 2020; tra le tante proposte si legge: «Con questa riforma abbiamo quindi l'occasione per rafforzare gli strumenti disponibili prevedendo, ad esempio, l'estensione del modello delle Organizzazioni comuni di mercato ad altri settori come latte, carne o cereali, migliorarne la competitività, incrementare la capacità di adattamento alle turbative dei mercati. Dobbiamo dare più attenzione ai giovani e lavorare per la massima trasparenza verso i consumatori attraverso l'indicazione dell'origine della materia prima degli alimenti. Scelte coraggiose che siamo chiamati a compiere già oggi» –:

   se i Ministri interrogati intendano chiarire le ragioni che hanno portato alla scelta di promuovere settori che, inevitabilmente e grazie alla consapevolezza dei cittadini, hanno riscontrato una flessione dei consumi;

   se e come i Ministri interrogati ritengano di contrastare i cambiamenti climatici e di assecondare l'inevitabile riduzione delle richieste di prodotti dei settori più inquinanti a tutti i livelli;

   se i Ministri interrogati ritengano, alla luce delle esigenze di tutela dell'ambiente, del territorio e del mare, evitare di assumere iniziative volte a incentivare settori che, oltre a determinare lo sfruttamento degli animali, sono causa evidente di un insostenibile impatto sull'ambiente, come numerose pubblicazioni confermano.
(4-18958)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   è facilmente verificabile in rete la presenza di annunci relativi alla vendita di cani di razza, in spregio al decreto legislativo n. 529 del 1992, senza che vi siano adeguati interventi volti a sanzionare secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 3, il quale stabilisce che: «Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque ammette alla riproduzione animali in violazione delle restrizioni contenute nei commi 1 e 2 è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 10.000.000 a lire 60.000.000»; l'articolo 5, comma 3, prevede inoltre che: «chiunque commercializza gli animali indicati nei commi 1 e 2 in violazione dalle prescrizioni ivi contenute è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 10.000.000 a lire 60.000.000»;

   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali con il decreto ministeriale 0010056 del 6 luglio 2007 stabilisce che i cani di razza debbano obbligatoriamente essere iscritti all'anagrafe canina ufficiale e che, a decorrere dal 1° ottobre 2007, al fine di garantire l'allineamento delle informazioni del libro genealogico del cane di razza, previste dalle norme tecniche approvate con decreto ministeriale n. 21203 dell'8 marzo 2005, con quelle presenti nel sistema di identificazione dei cani, l'Enci debba inviare, con cadenza almeno trimestrale, i dati dei cani iscritti nel libro genealogico del cane di razza nel periodo di riferimento;

   il decreto legislativo n. 529 del 1992 disciplina la commercializzazione degli animali di razza e stabilisce che non si può dichiarare di un animale che non sia iscritto in un libro genealogico riconosciuto, quindi che non abbia il pedigree. L'articolo 5, comma 1, cita: «È consentita la commercializzazione di animali di razza (...) esclusivamente con riferimento a soggetti iscritti ai libri genealogici o registri anagrafici, di cui al precedente articolo 1, comma 1, lettere a) e b), e che risultino accompagnati da apposita certificazione genealogica, rilasciata dall'associazione degli allevatori che detiene il relativo libro genealogico o il registro anagrafico». Tale decreto (articolo 2, comma 1) stabilisce anche che i libri genealogici e registri anagrafici siano tenuti dalle menzionate associazioni sulla base di appositi disciplinari, approvati anch'essi con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. Salvo che il fatto costituisca reato (articolo 2, comma 2) il responsabile dell'associazione nazionale a ciò preposto (leggasi ENCI) che custodisce i libri genealogici ed i registri anagrafici di cui al comma 1 in difformità delle prescrizioni contenute negli appositi disciplinari è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 5.000.000 a lire 30.000.000 –:

   se i Ministri non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per approfondire il fenomeno della vendita dei cuccioli di razza da parte di allevatori nella modalità sopra descritta, in ragione delle normative a tutela degli animali;

   se i Ministri non ritengano opportuno acquisire chiarimenti sulla questione sopra descritta dall'organo preposto nell'Enci;

   se e quali iniziative i Ministri intendano intraprendere per prevenire la vendita di cuccioli con modalità illegittime, anche in considerazione del fatto che un fenomeno che può andare ad alimentare il randagismo.
(4-18959)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nonostante l'ordinanza del Ministero della salute «Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati», prescriva l'obbligo di utilizzare le esche per i topi all'interno di apposite scatole per evitare il potenziale rischio di avvelenamento di altre specie animali, oltre a quelle target, ed anche il rischio per i bambini, in commercio sono in vendita ancora bustine con il veleno che può essere facilmente disperso in ambiente, senza seguire le dovute prescrizioni ministeriali. Sebbene le confezioni riportino l'indicazione che i rodenticidi contengono gli amaricanti prescritti a tutela degli animali domestici e dei bambini, questo non garantisce il loro uso secondo le prescrizioni;

   per stessa ammissione del Ministero il serio e drammatico problema degli avvelenamenti di animali domestici e selvatici persiste. Sul sito del Ministero infatti si legge: «Il persistere di numerosi episodi, accertati da approfondimenti diagnostici eseguiti dagli Istituti zooprofilattici sperimentali territorialmente competenti, relativi ad avvelenamenti e decessi di animali domestici e selvatici a causa di esche o bocconi avvelenati, accidentalmente o intenzionalmente disseminati nell'ambiente ha determinato la necessità e l'urgenza di confermare le misure di salvaguardia e prevenzione.

   La presenza di veleni o sostanze tossiche abbandonate rappresenta un serio rischio non solo per gli animali domestici o per il patrimonio faunistico, ivi comprese le specie in via d'estinzione; ma anche per la popolazione umana, in particolare per i bambini, ed è anche causa di contaminazione ambientale»;

   sono inoltre facilmente rinvenibili in vendita le tavolette con la colla che, oltre ad essere, in ogni caso uno strumento crudele e terribile per i topi, possono catturare anche specie selvatiche, domestiche e comunque tutelate dalla normativa vigente;

   è la asul di Forlì, tra l'altro, a denunciare la pericolosità di questa pratica –:

   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere iniziative per affrontare l'argomento in maniera più specifica e approfondita, anche tramite strumenti normativi più incisivi ed efficaci tesi a contrastare e prevenire l'odioso fenomeno dell'avvelenamento doloso degli animali domestici e selvatici;

   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere iniziative per vietare la vendita delle colle per topi, non solo per la crudeltà che connota tali strumenti, ad avviso dell'interrogante in conflitto con la normativa vigente a tutela degli animali, ma anche per il potenziale rischio che rappresentano per le specie selvatiche e domestiche che possono rimanerne vittima.
(4-18961)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'interrogante è stato contattato da numerosi cittadini affetti da patologie di diversa natura che riscontrano notevoli problemi nel farsi prescrivere e nel reperire cannabis ad uso terapeutico;

   tale situazione evidenzia una mancata applicazione di una norma dello Stato ed è anche dettagliatamente riportata dai media;

   «Molti medici italiani non conoscono le potenzialità terapeutiche della cannabis e quindi non la prescrivono, perché in generale, la mentalità è ancora molto arretrata», afferma Daniele Conti, responsabile area progetti dell'Associazione malati reumatici Emilia-Romagna. «Qui una delibera regionale stabilisce che tutti i medici possono prescrivere cannabis terapeutica con ricetta elettronica. Ma quelli che lo sanno fare sono veramente pochi, colpa anche del fatto che in Italia le istituzioni non fanno informazione scientifica»;

   è inoltre noto che solo poche regioni (Toscana, Puglia, Liguria, Campania, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto) riconoscono pienamente la possibilità di fornire gratuitamente la cannabis uso terapeutica;

   inoltre, la situazione relativa ai rimborsi di questa è molto disomogenea in tutta Italia: al di là delle singole regioni, alcune Ausl di varie regioni permettono l'importazione dei cannabinoidi direttamente dall'Olanda richiedendo al paziente solamente il pagamento di una quota per le spese burocratiche di importazione e gestione della richiesta. Mentre nelle regioni che, come il Lazio, non riconoscono ancora la possibilità di fornire gratuitamente la cannabis ad uso terapeutico, è assai difficile, se non impossibile, ottenere una prescrizione per la cannabis terapeutica olandese/italiana che, come è noto, può essere acquistata sempre e solo con ricetta medica, essendo classificata come stupefacente (anche se a basso tenore in THC);

   con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale n. 127 del 3 giugno 2017 vi è stato l'inserimento nella tariffa nazionale dei medicinali della voce «Cannabis infiorescenza 1 grammo 9 euro». Il prezzo di 9 euro al grammo (IVA inclusa) è il prezzo fisso imposto (a qualsiasi varietà di cannabis, italiana o olandese) a cui il farmacista dovrà vendere al pubblico, indipendentemente dal prezzo di acquisto da parte del farmacista medesimo. Se è vero che i pazienti spenderanno meno perché calerà il prezzo della materia prima è presumibile che sarà sempre più difficile trovare farmacie che dispensino cannabis e si ridurrà la capillarità della distribuzione. Sarà necessario ricorrere alle importazioni dirette, ma solo se la Ausl è organizzata; potrebbe quindi svanire la finalità della norma riguardo all'uniformità e alla diffusione sul territorio Italiano, ai tempi celeri di prescrizione e reperimento in farmacia, nonché al medico di base che può predisporre la ricetta;

   la questione è estremamente grave perché si tratta di vendere un farmaco ad un prezzo di vendita più basso di quello di acquisto, ossia sottocosto. Ne consegue un evidente ridimensionamento del numero delle farmacie che potranno permettersi di farsi carico dei costi di produzione del prodotto galenico;

   si presume che rimarranno le farmacie ospedaliere (poche ad oggi) a produrre galenici a base di cannabis, ma solo per quei pazienti che hanno diritto alla rimborsabilità. È evidente che chi vive in una regione nella quale non si riconosce il sistema di rimborsabilità subisce una discriminazione inaccettabile e l'impossibilità di curarsi –:

   se e quali iniziative intenda assumere per garantire diffusamente sul territorio italiano l'informazione, l'accesso, la prescrizione e la rimborsabilità della cannabis ad uso terapeutico;

   se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per assicurare la necessaria formazione dei medici di base e degli specialisti in merito alla possibilità di prescrizione della cannabis terapeutica, anche in considerazione del gran numero di patologie trattabili con questa senza gli effetti collaterali riscontrati diffusamente nei farmaci.
(4-18968)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la Federazione dei veterinari europei è un'organizzazione e raccoglie ben 44 organizzazioni di medici veterinari di 38 Paesi europei, per un totale di circa 240.000 veterinari. La Federazione dei veterinari europei (Fve) promuove la salute animale, il benessere degli animali e la salute pubblica in tutta Europa. Insieme ai partner sta lavorando per produrre manuali e Best Practice per il trasporto degli animali in Europa e nei Paesi terzi. Il progetto è finanziato dalla Commissione europea, Direzione generale Sante. È iniziato nel maggio 2015 e si concluderà entro la fine del 2018;

   la predetta Fve ha recentemente pubblicato un «position paper» nel quale si richiede chiaramente di «porre fine alla sofferenza degli animali durante i lunghi trasporti». In tale documento la Federazione dei veterinari europei (Fve) esprime viva preoccupazione per le gravi problematiche relative al trasporto animale su lunga distanza e l'esportazione di bestiame e sottolinea l'urgente necessità di attuare realmente e rispettare gli standard concordati per il rispetto del benessere degli animali durante il trasporto e previsti dalla normativa vigente;

   l'interrogante insieme alla Fve europei evidenziano che, nonostante i progressi compiuti è necessario che si attuino e si rispettino tali precetti che, al momento, sono spesso, del tutto disattesi. L'esportazione di bestiame rappresenta un chiaro esempio di mancato rispetto dei minimi requisiti per il benessere. Per un numero di ragioni, l'attesa dei camion in arrivo ai confini, durante queste movimentazioni, può essere lunghissima. Gli animali che per altro, hanno anche già viaggiato per migliaia di chilometri, sono costretti a rimanere sui camion senza spazio adeguato per riposare e affinché sia somministrato loro il cibo, l'acqua e affinché abbiano le cure che sarebbero necessarie;

   le alte temperature durante il giorno e la notte aggravano ulteriormente la situazione, portando altra sofferenza agli animali, sfinimento e talvolta anche alla morte;

   come riferisce la stessa Fve, e con viva preoccupazione, questa situazione non può andare avanti e l'azione è urgente. La Fve è convinta che con la buona volontà e il pragmatismo necessario di tutte le parti coinvolte i progressi arriveranno e saranno evitati i problemi sopracitati;

   un modo molto efficace per risolvere il problema è quello di sostituire il trasporto di animali vivi con il trasporto delle carcasse/prodotti di origine animale. La Fve intende quindi ribadire che: gli animali devono essere allevati il più vicino possibile ai luoghi in cui sono nati e macellati il più vicino possibile al luogo di produzione –:

   se i Ministri interrogati prendendo in considerazione questo importante documento della Federazione dei veterinari europei, intendano intraprendere iniziative per mettere in atto tutti gli interventi necessari per evitare inutili sofferenze agli animali, in spregio alle normative vigenti e al sentimento comune verso gli animali;

   se i Ministri interrogati in ragione delle sempre più numerose denunce relative al maltrattamento degli animali anche negli allevamenti e di cui la stampa riporta continuamente informazione, non intendano porre in essere, per quanto di competenza, uno specifico programma di controlli e verifiche del rispetto concreto dei precetti contenuti nelle normative vigenti;

   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere le iniziative di competenza, in tutte le sedi opportune per evitare definitivamente questi lunghi viaggi della morte, esattamente come suggerisce la Federazione dei veterinari europei nelle modalità indicate in premessa.
(4-18973)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   numerosi corsi per «infermiere veterinario» e «tecnico veterinario» sono pubblicizzati tramite i media, i siti internet e i social network;

   come è possibile verificare, si utilizza il termine «professionale» in modo improprio o quantomeno fuorviante, in quanto si lascia intendere che la partecipazione a tali corsi garantirebbe una formazione professionale per una professione che però, di fatto, non è riconosciuta come tale e non è prevista normativamente e anzi, a parere dell'interrogante tali corsi suggerirebbero anche, in alcuni casi, pratiche che potrebbero costituire abuso della professione medico-veterinaria;

   è infatti evidente che alcune pratiche previste nei corsi, stando a quanto previsto dal codice deontologico della professione medico veterinaria e alla definizione di atti medico veterinari per come definiti dalla Fnovi rientrano, appunto, nelle competenze strettamente mediche:

    le attività, manuali ed intellettuali, compiute nel rispetto dei valori etici e deontologici, con l'obiettivo di mantenere e promuovere la salute e il benessere psicofisico degli animali;

    tutte le attività di prevenzione delle malattie fisiche e psichiche degli animali;

    tutte le procedure diagnostiche, terapeutiche-curative, palliative ed eutanasiche; comprese le attività appartenenti alle medicine complementari e del comportamento nonché a quelle fisiche e riabilitative;

    le attività relative alla protezione dell'uomo e dell'ambiente dai rischi e dai danni derivanti da tutte le malattie degli animali e dal consumo di prodotti di origine animale dell'intera filiera produttiva;

    tutte le attività correlate alla sicurezza alimentare;

    le prescrizioni, le certificazioni e le attività di consulenza tecnico-professionale relative a tutti gli atti sopradescritti. Tali attività sono di esclusiva competenza dei medici veterinari iscritti all'Albo dei medici veterinari. Il medico veterinario è responsabile di ogni atto medico eseguito direttamente o sotto la sua supervisione e/o prescrizione;

   appare poi ancor più preoccupante l'offerta formativa per la figura del «naturopata veterinario» come si può verificare sul sito che pubblicizza anche tale corso per soggetti non laureati in medicina veterinaria (http://www.naturopatiaeuropea.it);

   inoltre tra i docenti del citato corso, non appare alcun medico veterinario;

   anche l'Anmvi richiede attenzione per la problematica in suo articolo nel quale evidenzia: «la necessità di mettere in chiaro che le attività medico-sanitarie sugli animali non possono essere esercitate da professioni sanitarie abilitate all'esercizio nell'uomo. Lo chiede l'Anmvi al Ministro della salute Lorenzin», «È infatti sempre più diffuso, benchè scarsamente riconosciuto e perseguito, l'esercizio abusivo di pratiche mediche e sanitarie su “pazienti animali” da parte di soggetti aventi qualifica e/o abilitazione in una laurea sanitaria in campo umano»;

   si registra anche la pubblicità relativa alla diffussione, solo per fare un esempio, di attività di «Equine Sports Massage Therapist» praticate non da medici veterinari;

   un caso assai rilevante riguarda poi la fiera dei cavalli a Verona, evento sponsorizzato anche dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che sul sito pubblicizza che: «Sapevate che anche i cavalli spesso manifestano gli stessi problemi fisici degli uomini? Zoccoli, collo e zampe sono i punti più colpiti, soprattutto negli esemplari impegnati in gare e spettacoli equestri di altissimo livello. Proprio con lo scopo di migliorare la fluidità nei movimenti e azzerare l'affaticamento, per la centodiciannovesima edizione debuttano a Fieracavalli manipolazioni e massaggi a misura di cavallo e cavaliere, con insegnanti e studenti dell'Istituto di osteopatia E.I.O.M. pronti a prendersi cura dei binomi in gara. Questo servizio, da teme previsto in altre manifestazioni europee, fa la sua prima apparizione in Italia proprio in Fiera a Verona» (fonte http://www.fieracavalli.it) –:

   se il Ministro non ritenga di dovere approfondire ogni profilo (formativo, legale, fiscale) derivante dalla organizzazione e dalla realizzazione di tali corsi per le summenzionate regioni;

   se il Ministro non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare la modalità e la natura dei corsi di tecnico-infermiere veterinario, naturopata veterinario e altri similari;

   se il Ministro non intenda assumere iniziative per verificare e impedire la diffusione di attività medico-sanitarie praticate sugli animali da professionisti abilitati all'esercizio sull'uomo;

   se il Ministro non intenda assumere iniziative per bloccare ogni attività che sia in contrasto, anche parzialmente con la normativa esistente al riguardo.
(4-18976)


   VIGNAROLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   a seguito dell'entrata in vigore di una norma, contenuta nel cosiddetto decreto Mezzogiorno (decreto-legge n. 91 del 2017 convertito dalla legge 3 agosto 2017 n. 123), i sacchetti utilizzati per imbustare frutta e verdura, e altri alimenti freschi, devono essere biodegradabili e compostabili;

   la citata norma prevede che i sacchetti non possano essere gratuiti e, come già accadeva per le normali buste della spesa, il prezzo deve finire sullo scontrino. Tale disposizione ha registrato un forte interesse mediatico, contestualmente ad una difficile interpretazione della citata legge;

   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inviato una circolare vietando l'utilizzo di sporte riutilizzabili da parte del cittadino, come si legge nella nota 2017.0014624, in risposta alla nota protocollo n. 13069 del 18 settembre 2017, chiedendo, al contempo, un parere al Ministero della salute;

   il Ministero dello sviluppo economico ha diffuso una circolare datata 7 dicembre 2017 che autorizza i supermercati ad applicare il sottocosto sui sacchetti, ammettendo la possibilità di usare borse riutilizzabili, anche se rimanda per il benestare definito a un parere del Ministero della salute che dovrebbe valutare gli aspetti igienici e quelli sanitari;

   il 4 gennaio 2018 il dicastero della salute, prendendo ufficialmente posizione nel dibattito sui sacchetti a pagamento introdotti dal 1° gennaio 2018, ha dichiarato il divieto di riutilizzare i sacchetti di frutta e verdura perché sussiste il rischio di contaminazioni batteriche e consentito l'utilizzo di sacchetti di plastica monouso, già in possesso della clientela, che però rispondano ai criteri previsti dalla normativa sui materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti. Tali sacchetti dovranno risultare non utilizzati in precedenza e rispondenti a criteri igienici che gli esercizi commerciali potranno definire in apposita segnaletica verificando l'idoneità dei sacchetti monouso introdotti;

   il 4 gennaio 2018 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare emette una circolare interpretativa e inviata alla grande distribuzione (Coop, Federdistribuzione e Conad) in cui si legge che le borse di plastica di qualsiasi tipo «non possono essere distribuite a titolo gratuito dai supermercati e il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino»;

   la direttiva europea non ha mai fatto divieti di riuso e non ha mai contestato ad alcuni Paesi europei e alle catene di supermercati, come ad esempio la Carrefour, l'uso di sporte riutilizzabili anche per la frutta e la verdura da parte del cliente –:

   se il Ministro condivida quanto esposto in ordine al «rischio igienico» dovuto all'uso di borse durevoli, ad esempio nei reparti di ortofrutta, e se tale rischio sia ritenuto rilevante rispetto alla natura delle operazioni in tutta la filiera di coltivazione, raccolta, trasporto e distribuzione;

   se il Ministro interrogato ritenga, per uniformità di disciplina, dovere assumere iniziative affinché anche gli altri stati europei si adoperino per evitare il rischio sotto il profilo igienico nell'uso di borse riutilizzabili per il prelievo di ortofrutta, pratica ampiamente diffusa e promossa in Europa;

   se il Ministro ritenga sulla base di quelle che l'interrogante ritiene criticabili e paradossali asserzioni dei dicasteri di cui sopra, di assumere iniziative per evitare la pratica degli esercizi commerciali (cosiddetti negozi «Packaging free», in via di diffusione in Italia ed in Europa) che commercializzano vino o altre bevande sfuse e generi alimentari in vasi o cesti o sporte durevoli portate dal cliente;

   se il Ministro ritenga di assumere iniziative per prevedere analoghe misure di igiene nei mercati rionali, nella vendita ambulante ed addirittura nell'acquisto diretto in azienda agricola, fattispecie diffusa e promossa per la valorizzazione delle produzioni agricole locali;

   se il Ministro ritenga di assumere iniziative per vietare l'uso di borracce non «usa e getta» nelle fontanelle, in quanto costituisce fattispecie analoga, di reimpiego di imballo primario durevole per genere alimentare, il tutto, contravvenendo, ad avviso dell'interrogante, ad ogni principio finalizzato alla prevenzione del produzione di rifiuti e di rifiuti di imballaggio.
(4-18980)


   ANZALDI e BURTONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   si è appreso dai media (8 gennaio 2018) che il colosso farmaceutico americano Pfizer ha annunciato di rinunciare agli investimenti nella ricerca di nuovi farmaci per il trattamento delle malattie degenerative come Alzheimer ed il Parkinson;

   dopo l'addio di Merck, anche Pfizer ha deciso di abbandonare la ricerca di medicinali contro le citate malattie;

   nell'ultimo decennio, i farmaci sperimentali contro queste malattie neurodegenerative hanno ripetutamente fallito;

   si tratta di una notizia molto importante che non può non destare preoccupazione considerata la rilevanza sociale di queste malattie;

   solo in Italia vi sono circa 600 mila malati di Alzheimer e altrettanti di Parkinson e, considerato l'invecchiamento della popolazione, tali malattie registreranno purtroppo un aumento rilevante nei prossimi anni;

   l'Italia è anche il Paese nel quale il settore farmaceutico è tra i più avanzati al mondo, il secondo in Europa;

   è importante scongiurare un disimpegno delle case farmaceutiche nella ricerca per sconfiggere tali malattie –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo, anche in campo internazionale, per scongiurare il disimpegno dell'industria farmaceutica nella ricerca per il trattamento di malattie neurodegenerative come Alzheimer ed il Parkinson, e se non ritenga utile attivare un tavolo di confronto con il settore farmaceutico per far sì che l'Italia sostenga in maniera maggiormente incisiva questo ambito di ricerca.
(4-18984)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nel luglio 2014, con determina n. 1067, l'azienda ospedaliera Cardarelli di Napoli ha indetto una gara per l'affidamento del servizio di pulizia delle aree esterne, nonché delle aree a basso, medio, alto ed altissimo rischio, della struttura ospedaliera;

   tale gara è stata, aggiudicata alla società «Romeo Gestioni» che aveva praticato un ribasso al 27,8 per cento, un'aggiudicazione rispetto alla quale negli anni successivi sono stati presentati ricorsi ed esposti di natura amministrativa, nonché una segnalazione all'Autorità nazionale anticorruzione di palese illegittimità nelle procedure che hanno portato all'aggiudicazione;

   in data 20 dicembre 2017, con delibera n. 1302, il consiglio dell'Autorità nazionale anticorruzione ha promosso una formale contestazione nei confronti dell'azienda ospedaliera Cardarelli quale società appaltante, in particolare relativi: a) all'utilizzo improprio della metodologia di determinazione del corrispettivo dell'appalto; b) alla modifica in sede esecutiva del costo del personale rispetto all'offerta prodotta in gara; c) alla discrasia tra l'importo offerto dall'aggiudicatario in sede di gara è quello risultante dal contratto; d) alle insufficienti motivazioni relative agli incrementi in fase esecutiva dell'importo dell'appalto;

   in considerazione della gravità dei citati rilievi l'Anac ha trasmesso la delibera in questione anche all'attenzione della procura del Repubblica presso il tribunale di Napoli ed alla procura della Corte dei Conti della Campania;

   l'attuale direttore generale dell'ospedale Cardarelli, che dovrebbe esprimersi sulla delibera dell'Anac, all'epoca dei fatti era il presidente della commissione di aggiudicazione della gara oggetto dei rilievi, e si trova, pertanto, in quella che l'interrogante giudica una palese condizione di conflitto d'interessi –:

   quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per verificare la regolarità delle procedure seguite da parte dell'azienda ospedaliera di cui in premessa nell'aggiudicazione della citata gara, e, se del caso, al fine di ripristinare condizioni di legalità nell'affidamento dei servizi da parte della medesima struttura ospedaliera.
(4-18991)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO e BOSSA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   ad inizio dicembre 2017 l'azienda FRC Group srl, società satellite della Dps Group srl, detentrice del marchio Trony, ha avviato una procedura di licenziamento collettivo relativa a 105 dei suoi dipendenti, con l'idea di chiudere quattro punti vendita attualmente localizzati a Genova, Verona, Varese e Napoli;

   di questi 105 dipendenti quasi la metà (41) sono situati nel punto vendita di Napoli, unico di tutta la Campania;

   i 15 dipendenti licenziati nella provincia di Varese erano stati lì dislocati solo pochi mesi fa a seguito di un'altra chiusura, che aveva riguardato un punto vendita milanese e, con esso, decine di lavoratori;

   la motivazione addotta dall'azienda è quella di una generica e generale crisi, che però poco riguardava i punti vendita scelti per la chiusura: a Napoli, ad esempio, gli introiti sono stati costanti e rilevanti fino a quando Trony non ha scelto di disinvestire, rinunciando a rifornire il negozio e lasciando che gli scaffali si svuotassero e che l'utenza iniziasse ad avere difficoltà nel trovare lì i prodotti più ricercati;

   la scelta di lasciare gli scaffali vuoti è peraltro a dir poco incomprensibile in periodo natalizio, quando migliaia di persone si accalcano ogni giorno nei punti vendita Trony per acquistare regali per amici e familiari;

   la Dps Group srl è attualmente in liquidazione e sostituita dalla Vertex srl;

   la Frc Group srl fu creata appositamente per acquisire i punti vendita Fnac di Verona, Genova, Milano e Napoli nel 2013 e non è stata coinvolta nel passaggio da Dps Group srl a Vertex srl;

   nel corso della gestione da parte di Frc Group srl del punto vendita di Napoli si è passati dagli iniziali 71 dipendenti alle attuali 41 unità tramite dimissioni su base volontaria con incentivi alla buonuscita;

   successivamente, le 41 unità sono state investite da Cassa integrazione guadagni straordinaria e poi da contratto di solidarietà;

   va detto che la maggior parte dei dipendenti attualmente sotto contratto nel punto vendita napoletano erano già dipendenti Fnac, passati a Trony quattro anni fa con tutto il punto vendita;

   si tratta, quindi, della seconda procedura di licenziamento che li vede coinvolti nel giro di pochissimo tempo;

   nel passaggio da Fnac a Trony a Napoli, peraltro, le istituzioni locali si impegnarono affinché quello che era un nodo nevralgico per la cultura in città non perdesse la sua vocazione, ed infatti nel punto vendita di Trony rimase una forte presenza di libri e prodotti audiovisivi (DVD, CD, vinili e altro) e, fino a poco tempo fa, di eventi legati alla cultura;

   peraltro, nonostante l'impegno delle istituzioni locali e dei lavoratori affinché venissero mantenuti gli spazi editoriali, essi sono stati nel corso del tempo sempre più ridimensionati, fino all'azzeramento totale degli eventi legati alla cultura;

   ciò ha provocato una diminuzione della clientela ed un conseguente calo del fatturato;

   negli anni Trony ha anche ceduto parte degli spazi del punto vendita napoletano ad altre aziende (nello specifico, Zuiki e Sephora), con le quali condivide ancora uscite d'emergenza ed altri aspetti logistici;

   ciò significa che, in caso di confermata chiusura di Trony, anche questi altri due negozi potrebbero avere grossi problemi e complicazioni, tali forse da mettere nel tempo a repentaglio anche i loro dipendenti;

   è previsto, per dopo la metà di gennaio 2018, un nuovo incontro tra azienda e sindacati, mentre la procedura avviata si concluderà il 20 febbraio 2018;

   in un'area come quella campana, in cui la crisi economica degli ultimi anni ha provocato danni devastanti e messo in ginocchio centinaia di migliaia di famiglie, la chiusura di Trony avrebbe effetti gravissimi sul tessuto sociale locale –:

   se non ritengano doveroso, per quanto di competenza, convocare immediatamente un tavolo di crisi che coinvolga tutte le parti interessate al fine di trovare una soluzione che scongiuri la chiusura del punto vendita o di individuare soluzioni comunque meno traumatiche per i lavoratori, quali ad esempio il subentro di un'altra realtà aziendale nei punti vendita coinvolti;

   quali iniziative ritengano, per quanto di competenza, di poter e dover assumere per garantire il rispetto dei diritti dei dipendenti coinvolti dalle decisioni prese da Trony e per salvaguardare il mantenimento dei livelli occupazionali attuali.
(4-18993)

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ROBERTA AGOSTINI, LEVA, SANNICANDRO, ROSTAN, NICCHI, ALBINI, MARTELLI, MELILLA, MOGNATO, RICCIATTI, ZAPPULLA e ZOGGIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in data 14 giugno 2017, è stato approvato definitivamente il disegno di legge governativo recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario»;

   con l'articolo 1 del provvedimento si introduce l'estinzione del reato per condotte riparatorie – in particolare, ad opera del nuovo articolo 162-ter del codice penale – istituto applicabile nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione;

   come noto, l'articolo 1, comma 3, del decreto-legge n. 93 del 2013 «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», convertito, con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, ha modificato l'articolo 612-bis del codice penale – rubricato «atti persecutori» – in particolare, prevedendo l'irrevocabilità della querela solo se «il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma», ovvero solo se gravi o se ricorra una delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 339 del codice penale;

   conseguentemente, sussistendo – in fatto e in diritto – casi nei quali la querela relativa allo stalking è remissibile, in base al neointrodotto articolo 162-ter del codice penale, in relazione a quelle ipotesi di stalking sarebbe applicabile l'estinzione del reato per condotte riparatorie, come già rilevato dalla Cgil, Cisl e Uil, da tutte le associazioni che lottano contro la violenza di genere, nonché dagli interroganti, in tutte le sedi;

   a fronte della disponibilità del Ministro interrogato ad intervenire su tale grave vulnus, di fatto ammettendo l'errore, forte è tuttavia la preoccupazione degli interroganti circa, non solo la tempistica dell'intervento, ma anche e soprattutto il tipo di modifica normativa cui si intende procedere a livello governativo;

   è noto, infatti, che anche in sede di dibattito parlamentare sulle norme in tema di femminicidio, sia in Parlamento, sia nel Paese, forti erano state le resistenze circa la possibilità di rendere irrevocabile in ogni caso la querela per lo stalking, costituendo ciò purtroppo un possibile deterrente, per le vittime della violenza di genere, al procedere alla denuncia;

   la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dal nostro Paese, sancisce espressamente all'articolo 48 il «divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti o di misure alternative alle pene obbligatorie», stabilendo che le Parti debbano adottare «le misure legislative di altro tipo destinate a vietare i metodi alternativi di risoluzione dei conflitti, tra cui la mediazione e la conciliazione, per tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente convenzione»;

   è evidente, quindi, che lo strumento di giustizia riparativa di cui all'articolo 162-ter del codice penale non possa essere applicato anche ai casi di violenza di genere e che il divieto del ricorso a metodi alternativi di risoluzione dei conflitti per i cosiddetti «reati di genere» potrebbe sanare il vulnus evidenziato, per il tramite di una semplice clausola di esclusione –:

   quali iniziative normative, e in quali tempi, il Ministro interrogato intenda assumere per apportare il necessario correttivo quanto alla delicata questione illustrata in premessa, in modo da evitare che lo stalking, seppur nelle forme meno gravi, sia assoggettabile all'istituto previsto dall'articolo 162-ter del codice penale, ovvero all'estinzione del reato per condotte riparatorie e, in particolare, se non ritenga di dover a tal fine assumere iniziative per l'esclusione dello stalking dall'ambito di applicazione dell'articolo 162-ter del codice penale.
(4-17185)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti, nel richiamare l'articolo 162-ter del codice penale, recentemente introdotto dalla legge n. 103 del 2017, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie «nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione», chiedono al Ministro della giustizia quali iniziative intenda assumere per «evitare che lo stalking, seppur nelle forme meno gravi, sia assoggettabile all'istituto previsto dall'articolo 162-ter del codice penale».
  Prima ancora di entrare nel merito della questione posta, mi preme innanzitutto ribadire, anche in questa occasione, come il tema del contrasto alla violenza di genere occupi da sempre un ruolo prioritario nell'agenda governativa e nelle politiche del mio dicastero.
  Per tale ragione in tempi recenti si è intervenuti sull'articolo 612-
bis del codice penale adeguando i limiti di pena alla gravità del fatto e rendendo applicabili ai responsabili, ove ne ricorrano le condizioni, anche le più gravi misure cautelari personali.
  Nella prospettiva di affinare ulteriormente il sistema, sono state introdotte misure di prevenzione, quale l'ammonimento, finalizzate all'anticipazione della tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica e, nella medesima direzione, la recente riforma del codice antimafia ha esteso ai soggetti indiziati del delitto di atti persecutori le misure di prevenzione personali più incisive, così contribuendo a rafforzare la tutela delle vittime prima – e oltre – l'accertamento penale.
  Sul versante processuale, sono state introdotte misure cautelari calibrate sulla specificità del fenomeno da contrastare ed è stata altresì prevista l'esclusione del reato di atti persecutori dal novero di quelli in relazione ai quali è possibile applicare l'istituto del proscioglimento per particolare tenuità del fatto.
  È stato delineato, inoltre, un vero e proprio statuto delle persone vulnerabili apprestando un adeguato apparato difensivo delle vittime, che contempla, tra l'altro, diversi obblighi di informazione in tutte le fasi procedimentali; in particolare, è stata resa obbligatoria l'informazione alla persona offesa della possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato ed è stata altresì prevista l'immediata comunicazione alla stessa dei provvedimenti cautelari e delle relative richieste di revoca o modifica.
  Il livello avanzato raggiunto dal complessivo sistema di tutela penale, sostanziale e processuale, come sopra riassunto, assicura una adeguata risposta al fenomeno in linea con gli
standard europei.
  Ciò premesso, con specifico riguardo al tema posto dagli interroganti, mi preme rilevare come le perplessità da più parti sollevate all'indomani dell'entrata in vigore dell'articolo 162-
ter del codice penale, introdotto invero per evidenti finalità deflattive ed in un'ottica di riduzione dei tempi di durata del processo, sono state adeguatamente prese in considerazione dal Governo.
  Il decreto-legge fiscale collegato alla manovra di bilancio 2018, approvato in via definitiva alla Camera il 30 novembre 2017, recependo un emendamento di iniziativa governativa ed intervenendo sull'articolo 162-
ter del codice penale, ha infatti escluso espressamente il delitto di atti persecutori, sia in forma semplice che aggravata, dal novero delle fattispecie suscettibili di estinzione in seguito a condotte riparatorie.
  Il recente intervento di modifica consente di dissipare ogni dubbio circa l'impegno perseguito dal Governo e dal Ministero che rappresento nell'azione di contrasto al fenomeno della violenza di genere.

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   CHIARELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   è nota la situazione di grave emergenza che interessa gli istituti di pena italiani in termini di sovraffollamento e di carenza di organici;

   il decreto 146 del 2003 di recente convertito in legge non affronta in modo strutturale la problematica ed interviene in modo molto marginale, potendosi applicare la nuova norma esclusivamente ai detenuti che scontano una pena definitiva;

   si rileva in particolare uno squilibrio nelle dotazioni organiche che vede penalizzati soprattutto gli istituti di pena allocati al Sud;

   il carcere di Taranto, che ha funzione di casa circondariale, dall'interrogante conosciuto in modo diretto per propria attività professionale, e di recente visitato in veste istituzionale, presenta numerose carenze che riguardano le condizioni generali di manutenzione della struttura ed in particolare la dotazione organica;

   l'organico in base a quanto previsto dal decreto ministeriale del 2001 prevede 357 unità di polizia penitenziaria;

   in data 25 febbraio 2014 presso il provveditorato regionale di Bari si è tenuto l'incontro tra i sindacati, il provveditore ed il direttore di Taranto in cui è stata esposta una tabella da cui si evince che il numero di personale effettivo presso il carcere di Taranto è 299, compreso il comandante e tolto l'UEPE che è di competenza provveditoriale, a fronte di un numero previsto in una proposta dal Ministero di 403 e del provveditore di 340;

   con questi numeri si vuole anche aprire un nuovo padiglione indipendente, per 48 detenuti a regime di sorveglianza remota, con problemi logistici con solo l'unità recuperate dagli uffici già sommersi di lavoro –:

   se ritenga di sospendere l'apertura del nuovo padiglione al fine di evitare il rischio di determinare situazioni di possibile grave pericolo, nelle more di un necessario approfondimento della intera materia;

   se ritenga di intervenire in direzione di un ormai inderogabile adeguamento della pianta organica, acquisendo come dato il numero di 42 (quarantadue) unità necessarie per raggiungere il livello minimo di dotazione.
(4-18359)


   CHIARELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   è nota, anche per le diverse ripetute condanne inflitte al nostro Paese da parte della Commissione europea per i diritti umani (vedi, tra le tante, la nota sentenza Torreggiani), la situazione di assoluta criticità delle strutture carcerarie italiane;

   è altresì noto che tale situazione critica è dovuta ad una serie di circostanze che possono sinteticamente indicarsi in: 1) tagli alle spese per l'adeguamento delle strutture 2) sottodimensionamento degli organici di polizia carceraria e in generale, del personale che opera nelle carceri italiane 3) numero significativo di detenuti in attesa di giudizio, di cui molti stranieri;

   il carcere di Taranto, in particolare, soprattutto negli ultimi anni, ha evidenziato, nonostante una encomiabile e meritoria gestione da parte della direttrice e di tutto il personale impiegato, molti episodi che hanno messo a rischio la sicurezza dei detenuti e degli operatori;

   mercoledì 23 marzo 2016 è giunta la notizia che verso le 15.30, un cittadino di origine egiziana di circa 30 anni, in attesa di giudizio (sembrerebbe uno scafista di profughi), avrebbe tentato il suicidio attraverso una corda rudimentale attaccata alle inferriate del bagno. In questo caso, il pronto intervento dell'agente che ha dato subito l'allarme, seguito dal personale medico, ha evitato che ci fossero gravi conseguenze;

   un detenuto italiano, sembrerebbe originario di Massafra (TA), anch'esso in, attesa di giudizio per reati contro la famiglia, avrebbe tentato il suicidio attraverso il solito metodo (corda rudimentale). In questo caso nonostante il rapido intervento dell'addetto alla vigilanza e dei sanitari, il detenuto è apparso molto grave, tanto da essere trasportato presso il locale ospedale per essere ricoverato in rianimazione;

   nel corso della recente Messa di precetto Pasquale presso suddetto carcere, un gruppo di detenuti, all'arrivo dell'arcivescovo di Taranto, hanno inscenato una forma di protesta, allontanandosi dalla sala, creando ad avviso dell'interrogante situazioni di potenziale pericolo, prontamente e positivamente gestite dal personale di custodia;

   quanto sopra evidenziato in presenza di un organico di polizia penitenziaria assolutamente sottodimensionato;

   il perdurare dell'attuale stato di cose lascia ipotizzare che quanto accaduto nei giorni scorsi, non solo possa ripetersi, ma si possa assistere ad un ulteriore escalation, con grave rischio per tutta la popolazione carceraria, detenuti e personale –:

   se il Ministro interrogato ritenga di adottare iniziative urgenti per l'invio con immediatezza a Taranto del personale necessario a completare l'organico, che si valuta in almeno trenta unità di polizia penitenziaria;

   se ritenga di affrontare in generale il problema del sovraffollamento delle carceri attraverso iniziative straordinarie, soprattutto in caso di carcerazione cautelare, quali l'impiego del braccialetto elettronico, salvo che non ritenga di assumere le iniziative di competenza ai fini dell'adozione di più utili iniziative straordinarie di clemenza.
(4-18360)


   CHIARELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in data 6 aprile 2016, nella seduta n. 603, l'interrogante depositava interpellanza n. 2-01334 avente ad oggetto l'emergenza del carcere di Taranto, con la quale si denunciavano le molteplici criticità presenti all'interno dell'istituto di pena, correlate essenzialmente al sovrannumero di detenuti e alla significativa carenza di personale penitenziario;

   la situazione nel carcere di Taranto, nel frattempo continua ad aggravarsi, con il reiterarsi di numerosi episodi di violenza tra detenuti e nei confronti della polizia penitenziaria;

   il perdurare dell'attuale stato di cose lascia ipotizzare non solo che quanto accaduto negli ultimi tempi, e anche nei giorni scorsi, possa ripetersi, ma che si possa assistere ad un ulteriore escalation con grave rischio per tutta la popolazione carceraria, detenuti e personale;

   in data 5 ottobre 2016 l'agenzia ANSA diffondeva la seguente nota: «Una quarantina di poliziotti penitenziari che vivono a Taranto con le loro famiglie, dopo aver girovagato per le carceri della nazione, domani chiederà di andare via dal carcere del capoluogo ionico». Lo annuncia Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria), precisando che «le motivazioni di tale estremo gesto di protesta sono riconducibili alla impossibilità di lavorare più volte denunciate e rappresentate con manifestazioni di protesta davanti al carcere, con scioperi della fame, con autoconsegna e finanche con incontri dal prefetto e dal sindaco di Taranto». La carenza «di personale di Taranto (oltre 60 unità) – sostiene Pilagatti – è arrivata a livelli così drammatici che costringe i poliziotti a carichi di lavoro sovrumani e non più tollerabili, e con eventi critici (aggressioni, minacce anche di morte) che avvengono ormai con cadenza giornaliera». Soprattutto «nelle ore pomeridiane e notturne – osserva il segretario del Sappe – il carcere di Taranto è pressoché sguarnito nonostante la presenza di circa 500 detenuti, e le poche unità in servizio devono preoccuparsi di più sezioni detentive contemporaneamente (200 detenuti) in cui sono presenti detenuti con gravi patologie croniche, problemi psichiatrici, di droga, che rendono ancora più problematico un lavoro già tanto difficile». La protesta «dei lavoratori di Taranto – conclude Pilagatti – sarà seguita anche dai poliziotti di Lecce che da settimane sono in stato di agitazione, sempre a causa della grave carenza di organico (quasi 150 unità) che diverrà sempre più pesante con l'imminente apertura di una sezione per detenuti con problemi psichiatrici»;

   quanto denunciato dal sindacato Sappe, più volte reso pubblico dai mezzi di comunicazione, è confermato sulla base di recenti visite al carcere di Taranto di parlamentari ionici, e dalla verifica quotidiana che l'interrogante ha modo di effettuare nell'ambito dell'attività professionale forense –:

   se siano a conoscenza delle criticità esposte e delle azioni che il sindacato intende promuovere, con ogni prevedibile conseguenza;

   se si ritenga di adottare iniziative di urgenza, inviando con immediatezza a Taranto il personale necessario a completare l'organico;

   se si ritenga di affrontare, in generale, il problema del sovraffollamento delle carceri attraverso iniziative straordinarie, soprattutto in caso di carcerazione cautelare, quali l'impiego del braccialetto elettronico, salva l'adozione di più utili provvedimenti straordinari di clemenza.
(4-18361)

  Risposta. — Con gli atti di sindacato ispettivo in esame, sono state richieste informazioni in merito alla situazione della casa circondariale di Taranto, di cui si rappresenta una complessiva situazione di criticità determinata da insufficienza degli organici della polizia penitenziaria, dalla presenza di detenuti in numero superiore alla capienza prevista, da carenze manutentive e dal verificarsi di taluni eventi critici.
  In risposta all'interrogante, va rilevato che la situazione dell'istituto penitenziario tarantino è stata più volte posta all'attenzione della competente articolazione ministeriale.
  Quanto alla questione relativa alle carenze di personale ed alla necessità di adeguamento degli organici di polizia penitenziaria, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha comunicato che, alla data del 10 luglio 2017, risultano in servizio effettivo presso la casa circondariale di Taranto 274 appartenenti al corpo, con una carenza pari a 66 unità rispetto all'organico previsto.
  Le criticità specificamente rilevate per l'istituto di Taranto saranno tenute nella più attenta considerazione in occasione delle nuove assegnazioni.
  Infatti, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 ottobre 2016 l'amministrazione penitenziaria è stata autorizzata ad assumere n. 887 unità di agenti vincitori di concorso: il decreto-legge n. 244 del 30 dicembre 2016 (decreto «milleproroghe»), convertito in legge, ha previsto la proroga, sino al dicembre 2017, della validità delle graduatorie dei concorsi banditi ai sensi dell'articolo 2199 del codice dell'ordinamento militare, pubblicate in data non anteriore al 1° gennaio 2012.
  Tale intervento normativo consentirà, dunque, all'amministrazione di attingere alle graduatorie per avviare le procedure finalizzate all'assunzione, nell'anno in corso, di 887 donne e uomini che andranno a colmare, in parte, il vuoto in organico del corpo di Polizia penitenziaria.
  Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, inoltre, ha comunicato che potrà disporre per il prossimo anno di ulteriori 1079 agenti.
  Si è trattato di primi passi che dimostrano la costante attenzione riservata dal Governo a tale questione e che ha recentemente trovato ampia conferma nella stesura del disegno di legge di bilancio per il 2018, che contiene la previsione di una specifica norma volta a consentire l'avvio di procedure straordinarie di assunzioni nell'ambito delle Forze di polizia, tra le quali un totale di 861 destinate ai ruoli del Corpo di polizia penitenziaria.
  Del resto, la carenza del personale di polizia penitenziaria, riguardante soprattutto i ruoli degli ispettori e dei sovrintendenti, rappresenta una criticità che si ripropone in molti istituti, per la cui risoluzione il competente dipartimento sta adottando ogni possibile iniziativa.
  In questa prospettiva, si provvede, tra l'altro, ad assegnare al personale in servizio ore di straordinario suppletivo, che corrispondono ad un «apporto lavorativo» di diverse unità al giorno: con specifico riguardo all'istituto di Taranto, per l'anno 2016, sono state assegnate 68.700 ore di lavoro straordinario.
  Nella prospettiva del miglioramento dei modelli di organizzazione ed in attuazione del nuovo regolamento introdotto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2015, che ha ridisegnato l'intero apparato del Ministero della giustizia, sono in corso di emanazione diversi decreti ministeriali, relativi, tra l'altro, alla rimodulazione della dotazione organica dei ruoli della polizia penitenziaria prevista dall'articolo 44 del decreto legislativo n. 95 del 29 maggio 2017, adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 8, comma 1, lettera
a), della legge 7 agosto 2015, n. 124 per il riordino della carriera delle forze di polizia, nonché per l'adozione delle misure per la definizione dei criteri e delle priorità di assegnazione delle sedi di servizio del personale del Corpo di polizia penitenziaria, in attuazione dell'articolo 11, comma 2, lettera m), del decreto del Ministro della giustizia 2 marzo 2016.
  Con riferimento, invece, al tema del sovraffollamento, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha comunicato che il numero dei detenuti presenti presso la Casa circondariale di Taranto risulta essere pari a 549 al 2 novembre 2017.
  Allo stato, nonostante l'esubero dei presenti rispetto alla capienza regolamentare, il dipartimento ha evidenziato che risultano comunque rispettati i parametri previsti dalla CEDU e che il competente provveditorato regionale monitora costantemente la situazione.
  L'indice di sovraffollamento che si registra presso l'istituto tarantino potrà migliorare grazie all'ultimazione dei lavori di ristrutturazione che hanno reso nuovamente disponibili 30 ulteriori stanze di pernottamento.
  Quanto agli eventi critici segnalati negli atti di sindacato ispettivo in discussione, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha ricostruito i fatti, sottolineando – quanto al tentato suicidio ad opera di un detenuto – come il pronto intervento del personale abbia scongiurato conseguenze letali, mentre sono in corso di accertamento da parte della competente autorità giudiziaria sia le modalità esecutive di un atto di autolesionismo giunto, purtroppo, alle estreme conseguenze, che i disordini verificatisi nella Pasqua 2016 che, tuttavia, non hanno messo in pericolo la sicurezza dell'istituto.
  Pur a fronte degli elementi riferiti, non v'è dubbio che la situazione debba essere tenuta costantemente sotto controllo, anche in attuazione delle politiche volte a prevenire ed a scongiurare il rischio di gesti autolesionistici, secondo linee tracciate anche alla luce delle analisi e delle riflessioni maturate nell'ambito degli stati generali dell'esecuzione della pena.
  Sin dal maggio 2016, infatti, il Ministro della giustizia ha adottato una specifica «Direttiva sulla prevenzione dei suicidi», indirizzata al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, prescrivendo la predisposizione di un organico piano d'intervento per la prevenzione del rischio di suicidio delle persone detenute o internate, il puntuale monitoraggio delle iniziative assunte per darvi attuazione e la raccolta e la pubblicazione dei dati relativi al fenomeno.
  In attuazione della direttiva, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha predisposto un «Piano Nazionale per la prevenzione delle condotte suicidiarie in ambito penitenziario», cui hanno fatto seguito circolari attuative trasmesse ai provveditorati regionali.
  Le misure adottate dall'amministrazione penitenziaria attengono alla formazione specifica del personale, alla raccolta ed elaborazione dei dati ed all'aggiornamento progressivo dei piani di prevenzione.
  Sono state, inoltre, impartite istruzioni ai provveditorati regionali ed alle direzioni penitenziarie per la conclusione di intese con regioni e servizi sanitari locali, al fine di intensificare gli interventi di diagnosi e cura, nonché l'attuazione di misure di osservazione e rilevazione del rischio.
  L'amministrazione ha anche operato sul piano dell'organizzazione degli spazi e della vita penitenziaria, con incentivazione di forme di controllo dinamico volte a limitare alle ore notturne la permanenza nelle celle, in modo da rendere agevole l'osservazione della persona in ambiente comune e ridurre le condizioni di isolamento.
  Allo stesso scopo, sono state adottate misure volte a facilitare, anche attraverso l'accesso protetto ad
internet, i contatti con i familiari.
  Nel solco delle predette iniziative, il Ministero della giustizia ha attivamente partecipato al tavolo permanente per la sanità penitenziaria i cui lavori hanno, tra l'altro, portato alla recente adozione, in seno alla conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, del piano nazionale per la prevenzione del rischio suicidario in carcere.
  A partire dallo scorso 3 marzo, inoltre, si sono svolte presso il Ministero della giustizia una serie di riunioni nel corso delle quali si sono svolti incontri al fine di fare il punto sulle modalità di esecuzione, al livello locale prossimo agli istituti penitenziari, delle disposizioni contenute nella Direttiva sulla prevenzione dei suicidi e sollecitarne, ove necessario, la completa e rapida attuazione.
  Sono state, inoltre, programmate attività di monitoraggio e verifica periodica degli interventi di prevenzione delineati, attività che saranno svolte istituto per istituto.
  Il Ministero è, dunque, costantemente impegnato nell'esame dei dati relativi allo stato di attuazione della Direttiva che ogni referente è tenuto a raccogliere ed a trasmettere attraverso apposito monitoraggio.
  In conclusione, grazie ad un impegno politico intenso e costante, articolato in contestuali interventi di carattere normativo ed organizzativo, di edilizia penitenziaria e di politiche del personale, si persegue l'obiettivo di un progressivo e complessivo miglioramento delle condizioni detentive.
  Il riconoscimento a livello europeo dei risultati raggiunti dall'Italia nel settore del sovraffollamento carcerario, diminuito in maniera sensibile e non episodica, rappresenta la conferma della bontà della strada intrapresa nel contribuire a mutare in senso migliorativo le condizioni di vita in carcere.
  Occorre proseguire in questa direzione onde scongiurare il pericolo di un'inversione di tendenza rispetto ai dati confortanti degli anni scorsi.
  In questo senso, l'azione sin qui svolta risulterà ulteriormente rafforzata dalle misure contenute nella riforma dell'ordinamento penitenziario, appena approvata dal Parlamento ed i cui decreti attuativi sono in avanzato stato di elaborazione, che prevede l'introduzione di strumenti adeguati per garantire una autentica funzione recuperatoria e risocializzante, in chiave costituzionalmente orientata, all'esecuzione penale.
  

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto legislativo n. 51 del 1998, riforma del giudice unico in vigore dal 2 giugno 1999, sono state soppresse le preture di Tempio, Olbia e La Maddalena e accorpate al tribunale di Tempio. Già dal 1999 l'allora presidente del tribunale aveva segnalato la grave insufficienza di magistrati e di personale amministrativo. Solo con decreto ministeriale 1° dicembre 2016 è stata aumentata di un'unità e portata complessivamente a 12 giudici;

   il tribunale di Tempio è sezione unica promiscua, ove i giudici devono occuparsi indifferentemente della materia civile, penale, di lavoro e di esecuzioni e con un carico di lavoro pro capite insostenibile la cui media è molto superiore alla media nazionale. Ciò nonostante, si esige dall'ufficio una programmazione di smaltimento dell'arretrato difficilmente applicabile ad un tribunale con così esigue risorse;

   il tribunale di Tempio è competente sul vasto territorio Gallurese e sulla Costa Smeralda, su cui grava un contenzioso dal punto di vista qualitativo che non ha eguali in Sardegna. Il peso specifico delle cause civili, di lavoro e di esecuzioni (stante la presenza sul territorio di numerose società di altissimo volume d'affari, della Meridiana e di numerose attività imprenditoriali e considerato il vasto mercato immobiliare che caratterizza le coste galluresi) richiede particolare impegno ai magistrati galluresi costretti a decidere centinaia di procedimenti di varia natura, a discapito della specializzazione e della celerità delle definizioni. Analogamente, i flussi migratori che interessano soprattutto le coste e l'insediamento di organizzazioni dedite a spaccio di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione, oltre ad una produzione abnorme di abusi edilizi, rendono particolarmente gravoso il carico di lavoro in materia penale, con intuibile rischio di prescrizione;

   nelle ispezioni ministeriali del 2001, del 2006 e del 2014 è emersa l'inadeguatezza della pianta organica in rapporto al carico di lavoro. Lo stesso Consiglio superiore della magistratura nella pratica n. 171/FT/2010 del 31 marzo 2010 ha preso atto del parere espresso dal consiglio giudiziario di Cagliari che ha sottolineato «come l'andamento ciclico che caratterizza la variazione delle pendenze è ricollegabile al ristretto organico dei giudici dell'ufficio ed alle conseguenze della parziale scopertura dello stesso sui diversi settori di attività». Ancor più grave se considerato alla luce della legge n. 89 del 2001, a cui il cittadino può ricorrere per ottenere risarcimento per l'irragionevole durata del processo;

   dalle statistiche civili e penali pubblicate sul sito del Ministero, si evince che il tribunale di Tempio è il terzo in Sardegna per sopravvenienze e ha un tasso di ricambio e indice di produttività pro-capite fra i più alti d'Italia. È evidente la sproporzione esistente fra la pianta organica del tribunale di Tempio e quella di altri uffici della Sardegna di pari dimensioni. Solo con il decreto ministeriale 1° dicembre 2016 la pianta del tribunale di Tempio è stata aumentata di una unità;

   è altresì evidente la sproporzione esistente fra la pianta organica del personale amministrativo del tribunale di Tempio e quella di altri uffici della Sardegna di pari dimensioni. A fronte di un organico del tribunale di Tempio di 41 unità l'organico del tribunale di Nuoro annovera 49 unità e l'organico del tribunale di Oristano annovera 54 unità;

   ad oggi sono in servizio regolare solo 5 magistrati, essendo gli altri appena trasferiti e non ancora sostituiti. Stessa cosa si verifica per la procura, dove attualmente è in servizio solo un pubblico ministero e manca il procuratore capo, essendo appena stato trasferito quello precedente –:

   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro, per quanto di competenza, al fine di ripristinare la corretta pianta organica del tribunale di Tempio sia per i magistrati che per i dipendenti amministrativi.
(4-17838)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante segnala la situazione di difficoltà in cui verserebbe, ormai da tempo, il tribunale di Tempio Pausania, in ragione delle scoperture di organico di magistrati e personale amministrativo, situazione tanto più gravosa tenuto conto della vastità del territorio di competenza e del carico di lavoro dell'Ufficio.
  Su tali premesse, chiede di sapere quali iniziative intenda assumere il Ministero della giustizia al fine di «ripristinare la corretta pianta organica del tribunale di Tempio sia per i magistrati che per i dipendenti amministrativi».
  Con specifico riguardo al personale di magistratura, occorre preliminarmente premettere che, proprio nel recepire l'esigenza più volte manifestata dai responsabili degli uffici e dal Consiglio superiore della magistratura all'esito della riforma delle circoscrizioni giudiziarie, realizzata con i decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012, il Ministero, con decreto ministeriale 1° dicembre 2016, ha provveduto alla rideterminazione delle piante organiche degli uffici giudicanti e requirenti di primo grado e, per il tribunale di Tempio Pausania, è stato previsto un ampliamento della relativa dotazione, portando il numero dei magistrati da 11 a 12.
  La scelta di implementare la pianta organica di una unità aggiuntiva a beneficio del suddetto ufficio è stata effettuata, come previsto dal citato decreto, sulla base di specifici parametri statistici, integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione nel circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio giustizia per i cittadini.
  Nella direzione auspicata dall'interrogante, mi preme evidenziare come l'intervento di revisione delle piante organiche del personale di magistratura non rappresenti una «cristallizzazione» definitiva delle scelte adottate, bensì un dinamico ripensamento dei modelli organizzativi e di funzionamento degli Uffici, da sottoporre a periodica verifica operativa nonché, ove necessario, ad opportuni interventi integrativi e correttivi.
  Occorre rammentare, poi, che l'intervento di razionalizzazione delle circoscrizioni giudiziarie, in attuazione della legge delega 14 settembre 2011 n. 148, non ha invero originato alcun incremento di competenza o di carichi di lavoro per gli uffici giudiziari, considerato che le sezioni distaccate costituivano articolazioni territoriali dell'ufficio circondariale e, dunque, l'accorpamento si è risolto nella trattazione in sede centrale dei procedimenti già in carico alle sedi periferiche, alle quali erano addetti, secondo le specifiche previsioni tabellari, i magistrati in servizio presso il medesimo ufficio.
  Tanto rappresentato in generale, si rileva che il tribunale di Tempio Pausania presenta, allo stato, una scopertura nel personale di magistratura pari al 33 per cento.
  Il ruolo di presidente è stato recentemente oggetto di copertura; sono, invece, vacanti 6 posti di giudice, 5 dei quali (3 nel settore civile e 2 nel penale) sono stati messi a bando con interpello pubblicato il 6 luglio 2017, concluso senza aspiranti.
  Per fronteggiare tali scoperture e così implementare l'efficienza dell'ufficio, il Consiglio superiore della magistratura, con delibera del 5 ottobre 2017, ha destinato al tribunale di Tempio Pausania 4 magistrati ordinari in tirocinio nominati con decreto ministeriale 3 febbraio 2017, che prenderanno servizio il prossimo 10 maggio 2018.
  In tal modo la residua carenza di organico risulterà pari a 2 unità, indice del tutto fisiologico nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
  Appare opportuno segnalare, altresì, come sia stata richiesta ed autorizzata per il tribunale di Tempio Pausania l'applicazione extradistrettuale di un magistrato, terminata lo scorso 28 novembre, e siano state disposte 19 applicazioni infradistrettuali.
  Va inoltre precisato che l'attività dei magistrati togati è supportata da 9 giudici onorari di tribunale.
  In relazione, invece, alla procura della Repubblica di Tempio Pausania, il cui organico è composto dal procuratore della Repubblica e da 4 sostituti procuratori, si registra, allo stato, una scopertura di organico pari al 25 per cento, essendo vacante il posto di procuratore della Repubblica, comunque pubblicato il 28 luglio 2017 e di imminente copertura, ed 1 posto di sostituto procuratore della Repubblica, destinato ai magistrati ordinari in tirocinio nominati con decreto ministeriale 3 febbraio 2017, che, come sopra detto, assumeranno le funzioni nel maggio prossimo, con conseguente integrale copertura dell'organico del predetto ufficio.
  Va sottolineato, anche in tale caso, come sia stata richiesta ed autorizzata, per l'ufficio di Procura, l'applicazione extradistrettuale di un magistrato fino al 21 febbraio 2018 e come l'attività dei magistrati togati sia supportata da 5 vice procuratori onorari.
  In linea generale mi preme comunque rassicurare l'interrogante che le politiche da lungo intraprese dal Ministero che rappresento, volte al tendenziale completamento delle coperture degli organici, si sono di recente tradotte nella pubblicazione di un nuovo bando di concorso per l'assunzione di 320 magistrati ordinari (decreto ministeriale 31 maggio 2017, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 67 del 5 settembre 2017), che si aggiunge alla precedente procedura per la selezione e il reclutamento di 360 magistrati ordinari (decreto ministeriale 19 ottobre 2016), ormai prossima alla definizione.
  Il complesso degli interventi consentiranno, nel medio periodo, un ulteriore rafforzamento degli uffici giudiziari, ivi compreso il tribunale di Tempio Pausania, in vista del tendenziale obiettivo di copertura integrale degli organici degli uffici di primo grado.
  Quanto alle dedotte carenze di personale amministrativo presso il tribunale di Tempio Pausania, tema anch'esso sollevato, va rilevato che, a fronte di un organico di 43 unità, ne sono presenti 37, con una percentuale di scopertura del 13,95 per cento, inferiore alla media nazionale che, allo stato, si attesta al 22,45 per cento.
  In particolare, risulta vacante la posizione di dirigente amministrativo, pubblicata con interpello del 27 febbraio 2017 ma definita senza aspiranti legittimati; così come risultano vacanti i profili di funzionario giudiziario (4 sui 7 posti previsti), assistente giudiziario (2 su 10) e di conducente di automezzi (1 su 2).
  Risultano, invece, interamente coperti i ruoli di direttore amministrativo, cancelliere, operatore giudiziario ed ausiliario; sono, inoltre, presenti 2 centralinisti telefonici non previsti in organico.
  Con specifico riguardo, poi, alla situazione del tribunale di Tempio Pausania, comparata a quella degli altri uffici sardi citati dall'interrogante, in particolare Nuoro e Oristano, deve rilevarsi come l'ufficio di Tempio Pausania presenti il miglior coefficiente in termini di rapporto tra l'organico totale del personale amministrativo e quello del personale di magistratura.
  Va inoltre considerato che l'efficienza degli uffici giudiziari può essere garantita facendo ricorso a diversi istituti, di natura transitoria, tesi a potenziare gli organici dei profili maggiormente in sofferenza, tra i quali il comando di personale da altre amministrazioni e le applicazioni temporanee in ambito distrettuale.
  In relazione a tale istituto, giova ricordare che, ai sensi dell'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale sottoscritto con le organizzazioni sindacali il 27 marzo 2007, le applicazioni endodistrettuali rientrano nella competenza degli organi di vertice distrettuali, i quali possono disporle tenuto conto delle effettive esigenze degli uffici.
  Mi preme rilevare, più in generale, come, sin dall'inizio del mio mandato, ho riservato un'attenzione prioritaria al tema delle politiche del personale amministrativo.
  Nella prospettiva di sostenere l'efficienza degli uffici giudiziari, è stato avviato infatti avviato un piano straordinario di reclutamento, dopo oltre venti anni di stagnazione: a partire dal 2014, sono state definite oltre 1800 assunzioni, di cui circa 1200 attraverso le procedure di mobilità, sia volontaria che obbligatoria.
  Ulteriori risorse, per un numero complessivo pari a 1600 unità, sono in arrivo già nelle prossime settimane: 200 funzionari giudiziari assunti con scorrimento della graduatoria di cui al decreto interministeriale 21 aprile 2017, destinati agli uffici delle corti d'appello e della Corte di Cassazione, e 1.400 assistenti giudiziari, 800 vincitori e 600 idonei del concorso bandito il 22 novembre 2016 e definito in tempi record con graduatoria approvata il 14 novembre scorso; proprio in questi giorni i vincitori saranno chiamati a scegliere la sede, quindi si procederà ad un primo scorrimento della graduatoria per i 600 idonei.
  Il Ministero, anche per venire incontro alle esigenze del territorio di Tempio Pausania, ha reso disponibili gli unici due posti da assistente giudiziario attualmente vacanti, che saranno quindi a breve ricoperti dai nuovi assunti, azzerando in tal modo la scopertura di organico del profilo. Si ricorda, peraltro, come l'assistente giudiziario sia figura fondamentale negli uffici, specie per l'assistenza, anche in udienza, ai magistrati.
  Giova altresì rilevare che il Ministero della giustizia, ai sensi dell'articolo 1, comma 372, della legge n. 232 del 2016, è stato autorizzato ad assumere, nel triennio 2017-2019, un ulteriore contingente di 1000 unità di personale amministrativo non dirigenziale, mediante procedure concorsuali pubbliche ed eventualmente attraverso l'utilizzo di graduatorie in corso di validità.
  Infine, il disegno di legge di bilancio 2018, approvato al Senato e in corso di discussione alla Camera in questi giorni, prevede una disposizione finalizzata ad estendere, per il triennio 2018-2020, l'autorizzazione all'assunzione, già prevista ai sensi del citato decreto-legge n. 117 del 2016, di personale amministrativo non dirigenziale, da inquadrare nel ruolo dell'amministrazione giudiziaria per ulteriori 1400 unità, attingendo, per la relativa copertura, al fondo per l'efficienza della giustizia di cui all'articolo 1, comma 96, della legge n. 190 del 2014.
  Nell'ambito di tali ulteriori risorse potranno essere valutate le residue necessità degli uffici giudiziaria di Tempio Pausania.
  Il complesso delle iniziative avviate, in uno alle misure in corso di approvazione, dimostrano l'attenzione riservata dal Ministero della giustizia al tema del personale amministrativo e giudiziario ed aprono nuove prospettive per un effettivo recupero di efficienza in capo agli uffici giudiziari.
  

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   LACQUANITI, MARTELLI, CARRA, ZANIN, FRANCO BORDO e PIRAS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   in Italia sono attualmente presenti oltre 70.000 apicoltori con 1,3 milioni di alveari, per un fatturato complessivo superiore ai 60 milioni di euro;

   secondo alcuni studi di settore e i dati forniti dalle associazioni di categoria l'84 per cento delle specie di piante e il 76 per cento della produzione alimentare in Europa dipende dall'impollinazione delle api;

   nel 2012 è apparsa per la prima volta in Italia, a Loano in Liguria, la vespa velutina, o calabrone asiatico, pericoloso insetto alieno di origine cinese predatore di api e altri impollinatori, che dopo la penetrazione in Liguria di ponente e Piemonte meridionale e centrale (in provincia di Cuneo e Torino) si sta spingendo sempre più verso il Veneto (in provincia di Rovigo), la Lombardia e l'Emilia;

   comparsa in Europa per la prima volta nel 2004 in Francia, la vespa velutina è stata responsabile, secondo i dati forniti dalla Francia stessa, della perdita di alveari pari al 50 per cento con un avanzamento potenziale di 100 chilometri all'anno. Oltre a cacciare direttamente le api all'ingresso dell'arnia il calabrone impedisce loro di uscire per raccogliere nettare e polline, indebolendo in questo modo anche le colonie che rischiano di morire;

   forte è l'allarme nel mondo dell'agricoltura per la presenza di questo insetto che sta causando gravi danni economici agli apicoltori italiani essendo in grado di ridurre fino al 75 per cento la produzione degli alveari;

   a inizio di maggio un esemplare adulto di calabrone asiatico è stato intrappolato in una centralina nel mantovano, all'interno del centro abitato di Borgofranco sul Po (MN), sulla riva destra del fiume. Il ritrovamento è stato confermato dall'Associazione apicoltori di Mantova e realizzato da Lover, la neonata rete di monitoraggio di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Segno che il nido di velutina trovato nel 2016 nel sud del Veneto è riuscito a gemmare nuove colonie –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga, anche alla luce di quanto descritto, di assumere le iniziative di competenza volte ad arginare il fenomeno che sta causando così tanti danni economici agli apicoltori italiani, a sostenere gli apicoltori colpiti dall'invasione di questo parassita, ad approntare una rete di monitoraggio scientifica efficiente, in grado di valutare la capacità di penetrazione e diffusione del parassita nel territorio, e a delineare, insieme con gli apicoltori, le associazioni, i rappresentati d enti competenti e delle regioni, una strategia per tentare di eradicare o quantomeno contenere i focolai della vespa velutina.
(4-18176)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame rilevo preliminarmente che questo Ministero, nell'ambito delle proprie competenze, si è già adoperato in ambito nazionale e comunitario per fronteggiare l'emergenza segnalata.
  Infatti, per quanto concerne l'attivazione di una rete di monitoraggio che valuti la diffusione del parassita «vespa velutina» sul territorio nazionale, con decreto del 18 novembre 2014, questo Ministero, in ragione dell'emergenza fitosanitaria, ha avviato il progetto denominato VESPA VELUTINA LEP «messa a punto di sistemi di contenimento del calabrone asiatico Vespa Velutina Lep».
  In tale progetto sono coinvolti, tra gli altri: il CREA-Unità di ricerca per l'apicoltura e la bachicoltura di Bologna (CREA-API), le associazioni apistiche delle regioni Liguria, Piemonte, Lombardia e Toscana, il politecnico di Torino, il dipartimento di scienze agrarie forestali e alimentari dell'università degli studi di Torino.
  L'attività di ricerca e sperimentazione si è sviluppata su 4 direttrici preordinate al monitoraggio della vespa velutina in Italia (in collaborazione con la rete
BeeNet), alla messa a punto di un sistema radar per il rinvenimento di nidi di vespa velutina, all'identificazione di feromoni specifici utili alla cattura e, infine, alla messa a punto di protocolli per la distruzione dei nidi.
  Parallelamente, con decreto ministeriale n. 7813 del 17 luglio 2014, abbiamo modificato il decreto ministeriale 23 gennaio 2006, recante applicazione della normativa UE allora vigente sul miglioramento della produzione e commercializzazione dei prodotti apistici, per consentire il finanziamento delle azioni di contenimento dei predatori dell'alveare.
  Nel contempo abbiamo ottenuto dalla Commissione europea il via libera alla modifica del programma apistico 2013/2014, inserendo una nuova linea di ricerca specifica per la lotta alla vespa velutina.
  Segnalo, inoltre, che tra le misure previste dalla normativa europea e nazionale sul miglioramento della produzione e commercializzazione dei prodotti apistici, vi è quella relativa al sostegno del ripopolamento del patrimonio apistico, utilizzabile anche per arginare i danni prodotti dalla vespa asiatica.
  Il Ministero, infine, intende rifinanziare il progetto Beenet – già finanziato nell'ambito della rete rurale nazionale 2007-2013 – come prosecuzione del progetto Apenet, i cui risultati avevano portato ad una sospensione nell'utilizzo di concianti a base di neonicotinoidi.
  Nell'ambito della rete rurale 2014-2020, l'attività Beenet è ricompresa nei temi affidati al CREA sulla base dell'accordo di collaborazione con il Ministero siglato il 22 ottobre 2015.
  Il progetto Beenet prevede il monitoraggio dello stato di salute e benessere delle api tramite la verifica su una rete di alveari articolata in moduli di rilevamento localizzati in siti geografici rappresentativi dei vari contesti agronomici e ambientali del territorio, in modo da rappresentare diverse tipologie di territorio.
  Ciò al fine di ottenere indicazioni sia di carattere generale che specifico sullo stato delle api, sull'efficacia delle misure agroambientali e sull'impatto di fitofarmaci nelle aree rurali.
  Rassicuro l'interrogante che, in relazione alle vicende segnalate, ci adopereremo per porre in atto, per quanto di competenza, ogni azione necessaria per risolvere il problema in esame.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali: Maurizio Martina.


   MARCON. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in seguito alla recente pubblicazione da parte del Ministero della giustizia di alcuni dati relativi alla situazione di servizi incaricati della gestione delle misure alternative e dei lavori di pubblica utilità e delle messe alla prova, si ravvisa con grande evidenza e altrettante preoccupazione il rischio concreto di un fallimento operativo degli uffici di esecuzione penale esterna. Alla rilevazione dei dati del Ministero al 1o giugno 2016 infatti, un migliaio o poco più di assistenti sociali gestiscono sull'intero territorio nazionale la cifra record di 34.173 persone in esecuzione penale esterna e 19.007 attinenti la messa alla prova; osservazioni della personalità 14.814; indagini socio-familiari 6339;

   tutto il sistema dell'esecuzione penale esterna, a partire dai costi di gestione delle risorse umane, del mantenimento degli utenti, che gravano residualmente sul bilancio dello stato e della collettività (a differenza invece di quanto avviene in caso di detenzione in carcere), fino a quanto riguarda la gestione delle strutture, spesso demaniali, ha un costo notevolmente inferiore al sistema dell'esecuzione della condanna intramuraria (carcere);

   l'ufficio di esecuzione penale esterna è una struttura operativa che è stata ampiamente riconosciuta, anche sulla base di percentuali di efficacia in termini di prevenzione della recidiva, come la più ovvia ed efficace via d'uscita dall'emergenza del sovraffollamento delle carceri, anche in considerazione del fatto che, alla luce della situazione esplosiva del suo sistema carcerario, l'Italia è costantemente soggetta a sanzioni economiche imposte dagli organismi europei;

   il solo provveditorato del Triveneto nell'anno 2015, con i suoi 7 uffici di esecuzione penale esterna ha avuto complessivamente in carico circa 7.500 soggetti, tra misure alternative e sanzioni non detentive, quantità che rappresenta circa 1/6 della popolazione di competenza dell'area penale esterna a livello nazionale. A questi numeri si aggiunge il carico di lavoro derivante da più di 9.000 incarichi di collaborazione con gli Istituti di pena, per soggetti detenuti, e con i tribunali di sorveglianza e ordinari per soggetti in libertà;

   dichiarazioni pubbliche rilasciate dallo stesso Ministro della giustizia Orlando nel 2016 alla conclusione degli Stati generali dell'esecuzione penale, comprovano una sua chiara consapevolezza della situazione degli uffici di esecuzione penale esterna: «... credo che dovremmo potenziare (è un impegno che assumo concretamente) gli uffici dell'esecuzione penale esterna. Penso che il prossimo anno dovremo trovare le risorse, almeno 10 milioni di euro da investire sull'esecuzione penale ma, intanto, vorrei ringraziare gli uffici Uepe, perché hanno fatto fin qui, tanto per citare le parole di Rita Bernardini, le nozze con i fichi secchi, perché, a fronte di un aumento significativo delle competenze e anche di nuovi istituti di esecuzione penale esterna, si sono trovati a risorse invariate e a personale decrescente». Tuttavia la suddivisione del Fondo unico per la giustizia del 2016 ha assegnato l'irrisoria cifra di 500 mila euro a questo comparto, che seguita a svolgere il suo lavori fondamentale condizioni sempre più improbe;

   il 27 maggio 2016 i lavoratori degli uffici di esecuzione penale esterna del Veneto e del Friuli Venezia Giulia hanno manifestato pubblicamente di fronte alla cittadella della giustizia a Venezia per denunciare le condizioni di insostenibilità della situazione attuale, nonché il grave rischio di implosione dell'intero sistema, che rappresenterebbe un gravissimo fallimento da parte dell'Istituzione in indirizzo e dello Stato –:

   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per garantire il mantenimento della mission istituzionale del sistema, degli uffici di esecuzione penale esterna, totalmente altro dal «sistema carcere» gestito da personale professionalizzato appartenente al comparto Ministeri, potenziandone le capacità e, in particolare, quale ruolo si intenda attribuire al personale di polizia penitenziaria, appartenente al comparto sicurezza, qualora immesso in tali servizi;

   se il Ministro interrogato non ravvisi l'opportunità di indire urgentemente un bando di concorso per l'assunzione a tempo indeterminato di funzionari di servizio sociale, considerata la mole degli interventi, la peculiarità del servizio finalizzato alla costruzione di sicurezza sociale e l'età media elevata del personale ora in servizio.
(4-13648)

  Risposta. – Con l'atto di sindacato ispettivo in discussione l'interrogante, dopo aver riconosciuto e valutato con favore l'impegno di questi anni e gli sforzi compiuti per portare il sistema esecutivo penale italiano ai livelli dei più evoluti modelli europei, richiama i risultati raggiunti attraverso riforme che hanno consentito di stabilire finalmente anche in Italia un rapporto equilibrato tra l'esecuzione della pena in carcere e quella alternativa alla detenzione.
  Gli ottimi risultati conseguiti si sono inevitabilmente tradotti in un aumento esponenziale del numero di condannati sottoposti a misure alternative, con conseguente necessità di affrontare il tema dell'adeguatezza, per sopportare i nuovi ed accresciuti carichi di lavoro, delle strutture e degli organici dell'amministrazione della giustizia nel settore dell'esecuzione penale esterna.
  Richiede, dunque, l'interrogante quali interventi siano previsti per adeguare gli organici alle nuove esigenze, con particolare riferimento alla situazione degli uffici per l'esecuzione penale esterna del Triveneto presso i quali, in effetti, si riscontra un elevato rapporto tra carichi di lavoro e numero di addetti.
  L'organica e strutturale revisione dell'esecuzione della pena ha, in generale, rappresentato e continua a rappresentare uno dei prioritari obiettivi dell'impegno di questi anni. In particolare, a partire dalle riflessioni sulla crisi del tradizionale sistema di repressione penale, si è inteso costruire un modello di esecuzione fondato su misure alternative che siano limitative — ma non privative — della libertà personale e che si svolgano sul territorio, riconoscendo come
extrema ratio la detenzione intramuraria.
  Per favorire questo percorso, sono stati organizzati gli «Stati Generali dell'esecuzione penale», iniziativa aperta a forme diverse e innovative di consultazione pubblica, con la partecipazione di circa duecento tra esperti, rappresentanti di associazioni, operatori del settore, e che ha costituito preziosa base di elaborazione per gli interventi necessari a definire, sia sul piano organizzativo che su quello normativo, il profondo cambiamento del sistema esecutivo penale, del quale è largamente condivisa la necessità.
  Proprio prendendo spunto dall'esperienza maturata in sede di Stati generali anche nel settore dell'esecuzione penale esterna, sono stati adottati interventi di carattere legislativo, amministrativo ed organizzativo.
  Con la riforma dell'organizzazione del Ministero della giustizia, in primo luogo, è stato istituito il dipartimento per la giustizia minorile e di comunità cui sono stati demandati, tra l'altro, la direzione e di coordinamento degli uffici per l'esecuzione penale esterna che operano sul territorio, al fine di realizzare un sistema orientato a considerare la centralità della persona nei programmi trattamentali, anche attraverso il coinvolgimento della società civile.
  La modifica strutturale si pone in linea con la strategia adottata in materia di esecuzione della pena, che persegue l'obiettivo del superamento della tradizionale prospettiva, diretta quasi esclusivamente al mero rafforzamento degli strumenti sanzionatori, a favore della direttrice tracciata dalle raccomandazioni del Consiglio d'Europa in tema di sanzioni di comunità, con conseguente previsione di pene che non contemplano solo la segregazione del condannato dal consorzio civile, ma hanno l'obiettivo di recuperare la relazione tra l'autore del reato e il contesto sociale, attraverso la risocializzazione ed il reinserimento nel territorio.
  La creazione di un dipartimento ministeriale dedicato risponde, tra l'altro, all'esigenza di definire una struttura organizzativa che abbia come mandato specifico, oltre al miglioramento della giustizia minorile quale imprescindibile patrimonio di specializzazione ed esperienza, anche la valorizzazione dell'esecuzione di tutte le misure alternative e le sanzioni sostitutive della detenzione.
  L'introduzione anche per gli adulti dell'istituto della messa alla prova, poi, ha rappresentato uno degli strumenti legislativi tendenti all'ampliamento delle forme non carcerarie di esecuzione penale che, nel tempo, hanno evidenziato una tendenza costante di crescita: le sanzioni di comunità sono, infatti, passate da 31.865 nel 2014 al numero di 46.270 al 31 ottobre 2017.
  Nel Triveneto, in particolare, gli uffici di esecuzione penale esterna avevano in carico 3.252 persone, alla data del 31 ottobre 2017, confermandosi la tendenza del territorio quale una delle aree connotate dal più alto numero di procedimenti in carico a ciascun addetto.
  Tali dati statistici rappresentano, dunque, un elemento fondamentale nel senso dell'affermazione di un indispensabile rafforzamento delle strutture deputate all'esecuzione penale esterna.
  Il processo di rafforzamento del dipartimento appare, poi, tanto più essenziale in vista dell'attuazione della legge delega n. 103 del 2017 che intende, tra l'altro, ancor più valorizzare il sistema delle misure alternative alla detenzione.
  Come ha riferito il dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, allo scopo di rinforzare l'intero sistema, sono stati previsti nel bilancio programmatico per il triennio 2017-2019 del Ministero, rispettivamente 4, 7 e 11 milioni di euro, che per l'esercizio finanziario corrente sono stati tutti assegnati agli uffici di esecuzione penale esterna, per la stipula di convenzioni con esperti di servizio sociale e psicologi, in modo tale da offrire un adeguato supporto proprio a quelle realtà territoriali che risultano essere più sofferenti per carenza di organico.
  Nell'ambito di tale disponibilità, agli uffici per l'esecuzione penale esterna del Triveneto — che evidenziano criticità comuni ad altre strutture aventi un gravoso indice tra casi trattati e personale addetto — sono stati, in particolare, assegnati per l'anno 2017 complessivi euro 302.000,00 e tali fondi sono stati impiegati per la stipula di 17 specifiche convenzioni con esperti del settore, la cui opera contribuirà ad alleviare lo stato attuale dei carichi di lavoro.
  Delle convenzioni stipulate con gli esperti del servizio sociale beneficeranno gli uffici secondo la seguente distribuzione: per Venezia due addetti, a Verona due esperti, due a Trieste, uno a Bolzano, due a Padova, quattro a Trento e quattro per la sede di Udine.
  Per il prossimo esercizio finanziario, inoltre, è previsto lo stanziamento di ulteriori fondi, per un importo pari a euro 335.000,00 per la stipula di ulteriori convenzioni.
  Il Ministero della giustizia è stato, inoltre, autorizzato ad avviare le procedure concorsuali, anche mediante scorrimento di graduatorie in corso di validità, per l'assunzione di 57 unità di personale e, comunque, nell'ambito dell'attuale dotazione organica del dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. L'articolazione ministeriale predetta ha riferito, al riguardo, di aver avviato un'interlocuzione con l'INAIL per l'utilizzo della graduatoria di assistenti sociali di un concorso pubblico bandito nel 2009.
  Attraverso tale procedura saranno assunti nuove figure professionali ed è previsto che otto funzionari del servizio sociale siano assegnati proprio agli uffici del Triveneto: due a Venezia, uno a Padova, due a Trento, due a Trieste ed uno a Udine.
  Si tratta di un primo passo verso l'essenziale copertura integrale degli organici e, a tal fine, nell'ambito dell'istruttoria del disegno di legge di bilancio in corso, il Ministero della giustizia ha proposto l'ampliamento a 300 delle assunzioni autorizzate, con un sensibile aumento degli stanziamenti di bilancio, indispensabile per la piena realizzazione degli obiettivi di riforma.
  Lo sblocco delle assunzioni permetterà, dunque, di migliorare la situazione soprattutto per quegli uffici, tra i quali quelli del nordest, che hanno un elevato carico di lavoro in rapporto al numero di unità di personale presente.
  La centralità del ruolo degli operatori, il progressivo incremento delle misure di comunità e la valutazione dell'impatto della recente riforma rappresentano, allora, tutti indici chiari dell'esigenza di un generale rafforzamento delle strutture che deve realizzarsi almeno con l'incremento degli organici attualmente previsti.
  Al di là di interventi volti alla soluzione di situazioni critiche locali, auspichiamo che le proposte articolate trovino riscontro nell'ambito della discussione parlamentare, intercettando tra tutte le forze presenti in Parlamento una larga condivisione sulla necessità di potenziare l'esecuzione penale esterna che solo grazie ad un adeguato e ambizioso piano di investimenti potrà dispiegare la sua funzione, essenziale per la piena realizzazione di un sistema penale finalmente conforme ai principi costituzionali e convenzionali.
  

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   MARCON. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 18 ottobre 2017 è stato ritrovato in Argentina il cadavere di Santiago Maldonado, un giovane ventinovenne che risultava scomparso dal 1° agosto 2017 e la cui sparizione ha fatto rievocare nel Paese la storia dei desaparecidos;

   i fatti che hanno portato a quella che l'opinione pubblica argentina e internazionale hanno definito una desaparición – definizione peraltro ribadita anche dal Comitato contro le sparizioni forzate dell'Onu – sono ormai di pubblico dominio;

   la protesta della comunità mapuche del territorio di Pu Lof en resistencia di Cushamen di quei giorni d'estate è avvenuta su terre di proprietà della «Compañia de Tierras Sud Argentino Sa» facente parte del gruppo Benetton;

   su quelle terre le popolazioni mapuche avanzano delle rivendicazioni, in quanto abitanti originari dei territori, come riconosciuto da parte di più di venti trattati firmati dai Governi di Spagna, Argentina e Cile. Le proteste che negli ultimi anni hanno avuto come teatro queste zone si ineriscono in questa contesa; così come vi si inseriscono gli avvenimenti del 1° agosto che hanno portato prima alla scomparsa e poi al ritrovamento del cadavere di Santiago Maldonado;

   sembra impossibile che a distanza di più di un trentennio dalla fine della dittatura argentina, protagonista di tante sparizioni forzate e uccisioni, tanto da aver reso necessaria la previsione di uno specifico reato nel codice penale del Paese (articolo 142-ter) e da aver internazionalizzato l'uso del termine desaparecido e di tutte le sue declinazioni, si debba ancora assistere a sparizioni e morti sospette a seguito di interventi della forza pubblica;

   ancora peggio che in una vicenda di questo tipo possa esserci anche solo il sospetto di un qualsivoglia coinvolgimento di una azienda italiana, tirata in causa dai media e a cui la Cild, Coalizione italiana libertà e diritti civili, ha inviato una missiva per chiedere che il gruppo Benetton prenda pubblicamente posizione riguardo alla richiesta di verità e giustizia per la sorte di Santiago Maldonado facendo pressione sulle autorità argentine affinché facciano piena luce e chiarezza su questa questione;

   in Argentina è in corso un conflitto che vede protagonista, suo malgrado, la popolazione indigena dei mapuche, che rivendica la proprietà di terre ora formalmente di proprietà della «Compañia de Tierras Sud Argentino Sa» –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere affinché, con il coinvolgimento del gruppo Benetton, si contribuisca ad accertare la verità e le responsabilità della morte in Argentina di Santiago Maldonado e a risolvere la questione della popolazione indigena dei mapuche.
(4-18391)

  Risposta. — Ha suscitato grande emozione nell'opinione pubblica argentina ed internazionale la vicenda di Santiago Maldonado, ventinovenne originario della provincia di Buenos Aires scomparso l'1 agosto 2017 nel corso delle operazioni di sgombero da parte della gendarmeria argentina di una protesta in favore delle rivendicazioni del popolo Mapuche, nella provincia patagonica del Chubut, il cui cadavere è stato ritrovato solo il successivo 17 ottobre nel Rio Chubut.
  Il caso, di grande risonanza mediatica, è stato uno dei temi del dibattito politico nella campagna per le elezioni legislative di medio-termine argentine, che hanno avuto luogo il 22 ottobre. Lo stesso è stato inoltre sottoposto all'attenzione della Commissione interamericana per i diritti umani (CIDU), nonché del Comitato delle Nazioni unite sulle sparizioni forzate, nell'ambito di una vasta campagna di sensibilizzazione promossa dalle organizzazioni dei diritti umani.
  La perizia sul cadavere del giovane è stata effettuata in diversi momenti alla presenza di più di 50 periti ed esperti, in rappresentanza di tutte le parti in causa e in conformità con i protocolli internazionali. Questa ha rivelato che il giovane è morto per asfissia da annegamento (non ravvisandosi percosse o lesioni all'origine del decesso) e che il corpo è rimasto in acqua per più di 70 giorni. L'idea che sembra affermarsi nelle valutazioni degli investigatori è che Maldonado sia quindi morto per annegamento in circostanze che la magistratura argentina provvederà ad accertare.
  Il caso resta dunque nelle mani della giustizia e coinvolge attivamente le diverse parti interessate con l'obiettivo di chiarire tutte le circostanze in cui sarebbe avvenuto l'annegamento del giovane ed eventuali responsabilità che avrebbero concorso a determinare lo stesso, al momento escluse. Il giudice Lleral, che coordina le indagini, ha incontrato varie volte i rappresentanti della comunità Mapuche e i familiari del giovane, sempre agendo con grande cautela.
  Come noto, la sparizione ed il decesso di Santiago Maldonado sono avvenute a Cushamen, nella provincia patagonica del Chubut, in terre amministrate dalla Compañia de Tierras del Sur Argentino S.A., controllata dalla azienda Benetton che le ha acquistate nel 1991. Dei 230 lavoratori della compagnia, il 60 per cento sono di etnia Mapuche. Nel corso del tempo alcune famiglie appartenenti a questa comunità hanno occupato circa 9.300 ettari di terreno di proprietà della Benetton, creando anche la comunità Pu Lof di Cushamen. Più volte si è cercato, tramite i meccanismi previsti dall'ordinamento argentino ed i canali istituzionali, di trovare una soluzione di compromesso tra il diritto di proprietà della Benetton e le legittime rivendicazioni della comunità Mapuche. Nel 2004 è fallita una proposta di mediazione, promossa dall'ambasciata argentina a Roma, di donazione di 7.500 ettari di terreno ai Mapuche da parte del gruppo Benetton.
  Dal 2005 si è, in particolare, intensificata la protesta di gruppi più radicali, aventi collegamenti con organizzazioni attive in Cile, ove risiede l'80 per cento dei quasi 1,8 milioni stimati di etnia Mapuche della regione. Una delle organizzazioni più attive nelle proteste è la RAM,
Resistencia Ancestral Mapuche, che contempla azioni violente per il recupero delle terre delle comunità. In questo contesto, alla fine del mese di ottobre, un gruppo di persone che partecipava ad una manifestazione di solidarietà per Santiago Maldonado, dinanzi all'ambasciata argentina in Cile, ha scagliato pietre ed oggetti incendiari nel giardino antistante l'edificio, infrangendo alcune finestre e provocando altri danni.
  L'evento si inserisce nelle rivendicazioni da parte delle numerose comunità indigene presenti nel vasto territorio argentino alla proprietà e al possesso delle loro terre ancestrali, diritto riconosciuto ai sensi dell'articolo 75 della Costituzione nazionale, come modificata nel 1994. Si tratta di una questione che si trascina da diversi anni, in merito alla quale il Governo argentino ha assunto l'impegno di procedere, nel più breve tempo possibile, ai rilievi necessari per determinare la proprietà di tali terre. Di recente, poi, il Parlamento ha rinnovato all'unanimità, per altri quattro anni fino al 2021, una legge del 2006 che consente alle comunità indigene di restare nelle aree occupate, in attesa della definizione dei loro reclami circa le terre agli stessi spettanti.
  Il Governo italiano attribuisce la massima importanza alla tutela e alla promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che costituiscono una priorità della nostra politica estera. Sosteniamo con particolare determinazione la libertà di espressione e di riunione e conduciamo un'azione costante per la salvaguardia e la tutela dei difensori dei diritti umani e delle loro attività. In linea con il nostro impegno, seguiamo con grande attenzione la vicenda Maldonado sin dal suo inizio. L'ambasciata d'Italia a Buenos Aires ha riferito puntualmente sugli sviluppi della vicenda, in stretto coordinamento con i colleghi UE ed in contatto con le organizzazioni di difensori dei diritti umani. Nell'ambito di un esercizio coordinato anche con altre ambasciate europee ed internazionali, sono stati ricevuti i rappresentanti del CELS (Centro studi legali e sociali), organizzazione di fama internazionale che presta assistenza e consulenza giuridica nei processi riguardanti i diritti umani. Quest'ultima è intervenuta nel delicato caso in questione, d'intesa con la famiglia del giovane, presentando la mozione di ricusazione del precedente giudice della causa, Guido Otranto. Gli avvocati dell'organizzazione hanno inoltre fatto stato della loro soddisfazione per l'operato del giudice Lleral, nominato in sostituzione del precedente, il quale ha mantenuto un atteggiamento molto più proattivo nelle indagini, venendo per questo apprezzato dalla famiglia Maldonado e dalla comunità Mapuche. Si sono poi svolte riunioni con gli esponenti di
Amnesty international Argentina, che hanno fornito un quadro aggiornato delle azioni di sensibilizzazione condotte dall'organizzazione sulla vicenda, oltre che in favore dei diritti delle comunità indigene.
  Il Ministro Alfano ha inoltre sollevato il tema della sparizione di Santiago Maldonado con l'omologo argentino Jorge Faurie, nell'incontro bilaterale a margine della UNGA lo scorso settembre.
  Il Governo italiano continuerà a seguire con estrema attenzione gli sviluppi del caso, nel pieno rispetto dell'azione della magistratura argentina e della sua indipendenza, nell'auspicio che venga fatta piena luce sulla tragica vicenda di Santiago Maldonado.
  Analogamente, il Governo nutre l'auspicio che possa anche trovare soluzione la questione relativa alle rivendicazioni delle comunità indigene sulle loro terre ancestrali, nell'alveo della cornice costituzionale dell'Argentina, coerentemente con i rimedi predisposti dal diritto interno di tale Stato, in maniera pacifica e secondo un meccanismo di dialogo e concertazione tra le parti.
  

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Mario Giro.


   MURER. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 3 agosto 2017 è entrata in vigore la legge n. 103 del 23 giugno 2017 recante modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario;

   la normativa, tra le altre cose, prevede l'introduzione nel codice penale dell'articolo 162-ter, con l'estinzione del reato per condotta riparatoria in alcune circostanze;

   la nuova norma prevede che «nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l'imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato»;

   la norma prevede anche che «il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall'imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo»;

   le circostanze di cui sopra riguarderebbero anche alcune fattispecie legate al reato di stalking, quelle cioè definite di «molestie», senza le circostanze aggravanti;

   per i casi di stalking con reiterate minacce, la querela è irrevocabile e quindi non si applica quanto disposto dal nuovo articolo 162-ter del codice penale;

   per forme definite meno gravi di stalking, rubricate come molestie, la querela è revocabile e quindi si applicherebbe quanto disposto con la legge n. 103 del 2017;

   secondo alcuni studi, circa il 60-70 per cento dei reati di stalking consiste in molestie, mentre i casi di minacce, cioè quelli giudicati più gravi secondo la legge, corrispondono solo al 30 per cento delle denunce, di cui solo il 15 per cento è «grave»;

   la cronaca dimostra, tuttavia, con frequenza, che lo stalking, anche nelle forme che appaiono meno gravi, è spesso preparatorio di atti più pesanti: tragici epiloghi che si formano dopo anni di persecuzioni, maltrattamenti, violenze che vanno colpite con decisione e nettezza;

   lo stalking, in tutte le sue forme, non può quindi in alcun modo essere oggetto di forme di attenuazione nella disciplina penale; ne va del sostegno alle donne che, con coraggio, decidono di intraprendere percorsi di tutela, e che non possono vedere monetizzata una condotta che mette a rischio sicurezza personale e dignità;

   appare dunque davvero inammissibile che per un reato diffuso come lo stalking, ancorché senza le aggravanti, il giudice possa dichiarare estinto un reato in seguito ad un risarcimento, ovvero addirittura attraverso un'offerta di denaro proposta dall'imputato e considerata congrua dallo stesso giudice, anche senza il consenso della vittima;

   associazioni e sindacati hanno, in queste settimane, chiesto con forza che il nuovo articolo 162-ter introdotto nel codice penale, venisse modificato sanando questa grave lacuna;

   già durante il dibattito in Parlamento, nel corso dell’iter di approvazione del provvedimento, furono sollevate obiezioni a cui però arrivarono risposte rassicuranti dal Governo, che le definì non fondate;

   la convenzione di Istanbul stabilisce, all'articolo 48, il divieto di metodi alternativi di risoluzione dei conflitti o di misure alternative alle pene obbligatorie per reati connessi alla violenza di genere;

   la stessa Convenzione prevede, all'articolo 45, che «i reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione siano puniti con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive» –:

   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per evitare che il reato di stalking, nelle sue forme più lievi, venga a ricadere nella menzionata nuova disciplina con l'estinzione del reato medesimo, così come apparirebbe dalla lettura della legge n. 103 del 23 giugno 2017, in vigore dal 3 agosto 2017.
(4-17785)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, nel richiamare l'articolo 162-ter codice penale, recentemente introdotto dalla legge n. 103 del 2017, relativo all'estinzione del reato per condotte riparatorie «nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione», chiede al Ministro della giustizia quali iniziative intenda assumere per «evitare che lo stalking, seppur nelle forme meno gravi, sia assoggettabile all'istituto previsto dall'articolo 162-ter del codice penale».
  Prima ancora di entrare nel merito della questione posta, mi preme innanzitutto ribadire, anche in questa occasione, come il tema del contrasto alla violenza di genere occupi da sempre un ruolo prioritario nell'agenda governativa e nelle politiche del mio dicastero.
  Per tale ragione in tempi recenti si è intervenuti sull'articolo 612-
bis codice penale adeguando i limiti di pena alla gravità del fatto e rendendo applicabili ai responsabili, ove ne ricorrano le condizioni, anche le più gravi misure cautelari personali.
  Nella prospettiva di affinare ulteriormente il sistema, sono state introdotte misure di prevenzione, quale l'ammonimento, finalizzate all'anticipazione della tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica e, nella medesima direzione, la recente riforma del codice antimafia ha esteso ai soggetti indiziati del delitto di atti persecutori le misure di prevenzione personali più incisive, così contribuendo a rafforzare la tutela delle vittime prima — e oltre — l'accertamento penale.
  Sul versante processuale, sono state introdotte misure cautelari calibrate sulla specificità del fenomeno da contrastare ed è stata altresì prevista l'esclusione del reato di atti persecutori dal novero di quelli in relazione ai quali è possibile applicare l'istituto del proscioglimento per particolare tenuità del fatto.
  È stato delineato, inoltre, un vero e proprio Statuto delle persone vulnerabili apprestando un adeguato apparato difensivo delle vittime, che contempla, tra l'altro, diversi obblighi di informazione in tutte le fasi procedimentali; in particolare, è stata resa obbligatoria l'informazione alla persona offesa della possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato ed è stata altresì prevista l'immediata comunicazione alla stessa dei provvedimenti cautelari e delle relative richieste di revoca o modifica.
  Il livello avanzato raggiunto dal complessivo sistema di tutela penale, sostanziale e processuale, come sopra riassunto, assicura una adeguata risposta al fenomeno in linea con gli standard europei.
  Ciò premesso, con specifico riguardo al tema posto dall'interrogante, mi preme rilevare come le perplessità da più parti sollevate all'indomani dell'entrata in vigore dell'art. 162-
ter introdotto invero per evidenti finalità deflattive ed in un'ottica di riduzione dei tempi di durata del processo, siano state adeguatamente prese in considerazione dal Governo.
  Il decreto-legge fiscale collegato alla manovra di bilancio 2018, approvato in via definitiva alla Camera il 30 novembre 2017, recependo un emendamento di iniziativa governativa ed intervenendo sull'articolo 162-
ter codice penale ha infatti escluso espressamente il delitto di atti persecutori, sia in forma semplice che aggravata, dal novero delle fattispecie suscettibili di estinzione in seguito a condotte riparatorie.
  Il recente intervento di modifica consente di dissipare ogni dubbio circa l'impegno perseguito dal Governo e dal Ministero che rappresento nell'azione di contrasto al fenomeno della violenza di genere.
  

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   PARENTELA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   da notizie a mezzo stampa si apprende che: «la Regione Calabria avrebbe affidato i lavori di ammodernamento della Linea Ferroviaria Jonica calabrese, per importo da 500 milioni di euro ad Rfi senza neanche avere il progetto. Il rischio spiegano i rappresentanti di diverse associazioni è che l'azienda potrebbe semplicemente effettuare semplici opere di manutenzione della linea e “intascare” molto di più rispetto invece all'opera che si prospettava»;

   le risorse pubbliche della comunità calabrese sono state attribuite ad RFI senza che sia stato reso pubblico il progetto delle opere, ed in particolare gli elaborati tecnici relativi (relazione, tavole di progetto, specifica delle singole opere e relativo articolato dei costi, cronoprogramma degli interventi e altro). A tutt'oggi non si è a conoscenza delle procedure di affidamento dei lavori alle imprese e delle relative forme di monitoraggio della loro esecuzione a regola d'arte;

   la regione, dopo l'esborso di 500 milioni di euro, non possiede il progetto, tuttavia, i lavori sono in corso e non si sa, per giunta, chi li stia monitorando;

   il potenziamento della linea (che prevede anche il recupero dei fabbricati di stazione) non risulta, a parere dell'interrogante, coerente con l'incessante opera di smantellamento dei binari in numerose stazioni che si traduce in una riduzione delle potenzialità della linea ionica in termini di capacità di stazione, di circolazione e di sicurezza, nonché nell'impoverimento dei collegamenti al territorio conseguenti alla cancellazione di raccordi ad aree produttive o nodi economici strategici –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione ai lavori in corso che appaiono all'interrogante in contraddizione con gli scopi di potenziamento della linea e in contrasto netto con l'articolo 3, lettera D (obblighi del concessionario) del decreto ministeriale 138 T del 2000 e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per assicurare il rafforzamento e lo sviluppo dei collegamenti ferroviari nel territorio calabrese.
(4-17718)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo esame, sulla base delle informazione pervenute dalla direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie di questo Ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposto.
  L'interrogazione parlamentare specificata in oggetto riguarda i lavori di ammodernamento della linea Jonica calabrese ed in particolare le modalità diaffidamento delle risorse pubbliche a Rete ferroviaria italiana (RFI), la società gruppo FSI preposta alla gestione dell'infrastruttura ferroviaria nazionale.
  Al riguardo giova ricordare che, in base al decreto di questo Ministero 138 T del 31 ottobre 2000, la società gestisce in regime di concessione l'infrastruttura ferroviaria nazionale; tale concessione è stata rilasciata per durata di 60 anni.
  Le principali attività correlate alla Missione di RFI sono rappresentate da:

   la progettazione, la costruzione, la messa in esercizio, la gestione e la manutenzione dell'infrastruttura ferroviaria nazionale di cui al decreto legislativo n. 118 del 2003 e successiva decretazione applicativa, ivi incluse le stazioni passeggeri e gli impianti merci moduli e intermodali, nonché la gestione dei sistemi di controllo e di sicurezza connessi alla circolazione dei convogli, compreso il sistema alta velocità/alta capacità;
   

   la promozione dell'integrazione delle infrastrutture ferroviarie e la cooperazione con altri gestori delle infrastrutture ferroviarie;
   

   gli altri compiti attribuiti al gestore dell'infrastruttura ai sensi della vigente normativa, quali: accesso all'infrastruttura ed ai servizi, riscossione del canone per l'utilizzo dell'infrastruttura da parte delle imprese ferroviarie, nonché ogni ulteriore attività necessaria o utile per il perseguimento dei fini istituzionali indicati dalle competerai nazionali e comunitarie.
   

  Lo strumento cui è affidata la disciplina degli aspetti economici e finanziari del rapporto di concessione tra lo Stato e il gestore dell'infrastruttura è il contratto di programma il quale recepisce la pianificazione, delineata in coerenza con gli indirizzi e i vincoli nazionali e comunitari, relativi allo sviluppo e alla gestione dell'infrastruttura ferroviaria e alla programmazione economico-finanziaria, nonché con le esigenze industriali di RFI.
  Il 7 agosto 2017 è stato esaminato favorevolmente dal CIPE il contratto di programma — parte investimenti (CdP-I) 2017-2021, tra questo Ministero e RFI e, nonostante il complesso
iter approvativo del nuovo contratto non si sia ancora concluso, il suo contenuto è già reso pubblico sul sito web del gestore, in ottemperanza al decreto legislativo n. 112 del 2015.
  Il contratto finalizza, tra l'altro, le risorse stanziate con la legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di stabilità 2017), che si sommano alle risorse recate da altre disposizioni di legge (PON, FSC) pure riportate nell'atto.
  Con riferimento alla normativa in materia di appalti pubblici applicabile a RFI si fa presente che stessa è sottoposta alla disciplina nazionale e comunitaria sugli appalti pubblici ove proceda all'affidamento di servizi, lavori forniture nel settore del trasporto ferroviario in quanto ricadente, dal punito di vista soggettivo, nelle categorie di «enti aggiudicatori» di cui all'articolo 3, paragrafo 1 lettera
e) del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 che, accanto alle amministrazioni pubbliche aggiudicatrici, o imprese pubbliche, indica anche coloro che operano in virtù di diritti speciali o esclusivi, concessi loro dall'autorità competente.
  Da quanto sopra si evince che l'operato del gestore deve essere conforme al complesso quadro di normative che regolano la programmazione, la progettazione e la realizzazione degli investimenti infrastrutturali per la realizzazione e/o ammodernamento di opere ferroviarie che garantiscano, tra l'altro, la sicurezza e lo sviluppo della rete.
  Tra l'altro, per lavori di adeguamento e velocizzazione della linea ferroviaria Jonica di cui trattasi, in data 17 maggio 2017 è stato firmato tra questo Ministero, la regione Calabria e RFI, un protocollo di intesa in virtù del quale si prevedono, in quattro anni di lavoro, i seguenti interventi.
  Adeguamento e velocizzazione linea Jonica, importo 397 M€, di cui 307 M€ a valere sul fondo sviluppo e coesione 2014-2020 di cui alla delibera CIPE n. 54 del 1° dicembre 2016 e 90 M€ a valere, alle risorse del CdP-I 2017-2021.
  L'intervento consiste sinteticamente nella velocizzazione della linea ferroviaria Jonica che rientra nella competenza di RFI, nella tratta Sibari-Melito P.S., attraverso l'istituzione del rango di velocità C; la soppressione o la protezione di alcuni passaggi a livello presenti in punti particolarmente critici; il rinnovo con velocizzazione dei deviatoi (con particolare riguardo alle varie tratte: Rocca Imperiale/Sibari, Sibari/Corigliano, Corigliano/Crotone, Crotone/Cutro, Cutro/Catanzaro Lido, Catanzaro Lido/Locri, Locri/Melito P.S.); l'installazione di barriere antirumore nei punti di maggiore impatto sulle aree a più forte antropizzazione in conseguenza dell'aumento della velocità; il rinnovo di non meno di 280 chilometri di binario; i prolungamenti di alcuni sottopassi di stazione esistenti e la costruzione di nuovi per rendere possibile l'effettuazione di movimenti contemporanei in alcune stazioni e facilitare l'accesso al mare, nei punti in cui maggiore è l'impatto dell'infrastruttura ferroviaria in termini di «cesoia» dei centri abitati; il ripristino del 4° binario della Stazione di Melito P.S.; la riqualificazione e rifunzionalizzazione delle stazioni con particolare attenzione a quelle con maggiore traffico; il raddoppio in affiancamento ove necessarie per assicurare lo sviluppo dell'offerta di trasporto; l'elettrificazione in prosieguo in coerenza con l'evoluzione del modello di offerta.
  Adeguamento e velocizzazione linea Jonica: soppressione passaggi a livello per un costo di 40 M€ inseriti nelle risorse Contratto di programma.
  Rientrano nella programmazione e competenza di RFI gli interventi per la soppressione di ulteriori passaggi a livello sulla linea Jonica, con oneri proporzionalmente a carico di RFI fino ad un importo massimo pari a euro 671.000 per ciascuna opera sostitutiva, con una previsione di spesa per l'intera tratta Jonica pari a 4.0 M€.
  Rinnovo armamento linea Jonica per un costo di circa 40 M€, copertura finanziaria nell'ambito delle risorse statali destinate a RFI.
  A giugno 2017 sulla linea Sibari-Catanzaro Lido sono iniziati i seguenti interventi programmati di manutenzione straordinaria e di potenziamento infrastrutturale:
  

   consolidamento strutturale della galleria Cutro, tra Isola Capo Rizzuto e Cutro (Catanzaro Lido-Crotone);
   

   rinnovo deviatoi nelle stazioni di Corigliano, Calopezzati, Strongoli, Cirò, Thurio, Crucoli, Mandatoriccio e Gabella (Crotone-Sibari);
   

   rinnovo binari in varie tratte fra Catanzaro L. e Crotone e fra Crotone e Sibari;

   opere civili nella stazione di Corigliano.
   

  Lo scorso 1° ottobre i predetti interventi di manutenzione straordinaria e potenziamento infrastrutturale realizzati da RFI nel tratto Sibari-Catanzaro Lido sono stati ultimati e la circolazione dei treni sulla predetta linea è stata riattivata. I risultati di detti interventi sono, oltre alla riduzione dei tempi di percorrenza, l'incremento dei livelli di affidabilità e regolarità del servizio nonché il miglioramento delle condizioni di accessibilità ai treni e potenziamento dei servizi per i viaggiatori a ridotta mobilità.
  Infine, riguardo alle iniziative di competenza di questa amministrazione per assicurare il rafforzamento e lo sviluppo dei collegamenti ferroviari nel territorio calabrese, si fa presente che con l'approvazione da parte del CIPE del CdP-I 2017-2021, in corso di registrazione presso la Corte dei conti, sono previsti investimenti molto significativi finalizzati a potenziare la Calabria sia in termini di collegamenti sia di infrastrutture.
  Per completezza di informazione, si allega parte del
dossier (aggiornato al 14 settembre 2017) predisposto da RFI. (disponibile presso il Servizio Assemblea).
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il Porto Vecchio di Trieste (Punto Franco Nord), realizzato nell'ultimo trentennio dell'800 su una superficie di 67 ettari prospicienti il centro città, e comprendente cinque moli, banchine di carico e scarico e raccordi ferroviari, è riconosciuto quale uno tra gli ambiti di archeologia industriale marittima più rilevanti del Mediterraneo: i magazzini, posti al suo interno, che contano una cubatura di oltre un milione di metri, appartengono alla classificazione disciplinata dalle regole costruttive specifiche dei lagerhauser dei porti del Nord Europa;

   negli ultimi decenni, il Porto Vecchio ha subito, da un punto di vista produttivo, un parziale e progressivo abbandono. Sono stati recuperati, negli ultimi dieci anni, i varchi doganali, il magazzino 1 sul molo IV e, quali esempi di archeologia industriale-portuale, il magazzino 26, l'edificio della centrale idrodinamica e l'edificio della sottostazione elettrica, ancora oggi sedi di macchine generatrici di energia conservate nella loro interezza nell'edificio originario. Questi due ultimi edifici sono stati restaurati e riutilizzati (come Polo museale del Porto dal 2012), su iniziativa di Italia Nostra e grazie a un protocollo di intesa tra Autorità Portuale, regione Friuli Venezia Giulia e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con utilizzo di fondi pubblici ed europei;

   la legge 23 dicembre 2014, n. 190, (legge di stabilità 2015) ha stabilito la sdemanializzazione di gran parte dei 60 ettari del Porto Vecchio, sancendo la fine della pubblica utilità dell'area nonché, in capo al commissario di Governo del Friuli Venezia Giulia, il trasferimento del regime di Punto Franco ad altre aree da individuare. In particolare, la legge stabilisce anche il passaggio del Porto Vecchio al patrimonio disponibile del Comune di Trieste, che dovrà occuparsi della vendita dell'area e del trasferimento «dei relativi introiti all'Autorità Portuale di Trieste per gli interventi di infrastrutturazione del Porto Nuovo e delle nuove aree destinate al regime internazionale di Punto Franco»;

   il 5 novembre 2015 il comune di Trieste ha pubblicato il bando per «un'indagine esplorativa di mercato finalizzata all'individuazione di un operatore cui affidare l'incarico per la redazione di linee guida per l'impostazione e la redazione delle linee guida del Piano Strategico di valorizzazione delle aree facenti parte del Porto Vecchio di Trieste». Come riportato da Il Piccolo del 25 gennaio 2016, la commissione aggiudicatrice ha vagliato le dodici offerte pervenute ed ha affidato l'incarico a Ernst&Young financial business advisor Milano per un importo di 170 mila euro;

   il 27 gennaio 2016, come riportato da Il Piccolo, Walter Toniati, responsabile del procedimento e responsabile dell'ufficio progetti strategici del comune di Trieste, durante una conferenza pubblica ha spiegato come «con l'intavolazione di Magazzini e fabbricati a favore del Comune, l'amministrazione dovrà sobbarcarsi il pagamento di imposte e tasse, quote di assicurazione, vigilanza, manutenzioni ordinarie e straordinarie. Non solo, dovrà anche provvedere all'infrastrutturazione dell'area (allacciamenti fognari, idrici, elettrici, informatici, eccetera) che non potrà essere a carico dei futuri investitori. C'è già un progetto con una stima dei costi e una spesa prevista di 9 milioni di euro per una porzione di 100 mila metri quadrati; per 600 mila quadrati non si può moltiplicare per sei perché vi sono economie di scala, ma comunque si tratterà di spendere alcune decine di milioni di euro»;

   Il Piccolo del 3 marzo 2016 riferisce che Toniati, «il responsabile dell'Ufficio progetti strategici del Comune costituito dal sindaco Roberto Cosolini in particolare per seguire il processo di sdemanializzazione del Porto Vecchio, ha chiesto e ottenuto quattro anni di aspettativa dal ruolo di dipendente comunale e già dal primo marzo ha assunto la carica di direttore generale dell'Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale»;

   l'associazione Italia Nostra da molti anni è impegnata fattivamente per il recupero e la tutela dell'area di Porto Vecchio. Una missiva del 24 dicembre 2013 (Prot 009951) indirizzata da Giangiacomo Martines, Direttore Regionale per i beni culturali e paesaggistici per il Friuli Venezia Giulia, all'allora Ministro Bray, nel rimarcare il pregio architettonico e monumentale di Porto Vecchio, ha sottolineato la necessità, indicata da Italia Nostra, di intervenire con urgenza per la messa in sicurezza ed il restauro leggero degli edifici del Porto Vecchio, anche al fine del suo riutilizzo in termini economici, turistici e culturali. La missiva indica che il citato restauro era stato proposto attraverso l'elaborazione di un Masterplan, che meritava la massima attenzione da parte del Ministero, ampiamente condiviso con l'Autorità Portuale, la Provincia e l'Università degli Studi ed attraverso dei finanziamenti europei, opportunamente individuati dall'associazione;

   l'8 aprile 2014 il Direttore del Servizio II Tutela del Patrimonio Architettonico del Mibact, Stefano D'Amico ha risposto (Prot. 009372) al Gabinetto del Ministro e alla Direzione Regionale dei Beni Culturali per il Friuli-Venezia Giulia che, «esaminato il “dettagliato e accurato Masterplan per il Porto vecchio 2013 ritiene pregevole, oltre che necessario, il progetto di riqualificazione di Italia Nostra attraverso il rinnovo del Protocollo d'intesa scaduto nel 2010”» e attraverso il ricorso agli strumenti finanziari europei;

   successivamente, il 3 luglio 2014 (n. prot.16709) Francesca Gandolfo, Direttore del Servizio II Tutela del Patrimonio Architettonico del Mibact, ha scritto al Gabinetto del Ministro, alla Direzione regionale Friuli-Venezia Giulia e alla Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici del Friuli-Venezia Giulia (con riferimento alla nota di Gabinetto del 23 giugno 2013 e alla lettera della Direzione regionale FVG del 24 dicembre 2013) di aver già espresso parere positivo sul progetto di Italia Nostra per il Porto vecchio e di ritenere utile e opportuno predisporre un secondo sopralluogo in Porto vecchio «a patto che sia garantita la partecipazione fattiva di tutti i soggetti interessati, al fine di giungere ad un'effettiva condivisione degli scopi, degli obiettivi, e delle priorità degli interventi». Obiettivo ormai raggiunto nel corso del 2015 e condiviso da tutti gli enti coinvolti;

   il 5 novembre 2015 l'Arch. Francesco Scoppola, Direttore Generale delle Belle Arti e del Paesaggio del Mibact (Prot. 27064), nel ribadire il proprio giudizio favorevole ad iniziative che tutelino e valorizzino il patrimonio storico monumentale dell'importante distretto portuale di Trieste, ivi compresa l'organizzazione di un workshop internazionale, ha comunicato che «per i necessari sopralluoghi è stata interessata la Soprintendenza territorialmente competente»;

   Italia Nostra, come riportato da una nota pubblicata su Il Piccolo del 23 agosto 2015, ha già criticato le notizie relative alla ricerca, da parte del comune di Trieste, di un advisor, a cui «affidare le decisioni essenziali sullo sviluppo di tutta l'area, senza che si siano già dettate le linee guida generali da rispettare, ed alle quali vorremmo partecipare anche noi con nostre proposte, al di là dell'esclusività dell'azione politica». Il comunicato ribadisce che «Siamo sicuramente preparati, con le professionalità all'interno dell'associazione prosegue la nota — ad affrontare tutti i problemi, che conosciamo benissimo ed a dare il nostro contributo alla loro soluzione, e non si può correre il rischio, come è già successo in passato, di affidare ad un unico "terzo" scelte fondamentali, attraverso intermediazioni, che alla fine hanno creato più che altro contrasti e polemiche, evidenziandone la debolezza»;

   secondo un comunicato stampa diffuso lo scorso 2 marzo 2016 dalla sezione di Trieste di Italia Nostra «sarebbe stato più opportuno e confacente lasciare la ricerca dell’advisor ad un secondo tempo, organizzando sin da subito un Workshop ad alto livello istituzionale, onde individuare insieme ad esperti internazionali i criteri e le modalità migliori per il riuso del Porto Vecchio. Italia Nostra aveva già patrocinato e reso disponibile pubblicamente un Comitato scientifico internazionale per il Porto, che avrebbe potuto procedere anche in accordo con l'AIPAI (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale): ma tutte le nostre segnalazioni e le richieste (inviate anche via PEC) al riguardo sono state completamente ignorate, come quella più recente di un sollecito incontro con il Sindaco. Eppure, dopo il Masterplan redatto a cura dall'Associazione (con la collaborazione di professionisti ed esperti) che pur illustrava le sostanziali linee guida e le opportunità di sviluppo e di riqualificazione dell'area del Porto vecchio, nonché i molti convegni organizzati da Italia Nostra sul tema, un Workshop con il contributo di questi esperti avrebbe certamente costituito una straordinaria occasione a costi quasi nulli. Inesplicabile è dunque perché non si è voluto approfittare di un lungo ed accurato lavoro già svolto, che avrebbe consentito ancor prima il reperimento di validi obiettivi strategici e di investitori»;

   Il Piccolo del 20 febbraio 2016 riporta dell'invio al Governo, da parte del comune di Trieste, di due documenti tecnici accompagnati dalla bozza di un protocollo d'intesa per la richiesta di investimenti statali finalizzati alla riqualificazione dell'area. Il primo conterrebbe uno stralcio per la opera di infrastrutturazione dell'area tra il Molo Quarto e Molo Terzo, mentre il secondo il progetto di realizzazione di un museo del mare all'interno del magazzino 26 per un totale complessivo quantificato in 18 milioni di euro;

   in data 1o maggio 2016, il comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), ha approvato il Piano Cultura e Turismo proposto dal Ministro dei beni e attività culturali e del turismo. Da una nota stampa del 12 maggio del Ministro dei beni e attività culturali e del turismo, si legge: «Il Piano che stanzia un miliardo di euro del Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020 per la realizzazione di 33 interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e di potenziamento del turismo culturale risponde a una visione che considera strategico il ruolo del patrimonio culturale nelle politiche nazionali di sviluppo sostenibile e vede nella cultura un importante fattore di confronto, dialogo, scambio di idee e valori, oltre che uno strumento di promozione dell'immagine dell'Italia nel mondo. Il Piano mira al rilancio della competitività territoriale del Paese attraverso l'attivazione dei potenziali di attrattività turistica, l'integrazione tra turismo e cultura e il potenziamento dell'offerta turistico-culturale»;

   il piano cultura e turismo, si legge nella nota stampa succitata, prevede, tra i vari interventi da attuare nelle regioni italiane, «50 milioni per il restauro e la valorizzazione del Porto Vecchio di Trieste, destinato a divenire un grande attrattore culturale transfrontaliero»;

   il 2 maggio, nel corso della presentazione alla stampa del piano #UnMiliardoperlacultura, il Ministro Franceschini ha dichiarato che «Portovecchio è una delle sfide più importanti che il Paese dovrà affrontare nei prossimi anni. È un posto incredibile, era il porto degli Asburgo, e può diventare una delle operazioni più importanti in Europa di riqualificazione di un'intera città. Questi 50 milioni sono destinati ad interventi importanti che apriranno anche il tema della destinazione di quest'area, con una discussione a livello nazionale»;

   a parere dell'interrogante, le parole del Ministro confliggerebbero con il mandato attribuito dal comune di Trieste all’advisor Ernst&Young, al quale è stata attribuita la funzione di consulenza per la redazione delle linee guida in merito all'approvazione del piano strategico per la valorizzazione del Porto Vecchio, individuando modelli funzionali e operativi per il raggiungimento degli obiettivi previsti;

   in data 3 maggio 2016, un articolo del quotidiano Il Piccolo, riporta che «Il documento presentato di recente agli uffici della Presidenza del Consiglio dopo che il 10 febbraio un primo dossier era già stato consegnato a Lotti stima per i primi interventi infrastrutturali funzionali a quelli successivi (comprensivi però anche di specifiche ristrutturazioni) un fabbisogno complessivo di 53.700.000 euro. (...)»;

   l'articolo, in riferimento agli interventi da attuare nel Porto Vecchio, afferma che: «(...) presumibilmente l'apertura dei primi cantieri avverrà prima della fine del 2017. Si partirà dalle bonifiche e in particolare dal torrente Chiave che sbocca in mare nel tratto in concessione a Greensisam. Verrà fatta la pulizia del tratto finale del torrente e dei detriti (6.500.000 euro di spesa) e del cono di deiezioni a mare con smaltimento dei detriti (altri 5 milioni di euro la spesa). Dovrà anche essere risolta la problematica relativa ai miasmi. Sul Rio Martesin, gli interventi del costo di 4 milioni di euro tenderanno a risolvere le problematiche connesse all'immissione diretta delle portate di piena del torrente internamente al bacino. I primi interventi sulle infrastrutture riguarderanno le reti elettrica, fognaria, idrica e del gas. Con un milione di euro verrà effettuato il potenziamento dei sottoservizi a rete nelle aree esterne funzionali alle infrastrutturazioni di tutto il Porto vecchio, mentre con 9.500.000 euro verranno realizzate le nuove reti di sottoservizi nell'area Greensisam. Per quanto riguarda invece le infrastrutture viarie si interverrà per la sistemazione e la messa in sicurezza di una viabilità provvisoria che colleghi il Polo museale (Centrale idrodinamica, Sottostazione, elettrica, Magazzino 26) nella direzione dalla città verso il Polo e da viale Miramare verso il Polo. In particolare, con una spesa di 2.200.000 euro saranno create la viabilità di collegamento, un collegamento ciclabile, un percorso pedonale, una rotatoria di regolazione dei flussi su viale Miramare oltre alla realizzazione della rete di illuminazione pubblica. Grazie allo stanziamento statale però potranno essere realizzati anche alcuni dei primi insediamenti. Si partirà dalla creazione del nuovo Museo del mare (...) che, in virtù della raccolta di patrimoni pubblici e privati e ipotizzando un impiego museale tradizionale integrato da workshop e attività estensive potrebbe occupare 14 mila metri quadrati del Magazzino 26, i costi per l'adeguamento architettonico e per l'allestimento sono stati stimati in 8 milioni. Ventimila metri quadrati dello stesso magazzino dovrebbero invece essere occupati dalla nuova sede dell'Icgeb, l'Istituto di ingegneria genetica e biotecnologia. In questo caso la spesa dovrebbe arrivare a 12 milioni. Infine, (...) 5 milioni e mezzo di euro dovrebbero essere impiegati nel restauro con la collocazione anche di un ascensore e di una piattaforma panoramica della grande gru galleggiante Ursus(...)»;

   a quanto si apprende esclusivamente da notizie stampa, la destinazione specifica delle risorse sarebbe orientata principalmente alle opere di infrastrutturazione che Walter Toniati, come riportato, considerava a carico dell'amministrazione comunale. Nessuna risorsa sarebbe destinata alle urgenti opere di messa in sicurezza e di restauro leggero di cui le strutture del Porto Vecchio necessitano –:

   se intenda fornire un piano dettagliato degli interventi, le relative priorità e le specifiche per ogni singola opera da realizzare nell'area di cui in premessa;

   se confermi l'intervento di potenziamento dei sottoservizi dell'area in concessione novantennale alla Greensisam, per la cui vendita sarebbero in corso delle trattative come confermato da notizie stampa;

   se intenda chiarire le modalità e le tempistiche necessarie all'erogazione dei finanziamenti statali per gli interventi nell'area in questione e, quale ente ne risulterà assegnatario e quale fungerà da stazione appaltante;

   attraverso quali modalità intenda affrontare il tema della destinazione complessiva dell'area del Porto Vecchio quale «attrattore culturale transfrontaliero» e come si concili, tale operazione con l'incarico che il comune di Trieste ha affidato all’advisor Ernst&Young.
(4-13166)

  Risposta. – Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo sopra indicato, avente medesimo contenuto dell'interrogazione parlamentare n. 4-12738, nel quale l'interrogante, con riferimento al progetto di restauro e valorizzazione del Porto Vecchio di Trieste, programmato nel piano cultura e turismo proposto dal Ministro Franceschini ed approvato in data 1° maggio 2016 dal comitato interministeriale per la programmazione economica — Cipe, chiede se il Ministero intenda fornire, per l'area in questione, un piano dettagliato degli interventi previsti, delle modalità e delle tempistiche necessarie per l'erogazione dei finanziamenti statali pari a 50 milioni di euro, e se intenda, inoltre, chiarire come l'operazione si concili con il mandato attribuito dal comune di Trieste all’advisor Ernst&Young per l'impostazione e la redazione delle linee guida del Piano Strategico di valorizzazione delle aree facenti parte del Porto Vecchio di Trieste.
  Il porto vecchio di Trieste (Punto Franco Nord), realizzato nell'ultimo trentennio dell'800 su una superficie di 67 ettari prospicienti il centro città, e comprendente cinque moli, banchine di carico e scarico e raccordi ferroviari, è riconosciuto quale uno tra gli ambiti di archeologia industriale marittima più rilevanti del Mediterraneo: i magazzini, posti al suo interno, che contano una cubatura di oltre un milione di metri, appartengono alla classificazione disciplinata dalle regole costruttive specifiche dei
lagerhauser dei porti del Nord Europa.
  Il porto vecchio ha subito, nell'ultimo decennio, un parziale e progressivo abbandono, soprattutto da un punto di vista produttivo. Un'azione di recupero ha permesso il restauro e la riutilizzazione di due edifici come polo museale del porto dal 2012, su iniziativa di Italia nostra e grazie a un protocollo di intesa tra autorità portuale, regione Friuli Venezia Giulia e questo Ministero, con utilizzo di fondi pubblici ed europei.
  La legge 23 dicembre 2014, n. 190, (legge di stabilità 2015) ha, tuttavia, stabilito la sdemanializzazione di gran parte dei 60 ettari del Porto Vecchio, sancendo la fine della pubblica utilità dell'area.
  Nel gennaio 2016 il comune di Trieste ha attribuito all’
advisor Ernst&Young la funzione di consulenza per la redazione delle linee guida in merito all'approvazione del Piano Strategico per la valorizzazione del Porto Vecchio, individuando modelli funzionali e operativi per il raggiungimento degli obiettivi previsti.
  Il successivo 1° maggio 2016, il Cipe ha approvato il piano cultura e turismo proposto dal Ministro Franceschini, stanziando un miliardo di euro del fondo sviluppo e coesione 2014-2020 per la realizzazione di 33 interventi miranti al rilancio della competitività territoriale del Paese attraverso l'attivazione dei potenziali di attrattività turistica di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, e di potenziamento dell'offerta turistico-culturale. Una parte dei fondi stanziati, pari a 50 milioni di euro, è stata destinata proprio al restauro e alla valorizzazione del Porto Vecchio.
  Lo scorso 28 maggio 2016, inoltre, è stato firmato dall'allora Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, dalla presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, dal sindaco di Trieste e dal commissario straordinario dell'autorità portuale della medesima città, un Protocollo d'intesa per la valorizzazione del porto vecchio, e la realizzazione di un grande attrattore culturale transfrontaliero.
  L'accordo prevede, in seguito della sdemanializzazione, l'annessione al patrimonio del comune di Trieste, delle aree del porto vecchio con esclusione delle banchine, l'Adriaterminal e la fascia costiera. Tale intervento è inserito nel piano stralcio Turismo e Cultura del Ministero con l'obiettivo di realizzare, come indicato nel Protocollo, «un esemplare intervento di sviluppo territoriale mediante il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico».
  Le parti firmatarie sono impegnate, tra l'altro, a realizzare le opere necessarie per l'inserimento dell'area del porto vecchio nel contesto cittadino predisponendo tutti gli strumenti urbanistici necessari. Il Ministro Franceschini, presente alla firma dell'accordo, nel corso della presentazione alla stampa del piano #UnMiliardoperlacultura, ha dichiarato che il restauro e recupero di Portovecchio rappresenteranno una sfida per i prossimi anni.
  Lo stanziamento di 50 milioni dovrà essere utilizzato per la realizzazione di un grande progetto che porti nuovamente il porto vecchio a ricoprire il suo ruolo originario di grande porta dell'Europa centro-orientale sul Mediterraneo.
  Al termine della sua visita il Ministro Franceschini, ha raggiunto porto vecchio a bordo di un convoglio del
TramWay, restaurato di recente; per il futuro si sta valutando l'ipotesi si realizzare un progetto che colleghi l'antico scalo di Porto Vecchio con altri luoghi caratteristici della città di Trieste.
  A seguito del procedimento di sdemanializzazione avviato dal Governo con la legge di stabilità 2015, il comune di Trieste si avvia a diventare il nuovo soggetto titolare della quasi totalità dell'area del porto vecchio di Trieste e soggetto legittimato ad effettuare le scelte amministrative che rientrano nelle sue attribuzioni, ferma restando la competenza degli uffici periferici di questo Ministero per quanto riguarda gli aspetti legati alla tutela dei manufatti esistenti e dell'area vincolata.
  Per quanto concerne in particolare il progetto di riqualificazione dell'area del Porto Vecchio, questa Amministrazione vede favorevolmente una valorizzazione e recupero del Porto Vecchio di Trieste che dovrà necessariamente passare attraverso la presentazione di progetti ed iniziative da sottoporre alle attente valutazioni di questo Ministero, così da assicurare una riqualificazione che contemperi le esigenze dello sviluppo economico con quelle della tutela dell'area vincolata.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   REALACCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il presente anno 2017 oramai al termine è stato l’«anno dei borghi»: un patrimonio straordinario del nostro Paese, luoghi del turismo sostenibile, lento, genuino, rispettoso delle comunità locali e della loro cultura e identità;

   il progetto, sostenuto, oltre che dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, da 18 regioni, da Enit e dalle associazione dei borghi, è funzionale a quanto previsto dallo stesso piano strategico 2017-22 del turismo che ha tra i propri obiettivi il rinnovamento e l'ampliamento della offerta turistica, la valorizzazione di nuove mete e la creazione di occupazione contro lo spopolamento delle nostre aree interne;

   le manifestazioni dei cortei in costume, delle rievocazioni e dei giochi storici costituiscono un'antica e nobile tradizione delle strade e delle piazze italiane: luoghi naturalmente essenziali per la vita sociale e culturale delle città. I giochi e le rievocazioni storiche favoriscono, all'interno delle collettività in cui sono inseriti, un forte spirito di aggregazione e offrono uno spettacolo che, oltre al piacere ludico, è un reale mezzo di promozione culturale e turistica. Per ogni manifestazione storica, regata, palio o giostra, si registrano in media circa 24.000 presenze. Il tasso di autofinanziamento di tali eventi, peraltro, è elevatissimo (60 per cento contro il 39,40 per cento di finanziamento pubblico), ottenuto tramite sponsorizzazioni, vendita di prodotti, di servizi e di biglietti, nonché contributi degli associati. Il volume di affari è elevato e si attesta su svariati milioni di euro tra indotto diretto e indiretto. Un migliore coordinamento delle stesse non potrebbe che concorrere al rafforzamento di queste attività culturali e della nostra attrattiva turistica nel mondo;

   l'8 novembre 2017 il Governo ha accolto un ordine del giorno a prima firma dell'interrogante, presentato assieme ai colleghi Nardelli e Borghi, per l'istituzione di un albo nazionale delle manifestazioni, dei cortei in costume, delle rievocazioni e dei giochi storici e di prevedere forme di deducibilità e detraibilità delle erogazioni agli enti promotori delle stesse;

   il suddetto Ministero, d'intesa con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha proclamato il 2018 l'anno del cibo e il 2019 l'anno del turismo lento –:

   se il Ministro interrogato intenda valutare l'opportunità di assumere le iniziative di competenza per avviare l’iter di proclamazione del 2020 come «l'anno delle manifestazioni dei cortei in costume, delle rievocazioni e dei giochi storici» in Italia.
(4-18723)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede di conoscere se questo Ministero intende valutare l'opportunità di avviare l’iter di proclamazione del 2020 come «l'anno delle manifestazioni, dei cortei in costume, delle rievocazioni storiche e dei giochi storici» in Italia.
  Al riguardo si rappresenta quanto segue.
  Le manifestazioni dei cortei in costume, delle rievocazioni storiche e dei giochi storici costituiscono un'antica e nobile tradizione dei borghi e delle piazze italiane.
  Si richiamano, a titolo esemplificativo, il «Gioco del Ponte» di Pisa, la «Quintana» di Ascoli Piceno, la «Festa del Duca» di Urbino, il «Palio di San Floriano» a Jesi, il famosissimo «Palio» di Siena, la «Sartiglia» di Oristano, la «Regata delle antiche Repubbliche marinare» di Amalfi, il «Palio» di San Donato, la «Messa dello spadone» di Cividale del Friuli, la partita degli scacchi viventi di Marostica e la festa dei Ceri di Gubbio e numerosi altri ancora.
  Tali manifestazioni confermano non solo l'importanza delle nostre tradizioni, ma rappresentano un mezzo di conoscenza culturale e promozione turistica delle nostre città e dei nostri borghi.
  Cortei in costume, rievocazioni storiche e giochi storici, sono parte del nostro patrimonio storico-culturale, come riconosciuto, tra l'altro, anche dalla convenzione internazionale Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, ratificata dall'Italia con la legge n. 167 del 2007.
  L'articolo 11 di detta convenzione, affida ad ogni Stato contraente il compito di individuare gli elementi del patrimonio culturale immateriale presente sul proprio territorio e di adottare provvedimenti necessari a garantirne la salvaguardia.
  Anche il decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali), all'articolo
7-bis, assoggetta alle proprie disposizioni le espressioni di identità culturale collettiva contemplata dalla suddetta convenzione.
  Pertanto, non solo in adempimento delle predette disposizioni, ma nella forte convinzione della straordinaria importanza che riveste il nostro patrimonio, si comprende il senso della proposta di proclamare il 2020 anno delle manifestazioni dei cortei in costume, delle rievocazioni storiche e dei giochi storici, in analogia a quanto già effettuato per il 2018 proclamato anno del cibo e per il 2019 anno del turismo lento.
  È, però, evidente che tale scelta dovrà essere valutata e decisa dal prossimo Governo.
  Alcuni passi avanti nella direzione delineata sono già stati effettuati e si riscontrano nell'articolo 1, comma 627, della legge n. 232 del 2016, con il quale è stato istituito il fondo per le rievocazioni storiche, con una dotazione di due milioni di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019 e nella recente legge n. 175 del 2017 (Codice dello spettacolo) che all'articolo 1, lettera
g), riconosce i carnevali storici e le rievocazioni storiche.
  Naturalmente, quello dei cortei storici è un ambito che deve essere ancora definito nel suo complesso e nei cui confronti, però, questo Ministero rivolge già tutta l'attenzione e considerazione.
  Si dovrà valutare anche l'istituzione di un albo nazionale delle manifestazioni dei cortei in costume e prevedere delle agevolazioni fiscali al fine di rendere deducibili le erogazioni in denaro effettuate in favore degli enti gestori delle manifestazioni, nonché delle federazioni a cui essi sono associati.
  

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.