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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 4 dicembre 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    i parchi inclusivi sono quelli in cui i giochi non sono diversi né meno divertenti di quelli che si trovano nei parchi tradizionali, ma hanno in più dei semplici accorgimenti che li rendono accessibili a tutti: per accedere agli scivoli c'è una rampa dove può passare una carrozzina, l'altalena non è una tavoletta ma una cesta dove ci si può anche sdraiare, i giochi a molle hanno protezioni posteriori e laterali che sostengono un piccolo con difficoltà motorie. Inoltre, in detti parchi, vengono installati giochi sensoriali che possono, comunque, essere utilizzati da tutti;

    fondamentale per il nostro Paese è la promozione delle pari opportunità tra tutti i cittadini ed il superamento degli squilibri economici e sociali esistenti nel proprio ambito al fine di realizzare il pieno sviluppo della persona umana, riconoscendo le formazioni sociali nelle quali essa si esprime, sostenendo e promuovendo il libero svolgimento della vita sociale nel pluralismo dei gruppi e delle istituzioni, favorendo lo sviluppo delle associazioni democratiche e del volontariato;

    l'articolo 8 comma 1 lettera e) della legge n. 104 del 1992 stabilisce che «l'inserimento e l'integrazione della persona handicappata» si realizza anche attraverso «l'adeguamento delle attrezzature e del personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali» e l'articolo 23, della medesima legge a favore delle persone disabili, prescrive in capo ai comuni l'obbligo di «rimozione di ostacoli per l'esercizio di attività sportive, turistiche e ricreative»;

    è un diritto dei bambini disabili quello di poter usufruire dei parchi pubblici e di giocare senza essere esclusi, a causa di giochi inadeguati e/o di barriere architettoniche;

    è fondamentale garantire l'accessibilità e la fruibilità dei parchi cittadini come previsto dalla legge n. 18 del 3 marzo 2009 di «Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità»;

    fondamentali sono gli articoli 23 e 31 della convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989) secondo i quali:

    (articolo 23): «Gli Stati parti riconoscono che i fanciulli mentalmente o fisicamente handicappati devono condurre una vita piena e decente, in condizioni che garantiscano la loro dignità, favoriscano la loro autonomia e agevolino una loro attiva partecipazione alla vita della comunità.»;

    (articolo 31): 1. «Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica». 2. «Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l'organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali»;

    giocare è un diritto fondamentale di tutti i bambini, sancito anche dalla Convenzione sui diritti dell'infanzia dell'Unicef, ma la maggior parte dei parchi giochi esistenti in Italia non sono accessibili ai bambini con disabilità e la sensibilità delle istituzioni territoriali, su questo argomento, si sta orientando verso la creazione dei primi parchi accessibili a tutti, senza barriere architettoniche che ne impediscano la fruibilità ad una fascia di bimbi con problematiche motorie di vario tipo;

   per i parchi inclusivi mancano i progetti, gli studi di fattibilità, le procedure per l'identificazione del sito ma, soprattutto, le risorse finanziarie,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di assumere iniziative, per quanto di competenza e in collaborazione con gli enti locali, per verificare lo stato attuale delle attrezzature ludiche presenti nei parchi e nei giardini delle aree dove sono ubicate, per controllare che le stesse siano accessibili anche ai bambini disabili, ai quali deve essere assicurato almeno un gioco in ogni parco attrezzato;

2) a valutare l'opportunità di promuovere, d'intesa con gli enti locali, iniziative volte all'installazione, se non presenti, di giochi per bambini disabili nei parchi oggetto di interventi in corso o appaltati;

3) a valutare l'opportunità di predisporre progetti statali relativi a nuove aree verdi adibite ad aree di gioco;

4) a valutare l'opportunità di assumere iniziative affinché venga predisposto, in sede di Conferenza unificata, un piano per la sostituzione delle attrezzature obsolete presenti nei parchi e nei giardini, assicurando che le nuove dotazioni siano compatibili con l'utilizzo delle stesse da parte di bambini con disabilità, e per la dotazione di giochi per bambini disabili in tutti i parchi, prevedendo adeguate risorse finanziarie.
(1-01761) «Bechis, Artini, Baldassarre, Segoni, Turco, Pisicchio».


   La Camera,

   premesso che:

    secondo una stima diffusa dall'Unicef ci sono circa 93 milioni di bambini nel mondo, al di sotto dei 14 anni, che convivono con una disabilità moderata o grave;

    la definizione di disabilità è rimasta per molto tempo basata prevalentemente sull'aspetto medico. Negli ultimi anni si sta affermando invece un paradigma della disabilità che non è più soltanto di carattere sanitario, ma anche sociale: in altri termini, la disabilità si identifica sempre più non soltanto con una condizione di salute, ma anche nelle barriere, ambientali e sociali, che impediscono l'inclusione;

    la legge n. 104 del 1992 ha come principio ispiratore la volontà di fare da garante per le persone che ne abbiano maggiore necessità e per mantenerlo ha introdotto il concetto di gravità dell’handicap;

    all'articolo 3, comma 3, la legge n. 104 del 1992, sancisce che: «qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici»;

    l'articolo 8, comma 1, lettera e), della legge n. 104 del 1992 prevede che l'inserimento e l'integrazione sociale della persona handicappata si realizzano mediante adeguamento delle attrezzature e del personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali. Inoltre, all'articolo 23 della sopra citata legge (rimozione di ostacoli per l'esercizio di attività sportive, turistiche e ricreative) si prevede che: «le regioni e i comuni realizzano, in conformità alle disposizioni vigenti in materia di eliminazione delle barriere architettoniche, ciascuna per gli impianti di propria competenza, l'accessibilità e la fruibilità delle strutture sportive e dei connessi servizi da parte delle persone handicappate»;

    ai sensi della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (CDI) e della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CDPD), i Governi di tutto il mondo si sono assunti la responsabilità di garantire che tutti i bambini, indipendentemente dal loro grado di abilità o disabilità, godano degli stessi diritti, senza discriminazioni di alcun genere. Fino al mese di febbraio del 2013, 193 Paesi avevano ratificato la CDI, mentre 127 Paesi dell'Unione europea avevano ratificato la CDPD;

    i bambini e le bambine con disabilità sono certamente, a parità di condizioni sociali ed economiche, quelli in assoluto più vulnerabili. Hanno bisogni speciali e sono facili vittime di varie forme di esclusione;

    negli ultimi anni in Europa è aumentata la costruzione dei parchi giochi inclusivi. Queste aree consentono l'abbattimento delle barriere architettoniche mediante rampe di accesso, percorsi per bambini ipovedenti, percorsi tattili, vasche rialzate per l'orticoltura, scivoli a doppia pista, tutto studiato per consentire ai piccoli con diverse abilità di giocare ed imparare assieme ai propri amici, fratelli e genitori;

    numerosi psicologici ritengono che i giochi all'aperto offrono benefici terapeutici per tutti: sono divertenti, aiutano a tenere i bambini in buona salute, favoriscono la consapevolezza del rischio, aspetto importante per la costruzione sociale ed emotiva. Inoltre, reputano che l'accesso allo sport e alle attività ricreative non solo giova direttamente ai bambini con disabilità, ma aiuta anche a migliorare la loro percezione all'interno della comunità;

    i bambini e gli adolescenti con disabilità e le loro famiglie sono troppo spesso invisibili nelle politiche e nella società,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, in sinergia con gli enti locali, per rendere concreto il diritto dei bambini con disabilità a giocare all'aria aperta attribuendo priorità all'inclusività e all'accessibilità quando si costruiscono nuovi parchi e quando si ristrutturano le aree pubbliche esistenti già destinate ai giochi;

2) ad assumere iniziative comprendenti programmi finanziari specifici per bambini con disabilità, che prevedano anche la costruzione di parchi giochi inclusivi;

3) ad adottare iniziative per definire un quadro normativo specifico per la creazione di spazi pubblici specializzati per bambini con disabilità;

4) a favorire la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie utili alla pianificazione e alla progettazione di spazi di gioco pubblici inclusivi adatti a tutti;

5) a sostenere campagne mediatiche che promuovano l'integrazione sociale dei bambini con disabilità.
(1-01762) «Galgano, Monchiero, Menorello, Oliaro, Mucci, Catalano, Molea, Secco, Vaccaro, Bueno, Bombassei».


   La Camera,

   premesso che:

    la Costituzione attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare la salute «come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività» (articolo 32) e l'assunzione e la gestione del servizio pubblico sanitario rappresentano l'adempimento di un dovere costituzionale cui il legislatore ha provveduto, in modo organico e compiuto, a partire dalla legge n. 833 del 1978 che ha istituito il servizio sanitario nazionale: pubblico, universalistico, solidaristico, finanziato attraverso la fiscalità generale;

    successivamente il decreto legislativo n. 502 del 1992, così come modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 517 del 1993, nel confermare la tutela del diritto alla salute delineato dalla legge n. 833 del 1978, ha disegnato un modello organizzativo di aziende sanitarie «dinamico», in grado cioè, attraverso la flessibilità funzionale e la impostazione per obiettivi, di rispondere pienamente, in termini quantitativi e qualitativi, alla domanda sanitaria;

    le principali innovazioni riguardarono la regionalizzazione del servizio sanitario nazionale che, da allora è costituito dai servizi sanitari regionali, l'attribuzione alle aziende sanitarie della personalità giuridica pubblica, il finanziamento per quota capitaria, l'accreditamento e il finanziamento a tariffa delle strutture;

    il decreto legislativo n. 229 del 1999 «Norme per la razionalizzazione del servizio sanitario nazionale» ha portato, a compimento il processo di regionalizzazione del sistema e aziendalizzazione delle strutture; ha potenziato il ruolo dei comuni nella programmazione e nella valutazione dei servizi; ha sottolineato il forte rilievo della integrazione sociosanitaria; ha focalizzato l'attenzione sulla qualità, appropriatezza ed efficacia delle prestazioni, provvedendo ad affermare il principio di contestualità tra identificazione dei livelli di assistenza garantiti dal servizio sanitario nazionale e la definizione del fabbisogno nazionale;

    l'evoluzione in senso federalista del sistema di tutela della salute, dopo i primi passi compiuti con il decreto legislativo n. 112 del 1998, si afferma più compiutamente con il decreto legislativo n. 56 del 2000, recante il nuovo sistema di finanziamento regionale dei servizi, e con la riforma generale apportata con la revisione del titolo V, parte II, della Costituzione, attuata con la legge n. 3 del 2001, che contiene i presupposti per la futura approvazione di nuove e distinte discipline regionali della sanità pubblica;

    le politiche di tutela della salute devono farsi carico di promuovere trasparenza e legalità nel settore sanitario perché un sistema sanitario affidabile e integro è uno strumento di rassicurazione contro il rischio di dover affrontare la malattia in solitudine, di fiducia nelle istituzioni e nella comunità, di promozione del capitale sociale. La mancanza di integrità riduce l'accesso ai servizi, soprattutto fra i più vulnerabili; peggiora in modo significativo – a parità di ogni altra condizione – gli indicatori generali di salute; è associata a una più elevata mortalità infantile. Nonostante studi recenti confermino il buono stato di salute degli italiani, dovuto alle discrete condizioni ambientali e socioeconomiche del Paese, ma anche all'ampia accessibilità a trattamenti sanitari efficaci garantita dalla presenza di un servizio sanitario universalistico, esistono molte differenze tra le singole regioni. La cronica assenza di programmazione, il consolidarsi di forti interessi economici, l'utilizzo della sanità a fini politici hanno fatto sì che in alcune realtà italiane sia stato più difficile contrastare sprechi e illegalità, minando la fiducia nel sistema di tutela della salute da parte delle persone che vivono in quei territori;

    la promozione e la tutela della salute devono essere considerati ambiti essenziali, fondanti e costitutivi per qualsiasi società democratica contemporanea. La tutela della salute deve costituirsi come dimensione di sistema. Alle attività che rivestono finalità preventive, di cura e riabilitative sono chiamate a partecipare attivamente tutte le persone che saranno protagoniste della costruzione sia della cura sia del benessere, nel senso più ampio del termine, della persona;

    la salute si promuove anche contrastando l'illegalità e la lotta alla corruzione è uno dei pilastri da edificare per contribuire alla sostenibilità del nostro sistema sanitario nazionale e per conservare i livelli di qualità raggiunti;

    come la stessa Ministra della salute, Beatrice Lorenzin, ha affermato in un messaggio inviato in occasione della seconda Giornata nazionale contro la corruzione in sanità, quest'ultima «è un settore ad alto rischio di corruzione, ma nonostante ciò garantisce standard elevatissimi di qualità delle prestazioni agli assistiti. Il tema della corruzione in sanità lo abbiamo affrontato in maniera concreta fin dall'inizio del mio mandato e abbiamo promosso e attuato ogni iniziativa per contrastare comportamenti criminosi perché quando in sanità si commette un reato, si ruba e si attraggono risorse che sarebbero destinate all'assistenza e cura delle persone più fragili; l'eliminazione di spechi e inefficienze e la riduzione della disuguaglianze sono sicuramente tra gli obiettivi principali che stiamo perseguendo. Soprattutto in questo momento storico l'importanza risiede tutta nella qualità ed efficienza delle cure erogate, e per migliorare la qualità e l'efficienza del sistema sanitario è necessario disporre di dati e di elementi di misurazione certi ed omogenei. La parola d'ordine deve essere semplificazione e “misurazione”, misurare per incidere sulle criticità prima che arrivino a pregiudicare la qualità, la sicurezza, l'equità nell'accesso alle cure, attraverso attività di audit clinici, organizzativi e gestionali»;

    l'11 settembre 2013, l'Autorità nazionale anticorruzione ha approvato, su proposta del dipartimento della funzione pubblica il piano nazionale anticorruzione, che permette di disporre di un quadro unitario e strategico di programmazione delle attività per prevenire e contrastare la corruzione nel settore pubblico e crea le premesse perché le amministrazioni possano redigere i loro piani triennali per la prevenzione della corruzione e, di conseguenza, predisporre gli strumenti previsti dalla legge n. 190 del 2012; in seguito alle modifiche intervenute con il decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni dalla legge n. 114 del 2014, l'autorità nazionale anticorruzione - ANAC, il 28 ottobre 2015, ha approvato l'aggiornamento del PNA con la determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015. Con determinazione n. 831 del 3 agosto 2016, l'ANAC ha, altresì, approvato il piano nazionale anticorruzione 2016. Secondo il contenuto del piano nazionale 2013, il Ministero della salute ha adottato il piano di prevenzione della corruzione 2013-2016, successivamente aggiornato con i piani relativi ai trienni 2015-2017, 2016-2018 e 2017-2019, tenendo conto delle indicazioni fornite dall'ANAC con l'aggiornamento PNA 2015 e con il PNA 2016;

    la prevista adozione dei piani triennali di prevenzione della corruzione, PTPC, trovano un significato maggiore e più forte nel settore sanitario, nel quale ogni euro bruciato dalla corruzione è sottratto alle cure dei pazienti, con conseguenti effetti negativi anche sulla salute della popolazione;

    Raffaele Cantone, presidente dell'autorità nazionale anticorruzione, nella relazione 2016 dell'Anac illustrata il 6 luglio 2017 alla Camera, ha sottolineato che, «grazie alla proficua collaborazione con Ministero della Salute e Agenas (Agenzia Nazionale per i servizi sanitari regionali) si sono individuate le aree più vulnerabili ad abusi e corruzione (gli appalti, i concorsi, l'accreditamento, la gestione dei proventi delle sperimentazioni cliniche, delle liste d'attesa e delle camere mortuarie) e si è chiesto di adottare per esse specifiche misure preventive, la cui attuazione sarà oggetto di un piano ispettivo ad hoc. Un'attività – sottolinea l'Autorità anticorruzione – volta non criminalizzare ma a preservare un settore che ha grandi eccellenze e che consente a tutti l'accesso alle cure»;

    la relazione evidenzia le «luci e ombre nell'applicazione dei vati strumenti di prevenzione della corruzione». Secondo la relazione, lo scorso anno sono state avviate 845 istruttorie, soprattutto nei confronti di comuni, strutture sanitarie e società pubbliche, mentre pochissime (12) sono state le sanzioni irrogate, a conferma del loro utilizzo solo come extrema ratio ma anche dell'elevato livello di adeguamento alle richieste dell'Autorità, «Fra i tanti casi trattati - ha spiegato il Presidente Cantone - ne va menzionato soprattutto uno, quello di una Asl nella regione Campania, in cui la vigilanza si è svolta con una logica di accompagnamento verso il ripristino dalla legalità. Si è partiti da una verifica ispettiva effettuata a seguito di notizie relative a gravi illeciti commessi per favorire, fra l'altro, l'accreditamento di strutture sanitarie private carenti dei requisiti e pagamenti multipli di fatture, da cui era emersa l'inadeguatezza delle misure preventive adottate. Il commissario straordinario della ASL ha accolto positivamente i rilievi e, con in collaborazione dei nostri uffici, ha adottato misure concrete e virtuose: in particolare, ha effettuato la rotazione del direttori dei distretti, ha sostituito quasi tutti i componenti delle commissioni competenti al rilascio delle autorizzazioni e ha pubblicato sul proprio sito tutti gli atti di interesse pubblico»;

    come affermato dallo stesso presidente di Agenas, Luca Coletto, anche le regioni sono fortemente impegnate in processi di miglioramento delle performance cliniche, economiche ed amministrativo-gestionali. Lo sforzo ulteriore deve essere quello di prendere sempre più consapevolezza, anche con il supporto di Agenas, che l'adozione e il rispetto di misure dirette a promuovere integrità e trasparenza, è una tappa immancabile del percorso virtuoso che i sistemi sanitari regionali hanno intrapreso;

    l'approvazione in via definitiva della legge sul «whistleblowing» ha inoltre rappresentato un ulteriore e significativo passo avanti nella lotta alla corruzione, una efficace e concreta tutela di chi segnala illeciti: esso potrà rivelarsi, infatti, uno strumento prezioso per rompere quel circuito omertoso che rende spesso difficile scoprire i fenomeni corruttivi e che insieme ad altri, fondamentali, passi compiuti in questi anni, quali il rafforzamento dei poteri dell'Anac, l'introduzione dei reati di autoriciclaggio, falso in bilancio e voto di scambio, l'estensione ai corrotti delle misure di prevenzione patrimoniale e l'adeguamento delle pene, la riforma della prescrizione e l'accelerazione dei tempi del processo, consentendo sul fronte della lotta contro la corruzione a questa legislatura di chiudersi con un bilancio decisamente in attivo;

    infine, ad assicurare l'esigenza di una razionalizzazione della spesa sanitaria, da un lato, e, dall'altro lato, l'approntamento di misure volte al contenimento della stessa ha concorso anche la Corte dei conti attraverso l'esercizio dell'attività di controllo e giurisdizione in ordine alle multiformi attività poste in essere dai soggetti che, a vario titolo, agiscono nell'ambito del servizio sanitario nazionale,

impegna il Governo:

1) a continuare e coordinare con sollecitudine il lavoro globale e sistematico già intrapreso dalle varie istituzioni di lotta alla corruzione, in particolare nel settore sanitario;

2) al fine di prevenire, e contrastare fenomeni corruttivi in ambito sanitario, a diffondere ed incentivare con tecnologie e con metodi innovativi l'utilizzo degli open data (tutte le informazioni devono essere trasparenti e accessibili) e la semplificazione di tutte le procedure, anche nell'ambito della open government partnership promuovendo così la cultura della trasparenza nella pubblica amministrazione, poiché trasparenza, accountability e partecipazione devono essere obbiettivi fondamentali per un'azione di Governo contro la corruzione;

3) al fine di prevenire e contrastare fenomeni corruttivi in ambito sanitario a predispone tutte le misure necessarie per applicare il piano triennale contro la corruzione specialmente per ciò che riguarda la rotazione dei dirigenti e dei funzionari, poiché ciò costituisce una misura organizzativa di prevenzione della corruzione nell'ambito delle pubbliche amministrazioni, specie per quanto concerne il personale operante in settori esposti a maggior rischio di corruzione;

4) ad incentivare e promuovere, con la collaborazione delle regioni, ognuno per le proprie competenze, l'adozione da parte delle aziende ospedaliere ancora sprovviste, di linee guida per l'elaborazione dei piani anticorruzione, così come previsto dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, «attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni»;

5) a predisporre tutte le iniziative necessarie affinché siano garantite la trasparenza nei bilanci, la trasparenza dei bandi di gara e di concorso, la trasparenza nei rapporti con il privato, la trasparenza nei tempi di attesa così come previsto nel piano anticorruzione predisposto dall'Agenas;

6) a dare piena e completa attuazione alle strategie di trasparenza e informazione contenute nel regolamento (UE) n. 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e che abroga la direttiva 2001/20/CE;

7) ad assumere le iniziative di competenza perché si evitino comportamenti non corretti nell'attività extra e intramoenia;

8) al fine di prevenire e contrastare fenomeni corruttivi in ambito sanitario, a predisporre tutte le iniziative necessarie affinché non si instaurino conflitti di interesse in capo ai gestori di servizi in global service ai quali dovrebbe essere vietato di avere interesse diretto o indiretto nella produzione dei beni oggetto dei servizi interessati dall'appalto.
(1-01763) «Lenzi, Verini, Miotto, Bazoli, Giuseppe Guerini, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Gelli, Grassi, Mariano, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini, Amoddio, Berretta, Campana, Di Lello, Ermini, Ferranti, Giuliani, Greco, Iori, Magorno, Mattiello, Morani, Rossomando, Tartaglione, Vazio, Zan».


   La Camera,

   premesso che:

    quando si affronta il tema della disabilità e in particolar modo quando si tratta di bambini disabili, l'obiettivo prioritario deve essere quello di migliorare il più possibile la loro qualità di vita e quella delle loro famiglie. Per fare ciò, prima di tutto, bisogna lavorare affinché muti il modo di affrontare le problematiche legate al mondo della non autosufficienza. È necessario infatti pensare alle persone non autosufficienti in termini di centralità dei bisogni, ai quali si devono fornire delle risposte efficaci tese alla valorizzazione dei potenziali della persona, e non soltanto incentrate nella misurazione dei deficit. Il bisogno di salute deve essere quantificato in relazione a quanto una persona potrebbe fare se venissero posti in essere quegli interventi capaci di contrastare o di ridurre un deficit e di abbattere quelle barriere che costituiscono un handicap apparentemente insormontabile per la persona con disabilità;

    un progetto di riforma del sistema deve partire dalla centralità della persona, al fine di valutare e di rilevare quelle che sono le capacità residue e i bisogni del singolo, seguendo un procedimento inverso rispetto alla tradizionale tendenza di partire dalle risorse collettive per poi arrivare agli stanziamenti in favore del singolo. I diritti di cittadinanza delle persone non autosufficienti non possono limitarsi all'accesso ai servizi sanitari, all'istruzione nelle scuole e nelle università, alla predisposizione di forme di sostegno socio-assistenziale e alla realizzazione di inserimenti mirati nel contesto lavorativo. Devono essere più ampi ed è questo il lavoro che il legislatore è chiamato a fare, liberandosi dal preconcetto legato alla funzione assistenziale. La vera pari dignità per tutti si potrà infatti raggiungere soltanto quando diverranno di primaria importanza anche il diritto al tempo libero, il diritto di viaggiare, il diritto di esprimersi, il diritto all'attività fisica e il diritto di divertirsi;

    la possibilità di fruire di luoghi per il tempo libero, per la comunicazione e per la socializzazione non deve essere garantita soltanto ad alcuni. La cultura e il gioco sono patrimonio di tutti. Negli ultimi anni in Italia molto è stato fatto anche sotto il profilo normativo, ma purtroppo nel nostro Paese troppo spesso le leggi restano sulla carta, non vengono attuate o applicate. La Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dallo Stato italiano con legge 27 maggio 1991, n. 176, prevede, all'articolo 31, comma 1, che «gli Stati parte riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica», includendo quindi tra i titolari di tale diritto anche i bambini e i ragazzi con disabilità;

    l'Italia, con legge n. 18 del 3 marzo 2009 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 61 del 14 marzo 2009), ha ratificato e resa esecutiva la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con protocollo opzionale, adottata dall'Assemblea generale dell'Onu il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008 ove all'articolo 30, comma d), si afferma «(...) gli Stati Parti prenderanno le appropriate decisioni per assicurare che i bambini con disabilità abbiano eguale accesso alla partecipazione ad attività ludiche, ricreative e di tempo libero, sportive, incluse tutte quelle attività che fanno parte del sistema scolastico»;

    è ormai diffusa la consapevolezza dell'importanza che il gioco e lo sport possono assumere per i disabili, non solo quali strumenti di recupero psico-fisico, ma anche quali mezzi di integrazione sociale. Se il gioco è un diritto di tutti i bambini, tutti i bambini devono essere messi in condizione di poter giocare e per farlo è necessario far sì che le aree attrezzate siano costruite in modo tale da permettere anche ai bambini disabili di usufruirne a pieno. Parchi privi di barriere architettoniche, con giochi inclusivi dove anche i bambini con disabilità possano in piena sicurezza partecipare insieme agli altri alle attività ludiche;

    ad oggi, in Italia, i parchi giochi accessibili a tutti sono una rarità fortemente voluta dalle amministrazioni più virtuose e capaci di comprendere l'importanza di queste strutture non solo al fine di garantire, come è giusto che sia, il diritto al gioco a tutti i bambini, ma anche per sviluppare fin dalla più giovane età un approccio culturale della disabilità che sia fondato non solo sul rispetto della diversità, ma anche sulla consapevolezza che tutti debbano avere le stesse possibilità se messi in condizione di essere alla pari. Il gioco del golf insegna ad esempio che tutti i giocatori sono dotati di un handicap di partenza che permette ad esempio al campione del mondo di poter giocare anche con un principiante partendo alla pari;

    la giusta cultura dei diritti non può essere realmente operativa se le amministrazioni locali non vengono dotate delle risorse economiche necessarie per mettere in moto politiche ed interventi mirati a far sì che vengano eliminate le barriere architettoniche che non permettono la piena fruibilità di tutti i servizi alle persone con disabilità. Oramai, difatti, da tempo in Italia, se da un lato si legifera, in linea di principio, con sempre più attenzione nei confronti delle persone disabili e delle loro famiglie, dall'altro lato, si continuano a tagliare le risorse dedicate, lasciando di fatto alle amministrazioni degli enti locali la responsabilità di non riuscire nei fatti ad intervenire concretamente nello sviluppo di progetti finalizzati alla piena inclusione delle persone con disabilità,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per stanziare, nel primo provvedimento utile, risorse finanziarie da trasferire alle amministrazioni locali da dedicare a progetti mirati alla piena inclusione dei bambini disabili nelle attività culturali, ludiche e sportive delle comunità cittadine;

2) a predisporre, in sede di Conferenza unificata, progetti mirati a dotare in tempi rapidi tutto il territorio nazionale di parchi giochi inclusivi con caratteristiche comuni.
(1-01764) «Rondini, Fedriga, Allasia, Altieri, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Lo Monte, Marti, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,

   premesso che:

    in questi anni si sta purtroppo assistendo a un costante definanziamento in termini reali della sanità pubblica, e una progressiva diminuzione in termini di rapporto spesa sanitaria/Pil;

    anche la recente Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2017, conferma la scelta di una riduzione di risorse reali al servizio sanitario nazionale, già prevista dal Documento di economia e finanza 2016 e da quelli precedenti;

    una spesa sanitaria in rapporto al Pil programmata in costante contrazione, significa che, in termini reali, la fetta di risorse spettante alla sanità pubblica continuerà a ridursi nei prossimi anni;

    la sua incidenza sul Pil si conferma in decrescita: era del 7,1 per cento nel 2010; del 6,8 per cento nel 2015; del 6,6 per cento nel 2017 e arriverà al 6,3 per cento nel 2020. Per ritornare ai livelli percentuali del 2010, bisognerà attendere il 2035;

    entro il 2019, la percentuale della spesa sanitaria sarà del 6,4 per cento. Sotto la soglia di quel 6,5 per cento che l'Organizzazione mondiale della sanità individua come livello minimo;

    questo definanziamento della sanità pubblica nazionale, avviene nonostante che nel rapporto spesa sanitaria/Pil, siamo da tempo sotto la media dei rispettivi valori della Unione europea a 15;

    le spese sostenute per finanziare il Ssn si continuano a equiparare a qualsiasi altro centro di costo, e la conseguenza di questa visione miope è che, al pari di altri costi, diventa azione «virtuosa» quella di ridurne gradualmente la loro incidenza rispetto al prodotto interno lordo;

    sarebbe invece necessario invertire questa tendenza. La nostra sanità ha bisogno di più investimenti e più risorse, e le necessarie risorse da «liberare» al fine di un finanziamento del Ssn, possono e devono essere reperite anche attraverso un vero, serio e credibile contrasto alla corruzione presente nel settore, con un controllo realmente rigoroso degli accreditamenti, alle diseconomie, piuttosto che con una riduzione del diritto primario dei cittadini alla salute;

    si stima che tra corruzione e sprechi in ambito sanitario, se ne vanno in fumo più di 6 miliardi di euro. L'associazione Libera ha segnalato che la sola perdita erariale dovuta all'illegalità in sanità per il triennio 2010/2012 era di circa 1,6 miliardi di euro;

    detta cifra di 6 miliardi di euro, peraltro, non ricomprende un altro ambito, ossia quello legato a tutti quegli sprechi collegati ai conflitti di interesse professionali che, anche se privi di rilevanza giuridica, erodono una percentuale ancora maggiore di risorse pubbliche;

    il conflitto di interessi in ambito sanitario è particolarmente presente e favorisce la diffusione di interventi sanitari (ad esempio farmaci, test diagnostici, interventi chirurgici) a volte inappropriati, ma spesso conseguenti a comportamenti opportunistici. Una delle forme nelle quali si esplicitano in misura maggiore i conflitti di interesse riguarda il mondo della ricerca che produce le informazioni necessarie per guidare i comportamenti professionali. Oggi, infatti, l'agenda della ricerca è in buona parte dettata dall'industria biomedicale e farmaceutica; le riviste biomediche hanno enormi autonomie per decidere quali studi pubblicare; i medici ottengono la maggior parte delle informazioni sui farmaci dagli informatori scientifici. Così come il conflitto di interesse finisce troppo spesso per condizionare le prescrizioni e le erogazioni di molti interventi sanitari inappropriati, particolarmente quando il profitto commerciale diventa il movente principale del mercato e i meccanismi di regolazione sono inesistenti o inefficaci. Un altro ambito nel quale si evidenzia una maggiore diffusione del conflitto di interesse, è quello legato alle società scientifiche. A fronte di interessi economici, i conflitti di interesse possano pregiudicare l'indipendenza delle società scientifiche, anche perché in Italia non esiste alcun obbligo di rendicontare pubblicamente l'entità dei finanziamenti ricevuti dall'industria. È diffusa l'abitudine per la quale l'organizzazione dei congressi delle società scientifiche viene spesso sponsorizzata da aziende biomedicali e farmaceutiche;

    nel settore sanitario le frodi e la corruzione producono effetti non solo economici (in particolare sulla finanza pubblica), ma sottraggono risorse ai programmi di assistenza, e intaccano inevitabilmente la fiducia nel sistema di tutela della salute da parte dei cittadini;

    la corruzione in sanità ha quindi diverse ricadute negative: sui cittadini, che potrebbero aspirare a una maggiore qualità del servizio o comunque a un servizio meno costoso; sulle casse dello Stato, che vedono disperdersi in piccoli o grandi rivoli corruttivi fino a 6 miliardi di euro all'anno; sul tessuto produttivo italiano, che perde in innovazione e competitività;

    con l'entrata in vigore della legge n. 190 del 2012 tutte le pubbliche amministrazioni sono state chiamate a formulare ed adottare, entro il 31 gennaio di ogni anno, un documento con il quale si struttura internamente un lavoro di analisi finalizzato a definire una strategia di prevenzione del fenomeno corruttivo;

    nel novembre 2015 è stato presentato il «Rapporto sullo stato di attuazione delle azioni adottate dalla sanità pubblica in materia di trasparenza ed integrità» in Italia, frutto della collaborazione tra Agenas e Libera. Il settore sanitario, infatti, è considerato uno dei più esposti al rischio di illegalità e per questo – si legge nel Rapporto – necessita di adeguati livelli di trasparenza: date le notevoli dimensioni della spesa, la pervasività delle asimmetrie informative, l'entità dei rapporti con i privati, l'incertezza e l'imprevedibilità della domanda, l'alta specializzazione dei prodotti acquistati e delle prestazioni fornite, la necessità di complessi sistemi di regolazione, e altro;

    il monitoraggio del Rapporto si è concentrato sulla pubblicazione dei piani triennali di prevenzione della corruzione (Ptpc) con riferimento ai trienni 2014-2016 e 2015-2017, ed ha avuto ad oggetto le relazioni annuali relative al 2013 e 2014, un documento che i responsabili della prevenzione della corruzione devono predisporre ogni anno per documentare l'attività svolta e i risultati ottenuti;

    il 18 per cento delle Asl non ha ancora adottato, né pubblicato il piano di prevenzione della corruzione;

    riguardo l'attuazione dei piani anticorruzione, previsti dalla citata legge n. 190 del 2012, di 230 aziende sanitarie emerge però che, nel 40 per cento dei casi, queste si sono limitate a un adempimento formale dell'obbligo di legge, non inserendo all'interno del piano né l'analisi dei rischi di corruzione, né le misure di prevenzione, mentre il 33 per cento ha svolto un'analisi parziale e solo una struttura sanitaria su quattro ha risposto in pieno al dettato normativo;

    la determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 dell'Autorità nazionale anticorruzione, riporta come la valutazione condotta dall'Anac medesima su un campione di 247 piani di prevenzione della corruzione (PTPC) di Asl, aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie e Irccs ha fatto rilevare una generale carenza nell'analisi del contesto esterno che spesso è risultata del tutto assente. La mappatura dei processi e delle attività non sempre è stata sviluppata in modo esaustivo e anche l'individuazione delle specifiche misure in relazione agli eventi rischiosi è risultata inadeguata. Non tutte le aziende hanno indicato ulteriori aree di rischio, cosiddette «aree di rischio specifiche», omettendo quindi un approfondimento che è, invece, di particolare rilievo ove si consideri la peculiarità del settore in cui le stesse operano;

    la medesima determinazione n. 12 del 2015, indica tra i maggiori fattori di rischio, quelli collegati in particolare agli acquisti e agli appalti in ambito sanitario. Sotto questo aspetto, l'Anac sottolinea la «condizione di potenziale intrinseca “prossimità” di interessi, generata dal fatto che i soggetti proponenti l'acquisto sono spesso anche coloro che utilizzano i materiali acquistati, con conseguenti benefici diretti e/o indiretti nei confronti dello stesso utilizzatore: ad esempio, i clinici proponenti l'acquisto di materiale di consumo (come ad esempio protesi, farmaci), sono anche i soggetti che impiegano tali beni nella pratica clinica e possono quindi orientare la quantità e tipologia di materiale richiesto. In effetti, i prodotti sanitari, avendo un elevato contenuto tecnico, si prestano per la loro peculiarità, a un interesse “oggettivo” alla scelta da parte del committente/clinico. In questo contesto è utile quindi introdurre misure di prevenzione e di sicurezza che documentino le motivazioni ovvero le ragioni tecniche sottese alla richiesta di acquisto di quel particolare prodotto, con assunzione delle relative responsabilità»;

    dalla relazione sull'attività svolta dall'Autorità nazionale Anticorruzione per il 2016, trasmessa al Parlamento il 28 giugno 2017, emerge come per la parte specifica sulla sanità, il campione di piani triennali di prevenzione della corruzione (Ptpc), analizzati nel monitoraggio 2016, risulta ancora lontano dal risultato atteso. «Dall'analisi del monitoraggio risulta che le indicazioni contenute nell'aggiornamento 2015 al PNA sono state seguite dagli enti interessati solo in parte. Infatti, se si considerano le amministrazioni facenti parte del campione e interessate all'analisi, una bassa percentuale di ASL e Policlinici universitari hanno censito alcuni dei processi tipici delle amministrazioni del comparto (tra cui, attività libero professionale e liste di attesa per circa il 35%, attività conseguenti al decesso in ambito intraospedaliero per circa il 28% delle amministrazioni campionate). Anche con riferimento alle misure specifiche suggerite dall'Aggiornamento 2015 al PNA nel focus sulla sanità, i livelli di recepimento rimangono tendenzialmente bassi (comunque sempre inferiori al 40%)»;

    risulta indispensabile chiamare alla responsabilità tutte le Asl, le aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie e gli Irccs che non hanno dato corso ai piani previsti dalla legge anticorruzione. Sotto questo aspetto è necessario applicare il principio di responsabilità ed un sistema di premi e punizioni, anche nei confronti dei dirigenti che non hanno ancora applicato la legge, o lo hanno fatto solo formalmente;

    il rapporto «Curiamo la corruzione 2016», promosso da Transparency International Italia in partnership con Censis, Ispe-Sanità e Rissc, riporta come la corruzione si conferma un problema esiziale per il Ssn e costituisce un pesante freno in termini di efficienza, soprattutto a causa di una forte ingerenza del pubblico nel privato non sempre caratterizzata dalla massima trasparenza e per via delle infiltrazioni criminali all'interno delle strutture;

    l'indagine rivela che i cinque rischi più gravi per il Ssn consistono in: accordi preventivi tra i partecipanti ad una gara, soprattutto nella spartizione dei lavori in subappalto; definizione di esclusività di un servizio, che elimina la concorrenza a favore dell'impresa titolare del servizio o del bene; rimodulazione indebita del cronoprogramma in funzione delle esigenze o a vantaggio dell'appaltatore; la nomina di soggetti di parte nelle commissioni di gara per garantire un occhio di favore nella selezione del contraente; il comodato gratuito o la donazione di attrezzature, farmaci e dispositivi per generare maggiori consumi o spese non previste o non autorizzate;

    il secondo e più recente Rapporto «Curiamo la corruzione 2017» di Transparency International, mostra come nel 25,7 per cento delle aziende sanitarie si sarebbe verificato almeno un caso di corruzione negli ultimi dodici mesi, mentre per il 65 per cento dei responsabili anti-corruzione il fenomeno è dato come «stabile»: nulla sarebbe cambiato, insomma. I rischi più alti che vengono attribuiti ai settori degli acquisti e delle forniture, dunque al buco nero degli appalti, ma anche alla gestione delle liste d'attesa negli ospedali e perfino alle assunzioni;

    nel giudizio della Corte dei Conti al Rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2016, la sanità è indicata come Settore a rischio di diseguaglianze, ma anche di conflitti di interesse, illeciti anche penali e corruzione;

    nell'ambito del suddetto giudizio, il 27 giugno 2017, nella sua Requisitoria orale, il Procuratore generale Claudio Galtieri, ha ricordato come meccanismi di spesa efficienti, trasparenti, tempestivi e sotto monitoraggio continuo, impediscono la creazione di quelle «zone grigie» in cui più facilmente «si possono insinuare e trovare terreno fertile conflitti di interesse e illeciti di rilievo anche penale». È inoltre rilevato che «I rilevanti effetti distorsivi e le irregolarità e gli illeciti penali, proprio nei settori in cui più alto è il livello della spesa, come quelli della sanità (...), richiedono un approccio più sostanziale che (...) affronti il fenomeno della corruzione in una logica sistematica che tenga in adeguata considerazione la diffusività del fenomeno e l'insufficienza delle misure finora apprestate dell'ordinamento»;

    sempre in ambito sanitario, è peraltro quanto mai urgente una revisione del sistema degli appalti pubblici. In sanità vi è infatti il più alto tasso di proroghe e rinnovi spesso a prezzi non concordati e non in linea con il mercato. È necessario che nei piani di prevenzione della corruzione (Ptpc) il tema dei contratti venga affrontato con particolare riguardo all'intero ciclo degli approvvigionamenti, a partire dal rafforzamento dei livelli di trasparenza;

    nell'ambito del fenomeno degli illeciti e della corruzione in sanità, come ha in più occasioni ricordato lo stesso Raffaele Cantone, le liste di attesa e l'attività libero professionale intramoenia (Alpi), rientrano in quegli ambiti sanitari potenzialmente esposti a rischi corruttivi;

    questo aspetto è ben presente nella già citata determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 dell'Autorità nazionale Anticorruzione (Anac), nella quale l'attività libero professionale e le liste d'attesa vengono ricomprese espressamente tra le «aree di rischio specifiche». Nel provvedimento citato, si segnala tra l'altro come «l'attività libero professionale, specie con riferimento alle connessioni con il sistema di gestione delle liste di attesa e alla trasparenza delle procedure di gestione delle prenotazioni e di identificazione dei livelli di priorità delle prestazioni, può rappresentare un'area di rischio di comportamenti opportunistici che possono favorire posizioni di privilegio e/o di profitti indebiti, a svantaggio dei cittadini»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per mettere in atto tutti gli strumenti utili a garantire la massima trasparenza nel settore sanitario, anche al fine di ridurre i fenomeni di illegalità e di conflitti di interesse;

2) ad assumere iniziative volte a prevedere che tutte le risorse rinvenienti dalle misure e dalle attività di contrasto alle frodi e alla corruzione in ambito sanitario, nonché alle diseconomie e agli sprechi interni alla sanità, siano reinvestite nel Servizio sanitario nazionale;

3) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a verificare e garantire che tutte le Asl, le aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico attuino effettivamente, e non in maniera meramente formale, efficaci e corretti piani di prevenzione della corruzione previsti dalla legge n. 190 del 2012, anche prevedendo l'applicazione del principio di responsabilità nei confronti dei dirigenti responsabili dell'adozione dei suddetti piani di prevenzione, qualora i medesimi piani non risultino essere stati presentati o risultino palesemente inidonei a prevenire il rischio di corruzione e si limitino ad un solo adempimento formale dell'obbligo di legge;

4) ad assumere iniziative per estendere gli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari, previsti dall'articolo 3 della legge n. 136 del 2010, anche ai servizi sanitari e socio-sanitari erogati da strutture private accreditate, così come proposto dalla stessa Anac con la delibera n. 958 del 7 settembre 2016;

5) ad assumere iniziative per introdurre specifiche previsioni in materia di appalti pubblici nel settore della sanità pubblica, al fine di eliminare le distorsioni legate al troppo frequente ricorso a proroghe automatiche e taciti rinnovi di appalti, nonché per incrementare la trasparenza e il controllo nelle procedure che riguardano i meccanismi di spesa;

6) ad adottare opportune iniziative anche di carattere normativo, per un efficace contrasto alla corruzione e ai conflitti di interesse, con particolare riguardo alle aree di maggior rischio del settore sanitario, quali, per esempio, quelle che riguardano: i rapporti con gli informatori dell'industria, i compensi per consulenze effettuate dai professionisti per conto dell'industria, la regolamentazione delle sponsorizzazioni e delle donazioni;

7) con riguardo all'attività libero-professionale, al fine di ridurre sensibilmente i rischi di corruzione o di profitti indebiti, e di uniformare i tempi di attesa della struttura pubblica a quelli della medesima attività libero professionale, ad avviare in particolare tutte le iniziative efficaci, per quanto di competenza, volte a garantire una gestione trasparente, informatizzata e centralizzata delle procedure di gestione delle prenotazioni e delle liste di attesa di tutte le strutture pubbliche e convenzionate per prestazioni, esami, visite specialistiche e ricoveri;

8) ad assumere iniziative volte a prevedere esplicitamente che, nell'ambito delle procedure per il conferimento degli incarichi di direzione sanitaria, compresi gli incarichi di struttura complessa, queste siano rispettose dei principi di massima trasparenza, in coerenza con la determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 e il Piano nazionale anticorruzione dell'Anac.
(1-01765) «Fossati, Murer, Fontanelli, Laforgia, Roberta Agostini, Albini, Bersani, Franco Bordo, Bossa, Capodicasa, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Epifani, Fava, Ferrara, Folino, Formisano, Carlo Galli, Kronbichler, Lacquaniti, Leva, Martelli, Matarrelli, Pierdomenico Martino, Melilla, Mognato, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Rostan, Sannicandro, Scotto, Simoni, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCON, PELLEGRINO, GREGORI, AIRAUDO e FRATOIANNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il 7 novembre 2017 si è riunito il Comitato di indirizzo, coordinamento e controllo ex articolo 4 legge n. 798 del 1984 (il cosiddetto «Comitatone») relativo alla «Portualità veneziana: prospettive dello sviluppo crocieristico nella Laguna di Venezia»; riunione, a giudizio degli interroganti, «viziata» dall'assenza di 3 Ministri dei 5 previsti nella composizione del consesso;

   il Comitato ha approvato una delibera riferita alle prospettive di sviluppo della crocieristica in Laguna; con ciò si è chiarito bene l'indirizzo che si voleva dare alla riunione stessa, con un capovolgimento degli obiettivi ovvero l'abbandono delle finalità di salvaguardia della laguna di Venezia prevista dal decreto cosiddetto «Clini-Passera», tuttora vigente, a favore, dello sviluppo crocieristico;

   ci si trova di fronte, da un lato al cosiddetto decreto «Clini-Passera», n. 79 del 2012, norma vigente e che risulta tuttora disattesa a quasi sei anni dalla sua emanazione e, dall'altro, ad una mera comunicazione, priva di valore giuridico, che indica comunque un percorso;

   la delibera individua addirittura gli accosti per le nuove navi di grandi dimensioni, nella zona portuale di Marghera (Canale Nord-sponda nord) con accesso dalla bocca di porto di Malamocco e il canale di grande navigazione Malamocco-Marghera;

   la salvaguardia della laguna di Venezia e di Venezia stessa non sarebbe assicurata da un tale disegno, che aggraverebbe il già delicato equilibrio idrodinamico e morfologico della laguna centrale, per i lavori di adeguamento e di ingente scavo e rimodellazione dei canali portuali di accesso e per i lavori di sbancamento delle banchine in aree private e altamente inquinate;

   un disegno, con conseguenze pericolose per la stessa sicurezza dei traffici portuali, in quanto, per raggiungere la banchina Marghera e l'attuale stazione marittima si dovrebbe attraversare il polo chimico considerato area a «Rischio di incidenti rilevanti» (Rir) e dove sarebbero concentrate, in un solo percorso nautico, tutte le navi commerciali, industriali e turistiche di grandi dimensioni;

   si tratta di indicazioni non sostenute, secondo gli interroganti, da alcun atto giuridicamente validato, frutto di una procedura di selezione – una discrezionale analisi multicriteria – non codificata;

   il documento tace inoltre dell'unico progetto approvato dalla Commissione di Valutazione di impatto ambientale e corredato del provvedimento di compatibilità ambientale del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ossia il progetto che sposta il terminal fuori dalla Laguna, alla Bocca di Lido –:

   se e quali iniziative intenda assumere il Governo per assicurare la massima efficacia dell'attività del «Comitatone», alla luce dell'andamento dei lavori relativi alla recente riunione del 7 novembre 2017, garantendo che siano pienamente ed effettivamente rappresentati al massimo livello tutti i Dicasteri coinvolti;

   perché nel percorso indicato dal documento discusso il 7 novembre 2017 non vi sia alcun riferimento agli scavi necessari per la realizzazione dell'accosto nel canale industriale nord di Marghera e il contemporaneo raggiungimento dell'attuale stazione marittima, stimabili in 4-5 mil/mc di fanghi altamente inquinati, né si faccia riferimento alla valutazione di impatto ambientale per tutto il percorso e per tutti gli scavi che si rendono necessari, anche considerando la bocciatura da parte della Commissione valutazione di impatto ambientale del progetto di adeguamento del Canale Contorta Sant'Angelo presentato dalla stessa autorità portuale;

   quali iniziative si intendano assumere al fine della tutela di Venezia e della sua laguna, evitando che le «grandi navi» possano attraversare la Laguna «considerata la particolarissima sensibilità e vulnerabilità ambientale della laguna di Venezia ove sono presenti ecosistemi posti a rischio anche tenuto conto dei rilevanti aumenti del traffico marittimo», come anche indicato nel cosiddetto decreto «Clini-Passera»;

   se non si intendano assumere iniziative affinché la Capitaneria di Porto competente individui con proprio provvedimento la via navigabile alternativa, privilegiando la soluzione extralaguna approvata dalla Commissione di valutazione di impatto ambientale e compatibile con l'attività crocieristica a Venezia, realizzabile in circa 2 anni dalla definitiva approvazione in merito del Cipe.
(4-18703)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta orale:


   MALISANI e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   in Venezuela si presentano sempre con maggiore frequenza, sui media, notizie molto allarmanti rispetto alla situazione sociale, ormai in preda a scontri di piazza sempre più violenti, con decine di morti, molti dei quali minorenni;

   le condizioni di vita della popolazione sono progressivamente peggiorate: vengono a mancare il cibo e le medicine, non vi è alcuna sicurezza per cui i cittadini sono limitati nella propria libertà di movimento, al fine di evitare di esporsi a violenze e assassini;

   ai più alti livelli istituzionali è stata manifestata notevole preoccupazione per lo stato del Paese e in particolare per la situazione dei nostri connazionali, calcolabili oggi in circa 142.000 unità;

   in Venezuela si stima una presenza di circa 15.000 emigranti friulani;

   l'uscita dal Paese per rientrare in Italia è resa difficile dalla situazione politica ed economica e dalla distanza geografica –:

   se non si ritenga necessario assumere ogni iniziativa utile a lenire la preoccupante situazione umanitaria, con un'attenzione specifica nei confronti della comunità italiana residente, compresa quella friulana;

   se non si ritenga opportuno – visto il permanente stato di pericolo – prevedere un piano di rientro e di accoglienza, qualora i nostri connazionali ritenessero inevitabile e necessario l'esodo forzato dal Venezuela.
(3-03404)


   BURTONE e LOSACCO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la situazione politico-istituzionale del Venezuela continua a deteriorarsi;

   da ultimo sostenitori del Presidente Maduro hanno assalito il Parlamento, aggredendo parlamentari dell'opposizione;

   da giorni militanti chavisti hanno innalzato il livello di scontro con aggressioni e sparatorie per le strade;

   vi è crescente preoccupazione tra i membri della numerosa comunità italiana presente nel Paese sudamericano;

   vi sono enormi difficoltà per recuperare cibo e medicinali e il Paese è ormai alle soglie di una guerra civile –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di tutelare adeguatamente la comunità italiana presente in Venezuela considerata la drammaticità della situazione di queste ultimi giorni.
(3-03406)


   LOSACCO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la situazione politica e le relative gravi ripercussioni economiche del Venezuela sono fonte di grande preoccupazione da parte di tutta la comunità internazionale, tanto che, come annunciato nel corso dell'informativa del 17 maggio 2017 in Senato, sarà all'ordine del giorno della prossima riunione del Consiglio di sicurezza dell'ONU;

   tra le voci che hanno espresso preoccupazione, vi sono quelle di Paesi che da sempre hanno rapporti di grande amicizia con il Venezuela, tra cui le autorità brasiliane, il già presidente dell'Uruguay José Mujica; anche ai più alti livelli istituzionali italiani è stata richiamata l'esigenza di rispettare la volontà popolare e i princìpi fondamentali della democrazia;

   anche il Santo Padre ha ribadito come «i gravi problemi del Venezuela si possono risolvere se c'è la volontà di costruire ponti, di dialogare seriamente e di portare a termine gli accordi raggiunti»;

   il Venezuela, durante gli anni ‘50 e ‘60, è stato uno dei luoghi in cui si è maggiormente concentrata l'emigrazione meridionale e della Puglia in particolare, motivo per cui quello che sta accadendo oggi in quel Paese è fonte di preoccupazione anche per tutti quelli che lì oggi hanno amici e parenti. Oggi vivono lì circa 150 mila connazionali, cui si aggiungono le tante imprese italiane, che, nonostante il clima di forte incertezza istituzionale e le gravissime difficoltà economiche, continuano ad operare nel Paese, a riprova del forte legame che da sempre esiste tra l'Italia e questo Paese;

   a riprova della preoccupazione che serpeggia anche nel nostro Paese, non mancano in queste settimane appelli di varia natura e iniziative di carattere istituzionale, come ad esempio quella del consiglio comunale di Triggiano, che in Venezuela ha una propria forte e riconosciuta comunità. Su proposta del Partito Democratico e di altre forze politiche, è stata approvata una mozione con la quale si impegna il Governo a fare il possibile affinché cessino le violenze e si ripristini un corretto dialogo democratico, al fine anche di superare la difficile crisi economica e sociale che affligge il Paese;

   diversi sono gli atti di indirizzo presentati in Parlamento per impegnare il Governo a mettere in campo le opportune iniziative finalizzate alla tutela dei concittadini e delle imprese italiane e ad affrontare nelle sedi internazionali la delicatissima situazione del Venezuela –:

   quali concrete iniziative il Governo intenda porre in essere per la tutela dei connazionali e delle imprese italiane, al fine anche di rispondere alle preoccupazioni di quelle tante realtà del nostro Paese che sono legate, per via dei processi di emigrazione, da uno storico legame con il Venezuela, con la sua storia, con il suo popolo.
(3-03407)


   FEDRIGA, RONDINI e INVERNIZZI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la situazione politica e dell'ordine pubblico in Venezuela non accenna a migliorare;

   lo scontro tra il Governo del Presidente Nicholas Maduro e le opposizioni si acuisce ogni giorno che passa, facendo registrare violenze crescenti contro le persone e le cose;

   la circostanza è motivo di preoccupazione in relazione alla presenza in Venezuela di una folta comunità di cittadini del nostro Paese — composta da non meno di 160 mila persone iscritte all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero — e al rischio che incombe sulla loro incolumità;

   costituirebbe un'aggravante del pericolo la circostanza che simpatizzi per l'opposizione a Maduro la maggioranza dei concittadini italiani residenti in Venezuela e, più in generale, della comunità italo-venezuelana che rappresenterebbe il 5 per cento della popolazione locale;

   l'ulteriore deteriorarsi della situazione potrebbe indurre molti fra i nei concittadini italiani in Venezuela a considerare troppo rischiosa la scelta di rimanere in quel Paese, con la conseguenza di ipotizzare un ritorno in Italia che a quel punto dovrebbe essere organizzato o quanto meno agevolato dal Governo italiano;

   evacuare dal Venezuela i cittadini italiani che intendessero abbandonarlo non è tuttavia operazione da prendere sottogamba, comportando la predisposizione di un ponte aereo o di un'evacuazione via mare a grande distanza dai confini nazionali, da pianificare per tempo –:

   se il Governo stia monitorando l'evolversi della situazione in Venezuela anche sotto il profilo della sicurezza dei concittadini che vi risiedono, e se siano o meno allo studio piani per la tutela della loro incolumità e sicurezza.
(3-03408)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la regione Campania, con decreto dirigenziale n. 257 del 2 maggio 2012, ha autorizzato la costruzione di un impianto di produzione di energia con tecnologia eolica nel comune di Conza della Campania. Gli enti interpellati estendevano il proprio consenso: l'Arpac e l'Asl di Avellino sulla compatibilità elettromagnetica e acustica dell'impianto, il comune di Conza della Campania sul profilo paesaggistico e la comunità montana «Alta Irpinia» sul vincolo idrogeologico. L'opera venne, dunque, considerata di «pubblica utilità, indifferibile e urgente»;

   trascorsi 4 anni, i sindaci dell'Alta Irpinia hanno chiesto una moratoria alla regione Campania contro la proliferazione degli impianti. Nel 2016, la moratoria viene approvata e la regione si impegna a realizzare il piano energetico ambientale regionale ed il piano territoriale regionale;

   nelle more, però, con decreto dirigenziale n. 205 del 4 agosto 2016, il progetto per Conza della Campania prosegue con delle modifiche, senza però alcun riferimento a un nuovo studio sull'impatto ambientale, prevedendo in particolare una proroga dell'inizio dei lavori ad avvenuta definizione del contenzioso al Consiglio di Stato promosso dal comune di Sant'Andrea di Conza;

   senza attendere la pronuncia del giudice amministrativo, però, sono iniziati lavori preliminari nell'area;

   il progetto prevederebbe l'installazione di 10 torri di altezza pari quasi a 200 metri in un'area contigua all'oasi del Wwf del lago di Conza (SIC e ZPS ai sensi delle direttive comunitarie 92/43/Cee «Habitat» e 2009/147/UE «Uccelli») che, in considerazione del pregio ambientale e faunistico ivi contenuto, ben può essere considerata parte integrante dell'oasi stessa;

   sul punto, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha precisato che «in materia di localizzazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, alle Regioni è consentito soltanto individuare, caso per caso, “aree e siti non idonei”, avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti» (Corte Costituzionale n. 13 del 2014). In tale sentenza, la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittimo il criterio della distanza minima di 800 metri dall'aerogeneratore più vicino preesistente o già autorizzato, previsto dalla legge della regione Campania n. 11 del 2011 (articolo 1, comma 2) perché «il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale per individuare “le aree e siti non idonei” alla installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile ai sensi dell'articolo 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003 e del paragrafo 17 delle linee guida, non permette in alcun modo che le Regioni prescrivano limiti generali, valevoli sull'intero territorio regionale, specie nella forma di distanze minime, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell'Unione europea.» (così, ancora, Corte Costituzionale n. 13 del 2014);

   la sentenza 4878 del 18 ottobre 2017 del Tar Campania ha stabilito che «Il territorio è una risorsa limitata e non riproducibile: sicché, se in tali zone è già stato realizzato un considerevole numero di impianti non può essere ritenuto irragionevole un divieto di ulteriori installazioni»; pertanto non possono essere considerate «sature» soltanto alcune zone o paesi, ma la questione riguarda tutta la provincia di Avellino, l'Alta Irpinia in particolare, che ad oggi produce quasi il 7 per cento sul piano nazionale dell'energia proveniente dall'eolico, in grado di soddisfare il bisogno di 160.000 famiglie –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione e delle problematiche descritte e quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza e anche sul piano normativo, per tutelare aree di notevole pregio ambientale prossime a siti di interesse comunitario e zone di protezione speciale e per evitare la proliferazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili in zone già caratterizzate dalla presenza di un considerevole numero di installazioni.
(5-12877)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la legge 4 agosto 2017, n. 124, articolo 1, comma 171, novella il comma 3-bis dell'articolo 108 del decreto legislativo n. 42 del 2014 per estendere le ipotesi in cui la libera riproduzione di beni bibliografici e archivistici non necessita di autorizzazione e per ampliare i casi in cui non è dovuto alcun canone;

   la suddetta novella inserisce, tra le ipotesi per le quali non è dovuto alcun canone per le riproduzioni, quelle eseguite direttamente da privati per uso personale o per motivi di studio ed estende, inoltre, la riproduzione libera relativa ai beni finora esclusi, in particolare quelli bibliografici e archivistici, fatta eccezione per i beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità in ragione del loro contenuto sensibile, ai sensi degli articoli 122-127 del citato decreto legislativo n. 42 del 2004;

   la norma recentemente approvata – e da tempo attesa dal mondo della ricerca – consente quindi agli studiosi di fotografare liberamente, nelle biblioteche e negli archivi pubblici, volumi e documenti per fini culturali, nel rispetto del principio alla riservatezza e del diritto d'autore, purché le riproduzioni siano eseguite, senza flash e senza treppiedi, con dispositivi a distanza che non determinino contatto diretto con il supporto;

   le circolari n. 33 e 39 della direzione generale archivi hanno introdotto una regolamentazione di dettaglio al fine di garantire una applicazione uniforme delle nuove disposizioni di legge, accogliendo altresì due raccomandazioni contenute nella mozione del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici del 16 maggio 2016: l'avvio di una procedura semplificata per le pubblicazioni di immagini in canali editoriali convenzionalmente definiti «non a scopo di lucro» (già dispensate dalla corresponsione di diritti di pubblicazione ai sensi del decreto ministeriale 8 aprile 1994 e della circolare 21/2005 della direzione generale archivi) e cessione gratuita delle digitalizzazioni già disponibili (fermo restando il rimborso all'amministrazione per riproduzioni non altrimenti disponibili, e dunque da richiedere ex novo);

   in sede di prima applicazione, in alcuni istituti sono state adottate alcune procedure che, nei fatti, limitano se non addirittura negano il principio della libera riproduzione, a detrimento del beneficio che la nuova normativa si è proposta di apportare;

   ad esempio, presso l'Archivio di Stato di Napoli risulta ancora necessaria la richiesta di autorizzazione preventiva per la riproduzione con mezzo proprio (come si apprende dal sito web istituzionale);

   analoga procedura di formale richiesta di autorizzazione preventiva è prevista presso l'Archivio di Stato di Palermo ed è giustificata dalla direzione dell'Istituto con riferimento alla natura contestuale del documento archivistico sebbene tale carattere, pur essendo proprio anche delle altre tipologie di beni culturali, non ne impedisca, negli altri istituti, la libera riproducibilità: la sussistenza del vincolo archivistico prescinde infatti dalla riproducibilità dei documenti stessi;

   in un appello pubblico rivolto il 17 novembre 2017 al Ministro interrogato, gli utenti dell'istituto esprimono il proprio dissenso per la procedura adottata e per i disagi che affrontano nel quotidiano lavoro di studio – ben noti prima dell'entrata in vigore della legge n. 124 del 2017 – non ultimo quello di dover necessariamente rivolgersi al servizio di riproduzione a pagamento, trovandosi nell'impossibilità di poter ricorrere al mezzo proprio per la riproduzione della documentazione già liberamente consultabile dagli utenti nella propria postazione; infine la stessa direzione sottopone a tariffa la cessione di digitalizzazioni già predisposte dall'istituto, in luogo di garantire la gratuità prevista dalle circolari della direzione generale archivi precedentemente citate –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;

   quali iniziative ritenga opportuno adottare affinché presso le istituzioni citate sia possibile, nel rispetto della legge 4 agosto 2017, n. 124, la libera riproduzione di beni bibliografici e archivistici.
(5-12871)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALAZZOTTO e PANNARALE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il Governo e il Ministro interrogato hanno più volte annunciato con grande enfasi l'assunzione di archeologi, architetti, archivisti, bibliotecari, restauratori, storici dell'arte e altro;

   inizialmente i posti dovevano essere 500, ampliati successivamente a 800 e di recente aumentati fino a 1.000;

   i bandi per i vari profili sono stati pubblicati nel maggio 2016 – diciotto mesi or sono – ma ad oggi sui tanti posti promessi e presentati come il segno del cambiamento per la gestione e la tutela dei beni culturali in Italia, risultano assunti soltanto in 71, veramente ancora poca cosa che, a giudizio degli interroganti, non può essere presentata come successo della nuova gestione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;

   ad eccezione di poche categorie di cui risultano ancora in corso le prove orali, le graduatorie definitive di merito di tutti gli altri profili sono state pubblicate ormai da tempo ed anzi sul sito del Ministero era stata diffusa persino la notizia di un'ulteriore e imminente assunzione di 127 archivisti, mai verificatasi;

   su tutta la tempistica di questa vicenda assunzionale non si possono non registrare gravissimi ritardi che provocano sconcerto nella pubblica opinione e tra i vincitori e gli idonei interessati, mentre nel frattempo la situazione per i lavoratori del Ministero rimane difficile se non drammatica, rappresentando la crisi profonda in cui versa il settore, crisi che si aggrava progressivamente con danni rilevanti al patrimonio artistico e culturale per l'impossibilità di garantirne un'adeguata tutela;

   inoltre, le informazioni e le dichiarazioni rilasciate dai responsabili del Ministero sono, ad avviso degli interroganti, nella maggior parte contraddittorie e lasciano intravedere i soliti «rimpalli» di responsabilità burocratica in una situazione in cui si ha la netta impressione che non si sappia bene come procedere: ritardi, disorganizzazione, criticità nel lavoro delle commissioni, elenchi pubblicati con errori, ricorsi al Tar, problematiche relative al fatto che alcuni candidati hanno partecipato e vinto concorsi relativi a più profili –:

   se il Ministro interrogato non intenda accertare quali siano state le cause dei ritardi nell'espletamento dei concorsi, e quali iniziative di competenza preveda di assumere una volta accertate le effettive responsabilità;

   in che tempi intenda recuperare il tempo perso e se, come assicurato, tutte le assunzioni saranno garantite per la fine dell'anno.
(4-18707)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nel 2014 nelle carceri sarde ci sono stati 272 atti di autolesionismo, 42 tentati suicidi di detenuti, 33 ferimenti, 25 colluttazioni;

   i dati sono stati resi noti da Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che dopo aver incontrato i rappresentanti sindacali regionali ha lanciato l'allarme sulla situazione degli istituti penitenziari nell'Isola già oggetto di decine di interrogazioni del sottoscritto;

   nelle carceri sarde c'è un evento critico al giorno;

   risultano dislocati in Sardegna molti più detenuti dello scorso anno, e come è stato già denunciato in un precedente atto di sindacato ispettivo, nel nuovo carcere di Uta si è arrivati a montare la terza branda in cella per far fronte all'affollamento;

   per i poliziotti penitenziari in servizio le condizioni di lavoro restano pericolose e stressanti;

   in Sardegna la polizia penitenziaria è sotto organico di oltre 400 unità;

   l'amministrazione penitenziaria, nonostante i richiami di Bruxelles, non ha affatto migliorato le condizioni di vivibilità nelle celle;

   in Sardegna lavorano circa 700 detenuti, il 35 per cento di quelli presenti, quasi tutti (655) alle dipendenze del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria impegnati in lavori di pulizia o, comunque, internamente al carcere, per poche ore a settimana –:

   se non ritenga indispensabile bloccare questo ennesimo grave segnale di sovraffollamento che sta gravemente compromettendo la sicurezza nelle carceri sarde;

   se non ritenga di dover bloccare nuovi trasferimenti, con particolare riferimento all'inaccettabile piano di trasferire in Sardegna i detenuti in regime di «41-bis»;

   se non ritenga di dover coprire con urgenza i 400 posti vacanti nell'organico della polizia penitenziaria.
(3-03410)

Interrogazione a risposta scritta:


   SALTAMARTINI, MOLTENI, FEDRIGA e SIMONETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 15 giugno 2008, è stato indetto il concorso interno per titoli di servizio ed esame, consistente in una prova scritta ed un colloquio, a complessivi 643 posti (608 uomini e 35 donne) per la nomina alla qualifica iniziale del ruolo maschile e femminile degli ispettori del Corpo di polizia penitenziaria;

   con successivo provvedimento 16 gennaio 2017, il numero dei posti del citato concorso interno indetto con P.d.g. 3 aprile 2008 è stato elevato da 643 (seicentoquarantatre) a 1232 (milleduecentotrentadue), di cui 1149 uomini e 83 donne;

   successivamente è stata disposta la rettifica con provvedimento del 16 gennaio 2017 come segue: «il numero dei posti del concorso interno ... è elevato da 643 (seicentoquarantatre) a 1232 (milleduecentotrentadue), di cui 1009 uomini e 223 donne»;

   la prova preliminare preselettiva si è tenuta a Roma dal 22 marzo 2010 al 25 marzo 2010, quella scritta in data 23 marzo 2016 e quelle orali hanno avuto inizio il 17 maggio 2017 e si è conclusa il 22 novembre 2017;

   sono trascorsi quasi 10 anni per concludere una procedura concorsuale «interna», quindi semplificata, dal momento che non era prevista per espressa previsione normativa alcuna prova psicoattitudinale e alcun accertamento di idoneità fisica, trattandosi di personale già incorporato nel Corpo di polizia penitenziaria, una procedura che normalmente avrebbe dovuto immettere in ruolo 643 vice ispettori (oggi 1.232) nel giro di massimo due anni e mezzo;

   a quanto risulta la segreteria generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, ha indirizzato nel mese di novembre 2017 più note al Ministro della giustizia senza mai avere riscontro;

   in esse, tra l'altro, si è chiesto un'urgente convocazione per predisporre il previsto corso di formazione e per valutare gli interventi più idonei al riconoscimento di una retrodatazione giuridica, almeno dal primo giorno dell'anno successivo a quello nel quale si sono verificate le vacanze nel ruolo degli ispettori (nel bando di cui al P.d.g. 3 aprile 2008 vennero indicate tali vacanze in 1.285 posti, 1.216 uomini e 69 donne) –:

   quali iniziative urgenti intenda adottare il Ministro interrogato affinché sia valutata la sussistenza di presupporti per una retrodatazione della decorrenza giuridica della nomina alla qualifica di vice ispettore, atteso che diversi degli idonei allievi vice ispettori – stante l'età anagrafica e i lunghi tempi concorsuali – non avranno, loro malgrado, l'opportunità di progredire nella carriera nel nuovo ruolo di appartenenza, e affinché il previsto corso di formazione possa avere avvio entro fine anno.
(4-18702)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TENTORI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa si apprende che a soli tre anni dall'inaugurazione della galleria Monte Piazzo sulla strada statale 36 del lago di Como e dello Spluga, oggetto di lavori di consolidamento strutturale per un importo pari a circa 35 milioni di euro, i problemi che avevano portato alla chiusura di questa arteria per ben 740 giorni si stanno ripresentando: blocchi di cemento si staccano dal soffitto, i marciapiedi laterali si sono alzati fino a 15 centimetri, crepe verticali attraversano l'intera volta;

   la situazione appare chiaramente grave e in progressivo degrado ed il rischio per le auto, in considerazione del fatto che alcuni pezzi di cemento sono caduti sulla carreggiata, è notevole e immediato;

   sembra essere concreto il rischio di una nuova chiusura dell'arteria stradale legato ai movimenti della montagna che porterebbero ad una rotazione della galleria e potrebbero condurre ad un aumento della velocità di ampliamento delle fratture;

   la strada statale in questione è un asse viario fondamentale per la regione Lombardia, oltre che una delle strade più trafficate di tutta Italia, e non sono presenti percorsi viabilistici alternativi adatti a supportare il carico di traffico pesante che quotidianamente percorre la strada statale 36;

   l'interrogante nel corso della legislatura ha posto con diversi atti di sindacato ispettivo (n. 5-00137; n. 4-00858; n. 2-00528; n. 5-04031) all'attenzione del Governo le criticità connesse alla strada statale 36, comprese quelle relative alla galleria Monte Piazzo –:

   se sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, per scongiurare i rischi sopra citati.
(5-12872)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LAFORGIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   dagli organi di stampa si legge che a Como, il 28 novembre 2017, durante l'assemblea pubblica organizzata dagli aderenti alla Rete Como Senza Frontiere, attivi nell'accoglienza ai migranti, alla presenza di rappresentanti di altre associazioni, sindacati, sigle politiche e persone dai 18 agli 80 anni, si è verificata una irruzione di tredici rappresentanti dell'associazione di estrema destra dal nome Veneto Fronte Skinheads;

   questi ultimi hanno bloccato l'assemblea e hanno dato lettura di un volantino contenente una loro rivendicazione dal titolo «Basta invasioni». Gli operatori dell'associazione non hanno reagito agli insulti degli Skin, limitandosi ad ascoltare le parole di questi estremisti di destra che hanno parlato di una vera e propria sostituzione del popolo italiano con altri popoli. Al termine della lettura da parte del loro portavoce, gli Skinheads si sono allontanati imbrattando alcuni manifesti con le indicazioni delle attività e degli eventi dell'associazione Arci;

   le immagini dell'intimidazione posta in essere dagli Skin è stata immortalata in un video diffuso dall'associazione Baobab Experience, da cui emerge un episodio gravissimo ed inquietante che, seppur non sfociato in nulla di fisico, avrebbe potuto avere conseguenze pericolose;

   comportamenti di questo tipo sono da condannare senza alcuna attenuante, perché incompatibili con ogni forma di democrazia e di senso civico e non possono essere archiviati in una logica di diversità di idee –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere, anche di natura normativa, al fine di scongiurare episodi di intimidazione e violenza da parte di organizzazioni neofasciste;

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governa intenda assumere al fine di garantire una maggiore tutela di tutte quelle associazioni che svolgono attività culturali volte a diffondere sentimenti di accoglienza e di pace.
(5-12873)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   si apprende dagli organi di stampa che giovedì 30 novembre alle 21, nella sala convegni dell'Ater a Verona, si terrà il convegno dal titolo «Per una legittima difesa», patrocinato dal comune e organizzato dall'associazione Fortezza Europa;

   fonti giornalistiche riferiscono che:

    a) il nome deriva dal termine utilizzato dalla propaganda del Terzo Reich per indicare l'Europa continentale sottoposta al predominio politico-militare della Germania nazista; attualmente «Fortezza Europa» è una formazione neonazista – su Facebook è indicata come un'organizzazione politica – nata per le elezioni amministrative svoltesi a Verona a giugno 2017, da una scissione della sezione di Forza Nuova: uno strappo derivato da contrasti proprio per il sostegno dei candidati;

    b) il capo dell'organizzazione politica sarebbe Yari Chiavenato, già segretario provinciale di Forza Nuova, naziskin e ultrà del Verona, arrestato nel ’96 per avere appeso in curva un manichino con la faccia dipinta di nero, impiccato e simboleggiante il giocatore olandese di colore Michel Ferrier che la società scaligera voleva acquistare. Maglie nere con croce celtica, i «fortezzini» si ritrovano in zona San Zeno. Alternativa sia a Forza Nuova che a CasaPound, «Fortezza Europa» ambirebbe a diventare una comunità nazionalsocialista locale;

   in questo quadro, la nota contenuta sulla locandina dell'evento del 30 novembre 2017 «Per gli iscritti all'Ordine degli Avvocati, la partecipazione consente di acquisire n. 1 crediti formativi in materia di diritto penale», ha sollevato proteste e polemiche di gruppi di legali che hanno scritto al presidente dell'ordine per chiedere la revoca dell'accreditamento; si legge nella lettera: «Riteniamo che siano sempre utili le occasioni di dibattito dialettico nelle materie di diritto su questioni controverse anche a livello di opinione pubblica. Siamo però convinti che in tali occasioni vadano considerati i contenuti e le modalità di strutturazione dell'evento, nonché la qualifica dei soggetti e la natura delle associazioni coinvolte o promotrici, per valutare se l'evento abbia un valido contenuto formativo sotto il profilo giuridico, tale da meritare l'accreditamento, e se siano rispettati i principi e il primato che in uno Stato di diritto ha la Costituzione in ogni sua parte»;

   il presidente dell'associazione ha replicato alle accuse affermando che: «La nostra associazione non si occupa di storia e il nome stesso è stato scelto da un'esigenza di esprimere i concetti di identità e di difesa da un'ondata migratoria che rischia di sfigurare la fisionomia delle nostre terre e le radici della nostra tradizione»;

   a giudizio degli interroganti tali affermazioni contengono contenuti e intenti xenofobi e razzisti che giustificano le reazioni di sdegno dei tanti professionisti che hanno visto nel convegno – che già solo dal nome dell'associazione organizzatrice, richiamandosi al Terzo Reich, appare in palese contrasto con il dettato costituzionale, della legge Scelba e della legge Mancino – un intento strumentale di spacciare per iniziativa formativa e giuridica un incontro che appare agli interroganti di chiara propaganda, privo dei requisiti culturali e scientifici per l'accreditamento –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e se non ritenga opportuno assumere iniziative per quanto di competenza, per monitorare attività di movimenti e associazioni di estrema destra, come «Fortezza Europa», per scongiurare l'espansione di formazioni politiche e sociali di matrice nazi-fascista, xenofoba e razzista, in contrasto con l'ordinamento democratico e antifascista dello Stato Italiano;

   se, alla luce dell'aumento nel territorio italiano di attività e iniziative che mascherano tentativi di rigurgiti nazi-fascisti, non ritenga urgente intervenire, promuovendo una campagna divulgativa nazionale che informi le nuove generazioni sulle sanzioni previste dalle leggi italiane per i reati relativi a gesti, azioni e diffusione di slogan legati all'ideologia nazifascista, alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.
(4-18708)


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 6 novembre 2017 il consiglio comunale di Vigolzone (Piacenza) ha adottato una delibera (atto n. 60 del 6 novembre 2017) che introduce alcune novità in ordine al luogo in cui si tengono le sedute del Consiglio e, in particolare all'esposizione delle bandiere;

   tale delibera, approvata con 9 voti favorevoli e 3 contrari, ha effetto immediato (ai sensi dell'articolo 134, comma 4, del decreto legislativo n. 267 del 2000) e stabilisce:

    1) di abrogare l'articolo 40, rubricato «Esposizione delle bandiere», del regolamento per il funzionamento del consiglio;

    2) di modificare l'articolo 41 dello stesso regolamento, rubricato «luogo», prevedendo: «Le sedute del Consiglio si svolgono, a discrezione del Sindaco, nell'apposita sala della sede municipale o nella sala convegni del centro civico»;

   in particolare, secondo il testo della delibera, la modifica dell'articolo 40 rubricato «Esposizione delle bandiere», del regolamento citato, stabilisce la non obbligatorietà dell'esposizione della bandiera italiana, in quanto i luoghi individuati per le riunioni consiliari sono già di per sé identificativi di edifici pubblici;

   la delibera comunale, in sostanza, modifica la tradizione del consiglio comunale stabilendo che la classica sede municipale non costituisce più la sede unica per le riunioni consiliari e soprattutto elimina l'obbligatorietà di esporre la bandiera italiana durante lo svolgimento delle stesse –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda adottare iniziative normative per definire una disciplina più puntuale in ordine all'esposizione della bandiera italiana da parte delle pubbliche amministrazioni.
(4-18709)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   nel libro di testo «Rossofuoco» di Rosa Dattolico, edito da «Ardea Web s.r.l.» e destinato alla classe terza della scuola primaria, è riportato, nella sezione «Racconto realistico», un esempio tratto dalla raccolta «Il cielo che si muove» di Mario Lodi;

   l'intento è evidente ente quello di educare i bambini ad un corretto approccio con il «diverso», ma il tentativo appare all'interrogante a dir poco maldestro. Nel brano citato, infatti, si legge testualmente: «Di gatti ne ho abbastanza mi piacerebbe un cane di razza». E ancora «Un giorno la gatta nera partorì quattro micetti e lo zio Piero li fece sparire»;

   è chiaro che il testo, contrariamente al suo scopo, di fatto propone un contenuto diseducativo, non rispondente ai principi, anche di legge, che orientano il corretto rapporto uomo-animale e il possesso responsabile degli animali da compagnia;

   il brano, infatti, evoca una distinzione ingiustificata tra animali di razza e meticci e soprattutto prospetta, come del tutto naturale ed accettabile, la possibilità di «far sparire», cioè di uccidere, dei cuccioli di gatto allontanati dalla madre prima dello svezzamento;

   il tutto appare all'interrogante addirittura paradossale, visto che il brano è contestualizzato tra i percorsi di cittadinanza ed educazione civica –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;

   se il Ministro non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per promuovere un'informazione corretta nelle scuole, anche con riferimento al materiale di studio, per evitare la diffusione di approcci diseducativi rispetto ai principi della normativa vigente sul rapporto uomo-animale e sul possesso responsabile degli animali da compagnia;

   quali iniziative intenda assumere, ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 189 del 2004, per promuovere l’«effettiva educazione degli alunni in materia di etologia comportamentale degli animali e del loro rispetto, anche mediante prove pratiche».
(4-18705)


   BASILIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la Rocca di Lonato è una costruzione fortificata che sovrasta il centro abitato di Lonato del Garda, in provincia di Brescia. Nel 1920, la struttura, appartenuta ai Conti di Montichiari, degli Scaligeri, e dei Visconti, venne acquistata dal senatore Ugo Da Como che con proprio testamento dispose la fondazione di un ente autonomo a cui dovevano afferire i beni mobili e immobili tra cui proprio la Rocca di Lonato;

   a seguito di tali disposizioni, con regio decreto del 1942 fu istituita la «Fondazione Ugo Da Como»;

   lo scopo statutario della Fondazione è quello di «promuovere e incoraggiare gli studi, stimolandone l'amore nei giovani» ed «è posta sotto la tutela e vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione», così come da statuto (articolo 1);

   in data 14 maggio 2007 l'ufficio area tecnica del comune di Lonato del Garda, a quanto consta all'interrogante, autorizzava l'installazione di una struttura temporanea presso la Rocca per manifestazioni estive, dando allo stesso tempo disposizioni che tale struttura dovesse essere rimossa entro il 30 settembre 2007;

   soltanto in data 28 novembre 2016 l'ufficio sopraindicato disponeva che i luoghi dovessero essere ripristinati nello stato antecedente il rilascio della citata autorizzazione transitoria, con conseguente rimozione della struttura temporanea;

   la struttura temporanea in questione, un «tendone-tensostruttura», in oltre 10 anni è stata «utilizzata principalmente per cene e ricevimenti», come scritto nella relazione del tecnico progettista del nuovo edificio;

   le «attività di organizzazione di matrimoni, eventi aziendali, ricevimenti e feste private» vengono testualmente riportate nel sito ufficiale del Fondazione (www.fondazioneugodacomo.it), sezione «wedding and events», nel sito della Armony & Service srl (www.armonyandservice.it), e nel sito della Padovani Bernuzzi Catering srl (www.padovanibernuzzicatering.it);

   in data 9 gennaio 2017 la Fondazione Ugo Da Como effettuava richiesta di autorizzazione per la costruzione di un nuovo padiglione per eventi con attività di ristorazione, sempre all'interno della Rocca, in sostituzione dell'ancora esistente struttura temporanea sopramenzionata;

   tale nuovo padiglione presenta una superficie di 500 metri quadrati, per una capienza superiore a 400 persone, con un volume realizzato in vetro e acciaio;

   tale progetto ha già avuto il parere favorevole della Sopraintendenza di Brescia, della ATS Brescia e del dipartimento dei vigili del fuoco;

   la giunta comunale ha emanato un'apposita delibera (n. 159) in data 17 ottobre 2017;

   l'ufficio area tecnica del comune di Lonato ha emanato permesso a costruire il 20 novembre 2017, dove si specifica che la destinazione del nuovo padiglione sarà di centro culturale e l'attività di ristoro dovrà essere complementare all'attività prevalente del centro culturale. Pertanto, non può essere autorizzato lo svolgimento di un'attività di somministrazione di alimenti e bevande in forma autonoma e indipendente dalla manifestazione di carattere culturale –:

   quali urgenti iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere per verificare che negli anni la Fondazione abbia svolto le sue attività all'interno della Rocca nel rispetto degli scopi e delle finalità costitutive e delle normative ambientali e architettoniche che riguardano la Rocca e la sua destinazione d'uso e, nel caso in cui tali finalità o normative non siano state rispettate, quali iniziative di competenza intendano intraprendere nei confronti della Fondazione e degli altri soggetti istituzionali interessati;

   quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere per verificare che il nuovo edificio non sia in contrasto con le normative vigenti, evitando così lo snaturamento dell'aspetto ambientale e architettonico della Rocca Viscontea di Lonato e dell'integrità del bene;

   quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere per verificare che le attività future della Fondazione, previste nel sito in questione, siano svolte nel rispetto delle finalità statutarie, delle normative vigenti e delle prescritte autorizzazioni.
(4-18706)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   stanno manifestando da giorni i lavoratori dell'ex call center Qè di Paternò (Catania), composto da seicento persone che hanno perso l'occupazione a causa della «gestione scriteriata e truffaldina» (così si legge nella loro comunicazione inviata alle autorità nazionali e regionali), della società fallita che gestiva la struttura;

   queste persone, padri e madri di famiglia, reclamano i loro diritti di lavoratori: oltre ad aver perso il posto di lavoro, non hanno ricevuto sei mensilità e il tfr;

   inoltre, chiedono che venga «riportata nel territorio la commessa Inps-Inail che ha rappresentato la colonna portante del call center». Inps e Inail, infatti, sono gli enti con i quali il call center di Paternò era collegato per fornire il servizio informativo ai numerosi utenti che ne facevano richiesta;

   addirittura 233 ex lavoratori del call center in questione, il 23 novembre 2017, pur di sollecitare un intervento delle istituzioni a loro salvaguardia, hanno occupato i locali del comune di Paternò, poiché il 6 dicembre 2017 scadranno gli ammortizzatori sociali, e, dunque, perderanno anche ogni sostegno al reddito;

   è necessario e urgente pervenire a delle idonee soluzioni, con il coinvolgimento delle parti sociali e delle istituzioni territoriali, per garantire i volumi di lavoro, attraverso la riassegnazione della commessa Inps-Inail e riconoscere forme temporanee di sostegno al reddito, quali possano essere gli ammortizzatori sociali in deroga, o eventuali ammortizzatori straordinari, al fine di garantire la necessaria continuità di reddito a questi lavoratori, in attesa di una loro ricollocazione –:

   se e quali immediate iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per salvaguardare e tutelare i lavoratori dell'ex call center Qè di Paternò.
(5-12874)


   PRINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   molti pensionati, abitualmente definiti autonomi, stanno riscontrando il mancato riconoscimento, da parte dell'Inps dei contributi da lavoratore dipendente versati dal datore di lavoro prima del 1974;

   ciò è accaduto perché nel passaggio da sistema manuale a quello informatizzato, l'Inps non ha accreditato sul sistema il valore di tutti i contributi versati in precedenza;

   a questi pensionati l'Inps fornisce un estratto conto previdenziale in cui riconosce le settimane di lavoro svolte senza inserire nei conteggi della pensione mensile il valore dei contributi versati, che, in qualche caso, ammontano a considerevoli cifre di centinaia di migliaia di euro;

   per risolvere il problema l'Inps avrebbe dovuto fare una puntuale ricerca negli archivi cartacei provinciali che per molti casi concreti, a quanto consta all'interrogante non ha effettuato e non risulterebbe stia effettuando;

   alle legittime richieste dei pensionati e dei patronati di competenza per avere l'accesso agli atti amministrativi, l'Inps non starebbe dando risposte;

   questa situazione sta danneggiando molti cittadini per i quali parte della pensione è conteggiata col metodo contributivo, dove il conteggio viene effettuato sui contributi versati e non sugli anni di lavoro svolto, con conseguente sottrazione del credito maturato –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale problematica e se intenda intervenire affinché l'Inps provveda ad una rapida soluzione delle criticità sopra esposte.
(5-12875)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   in data 1° novembre 2017 l'agenzia di somministrazione lavoro Manpower annuncia a 530 lavoratori dislocati presso lo stabilimento Fca di Cassino di dover troncare il rapporto di lavoro, presumibilmente per cessata richiesta della società committente;

   questo episodio confligge pesantemente con le dichiarazioni di Fca, che aveva annunciato 1.800 assunzioni entro il 2018 e che oggi invece conferma solo 300 precari su 830, senza nemmeno garantire loro un futuro stabile;

   è lecito a questo punto anche nutrire dubbi sulla serietà del piano industriale che stava alla base delle ottimistiche previsioni, se è vero che il pur significativo incremento nelle vendite dei modelli prodotti a Cassino non è stato nemmeno sufficiente a garantire la prosecuzione e stabilizzazione dei posti di lavoro in essere;

   d'altra parte, non si può evitare il dubbio che la politica del personale diretta e indiretta di Fca sia pesantemente influenzata dalla politica di sgravi fiscali e contributivi messa in campo dagli ultimi Governi;

   non si sa, infatti, se Manpower avesse assunto i dipendenti destinati allo stabilimento di Cassino con un contratto a tutele crescenti e se, in tal caso, avesse usufruito di incentivi, ma è ormai nota l'intenzione del Governo di concedere sgravi per determinate tipologie di assunzioni nel 2018;

   dati i diversi criteri di individuazione delle categorie da premiare, sarebbe veramente uno scandalo se si scoprisse che dopo aver fruito indirettamente di fondi pubblici nell'ultimo anno, l'impresa lasciasse ora a casa 530 lavoratori per sostituirli con altri rispondenti ai nuovi criteri dettati dalla legge di bilancio –:

   se sia a conoscenza della tipologia di contratto con la quale sono stati assunti da Manpower i 530 lavoratori licenziati e se siano stati applicati per essa sgravi contributivi;

   se siano eventualmente applicabili al sito di Cassino, per nuove assunzioni tramite contratto di somministrazione, le tipologie di sgravi che il Governo avrebbe intenzione di rendere operative dal 2018.
(4-18704)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta orale:


   GUIDESI e RONDINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   con una nota il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha comunicato agli assessorati per l'agricoltura delle regioni che, in un'ottica di razionalizzazione della spesa pubblica, le risorse destinate al «Programma dei controlli funzionali svolti dalle Associazioni degli Allevatori (ARA/APA) per ogni specie, razza o tipo genetico» per l'anno 2017 vengono ridotte passando dai previsti 22,506 milioni di euro ai 7,206 milioni di euro, con un taglio di circa il 72 per cento;

   la decurtazione trae origine da una intesa formalizzata tra Governo, regioni e province autonome di Trento e Bolzano in data 23 febbraio 2017 in sede di Conferenza Stato-regioni, in attuazione delle disposizioni contenute nei commi 680 e 682 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) concernente il contributo alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario per l'anno 2017;

   il 20 aprile 2017 la Conferenza Stato-regioni ha proceduto ad esaminare, sancendo la mancata intesa, il programma dei controlli dell'attitudine produttiva per la produzione di latte e/o carne (controlli funzionali – CCFF) per l'anno 2017 predisposto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e trasmesso alla Conferenza in data 15 marzo 2017. In quell'occasione, sembra che sia stato sottoposto alle regioni un documento che nei contenuti finanziari risultava già non fedele alla realtà, in quanto riferito alla precedente dotazione senza che ne sia stata data opportuna comunicazione;

   nel verbale della seduta del 20 aprile si legge che nella precedente riunione tecnica del 3 aprile era stato registrato l'avviso favorevole delle regioni al programma, ad eccezione della regione Lombardia, che, pur prendendo atto dello sforzo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nella rimodulazione dei criteri che determinano il riparto delle risorse, ha ritenuto gli stessi sostanzialmente immutati ed ha espresso parere sfavorevole all'intesa;

   questo taglio ha riguardato tutti i Ministeri, ma, mentre gli altri si sono impegnati per ripristinare i fondi attraverso diverse modalità di finanziamento – per esempio il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha previsto un reintegro dei fondi del welfare – il Ministro interrogato sembra all'interrogante aver operato pedissequamente il disimpegno dei fondi da trasferire alle regioni e non abbia invece proceduto a trovare risorse alternative per reintegrare quelle decurtate;

   non si può permettere che il taglio, giustificato da obbiettivi di finanza pubblica, ricada sul lavoro degli allevatori privando in questo modo la zootecnia italiana di servizi fondamentali che assicurano la qualità e la salubrità del made in Italy. Questi tagli causeranno un danno enorme al sistema allevatoriale italiano, che ha sempre rappresentato garanzia assoluta per il mantenimento qualitativo del latte italiano, fiore all'occhiello dell'agricoltura del Paese;

   sarebbe opportuno, ad avviso dell'interrogante, indire nel più breve tempo possibile una riunione della Commissione politiche agricole (Cpa) della Conferenza Stato-regioni dedicata all'argomento, affinché gli assessori per l'agricoltura delle regioni possano esprimersi su di una soluzione alternativa al taglio in questo ambito, in quanto vanno garantiti gli aiuti destinati alla tutela della biodiversità e al sostegno del sistema delle associazioni degli allevatori –:

   se non ravvisi la necessità di presentare un nuovo programma di controlli funzionali 2017 nel caso in cui non si volesse procedere al ripristino dell'originaria dotazione tramite forme alternative di finanziamento.
(3-03405)


   GAGNARLI, PARENTELA e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 157 del 1992, all'articolo 10, reca disposizioni per la redazione dei piani faunistici-venatori, ossia l'individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico-venatorie e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale;

   si tratta di strumenti fondamentali per la gestione dell'attività venatoria, che devono prevedere tra le altre cose, le zone di protezione, le aree e le modalità in cui può svolgersi la stessa, anche in rapporto alle problematiche ambientali e alle esigenze di conservazione della natura;

   i piani faunistici — demandati dalla stessa legge 157 del 1992 alle regioni mediante il coordinamento dei piani faunistici-venatori provinciali, — hanno una validità temporale ridotta (circa cinque anni) anche perché, con il passare del tempo, si modificano le caratteristiche del territorio, dell'ambiente, degli animali che lo popolano e di conseguenza verrebbero meno gli obiettivi dello strumento di cui sopra;

   all'apertura della stagione venatoria 2017/2018 solo dieci regioni dispongono di un piano venatorio valido (solo quattro hanno un piano redatto negli ultimi cinque anni), nelle altre questo strumento è inesistente o scaduto;

   secondo i dati diffusi dalla Lipu (Lega italiana protezione uccelli), in Abruzzo, il piano approvato nel 1996 è scaduto 12007, in Basilicata è scaduto nel 2003, mentre nelle Marche e in Toscana è scaduto nel 2015. Dal 2016 non è più valido neppure quello della Puglia. La provincia autonoma di Bolzano, la regione Liguria e la Sardegna non ce l'hanno, mentre l'Emilia Romagna, la Lombardia e il Piemonte non hanno ancora concluso l'iter iniziato rispettivamente quest'anno, nel 2014 e nel 2013;

   tra quelli vigenti, ci sono il piano faunistico della Calabria, approvato nel 2003, quello della provincia autonoma di Trento (2010), dell'Umbria (2009), della Valle d'Aosta (2008) e del Veneto, approvato dieci anni fa. E poi c'è il caso del Lazio, dove vige un piano approvato nel lontano 1998. Più recenti solo quelli della Campania e della Sicilia (approvati entrambi nel 2013), del Friuli Venezia. Giulia (2015) e del Molise (2016);

   tali evidenti lacune e ritardi hanno effetti anche sui siti della rete Natura 2000 dove la caccia è consentita a patto che siano osservate le disposizioni sui criteri minimi uniformi e sia effettuata la valutazione d'incidenza ai sensi della direttiva 92/43/CEE «Habitat»; ma in sole tre regioni (Campania, Friuli-Venezia Giulia e Sicilia) la valutazione d'incidenza è stata realizzata in tempi recenti mentre nelle restanti è obsoleta o addirittura mai realizzata;

   una mancanza, quest'ultima, che potrebbe rappresentare il rischio di una nuova infrazione della direttiva 92/43/CEE, con tutte le conseguenze del caso;

   in questo contesto, è importante ricordare che, in Italia, è ancora possibile cacciare cinque specie di uccelli classificati dal nuovo rapporto Birds in Europe come «Spec 1», specie minacciate a livello globale. Si tratta della tortora selvatica, della coturnice, della pavoncella, del moriglione e del tordo sassello, che andrebbero immediatamente sospese dai calendari venatori e considerate oggetto di speciali interventi di tutela, ma che invece oggi possono essere cacciate tranquillamente –:

   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza, se del caso anche di carattere normativo, affinché i piani faunistici-venatori siano costantemente aggiornati dalle regioni italiane, nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 10 della legge n. 157 del 1992;

   se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare la realizzazione delle valutazioni di incidenza ambientale dei piani che riguardano siti che ricadono all'interno della Rete Natura 2000, così come previsto dalla direttiva «Habitat», al fine di non incorrere in una nuova procedura di infrazione europea e consentire una maggiore e più efficace tutela degli animali di tali aree;

   se non intenda, anche sentito il parere dell'ISPRA assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché sia prevista l'esclusione delle specie classificate in condizioni di conservazione sfavorevoli, e in particolare le cosiddette Spec 1, dai calendari venatori, su tutto il territorio nazionale.
(3-03409)


   CAPEZZONE e LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la crisi di un settore di eccellenza, come quello apistico italiano sta mettendo in estrema difficoltà un'attività di interesse nazionale;

   oltre l'80 per cento delle coltivazioni europee (circa 4 mila varietà di verdure e la maggioranza della frutta) esistono solo grazie al servizio reso da questi insetti;

   le pessime condizioni meteo degli ultimi anni (alternanza tra elevate temperature con fioriture anticipate e forte abbassamento delle temperature con gelate improvvise e durature) hanno provocato ingenti danni alle produzioni, danni riscontrati soprattutto sulla pianta di Robinia pseudoacacia;

   con un aggravio dei costi, gli apicoltori sono intervenuti con nutrizioni di emergenza a base di sciroppi zuccherini per consentire la sopravvivenza degli alveari;

   altri elementi che, in questo ultimo quinquennio, hanno determinato una forte riduzione della produzione di miele sono stati gli spopolamenti, gli avvelenamenti e la difficoltà di contenere l'infestazione da varroatosi;

   tutto ciò ha provocato un crollo del 70 per cento dei risultati produttivi del settore e, di riflesso, un aumento del 13 per cento delle importazioni dall'estero di miele soprattutto dalla Cina, Romania e Ungheria;

   tali prodotti, spesso realizzati con pollini geneticamente modificati, ovviamente non soggiacciono ai rigorosi controlli previsti nel nostro Paese a tutela del consumatore;

   l'entità dei danni subiti, l'impossibilità di inserire l'apicoltura nei piani assicurativi nazionali e l'assenza di specifici sgravi fiscali e/o misure di sostegno rischiano seriamente di compromettere l'intero settore –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della crisi che coinvolge il settore apistico italiano e quali azioni intenda porre in essere per tutelare un'eccellenza nel panorama zootecnico italiano.
(3-03411)

Interrogazione a risposta scritta:


   GARAVINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge n. 91 del 2017, recante Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno, convertito dalla legge n. 123 del 2017, contiene disposizioni in favore dell'imprenditoria giovanile del Sud, tra cui rileva la misura denominata «Resto al Sud» e quella relativa al recupero e alla valorizzazione delle terre abbandonate e incolte;

   la misura «Resto al Sud» (articolo 1 del decreto-legge) prevede incentivi per i giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni, a condizione di taluni requisiti soggettivi per accedervi, tra cui anche la residenza all'estero, al fine di promuovere nuove imprese nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia;

   per quanto concerne la «Banca delle terre abbandonate o incolte» (articolo 3 del decreto-legge) si prevede che, in via sperimentale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, i comuni di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia provvedano a una ricognizione di terreni ed aree di cui sono titolari per poterli assegnare, in concessione o in affitto, a soggetti in età compresa tra i 18 e i 40 anni, successivamente all'emanazione di bandi da parte dei comuni medesimi, nel rispetto dei principi stabiliti dalla norma in esame e dalla legislazione vigente in materia di terre incolte e abbandonate, sia statale che regionale. Lo scopo della misura è quello di un recupero produttivo con la promozione di nuove imprese nel settore agricolo, artigianale, commerciale e turistico-recettivo (con priorità ai progetti di riuso di immobili dismessi che escludano ulteriore consumo di suolo non edificato e a quelli con elevati standard di qualità architettonica e paesaggistica) ma anche quello di salvaguardare gli equilibri idrogeologici e l'ambiente;

   la procedura indicata ai commi 16 e 17 dell'articolo 3 del decreto-legge prevede che i comuni trasmettano alle regioni l'elenco dei beni censiti ed assegnati ai fini dell'inserimento nella banca delle terre agricole, stabilendo che coloro che intendano realizzare attività artigianali, commerciali e turistico-ricettive possano usufruire dell'incentivo «Resto al Sud», con estensione anche alle imprese agricole;

   nonostante l'ampiezza di definizioni di cui all'articolo 3 del decreto-legge, la disposizione relativa alla banca delle terre abbandonate, a differenza della misura «Resto al Sud», non menziona esplicitamente tra i requisiti soggettivi (se non quelli relativi all'età) anche quello relativo alla residenza all'estero, pur essendo rilevante l'ipotesi che giovani del sud attualmente residenti all'estero (e non solo in Europa) possano essere coinvolti in un tale ambizioso progetto, al fine di incentivare un loro rientro o un loro contributo in attività di valorizzazione di aree abbandonate o incolte, specialmente se in connessione con le loro terre d'origine;

   in assenza di una chiara determinazione di legge circa i requisiti dei soggetti beneficiari della misura relativa alla valorizzazione delle terre abbandonate e incolte, demandando agli enti locali in sede di emanazione dei bandi l'interpretazione estensiva o restrittiva di talune definizioni, si rischia di produrre una non corretta o quantomeno non uniforme applicazione della misura nei diversi territori –:

   se non ritengano i Ministri interrogati, di concerto e nell'ambito delle proprie competenze, di dover intervenire, mediante iniziative normative o promuovendo l'adozione di linee guida, per definire un'applicazione omogenea ed uniforme, coerente con la ratio della norma, al fine di ricomprendere espressamente anche i residenti all'estero tra i beneficiari della citata misura, analogamente a quanto previsto dalla misura «Resto al Sud», scongiurando l'ipotesi che giovani italiani residenti all'estero possano essere esclusi da progetti di valorizzazione ricadenti nelle proprie terre d'origine.
(4-18701)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   un articolo de Il Sole 24 ore asserisce che le cure per le dipendenze nel nostro Paese, considerato lo scenario epidemiologico che è assai complesso, richiedono un approccio clinico interprofessionale e interdisciplinare;

   a causa della riduzione delle risorse destinate all'assistenza sanitaria, del mutamento epidemiologico e della gestione sanitaria regionale non omogenea nel Paese, vi è la necessità di trovare soluzioni per l'esercizio della clinica delle dipendenze;

   i SerD, sono le 580 strutture del sistema sanitario nazionale presenti in ogni asl e svolgono l'attività, in collaborazione e sinergia con le comunità terapeutiche di recupero, le locali amministrazioni, la scuola, gli altri servizi dell'asl e il volontariato; infatti, i pazienti che fanno uso di droghe o sono affetti da altre dipendenze sono curati nei SerD;

   gli operatori dei SerD sono circa 7.200, tra cui medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, educatori professionali e personale amministrativo;

   nei servizi per le dipendenze ogni anno si curano più di 300 mila pazienti affetti da patologie da dipendenze, principalmente eroina, cocaina, alcol, tabacco, cannabinoidi, psicofarmaci e gioco d'azzardo patologico;

   gli articoli 28 e 35 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 marzo 2017 sui livelli essenziali di assistenza, specificano il mandato istituzionale dei SerD e di tutto il sistema d'intervento sulle dipendenze;

   tuttavia, gli operatori interessati sono preoccupati che quanto contenuto nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non possa essere messo in atto per la mancanza di risorse economiche disponibili;

   il trattamento delle patologie correlate all'uso di sostanze e di altre patologie che creano dipendenza necessita di personale qualificato in grado di offrire al paziente la qualità delle cure, ma gli stessi operatori lamentano che, da molti anni, non si offrono a sufficienza nuovi interventi per le diverse manifestazioni della dipendenza, lamentando anche i troppi precari che non vengono assunti a ruolo, poiché, per far fronte alle esigenze, è necessario nuovo personale;

   in molte asl ci sono lunghissime liste di attesa per accedere ai servizi del SerD e ciò determina la difficoltà del paziente di potersi curare;

   in molte regioni, soprattutto dove è in corso un processo di riforma e riorganizzazione del sistema sanitario, si sta procedendo ad accorpare i SerD con altri servizi, in totale contraddizione con i bisogni emergenti della popolazione e con le rilevazioni epidemiologiche relative alle patologie direttamente e indirettamente connesse al consumo a rischio e alla dipendenza;

   quanto sta per accadere è incomprensibile, perché danneggia e rende ancora più sole le persone e le famiglie particolarmente fragili, in contrapposizione con il fenomeno sempre in evoluzione ed espansione delle dipendenze;

   alcune settimane fa, le principali società scientifiche dell'area delle dipendenze e della salute psichica dei cittadini, hanno proposto una carta dei servizi per valorizzare la rete specialistica e integrata dei servizi a tutela dei malati e in applicazione dei livelli essenziali di assistenza con l'obiettivo di mettere al centro la persona, lotta all'emarginazione, la specificità e l'appropriatezza degli interventi –:

   se trovi conferma quanto sopra riportato;

   quali siano i motivi che hanno portato a depotenziare il servizio sanitario pubblico per le dipendenze, nonostante si affermi di voler assicurare la promozione della salute dei cittadini e la cura delle patologie di tipo cronico;

   se non si ritenga di assumere iniziative per fare sì che i SerD forniscano un'offerta in funzione delle diverse utenze, per trovare soluzioni che possano mirare alla cura specifica dei più giovani e per sviluppare gli interventi d'integrazione in modo da consentire il riconoscimento precoce del disagio e anticipare la presa in carico dei pazienti.
(5-12876)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:

   l’Information Technology Services (I.T.S.) è stata fondata nel 1994 con l'obiettivo di diventare un polo tecnologico di livello internazionale specializzato in progettazione e realizzazione di sistemi informativi e soluzioni che integrassero le tecnologie dell'informazione, delle telecomunicazioni e della multimedialità;

   inizialmente si trattava di una partecipata che vedeva la famiglia Altieri come socio di maggioranza ed una partecipazione di Sviluppo Italia, società a controllo statale finalizzata al rilancio dello sviluppo industriale del Mezzogiorno d'Italia, dopo la scomparsa della Cassa del Mezzogiorno;

   successivamente Sviluppo Italia è uscita dall’asset societario, lasciando l'intera I.T.S. in mano alla famiglia Altieri che nel 1998 fondò la T.P.M., finanziaria con cui controllava la I.T.S.;

   nel 2008 è partita la chiusura graduale di tutte le sedi sparse con accentramento delle attività nella sede di Torre Annunziata, dove si è cercato di riprodurre le funzioni prima dislocate altrove (laboratori di sviluppo software, centro servizi per le telecomunicazioni, centro di formazione, auditorium, centro di ricerca, hub satellitare e data center);

   tale scelta non si è rivelata vincente, certo anche per problemi logistici che hanno posto l'I.T.S. in una posizione fortemente decentrata rispetto ai focal point di interesse tecnologico, ma anche per scelte manageriali a giudizio degli interroganti sbagliate;

   vi è stato dunque un decremento dei fatturati specifici, con conseguente chiusura di rami di azienda (sono cessate di fatto le attività di Itform, T&M e Denaro TV);

   dal secondo trimestre del 2008 non sono stati più versati i fondi pensionistici integrativi, dopodiché l'I.T.S. ha palesato lo stato di crisi, richiedendo la cassa integrazione per oltre trenta dei circa duecentocinquanta dipendenti;

   nella stessa fase vengono abbandonati pezzi rilevanti del management tecnico, con il rimanente personale di riferimento incapace ovviamente di gestire la moltitudine di attività;

   nel mentre l'I.T.S. s.p.a. ha incominciato ad accumulare deficit e perdite di esercizio, fino ad operare nel 2011 una riorganizzazione con il conferimento in ITSLAB s.r.l. (azienda sempre di proprietà della famiglia Altieri costituita nel 2005) di mercato e dipendenti della precedente I.T.S., proseguendo con gli ammortizzatori sociali anche nel nuovo assetto societario e coinvolgendo tutti i lavoratori delle funzioni aziendali chiuse considerati non ricollocabili;

   l'ITSLAB è dunque partito con il fardello deficitario ereditato da I.T.S. con un pregresso di passività pari a 36.917.993,00 euro;

   lo stesso Criai ha subito forti ridimensionamenti, fino all'uscita dall'assetto consorziale di tutti i partner e la chiusura della sede di Portici;

   alla fine del 2014 è stata chiusa anche la sede di San Nicola la Strada (CE), messa in piedi con un sostanzioso finanziamento pubblico, e gli addetti coinvolti dalla chiusura furono in parte aggregati a Torre Annunziata, in parte messi in mobilità volontaria e in cinque licenziati (ma successivamente il tribunale competente ha stabilito il reintegro, non sussistendo ragioni di giusta causa per il licenziamento);

   all'inizio del 2015 la situazione è ulteriormente peggiorata, con il trasferimento in ITSLAB di ulteriori venti unità da ITSYS (controllata di I.T.S. che da allora risulta un contenitore vuoto con un solo dipendente);

   la cassa integrazione è andata avanti fino all'aprile di quest'anno e a seguire è stato sottoscritto un contratto di solidarietà con scadenza il 2 dicembre 2017, oltre la quale «il nulla»;

   da allora niente è stato fatto in termini di programmazione o di ricerca di nuovi clienti;

   il 17 ottobre 2017 l'Itslab ha prodotto istanza di concordato preventivo per evitare la procedura di fallimento e le sue gravi conseguenze;

   ciò però ha comportato la decadenza di tutti gli ammortizzatori;

   negli scorsi giorni l'azienda ha promosso istanza di licenziamento collettivo per 91 lavoratori su 118 salvando esclusivamente per la sede di Torre Annunziata quattro addetti (un operaio delle pulizie, un autista e due addetti ai sistemi di rete) più altre 23 unità situate presso clienti campani o in altre sedi ancora esistenti (Roma ed Ivrea);

   in un territorio come quello campano, già martoriato dalla crisi, questi eventi rischiano di avere effetti irrimediabili sulla vita di decine di famiglie;

   non va dimenticato che quella di Torre Annunziata è una delle aree riconosciute dal Governo come di crisi complessa e quindi teoricamente destinata a processi di reindustrializzazione –:

   se il Governo non ritenga doveroso, urgente e necessario aprire un tavolo di confronto con le parti interessate al fine di trovare immediatamente soluzioni che permettano la sopravvivenza dell'azienda, il rispetto dei diritti di lavoratori e delle lavoratrici e il mantenimento dei livelli occupazionali;

   quali iniziative intenda immediatamente prendere al fine di superare in tempi brevissimi la crisi che ha coinvolto diverse aree dell'intera Campania ed avviare efficacemente il processo di reindustrializzazione.
(2-02044) «Scotto, Bossa».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   GALGANO e ALFREIDER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'azienda Iosa Carlo s.r.l. opera nel territorio di Terni da più di 50 anni. La sua attività si svolge prevalentemente nel settore delle pulizie industriali e del trattamento dei rifiuti: da anni è fornitore strategico della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni e ha operato anche negli stabilimenti di Trieste e di Piombino;

   nel 2009 è stata l'unica azienda in Umbria ad ottenere l'autorizzazione integrata ambientale per la gestione di un impianto di trattamento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi e costituisce un riferimento importante per la soluzione di problemi connessi allo smaltimento dei rifiuti sia per le grandi aziende che per i piccoli operatori;

   la Iosa Carlo s.r.l. impiega attualmente circa 140 addetti diretti con un consistente bacino di operatori dell'indotto;

   da giugno 2017, tuttavia, l'azienda è coinvolta in una situazione di crisi che sta mettendo a rischio la possibilità di garantire la continuità di esercizio e la cui interruzione comporterebbe, oltre ad una evidente ulteriore perdita occupazionale, una criticità grave per la ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni e la perdita di autorizzazioni, competenze e know how strategici e non trasferibili ad altri siti;

   la Iosa Carlo s.r.l. ha, infatti, aperto una procedura di concordato che è in scadenza. Tuttavia, il tribunale civile di Terni ne ha disposto il sequestro cautelativo a seguito di un'esposizione debitoria nei confronti dell'erario. Ad oggi, però, pur in presenza di disponibilità imprenditoriali del territorio a sostenere e a proseguire l'attività della Iosa Carlo s.r.l., la vicenda sembra essere destinata ad un ineluttabile fallimento –:

   quali iniziative intenda mettere in atto, per quanto di competenza, per scongiurare la chiusura di un'azienda strategica per il territorio ternano, già duramente colpito dalla crisi economica, ed evitare la dispersione di un ricco patrimonio di valori economici, professionali e ambientali.
(5-12878)


   BENAMATI, DE MARIA e FABBRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il 13 novembre 2017 si è verificata nell'Appennino tosco-emiliano, in particolare tra le province di Bologna e Reggio Emilia, la prima nevicata della stagione. Nonostante si trattasse di una nevicata di lieve entità la rete elettrica nazionale ha subito molti danni e sono stati numerosi i disagi provocati sia dall'assenza di energia elettrica, di acqua corrente e di gas sia dal blackout dei servizi di telefonia, principalmente mobile;

   già nel febbraio 2015, il territorio dell'Emilia-Romagna era stato funestato da eccezionali condizioni di maltempo che avevano provocato, in tutte le province della regione, una grave interruzione della fornitura elettrica con circa 500 mila cittadini coinvolti senza luce, riscaldamento, acqua, collegamenti telefonici e internet;

   a distanza di 3 anni dall'evento calamitoso succitato, i cittadini di alcuni comuni dell'Emilia-Romagna si sono trovati di nuovo a vivere disagi e disservizi connessi alla mancanza di energia elettrica, risultando circa 30 mila le utenze coinvolte fra Bologna e Reggio Emilia, con l'aggravante che in questo caso le precipitazioni nevose sono state molto modeste (circa 30 centimetri);

   anche in questo caso sembrerebbe che la causa dei danni e dei prolungati disservizi sia imputabile a linee elettriche obsolete e inadeguate (le linee rifatte dopo gli eventi del 2015 non hanno infatti subito danni), alla insufficiente manutenzione effettuata (anche riguardo alla potatura degli alberi) nonché all'utilizzo, in fase di emergenza, di squadre di pronto intervento con poca conoscenza dei luoghi e prive degli strumenti idonei per questo tipo di interventi;

   i sindaci dei comuni colpiti dal blackout elettrico hanno inoltre lamentato una difficoltà di contatto con Enel e con altre strutture tecniche durante l'emergenza: i call center non hanno funzionato né verso le amministrazioni, né verso i cittadini rimasti in attesa del ripristino del collegamento elettrico per diversi giorni senza potersi organizzare per ridurre i disagi e i danni per la propria famiglia o attività economica –:

   se il Ministro interrogato abbia verificato le ragioni di tale situazione anche al fine di intervenire, per quanto di competenza, per garantire che tali disservizi non si ripetano, valutando anche la promozione di un protocollo di intervento con modalità risolutive delle criticità esposte in premessa.
(5-12879)


   RICCIATTI, SCOTTO, EPIFANI, FERRARA, SIMONI, MARTELLI, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, PIRAS, NICCHI, QUARANTA, ZARATTI, FRANCO BORDO, MELILLA, SANNICANDRO, ALBINI, MURER, BOSSA, LAFORGIA, CARLO GALLI e ZOGGIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   da un rapporto a cura della Fiom e delle Fondazioni «Claudio Sabattini», e «Giuseppe Di Vittorio», dal titolo «Mobilità auto – il futuro è adesso», si legge che il gruppo Fca anche se ha raggiunto una riduzione del debito industriale con un aumento degli utili e una valorizzazione delle azioni sul piano produttivo non ha una posizione di leadership e nella geografia dei mercati non appare un soggetto in crescita;

   sempre come rileva lo studio, la Fca, ha una capacità produttiva installata in Italia di almeno un milione e quattrocentomila veicoli, ma lo scorso anno ne sono stati prodotti meno di un milione, compresi i veicoli leggeri;

   la scelta dello spostamento verso l'alto della gamma in Italia ha accresciuto i problemi di volume e di occupazione e l'assenza di un piano di innovazione che aumenti i modelli ha determinato il rischio concreto per i principali stabilimenti di assemblaggio di un definitivo esaurimento degli ammortizzatori sociali, a partire da Mirafiori e Pomigliano-Nola;

   inoltre, come si apprende da fonti di stampa, la nuova versione del modello Panda, oggi prodotta nello stabilimento di Pomigliano sarà realizzata in Polonia, determinando inevitabilmente una perdita industriale, produttiva ed occupazionale non solo degli operai, ma anche di tecnici ed ingegneri, lasciando oltretutto aperto l'interrogativo sul processo di riorganizzazione e sul ruolo della ricerca e dello sviluppo aziendale, sia sul processo produttivo sia sulla parte della componentistica –:

   quali iniziative si intendano intraprendere, per quanto di competenza, al fine di garantire l'integrità della capacità produttiva, occupazionale e di ricerca e sviluppo di Fca in Italia, con particolare riferimento al profilo industriale dello stabilimento di Pomigliano.
(5-12880)


   CIVATI e PELLEGRINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il settore idroelettrico è causa di degrado dei corsi d'acqua e colpisce centinaia di chilometri di fiumi di pregio ambientale e paesaggistico;

   lo Stato incentiva la produzione idroelettrica nel presupposto che l'energia da FER sia sostenibile, mentre il minidroelettrico (<1 megawatt rechi danno al patrimonio naturale;

   l'incentivo ai minimpianti reca vantaggio solo al produttore a spese dei cittadini;

   l'energia dei minimpianti rappresenta solo l'1,6‰ dei consumi totali (Gse, 2014);

   nel 2015 2.536 minimpianti hanno prodotto 2.556 GWh, mentre 1.137 impianti >1 megawatt producevano 42.981 GWh (94 per cento del totale idroelettrico);

   l'incentivo di 21 centesimi/kWh rende il minidroelettrico un investimento che frutta l'incredibile tasso del 34 per cento;

   i torrenti montani e appenninici non possono essere ancora danneggiati solo per l'arricchimento di pochi, peraltro in un periodo di siccità incombente;

   nel 2014 fu sottoscritto da centinaia di associazioni nazionali e locali un appello per la salvaguardia dei corsi d'acqua dall'eccesso di sfruttamento idroelettrico –:

   se non intenda assumere iniziative per eliminare gli incentivi al minidroelettrico con riferimento agli impianti che producono meno di 1 megawatt e ridurre fortemente quelli per gli impianti che hanno una produzione sotto i 3 megawatt.
(5-12881)


   CRIPPA, VALLASCAS, DA VILLA, DELLA VALLE, FANTINATI e CANCELLERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   si è appreso da notizie di stampa che l'Autorità Antitrust europea ha chiesto l'uscita del gruppo Marcegaglia dalla cordata con ArcelorMittal a cui il Governo ha deciso di cedere l'Ilva di Taranto, nonché della cessione dell'impianto di Piombino da parte della stessa ArcelorMittal;

   l'8 novembre 2017 la Commissione europea ha aperto un'indagine approfondita sul piano per verificare se la cordata AM Investco, a valle dell'acquisizione, avrà una quota del mercato europeo superiore al 40 per cento. Il gruppo franco-indiano si era detto pronto a cedere asset in altri Paesi europei per ridurre il proprio potere di mercato;

   la Commissione, tramite una lunga nota firmata dalla commissaria alla concorrenza, Margrethe Vestager, aveva parlato di una «prima fase dell'indagine» che «ha messo in luce vari aspetti problematici»;

   il timore principale è legato a una riduzione della concorrenza e a un aumento dei prezzi per i prodotti piani di acciaio al carbonio laminati a caldo, a freddo e zincati utilizzati dalle imprese in vari settori, dall'edilizia all'auto. La preoccupazione è che la restrizione della concorrenza possa portare, sopratutto per, le piccole e medie imprese dell'Europa meridionale, un aumento dei prezzi. La Commissione intende valutare anche se ci possano essere effetti su offerta e prezzi di altri prodotti come l'acciaio a rivestimento metallico utilizzato per gli imballaggi;

   inoltre, oltre al capitolo industriale, il confronto tra Ilva e Commissione resta aperto anche sul fronte ambientale e nuove perplessità sarebbero sorte a Bruxelles riguardo al piano di bonifica presentato dalla cordata guidata da ArcelorMittal, che verrebbe applicato su un arco di cinque anni, un periodo troppo esteso per porre fine a una situazione ritenuta critica non solo dagli ambientalisti e dai cittadini di Taranto;

   tutta la vicenda esposta è complicata, alla luce del fatto che l’Antitrust prenderà la decisione finale sulla vendita Ilva a marzo 2018 e dunque ogni trattativa che oggi si porta avanti sarà condizionata da tale decisione –:

   quali siano le informazioni e l'orientamento del Governo sui atti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere nel caso in cui l'Autorità Antitrust europea chieda l'uscita del gruppo Mercegaglia dalla cordata AcelorMittal.
(5-12882)

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   sono troppi mesi ormai che si protraggono i disservizi da parte di Poste Italiane per il mancato o ritardato recapito della posta nei comuni in provincia di Como, dall'Altolago all'Olgiatese, e gli utenti sono esasperati dai continui disagi;

   i disservizi sono iniziati dopo la riorganizzazione del servizio con la consegna a giorni alterni, che ha prodotto in tutta la provincia di Como un caos generale con un numero cospicuo di lettere in giacenza, depositi saturi, ritardi nelle consegne e centri di smistamento invasi da lettere; il dimezzamento dei lavoratori applicati nel settore, la suddivisione di macro zone a giorni alterni attribuite ai portalettere e la conseguente difficoltà nel recapitare pacchi, raccomandate, atti giudiziari, cartelle di Equitalia, con tempistiche efficienti al contesto sociale ed economico del tessuto produttivo locale confermano che le scelte portate avanti dalla società Poste Italiane sono lontane dal raggiungimento degli obiettivi e dagli standard qualitativi fissati nel contratto di programma siglato con il Ministero dello sviluppo economico;

   i portalettere, spesso costretti a lavorare su mezzi usurati e soggetti a continue manutenzioni, sono frequentemente chiamati a svolgere attività di recapito in orario straordinario e subiscono le lamentele degli utenti che non vedono garantito il proprio diritto a ricevere un servizio pubblico universale;

   non è tollerabile assistere al perpetuarsi di questa situazione che danneggia tutti gli utenti e che ha un effetto quasi drammatico in quei comuni più piccoli per i quali il servizio di corrispondenza postale risulta essere ancora più importante, soprattutto per le persone anziane e le piccole aziende –:

   se non ritenga urgente, alla luce dei gravi disagi che stanno subendo da troppi mesi ormai i cittadini dei comuni della provincia di Como, dall'Altolago all'Olgiatese, farsi promotore, per quanto di competenza, di un'immediata sospensione del nuovo modello di gestione e recapito a giorni alterni portato avanti da Poste Italiane, al fine di addivenire ad una soluzione condivisa fra la società e le parti coinvolte, così da mettere fine ai suddetti continui disagi arrecati ai cittadini e alle aziende di questa zona e garantire loro il diritto ad un servizio universale postale di qualità.
(4-18700)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Quintarelli e altri n. 1-01620, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 maggio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Basso, Dallai, Stella Bianchi, Scuvera, Gribaudo, Locatelli.

  La mozione Sberna e altri n. 1-01644, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Alli.

  La mozione Argentin e altri n. 1-01746, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 novembre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Miotto.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Fedriga n. 4-16723, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 maggio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rondini.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Guidesi n. 5-11685, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rondini.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Burtone n. 5-11774, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 luglio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Losacco.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Capezzone n. 5-12325, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 settembre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Latronico.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Nesci n. 1-01701, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 853 del 19 settembre 2017.

   La Camera,

   premesso che:

    la legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, ha dato all'Italia la patente di uno dei migliori sistemi di salute pubblica al mondo e nonostante le successive riforme, ivi inclusa la riforma del titolo V della Costituzione, ne abbiano mutato sostanzialmente la struttura, ha consentito al nostro Paese di mantenere saldo il principio dell'universalità, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, ed in tal senso anche l'Organizzazione mondiale della sanità ha considerato che il servizio sanitario nazionale del nostro Paese è uno dei migliori al mondo, per la correlazione esistente tra lo stato di salute della popolazione e il soddisfacimento dei bisogni assistenziali;

    il sistema sanitario pubblico italiano deve essere tutelato da corrotti e corruttori e deve essere salvaguardato dall'infiltrazione della corruzione e della malavita, non solo per difendere il servizio pubblico, ma anche e soprattutto per tutelare il diritto fondamentale alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione;

    il paradigma che oggi lega la tutela della salute alla sostenibilità economica del sistema sanitario italiano non può prescindere da un'efficace lotta alla corruzione, agli sprechi, alle inefficienze e richiede di eliminare tutte quelle storture legislative e gestionali che alimentano tale spreco di risorse, senza in realtà rispondere ai bisogni di salute dei cittadini;

    diffusamente si è detto che lo stato di salute di una popolazione è la cartina al tornasole del livello di civiltà di un Paese ed uno Stato che non combatte o non previene la corruzione misura il proprio livello di inciviltà, che nell'ambito della salute, come inevitabile conseguenza, determina proprio il peggioramento della condizione di salute della popolazione;

    il contesto politico e socio-economico e le correlate scelte politiche ed economiche hanno un'influenza decisiva sulla domanda di salute ed è compito dello Stato compiere scelte coraggiose che incidano in maniera efficace sul contesto e sulle sue storture e la corruzione è la principale stortura del sistema salute o, se si vuole, dell'intero sistema politico e socioeconomico italiano;

    l'Ocse nel 2017 ha pubblicato il report «Tackling wasteful speding on health», che affronta il tema della corruzione in sanità facendo una panoramica sui Paesi Ocse, tra cui l'Italia, ed apre tale report affermando: «Una parte significativa della spesa sanitaria è – nella migliore delle ipotesi – spreco, o peggio danneggia la nostra salute»;

    riprendendo proprio tale affermazione dell'Ocse, nel mese di aprile 2017, è stato pubblicato anche il report «Curiamo la corruzione-percezione rischi e sprechi in sanità», un importante lavoro d'indagine coordinato da Transparency International Italia e in collaborazione con il Censis, Ispe sanità e Rissc (Centro ricerche e studi su sicurezza e criminalità);

    più precisamente il report di Transparency International Italia è il risultato di tre percorsi d'indagine: la percezione dei rischi e delle strategie effettuata dal Censis tra il 2016 e il 2017, la valutazione dei rischi e l'analisi delle contromisure contenute nei piani triennali di prevenzione della corruzione 2016-2018 delle strutture sanitarie, condotta da Rissc e l'analisi di sprechi e inefficienze che emergono dalla valutazione dei conti economici 2013 delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, tenuto conto delle diverse realtà regionali, elaborata da Ispe sanità;

    le tre indagini condotte e illustrate nel citato report di Transparency hanno fornito dati e a risultati allarmanti:

     a) in riferimento alla percezione della corruzione in sanità si è rilevato che «nel 25,7 per cento delle aziende sanitarie si sono verificati episodi di corruzione nell'ultimo anno; il 42,6 per cento delle aziende sanitarie ha un indice alto (14,7 per cento) o medio-alto (27,9 per cento) di percezione del rischio; secondo il 63,2 per cento dei responsabili per la prevenzione della corruzione intervistati, la corruzione in sanità rimane stabile; il 64,7 per cento dei responsabili per la prevenzione della corruzione intervistati ritiene che il rischio nella propria azienda sia moderato, solo il 5,9 per cento lo giudica elevato; i settori ritenuti maggiormente a rischio dagli intervistati sono quello degli acquisti e delle forniture, le liste d'attesa e le assunzioni del personale»;

     b) in riferimento ai rischi di corruzione in sanità si è rilevato che «il 51,7 per cento delle aziende sanitarie non si è adeguatamente dotata di strumenti anticorruzione, come previsto dalla legge 190/2012; i rischi di corruzione più frequenti sono: 1) violazione delle liste d'attesa (45 per cento); 2) segnalazione dei decessi alle imprese funebri private (44 per cento); 3) favoritismi ai pazienti provenienti dalla libera professione (41 per cento); 4) prescrizione di farmaci a seguito di sponsorizzazioni (38 per cento); 5) falsificazione delle condizioni del paziente per aggirare il sistema delle liste d'attesa (37 per cento); i rischi di corruzione più elevati sono: 1) sperimentazione clinica condizionata dagli sponsor (12,9/25); 2) prescrizione di farmaci a seguito di sponsorizzazioni (12,3/25); 3) violazione dei regolamenti di polizia mortuaria (11,7/25); 4) favoritismi ai pazienti provenienti dalla libera professione (11,4/25); 5) segnalazione dei decessi alle imprese funebri private (11,2/25)»;

     c) in riferimento all'analisi economica degli sprechi in sanità si è rilevato che «la stima della corruzione sommata agli sprechi, misurata con un nuovo indicatore di inefficienza, oscilla intorno al 6 per cento delle spese correnti annue del servizio sanitario nazionale (dati 2013); l'ammontare delle potenziali inefficienze nell'acquisto di beni e servizi sanitari nel servizio sanitario nazionale è stimato in circa 13 miliardi di euro»;

    i dati impietosi sulla corruzione in sanità, innanzi citati, rilevano dunque che gli episodi di corruzione più frequenti riguardano, tra gli altri, proprio l'attività libero professionale intramuraria, le nomine apicali, la prescrizione di farmaci a seguito di sponsorizzazioni e la sperimentazione clinica correlata agli sponsor;

    dall'indagine illustrata nel report «Curiamo la corruzione 2017» emerge che il valore medio di rischio più alto, nel ventaglio di rischi analizzati, riguarda proprio l'area delle sponsorizzazioni: in particolare, la «sperimentazione condizionata» (12,89) e gli «indebiti comportamenti prescrittivi a seguito di sponsorizzazione» (12,28); il rischio di corruzione della sperimentazione – condizionata dal fenomeno per cui il ricercatore è disposto ad alterare il percorso della sperimentazione in una o più delle sue fasi, ottenendo risultati graditi al donor, al fine di garantire nuovi finanziamenti o vantaggi di altra natura – raggiunge il 18 per cento; tale rischio comprende le condotte in cui il medico manipola la sperimentazione clinica al fine di ottenere particolari vantaggi. La falsificazione della sperimentazione può interessare: la selezione del campione (compreso l'inserimento di pazienti nelle sperimentazioni senza consenso informato), l'esecuzione della sperimentazione, la raccolta o l'analisi dei risultati. Il rischio comprende anche la predisposizione della ricerca clinica a fini commerciali e nell'interesse dei soli sperimentatori, da cui possano conseguire l'alterazione degli esiti e la manipolazione dei fondi;

    con delibera n. 831 del 3 agosto 2016 l'Anac ha adottato il piano nazionale anticorruzione 2016 che, come noto, contiene uno specifico focus sulla sanità, con l'indicazione di specifiche misure «quali possibili soluzioni organizzative per preservare il servizio sanitario nazionale dal rischio di eventi corruttivi (con specifico riferimento al contesto strutturale, sociale ed economico in cui si collocano ed operano le istituzioni medesime) e per innalzare il livello globale di integrità, di competenza e di produttività del sistema sanitario nazionale»;

    gli acquisti nel settore sanitario, come evidenzia l'Anac e come noto a tutti, sono a forte rischio di corruzione sia per varietà e complessità dei beni e servizi e sia per varietà e specificità degli attori coinvolti (clinici, direzione sanitaria, provveditori, ingegneri clinici, epidemiologi, informatici, farmacisti, personale infermieristico e altro) e che si trovano non di rado in una condizione potenziale di conflitto d'interesse, poiché sono al tempo stesso coloro che esprimono un fabbisogno e che usufruiscono di un determinato bene o servizio, potendo quindi in tal maniera influenzare ed orientare la domanda (si pensi al caso dei clinici che propongono l'acquisto di protesi);

    nel settore degli acquisti l'auspicata centralizzazione stenta a partire come dovrebbe e di fatto non esclude che gli enti del servizio sanitario nazionale possano procedere, anche attraverso frazionamenti artificiosi, a gare proprie e «personalizzate» e di fatto non c'è alcun tipo di controllo che rilevi, ad esempio, il numero degli affidamenti diretti sul totale degli acquisti, spesso giustificati dall'infungibilità o esclusività del bene, né viene effettuata una verifica a tappeto del numero di proroghe e rinnovi sul totale degli affidamenti o del ricorso a procedure in deroga, dettate da situazioni di urgenza;

    appare necessario rendere uniforme e tracciabile l'intero processo che va dalla definizione del fabbisogno e dalla programmazione dei beni da acquistare e/o dei servizi da appaltare fino alla logistica e alle giacenze di magazzino; è necessario rendere tracciabile e pubblica l'intera filiera di un bene o servizio, dalla fase dello stoccaggio a quella della somministrazione o consumo;

    è necessario implementare sistemi uniformi di controllo esterno ed informatizzati che consentano di rilevare, sulla base di indici di rilevazione automatizzati, l'esistenza di anomalie negli acquisti tali da rappresentare un allarme di spreco, inefficienza o corruzione; il sistema dovrebbe essere integrato con un programma operativo contabile e patrimoniale, unico per tutte le strutture sanitarie del territorio nazionale, che consenta ai cittadini, attraverso un'interfaccia accessibile a chiunque, di indagare, in tempo reale, l'intera filiera di un centro di costo e di un capitolo di bilancio, attraverso un sistema di ricerca semplificato e diversificato (ad esempio per singolo fornitore, per centro unico di prenotazione, per conto identificativo di gara, per singolo bene, per voce di bilancio e altro); in tale modo, ad esempio, si potrebbe rilevare per ciascun fornitore tutti i pagamenti o gli incassi effettuati da una azienda sanitaria o da tutte le aziende sanitarie di una certa regione, con un collegamento attivo ai titoli che hanno consentito quel pagamento (determine a contrarre, gare effettuate, documentazione di gara e altro) o quell'incasso;

    il sistema operativo dovrebbe, altresì, consentire d'indagare e ricercare, sempre in tempo reale, anche lo stato patrimoniale, con la possibilità di rilevare i beni d'inventario e le rimanenze di magazzino, nonché la movimentazione delle scorte, con associazione informatizzata ai cicli di terapia applicati a pazienti i cui dati sanitari siano stati opportunamente decodificati, così da garantire la completa tracciabilità di ogni prodotto sanitario o farmaceutico;

    il sistema operativo integrato dovrebbe consentire d'indagare, sempre in tempo reale, tutte le fasi dell'esecuzione del contratto, opportunamente aggiornate dal responsabile o direttore dell'esecuzione del contratto, inclusi i contratti di convenzionamento o accreditamento con le strutture sanitarie private, con evidenza dei verbali ispettivi e delle verifiche condotte con periodicità prestabilita;

    il sistema operativo contabile, pubblico e accessibile a chiunque, dovrebbe consentire l'accesso alla prescritta contabilità separata dell'attività di intramoenia, con la possibilità d'indagare tutti i costi imputabili all'attività intramoenia, ivi incluse le attrezzature o gli spazi interni o esterni utilizzati per lo svolgimento del servizio, nonché la relativa autorizzazione e il volume di attività per ciascun professionista;

    il sistema operativo contabile, integrato con il sistema degli acquisti e dei contratti, dovrebbe prevedere un meccanismo tale che il mancato aggiornamento dello stesso non consenta alcuna operazione successiva o cumulativa e comporti una penalizzazione economica, nonché una responsabilità disciplinare in capo ai soggetti responsabili del mancato aggiornamento;

    il sistema degli acquisti e tutti i relativi rischi corruttivi sono attigui ai non meno diffusi rischi corruttivi connessi alle attività di ricerca, di sperimentazione clinica e alle correlate sponsorizzazioni, la cui individuazione appare più difficile laddove un eventuale abuso si colloca spesso al limine con l'autonomia professionale dei professionisti della sanità (si pensi, ad esempio, alla prescrizione dei farmaci). Tale abuso spesso è correlato alle diverse forme di sponsorizzazione, diretta o indiretta, che le industrie dei presidi sanitari elargiscono a vantaggio dei professionisti o degli enti della sanità; al riguardo, particolarmente esposto a rischio di corruzione, è il settore della formazione dei professionisti della sanità soprattutto a quando con l'introduzione del sistema obbligatorio di formazione continua, l'educazione continua in medicina, si è costruito un complesso sistema in cui i diversi attori della formazione sanitaria sono considerati soggetti appetibili, da parte delle industrie farmaceutiche e dei dispositivi sanitari, al fine di incrementare la produzione e l'acquisto;

    sulle sponsorizzazioni in sanità appare necessario intervenire urgentemente prevedendo che:

     a) ogni forma di sponsorizzazione debba essere acquisita nel rispetto dei principi del codice dei contratti pubblici, ovvero nel rispetto della trasparenza, evidenza pubblica, concorrenzialità, rotazione, imparzialità e altro;

     b) siano costituiti dei fondi indistinti destinati alla formazione dei professionisti della salute e all'attività di ricerca e il cui utilizzo non sia finalizzato ad una specifica attività formativa o di ricerca, né sia destinato a professionisti specifici, prevedendo che l'utilizzo delle risorse, da parte delle strutture sanitarie pubbliche o private o delle associazioni private, avvenga nel rispetto della rotazione, trasparenza ed imparzialità;

     c) si introduca un divieto assoluto per i professionisti della sanità di percepire qualsiasi tipo di vantaggio, diretto o indiretto, da parte delle industrie operanti nella sanità;

     d) vi sia un obbligo per tutti i professionisti della salute di rendere pubblica una dichiarazione ove siano evincibili tutte le relazioni d'interesse o finanziarie, anche pregresse, con le industrie operanti nella sanità;

     e) si introduca un divieto assoluto di meccanismi premiali correlati alla vendita di prodotti farmaceutici o presidi sanitari, sia per gli informatori scientifici sia gli agenti o i rappresentanti di prodotti destinati alla sanità;

    tra i diversi interventi atti a prevenire la corruzione in sanità il piano nazionale anticorruzione 2016 segnala la necessità di adottare, oltre che misure per la gestione dei conflitti di interessi nei processi di procurement in sanità e per il rafforzamento della trasparenza nel settore degli acquisti, nonché un intervento incisivo nelle nomine e negli incarichi dirigenziali in sanità e anche misure specifiche sulle sperimentazioni cliniche;

    in particolare, l'Anac evidenzia che «i proventi derivanti alle aziende sanitarie a seguito di sperimentazioni cliniche, specie nel caso di studi clinici randomizzati interventistici con farmaci che devono essere introdotti sul mercato, possono assumere una consistenza molto rilevante (di decine di milioni euro per anno in aziende di grandi dimensioni e di elevato richiamo). Per questo motivo e per le cointeressenze che possono esserci tra le ditte farmaceutiche e gli sperimentatori, si tratta di un'attività a rischio corruttivo. L'azione dei comitati etici, volta ad accertare la scientificità e l'eticità del protocollo di studio, non fornisce specifiche garanzie al riguardo. Pertanto al fine di gestire, in un'ottica di prevenzione della corruzione, la discrezionalità degli sperimentatori di attribuzione (e “auto-attribuzione”) dei proventi, è opportuno che ogni azienda sanitaria integri il regolamento del comitato etico con un disciplinare che indichi le modalità di ripartizione dei proventi, detratti i costi da sostenersi per la conduzione della sperimentazione e l’overhead dovuto all'azienda per l'impegno degli uffici addetti alle pratiche amministrative ed il coordinamento generale»;

    è inoltre opportuno – così suggerisce l'Anac – adottare un sistema di verifica dei conflitti di interesse dei comitati etici tale da identificare, oltre l'eventuale conflitto di interesse al momento della nomina, anche la sua eventuale sussistenza al momento della presentazione e valutazione della sperimentazione clinica. A monte della stipula del contratto per la sperimentazione, è opportuno individuare con esattezza l'effettivo titolare dell'impresa, soprattutto ove il contratto venga stipulato con soggetti aventi sede in Stati esteri e/o a bassa fiscalità, anche al fine di verificare l'esistenza di indicatori di rischio secondo la normativa antiriciclaggio. Va, inoltre, richiamata l'attenzione sull'opportunità di prevedere, nei regolamenti aziendali, un congruo lasso di tempo tra il finanziamento per la ricerca e la cessazione di un contratto a titolo oneroso con il soggetto che finanzia la ricerca, o sue imprese controllate;

    l'Anac, con atto di segnalazione al Governo e al Parlamento n. 1388 del 14 dicembre 2016, ha segnalato che le disposizioni sulla trasparenza delle nomine dirigenziali, come introdotte o modificate dalla cosiddetta delega Madia nel 2016, in virtù di un probabile «refuso», non si applicano alla dirigenza sanitaria (direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo, nonché per gli incarichi di responsabile di dipartimento e di strutture semplici e complesse) e tali obblighi di pubblicazione riguardano, tra gli altri, i dati e compensi relativi ad altre cariche, incarichi con oneri a carico della finanza pubblica, dati reddituali e altro;

    nel sopra citato atto l'Anac ha espresso altresì la necessità che gli obblighi di pubblicazione della dirigenza sanitaria, già previsti per la dirigenza pubblica, dovrebbero includere anche le prestazioni professionali svolte in regime intramurario;

    appare quindi inaccettabile che i dirigenti del servizio sanitario nazionale, a legislazione vigente, godano di una clamorosa e inaccettabile esenzione dalle regole della trasparenza (funzionali a prevenire la corruzione), nonostante si trovino a gestire ingenti e importanti risorse economiche del Paese, destinate alla salute dei cittadini e nonostante siano collocati, per contiguità alla politica e ad interessi politico-elettorali, più di ogni altra dirigenza, in un contesto a forte rischio di corruzione;

    la recente riforma del terzo settore, attraverso l'emanazione di uno specifico codice, introduce importanti e rilevanti novità, con implicazioni anche nelle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie laddove si prevede che le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione, a livello territoriale, degli interventi nelle attività di interesse generale, assicurano il coinvolgimento degli enti del terzo settore mediante forme di co-programmazione e co-progettazione; nell'ambito di tale coinvolgimento non sono stati opportunamente richiamati i principi della concorrenzialità, dell'economicità, dell'efficacia, dell'evidenza pubblica e né è stata richiamata la disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016), laddove applicabile, ed in ogni caso il rispetto dei principi in essa riportati; il nuovo codice del terzo settore amplia la possibilità di fare convenzioni a tutte le attività di interesse generale indicate dal codice medesimo (ad esempio, prestazioni sanitarie inserite nei livelli essenziali di assistenza) rispetto alla situazione previgente, che invece limitava tale possibilità solo per gli interventi e servizi sociali;

    la convenzione è uno strumento che consente di derogare alla disciplina generale dei contratti della pubblica amministrazione e, quindi, consente di affidare alle associazioni del terzo settore l'esecuzione di servizi pubblici, senza dover passare per gare di appalto o altre procedure (ristrette od allargate) di affidamento; anche in relazione ai servizi di trasporto sanitario e di emergenza urgenza il nuovo codice del terzo settore, rispetto alla situazione previgente, prevede l'affidamento diretto, derogando alla disciplina generale dei contratti della pubblica amministrazione e al di fuori dell’house providing;

    in riferimento all'accreditamento e/o convenzionamento per l'erogazione di servizi sanitari e sociali si ricorda che – con atto di segnalazione al Governo e al Parlamento n. 958 del 7 settembre 2016 – l'Anac ritiene necessario intervenire legislativamente anche sulla tracciabilità finanziaria dei servizi sanitari e sociali erogati, in regime di convenzione, da strutture private accreditate;

    le disposizioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari, previste dall'articolo 3 della legge n. 136 del 2010, hanno la finalità specifica di rendere trasparenti le operazioni finanziarie relative all'utilizzo del corrispettivo dei contratti pubblici, in modo da consentire un controllo a posteriori sui flussi finanziari provenienti dalle amministrazioni pubbliche e intercettare eventuali usi degli stessi da parte di imprese malavitose;

    la tracciabilità dei flussi finanziari è stata introdotta nel 2010 al fine di arginare la penetrazione economica delle organizzazioni mafiose negli appalti pubblici; gli obblighi connessi all'istituto della tracciabilità si articolano, essenzialmente, in tre adempimenti principali: utilizzo di conti correnti dedicati; effettuazione dei movimenti finanziari tracciabili; indicazione, negli strumenti di pagamento relativi a ogni transazione, del codice identificativo di gara;

    in riferimento ai suddetti obblighi l'Anac esprime, quindi, l'esigenza di un rafforzamento delle misure di controllo della spesa con finalità di ordine pubblico, anche nel delicato settore dei servizi sanitari e socio-sanitari gestiti dai privati accreditati, «in modo da anticipare, il più a monte possibile, la soglia di prevenzione, creando meccanismi che consentano di intercettare i fenomeni di intrusione criminale nei flussi finanziari provenienti dagli enti pubblici»;

    sia il report «Curiamo la corruzione» e sia il piano nazionale anticorruzione dell'Anac ulteriormente ribadiscono come gli eventi corruttivi si concentrino anche nella libera professione intramuraria e nella gestione delle liste di attesa, questioni già affrontate con la mozione n. 1/01563 del MoVimento 5 Stelle, approvata alla Camera dei deputati il 12 aprile 2017, con la quale il Governo si è impegnato ad intervenire per dare attuazione alla determina Anac 28 ottobre 2015, n. 12, e ad assumere iniziative affinché il mancato rispetto delle indicazioni previste per l'attività libero professionale intramuraria determini reali conseguenze penalizzanti per le strutture sanitarie e per i soggetti responsabili delle strutture sanitarie, ivi inclusa la sospensione dell'attività libero-professionale, laddove non sia stata attivata la prescritta infrastruttura di rete, così da controllare che i volumi delle prestazioni libero professionali non abbiano superato quelli eseguiti nell'orario di lavoro e rendere tracciabili tutti i pagamenti connessi all'attività libero professionale, garantendo l'effettiva pubblicità dei criteri di formazione e dei tempi previsti delle liste di attesa;

    la sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale non può e non deve significare una compressione del diritto alla salute e non può passare attraverso la riduzione di risorse economiche e umane, né può essere l’escamotage di una privatizzazione di fatto, ma deve essere garantita attraverso un coordinato smantellamento di tutte le diseconomie, gli sprechi e le sacche di opacità e corruzione che non possono essere risolte solo con accordi, protocolli o dichiarazioni d'intenti, ma richiedono piuttosto un sistema coordinato di misure e interventi che rappresentino una strategia univoca nella lotta alla corruzione in sanità;

    il rapporto della rete europea contro le frodi e la corruzione in sanità stimava in sei miliardi di euro la quantità di risorse sottratte alla sanità italiana, cifra peraltro non ritenuta esaustiva dal «Libro bianco» dell'Ispe (Istituto per la promozione dell'etica), secondo il quale tali cifre non tengono conto dell'indotto (inefficienza e sprechi) correlato agli eventi corruttivi accertati dalla magistratura, indotto che porta a stimare il costo della corruzione in sanità addirittura in 23,6 miliardi di euro l'anno;

    i dati sulla corruzione in sanità rivelano peraltro la forte sperequazione regionale esistente nel nostro Paese anche in termini di garanzia, qualità, efficacia ed efficienza ed infatti i dati diffusi dal rapporto sopra citato ripartiscono così i fenomeni corruttivi: 41 per cento al Sud, 30 per cento al Centro, il 23 per cento al Nord e il 6 per cento è costituito da diversi reati compiuti in più luoghi;

    è necessario intervenire sul conflitto d'interesse, prevedendo rigide regole etiche e di comportamento sull'informazione scientifica, nonché severe misure disciplinari per chiunque nell'ambito della sanità interferisca illegittimamente nel mercato della farmaceutica e delle prestazioni sanitarie, influenzando sia la domanda che l'offerta o costituendo accordi occulti per vantaggi privati;

    un'efficace lotta alla corruzione deve coinvolgere tutti i cittadini e tutti i funzionari pubblici sollecitando, attraverso tutele ed incentivi specifici, uno spirito di servizio che porti a segnalare ogni forma di illecito e ogni evento corruttivo, tutele specifiche che garantiscano il denunciante attraverso un anonimato inviolabile e incentivi che prevedano forme di premialità su quanto ritorna all'amministrazione in termini di risarcimento per danno erariale e come conseguenza della denuncia o segnalazione fatta; è opportuno escludere qualsiasi possibilità di licenziamento del dipendente che denuncia la struttura sanitaria per illeciti e/o irregolarità riscontrate;

    in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione è opportuno prevedere la revoca o il divieto di rinnovo dell'incarico dirigenziale, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose, per i direttori generali, i direttori amministrativi e i direttori sanitari, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, per i direttori dei servizi socio-sanitari e per tutte le figure dirigenziali delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale;

    è necessario intervenire efficacemente nel settore dei prodotti farmaceutici, dei dispositivi, delle tecnologie nonché nell'attività di ricerca, di sperimentazione clinica e di formazione e sulle correlate sponsorizzazioni, come ambiti particolarmente esposti al rischio di fenomeni corruttivi e di conflitto d'interessi ed in tal senso appare indispensabile rompere il legame esistente tra aziende produttrici di prodotti e servizi della salute e i professionisti che vi operano, vietando ogni legame promozionale diretto da parte di aziende/informatori presso gli operatori pubblici della sanità;

    appare indispensabile introdurre l'obbligo di dichiarazione pubblica affinché siano rese conoscibili tutte le relazioni e/o interessi che possono coinvolgere i professionisti dell'area sanitaria e amministrativa nell'espletamento di attività sia decisionali che esecutive e che siano in relazione a prodotti farmaceutici o parafarmaceutici o comunque a prodotti e/o servizi commercializzabili nell'ambito della salute (ivi inclusi, ad esempio, i prodotti assicurativi, prodotti e/o attività formative);

    il 27 giugno 2017 il procuratore generale della Corte dei conti, nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato per l'anno 2016, nella sua requisitoria orale ha avuto modo di evidenziare che: «il sistema dei controlli» si struttura in una nutrita serie di «sottosistemi», a connessione estremamente debole tra di loro, tanto da correre il rischio di essere un «non sistema», al cui costo complessivo non indifferente, anche nell'ottica della revisione della spesa, non corrisponde una proporzionale utilità. Difatti, proprio per la sua complessità e le sue incongruenze, tale sistema nel complesso non solo risulta scarsamente comprensibile anche agli addetti ai lavori, ma soprattutto è scarsamente efficace per assicurare legalità ed efficienza, e per contrastare quei comportamenti illeciti i cui effetti negativi sulle risorse pubbliche sono, spesso, devastanti;

    è necessario un ripensamento globale e senza pregiudizi di tutti i meccanismi di controllo, per semplificare il quadro normativo, eliminando interferenze e parziali sovrapposizioni, ed innescare quindi tra i rinnovati meccanismi nuove e più proficue sinergie, anche con la previsione di strumenti di raccordo e con una particolare attenzione ad escludere le pur frequenti situazioni di conflitto di interessi, soprattutto a livello locale. In questo modo sarebbe più facile raggiungere un duplice obiettivo: dare una spinta all'efficienza della spesa, con positivi effetti anche sul mercato, e contribuire ad aumentare concretamente il livello del contrasto a fenomeni di illecito e di corruzione;

    meccanismi di spesa efficienti, trasparenti e tempestivi, oggetto di un monitoraggio continuo svolto anche con finalità diverse, impediscono la creazione di quelle «zone grigie» in cui più facilmente si possono insinuare e trovare terreno fertile conflitti di interesse e illeciti di rilievo anche penale;

    i rilevanti effetti distorsivi che le irregolarità e gli illeciti penali, proprio nei settori in cui più alto è il livello della spesa, come quelli della sanità, della realizzazione di opere pubbliche e della prestazione di servizi richiedono un approccio più sostanziale che, superando talune impostazioni dottrinarie astrattamente fondate, ma assolutamente inadeguate in concreto, affronti il fenomeno della corruzione in una logica sistematica che tenga in adeguata considerazione la diffusività del fenomeno e l'insufficienza delle misure finora apprestate dall'ordinamento,

impegna il Governo:

1) ad affrontare in maniera sistemica e globale il problema della corruzione in sanità attraverso misure coordinate che siano risolutive delle problematiche esposte in premessa;

2) ad intervenire efficacemente nel settore dei prodotti farmaceutici, dei dispositivi, delle tecnologie nonché dell'attività di ricerca, di sperimentazione clinica e di formazione e delle correlate sponsorizzazioni, assumendo iniziative per rescindere ogni legame esistente tra aziende produttrici di prodotti e servizi della salute e i professionisti che vi operano, anche introducendo divieti volti a rimuovere ogni legame promozionale diretto o indiretto, sia all'interno delle strutture sanitarie pubbliche o private accreditate o nei locali ove si erogano prestazioni sanitarie convenzionate, sia durante gli eventi formativi, tra le aziende/informatori e gli operatori/professionisti della sanità, e prevedendo specifiche sanzioni o la risoluzione di ogni convenzionamento/accreditamento per i soggetti coinvolti o responsabili di ogni indebito condizionamento;

3) ad assumere iniziative per introdurre l'obbligo di dichiarazione pubblica, che preveda conseguenze in caso di falso, affinché siano rese conoscibili tutte le relazioni e/o interessi che possono coinvolgere i professionisti dell'area sanitaria e amministrativa nell'espletamento di attività sia decisionali che esecutive e che siano in relazione a prodotti farmaceutici o parafarmaceutici o comunque a prodotti e/o servizi commercializzabili nell'ambito della salute (ivi inclusi, ad esempio, i prodotti assicurativi, prodotti e/o attività formative);

4) ad attivare un efficace monitoraggio nel settore degli acquisti in ambito sanitario al fine di rilevare l'attuazione delle procedure centralizzate d'acquisto, il numero degli affidamenti diretti sul totale degli acquisti, il numero di proroghe e rinnovi sul totale degli affidamenti e il numero delle procedure in deroga, dettate da situazioni di urgenza, anche attraverso iniziative volte all'introduzione di misure volte a rendere uniforme, pubblico e tracciabile l'intero processo dell’e-procurement, dalla definizione del fabbisogno e dalla programmazione dei beni da acquistare e/o dei servizi da appaltare fino alla logistica e alle giacenze di magazzino, al fine di rendere tracciabile e pubblica l'intera filiera di un bene o servizio, dalla fase dello stoccaggio a quella della somministrazione o consumo;

5) ad assumere le iniziative di competenza affinché, in modo uniforme sul territorio nazionale, sia adottato un sistema di controllo esterno ed informatizzato, come descritto in premessa, che consenta ai cittadini di rilevare, in tempo reale e attraverso un'interfaccia accessibile a chiunque, l'esistenza di anomalie negli acquisti, l'intera filiera di un centro di costo e di un capitolo di bilancio, i titoli che hanno consentito qualsiasi pagamento o incasso, lo stato patrimoniale, i beni d'inventario e le rimanenze di magazzino, nonché la movimentazione delle scorte, la completa tracciabilità di ogni prodotto sanitario o farmaceutico, le fasi dell'esecuzione dei contratti, inclusi i contratti di convenzionamento o accreditamento con le strutture sanitarie private, la contabilità separata dell'attività di intramoenia, anche prevedendo che il mancato aggiornamento del sistema operativo integrato non consenta alcuna operazione successiva o cumulativa e comporti una penalizzazione economica, nonché una responsabilità disciplinare in capo ai soggetti responsabili;

6) ad intervenire efficacemente sulle sponsorizzazioni in sanità, così come descritto in premessa, assumendo iniziative per garantire il rispetto dei principi di trasparenza, evidenza pubblica, concorrenzialità, rotazione, imparzialità, contemplando anche la costituzione di fondi indistinti destinati alla formazione dei professionisti della salute e all'attività di ricerca e il divieto assoluto per i professionisti della sanità di percepire qualsiasi tipo di vantaggio, diretto o indiretto, da parte delle industrie operanti nella sanità, nonché un divieto di meccanismi premiali correlati alla vendita di prodotti farmaceutici o presidi sanitari;

7) ad assumere iniziative per introdurre tutele ed incentivi per i cittadini utenti e per i funzionari pubblici del servizio sanitario nazionale che segnalino ogni forma di illecito e ogni evento corruttivo, contemplando un anonimato inviolabile e forme di premialità su quanto ritorna all'amministrazione in termini di risarcimento per danno erariale e come conseguenza della denuncia o segnalazione fatta, escludendo altresì qualsiasi possibilità di licenziamento del dipendente che denuncia la struttura sanitaria per illeciti e/o irregolarità riscontrate;

8) a valutare l'opportunità di adottare iniziative per prevedere la revoca dell'incarico dirigenziale in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose, per i direttori generali, i direttori amministrativi e di direttori sanitari, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, per i direttori dei servizi socio-sanitari e per tutte le figure dirigenziali delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale;

9) ad intervenire in maniera organica sulle sperimentazioni cliniche dei farmaci, così come descritto in premessa, adottando iniziative per assicurare in particolare che le persone incaricate e coinvolte a qualsiasi titolo nella sperimentazione clinica non abbiano conflitti di interesse, siano esenti da qualsiasi indebito condizionamento e che non abbiano interessi finanziari o personali, diretti o indiretti, potenzialmente in grado di inficiarne l'imparzialità della ricerca, garantendo a tal fine che dette persone compilino e rendano pubblici, ogni anno, una dichiarazione sui loro interessi finanziari e il curriculum vitae, dal quale sia desumibile ogni carica o incarico, anche gratuito, presso enti o aziende, pubblici e privati;

10) ad intervenire, sempre nell'ambito della sperimentazione clinica, affinché i ricercatori abbiano un ruolo primario sia nel disegno sia nella conduzione degli studi clinici, con integrale autonomia nell'analisi, nella pubblicazione e nella diffusione dei dati, senza alcuna influenza o condizionamento da parte del soggetto finanziatore della ricerca o da vincoli di proprietà di soggetti terzi che possano deciderne la diffusione o meno in funzione dei propri interessi commerciali, anche assumendo iniziative per assicurare che le riviste scientifiche si impegnino a promuovere il rispetto delle regole di trasparenza, anche dando evidenza di eventuali conflitti d'interesse dei membri dei comitati o responsabili editoriali;

11) ad assumere iniziative per introdurre misure che, in conformità al regolamento (UE) n. 536/2014, assicurino che i dati inclusi in un rapporto su uno studio clinico, le principali caratteristiche della sperimentazione e i relativi risultati non siano considerati informazioni commerciali di carattere riservato se l'autorizzazione all'immissione in commercio è già stata concessa, ivi incluse le ragioni dell'interruzione temporanea e della conclusione anticipata, nonché i dati relativi agli eventi e reazioni avverse;

12) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché in ogni azienda sanitaria il regolamento del comitato etico cui è demandata la valutazione di una sperimentazione clinica indichi in maniera trasparente le modalità di ripartizione dei proventi, assicurando che il contratto per la sperimentazione sia effettuato previa individuazione dell'effettivo titolare dell'impresa, anche al fine di verificare l'esistenza di indicatori di rischio secondo la normativa antiriciclaggio e valutando anche l'opportunità di definire, per la costituzione dei comitati etici, un elenco nazionale, di soggetti qualificati e con adeguata esperienza, selezionati con procedure ad evidenza pubblica, sulla base di criteri e requisiti predefiniti;

13) a dare riscontro all'atto di segnalazione dell'Anac n. 1388 del 14 dicembre 2016, anche attraverso iniziative normative d'interpretazione autentica ovvero integrative e correttive, affinché le disposizioni sulla trasparenza di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013, già previste per la dirigenza pubblica, siano da intendersi applicabili anche alla dirigenza sanitaria, includendovi anche le prestazioni professionali svolte in regime intramurario;

14) a dare riscontro all'atto di segnalazione dell'Anac n. 1388 del 14 dicembre 2016, anche attraverso iniziative normative affinché il potere sanzionatorio dell'Anac sia effettivamente applicabile a tutti gli obblighi di pubblicazione previsti nel decreto legislativo n. 33 del 2013, individuando nell'Anac il soggetto deputato ad introitare le sanzioni comminate;

15) a dare riscontro all'atto di segnalazione dell'Anac n. 958 del 7 settembre 2016, adottando iniziative affinché le disposizioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari, previste dall'articolo 3 della legge n. 136 del 2010, siano applicabili anche ai servizi sanitari e sociali erogati da strutture private accreditate o in regime di convenzionamento, anche ai sensi del codice del terzo settore, anche se non riferibili a contratti di appalto o di concessione;

16) a potenziare le iniziative volte ad assicurare che l'attività libero-professionale intramuraria rispetti pienamente le indicazioni di legge, accelerando l'introduzione di un meccanismo sanzionatorio per le strutture sanitarie e per i soggetti responsabili delle strutture medesime, ivi inclusa la sospensione dell'attività libero-professionale, laddove non sia stata attivata la prescritta infrastruttura di rete, secondo i termini e le modalità già previste nella mozione n. 1-01563 approvata alla Camera dei deputati il 12 aprile 2017;

17) ad assumere iniziative finalizzate ad introdurre disposizioni volte a rescindere il legame tra le nomine dei dirigenti della sanità e la politica, escludendo che l'individuazione dei direttori generali delle aziende sanitarie sia rimessa ai presidenti di regione o ad altri organi politici.
(1-01701) (Nuova formulazione) «Nesci, Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Colonnese, Mantero, Baroni, Colletti, Dall'Osso».

Ritiro di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta orale Latronico n. 3-03198 del 28 luglio 2017.

Trasformazione di documenti
del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:

   interrogazione a risposta scritta Pili n. 4-09481 del 16 giugno 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-03410;

   interrogazione a risposta scritta Fedriga e Rondini n. 4-16723 del 26 maggio 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03408;

   interrogazione a risposta scritta Losacco n. 4-16745 del 26 maggio 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03407;

   interrogazione a risposta in Commissione Malisani e Porta n. 5-11497 del 1° giugno 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03404;

   interrogazione a risposta in Commissione Guidesi e Rondini n. 5-11685 del 28 giugno 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03405;

   interrogazione a risposta in Commissione Burtone e Losacco n. 5-11774 del 7 luglio 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03406;

   interrogazione a risposta in Commissione Capezzone e Latronico n. 5-12325 del 28 settembre 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03411;

   interrogazione a risposta in Commissione Gagnarli e altri n. 5-12453 del 13 ottobre 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03409.