Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 30 novembre 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,

   premesso che:

    dopo gli anni della crisi, il sistema bancario italiano (cui sono state indirizzate risorse pubbliche largamente inferiori rispetto ai Partner europei) si è rimesso lentamente in moto: da un lato, per fattori riconducibili alla ripresa economica, dall'altro in forza di fattori esogeni, non da ultimo grazie alle misure adottate dalla Banca centrale europea per garantire alle banche risorse a basso costo;

    al tempo stesso ci sono stati interventi sul rafforzamento della patrimonializzazione realizzati soprattutto attraverso aumenti di capitale, nonché mediante normative destinate a migliorare la trasparenza, la governance e la gestione dei rischi derivanti dall'attività creditizia;

    tali interventi, sono stati realizzati in particolare:

     con la direttiva CRD IV (direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recepita con il decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 72) attraverso la quale sono state introdotte disposizioni sull'accesso, sulla governance e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi;

     tramite «Basilea 3» (un insieme di provvedimenti approvati dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria in conseguenza della crisi finanziaria), con cui sono state rafforzate la preesistente regolamentazione prudenziale del settore bancario e l'efficacia dell'azione di vigilanza, nonché incrementati gli accantonamenti e le riserve da destinare alla copertura delle sofferenze;

     con la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014 (Bank Recovery and Resolution Directive (Brrd), il cui recepimento nel nostro ordinamento è stato affidato ai decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 16 novembre 2015: il primo ha introdotto nuove disposizioni relative ai piani di risanamento, ivi compreso il trasferimento dei crediti deteriorati (cosiddetto Npl, non performing loans) ad un veicolo (bad bank), alle forme di sostegno all'interno dei gruppi bancari, e alle misure di intervento precoce per gli istituti bancari e le società di intermediazione mobiliare e ha modificato le norme sull'amministrazione straordinaria delle banche e la liquidazione coatta amministrativa; il secondo, invece, ha previsto la nuova disciplina in materia di piani di risoluzione e di gestione della crisi di gruppi cross-border, poteri e funzioni dell'autorità di risoluzione nazionale e la disciplina del fondo di risoluzione nazionale;

    peraltro, nel novembre 2015 il Financial Stability Board ha proposto nuovi standard minimi di Total Loss Absorbing Capacity (capacità di assorbimento delle perdite), attraverso i quali le banche di importanza sistemica dovranno detenere, quando la norma sarà pienamente a regime, una quantità di capitale e debito doppia rispetto a quanto richiesto da «Basilea 3»;

    contemporaneamente, sul piano nazionale, sono stati introdotti nuovi strumenti per rafforzare il sistema bancario: dalle misure per migliorare l'efficienza e la rapidità delle procedure di insolvenza, anche stragiudiziali, alla garanzia pubblica sulle tranche senior delle cartolarizzazioni bancarie basate sui prestiti in sofferenza, alla creazione di Atlante (e, in seguito, Atlante 2), alla riforma del trattamento fiscale delle perdite su crediti;

    nel marzo 2017 la Banca centrale europea ha pubblicato il testo definitivo delle sue Linee guida alle banche in materia di crediti deteriorati (linee guida sugli Npl) nelle quali si pone l'accento sulla necessità di effettuare accantonamenti e cancellazioni, per i crediti deteriorati, in maniera tempestiva, al fine di contribuire a rafforzare i bilanci bancari;

    al fine di rafforzare ed integrare quanto già affermato nelle citate Linee guida il 4 ottobre 2017, il meccanismo di Vigilanza unico europeo (annesso alla Banca centrale europea) ha pubblicato un Addendum, la cui operatività è fissata al 1° gennaio 2018, il quale – in relazione agli Npl – stabilisce i livelli minimi di accantonamento prudenziale che ci si attende per le esposizioni deteriorate (non performing exposures, Npe), prevedendo in particolare, che tutti quelli assistiti da garanzie debbano essere svalutati al 100 per cento al settimo anno dalla loro classificazione a credito deteriorato, termine ridotto a due anni, invece, per quelli non garantiti (cosiddette sofferenze unsecured). Non è chiaro se la disposizione si applica solo agli Npl classificati come tali dal 1° gennaio 2018 o se sia applicabile a quelli già in essere. Sull'Addendum la Banca centrale europea ha avviato una consultazione pubblica che resterà aperta fino all'8 dicembre 2017;

    pur trattandosi di raccomandazioni non strettamente vincolanti, per i destinatari l'Addendum costituisce comunque un'indicazione abbastanza stringente, poiché assottiglia il margine della discrezionalità esercitata nel gestire i crediti deteriorati. Inoltre, per quegli istituti di credito che non le applicheranno è previsto l'obbligo di fornire, in sede di ispezione da parte dell'organo di controllo, adeguate motivazioni per giustificare lo scostamento dal comportamento suggerito;

    l'8 novembre 2017 il servizio giuridico del Parlamento europeo ha emesso un parere legale secondo il quale l'Addendum adottato oltrepassa le competenze della Bce, in quanto se adottato nella sua forma attuale, avrà carattere legalmente vincolante. Secondo il servizio giuridico dell'Europarlamento questa prerogativa appartiene esclusivamente al legislatore dell'Unione europea e pertanto obblighi addizionali per le banche possono essere introdotti attraverso una modifica formale dell'attuale quadro legislativo, tramite una proposta della Commissione con l'accordo dell'Europarlamento e dei governi. La Bce può imporre misure di accantonamento alle banche per proteggersi dai crediti deteriorati, ma può farlo soltanto alle singole istituzioni vigilate e non adottando misure che si applichino a tutte le banche sotto il suo mandato;

    il 10 novembre 2017 la Commissione europea di fatto ha ribadito di essere l'unica depositaria del potere legislativo di carattere generale dell'Unione (cosiddetto «Pillar 1»). La Bce ha invece competenza solo sul cosiddetto «Pillar 2», ovvero può imporre requisiti qualitativi ma caso per caso e dopo un'analisi specifica. Il calendario di approccio alla questione crediti deteriorati era già stato analizzato nell'ambito del Financial Services Committee e già in quella sede è risultata una opzione regolamentare estremamente controversa, tanto è vero che l'Ecofin dell'11 luglio 2017, nelle sue conclusioni, ha ritenuto necessaria un'ulteriore valutazione della Commissione europea. All'esito di tale analisi, comprensiva di una valutazione d'impatto, Ecofin chiedeva alla Commissione di valutare la presentazione di una proposta normativa. Secondo il piano di azione Ecofin, nel quadro della revisione delle norme sui requisiti di capitale (CRR/CRD IV), la Commissione deve definire misure di sostegno prudenziali, applicabili ai nuovi crediti concessi, per far fronte a una possibile insufficienza degli accantonamenti. Ottemperando alla richiesta di Ecofin, la Commissione ha lanciato la consultazione pubblica per ottenere pareri su nuove misure di sostegno prudenziale applicabili ai nuovi crediti concessi dalle banche;

    la proposta della Bce si colloca in un quadro di eccessiva produzione normativa e regolamentare in ambito di regolazione delle attività bancarie, produzione proveniente da più fonti spesso non perfettamente coordinate tra loro, spesso basata su elementi meramente quantitativi e statistici, senza tener conto delle specificità nazionali. La stratificazione della regolamentazione europea e di quella nazionale è stata sempre più intensa tanto da determinare una forte sovrapposizione di regole che hanno creato difficoltà agli operatori economici. Gli effetti si sono fatti sentire sui bilanci bancari, con ulteriori conseguenze in termini di ridotta erogazione del credito;

    secondo l'Associazione bancaria italiana (ABI), con riferimento alla successione di norme relative agli Npl, si ravvisa «l'esigenza di una pausa, da utilizzare anche per sottoporre a verifica l'attuale assetto della vigilanza e della regolamentazione dei mercati finanziari in Europa, al fine di assicurare che esso garantisca il corretto bilanciamento tra le esigenze di stabilità e crescita, e consenta al settore bancario di sostenere la ripresa e la competitività dell'economia europea ed italiana». L'Abi pertanto ha deciso che presenterà una proposta unitaria sugli Npl per le due consultazioni in corso, quella della Commissione che scade il 30 novembre, e quella della Bce, che termina l'8 dicembre. Il timore dell'Abi, condiviso in una lettera inviata alle autorità dell'Unione europea dalla Federazione bancaria europea nelle scorse settimane, è che una nuova stretta sui bilanci delle banche possa penalizzare la ripresa in corso, che in Italia è in accelerazione;

    la Banca d'Italia ha fatto presente che le decisioni regolatorie adottate dalla Bce non tengono conto delle specificità dei contesti nazionali, determinando di fatto una distorsione della parità concorrenziale tra i diversi Paesi appartenenti al SSM (Single supervisory mechanism). Nei Paesi caratterizzati da tempi lunghi di recupero dei crediti le banche sarebbero chiamate a effettuare in anticipo svalutazioni, mentre l'effetto sarebbe nullo o trascurabile nelle giurisdizioni con tempi di recupero rapidi. Inoltre, sempre a parere di Banca d'Italia, dovrebbe essere evitata l'applicazione di automatismi sulle svalutazioni dei crediti garantiti, che maggiormente risentono delle lungaggini delle procedure di recupero;

    il Centro studi di Unimpresa, in un rapporto sugli Npl diramato a fine ottobre 2017 ha rilevato che il totale delle sofferenze delle sole aziende vale 135,2 miliardi di euro, mentre il totale generale dei prestiti non rimborsati (comprensivo del dato relativo a famiglie, onlus, fondi e assicurazioni) ammonta a 172,8 miliardi, in calo di circa 27 miliardi negli ultimi 12 mesi. Su questo totale oltre 58 miliardi si riferiscono infatti al settore delle attività immobiliari e a quello delle costruzioni. Le attività immobiliari pesano per oltre il 15 per cento (20 miliardi) sui crediti deteriorati e le costruzioni per oltre il 27 per cento (più di 37 miliardi). Nella classifica dei comparti imprenditoriali che più faticano a rimborsare i finanziamenti alle banche figurano le aziende manifatturiere con circa il 21 per cento (28 miliardi) e il settore auto (vendita e assistenza) col 16 per cento (22 miliardi). Gli arretrati del settore agricolo «coprono» il 4 per cento (5,6 miliardi), mentre i crediti deteriorati del turismo valgono il 6 per cento (8 miliardi) degli incagli;

    negli stessi giorni Confindustria, nella Congiuntura Flash del Centro Studi ha rilevato che la dinamica annua dei prestiti alle imprese italiane è piatta: -0,1 per cento in agosto (+0,3 per cento a luglio), tenuto conto di cartolarizzazioni e altri crediti cancellati dai bilanci bancari. Secondo Confindustria, il credito non è più un freno alla crescita, ma nemmeno la sostiene;

    correttamente è stato osservato che le piccole e medie imprese si trovano nella strana situazione di avere, da un lato, la possibilità di investire in innovazione e formazione grazie a piani come Industria 4.0. o alle risorse messe a disposizione da fondi strutturali europei mirati ad alcune specializzazioni e, dall'altro, di non potervi accedere per la mancanza di un supporto adeguato a livello di soluzioni finanziarie su misura e di un rapporto di fiducia e conoscenza reciproca con gli istituti di credito;

    gli ultimi dati diffusi dalla Banca d'Italia, relativi a settembre 2017, quantificano le sofferenze lorde in capo agli istituti di credito italiani in 172,9 miliardi di euro. Da ottobre a metà novembre 2017 si è registrato un incremento dell'84 per cento nei volumi di Npl ceduti nel mercato italiano rispetto allo stesso periodo del 2016, per un ammontare di circa 7 miliardi di euro. Il Fondo monetario internazionale nel rapporto sull'economia europea, diffuso in questi giorni, rileva che in Italia è incoraggiante la recente accelerazione nella vendita degli Npl, i prestiti non performanti. Nelle economie europee avanzate dal picco del 2014 i livelli di Npl sono scesi di circa 160 miliardi di euro ma lo stock rimane elevato, di poco sotto i 1.000 miliardi di euro;

    Banca d'Italia sottolinea come il processo di smobilitazione degli Npl debba avvenire in maniera costante, graduale e intelligente cercando anche di trarre profitto. Il tasso di recupero al 34 per cento, non sovrastima le previsioni per gli anni a venire e l'assunto secondo cui non è opportuno cedere tutto e subito a operatori esterni al 23 per cento quando con procedure ordinarie si può recuperare il 43 per cento;

    la svalutazione dei crediti basata su meccanismi integralmente automatici rappresenta una opportunità per il mercato secondario degli Npl (cosiddetti marketplace), dal momento che rende meno onerosa la loro cessione massiva ai fondi speculativi a fronte di un pesante impatto sui bilanci delle banche cedenti, ma soprattutto di un depauperamento di gran parte della ricchezza nazionale accantonata nel tempo da famiglie ed imprese. Infatti, la sovrabbondanza dell'offerta di crediti deteriorati in vendita si confronta con una domanda costituita da pochi investitori, particolarmente liquidi, ma altrettanto ambiziosi quanto a redditività attesa. I tassi di rendimento che determinano i prezzi di acquisto offerti dai cosiddetti «fondi avvoltoio», gli unici in grado di comprare grandi quantità di crediti deteriorati, si aggirano intorno al 20 per cento e non scendono mai sotto il 15 per cento. L'applicazione di questi tassi di rendimento costringe le banche a vendere crediti valutati 40 euro su 100 a prezzi intorno al 10 per cento;

    Cerved, una delle principali agenzie di rating in Europa e il più grande information provider in Italia, nel febbraio 2016 ha diffuso dati dai quali è emerso che circa il 50 per cento delle sofferenze bancarie sono coperte da garanzia reale, cioè sono crediti garantiti da ipoteche su beni immobili. La maggior parte di queste garanzie non riguardano immobili residenziali (che sono circa il 10 per cento, bensì immobili produttivi che sono quelli per cui vi saranno maggiori difficoltà di collocamento. Il collocamento sul mercato di oltre 100 miliardi di euro di sofferenze significa quindi un potenziale collocamento sul mercato immobiliare di 50 miliardi di euro di immobili, la gran parte produttivi;

    secondo una indagine del Sole 24 Ore (10 novembre 2017), nel 2017 33 miliardi di Npl garantiti (secured) con immobili (50 per cento uffici e negozi, 30 per cento impianti, 10 per cento hotel e 10 per cento residenze) sono stati acquistati da big esteri. La fetta rappresentata dai pacchetti garantiti dal «mattone» è pari al 75 per cento su 45 miliardi totali, escludendo Atlante; a comprare sono stati i big americani del private equity come Cerberus, Bain capital credit, KKR, Fortress, Pimco, ma hanno comprato anche Algebris e CRC;

    da ultimo giova osservare che sono in corso di esame presso la Commissione finanze proposte di legge volte a favorire la definizione transattiva di debiti insoluti verso banche e intermediari finanziari, meditante trattativa diretta tra debitore e creditore. Infine, nella bozza di legge di bilancio, circolata ad ottobre 2017, era presente una disposizione, poi espunta, sull'ampliamento della sfera operativa della legge n. 130 del 1999 sulle cartolarizzazioni dei crediti, uno degli strumenti principali utilizzati dalle banche per smaltire i crediti deteriorati: tale proposta, era stata valutata favorevolmente dagli operatori di settore. La legge era già stata oggetto di modifica con l'articolo 60-sexies del decreto-legge n. 50 del 2017;

    il 18 ottobre 2017, la Commissione finanze del Senato ha approvato una risoluzione in materia di Npl, ai cui impegni integralmente ci si richiama,

impegna il Governo:

1) ad adottare le opportune iniziative in sede europea per la modifica o la revisione dell'Addendum pubblicato dal meccanismo di vigilanza unico europeo – Banca centrale europea, tenuto conto del fatto che l'iniziativa legislativa di carattere generale dell'Unione spetta alla Commissione europea, sulla base delle comunicazioni Ecofin;

2) a far presente, nella fase ascendente relativa all'elaborazione delle nuove norme dell'Unione europea sulla gestione dei rischi del credito e dei non performing loans (Npl), la necessità di corretto bilanciamento tra l'obiettivo della stabilità del settore finanziario e l'obiettivo di crescita e competitività dell'economia europea, tenendo conto delle specificità nazionali;

3) ad adottare iniziative volte a favorire una sollecita definizione dei crediti incagliati e delle sofferenze bancarie, tenendo conto delle proposte e del dibattito già maturati, al fine di assicurare al comparto creditizio nazionale una pari competitività con gli istituti di credito esteri;

4) ad assumere iniziative per introdurre nell'ordinamento nazionale misure agevolative, anche di carattere fiscale, per favorire l'azione di soggetti privati e pubblici, nelle iniziative di valorizzazione degli immobili a garanzia di crediti deteriorati;

5) ad assumere iniziative per introdurre misure agevolative, anche di carattere fiscale, volte ad intervenire sui crediti prima che questi divengano «crediti deteriorati», istituendo un diritto di prelazione grazie al quale il debitore potrà estinguere la posizione debitoria – pagando un importo pari al valore d'iscrizione della medesima, dopo la svalutazione, nel bilancio del creditore – ottenendo la cancellazione della propria posizione di sofferenza dalla Centrale dei rischi creditizi tenuta dalla Banca d'Italia;

6) ad operare, in materia, nella consapevolezza che deve essere ribadita la netta distinzione tra clausole regolatorie settoriali (che hanno un valore tecnicamente essenziale ed ineccepibile) e definizione ed impostazione della politica economica che, per il suo valore supremo, trascende ogni ambito tecnico per costituire, in realtà, attività esclusiva e fondamentale dell'organo esecutivo.
(1-01760) «Tancredi, Bosco».

Risoluzioni in Commissione:


   La I Commissione,

   premesso che:

    l'Associazione nazionale comunità italo-somala raccoglie circa 600 soci e si occupa della minoranza somala di lingua e cultura italiana, composta da cittadini italiani nati nel periodo dell'Afis (amministrazione fiduciaria italiana della Somalia);

    da anni denuncia alle istituzioni competenti la condizione di disagio e discriminazione vissuta dai figli nati in Somalia da padre italiano e madre somala tra il 1950 e il 1960;

    sopraggiunta l'indipendenza, la condizione di questi bambini è stata di particolare difficoltà;

    essi siano vittime di discriminazione sia nel loro Paese di origine, in quanto ripudiati per essere figli degli ex colonizzatori, sia in Italia, in quanto figli illegittimi di italiani che avevano generalmente già altra regolare famiglia;

    il trasferimento in Italia dei minori italo-somali si è reso necessario a causa dell'insorgere di uno stato di necessità dovuto all'ostilità della popolazione somala, in maggioranza mussulmana, verso i figli cristiani degli italiani abbandonati in Somalia al termine dell'Afis;

    i minori sono stati vittime della discriminazione razziale di alcune leggi, in particolare la n. 822 del 1940 (contro il meticciato) inspiegabilmente applicata durante il mandato fiduciario dell'Onu, nonostante l'abrogazione;

    ne è prova il certificato biotipologico in dotazione agli italo-somali trasferiti in Italia nei primi anni ’60 al termine dell'Afis;

    chi è giunto in Italia ha quindi vissuto un grave sradicamento che ha segnato la sua esistenza con rilevanti disagi materiali e psicologici;

    non è mai stata prevista alcuna normativa di raccordo o di transizione che potesse tutelare l'ex-popolazione amministrata, in particolare per i minori italosomali abbandonati dagli italiani rientrati in Italia a seguito del termine dell'Afis;

    per circa 20 anni la comunità degli italo somali si è rivolta alle istituzioni italiane per chiedere di adeguare la normativa esistente (legge n. 137 del 1952) per la tutela della comunità, costituita all'epoca dei fatti da minori in stato di apolidia e di abbandono;

    sin dal 2007 è in corso una interlocuzione istituzionale con il Ministero dell'interno in merito a tale questione;

    nel settembre 2015 il Sottosegretario pro tempore Domenico Manzione, in occasione di un incontro con la delegazione italo-somala evidenziò come la questione potesse risolversi all'interno dell'ordinamento amministrativo dello Stato italiano –:

impegna il Governo

ad assumere iniziative per estendere alla comunità italo-somala dell'Afis le provvidenze già riconosciute dalla normativa italiana alle vittime di discriminazioni razziali e guerra e da Trattati internazionali.
(7-01414) «Fiano, Tullo, Carocci, Fiorio, Ferrari, Paris, De Maria, Peluffo, Naccarato, Marantelli, Gribaudo, Verini, Basso, Cuperlo, Giorgis, Cinzia Maria Fontana, Misiani, Giacobbe, Miccoli, Mura, Camani, Giuseppe Guerini».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    Canali S.p.a, azienda di produzione di capi d'abbigliamento fondata in Italia nel 1934, ha stabilimenti anche in Usa, Inghilterra, Francia e Svizzera. Dagli anni ’80 i capi Canali sono esportati in Europa, Medio Oriente e Canada. Nel 2012 la produzione italiana destinata all'esportazione ha raggiunto l'87,5 per cento del totale. Il marchio Canali ha vestito illustri personaggi come, ad esempio, Barack Obama e Dustin Hoffman. Nel 2015 Canali ha inaugurato la vendita diretta con lo shop online;

   l'ultimo utile d'esercizio dichiarato dell'anno 2016 della Canali S.p.a., risulta essere di 8.653.982,00 euro;

   in data 16 ottobre 2017, l'azienda Eraclon Spa del gruppo Canali, a sorpresa ha annunciato l'inizio della procedura di licenziamento collettivo per la cessata attività dello stabilimento di Carate Brianza (Monza e Brianza) per tutti i 134 dipendenti, di cui 130 donne;

   a settembre 2016 era stata già gestita una forte riorganizzazione aziendale dello stabilimento di Carate tramite l'utilizzo del contratto di solidarietà difensivo e l'uscita volontaria di 75 lavoratrici. Poco tempo dopo, 39 delle lavoratrici rimaste hanno accettato una riduzione del proprio orario di lavoro. I sindacati che hanno concordato tali operazioni con l'azienda hanno affermato che, tra le uscite e i part-time dei lavoratori, è stata trovata una soluzione in equilibrio con le esigenze della società le cui intenzioni erano di modificare in maniera drastica la produzione con la metà della forza lavoro a disposizione. Intenzioni disattese in maniera definitiva dall'azienda visto che la decisione ultima della proprietà rimane tutt'ora quella di chiudere definitivamente il sito produttivo, licenziando tutti i dipendenti;

   le organizzazioni sindacali che seguono la vicenda hanno, sin dal principio, espresso la loro volontà di percorrere tutte le iniziative idonee nell'arrivare ad una soluzione della vertenza che possa evitare la chiusura del sito brianzolo;

   una delegazione delle lavoratrici è stata ricevuta lo scorso 14 novembre dalla Presidente della Camera e gli esiti di tale incontro sono stati riferiti dalla stessa Presidente Boldrini al Ministro dello sviluppo economico;

   nel tavolo del 14 novembre 2017 aperto presso il Ministero dello sviluppo economico, i rappresentanti del Ministero hanno confermato la necessità di un approfondimento giudicando comunque incomprensibile la modalità di gestione da parte dell'azienda di un problema di questa portata e hanno accolto la richiesta che le organizzazioni sindacali hanno da subito posto di affrontare i problemi del Gruppo Canali con una visione complessiva e senza forzature e azioni unilaterali di questa gravità;

   susseguentemente al tavolo del 14 novembre, i rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico hanno esplicitamente chiesto di poter parlare con la famiglia Canali, titolare dell'azienda, a quanto risulta ai firmatari del presente atto senza da questa ricevere alcuna risposta,

impegna il Governo:

   a promuovere iniziative volte ad elaborare un piano di intervento che preveda la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali e l'esclusione dei licenziamenti per ognuna delle lavoratrici e dei lavoratori dello stabilimento di Carate Brianza, prevedendo per loro degli adeguati ammortizzatori sociali e rendendo tempestiva informazione degli esiti dei tavoli alle competenti Commissioni parlamentari;

   nel caso non si riescano ad evitare i licenziamenti dei lavoratori del sito produttivo di Carate Brianza, ad assumere iniziative volte a prevedere un piano di ricollocamento per ognuno dei dipendenti licenziati;

   a proseguire, nell'ambito dei tavoli nazionali di confronto aperti, nelle iniziative volte alla convocazione della famiglia Canali, titolare dell'azienda;

   a promuovere, per quanto di competenza, un concreto cambiamento della gestione societaria al fine di assicurare una strategia di sviluppo a lungo termine dell'azienda, che ponga al centro delle priorità gli investimenti necessari per l'innovazione e la salvaguardia occupazionale del sito di Carate Brianza.
(7-01415) «Tripiedi, Luigi Di Maio, Ciprini, Di Battista, Cominardi, Lombardi, Dall'Osso, Chimienti, Busto, De Rosa, Nicola Bianchi, Gagnarli, Daga, Terzoni, Micillo, Carinelli, Dell'Orco, Spessotto, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spadoni, Ferraresi, Sarti, Sibilia, Manlio Di Stefano, Scagliusi, Lupo, Paolo Bernini, Massimiliano Bernini, L'Abbate, Colletti, Nesci, Parentela, Dieni, Brescia, Silvia Giordano, Mantero, Cecconi, Toninelli, Simone Valente, Vacca, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Da Villa, Vallascas, Pesco, Della Valle, Castelli, Villarosa, Alberti, Crippa, Brugnerotto, Caso, Basilio, D'Incà, Frusone, Di Benedetto, Rizzo, Luigi Gallo, Grillo, Lorefice».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   Montescaglioso è uno dei centri più grandi della regione Basilicata, insignita del titolo di città nel 2004 e del riconoscimento di «comune gioiello d'Italia» nel 2012 e sorge a pochi chilometri da Matera con cui condivide le bellezze del parco archeologico storico naturale delle chiese rupestri del Materano e possiede un patrimonio di beni straordinario: l'abbazia di San Michele Arcangelo, una delle più grandi d'Europa, quindici chiese, quattro monasteri, palazzi nobiliari seicenteschi e settecenteschi;

   il 3 dicembre 2013 Montescaglioso ha subito un catastrofico evento franoso che ha devastato il territorio per di più 70 ettari, oltre a produrre gravissimi danni alle infrastrutture e al patrimonio edilizio privato, coinvolgendo abitazioni, opifici ed opere stradali;

   agli inizi del 2014, a ridosso quindi dell'evento franoso, il comune ha ricevuto un primo finanziamento per far fronte nell'immediato all'emergenza, finanziamento di 4.700.000 euro di cui 1.000.000 di euro dalla regione Basilicata e il resto dalla protezione civile nazionale;

   ad agosto 2017 il consiglio regionale della Basilicata ha votato all'unanimità la mozione presentata dai consiglieri Spada, Lacorazza, Bradascio, Cifarelli e Napoli con cui si impegnava «a tener conto, nell'ambito dei programmi di interventi urgenti per la mitigazione del rischio idrogeologico di cui alla piattaforma RENDIS, dei due progetti inerenti il completamento della messa in sicurezza e il consolidamento definitivo del versante nel territorio comunale di Montescaglioso interessato dalla frana del 3 dicembre 2013, stante l'urgenza e l'indifferibilità degli interventi, l'estensione dell'area interessata e soprattutto il numero delle persone a rischio»;

   anche nella successiva audizione presso la Commissione attività produttive territorio e ambiente, la regione confermava che la situazione di Montescaglioso costituiva una priorità regionale e che nel provvedimento, in fase di pubblicazione, avrebbe avuto un'assegnazione ai primi posti della graduatoria degli interventi;

   tuttavia, con determina regionale n. 01094 del 6 novembre 2017 «Task force interventi di mitigazione del rischio idrogeologico» l'orientamento regionale è mutato; infatti, è stato dichiarato ammissibile e finanziabile, per il comune di Montescaglioso, solo il completamento delle opere di mitigazione del rischio e ripristino del reticolo idrografico per un totale di 1.712.284,75 euro, progetto occupante il 27° posto nella graduatoria regionale sui 93 ammissibili e finanziabili;

   è stato ritenuto ammissibile ma non finanziabile, invece, il progetto più importante, quello da 7.000.000 di euro per la definitiva messa in sicurezza del versante franoso che, da anni, crea seri rischi per la sicurezza di due terzi della città e per gli oltre 6.000 abitanti;

   infatti, nonostante la sussistenza di tutti i requisiti oggettivi posti dai fondi ReNDIS, il progetto relativo al consolidamento definitivo del versante franoso risulta essere stato collocato al 121° posto tra le priorità individuate dalla determina regionale n. 01094, collocazione che dimostra come la messa in sicurezza del comune di Montescaglioso non venga considerata una reale priorità dalla regione Basilicata –:

   se il Governo sia a conoscenza della grave situazione in cui versa il comune di Montescaglioso e, quali iniziative per quanto di competenza, intenda porre in essere per mettere in sicurezza il territorio in questione, evitando rischi per gli oltre 6.000 cittadini che lo popolano.
(4-18676)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   con lettera del 24 maggio 2012 prot. 409/12, pervenuta al comune di Bagolino in data 25 maggio 2012, l'organismo di indirizzo Odi ha comunicato l'approvazione della graduatoria definitiva di merito delle richieste di finanziamento a valere sui fondi Odi 2010/2011, deliberando un finanziamento pari ad euro 3,83 milioni, per il progetto di realizzazione di una rotatoria al chilometro 55,8 della strada provinciale 237 del Caffaro in prossimità del confine tra le province di Trento e Brescia;

   il progetto definitivo, poi confermato nella fase esecutiva, ha previsto l'affiancamento di un nuovo ponte a quello attuale e l'utilizzo di entrambi i ponti a senso unico di marcia al fine di realizzare una circolazione in rotatoria, seppur fortemente asimmetrica e con raggi planimetrici molto ridotti (6,5 metri) e di gran lunga inferiori a quelli minimi riportati nella relazione tecnico descrittiva del progetto esecutivo (10_E_R_110_5), laddove è stato dichiarato che il valore minimo dei raggi planimetrici non doveva essere inferiore a 12,50 metri. Tali dati sono confermati dalla planimetria di tracciamento (380_E_T_310_25) e di progetto (350_E_T_310_10);

   ora che i lavori della rotatoria asimmetrica sono praticamente conclusi e l'opera è sotto gli occhi di tutti, si sta diffondendo l'opinione, soprattutto tra i conducenti di mezzi pesanti, che, così come è stata realizzata, l'opera non è in grado di svolgere la funzione per la quale è sta pensata e progettata. L'opera potrebbe altresì creare nuove e pericolose situazioni di intasamento veicolare. In particolare gli autoarticolati o gli autobus in transito sulla 237 provenienti da Storo (Trento) che svoltano su via dei Campini in direzione della strada provinciale 69 sarebbero impediti nella manovra proprio per la presenza di ridottissimi raggi planimetrici e di pericolosi e bruschi salti di quota;

   le predette opinioni trovano conferma nelle parole del vicesindaco di Bagolino, il quale, in un'intervista pubblicata sulla stampa locale, ammette l'esistenza di problematiche sulla nuova opera appena realizzata, per quanto riguarda le svolte dei mezzi («Caffaro, ora spunta il terzo ponte» – Trentino, 7 settembre 2017);

   infine, con riferimento alla quota del pelo libero del sottostante fiume Caffaro, il sottoponte del nuovo ponte realizzato risulta stranamente ad una quota più bassa rispetto al sottoponte di quello vecchio. Pare, per di più eccessivamente ridotto il franco idraulico del nuovo ponte –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati nelle premesse, dei ritardi e dei tempi previsti per l'apertura dell'opera finalizzata ai sensi dell'articolo 2, commi 117 e seguenti, della legge n. 191 del 2009;

   di quali elementi disponga il Governo circa la conformità della rotatoria, con riferimento alle traiettorie progettate, autorizzate e dunque realizzate per permettere le manovre di svolta dei mezzi pesanti, nonché in merito al rispetto delle norme tecniche delle costruzioni e delle relative circolari esplicative, con particolare riferimento al franco idraulico e all'eventuale piena del fiume Caffaro.
(4-18687)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, MELILLA, EPIFANI, ZARATTI, FOLINO, KRONBICHLER, D'ATTORRE, QUARANTA, ROBERTA AGOSTINI, FERRARA, FRANCO BORDO, NICCHI, ALBINI, MURER, SCOTTO, BOSSA, FOSSATI, CARLO GALLI, SANNICANDRO, ROSTAN, FAVA, ZAPPULLA e CAPODICASA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   gli organi di informazione locali, come Il Resto del Carlino, Il Corriere Adriatico, La Provincia di Fermo, Com, Cronache Fermane edizione di Fermo, riportano la notizia dell'arresto di Rodolfo Briganti, 58 anni, rappresentante legale della Senesi Spa di Morrovalle per gestione illecita di rifiuti con ipotesi di corruzione;

   stando alle notizie riportate, l'arresto è avvenuto a seguito della maxi operazione della Direzione investigativa antimafia di Catania, denominata Gorgoni, che ha portato a 18 arresti nell'ambito della gestione illecita dei rifiuti da parte del Clan Cappello e Laudani nei comuni di Trecastagni, Misterbianco e Aci Catena, con diramazioni nella Sicilia orientale e a quanto pare, anche nelle Marche;

   la notizia desta particolare preoccupazione, poiché la provincia di Fermo ha subìto danni causati dal terremoto e va tenuta alta l'attenzione soprattutto nella fase della ricostruzione –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'accaduto e quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, per tutelare l'intera comunità fermana e marchigiana dalla criminalità organizzata;

   se il Governo intenda intraprendere, per quanto di competenza, iniziative finalizzate al contrasto della gestione illecita dei rifiuti che danneggia la qualità sia della salute che dell'ambiente.
(5-12860)


   GASPARINI, CASATI e MAURI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   ogni anno, in presenza di eventi meteorici di qualche rilievo, il fiume Seveso esonda e allaga vasti territori del nord Milano e, in particolare, i quartieri di Niguarda e Pratocentenario;

   per evitare le esondazioni la regione Lombardia ha deciso di costruire 5 vasche di laminazione per la raccolta di 4,5 milioni di metri cubi di acqua, quantità che le autorità preposte hanno valutato essere necessaria e sufficiente. Delle 5 vasche, 2, destinate a contenere 2,4 milioni cubi di acqua, non si realizzeranno in quanto collocate in un'area industriale dismessa ex-Snia che richiede di essere prima bonificata, ma ad oggi non sono previsti investimenti per le bonifiche;

   la vasca situata nel parco nord Milano, tra il confine di Milano e Bresso, non era originariamente prevista dall'Aipo. Aggiunta successivamente, la stessa è collocata a poche decine di metri da abitazioni civili con un alta densità abitativa, e verrebbe realizzata in un parco regionale abbattendo centinaia di piante classificate e iscritte ai crediti per il carbonio. Inoltre, la vasca comporterebbe un'ulteriore cementificazione del territorio per oltre 4 ettari e la conseguente riduzione delle aree di filtrazione delle acque meteoriche;

   forte è la preoccupazione dei cittadini che abitano a ridosso dell'area in cui dovrebbe essere costruita la vasca, perché il Seveso è il terzo fiume d'Europa per inquinamento. I fanghi raccolti in seguito a riempimento in caso di esondazione sarebbero il risultato di un processo di progressiva concentrazione e sedimentazione dei composti veicolati dal fiume, in parte tossici, e non è dato di sapere il rischio per la salute per il tempo necessario alla decantazione e all'evaporazione;

   il Seveso è inquinato a causa di sversamenti industriali non controllati come il mercurio e l'esaclorobutadiene. La procura della Repubblica di Milano nel 2014, nel corso di un'indagine, ha accertato 1.420 scarichi abusivi nel fiume;

   dal 2014 ad oggi nulla è stato fatto per rimuovere le cause dell'inquinamento del Seveso e per iniziare finalmente le attività di bonifica del fiume; nonostante ciò, si intende realizzare una vasca di 270.000 metri cubi a ridosso di un popoloso quartiere residenziale;

   i comitati dei cittadini e le amministrazioni di Bresso, Cinisello Balsamo, Cormano e Cusano Milanino hanno da oltre 3 anni evidenziato che la realizzazione di opere di laminazione non è sufficiente per azzerare il rischio di esondazioni, se non è accompagnata da interventi attuativi della normativa in vigore che prevede l'introduzione di misure atte a garantire il rispetto del principio della «invarianza idraulica» e del «drenaggio urbano sostenibile»;

   inoltre, sottolineano che dal punto di vista ambientale è assurdo danneggiare un parco per realizzare una vasca di soli 270.000 metri cubi, non risolutiva rispetto al problema di esondazione del Seveso (anche alla luce della non realizzazione delle vasche a Paderno e Varedo per 2,4 milioni di metri cubi) e dannosa per la salute dei cittadini –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, anche per il tramite della competente autorità di bacino, in relazione ai rischi derivanti dalla prevista realizzazione della vasca di laminazione, anche nell'ottica di tutelare la salute degli abitanti di Bresso interessati dall'impianto;

   se il Governo non ritenga di promuovere, per quanto di competenza e in accordo con la regione Lombardia, l'avvio del progetto per l'invarianza idraulica e per il drenaggio urbano sostenibile nelle aree più urbanizzate e popolose attraversate dal fiume Seveso, allo scopo di risolvere definitivamente il problema delle esondazioni che non potrebbe essere risolto con una insufficiente e dannosa vasca di laminazione nel Parco nord Milano.
(5-12866)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il fiume Crocchio nasce a Croce di Tirivolo, a circa 1.600 sul livello del mare, da una serie di piccole sorgive ed attraversa, per 40 chilometri, i territori dei comuni di Taverna, Zagarise, Sersale, Petronà, Cerva, Belcastro, Andali, Cropani e Botricello, prima di sfociare nel mar Jonio. Numerosi sono i fossi ed i torrenti minori che lo alimentano, ma due, in particolare, sono quelli che gli danno gli apporti maggiori in termini idrici: il fosso Spinalba nella parte alta del corso e il fiume Nasari a poca distanza dalla foce;

   un servizio andato in onda il 27 novembre 2017 al Tg regionale ha documentato come il fiume Nasari, unico affluente del fiume Crocchio che nasce nella Sila piccola e arriva nel golfo di Squillace, presenti, ultimamente, acque nere e maleodoranti che avrebbero provocato la morte di alcuni capi di bestiame, in particolare ovini;

   il territorio attraversato dal fiume Crocchio così come dal Nasari ospita molte specie contemplate nella direttiva 92/43/CEE «Habitat» e nella direttiva 79/409/CEE «Uccelli», tra questi: lepre, capriolo, ghiro, cinghiale, istrice, scoiattolo nero meridionale, mustelidi, volpe, lupo, gatto selvatico, gheppio, astore, nibbio bruno e nibbio reale, gufo reale, assiolo, sparviere, falco di palude, falco lodolaio, falco pellegrino, allocco, corvo imperiale, albanella, poiana, airone cinerino, barbagianni, biancone, tartaruga di fiume, tartaruga terrestre, saettone, cervone, biscia dal collare, biacco, vipera, coronilla austriaca, ramarro, lucertola campestre, luscengola, rospo comune, tritone, rana italica, raganella, salamandrina dagli occhiali, salamandra pezzata. Numerose sono le erbe officinali di particolare interesse scientifico, quali, l’Osmunda regalis, la Pteride di Creta, la Falcetta lanosa, la Woodwardia radicans, mentre tra gli habitat vegetazionali si annoverano la foresta sempreverde di sughera, la foresta sempreverde di leccio, un bosco di platano orientale, un boschetto di alloro ed il pino nero silano –:

   di quali elementi disponga il Ministro in relazione alla situazione di cui in premessa e se non intenda promuovere, per quanto di competenza, un'immediata verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, allo scopo di accertare lo stato dei luoghi così da garantire la conservazione degli ecosistemi e della biodiversità esistenti, scongiurare danni alla salute animale e dell'uomo ed i conseguenti pregiudizi per una fragile economia che vive di agricoltura e allevamento.
(4-18677)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   Agatos Etnea srl, con sede a Milano via Cesare Ajraghi n. 30, ha presentato, in data 8 agosto 2017 un progetto, all'assessorato regionale competente, per un nuovo impianto di produzione integrata di biometano da 1500 Sm3/h, energia in assetto cogenerativo Car e materie prime secondarie, ubicato nel comune di Assoro (Enna);

   l'impianto prevede l'utilizzo di un'area agricola di circa 13 ettari e il ciclo di lavorazione ha inizio con materiale in arrivo con Tir e autocompattatori per una stima iniziale di 500.000 tonnellate/annue, di cui: rifiuto urbano non selezionato pari a 400.00 t/anno e Forsu pari a 100.000 t/anno. In ragione dei cicli di lavorazione, oltre al biometano produrrebbe: energia elettrica per 36.263 WW/h; energia termica per 159.911.000 KW/h; materiali vari recuperati annualmente come: tessuti e simili per 48.000 t.; metalli per 12.000 t.; vetro per 8.000 t.; plastiche per 160.000 t.; legno per 4.000 t.; carta e cartone per 20.000 t.; sali tecnici: zolfo e FeS2 150 t., solfato d'ammonio per 2.600 t.; sali minerali a base di fosfati per 2.000 t.; organico indifferenziato per 112.000 t. e materiali separati per differenziazione 221.320 t.;

   successivamente, l'assessorato regionale, nota protocollo 34607 del 18 settembre 2017, ha indetto la conferenza di servizi decisoria in forma semplificata, ai sensi degli articoli 14 e 14-bis della legge n. 241 del 1990. L'assessorato, attesa la mole del progetto, ha richiesto all'amministrazione comunale – nota prot. n. 7389 del 13 ottobre 2017 – un atto di indirizzo sia per la consistente portata volumetrica e urbanistica che l'impianto comporta, sia per l'elevata quantità di rifiuti da porre in lavorazione;

   l'eventuale realizzazione dell'impianto, con la movimentazione di materiale anche pericoloso e nocivo, avrebbe senza ombra di dubbio effetti assolutamente negativi per un territorio che vanta tra le sue eccellenze la pesca di Leonforte IGP (regolamento (C.E.) n. 510/06), il pecorino ennese dop, la cassatella di Agira, la fava larga di Leonforte, la lenticchia nera, l'olio particolarmente pregiato delle colline ennesi e il Pan Dittaiano: tutti prodotti tipici del territorio che danno reddito a migliaia di famiglie;

   proprio la fava di Leonforte è stata recentemente inserita – 14 luglio 2017 – nell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali ex articolo 12, comma 1, della legge 12 dicembre 2016, n. 238;

   l'amministrazione comunale il 17 ottobre 2017 prot. n. 7471, così dichiarava: «... in questo momento non ritiene si possa dare corso all'iniziativa di realizzazione dell'impianto descritto senza avere prima valutato gli interessi pubblici coinvolti». Tale parere è stato confermato di nuovo con nota prot. 7712 del 25 ottobre 2017;

   il 10 novembre 2017 il consiglio comunale di Assoro, dopo una lunga discussione in merito alla proposta, all'unanimità ha deliberato di non dare assenso alla proposta della ditta Agatos Etnea srl, poiché: «per la realizzazione dell'impianto, in zona agricola, risulta necessario sottrarre superfici alla produzione vegetale agraria di qualità ed eccellenza nonché realizzare opere e strutture che non potranno essere dismesse al momento dell'esaurimento dell'attività produttiva, senza lasciare danni ed alterazioni permanenti al territorio. Dette infrastrutture non possono avere carattere temporaneo, poiché la durata dell'impianto – 30 anni – comprometterà in maniera irrimediabile e irreversibile l'economia del territorio, per cui si ritiene in essere una vera e propria variante al P.R.G. di cui questa amministrazione comunale rivendica la propria competenza» –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda assumere iniziative normative volte a limitare la localizzazione di impianti per il trattamento dei rifiuti in aree di elevato prestigio agroalimentare e caratterizzate da produzioni di eccellenza, che danno reddito a migliaia di famiglie, come nel caso sopra descritto.
(4-18683)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   nella primavera 2017 venivano avviati i lavori di riqualificazione della zona adiacente alla chiesa di San Marcello nei pressi del Politecnico di Bari, miranti alla realizzazione di una nuova piazza e della sede del Municipio II. La zona destinata al PIRP San Marcello è poco distante da Villa Giustiniani, sotto le cui fondamenta è stato ritrovato un ipogeo di età romano-bizantina a forma di «dromos», in attesa di essere recuperato e messo in sicurezza; come previsto dall'articolo 22, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004, prima dell'approvazione del programma Pirp San Marcello è stato richiesto l'assenso della Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia;

   con nota del 18 dicembre 2013 la Soprintendenza comunicava alla cooperativa Pirp San Marcello che le aree interessate dal progetto non erano sottoposte a vincolo archeologico né sono mai state oggetto di rinvenimenti. La nota rinviava infine agli articoli 90 e 175 del decreto legislativo n. 42 del 2004, secondo cui in caso di ritrovamenti archeologici durante i lavori è necessario interrompere immediatamente gli stessi e dare comunicazione alla Soprintendenza per richiederne un intervento;

   nelle scorse settimane sono state rinvenute grotte e strutture sotterranee nel corso dei lavori di realizzazione del Pirp San Marcello. Messa a conoscenza del ritrovamento, la Soprintendenza ha compiuto le sue valutazioni ma non ha decretato l'interruzione dei lavori, disponendo unicamente la presenza di un geologo al fianco del personale incaricato dei lavori; la prossimità del cantiere Pirp San Marcello a Villa Giustiniani pone un grande interrogativo sull'effettiva rilevanza dei recenti rinvenimenti nell'area interessata dai lavori;

   ad oggi, pur essendone nota l'esistenza, l'ipogeo romano-bizantino al di sotto di Villa Giustiniani risulta essere un'area di interesse archeologico ancora in attesa di essere recuperata. La stessa Villa Giustiniani giace in stato di abbandono, sebbene secondo numerosi studiosi essa corrisponda alla Grancia Benedettina tra il IX e XII secolo, ovvero San Nicola fuori le mura;

   è evidente che ancora poco è stato fatto per appurare il reale valore archeologico dell'intera area adiacente a Villa Giustiniani o per verificare la presenza di altre strutture sotterranee rilevanti da un punto di vista storico e archeologico che indubbiamente restituirebbero alla città di Bari un tassello prezioso della sua storia. Non è chiaro come la Soprintendenza possa lasciar procedere i lavori per il Pirp San Marcello nonostante questi importanti interrogativi –:

   se intenda verificare, nel rispetto delle sue competenze, l’iter in base al quale la Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia abbia prima concesso il proprio assenso alla cooperativa Pirp San Marcello per l'avvio dei lavori e, a seguito del rinvenimento di grotte e strutture sotterranee nel cantiere, abbia accordato la prosecuzione dei lavori;

   se intenda appurare, attraverso ulteriori indagini archeologiche, se le aree interessate dal progetto Pirp San Marcello possano essere ritenute rilevanti dal punto di vista archeologico e se, in tal caso, non intenda assumere iniziative per imporre il vincolo su di esse così come già fatto in passato per Villa Giustiniani.
(4-18671)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONE VALENTE e MANTERO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con legge 24 luglio 2008 n. 125 recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, il Governo ha avviato l'operazione «Strade Sicure»;

   tali disposizioni intervengono al fine di prevenire o reprimere la diffusione della criminalità grazie all'impiego di un contingente di personale militare appartenente alle Forze armate che, su indicazione dei prefetti e laddove risulta opportuno un maggiore controllo del territorio, svolge servizi di vigilanza a siti ed obiettivi sensibili; l'operazione consiste nel controllo esterno ai centri di accoglienza e ai centri di identificazione ed espulsione ed ha assunto, negli ultimi anni, notevole importanza stante la portata del fenomeno migratorio e si sostanzia anche nella perlustrazione e nel pattugliamento in concorso con le forze di polizia. La città di Ventimiglia, negli ultimi anni estenuata dalla gestione di flussi migratori internazionali, vive ormai in un clima di insicurezza generale dovuto non solo alla presenza di migranti irregolari che da mesi occupano il greto del fiume Roja ma soprattutto alle frequenti risse fra gli extracomunitari che fanno registrare comportamenti illeciti sempre più frequenti;

   tali profondi disagi si sono, inoltre, intensificati a causa dell'arrivo in città di migranti provenienti soprattutto dalla Tunisia dove una recente amnistia ha portato fuori dalle carceri centinaia di pregiudicati; pertanto, non si tratterebbe di profughi in fuga da guerre e povertà, come quelli che da anni ormai transitano a Ventimiglia, ma di migranti irregolari di tutt'altra natura;

   da quanto si apprende dalle fonti di stampa, attualmente le unità delle forze dell'ordine impiegate a Ventimiglia solo per la gestione dei migranti sarebbero circa 152: di queste, 65 apparterrebbero al reparto mobile costituito dal Battaglione dei Carabinieri, dai nuclei antiterrorismo della Guardia di finanza e dagli stessi agenti di polizia; oltre a queste unità, la questura fruirebbe anche di 45 militari appartenenti all'operazione «Strade Sicure» nonché di 18 unità dei reparti di prevenzione del crimine;

   in città come Milano, Torino, Napoli, Bologna, l'operazione «Strade Sicure» ha raggiunto dei risultati soddisfacenti in termini di riduzione degli atti criminali e aumento della percezione di un clima generale di sicurezza da parte dei cittadini;

   la necessità di aumentare i presidi militari sarebbe auspicabile anche in ragione dell'insufficienza degli organici delle varie forze dell'ordine e delle polizie locali numericamente non in grado di affrontare l'incremento dei fenomeni criminali;

   l'azione di presidio del territorio da parte dei militari avrebbe il vantaggio di alleggerire parzialmente da tali incombenze il personale di polizia e dei carabinieri che potrebbe così occuparsi maggiormente dell'attività investigativa ordinaria contro la criminalità organizzata e lo spaccio di stupefacenti;

   stante la condizione di evidente difficoltà in cui versa il comune di frontiera, la prefettura di Imperia, a seguito di un incontro con sindaco e questore, in cui si è eseguita una verifica dell'attuale situazione delle diversificate dinamiche dei flussi migratori registrate nell'ultimo periodo, avrebbe avanzato una richiesta al Ministero della difesa al fine di implementare il contingente dell'esercito già presente sul territorio –:

   con quali specifiche modalità l'operazione «Strade Sicure» sia attiva nella provincia di Imperia, con particolare riferimento al numero di unità di personale impiegato non solo nel comune di Ventimiglia, per garantire l'adeguato pattugliamento dell'area, il controllo dei centri per immigrati e la sorveglianza dei punti sensibili individuati dalla prefettura;

   se il Governo abbia già preso in considerazione la richiesta del prefetto di Imperia di implementare il contingente già attivo sul territorio e in che modo si stia adoperando per svolgere un'accurata e capillare attività di vigilanza sul territorio.
(5-12851)

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO, CORDA, FRUSONE, RIZZO, TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetto «Salva Italia», all'articolo 21, comma 1, ha disposto la soppressione dell'Inpdap, stabilendo che, dalla data in vigore del decreto, le relative funzioni venissero attribuite all'Inps, in relazione a tutti i rapporti attivi e passivi dell'ente soppresso;

   risultano numerose segnalazioni di incongruenze negli estratti conti previdenziali dei singoli dipendenti delle Forze armate, relativamente a mancati versamenti di contributi previdenziali dovuti;

   la legge 8 agosto 1995, n. 335 (cosiddetto riforma Dini) ha riformato la disciplina dei trattamenti pensionistici, prevedendo all'articolo 3, commi 9 e 10, la riduzione del termine di prescrizione della contribuzione previdenziale e assistenziale da dieci a cinque anni;

   la situazione riportata delle segnalazioni sopracitate provoca forte preoccupazione nel personale interessato –:

   quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere per verificare la esatta situazione descritta in premessa con riguardo all'eventuale mancato versamento dei contributi previdenziali dei dipendenti delle Forze Armate interessati;

   quali siano le motivazioni per le quali tali versamenti risultino mancanti nell'estratto conto previdenziale del personale interessato;

   quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano adottare affinché nella banca dati dell'Inps figurino gli estratti conto previdenziali dei dipendenti delle Forze Armate, verificando che gli stessi siano perfettamente coincidenti con il servizio prestato dai militari interessati;

   quali urgenti iniziative si intendano adottare affinché si provveda immediatamente al versamento dei contributi previdenziali eventualmente mancanti, anche in relazione alla normativa che disciplina l'istituto della prescrizione dei contributi pensionistici dovuti;

   quali urgenti iniziative si intendano adottare per provvedere al versamento puntuale mensile dei contributi all'Inps, così come previsto dalla normativa vigente.
(4-18674)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   lo stato in cui versa la sanità pubblica nella regione Molise è critico. Nonostante la regione abbia stipulato nel lontano 2007 un piano di rientro dal disavanzo sanitario, il debito legato alle spese sanitarie continua a salire e, negli ultimi anni, ha subito addirittura un'accelerazione;

   dal 2011 al 2015 il debito complessivo ha fatto registrare un incremento del 39,7 per cento passando dai 387,5 milioni di euro (2011) ai 541,4 milioni di euro del 2015. Nel 2015 su ogni cittadino molisano ha pesato un debito di 1.735 euro quale quota pro capite relativa al passivo accumulato dal servizio sanitario regionale, di 541,4 milioni di euro, nei confronti di fornitori. Nello stesso anno, la peggiore pagatrice, tra tutte le regioni italiane, è stata azienda sanitaria regionale del Molise che ha saldato i fornitori con un ritardo medio ponderato di 390 giorni;

   tuttavia, per alcune strutture private, non sembrano valere i rigidi criteri di spesa previsti dal piano di rientro, dal momento che nel 2016 la regione Molise ha liquidato circa 100 milioni di euro – per la precisione 86 – in favore di Neuromed, dell'Università Cattolica e della Fondazione Giovanni Paolo II, per il pagamento di – prestazioni sanitarie contestate, risalenti, nel caso di Neuromed, addirittura a ventuno anni prima;

  per liquidare tali somme, la regione Molise ha acceso un mutuo di 250 milioni di euro, di cui un terzo è stato utilizzato per le transazioni con il Neuromed e la Cattolica. Nonostante la legge che ha consentito alla regione di accedere al mutuo preveda la possibilità di saldare solo «i crediti certi liquidi ed esigibili», i crediti vantati da Neuromed e Cattolica corrispondevano a prestazioni sanitarie tutte oggetto di giudizi pendenti, rispetto ai quali la regione aveva contestato sia la sussistenza che il relativo ammontare, dunque privi dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità richiesti dalla legge;

   con riferimento ai crediti più datati (nel caso di Neuromed risalenti al 1993, la regione ha provveduto al pagamento nonostante i relativi contratti, da cui originavano tali crediti, fossero stati stipulati con la ex Asl di Isernia, attualmente in liquidazione e facente capo ad un commissario con il compito di liquidare, appunto, tutte le pendenze;

   inoltre, l'approvazione del pagamento è stata resa soltanto con determina del dirigente, senza un pronunciamento né della giunta né del consiglio regionale né del commissario ad acta; peraltro, nel caso di Neuromed, molti mesi dopo l'adozione della determina dirigenziale, si è scomodato il governatore della regione in persona, Paolo di Laura Frattura, per ratificare gli atti compiuti dal dirigente, sanando in questo modo qualsiasi possibile contestazione in ordine ad ogni eventuale «vizio di incompetenza», mentre la transazione con la università Cattolica non è stata oggetto dello stesso trattamento da parte del governatore della regione;

   il differente trattamento tra Neuromed e università Cattolica, in realtà, non finisce qui. Basta leggere i documenti pubblicati sul sito della regione Molise per rendersi conto che, mentre per la Cattolica sono indicate analiticamente le prestazioni oggetto di rimborso, per Neuromed regione si è «accontentata» di ben più scarni «riepiloghi» per macroaree, rinviando a documenti di dettaglio che però non sono accessibili. Non si comprende come abbia fatto la regione a determinare l'importo dovuto alle strutture private se i contenziosi erano, per la maggior parte, ancora in corso –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritengano opportuno assumere le iniziative di competenza, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, al fine di fare chiarezza sulle anomalie denunciate.
(5-12863)

Interrogazione a risposta scritta:


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   in Gazzetta Ufficiale 5a serie speciale – contratti pubblici n. 109 – del 16 settembre 2015 è stato pubblicato l'avviso di aggiudicazione di un appalto bandito da Poste Italiane per l'ammontare di circa 30 milioni di euro, avente ad oggetto la gestione, la conduzione e la manutenzione del complesso immobiliare Roma Eur e dell'immobile sede della presidenza di via dei Crociferi;

   l'operatore economico in favore del quale è stata adottata la decisione di aggiudicazione dell'appalto è risultato un raggruppamento temporaneo di imprese, avente come indirizzo postale la città di Firenze, e del quale fanno parte le società Sof Spa, Rublan Costruzioni srl, Ph Facility srl e TM. A. Ambiente srl;

   alla data di pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione, non era ancora stato firmato il protocollo di vigilanza collaborativa tra Poste Italiane e Anac, datato 21 aprile 2016;

   si segnala che la Rublan Costruzioni s.r.l. è una società edile con sede in Roma alla via Cesare Pavese n. 8.;

   tra i soci della Rublan Costruzioni s.r.l. vi sono anche due società di cui la prima, MED Development Limited, con sede a Londra e la seconda, S.C.I. Gherarden, a Montecarlo;

   non si hanno informazioni dettagliate relative la composizione interna delle due società straniere;

   la Rublan Costruzioni s.r.l. dall'anno 2016 risulta indagata dalla procura della Repubblica di Roma ex articolo 677 del codice penale per fatti inerenti l'appalto affidatole dalla Futurhaus soc. coop. edile a r.l. che aveva ad oggetto la realizzazione di 72 unità abitative in località Malafede, Roma;

   nel febbraio del 2016 il cantiere edile ove insistono le abitazioni non completate è stato sottoposto a sequestro preventivo ex articolo 321 del codice di procedura penale;

   inoltre la società Rublan risulta soggetto giuridico protestato, inaffidabile economicamente –:

   se si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, volte alla verifica dei fatti citati in premessa, anche in collaborazione con l'Autorità nazionale anticorruzione;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, anche sul piano normativo, per evitare che pubbliche amministrazioni o società sotto il controllo della pubbliche amministrazioni o da esse partecipate diano luogo ad appalti illegittimi e poco trasparenti.
(4-18684)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   SALTAMARTINI e MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   secondo le informazioni raccolte dall'interrogante tramite l'U.s.p.p. Unione sindacati di polizia penitenziaria, è stato emanato il decreto ministeriale 2 ottobre 2017 riguardante la ripartizione delle dotazioni organiche del Corpo di polizia penitenziaria, in adeguamento alla nuova dotazione organica definita con il decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95;

   in base al decreto l'organico complessivo del Corpo di polizia penitenziaria è di 41.202 unità, ovvero 3.919 unità in meno rispetto alla precedente dotazione organica (45.121 fissata con decreto ministeriale 22 marzo 2013);

   il personale di polizia penitenziaria, di ogni ruolo e qualifica, in servizio al 31 ottobre 2017 è pari a 36.999 unità, compresi 810 allievi agenti che stanno frequentando i corsi 171° e 172° presso le scuole di formazione, ovvero 4.203 unità in meno rispetto alla nuova dotazione organica e, addirittura, 8.122 in meno rispetto al citato decreto ministeriale del 2013;

   la popolazione detenuta negli istituti penitenziari, al 31 ottobre 2017, è pari a 57.994 persone, rispetto ad una capienza regolamentare di 50.544, ovvero 7.450 detenuti in più;

   per effetto del drastico taglio operato, il Corpo di polizia penitenziaria ha subìto una sensibile riduzione del personale appartenente al ruolo agenti e assistenti pari a 4.654 unità;

   gravi situazioni si sono venute a determinare per le carceri più importanti d'Italia, quali quelle di Roma Rebibbia Nuovo Complesso, Roma «Regina Coeli», Milano «San Vittore», Milano «Opera», Napoli «Poggioreale», Napoli «Secondigliano»; Torino «Lo Russo Cotugno», Palermo «Ucciardone», Palermo «Pagliarelli» e Cagliari;

   risultano peraltro aumentati i carichi di lavoro del personale di polizia penitenziaria, articolati in turni di servizio difformi rispetto a quelli previsti dal vigente contratto nazionale, con il ricorso sistematico al lavoro straordinario e con la conseguente compressione dei congedi ordinari e dei riposi settimanali;

   il neo-piano di ripartizione organica, sottoposto al vaglio delle organizzazioni sindacali, appare non corrispondente alle reali ed effettive necessità delle strutture penitenziarie e sembra minare la solidità organizzativa del Corpo di polizia penitenziaria, perché non considera le singole tipologie delle strutture logistiche, la complessità dei circuiti detentivi, il numero dei detenuti presenti, il numero di traduzioni e piantonamenti di detenuti eseguiti, ed i menzionati carichi di lavoro del personale;

   l'importanza dei compiti istituzionali del Corpo di polizia penitenziaria deriva dal contenuto dell'articolo 27 della Costituzione e le conseguenze negative derivanti dalla diminuita dotazione organica si ripercuoterebbero esclusivamente sul personale addetto alla sicurezza degli istituti penitenziari, ai sensi dell'articolo 87 del codice penale, cosiddetto «colpa del custode» –:

   se il Ministro abbia assunto iniziative finalizzate a verificare l'impatto del decreto ministeriale 2 ottobre 2017 sul carico di lavoro che dovrà essere assorbito dal personale di polizia penitenziaria;

   se si possa considerare garantito il corretto svolgimento dei compiti istituzionali che deve assicurare il Corpo di polizia penitenziaria, ai sensi dell'articolo 5 della legge 15 dicembre 1990, n. 395;

   se si intenda procedere a straordinarie assunzioni di personale di polizia penitenziaria, al fine di ripianare effettivamente l'attuale pianta organica stabilita dal decreto ministeriale 2 ottobre 2017;

   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato riguardo al personale del Corpo di polizia penitenziaria risultante in esubero presso le sedi degli istituti penitenziari e presso le sedi diverse dagli istituti penitenziari, di cui alla tabella B del decreto ministeriale 2 ottobre 2017, e, soprattutto, riguardo al personale in servizio presso le sedi diverse dagli istituti penitenziari che, addirittura, non compare nella citata tabella B, come, ad esempio quelle del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del personale e dei servizi, del dipartimento per gli affari di giustizia, dei varchi di accesso dei tribunali di Roma e Napoli.
(4-18678)


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   le autorità dirigenti del provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria per la Sicilia, ovvero il provveditore regionale titolare, dirigente generale dottor Gianfranco De Gesu ed il provveditore vicario, dirigente penitenziario dottoressa Anna Internicola, sono legati da vincolo matrimoniale;

   ad avviso dell'interrogante, il provveditore regionale per la Sicilia, massima autorità del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, esercita le sue funzioni in evidente conflitto di interessi, essendo il coniuge del dirigente provveditore vicario del medesimo ufficio;

   è innegabile che il provveditore ed il suo vicario siano quotidianamente coinvolti nelle decisioni inerenti l'organizzazione e la gestione dell'ufficio ed ancor più se si considera che la dottoressa Internicola, oltre alla funzione di vicario, esercita anche l'incarico di dirigente dell'ufficio I-affari generali del provveditorato regionale per la Sicilia;

   il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 recante «regolamento codice di comportamento di dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» stabilisce all'articolo 13, comma 3, che «il dirigente, prima di assumere le sue funzioni, comunica all'amministrazione le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari che possano porlo in conflitto di interessi con la funzione pubblica che svolge e dichiara se ha parenti e affini entro il secondo grado, coniuge o convivente che esercitano attività politiche, professionali o economiche che li pongano in contatti frequenti con l'ufficio che dovrà dirigere o che siano coinvolti nelle decisioni o nelle attività inerenti all'ufficio. Il dirigente fornisce le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e le dichiarazioni annuali dei redditi soggetti all'imposta sui redditi delle persone fisiche previste dalla legge»;

   la situazione descritta, dunque, oltre a porsi in contrasto, secondo l'interrogante, con quanto previsto dal codice di comportamento, non consente al dirigente della struttura di giudicare in maniera equa ed imparziale scelte e provvedimenti intrapresi dal suo vicario;

   dall'esame del curriculum della dottoressa Internicola emerge che, prima della sua assegnazione al provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria, solo per breve periodo, le siano stati conferiti solo incarichi di vice direttore dell'istituto penitenziario;

   ulteriori criticità sarebbero state rilevate, a quanto risulta all'interrogante, negli ultimi anni e perpetrate anche di recente nella gestione del personale del provveditorato regionale per la Sicilia –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del possibile conflitto di interessi che intercorre tra il provveditore regionale per la Sicilia e il suo vicario e quali siano le motivazioni per le quali sia ancora tollerata tale situazione;

   se non intenda assumere iniziative per verificare le modalità di assegnazione degli incarichi in relazione al suddetto provveditorato.
(4-18685)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nonostante si parli di fusione fra Anas e Gruppo Ferrovie dello Stato italiane, tale unione appare più un'acquisizione che una reale cessione di azioni dal Tesoro al gruppo FS Holding, come previsto inizialmente dal piano del Governo;

   i recenti provvedimenti normativi porteranno alla fusione entro la fine dell'anno 2017, determinando di fatto l'esclusione dei dipendenti dell'Anas dal perimetro della pubblica amministrazione;

   l'operazione in corso presenta molteplici criticità e nessun apparente beneficio per il bene collettivo, in quanto le presunte sinergie ed economie di scala appaiono effimere e basate su congetture non dimostrabili;

   la «rivoluzione del container», che ha accompagnato la globalizzazione favorendo una sempre maggiore connessione tra le economie nazionali, impone con urgenza la creazione e il rinnovo di infrastrutture nodali per l'efficientamento della catena logistica a scala globale;

   è necessario rispondere a sfide come quella del raddoppio del canale di Suez, che consente oggi il passaggio di 97 navi al giorno invece di 47, e l'apertura della galleria del San Gottardo, che consentirà un aumento stimato della capacità di traffico di oltre il 40 per cento;

   le imprese che si occupano di trasporti eccezionali hanno accettato oneri aggiuntivi per poter proseguire a lavorare, ma così facendo si sono trovate in grossa difficoltà;

   le politiche infrastrutturali dovranno essere orientate alla creazione di sinergie al fine di favorire investimenti orientati all'innovazione nella produzione di mezzi di trasporto pubblico, infrastrutture e sistemi tecnologici (infrastrutture «smart», sistemi intelligenti di trasporto ITS) e nella fornitura di servizi innovativi in linea con le esigenze del mercato;

   in Italia solo il 6 per cento del traffico merci viaggia su rotaie. L'obiettivo europeo del 30 per cento di traffico su ferro entrò il 2030 richiederà uno sforzo economico di Ferrovie dello Stato che potrebbe pregiudicare gli investimenti su gomma e quindi la capacità di investimento reale del gruppo Anas che, con il nuovo piano quinquennale, avrà a disposizione 29,5 miliardi di euro, di cui 27,5 già finanziati e spendibili;

   il nesso causale fra la fusione Anas-Ferrovie dello Stato e la quotazione in borsa dell'alta velocità di Ferrovie dello Stato si sta affievolendo, a giudicare dalle dichiarazioni contrastanti dei vertici di Ferrovie dello Stato succedutesi negli ultimi tempi –:

   se il Governo non reputi che, attuando la fusione, si possa precarizzare un contesto, ad iniziare dall'inquadramento del personale, attualmente stabile ed efficiente, da cui non si può prescindere per il futuro di un Paese come il nostro, in cui le infrastrutture stradali svolgono un ruolo centrale.
(5-12855)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIANO, BRAGA, GUERRA, TENTORI, ROTTA e FABBRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   suscita molta preoccupazione il video rilanciato dalle principali testate giornalistiche, e diventato virale sui social network, di un'azione intimidatoria, a giudizio degli interroganti in assoluto e indiscutibile stile squadrista, posta in essere da un gruppo di militanti di «Veneto Fronte Skinheads»;

   una quindicina di militanti di Veneto Fronte Skinheads si è introdotta nel corso di una riunione di Como Senza Frontiere, una rete di associazioni a sostegno dei migranti, imponendo di fatto l'ascolto di un documento delirante letto da un esponente del gruppo di estrema destra;

   solo grazie al senso di responsabilità mostrato dai componenti di Como Senza Frontiere è stata evitata qualsiasi forma di scontro;

   Veneto Fronte Skinheads non è nuova a iniziative di questo genere ed è nota per la sistematica propaganda antisemita condotta a più livelli;

   solo tre giorni fa suddetto gruppo di estrema destra sempre a Como ha dipinto diverse sagome di migranti davanti le sedi della Caritas locale;

   si tratta, secondo gli interroganti, di una precisa strategia che non è possibile derubricare a semplice provocazione o folklore, considerata anche la vasta eco che tali iniziative possono avere attraverso i social network –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere con tempestività e urgenza al fine di affrontare la pericolosità di simili manifestazioni che in molte aree del Paese sta assumendo profili di vera e propria emergenza.
(5-12856)


   GINEFRA e VENTRICELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la prefettura di Bari ha disposto l'interdittiva antimafia per la società Ercav, azienda di proprietà della famiglia Lombardi (di Triggiano) che gestisce la raccolta di rifiuti in decine di comuni pugliesi;

   per la prefettura l'origine del provvedimento cautelare è legato alla assoluta continuità tra la vecchia società Lombardi Ecologia srl (fallita nel giugno 2016) e la Ercav srl, poiché come riporta l'articolo di Repubblica nell'edizione del 29 novembre 2017 «hanno un oggettivo e incontrovertibile legame che le accomuna»;

   nel provvedimento vengono elencati i procedimenti a carico di alcuni rappresentanti della famiglia Lombardi e viene ricordato che la società omonima era finita in concordato preventivo già due anni fa, con la successiva nomina dei commissari giudiziali, citando anche il lavoro svolto dalla direzione investigativa antimafia;

   tali elementi erano già stati rilevati nel procedimento di scioglimento per infiltrazioni mafiose adottato dal Ministero dell'interno nei confronti del consiglio comunale di Valenzano;

   emergerebbe che all'interno della Ercav vi sarebbero un numero non irrilevante di pluripregiudicati legati ai clan Parisi e Zonno;

   nell'interdittiva sono riportati concreti e attuali elementi indicatori di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società Ercav e di collegamenti della medesima con la criminalità organizzata;

   si pone ora il problema della gestione della raccolta dei rifiuti in 28 comuni in cui Ercav prestava servizio, di cui 21 salentini, e Capurso, Mola, Triggiano, Valenzano, Toritto e Cellamare in provincia di Bari;

   il caso di Valenzano potrebbe quindi non essere isolato –:

   se il Ministro sia a conoscenza di questi ulteriori sviluppi in merito alle infiltrazioni criminali nel territorio barese e quali iniziative intenda adottare al fine di rafforzare l'azione governativa di vigilanza e contrasto, attivando, per quanto di competenza, ogni procedura di controllo in merito alle attività di Ercav poste in essere fino ad oggi, considerato che essa ha prestato servizio per 28 comuni dell'area.
(5-12865)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   stando alle risultanze di un rapporto di ricerca curato e recentemente pubblicato dall'Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con il laboratorio per la sicurezza ed il supporto della società Checkpoint Systems, la provincia di Como si situerebbe al terzo posto nella graduatoria delle aree soggette al maggior numero di furti nei negozi in Italia;

   precedono la provincia di Como in questa poco invidiabile classifica solo quelle di Agrigento e Parma;

   sarebbe stato rubato in provincia di Como un ammontare di beni il cui valore complessivo corrisponderebbe al 2,33 per cento di 2,3 miliardi di euro, cifra che corrisponderebbe a quanto illegittimamente sottratto in tutta Italia durante il 2016;

   specialmente colpiti risultano i supermercati, gli esercizi commerciali in generale ed in particolare quelli del comparto abbigliamento;

   sarebbero altresì in aumento i furti compiuti da piccole gang composte da non più di tre malviventi, che agirebbero prevalentemente di notte –:

   in che modo il Governo conti di fare fronte a questa vera e propria emergenza d'ordine pubblico in atto nella provincia di Como e se, in particolare, non si ritenga opportuno garantire a quest'ultima capacità di contrasto aggiuntive, potenziando la consistenza dei distaccamenti locali dell'Arma dei carabinieri e della polizia di Stato, in modo tale da permettere alle forze dell'ordine di presidiare più efficacemente il territorio comasco nelle ore notturne.
(4-18672)


   AMATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nella relazione al Parlamento per il secondo semestre 2016 in merito alla «Attività svolta e risultati conseguiti dalla direzione investigativa antimafia si legge per quanto concerne Abruzzo e Molise, che quelli che fino alla scorsa relazione semestrale venivano indicati come segnali — per quanto qualificati — di una presenza delle cosche in Abruzzo e in Molise, grazie alle evidenze investigative raccolte nel semestre con l'operazione “Isola Felice” sono diventati importanti tessere del mosaico espansionistico della ’ndrangheta verso regioni solo all'apparenza meno “appetibili”»;

   l'operazione in parola, infatti, come detto nel paragrafo dedicato alla provincia di Crotone, è stata conclusa, nel mese di settembre, dall'Arma dei carabinieri con l'esecuzione di una misura cautelare a carico di 25 soggetti, facendo piena luce sull'operatività del gruppo Ferrazzo di Mesoraca (Crotone) in Abruzzo e in Molise;

   il capo ’ndrina non solo aveva scelto di stabilire ufficialmente la propria residenza in San Giacomo degli Schiavoni (Campobasso), ma si era di fatto reso promotore di un'associazione criminale composta sia da calabresi che da siciliani (famiglia Marchese di Messina) che operava tra San Salvo (Chieti), Campomarino (Campobasso) e Termoli (Campobasso);

   nel corso dell'indagine sono state documentate le cerimonie di affiliazione, che prevedevano giuramenti su «santini» ed altre immagini sacre, insieme a rituali di chiara matrice pagana;

   le indagini hanno ben delineato come la cosca Ferrazzo volesse ricompattarsi in Abruzzo, arrivando, appunto, in un’«isola felice» per rinsaldare le proprie attività criminali;

   l'analisi degli avvenimenti porta ragionevolmente a far ritenere che l'ascesa del clan Ferrazzo in Abruzzo e Molise sia stata in qualche modo favorita dalla «caduta» del clan campano Cozzolino, precedentemente egemone nello stesso territorio e fortemente ridimensionato a seguito dell'operazione «Adriatico» della procura distrettuale aquilana;

   in data 28 novembre 2017 Giuseppe Salvatore Rima, figlio del boss Totò Riina è stato trasferito da Padova, alla casa lavoro di Vasto dove dovrebbe restare per un anno;

   più volte la segreteria del Siulp ha segnalato la carenza di organico delle forze di polizia nell'area sud della provincia di Chieti –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda porre in essere per contrastare il fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata e contenere la percezione di insicurezza degli abitanti del sud della provincia di Chieti, nonché per rafforzare l'organico della polizia nelle aree di confine sud della provincia di Chieti e, in particolare, della polizia giudiziaria a supporto della procura di Vasto (Chieti).
(4-18679)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la procura della Repubblica di Avellino ha recentemente posto sotto sequestro l'edificio che ospita lo storico liceo scientifico Pasquale Stanislao Mancini di Avellino a seguito del rischio di crollo dei solai;

   i provvedimenti di chiusura di strutture scolastiche di Avellino, che fino ad ora hanno interessato anche il liceo artistico «De Luca», l'istituto professionale per il commercio ex «Scoca», l'I.p.i.a. «Amatucci», unitamente alle ispezioni ancora in corso che interessano la scuola media «Solimene», oltre ad altri istituti cittadini, evidenziano come sia in atto una vera e propria emergenza scolastica non più sottovalutabile né affrontabile con logiche emergenziali;

   attualmente, dopo la conferma del sequestro della scuola da parte della magistratura, gli oltre 1200 studenti della scuola hanno potuto riprendere le lezioni dividendosi in più di quattro diversi istituti della città su turno pomeridiano con ore di 50 minuti dalle 13,30 alle 19,30;

   in questo modo è messa a rischio la validità dell'anno scolastico ovvero il regolare svolgimento dei duecento giorni di lezione, nonché la fruizione dell'offerta formativa nel suo complesso antimeridiano e pomeridiano, comprese le stesse attività connesse agli obblighi previsti dalla legge n. 107 del 2015 in merito all'alternanza scuola-lavoro, con conseguenze molto serie sullo stesso percorso formativo degli studenti;

   al di là delle specificità delle problematiche legate ai singoli istituti, resta sullo sfondo l'isolamento che ogni scuola sta vivendo rispetto al vuoto di poteri in cui è stata lasciata un'istituzione dello Stato come la provincia – titolare di una competenza fondamentale come quella dell'edilizia scolastica – da una riforma a giudizio dell'interrogante sconclusionata che le ha tolto risorse finanziarie fondamentali e l'ha privata del controllo democratico che proveniva dal soppresso mandato elettorale diretto dei cittadini;

   è necessario che il prefetto della città convochi un tavolo permanente di crisi per l'emergenza scolastica, al quale siedano il dirigente dell'ufficio scolastico regionale e provinciale, il presidente della provincia, il sindaco della città capoluogo, i dirigenti scolastici e le organizzazioni sindacali. Il tavolo dovrebbe avere la finalità di individuare le migliori soluzioni possibili, di affrontare in maniera organica i tanti problemi che devono essere gestiti a partire dall'immediato e di dare corpo al necessario confronto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

   sembra un destino beffardo quello di una scuola storica come il liceo scientifico «P.S. Mancini» di Avellino, gloriosa fucina di talenti e di eccellenze professionali, che, nello stesso giorno in cui saliva alla ribalta delle cronache nazionali per aver vinto il titolo di «Scuola più innovativa d'Italia» all'8ª edizione del «Global Junior Challenge», concorso internazionale che seleziona i migliori progetti che utilizzano le moderne tecnologie per portare innovazione e inclusione nel campo dell'educazione e della formazione dei giovani, vedeva apporre i sigilli da parte dell'autorità giudiziaria –:

   quali iniziative urgenti intenda porre in essere il Governo, per quanto di competenza, al fine di consentire alla provincia di Avellino di espletare le sue funzioni in materia di gestione degli istituti scolastici;

   se non si ritenga necessario assumere le iniziative di competenza affinché il prefetto di Avellino convochi un tavolo di confronto con le parti interessate e le istituzioni espressione del territorio, al fine di risolvere primariamente il problema del mantenimento in funzione dei plessi scolastici.
(4-18681)


   VACCA e FRACCARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 107 del 2015, la cosiddetta Buona scuola non ha trovato piena applicazione nella provincia di autonoma di Bolzano che, tuttavia, ha adeguato il proprio ordinamento ai princìpi desumibili dalla nuova normativa approvando la legge provinciale n. 14 del 2016;

   con la delibera n. 136 del 2017 la giunta della provincia autonoma di Bolzano istituisce nuove graduatorie provinciali creando un terzo canale, ai fini delle immissioni in ruolo dei docenti della scuola, che si aggiunge al canale delle graduatorie ad esaurimento e delle graduatorie dei concorsi pubblici. La nuova graduatoria è formata, in sostanza, dai possessori del titolo di abilitazione all'insegnamento derivante da tirocinio formativo attivo (TFA) e Percorso abilitante speciale (PAS). Tale sistema, ideato in un primo momento per esigenze di reclutamento specifiche della scuola tedesca e ladina, è stato successivamente utilizzato anche per le scuole in lingua italiana senza che fossero stipuliate specifiche intese con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

   la conseguenza diretta-facilmente intuibile è la seguente: ai docenti afferenti alle altre graduatorie, in particolare le graduatorie ad esaurimento, viene sottratta una parte dei posti disponibili ai fini dell'immissione in ruolo determinando il permanere nelle graduatorie ad esaurimento stesse contrastando, di fatto, alcuni dei fini della legge n. 107. Infatti, nel resto d'Italia le graduatorie ad esaurimento vengono vengono man mano svuotate, per favorirne l'esaurimento, attraverso il piano straordinario di assunzioni;

   è necessario ricordare che la normativa nazionale prevede la possibilità di accesso al ruolo per gli abilitati previo superamento o espletamento della FIT (formazione iniziale e tirocinio) introdotta dalla legge n. 107 del 2015;

   i docenti in graduatoria ad esaurimento della provincia autonoma di Bolzano sono oltre un centinaio;

   allo stato attuale la provincia autonoma di Bolzano non ha attuato alcuna iniziativa istituzionale comparabile al piano straordinario di assunzioni –:

   quali iniziative intenda promuovere il Governo, nei limiti delle proprie competenze per verificare l'attuazione concreta dei princìpi della legge n. 107 del 2015 su tutto il territorio nazionale e, in particolare, nella provincia autonoma di Bolzano;

   quali iniziative intenda adottare, nei limiti delle proprie competenze nel caso fosse verificata una mancata piena attuazione di tutti i princìpi contenuti nella legge n. 107 del 2015.
(4-18686)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COMINARDI e ALBERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   in un articolo pubblicato dal Giornale di Brescia il 16 novembre 2017 si evidenzia come quest'anno, a Brescia e provincia, i centri commerciali sembrano proseguire con la chiusura il giorno di Natale e con l'apertura nel giorno di Santo Stefano: calendari analoghi per Elnòs, Porte Franche, Freccia Rossa e Leone. Anche il Franciacorta Outlet Village sarà aperto il 26 dicembre, da qui la protesta dei dipendenti che in pochi giorni hanno raccolto 400 firme contrarie all'apertura. Stessa situazione in provincia di Bergamo, come riporta Il Fatto Quotidiano del 15 novembre 2017: oltre mille lavoratori del centro commerciale Orio Center (Bergamo) chiedono al consiglio di amministrazione di rivedere il piano di lavoro previsto per il 25 e 26 dicembre e per il 1° gennaio 2018. Il Consiglio di amministrazione, infatti, ha previsto la regolare apertura dei negozi del centro commerciale che si trova a poca distanza dall'aeroporto di Orio al Serio (BG). Queste le conseguenze del decreto-legge n. 201 del 2011, cosiddetto «decreto Monti» sulle liberalizzazioni, che ha previsto la liberalizzazione dell'apertura dei negozi per 365 giorni l'anno, 24 ore su 24. Sin dalla presentazione della proposta, i sindacati, la Confesercenti e la Chiesa Cattolica, con motivazioni diverse, la criticarono, sostenendo che le aperture prolungate non servissero a far aumentare i consumi, che esperimenti simili condotti in passato da alcune amministrazioni locali non avessero dato esiti positivi e che le aperture continuate potessero in qualche modo ledere i diritti dei lavoratori e delle persone credenti –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e degli elementi riportati in premessa;

   se il Ministro interrogato intenda assumere le iniziative di competenza, anche normative, alla luce delle criticità evidenziate in premessa, al fine di garantire i diritti dei lavoratori, particolarmente danneggiati dalle aperture nei giorni festivi degli esercizi commerciali.
(5-12853)


   DADONE, TRIPIEDI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Marica Ricutti, 39 anni, è madre separata di due figli di 10 e 5 anni d'età, alla quale è stato riconosciuto il diritto di accesso alle misure di agevolazione ai sensi della legge n. 104 del 1992 al fine di seguire il figlio più piccolo disabile;

   il 28 novembre 2017 è stata pubblicata su vari siti di informazione la notizia del licenziamento della signora Ricutti da parte di Ikea dove prestava la propria attività da 17 anni. Secondo quanto riportato le ragioni del licenziamento sarebbero connesse alla difficoltà, per la 39enne, di rispettare gli orari di lavoro a causa delle esigenze di cura e assistenza riconosciutele in favore del minore disabile;

   come dichiarato dalla stessa donna: «Sono stata messa alla porta perché non ho accettato il turno delle 7 del mattino. Un orario che per me è complicato, come sa bene l'azienda»;

   dal canto suo, l'azienda ha dichiarato che «sta svolgendo tutti gli approfondimenti utili a chiarire gli sviluppi della vicenda. L'azienda vuole valutare al meglio tutti i particolari e le dinamiche relative alla lavoratrice oggetto della vicenda», secondo quanto riportato dai media e dai sindacati, infatti, l'azienda avrebbe deciso per il licenziamento a fronte di due casi di ritardo registrati a carico della donna;

   con decreto interministeriale del 12 settembre 2017 adottato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministro dell'economia e delle finanze, sono stati definiti i criteri e le modalità per incentivare la contrattazione di secondo livello al fine di promuovere la conciliazione tra vita professionale e vita privata;

   tale misura, giunta a circa tre anni di distanza dall'approvazione della legge delega, dimostra, a pochi mesi dalla sua adozione già i primi segni di inadeguatezza, considerando peraltro che, a decorrere dal 2015, con i decreti attuativi del cosiddetto Jobs Act i diritti dei lavoratori sono stati progressivamente smantellati attraverso una eccessiva semplificazione e deresponsabilizzazione dei datori di lavoro attraverso il maggior favore della monetizzazione del licenziamento rispetto alla reintegra del lavoratore;

   il caso del licenziamento attuato da Ikea non sembra essere l'unico di tal genere e rischia anzi di diventare soltanto uno dei primi di una lunga serie che caratterizzeranno il futuro prossimo dei lavoratori in Italia;

   oltre al generale quadro normativo che si presenta particolarmente povero di tutele per chi lavora, si ravvisa, ad avviso degli interroganti, da parte dell'azienda, un preoccupante segnale di discriminazione e di violazione dei diritti al lavoro, alla famiglia e alla salute come sanciti dalla Carta costituzionale –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;

   se il Ministro interrogato non ritenga necessario adottare tempestivamente iniziative normative finalizzate a garantire la concreta tutela del diritto dei lavoratori, della famiglia e della salute nonché l'effettiva conciliazione delle esigenze di vita e lavoro.
(5-12857)


   ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di aprile 2015 i lavoratori Qè, al fine di evitare licenziamenti collettivi, furono collocati in cassa integrazione e nel maggio del 2016, furono avviati i contratti di solidarietà per evitare il licenziamento di 90 esuberi e, nel giugno 2016, l'azienda approvò il bilancio consuntivo, con un passivo di circa 6,5 milioni di euro;

   Transcom World Wilde, la società che gestisce la commessa dell'Inps e che in questi anni ne ha dato in subappalto una parte a Qè, data la grave situazione, decise di sospendere il servizio. I lavoratori dichiararono sciopero a oltranza fino al fallimento dell'azienda;

   a seguito dell'incontro del 30 settembre 2017 con l'assessore alle attività produttive, Mariella Lo Bello, la regione si dichiarò disponibile a fare da garante. Intanto, il 3 ottobre i lavoratori recandosi sul posto di lavoro, trovarono chiusa la sede operativa del call center. Il 10 ottobre la direzione territoriale del lavoro convocò sia i sindacati che la proprietà, la quale non si presentò;

   il 23 novembre il vice ministro allo sviluppo economico, durante un incontro tenutosi a Roma sulla vertenza Qè con sindacati e proprietà, invitò l'azienda Qè a dichiarare fallimento. Il 28 novembre i lavoratori furono licenziati;

   all'incontro in regione del 14 dicembre 2016, la Di Bella Group presentò un progetto per la creazione di una nuova azienda multifunzionale, non riferita soltanto ad attività di Customer Care, con prospettive di reintegro per gli ex dipendenti Qè;

   a giugno 2017, l'ex amministratore di Qè Patrizio Argenterio viene indagato per non aver versato l'Iva per l'anno d'imposta 2014 e sottoposto a sequestro di beni per un valore di 1 milione di euro. Alcuni, giorni dopo, Qè fallisce ufficialmente;

   il 6 luglio 2017, un nuovo confronto in prefettura tra i sindacati, l'imprenditore Franz Di Bella, i rappresentanti della regione Sicilia, il direttore ITL Catania Domenico Amich, il vicario Inps Catania Franco Caruso, i responsabili di Enel Energia. Davanti al prefetto l'imprenditore Franz Di Bella presenta ufficialmente il nome della nuova società, la Netith che avrebbe dovuto assorbire gli ex dipendenti Qè. Risposte positive arrivano anche da Enel che conferma la propria disponibilità nell'assegnazioni di volumi che permettano lo start up della commessa. La Transcom, non presente all'incontro, inviando una nota scritta, si dice disponibile ad un eventuale confronto con la nuova realtà imprenditoriale; vi è inoltre disponibilità anche da parte di Wind;

   tuttavia, soltanto da pochi giorni, la Netith ha cominciato a contattare ex dipendenti Qè, per selezionare un primo gruppo di lavoratori da coinvolgere nella fase di start up di nuove attività e che dispone al momento di più di 150 postazioni di lavoro. La Netith partirebbe con due commesse outbound: Vodafone e Fastweb. Resta comunque incertezza sulle prospettive occupazionali degli ex Qè, giunti ormai alla fine degli ammortizzatori sociali. Delle commesse dell'ormai fallito Qè, solo Enel avrebbe dichiarato la propria volontà di portare la commessa Enel-Energia presso la Netith, senza però alcun seguito concreto –:

   se i Ministri interrogati non ritengano necessario avviare un tavolo di concertazione, con tutti i soggetti interessati al fine di pervenire al più presto a soluzioni che possano garantire, da una parte, i volumi di lavoro, attraverso la riattribuzione della commessa Inps-Inail e, dall'altra, il riconoscimento di forme temporanee di sostegno al reddito al fine di garantire la necessaria continuità di reddito ai lavoratori in attesa di una loro ricollocazione.
(5-12858)


   LAFORGIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   dagli organi di stampa si legge che una donna separata, con due figli, uno di dieci e l'altro di cinque anni, quest'ultimo disabile, dipendente dell'azienda Ikea di Corsico di Milano, è stata licenziata per non aver rispettato pedissequamente l'orario di lavoro;

   la vicenda riguarda appunto, una ragazza di 39 anni, laureata in scienze e tecnologie alimentari che da diciassette anni lavorava nello stabilimento Ikea di Corsico, prima al bistrot-bottega a piano terra e da qualche mese al ristorante del primo piano;

   la donna, in questi anni, si è resa sempre disponibile a tutti i turni di lavoro e agli orari propinateli, senza avere mai avuto richiami o lettere di contestazione. Qualche mese fa l'azienda le comunicava un cambio di reparto, rispetto al quale la donna non si era opposta, chiedendo soltanto che le venisse riconosciuta una maggiore flessibilità sugli orari di lavoro per poter accudire il suo bimbo disabile, motivo per il quale la stessa usufruisce della legge n. 104 del 1992;

   l'azienda in un primo momento acconsentiva alla sua richiesta, ma nei fatti la donna lavorava con turni dalle nove del mattino fino a chiusura, e nel nuovo turno stabilito per il nuovo reparto, le si chiedeva di lavorare dalle sette del mattino;

   la giovane madre chiedeva maggiore flessibilità sugli orari, soprattutto per i giorni in cui era prevista la terapia per il suo figlioletto ma, data la chiusura netta da parte dell'azienda sul punto, su consiglio del proprio sindacato Filcams Cgil, all'occorrenza e nelle occasioni di difficile organizzazione familiare, si recava al lavoro negli orari che faceva nel vecchio reparto;

   la settimana scorsa, l'azienda Ikea la licenziava in tronco tramite una lettera in cui le si diceva che il rapporto di fiducia era venuto meno poiché in due occasioni la dipendente si era presentata al lavoro in orari diversi da quelli previsti, una volta due ore in anticipo, l'altra due ore in ritardo;

   la decisione assunta da Ikea ai danni della giovane madre è apparsa ingiusta, tanto che la stessa ha ricevuto la solidarietà sia della Filcams Cgil di Milano che ha predisposto una raccolta firme, presidi e volantinaggi per denunciare questo episodio, sia dai suoi colleghi che hanno promosso uno sciopero a sostegno della ragazza;

   questa è una storia che racconta del fatto che quel pezzo di statuto dei lavoratori, che storicamente è stato immaginato «per far entrare la Costituzione nelle fabbriche» e che, nei fatti, è stato smantellato, non «è un ferro vecchio del passato», ma uno strumento della modernità perché libera i lavoratori dal ricatto –:

   quali iniziative normative, il Governo intenda assumere al fine di ripristinare le tutele che prima erano previste all'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e che negli anni hanno rappresentato un pilastro di civiltà del nostro Paese;

   quali iniziative, il Governo, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di prevedere forme di sostegno al reddito per lavoratori e lavoratrici come questa giovane donna, separata, madre di un bambino disabile che si è ritrovata senza alcuna forma di tutela, e si è vista privata del proprio lavoro.
(5-12859)


   LOSACCO e GINEFRA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   è notizia di queste ore che un lavoratore, padre di due bambini piccoli, sarebbe stato licenziato da Ikea, a Bari, per essersi trattenuto in pausa cinque minuti più del tempo previsto;

   tale notizia segue un'analoga che ha interessato lo stesso gruppo, presso la sede di Milano, di una lavoratrice, madre di due bambini, di cui uno disabile, per un ritardo dovuto proprio all'assistenza del figlio;

   il sindacato ha denunciato entrambi gli episodi, considerando l'atto di licenziamento illegittimo e sproporzionato, considerato che l'azienda non avrebbe mai contestato al lavoratore i ritardi nell'ambito della pausa;

   è stato annunciato che il lavoratore impugnerà il provvedimento di licenziamento e ricorrerà al fine di difendere il proprio posto di lavoro;

   i dipendenti di Ikea Italia hanno lanciato una campagna chiamata «CambiaIkea» che ha raccolto oltre 25 mila adesioni finalizzata al miglioramento delle condizioni di lavoro all'interno del gruppo, considerate le criticità denunciate da lavoratori e sindacati –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto richiamato in premessa e se non ritenga, per quanto di competenza, di convocare un incontro in sede ministeriale per affrontare con società e sindacati le criticità emerse in questi giorni, con l'obiettivo di scongiurare il licenziamento dei lavoratori interessati e di migliorare le condizioni di lavoro all'interno delle sedi.
(5-12862)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MALPEZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   da notizie apparse sulla stampa, si apprende che una lavoratrice da Ikea – che prestava servizio per l'azienda da 17 anni – è stata licenziata in tronco dal punto vendita di Corsico (Milano) per non aver rispettato gli orari di lavoro;

   secondo l'azienda sarebbe «venuto meno il rapporto di fiducia in due occasioni in cui la dipendente si sarebbe presentata al lavoro in orari diversi da quelli previsti, una volta due ore in anticipo, l'altra due ore in ritardo»;

   la donna, madre single di due bambini piccoli, di cui uno disabile, usufruisce della legge n. 104 del 1992 che tutela l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone diversamente abili e, per questo, aveva segnalato i problemi che derivavano da un cambiamento dell'orario di lavoro;

   la dipendente, infatti, ha lavorato per anni al bistrot dell'Ikea al piano terra, cominciando il turno alle 9 di mattina e, per questo, quando le è stato chiesto di trasferirsi al ristorante e di cambiare orari, ha comunicato l'impossibilità – per esigenze familiari – di iniziare a lavorare alle 7;

   la donna sostiene che l'azienda, in un primo momento, abbia accettato la sua proposta di flessibilità, mentre, in una fase successiva, abbia deciso di sollevarla dall'incarico;

   l'azienda, da parte sua, sostiene che svolgerà tutti gli approfondimenti utili a chiarire compiutamente gli sviluppi della vicenda ed, inoltre, afferma di voler «valutare al meglio tutti i particolari e le dinamiche relative alla lavoratrice in questione. Solo dopo aver completato questa analisi, Ikea Italia commenterà le decisioni prese e le ragioni che ne sono alla base»;

   nonostante il comunicato dell'azienda, sembra evidente all'interrogante che siano stati lesi i diritti della lavoratrice –:

   se sia a conoscenza di questa vicenda e se intenda assumere le iniziative di competenza, anche normative, per tutelare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori alla conciliazione dei tempi di cura e di lavoro, con particolare riguardo all'assistenza di persone con disabilità, come nel caso di cui in premessa.
(4-18675)


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   due dipendenti di una società partecipata di 23 comuni della provincia di Pordenone – Ambiente e servizi con sede nel comune di san Vito al Tagliamento – hanno subìto un licenziamento disciplinare, perché «secondo l'azienda avrebbero sottratto i documenti riservati della società e avrebbero riferito circostanze illecite alle magistrature che poi sono risultate non veritiere»;

   i due dipendenti si sono trovati licenziati senza preavviso senza aver potuto apprestare una difesa;

   il direttore della suddetta azienda, Fabio Mior, aveva addotto come motivazioni la sottrazione di documenti aziendali da parte dei due dipendenti, ma tali accuse sembrerebbero manifestamente infondate;

   l'assemblea sindacale ha avviato iniziative per far sì che avvenga una revoca dei provvedimenti –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e se e quali iniziative di competenza, anche normative, intenda adottare per prevenire ed evitare quelle che appaiono agli interroganti situazioni discriminatorie nei confronti dei lavoratori ed antisindacali;

   se si intenda promuovere un incontro con i rappresentanti sindacali e con l'azienda in questione allo scopo di pervenire a una positiva soluzione della vicenda con il reimpiego degli stessi lavoratori.
(4-18682)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'INCECCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   i cannabinoidi sono princìpi attivi di sintesi o di origine naturale classificati in base a quanto previsto dall'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 e successive modifiche e integrazioni i medicinali di origine vegetale a base di cannabis (sostanze e preparazioni vegetali, inclusi estratti e tinture) e, con decreto del Ministero della salute del 23 gennaio 2013, sono stati inseriti nella sezione B della tabella dei medicinali (ex tabella II) a base di sostanze stupefacenti prescrivibili dal medico;

   l'importazione dall'estero di tali farmaci è disciplinata dal decreto del Ministero della sanità 11 febbraio 1997; la prescrizione di preparazioni magistrali è disciplinata dalla legge n. 94 del 8 aprile 1998, all'articolo 5;

   il decreto del Ministero della salute 9 novembre 2015, recante «funzioni dell'Organismo statale per la Cannabis, previsto dagli articoli, 23 e 28 della Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, come modificata nel 1972», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 279 del 30 novembre 2015, contiene le disposizioni relative alla stima della produzione e ai controlli sulla coltivazione, all'appropriatezza prescrittivi, alle condizioni patologiche che possono essere trattate, al sistema di fitosorveglianza e ai costi di produzione dei prodotti;

   la regione Abruzzo, con l'adozione della legge del 4 gennaio 2014 , n. 4 «Modalità di erogazione dei farmaci e dei preparati galenici magistrali a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche», aveva già introdotto disposizioni sull'impiego di medicinali e di preparati galenici magistrali a base di cannabis per finalità terapeutiche da parte degli operatori e delle strutture del sistema sanitario regionale;

   la legge regionale n. 4 del 2014 prevedeva, inoltre, che venissero emanati dalla giunta regionale provvedimenti finalizzati a:

    garantire omogeneità di comportamenti su tutto il territorio;

    monitorare l'applicazione e l'impatto sulla spesa farmaceutica;

   un documento emesso dalla regione Abruzzo (Centro regionale di farmacovigilanza) a settembre 2016 definisce le attività connesse alla prescrizione dei medicinali a base di cannabis sul territorio regionale in attuazione della legge regionale n. 4 del 2014 e del decreto del Ministero della salute 9 novembre 2015;

   è stato stabilito dal Ministero della sanità che l'unico centro autorizzato a produrre cannabis per scopo terapeutico (FM2) dovesse essere l'Istituto Farmaceutico Militare di Firenze; da quando è stato stabilito ciò è stata ridotta drasticamente l'importazione di Cannabis Sativa dall'Olanda e sono iniziati i problemi di approvvigionamento delle farmacie italiane. Questo accade perché, a detta dell'Istituto, non si riescono a produrre quantità sufficienti di cannabis per soddisfare le richieste sul territorio nazionale. Attualmente a Pescara e dintorni è impossibile per i pazienti che ne fanno uso trovare la cannabis;

   un documento elaborato nel 2016 dal Centro regionale di farmacovigilanza della regione Abruzzo contiene le indicazioni della Cannabis da porre a rimborso del servizio sanitario regionale. Tale documento non ha avuto alcun seguito. I pazienti abruzzesi continuano a pagare un farmaco che dovrebbe essere loro rimborsato (legge n. 38 del 2010 che sancisce il diritto di tutti i cittadini al trattamento del dolore) –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere, per quanto di competenza, per aumentare la distribuzione in Italia della cannabis a uso medico e garantire in modo equo su tutto il territorio nazionale il diritto alla cura.
(5-12849)


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO, GRILLO, LOREFICE e NESCI. — Al Ministro della salute — Per sapere – premesso che:

   il rischio ereditario del tumore alla mammella interessa una donna su 300-500 (il 2-3 per mille), mentre il sospetto di rischio eredo-familiare può interessare dal 3 al 5 per cento della popolazione femminile. La mutazione genetica fa aumentare di molto il rischio di sviluppare il tumore della mammella, infatti, si stima che sia responsabile di circa il 5-10 per cento dei tumori della mammella e circa il 10-20 per cento dei tumori ovarici;

   sono tumori che si verificano in donne con mutazione-genetica, in questi casi i geni mutati (quelli fino ad oggi conosciuti) sono generalmente due: Brca1 e Brca2; la presenza di questa mutazione comporta per la donna un rischio di sviluppare il tumore della mammella nel corso della sua vita che va dal 50 all'85 per cento (mediamente 70 per cento); la presenza della mutazione genetica comporta un maggiore rischio di sviluppare anche un tumore all'ovaio, è quindi un doppio rischio; in questo caso, la percentuale di rischio di sviluppare il tumore dell'ovaio, insieme a quello della mammella, può andare dal 20 al 50 per cento;

   i test Brca rappresentano un prezioso strumento per identificare la presenza di eventuali situazioni di alto rischio genetico nelle pazienti con tumore della mammella o dell'ovaio e in donne sane giovani. I test Brca dovrebbero dunque essere un'opportunità garantita a tutte le donne ad alto rischio di tumore ereditario alla mammella;

   attualmente, l'accesso a questi tipi di test non rappresenta un diritto omogeneamente garantito in tutte le regioni italiane, con marcate differenze interregionali e addirittura nell'ambito della medesima regione –:

   se in Campania siano garantiti i test BRCA dal Servizio sanitario nazionale e quali siano i centri pubblici di riferimento per eseguire tali indagini diagnostiche;

   se siano state analizzate le implicazioni dei test Brca sulla base dell’Health Technology Assessment che analizza conseguenze assistenziali, economiche, sociali ed etiche provocate in modo diretto e indiretto nel breve e nel lungo periodo.
(5-12850)


   RICCIATTI, NICCHI, BOSSA, SCOTTO, SANNICANDRO, ROSTAN, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, ALBINI, MURER, FOLINO, CARLO GALLI, D'ATTORRE, ROBERTA AGOSTINI, ZARATTI, FRANCO BORDO, FERRARA, KRONBICHLER, SIMONI, EPIFANI e FOSSATI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   gli organi di informazione e le agenzie di stampa hanno riportato la notizia della denuncia per istigazione al suicidio e lesioni gravissime nei confronti della creatrice di un blog, una diciannovenne residente a Porto Recanati; nel blog giovani donne, anche minori, venivano istigate al disturbo alimentare mediante l'induzione a seguire diete o ad effettuare terapie che portano all'anoressia da parte della polizia di Ivrea;

   le indagini sono state avviate a seguito della denuncia presentata dalla madre di una ragazza di quindici anni residente a Ivrea che leggeva assiduamente il blog;

   la ragazza aveva accusato gravi disturbi alimentari che determinavano una costante perdita di peso, al punto che era stata costretta ad affidarsi alle cure di uno psicologo;

   gli investigatori del commissariato di Ivrea hanno individuato la blogger attraverso la creazione di un apposito account, appurando che molte adolescenti tra i 14 e 15 anni le chiedevano consigli su come mangiare;

   la blogger quindi è stata denunciata e la polizia ha chiesto all'autorità giudiziaria anche l'oscuramento del sito mediante il quale i reati venivano commessi –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se intenda promuovere campagne mirate al riguardo, soprattutto nelle scuole;

   quali iniziative si intendano assumere per debellare simili episodi.
(5-12852)


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO, GRILLO, LOREFICE e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il quotidiano La Repubblica ha riportato i racconti di giovani medici che in cambio del loro lavoro nel corso di incontri sportivi, turni di 118, assistenza in reparto, hanno ricevuto compensi in natura come cene e lezioni di sci. Si cita, ad esempio, il caso di una dottoressa che doveva garantire la copertura medica fissa nel corso di una partita di basket di serie B; le sono state offerte pizza e birra a fine partita non come gesto di cortesia nei confronti del medico di turno, ma come contropartita della sua prestazione professionale. L'articolo inoltre indica che le peggiori segnalazioni arrivano dalla Campania, dove i giovani in camice sono costretti ad accettare tariffari da 3,50 euro l'ora;

   l'articolo 54 del codice di deontologia medica prevede che il medico, nel perseguire il decoro dell'esercizio professionale e il principio dell'intesa preventiva, commisura l'onorario alla difficoltà e alla complessità dell'opera professionale, alle competenze richieste e ai mezzi impiegati, tutelando la qualità e la sicurezza della prestazione –:

   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;

   quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine d'impedire la diffusione di tali pratiche scorrette.
(5-12854)

Interrogazione a risposta scritta:


   BARONI, LOMBARDI, MASSIMILIANO BERNINI, GRILLO, NESCI, MANTERO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'ospedale di Montefiascone ha un bacino d'utenza di 19 comuni per una popolazione di circa 55.000 abitanti, di cui più di un terzo ha un'età superiore ai 65 anni;

   un tempo fiore all'occhiello per interventi specialistici, ora ridimensionato, mentre i poliambulatori sono situati presso locali presi in affitto al costo di 111 mila euro l'anno;

   tra il 1999 e il 2006 sono stati chiusi i reparti di ostetricia, ematologia, chirurgia generale e terapia intensiva;

   nel 2010 si è declassato il pronto soccorso in punto di primo soccorso e via via si è provveduto ad indebolire l'intera area ambulatoriale e di day hospital; nel 2015 è stato chiuso l'ambulatorio oncologico;

   la dialisi che per anni ha garantito il trattamento dialitico anche ai pazienti in villeggiatura, è stata chiusa nel 2016. L'Asl di Viterbo, intanto, fa accreditare i posti letto di dialisi alla casa di cura di Nepi del gruppo «RoRi», continuando a pagare, fino al 2017, ditte esterne per manutenere, nel servizio dismesso, l'impianto di osmosi della dialisi;

   per la ristrutturazione del reparto di ematologia, tra il 2012 e il 2013 i cittadini di Montefiascone, hanno raccolto circa 20.000,00 euro, per contribuire alle spese dei lavori. La cifra risulta essere incassata dal comune con impegno di spesa specifico, non utilizzabile per altro scopo. Nel 2014 le stanze del reparto, predisposte con filtro a pressione positiva, restano chiuse e sono utilizzate impropriamente per il day hospital di psichiatria che non necessita di impiantistica sofisticata, adatta agli immunodepressi;

   i servizi rimasti sono depotenziati. Il reparto di medicina da agosto 2016 è stato declassato a minore intensità terapeutica con il medico presente 12 ore nei giorni feriali e 6 ore durante i festivi e i prefestivi;

   l'anestesista è presente all'interno del nosocomio solo quando è attiva la day surgery;

   il primario del reparto di medicina presta servizio anche nel reparto di medicina generale dell'ospedale di Belcolle ed è, pertanto, impossibilitato a garantire la presenza e la continuità dei servizi;

   i pazienti anziani che vengono ricoverati presso l'ospedale di Montefiascone, vengono ciclicamente trasportati in ambulanza, presso il nosocomio di Belcolle per poter eseguire accertamenti diagnostici di rito, con quello che appare agli interroganti un evidente spreco di risorse;

   nel reparto di riabilitazione sono presenti otto posti letto con discutibile modalità di accesso a beneficio di «Villa Immacolata» clinica privata accreditata;

   la radiologia è aperta cinque giorni su sette e solo per mezza giornata. Presso il punto di primo intervento non sempre è possibile effettuare esami radiologici, eseguibili tuttavia a pagamento;

   la struttura è complessivamente fatiscente, alcuni servizi igienici sono dislocati fuori dalle stanze di degenza, manca la manutenzione ordinaria e gli unici reparti a norma risultano essere quello di ematologia e di dialisi, ad oggi chiusi;

   intanto, le strutture private convenzionate (case di cura Salus e Santa Teresa di Viterbo) ricevono richieste di ricovero continue, in assenza dell'offerta pubblica, compresa la presenza di un medico dedicato h24 –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;

   se intenda assumere le iniziative di competenza, per fare chiarezza, anche per il tramite del commissario ad acta, sull'attuazione del piano di rientro dai disavanzi e sull'utilizzo dei fondi pubblici stanziati e sul funzionamento dell'ospedale di Montefiascone, alla luce delle determinazioni assunte dalla Asl di Viterbo;

   se intenda chiarire i motivi di quella che gli interroganti giudicano un'inoperosità del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari in ordine alle vicende sopra esposte e, comunque, quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-18680)

SPORT

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZARATTI. — Al Ministro per lo sport, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con deliberazione n. 132 del 22 dicembre 2014 dell'Assemblea capitolina di Roma Capitale è stato dichiarato, ai sensi della lettera a) del comma 304 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013, il pubblico interesse della proposta di realizzazione del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle in variante al piano regolatore generale e in deroga al piano generale del traffico urbano, presentata dalla società Eurnova srl in qualità di promotore;

   il programma proposto dal promotore consisteva nella realizzazione del cosiddetto stadio della Roma (consistenza di 49.000 metri quadrati), del cosiddetto business park (consistenza di 336.000 metri quadrati), e di opere di urbanizzazione per 270 milioni di euro, tra cui risultavano comprese quelle definite come di connettività esterna, di importo pari a 135 milioni di euro (dati dello studio di fattibilità) oltre al contributo di 10 milioni di euro per l'adeguamento della tratta ferroviaria Eur Magliana-Tor di Valle per il prolungamento della metropolitana, ipotizzando lo scomputo integrale del contributo di costruzione;

   la previsione delle infrastrutture ritenute essenziali per assicurare il pubblico interesse dell'opera, compreso il Ponte di Traiano, erano previste dalla delibera n. 132, senza alcun onere per il soggetto pubblico;

   con riferimento alle notizie di stampa pubblicate negli ultimi giorni, si apprende che opere ritenute essenziali per l'approvazione del progetto, come da prescrizioni formulate dai diversi enti partecipanti alla conferenza di servizi decisoria in atto, sarebbero messe a carico del bilancio dello Stato, con contributi pubblici direttamente erogati (d'importo pari a circa cento di milioni di euro), in particolare per la realizzazione del Ponte di Traiano;

   il contributo economico pubblico che si starebbe configurando è conseguenza della modifica al progetto richiesta dal comune di Roma, che avrebbe comunicato alla società Eurnova srl, ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni e integrazioni, l'avvio del procedimento di verifica/ridefinizione dell'interesse pubblico dichiarato con deliberazione di assemblea capitolina n. 132 del 2014, con particolare riferimento alla individuazione delle opere pubbliche di interesse generale e alla rideterminazione della potenzialità edificatoria massima (S.U.L) dell'area oggetto di intervento;

   il contributo pubblico contraddice di fatto il deliberato dei tre commi 303, 304, 305 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 che persegue l'equilibrio economico dell'opera all'interno dell'opera stessa e prescrive che tale equilibrio debba essere assicurato dal proponente in base alle caratteristiche previste nello studio di fattibilità e verificate dal piano economico e finanziario dell'opera, sollevando il bilancio pubblico da qualsiasi onere diretto;

   detto contributo economico si aggiungerebbe a quello urbanistico concesso dal comune che ha autorizzato un incremento di cubatura di circa il 100 per cento rispetto a quanto previsto dal piano regolatore vigente (circa 210 mila metri quadrati di Sul invece di 112 mila metri quadrati) –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti su esposti e come si concili il contributo economico pubblico diretto per il finanziamento delle opere infrastrutturali ed in particolare del Ponte di Traiano con quanto previsto dalla normativa di cui in premessa, visto che porrebbe oneri diretti a carico dello Stato, a giudizio dell'interrogante configurando un contesto decisionale nonché di responsabilità dei soggetti procedenti del tutto diverso da quello previsto dalla legge.
(5-12861)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la risoluzione bancaria del novembre 2015 che ha riguardato anche Banca Marche ha avuto pesanti ripercussioni sull'economia della regione Marche e sul settore dell'edilizia in particolare, perché ha coinvolto sia importanti imprese locali sia migliaia di risparmiatori;

   il 23 ottobre 2017 si è conclusa l'esperienza di Banca Marche, acquisita da Ubi Banca;

   più volte, nel dibattito parlamentare, il Governo è stato sollecitato (vedasi Ordine del giorno a firma dell'interrogante nn. 9/03444-A/129 del 19 dicembre 2015 e 9/3892/20 del 28 giugno 2016) a favorire la soluzione della crisi bancaria, tenendo conto della necessità che gli istituti di credito subentrati ponessero un forte impegno verso i territori e le loro criticità;

   nella città di Ancona sta ora assumendo profili economicamente e socialmente rilevanti la situazione della Coop Casa Marche, società cooperativa che con decreto del Ministero dello sviluppo economico n. 30/SGC/2015 del 16 novembre 2015 è stata posta in gestione commissariale ai sensi dell'articolo 2545-sexiesdecies del codice civile e poi in liquidazione coatta; tale cooperativa aveva avviato una lottizzazione nel contesto del PEEP APL4 Pietralacroce-Forte Altavilla;

   nel mese di ottobre 2017 UBI Banca ha inoltrato atti di precetto a diversi soci della Coop Casa Marche a causa di impegni non onorati da quest'ultima e per i quali essi sono stati ora chiamati a rispondere in proprio; è una situazione che ha creato allarme anche in altri soci che potrebbero ricevere analoghi atti da parte di Veneto Banca o da altri Istituti di credito coinvolti nella procedura fallimentare;

   si tratta di soci che hanno ottemperato a tutti gli obblighi e ai versamenti alla Coop Casa Marche, fra i quali la corresponsione delle somme per la cancellazione delle ipoteche a seguito dell'avvenuto rogito per il passaggio di proprietà dell'immobile;

   nel complesso contesto normativo questo gruppo di soci è escluso dal ruolo di creditori privilegiati nella procedura fallimentare di CoopCasa Marche, associata alla Lega delle cooperative;

   il contesto descritto richiede ad UBI Banca e alle altre banche creditici coinvolte un atteggiamento concretamente molto attento ai risvolti sociali della situazione sia di CoopCasa Marche di Ancona sia di altre diffuse simili situazioni soprattutto nelle regioni duramente colpite dagli eventi sismici degli ultimi anni –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa;

   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere con urgenza affinché possano essere sospese, nelle more dei procedimenti giudiziari in corso, relativi alla procedura fallimentare di CoopCasa Marche, le procedure di escussione dei crediti e affinché questi ultimi vengano rinegoziati con i soci interessati;

   quali iniziative intendano intraprendere, in sinergia con la Lega delle Cooperative, per individuare soluzioni che possano consentire il completamento dei lavori negli edifici non ultimati.
(5-12864)

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, EPIFANI, SIMONI, MARTELLI, PICCOLI NARDELLI, ZAPPULLA, MELILLA, FRANCO BORDO, PIRAS, QUARANTA, NICCHI, ALBINI, MURER, FOSSATI e CARLO GALLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si apprende sulla stampa locale, il tribunale fallimentare di Ancona ha revocato la procedura di concordato preventivo e dichiarato il fallimento della Manifattura italiana tabacco di Chiaravalle;

   la decisione è arrivata quando i giudici hanno dovuto prendere atto che il piano industriale a base della domanda di concordato si è rivelato palesemente inidoneo al risanamento dell'impresa;

   già i commissari giudiziali avevano evidenziato rilievi di inammissibilità del concordato: ad esempio non sarebbero documentate uscite dalla cassa contanti per oltre 20 mila euro e sarebbe stata riscontrata un'attività di prelievi definita «anomala»;

   ancora di più ha pesato il piano industriale, ritenuto dal tribunale non adatto a sostenere il risanamento aziendale. «Sono molto dispiaciuto – dice Claudio Passaretti, amministratore unico della Mit – perché avevamo contratti da firmare per oltre 200 milioni di euro di cui il tribunale era a conoscenza. Ora inoltreremo ricorso in appello e speriamo di avere risposte positive per i lavoratori» –:

   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e i profili industriali dell'azienda di cui in premessa.
(4-18673)

Apposizione di una firma ad una
mozione e modifica dell'ordine
dei firmatari.

  La mozione Argentin e altri n. 1-01746, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 novembre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Scopelliti e, contestualmente, l'ordine delle firme si intende così modificato: «Argentin, Sbrollini, Scopelliti, D'Incecco, Mazzoli, Tidei, Miccoli, Marchi, Manfredi, Villecco Calipari, Bonaccorsi».

Ritiro di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-10951 del 24 marzo 2017.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BASILIO, MASSIMILIANO BERNINI e TERZONI. — Al Ministro della difesa, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   come è a tutti noto, il decreto legislativo n. 177 del 2016 attribuisce al Corpo nazionale dei vigili del fuoco talune competenze precedentemente spettanti al Corpo forestale dello Stato in materia di lotta agli incendi boschivi e spegnimento con mezzi aerei degli stessi, anche in concorso con le regioni;

   la predetta riforma, tuttavia, nel prevedere l'assorbimento del Corpo forestale nei ruoli dell'Arma dei carabinieri e dei vigili del fuoco, ha comportato un inevitabile ridimensionamento delle unità operative preposte ai singoli reparti ed alle varie attribuzioni, con inevitabili disagi e complicazioni anche per quanto concerne il riparto delle competenze affidate all'Arma, ai vigili del fuoco ed alle regioni;

   come già ampiamente segnalato nell'interrogazione n. 4-15768 del 1o marzo 2017, anche le organizzazioni sindacali di categoria hanno lamentato negli ultimi tempi una drastica riduzione del personale precedentemente preposto alle attività di contrasto agli incendi boschivi, oltre che una anomala quanto pericolosa sovrapposizione di funzioni tra i reparti centrali e quelli regionali per le operazioni antincendio;

   consta all'interrogante che, per quanto concerne in particolare la regione Lombardia, dal 1o gennaio 2017 la Centrale operativa regionale (COR) della regione Lombardia, coincidendo con il centro operativo AIB (anti incendio boschivo) risulta non essere più attiva, proprio a causa dell'avvenuto transito del personale operativo nel corpo dei vigili del fuoco;

   allo stato attuale, il personale fuoriuscito non risulta essere stato sostituito da altro personale idoneo, né tantomeno la COR risulta essere stata trasferita in altra sede: tutte le chiamate entranti al numero di emergenza 1515 provenienti dalla regione Lombardia sono state deviate h24 alla centrale operativa nazionale (CON) di Roma, struttura che, per motivi organizzativi interni, non sempre riesce a gestire le richieste provenienti da tutti i cittadini in modo puntuale e preciso nell'arco delle 24 ore;

   il personale operativo in servizio nelle singole COR sarebbe, infatti, stato ridotto, a quanto consta agli interroganti, a due sole unità, con conseguenti disagi per i lavoratori e per i cittadini e gravi ripercussioni, oltre che in Lombardia, anche in altre regioni come Umbria e Molise, dove gli orari di lavoro sono ridotti –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di ripartire in modo analitico le competenze precedentemente spettanti al Corpo forestale dello Stato tra l'Arma dei carabinieri, i vigili del fuoco e le regioni;

   se non ritenga opportuno, in sede di Conferenza Stato-regioni, stabilire un raccordo tra strutture centrali e periferiche per ottimizzare l'operatività degli interventi di Stato e regioni nel settore del contrasto agli incendi boschivi;

   se non ritenga possibile, per evitare il protrarsi di ulteriori disagi ai cittadini, prevedere un incremento di personale da destinare al corpo dei Vigili del fuoco che opera in regione Lombardia e nelle altre regioni dove si sono verificati i maggiori disagi, per lo svolgimento delle funzioni precedentemente svolte dalla soppressa Centrale operativa regionale.
(4-15984)

  Risposta. – La legislazione di settore e, in particolare, il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 affida alle regioni la competenza primaria nella materia della lotta attiva contro gli incendi boschivi, riservando allo Stato il solo concorso nell'attività di spegnimento.
  Tale assetto generale è stato confermato e ancor più esplicitato dalla legge quadro sugli incendi boschivi 21 novembre 2000, n. 353, che ha, tra l'altro, attribuito alle Regioni il compito di definire e programmare, mediante appositi piani regionali, le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi.
  Si sottolinea come tale suddivisione di competenze tra lo Stato e le regioni in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi non risulta in alcun modo mutata anche a seguito dell'emanazione del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante la razionalizzazione delle funzioni di polizia e l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato.
  Infatti, allo Stato continua a spettare in via sussidiaria il concorso alla lotta attiva agli incendi boschivi attraverso il corpo nazionale dei vigili del fuoco e l'arma dei carabinieri per le connesse attività di prevenzione e repressione.
  A tal riguardo, nella consapevolezza che il fenomeno degli incendi boschivi rappresenta una delle emergenze ambientali più critiche per nostro Paese, è stato firmato, in data 5 aprile 2017, un apposito protocollo d'intesa tra l'arma dei carabinieri e il corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di definire ogni utile sinergia operativa e di migliorare ulteriormente l'efficacia degli interventi. In particolare, tale protocollo, individua gli ambiti di rispettivo ,intervento e definisce le attività di collaborazione in materia.
  Inoltre, va ricordato come al fine di sollecitare il ricorso ad accordi pattizi tra le regioni e il corpo nazionale dei vigili del fuoco (l'unico corpo dello Stato che può, su richiesta delle regioni, concorrere nelle attività di lotta attiva contro gli incendi boschivi), il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile si sia fatto promotore della sottoscrizione di un apposito accordo quadro tra il Governo e le regioni sancito il 4 maggio 2016 nell'ambito della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trenta e Bolzano.
  A seguito del trasferimento dei compiti del corpo forestale dello Stato l'accordo individua i criteri generali, i principi direttivi e le modalità della collaborazione tra il corpo nazionale dei vigili del fuoco e le regioni, nell'esercizio dei rispettivi compiti in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e di concorso del Corpo stesso alle predette attività.
  Sulla base di tale accordo sono state stipulate specifiche convenzioni con le regioni che hanno manifestato interesse in tal senso.
  Alla data del 31 agosto scorso risultavano sottoscritti 15 atti convenzionali che oltre a prevedere diverse forme di collaborazione, consentono un'ulteriore implementazione dei dispositivi di lotta a terra agli incendi boschivi, grazie alla previsione di squadre del corpo dedicate.
  Per quanto concerne la Centrale operativa regionale (COR) della Regione Lombardia, si assicura che la stessa garantisce la continuità operativa dell'ex Centrale operativa antincendi boschivi del corpo forestale dello Stato (Coaib). Infatti, il personale dell'ex corpo forestale dello Stato ivi presente, pari a 15 unità, trasferito al Corpo nazionale dei vigili del fuoco dal 1° gennaio 2017, è rimasto nella citata Centrale operativa regionale, assicurando in tal modo l'essenziale funzione di centrale unica di coordinamento per la lotta attiva agli incendi boschivi.
  In relazione al numero di emergenza 1515, lo stesso è ora gestito dai carabinieri, come numero di pubblica utilità per le emergenze ambientali. Pertanto, le chiamate per incendio, compresi quelli boschivi, pervengono ai comandi dei vigili del fuoco direttamente tramite il numero 115 o il numero unico di emergenza 112.
  Per quanto concerne le segnalate carenze di organico, si rappresenta che l'amministrazione dell'interno, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, ha dedicato una particolare attenzione al ripianamento delle dotazioni organiche del corpo nazionale dei vigili del fuoco, da un lato con iniziative legislative di incremento dell'organico di circa 2.500 unità, dall'altro con il ripristino del
turn over al cento per cento a decorrere dal 2016.
  Tali misure hanno permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 848 unità di vigili del fuoco, già assegnate alle sedi di servizio.
  Si soggiunge che, a distanza di quasi otto anni dall'ultimo concorso per vigile del fuoco, questa amministrazione è stata autorizzata a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica: si è appena conclusa la prova preselettiva e si prevede che la procedura concorsuale potrà avere termine entro la fine del prossimo anno.
  Tale misura, oltre a ridurre le carenze di organico del corpo nazionale consentirà anche di incidere sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio.
  Inoltre, si fa presente che la legge di bilancio 11 dicembre 2016, n. 232, ha previsto anche fondi per assunzioni straordinarie nella pubblica amministrazione, ivi compreso il Corpo nazionale, consentendo l'assunzione di 400 unità, con decorrenza 1° ottobre 2017.
  Infine, è prevista entro la data del 15 dicembre 2017, l'assunzione di altre 301 unità di vigili del fuoco, a copertura del
turn over per l'anno 2016. Tali unità verranno distribuite tra le sedi nazionali, secondo criteri di priorità.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il comma 4-bis dell'articolo 166 del decreto legislativo 152/2006, introdotto dalla legge 6/2014, ha disposto che siano definiti i parametri fondamentali di qualità per le acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità per la loro verifica;

   il rapporto nazionale pesticidi nelle acque viene realizzato dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) a partire dal 2003 nel contesto della regolamentazione nazionale dei pesticidi, tenendo conto della normativa per la tutela delle acque che con la direttiva quadro acque (DQA) [Dir. 2000/60/CE] e le direttive figlie, stabilisce i criteri per lo sviluppo delle reti e per l'esecuzione del monitoraggio e fissa standard di qualità ambientale per un certo numero di sostanze «prioritarie»;

   il rapporto Ispra – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale evidenzia un diffuso inquinamento delle acque italiane;

   in particolare, nell'alto Lazio, lo stesso rapporto evidenzia anche delle problematiche ambientali e sanitarie determinate dalla possibile contaminazione da arsenico e fluoro delle acque e quindi della possibile contaminazione delle colture e in successione della intera catena alimentare –:

   se sia a conoscenza dei fatti in premessa;

   se intenda fornire nel dettaglio gli specifici parametri di riferimento per la definizione di idoneità delle acque ad uso irriguo, le modalità e tempi di campionamento ed analisi delle stesse;

   quali risultino le istituzioni e gli enti preposti all'adempimento di quanto previsto dalla legge;

   se intenda fornire i risultati degli esami già eseguiti relativamente alle acque destinate ad uso irriguo nella regione Lazio.
(4-08469)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si segnala che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha adottato le misure di competenza per assicurare il monitoraggio e il controllo delle acque destinate a tutti gli usi legittimi, incluso, pertanto, l'utilizzo a fini irrigui.
  La normativa nazionale relativa al monitoraggio e al controllo della presenza di sostanze inquinanti nelle acque, infatti, ha recepito le disposizioni della vigente normativa comunitaria in materia: la direttiva quadro sulle acque 2000/60/Ce e le cosiddette direttive figlie, ovvero la direttiva 2008/105/Ce, come modificata dalla direttiva 2013/39/Ue e la direttiva 2006/118/Ce, come modificata dalla direttiva 2014/80/Ue.
  Le citate norme comunitarie e nazionali definiscono i criteri per la progettazione e l'attuazione dei programmi di monitoraggio dei corpi idrici; individuano le autorità competenti per tali attività; stabiliscono la lista delle sostanze inquinanti (sostanze prioritarie o altre sostanze, tra i quali numerosi pesticidi) nei corpi idrici superficiali e sotterranei, i relativi standard di qualità e i valori soglia e le metodiche di analisi; identificano la matrice ambientale da sottoporre a monitoraggio e la periodicità dei controlli.
  Inoltre, definiscono i criteri da adottare per individuare le sostanze da sottoporre a monitoraggio in ciascun corpo idrico/bacino idrografico. Ad esempio, l'articolo 78 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (come modificato, da ultimo, dal decreto legislativo 13 ottobre 2015, n. 172) individua gli standard di qualità per le acque superficiali per 45 sostanze, tra cui figurano anche alcuni pesticidi.
  Inoltre, l'allegato 1 alla parte terza del decreto legislativo 152 del 2006 e, in particolare la tabella 1/B, sempre per le acque superficiali, individua gli standard di qualità ambientale per una lista di 54 sostanze non appartenenti all'elenco di priorità, tra le quali figura l'arsenico; la tabella 2/B individua tra i parametri per le risorse idriche destinate all'uso potabile anche i fluoruri. Per i pesticidi singoli, nella citata tabella 1/B, viene stabilito un limite di 0,1 microgrammi per litro, per i pesticidi totali (inclusi i loro metaboliti e prodotti di degradazione) viene stabilito il limite di 1 microgrammo per litro, ad esclusione dei corpi idrici destinati ad uso potabile, per i quali il limite per i pesticidi totali viene posto pari a 0,5 microgrammi litro. Nella citata tabella vengono anche definiti i limiti (si vedano le sostanze numero 27 e seguenti) per determinati pesticidi, in molti casi più restrittivi di 0,1 microgrammi litro.
  Analogamente, il decreto legislativo n. 30 del 16 marzo 2009, sulla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento, oltre a recepire lo standard di qualità previsto a livello comunitario per le sostanze attive presenti nei pesticidi (che includono prodotti fitosanitari e biocidi), compresi i loro metabolici e prodotti di degradazione e di reazione, rispettivamente per singolo pesticida (0,1 microgrammi per litro) e totali (0,5 microgrammi per litro), nella tabella 3 stabilisce valori soglia specifici (più restrittivi) per alcuni pesticidi, differenziando, inoltre, tali valori soglia in considerazione dell'eventuale interazione con i corpi idrici superficiali.
  Tra i criteri utilizzati per definire i valori soglia delle norme sopra citate, figurano, tra gli altri, la tossicità umana, l'eco-tossicità, la tendenza alla dispersione, la persistenza delle sostanze e il loro potenziale bio-accumulo.
  Si sottolinea che, qualora le attività di monitoraggio evidenzino che gli standard di qualità o i valori soglia stabiliti rispettivamente per le acque superficiali e sotterranee non vengano rispettati e, pertanto, i corpi idrici risultino in stato chimico o ecologico inferiore al buono, è necessario attuare le misure di ripristino, che devono far parte dei cosiddetti «programmi di misure» dei piani di gestione dei bacini idrografici di cui all'articolo 13 della direttiva 2000/60/Ce;
  Nel marzo 2016 sono stati approvati dai comitati istituzionali i piani di gestione relativi al secondo ciclo di pianificazione, successivamente approvati anche con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del Presidente del Consiglio dei ministri (27 ottobre 2016). Questi ultimi contengono anche, nella sezione conoscitiva, i risultati delle attività di monitoraggio delle acque effettuate dalle regioni e province autonome, inclusi i dati disponibili relativi alle sostanze chimiche rilevate.
  I piani di gestione sono consultabili attraverso i siti
web dei distretti idrografici, delle regioni e province autonome e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Le regioni e province autonome sono le autorità competenti individuate dalla normativa nazionale per il monitoraggio nei corpi idrici delle sostanze prioritarie e delle altre sostanze che, sulla base dell'analisi delle pressioni e degli impatti effettivamente constatati, non consentono il conseguimento del buono stato entro le date fissate, nonché, in coordinamento con le autorità di bacino distrettuali, per l'attuazione dei programmi di misure (articolo 116 del decreto legislativo n. 152 del 2006).
  Con riferimento al regolamento che stabilisce i «parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica», in attuazione del comma 6-
sexies dell'articolo 1 del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito con legge 6 febbraio 2014, n. 6, si evidenzia preliminarmente che la ricognizione preliminare del quadro normativo dell'Unione europea ha evidenziato che non esistono norme specifiche in materia di caratteristiche di qualità delle acque destinate all'uso irriguo né a livello comunitario, né a livello nazionale nei singoli Paesi.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è prontamente attivato per l'attuazione della delega di legge coinvolgendo il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministero della salute e gli esperti degli istituti nazionali di ricerca e ha predisposto uno schema di provvedimento, diramato al gruppo di lavoro in data 8 agosto 2014. Sullo schema di decreto ministeriale, recante «definizione dei parametri di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e relative modalità di verifiche», si fa presente che allo stato vi sono in corso ulteriori approfondimenti istruttori.
  Per quanto riguarda le problematiche ambientali e sanitarie determinate dalla possibile contaminazione da arsenico e fluoro delle acque, l'Ispra, come noto, realizza il rapporto nazionale pesticidi nelle acque nel rispetto dei compiti stabiliti dal decreto 22 gennaio 2014 (decreto ministeriale 35/2014 – piano di azione nazionale, ai sensi dalla direttiva 2009/128/Ce sull'utilizzo sostenibile dei pesticidi).
  Il rapporto contiene i risultati del monitoraggio delle acque interne superficiali e sotterranee le cui finalità sono quelle di rilevare eventuali effetti derivanti dall'uso dei pesticidi.
  L'istituto fornisce gli indirizzi tecnico-scientifici per la programmazione e l'esecuzione del monitoraggio. Le regioni realizzano il monitoraggio nell'ambito dei programmi di rilevazione previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e trasmettono i risultati all'Ispra, che li elabora e valuta.
  L'Istituto, inoltre, alimenta gli indicatori individuati dal decreto 15 luglio 2015 (decreto ministeriale n. 172 del 2015 – modalità di raccolta ed elaborazione dei dati per l'applicazione degli indicatori visti dal piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari). Due di questi indicatori, in particolare, hanno lo scopo di seguire l'evoluzione nel tempo della contaminazione e verificare l'efficacia delle misure previste per la tutela dell'ambiente acquatico.
  Si fa presente che la presenza di arsenico e fluoro nelle acque, quelle dell'alto Lazio in particolare, è da attribuirsi a cause naturali. Sebbene pesticidi inorganici, in particolare i composti dell'arsenico, siano stati impiegati in passato, tale uso, almeno in agricoltura, non è più consentito da tempo.
  Il rapporto nazionale pesticidi nelle acque, dell'Ispra, non presenta dati relativi alla presenza di tali sostanze, considerando che tali sostanze non sono più incluse nei piani di monitoraggio dei pesticidi forniti dalle regioni.
  Riguardo al monitoraggio dei pesticidi svolto nel Lazio, i dati di monitoraggio 2014 in possesso dell'istituto, non consentono di esprimere un giudizio adeguato sullo stato di qualità delle acque della Regione. Le informazioni fornite sono limitate e non rappresentative del possibile impatto dei pesticidi nelle acque, in particolare in quelle superficiali.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato proseguendo nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 3 aprile 2017 è stato pubblicato sul quotidiano locale La Nuova Sardegna l'articolo dal titolo «Aeroporti, antincendio “irregolari”» che riprende la nota della Fns Cisl Sardegna inviata alla direzione regionale dei vigili del fuoco con cui si segnalano gravi anomalie ai mezzi antincendio in dotazione negli scali di Olbia Costa Smeralda e Alghero Fertilia e il conseguente rischio di inefficienza del servizio antincendio aeroportuale;

   come denunciato nella nota del sindacato sintetizzata nell'articolo citato, i mezzi in dotazione nei distaccamenti aeroportuali dei vigili del fuoco non sarebbero «in grado di garantire la necessaria funzionalità ed efficienza in caso di incidente aereo e, di conseguenza, neanche la sicurezza dei vigili del fuoco al lavoro»;

   la situazione risulta molto grave all'aeroporto Costa Smeralda dove, «oltre ad essere in numero inferiore rispetto a quanto previsto dalle normative internazionali Icao, solo uno dei quattro automezzi attualmente in servizio ha superato il collaudo». Sarebbero fuori servizio anche tutti gli impianti computerizzati presenti all'interno dei mezzi di soccorso e, inoltre, da otto anni non verrebbe verificata l'efficienza della polvere in caricamento sugli stessi mezzi, risultando pertanto impossibile conoscere la reale efficacia di schiuma estinguente e polvere estinguente in caso di incendio;

   secondo il sindacato, infine, in Sardegna le apparecchiature che permettono di fare le prove tecniche citate non sarebbero mai state inviate dal Ministero a differenza di quanto avvenuto in numerosi aeroporti della penisola, per cui si starebbe «lavorando con mezzi con i quali in realtà non si potrebbe lavorare» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle informazioni riportate in premessa e in caso affermativo quali iniziative intenda adottare affinché sia risolta con urgenza la criticità relativa al servizio antincendio aeroportuale negli scali sardi di Olbia e Alghero.
(4-16167)

  Risposta. — In ordine ai quesiti posti dell'interrogante si fa presente che il comando provinciale dei vigili del fuoco di Sassari dispone complessivamente di n. 13 mezzi antincendio aeroportuali di cui n. 6 dislocati presso il distaccamento dell'aeroporto di Alghero ed i rimanenti presso quello di Olbia.
  Si precisa anche che in base alle competenze conferite, il comandante provinciale dei vigili del fuoco può disporre il trasferimento dei citati mezzi da un'aeroporto all'altro in base alle esigenze operative.
  Ciò premesso si rappresenta che l'aeroporto di Alghero, ufficialmente classificato VII categoria Icao, necessita di n. 2 automezzi antincendio, adeguati per soddisfare i quantitativi di estinguenti previsti dalla suddetta normativa internazionale di riferimento, mentre l'aeroporto di Olbia, classificato VIII categoria Icao, necessita di n. 3 automezzi antincendio, riducibili a due in caso di anomalie o di carenza improvvisa di personale, sufficienti a garantire le prestazioni estinguenti imposte dalla medesima normativa internazionale.
  Pertanto, complessivamente, il comando di Sassari dispone di un parco mezzi superiore al doppio del minimo richiesto dalle norme Icao per garantire la protezione prevista dalle categorie antincendio degli aeroporti di Alghero e Olbia.
  Per quanto attiene le risorse economiche relative alla manutenzione dei mezzi aeroportuali, sono state disposte a favore della direzione regionale Sardegna, per il primo trimestre 2017, risorse economiche per l'avvio anche dei lavori di manutenzione dei mezzi antincendio aeroportuali presenti in regione.
  Si aggiunge, che negli ultimi anni sono stati assegnati mediamente circa euro 100.000/anno per le esigenze di manutenzione di ciascun distaccamento aeroportuale della regione Sardegna.
  Riguardo, invece, alla questione relativa alla manutenzione della polvere estinguente in caricamento nei mezzi aeroportuali, si rappresenta che per agevolare le operazioni è stato recentemente trasferito presso il comando di Sassari un banco prova rigenerazione polvere, utilizzabile anche per la verifica dei mezzi aeroportuali in dotazione al comando di Cagliari.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   continuano a bruciare le aree verdi della provincia di Salerno e, in particolare, del territorio di Cava de’ Tirreni, Nocera Superiore, Corbara, Valle dell'Irno, Vallo di Diano e Cilento;

   dopo il grosso rogo che ha interessato il parco Diecimare e che ha visto impegnate per due giorni le squadre della protezione civile, altri incendi hanno interessato le periferie dei territori salernitani;

   da quanto si apprende da fonti di stampa, c'è una situazione di grande allerta sulla quale si sta cercando di fare luce, considerato che nella maggioranza dei casi si immagina che le cause dei roghi siano di origine dolosa;

   anche al valico di Chiunzi la situazione è particolarmente allarmante; in tre giorni l'incendio partito sulla strada provinciale 2 ha bruciato a macchia di leopardo i fianchi di tre cime dei Monti Lattari; anche in questo caso si tratterebbe di un incendio doloso; sul posto, infatti, è stato trovato un innesco chimico;

   occorre, a parere dell'interrogante, un intervento immediato delle istituzioni, dai comuni alla regione Campania, rispetto ad un fenomeno che, purtroppo da tempo, sta devastando il territorio –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti intenda adottare, per quanto di competenza, per garantire la sicurezza del territorio della provincia di Salerno, che sta vivendo una grave emergenza incendi.
(4-17269)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'emergenza incendi boschivi nella provincia di Salerno, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli altri enti e amministrazioni competenti, si rappresenta quanto segue.
  La materia degli incendi boschivi è disciplinata dalla legge quadro n. 353 del 21 novembre 2000, che ha fissato, da ben 17 anni, diversi princìpi, primo tra tutti la ripartizione puntuale delle responsabilità e delle competenze affidate al servizio nazionale di protezione civile e quelle affidate alle regioni.
  In attuazione all'articolo 8, comma 2, della predetta legge n. 353 del 2000, il Ministero dell'ambiente ha diretta competenza in materia di incendi soltanto per i piani anti incendi boschivi (o piani Aib) delle aree protette statali (parchi nazionali e riserve naturali statali), col supporto degli enti gestori di tali aree protette che curano in modo particolare la «previsione» e la «prevenzione» degli incendi boschivi.
  Resta, invece, la diretta competenza delle regioni nella lotta attiva, anche all'interno delle suddette aree protette statali (articolo 7 e articolo 8, comma 4, della stessa legge n. 353 del 2000), oltre che la programmazione Aib per tutto il territorio di propria pertinenza.

  Tale ripartizione di funzioni viene configurata anche sulla base del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che attribuisce alle regioni ed alle province autonome il compito di programmare ed attuare le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi – ossia ricognizione, sorveglianza, avvistamento, allarme e spegnimento con mezzi da terra e aerei – mediante l'approvazione di un piano regionale, a revisione annuale, per la programmazione delle predette attività.
  Questa suddivisione di competenze tra lo Stato e le regioni in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi non risulta in alcun modo mutata anche a seguito dell'emanazione del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante la razionalizzazione delle funzioni di polizia e l'assorbimento del corpo forestale dello Stato. Infatti, allo Stato continua a spettare in via sussidiaria il concorso alla lotta attiva agli incendi boschivi attraverso il corpo nazionale dei vigili del fuoco e l'Arma dei carabinieri per le connesse attività di prevenzione e repressione.
  A tal ultimo riguardo, si segnala che, nella consapevolezza che il fenomeno degli incendi boschivi rappresenta una delle emergenze ambientali più critiche per il nostro paese, è stato firmato in data 5 aprile 2017 un apposito protocollo d'intesa tra l'arma dei carabinieri e il corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di definire ogni utile sinergia operativa e di migliorare ulteriormente l'efficacia degli interventi. In particolare, tale protocollo, individua gli ambiti di rispettivo intervento e definisce le attività di collaborazione in materia.
  Per quanto concerne il territorio della regione Campania, per implementare ancora di più i dispositivi di intervento a terra del corpo, in data 17 luglio 2017 è stata attivata la convenzione con la regione medesima che prevede, in generale, la predisposizione di squadre aggiuntive di vigili del fuoco in orario straordinario e, nel dettaglio, nel periodo di maggior esposizione al rischio incendi, un incremento dell'operatività attraverso la predisposizione di 8 squadre Aib dedicate, aumentabili, in caso di particolari necessità, fino a 10. Inoltre, al fine di implementare il dispositivo di intervento a terra, nella maggior partedei comandi provinciali del corpo di quella regione sono stati effettuati richiami di personale in turno libero e raddoppi di personale.
  Con riferimento alla problematica degli incendi boschivi nella provincia di Salerno, il genio civile di Salerno, per il tramite della regione Campania, ha rappresentato che dal 1° gennaio 2017 a fine agosto 2017 si sono verificati in tutta la provincia di Salerno circa n. 1.010 incendi, che hanno interessato aree boscate, radure e zone verdi. Il personale della giunta regionale della Campania impegnato nelle operazioni di prevenzione e spegnimento in provincia di Salerno sono state 37. Si sono verificati giornalmente in media circa 35-40 incendi, impegnando dalle 16-alle 17 unità Aib (Antincendio boschivo), di cui 7/8 Dos (Direttore Operazioni Spegnimento). Il personale precedentemente impegnato nella lotta attiva agli incendi è stato nell'anno corrente utilizzato come Dos, in quanto sono venuti meno gli agenti dell'ex corpo forestale dello Stato già occupati in tale attività. La Soup (Sala operativa unificata provinciale), ha assicurato il servizio quotidianamente (giorni feriali e festivi). Il territorio boscato della provincia di Salerno è pari a circa il 65 per cento dell'intero territorio regionale; dal 10 luglio 2017 (inizio periodo di massima pericolosità), sono stati coinvolte nelle attività Aib anche le dieci c.m. del territorio provinciale, l'ente provincia, Sma Campania oltre a n. 6 associazioni di volontariato, così distribuite:

    Alburni, 57 unità;

    Alento Monte Stella, 46 unità;

    Bussento Lambro e Mingardo, 99 unità;

    Calore Salernitano, 44 unità;

    Gelbison e Cervati, 26 unità;

    monti Lattari, 23 unità;

    Irno Solofrana, 20 unità;

    monti Picentini, 31 unità;

    Vallo di Diano, 52 unità;

    amministrazione provinciale, 26 unità;

    SMA Campania con basi presso i comuni di Bracigliano – 12 unità, Sarno – 8 unità, Corbara – 11 unità, Fisciano – 12 unità, Eboli – 10 unità.

   Hanno operato n. 7 elicotteri regionali per un totale di oltre 150 interventi, oltre 100 interventi sono stati assicurati dai canadair ed oltre 30 interventi da velivoli Ericsson S64.
   Si precisa che l'intero organico, così come sopra rappresentato, sarà impegnato fino al termine del periodo di massima pericolosità, come da decreto dirigenziale n. 33 del 4 luglio 2017.
   A ciò si aggiunga che, nel territorio in questione, ricadono due aree protette statali: il parco nazionale (PN) del Cilento, Vallo di Diano e Alburni e la riserva naturale statale (Rns) Valle delle Ferriere. Il Ministero dell'ambiente, in data 10 agosto 2017, ha chiesto ai due enti gestori elementi informativi in merito ai recenti incendi avvenuti nei territori protetti.
   Con nota del 21 agosto 2017, l'ente parco nazionale del Cilento ha fornito le informazioni al momento disponibili in merito agli incendi boschivi avvenuti nel territorio protetto. L'ente parco si è avvalso della collaborazione del locale reparto carabinieri – raggruppamento parchi che ha fornito le notizie richieste. Secondo quanto riferito dal suddetto reparto, dal 1° gennaio al 14 agosto 2017 nel territorio protetto si sono verificati 90 eventi di incendio boschivo che hanno interessato circa 536 ettari di superficie boscata percorsa dal fuoco e 249 di superficie non boscata, per un totale di circa 785 ettari. Il reparto carabinieri ha precisato, altresì, che confrontando i dati con lo stesso periodo dello scorso anno è stato rilevato un aumento del 28,6 per cento nel numero di incendi e un aumento del 49,7 per cento della superficie percorsa dal fuoco. Al fine di contrastare efficacemente gli incendi boschivi, il reparto carabinieri del parco ha predisposto un incremento dei dispositivi di prevenzione e repressione, con l'espletamento di 1.607 servizi di prevenzione Aib nel solo bimestre giugno-luglio 2017. Inoltre, lo stesso reparto, nel periodo di massima pericolosità per gli incendi boschivi ha deferito all'autorità giudiziaria 4 persone, di cui una per il reato di incendio boschivo doloso e 3 per la fattispecie colposa.
   Al momento si è ancora in attesa dall'ente gestore della riserva naturale statale Valle delle Ferriere delle informazioni su eventuali incendi boschivi avvenuti all'interno del territorio protetto della riserva.
   Al riguardo, si evidenzia altresì che il Piano Aib pluriennale del parco nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni, scaduto a dicembre 2016, risulta in fase di predisposizione da parte dell'ente parco. Vista l'assenza del nuovo piano, lo stesso ente parco ha comunque fornito al Ministero dell'ambiente una relazione delle attività Aib a consuntivo 2016 e previsionale 2017.
   Per la riserva naturale statale Valle delle Ferriere l'ente gestore ha inviato il nuovo piano Aib, con validità 2017-2021, al Ministero dell'ambiente per il quale poi è stata chiesta l'intesa alla regione Campania.
   La complessa materia degli incendi boschivi richiede la massima sinergia e cooperazione fra le diverse istituzioni competenti a vario titolo e, per questo, è stata emanata la «Direttiva per la prevenzione degli incendi boschivi nei Parchi Nazionali e nelle Riserve Naturali Statali» del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del 12 luglio 2017, a tutela delle aree protette nazionali. La direttiva, che contiene anche una serie di raccomandazioni volte a rafforzare le attività di programmazione e prevenzione, è stata trasmessa a tutti gli attori istituzionali impegnati nell'antincendio boschivo, inclusi gli enti parco, le riserve naturali statali, il capo dipartimento della protezione civile, nonché il presidente della conferenza dei presidenti delle regioni.
   Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare proseguirà nella sua azione costante di monitoraggio, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tale importante questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il numero di stranieri discendenti da italiani emigrati all'estero è cresciuto negli ultimi anni, arrivando a circa due milioni, con oltre 160 mila pratiche di richiesta di cittadinanza italiana in corso;

   le richieste di cittadinanza italiana nel mondo, soprattutto in America Latina, sono 300 mila, 116 mila solo in Brasile;

   a spiegare la situazione è stato nei giorni scorsi, il Vice Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Mario Giro, che ha dichiarato: «la nostra legge è così ampia e tollerante che il numero complessivo degli aventi potenzialmente diritto a vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana è di 80 milioni. Più degli abitanti odierni della Penisola»;

   dietro ciò, secondo il Vice Ministro, vi sarebbe «soprattutto il tentativo di garantirsi un passaporto europeo in un momento di difficoltà economiche e tensioni politiche e sociali»;

   a parere dell'interrogante si tratta di dichiarazioni gravi, dal momento che una pratica per gli italiani di «sangue» deve superare più di una probatio e ci vogliono più di dieci anni perché vada in porto, mentre il Governo tenta di assicurare ogni facilitazione ai figli degli immigrati nati in Italia attraverso iniziative per il riconoscimento dello ius soli;

   non esistono studi e analisi sulla maggiore integrabilità in Italia di figli di immigrati vissuti spesso in famiglie e comunità tutt'altro che integrate nel nostro Paese, rispetto a figli e nipoti di italiani emigrati all'estero che tengono alla cittadinanza italiana perché sentono di appartenere all'Italia;

   resta, altresì, tanto da fare per la promozione della lingua italiana e nella supervisione dei programmi educativi;

   in particolare, da quanto si apprende, la gestione della promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo sarà affidata totalmente alla società «Dante Alighieri»;

   si tratterebbe, a parere dell'interrogante, di un atto profondamente ingiusto a danno di una straordinaria e dinamica realtà associativa di enti e volontari, pluralista come orientamento politico e, per questo, meritevole di essere sostenuta e non distrutta –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per dare maggiori garanzie ai nostri connazionali residenti all'estero che portano nel mondo la cultura e le imprese italiane, nonché per assicurare pluralità nella gestione della promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo, garantendo che le risorse pubbliche siano impiegate effettivamente ed efficacemente per le comunità italiane all'estero e non per finanziare l'insegnamento dell'italiano agli immigrati e ai clandestini.
(4-17499)

  Risposta. — La promozione della lingua e della cultura italiana all'estero costituisce una delle priorità del Ministero degli esteri e della cooperazione internazionale. Si tratta di un'azione portata avanti secondo una logica di promozione integrata, che vede il coinvolgimento attivo da parte di questa amministrazione di tutti i diversi attori che operano nel settore, e che si fonda sulla convinzione del ruolo strategico e propulsivo della diplomazia culturale nell'ambito della politica estera del nostro paese. In tale contesto, una particolare importanza si attribuisce al ruolo che rivestono le comunità italiane all'estero.
  Partendo dal tema specifico della promozione della lingua nazionale, su mio impulso nell'ottobre 2014 il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha lanciato a Firenze la prima edizione degli «Stati Generali della lingua italiana all'estero», evento che ha dato inizio ad un percorso di ulteriore rilancio del ruolo che la promozione linguistica svolge a sostegno del sistema paese. Si tratta di un appuntamento che ha cadenza biennale, la cui seconda edizione si è svolta sempre a Firenze nell'ottobre 2016 dal titolo «Italiano Lingua Viva». Quale tappa intermedia tra le prime due edizioni, il 20 ottobre 2015 è stato organizzato il convegno «Riparliamone, la lingua ha valore»; il 18 ottobre 2017 si è tenuto un nuovo evento intermedio dedicato a «L'italiano nel mondo che cambia», con la presenza di personalità istituzionali e rappresentanti di organismi culturali e delle collettività italiane all'estero. Seguirà, nell'ottobre 2018, la terza edizione degli stati generali. Quanto fin qui evidenziato conferma l'importanza prioritaria che il Governo attribuisce al tema specifico della promozione della lingua all'estero.
  Con l'avvio degli stati generali ci si è anche posti una serie di obiettivi concreti i cui risultati tangibili sono stati, tra l'altro: una più capillare raccolta dei dati relativi agli studenti di italiano nel mondo; un'azione rafforzata a favore della formazione a distanza degli insegnanti locali di lingua italiana; il sostegno all'istituzione da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale della classe di concorso riservata ai docenti specializzati in didattica dell'italiano all'estero; il lancio nel 2015 del progetto «Laureati per l'italiano», con l'invio presso selezionati atenei esteri di docenti specializzati nell'insegnamento dell'italiano agli stranieri. Tale ultima iniziativa si è dimostrata efficace nell'integrare l'operato dei lettori di ruolo ministeriali e ha riscosso un notevole successo dimostrato anche dal crescente numero di docenti che hanno aderito: 6 nel 2015, 22 nel 2016 e 27 nel 2017. Un altro importante passo avanti è stato fatto grazie alla realizzazione del «Portale della Lingua italiana nel mondo», un canale di accesso unificato a tutte le informazioni rilevanti sull'insegnamento della nostra lingua.
  Con gli stati generali abbiamo sostanzialmente dato avvio ad un vero e proprio «rinascimento» della promozione linguistica che ci consentirà di rafforzare e ampliare l'italofonia nel mondo, coinvolgendo sempre più le nostre comunità all'estero e anche le numerose personalità straniere di successo che hanno studiato l'italiano: oltre 1.100 sono attualmente gli iscritti nell'albo degli italofoni.
  Per rendere sempre più efficace e coerente l'azione di promozione della lingua italiana all'estero, la Farnesina ha recentemente realizzato una riforma organizzativa interna attraverso la quale tutte le competenze in materia sono state concentrate nella direzione generale per la promozione del sistema paese (Dgsp). La Dgsp ora si occupa non solo delle scuole italiane all'estero ma anche degli enti gestori dei corsi di lingua e cultura italiana, così come di promozione della lingua e dell'editoria italiana, di internazionalizzazione delle università, di scambi giovanili e di borse di studio a favore sia di cittadini stranieri che di cittadini italiani residenti all'estero.
  Per la gestione del settore, a partire dal 2017 e per un quadriennio (fino al 2020) le somme stanziate sul bilancio ordinario saranno integrate da risorse addizionali assegnate sul fondo per il potenziamento della promozione della cultura e della lingua italiana all'estero, il cosiddetto piano straordinario «Vivere all'italiana» (v. articolo 1, commi 587 e 588, della legge 11 dicembre 2016, n. 232). Per il corrente anno la quota complessiva del fondo assegnata al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale è pari a circa 16,4 milioni di euro. Di tale importo, 2,16 milioni di euro sono stati stanziati a favore degli enti gestori quale quota integrativa rispetto a quella assegnata sul bilancio ordinario (pari a 9,8 milioni di euro), in modo da riportare il contributo ministeriale complessivo al livello dell'anno scorso (12 milioni di euro), come da impegni assunti dal Governo anche in ambito parlamentare.
  Altre somme del fondo sono finalizzate a coprire le richieste delle nostre sedi all'estero a sostegno delle cattedre di italiano a livello scolastico ed universitario e i corsi di aggiornamento per docenti di italiano; altre ancora sono a disposizione delle istituzioni scolastiche e universitarie straniere che intendano creare o sostenere cattedre di lingua italiana. Una quota pari a 1 milione di euro è stata destinata a finanziare gli eventi organizzati da parte della rete diplomatico-consolare durante la «settimana della lingua italiana nel mondo» (16-22 ottobre 2017), sul tema «L'italiano al cinema, l'italiano nel cinema». Si tratta della XVII edizione di un'iniziativa nata nel 2001 da un'intesa tra il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e l'accademia della crusca, che ormai rappresenta un appuntamento tradizionale nel panorama delle attività realizzate a sostegno della diffusione dell'italiano nel mondo.
  Per i prossimi esercizi finanziari si avrà la prevista disponibilità delle risorse extra stanziate sul fondo in parola già all'inizio dell'anno, a beneficio di una migliore programmazione di tutte le attività del settore.
  Con riguardo alla società Dante Alighieri (D.A.) citata dall'interrogante, si tratta di un ente che fin dalla fine dell'ottocento svolge un ruolo importante nella diffusione dell'italiano nel mondo attraverso il lavoro di comitati volontari, indipendenti dalla sede centrale. La società è uno degli enti che collaborano con questo Ministero nel promuovere la lingua italiana, sia attraverso la realizzazione di attività congiunte nelle aree individuate dalla Convenzione Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale-Società Dante Alighieri del 2014, sia nell'ambito della certificazione delle competenze linguistiche. Assieme alle università per stranieri di Perugia e di Siena e all'università degli studi Roma Tre, la Società Dante Alighieri è tra gli enti certificatori membri della Cliq (Certificazione Lingua Italiana di Qualità), associazione fondata nel 2012 che si pone l'obiettivo di garantire la qualità dei sistemi certificatori dell'italiano nel mondo. Per il 2017, il contributo ordinario erogato dal Governo italiano alla Società Dante Alighieri ammonta a circa 670.000 euro a cui si aggiungono 2,6 milioni di euro stanziati dal piano straordinario «Vivere all'italiana».
  Alla luce di quanto precede, in merito alle iniziative promosse e agli investimenti effettuati nel settore, il Governo intende continuare ad operare a favore della promozione della lingua e cultura italiana all'estero, indirizzando parte delle risorse a disposizione a favore delle comunità italiane all'estero nella consapevolezza che queste rappresentano il principale volano per la diffusione della nostra lingua, cultura e valori nelle società locali. In tale contesto si ritiene importante continuare ad investire nella istituzione di classi bilingue a partire dalla scuola materna, anche al fine di rafforzare i legami esistenti tra le nuove generazioni di italiani nati all'estero e l'Italia.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Mario Giro.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il lago di Varano, situato nella provincia di Foggia, con una superficie di circa 60,5 chilometri quadrati risulta essere il maggiore lago costiero italiano, oltre ad essere il settimo lago della penisola e il più grande dell'Italia meridionale;

   da numerosi studi (tra i quali si cita a titolo esemplificativo il «Progetto integrato di recupero e riqualificazione della laguna di Varano. ELTCON Cons. Elettronica Spa – Condotte d'acqua spa»), è emersa la fondamentale importanza del dragaggio e delle paratoie mobili in laguna finalizzati alla salvaguardia e alla ripopolazione della fauna ittica locale;

   il sistema idraulico delle paratoie mobili, situate alla foce di un canale, è finalizzato a regolare la portata di acqua in modo da favorire il ripopolamento di pesci nella fase di chiusura delle stesse in determinati periodi dell'anno;

   la presenza delle paratoie mobili nel canale di Capoiale è previsto anche dal regolamento della pesca 2009 (regolamento della pesca regionale nella laguna di Varano) che, all'articolo 13, recita: «lungo il canale di Capoiale e quello di Varano, nella zona antistante allo sbarramento ittico con griglie, per un raggio di metri 1.200 (milleduecento) verso il centro lagunare, dal 1o febbraio al 31 maggio di ogni anno, è vietata in modo assoluto la pesca con qualsiasi rete o attrezzo, sia fissa che vagantiva. Il divieto persiste nelle zone di acqua delimitata dall'arco di cerchio avente lo stesso raggio con centro fisso presso gli sbarramenti ittici dei due canali;

   ciò allo scopo di favorire la montata della popolazione ittica novella»;

   numerose pubblicazioni giornalistiche risalenti al 2010, riportano la notizia di un finanziamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare destinato alla realizzazione delle paratoie mobili, attraverso il parco nazionale del Gargano. Nelle pubblicazioni, l'allora sindaco di Cagnano Varano fa riferimento ad una cifra di circa 900 mila euro e a lavori pare già appaltati, ma che al momento non risultano essere stati effettuati –:

   quale sia lo stato dei finanziamenti menzionati e quali siano gli interventi che si intendono mettere in atto al fine realizzare le paratoie mobili necessarie alla salvaguardia e al ripopolamento della fauna ittica del lago di Varano.
(4-13196)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla realizzazione di paratoie mobili per la salvaguardia della fauna ittica nel lago di Varano (Foggia), sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare acquisiti dall'ente parco nazionale del Gargano, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che i fondi riguardanti il progetto delle griglie del lago di Cagnano Varano sono stati impegnati dall'ente parco sul capitolo 1.2.1.1.55 «Interventi recupero miglioramento salvaguardia ambientale», derivanti da avanzi di amministrazione del medesimo ente.
  Con deliberazione di giunta esecutiva n. 256 del 16 ottobre 2000, l'ente ha disposto lo stanziamento di una somma complessiva di euro 903.799,57 a favore del comune di Cagnano Varano, di cui euro 774.685,35 per la realizzazione delle griglie del canale di Capojale, euro 103.291,38 per la rinaturalizzazione della sorgente Bagno ed euro 25.822,84 per l'Isolotto.
  Con deliberazione presidenziale n. 15 del 3 febbraio 2003, l'Ente ha confermato l'assegnazione dei fondi al citato comune ed approvato lo schema di convenzione per il trasferimento dei fondi.
  Con determinazione dirigenziale n. 398 del 15 maggio 2003, l'Ente ha liquidato al comune di Cagnano Varano la somma di euro 77.468,54, quale 10 per cento del finanziamento accordato, ai sensi della Convenzione stipulata in data 5 maggio 2003. Il restante 90 per cento non è mai stato trasferito.
  Il progetto definitivo, approvato in conferenza di servizi in data 8 novembre 2005, ha previsto un importo pari ad euro 900.000,00, di conseguenza su richiesta del comune, l'ente, con deliberazione di giunta esecutiva n. 13 del 4 luglio 2006, ha accordato un ulteriore somma di euro 125.314,66, rimodulando gli importi precedentemente destinati a favore del comune per la sorgente Bagno e l'Isolotto.
  Con determinazione n. 35 del 30 aprile 2007, il comune ha aggiudicato i lavori all'Ati «Carmar Sub (capogruppo) – Ubaldi costruzioni (mandante) – Co.Ge.Mar. (mandante)» e ha stipulato il relativo contratto d'appalto.
  In data 29 giugno 2007, è stato sottoscritto il verbale di consegna dei lavori ed il successivo 9 agosto i lavori sono stati sospesi in attesa di acquisire le aree da parte del Ministero delle infrastrutture e trasporti e dell'emissione di apposita ordinanza di regolamentazione del flusso dei natanti da parte della capitaneria di porto.
  Il successivo 7 dicembre 2007, il comune ha richiesto la concessione dell'area demaniale marittima per l'esecuzione dei lavori di costruzione «Griglie» nell'imbocco del canale di Capojale ed in data 29 agosto 2008 la capitaneria di porto di Manfredonia, in rappresentanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha consegnato al comune le aree interessate al progetto.
  In fase di esecuzione dei lavori è stata redatta perizia di variante e suppletiva, approvata con deliberazione di giunta comunale n. 13 del 10 febbraio 2010. Il successivo 27 aprile è stato sottoscritto atto di sottomissione e verbale di concordamento nuovi prezzi.
  In data 12 luglio 2010, l'ente ha convocato un incontro con la Confcooperative Federcoopesca di Bari, il sindaco di Cagnano Varano ed il comandante dell'ufficio locale marittimo di Rodi Garganico al fine di favorire il prosieguo del procedimento. Il successivo 19 ottobre, l'Ente ha sollecitato il comune a fornire informazioni circa le problematiche per la realizzazione dei lavori.
  In data 7 aprile 2011 è stato redatto il verbale di ripresa dei lavori e, nell'attesa dell'ordinanza della capitaneria (intervenuta il 22 settembre 2011), l'impresa ha richiesto di sospendere i lavori.
  Con determinazione del comune di Cagnano Varano n. 60 del 10 giugno 2011 è stato affidato l'incarico di direzione lavori.
  In data 19 settembre 2013, il comune, all'esito di diversi incontri svolti con l'Ente ha trasmesso una seconda perizia di variante.
  Con nota del 19 maggio 2016, il sindaco del comune di Ischitella ha sollecitato interventi indifferibili ed urgenti di manutenzione del canale della foce della laguna di Varano in località «Foce Varano», tesi ad eliminare l'insabbiamento dei luoghi a causa del deposito del sedimento sabbioso sul fondale.
  A seguito delle sollecitazioni dell'ente, il comune di Cagnano Varano ha manifestato i problemi presenti per la sopravvivenza del complesso ecosistema lagunare visto l'insabbiamento del canale «Foce di Capojale» e ha comunicato che gli interventi per la realizzazione delle griglie non era più prioritario, rispetto a quelli per il ripristino delle condizioni ecologiche ai fini della tutela della biodiversità e salvaguardia della laguna di Varano.
  Di conseguenza, l'ente ha ritenuto prioritario intervenire per la pulizia dei due canali al fine di garantire la conservazione dell’
habitat naturale lagunare per la cui sopravvivenza è indispensabile il ricambio d'acqua attraverso la corrente di flusso innescata dalla presenza dei due canali.
  Con deliberazione di giunta esecutiva n. 23 del 20 maggio 2016 ha finalizzato la somma di euro 250.000,00 per lavori di dragaggio dei due canali di «Foce di Capojale» e di «Foce di Varano» della laguna di Varano. Attualmente i due comuni stanno redigendo il progetto.
  La somma residua è destinata alla realizzazione di interventi da definire, all'esito delle risultanze dello studio del Cnr Ismar di Lesina, per il quale l'ente ha destinato la somma di euro 50.000,00 – con deliberazione di consiglio direttivo n. 22 del 7 dicembre 2015, vistata senza osservazioni dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in quanto amministrazione vigilante.
  L'Ente ha aderito, nell'ambito dei progetti Life Natura, con il medesimo Cnr Ismar e l'associazione Legambiente nazionale, al progetto denominato «
Life Critical – Concrete Conservation actions of Phanerogams in Italian Coastal Lagoons» (Lesina and Varano) che mira alla salvaguardia e alla rinaturalizzazione delle praterie di Zostera noltii, una pianta acquatica presente nelle lagune di Lesina e Varano, che ha un ruolo fondamentale per il funzionamento di habitat critici, come le aree di riproduzione e nursery per molte specie di invertebrati e pesci commercialmente importanti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   è di pochi mesi fa la decisione di istituire a Verona più sedi dei vigili del fuoco e inviare più personale, a garanzia della pronta reazione in caso di soccorso in ogni parte della provincia;

   Verona ha una copertura del territorio notevolmente inferiore alle altre province venete e rispetto alle esigenze: solo tre sedi di servizio operative a fronte di una media di 6 sedi di servizio per ogni altra provincia della regione; il personale è insufficiente: un vigile del fuoco ogni 4.016 veronesi, contro una media regionale di una unità ogni 2.548 abitanti;

   a seguito di insistenze a più livelli, sono stati destinati a Verona 16 nuovi vigili del fuoco, sarà realizzato il nuovo comando provinciale in via Apollo (zona motorizzazione civile/Genovesa), con autorimessa all'avanguardia, ed è stato deciso un nuovo distaccamento in zona S. Michele Extra, nell'ex caserma dei carabinieri di via Aldo Fedeli messa a disposizione dal comune di Verona;

   a fronte di questa ultima decisione, numerosi comuni della parte est della provincia hanno avanzato una specifica richiesta di avere in prossimità un presidio dei vigili del fuoco;

   l'interrogante ritiene che il nuovo distaccamento di Verona/S. Michele Extra non sia risolutivo per due motivi: l'importante e necessario intervento di ristrutturazione/adeguamento dell'immobile per soddisfare le esigenze funzionali dei vigili e la necessità che il presidio sia ancora più spostato verso est, in particolare nei pressi delle grandi vie di comunicazione;

   i lavori di adeguamento sull'ex caserma sono abbastanza dispendiosi e lunghi da realizzare, ma, soprattutto, a parere dell'interrogante, il limite è la collocazione geografica, dentro il tessuto urbano;

   sarebbe opportuna una sede più vicina a tangenziali e autostrada, in modo da consentire l'immediato raggiungimento di diverse località del territorio –:

   se non si ritenga utile ripensare alla scelta di insediare un distaccamento a S. Michele Extra a Verona e valutare un nuovo e sostitutivo distaccamento permanente in zona S. Martino Buon Albergo/Caldiero, ovvero a ridosso della città e dentro l'area est (vallate comprese) come, peraltro, già chiesto nel tempo dai vigili del fuoco veronesi nelle loro programmazioni strategiche;

   se si intenda avviare un confronto con i comuni della parte est della provincia di Verona, al fine di valutare la concreta possibilità da parte di questi di farsi carico di individuare un immobile nella zona e di adeguarlo alle esigenze, in modo da raggiungere l'obiettivo posto.
(4-17453)

  Risposta. — Relativamente alla possibilità di istituzione di nuove sedi di vigili del fuoco si ricorda che a seguito dell'emanazione del decreto del Ministro dell'interno del 31 luglio 2015 relativo alla ripartizione delle sedi e della dotazione organica del personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco e del conseguente provvedimento del capo del corpo del 3 agosto 2015, è stato attuato il riordino del dispositivo di soccorso nazionale del corpo medesimo.
  La dislocazione territoriale del personale del corpo nazionale è stata da ultimo rivista con decreto del Ministro dell'interno dell'11 aprile 2017.
  Tali decreti determinano l'entità del dispositivo di soccorso per ogni singola sede, sulla base di rigorose analisi statistiche, elaborate da questo Ministero, che si fondano su vari parametri tra i quali il numero di interventi e le caratteristiche di rischio dei territori.
  I medesimi provvedimenti hanno, inoltre, espressamente confermato la possibilità, per il comandante, di rimodulare la ripartizione del personale, attribuito a livello provinciale, in presenza di comprovate esigenze territoriali, anche a carattere temporaneo.
  In generale, dunque, l'istituzione di nuove sedi di vigili del fuoco viene definita sulla base dei parametri predetti nonché della disponibilità, in ambito provinciale, di aree su cui poter costruire le nuove sedi ovvero di edifici da adeguare tale scopo. Infine, è ovviamente necessario reperire le relative risorse finanziarie e strumentali, anche in termini di nuovo personale e nuovi mezzi disponibili.
  In particolare, per quanto concerne il comando dei vigili del fuoco di Verona, questa amministrazione, dopo aver effettuato attraverso il suddetto comando un'indagine conoscitiva sul territorio provinciale, aveva individuato nella zona di S. Michele Extra un edificio demaniale non più utilizzato dall'Arma dei carabinieri, che il comune di Verona ha offerto in comodato gratuito per 9 anni.
  Il progetto non si è però concretizzato, in quanto il fabbricato in esame necessita di consistenti lavori di adeguamento alle esigenze dei vigili del fuoco.
  Recentemente, molti sindaci dei comuni dell'est veronese, hanno manifestato l'interesse all'istituzione sul proprio territorio di un distaccamento dei vigili del fuoco, facendosi carico anche degli oneri connessi.
  A tal fine, gli stessi hanno incontrato il comandante provinciale di Verona per verificare la concretezza delle proposte e la loro idoneità in relazione alle esigenze di un distaccamento.
  Attualmente le ipotesi più concrete in corso di valutazione riguardano i comuni di San Martino Buon Albergo e di Caldiero, che si trovano ad est di Verona lungo la direttrice Verona-Vicenza, la cui ubicazione, pertanto, risponde alle esigenze del Comando in questione e alla sollecitazione dell'interrogante.
  Nel mese di novembre 2017 è previsto un ulteriore incontro con i sindaci, per un confronto di dettaglio sulla possibilità di individuare in modo univoco una sede già disponibile e comunque valutare la possibilità di istituire un distaccamento vigili del fuoco di Verona est.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   D'UVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con interrogazione a risposta scritta n. 4-08755 presentata dal sottoscritto nella seduta n. 407 del 13 aprile 2015 è già stata segnalata la gravissima carenza di organico in forza al comando provinciale dei vigili del fuoco di Messina, ove il sacrificio del personale ivi assegnato, seppur esemplare, non consentiva di garantire il pubblico soccorso e la sicurezza civile, con grave pericolo per l'incolumità dei cittadini, delle abitazioni e delle imprese della provincia di Messina;

   sin dal precedente atto di sindacato ispettivo, si sono, peraltro, segnalate le peculiarità della provincia di Messina che determinano la necessità di un'adeguata organizzazione del servizio di pronto intervento dei vigili del fuoco, trattandosi di una vasta provincia ad altissimo rischio sismico, idrogeologico ed industriale, caratterizzata finanche dalla presenza della raffineria della città di Milazzo;

   con risposta scritta pubblicata il 21 marzo 2016, il sottosegretario di Stato per l'interno Gianpiero Bocci ha premesso che «le ultime manovre finanziarie non hanno reso possibile la sistematica copertura del turn over del personale posto in quiescenza, determinando l'impossibilità non soltanto di completare l'organico teorico, ma anche di coprire i posti resi vacanti dai pensionamenti intervenuti», ma ha altresì fatto presente che, a seguito della riorganizzazione dei comandi provinciali, per quello di Messina è stata prevista una dotazione organica teorica di 298 unità operative, il cui personale effettivo sarebbe stato incrementato nei mesi a venire;

   senonché, a seguito dei noti tragici eventi che hanno caratterizzato il mese di luglio 2017 e continuano ancora oggi ad imperversare nella città e nella provincia di Messina, con incendi vastissimi che hanno portato alla distruzione di centinaia di ettari di territorio boschivo fino a spingersi finanche a ridosso di moltissime abitazioni, con danni incalcolabili, corre l'obbligo di riproporre la gravissima insufficienza di mezzi e personale in cui versa il comando provinciale dei vigili del fuoco di Messina, che nonostante il grandissimo impegno non riesce a fronteggiare adeguatamente le numerose emergenze;

   gli stessi vigili del fuoco, con articolo pubblicato sul quotidiano online www.tempostretto.it in data 11 luglio 2017, hanno denunciato che «la macchina dei soccorsi è al limite», ed in particolare che «a tutt'oggi il parco automezzi risulta insufficiente ed obsoleto, molti mezzi sono fuori uso da tempo per l'usura a cui sono sottoposti. Alcuni mezzi che operano sul territorio sono inidonei alla lotta per incendi boschivi e quindi spesso non risultano adatti alla tipologia di interventi in cui vengono impiegati. Attualmente mancano 6 APS (autopompeserbatoio) che sono in riparazione con tempi medio lunghi per la loro rimessa in servizio, i moduli boschivi sono pochi.»;

   inoltre, sussiste una carenza di organico che non risulta affatto adeguata nonostante gli ultimi impegni assunti dal Governo, laddove il comando provinciale di Messina presenta ancora oggi un rapporto numero vigili del fuoco/abitanti pari ad 1/2125, di gran lunga inferiore rispetto alla maggior parte delle città italiane, o di quelle con numero di abitanti similare;

   ancora, risulta finanche irrisolto il problema delle sedi, laddove nonostante la previsione di una sede provinciale presso la città di Roccalumera, a causa dell'indisponibilità di locali, più personale ivi destinato si trova da diversi mesi ospitato presso il comando provinciale di Messina ad oltre 30 chilometri di distanza –:

   se il Ministro interrogato intenda adoperarsi, anche rivisitando i criteri di assegnazione del personale e dei mezzi ai comandi provinciali dei vigili del fuoco, affinché possano colmarsi le gravi carenze che interessano il comando provinciale di Messina, che non consentono oggi di assicurare il pubblico soccorso e la sicurezza civile in un territorio ad altissimo rischio sismico, idrogeologico ed industriale, né di affrontare gli interventi necessari a tutela del patrimonio boschivo.
(4-17840)

  Risposta. — Negli ultimi anni, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica, particolare attenzione è stata dedicata al ripianamento delle carenze delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Al riguardo, da un lato sono state intraprese iniziative legislative di incremento dell'organico teorico di circa 2.500 unità (decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101; decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90; decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113), dall'altro, sono state adottate iniziative destinate al rafforzamento delle presenze effettive presso le strutture territoriali dei vigili del fuoco, anche attraverso il ripristino del
turn over al cento per cento a decorrere dal 2016.
  Tali misure hanno permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 848 unità di vigili del fuoco, di cui 398 sono state assegnate alle sedi di servizio il 5 giugno 2017, mentre i restanti 447 sono stati assegnati alle sedi di servizio il 7 agosto 2017.
  Un ulteriore potenziamento di personale è derivato dall'assorbimento, nel dicembre 2016, di 390 unità del corpo forestale dello Stato, assegnate nei ruoli ad esaurimento antincendio boschivo (Aib).
  Più di recente, il 27 febbraio scorso, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante «ripartizione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 365, della legge 11 dicembre 2016, n. 232» sono stati destinati 119,12 milioni di euro per l'anno 2017 e 153,24 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018 ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente. Tali assunzioni riguarderanno, tra l'altro, le Amministrazioni dello Stato, ivi compresi i corpi di polizia e il corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Per il corpo nazionale dei vigili del fuoco sono stati stanziati 16 milioni di euro che consentiranno l'assunzione di 400 unità.
  Inoltre, a far data dal 15 dicembre 2017, è prevista l'assunzione di 302 unità di vigili del fuoco a copertura del
turn over per l'anno 2016.
  Tali misure consentiranno di ridurre ulteriormente le attuali carenze di organico.
  Con specifico riferimento alla provincia di Messina si rappresenta che con decreto ministeriale n. 1546 dell'11 aprile 2017 è stato stabilito un organico operativo di 31 capi reparto, 95 capi squadra e 232 vigili di ruolo (con un incremento rispetto alla precedente dotazione organica che contemplava 23 capi reparto, 79 capi squadra e 196 vigili del fuoco).
  Con successivo decreto del capo del Corpo dei vigili del fuoco del 21 aprile 2017, le predette unità sono state ripartite tra la sede centrale di Messina ed i distaccamenti permanenti di Taormina e Roccalumera.
  I recenti provvedimenti di mobilità nazionale e di implementazione dell'organico hanno definito, per la provincia in questione, un organico effettivo di 9 capi reparto, 93 capi squadra e 243 vigili di ruolo. Pertanto, allo stato, si registra una carenza nella qualifica di capo reparto, un organico pressoché completo nelle qualifica di capo squadra e un esubero nella qualifica di vigile del fuoco. In ordine alla carenza riscontrata nel profilo dei capi reparto, si evidenzia che sono in corso di espletamento le relative procedure di promozione al fine di colmare il
gap.
  Per quanto concerne il parco mezzi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in questa legislatura sono stati previsti interventi normativi che hanno consentito l'avvio da parte dell'amministrazione dell'interno di linee di finanziamento per realizzare un piano di ammodernamento dei mezzi operativi del corpo nazionale e, quindi, di rafforzare le strutture e il dispositivo di soccorso tecnico urgente, in un'ottica di modularità e interoperabilità con tutti gli altri enti coinvolti nelle emergenze.
  In particolare, con decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, recante «misure urgenti per enti territoriali» convertito in legge 7 agosto 2016, n. 160, è stata autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2018, per provvedere all'ammodernamento dei mezzi e dei dispositivi di protezione individuale del corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di potenziare la capacità di intervento.
  Con decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, convertito con modificazioni dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229, recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016» sono stati stanziati complessivamente 50 milioni di euro (5 per il 2016 e 45 per il 2017) per i mezzi operativi dei vigili del fuoco.
  Ancora, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 novembre 2016 ha destinato la somma di euro 5.102.000 per l'ammodernamento delle autovetture e delle strumentazioni destinate alle attività di protezione e difesa del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  La legge 11 dicembre 2016, n. 232, legge di bilancio per l'anno 2017, ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo, con una dotazione finanziaria di 70 milioni di euro per l'anno 2017 e di 180 milioni di euro annui per il periodo 2018-2030, per l'acquisto e l'ammodernamento dei mezzi strumentali in uso sia alle forze di polizia che al corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 agosto 2017, sono state ripartite le predette risorse e per il corpo nazionale è stata prevista, per il 2017, la somma di euro 9.660.000 e, dal 2018 al 2030, la somma di euro 25.705.000 per ciascun anno.
  Inoltre, si rappresenta che a seguito dell'iniziativa di questa amministrazione volta ad ottenere un'integrazione di fondi per complessivi 15 milioni di euro (5 milioni per il compenso straordinario, 5 milioni per ulteriori richiami di personale volontario e 5 milioni per la gestione degli automezzi), destinata a finanziare l'eccezionale sforzo operativo del corpo nazionale dovuto ai numerosi ed estesi incendi di bosco che hanno colpito, in particolare, l'Italia meridionale, il Ministero dell'economia e delle finanze ha assentito all'incremento della dotazione del capitolo relativo agli automezzi, per l'importo di 5 milioni di euro.
  Si soggiunge, infine, che per quanto concerne l'attivazione del distaccamento di Roccalumera, si è in attesa della realizzazione di una adeguata sede di servizio; negli ultimi due anni, sulla base della disponibilità di alcuni locali temporanei messi a disposizione dal comune, è stato comunque possibile attivare il presidio nei mesi estivi.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   LUIGI DI MAIO, COLONNESE, FICO, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, MICILLO, PISANO, SIBILIA e TOFALO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   quotidianamente le cronache dell'agro aversano presentano quali sono le condizioni complessive di quel vasto territorio e le condizioni della vivibilità, della salute e dei trasporti;

   a questo proposito, molto significativa è la video-intervista al giornalista Antonio Graziano realizzata dalla web tv Livio Tv dal titolo «Agro aversano: la periferia del mondo»;

   nella zona dell'agro aversano, infatti, non esistono piani di trasporto pubblico per cui diventa faticoso raggiungere i centri abitati dell'agro aversano casertano a causa di un sistema totalmente sregolato;

   negli ultimi anni è letteralmente esplosa una realtà fatta di costruzioni abusive in mancanza di definiti piani regolatori territoriali, che, anche se esistenti, sono apertamente violati, nonostante la che le istituzioni, le forze dell'ordine e le autorità siano presenti come in tutto il territorio nazionale;

   poco nulla è stato realizzato per lo smaltimento virtuoso dei rifiuti tossici;

   in molte abitazioni manca l'acqua o è inquinata in modo tale da aver costretto le famiglie di cittadini statunitensi a cambiare residenza in seguito ai risultati di accurate analisi; le malattie alla tiroide e le patologie oncologiche producono morte, come documentato da studi e ricerche;

   nonostante tutto questo la regione Campania non ha di fatto realizzato il registro tumori nelle aziende sanitarie locali;

   la camorra influisce sulla vita di ogni cittadino e, a fronte di ciò, le istituzioni non danno adeguate risposte e sono anche condizionate dalla criminalità come risulta dallo scioglimento diffuso dei consigli comunali;

   le ricchezze ambientali sono deturpate e lo stesso accesso al mare è impedito dalla chiusura abusiva delle spiagge ad opera di soggetti che hanno costruito barriere con ogni materiale disponibile (cancellate e muretti);

   i Regi Lagni, finalizzati ad irrigare le campagne fin dai tempi del regno borbonico oggi sono inquinati e pericolosi;

   i cittadini di quella zona sono penalizzati e anche i giovani risentono del disagio complessivo che influisce sui comportamenti e sull'educazione, ingenerando nelle nuove generazioni un pericoloso deficit di cultura della legalità –:

   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere, per quanto di competenza, un impegno complessivo programmatorio ed operativo che coinvolga ogni soggetto responsabile per individuare «metro per metro» le violazioni ad un corretto vivere civile, al fine di restituire il territorio e il paesaggio ai cittadini mediante il rispetto delle regole e la repressione di chi infrange le leggi ed ogni altra norma;

   se i Ministri interrogati non ritengano, altresì, di sperimentare nuove ed eccezionali forme di controllo quotidiano del territorio attraverso l'istituzione di un organismo operativo che, coinvolgendo anche le migliori realtà associative della zona rappresentative delle fasce più sensibili della cittadinanza, si attivi per restituire vivibilità alle aree oggetto dell'interrogazione.
(4-01007)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Consapevoli delle problematiche relative all'assenza di una seria pianificazione urbanistica e dell'abusivismo edilizio nei, territori indicati dagli interroganti, si segnala che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta seguendo anche l'iniziativa legislativa sul consumo del suolo.
  Il testo del disegno di legge sul «Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato» (atto Senato 2383) è allo stato all'esame delle competente commissioni.
  Il disegno di legge pone dei limiti al consumo del suolo, puntando in tal modo sulla trasformazione del tessuto urbano esistente, attraverso uno strumento normativo che unisca vincoli ed incentivi. Il disegno di legge in questione persegue la finalità di contenere il consumo del suolo e valorizzare il suolo non edificato, nonché promuovere l'attività agricola che sullo stesso si svolge o potrebbe svolgersi, al fine di impedire che il suolo venga eccessivamente «eroso» e «consumato» dall'urbanizzazione. Il provvedimento riconosce espressamente il suolo come «bene comune» e «risorsa» non rinnovabile, e fissa come traguardo quello del consumo netto zero da raggiungere entro il 2050, secondo gli obiettivi indicati dall'Unione europea.
  Tuttavia, è indispensabile la collaborazione delle regioni e delle istituzioni locali che hanno il compito, dove necessario, di modificare, integrare ed aggiornare con sempre più attenzione la normativa a livello locale con l'obiettivo di stabilire le regole per un corretto uso del territorio. La difesa del suolo, infatti, è anzitutto un uso corretto del suolo secondo linee fondamentali che devono divenire patrimonio comune di tutte le Amministrazioni, dal Governo centrale agli enti locali.
  Con specifico riferimento alle questioni relative all'inquinamento ambientale nei territori delle provincie di Napoli e Caserta, nonché alle modalità e agli strumenti di contrasto del fenomeno della Terra dei Fuochi, si evidenzia che tali problematiche sono da tempo all'attenzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Le iniziative di contrasto e di prevenzione di un fenomeno così pluri-fattoriale, come evidenziato dagli stessi interroganti, investono molti e diversi livelli di competenza. In particolare è richiesto un lavoro di raccordo complesso, che coinvolge le istituzioni territoriali con particolare riferimento agli enti locali, le forze dell'ordine, l'esercito, le associazioni ambientaliste e i comitati civici, nel quadro delle attività promosse dal patto per la terra dei fuochi, e coordinate presso la cabina di regia inter-istituzionale con le prefetture, la regione Campania e gli enti locali.
  Tra le numerose misure adottate si evidenziano, in particolare, quelle dedicate al potenziamento dei controlli delle forze dell'ordine, che si avvalgono anche del concorso straordinario di 200 militari dell'esercito, assegnati ai prefetti di Napoli e di Caserta. Fino alla data del 6 settembre, sono stati effettuati dai militari 138 fermi di persone sospette, avviate ai presidi di polizia per il prosieguo amministrativo e/o di polizia giudiziaria; sono stati censiti e segnalati anche ai comuni per le attività di rimozione di competenza 1809 siti di abbandono di rifiuti; sono stati effettuati interventi su 356 luoghi di incendio in atto. Le forze dell'ordine e le polizie locali, impegnate in attività di verifica presso le attività economiche della correttezza delle procedure di smaltimento degli scarti di lavorazione, hanno effettuato invece dall'avvio delle attività nel 2013: 756 controlli sui rivenditori di pneumatici, 477 su opifici tessili, 459 in agricoltura, 1660 su cantieri edili scarti di lavorazione; hanno inoltre elevato 4020 contravvenzioni per violazioni amministrative e 1329 denunce per violazioni ambientali; hanno eseguito 108 arresti, di cui 75 per il reato di incendio di rifiuti, 564 sequestri di aree interessate da scarico abusivo e combustione di rifiuti, 340 sequestri di veicoli impiegati per il trasporto; hanno infine comminato quasi 500.000 euro di sanzioni amministrative.
  In prossimità dell'ultima stagione estiva, si sono svolti fin dalla primavera numerosi incontri per la predisposizione di specifiche misure di competenza dei diversi organi di amministrazione, controllo e repressione.
  In particolare è stata approvata dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica presso la prefettura di Caserta una pianificazione dei servizi che prevede l'impiego mirato dei militari in alcuni settori nei quali si è evidenziata nell'ultimo periodo una più elevata propensione ai fenomeni di smaltimento illegale di rifiuti, tra cui, per la provincia di Caserta, nell'area aversana nel quadrilatero compreso tra Orta di Atella-Parete-Casal di Principe-Casaluce.
  È stata svolta un'attività di controllo per posti di osservazione sui siti maggiormente interessati dai fenomeni di smaltimento abusivo, finalizzati alla prevenzione degli sversamenti e dei roghi, ma anche all'identificazione e, in collegamento con i presidi delle forze dell'ordine, al fermo di persone sospettate di attuare condotte illecite di abbandono e di incendio di rifiuti, specificamente sanzionate dall'articolo 256-
bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, che consente l'adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale da parte dell'autorità giudiziaria.
  Inoltre le forze dell'ordine, le polizie municipali, la polizia provinciale, secondo le linee operative definite nel piano di contrasto dei roghi di rifiuti, sono impegnate ad effettuare controlli sulle attività economiche (gommisti, officine, imprese edili e manifatturiere, esercizi commerciali), finalizzati a verificare il rispetto delle procedure di smaltimento dei rifiuti speciali prodotti. Il corpo forestale dello Stato concorre con mirate attività rivolte a risalire la filiera di produzione dei rifiuti speciali e sul corretto smaltimento dei rifiuti provenienti da attività zootecniche e agricole.
  Analogamente la guardia di finanza provvede, anche avvalendosi delle informazioni che le pervengono per il tramite della Sala dati regionale alla quale convergono le segnalazioni dei militari, degli osservatori civici e dei cittadini, ad effettuare, nell'ambito delle verifiche fiscali, controlli sulle imprese nei settori produttivi sensibili e sulle aziende iscritte all'albo dei gestori ambientali, sospettate di alimentare il flusso di materiale smaltito illegalmente.
  Ad ogni modo si segnala che le problematiche connesse alla cosiddetta terra dei fuochi rappresentano una priorità per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che presiede il comitato interministeriale istituito con decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, con il compito di «determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale, monitoraggio, anche di radiazioni nucleari, tutela e bonifica nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della regione Campania».
  Nell'ambito del citato comitato è stata istituita un'apposita commissione quale organo tecnico-operativo, la quale ha avviato un approfondito esame delle diverse e complesse questioni poste all'attenzione dalle linee di indirizzo fornite dal comitato interministeriale, giungendo nel maggio scorso all'adozione di un programma degli interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori della terra dei fuochi.
  Nello specifico, il piano elaborato dalla commissione, caratterizzato da interventi di ampio respiro, mira a coniugare il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole interessate nel passato dai fenomeni di tombamento di rifiuti con ricadute sulle matrici ambientali, con quello delle iniziative di
screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà che attengono allo smaltimento abusivo dei rifiuti e che contribuiscono al degrado del territorio e ad alimentare una percezione negativa con tutte le conseguenze sul piano economico e dello sviluppo. Il documento è stato oggetto di esame ed approvato dal comitato interministeriale, che si è riunito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 2 agosto scorso, il quale ha altresì deliberato la sua trasmissione alla cabina di regia per la programmazione del fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, ai fini del successivo esame da parte del Cipe.
  Per quanto concerne le linee finanziarie strumentali agli interventi indicati nel programma della commissione, si fa presente che il fabbisogno economico complessivo per le misure previste è pari a 103,425 milioni di euro. Tali misure possono suddividersi in 6 macroaree d'intervento: misure per le bonifiche e il ripristino ambientale (le quali prevedono un fabbisogno economico pari a 38,5 milioni di euro); misure ricadenti sulla sicurezza (19,65 milioni di euro); area ambiente e salute (40,725 milioni di euro); rafforzamento delle misure di prevenzione antimafia e anticorruzione per le attività inerenti alla messa in sicurezza e la bonifica dei terreni (1,2 milioni di euro); misure relative alla comunicazione, sensibilizzazione e informazione della popolazione (250.000 euro); area rivitalizzazione economica del territorio (3,1 milioni di euro).

  Si segnala, inoltre, che in attuazione delle disposizioni urgenti previste dal citato decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha già predisposto lo schema di regolamento concernente i parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica. Tale schema è stato trasmesso in data 9 novembre 2016 agli altri Ministeri competenti per acquisire il prescritto parere. Al riguardo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è costantemente impegnato nell'attività di monitoraggio in ordine al predetto iter.
  Della questione sono comunque interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori informazioni, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli Interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   DISTASO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   secondo il rapporto di Legambiente «Ecosistema Rischio», appena presentato, il numero di comuni italiani a rischio idrogeologico è in aumento e sarebbe pari a circa l'80 per cento del totale;

   alla base di questa situazione allarmante ci sono fattori come la mancanza di politiche preventive, la scarsità di risorse a disposizione per opere di messa in sicurezza del territorio e la mancanza di norme in grado di garantire politiche in merito ai criteri di edificabilità;

   secondo il rapporto vi sono realtà regionali che hanno visto crescere, negli ultimi anni, il numero di comuni in situazione di potenziale rischio. Un esempio è costituito dalla Puglia, nel cui territorio vengono calcolati in 200 i comuni a rischio idrogeologico;

   durante l'ultimo Governo Berlusconi fu varato un piano straordinario di durata decennale per la messa in sicurezza delle aree del Paese maggiormente a rischio con una dotazione di 4 miliardi di euro, ma le successive vicende istituzionali non hanno consentito fino a questo momento un suo reale avvio e al momento, secondo le stime elaborate da ANCE (Associazione nazionale costruttori edili), appena il 4 per cento tra gli interventi considerati più urgenti sarebbero stati portati a conclusione;

   l'articolo 1, comma 111, della legge di stabilità per il 2014 (legge n. 147 del 2013) reca un'articolata disciplina volta, per un verso, a destinare risorse già esistenti o allo scopo finalizzate a interventi contro il dissesto idrogeologico immediatamente cantierabili e, per l'altro, a recare uno stanziamento e a definire una nuova disciplina delle modalità di finanziamento di tali interventi. La norma estende, inoltre, il periodo di tempo nel quale è consentita la nomina di commissari straordinari per la rimozione delle situazioni a più elevato rischio idrogeologico;

   per le finalità indicate il comma 111 prevede una specifica procedura, con precise scadenze temporali: entro il 1o marzo 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare proceda alla verifica della compatibilità degli accordi di programma e dei connessi cronoprogrammi con l'esigenza di massimizzare la celerità degli interventi in relazione alle situazioni di massimo rischio per l'incolumità delle persone e, se del caso, propone alle regioni le integrazioni e gli aggiornamenti necessari; entro il 30 aprile 2014, deve avvenire la finalizzazione, da parte dei soggetti titolari, delle risorse disponibili sulle contabilità speciali concernenti gli interventi contro il dissesto idrogeologico, agli interventi immediatamente cantierabili contenuti nell'accordo;

   il comma 111 prevede inoltre che, a decorrere dal 2014, ai fini della necessaria programmazione finanziaria, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare presenti al CIPE, entro il mese di settembre, una relazione che dia conto degli interventi in corso di realizzazione, della prosecuzione ed evoluzione degli accordi di programma, del fabbisogno finanziario necessario per gli esercizi successivi;

   nei giorni scorsi il Ministro pro tempore ha affermato che le priorità da perseguire sono quattro:

    chiudere entro metà febbraio il confronto con le regioni per individuare le priorità da affrontare immediatamente con i fondi di coesione e sviluppo;

    attivare al più presto i fondi già stanziati nelle contabilità speciali e a disposizione dei commissari;

    approvare quanto prima la legge sul consumo del suolo;

    approvare il collegato ambientale, soprattutto nelle parti che prevedono il riassetto della governance delle strutture che si occupano di dissesto idrogeologico;

   nella seduta del 3 ottobre 2013 l'VIII Commissione ambiente della Camera ha approvato, con il parere favorevole del Governo pro tempore, un'articolata risoluzione sottoscritta da tutti i gruppi parlamentari sul tema della messa in sicurezza del territorio indicando priorità e linee d'azione;

   il tema del dissesto idrogeologico, come dimostrato da molti episodi anche recenti, deve rappresentare una priorità assoluta delle politiche del Governo –:

   quali siano i dati aggiornati in possesso del Governo in merito alle aree a rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale e, in particolar modo, in Puglia;

   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per portare a realizzazione il piano straordinario sul dissesto idrogeologico e per varare ulteriori misure utili a mettere in sicurezza il territorio;

   in che modo il Ministro interrogato intenda dare concreta attuazione agli impegni di cui alla risoluzione della Commissione ambiente della Camera sopra indicata e ai quattro punti richiamati in premessa ancora in attesa di realizzazione.
(4-03685)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al rischio di dissesto idrogeologico, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il dato complessivo sullo stato dei dissesti, a livello nazionale, è un elemento critico per il quale l'impegno del Governo si è dimostrato prioritario in questi anni. Una serie di dispositivi hanno, infatti, permesso una rinnovata gestione del problema.
  Al riguardo, occorre evidenziare che il 24 giugno 2014, con il decreto-legge n. 91, articolo 10, comma 1, i presidenti di regione sono subentrati nelle funzioni dei Commissari straordinari delegati per l'espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma, sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e regioni, ai sensi dell'art. 2, comma 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191.
  Al comma 11 dell'articolo 10 è, peraltro, istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un'apposita struttura di missione contro il dissesto idrogeologico per fronteggiare le situazioni di criticità delle aree metropolitane interessate da fenomeni di esondazione e alluvione.
  Il lavoro sinergico, tra il Ministero dell'ambiente e la struttura di missione si è concretizzato con l'attuazione di Piano operativo nazionale 2015-2020, definito dalle, proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema ReNDiS (Repertorio Nazionale degli interventi per la difesa del suolo).
  In questo contesto, il piano stralcio per le aree metropolitane costituisce una prima fase attuativa del Piano Nazionale. Il piano stralcio aree metropolitane è stato finanziato, come indicato all'articolo 2, comma 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015, che individua 450 milioni di euro a valere sul fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, come da delibera n. 32/2015 del comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), 110 milioni, ai sensi del comma 8, articolo 7 del decreto-legge n. 132 del 2014, 40 milioni di euro a valere sulle disponibilità del Ministero dell'ambiente, di cui all'articolo 1 comma 111, legge n. 147 del 2013, nonché ulteriori 56.438.142,00 di euro sullo stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che definisce le procedure, le modalità ed i criteri per il finanziamento degli interventi in modo da garantire la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  Occorre, inoltre, precisare che con il decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014, articolo 7, comma 2, è stato stabilito che, «a partire dalla programmazione 2015, le risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico sono utilizzate tramite accordo di programma sottoscritto dalla regione interessata e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che definisce, altresì, la quota di cofinanziamento regionale». Tali risorse sono gestite dai presidenti di regione, nel ruolo di commissari di Governo con contabilità speciali e poteri speciali e di deroga.
  Al comma 3, si istituisce un fondo con cui provvedere alla revoca, anche parziale, delle risorse assegnate alle regioni e agli altri enti con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 11 giugno 1998, n. 180, convertito con modificazioni, dalla legge 3 agosto 1998, a 267.
  Con l'articolo 7 comma 8, per fronteggiare le situazioni di criticità ambientale delle aree metropolitane interessate da fenomeni di esondazione e alluvione, è stata assegnata alle regioni, la somma complessiva di 110 milioni di euro, a valere sulle risorse del fondo sviluppo e coesione 2007-2013, per interventi di sistemazione idraulica dei corsi d'acqua.
  Tra le ulteriori misure di salvaguardia, intraprese, vi è il capo VII del collegato ambientale, approvato il 28 dicembre 2015, con legge numero 221, che ha individuato importanti disposizioni in materia di difesa del suolo, tra cui un fondo di 100 milioni di euro, a valere sul FSC 2014-2020, per la progettazione di interventi contro il dissesto idrogeologico, con l'obiettivo di stimolare l'avanzamento delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico da inserire nel piano nazionale contro il 2015-2020.
  Allo stesso modo, già il comma 111 della legge n. 147 del 2013 aveva imposto che le risorse esistenti sulle contabilità speciali relative al dissesto idrogeologico, non impegnate alla data del 31 dicembre 2013, nel limite massimo complessivo di 600 milioni di euro, nonché le risorse finalizzate allo scopo dalle delibere Cipe n. 6/2012 e n. 8/2012 del 20 gennaio 2012, pari rispettivamente a 130 milioni di euro e 674,7 milioni di euro, fossero utilizzate per i progetti di mitigazione del rischio idrogeologico immediatamente cantierabili.
  Infine, si ricorda che l'attività legislativa sul disegno di legge sul contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato, sta proseguendo il suo
iter parlamentare. Dopo che il testo è stato approvato alla Camera dei deputati il 12 maggio 2016, il disegno di legge si trova attualmente all'esame della Commissione, al Senato della Repubblica.
  Per quanto concerne i dati relativi al rischio idrogeologico a livello nazionale, il rapporto Ispra 2015, «Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio», presenta i dati aggregati delle mappe della pericolosità da frana e della pericolosità idraulica, perimetrate dalle autorità di bacino, regioni e province autonome sul proprio territorio di competenza.
  Per la regione Puglia, i dati del rapporto dimostrano una percentuale di aree ad elevata pericolosità di frana pari a 8,9 per cento, rispetto alla superficie regionale, di cui il 3 per cento rappresenta aree ad elevata e molto elevata pericolosità.
  Allo stesso modo, le aree a pericolosità idraulica bassa della regione Puglia, risultano essere in percentuale del 5 per cento rispetto alla superficie regionale, mentre quelle a pericolosità idraulica media il 4,2 per cento e quelle a pericolosità alta il 3,1 per cento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   FANTINATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   temperature autunnali superiori alla media stagionale hanno favorito nelle regioni del Nord-est una enorme proliferazione della cosiddetta cimice marmorata (nome scientifico Halyomorpha halys), un insetto molto dannoso per le coltivazioni;

   la cimice marmorata non trova antagonisti naturali in Italia e per motivi sanitari non è possibile importare insetti antagonisti dalla Cina. Un problema, questo, che rende molto difficile la lotta all'insetto che da adulto è in grado di volare per lunghe distanze alla ricerca del cibo e sverna in edifici o anfratti riparati per poi raggiungere in primavera le piante per alimentarsi, accoppiarsi e deporre le uova. Per ora, azioni di contrasto possono avvenire solo attraverso le reti anti-insetti a protezione delle colture;

   l'invasione di questo insetto, originario dell'Asia orientale – in particolare da Taiwan, Cina e Giappone - ha destato l'allarme di Coldiretti che prevede ingenti danni all'agricoltura. Le coltivazioni più a rischio sono quelle di pere, mele, kiwi, uva, soia e mais;

   la prima segnalazione si è avuta in Emilia Romagna nel 2012, ma quest'anno la situazione è drammatica soprattutto nelle zone comprese tra Friuli e Veneto, anche se non mancano riscontri in altre regioni, dalla Lombardia al Piemonte;

   secondo le stime di Coldiretti, in Italia i danni all'agricoltura sarebbero superiori al miliardo di euro –:

   quali iniziative si intendano adottare per sostenere gli agricoltori italiani che stanno subendo gravi danni a causa della diffusione incontrollata delle cimici asiatiche;

   quali iniziative urgenti si intendano porre in essere per sostenere le regioni del Nord nell'attuazione di misure di contrasto alla proliferazione di questo insetto, particolarmente nocivo per l'agricoltura italiana.
(4-15089)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa alla proliferazione cimice marmorata (Halyomooha halys) in Italia, sulla base degli elementi acquisiti dall'Ispra, si rappresenta quanto segue.
  
H. halys (Stål., 1855) è un insetto eterottero della famiglia Pentatomidae (ordine Rincoti), originario di Cina, Giappone e Taiwan, dove si comporta come fitofago occasionale su svariate colture. La specie è stata accidentalmente introdotta negli Stati Uniti, con i primi esemplari osservati nel mese di settembre 1998. H. halys è considerata un insetto dannoso all'agricoltura (causa milioni di dollari di danni a diverse colture) e dal 2010-2011 è diventato un fitofago stabile dei frutteti degli USA.
  
H. halys è stata inserita nel 2008, nella lista di allerta EPPO, per l'elevata pericolosità dimostrata negli USA. È stata rimossa dalla lista di allerta a marzo 2013, perché nel corso di 5 anni nessuno Stato aveva richiesto particolari misure fitosanitarie internazionali.
  In Europa è stata segnalata per la prima volta in Svizzera e Liechtenstein nel 2004; e, oltre all'Italia, finora è stata segnalata in Francia, Germania, Grecia, Ungheria e dal 2015 è riportata anche in Romania, Austria e Serbia. In Italia il primo esemplare è stato rinvenuto in provincia di Modena nel settembre 2012 e studiato dall'Università di Modena e Reggio Emilia.
  La specie in Italia è in forte espansione in Piemonte e Emilia Romagna dove ha provocato danni alle colture di pere e pesche. Si ritiene altamente probabile, entro un periodo di tempo limitato, una diffusione dei danni anche a carico di colture di fondamentale importanza per la nostra ortofrutticoltura quali pesco, melo, susino, albicocco, vite e pomodoro da industria. Attualmente presenta popolazioni in forte crescita in quasi tutto il nord Italia; presenze puntiformi sono segnalate in Liguria, Toscana, Marche e Lazio.
  È dotata di una grande mobilità e capacità di dispersione: gli adulti possono compiere voli di 2-3 chilometri al giorno in media (con picchi di alcune decine), e gli stadi giovanili percorrono diverse decine di metri, spostandosi continuamente tra le piante.
  La pericolosità dell'insetto e il relativo impatto economico nei confronti delle attività agricole deve essere valutata caso per caso con un attento monitoraggio per mezzo di trappole a fitormoni tenendo presente che possono causare una maggiore presenza di patogeni nella coltura, nei dintorni della trappola.
  
H. halys è un insetto infestante altamente polifago che può causare danni estesi alla frutticoltura (soprattutto alle rosaceae) e all'orticoltura (soprattutto Fabaceae). In Giappone è un fitofago che attacca la soia e i fruttiferi. Negli Stati Uniti, infesta, a partire dalla fine di maggio o all'inizio di giugno, una vasta gamma di fruttiferi e ortaggi tra cui pesco, melo, fagiolino, soia, ciliegio, lampone e pero. Si tratta di un insetto che per nutrirsi perfora i tegumenti della pianta ospite con l'apparato boccale modificato; questa modalità di alimentazione comporta, in parte, la formazione di fossette o aree necrotiche sulla superficie esterna dei frutti, la punteggiatura della foglia, la perdita di semi, e l'eventuale trasmissione di patogeni vegetali.
  L'Italia è il primo paese in Europa in cui queste cimici hanno iniziato a causare danni consistenti alle colture rappresentati da malformazioni dei frutti provocati dalle punture, su diverse colture ed in particolare sul pero. Se nel 2014 i casi preoccupanti nelle regioni maggiormente colpite (Emilia Romagna e Piemonte) non superavano la decina, nel 2015 le aziende che hanno subito danni, anche importanti, sono centinaia. Nel corso della campagna frutticola 2015 in alcune aziende emiliano-romagnole l'incidenza di pere malformate, e quindi non commercializzabili sul mercato del fresco, ha raggiunto il 50 per cento della produzione totale.
  Nell'estate 2015, complice anche il clima caldo umido favorevole, si è assistito a una vera e propria esplosione della popolazione di
H. halys, tanto che in diverse aziende del modenese, soprattutto su pero, si sono registrate perdite di raccolto fino all'80 per cento in termini di frutti deformi, cui si aggiungono anche problematiche post-raccolta quali frutta apparentemente integra in frigoconservazione, che al momento del consumo mostra colorazioni e consistenze alterate.
  In Piemonte la specie risulta almeno localmente in espansione: controlli eseguiti fino al 10 dicembre 2016 su campioni di nocciole raccolti dove sono stati effettuati i
frappage evidenziano un danno medio pari al 6,6 per cento), contro valori compresi fra 1,3-2,5 per cento delle annate precedenti.
  Anche in Lombardia il Servizio Fitosanitario segnala popolazioni sempre più consistenti in frutteti di pere del mantovano e di pesche nel bresciano.
  In Friuli Venezia Giulia, dove è diffusa in coltivazioni di kiwi, i danni riscontrati nell'estate 2016 sono stati molto contenuti e non giustificano al momento un intervento insetticida specifico, tuttavia la situazione viene costantemente monitorata (Ersa, 2016).

  In Cina, il Trissolcus japonicus, un imenottero parassitoide della famiglia Scelionidae, è un antagonista naturale di H. halys.
  Recentemente negli Stati Uniti Orientali è stata documentata una costante predazione stagionale di
H. halys da parte del serotino bruno, Eptesicus fuscus, un chirottero americano molto simile al nostro Eptesicus serotinus, con il quale è stato a lungo considerata come unica specie.
  L'espansione è favorita dall'attuale mancanza, nel nostro ambiente, di efficaci antagonisti naturali.
  In Italia dall'indagine sulle potenzialità degli antagonisti naturali autoctoni, è emerso che le ovature della cimice possono essere attaccate da predatori e da almeno due specie di imenotteri parassitoidi generalisti, tuttavia l'efficacia di questi agenti di controllo biologico è attualmente estremamente ridotta.
  A partire dal 2012, le popolazioni dei predatori autoctoni come le vespe e gli uccelli insettivori hanno mostrato segni di aumento numerico essendosi adattate alla nuova fonte di cibo.
  All'interno delle aziende è opportuno indirizzare il monitoraggio (anche con tecniche attive) nelle aree più favorevoli allo sviluppo di
Halyomorpha halys, in particolare nelle zone perimetrali della coltura monitorata situate in prossimità di siepi e/o di edifici.
  Vista l'elevata polifagia dell'insetto è opportuno ispezionare oltre alle piante coltivate anche piante spontanee o ornamentali attrattive per la cimice.
  Le attività di lotta devono essere condotte in relazioni a precise attività di monitoraggio negli ambiti considerati a rischio. Il livello d'infestazione dannoso dal punto di vista economico dovrebbe essere stabilito a livello nazionale.
  L'uso intensivo di trattamenti insetticidi per limitare la trasmissione di malattie e controllare gli insetti fitofagi o vettore di patologie può avere conseguenze dirette e indirette sulle varie componenti ambientali, modificando intere catene alimentari con conseguenze a cascata, che interessano i vari livelli trofici. Ad esempio, l'impatto indiretto dei pesticidi sull'impollinazione è attualmente una questione di seria preoccupazione. Inoltre, i trattamenti insetticidi su larga scala rappresentano anche rischi per la salute umana e animale (Efsa, 2015). Studi eseguiti negli USA suggeriscono che il livello d'infestazione di
H. halys nei frutteti sia caratterizzato da un forte effetto bordo soprattutto in prossimità di siepi. In questi areali è stata proposta una strategia di controllo basata sull'applicazione d'insetticidi limitatamente ai bordi degli appezzamenti. Va segnalato tuttavia che le siepi sono elementi fondamentali per il buon funzionamento delle reti ecologiche e per il mantenimento della biodiversità nelle aree agricole e, quindi, tali interventi potrebbero risultare inopportuni dal punto di vista della tutela ambientale e in particolare della biodiversità. Il Servizio Fitosanitario della Lombardia ha del resto constatato che nessun insetticida sembra garantire la protezione delle produzioni agricole.
  È da valutare con attenzione il ricorso a insetticidi chimici di sintesi che possano avere un impatto sulla biodiversità. Inoltre essi determinano inevitabilmente un aumento della resistenza degli organismi
target e una rarefazione dei predatori. Ove la causa dell'infestazione è da addebitarsi ad impoverimento della biodiversità e al degrado ambientale devono essere attuate opportune politiche di riqualificazione del territorio. Sul fronte dei trattamenti la famiglia più efficace è quella dei piretroidi, ma questo tipo di prodotti sono dannosi anche per insetti considerati utili. Si corre quindi il rischio di squilibrare l'ecosistema interno al frutteto.
  Negli Stati Uniti l'uso massiccio di insetticidi ad ampio spettro per cercare di contrastarla
Halyomorpha halys, oltre a non essere risolutivo, ha provocato gravi alterazioni degli ecosistemi, con conseguenze nefaste sugli impollinatori e gli antagonisti naturali di altri fitofagi, mandando in fumo decenni di difesa integrata.
  Inoltre, poiché gli insetti introducono l'apparato boccale in profondità sotto la superficie dei frutti per nutrirsi, alcuni insetticidi sono inefficaci; inoltre, questi insetti sono altamente mobili e una nuova popolazione può reinsediarsi rapidamente dopo che la popolazione residente è stata eliminata.
  Il 5 luglio 2016 è stata emessa dal Servizio Fitosanitario dell'Emilia Romagna una deroga valida per l'intero territorio delle province di Modena e Bologna per l'esecuzione di un ulteriore intervento con
Beta-cyflutrin (2°) o Etofenprox (3°) per il controllo delle infestazioni di miridi (Lygus sp.) e cimice asiatica (Halyomorpha halys) su pesco. In data 11 agosto 2016 è stata emessa una deroga valida per l'intero territorio della regione Emilia-Romagna per l'esecuzione di un intervento con un piretroide (Etofenprox o Deltametrina o Beta-cyflutrin in alternativa fra loro) per il controllo delle infestazioni di cimice asiatica (HalyamoTha halys) sulle cultivar di pero tardive raccolte dopo William rossa.
  Questa scelta, dettata dall'emergenza, va riconsiderata dato che queste sostanze hanno forti impatti potenziali sugli ambienti naturali.
  Nell'ambito della lotta biologica, tra le soluzioni fitosanitarie analizzate per il controllo dei fitofagi invasivi le uniche a basso impatto sono le trappole a ferormone. Sono stati sviluppati appositi feromoni artificiali che possono essere utilizzati come esca per trappole (servizio fitosanitario dell'Emilia Romagna e del consorzio fitosanitario di Modena). Tuttavia esperienze condotte negli Stati Uniti hanno dimostrato che il ricorso a trappole a feromoni attualmente disponibili poste all'interno dei campi contro
Halyomorpha halys è risulta controindicato, poiché gli insetti risultano leggermente più presenti e dannosi negli appezzamenti di pomodoro in cui vi erano le trappole. Una delle principali cause di questo insuccesso sarebbe dovuta al «trae spillover», fenomeno in cui gli insetti richiamati dalle trappole si trattengono sulle piante della coltura ad esse adiacenti, danneggiandone i frutti.
  Nel corso del 2016 è stata sperimentata l'idea di siti d'attrazione creati sui bordi della superficie produttiva in modo da poter concentrare gli insetti e da poter eseguire i trattamenti solo in quelle fasce (metodo «trae and kill»).
  Per quanto riguarda gli antagonisti naturali l'unico insetto già presente in Italia in grado di attaccare le uova è
l'Anastatus sp. Ma il suo grado di parassitizzazione è inferiore al 20 per cento e quindi deve essere utilizzato in sinergia con altri interventi. Tuttavia, sperimentazioni recenti condotte dal Crea nell'ambito del progetto nazionale «Aspropi — Azioni a supporto della protezione delle piante», ha permesso di identificare anche un piccolo insetto, Ooengrtus telenomicida, quale nuovo strumento per controllo biologico della cimice asiatica.
  I test di laboratorio effettuati hanno evidenziato un'elevata capacità di questo insetto di parassitare le uova della cimice; si è osservato, infatti, come una sola femmina sia in grado di attaccare in 24 ore il 35 per cento delle uova deposte dalla cimice, mentre in presenza di più femmine si raggiunge facilmente il 100 per cento delle ovature. Inoltre, l'attacco di una sola femmina di questo microimenottero è in grado di indurre una maggiore mortalità complessiva grazie all'azione di perforazione di ulteriori uova, operate per alimentarsi;
O. telenornicida, nei test preliminari, si è quindi dimostrato un efficace strumento di lotta biologica contro la cimice nel centro-nord d'Italia.
  Le sperimentazioni del Crea stanno proseguendo in collaborazione con i Servizi fitosanitari regionali e sono indirizzate alla realizzazione di un progetto per l'allevamento e la liberazione di massa sul campo del microimenottero, al fine di verificare in modo diretto le possibilità di utilizzo di quest'ultimo come agente di controllo biologico della cimice asiatica. L'obiettivo infatti sarà quello di rilasciare nell'ambiente popolazioni di microimenotteri antagonisti della cimice già nella stagione produttiva 2017.
  Considerando comunque le difficoltà intrinseche nel controllo della cimice asiatica e visto che la predazione dei chirotteri è densità-dipendente, anche l'istallazione di rifugi artificiali come le
batbox, utilizzate da entrambi i serotini, l'americano E. fuscus e l'europeo E. serotinus, potrebbe costituire un valido supporto per proteggere le produzioni agricole dall'attacco dei fitofagi invasivi.
  Una strategia proposta in Italia potrebbe essere quella della chiusura dei frutteti tramite reti, utilizzando e modificando le protezioni già molto presenti contro la grandine. La soluzione risulterebbe anche economicamente percorribile, si tratterebbe, infatti, di modificare la struttura preesistente spendendo una cifra che varia fra i 1000 e i 1500 euro all'ettaro.
  L'eradicazione della specie è impossibile in quanto l'estensione dell'areale ha perso le caratteristiche di puntualità nei siti di ingresso e l'insetto ed è legato a specie di interesse alimentare anche nelle aree naturali. Le misure di eradicazione del patogeno e/o di un suo contenimento, tramite la distruzione delle coltivazioni e irrorazione di pesticidi, hanno dimostrato di essere efficaci esclusivamente quando sono rivolte a ristretti focolai primari d'ingresso in un territorio ritenuto indenne. In un parere Efsa del 2015 si legge: «L'eradicazione può essere teoricamente possibile solo quando ci si riferisce ad una singola specie di insetti esotici recentemente introdotta in una nuova area e tuttora molto limitata a livello di popolazione».
  L'obiettivo da perseguire è quindi il contenimento, entro numeri accettabili, delle popolazioni dell'insetto, sia per ritardare la comparsa di danni economici alle coltivazioni e alla vegetazione spontanea sia per evitare la sua diffusione in altri stati europei. Oltre al rafforzamento delle attività rivolte alla cattura massale degli adulti previste nel periodo fenologicamente opportuno, dovranno essere predisposte misure fitosanitarie specifiche per le aziende vivaistiche che commercializzano piante in vaso o con pane di terra.
  Si rileva in conclusione la necessità di un puntuale e costante scambio di informazione tra Enti coinvolti al fine di perseguire in sinergia strategie di interventi di controllo a basso impatto. In particolare, risulta fondamentale promuovere lo sviluppo di indagini volte a individuare i metodi più efficaci e gli standard per il monitoraggio del fitofago, i principali fattori che influenzano la fenologia e la dinamica della popolazione e la distribuzione spazio-temporale in funzione delle strategie di controllo. A tal fine si segnalano le attività in corso presso il dipartimento Dafnae dell'Università di Padova (confronta all. Al DGR nr 989 del 29 giugno 2016 della regione Veneto).
  In generale, è necessario prendere in considerazione le voci dei piani di sviluppo regionale che prevedano adeguate voci di spesa per contrastare il danno economico e favorire la ricerca per interventi ecocompatibili.
  Si ribadisce in questa sede l'importanza dell'analisi di rischio ambientale che è lo strumento più idoneo al supporto delle decisioni di intervento a contrasto della diffusione di fitopatie. Essa consente, infatti, di valutare, in via quantitativa o almeno qualitativa, i rischi connessi al ricorso d'interventi esterni (
human induced) sulle matrici ambientali.
  Si sottolinea, inoltre, la necessità e il ruolo fondamentale della Valutazione Ambientale Strategica (Vas), a cui si deve ricorrere nel caso di strategie, piani o programmi di intervento a contrasto della diffusione di fitopatie in merito proprio agli effetti ambientali che questi possono avere; nonché della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) anche nel caso di progetti locali, aziendali, soprattutto se all'interno o nelle vicinanze di aree protette.
  Si ricorda, infine, che è in itinere la procedura di approvazione di un provvedimento legislativo di modifica dell'articolo 12 del decreto Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, al fine di consentire la possibilità di autorizzazione l'immissione di organismi alloctoni antagonisti finalizzato alla lotta biologica integrata. L'eventuale autorizzazione sarà subordinata alla valutazione di uno specifico studio comprendente un'analisi dei rischi ambientali. Tale fattispecie potrà essere applicata qualora siano individuati organismi antagonisti la specie cimice marmorata e siano stati valutati eventuali rischi ambientali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   FASSINA e MARCON. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il 5 aprile 2011 la Commissione europea ha emanato la comunicazione n. 173 inerente al quadro dell'Unione europea e strategie nazionali di integrazioni dei Rom fino al 2020;

   il 23-24 giugno 2011, in sede di Consiglio europeo, lo Stato Italiano, ha sottoscritto la comunicazione n. 173 della Commissione europea in attuazione degli accordi quadro strutturali europei;

   il 10 novembre 2011, il Presidente del Consiglio Berlusconi dava indicazioni al Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei Ciace, istituito dalla legge n. 11 del 4 febbraio 2005, di individuare l'UNAR, l'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei ministri, come punto di contatto nazionale per implementare in Italia la comunicazione n. 173 della Commissione europea. Il CIACE viene ridenominato Ciae, Comitato interministeriale per gli affari europei, con la legge n. 234 del 24 dicembre 2012. Esso è convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri;

   il 15 novembre 2011 l'Unar ha emesso il decreto n. 761 recante «Costituzione del Punto di contatto nazionale per le strategie di integrazione dei Rom, Sinti e Caminanti (RSC) in attuazione della Commissione europea 173/2011»;

   il 6 dicembre 2011 l'Unar ha definito le procedure di coinvolgimento della società civile RSC e delle associazioni, anche non riconosciute, volte all'elaborazione della Strategia nazionale di inclusione;

   il 12 dicembre 2011 l'UNAR ha emesso il decreto n. 787, recante «approvazione di un Avviso di manifestazione di interesse per la partecipazione alle Strategie di inclusione dei RSC in attuazione della comunicazione della Commissione dell'Unione europea 173/2011»;

   il 24 febbraio 2012 il Consiglio dei ministri ha approvato la Strategia nazionale di inclusione dei RSC e gli schemi di governance dando formale comunicazione alla Commissione europea;

   il 29 febbraio 2012 l'Associazione nazione Rom (ANR) ha aderito alle procedure di coinvolgimento istituite presso l'Unar adottando lo statuto costitutivo del Consiglio nazionale Rom;

   il 15 giugno 2012 la Presidenza del Consiglio dei ministri inviava, con protocollo MCII 0001995, direttiva ai prefetti della Repubblica, al Ministero dell'interno, al Ministero del lavoro e politiche sociali, al Ministero della giustizia, all'Unar, alla Conferenza delle regioni e delle province, all'Associazione nazionale comuni italiani, avente come oggetto Strategia nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti. In essa si legge: «con la comunicazione n. 173 dello 05/04/2011 recante Quadro dell'UE per le strategie nazionali dei Rom fino al 2020, la Commissione Europea ha affermato l'improcrastinabile esigenza di superare la situazione di emarginazione economica e sociale della principale minoranza d'Europa. Sul territorio saranno definiti Tavoli regionali/locali con la partecipazione di rappresentanti delle Amministrazioni periferiche statali, delle regioni, delle province e dei comuni, nonché con il coinvolgimento delle associazioni e degli enti della società civile impegnati nella tutela delle Comunità dei Rom, Sinti e Caminanti e di rappresentanti delle medesime comunità»;

   ANR è componente istituzionale del tavolo di inclusione dei RSC varato dalla regione Liguria con delibera n. 1348 del 31 ottobre 2013 nel rispetto della strategia nazionale di inclusione e degli schemi di governance. La stessa regione Liguria ha comunicato all'Unar la citata delibera;

   la Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Maria Elena Boschi, è responsabile istituzionale del dipartimento per le pari opportunità e dell'Unar. Essa ha la responsabilità politica istituzionale di implementare e monitorare la concreta applicazione della Strategia nazionale di inclusione RSC e gli accordi strutturali europei;

   per l'inclusione di RSC e senza fissa dimora, nel rispetto degli accordi strutturali europei, il Governo ha presentato due programmi all'Unione europea: il PON inclusione FSE 2014/2020 è stato approvato dalla Commissione europea con decisione di esecuzione 10130 del 17 dicembre 2014, per una cifra complessiva di un miliardo e duecento milioni di euro; il PON Metro 2014-2020 è stato approvato dalla Commissione europea con decisione di esecuzione n. 4998 del 14 luglio 2015, valore economico di 894 milioni di euro;

   con la deliberazione n. 117 del 16 dicembre 2016, della giunta capitolina, si è dato avvio all'istituzione del tavolo cittadino per l'inclusione delle popolazioni RSC, un tavolo esclusivamente consultivo, dal quale sono esclusi i RSC. Componenti del tavolo sono tra gli altri, l'assessorato alla persona, scuola e comunità solidale, il vice capo di gabinetto, i presidenti dei municipi, i direttori dei dipartimenti politiche sociali, sussidiarietà e salute, servizi educativi e scolastici, politiche delle famiglie e dell'infanzia, rappresentanti del Corpo di polizia locale. Al tavolo, sono altresì invitati a partecipare i rappresentanti dei Ministeri interessati, della prefettura, delle forze dell'ordine, delle Aziende sanitarie locali e dei centri per l'impiego;

   il 22 settembre 2017, Marcello Zuinisi legale rappresentante ANR, si è rivolto, al comando carabinieri per la tutela della salute, denunciando una emergenza sanitaria in atto a Roma Capitale, Campo Rom di Castel Romano, richiedendo attività ispettiva e di polizia giudiziaria;

   sono 1076 i cittadini residenti a Castel Romano che vivono ed affrontano una situazione drammatica: sono accertate e conclamate decine e decine di casi di scabbia, rogna, epatiti, leucemie, leptospirosi. In cinque anni, nella stessa area, sono decedute 63 persone a seguito delle inumane condizioni igienico/sanitarie;

   gli impianti fognari, già messi sotto sequestro, nel febbraio 2017, dal vice comandante della polizia municipale di Roma Capitale Lorenzo Botta, sono recentemente esplosi invadendo tutta l'area ed una riserva naturale adiacente al campo;

   da cinque mesi non viene garantita l'erogazione dell'acqua e da venti giorni è, inoltre, interrotta l'erogazione di energia elettrica;

   le drammatiche situazioni igienico/sanitarie, denunciate dalla stessa Asl Roma 2, da ben due anni, sono rimaste di fatto completamente inascoltate dall'amministrazione della sindaca Raggi. La polizia municipale chiamata ad affrontare giornalmente l'emergenza denuncia, tramite i propri sindacati, la propria inadeguatezza ad intervenire in modo appropriato –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda intraprendere per salvaguardare, garantire, promuovere e tutelare la salute dei cittadini del campo Rom di Castel Romano, come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività;

   quale stanziamento, ricevuto attraverso il Pon inclusione e il Pon metro 2014-2020, sia stato previsto e pianificato per garantire la chiusura e il superamento del campo Rom di Castel Romano.
(4-18055)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, a cui si risponde a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, vengono poste problematiche complesse che, per quanto si concentrino sulla situazione specifica dell'insediamento di Castel Romano, soprattutto sotto il profilo della tutela della salute, necessitano di essere inquadrate nel contesto complessivo delle iniziative che il Ministero della salute ha adottato in questi anni a sostegno della comunità Rom, Sinti e Caminanti.
  In adesione alla comunicazione n. 173/2011 della Commissione europea, il Ministero della salute considera quale proprio obiettivo strategico la riduzione del divario tra i Rom ed il resto della popolazione dal punto di vista dell'assistenza sanitaria.
  È purtroppo vero, infatti, che se la speranza di vita alla nascita nell'Unione europea è di media 76 anni per gli uomini e 82 per le donne, per i Rom le stime sono inferiori di 10 anni.
  Inoltre, se il tasso di mortalità infantile nell'Unione europea è di 4,3 per 1.000 nati vivi, nelle comunità Rom esso è molto più elevato, superando, fino a 2-6 volte, quelli della popolazione totale, a seconda del Paese ove sono stabiliti.
  Le disparità che si denotano osservando tali dati riflettono il divario in termini sanitari tra i Rom e il resto della popolazione, legato alle cattive condizioni di vita, alla mancanza di campagne d'informazione mirate, al limitato accesso a cure sanitarie di qualità, all'esposizione a rischi sanitari più gravi ed anche alla discriminazione da parte del personale sanitario.
  L'uso di servizi di prevenzione tra i Rom è, infatti, deficitario e, secondo alcuni studi, più del 25 per cento dei bambini Rom non ha ricevuto un ciclo completo di vaccinazioni.
  Per questo motivo è stato deciso di garantire ai Rom, specialmente ai bambini e alle donne, l'accesso a un'assistenza sanitaria di qualità, e di fornire loro cure preventive e servizi sociali dello stesso livello e alle stesse condizioni del resto della popolazione.
  Si inserisce in tale contesto, dunque, l'accordo Stato-regioni «Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l'assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province Autonome», siglato il 20 dicembre 2012.
  Inoltre, in attuazione di quanto prescritto dall'Unione europea, è stata pubblicata a fine anno 2012 la strategia nazionale Rom, Sinti e Caminanti (RSC), il cui obiettivo generale è quello di promuovere la parità di trattamento e l'inclusione economica e sociale delle citate comunità nella società, di assicurare un miglioramento duraturo e sostenibile delle loro condizioni di vita, di renderne effettiva e permanente la responsabilizzazione, la partecipazione al proprio sviluppo sociale, l'esercizio e il pieno godimento dei diritti di cittadinanza garantiti dalla Costituzione italiana e dalle convenzioni internazionali.
  Sulla base degli obiettivi della strategia, è stata istituita una cabina di regia politica, costituita da rappresentanti delle Istituzioni centrali e degli enti regionali e locali, compresi i sindaci di grandi aree urbane e le stesse rappresentanze delle comunità Rom, Sinti e Caminanti presenti in Italia, che ha preso in esame le esperienze pregresse e ha costituito quattro tavoli tematici nazionali: lavoro, salute, istruzione e tavolo giuridico.
  Il tavolo Salute ha definito il piano d'azione salute per e con le comunità Rom, Sinti e Caminanti, che è stato presentato alla cabina di regia nel dicembre 2014, ed inviato agli assessorati alla salute a fine dicembre 2015.
  Dall'analisi delle situazioni sociali e sanitarie complesse e articolate che si verificano all'interno delle comunità, è scaturita la necessità di ragionare in un'ottica di «mediazione di sistema», favorendo la partecipazione diretta delle comunità, con pari dignità, ai fini della definizione e messa in atto di adeguati interventi di promozione della salute.
  In questa cornice, il piano d'azione salute suddivide il campo di intervento in tre macroaree, per ognuna delle quali sono state individuate le iniziative prioritarie da intraprendere, specificando la metodologia di intervento:

   1. formazione del personale sanitario e non, per rendere tutte le figure professionali impiegate nei servizi sanitari capaci di accogliere i Rom, Sinti e Caminanti (RSC) incoraggiando il corretto utilizzo dei servizi;

   2. conoscenza e accesso ai servizi per RSC, per migliorare il corretto utilizzo dei servizi sanitari territoriali da parte delle popolazione RSC, attraverso la diffusione sul campo delle informazioni relative;

   3. servizi di prevenzione, diagnosi e cura, per offrire servizi sanitari orientati in base alle dimostrate esigenze della loro potenziale utenza, favorendo l’empowerment della comunità RSC.

  È doveroso segnalare che il successo del piano è affidato anche alla disponibilità delle amministrazioni locali, che nel tempo sono divenute le reali protagoniste delle politiche sociali e sanitarie per i Rom, nell'implementarle e renderle operative: ebbene, in questo ambito si deve evidenziare, con rammarico, una discontinuità e difformità applicativa.
  Per ovviare a tale organizzazione frammentaria da parte delle istituzioni locali, che raramente riesce a garantire una risposta sufficiente alle disposizioni dettate dal quadro normativo, nell'ambito del programma del centro nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie per il 2017, il Ministero della salute ha adottato un'azione centrale di supporto e accompagnamento alle regioni, dal titolo «Interventi per l'attuazione del Piano d'azione salute per e con le comunità Rom, Sinti e Caminanti», con l'obiettivo di supportare e monitorare l'implementazione delle azioni individuate dal piano, anche valorizzando le esperienze già realizzate, ma soprattutto di individuare i referenti nel territorio per questo ambito, che potrebbero favorire le attività di monitoraggio e partecipare allo scambio di soluzioni ed idee per risolvere criticità comuni.
  Dopo tale inquadramento delle strategie generali adottate dal Ministero della salute, al fine di affrontare le problematiche specifiche denunciate presso l'insediamento di Castel Romano, riferisco sulla base degli elementi acquisiti da parte di Roma Capitale.
  Secondo un censimento della polizia locale, tale insediamento conta attualmente 1.062 ospiti di etnia Rom.
  La situazione socio-ambientale ed igienico-sanitaria del villaggio è, invero, grave: ciò anche in ragione della forte conflittualità tra la comunità serba e quella bosniaca, tanto che alcune aree dell'insediamento sono state nel tempo oggetto di atti vandalici.
  La situazione si è ancor più complicata da quando la procura della Repubblica di Roma ha posto sotto sequestro il pozzetto di campionamento del villaggio.
  Dal febbraio 2017, l'amministrazione comunale ha comunque garantito un servizio di svuotamento delle vasche di accumulo dei liquami, mediante ditte specializzate e con oneri economici a proprio carico.
  Contestualmente, si è reso necessario ridurre il flusso idrico per consentire la gestione della grande quantità di liquami giornalmente prodotta nel campo.
  Di recente, l'ente regionale RomaNatura ha comunicato che, decorsi i termini di deroga alla legge regionale n. 29 del 2017, Roma Capitale è obbligata a procedere al ripristino dello stato dei luoghi ed alla bonifica dell'area.
  Roma Capitale ha sottolineato che il proprio impegno nei riguardi del villaggio è stato costante e si è concretizzato nelle seguenti azioni: censimento ufficiale degli ospiti a cura della polizia locale, presenza fissa della stessa presso il campo, nuova istanza per il rilascio di autorizzazione allo scarico di acque reflue domestiche, richiesta ad ACEA di collegamento diretto del villaggio alla rete fognaria, inizio della bonifica a cura di AMA per la rimozione dei rifiuti, richiesta di attivazione di un presidio sanitario fisso.
  La medesima amministrazione comunale ha voluto ricordare la propria deliberazione n. 117 del 2016, con la quale è stato istituito il «Tavolo cittadino per l'inclusione delle Popolazioni Rom, Sinti e Caminanti», e la deliberazione n. 105 del 2017, con la quale è stato approvato il «Piano di Indirizzo di Roma Capitale per l'inclusione delle Popolazioni Rom, Sinti e Caminanti», finalizzato al graduale superamento delle residenzialità presenti nel territorio capitolino.
  A tale ultimo riguardo, l'amministrazione comunale riferisce che, attualmente, sono in corso le procedure per la chiusura dei primi tre insediamenti: Camping River, La Barbuta e La Monachina.
  Quanto, invece, all'insediamento di Castel Romano, l'amministrazione capitolina ha riferito di avere in programma l'estensione degli interventi del piano di indirizzo anche a tale villaggio; tuttavia, la medesima amministrazione ha riferito che a tal fine non potranno essere impiegati i fondi del programma operativo nazionale metro 2014-2020, destinati, secondo il progetto originario, alla chiusura dei soli campi La Barbuta e La Monachina.
  Ciò posto, nel caso in cui gli interroganti volessero avere un quadro più approfondito delle iniziative finanziate sulla base del PON Metro (Città metropolitane) e PON Inclusione 2014-2020, si allega copia della dettagliata documentazione (disponibile presso il servizio Assemblea) che è stata fornita, per questa occasione, dall'UNAR – Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – il quale, come noto, costituisce il punto di contatto nazionale per le strategie di integrazione dei Rom, Sinti e Caminanti fino al 2020, e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  Dalla lettura di tale documentazione gli interroganti potranno evincere, infatti, la rilevanza delle iniziative – alcune delle quali dedicate proprio all'insediamento di Castel Romano – che tali Amministrazioni, a nome del Governo, hanno finanziato al fine di favorire una sempre maggiore inclusione sociale delle comunità Rom, Sinti e Caminanti.

Il Ministro della salute: Beatrice Lorenzin.


   FERRO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   già da alcuni anni si è concluso il passaggio del sistema radiotelevisivo dalla tecnica analogica alla tecnica digitale, avviato dal 2009, che ha comportato il progressivo spegnimento dei tradizionali segnali analogici a favore di segnali in tecnica digitale, in modo da consentire un ampliamento del numero dei canali ricevibili e un miglioramento della loro ricezione;

   ancora oggi in diverse aree del Paese si registrano problematiche nella corretta ricezione del segnale radiotelevisivo, e in particolare dei canali della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo;

   tra queste si segnalano gravi problemi di ricezione dei canali Rai culturali e di quelli ricreativi per bambini nella località cosiddetta "altipiani di Arcinazzo" ricompresa nel comune di Trevi, in provincia di Frosinone;

   la società Rai è concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, che deve essere prestato nei confronti di tutti i cittadini senza disparità territoriali, mentre ancora oggi alcuni cittadini sono privati della possibilità di fruire del servizio pubblico a causa della cattiva o assente ricezione di segnale;

   a seguito del passaggio dal sistema analogico a quello digitale i cittadini hanno dovuto adeguare a proprie spese i dispositivi di ricezione, ma a tale sforzo economico non è corrisposto un pari sforzo da parte della società concessionaria per garantire una corretta visione a tutti;

   a rendere ancora più insostenibile lo squilibrio è la configurazione del canone come mera tassa di possesso, svincolata quindi alla prestazione del servizio, che costringe chi possiede un apparecchio televisivo a pagare il canone pur non ricevendo correttamente il segnale –:

   se il Ministro sia a conoscenza delle difficoltà nella ricezione del segnale digitale terrestre in alcune aree del Paese, con particolare riferimento all'area citata in premessa e quali iniziative di competenza intenda attivare al fine di permettere a tutti i cittadini la ricezione di tutti i canali della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo.
(4-15923)

  Risposta. — In merito alla questione rappresentata dall'interrogante, relativa alla mancata ricezione dei canali Rai, culturali e ricreativi per bambini, in diversi comuni del nostro paese, nello specifico nella località cosiddetta «Altopiani di Arcinazzo» compresa nel comune di Trevi, in provincia di Frosinone, si evidenzia quanto segue.
  L'ispettorato territoriale Lazio e Abruzzo del Ministero dello sviluppo economico ha comunicato di aver effettuato uno specifico sopralluogo tecnico nel comune di Trevi nel Lazio, dal quale risulta che la località detta «Altipiani di Arcinazzo» non è completamente servita dai segnali di radiodiffusione televisiva emessi dagli impianti ripetitori ivi operanti. In particolare è emersa una carenza di segnale anche nel centro storico del paese che, per la presenza di ostacoli orografici, risulta attualmente penalizzato dal servizio della concessionaria pubblica.
  Al fine di risolvere tale problematica il comune ha presentato due istanze, presso l'anzidetto ispettorato, per il rilascio di autorizzazione
ex articolo 30 decreto legislativo n. 177 del 2005 per la ripetizione integrale ed in diretta dei programmi della Rai e di altri programmi Mux di emittenti televisivi nazionali e locali.
  Per quanto riguarda la zona del centro storico, gli accertamenti preventivi di compatibilità radioelettrica hanno dato esito positivo per tutti i programmi Mux per cui lo stesso ispettorato ha proceduto al rilascio della relativa autorizzazione alla istallazione degli impianti e messa in esercizio presso il sito denominato «Colle Druni», ove esiste una struttura preesistente. Il comune ha già provveduto ad attivare i Mux richiesti (tranne quelli relativi a mediaset 1 e 2 in quanto la stessa non fornirebbe gli apparati di sua pertinenza).
  Per quanto attiene invece la parte relativa agli «Altipiani di Arcinazzo» non servita da Colle Druni, comunico che l'ispettorato territoriale ha già rilasciato i nulla osta necessari. Al momento il comune non ha potuto rilasciare i permessi urbanistici, e quindi non è stato ancora effettuato alcun tipo di intervento tecnico per l'accensione dei Mux richiesti, in quanto lo stesso è in attesa del parere paesaggistico da parte della regione Lazio.
  Ritengo assai importante evidenziare sul tema della diffusione dei segnali Rai la decisione del Governo che, in sede di rinnovo della convenzione per la concessione del servizio radiofonico, televisivo e multimediale, ha sancito (articolo 3, comma 1, lettera
a)), l'obbligo della concessionaria di garantire la diffusione di tutti i contenuti audiovisivi di pubblico servizio, assicurando la ricevibilità gratuita del segnale al 100 per cento della popolazione via etere o, quando non sia possibile, via cavo e via satellite. Se per l'accesso alla programmazione fosse necessaria una scheda di decrittazione la concessionaria è tenuta a fornirla all'utente senza costi aggiuntivi. È stato inoltre previsto dalla convenzione che la programmazione in live streaming dovrà essere fruibile anche sulla piattaforma IP.
  La convenzione è stata approvata dal Governo con recente decreto adottato dal Consiglio dei ministri e costituirà il quadro di riferimento degli obblighi della concessionaria ai fini della conclusione del nuovo contratto di servizio.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonello Giacomelli.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi anni, il processo di esternalizzazione di alcuni servizi postali ha fatto sì che la consegna della corrispondenza sia affidata, nella sua quasi totalità, ad agenzie esterne;

   l'inefficienza dei servizi offerti da società come Italposte e Fulmine Group è stata denunciata da un cospicuo numero di cittadini e i maggiori quotidiani si sono occupati della questione fin dal 2015, sottolineando ritardi nelle consegne della raccomandate e problemi per il ritiro presso gli uffici: tutti disservizi che troppo spesso hanno causato la decadenza dei termini per usufruire del pagamento ridotto delle sanzioni pecuniarie;

   da quanto si apprende dagli organi di stampa, nell'ambito dell'indagine Consip, è emerso il nome del direttore generale della società Fulmine Group per l'incontro (che le carte dell'inchiesta descrivono come «segreto» – Repubblica.it 6 marzo 2017 –) che ha avuto con Tiziano Renzi all'aeroporto di Fiumicino per 44 minuti, giustificato per «motivi di lavoro»;

   nonostante l'insoddisfazione degli utenti, la società siciliana Fulmine Group ha continuato ad espandersi, aggiudicandosi anche l'appalto per il comune di Roma. Il raggruppamento di imprese, che riunisce quasi 300 aziende del settore postale privato, ha firmato infatti l'accordo della gestione dei servizi postali anche per Roma Capitale: servizio di recapito tramite posta ordinaria registrata, posta raccomandata semplice e con avviso di ricevimento per conto degli uffici del Campidoglio;

   a parere dell'interrogante, al fine di tutelare un servizio di pubblica utilità di tale importanza, sarebbe opportuno stabilire adeguati strumenti di trasparenza che indichino i livelli minimi di efficacia ed efficienza per l'affidamento della gestione del servizio postale da parte delle amministrazioni locali e che questi costituiscano i criteri fondamentali nella predisposizione dei bandi di gara nonché causa di revoca delle aggiudicazioni;

   di quali elementi disponga il Governo circa l'attuale livello di copertura sul territorio nazionale del servizio postale svolto dalla società Fulmine Group e se i dati in possesso del Ministero dello sviluppo economico evidenzino che l'esternalizzazione del servizio risponda ai criteri di efficienza, efficacia e contenimento dei costi.
(4-15890)

  Risposta. — In risposta al quesito posto dall'interrogante, rappresento quanto segue, per quanto di competenza del Ministero dello sviluppo economico.
  Rilevo, in via preliminare, che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per effetto del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
  Spetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, lettera
c) e lettera e), del decreto legislativo n. 261 del 1999, rispettivamente la «adozione di provvedimenti regolatori in materia di qualità e caratteristiche del servizio postale universale» e lo «svolgimento, anche attraverso soggetti terzi, dell'attività di monitoraggio, controllo e verifica del rispetto di standard di qualità del servizio postale universale».
  Permangono nell'ambito delle competenze del Ministero dello sviluppo economico le funzioni di rilascio dei titoli abilitativi per lo svolgimento dei servizi postali e la verifica della permanenza dei requisiti necessari richiesti dalla normativa agli operatori del settore.
  Preciso, al riguardo, che la Fulmine Group s.r.l. è titolare della licenza individuale n. 402 del 2007 e dell'autorizzazione generale n. 1720 del 2007 ai sensi degli articoli 5 e 6 del decreto legislativo n. 261 del 1999 e successive modificazioni.
  Il servizio postale svolto dalla società Fulmine Group viene effettuato su tutto il territorio nazionale tramite le proprie consorziate (dotate ciascuna di propria licenza/autorizzazione) e, come riferito da Agcom, la società copre, con i propri servizi, circa il 75 per cento della popolazione italiana (dato pubblicato anche sul sito
web della società).
  Con riferimento, inoltre, alle esigenze di tutela dei servizi di pubblica utilità e la correlata opportunità di adeguati strumenti di trasparenza che costituiscano i criteri fondamentali nella predisposizione dei bandi di gara dell'affidamento della gestione di servizi postali da parte delle amministrazioni locali, richiamate dall'interrogante, evidenzio che l'Agcom, con la delibera 129/15/CONS, recante «Regolamento in materia di titoli abilitativi per l'offerta al pubblico di servizi postali», in ordine agli «specifici requisiti di capacità finanziaria e professionale che dovranno essere previsti nei bandi di gara per l'affidamento di servizi postali» agli operatori, ha espressamente richiamato le «Linee guida per l'affidamento degli appalti, pubblici di servizi postali» emanate dall'Autorità nazionale anticorruzione (Anac) con determinazione n. 3 del 9 dicembre 2014 (
Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2 gennaio 2015).
  Le suddette linee guida contengono indicazioni sui requisiti di carattere speciale per la partecipazione alle gare in modo da garantire la massima apertura alla concorrenza e al contempo la partecipazione di concorrenti in possesso di esperienza e competenza tali da poter gestire le complessità tecniche del servizio da affidare.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonello Giacomelli.


   GIUSEPPE GUERINI e FREGOLENT. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il consiglio comunale di Pontida (BG), con deliberazione n. 41 del 2 settembre 2017, ha approvato il «regolamento comunale per la disciplina della sosta nei parcheggi riservati alle donne gestanti e alle donne puerpere»;

   tale regolamento prevede, all'articolo 4, che: «Possono sostare nelle aree riservate di cui al precedente articolo esclusivamente i soggetti muniti di idoneo permesso risultante da tessera rilasciata a cura dell'ufficio anagrafe della Città di Pontida.

   2. Possono richiedere il rilascio gratuito di idoneo permesso risultante da tessera esclusivamente i soggetti che presentano congiuntamente il possesso dei cinque seguenti requisiti soggettivi:

    a) essere donna;

    b) essere appartenenti ad un nucleo familiare naturale;

    c) essere in fase di gestazione o di puerperio;

    d) essere cittadina italiana o di un Paese membro dell'Unione europea;

    e) essere residente nella Città di Pontida;

   3. I soggetti con i requisiti di cui al precedente comma che non hanno presentato richiesta durante il periodo di gestazione riceveranno automaticamente idoneo permesso risultante da tessera per il periodo di puerperio a cura dell'ufficio anagrafe contestualmente al rilascio dell'atto di nascita.

   4. In deroga a quanto previsto dai precedenti commi, possono sostare nelle aree riservate di cui al precedente articolo anche soggetti non muniti di idoneo permesso, purché siano donne appartenenti a nuclei familiari naturali con cittadina italiana o di un Paese membro dell'Unione europea non residenti nella Città di Pontida il cui stato di gravidanza sia evidente o clinicamente accertato»;

   la misura appare agli interroganti palesemente illogica e discriminatoria e perfino di dubbia applicabilità ove si consideri che il beneficio è precluso ai cittadini non comunitari e agli appartenenti a nuclei familiari «non naturali», ammesso che tale definizione abbia un qualche significato –:

   di quali elementi disponga e se intenda assumere iniziative di competenza per garantire a coloro che siano illegittimamente esclusi dal beneficio de quo la possibilità di esercitare i propri diritti.
(4-17807)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede se si intenda assumere iniziative a seguito dell'approvazione, con delibera n. 41 del 2 settembre 2017, del «Regolamento comunale per la disciplina della sosta nei parcheggi riservati alle donne gestanti e alle donne puerpere», da parte del consiglio comunale di Pontida (BG).
  Tale delibera consiliare, effettivamente, consentiva la sosta nei parcheggi riservati alle gestanti e alle puerpere alle sole cittadine italiane, residenti a Pontida, munite di idoneo permesso il cui rilascio era subordinato al possesso dei requisiti ricordati dall'interrogante.
  Tuttavia, a seguito delle polemiche suscitate all'iniziativa, che ha avuto ampia risonanza sui media nazionali, il consiglio comunale di Pontida, con delibera n. 45 del 14 ottobre 2017, motivata con la necessità di «evitare l'insorgere di controversie giudiziare sull'interpretazione, sulla applicazione e sull'esecuzione» del predetto regolamento, ha revocato in autotutela la deliberazione oggetto dell'atto di sindacato ispettivo cui si risponde.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   GUIDESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   a Cornegliano Laudense (LO) è in fase di realizzazione il maxi impianto di stoccaggio di gas, di capacità stimata in 2,2 miliardi di metri cubi, di cui alla concessione per la conversione in deposito del giacimento esaurito di gas naturale, rilasciata alla società Ital Gas Storage il 15 marzo 2011 per una durata complessiva di 40 anni; i lavori, iniziati alla fine 2015, dovrebbero concludersi nell'anno 2018;

   con precedenti interrogazioni, n. 4-14155, n. 4-1550 e n. 4-16196, attualmente senza risposta, l'interrogante ha già chiesto iniziative urgenti da parte del Governo, per effettuare verifiche preventive, controlli e monitoraggi a tutela della salute della popolazione locale, del paesaggio e dell'ambiente, mettendo in evidenza le preoccupazioni dei cittadini del lodigiano a Cornegliano Laudense;

   sulla base delle autorizzazioni ambientali già rilasciate, dovrebbero essere già in corso una serie di monitoraggi concordati con l'Arpa Lombardia per la qualità dell'aria (PM10), delle acque di prima falda, dei livelli acustici e di parametri geologici e fisici, per mappare, con altissima definizione in 3D, l’asset geologico del sottosuolo e l'attività microsismica;

   un articolo su Il Cittadino del 20 luglio 2017 riporta una foto sull'avanzamento dei lavori e mostra gli edifici del cantiere del cluster A, in corso di realizzazione, che già oltrepassano le chiome degli alberi;

   ci sono anche due nuovi edifici lungo l'argine del canale Muzza, in località Cascina Sesmones, e, accanto, un muro di cemento alto diversi metri, che protegge dalla vista le altre lavorazioni in corso e che si affaccia direttamente sulla strada sterrata che corre lungo l'argine del canale, area naturalistica di rilevo paesaggistico;

   le acque di cantiere sono scaricate in una roggia e occorrerebbe verificare, nell'ambito dei monitoraggi e controlli da parte dell'Arpal, il sistema di chiarificazione e mitigazione dell'impatto ambientale sulla componente ambientale risorsa idrica;

   da quanto si apprende dal giornale, le nuove costruzioni in fase di realizzazione rientrano nel progetto autorizzato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, aggiornato nell'autunno 2016, ai fini di una maggiore tutela paesaggistica e ambientale dell'area di pregio, che prevede un arretramento di cinque metri dei muri perimetrali con la successiva piantumazione di essene arboree;

   l'impatto del cemento sul verde della campagna lodigiana, sia dell'imponente muro di perimetro che delle sagome degli edifici in corso di realizzazione, sta attirando, inevitabilmente, l'attenzione dei residenti e dei visitatori di passaggio, che giudicano l'impianto una ferita ad un luogo di pregio dal punto di vista paesaggistico;

   la società concessionaria, Ital Gas Storage, ribadisce l'impegno alla piantumazione di centinaia di esemplari adulti di alberi lungo il perimetro, in grado di mascherare l'impatto visivo –:

   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative urgenti per verificare la conformità delle opere in corso di realizzazione al progetto approvato, ai fini della mitigazione dell'impatto paesaggistico e se i monitoraggi in corso abbiano accertato l'efficienza delle mitigazioni fino ad oggi adottate da Ital Gas Storage sulle componenti ambientali ed, in particolare, l'efficacia ambientale del sistema di scarico delle acque di cantiere.
(4-17427)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la concessione di «Cornegliano stoccaggio» ha durata ventennale (dal 15 marzo 2011 al 15 marzo 2031).
  Il progetto di riconversione del giacimento di gas naturale esaurito in «Sito di stoccaggio di modulazione di gas naturale da realizzarsi nel comune di Cornegliano Laudense», presentato dalla Società Ital Gas Storage S.r.l., in data 22 gennaio 2009 è stato oggetto del decreto di compatibilità ambientale DEC-DSA-2009-00047, di esito positivo subordinatamente al rispetto di una serie di prescrizioni.

  Le prescrizioni impartite con il citato decreto comprendono anche le misure da mettere in atto per mitigare gli impatti di vario genere, tra cui quelli acustici e quelli relativi all'assetto geologico del suolo e sottosuolo, nonché le misure per la mitigazione dell'inserimento paesaggistico delle aree cluster e dell'area della centrale previste dal progetto, citate nell'interrogazione in oggetto.
  Le prescrizioni contenute del decreto di compatibilità ambientale DEC-DSA-2009-00047 saranno oggetto di procedimenti di verifica da parte dei Soggetti istituzionali indicati nel citato decreto.
  Per quanto riguarda l'ottemperanza degli obblighi di monitoraggio acustico in fase di perforazione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prendeva atto di quanto comunicato da Arpa Lombardia secondo cui «il Pma della componente rumore proposto e presentato possa ritenersi conforme alle prescrizioni» e con nota del 16 settembre 2016 comunicava alla società e alle amministrazioni territoriali coinvolte l'avvenuta ottemperanza della prescrizione A9) punto
a) del decreto di compatibilità ambientale DSA-DEC 2009-0047 del 22 gennaio 2009.
  Per quando riguarda il monitoraggio della qualità dell'aria, si segnala altresì che la società Ital Gas Storage ha comunicato all'Arpa di Lodi (dandone evidenza al Ministero dello sviluppo economico) che in data 2 febbraio 2015 ha messo in servizio in territorio del comune di Cornegliano Laudense una cabina per il monitoraggio del PM10.
  Ad ogni modo, le emissioni acustiche ed atmosferiche sono state oggetto di valutazione in sede di Via e oggetto di specifiche prescrizioni (ad es. predisposizione di un piano di monitoraggio delle emissioni acustiche, installazione di centralina per il monitoraggio delle PM10), il rispetto delle quali è soggetto al controllo di Arpa Lombardia.
  In merito alla prevista realizzazione del rilievo sismico 3D, si evidenzia che in data 23 febbraio 2017 il Ministero dello sviluppo economico (ufficio territoriale Unmig di Bologna) ha autorizzato l'esecuzione dello stesso; la società Ital Gas Storage ha iniziato i lavori relativi il 4 aprile 2017 e concluso le attività in campo il 27 dello stesso mese.
  Il Ministero dello sviluppo economico evidenzia, inoltre, che tutte le attività avvengono nell'ambito di normali operazioni minerarie, sotto la supervisione di personale tecnico qualificato e sono costantemente controllate dalle competenti autorità. L'ufficio territoriale Unmig di Bologna ha effettuato e continuerà ad effettuare regolari ispezioni sia nel prosieguo della fase di perforazione nei due
cluster (autorizzata il 9 giugno 2014 per sette pozzi su ciascun cluster, per un totale di 14 pozzi, in corso di perforazione dal 1° luglio 2016), sia durante la costruzione degli impianti di superficie (in fase di realizzazione), sia poi durante il normale esercizio della centrale di stoccaggio.
  Il Ministero dello sviluppo economico riferisce altresì che sono in fase di studio gli «Indirizzi e linee guida per il monitoraggio della sismicità, delle deformazioni del suolo e delle pressioni di poro nell'ambito delle attività antropiche», e che si inizia attualmente ad applicarli a casi pilota (giacimento di stoccaggio gas di Minerbio, giacimento ad olio di Cavone e giacimento geotermico di Casaglia, tutti in Emilia Romagna) con lo scopo di raccogliere dati sulla loro efficacia e rispondenza alle esigenze per i quali sono stati redatti.
  Comunque già nel novembre 2015 la società Ital Gas Storage, su base volontaria, ha aderito alle suddette linee guida pubblicate dal Ministero dello sviluppo economico nel novembre 2014 ed il 21 dicembre 2015 ha ottenuto il nulla osta ministeriale alla realizzazione di una rete di monitoraggio sismico.
  La rete di monitoraggio sismico è composta da 9 nuove stazioni equipaggiate con strumentazione sismologica di elevata qualità e apparecchiature di teletrasmissione del dato continuo verso il centro di acquisizione ed elaborazione dell'istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale – Osg di Trieste che fungerà da Spm (Struttura Preposta al Monitoraggio).
  La società Ital Gas Storage ha realizzato 9 stazioni di monitoraggio che sono oggi in funzione.
  Le attività di monitoraggio di cui al precedente punto, a cui Igs ha aderito su base volontaria dal 2015, si aggiungono a quanto già specificamente previsto dalle normative ambientali, di sicurezza mineraria e dalla normativa «Seveso». In tal modo, tutti i rischi potenzialmente associabili all'impianto sono coperti da precise operazioni di gestione operativa e di costante monitoraggio che permettono alle autorità di controllo di avere ampie e aggiornate informazioni sull'iniziativa, anche al fine di implementare immediatamente tutte le azioni correttive eventualmente necessarie.
  I cittadini hanno possibilità di accesso ai dati raccolti dal Ministero dello sviluppo economico nel rispetto delle norme vigenti.
  Della vicenda sono comunque interessati diversi soggetti istituzionali, pertanto qualora dovessero pervenire ulteriori e utili elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere le attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, nonché a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   LEVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 16 febbraio 2017 presso il comune di Termoli si è costituito il comitato promotore referendario denominato «Termoli no tunnel» ai sensi dell'articolo 16 del regolamento per la partecipazione dei cittadini;

   il suddetto comitato in data 16 febbraio 2017 depositava presso il comune di Termoli numero tre quesiti referendari inerenti alla realizzazione del «Tunnel tra il Porto ed il Luogo mare Cristoforo Colombo, nonché del parcheggio multipiano ed annessi», in applicazione dell'articolo 16 del regolamento per la partecipazione dei cittadini giusta delibera n. 10 dell'11 febbraio 2014, allegando ad essi 351 sottoscrizioni autenticate di altrettanti elettori termolesi così come previsto dallo statuto comunale, approvato con delibera del consiglio comunale n. 76 del 28 ottobre 2000, che prevede l'istituto del referendum consultivo su questioni di esclusiva competenza locale proprio quando vi sia richiesta anche da parte di 1/10 degli elettori del comune;

   ad oltre sei mesi dal deposito della proposta referendaria nessun atto previsto dal su esposto regolamentato «partecipazione dei cittadini», oppure contenente una motivazione plausibile circa le regioni del ritardo è stato mai posto in essere dai soggetti preposti –:

   quali iniziative di competenza, anche normative, il Governo intenda adottare al fine di favorire e valorizzare gli strumenti di democrazia diretta e di partecipazione dei cittadini alla vita politica delle istituzioni, anche valutando la definizione di meccanismi stringenti che evitino situazioni come quella di cui in premessa.
(4-17681)

  Risposta. — La proposta referendaria recante tre quesiti in merito alla realizzazione di un tunnel per il raccordo stradale tra il porto di Termoli, in provincia di Campobasso, e il lungomare Cristoforo Colombo di quel centro cittadino, corredata dalle firme autenticate dei sottoscrittori, è stata presentata presso la sede municipale del predetto comune lo scorso 16 febbraio 2017, dal comitato promotore «Termoli No Tunnel», costituitosi nello stesso giorno.
  Il successivo 21 febbraio, la predetta documentazione è stata trasmessa dal servizio segreteria generale del comune, per i conseguenti adempimenti, al sindaco, al presidente del consiglio comunale, ai capigruppo consiliari, alla commissione per i
referendum, all'Ufficio elettorale, nonché al coordinatore del richiamato comitato.
  In data 24 febbraio 2017, l'ufficio elettorale ha provveduto ad inviare alle competenti strutture comunali i certificati elettorali cumulativi dei sottoscrittori (n. 361 rispettivamente per il primo e terzo quesito e n. 362 per il secondo quesito), ai sensi dell'articolo 17, comma 4, del «Regolamento Partecipazione dei Cittadini», approvato dal consiglio comunale nel febbraio 2014.
  Il 28 agosto 2017, ai sensi dell'articolo 19 del citato regolamento, è stata convocata la prima riunione della commissione per il
referendum, tenutasi il 18 settembre 2017. La commissione non risulta aver concluso i propri lavori.
  Il comitato promotore «Termoli No Tunnel» ha chiesto alla prefettura di Campobasso l'esercizio dei poteri sostitutivi stante il perdurare del «comportamento evasivo ed ostruzionistico da parte dei preposti Organi comunali», nei propri confronti.
  A tal riguardo, la prefettura ha comunque fatto presente al predetto comitato che al prefetto è consentito di intervenire, in via sostitutiva, solo nell'ipotesi prevista e disciplinata dall'articolo 39 del Tuel che, al comma 2, stabilisce: «Il Presidente del Consiglio comunale... è tenuto a riunire il Consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedono un quinto dei Consiglieri, o il Sindaco..., inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste». Il successivo comma 5 prescrive poi che «In caso di inosservanza degli obblighi di convocazione del Consiglio, previa diffida, provvede il Prefetto».
  Alcun intervento, pertanto, può essere esercitato in caso di mancata convocazione del consiglio comunale su richiesta di soggetti diversi dal numero minimo di consiglieri previsto dalla citata disposizione normativa.
  La stessa prefettura ha comunque assicurato la consueta vigilanza sulla puntuale attuazione del dettato normativo di cui al citato articolo 39 e l'eventuale esercizio di poteri sostitutivi previsti dall'ultimo comma di quella norma, ove ne maturino i presupposti.
  Il comitato promotore ha altresì invitato il comune di Termoli ad attivare tutte le procedure necessarie a consentire al consiglio comunale di pronunciarsi, in via definitiva, sull'ammissibilità dei tre quesiti referendari presentati.
  A tal proposito, la presidenza del consiglio comunale ha specificato che l'articolo 19 del richiamato regolamento dispone espressamente che ove la richiesta referendaria venga dichiarata non ammissibile dalla commissione per i
referendum, il comitato promotore, entro trenta giorni dalla notifica della relativa decisione, può chiedere il pronunciamento del consiglio comunale che, a maggioranza semplice, decide in via definitiva.
  Ne consegue, pertanto, che prima dell'adozione della citata deliberazione della commissione, il consiglio non può essere convocato per pronunciarsi sull'ammissibilità della proposta referendaria.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Conapo, il sindacato autonomo dei vigili del fuoco, ha recentemente inviato alle istituzioni competenti le proprie osservazioni, in riferimento alla bozza di modifica del decreto legislativo n. 217 del 2005 e alla bozza di modifica del decreto legislativo n. 136 del 2006 (in attuazione della delega contenuta all'articolo 8 della legge n. 124 del 2015 – cosiddetta «legge Madia»), trasmesse loro rispettivamente il 21 e 22 gennaio 2016;

   il 26 gennaio 2016 si è tenuta una riunione presso il Ministero dell'interno, alla presenza del Sottosegretario Bocci, relativa alle modifiche da apportare ai testi dei decreti;

   il sindacato osserva che le bozze presentate mancano di una vera riforma delle carriere e dell'ordinamento che possa consentire risparmi da reinvestire nell'equiparazione retributiva e pensionistica dei vigili del fuoco con le forze di polizia;

   in particolare il Conapo chiede:

    provvedimenti di piena equiparazione retributiva e pensionistica dei vigili del fuoco con il corrispondente personale appartenente agli altri Corpi dello Stato ad ordinamento civile, primo fra tutti la Polizia di Stato. A tal fine, si chiede anche l'inserimento dei vigili del fuoco nel comparto sicurezza, attraverso i meccanismi di perequazione previsti dalla legge n. 121 del 1981;

    in caso di risorse finanziarie insufficienti alla piena equiparazione, in via prioritaria l'estensione ai vigili del fuoco dell'assegno funzionale pensionabile (articolo 6 del decreto-legge n. 387 del 1987 e successive modifiche e integrazioni), corrisposto al compimento dei 17, 27 e 32 anni a tutti i Corpi dello Stato sia civili che militari (tranne i vigili del fuoco);

    l'estensione ai vigili del fuoco degli aumenti di servizio (1 anno ogni 5) ai fini pensionistici (articolo 3, comma 5, della legge n. 284 del 1977 e articolo 17, comma 2, della legge n. 187 del 1976) cui beneficiano tutti i Corpi dello Stato sia civili che militari (tranne i vigili del fuoco);

    l'estensione ai vigili del fuoco dei 6 scatti retributivi (articolo 1, comma 15-bis, del decreto-legge n. 379 del 1987 e articolo 6-bis, comma 1, del decreto-legge n. 387 del 1987) all'atto del pensionamento (+15 per cento), cui beneficiano tutti i Corpi dello Stato sia civili che militari (tranne i vigili del fuoco);

    l'estensione al personale direttivo e dirigente del Corpo nazionale dei vigili del fuoco dei meccanismi di adeguamento retributivo alle qualifiche superiori al compimento dei 13 e 23 anni di servizio previsti per le forze di Polizia (stipendio qualifica superiore ai sensi dell'articolo 43, commi 22 e 23, della legge n. 121 del 1981) e al compimento dei 15 e 25 anni (intera retribuzione qualifica superiore, ai sensi dell'articolo 43-ter della legge n. 121 del 1981); misure che però non possono essere disgiunte dall'erogazione dell'assegno funzionale (17, 27 e 32) anni al personale dei vigili del fuoco in uniforme;

    l'estensione anche alle organizzazioni sindacali dei vigili del fuoco di quanto previsto dall'articolo 8-bis del decreto legislativo n. 195 del 1995 (Consultazione delle rappresentanze del personale), ove prevede che «Le organizzazioni sindacali e le sezioni del COCER di cui all'articolo 2 sono convocate presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in occasione della predisposizione del documento di programmazione economico-finanziaria e prima della deliberazione del disegno di legge di bilancio per essere consultate». Questo per cercare di evitare che i vigili del fuoco vengano dimenticati nelle leggi e negli stanziamenti, come avvenuto in passato;

    l'istituzione del ruolo tecnico-logistico (in uniforme) e con la qualifica di Polizia giudiziaria a supporto della componente operativa, in cui far confluire anche il personale operativo non più idoneo alla piena operatività e cui garantire istituti retributivi e pensionistici di specificità correlati all'obbligo di mobilitazione a supporto delle necessità del settore operativo;

    l'istituzione di un unico servizio amministrativo contabile a supporto di tutte le componenti del Ministero dell'interno (amministrazione civile dell'Interno), cui destinare le nuove assunzioni, mediante unico concorso per tutto il Ministero dell'interno e il personale Sati (Settore amministrativo tecnico informatico) del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che vi faccia domanda (pur continuando a prestare servizio nelle medesime sedi dei vigili del fuoco per chi lo desidera); diritto di opzione per il personale Sati attualmente in servizio di preferire l'inquadramento nell'amministrazione civile dell'interno (esentati da obblighi di mobilitazione) o restare sino al pensionamento nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in ruolo Sati ad esaurimento o, solo per i tecnici-informatici, inquadrarsi nell'istituendo ruolo tecnico-logistico se in possesso dei requisiti psicofisici e dopo il superamento di apposito corso di formazione;

    la revisione di tutti i nomi delle qualifiche del personale tecnico-operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco in modo da conformarli a quelli degli altri corpi dello Stato ad ordinamento civile (sovrintendente antincendi, sovrintendente capo antincendi, e altro), abrogando le attuali qualifiche, di origine aziendale (capo squadra, capo reparto), derivanti da precedenti inquadramenti del Corpo nei comparti delle fabbriche;

    la previsione che il capo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sia nominato dal prefetto obbligatoriamente proveniente dai dirigenti generali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, analogamente a quanto avviene nella Polizia di Stato, ai sensi dell'articolo 5 della legge n. 121 del 1981, ed al fine di elevare di rango il capo del corpo nel Ministero dell'interno, cui affidare anche il coordinamento della direzione centrale per la difesa civile e le politiche di protezione civile;

    distinzione netta tra volontariato personale permanente nei vigili del fuoco. Il volontario non può avere (come oggi avviene) attribuzioni di polizia, qualifiche e retribuzioni identiche a quelle del personale permanente. Le uniformi devono essere differenti così da permettere ai cittadini di riconoscere facilmente un volontario da un permanente del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Occorre prevedere la gratuità delle prestazioni ed affidare la completa gestione economica ed amministrativa del volontariato in capo alle regioni, anche ai fini di protezione civile: fermo restando il coordinamento da parte del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al pari dell'Asl-118 che coordina i volontari del soccorso sanitario ed al pari di come il Corpo forestale dello Stato ha finora coordinato i volontari dell'antincendio boschivo. Il servizio di volontariato deve essere di ausilio e non sostitutivo del personale permanente. Deve garantire l'intervento di prossimità ma non l'esclusività dell'intervento;

    abrogazione del servizio discontinuo e istituzione di una sorta di ferma breve propedeutica all'assunzione, cui destinare riserve di posti nei concorsi di accesso;

    istituzione di nuclei di polizia amministrativa e giudiziaria in tutti i comandi provinciali;

    possibilità per il personale operativo permanente, con la qualifica di ufficiale o agente di Polizia giudiziaria e agente di pubblica sicurezza inserito nei nuclei di polizia giudiziaria e amministrativa, per lo svolgimento dei compiti istituzionali e delle funzioni attribuite, di accedere ai dati e alle informazioni del centro elaborazione dati, di cui al primo comma dell'articolo 9 della legge 1o aprile 1981, n. 121, nonché ai dati e alle informazioni contenute nello «schedario veicoli rubati» operante presso il medesimo centro elaborazione dati. Inoltre per l'espletamento dei propri compiti, le centrali operative ed i nuclei di polizia giudiziaria e amministrativa del Corpo nazionale dei vigili del fuoco devono accedere a titolo gratuito alle informazioni contenute nella banca dati della direzione generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994, n. 634. Tutto questo al fine di non dover sempre ricorrere ad altri corpi per avere informazioni necessarie per l'espletamento delle proprie funzioni;

    previsione di percorsi di carriera interni adeguati, che consentano, al personale avente il previsto titolo di studio e la prevista capacità, di poter avanzare alle carriere superiori con precedenza di ruolo rispetto a coloro che provengono dall'esterno;

    aumento degli organici del personale ispettore da destinare alla funzione di capo turno provinciale (delicata funzione di coordinamento generale e rapporto con gli altri enti). In fase di prima applicazione, istituzione del ruolo speciale ad esaurimento degli ispettori cui inquadrare il personale avente la qualifica di capo reparto e capo reparto esperto in servizio alla data di entrata in vigore dell'istituzione del ruolo speciale ispettori ad esaurimento. Questo consentirebbe di allineare il Corpo nazionale agli altri Corpi dello Stato anche da questo importante punto di vista;

    le indennità specialistiche non devono subire decurtazioni in caso di assenze dovute a motivi di infortuni sul lavoro o cause di servizio, nonché in caso di frequentazione di corsi di formazione o invio in missione disposta dall'amministrazione;

    maggiore trasparenza sui criteri di valutazione relativi alle promozioni di dirigente e vice comandanti;

    creazione all'interno del Corpo nazionale dei vigili del fuoco di una propria e adeguata struttura di formazione della sicurezza, con regole e regolamenti chiari, che consti di formatori selezionati. Tutto ciò a garanzia della sicurezza e della qualità della formazione e affinché non si verifichi più ciò che oggi accade: personale (compresi alcuni dirigenti) che non conoscono le funzioni (ed i limiti delle funzioni) del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

   tra le tante osservazioni fatte dal Conapo riguardo alla bozza di revisione del decreto legislativo n. 217 del 2005, si rilevano in particolare quelle relative ai seguenti articoli:

    con riguardo all'articolo 1 (Istituzione ruolo unico vigili-capi squadra-capi reparto), è specificato che non si comprende la motivazione del dover creare un ruolo unico se poi per il passaggio da vigile a capo squadra è comunque prevista una procedura concorsuale. Se non vi sono motivazioni particolari, si ritiene che si debba continuare ad avere divisione dei ruoli tra vigili da una parte e capi squadra e capi reparto dall'alta, in analogia agli altri Corpi dello Stato;

    con riguardo all'articolo 3 (qualifiche vigili del fuoco), è rilevato che la riduzione da 4 a 3 delle qualifiche di vigile del fuoco, accompagnata all'omissione di indicazioni degli anni necessari al conseguimento delle medesime, non consente valutazioni adeguate e appare mirata a conseguire risparmi di spesa a danno dei vigili del fuoco. Il Conapo, quindi, chiede che le qualifiche di vigile del fuoco restino 4 come previsto dal corrispondente personale degli altri Corpi dello Stato (sia civili che militari). Il Conapo contesta anche la denominazione «vigile del fuoco vice capo squadra» che appare mirata ad affidare a tale personale incombenze superiori pur in assenza di specifica formazione (anche sulla sicurezza sul lavoro), in assenza di qualifiche di ufficiale di polizia giudiziaria e soprattutto in assenza di adeguata remunerazione. Il Conapo chiede pertanto di abrogare la dicitura «vice capo squadra» per i vigili coordinatori;

    con riguardo all'articolo 3 (qualifiche capi reparto) è rilevato che risulta la volontà di abrogare lo scatto convenzionale ora previsto (articolo 18 del vigente decreto legislativo n. 217 del 2005) al personale capo reparto esperto che abbia compiuto 4 anni nella qualifica. Il Conapo è contrario a tale abrogazione penalizzante per il settore operativo e ne chiede il mantenimento in vigore in coerenza con quanto accade negli altri Corpi dello Stato;

    per quanto concerne l'articolo 19 (articolazione ruolo ispettori tecnici antincendi), che prevede la riduzione del nuovo ruolo di ispettore tecnico antincendi a 4 qualifiche a fronte delle 6 attualmente vigenti tra il ruolo ispettori e sostituti direttori e a fronte delle 5 qualifiche esistenti nel corrispondente personale degli altri Corpi dello Stato sia civili che militari, il Conapo chiede che il ruolo ispettori consti di n. 5 qualifiche;

   il Conapo si augura che la riduzione del numero delle qualifiche previste per i diversi ruoli non rappresenti un sistema per reperire risorse da destinare alla istituzione della dirigenza amministrativa;

   con riguardo all'articolo XX 1 (istituzione e articolazione dei ruoli professionali del personale aeronavigante), è rilevato che l'omissione di dati mediante punteggiatura, relativi al nuovo inquadramento di tale personale non consente di poter esprimere adeguate valutazioni in merito. Inoltre, nessun Corpo dello Stato ha qualifiche differenti del personale aeronavigante rispetto al restante personale in servizio (come da bozza) e tali qualifiche secondo il Conapo inducono solo confusione. Secondo tale sindacato non è assolutamente corretto dotare il personale che vola di qualifiche «nominativamente» diverse dal resto del personale, qualsiasi sia la qualifica. L'introduzione del ruolo di aeronavigante è assolutamente condivisa, ma le qualifiche e i relativi gradi devono restare gli stessi del resto del personale per non creare ulteriori confusioni. Inoltre, secondo il Conapo bisogna chiudere la forbice tra il personale che ha beneficiato delle riqualificazioni del settore aeronaviganti ante decreto legislativo n. 217 del 2005 e il personale entrato nella specializzazione dopo. Secondo il sindacato bisognerebbe inquadrare i vigili come vice ispettori, i capisquadra e i capi reparto come ispettori capo, gli ispettori e i sostituti direttori antincendio (sda) come ispettori capo esperto e i sostituti direttori antincendio capo (sdac) come ispettori coordinatori. Inoltre, il Conapo chiede di premiare, tramite erogazione dell'indennità di funzione, coloro che all'interno dei nuclei ricoprono posti di responsabilità sanciti dalla norma interna;

   in merito a quanto previsto nelle modifiche del decreto legislativo n. 217 del 2005, l'inserimento nel ruolo aeronavigante per gli elisoccorritori, secondo il Conapo è la dimostrazione di quanto non sia stato compreso il valore aggiunto che questa figura professionale possiede, in confronto a quelle analoghe degli altri Corpi, e che evidentemente non è stata affatto analizzata. La rescissione di tutti i legami con il servizio operativo ordinario comporterà, secondo il suddetto sindacato, una profonda modificazione della capacità operativa degli elisoccorritori, i quali, in breve tempo, perderanno le caratteristiche che li differenziano, per maggiore capacità operativa, dai loro colleghi degli altri Corpi. Sarebbe stato possibile, a parere del Conapo, trovare una soluzione che preservasse le caratteristiche professionali degli elisoccorritori e, contemporaneamente, riconoscesse a questo personale tutto il dovuto. Piloti, specialisti ed elisoccorritori, lavoreranno tutti insieme a bordo dei velivoli del Corpo, ma avranno considerazione e trattamenti diversi, peraltro, non esiste ancora chiarezza e certezza su nessuno dei riconoscimenti, giuridici ed economici, che spetterebbero ai futuri elisoccorritori. È necessario prevedere che i futuri elisoccorritori del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ricevano la stessa identica considerazione dell'altro personale aeronavigante, che il ruolo degli elisoccorritori venga organizzato in modo identico a quello dei piloti e degli specialisti, attraverso una completa parificazione di inquadramento e carriera, con relativo rilascio di «Licenza e Brevetto» e non, come invece è attualmente previsto di «Licenza o Brevetto»;

   inoltre, non si comprende per quale motivazione vengano istituiti ruoli del personale elicotterista, e non venga fatta la medesima cosa per il restante personale specialista nautico, sommozzatore e Tlc (esperto telecomunicazioni). Peraltro, se a tale personale si impongono procedure concorsuali separate dal personale generico, non si può poi affermare che fa parte del ruolo del personale generico;

   la bozza del decreto sopra richiamata contiene l'istituzione della dirigenza amministrativo contabile del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Per il Conapo, l'istituzione appare inutile e costosa dovendosi, a suo parere e come già sopra indicato, perseguire gli accorpamenti, ovvero costituire un unico settore amministrativo contabile a supporto di tutte le componenti del Ministero dell'interno, che, comunque, è già dotato di dirigenza amministrativo-contabile. In ogni casa il sindacato chiede che la dirigenza amministrativo-contabile sia istituita solo in seguito al riconoscimento delle dovute misure di equiparazione retributiva e pensionistica dei vigili del fuoco con gli altri Corpi dello Stato;

   con riguardo alla bozza di revisione del decreto legislativo n. 139 del 2006, le integrazioni del sindacato precisano tra i diversi temi trattati che:

    nell'articolo 18, comma 3 (servizi di vigilanza antincendi), occorre prevedere che i servizi di vigilanza antincendio nei locali di pubblico spettacolo ed intrattenimento vengano disposti dal comando dei vigili del fuoco competente per territorio e non più dalla commissione di vigilanza della Prefettura. Questa modifica non comporta alcun emendamento del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e del decreto del Presidente della Repubblica n. 311 del 2001 (semplificazione autorizzazioni di P.S.), che non prevedono, tra i compiti delle commissioni di vigilanza, tale adempimento e che infatti è contemplato solo dall'articolo 4 del decreto ministeriale 22 febbraio 1996, n. 261 che regolamenta la vigilanza dei vigili del fuoco;

    il Canapo ritiene che la nuova formulazione, contemplata dall'articolo 24 (interventi di soccorso pubblico) sia ancora inadatta a risolvere i dubbi interpretativi e le diatribe sugli scenari di soccorso in merito al coordinamento dei soccorsi –:

   se il Governo, in virtù del fondamentale ruolo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dei gravosi compiti che i vigili del fuoco quotidianamente svolgono mettendo a repentaglio la loro vita e alla luce dei contributi e delle integrazioni proposte al Governo dal sindacato Conapo, non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a riconoscere al personale in uniforme del Corpo nazionale dei vigili del fuoco pari dignità e pari trattamento rispetto agli apparenti agli altri Corpi dello Stato.
(4-12021)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame l'interrogante chiede al Ministero dell'interno di assumere iniziative normative volte a favorire un'equiparazione retributiva e pensionistica tra il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e quello degli altri Corpi dello Stato, anche in considerazione del ruolo svolto dai vigili del fuoco e dei compiti particolarmente gravosi ad esso affidati.
  In ragione dell'indispensabile ruolo svolto dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco nel sistema generale della sicurezza del Paese, la legge delega n. 252 del 2004 aveva già introdotto un'incisiva riforma del Corpo attraverso la riconduzione del rapporto d'impiego del personale dal regime privatistico a quello di diritto pubblico, al pari degli altri Corpi dello Stato chiamati alla difesa dei valori fondamentali della Repubblica.
  Del resto, la specificità dei compiti e delle condizioni di stato e d'impiego del personale del comparto del soccorso pubblico sono state espressamente riconosciute, al pari del personale dei comparti sicurezza e difesa, prima dall'articolo 4, comma 3, del decreto-legge n. 185 del 2008 e, poi, dall'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 (il cui titolo reca: «Specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco») anche «ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale».
  Occorre però osservare che, pur essendo parte integrante del sistema di sicurezza generale, il Corpo nazionale ha compiti diversi da quelli attinenti la prevenzione e la repressione dei reati, la sicurezza delle istituzioni e la difesa militare, propri degli organismi inclusi nei comparti sicurezza e difesa; la specifica connotazione delle sue attribuzioni, infatti, fa sì che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco non rappresenti un «Corpo di pubblica sicurezza».
  In questo senso va letta la scelta del legislatore che, con la legge n. 121 del 1981, non ha ricompreso il personale dei vigili del fuoco nella categoria delle forze di polizia (espressamente individuate dall'articolo 16), mentre ha istituito, con la citata legge delega n. 252 del 2004, l'apposito comparto di negoziazione «Vigili del Fuoco e soccorso pubblico».
  Per quanto riguarda, comunque, gli aspetti più prettamente economici e previdenziali posti dall'interrogante, si segnala che le differenze ancora esistenti tra il personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco e quello delle forze di polizia sono in fase di progressivo superamento, attraverso vari interventi legislativi eseguiti negli ultimi anni, nel quadro di un disegno di rilancio del corpo medesimo.

  Il citato decreto n. 185 del 2008, tra l'altro, destina risorse aggiuntive all'attuazione dei patti per il soccorso pubblico da stipularsi annualmente tra Governo e parti sindacali e all'istituzione di una speciale indennità operativa per il servizio di soccorso tecnico urgente espletato all'esterno.
  Sempre in materia di trattamento economico, con il decreto-legge n. 39 del 2009 (il cosiddetto «decreto-legge Abruzzo») è stata ripristinata l'indennità di missione per il personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco (analogamente a quanto già previsto per il personale dei comparti sicurezza e difesa), mentre con il decreto-legge n. 78 del 2009 è stata autorizzata la spesa di 15 milioni di euro, a decorrere dal 2010, da destinare alla speciale indennità operativa per il servizio di soccorso tecnico urgente espletato all'esterno.
  Con il decreto-legge n. 195 del 2009, convertito dalla legge n. 26 del 2010, è stata poi riconosciuta l'indennità di trasferimento anche in favore del personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Con la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) è stato inoltre reintrodotto, in favore del personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco, il trattamento economico aggiuntivo per infermità dipendenti da causa di servizio e il diritto, dal 1° gennaio 2014, agli assegni vitalizi ai familiari di invalidi vittime del terrorismo con invalidità non inferiore al 50 per cento, con relativa copertura finanziaria.
  La legge di stabilità del 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 972), al fine di fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale, ha destinato anche al corpo nazionale dei vigili del fuoco, come ai corpi di polizia e delle forze armate, un contributo straordinario pari a 960 euro su base annua per l'anno 2016; la legge di bilancio per il 2017 ha prorogato anche al 2017 tale contributo straordinario.
  Si segnala infine il decreto legislativo n. 97 del 2017 che, all'articolo 15, ha previsto l'istituzione di un fondo per l'operatività del soccorso pubblico al fine di valorizzare l'impiego professionale del personale del corpo nazionale, consentendo di ridurre ulteriormente la forbice retributiva tra il suo personale e quello degli altri Corpi dello Stato. Le risorse destinate a tale scopo dalla legge di bilancio ammontano a 59 milioni di euro per l'anno 2017 e a 103,3 milioni di euro a decorrere dal 2018.
  Concludendo, nel ribadire il massimo apprezzamento per l'impegno, la professionalità e l'elevato livello del dispositivo di soccorso che i vigili del fuoco sanno mettere in campo nelle diverse situazioni di emergenza, anche le più difficili e complesse, si evidenzia però che ogni ulteriore auspicabile iniziativa di miglioramento retributivo non può che essere rimessa alla decisione dell'organo legislativo, anche in relazione all'esigenza di reperire la necessaria copertura finanziaria.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   il 13 luglio 2017 è stato pubblicato il dossier incendi 2017 di Legambiente dal quale emerge che da metà giugno ad oggi, 26.024 ettari di superfici boschive sono state distrutte dagli incendi, pari al 93,8 per cento del totale della superficie bruciata in tutto il 2016;

   l'incremento degli incendi nella stagione 2017 appare giustificato anche per effetto delle trasformazioni organizzative seguite all'emanazione del decreto legislativo n. 177 del 2016 che ha determinato l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato nell'Arma dei carabinieri e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

   il decreto, infatti, ha suddiviso tra i due Corpi le funzioni dell'ex Corpo forestale dello Stato, assegnando quelle investigative e repressive ai carabinieri e le attività di contrasto degli incendi boschivi e il coordinamento degli spegnimenti ai vigili del fuoco;

   purtroppo, però, le nuove funzioni assegnate al Corpo dei vigili del fuoco – finora dislocato soprattutto nei principali centri urbani, con pochi distaccamenti nelle aree montane – non sono state accompagnate da un incremento di personale specializzato e dalla dotazione idonea e adeguata di mezzi in grado di intervenire nelle aree montane;

   per questo motivo e considerando che già nei primi mesi del 2017 le richieste di intervento per incendi avevano raggiunto il record decennale, la situazione doveva essere affrontata per tempo e con risorse adeguate;

   invece, soltanto a metà giugno 2017 il Presidente del Consiglio dei ministri ha emanato e trasmesso alle regioni l'annuale direttiva per le «Attività antincendio boschivo per la stagione estiva 2017. Individuazione dei tempi di svolgimento e raccomandazioni per un più efficace contrasto agli incendi boschivi, di interfaccia e ai rischi conseguenti» (Gazzetta Ufficiale n. 137 del 15 giugno 2017). Un'azione che, soprattutto in questo anno di modifiche normative e di incremento degli incendi, per essere efficace, avrebbe dovuto essere accompagnata da altri interventi a livello nazionale che ancora non sono stati messi in campo;

   per rendere pienamente operativo il decreto legislativo n. 177 del 2016 mancano infatti:

    un decreto ministeriale – che avrebbe dovuto essere adottato entro il 14 novembre 2016 – del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, per definire le risorse finanziarie, i beni immobili, gli strumenti, i mezzi, gli animali, gli apparati, le infrastrutture e ogni altra pertinenza del Corpo forestale dello Stato che sono trasferiti alle altre amministrazioni, tra cui quelle da destinare ai vigili del fuoco per le attività di antincendio boschivo;

   un decreto ministeriale – che avrebbe dovuto essere adottato entro il 13 dicembre 2016 – del Ministero dell'interno, d'intesa con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e con il Ministero dell'economia e delle finanze, per l'individuazione, nell'ambito dei vigili del fuoco, del servizio antincendio boschivo e la sua articolazione in strutture centrali e territoriali, e l'attività di coordinamento dei nuclei operativi speciali e dei centri operativi antincendio boschivo del Corpo forestale dello Stato, trasferita ai vigili del fuoco –:

   se il Governo non ritenga urgente completare, con l'adozione dei decreti attuativi necessari, il passaggio di competenze del Corpo forestale dello Stato, del personale, degli strumenti e dei mezzi riguardanti l'antincendio boschivo, in modo da garantire su tutto il territorio l'adeguata gestione dell'emergenza e svolgere l'attività di prevenzione;

   se il Governo non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per concertare con la Conferenza delle regioni l'elaborazione di una convenzione quadro che permetta al Corpo nazionale dei vigili del fuoco di semplificare la stipula, regione per regione, di specifiche convenzioni, al fine di poter svolgere al meglio, per tempo e in piena efficienza, i nuovi compiti assegnati, anche attivando personale ausiliario nei periodi critici.
(4-17356)

  Risposta. — Si premette che la legislazione di settore e, in particolare, il decreto legislativo n. 112 del 1998, affida la competenza primaria nella materia della lotta attiva contro gli incendi boschivi alle regioni, riservando allo Stato il solo concorso nell'attività di spegnimento. Questo assetto generale è stato confermato e rafforzato dalla legge quadro sugli incendi boschivi n. 353 del 2000, che ha, tra l'altro, attribuito alle regioni il compito di definire e programmare, mediante apposito «piano regionale», le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi.
  Tale suddivisione di competenze tra lo Stato e le Regioni risulta confermata dal decreto legislativo n. 177 del 2016, recante la razionalizzazione delle funzioni di polizia e l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato. Infatti, allo Stato continua a spettare in via sussidiaria il concorso alla lotta attiva agli incendi boschivi attraverso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e l'Arma dei carabinieri, per le connesse attività di prevenzione e repressione.
  Nella consapevolezza che il fenomeno degli incendi boschivi rappresenta una delle emergenze ambientali più critiche per il nostro Paese, il 5 aprile 2017 è stato firmato un apposito protocollo d'intesa tra l'arma dei carabinieri e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di definire ogni utile sinergia operativa e di migliorare ulteriormente l'efficacia degli interventi. In particolare, tale protocollo individua gli ambiti di rispettivo intervento e definisce le attività di collaborazione in materia.
  Inoltre, al fine di sollecitare il ricorso ad accordi pattizi tra le regioni e il corpo nazionale dei vigili del fuoco, il Ministero dell'interno si è fatto promotore della sottoscrizione di un apposito accordo quadro tra il Governo e le regioni, sancito il 4 maggio 2017 nell'ambito della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
  L'Accordo, come auspicato dall'interrogante, individua i criteri generali, i princìpi direttivi e le modalità della collaborazione tra il corpo nazionale dei vigili del fuoco e le regioni, nell'esercizio dei rispettivi compiti in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e di concorso del Corpo stesso alle predette attività. Attraverso il suddetto accordo si integra ulteriormente il quadro delle iniziative assunte da questo Ministero, a seguito del trasferimento dei compiti del Corpo forestale dello Stato, volte a prevenire per quanto possibile, su tutto il territorio nazionale, eventuali disfunzioni operative in materia di lotta attiva agli incendi boschivi.
  Anche grazie a tale iniziativa sono state successivamente stipulate diverse convenzioni con le regioni che hanno manifestato un interesse in tal senso. Nel dettaglio, alla data del 31 agosto 2017, sono stati sottoscritti 15 atti convenzionali. Giova, al riguardo, sottolineare come tali strumenti risultino particolarmente significativi, in quanto, oltre a prevedere diverse forme di collaborazione, consentono di addivenire, tra l'altro, ad un'ulteriore implementazione dei dispositivi di lotta a terra agli incendi boschivi, grazie alla previsione di squadre del corpo all'uopo dedicate.
  Per quanto concerne l'emanazione dei decreti attuativi previsti dal citato decreto legislativo n. 177 del 2016, si rappresenta che il decreto interministeriale previsto dall'articolo 13, finalizzato al trasferimento delle risorse logistiche, strumentali e finanziarie, è stato sottoscritto dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e dagli altri Ministri concertanti in data 21 luglio 2017 ed è in fase di registrazione. L'emanazione di tale provvedimento, costituendone il necessario presupposto, consentirà in tempi brevi anche l'adozione del decreto interministeriale, previsto dall'articolo 9, comma 2, recante disposizioni attuative per l'istituzione, nell'ambito del corpo nazionale dei vigili del fuoco, del servizio antincendio boschivo e la sua articolazione in strutture centrali e territoriali. Nelle more questo dipartimento ha comunque adottato i provvedimenti necessari allo svolgimento delle attività previste dal citato decreto legislativo. In particolare, il personale del corpo forestale dello Stato effettivamente trasferito a questa amministrazione è stato inquadrato, con decreto 28 dicembre 2016, n. 3198, nei nuovi ruoli antincendi boschivi Aib ad esaurimento del Corpo nazionale del vigili del fuoco; inoltre, sin da gennaio, sono state attivate con l'Enac le procedure per il mantenimento delle condizioni di aeronavigabilità dei mezzi aerei transitati al corpo nazionale dalla forestale.
  Si soggiunge che, a seguito del trasferimento del personale aeronavigante del corpo forestale dello Stato, sono stati istituiti i nuovi reparti di volo di Cecina, Lametia Terme e Rieti. Non va poi sottaciuto che, al fine di garantire lo svolgimento dell'attività di indirizzamento degli interventi aerei, si è provveduto a formare quasi 800 unità di personale del corpo per l'esercizio della funzione di Direttore delle operazioni di spegnimento (D.o.s.).

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   dal 15 giugno all'11 luglio 2017 gli interventi realizzati dai vigili del fuoco sono stati 18.185, con una netta prevalenza di episodi nelle regioni del Centro e del Sud. Tra le regioni maggiormente colpite vi è la Campania dove, alla data del 12 luglio, su un totale di 445.274 ettari di boschi e foreste, sono stati incendiati 2.461 ettari: oltre 100 soltanto nell'area vesuviana;

   anche in Campania, gli incendi, ai quali si è aggiunta nelle ultime ore una vittima, non sono soltanto provocati dalle temperature elevate e dalla siccità, ma da azioni delittuose e della criminalità organizzata che sistematicamente approfittano del periodo per innescare roghi per loschi e speculativi affari;

   in Campania non bruciano soltanto boschi e terreni: gli incendi divampano anche tra i rifiuti delle discariche di Chiaiano, di Caivano, di Afragola, nei siti di smaltimento illegale di rifiuti come l'ex discarica di Pianura, nell'ex piattaforma per lo smaltimento di rifiuti speciali a Bellona. Senza dimenticare che negli incendi nel parco nazionale del Vesuvio stanno bruciando anche i rifiuti tossici interrati, rivelati dai camorristi pentiti. All'enorme danno ambientale si aggiunge quindi il rischio per la salute dei cittadini;

   in questo quadro, appaiono perciò agli interroganti incomprensibili e irresponsabili i ritardi della regione Campania sugli interventi per far fronte all'emergenza;

   soltanto il 4 luglio 2017 la regione ha emanato il decreto n. 33 «Dichiarazione dello stato di grave pericolosità per gli incendi boschivi anno 2017», con il quale ha reso noto «lo stato di grave pericolosità per gli incendi boschivi sull'intero territorio della regione Campania» dal 4 luglio al 30 settembre 2017, trasferendo le competenze alla protezione civile, senza però accompagnare il passaggio con un trasferimento di uomini e mezzi;

   tale data coincide con quella dell'ordinanza della Corte costituzionale che, in seguito alle modifiche apportate dalla regione, proprio il 4 luglio si pronunciata, dichiarando l'estinzione del processo sulla legge regionale campana n. 20 del 13 giugno 2016, «Norme per l'applicazione pianificata del fuoco prescritto», impugnata nel 2016 dal Governo pro tempore in quanto si riteneva che alcune disposizioni invadessero la potestà legislativa esclusiva statale. Il 12 luglio la pronuncia è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e nella stessa data, in piena emergenza incendi, la regione ha approvato il piano «AIB» (antincendi boschivi) 2017, partendo conseguentemente in ritardo con l'apposita convenzione con il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per lo svolgimento delle essenziali funzioni ad esso delegate;

   da fonti di stampa si apprende che il 5 luglio il direttore regionale dei vigili del fuoco della Campania, attraverso un documento ufficiale, avrebbe comunicato dell'indisponibilità della regione a stipulare una convenzione per il coinvolgimento dei vigili del fuoco nelle attività di lotta attiva e prevenzione degli incendi boschivi e, anzi, della richiesta da parte della regione di una collaborazione limitata al loro intervento solo in caso di pericolo per beni e persone. Notizie che sono state prontamente smentite dal presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se non ritenga opportuno verificare, per quanto di competenza, le cause, sul piano materiale e amministrativo, che hanno provocato la devastazione del territorio campano e la morte di un cittadino e messo a rischio la salute degli abitanti della regione Campania;

   quali elementi intenda fornire il Governo circa le motivazioni dei ritardi nell'affrontare tempestivamente l'emergenza incendi in Campania;

   se il Governo non ritenga urgente intervenire, per quanto di competenza, affinché siano messe in campo misure adeguate più incisive per prevenire i rischi, proteggere i cittadini e il patrimonio ambientale della Campania e di tutti i territori italiani maggiormente a rischio.
(4-17469)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in esame l'interrogante chiede che vengano messe in campo misure adeguate per prevenire i rischi dovuti agli incendi boschivi e proteggere altresì i cittadini e il patrimonio ambientale della Campania e degli altri territori che sono stati, nella passata stagione estiva, interessati da fenomeni di grande rilevanza e gravità. Come è noto, da un punto di vista generale, la legislazione di settore affida alle regioni la competenza primaria in materia di lotta attiva agli incendi boschivi, riservando allo Stato il solo concorso nell'attività di spegnimento. Questo assetto generale è stato confermato e rafforzato dalla legge quadro sugli incendi boschivi n. 353 del 2000, che ha, tra l'altro, attribuito alle regioni il compito di definire e programmare, mediante apposito «piano regionale», le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi.
  A seguito del trasferimento dei compiti del corpo forestale dello Stato, e al fine di prevenire, su tutto il territorio nazionale, eventuali disfunzioni operative in materia di lotta attiva agli incendi boschivi, sono state stipulate 15 convenzioni con le regioni che hanno manifestato un interesse in tal senso, tra cui la regione Campania. Tali strumenti, oltre a prevedere diverse forme di collaborazione, consentono di implementare ulteriormente i dispositivi di lotta a terra agli incendi boschivi, grazie alla previsione di squadre del corpo dei vigili del fuoco all'uopo dedicate.
  In particolare, la convenzione stipulata il 14 luglio 2017 con la regione Campania, prevede, tra l'altro, nel periodo di maggior esposizione al rischio incendi, un incremento dell'operatività, attraverso la predisposizione di 8 squadre Aib dedicate, aumentabili, in caso di particolari necessità, fino a 10. Inoltre, al fine di implementare il dispositivo di intervento a terra, nella maggior parte dei comandi provinciali del corpo di quella regione sono stati effettuati richiami di personale in turno libero e raddoppi di personale.
  Da un punto di vista generale, va specificato come la campagna antincendi boschivi Aib della scorsa estate, anche in virtù delle peculiari condizioni climatiche e del perdurante stato di siccità, si sia caratterizzata per un'eccezionale intensità del fenomeno, facendo registrare, rispetto al
trend degli ultimi anni, un notevole aumento degli incendi boschivi.
  Basti pensare, al riguardo, che il solo corpo nazionale dei vigili del fuoco dal 15 giugno sino allo scorso 18 settembre 2017 ha effettuato 98.401 interventi a terra (nell'intero anno 2016 sono stati in tutto 73.043, 68.651 nel 2015); nel medesimo periodo, inoltre, sono stati svolti 2.218 interventi da parte del entro operativo aereo unificato (Coau) per l'impiego di mezzi aerei della flotta statale.
  Si segnala inoltre che le regioni, per le operazioni di spegnimento dall'alto, possono avvalersi, in tutto o in parte, di una propria flotta, anche ricorrendo a società esterne, ovvero richiedere, qualora necessario, il concorso dello Stato. In tal senso, va ricordato che il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri è chiamato, attraverso il centro operativo aereo unificato (Coau) ad assicurare, grazie ad un coordinamento nazionale, «le attività aeree di spegnimento con la flotta aerea antincendio dello Stato».
  Si evidenzia pure che, per le specifiche esigenze dell'Italia meridionale e centrale, sono state quotidianamente impegnate 3.400 unità di personale del Corpo, di cui 800 grazie ad un apposita implementazione degli ordinari dispositivi. In particolare, giornalmente, in tali aree territoriali sono state mediamente operative circa 450 squadre di terra, anche grazie al pronto trasferimento di 24 squadre in assetto antincendio boschivo provenienti da alcune regioni del centro-nord allo stato non interessate dalle richiamate criticità.
  Nello specifico, per quanto attiene agli interventi effettuati nella regione Campania dal corpo nazionale dei vigili del fuoco, si rappresenta che dalla data del 15 giugno sino al 18 settembre 2017 sono stati più di 14.215 interventi a terra. Nel medesimo arco temporale sono state attivate dal centro operativo aereo unificato (Coau) 359 schede Coau, con un impiego in 330 casi dei canadair.

  Nel territorio campano sono stati dislocati, altresì, tre elicotteri del Corpo nazionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   MANFREDI e TARTAGLIONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'industria aeronautica italiana costituisce uno dei settori fondamentali dell'assetto economico e produttivo italiano;

   Atitech Manufacturing srl, controllata da Manutenzioni Aeronautiche srl, in data 1o giugno 2015, ha rilevato il ramo di azienda di Alenia/Finmeccanica di Capodichino Nord, dedicato alla costruzione e realizzazione di modifiche speciali ed alla manutenzione di aeromobili regionali (ATR 42/72), dopo la stipula di un accordo, in data 27 maggio 2015, presso la sede dell'Unione degli industriali di Roma, tra Alenia Aermacchi SpA, Atitech e le organizzazioni sindacali metalmeccaniche;

   il numero di lavoratori interessati a tale accordo era di 178 (oggi 177) ed in esso, fu sancito un piano industriale 2016 –2020, che prevedeva: un livello di investimenti, pari a 12 milioni di euro finalizzati al ripristino funzionale delle facilities; la qualificazione del personale; di garantire non solo la continuità occupazionale, ma di incrementarne progressivamente i livelli; l'impegno da parte dell'azienda di non ricorrere, per l'arco temporale di realizzazione del piano industriale, alla cassa integrazione per il personale oggetto della cessione ed, inoltre, vi era una clausola di salvaguardia nella quale si affermava: «Nell'ipotesi in cui dovessero sopravvivere condizioni di cessazioni collettive del rapporto di lavoro, per i dipendenti oggetto della cessione del ramo, anche successivamente alla fusione per incorporazione di Atitech Manifacturing, FinmeccanicaAlenia si impegna ad attivare un tavolo per verificare le più adeguate risposte organizzative per la salvaguardia degli aspetti occupazionali in Aziende del Gruppo in Area Campana»;

   l'Atitech Manifacturing srl, dopo più di due anni dalla firma dell'accordo, che non prevedeva l'utilizzo degli ammortizzatori sociali, ha aperto la procedura di cassa integrazione straordinaria per i 177 lavoratori, i quali hanno ricevuto in data 21 giugno 2017 comunicazione del provvedimento adottato, mediante telegramma;

   i lavoratori dell'Atitech Manifacturing srl, dopo il ricevimento della comunicazione della cassa integrazione sono in presidio permanente, presso lo stabilimento di Napoli, sito in Via Tempio Nuovo 20 –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda intraprendere in virtù del fatto che la cassa integrazione straordinaria non costituisce alcuna prospettiva industriale ed occupazionale e che il sito produttivo è di fondamentale importanza per lo sviluppo del settore aerospaziale in Campania che rappresenta una vera e propria eccellenza nel panorama industriale.
(4-17176)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in esame – inerente alla situazione produttiva e occupazionale dei lavoratori dell'impresa Atitech Manufacturing srl, avente sede legale e operativa in Napoli e operante nel settore della manutenzione e revisione dei velivoli – si rappresenta quanto segue.
  In data 27 maggio 2015, presso la sede dell'Unione degli industriali e delle imprese di Roma, è stato sottoscritto un accordo tra la società Alenia Aermacchi s.p.a. – facente parte del gruppo Finmeccanica (ora Leonardo spa) – e la società Atitech spa per la cessione in favore della neo-costituita Atitech Manufacturing srl di un ramo di azienda (di proprietà di Alenia Aermacchi s.p.a.). Il ramo di azienda, in particolare, era costituito dallo stabilimento produttivo sito nell'area aeroportuale di Capodichino Nord (Napoli) con i relativi impianti e attrezzature e 178 unità lavorative ivi impiegate.
  Nell'ambito dell'accordo, inoltre, la cessionaria Atitech Manufacturing srl si impegnava a incrementare l'organico, a mantenere gli attuali livelli retributivi e a non ricorrere al trattamento di integrazione salariale per il personale oggetto della cessione.
  Inoltre, nell'ipotesi in cui dovessero sopraggiungere condizioni di cessazioni collettive del rapporto di lavoro per il personale oggetto della cessione, Alenia Aermacchi s.p.a. si impegnava «ad attivare un tavolo per verificare le più adeguate risposte organizzative per la salvaguardia degli aspetti occupazionali in aziende del gruppo in area campana».
  L'accordo del 27 maggio 2015 si poneva in linea sia con l'obiettivo di sostenere lo sviluppo, nell'area di Capodichino, di un polo di manutenzione e revisione di aeromobili sia con le direttrici strategiche definite dal piano industriale sviluppato da Atitech Manifacturing srl per il periodo dal 2016 al 2020. Tale piano ha previsto, in particolare, l'incremento delle capacità di intervento di Atitech Manifacturing srl a seguito dell'acquisizione del sito di Capodichino Nord, l'ampliamento dell'offerta dei servizi anche alle attività di manutenzione dei velivoli «a lungo raggio» e la riqualificazione del personale interessato dalla cessione.
  Tuttavia, il mancato trasferimento, per difformità logistiche strutturali, del sito di Capodichino Nord dalla società Leonardo spa ad Atithec Manifacturing srl, unitamente ai mutati scenari di mercato, hanno indotto Atitech Manifacturing srl a procedere ad un sostanziale cambiamento organizzativo. Pertanto – con accordo sottoscritto presso la regione Campania il 19 giugno 2017 – Atitech Manifacturing srl ha presentato un programma di riorganizzazione aziendale che prevede: la riqualificazione delle infrastrutture per effettuare attività di manutenzione su velivoli di medio e lungo raggio; la riorganizzazione delle attività operative di hangar con personale adeguatamente formato; la riorganizzazione dei processi di supporto della produzione con aggiornamento dei sistemi ICT; l'insediamento di un centro di produzione a sostegno delle attività legate alla manutenzione dei velivoli e un programma di formazione e addestramento del personale necessario all'acquisizione di nuove
capability;
  il programma di riorganizzazione presentato da Atitech Manifacturing srl – avente decorrenza dal 22 giugno 2017 al 21 giugno 2019 (24 mesi) – ha altresì previsto la sospensione di un numero massimo di 178 lavoratori, pari all'intero organico allora in forza presso la medesima società, con conseguente ricorso al trattamento straordinario di integrazione salariale (CIGS), ai sensi dell'articolo 21, comma 1, lettera
a) del decreto legislativo n. 148 del 2015. Conseguentemente, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – con decreto direttoriale n. 100023 del 21 settembre 2017 – ha provveduto all'approvazione del programma, autorizzando nel contempo la corresponsione – per il periodo dal 22 giugno 2017 al 21 giugno 2019 – del trattamento di CIGS per un numero massimo di 178 lavoratori impiegati presso Atitech Manifacturing srl.
  Alla luce dell'attivazione dello strumento degli ammortizzatori sociali e dei potenziali impatti sociali per i lavoratori, Leonardo spa ha attivato un tavolo di confronto con Atitech Manufactoring srl e le rappresentanze sindacali dei lavoratori al fine di verificare le più adeguate risposte organizzative per la salvaguardia degli aspetti occupazionali. In siffatto contesto, il 31 luglio 2017, i vertici aziendali di Leonardo e di Atitech Manufacturing srl e le principali sigle sindacali hanno sottoscritto un accordo con il quale Leonardo spa si è impegnata a ricollocare, entro 15 mesi, i 178 lavoratori impiegati nel ramo d'azienda ceduto. Tali lavoratori, in particolare, saranno considerati quale bacino prioritario di assorbimento per le esigenze che dovessero emergere nei siti di Leonardo in Campania, ferma restando la necessità di una coerenza tra il profilo professionale richiesto e il profilo disponibile o riconvertibile mediante interventi formativi mirati.
  In conclusione, si rappresenta che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali continuerà a monitorare i futuri sviluppi della vicenda al fine di esaminare eventuali criticità, tenuto anche conto degli istituti di tutela finora attivati.

La Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Franca Biondelli.


   MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il presidente della regione siciliana, Rosario Crocetta, in data 7 giugno 2016 ha firmato l'ordinanza n. 5/Rif avente come oggetto «Ricorso temporaneo ad una forma speciale di gestione dei rifiuti nel territorio della Regione siciliana nelle more del rientro in ordinario della gestione del ciclo integrato dei rifiuti»;

   l'ordinanza n. 5/Rif è un provvedimento ai sensi dell'articolo 191, comma 4, del decreto-legge n. 152 del 2006 ossia con prescrizioni e di intesa con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che è tenuto a vigilare sulle prescrizioni e, soprattutto, sul rispetto dei tempi dettati dall'ordinanza;

   l'articolo 2, comma 1, della ordinanza n. 5/Rif elenca una serie di azioni che il dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti deve ovvero doveva provvedere, inderogabilmente entro 7 giorni lavorativi dalla entrata in vigore dell'ordinanza, a porre in essere;

   l'articolo 2, comma 2, prevede che l'aggiornamento del piano di gestione dei rifiuti della regione siciliana dovrà concludersi entro il 30 agosto 2016;

   l'articolo 2, comma 3, prevede come l'assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità dovrà presente inderogabilmente entro 15 giugno 2016 un disegno di legge che determini una totale riorganizzazione della governance regionale dei rifiuti attraverso una drastica riduzione degli ambiti territoriali, prevedendo ambiti territoriali di affidamento di dimensione ultraprovinciale;

   l'articolo 2, comma 8, della ordinanza n. 5/Rif prevede come il dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti dovrà in mediatamente attivare tutto quanto necessario, al fine di pervenire, entro 30 giorni dalla adozione della presente ordinanza, alla stipula da parte del presidente della regione siciliana di specifici accordi con i presidenti delle altre regioni che si rendano disponibili a ricevere i rifiuti raccolti sul territorio della regione siciliana nelle more dell'espletamento delle procedure di gara, da concludersi entro il 30 agosto 2016, per l'invio fuori regione dei rifiuti in modo da garantire il rientro progressivo, e comunque totale al termine del regime straordinario operante per effetto della presente ordinanza, nei limiti ordinari di capacità dei singoli impianti di trattamento;

   l'articolo 3 dell'ordinanza n. 5/Rif disciplina le azioni per l'incremento della raccolta differenziata prevedendo precisi crono programmi sia per i comuni che per la regione siciliana; ad esempio, al comma 8, lettera a), si dispone come i sindaci dei comuni della regione siciliana siano obbligati ad attivare, entro dieci giorni dalla emissione della ordinanza ogni azione utile per incrementare le percentuali di raccolta differenziata che dovrà determinare, allo scadere del primo trimestre dall'avvio, quindi entro il 30 agosto 2016, un incremento della percentuale di raccolta differenziata di almeno 3 punti percentuali rispetto al dato Ispra/Arpa Sicilia relativo all'anno 2015 e allo scadere del secondo trimestre almeno di ulteriori 3 punti percentuali entro il 30 novembre 2016;

   quasi tutta l'ordinanza n. 5/Rif prevede un crono programma di azioni da porre in essere da parte della regione siciliana con la supervisione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che è tenuto a vigilare sulle prescrizioni e, soprattutto, sul rispetto dei tempi dettati dall'ordinanza –:

   quale sia il puntuale stato di attuazione delle misure di cui in premessa ovvero quale siano le iniziative messe in campo dalla regione siciliana come previsto e prescritto dall'ordinanza contingibile ed urgente n. 5/Rif firmata dal presidente Rosario Crocetta in accordo con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai sensi dell'articolo 191, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
(4-14952)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa alla situazione della gestione dei rifiuti in Sicilia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Con nota del 5 maggio 2016, il presidente della regione siciliana ha comunicato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la situazione di emergenza del settore rifiuti alla quale sarebbe andata incontro la regione stessa qualora non avesse potuto reiterare gli effetti delle ordinanze contingibili e urgenti, senza le cui misure straordinarie, circa 3.000 tonnellate, delle 6.000 tonnellate di rifiuti prodotti al giorno, non avrebbero trovato impianti di smaltimento disponibili in regione.
  Alla luce di ciò, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota del 31 maggio 2016, ha inviato alla regione le prescrizioni tecniche che avrebbe dovuto contenere l'ordinanza per aspirare al rilascio dell'intesa ai sensi dell'articolo 191, comma 4 del codice dell'ambiente, nonché le condizioni che avrebbero dovuto essere adempiute per il permanere della medesima.
  Le prescrizioni contenute nella citata nota non solo stabilivano le condizioni tecniche per le quali sarebbe stato possibile il reitero dell'ordinanza, ma chiedevano anche alla regione un impegno concreto per il riassetto della
governance regionale, tenendo conto anche delle diffide della Presidenza del Consiglio dei ministri del 7 agosto 2015, nelle quali veniva richiesto alla regione di procedere immediatamente alla riperimetrazione delle ATO.
  In data 7 giugno 2016, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha concesso l'intesa ai sensi del citato comma 4, dell'articolo 191, sull'ordinanza n. 5 del 7 giugno 2016 del Presidente della regione. Nell'ordinanza sono contenute le misure straordinarie per la gestione dei rifiuti, conformemente alle prescrizioni ministeriali, nel rispetto della normativa comunitaria, ed un fitto programma di impegni ed azioni che la regione è chiamata a mettere in atto nei 6 mesi di validità del provvedimento. Eventuali inadempienze determinano il venir meno dell'Intesa.
  In particolare, le principali azioni che la regione avrebbe dovuto mettere in atto sono:

   approvazione del disegno di legge di riorganizzazione della governance regionale in giunta regionale e successiva approvazione della legge da parte dell'ARS;

   presentazione di un programma di azioni per l'immediata realizzazione della rete impiantistica in grado di trattare i rifiuti prodotti in Regione nel rispetto della normativa europea;

   aggiornamento del piano di gestione dei rifiuti per adeguarlo alle prescrizioni dell'emanando decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, redatto ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014;

   attivazione della raccolta differenziata in tutti i comuni della regione ed in particolare nelle aree metropolitane, con l'obiettivo di incrementare la raccolta differenziata di un punto percentuale al mese;

   attivazione delle misure necessarie al corretto pretrattamento dei rifiuti indifferenziati prima del loro invio allo smaltimento;

   stipula di accordi regionali per lo smaltimento/recupero dei rifiuti in altre regioni;

   procedure di gara internazionali per lo smaltimento/recupero dei rifiuti in altri Stati membri o in altre regioni.

  Le attività poste in essere in questi mesi dalla regione sono state volte a porre rimedio a alcune gravi questioni irrisolte da anni. In particolare, dalla attuazione dell'ordinanza n. 5/rif sono derivati i seguenti effetti positivi, che meritano di essere valorizzati:

   a) pretrattamento del rifiuto prima dello smaltimento in discarica grazie alla installazione degli impianti mobili;

   b) adozione di un cronoprogramma concreto degli interventi necessari al rientro ad un regime ordinario di gestione dei rifiuti;

   c) attivazione di un Ufficio per il coordinamento delle attività sulla raccolta differenziata;

   d) approvazione in giunta e presentazione all'assemblea regionale siciliana di un disegno di legge che provvede alla riorganizzazione della governance regionale nel settore in conformità ai principi posti dalla legislazione statale;

   e) presentazione di una proposta di aggiornamento del Prgru in conformità ai contenuti del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014 e di prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale;

   f) avvio dei lavori per la realizzazione delle piattaforme integrate di Enna e Gela;

   g) avvio dei procedimenti di rilascio delle autorizzazioni e di modifica delle stesse per la realizzazione di nuove capacità per il trattamento dei rifiuti;

   h) incremento della percentuale di raccolta differenziata, stimata dalla regione in circa il 20 per cento per il 2016 (dati in corso di certificazione da parte dell'ARPA regionale).

  In considerazione della situazione esistente nella Regione, che continua a necessitare di misure straordinarie, nonché dell'attività comunque posta in essere dall'amministrazione regionale, che ha consentito di tamponare gli aspetti più gravi della situazione emergenziale e vista la richiesta di reitera dell'intesa che la regione, con la nota del 25 novembre 2016, ha trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto di poter rilasciare l'intesa su una nuova ordinanza, la 26/Rif del 1° dicembre 2016, sottesa al rispetto delle prescrizioni contenute nella propria nota del 1° dicembre 2016. La nuova ordinanza, alla luce dei progressi e dei risultati ottenuti nei sei mesi di vigenza dell'ordinanza 5/Rif fa ricorso ad un numero di misure contingibili e urgenti inferiori rispetto alle precedenti.
  Ad ogni modo, come previsto all'articolo 6 dell'ordinanza 26/Rif, si fa presente che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continua a svolgere un'attività di monitoraggio sulle azioni poste in essere dalla regione siciliana.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la normativa di riferimento in materia di trattamento dei reflui è la direttiva 91/271/CEE recepita dall'Italia con il decreto legislativo n. 152 del 2006 (e successive modificazioni e integrazioni, cosiddetto codice dell'ambiente);

   la direttiva prevede che tutti gli agglomerati con carico generato maggiore di 2.000 abitanti equivalenti (a.e.) siano forniti di adeguati sistemi di reti fognarie e trattamento delle acque reflue, secondo precise scadenze temporali, ormai già passate, in funzione del numero degli abitanti equivalenti e dell'area di scarico delle acque (area normale o area sensibile);

   per le inadempienze nell'attuazione della direttiva l'Italia ha già subito due condanne da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea, la C565-10 (procedura 2004-2034) e la C85-13 (procedura 2009-2034) e l'avvio di una nuova procedura di infrazione (procedura 2014-2059);

   la procedura di infrazione 2014-2059, concernente «attuazione della direttiva 1991/271/CEE relativa al trattamento delle acque reflue urbane», riguarda anche l'agglomerato di Maratea, giacché sulla base delle informazioni disponibili, questo agglomerato risulta non conforme all'articolo 4, in quanto non è stato dimostrato che tutto il carico prodotto (a.e.) riceve un adeguato trattamento secondario;

   durante la stagione estiva appena conclusa ossia nei mesi di luglio ed agosto 2017, nel mare di Maratea presso la località di Fiumicello si sono verificati continui fenomeni di inquinamento presumibilmente determinati dalla mancata depurazione delle acque reflue, ovvero da scarichi abusivi; infatti, tutti i giorni nelle acque di balneazione erano presenti schiuma, plastiche e altro materiale galleggiante non meglio identificabile;

   l'inquinamento sopra esposto ha causato non pochi malesseri intestinali soprattutto tra i bagnanti di minore età –:

   quale sia lo stato degli interventi di adeguamento alla normativa riguardanti l'agglomerato di Maratea oggetto della procedura di infrazione 2014-2059;

   quali iniziative, anche per il tramite del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, intenda intraprendere per accertarsi che i fatti descritti in premessa non siano determinati dalla mancata depurazione delle acque reflue ovvero da scarichi abusivi.
(4-17693)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle procedure di infrazione in materia di acque reflue urbane e, in particolare, all'agglomerato di Maratea (regione Basilicata) oggetto di contenzioso, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dalla regione Basilicata, si rappresenta quanto segue.
  Premesso che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è impegnato costantemente e con la massima attenzione a vigilare e ad intraprendere e portare avanti tutte le azioni di competenza volte alla risoluzione delle problematiche nel settore fognario depurativo ancora presenti nel territorio nazionale, attraverso iniziative di carattere economico-normativo, è necessario innanzitutto evidenziare che la depurazione si inserisce nel processo verticale del servizio idrico integrato (S.I.I.) composto appunto da acquedotto, fognatura e depurazione e che la normativa di settore, in particolare l'articolo 149, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, affida agli enti di governo d'ambito – in sede di predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito – il compito di condurre le seguenti attività:

   ricognizione delle infrastrutture;

   programmazione degli interventi;

   redazione del piano economico finanziario.

   La corretta gestione del S.I.I., secondo le norme vigenti, prevede una struttura decisionale locale che fa capo agli enti di governo d'ambito cui spetta la scelta del modello organizzativo del S.I.I., la pianificazione degli interventi necessari a fornire un servizio di qualità, la redazione del piano economico e finanziario della gestione e l'affidamento del servizio ad un gestore unico, oltre che il controllo e la vigilanza sulla gestione.
   Per quanto riguarda il coinvolgimento della regione Basilicata nel contenzioso comunitario – procedura d'infrazione n. 2014/2059 – e, in particolare, la situazione relativa all'agglomerato di Maratea, si forniscono i seguenti elementi.
   La regione Basilicata, che ha complessivi 40 agglomerati interessati dalla procedura di infrazione n. 2014/2059 tra cui, appunto, l'agglomerato di Maratea, ha programmato e messo in campo diverse azioni amministrative al fine di finanziare ed accelerare la realizzazione di un piano di interventi per l'adeguamento dei sistemi di collettamento e depurazione regionali, dando priorità alla risoluzione degli agglomerati oggetto di contenzioso.
   In particolare, sono stati previsti:

   n. 19 interventi prioritari, relativi ad agglomerati finalizzati al superamento delle procedure di infrazione nel settore fognario e depurativo, per un importo di euro 34.447.817,00 così ripartiti: n. 10 interventi per un importo di euro 26.628.750,00 da finanziare sull'azione 6B.6.3.1 del programma operativo Fondo europeo per lo sviluppo regionale Basilicata 2014-2020; n. 9 interventi per un importo di euro 7.819.067,00 da finanziare sui fondi FSC 2014/2020 assegnati con delibera CIPE 26/2016 nell'ambito del settore prioritario ambiente del patto per lo sviluppo della regione Basilicata, intervento strategico n. 10 – risorse idriche – collettamento e depurazione, biennio 2016-2017;

   n. 5 interventi, relativi ad agglomerati, non in procedura di infrazione ma con criticità sopraggiunte, per un importo di euro 2.150.000,00 da finanziare, avendo dato copertura a tutti gli interventi prioritari relativi ad agglomerati in procedura di infrazione, sui fondi FSC 2014/2020 assegnati con delibera CIPE 26/2016 nell'ambito del settore prioritario ambiente del patto per lo sviluppo della regione Basilicata, intervento strategico n. 10 – risorse idriche – collettamento e depurazione, biennio 2016-2017.

  È stato, inoltre, sottoscritto tra la regione Basilicata, il beneficiario Ente di governo per i rifiuti e le risorse idriche e l'ente attuatore degli interventi Acquedotto Lucano s.r.l. un «Accordo di Programma per l'attuazione di un programma di interventi in materia di collettamento e depurazione finalizzati prioritariamente alla risoluzione della procedura di infrazione n. 2014/2059», predisposto al fine di definire il programma degli interventi, il coordinamento delle azioni con i soggetti beneficiario ed attuatore, i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento per l'attuazione tempestiva degli interventi previsti.
  Nell'ambito della procedura negoziata sono stati inoltre ulteriormente selezionati:

   9 interventi prioritari, relativi ad agglomerati ricompresi nella procedura di infrazione, per un importo di euro 14.780.500,00, da finanziarsi sul piano operativo nazionale ambiente – FSC 2014-2020 (fondi nazionali) in esito alla richiesta del 23 novembre 2016 della competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per i quali si applicheranno le regole dell'accordo suddetto non appena sarà ultimata la delibera CIPE di ammissione a finanziamento;

   36 interventi, compresi nel piano pluriennale degli interventi del servizio idrico integrato, relativi ad agglomerati non in procedura di infrazione ma prioritari per l'efficientamento del S.I.I. per un importo complessivo di venticinque milioni di euro, da finanziare sui fondi FSC 2014/2020 – intervento strategico n. 10 – risorse idriche – collettamento e depurazione per il triennio 2018-2020, le cui schede sono state approvate con delibera della giunta regionale n. 227 del 17 marzo 2017 e che saranno oggetto di successiva proposta di ammissione a finanziamento.

  Nel caso specifico, l'agglomerato di Maratea ha un carico generato pari a 10.600 abitanti equivalenti. Il 98 per cento dei reflui è raccolto in reti fognarie e il 2 per cento è raccolto e trattato presso sistemi individuali. Il carico raccolto in reti fognarie è trattato presso due impianti di depurazione, uno in località Massa ed uno in località Ogliastro.
  I reflui della località Fiumicello di Maratea confluiscono nell'impianto di depurazione di Ogliastro.
  La regione Basilicata considera l'agglomerato di Maratea un agglomerato con «raggiunta conformità strutturale» ai requisiti della normativa nazionale decreto legislativo n. 152 del 2006) e comunitaria (91/271/CEE) in materia, intendendo con tale dicitura che «la stessa (n.d.r. raggiunta conformità strutturale) è garantita dal rispetto dei
Report analitici ai limiti e non al numero previsti dalla normativa di settore vigente e dall'allegato 1 della Direttiva 91 /271 / CEE». La regione si è impegnata a trasmettere, appena disponibili, analisi di controllo, per entrambi gli impianti, nel numero richiesto (12 campionamenti annui).
  Sono 9.699 gli abitanti equivalenti trattati presso l'impianto di Ogliastro, che ha una capacità organica di progetto pari a 30.900 a.e. L'impianto ha un trattamento secondario e valori limite di emissione (VLE) agli scarichi conformi ai requisiti della normativa, anche se, come sopra evidenziato, tale valutazione si basa su un numero di analisi annue inferiore a quanto richiesto.
  L'impianto di depurazione in località Massa – 689 abitanti equivalenti trattati, capacità organica di progetto pari a 1.000 a.e. – verrà dismesso a conclusione dell'intervento inserito nell'addendum dell'accordo di programma quadro risorse idriche (APQ-RJ) «Adeguamento reti fognarie del comune di Maratea», poiché i reflui diretti a detto depuratore, a conclusione dell'intervento succitato, verranno convogliati all'impianto di Ogliastro.
  I lavori di collettamento all'impianto di Ogliastro e di dismissione del vecchio impianto, finanziati con delibera CIPE 84/00 per euro 6.197.482,78, sono stati aggiudicati in data 8 aprile 2013. A seguito di detta aggiudicazione è stata riscontrata la necessità da parte del gestore di apportare, propedeuticamente alla stipula del contratto, una variante di localizzazione dell'impianto di sollevamento, a causa dell'indisponibilità dell'area inizialmente prescelta, che nel frattempo era stata destinata dal comune stesso ad una centralina idroelettrica.
  Al fine di provvedere alla delocalizzazione dell'impianto è stata indetta una conferenza di servizi, alla quale partecipa comune di Maratea, iniziata in data 26 maggio 2015 e tuttora in corso.
  I lavori avranno inizio al termine di detta conferenza, a fronte della quale ente attuatore potrà procedere alla stipula del contratto.
  Sarà cura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per quanto di competenza, continuare a svolgere la propria attività di monitoraggio, mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione e a fornire ulteriori elementi di risposta non appena perverranno aggiornamenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MAROTTA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   da alcune settimane nell'ufficio postale di Centola-Palinuro il personale è ridotto a due soli impiegati, obbligando i cittadini a code defatiganti;

   il comune non ha ricevuto notizia di riduzione del numero dei dipendenti dell'ufficio postale: si teme che il personale a sportello sia stato ridotto per decisioni autonoma di Poste Italiane spa. Giova ricordare che l'articolo 5, comma 1, della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), n. 342/14/CONS, ha previsto l'obbligo di notifica preventiva delle modifiche agli assetti organizzativi ai sindaci dei comuni interessati, almeno 60 giorni prima della data prevista di attuazione dell'intervento;

   Poste italiane è una società per azioni a partecipazione pubblica e i diritti dell'azionista sono esercitati dal Ministero dell'economia e delle finanze. Il piano industriale 2015-2019 di Poste italiane ha previsto un notevole ridimensionamento del servizio, da sostituire con tecnologie telematiche non sempre utilizzabili nelle aree marginali del Paese o dalle fasce anziane della popolazione. Il servizio postale universale è affidato a Poste italiane spa fino al 30 aprile 2026;

   il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive, all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta annualmente all'Agcom l'elenco degli uffici postali che non garantiscono condizioni di equilibrio economico;

   Centola-Palinuro è un comune di circa 5.200 abitanti, un numero tale da garantire le suddette «condizioni di equilibrio economico» in qualsiasi periodo dell'anno; Centola Palinuro, in qualità di comune turistico noto in tutto il mondo, nel periodo estivo vede aumentare la sua popolazione fino a 70.000 abitanti;

   i trend turistici del Cilento per i prossimi anni presentano due aspetti positivi: da un lato, si prevede l'incremento delle presenze, con percentuali decisamente superiori a quelle nazionali (+13 per cento, rispetto al +5 per cento nazionale nel 2016); dall'altro, la regione e gli enti locali stanno perseguendo una politica di destagionalizzazione (collegamenti aerei tramite l'aeroporto di Salerno, migliori trasporti ferroviari e marittimi – Metro del mare, offerte su accoglienza, creazione di itinerari naturalistici, ciclistici, culturali ed enogastronomici) che sta creando una presenza turistica anche al di fuori dei mesi estivi centrali. A Pasqua del 2017 si è verificato in Cilento un boom di presenze trainato soprattutto dai turisti stranieri (+2,8 per cento);

   tutto ciò premesso, appare assolutamente necessario che un servizio essenziale come quello postale (che oggi incorpora anche taluni servizi finanziari) debba essere assicurato in termini di assoluta efficienza nel Cilento e nel comune di Centola Palinuro in particolare, sia perché è un atto dovuto da parte di Poste italiane, sia perché l'inefficienza di questo servizio si riflette sull'immagine pubblica dei comuni a cui tale servizio è sottratto o ridotto;

   tale impostazione è confermata dal fatto che nella fase di definizione del contratto di programma tra Ministero e Poste, si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la precedente prospettiva, incentrata sulla «razionalizzazione», sulla base dell'assunto che la capillarità della presenza di Poste italiane non debba essere considerata più un onere bensì un asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura o riduzione di presenza, per quanto giustificata dall'equilibrio economico, impoverirebbe un asset della società; in particolare, all'articolo 5, comma 5, del citato contratto, Poste italiane si è impegnata a ricercare ogni possibilità di potenziamento dei servizi, anche mediante accordi con le regioni e gli enti locali –:

   di quali iniziative il Governo intenda farsi promotore, per quanto di competenza, con riferimento alla vicenda esposta in premessa, al fine di alleviare il disagio e il danno che produce il susseguirsi di misure di ridimensionamento dei servizi da parte di Poste Italiane.
(4-17825)

  Risposta. — In via preliminare, rilevo che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per effetto del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
  Spetta all'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, lettera
c) e lettera e) del decreto legislativo n. 261 del 1999, rispettivamente la «adozione di provvedimenti regolatori in materia di qualità e caratteristiche del servizio postale universale» e lo «svolgimento, anche attraverso soggetti terzi, dell'attività di monitoraggio, controllo e verifica del rispetto di standard di qualità del servizio postale universale».
  Con particolare riferimento alle modalità di consegna, il nuovo modello di recapito a giorni alterni (previsto dal decreto legislativo n. 261 del 1999 di derivazione comunitaria) è stato autorizzato dall'Agcom con delibera 395/15/CONS e prevede la sua graduale implementazione, articolata in tre fasi successive, in quei comuni in cui ricorrano particolari situazioni di natura infrastrutturale o geografica.
  Rammento che la predetta delibera è intervenuta a seguito delle modifiche introdotte dal Parlamento, nell'ambito della legge di stabilità 2015, al quadro normativo relativo al servizio postale universale, riguardanti anche le modalità di recapito e tese a bilanciare la sostenibilità economica dell'onere del servizio universale con le mutate esigenze degli utenti.
  In attuazione della citata delibera, a partire dal mese di febbraio 2018, termine di attuazione di tale modello di consegna, l'Agcom, in base alle criticità riscontrate e alla coerenza dei risultati raggiunti con il piano industriale aziendale, ha la facoltà di valutare la sussistenza delle condizioni per prorogarne l'autorizzazione.
  Il Ministero è in più occasioni intervenuto, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, affinché ogni intervento di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
  Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale».
  La nuova impostazione si basa, come anche rilevato dall'interrogante, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un
asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5, comma 5, del contratto di programma, Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come estrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative.
  In particolare, Poste dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'autorità entro l'inizio di ogni anno di riferimento.
  Nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, Poste dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale.
  Al fine di seguire direttamente il nuovo processo di interazione tra gli enti locali e Poste italiane, il Ministero ha inviato, nel corso del 2016, una lettera a tutti i presidenti delle regioni italiane, cui è demandato il compito di promuovere le suddette iniziative, invitando ad attivarsi, con sollecitudine, affinché siano tutelati i diritti dei cittadini soprattutto nelle zone maggiormente svantaggiate.
  Il Ministero dello sviluppo economico continuerà a prestare la massima attenzione alla concertazione con i rappresentanti degli enti locali, nell'ambito delle problematiche in discussione.
  Per quanto attiene, nello specifico, all'ufficio postale «Centola» nel comune di Palinuro, la società Poste italiane ha rappresentato che esso è operativo (con orario antimeridiano) 6 giorni a settimana ed è dotato di sportello automatico Atm attivo 24 ore; inoltre, nel medesimo comune sono operativi altri 4 uffici postali: Centola, aperto anch'esso 6 giorni a settimana in modalità monoturno e dotato di sportello automatico Atm attivo 24 ore, San Nicola di Centola, San Severino di Centola e Foria, aperti 2 giorni a settimana.
  La società ha evidenziato che l'offerta di servizi nei termini descritti risulta idonea a soddisfare la domanda media della clientela, rilevando che l'obbligo di notifica ai sindaci delle modifiche degli assetti organizzativi di cui alla delibera 342/14/CONS è riferito agli interventi definitivi di chiusura o rimodulazione oraria degli uffici, e non riguarda gli assetti organizzativi e gestionali degli stessi, che la stessa società dispone nell'ambito della propria autonomia gestionale.
  L'Agcom ha segnalato che nell'ambito del piano di razionalizzazione per l'anno 2017 presentato dalla società Poste italiane si è tenuto conto della portata innovativa del contratto di programma 2015-19, sottoscritto tra il Ministero dello sviluppo economico e la società, riposizionando gli interventi, diversamente dagli anni passati, in ambiti territoriali medio/grandi, nei quali è possibile realizzare efficienze di gestione, riequilibrando l'offerta del servizio all'effettiva domanda. Il piano in discorso individua, come riferisce l'autorità, un elenco di uffici postali potenzialmente interessati da interventi di razionalizzazione, tuttavia l'effettiva implementazione degli stessi è subordinata agli esiti delle interlocuzioni con gli enti locali.
  L'autorità infine rappresenta che è stata rafforzata l'interlocuzione con le Istituzioni da parte della società attraverso l'avvio di specifici tavoli di confronto con gli enti locali, all'esito dei quali la società ha assunto l'impegno a non procedere alla chiusura di uffici postali in comuni al di sotto dei 5.000 abitanti.
  Ritengo che il tema complessivo dell'organizzazione del servizio di recapito vada oggi considerato nella prospettiva delle valutazioni che saranno svolte, nell'ambito del nuovo piano industriale, da parte del
management recentemente insediato alla guida della società, che risulta orientato ad avviare un'analisi e riflessione focalizzata su vari campi di attività della società, incluso il servizio di recapito e la logistica, con l'obiettivo di rafforzarne l'efficienza e di recuperare competitività.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonello Giacomelli.


   MARZANA, D'UVA, VACCA, BRESCIA, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, CHIMIENTI e CANCELLERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con delibera Cipe n. 112/2012, il Ministero dell'interno è stato individuato quale amministrazione responsabile del Programma nazionale servizi di cura con una dotazione finanziaria di 730 milioni di euro;

   la strategia del Piano d'azione per i servizi di cura intende dare un contributo per rafforzare nelle regioni del Mezzogiorno i servizi per la prima infanzia (i bambini al di sotto dei 3 anni) che presentano divari significativi rispetto al resto del Paese;

   dall'ultima rilevazione Istat del novembre 2016 relativa agli anni 2013/2014 le differenze territoriali nella quota di bambini presi in carico dai servizi pubblici sono ancora forti: oltre il 17 per cento dei bambini del Centro-Nord è accolto in servizi comunali o finanziati dai comuni, mentre nel Mezzogiorno non si raggiunge neppure il 5 per cento;

   appare evidente come siamo lontanissimi dagli obiettivi fissati nel 2002 dal Consiglio europeo di Barcellona secondo il quale: «(...) gli Stati membri devono fornire, entro il 2010, un'assistenza all'infanzia per almeno il 33 per cento dei bambini di età inferiore ai 3 anni»;

   anche la Corte costituzionale nella sentenza 467/2002 ha ricordato che «il servizio fornito dall'asilo nido non si riduce ad una funzione di sostegno alla famiglia nella cura dei figli, ma comprende anche finalità formative, essendo rivolto a favorire l'espressione delle potenzialità cognitive, affettive e relazionali del bambino»;

   sempre in ambito europeo, è intervenuta anche la comunicazione 66 del 17 febbraio 2011 della Commissione europea e la raccomandazione 2013/112/UE che ha rilevato: «l'importanza (...) dei servizi di educazione e accoglienza per la prima infanzia in materia di inclusione sociale e di sviluppo, facendone un investimento sociale volto a limitare le disuguaglianze e le difficoltà di cui soffrono i minori svantaggiati»;

   per quanto riguarda i servizi per l'infanzia, il Piano, con 400 milioni di euro, è finalizzato all'espansione dell'offerta in asili nido e servizi integrativi e innovativi, per un totale di circa 18.000 nuovi posti, coprendo una parte consistente del fabbisogno necessario per raggiungere l'obiettivo del 12 per cento dei bambini al di sotto dei 3 anni e accelera la presa in carico di 40 mila nuovi bambini;

   i 201 ambiti/distretti territoriali, che raggruppano 1.608 comuni, hanno presentato più di 200 piani di intervento per il settore Infanzia;

   il primo riparto si è concluso con l'approvazione di ben 197 piani di intervento per un importo di circa 115,95 milioni di euro riguardanti l'Infanzia;

   con decreto n. 214/PAC del 7 ottobre 2014, l'Autorità di gestione ha adottato il secondo atto di riparto del programma, con il quale sono stati assegnati 238 milioni di euro per i servizi di cura all'infanzia;

   in relazione al disposto dell'articolo 1, commi 122 e 123, della legge di stabilità per il 2015, in data 3 aprile 2015 l'Agenzia per la coesione territoriale ha comunicato la rideterminazione della dotazione finanziaria del programma, passata dagli originari 730 milioni di euro a 627 milioni di euro;

   con il decreto 104/PAC dell'8 luglio 2014 è stato adottato il manuale per il sistema di controllo grazie al quale l'Autorità di gestione ha avviato il monitoraggio delle risorse finanziarie, dei servizi e delle procedure di rendicontazione proposti per la diffusione del programma –:

   per il primo riparto, quali siano i risultati raggiunti dal Piano di azione e coesione per i servizi d'infanzia;

   quali iniziative intenda adottare per rifinanziare la dotazione del Programma, ridotta dalla legge di stabilità per il 2015;

   quali iniziative intenda promuovere per superare il forte squilibrio tra Nord e Sud del Paese riguardo ai servizi per la prima infanzia e come intenda garantire l'avvicinamento agli standard europei fissati al 33 per cento per i bambini di età inferiore ai 3 anni.
(4-16241)

  Risposta. — Il programma nazionale servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti (P.N.S.C.I.A.) è uno strumento di programmazione strategica e di innovazione di metodo che si colloca, quale azione aggiuntiva rispetto alla filiera ordinaria dei servizi, nell'ambito del più ampio piano d'azione coesione (Pac) avviato nel 2013 dal Ministero per la coesione territoriale; la sua finalità, tra le altre, è quella di potenziare l'offerta dei servizi alla prima infanzia (0-3 anni) nelle quattro regioni comprese nell'obiettivo europeo «Convergenza» – Calabria, Campania, Puglia e Sicilia – per riuscire a ridurre l'attuale divario di offerta di servizi esistente in quei territori rispetto al resto del Paese.
  Il P.N.S.C.I.A. è affidato con delibera CIPE n. 113 del 26 ottobre 2012 al Ministero dell'interno (individuato quale amministrazione responsabile) e viene gestito da un'apposita autorità di gestione; è riservato ai 201 ambiti/distretti sociali (1608 comuni) delle menzionate regioni e finanzia, tra l'altro, la gestione dei servizi (nidi pubblici e privati, servizi integrativi) destinati all'infanzia, oltre a quelli rivolti a individui ultrasessantacinquenni non autosufficienti.
  Le risorse finanziarie relative ai piani d'intervento presentati dagli ambiti/distretti sociali delle quattro regioni sono state oggetto di due differenti atti di riparto, attraverso i quali l'autorità di gestione ha assegnato gli stanziamenti a favore dei soggetti beneficiari.
  Con il primo atto di riparto, adottato nel giugno 2013, sono stati destinati 120 milioni di euro a iniziative per l'infanzia; ciò ha permesso di finanziare 195 piani d'intervento comprendenti 1.055 schede/progetti (rispetto ai 201 piani presentati entro il 16 dicembre 2013) per un importo complessivo pari a circa 112 milioni di euro.
  Di questi, circa 66 milioni sono stati già utilizzati per l'erogazione dei servizi previsti, mentre la cifra rimanente è stata spostata, su richiesta degli stessi beneficiari, sui fondi del secondo atto di riparto, andando ad integrarsi con le risorse in esso contenute.
  In tal modo, si è voluto consentire ai titolari dei finanziamenti di riprogrammare quanto non ancora utilizzato e di implementare i servizi pianificati nel secondo atto di riparto; la «flessibilità» del programma viene incontro, infatti, alle necessità dei soggetti beneficiari, permettendo di modulare l'offerta dei servizi sulla base delle reali e dinamiche esigenze dell'utenza e del territorio.
  I dati finanziari relativi agli interventi realizzati con le risorse finanziarie del primo riparto infanzia – frutto di specifiche indagini qualitative e quantitative dell'autorità di gestione – sono disponibili nei sistemi informativi del programma; la situazione fotografata alla data del 31 agosto 2017 quantificava in 11.095 unità i posti-bambino effettivamente sostenuti, 7.740 dei quali in asili nido e 3.355 in servizi integrativi (ludoteche, spazi gioco, eccetera).
  Si stima inoltre che con le predette risorse siano stati creati complessivamente circa 6.220 posti aggiuntivi, pari a quasi il 56 per cento del totale dei posti finanziati dal programma.
  Sono stati poi realizzati, complessivamente, oltre 290 interventi in conto capitale finalizzati a finanziare ristrutturazioni e adeguamenti delle strutture, nonché l'acquisto di arredi e attrezzature.
  Il processo rendicontativo è, comunque, in continuo aggiornamento e sarà concluso entro il 31 ottobre 2017; pertanto, solo dopo quella data si potrà disporre di un dato certificato sul numero dei posti-utente che hanno effettivamente fruito dei servizi a valere delle risorse finanziarie del primo riparto.
  Con il secondo atto di riparto, adottato nell'ottobre 2014 e successivamente rideterminato, da ultimo con il decreto n. 1723 del 2017, sono stati destinati circa 257 milioni di euro per i servizi di cura all'infanzia. Sono stati approvati e finanziati 192 piani d'intervento, sui 196 piani presentati entro il termine del 18 maggio 2015, per un importo complessivo pari a circa 208 milioni di euro. Il processo di attuazione dei piani relativi al secondo atto di riparto è in fase di realizzazione.
  Si informa infine che su richiesta dell'autorità di gestione – unanimemente sostenuta dagli organismi di
governance del programma, dalle ANCI nazionale e regionali e dai rappresentanti del partenariato economico e sociale – il termine di conclusione del programma nazionale servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti è stato differito al 30 giugno 2020, consentendo in tal modo ai soggetti beneficiari di poter erogare ulteriori servizi alla collettività e concorrere a ridurre, almeno in parte, il gap esistente tra le regioni settentrionali e quelle meridionali in materia di servizi alla prima infanzia, coprendo una parte consistente del fabbisogno necessario per raggiungere il target del 12 per cento di presa incarico dei bambini al di sotto dei 3 anni.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


   MINNUCCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   nel comune di Magliano Romano (Rm), località Monte della Grandine, si trova una discarica per rifiuti inerti gestita dalla Soc. Idea 4 Srl;

   la predetta discarica ha, da un paio di anni a questa parte, destato l'attenzione e, soprattutto, la preoccupazione della popolazione del territorio in cui si trova, allarmata in primo luogo dalla serie di richieste avanzate dalla Idea 4 srl al fine di riclassificare la discarica da inerti a discarica per rifiuti speciali non pericolosi, ed in secondo luogo per le notizie, poco rassicuranti, emerse in merito alla gestione stessa della discarica e alle relative, quanto probabili, conseguenze negative di impatto ambientale sul territorio coinvolto; del tema si sono, peraltro, occupati gli organi di stampa, anche a livello nazionale;

   riguardo alla richiesta di riclassificazione, come accennato, nel 2014 la società gestrice presentava un progetto di riqualificazione della discarica, chiedendo il passaggio da discarica per inerti a discarica per rifiuti speciali non pericolosi;

   iniziava un lungo iter di valutazione del progetto, ad oggi ancora sottoposto al controllo dell'ufficio VIA della regione Lazio, in cui venivano chiamati in causa regione, provincia, comune, la Conferenza dei sindaci, l'Ente di gestione dei Parchi di Veio e del Treja, l'Arpa, il Tar e l'Autorità di bacino del Tevere;

   aspetto più importante, però, è che nello stesso periodo i cittadini interessati davano vita ad un'associazione volta alla tutela dei Monti Sabatini e ad un comitato, che ha intrapreso varie manifestazioni di protesta contro la discarica in questione, coadiuvati da diversi comuni del circondario e dallo stesso comune di Magliano Romano che deliberava, nel settembre 2014, un documento di dissenso nei confronti del progetto;

   venivano anche presentati esposti, quali quello del gennaio 2015 a firma dell'ex senatore Stefano Pedica, presso la Procura della Repubblica di Roma, e venivano presentate anche interrogazioni alla Presidenza del consiglio regionale del Lazio;

   una delle predette interrogazioni, n. 210 del 26 giugno 2015, poneva l'attenzione sulla sorte, e sulla gestione, del percolato e dei 64.000 metri cubi di rifiuti inerti precedentemente abbancati, e ricompresi nella capacità di 890.000 metri cubi autorizzata con la Det. A06398 del 6 agosto 2013;

   in particolare, l'interrogazione riporta le segnalazioni dei cittadini residenti i quali avrebbero, più volte, rilevato la presenza, nelle aree circostanti la discarica, compreso l'alveo del corso d'acqua che costeggia la discarica da sud ad est, denominato il fosso di Monte Pizzo, e dunque al di fuori della proprietà della Idea 4 srl, di materiale proveniente dalla stessa;

   nell'interrogazione, pertanto, si pone il quesito relativo al reinserimento, o meno, nell'invaso dei 64.000 metri cubi di rifiuti inerti precedentemente abbancati e in caso negativo dove effettivamente siano state trasferite tali volumetrie;

   in base a documentazione presentata dalla Società per la riclassificazione della discarica sembrerebbe, peraltro, che anche il dissabbiatore sia stato realizzato al di fuori del perimetro di proprietà della Idea 4 srl;

   ad oggi, tuttavia, non risulta che siano stati effettuati sopralluoghi dagli organi competenti al fine di verificare la fondatezza delle predette denunce;

   i rappresentanti del citato comitato di cittadini, inoltre, ottenevano un'audizione presso la «Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti», che si teneva in data 13 luglio 2015, nel corso della quale illustravano in modo dettagliato la vicenda e invitavano i componenti della commissione a un sopralluogo;

   la stessa conferenza dei sindaci dell'area Tiberina – Cassia – Flaminia, dimostrava la propria contrarietà alla discarica in oggetto nell'ottobre 2014, a cui seguiva, nel dicembre successivo, il deposito presso la regione Lazio di circa 18.000 firme di protesta dei cittadini interessati;

   nonostante le azioni di denuncia sopra descritte, la Idea 4 Srl continuava la sua opera di «ampliamento» dell'attività della discarica avanzando, prima, formale richiesta di conferire in discarica altri 21 codici certificati di rifiuti e, successivamente nel febbraio 2016, richiedendo l'autorizzazione per l'installazione di un impianto di trattamento chimico-fisico del percolato;

   la regione Lazio autorizzava, con proprie determinazioni, entrambe le richieste, peraltro, nel secondo caso senza procedere a sottoporre il progetto a valutazione di impatto ambientale;

   per questi motivi le determinazioni venivano impugnate davanti al Tar del Lazio, sia da cittadini sia dal comune di Magliano Romano e dal Comitato No Discarica. Ad oggi, il Tar si è espresso in riferimento all'autorizzazione per il conferimento in discarica di ulteriori 21 codici certificati di rifiuti (Det. regione Lazio del 22 luglio 2015 n. G9137), accogliendo il ricorso e, soprattutto, censurando l'operato della regione Lazio che si sarebbe limitata ad accogliere le richieste della Idea 4 srl senza alcuna verifica istruttoria;

   in proposito, il Tar ha sottolineato non solo l'evidente vizio di legittimità del provvedimento impugnato, ma ha anche sottolineato l'incapacità della regione di basarsi su di un semplice ragionamento logico per cui se una discarica è per inerti non può accogliere rifiuti che non siano tali o per i quali vi sia, almeno, il dubbio che siano tali (Tar Sezione Prima Ter n. 05274/2016 – Reg. Prov. Coll. N. 12933/2015 Reg. Ric. N. 13784/2015 Reg);

   il Collegio ha, inoltre, affrontato la questione relativa ai risvolti ambientali connessi alle attività della Idea 4 srl e alle sue continue richieste tendenti, evidentemente, a trasformare la discarica in oggetto;

   specificatamente, lo stesso ha rilevato elementi di criticità di natura idrogeologica, affermando che «la Regione ha agito superficialmente, senza considerare che in situ la falda acquifera è ormai emersa, tanto che all'interno della discarica si è formato un lago di ampie dimensioni e di origine del tutto incerta»;

   oltre, infatti, alle questioni di irregolarità formali legate alla serie di richieste inoltrate dalla Idea 4 srl, negli ultimi due anni sono emersi anche dubbi sulla presenza di preoccupanti irregolarità nella gestione pratica della discarica, con rischio di gravi danni ambientali nell'intera area territoriale in cui la stessa è inserita;

   quanto messo in evidenza dal Tar è stato posto all'attenzione dell'opinione pubblica anche dalla trasmissione «Striscia la notizia» che, nel maggio 2016, ha mandato in onda un servizio sulla discarica dal quale si evince la presenza del «lago di origine incerta», costituitosi dall'emersione della falda acquifera, già rilevato e sottolineato dal Tar;

   si sottolinea che l'autorizzazione per l'apertura, o modifica, di una discarica si basa, tra gli altri elementi, proprio sulla valutazione del livello della falda acquifera al fine di evitare, nel caso di inquinamento della stessa, gravi danni alla salute umana, all'economia locale (soprattutto agricola) e agli equilibri dell'intero ecosistema;

   nei primi giorni del corrente mese, inoltre, il comitato ha presentato un secondo ricorso al Tar (il primo è del 18 febbraio 2016), al fine di contestare l'autorizzazione, rilasciata all'Idea 4 srl dalla regione Lazio, per la realizzazione di un impianto chimico-fisico volto al trattamento di percolato prodotto dalla discarica, così come sopra ricordato;

   il percolato (ossia liquido originato essenzialmente dalle infiltrazioni di acqua nella massa dei rifiuti) è esso stesso rifiuto e, come tale, va trattato. Pertanto, i gestori delle discariche sono tenuti, ogni anno, a redigere una relazione nella quale, tra le altre cose, devono essere specificati i volumi di rifiuti smaltiti in discarica e la quantità di percolato, riferiti all'anno precedente;

   secondo le relazioni depositate dalla Idea 4 srl (presso comune, regione, Asl, Arpa, provincia) per gli anni 2013-2014-2015, la discarica in oggetto non avrebbe prodotto percolato, essendo state utilizzate «coperture provvisorie». Ciò, però, ha destato non pochi sospetti proprio con riferimento alla presenza del lago «di origine incerta» sopra citato, in presenza di immagini satellitari che rilevano la presenza di acqua a contatto con i rifiuti in ogni momento dell'anno, e della stessa richiesta di realizzazione dell'impianto chimico-fisico volto al trattamento del solo percolato della discarica. I sospetti riguardano a giudizio degli interroganti proprio l'attendibilità di quanto dichiarato dalla società negli anni sopra indicati, e le possibili conseguenze dannose per l'ambiente qualora il percolato non fosse stato debitamente trattato;

   si ricorda, inoltre, che la discarica si trova in un territorio compreso nel bacino del Torrente Treja, affluente di destra del Fiume Tevere, e ancor più precisamente nel sottobacino del fosso della Mola. Il predetto territorio si trova a monte e nello stesso bacino idrogeologico del Parco del Treja e del SIC/ZPS (siti di interesse comunitario e zone a protezione speciale) denominato «Fosso Cerreto» (ITA010032). Questo significa che, qualsiasi problema si dovesse concretizzare a monte, comporterebbe gravi ripercussioni anche a valle. Il sito è tutelato sulla base delle direttive europee Habitat 92/43/CEE e Uccelli 79/409/CEE la cui applicazione ed il cui rispetto sono di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale deve appunto vigilare sulla tutela dell'intero ecosistema di siti di questo genere;

   a questo si aggiunga che, da un semplice confronto di immagini satellitari delle aree interessate, risulterebbe evidente un disboscamento di diversi ettari di territorio, in favore della funzionalità della discarica, nonostante il vincolo paesistico sulle aree boscate ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004;

   vicino alla discarica, inoltre, vi è un elettrodotto preesistente, che potrebbe comportare il pericolo di inquinamento elettromagnetico per gli stessi operatori della discarica, i cui uffici sono stati realizzati nelle immediate vicinanze;

   è pertanto lecito il dubbio, espresso dai cittadini coinvolti, relativo al fatto che la discarica, così come ad oggi gestita, possa comportare dei danni di carattere ambientale relativamente alle criticità esposte, tenuto conto anche del fatto che il territorio interessato è considerato di elevatissimo pregio paesaggistico ed ambientale, tanto da essere indicato nel PTPR (Piano territoriale paesistico regionale) del 2007 come paesaggio naturale e paesaggio naturale di continuità, considerato che parte del sito si trova all'interno delle Aree di connessione primaria della rete ecologica provinciale e delle aree contigue del Parco di Veio –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda relativa alla discarica presente nel comune di Magliano Romano;

   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non intenda promuovere una verifica da parte del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente in relazione alle criticità e alla anomalie riscontrate nel sito di cui in premessa;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare al fine di garantire il rispetto dei vincoli paesaggistici e di salvaguardare l'area riconosciuta come sito di interesse comunitario (Sic) e zona di protezione sociale (Zps) di cui in premessa che è immediatamente adiacente a quella su cui insiste la discarica.
(4-13586)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente le problematiche derivanti dalla presenza di una discarica di rifiuti inerti nel territorio del comune di Magliano Romano in località Monte della Grandine, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La discarica in oggetto, gestita dalla società Idea 4 s.r.l., risulta essere localizzata in prossimità dell'area protetta regionale «Parco naturale di Veio», ma tuttavia ad una notevole distanza dalle aree tutelate ai sensi della direttiva habitat, tra le quali «Fosso Cerreto». Pertanto, l'azione di un eventuale intervento di verifica degli impatti nei confronti della citata area protetta regionale, potrà essere attivato dalla regione Lazio.
  L'impianto in questione è attualmente autorizzato quale discarica di inerti con determinazione del 29 luglio 2013. L'impianto ha avuto una valutazione di assoggettabilità a VIA e la competente area regionale ha reso parere con provvedimento del 13 novembre 2006, confermato con nota dell'11 gennaio 2012.
  Successivamente la società ha presentato diverse istanze.
  In particolare, ha presentato istanza all'area valutazione di impatto ambientale, per la modifica sostanziale dell'impianto di discarica da impianto di discarica per rifiuti inerti a impianto di discarica per rifiuti speciali. Il procedimento è ancora in corso.
  Ha inoltre presentato istanza all'area ciclo integrato dei rifiuti, ferma restando la natura di discarica per rifiuti inerti, per le seguenti modifiche:

   introduzione di altri CER in ingresso (al riguardo, si evidenzia che la regione aveva approvato un protocollo per la verifica circa la natura inerte dei rifiuti in ingresso);

   autorizzazione all'esercizio di un impianto di trattamento del percolato prodotto dalla discarica che essendo allestita con telo impermeabile sul fondo produce percolato pur essendo una discarica di inerti;

   richiesta di deroga ex articolo 10 del decreto ministeriale 27 settembre 2010.

  Le determinazioni dirigenziali relative a tali richieste sono state in parte recentemente riformate dal TAR e sono in corso i successivi atti.
  Tutto ciò premesso, la regione Lazio ha fatto presente che al momento nessun atto amministrativo è stato concluso e pertanto la discarica sta svolgendo la propria attività secondo l'iniziale autorizzazione.
  Sull'argomento, il Ministero dei beni culturali fa presente inoltre che l'area della discarica per materiale inerte, pur se individuata nella Tavola A del piano paesistico territoriale regionale del Lazio, all'interno del «Paesaggio naturale di continuità», tuttavia non ricade in un'area tutelata da un punto di vista paesaggistico, e che lo stesso Ministero provvederà comunque, per quanto di competenza, a compiere i controlli ispettivi e amministrativi previsti dalla normativa vigente.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente, per quanto di propria competenza, continuerà a tenersi informato ed a svolgere le attività di monitoraggio, senza ridurre il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MUCCI e PRODANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   è di questi giorni la notizia che la regione Emilia-Romagna, d'accordo con gli enti locali interessati, ha deciso di accogliere 20 mila tonnellate di rifiuti urbani che non possono essere conferite all'impianto di Brindisi, sottoposto nei giorni scorsi a sequestro dall'autorità giudiziaria;

   il conferimento sarà limitato: dal 12 luglio 2016 alla prima settimana di settembre 2016. Saranno i termovalorizzatori di Bologna e Ferrara, scelti in base all'analisi dei flussi e delle dotazioni, ad accogliere i rifiuti, per un quantitativo massimo di 20 mila tonnellate, che rientra comunque nei limiti autorizzati. In particolare, 8 mila sono destinate all'impianto bolognese e 12 mila a quello ferrarese; complessivamente, si tratta quindi di circa 400 tonnellate al giorno, per 6 giorni alla settimana. La Puglia trasferirà ai comuni di Bologna e Ferrara i proventi della tassazione ordinaria sui rifiuti prevista per i cittadini, più un ristoro ambientale di 14 euro a tonnellata;

   nel recente passato, precisamente nel mese di luglio 2015, la regione Emilia Romagna, per un'altra emergenza, decideva di accogliere i rifiuti provenienti da un'altra regione, in questo caso dalla Liguria, per 10 mila tonnellate. La sede allora individuata fu Piacenza per motivi di vicinanza e comunque nei limiti provinciali autorizzati. Anche, in tal caso, la regione Liguria ha pagato la stessa tariffa dei cittadini piacentini, più un ristoro ambientale di 14 euro tonnellata al comune di Piacenza;

   oggi come allora l'Emilia Romagna va in soccorso di altre regioni che, per emergenze conclamate e limitate nel tempo chiedono l'aiuto di territori più virtuosi;

   sta di fatto, comunque, che a farne le spese sono sempre i cittadini che vivono nei luoghi limitrofi alle discariche e che vedono minacciata la loro salute e l'ambiente circostante;

   così, mentre da un lato si assiste all'adozione di un «piano regionale per la gestione dei rifiuti» dove la regione Emilia Romagna punta all'azzeramento delle discariche e al progressivo spegnimento degli inceneritori e a portare il riciclo di carta, legno, vetro, plastica, metalli e organico al 70 per cento, il tutto entro il 2020; dall'altro lato, non si capisce perché si continui a discutere dell'ampliamento della discarica «Tre Monti», vicino ad Imola. Di recente, è stata chiesta una valutazione di impatto ambientale per un ampliamento di 7 ettari che aumenterà il volume di raccolta a 4 milioni di tonnellate di rifiuti indifferenziati, facendola diventare la più grande d'Italia;

   di recente, è stato lo stesso Ministro interrogato, in risposta all'interrogazione 4-04790, a confermare le problematiche inerenti alla contaminazione della falda, evidenziando che: «a novembre 2015, l'ARPA ha provveduto ad inoltrare la notifica di superamento delle concentrazioni di soglia di contaminazione presso l'area di discarica ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in esito alla quale sono stati adottati i conseguenti atti di diffida nei confronti del gestore da parte della Città metropolitana di Bologna ed avviato il procedimento di bonifica. Nell'ambito di tale procedimento l'ARPA Emilia-Romagna ha eseguito ulteriori approfondimenti delle attività di campionamento del suolo, delle acque sotterranee e dei pozzi spia, che hanno sostanzialmente confermato per le acque sotterranee uno stato di contaminazione riconducibile a perdite di percolato»;

   così, continua il Ministro nella sua risposta: «l'organo di controllo tecnico ha richiesto la presentazione di specifiche relazioni di approfondimento. Contestualmente a tale procedimento, di competenza specifica della regione Emilia-Romagna, potrà essere valutato il quadro d'insieme ed espresso il giudizio di compatibilità sotto il profilo dell'impatto ambientale dell'ampliamento della discarica, anche alla luce degli obiettivi e delle previsioni degli strumenti di pianificazione vigenti, e del ricorso al conferimento in discarica come forma sempre più residuale, come previsto dal legislatore europeo nel pacchetto sull'economia circolare presentato il 2 dicembre 2015.»;

   in tal senso è stato Kaemenu Vella a nome della Commissione europea a chiarire, nel mese di febbraio 2016 nella risposta ad una interrogazione sull'argomento, che: «Qualsiasi decisione sull'eventuale espansione delle capacità di smaltimento in discarica deve prestare particolare attenzione all'attuazione della gerarchia dei rifiuti (che elenca lo smaltimento come metodo meno auspicabile per il trattamento dei rifiuti verificando anche che la decisione sia conforme al pertinente piano o ai pertinenti piani di gestione dei rifiuti stabiliti dalle autorità competenti). Le decisioni devono tener conto anche dell'obbligo per gli Stati membri di garantire la raccolta differenziata dei rifiuti che, dal 2015, comprende carta, metallo, plastica e vetro. In tale contesto va tenuto conto del fatto che la Commissione ha recentemente presentato delle proposte per obiettivi più ambiziosi in materia di riciclaggio e di riduzione del collocamento in discarica, da raggiungere entro il 2030» –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato abbia intenzione di adottare al fine di monitorare la vicenda inerente alla discarica di «Tre Monti»;

   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alle politiche di raccolta e smaltimento dei rifiuti che dovrebbero andare verso un superamento degli attuali processi, in linea con le direttive europee, e quale sia lo stato di attuazione a livello nazionale delle misure definite con il decreto-legge «sblocca Italia».
(4-13745)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  In relazione alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) dell'ampliamento della discarica Tre Monti di Imola (BO) la Giunta della regione Emilia-Romagna ha approvato in data 21 dicembre 2016 con propria delibera n. 2262/2016, il provvedimento di Via relativo all’«Ampliamento della discarica di “Tre Monti”: recupero volumetrico in sopraelevazione del 3° lotto nel comune di Imola (B0)».
  In tale delibera, ed in particolare nel rapporto ambientale firmato il 12 dicembre 2016 dalla conferenza di servizi, si specifica che:

   il progetto presentato ad agosto 2015 era localizzato su due province (Bologna e Ravenna) ed era relativo alla realizzazione di nuovo quarto lotto da realizzare nella vallecola limitrofa, di capacità pari a 1.500.000 di tonnellate e alla realizzazione della sopraelevazione della discarica esistente (ad oggi con capacità di smaltimento esaurita); il 24 ottobre 2016 i proponenti hanno presentato una richiesta di limitare la procedura di Via alla sola sopraelevazione per una capacità aggiuntiva di 375.000 t (da aggiungere alla capacità di smaltimento della discarica di 5.190.000 t, esaurita a fine ottobre 2016); la conferenza di servizi (e successivamente la giunta regionale) ha quindi approvato la sola sopraelevazione e non la realizzazione del nuovo quarto lotto;

   l'area di sedime della sopraelevazione autorizzata è completamente ricompresa nel sedime della discarica esistente e non c'è nuovo consumo di suolo naturale;

   per quanto attiene alla problematica relativa alla gestione del percolato, HERAmbiente S.p.A. ha ottemperato alla diffida emanata in data 9 novembre 2015 dalla città metropolitana di Bologna volta ad accertare la natura ed origine delle acque presenti nei pozzi spia e la dinamica ed evoluzione delle anomalie riscontrate nella gestione del percolato a seguito di notifica di superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC); il procedimento si è concluso con una determina dirigenziale di Arpae Bologna (Det-Amb-2016-2529 del 26 luglio 2016), agenzia divenuta autorità competente ai sensi della LR 13/2015. Le indagini analitiche eseguite al tempo evidenziavano l'assenza di contaminazione per la matrice suolo. Nell'ambito del sopracitato provvedimento, si è inoltre approvato, a maggior tutela, il progetto definitivo di rimozione delle vasche di stoccaggio del percolato dalle quali era stato rilevato un breve fenomeno di fuoriuscita del percolato e dell'annesso materiale di rinfranco della discarica, nel rispetto delle condizioni e prescrizioni descritte nell'atto. Inoltre, nell'ambito del procedimento di diffida è emerso che dal punto di vista igienico-sanitario, non sussistevano elementi di interferenza e quindi rischi relativi per la contaminazione della falda idrica al servizio del sistema idrico potabile locale.

  Con riferimento alle politiche ambientali di raccolta e smaltimento dei rifiuti, si fa presente che l'articolo 35, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto decreto «Sblocca Italia»), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014; n. 164, ha previsto che, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si provveda alla adozione di due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri aventi ad oggetto:

   la ricognizione degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani esistenti o autorizzati a livello nazionale, la determinazione della capacità impiantistica necessaria a soddisfare il fabbisogno residuo di incenerimento, nonché l'individuazione degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati necessari per coprire il relativo fabbisogno residuo (comma 1);

   la ricognizione della capacità impiantistica di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata e la determinazione della capacità necessaria a soddisfare il fabbisogno residuo di trattamento (comma 2).

  Il decreto di cui al comma 2 è stato già predisposto dallo scrivente Ministero e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 91 del 19 aprile 2016 come decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 marzo 2016 «Misure per la realizzazione di un sistema adeguato e integrato di gestione della frazione organica dei rifiuti urbani, ricognizione dell'offerta esistente ed individuazione del fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica di rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni».
  Tornando invece al decreto di cui al comma 1, relativo all'incenerimento dei rifiuti, si fa presente che lo stesso è stato predisposto dal Ministero ed è stato recentemente pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale serie generale n. 233 del 5 ottobre 2016 come Dpcm 10 agosto 2016.
  Il decreto ha avuto un
iter approvativo più lungo dovuto all'espletamento delle procedure di Vas. Il decreto è riportato in allegato I.
  Il decreto in parola, partendo da una minuziosa ricognizione della situazione impiantistica di incenerimento, con particolare riferimento alle diverse tipologie di rifiuti (urbani tal quali, frazione secca dei rifiuti urbani, combustibile solido secondario, rifiuti sanitari, fanghi) trattate nei singoli impianti, ha quindi individuato con precisione la capacità attuale di incenerimento dei rifiuti urbani.
  Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ha quindi provveduto a stimare il fabbisogno di incenerimento nazionale necessario a chiudere il ciclo dei rifiuti e nel farlo ha tenuto conto non solo della prevenzione e degli obiettivi di raccolta differenziata e riciclaggio della nuova proposta europea sull'economia circolare (riciclaggio al 65 per cento), ma anche delle quantità di rifiuti avviate a co-incenerimento nei cementifici e nelle centrali elettriche e del trattamento dei rifiuti negli impianti di trattamento meccanico biologico. Ha inoltre tenuto conto degli scarti della raccolta differenziata.
  Infine il decreto ha provveduto a confrontare la capacità esistente con il fabbisogno stimato, derivandone il fabbisogno residuo di incenerimento per ciascuna regione. Una volta ottenuto il fabbisogno residuo di ciascuna regione, il decreto ha operato una compensazione tra macro aree al fine di evitare la realizzazione di impianti non necessari e consentendo ai rifiuti residui di una regione di essere inceneriti nella eventuale capacità residua presente nelle regioni limitrofe. In questa maniera, ovvero considerando l'intero sistema paese anziché l'autosufficienza delle singole regioni, è stato possibile limitare il fabbisogno residuo totale a sole 1.831.000 tonnellate per un totale di nuovi 8 impianti più il potenziamento dell'impianto della regione Puglia.
  Con la auspicata realizzazione delle ulteriori 1,8 milioni di tonnellate di incenerimento, l'Italia raggiungerebbe una percentuale di incenerimento rispetto al rifiuto urbano prodotto pari al 26 per cento, perfettamente in linea con la nuova proposta legislativa della Commissione che prevede una percentuale di riciclaggio del 65 per cento, una percentuale di discarica pari al 10 per cento e quindi implicitamente una percentuale di incenerimento pari al 25 per cento. L'aumento contenuto (meno di 2 milioni di tonnellate) della capacità, previsto dal predetto schema di decreto, non ostacola in alcun modo lo sviluppo futuro delle misure di prevenzione, della raccolta differenziata né tantomeno il raggiungimento dell'obiettivo di riciclaggio del 2020 e degli obiettivi più ambiziosi posti dal nuovo pacchetto sull'economia circolare. Infatti tale limitato fabbisogno residuo è stato calcolato tenendo conto esclusivamente della frazione residua del rifiuto a valle di tutte le azioni di prevenzione e di una raccolta differenziata elevatissima (tra il 65 ed il 70 per cento a seconda delle regioni), idonea a supportare anche i futuri aumenti delle percentuali di riciclaggio dei rifiuti urbani.
  Con particolare riferimento alla strategia nazionale delineata dalle disposizioni dei decreti attuativi dello «Sblocca Italia», si rappresenta, inoltre, che è stata accolta la richiesta della conferenza Stato-regioni di istituire un comitato, presso la conferenza stessa, per la gestione integrata ed efficiente del ciclo dei rifiuti.
  Tale comitato avrà funzioni istruttorie, di raccordo e di coordinamento e concorrerà ad ottimizzare l'efficacia del sistema integrato di gestione dei rifiuti e assicurerà il monitoraggio e il coordinamento a livello nazionale per l'attuazione delle politiche di gestione dei rifiuti.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli Interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero. Ad ogni modo, in relazione alle attività istruttorie in corso di svolgimento, questo Ministero continuerà a tenersi informato in modo da comunicarne gli esiti a tutti i soggetti coinvolti, nonché a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   NACCARATO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 13 ottobre 2017 il tribunale di Sebenico ha assolto il cittadino croato Tomislav Horvatincic che nel 2011 travolse con il motoscafo e uccise i coniugi di Padova, Francesco Salpietro e Marinelda Patella;

   si tratta di una vicenda tragica che ha generato scandalo in questi anni per gli inaccettabili ritardi con cui la giustizia croata ha affrontato il caso;

   il Governo, a seguito dell'interrogazione n. 5-04771 in Commissione III — affari esteri, si è impegnato a seguire il caso da vicino e a tutelare il diritto alla giustizia dei familiari dei coniugi uccisi;

   il primo processo si era concluso nel novembre 2015 con la condanna del controverso imprenditore a 20 mesi di reclusione con la sospensione condizionale della pena per un periodo di 30 mesi;

   la procura statale e la difesa avevano promosso ricorso contro la sentenza ottenendone la cassazione;

   nei giorni scorsi Horvatincic è stato addirittura assolto da tutte le accuse;

   la circostanza più clamorosa si deduce dalla motivazione della sentenza con cui lo stesso giudice del primo processo ha assolto il croato: la Corte ha concluso che Horvatincic sarebbe stato colpito da sincope, ossia da improvvisa perdita di coscienza, proprio pochi attimi prima della fatale collisione che ha determinato la morte dei due italiani;

   va ricordato che l'imbarcazione delle vittime fu colpita e addirittura scavalcata dal motoscafo di Horvatincic, che procedeva alla velocità di 26 nodi in un tratto di mare dove la velocità massima non deve superare i 5 nodi;

   il procuratore di Sebenico, Irena Senecic, ha tentato di «smontare» quanto asserito dagli avvocati difensori e dallo stesso Horvatincic, sottolineando che pochi minuti dopo il sinistro, il croato aveva chiamato tramite cellulare alcuni suoi amici, dicendo che era stato tradito dal difettoso funzionamento dei comandi dell'imbarcazione e non aveva parlato di alcuna sincope;

   questa circostanza, a giudizio dell'interrogante, induce il dubbio che la sincope potrebbe essere stata addotta dalla difesa come espediente per evitare le conseguenze di un comportamento criminale;

   la vicenda ha generato particolare sconcerto nell'opinione pubblica italiana e in quella croata poiché, dopo l'inammissibile ritardo nella risposta alla domanda di giustizia dei familiari delle vittime, addirittura oggi si assiste ad un verdetto che garantisce una sostanziale impunità al colpevole;

   all'interrogante appare evidente inoltre l'incapacità del sistema giudiziario croato di offrire giustizia di fronte ad un evento tragico –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   come il Ministro intenda attivarsi sul piano politico-diplomatico, per quanto di competenza, in relazione alla vicenda di cui in premessa, al fine di garantire che venga resa giustizia alle vittime e ai loro familiari.
(4-18235)

  Risposta. — Il caso dei coniugi Francesco Salpietro e Marinelda Patella, deceduti il 16 agosto 2011 in un gravissimo incidente nautico in Croazia, è stato seguito sin dall'inizio con la massima attenzione dalla Farnesina, in particolare dall'ambasciata d'Italia a Zagabria e dal consolato generale di Fiume, rimasti in costante contatto con i congiunti, in particolare uno dei figli delle vittime, e i loro legali italiani e croati.
  Le due rappresentanze italiane si sono adoperate per prestare ogni possibile assistenza ai congiunti delle vittime, seguendo da vicino gli aspetti processuali della vicenda e presenziando alle udienze che si sono succedute.
  Si è ora in attesa che il giudice depositi le motivazioni della sentenza che il 13 ottobre 2017 ha assolto il cittadino croato Tomislav Horvatincic dall'accusa di aver provocato il decesso del signor Salpietro e della signora Patella. Una volta rese note le motivazioni, è lecito attendersi che il pubblico ministero proponga ricorso in appello.
  L'ambasciata a Zagabria e il consolato generale a Fiume, che mantengono stretti contatti con il figlio e con i legali, non mancheranno di monitorare anche il secondo grado di giudizio e, ove se ne presenti la necessità, interverranno – nel rispetto dell'indipendenza della magistratura croata – affinché il nuovo processo si svolga entro limiti di tempo ragionevoli e sia finalmente fatta piena luce sulle cause che hanno condotto al decesso dei due cittadini italiani.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Vincenzo Amendola.


   NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO, MANNINO, DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il porto di Palermo, sia per flusso di merci che di passeggeri, è uno tra i principali porti italiani e dell'intero mar Mediterraneo: infatti, nel 2014, sono transitate merci per oltre 6,2 milioni di tonnellate, mentre il numero dei passeggeri è arrivato a circa 1,8 milioni;

   la posizione di Palermo all'interno del bacino mediterraneo rende questo porto di particolare rilevanza nei collegamenti tra Europa e Africa, offrendo frequenti collegamenti settimanali con porti nordafricani;

   la zona portuale di Palermo è stata interessata negli ultimi mesi da un'intensa attività giudiziaria che ha portato prima al sequestro della parte sud e successivamente anche dalla parte nord del molo Vittorio Veneto;

   la magistratura ha infatti disposto il sequestro del predetto molo e disposto opportuni accertamenti tecnici, dai quali è emersa una situazione a dir poco allarmante, ove persino i piloni di sostegno dello stesso presentavano gravissimi criticità strutturali tali da presagire un concreto rischio di cedimento, tenuto conto anche dell'utilizzo del medesimo per lo sbarco e l'imbarco da navi da crociera, la cui stazza lorda può arrivare anche a svariate decine di migliaia di tonnellate;

   tale situazione, secondo gli interroganti, potrebbe essere imputata ad una mancata attività di manutenzione ordinaria e di monitoraggio, che avrebbe permesso di mantenere il molo Vittorio Veneto perfettamente funzionante e in uno stato di sicurezza, evitando gli evidenti disagi e danni economici generati dalla chiusura dello stesso e i potenziali rischi di cedimento che avrebbero potuto causare, anche in ragione dei frequenti attracchi di navi da crociera e delle centinaia di persone ivi trasportate, svariate decine di morti in caso di crollo;

   secondo gli interroganti, è imprescindibile accertare le responsabilità extra giudiziali che hanno causato le criticità sopra descritte;

   per i fatti sopra descritti il Presidente dell'autorità portuale, Vincenzo Cannatella, assieme ad un funzionario quadro dell'ufficio tecnico dell'autorità medesima, è sotto indagine per i reati di cui all'articolo 677 c.p. «Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina», come si evince dal decreto di sequestro preventivo emesso dal tribunale di Palermo del 25 gennaio 2016;

   nel medesimo decreto si può leggere testualmente che dalla «Relazione sui rilievi subacquei eseguiti nella banchina lato nord del molo Vittorio Veneto del Porto di Palermo, redatta in data 16 novembre 2015 [...] si constatano essenzialmente due fenomeni di degrado: 1) distacco del calcestruzzo copri ferro e corrosione dei ferri nelle strutture in cemento armato 2) presenza di ingrottamenti nel muro di contenimento costituito dai massi ciclopici. Alla stregua delle emergenze investigative fin qui riportate, deve ritenersi che il molo Vittorio Veneto nord del Porto di Palermo presenti significativi ed allarmanti indici di criticità e degrado statico-strutturale. Di tale situazione aveva conoscenza l'Autorità Portuale di Palermo fin dal 2014. Tanto si ricava da taluni documenti acquisiti presso detta Autorità da personale in servizio presso la Capitaneria di Porto di Palermo. Il riferimento è a due Relazioni tecniche [...] riportanti data Aprile 2014 e Luglio 2014 [...] Gli indagati – pur a conoscenza, fin dall'anno 2014, della situazione di degrado strutturale del molo Vittorio Veneto lato nord – hanno omesso di realizzare, pur avendone l'obbligo per le cariche ricoperte, gli interventi di risanamento reputate necessarie nelle relazioni redatte [...] in tal modo determinando una situazione di pericolo per le persone»;

   con riferimento ai pericoli per gli utenti del porto di Palermo, si può leggere ancora nel citato decreto che «sussiste altresì il pericolo che la libera disponibilità della banchina lato nord del molo “Vittorio Veneto” del porto di Palermo [...] comporti la protrazione o l'aggravamento delle conseguenze del reato e, in particolare, un concreto ed attuale pericolo per la sicurezza ed incolumità degli utenti del servizio portuale, avuto riguardo alle ravvisate criticità di ordine statico-strutturale, potenzialmente suscettibili di ulteriore peggioramento in considerazione delle notevoli sollecitazioni prodotte dall'attracco di navi anche di notevole stazza» –:

   se non intenda assumere iniziative per la revoca dell'incarico al Presidente dell'autorità portuale in carica e per la nomina di un nuovo Presidente dell'Autorità Portuale di Palermo, possibilmente tramite raccolta di curriculum vitae fra i soggetti interessati ed in possesso dei necessari requisiti, resi pubblici sul sito internet dell'autorità medesima per non meno di 30 giorni, ed individuazione del nuovo Presidente fra quest'ultimi tramite estrazione a sorte con procedura ad evidenza pubblica;

   se non si intendano inviare gli ispettori al fine di accertare, per le parti di competenza, eventuali responsabilità dei dirigenti e quadri appartenenti all'area tecnica dell'autorità portuale di Palermo in merito alla situazione descritta in premessa.
(4-12752)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Preme preliminarmente ricordare che con decreto 28 giugno 2017, n. 342 il dottor Pasqualino Monti è stato nominato, conformemente alla procedura prevista all'articolo 8, comma 1 della legge n. 84 del 1994, come modificata dal decreto legislativo n. 169 del 2016, presidente dell'Autorità di sistema portuale del Mare di Sicilia occidentale. Il nuovo ente – istituito ai sensi del novellato articolo 6 della legge n. 84 del 1994 – ricomprende ora i porti di Palermo, Porto Empedocle, Termini Imerese e Trapani.
  Per quanto attiene poi alle criticità evidenziate relative alla realizzazione delle principali opere infrastrutturali nel porto di Palermo, la direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali e il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne di questo Ministero, riferisce che per quanto attiene il molo Vittorio Veneto sud, i lavori per il risanamento e il miglioramento delle fondazioni del muro di sponda sono stati ultimati ed è in corso il collaudo.
  Per quanto attiene, invece, al molo Vittorio Veneto nord, i lavori per il ripristino della banchina come è noto, hanno subito un arresto e si è in attesa di ricevere l'autorizzazione per la prosecuzione da parte dell'autorità giudiziaria.
  Infine, quanto al sequestro del molo, fermo restando l'accertamento delle responsabilità da parte della magistratura, si rappresenta che questo Ministero sta monitorando l'evolversi della situazione.
  

Il Vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   si apprende da notizie di stampa (La Gazzetta del Mezzogiorno del 4 settembre 2017) che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il supporto del Ministero dei beni e delle attività culturali, avrebbe chiuso positivamente la valutazione di impatto ambientale su un progetto presentato da una società statunitense per effettuare prospezioni con air gun finalizzate alla ricerca di idrocarburi in un'area marina di circa 750 chilometri quadrati, situata a 13 miglia dalla costa di Santa Maria di Leuca;

   pare che su detto progetto si sia già espressa in modo contrario la regione Puglia, raccogliendo le opposizioni degli enti locali interessati;

   nella stessa zona insiste un delicatissimo ecosistema marino composto anche da rarissimi banchi di corallo, oltre che da poseidonia e presenza di specie animali protette;

   risulta anche che, nella stessa zona, altre due prospezioni sarebbero già state autorizzate nonostante la netta contrarietà di enti locali, associazioni e cittadinanza, tanto che nell'estate si è arrivati a proteste eclatanti come lo sciopero della fame da parte di alcuni sindaci salentini;

   tutto il Salento, ma in particolare la zona oggetto delle richieste di prospezione, è zona a vocazione turistica, meta di decine di migliaia di turisti attratti proprio dalla natura incontaminata e dalla bellezza del mare;

   il prodotto interno lordo della Puglia, è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni quasi esclusivamente per merito delle presenze turistiche registrate nel Salento –:

   se corrisponda al vero quanto esposto in premessa e, in caso affermativo, per quali ragioni il Governo abbia ritenuto di esprimere parere favorevole nonostante la netta contrarietà degli enti locali al progetto sopra richiamato;

   se sia stato preventivamente e formalmente acquisito agli atti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il parere della regione Puglia e, in caso affermativo, quale ne sia il contenuto;

   quante siano le autorizzazioni concesse, negate e/o in attesa di risposta dinanzi alla costa pugliese e a quella salentina in particolare;

   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga di dover sottoporre a nuova valutazione di impatto ambientale il progetto in questione, alla luce della netta contrarietà di enti locali e cittadini e del danno irreparabile che verrebbe perpetrato all'ecosistema marino e all'economia turistica salentina e pugliese.
(4-17640)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si premette che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha ripristinato il limite delle 12 miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere in mare. La disposizione stabilisce che i titoli abilitativi già rilasciati siano fatti salvi dall'estensione del limite alle 12 miglia per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. La norma ha vietato nuove attività di trivellazione entro le 12 miglia (20 chilometri) salvaguardando così le vocazioni proprie delle coste italiane e non vanificando gli investimenti messi in atto da soggetti pubblici e privati, a volte molto consistenti, per lo sviluppo e la promozione del turismo.
  Con riferimento alla predetta normativa, il 17 aprile 2016 si è tenuto il referendum per decidere se abrogare o meno la parte della disposizione che permette a chi ha già ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme
offshore entro 12 miglia dalla costa, di poter rinnovare la concessione fino all'esaurimento del giacimento, che ha avuto esito negativo per il mancato raggiungimento del quorum.
  In ordine alle questioni relative all'impatto ambientale dei progetti e alle possibili criticità segnalate, si evidenzia preliminarmente che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Si evidenzia altresì che i provvedimenti di compatibilità ambientale relativi alle attività di prospezione geofisica di determinate aree in mare sono preliminari rispetto ad eventuali attività di ricerca e produzione di idrocarburi, che potranno essere realizzate in futuro previe ulteriori e distinte valutazioni di impatto ambientale.
  Le prospezioni vagliate con esito positivo nel procedimento VIA, e non ancora autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico, mirano infatti a stabilire se in determinate aree siano presenti idrocarburi e in quale quantità, con lo studio preliminare della struttura geologica del sottosuolo, mediante l'emissione di onde acustiche rivolte verso il fondale e prodotte al largo, al fine di acquisire dati ed elementi utili per l'eventuale successiva fase di ricerca.
  In tale fase di prospezione, non è prevista alcuna installazione di piattaforme, che invece potranno eventualmente essere allocate solo a seguito di riscontri positivi delle prospezioni medesime e, comunque, fra diversi anni, previa nuova valutazione di impatto ambientale e ulteriore diversa autorizzazione da parte del Ministero dello sviluppo economico.
  Nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico, il Ministero dello sviluppo economico coordina la sua attività con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che valuta la compatibilità ambientale di progetti di estrazione degli idrocarburi.
  La verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Si precisa che ai fini autorizzativi sono valutate e considerate tutte le osservazioni pervenute sia da parte dei privati cittadini che da parte delle amministrazioni coinvolte: tale valutazione è debitamente riportata nei provvedimenti di compatibilità ambientale del Ministero con le eventuali controdeduzioni e prescrizioni.
  Si evidenzia, infine, che dopo l'incidente del 2010 nel Golfo del Messico, gli Stati membri della Comunità europea hanno dato avvio a una revisione delle politiche dell'Unione europea volte a garantire la sicurezza delle operazioni relative al settore degli idrocarburi.
  Con l'emanazione della direttiva 2013/30/UE è stato avviato un processo per ridurre per quanto possibile il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e di limitarne le conseguenze, aumentando così la protezione dell'ambiente marino e delle economie costiere dall'inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, limitando possibili interruzioni della produzione energetica interna dell'Unione e migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente.
  Riducendo il rischio di inquinamento marino, la direttiva assicurerà la protezione dell'ambiente marino e in particolare il raggiungimento o il mantenimento di un buono stato ecologico al più tardi entro il 2020, obiettivo stabilito nella direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino).
  Ciò premesso, si evidenzia che il progetto «Indagine geofisica nell'area dell'istanza di permesso di ricerca in mare “d 89 F.R.-GM”», localizzato nel Mar Ionio Settentrionale, a 13 miglia marine dalla punta meridionale della penisola Salentina, presentato dalla società Global MED LLC in data 23 ottobre 2014, è stato oggetto del decreto di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni n. 224 del 31 agosto 2017, espresso ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  Allegati a detto decreto, del quale costituiscono parte integrante, vi sono il parere della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS n. 2074 del 13 maggio 2016, di esito positivo con prescrizioni, il parere del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo protocollo n. 939 del 26 maggio 2016, di esito positivo subordinatamente al rispetto di prescrizioni, nonché il parere di esito negativo della regione Puglia, espresso con delibera di Giunta regionale n. 213 del 20 febbraio 2015, trasmesso a questo Dicastero in data 13 maggio 2015.
  Nel corso dell'istruttoria di valutazione di impatto ambientale, nel rispetto del quadro normativo vigente, sono state tenute in opportuna ed approfondita considerazione tutte le questioni rilevate dall'interrogante.
  Le motivazioni che hanno portato all'espressione del giudizio di compatibilità ambientale positivo con prescrizioni di cui al decreto n. 224 del 31 agosto 2017 sono dettagliatamente riportate nel testo del decreto sopra citato e negli atti ad esso allegati.
  Le motivazioni alla base dell'espressione del parere negativo della regione Puglia sono state, inoltre, debitamente considerate e valutate dalla commissione tecnica VIA/VAS nella redazione del proprio parere di competenza.
  Si rappresenta, altresì, che tutta la documentazione progettuale ed amministrativa presentata dalla società proponente nel corso del procedimento di valutazione di impatto ambientale, insieme con la documentazione integrativa, le osservazioni del pubblico e i pareri degli enti competenti, compreso il parere della regione Puglia, nonché le controdeduzioni a dette osservazioni, è pubblicata sul portale delle valutazioni ambientali di questo Ministero, all'indirizzo: http://www.va.minambiente.it/it-IT/ Oggetti/Documentazione/1498/2294.
  Della questione sono interessati anche altri Ministeri, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PANNARALE, SANNICANDRO, DURANTI, FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi giorni i mass media hanno riportato notizia di indagini della procura della Repubblica di Bari riguardanti amministratori e membri del consiglio comunale del comune di Valenzano, in provincia di Bari, anche riferendo il contenuto di conversazioni e intercettazioni disposte nell'ambito dell'inchiesta;

   sulla scorta di quanto riportato dagli organi di stampa, contenente anche ampi stralci delle intercettazioni, si è appreso che:

   a) l'ex vice sindaco Umberto Sbarra sarebbe stato costretto a versare una parte della propria indennità ad altri e non meglio specificati esponenti politici appartenenti alla maggioranza in consiglio comunale, in quanto, come egli stesso ha affermato, se si fosse rifiutato non avrebbe potuto restare in carica; dopo alcuni mesi dalla consultazione elettorale del giugno 2013, si sarebbe visto revocare l'incarico dal sindaco per non aver ottemperato a tale richiesta;

   b) l'ex vice sindaco Francesca Ferri, succeduta nella carica a Umberto Sbarra, sarebbe stata costretta a versare la propria indennità al sindaco Antonio Lomoro e al consigliere di maggioranza Agostino Partipilo, come condizione per il mantenimento dell'incarico in giunta comunale e per il sostegno della maggioranza alla propria candidatura alla carica di consigliere regionale in occasione delle consultazioni del 2015;

   c) in conseguenza del rifiuto opposto da Francesca Ferri, alla stessa sarebbe stato revocato l'incarico di vice sindaco, invece conferito alla dottoressa Lucia Partipilo, figlia del consigliere di maggioranza Agostino Partipilo;

   d) relativamente alla medesima candidatura, oltre alla richiesta contemplata al precedente punto b, il sindaco Antonio Lomoro avrebbe chiesto alla Ferri la somma di 100 mila euro al fine di evitare ostacoli da parte della maggioranza nella competizione elettorale del 2015 per il consiglio regionale;

   e) tutt'oggi, parte delle indennità percepite dai componenti della maggioranza comunale, nella misura di 100,00 euro ciascuno da parte del sindaco e del consigliere Agostino Partipilo, e di 50,00 euro ciascuno da parte di tutti gli assessori (tranne, a quanto pare, uno di essi), sarebbero versate mensilmente alla consigliera Annalisa Potente allo scopo di garantire la sua permanenza in maggioranza. Ad adoperarsi per il funzionamento di tale sistema sarebbe il consigliere di maggioranza Giuseppe Spinelli;

   f) il passaggio del consigliere Massimo Sollecito dalle file dell'opposizione a quelle della maggioranza sarebbe stato ricompensato con la revisione della convenzione in essere per i contributi che il comune eroga alle scuole dell'infanzia, passati — durante l'amministrazione del sindaco Antonio Lomoro — dalla somma di 1.300,00 euro a quella di circa 10.000,00 euro al mese, per un totale — nell'arco di cinque anni di validità della nuova convenzione — di circa 300 mila euro, di cui 200 mila euro, saranno verosimilmente destinati alla scuola diretta dalla moglie del consigliere Sollecito;

   g) allo scopo di «ammorbidire» la posizione della consigliera Natalina Antonella Varlaro, eletta in maggioranza e passata all'opposizione dopo dure polemiche con il sindaco Antonio Lomoro, il marito della medesima Varlaro sarebbe stato nominato direttore degli uffici di ragioneria dello stesso comune, con contratto a tempo determinato di natura «fiduciaria», con scadenza coincidente con il termine del mandato elettorale dell'amministrazione in carica;

   secondo articoli di stampa, Francesca Ferri è stata iscritta di recente nel registro degli indagati per simulazione di reato e corruzione elettorale da parte degli stessi magistrati interessati dalla Ferri su quanto esposto in precedenza;

   già nei mesi scorsi risultano essere state adottate dubbie procedure di gara bandite per l'assegnazione dell'appalto dei lavori di efficientamento energetico a due plessi scolastici (per un milione di euro circa, gara già espletata e lavori già affidati);

   il susseguirsi delle notizie intorno ai fatti citati sta provocando sconcerto nella cittadinanza e diffusa sfiducia nelle istituzioni comunali –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione ai fatti di cui in premessa;

   se non si ritenga di valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere una verifica dei servizi ispettivi di finanza pubblica presso il comune di Valenzano; alla luce della criticità che i fatti descritti potrebbero riverberare sulla situazione amministrativo-contabile dell'ente;

   se intenda valutare la sussistenza dei presupposti, per avviare le iniziative di competenza, ai sensi degli articoli 141 e 142 del Testo unico delle leggi sull'ordinamenti degli enti locali, fino all'eventuale scioglimento del consiglio comunale di Valenzano.
(4-13486)

  Risposta. — I princìpi che sorreggono l'adozione delle misure dissolutorie previste dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, di cui agli articoli 141, 142 e 143, non possono essere ricondotti all'alveo dei procedimenti attivabili ad istanza di parte. Si tratta, infatti, di atti i cui effetti sono direttamente previsti dall'ordinamento, per la cui adozione la pubblica amministrazione accerta esclusivamente la sussistenza dei requisiti prescritti dalla legge ed assume i consequenziali adempimenti.
  L'intervento statale è, quindi, limitato alle fattispecie tipiche, tassativamente indicate dalla legge, la cui concretizzazione legittima l'adozione dell'atto stesso.
  Peraltro, l'adozione di iniziative per l'esercizio dei poteri di accesso e di accertamento di cui al secondo comma dell'articolo 143 del decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000 spettano al prefetto competente per territorio, attraverso la nomina di una commissione di indagine presso il comune sospettato di infiltrazioni e di condizionamento di tipo mafioso o similare.
  Nel caso dell'amministrazione comunale di Valenzano si rappresenta che la stessa è da tempo oggetto di attenzione da parte della prefettura, anche in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, sotto il duplice profilo della situazione criminale e delle possibili infiltrazioni nell'attività politico-amministrativa. A seguito degli approfondimenti effettuati è stata formulata dalla prefettura proposta di accesso ai sensi dell'articolo 143, comma 2 del decreto legislativo n. 267 del 2000, autorizzata con decreto del Ministro dell'interno in data 4 novembre 2016. È stata quindi nominata la commissione di accesso presso il suddetto comune, in applicazione dell'articolo 143 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali, che si è insediata il 17 novembre 2016, per la durata di tre mesi, prorogabili di altri tre.
  Si rappresenta, infine, che il comune di Valenzano è stato sciolto, ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con decreto del Presidente della Repubblica in data 25 settembre 2017.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nella conferenza di servizi istruttoria del 25 novembre 2015 relativa al sito da bonificare di interesse nazionale (SIN) di Trieste, sono stati presentati i «Risultati del piano di caratterizzazione dell'area marina costiera prospiciente il sito di Trieste»;

   durante la prima fase «(...) per la caratterizzazione ambientale dell'area marino-costiera del SIN di Trieste sono stati eseguiti 66 sondaggi a diverse profondità e dalle analisi sui campioni di sedimento si è riscontrata una contaminazione diffusa per quanto riguarda i metalli pesanti (...)». Le aree ad elevata compromissione ambientale risultano essere «quelle con pressioni industriali (in particolar modo le aree antistanti lo stabilimento di Servola) e quelle a vocazione cantieristica. (...) Le aree con caratteristiche portuali presentano situazioni di inquinamento evidente dovuto alle attività di movimentazione marittima passate e presenti (...). Per tali aree si deve evidenziare un inquinamento indotto derivante da attività e lavorazioni in aree limitrofe con particolare riferimento agli IPA»;

   inoltre, si evince che «l'inquinamento in buona parte dello specchio acqueo del SIN risulta sensibile nello strato di sedimenti superficiali con una rapida decrescita all'aumentare della profondità, questo a meno delle aree di accumulo site in area industriale/cantieristica i cui frequenti apporti e rimescolamenti fanno riscontrare situazioni di inquinamento più profonde»;

   la seconda fase riporta i risultati della caratterizzazione integrativa dell'area marino-costiera antistante il litorale di Muggia: «è stata eseguita una campagna di 23 sondaggi, disposti lungo il litorale di Muggia spinti fino alla profondità di 3 metri; (...) inoltre sono stati individuati 12 sondaggi per i quali, nella precedente campagna del 2013, erano stati riscontrati superamenti dei valori degli analiti nell'ultimo livello analizzato, e si è proceduto con l'analisi del livello successivo. Sono stati, infine, eseguiti 24 sondaggi per mezzo di box corer. Tali indagini (...) sono state integrate dalle valutazioni eco-tossicologiche e geo-biochimiche volte alla valutazione della qualità della colonna d'acqua e dei sedimenti superficiali»;

   l'Istituto superiore di sanità, nel parere istruttorio richiesto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha riportato che «è stata definita ed approvata la nuova procedura per la derivazione dei valori di riferimento in aree marine e salmastre» interne alla perimetrazione dei SIN, così come previsto dall'articolo 5-bis, comma 2, lettera d), della legge 28 gennaio 1994, n. 84;

   tale procedura, valida esclusivamente nell'ambito dei SIN, è stata approvata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il decreto direttoriale n. 351 dell'8 giugno 2016 e prevede che «il superamento dei valori chimici di riferimento (...) potrebbe comportare un'elevata probabilità di effetti tossici per le comunità bentoniche e rischi per la salute umana in caso di consumo di prodotti ittici provenienti da tale area (bioaccumulo)»;

   a riguardo, l'Istituto superiore di sanità ha evidenziato che la procedura «prevede di valutare la presenza di alcuni contaminanti chimici bioaccumulabili in organismi acquatici prevalentemente stanziali e di compararli con limiti normativi previsti dalla legislazione europea corrente (...). Alcuni dei contaminati bioaccumulabili previsti (...) sono stati riscontrati diffusamente nei sedimenti nel SIN di Trieste in particolare negli strati superficiali (...)»;

   infine, la conferenza di servizi ha chiesto all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e all'Istituto superiore di sanità, e di concerto con ARPA Friuli Venezia Giulia, «di definire i valori di riferimento secondo la nuova procedura al fine di stabilire le eventuali ulteriori azioni da intraprendere» –:

   se il Ministro interrogato, in relazione alla procedura per la derivazione dei valori di riferimento, intenda specificarne i contenuti e comunicare le eventuali evidenze emerse;

   alla luce dei risultati ottenuti, quali iniziative intenda predisporre.
(4-14964)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al sito di interesse nazionale di Trieste, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, occorre evidenziare che la conferenza di servizi del 25 novembre 2015 sul SIN di Trieste ha esaminato il documento «risultati del Piano di caratterizzazione area ex-discarica a mare di Via Errera nel porto di Trieste», trasmesso dall'autorità portuale di Trieste (APT) e acquisito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 8 giugno 2012.
  Nella più ampia area oggetto del suddetto piano di caratterizzazione ambientale dell'ex discarica di via Errera, Trieste, approvato dalla conferenza dei servizi decisoria del 19 maggio 2004 con diverse prescrizioni recepite in fase di esecuzione, sono ricomprese le aree sottoposte ad indagine ambientale denominate «B+D» (oggetto di realizzazione del Terminal GNL) e l'area contermine denominata «Adiacente B+D».
  La suddetta area è caratterizzata dalla presenza di materiali alloctoni, per uno spessore che arriva anche a 20 metri, accumulati nel corso degli anni al di sopra dei sedimenti limo-argillosi marini naturali e la linea di costa originale degli anni ’70 è progredita per oltre 50 metri verso mare.
  Tali materiali, dal punto di vista granulometrico, sono caratterizzati da una matrice limo sabbiosa inglobante ghiaia eteromorfa ed etero dimensionale: all'interno di questo livello di materiali, sono stati rinvenuti residui vetrosi, metallici, vegetali, plastica, nylon ecc., tipicamente ascrivibili ad un'area utilizzata in passato come discarica di rifiuti urbani ed edili.
  Nell'area in oggetto sono state eseguite le indagini previste dal citato piano di caratterizzazione approvato per l'ex discarica di via Errera, in tre diverse fasi più una quarta integrativa:

   fase I (anno 2004): 6 sondaggi, 10 saggi meccanici, 4 piezometri e 4 prove Lefranc;

   fase II (anno 2009): 8 sondaggi, 4 piezometri e 2 prove Lefranc;

   fase III (anno 2010): 13 sondaggi, 7 piezometri e 3 prove Lefranc;

   fase Integrativa (anno 2010, contestualmente alle indagini di Fase III): 5 sondaggi, 1 piezometro, 1 saggio meccanico.

  Nel complesso, sono stati eseguiti n. 11 saggi meccanici e n. 32 sondaggi a carotaggio continuo, di cui n. 16 attrezzati a piezometri. Durante l'esecuzione delle indagini sono stati prelevati n. 186 campioni di terreno, n. 16 campioni classificati come rifiuto solido, n. 27 campioni superficiali top soil e n. 16 campioni di acqua di falda. Tutte le attività di campionamento sono state condotte alla presenza dell'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Friuli Venezia Giulia (Arpa FVG). Dal confronto con le Csc (Concentrazioni soglia di caratterizzazione) fissate dalla tab. 1 e dalla tabella 2, Allegato 5, titolo V – parte quarta, del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'area in esame sono stati rilevati i seguenti superamenti:

   nel top soil, n. 4 superamenti riscontrati a carico di Pccd/Pcdf in corrispondenza dei sondaggi S19, S20, S21 e S25 durante l'esecuzione delle indagini di fase III;

   nei suoli, diffusi superamenti a carico di metalli (antimonio, cadmio, cobalto, nichel, stagno, mercurio, rame, piombo, zinco, cromo VI), idrocarburi leggeri C2, idrocarburi pesanti C>12, PCB, benzo-a-antracene, benzo-a-pirene, indeno-1,2,3cd-pirene, IPA totali, diossine (PCDD/PCDF) e fitofarmaci (somma DDD, DDE, DDT), con presenza di due hot spot per Idrocarburi pesanti C>12 in corrispondenza dei sondaggi S7 e S19, di un hot spot per zinco in corrispondenza del sondaggio S6, di un hot spot per rame in corrispondenza del sondaggio S23;

   nelle acque di falda, una diffusa contaminazione a carico di metalli (antimonio, arsenico, berillio, cadmio, cobalto, cromo totale, ferro, manganese, piombo, nichel, alluminio, mercurio, selenio, tallio, zinco, boro, cromo VI), fluoruri, solfati, idrocarburi totali (come n-esano), benzo-a-antracene, benzo-a-pirene, benzo-b-fluorantene, benzo-k-fluorantene, benzo-g,h,i-perilene, dibenzoa, h-antracene, indeno-1,2,3cd-pirene, IPA totali, PCB, 1,2-dicloropropano e fitofarmaci (somma DDD, DDE, DDT). Inoltre, in corrispondenza del piezometro S11/P9, si è riscontrata la presenza di hot spot per fluoruri, solfati, arsenico, berillio, cobalto, cromo totale, ferro, manganese, nichel, piombo, boro e idrocarburi totali (come n-esano); in corrispondenza dei piezometri S13/P4 e S12/P10 si è riscontrata la presenza di hot spot per alluminio e ferro;

   durante l'esecuzione delle indagini di fase I (2004) sono stati rinvenuti rifiuti in n. 10 punti di campionamento (S8, S9, S10, S11, S12, SM3, SM4, SM6, SM7 e SM10), a profondità estremamente variabili (0.5=13.9 m dal p.c.); i campioni prelevati sono stati analizzati per l'attribuzione codice CER 17.05.03 «terre e rocce, contenenti sostanze pericolose» e sono stati quindi classificati come «rifiuto speciale pericoloso» ai sensi della normativa vigente all'epoca (decreto legislativo n. 22 del 1997 e decreto ministero 13 marzo 2003).

  Atteso il quadro ambientale delineato dai risultati delle indagini sopraesposti, il Ministero dell'ambiente, in data 21 giugno 2012, ha richiesto formale parere istruttorio all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), all'Istituto superioredella sanità e all'Arpa Fvg sugli esiti della caratterizzazione e, in data 27 dicembre 2012, nelle more della validazione delle suddette indagini da parte di ARPA FVG, ha richiesto l'adozione di immediate idonee misure di messa in sicurezza e prevenzione delle acque di falda. L'autorità portuale di Trieste (APT), in riscontro, ha comunicato di voler procedere alla messa in emungimento dei piezometri maggiormente contaminati.
  In data 23 ottobre 2015 la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto ad APT informazioni circa le misure adottate, nonché a provincia ed Arpa Fvg valutazioni circa l'efficacia ed efficienza delle stesse.
  La conferenza di servizi del 15 novembre 2015, acquisiti i pareri di Ispra e Arpa Fvg, considerato che il terrapieno di via Errera, oggetto di indagine ambientale, è stato sede di una discarica per rifiuti speciali presumibilmente autorizzata, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, dalla regione Friuli Venezia Giulia, dal 1984 al 1987, tenuto conto che per tutte le matrici ambientali, ed in particolare per le acque sotterranee, risultano diffusi e significativi superamenti delle relative CSC che attestano la diffusione della contaminazione, ha richiesto all'autorità portuale di Trieste la presentazione, entro 60 giorni dalla notifica del verbale di conferenza, di un progetto di messa in sicurezza permanente dell'area di discarica di via Errera, ai sensi dell'articolo 240 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Contestualmente ha richiesto l'immediata implementazione di idonee misure di prevenzione, atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori delle aree, già richieste dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota del 27 dicembre 2012.
  Occorre, inoltre, evidenziare che, in data 28 gennaio 2016, l'APT ha comunicato l'avvio delle attività di sfalcio, recinzione e raccolta/cernita rifiuti presenti, quali prime misure di prevenzione, evidenziando contestualmente di non poter sostenere gli oneri per l'attuazione degli interventi di bonifica, dovendo gli stessi essere a carico del soggetto responsabile della contaminazione.
  Successivamente, l'autorità portuale di Trieste ha quindi trasmesso lo «Studio di fattibilità della messa in sicurezza permanente dell'area della ex discarica a mare di via Errera». La documentazione trasmessa costituisce lo studio di fattibilità degli interventi di messa in sicurezza permanente necessari ad eliminare il rischio sanitario e ambientale connesso alla contaminazione della discarica di via Errera.
  La superficie interessata, che ricomprende l'area di discarica, risulta di circa 11 ha, con oltre 700 metri di costa a mare rivolta a sud e con uno sviluppo, in direzione ortogonale alla costa, variabile fra 125 metri verso ovest a circa 275 metri verso est (200 metri circa di larghezza in media).
  L'area di progetto interessa anche aree in concessione demaniale sia a est (verso l'inceneritore di AcegasAPS-Amga), sia a ovest (verso il terminale petrolifero SIOT), che l'APT già prevede di revocare per la realizzazione delle opere.
  Inoltre, il citato progetto di messa in sicurezza permanente prevede la conterminazione delle matrici ambientali suoli e acque di falda attraverso la realizzazione di un
capping superficiale e di un barrieramento fisico a valle e a monte dell'area.
  L'intervento è articolato in più fasi e prevede un monitoraggio sia in corso d'opera che
post opera, ed è scandito come segue:

   1) realizzazione delle opere necessarie all'accessibilità e all'interdizione ai non addetti ai lavori (sfalcio e recinzione), realizzazione della barriera sommersa (tipo reef-ball), costruzione dei pozzi di drenaggio 01500 lungo la pista principale della discarica e la posa della tubazione di raccolta delle acque emunte;

   2) realizzazione delle opere lato mare, previa predisposizione del bubble screen a monte della barriera sommersa (tipo reef ball). In particolare, verrà realizzata la pista necessaria alla costruzione dei pali secanti, verranno realizzati i pali e sarà disposta la tubazione di drenaggio perimetrale. Successivamente, si procederà al capping superficiale. Gli interventi descritti saranno organizzati per fasi operative in successione a fasce di -50 metri;

   3) realizzazione della trincea drenante e del diaframma in cemento bentonite lato terra, ai fini di creare un perimetro «chiuso» e controllato internamente in modo dinamico grazie all'emungimento dai pozzi 01500 mm.

  Si stima che gli interventi di messa in sicurezza della discarica di via Errera ammontino a 27.470.000 euro, IVA esclusa.
  Lo «Studio di fattibilità della messa in sicurezza permanente dell'area della ex discarica a mare di via Errera» è stato esaminato dalla conferenza di servizi istruttoria dell'11 aprile 2016 (successivamente aggiornata al 28 aprile 2016) nel corso della quale sono stati acquisiti e riportati a verbale anche i pareri espressi da Ispra, Arpa Fvg e regione Friuli Venezia Giulia.
  All'esito dell'esame istruttorio, la conferenza di servizi ha richiesto all'autorità portuale di Trieste la trasmissione, entro 30 giorni dalla notifica del relativo verbale, di un documento riassuntivo delle misure di prevenzione attuate, atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori, così come previste nella fase 0 e nella fase 1 del più volte citato documento «studio di fattibilità della messa in sicurezza permanente dell'area della ex discarica a mare di via Errera». In particolare, la conferenza di servizi ha richiesto, fermo restando il mantenimento di tutte le misure di prevenzione già in essere, di rimuovere tutti i rifiuti superficiali depositati in modo non controllato sull'area compresi i rifiuti in cumulo in area N-E, di cui deve essere fornita una stima volumetrica ed una caratterizzazione merceologica; nonché, di effettuare un monitoraggio di tutti i piezometri presenti in sito, al fine di verificare lo stato qualitativo delle acque sotterranee e la necessità di mettere in atto ulteriori misure di prevenzione per impedire la diffusione della contaminazione.
  Si evidenzia, infine, che la suddetta conferenza di servizi ha richiesto alla provincia di Trieste di procedere ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006, all'individuazione del soggetto responsabile della contaminazione.
  Ad esito delle indagini di competenza, la provincia di Trieste nel dicembre 2016 ha comunicato di aver individuato il comune di Trieste quale responsabile della contaminazione del sito della ex discarica comunale di Via Errera.
  Nella relazione di accompagnamento la Provincia evidenzia che:

   il comune di Trieste è stato l'unico titolare e gestore della discarica in parola;

   è dimostrato che la discarica è sorgente di contaminazione attiva delle matrici ambientali circostanti (suoli, acque sotterranee e mare);

   il comune non ha fornito documentazione utile alle indagini, sebbene formalmente richiesta dalla provincia ed, in particolare, non ha fornito elementi utili all'individuazione di eventuali responsabilità della contaminazione in capo a soggetti terzi.

  Questo Ministero nel gennaio 2017 ha pertanto richiesto al Comune di Trieste, in qualità di Soggetto obbligato, la presentazione, entro 60 gg dalla notifica della medesima nota, di un progetto di messa in sicurezza permanente (MISP) dell'area di discarica di via Errera, ricordando che la Conferenza di Servizi istruttoria dell'11 e 28 aprile 2016 ha già fornito osservazioni/ prescrizioni utili per la redazione del Progetto definitivo sulla base dello studio di fattibilità per la MISP presentato da APT di cui si è già detto.
  Inoltre, sempre in tal ambito, si è sottolineato che comunque l'Autorità portuale di Trieste dovrà assicurare, ai sensi dell'articolo 245 del decreto legislativo n. 152 del 2006, la continuità della gestione delle misure di prevenzione adottate per garantire l'assenza di rischi per la salute e per l'ambiente.
  Ad oggi non risulta pervenuto alcun riscontro in merito dal Comune di Trieste.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il sito di interesse nazionale di Trieste è stato istituito con decreto n. 468 del 18 settembre 2001 e perimetrato con il decreto ministeriale del 24 febbraio 2003;

   il comma 3 dell'articolo 36-bis della legge n. 134 del 2012 stabilisce che, su richiesta della regione interessata, con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e sentiti gli enti locali di riferimento, possa essere ridefinito il perimetro dei siti di interesse nazionale;

   con nota protocollo n. 0031338/P del 21 luglio 2017, la regione Friuli Venezia Giulia ha trasmesso copia della delibera n. 1338 del 17 luglio 2017 con la quale la giunta regionale ha adottato la proposta di nuova perimetrazione del sito di interesse nazionale di Trieste. A tal fine, il 24 agosto 2017 presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stata convocata la conferenza di servizi;

   a seguito dell'istanza presentata dall'autorità portuale e dall'Area Science Park sulla volontà di riperimetrare il sito di interesse nazionale, sono state escluse, da detto perimetro, le aree prospicienti il canale industriale di Trieste con l'obiettivo di delineare le strategie per attivare e potenziare insediamenti di industrie ad elevato contenuto tecnologico;

   nel corso della conferenza di servizi, il rappresentante della regione Friuli Venezia Giulia ha comunicato di aver avviato l'istruttoria per la ridefinizione del perimetro del Sito di interesse nazionale: «I criteri utilizzati con i quali è stata valutata la proposta sono soddisfatti per tutte le aree tranne che per le aree demaniali e l'area Ezit»;

   successivamente all'analisi degli elaborati presentati dalla regione, il comune di Trieste ha espresso parere favorevole, oltre ad esprimere «parere favorevole all'inclusione delle aree del Termovalorizzatore di via Errera all'interno delle aree oggetto di stralcio, così come proposto dalla azienda Hestambiente srl»;

   la relazione della provincia di Trieste, dell'11 ottobre 2017, relativa all'individuazione del responsabile della contaminazione del sito «Ex discarica di via Errera», una delle zone maggiormente inquinate del sito di interesse nazionale triestino, indica che per le aree limitrofe alla discarica ad eccezione dell'area del termovalorizzatore, dell'area ex Esso e dalla ditta Calcestruzzi Trieste srl, le altre non sono state ancora caratterizzate e non è noto lo stato ambientale di terreno e falda;

   per quanto concerne il sito del termovalorizzatore, la cui costruzione è stata avviata agli inizi degli anni ’90, la relazione ha evidenziato che «la caratterizzazione dell'area si è svolta in tre fasi, considerando distintamente l'area sede dell'impianto, l'area di banchina e l'area cortiliva. Ai fini di valutare l'eventuale apporto alla contaminazione della discarica sono stati presi in considerazione esclusivamente i risultati della caratterizzazione delle prime due aree, in posizione limitrofa alla discarica»;

   in ultimo, «nell'area sede dell'impianto è stata riscontrata la presenza di rifiuti interrati (...) che devono essere oggetto di messa in sicurezza permanente, e la contaminazione circoscritta di un piezometro a valle (presenza di cloroformio). Sono in corso ancora delle verifiche sulla qualità della falda. Relativamente all'area di banchina, i terreni contaminati da idrocarburi pesanti e IPA sono stati asportati (nel 2004) e le acque, inizialmente contaminate da IPA e metalli, dopo la messa in sicurezza dei terreni sono risultate pulite. È da sottolineare che i numerosi interventi di messa in sicurezza dei terreni e delle acque, eseguite nell'area del termovalorizzatore a partire dal 2004, hanno ridotto fortemente il carico contaminante. Ne consegue che l'eventuale apporto alla contaminazione della discarica di Via Errera, se c'è stato, è da imputare principalmente al passato. L'eventuale contributo più recente potrà essere palesato dai risultati delle ulteriori indagini sulla qualità della falda che Hestambiente srl sta eseguendo (...)» –:

   alla luce dei fatti esposti in premessa, se il Ministro interrogato intenda chiarire se le azioni indicate dalla relazione della provincia nell'area sede del termovalorizzatore di via Errera siano state compiute e quali risultanze siano pervenute;

   se, alla luce delle evidenze emerse, l'area interessata dal termovalorizzatore abbia le caratteristiche per essere esclusa dal sito di interesse nazionale.
(4-17869)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In merito ai rifiuti presenti nell'area del termovalorizzatore di via Errera, la conferenza di servizi dell'11 aprile 2016 ha richiesto all'azienda Hestambiente «attesa la dichiarata impossibilità di rimozione dei rifiuti rinvenuti in Sc, Sd e Sh degli stessi, l'adozione per gli stessi di idonei interventi di messa in sicurezza permanente».
  Nel corso dell'incontro del 20 giugno 2017 tenutasi presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con rappresentanti della Hestambiente è stata ribadita la necessità di presentazione di un progetto degli interventi da effettuare sui rifiuti rinvenuti nel sottosuolo dell'area.
  In merito alle verifiche sulla qualità delle acque di falda, l'azienda Hestambiente ha trasmesso, in data 8 agosto 2017, la relazione sulle attività di monitoraggio (4 campagne a cadenza trimestrale) svolte nel 2016.
  Ad oggi, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è in attesa della relazione di validazione dei risultati da parte di ARPA Friuli Venezia Giulia.
  In relazione agli aspetti inerenti la perimetrazione del sito di interesse nazionale, si evidenzia che l'area del termovalorizzatore non risulta inclusa nell'elenco delle aree che la regione propone di escludere dal SIN «Trieste» con la delibera n. 1854 del 29 settembre 2017 avente ad oggetto «decreto legislativo n. 83/2012, articolo 36-
bis, comma 3. Proposta di ridefinizione del perimetro del Sito di Interesse Nazionale di “Trieste” - Area del canale industriale. Modifica della DGR 1338/2017».
  Il tema della riperimetrazione dei siti di interesse nazionale è regolato dall'articolo 36-
bis, comma 3, del decreto legislativo n. 83 del 2012, secondo il quale «su richiesta della Regione interessata, con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti gli Enti locali interessati, può essere ridefinito il perimetro dei siti di interesse nazionale, fermo restando che rimangono di competenza regionale le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica della porzione di siti che, all'esito di tale ridefinizione, esuli dal sito di interesse nazionale».
  Nel caso di specie, la regione Friuli Venezia Giulia ha presentato una prima istanza di ridefinizione del perimetro del SIN «Trieste» con delibera n. 1338 del 17 luglio 2017 della giunta regionale autonoma Friuli Venezia Giulia, per la quale la conferenza di servizi del 24 agosto 2017 ha richiesto un approfondimento istruttorio agli uffici della regione relativamente alle aree Italcementi, Seastock e termovalorizzatore.
  Con nota del 5 ottobre 2017 la regione ha trasmesso la citata delibera di giunta regionale n. 1854 del 29 settembre 2017 che modifica la precedente DGR n. 1338.
  In riscontro, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 6 ottobre 2017, ha richiesto chiarimenti alla medesima regione, in particolare in merito alle discrasie evidenziatesi tra la relazione tecnica e la cartografia allegate alla citata delibera.
  Ad oggi, pertanto, in merito alla ridefinizione del perimetro del SIN, questo Ministero è in attesa di un riscontro da parte della regione autonoma Friuli Venezia Giulia.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 13 ottobre 2015, ha espresso parere favorevole di compatibilità ambientale relativamente ai permessi di ricerca idrocarburi denominati «d 73 F.R.-S.H.» e «d 74 F.R.-S.H» presentati dalla società Shell Italia;

   tali permessi di ricerca di idrocarburi sono relativi ad estrazioni nel mar Jonio, nell'area del Golfo di Taranto;

   la regione Basilicata ha espresso parere negativo ad entrambe le autorizzazioni con le delibere di giunta regionale nn. 161 e 162 del 2013;

   dieci regioni italiane hanno presentato delle richieste di referendum abrogativi relativi ad alcune parti dell'articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, nonché delle norme ad esso correlate, contenute nell'articolo 57 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, e nell'articolo 1 della legge n. 239 del 2014, in forza delle quali sono stati autorizzati i permessi di ricerca di idrocarburi richiamati;

   tra le dieci regioni promotrici dei referendum vi sono anche la Basilicata, la Puglia e la Calabria, i cui territori sono interessati dai permessi di ricerca –:

   se sia informato dei fatti di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere in merito.
(4-11156)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche attinenti le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi in Italia, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha ripristinato il limite delle 12 miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere in mare. La disposizione stabilisce che i titoli abilitativi già rilasciati siano fatti salvi dall'estensione del limite alle 12 miglia per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli
standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. La norma ha vietato nuove attività di trivellazione entro le 12 miglia (20 chilometri) salvaguardando così le vocazioni proprie delle coste italiane e non vanificando gli investimenti messi in atto da soggetti pubblici e privati, a volte molto consistenti, per lo sviluppo e la promozione del turismo.
  Con riferimento alla predetta normativa, il 17 aprile 2016 si è tenuto il referendum per decidere se abrogare o meno la parte della disposizione che permette a chi ha già ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme
offshore entro 12 miglia dalla costa, di poter rinnovare la concessione fino all'esaurimento del giacimento, che ha avuto esito negativo per il mancato raggiungimento del quorum.
  Ciò premesso, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Si evidenzia altresì che i provvedimenti di compatibilità ambientale relativi alle attività di prospezione geofisica di determinate aree in mare sono preliminari rispetto ad eventuali attività di ricerca e produzione di idrocarburi, che potranno essere realizzate in futuro previe ulteriori e distinte valutazioni di impatto ambientale: le prospezioni vagliate con esito positivo nel procedimento Via, e non ancora autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico, mirano infatti a stabilire se in determinate aree siano presenti idrocarburi e in quale quantità, con lo studio preliminare della struttura geologica del sottosuolo, mediante l'emissione di onde acustiche rivolte verso il fondale e prodotte al largo, al fine di acquisire dati ed elementi utili per l'eventuale successiva fase di ricerca.
  In tale fase di prospezione, non è prevista alcuna installazione di piattaforme, che invece potranno eventualmente essere allocate solo a seguito di riscontri positivi delle prospezioni medesime e, comunque, fra diversi anni, previa nuova valutazione di impatto ambientale e ulteriore diversa autorizzazione da parte del Ministero dello sviluppo economico.
  Ad ogni modo, la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Con particolare riguardo al coinvolgimento informativo degli enti locali in relazione alle istanze di rilascio di titoli minerari in mare, si precisa che ai fini autorizzativi è comunque prevista l'intesa con la regione o le regioni interessate. Difatti, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'ambito della procedura di Via sono valutate e considerate tutte le osservazioni pervenute sia da parte dei privati cittadini che da parte delle amministrazioni coinvolte: tale valutazione è debitamente riportata nei provvedimenti di compatibilità ambientale del Ministero con le eventuali controdeduzioni e prescrizioni.
  Si evidenzia, infine, che dopo l'incidente del 2010 nel golfo del Messico, gli Stati membri della Comunità europea hanno dato avvio a una revisione delle politiche dell'Unione europea volte a garantire la sicurezza delle operazioni relative al settore degli idrocarburi.
  Con l'emanazione della direttiva 2013/30/Ue è stato avviato un processo per ridurre per quanto possibile il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e di limitarne le conseguenze, aumentando così la protezione dell'ambiente marino e delle economie costiere dall'inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, limitando possibili interruzioni della produzione energetica interna dell'Unione e migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente.
  Riducendo il rischio di inquinamento marino, la direttiva assicurerà la protezione dell'ambiente marino e in particolare il raggiungimento o il mantenimento di un buono stato ecologico al più tardi entro il 2020, obiettivo stabilito nella direttiva 2008/56/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino).
  Della questione sono comunque interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori informazioni, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   RICCIATTI, ZARATTI, PELLEGRINO, FERRARA, MELILLA, DURANTI, NICCHI, SANNICANDRO, PIRAS, QUARANTA e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'agenzia di stampa Ansa ha reso noto in data 8 ottobre 2015 il sequestro di una discarica abusiva di rifiuti pericolosi ad opera del reparto operativo aeronavale della guardia di finanza di Ancona;

   la discarica è situata nel territorio di Arcevia (Ancona), in un complesso agricolo dove sono stati accertati, dai militari intervenuti sul posto, cumuli di rifiuti ed un capannone in stato di abbandono con la copertura in eternit parzialmente crollata, non censito presso l'azienda sanitaria unica regionale e sprovvisto del piano di sicurezza d'emergenza idoneo a prevenire il rischio di dispersione di fibre di amianto;

   sull'area, di 2.000 metri quadrati circa, la guardia di finanza ha riscontrato l'organizzazione di una discarica abusiva di rifiuti speciali – tra i quali lastre di amianto – per una quantità stimata di circa 2.000 chilogrammi –:

   di quali elementi dispongono in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di salvaguardare il diritto alla salute dei cittadini residenti nelle aree limitrofe, anche promuovendo una indagine epidemiologica tramite l'istituto superiore di sanità;

   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, siano in grado di verificare, se e quali produzioni siano attive nell'area interessata e in quelle immediatamente circostanti essendo quella un'area a destinazione agricola.
(4-10696)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Relativamente alla presenza di amianto nella discarica abusiva nel territorio di Arcevia si segnala che nella Mappatura amianto trasmessa per la rilevazione 2016 (dati anno 2015) dalla regione Marche sono stati censiti 208 siti nel comune di Arcevia. Di questi solo in un sito, l'azienda agricola San Settimi s.r.l., sono presenti circa 2.000 chilogrammi di amianto compatto non bonificato.
  Sull'area in parola i militari della guardia di finanza, oltre a cumuli di rifiuti speciali e non, hanno rinvenuto un capannone in evidente stato di abbandono, dotato di copertura in eternit parzialmente crollata.
  I militari hanno anche accertato che non è stato eseguito il censimento dell'immobile presso l'azienda sanitaria unica regionale, nonché la mancata attuazione del previsto piano di sicurezza d'emergenza per evitare il pericolo di dispersione di fibre di amianto del tetto crollato e conseguentemente la contaminazione dell'area.
  Pertanto l'intera area è stata posta sotto sequestro mentre il legale responsabile dell'azienda è stato denunciato a piede libero per le violazioni alla normativa ambientale.
  Tutto ciò premesso, si evidenzia che la discarica a cui si fa riferimento non è annoverata in quelle di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e che tutte le iniziative da porre in essere, volte alla messa in sicurezza e/o bonifica dell'area, sono di stretta competenza regionale.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   RIZZO, CORDA, ALBERTI, BASILIO, PAOLO BERNINI, ARTINI, D'UVA, FRUSONE e CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   lungo la linea ferroviaria Catania-Caltagirone-Gela, in data 8 maggio 2011, si è verificato il crollo al km 326+600 della nona e decima arcata e di un pilone del ponte di Piano Carbone;

   in maniera fortuita, il crollo non ha determinato alcuna conseguenza a persone o veicoli in transito sulla strada Provinciale 39 che è stata successivamente chiusa, comportando lo spostamento della viabilità stradale sulla strada provinciale 62 Caltagirone-Santo Pietro e sulla strada statale 417 Catania-Gela comportando un disagio, non indifferente, per i cittadini di Niscemi che devono percorrerla frequentemente per raggiungere l'ospedale e il tribunale allocati a Caltagirone;

   il ponte, a tutt'oggi è rimasto nella situazione di precario sostegno in cui si trovava infatti la mancanza di due piloni mantiene in equilibrio precario l'intera struttura dal quale pende, come per miracolo, solo la parte dei binari e delle relative travi. Il ponte, crollato nel maggio 2011, non è stato mai più oggetto di attenzione di RFI in un quadro di progressive dismissioni e col pretesto dell'alta velocità, le attuali Ferrovie stanno investendo tutte le risorse sui Frecciarossa e stanno lasciando in abbandono tutto il resto, senza dare un adeguato peso alle esigenze di mobilità di milioni di Italiani;

   il ripristino del ponte oggetto della presente interrogazione, è in funzione dello sviluppo del territorio. La linea ferroviaria Caltagirone – Catania lambisce l'area dell'aeroporto di Catania. Basterebbe aprire una stazione per trasformare una linea obsoleta in una metropolitana di superficie. Se si tiene conto che sul fronte sud è possibile collegare la linea ferrata con l'aeroporto di Comiso si ha un quadro più chiaro delle potenzialità di sviluppo del territorio –:

   quali progetti e iniziative s'intendano portare avanti, relativamente al ripristino del ponte, ad oggi rimasto nella situazione di precario sostegno.
(4-01224)

  Risposta. — Come già riferito il 26 ottobre 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in IX Commissione, si conferma che la tratta Gela-Caltagirone è sospesa all'esercizio ferroviario dal 2011 a seguito del crollo del ponte di piano Carbone sito al chilometro 326+645; a seguito di tale sospensione si è provveduto ad offrire un servizio sostitutivo attraverso autobus.
  Inoltre, Rete ferroviaria italiana (RFI) riferisce che l'accordo quadro recentemente sottoscritto dalla stessa società e Regione siciliana ha confermato invece il programma di utilizzo attuale dell'infrastruttura per servizi nella tratta Lentini dir.-Caltagirone.
  Quanto alla possibilità di ripristinare il ponte di piano Carbone, la modalità di ricostruzione dello stesso è in fase di esame da parte di RFI nell'ambito della più generale necessità di adeguamento della linea alle più recenti norme di costruzione.
  Ad oggi sono stati realizzati gli interventi di messa in sicurezza del sito relativo al crollo del ponte, con fondi di manutenzione eccezionale di competenza RFI, per un importo di circa euro 1.900.000.
  Gli interventi per il ripristino dell'intera tratta riguardano circa 111 chilometri complessivi e interessano 10 viadotti, oltre al ponte da ricostruire, e 26 gallerie di cui due di lunghezza oltre 1.000 metri.
  La messa a norma della infrastruttura in argomento è stimata all'incirca in 90,5 milioni di euro e i costi connessi al mantenimento – anche in sola sospensione della linea per le attività previste (sorveglianza, visita linea, interventi di presidio, e altro) – ammontano a circa euro 80.000 l'anno.
  Questo Ministero ha manifestato la disponibilità ad avviare un tavolo di confronto con RFI e Regione siciliana, anche in ordine alla valutazione del rapporto costi/benefici del ripristino della tratta, al fine di individuare soluzioni adeguate per ridurre i disagi dell'utenza.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   SCANU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra sabato e domenica 14 maggio 2017 un incendio partito da un camion frigorifero si è sviluppato a bordo della nave Cargo della compagnia Moby Lines «Giuseppe Sa», partita da Piombino diretta al porto Isola Bianca di Olbia; la nave aveva 113 persone a bordo, di cui 88 passeggeri e 25 membri dell'equipaggio;

   l'intervento dell'equipaggio è fortunatamente riuscito a spegnere le fiamme con l'impianto in dotazione a bordo e a mettere in sicurezza tutti i trasportati attraverso la chiusura delle paratie d'emergenza, evitando il diffondersi dell'incendio;

   in questa circostanza sono stati allertati mezzi di soccorso della capitaneria di porto di La Maddalena, il rimorchiatore portuale «Mascalzone Scatenato» e i traghetti «Moby Wonder» e «Moby Aki», della stessa compagnia, un mezzo aereo del nucleo elicotteri della guardia costiera di Sarzana ed una motovedetta per il soccorso Sar d'altura dal porto di Civitavecchia e due unità specializzate del tipo « firefighting» delle autorità francesi;

   il porto di Olbia da alcuni anni registra un notevole incremento del traffico marittimo soprattutto per quanto riguarda il movimento passeggeri, per il 2016 si tratta di una crescita superiore al 15 per cento, pari a circa 650 mila unità in più rispetto al 2015. Secondo un comunicato dell'autorità portuale del nord Sardegna, il porto di Olbia nel 2016 si avvicina a circa 3 milioni di passeggeri, attestandosi in cima ai porti del Mediterraneo, con dati tre volte superiori al cabotaggio di Barcellona (con un milione e 300 mila passeggeri) e superando Genova (2 milioni e 100 mila passeggeri circa al netto delle crociere). Anche i movimenti nave per trasporto merci sono aumentati con 6280 unità su Olbia, con un più 3,3 per cento rispetto al 2015;

   650 mila passeggeri in più, in transito attraverso lo scalo di Olbia, sono la prova che il principale porto gallurese svolge una funzione chiave nel trasporto marittimo in Sardegna, sempre più porta del mediterraneo;

   in ragione degli aumenti di traffico sopraesposti, al porto di Olbia era stata riconosciuta la necessità di un potenziamento delle attività di soccorso antincendio prevedendo un nucleo nautico con classificazione P1, con il progetto per il riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Sono stati avviati i lavori per la realizzazione di una nuova sede in località Cala saccaia, dove è stato realizzato già lo scheletro di una struttura. Inoltre, al nucleo nautico venne assegnato nuovo personale brevettato e una relativa imbarcazione. Ma a seguito del riordino dei vigili del fuoco (2015) il nuovo progetto è stato abbandonato e anche il nucleo sommozzatori dei vigili del fuoco è stato ridimensionato, passando, nella pianta organica, da 28 a 14 unità. Con questi numeri non è stato più possibile effettuare la copertura nell'arco notturno, fascia, tra l'altro, a più alta intensità di traffico marittimo passeggeri, con l'aggravante del traffico dei due aeroporti a ridosso del mare (Costa Smeralda e Fertilia) e dello scalo marittimo turritano di Porto Torres. In caso di necessità oggi si è costretti a intervenire su Olbia, nella fascia notturna, attraverso il nucleo di Cagliari che non può giungere sul posto prima di 4 ore, e, comunque in tal caso, sguarnendo la fascia sud della Sardegna –:

   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative per l'istituzione, ad Olbia, che appare ormai non più rinviabile, di un presidio nautico notturno fisso dei vigili del fuoco dotati di uomini e mezzi specialisti per l'estinzione degli incendi e per il soccorso in mare.
(4-16622)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede di assumere iniziative per l'istituzione, ad Olbia, di un presidio nautico notturno fisso dei vigili del fuoco, anche a seguito dell'incendio avvenuto a bordo della nave cargo «Giuseppe Sa», all'interno del garage principale, nella notte tra sabato e domenica 14 maggio 2017 mentre era in navigazione da Piombino.
  Come noto, tale incendio è stato rapidamente domato dallo stesso equipaggio e non ha causato danni ad alcuna delle persone a bordo.
  All'arrivo della nave all'ormeggio in porto il personale del locale distaccamento provinciale dei Vigili del fuoco – ubicato a solo sei chilometri dal porto isola Bianca e a circa otto dal porto industriale – è intervenuto prontamente a bordo per verificare l'effettivo spegnimento dell'incendio nonché la sussistenza delle condizioni di sicurezza necessarie per poter procedere alle operazioni di sbarco.
  Per le operazioni di soccorso erano stati allertati vari mezzi navali, tra i quali due unità francesi specializzate, ed un elicottero della Guardia costiera.
  Va riconosciuto che il personale in servizio presso distaccamento di Olbia dei vigili del fuoco è sempre intervenuto con tempestività ed efficacia nei casi di emergenza, come nel caso avvenuto in circostanze analoghe nel giugno 2013.
  Quanto alla proposta di istituire un presidio nautico notturno permanente dei vigili del fuoco nel porto di Olbia, si fa presente che, benché il comando dei Vigili del fuoco di Sassari già disponga di un distaccamento portuale classificato P1, con sede a Porto Torres, un orientamento favorevole all'apertura di un secondo distaccamento nautico della stessa classe presso il porto di Olbia è stato da tempo assunto, tenuto conto anche dei dati statistici forniti da Assoporti e della circostanza che quello scalo ha visto aumentare il numero dei passeggeri movimentati di 2,3 milioni nel 2013 a circa 3 milioni nel 2016, come ricordato dall'interrogante.
  In tale prospettiva è stata così avviata fin dal 2009 la costruzione di una sede nello stesso sedime portuale, con finanziamento da parte del dipartimento dei vigili del fuoco mentre la realizzazione della struttura è stata affidata, tramite apposito atto d'intesa, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, provveditorato del Lazio, Abruzzo e Sardegna.
  I lavori, dopo l'esperimento della gara, erano stati affidati ad un'associazione temporanea di imprese che, come da contratto, avrebbe dovuto eseguirli in 365 giorni naturali e consecutivi a partire dal 4 novembre 2009, data della consegna dei lavori.
  Durante l'esecuzione dell'opera è stata approvata una variante richiesta dal Comando dei vigili del fuoco di Sassari.
  La scadenza contrattualmente pattuita per il completamento dell'opera non è stata però rispettata, malgrado la direzione Lavori e il responsabile unico del procedimento abbiano a più riprese sollecitato l'ATI suddetta, finché nella seduta di luglio 2013, convocata dal provveditorato del Lazio Abruzzo e Sardegna, il comitato tecnico amministrativo, vista l'inadempienza della ditta e previo nulla osta di questo Ministero, ha deliberato la rescissione del contratto.
  Il ritardo nella realizzazione del suddetto fabbricato ha indotto il Ministero delle infrastrutture ad affidare il completamento dell'opera ad altra impresa, con contratto registrato presso l'ufficio centrale di Bilancio di questo Ministero il 19 maggio 2017.
  Si rappresenta, comunque, che l'analisi dei costi per l'avvio del servizio antincendio presso il porto di Olbia, eseguita ipotizzando un presidio nautico permanente di tipo P1, con una dotazione di 24 vigili del fuoco specialisti nautici e da 2 unità navali di piccola stazza (una delle quali di riserva), lascia prevedere costi aggiuntivi quantificabili in circa euro 2.630.000 per l'investimento iniziale (spese fisse per il personale, acquisto delle unità navali e di almeno 2 automezzi terrestri e relative spese di manutenzione, eccetera) ed in euro 1.120.000 per l'esercizio annuale, esclusi i costi di gestione relativi alla sede.
  Nelle more del reperimento delle risorse umane e finanziarie necessarie all'attivazione di un distaccamento nautico così configurato, tenuto conto altresì del flusso turistico e navale che si registra annualmente nel periodo estivo, verrà comunque valutata l'opportunità dell'apertura di un presidio stagionale presso la sede di Olbia non appena saranno ultimati i lavori di completamento del fabbricato di cui si è detto, con l'utilizzo temporaneo della seconda unità navale di riserva in dotazione al distaccamento di Porto Torres e l'impiego, in orario straordinario, del personale vigile del fuoco specialista nautico e generico, purché qualificato per l'antincendio navale.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   VACCA, DEL GROSSO e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la flotta aerea Canadair CL415 nel 2011 del dipartimento della protezione civile è composta da 19 velivoli disponibili e trasferita al dipartimento vigili del fuoco per effetto del decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 2013, n. 40;

   con bando di gara dell'agosto 2011, il 3 febbraio 2012 è stata affidata la gestione dei Canadair per una durata di tre anni prorogabile per un ulteriore triennio;

   la flotta aerea di Canadair è gestita dal raggruppamento temporaneo d'imprese costituito dalla società Inaer Aviation Italia s.p.a. e la società Inaer Aviones Anfibios S.A.U. con sede in Spagna, ceduta a Babcock International Italia nel Marzo 2014, in forza del contratto stipulato con la Presidenza del Consiglio dei ministri relativo alla gestione operativa e logistica della flotta aerea Bombardier CL-415, la cui scadenza è prevista in data 3 febbraio 2018;

   le risorse destinate alla protezione civile per la gestione dei 19 velivoli Canadair CL-415 è pari a 64 milioni di euro annui, ai sensi dell'articolo 21, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98;

   il contratto prevede l'impegno, da parte della società vincitrice, di garantire la gestione operativa e logistica della flotta CL-415, il cui compito operativo primario si identifica con l'espletamento del servizio aereo antincendio boschivo (AIB) e di attività operative secondarie;

   il mezzo aereo è adatto a svolgere anche attività sussidiarie quali il pattugliamento marittimo delle coste italiane (criticità immigratoria), e il trasporto squadre di soccorso in luoghi impervi per esigenze di emergenze e/o calamità naturali (previe opportuni accorgimenti tecnico-operativi);

   attualmente il contratto prevede, a fronte di 19 aeroplani disponibili, di garantire la disponibilità operativa di minimo 6 velivoli per il periodo autunnale-invernale-primaverile (ottobre-maggio) e di minimo 14 velivoli operativi nel periodo di massimo impegno operativo nei mesi di luglio e agosto; prevede, altresì, l'impegno da parte della società vincitrice di garantire l'attività operativa, addestrativa e tecnica per 360 ore di volo « block» l'anno per ogni velivolo di gestione;

   l'attuale disciplinare tecnico del contratto prevede specifici requisiti per i piloti che la società vincitrice può impiegare; in particolare, il comandante deve possedere almeno 2000 ore di volo di cui almeno 200 in attività su aeromobili CL-415 impiegati per la lotta agli incendi boschivi, mentre il copilota almeno 1000 ore di volo. Il contratto prevede anche un «gradimento» sull'utilizzo dei piloti che viene espresso dal dipartimento della protezione civile; tale gradimento può inibire l'uso di piloti e si basa sulle ore di volo su velivoli CL-415, sulle eventuali qualifiche aggiuntive di pilota e co-pilota, sul numero di ore di volo totali e sul tipo di contratto di impiego (se stagionale o per tutta la durata del contratto);

   ad avviso degli interroganti, in considerazione dello scadere dell'appalto, è concreta e auspicabile la possibilità, da parte dello Stato, di gestire direttamente i Canadair attraverso propri piloti e nel contempo valorizzare le esperienze maturate nel corso di questi anni nella gestione degli incendi boschivi –:

   se il Governo intenda valutare la possibilità affidare al dipartimento dei vigili del fuoco il servizio e la gestione operativa e tecnico-manutentiva della flotta antincendio boschiva;

   se il Governo intenda avviare iniziative con il fine di valorizzare il patrimonio strumentale della flotta dei Canadair, il personale manutentore e le esperienze acquisite, con particolare attenzione alle professionalità maturate sia in caso di affidamento esterno del servizio, che in caso di gestione diretta;

   quali siano i livelli addestrativi dei piloti utilizzati e se siano compatibili con gli standard sufficienti a garantire livelli di sicurezza del volo nelle operazioni di soccorso.
(4-16930)

  Risposta. — La legislazione di settore e, in particolare, il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, affida alle regioni la competenza primaria nella materia della lotta attiva contro gli incendi boschivi, riservando allo Stato il solo concorso nell'attività di spegnimento.
  Tale assetto generale è stato confermato e ancor più esplicitato dalla legge quadro sugli incendi boschivi 21 novembre 2000, n. 353, che ha, tra l'altro, attribuito alle regioni il compito di definire e programmare, mediante appositi piani regionali, le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi.
  Si sottolinea come tale suddivisione di competenze tra lo Stato e le regioni in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi non risulta in alcun modo mutata anche a seguito dell'emanazione del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante la razionalizzazione delle funzioni di polizia e l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato.
  Infatti, allo Stato continua a spettare in via sussidiaria il concorso alla lotta attiva agli incendi boschivi attraverso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e l'Arma dei carabinieri per le connesse attività di prevenzione e repressione.
  Ciò premesso, si rappresenta che le regioni, per le operazioni di spegnimento degli incendi dall'alto, possono avvalersi, in tutto o in parte, di una propria flotta, anche ricorrendo a società esterne, ovvero richiedere, qualora necessario, il concorso dello Stato.
  In tal senso, va ricordato che il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri è chiamato, attraverso il centro operativo aereo unificato (COAU) ad assicurare, grazie ad un coordinamento nazionale, «le attività aeree di spegnimento con la flotta aerea antincendio dello Stato».
  Tale flotta si avvale, come noto, di mezzi di particolare efficacia, come i 19 Canadair, transitati al Corpo nazionale dei vigili del fuoco dal 2013 oltre ai quali il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha messo a disposizione del COAU 15 elicotteri per la campagna antincendi boschivi (AIB) 2017, utilizzando in parte elicotteri provenienti dall'ex Corpo Forestale dello Stato, in parte mettendo a disposizione propri velivoli, così compensando i mezzi ex Corpo Forestale dello Stato in fermo manutentivo obbligatorio per la sicurezza del volo.
  Anche in virtù di tale sforzo profuso dal Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, il COAU oggi vanta una delle maggiori flotte di cui abbia potuto disporre nell'ultimo decennio, cui il Corpo contribuisce per circa l'80 per cento.
  Riguardo a quanto specificamente evidenziato in ordine alla proprietà e alla gestione della flotta statale, si conferma che la flotta Canadair, di proprietà del dipartimento dei vigili del fuoco dal 2013, è operativamente gestita, ivi compreso il personale di volo, dal raggruppamento d'imprese
Inaer Aviation Italia spa e Inaer Aviones Anfibios Sau, sulla base di un contratto stipulato nel 2012 dal dipartimento di protezione civile.
  Dal 1° marzo 2017 è avvenuta la variazione sociale da
Inaer Aviation Italia a Babcock Mission Critical Services Italia spa a seguito dell'integrazione della società nel gruppo Babcock.
  La scadenza prevista del citato contratto è il 9 febbraio 2018, e, fino ad oggi, non ha evidenziato criticità né sulla gestione e né sull'efficienza operativa della flotta.
  Peraltro, si precisa che è in previsione l'indizione di una gara europea a procedura aperta per affidamento del servizio sopracitato per un periodo di tre anni prorogabili ad altri tre.
  Per quanto riguarda la proposta di internalizzare completamente il servizio dell'antincendio aereo, la stessa potrebbe essere eventualmente presa in considerazione solo per la parte operativa, con un progetto di medio-lungo termine che comporterebbe un aumento dell'organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e un rilevante impegno economico per i prossimi 10 anni correlati all'assunzione e all'attività formativa e addestrativa per i piloti.
  Non sembra, invece, possibile internalizzare la gestione tecnico-manutentiva degli aeromobili in argomento, per la rilevante complessità della stessa e per non essere congruente con i compiti d'istituto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il fenomeno geotermico, specie nel circondario del Monte Amiata, è stato oggetto di ampi dibattiti e proteste da parte dei comitati locali;

   sulla vicenda, è da tenere in considerazione l'intervenuto del tribunale di Grosseto, che in data 13 ottobre 2016, respingeva la denuncia dell'Enel contro chi sosteneva «che le centrali geotermiche fossero fonte d'inquinamento e determinassero la presenza di arsenico nell'acqua potabile e che lo sviluppo geotermico promosso da Enel fosse causa di morte, degrado ambientale e sottosviluppo» e, in più, con la sentenza n. 718, condannava l'Enel alle spese;

   anche il tribunale di Siena ha accolto le ragioni dei cittadini e condannato l'Enel a risarcire i danni, pagare le spese legali e del Consulente tecnico d'ufficio, dalla cui perizia viene accertato che l'Enel ha costantemente e continuativamente superato i limiti previsti per le emissioni di acido solfidrico, come pure aveva già rilevato l'Arpat;

   l'accertato superamento dei limiti delle emissioni di acido solfidrico H2s, è la ragione della condanna, ma la sentenza si esprime anche su altri elementi: non è necessario che le emissioni provochino un danno biologico o una patologia, come indicato dalla Corte di cassazione (v. Cass. n. 7875 del 2009; Cass. n. 26899 del 2014) che «ha affermato, nell'ambito della tutela del domicilio e della famiglia, che pur quando non risulti integrato un danno biologico, la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria casa di abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane sono pregiudizi apprezzabili in termini di danno non patrimoniale. A ciò deve aggiungersi che il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare è uno dei diritti protetti dalla Convenzione europea dei diritti umani (articolo 8). La Corte di Strasburgo ha fatto più volte applicazione di tale principio, anche a fondamento della tutela alla vivibilità dell'abitazione e alla qualità della vita all'interno di essa, riconoscendo alle parti assoggettate ad immissioni intollerabili un consistente risarcimento del danno morale»;

   gli incentivi statali alle centrali geotermiche vengono ripartiti in: a) certificati verdi per le centrali costruite fino al 2012; b) tariffe incentivanti definite dal decreto ministeriale del 6 luglio 2012 per le nuove centrali. Il loro valore viene definito di anno in anno secondo parametri che fanno riferimento al prezzo medio di cessione dell'energia elettrica. Per le centrali dell'Amiata, a quanto risulta all'interrogante l'Enel ha incassato come incentivi statali più di 46,5 milioni di euro nel 2013, circa 64,4 milioni di euro per il 2014 e 80,8 milioni di euro nel 2015. Si specifica altresì che il costo degli incentivi rappresenta circa 24 per cento delle tariffe elettriche pagate in bolletta dalle famiglie italiane –:

   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere iniziative per quanto di competenza, per pervenire a un sistema di riduzione delle fonti d'inquinamento prodotte dalle centrali geotermiche dell'Enel sul monte Amiata;

   se non ritengano necessario assumere iniziative per eliminare gli incentivi che tengono in vita economicamente queste tipologie di impianti, in riferimento alle sentenze della magistratura che li dichiarano non ecocompatibili e anzi fonte certa d'inquinamento;

   se non ritengano necessario assumere iniziative per stanziare risorse certe per riparare i danni sanitari e ambientali causati dalle centrali geotermiche, come la presenza di arsenico nell'acqua potabile, causa di morte, degrado ambientale e sottosviluppo, oltre al superamento dei limiti previsti per le emissioni di acido solfidrico, rilevato da Arpat, e quindi definitivamente appurato;

   se non ritengano di dover elaborare una contabilità energetica complessiva delle fonti rinnovabili, avvalendosi anche del supporto di Enea, in modo da individuare una scala di riferimento in base alla quale indirizzare opportunamente gli incentivi statali alle fonti veramente ecocompatibili in tutto il loro ciclo di vita.
(4-14983)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che secondo quanto previsto dal decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, le funzioni amministrative riguardanti le risorse geotermiche sono svolte dalle regioni o da enti da esse delegati, nel cui territorio sono rinvenute.
  Le funzioni amministrative sono seguite a livello statale solo nel caso di risorse geotermiche rinvenute nel mare territoriale e nella piattaforma continentale nazionale e nel caso di impianti pilota (si tratta di un numero limitato di impianti con totale reimmissione del fluido geotermico nelle formazioni di provenienza e comunque con emissioni nulle).
  Gli impianti richiamati nell'interrogazione in oggetto sono situati nell'area geotermica del Monte Amiata in Toscana e, pertanto, la regione, con deliberazione della Giunta, 22 marzo 2010, n. 344, ha stabilito i «Criteri direttivi per il contenimento delle emissioni in atmosfera delle centrali geotermoelettriche» che devono essere rispettati ai fini del rilascio delle autorizzazioni nell'ambito delle procedure di Via a livello regionale.
  I valori di riferimento della normativa regionale interessano le emissioni di idrogeno solforato, mercurio, arsenico (As), boro (B), ammoniaca (NH3) e antimonio (Sb).
  Ciò premesso, più in generale, al fine di garantire un'armonizzazione della normativa di settore a livello locale, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha pubblicato in data 21 ottobre 2016 le «Linee guida per l'utilizzazione della risorsa geotermica a media e alta entalpia» che delineano gli indirizzi tecnici specifici per l'utilizzo in sicurezza della risorsa geotermica a media ed alta entalpia da serbatoi idrotermali.
  Con riferimento al sistema di incentivazione, con il decreto ministeriale 23 giugno 2016 è stato disciplinato, per lo scorso anno, il supporto alla produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti rinnovabili diverse da quella solare fotovoltaica. Per la geotermia è previsto un contingente di 30 MW gestito attraverso i «registri» e un contingente di 20 megawatt accessibile con la procedura di «asta».
  Al riguardo, si segnala che, fermi restando i limiti di emissione imposti dalla normativa regionale e nazionale, il provvedimento premia le tecnologie con emissioni nulle ovvero in grado di abbattere almeno il 95 per cento del livello di idrogeno solforato e di mercurio.
  Per quanto riguarda l'elaborazione di una pianificazione a livello nazionale delle fonti rinnovabili, si rappresenta che l'Italia, entro il 2018 dovrà presentare alla Commissione europea il «piano nazionale per il clima e l'energia» per il raggiungimento degli obiettivi ambientali al 2030, che includono, tra gli altri, il 27 per cento di energie rinnovabili sui consumi finali di energia a livello europeo.
  Si riportano, inoltre, i dati forniti da Arpa Toscana.
  Per quanto riguarda il controllo alle emissioni delle centrali geotermiche presenti nel territorio del monte Amiata, si distinguono due zone geotermiche, zona Amiata versante grossetano (Loc. Bagnore) e zona Amiata versante senese (Piancastagnaio).
  Nella zona amiatina versante grossetano, sono presenti tre centrali geotermoelettriche (Bagnore 3, Bagnore 4 gruppo 1 e Bagnore 4 gruppo 2), per un totale di 60 MWe di potenza lorda nominale prodotta.
  I controlli alle emissioni svolti negli ultimi due anni (2015 e 2016) hanno registrato, nel mese di giugno 2015, un superamento dei valori limite di emissione in uscita AMIS (Abbattitore Mercurio Idrogeno Solforato) per il parametro «anidride solforosa SO2».
  Nella zona amiatina versante senese (Piancastagnaio), sono presenti tre centrali geotermoelettriche (PC3, PC4, PC5) per una potenza complessiva prodotta, anche qui, di 60 MWe. Per queste centrali, negli ultimi due anni non sono stati registrati superamenti dei valori limite.
  Con riferimento al controllo della qualità dell'aria nelle aree geotermiche del Monte Amiata, tutte le suddette aree sono monitorate, per l'H2S, da una rete fissa di stazioni di monitoraggio in continuo, di proprietà di Enel GP che ne effettua anche la gestione. I dati sono trasmessi regolarmente ad Arpat che ne valuta la congruità.
  In particolare, in zona Amiata grossetana, sono attive quattro centraline di Enel GP e, in questo momento, è presente anche una centralina mobile di Arpat, localizzata in località Bagnoli ad Arcidosso; in zona Amiata senese, sono presenti due centraline ENEL GP localizzate a ridosso dell'abitato di Piancastagnaio.
  Si precisa che Arpat dispone di una seconda stazione mobile che è utilizzata per campagne brevi di verifica dell'accuratezza dei dati ENEL GP; le centraline Arpat monitorano altresì la concentrazione di mercurio gassoso in aria.
  Si informa, inoltre, che alcune centraline ENEL GP monitorano anche il Radon e una centralina, installata in località Marigar, monitora il PM10, Arsenico, Mercurio, Boro, Antimonio e Ammoniaca.
  I dati fino ad oggi registrati, per tutti i parametri sopra citati, non hanno evidenziato alcun superamento dei valori limite di cautela sanitaria di cui alle specifiche linee guida della
World health organization (WHO).
  Invece, sono stati registrati superamenti, soprattutto nella zona di Piancastagnaio, del valore della soglia di percezione olfattiva di 7 µg/m3 con possibile disturbo olfattivo delle persone esposte.
  Per questo parametro non sono previsti, dalle normative nazionali e regionali, valori limite da rispettare; si precisa che il valore limite di cautela sanitaria, come esposizione acuta, per l'H2S, è di 150 µg/m3 come media delle 24 ore, come esposizione a breve durata su 14 giorni è di 100 µg/m3, come esposizione a lunga durata su 90 giorni è di 20 µg/m3.
  Si precisa, inoltre, che a partire dal mese di settembre 2016 sono emessi, con aggiornamento mensile, bollettini con le elaborazioni dei dati di qualità dell'aria, per il parametro H2S, riguardanti le due aree geotermiche dal Monte Amiata; nei succitati bollettini sono riportati i valori di H2S di esposizione acuta a 24 ore e le percentuali di ore nelle quali si è avuto il superamento delle soglie di percezione olfattiva (
http: /www.arpat.toscana.it/datiemappe/bollettini/bollettino-della-qualita-dellaria-nella-zona-geotermica-del-monte-amiata/archivio-bollettini/bollettino-della-qualita-dellaria-nella-zona-geotermica-del-monte-amiata).
  Per quanto riguarda la presenza di arsenico nelle acque, si comunica che a partire dal 2002, Arpat effettua il monitoraggio di 10 sorgenti (5 nella zona versante grossetano e 5 nella zona versante senese), per la determinazione dei seguenti parametri: arsenico, boro, cloruri, Solfati, pH e conducibilità. Ogni anno i dati sono raccolti ed elaborati, da Arpat, ai fini di stimare un valore di tendenza circa situazioni di stazionarietà, incremento o decremento.
  I dati del 2015, in sintesi, dimostrano una tendenza alla stazionarietà del Boro, Ph e Conducibilità, mentre, per l'arsenico risulta, negli ultimi due anni (2014 e 2015) una tendenza al decremento in alcune sorgenti e una tendenza alla stazionarietà in altre. Risulta, invece, una generale tendenza all'incremento, sebbene di poca entità, per il parametro «Cloruri».
  Inoltre, viene svolto un monitoraggio da parte di Enel GP di acque superficiali, sotterranee e piezometriche, presso altre stazioni del Monte Amiata, ad integrare il monitoraggio delle sorgenti effettuato da Arpat; anche in questo caso ENEL GP trasmette i dati ad Arpat che ne verifica la congruità; per l'arsenico i risultati sono in linea con i dati del monitoraggio Arpat.
  Si comunica, infine, che i risultati riepilogati riguardanti le emissioni, la qualità dell'aria (immissioni) e la risorsa idrica, sono dettagliati in documenti pubblicati da Arpat nel proprio sito
web e accessibili a tutti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque – ha indetto una gara a procedura aperta per la «fornitura di dati e servizi per il monitoraggio e l'individuazione di aree potenzialmente inquinate sul territorio nazionale»;

   l'appalto consiste nell'incremento della già costituita base dati del sistema informativo per il «monitoraggio e l'individuazione delle aree potenzialmente inquinate (MIAPI)», tramite l'acquisizione di n.1 dataset prodotto da telerilevamento da piattaforma su elicottero, mediante la tecnica delle indagini geofisiche basate sull'impiego dei sensori magnetometro e spettrometro raggi gamma, la fornitura di tecnologie hardware/elettroniche per il potenziamento del Sita, il servizio di installazione ed integrazione di tecnologie ICT, i servizi di assistenza evolutiva, adeguativa, correttiva e gestione tecnico-applicativa;

   il bando di gara è disponibile, insieme alla documentazione di gara completa, sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla sezione «bandi». L'importo a base d'asta è di euro 1.639.300, Iva esclusa, e le offerte dovevano pervenire entro il 2 novembre 2016, ore 12,00, al comando carabinieri per la tutela dell'ambiente;

   da notizie di stampa (articoli apparsi sulla Gazzetta di Mantova nel luglio 2017 e sul Resto del Carlino il 17 agosto 2017 ed altri) e da numerose segnalazioni di cittadini, si apprende che sono in corso studi magnetometrici nel territorio delle province di Mantova, Pavia, Verona, Rovigo, Reggio Emilia; risulta che un elicottero con un magnetometro è stato visto sorvolare i cieli di molti comuni padani dal mese di luglio 2017, nell'ambito di un'operazione finanziata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che risulta partita 3 anni fa. Le misurazioni avvengono in particolare in aree scarsamente urbanizzate e in corrispondenza dei fiumi. Tale apparecchiatura dovrebbe consentire indagini geofisiche e in particolare di rilevare dall'alto la presenza di discariche abusive e, in particolare, l'interramento di materiali radioattivi –:

   se il Ministro interrogato non intenda fornire le tipologie e i risultati di tali misurazioni e i costi totali delle operazioni descritte in premessa.
(4-17646)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il Programma operativo nazionale (P.O.N.) «Sicurezza per lo sviluppo – Obiettivo Convergenza 2007-2013» si propone come obiettivo il miglioramento delle condizioni di sicurezza del territorio, della giustizia e della legalità per i cittadini e le imprese laddove i fenomeni criminali limitano enormemente lo sviluppo economico. Il P.O.N. sicurezza 2007-2013, il cui titolare è il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, ha una dotazione finanziaria di 1.158 milioni di euro di cui il 50 per cento cofinanziato dall'Unione europea, attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale e il restante 50 per cento finanziato dallo Stato italiano.
  Il progetto MIAPI, nato dalla collaborazione tra il comando Carabinieri per la tutela ambientale e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è stato finanziato con 10.556.570,00 di euro ed è rivolto alle regioni obiettivo convergenza Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Obiettivo del progetto è fornire agli enti investigativi, preposti alla prevenzione dei crimini ambientali delle regioni obiettivo convergenza, nuove informazioni territoriali necessarie a contrastare in modo più efficace i reati ambientali ed a pianificare interventi di bonifica del territorio potenzialmente inquinato. Parallelamente, sono state coinvolte le ARPA regionali e provinciali impegnate nelle verifiche a terra e nel censimento dei siti inquinati (discariche abusive o comunque non messe in sicurezza).
  Il progetto si articola fondamentalmente in tre fasi. Nella prima fase, attraverso un'analisi multicriteria su dati storici, sono state individuate le aree che statisticamente potrebbero essere oggetto di crimini ambientali e quindi da analizzare. Il passo successivo prevede le attività di volo aereo (elicottero ed aereo) multi sensore (spettrometro gamma, magnetometro, termico, fotogrammetrico) su un totale di circa 12.000 chilometri quadrati (65.000 chilometri lineari di rilievo) ripartiti sulle quattro regioni. I dati rilevati, che hanno richiesto oltre 1500 ore di volo, vengono quindi analizzati individuando eventuali anomalie di alcuni parametri fisici e geofisici, mirando alla localizzazione di aree potenzialmente inquinate su cui focalizzare poi le tradizionali analisi a terra. Le anomalie possono essere magnetiche o termiche o risiedere nella radioattività. I dati acquisiti vengono anche confrontati con serie fotogrammetriche storiche e contestualizzati al fine di limitare al massimo errori di interpretazione. La seconda fase del progetto prevede la verifica, tramite indagini in campo con strumenti geofisici, dell'effettiva presenza di inquinanti in corrispondenza dei siti individuati e, in tal caso, si procede alla precisa localizzazione e perimetrazione dell'area anomala. La specifica attività, sviluppata sulle 4 regioni, prevede svariate centinaia di chilometri di rilievo. La terza e ultima fase del progetto prevede la creazione e gestione di un archivio informatizzato centralizzato, condiviso e aggiornabile, delle informazioni relative ai siti potenzialmente inquinati. L'archivio, gestito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è messo a disposizione sia delle ARPA regionali che del Comando carabinieri tutela ambiente.
  Il notevole interesse suscitato dal progetto sia per l'innovativa tecnica di indagine sia per la sua spedita applicazione ha comportato la richiesta di ulteriori fondi per investigare aree inizialmente escluse per la mancanza di capienza economica.
  A luglio 2014 il Ministero dell'interno – dipartimento della pubblica sicurezza ha approvato «per il soddisfacimento delle esigenze di sicurezza e legalità a carattere sovraregionale nelle 4 Regioni Obiettivo Convergenza» il progetto di estensione del progetto MIAPI originario assegnando un ulteriore finanziamento di euro 6.846.000,00; ad ottobre 2014 è stata avviata una estensione del progetto che prevede ulteriori 8.000 chilometri quadrati di rilievi da piattaforma aerea e altri 1.700 chilometri circa di rilievi a terra. Le attività si sono concluse nel giugno 2016.
  Tutti i dati acquisiti ed elaborati nell'ambito del progetto MIAPI (schede, relazioni, dati acquisiti da rilievi aerei e dati acquisiti in campo) sono stati trasmessi al Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente. Le stesse informazioni sono state inviate ad ARPA Campania, ARPA Calabria e ARPA Sicilia, ad eccezione di alcune relazioni che sono oggetto di valutazione da parte degli organi giudiziari e che quindi non sono state trasmesse a questi soggetti istituzionali.
  A seguito di una positiva valutazione delle attività svolte con le due citate campagne di rilievi nelle regioni obiettivo convergenza, il Comando carabinieri tutela dell'ambiente ha ritenuto di procedere ad applicare risorse nella propria disponibilità alla effettuazione di rilievi anche nell'Italia settentrionale. Pertanto nel maggio 2017, a seguito di procedura di affidamento, si è dato avvio ad un contratto dell'importo di euro 1.524.549,00 per effettuare nelle regioni settentrionali delle attività che includono una superficie di rilievo aereo di 1.000 chilometri quadrati e delle verifiche di campagna a terra che sviluppano 200 chilometri lineari.
  In merito alla disponibilità dei dati telerilevati, ovvero i risultati delle misurazioni, come già specificato, gli stessi vengono trasmessi alle ARPA regionali interessate ed a cura di tali enti ne viene data visibilità al pubblico attraverso i propri portali internet.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere le attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.