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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 27 ottobre 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni I e IV,

   premesso che:

    tra le materie concernenti i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica in Italia vi è quella dell'assistenza spirituale al personale delle Forze armate;

    ai sensi del comma 2 dell'articolo 11 della «legge di ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede (legge 25 marzo 1985, n. 121)», l'assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiastici nominati dalle autorità italiane competenti su designazione dell'autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l'organico e le modalità stabiliti d'intesa fra tali autorità;

    l'attuale stato giuridico dei cappellani militari nell'ordinamento italiano riflette il loro pieno inserimento nella struttura gerarchica militare, con assimilazione del loro status a quello degli ufficiali e conseguente attribuzione dei gradi gerarchici (articolo 1546 del decreto legislativo n. 66 del 2010), da cui discende l'applicazione del relativo trattamento economico e la soggezione, in linea di principio, alla medesima disciplina militare;

    ai sensi dell'articolo 1621 del decreto legislativo n. 66 del 2010 all'ordinario militare compete il trattamento economico previsto per il grado di generale di corpo d'armata; al vicario generale militare e agli ispettori spetta integralmente il trattamento economico degli ufficiali dell'Esercito, secondo il grado di assimilazione. Ai cappellani militari spetta integralmente il trattamento economico degli ufficiali della Forza armata presso la quale prestano servizio, secondo il grado di assimilazione;

    a sua volta l'articolo 1625 stabilisce che per le pensioni normali, privilegiate, ordinarie e di guerra all'ordinario, al vicario generale, agli ispettori e ai cappellani militari in servizio permanente, si applicano le disposizioni in vigore per gli ufficiali dell'Esercito italiano, secondo il grado di assimilazione. Per le pensioni normali, ai cappellani militari di complemento e della riserva, si applicano le disposizioni in vigore per gli ufficiali dell'Esercito italiano, secondo il grado di assimilazione;

    nel corso degli ultimi vent'anni sono andati in pensione 4 ordinari militari, 4 vicari generali, 8 ispettori e circa 140 cappellani militari. Il costo stimato per le relative pensioni è di circa 43 mila euro lordi annui;

    più in generale, secondo fonti giornalistiche (articolo pubblicato su L'Espresso, nel maggio 2016) «l'assistenza spirituale alle Forze armate costa alle casse pubbliche 20 milioni di euro». Occorre, inoltre, considerare il miliardo di euro che, già annualmente, entra nelle casse della Cei ed è usato in gran parte proprio per il sostentamento del clero;

    in una prospettiva di riforma dell'intera materia, che sarà compito del legislatore nazionale approntare in modo compiuto nel quadro degli impegni pattizi, si dovrà tenere conto di un'obiettiva esigenza di aggiornamento della attuale normativa in vigore anche attraverso l'individuazione di misure di razionalizzazione della spesa dell'ordinariato militare;

    con il decreto legislativo 29 maggio 2017 n. 94 si è provveduto ad emanare disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze Armate,

impegnano il Governo:

   ad avviare le necessarie intese previste dal comma 2 dell'articolo 11 della legge di ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede (legge n. 25 marzo 1985, n. 121), finalizzate a rivedere l'attuale status giuridico ed economico dei sacerdoti impiegati nell'assistenza spirituale al personale delle Forze armate in un'ottica di razionalizzazione dei relativi costi a carico del bilancio dello Stato;

   in attesa del raggiungimento delle intese sopra richiamate, ad assumere iniziative di competenza per provvedere al riordino dei ruoli e delle carriere dei cappellani militari in senso riduttivo, al fine di ottenere dei risparmi di spesa nel bilancio del dicastero della Difesa, già dall'esercizio finanziario 2018.
(7-01380) «Basilio, Cozzolino, Corda, Frusone, Rizzo, Tofalo».


   La II Commissione,

   premesso che:

    in data 12 ottobre 2017 il Governo, in sede di svolgimento dell'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-12434 ha risposto al firmatario del presente atto in maniera non soddisfacente, poiché l'attuale sistema di liquidazione dei contributi ai comuni ex decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2017 che sono stati sede di uffici giudiziari è notevolmente peggiorativo rispetto al precedente sistema di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 187 del 1998;

    l'atto di sindacato ispettivo portava l'esempio del comune di Cantù, ma il problema investe tutti i comuni che sono stati coinvolti nella soppressione delle sedi di uffici giudiziari;

    il comune di Cantù è stato sede di pretura prima e sezione distaccata, poi, del tribunale di Como fino al 2015; la sezione distaccata di Cantù è stata soppressa, come tutte le 220 sezioni distaccate di tribunale, ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, dal Governo Monti;

    il comune di Cantù, quindi, ha anticipato per conto dello Stato le spese di funzionamento della sezione distaccata del tribunale come previsto dalla legge 24 aprile 1941, n. 392, e pertanto risulta essere creditore nei confronti dello Stato di ben 874.463,80 euro;

    la legge di stabilità del 2015 (commi 526-530 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190) ha radicalmente rivisto la materia attribuendo dal 1° settembre 2015 gli oneri in questione in carico al Ministero della giustizia;

    in base al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2017, tabella D, verrebbero riconosciuti solo 89.449,07 euro, un rimborso pari al 10,23 per cento di quanto speso, e rimarrebbero pertanto a carico del comune di Cantù ben 785.014,73 euro;

    il previgente regime di contribuzione di costi annualmente affrontati dai comuni, seppur il rimborso non fosse totale, e ciò anche in ossequio alla sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione 15151/2015, come previsto e disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 187 del 1998, per certo consisteva in una percentuale che di gran lunga superava l'attuale sistema (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2017) che riconosce un rimborso dei costi sostenuti dal comune in percentuale assai esigua;

    tale quadro di rimborso modesto e parziale delle spese sostenute fino al 2015 dai comuni sede di uffici giudiziari riguarda tutti i comuni sede delle 220 sezioni distaccate;

    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola, inoltre, ha stabilito che la somma verrà corrisposta in rate trentennali dal 2017 al 2046;

    di recente, si è espresso il Tar Lazio in ordine al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola (ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017) e alla nota del Ministero della giustizia del 10 agosto 2017 prot. 151185.U, con riferimento alla questione (termine ultimativo e «perentorio» per la presentare la documentazione ai fini di ottenere il rimborso, adeguatezza dei rimborsi riconosciuti e congruità della rateizzazione trentennale), accogliendo l'istanza cautelare, in punto di diritto, sul «termine ultimativo» e «perentorio» del rimborso medesimo, che condiziona l'erogazione dei fondi a parziale ristoro delle spese per gli uffici giudiziari all'abbandono di qualsiasi pretesa di maggior ristoro perseguibile per via giurisdizionale, poiché trattasi di disposizione lesiva del diritto di difesa e ritenendola pertanto in tal senso illegittima;

    nel siffatto contesto normativo non può certamente affermarsi che con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola i comuni sede di uffici giudiziari soppressi abbiano un «vantaggio economico» rispetto al precedente sistema, anzi vero è che l'attuale sistema penalizza gravemente i comuni, poiché dovranno ripianare i debiti lasciati dal Ministero della giustizia con propri fondi,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni iniziativa atta a modificare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2017 stabilendo che si procederà alla refusione delle spese sostenute fino al 2015 dai comuni sede di uffici giudiziari comunque in misura non inferiore al previgente sistema di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 187 del 1998 per tutte le annualità rimaste scoperte;

   ad assumere iniziative per provvedere, per quanto di competenza, a rimodulare la rateizzazione del rimborso previsto ora in 30 anni, affinché lo stesso sia contenuto e comunque non superiore a 5 anni;

   ad assumere iniziative, ove ne sussistano i presupposti, anche con una comunicazione o una nota che recepiscano quanto stabilito dal Tar Lazio con l'ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017, eliminando ogni indicazione che si riferisca ad un termine perentorio del 30 settembre 2017, ai fini della presentazione da parte dei comuni della documentazione per ottenere il rimborso.
(7-01382) «Molteni».


   La Commissione XI,

   premesso che:

    «Gig» è una parola utilizzata, soprattutto negli Stati Uniti, per descrivere un lavoro o un incarico occasionale o temporaneo;

    nell'interpello n. 12 del 27 marzo 2013, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sottolineava che «con tale locuzione si intende individuare un nuovo modello di business aziendale in forza del quale un'impresa affida la progettazione, ovvero la realizzazione di un determinato bene immateriale ad un insieme indefinito di persone, tra le quali possono essere annoverati volontari, intenditori del settore efreelance, interessati ad offrire i propri servizi sul mercato globale (cd. Community di utenti iscritti ai siti a titolo gratuito)»;

    le piattaforme che offrono «lavoretti “gig”», tra cui Foodora, Deliveroo, Upwork, Elance, Fiverr e Freelancer.com, fino alle meno note Translatorscafe.com, Lionbridge, Zintro eActionscript.com., nonché le piattaforme italiane Tabbid, Gogojobo, Taskunters ed Ernesto, rappresentano un esempio eloquente di come questo tipo d'economia «on demand» sia una delle molte derivazioni della sharing economy, l'economia della «condivisione» che abbatte la barriera tra servizi e industria, di qualunque settore lavorativo, fenomeno con cui si è imparato a familiarizzare negli ultimi anni. Il minimo comun denominatore tra questi e analoghi soggetti è un modello organizzativo che fa capo a una piattaforma centrale, prevalentemente gestita da uno staff fisso, dalle dimensioni ridotte, di coordinatori pronti a smistare e a indirizzare le varie richieste a innumerevoli contractor esterni «ad alta rotazione»;

    uno studio elaborato da Price Waterhouse Coopers calcola che in Europa il giro d'affari legato alla sharing economy ammonterà a 570 miliardi di euro entro il 2025;

    in Italia, in base a una ricerca dell'Università di Pavia, commissionata da Phd Italia, il volume di un simile comparto, così come si presenta oggi, sarebbe destinato a salire a 8,8 miliardi di euro nel 2020, fino a un valore compreso tra i 14 e i 25 miliardi nel 2025. Si tratta di un turnover che potrebbe oscillare tra lo 0,7 per cento e l'1,3 per cento del prodotto interno lordo. Secondo altre stime, riportate dal blog di Corriere.it La Nuvola del Lavoro, si parlerebbe di una cifra più che raddoppiata: 53 miliardi di dollari (quasi 50 miliardi di euro) entro il prossimo decennio, il 2,5 per cento del prodotto interno lordo;

    tra i business «on call» e «on the go» che stanno conoscendo una notevole espansione nel nostro Paese, quello della consegna del cibo a domicilio, è in continua espansione, con una schiera di migliaia di fattorini pronti a fronteggiare il traffico cittadino in sella a una bici;

    basti pensare a Foodora, una realtà attorno cui ruotano oltre 1.300 ristoranti e 900 rider a Milano, Torino, Roma e Firenze, con un tasso di crescita del 25 per cento al mese;

    in parallelo al connubio cibo e high tech, altri assi portanti lungo i quali si muove il «gig business» sono i trasporti e gli affitti temporanei, due ambiti oggetto di un tentativo di regolamentazione in un oceanico vuoto normativo tutto da colmare;

    anche l'e-commerce, il valore degli acquisti online da parte dei consumatori del nostro Paese ha raggiunto nel 2017 i 23,6 miliardi di euro, con un incremento del 17 per cento rispetto al 2016. Ma il dato ancora più significativo è che quest'anno gli acquisti di prodotti (pari a 12,2 miliardi di euro) sono cresciuti del 28 per cento e hanno superato per la prima volta quelli di servizi (+7 per cento, 11,4 miliardi di euro). Il paniere degli acquisti online si sta quindi lentamente avvicinando a quello dei principali mercati più evoluti (dove i prodotti incidono per circa il 70 per cento della spesa complessiva);

    nel corso di quest'anno i web shopper italiani sono 22 milioni e sono cresciuti del 10 per cento rispetto al 2016. Tra questi, gli acquirenti abituali — almeno un acquisto al mese — sarebbero di 16,2 milioni e generano il 93 per cento della domanda totale (a valore), spendendo online in un anno, mediamente, 1.357 euro ciascuno. Inoltre, un terzo degli acquisti eCommerce, a valore, è concluso attraverso smart phone o tablet. L'incidenza di questi «device» è quintuplicata nel giro di cinque anni. In valore assoluto, gli acquisti eCommerce da smartphone superano, nel 2017, i 5,8 miliardi di euro, con una crescita del +65 per cento rispetto al 2016;

    tuttavia, secondo le osservazioni fornite dall'Osservatorio eCommerce B2c i suddetti dati non sono molto confortanti, poiché: «Nonostante il fermento imprenditoriale degli ultimi anni, il settore non è in grado di garantire una copertura territoriale diffusa e omogenea sul territorio italiano: solo il 15 per cento della popolazione infatti può effettuare online la spesa “da supermercato” con livello di servizio idoneo, mentre un altro 55 per cento della popolazione ha un accesso solo potenziale all'eCommerce, tramite iniziative sperimentali, isolate e con limitata capacità»;

    relativamente a questa fattispecie di lavoratori, assimilabile peraltro alla fattispecie di «lavoratori autonomi», da un'indagine effettuata in quest'ambito, risulta che i «gigworker» italiani sono principalmente uomini (84 per cento) e per la maggiore giovani (18-34 anni, 55 per cento), mentre nella fascia di età 35-54 anni si colloca il 28 per cento di coloro che sono disponibili ad offrire una prestazione lavorativa occasionale «a portata di click»;

    detti «gigworker» risiedono principalmente al Nord (50 per cento) e al Centro (33 per cento); il 31 per cento è in possesso di una laurea magistrale; il 19 per cento ha una laurea triennale o ha conseguito un master o corsi post-laurea; il 25 per cento dei prestatori d'opera in parola ha conseguito la licenza di scuola secondaria di primo grado. Solo il 6 per cento dichiara di aver frequentato la scuola primaria;

    questo tipo di economia on demand, in crescita inarrestabile, coinvolge quotidianamente uno stuolo di corrieri, driver, chef, addetti alle pulizie e alle riparazioni, esperti di fitness, babysitter, dogsitter e tante altre figure di liberi professionisti;

    secondo l'analisi contenuta nell'ultimo rapporto Coop a proposito della «gig economy», il gigworker guadagna spesso fino a un massimo di 50 euro mensili;

    il caso «Foodora», che ha portato sotto i 3 euro la retribuzione dei cosiddetti «rider» per ogni consegna, a fronte dei 9 euro percepiti da questi in Germania, è davvero emblematica;

    inoltre, la reazione dei vertici alle rimostranze dei rider («Foodora non è un lavoro per sbarcare il lunario, ma un'opportunità per chi ama andare in bici, guadagnando anche un piccolo stipendio»), non può procrastinare ulteriormente interventi legislativi massicci in questo ambito;

    tale fattispecie di lavoro non rappresenta di fatto «un riempitivo per chi cerca lavoro o deve ancora finire gli studi», visto che un «gigworker» su quattro (il 26 per cento) risulterebbe dipendente a tempo pieno, contro il 22 per cento degli studenti e il 14 per cento dei disoccupati. Non vi è inoltre libertà di scelta tra più portali, perché nel 46 per cento dei casi le entrate arrivano da un'unica collaborazione;

    i numeri rispecchiano quelli registrati su scala internazionale, dove i timori per le retribuzioni troppo basse dei lavoratori della categoria hanno generato in molti Paesi europei la richiesta dei suddetti interventi legislativi. Nel Regno Unito il governo è chiamato insistentemente ad effettuare un «intervento d'emergenza», visto che l'asticella media dei pagamenti è arrivata a minimi di 2,5 sterline l'ora. E negli Stati Uniti, culla del fenomeno, un report del portale Earnest ha stimato che l'85 per cento dei lavoratori ricava meno di 500 dollari mensili da prestazioni che vanno dal trasporto privato (Uber) alle commissioni accumulate su siti per freelance come Fiverr;

    i sistemi utilizzati dalle piattaforme per monitorare la qualità della prestazione, attraverso la valutazione effettuata dai consumatori, possono rappresentare una fonte d'insicurezza per il lavoratore;

    la valutazione che i consumatori attribuiscono ai lavoratori potrebbe influenzare le opportunità di lavoro futuro e il loro accesso a un lavoro dignitoso e maggiormente qualificante, esponendo i lavoratori a forme di discriminazione per le quali non è attualmente prevista l'estensione delle forme di tutela contemplate dalla legislazione del lavoro che solitamente si applicano al rapporto di lavoro subordinato;

    i lavoratori della «gig economy» sono spesso considerati come lavoratori autonomi e, pertanto, le piattaforme per le quali lavorano non sono assoggettate agli obblighi di contribuzione previdenziale;

    in molti Paesi, tra cui l'Italia i lavoratori autonomi hanno difficoltà ad aderire a organizzazioni sindacali e quindi ad ottenere dei compensi più alti e condizioni di lavoro dignitose attraverso la contrattazione collettiva;

    inoltre, come sottolineato da qualche osservatore della «gig economy», in alcuni Paesi, non solo europei, l'attività sindacale dei lavoratori autonomi potrebbe essere equiparata alla formazione di un «cartello» restrittivo della concorrenza che, a sua volta, potrebbe configurarsi come una violazione della normativa antitrust;

    la proposta di risoluzione del Parlamento europeo per un pilastro europeo dei diritti sociali ha invitato le parti sociali e la Commissione ad assumere iniziative normative finalizzate a garantire a tutti i lavoratori dipendenti e a tutti i lavoratori in forme di occupazione atipiche, un nucleo di diritti azionabili, indipendentemente dal tipo di contratto o rapporto di lavoro, tra cui la parità di trattamento, la tutela della salute e della sicurezza, la protezione durante il congedo di maternità, disposizioni in materia di orario di lavoro e periodi di riposo, l'equilibrio tra attività professionale e vita privata, l'accesso alla formazione, il sostegno sul luogo di lavoro per le persone con disabilità, adeguati diritti in materia di informazione, consultazione e partecipazione, la libertà di associazione e di rappresentanza, la contrattazione collettiva e le azioni collettive;

    con riferimento alle condizioni di lavoro, essa ha sollecitato: «per quanto concerne le forme di lavoro che si svolgono su piattaforme digitali e altre tipologie di lavoro autonomo dipendente, una chiara distinzione, ai fini del diritto dell'Unione e fatte salve le disposizioni del diritto nazionale, tra questi lavoratori realmente autonomi e quelli inquadrati in un rapporto di lavoro, tenendo conto della raccomandazione n. 198 dell'OIL, secondo cui il rispetto di vari indicatori è sufficiente per stabilire un rapporto di lavoro; lo status e le responsabilità di base della piattaforma, il richiedente e la persona che effettua il lavoro andrebbero pertanto chiariti; dovrebbero essere introdotte anche norme minime per le regole di collaborazione con informazioni complete ed esaurienti al prestatore di servizi sui loro diritti e obblighi, sulle prestazioni, sul corrispondente livello di protezione sociale e sull'identità del datore di lavoro; i lavoratori dipendenti e gli autentici lavoratori autonomi che operano attraverso piattaforme online dovrebbero avere analoghi diritti come nel resto dell'economia ed essere protetti mediante la partecipazione a regimi di assicurazione sanitaria e di sicurezza sociale; gli Stati membri dovrebbero garantire un controllo adeguato di tutti i termini e condizioni del rapporto di lavoro o del contratto di servizi, prevenendo gli abusi di posizione dominante da parte delle piattaforme»;

    non può essere sottaciuta la sentenza del tribunale di Londra che ha sancito il riconoscimento dei tassisti di Uber, da considerare «a tutti gli effetti dipendenti»;

    il fenomeno della «gig economy», come sottolineato da alcuni studiosi, ha in effetti generato opposti schieramenti, tra entusiasti e catastrofisti. I primi vedono nella «gig economy» «un'opportunità per l'erosione della disoccupazione giovanile e per la ricollocazione lavorativa di molti “over 50”, oltre alla possibilità di estendere, in futuro, un modello di start up oggi ancora agli albori a realtà più grandi e strutturate in cerca di una trasformazione 4.0». I secondi «si concentrano su spinose questioni quali il sommerso attualmente generato da varie imprese alle condizioni di scarsa sicurezza in cui operano numerosi lavoratori, fino alla necessità di imporre un obbligo di licenza per determinate prestazioni»;

    il liberismo digitale necessita dell'intervento statale che regoli in maniera equa il rapporto col mercato, ponendo al centro la dignità del lavoro;

    la «gig economy» pone di fronte ad un cambiamento di paradigma i cui contorni sono un po’ oscuri. Il passaggio dal regime di proprietà, fondato sull'idea di distribuzione capillare della titolarità dei beni, al regime dell'accesso, basato sul «principio che la rete rende disponibili beni, lavoro e servizi» cambia radicalmente la nozione di capitalismo;

    lo studio dell'Ilo evidenza che le attuali norme del diritto del lavoro non sono necessariamente inadatte a regolare le prestazioni nella «gig economy». In tal senso, il predetto studio prospetta alcune soluzioni per il lavoro «on-demand» tra le quali si annoverano l'estensione in chiave universale dei principi e diritti fondamentali sul lavoro, a prescindere dal tipo di contratto;

    appare dunque sempre più forte l'esigenza di avviare anche una revisione normativa finalizzata a regolamentare anche i mercati ove operano le piattaforme digitali al fine di impedire comportamenti opportunistici dei nuovi giganti digitali ovvero forme di concorrenza sleale basate sull'offerta o sulla condivisione di beni o servizi low cost con l'utilizzo di forme di lavoro che non assicurano sicurezze sociali, garanzie e adeguati standard retributivi ai lavoratori delle suddette piattaforme digitali,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative normative volte a regolamentare le modalità operative dei nuovi datori di lavoro-piattaforme digitali, facendosi promotore di idonee misure che impediscano comportamenti opportunistici dei giganti digitali che servendosi di forme di lavoro atipico ovvero pseudo-autonomo – che non garantiscono sicurezze sociali, tutele e adeguati standard retributivi ai lavoratori dipendenti dalle suddette piattaforme digitali – attuano pratiche di dumping sociale ai danni dei suddetti lavoratori assicurando loro un lavoro dignitoso ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione;

   ad adottare iniziative normative finalizzate ad individuare criteri di determinazione della sede legale delle piattaforme digitali, ai fini dell'identità del datore di lavoro, nonché a fini fiscali;

   a promuovere iniziative volte a definire un quadro normativo unitario da applicare ai dipendenti dalle piattaforme digitali o ai lavoratori della gig-economy, nell'ambito del quale considerare, in particolare, le seguenti esigenze: prevedere adeguati standard uniformi di protezione sociale e delle condizioni di lavoro, anche con riferimento a informazioni complete ed esaurienti sui diritti e sugli obblighi, sulle prestazioni, sul corrispondente livello di protezione sociale e sull'identità del datore di lavoro;

   a favorire la costituzione di tavolo di confronto con i soggetti interessati al fine di monitorare le modalità di lavoro nelle piattaforme digitali e individuare specifiche tutele a seconda delle esigenze e delle modalità di esplicazione del lavoro nelle suddette piattaforme;

   ad adoperarsi in maniera più attiva per un maggior coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle regole relative al lavoro svolto nell'ambito della «gig economy», attraverso le piattaforme digitali, al fine di evitare che siano solo queste ultime a stabilire tali regole, incluse la fissazione di corrispettivi e la mediazione delle controversie;

   nelle more della definizione di politiche e normative che garantiscano un lavoro dignitoso ai lavoratori delle piattaforme digitali, ad adottare tutte le iniziative utili ad estendere in chiave universale i principi e i diritti fondamentali sul lavoro, a prescindere dal tipo di contratto;

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per adeguare le politiche del lavoro alle attività delle aziende che operano attraverso le piattaforme digitali, per garantirne la concorrenza.
(7-01381) «Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Chimienti, Lombardi, Dall'Osso».


   La XII Commissione,

   premesso che:

    in data 31 maggio 2016 il consiglio regionale della Campania ha approvato la proposta di legge «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura dei direttori delle Aziende Sanitarie e ulteriori misure di razionalizzazione» che modifica, in maniera sostanziale, il meccanismo di nomina dei direttori generali del servizio sanitario regionale della Campania, sopprimendo il secondo livello di valutazione da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali di cui all'articolo 3-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni;

    con la citata legge approvata il 31 maggio il presidente della giunta regionale nomina il direttore generale direttamente tra i soggetti iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni; è stata quindi soppressa la previsione che il presidente della giunta regionale, su conforme deliberazione della giunta stessa, nomini il direttore generale all'interno di una rosa di cinque candidati che hanno ottenuto i migliori punteggi, a seguito della valutazione dei titoli e dei requisiti posseduti dagli idonei che hanno partecipato all'avviso;

    in data 7 giugno 2016 è stata presentata l'interpellanza urgente n. 2-01388 presentata da deputati del M5S, con cui sono stati illustrati i profili d'incostituzionalità della citata legge regionale per palese contrasto con le norme nazionali ovvero con il decreto legislativo n. 502 del 1992 e con la legge n. 124 del 2015 (la cosiddetta «legge delega Madia»); si tratta di norme, entrambe, che costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione che, al terzo comma, prevede che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato; nel caso di specie il principio fondamentale è in materia di tutela della salute;

    in relazione alla citata interpellanza, nonostante il Ministro della salute avesse in effetti ammesso taluni profili d'incostituzionalità, il Consiglio dei ministri ha deciso di non procedere, nei termini previsti, ad alcuna impugnativa per illegittimità costituzionale della legge regionale campana, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione;

    con delibera n. 319 del 28 giugno 2016 la giunta regionale ha quindi approvato l'aggiornamento dell'elenco unico regionale degli idonei alla nomina di direttore generale di aziende sanitarie ed enti del Servizio sanitario regionale e ha disposto che, a far data dalla pubblicazione sul Bollettino ufficiale della regione Campania, di tale aggiornamento, i nominativi degli aspiranti all'incarico che nell'elenco allegato risultano qualificati «Idonei» sono aggiunti all'elenco degli idonei approvato con decreto della giunta della regione Campania n. 317 del 2014 e successive modifiche e integrazioni;

    l'aggiornamento dell'elenco degli idonei della regione Campania, fatto proprio a pochi giorni della approvazione della legge regionale che ha modificato i meccanismi di nomina dei direttori generali, ha destato non poche perplessità e il sospetto che tale legge regionale avesse il surrettizio scopo di consentire al presidente della regione di procedere a nuove e discrezionali nomine svincolate da procedure selettive e pubbliche, con l'aggravante di procedervi, quasi fosse una corsa contro il tempo, prima che le «regole del gioco» venissero cambiate ossia prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171 che, attuativo della citata legge delega Madia, ha modificato i meccanismi di nomina dei direttori generali della sanità;

    la legge n. 190 del 2014, all'articolo 1, comma 569, prevede che la nomina a commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario, effettuata ai sensi dell'articolo 2, commi 79, 83 e 84, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, è incompatibile con qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento e che il commissario dovesse avere qualificate e comprovate professionalità;

    le disposizioni normative contenute nella legge n. 190 del 2014, in merito alla incompatibilità tra la nomina di commissario ad acta e i soggetti che abbiano rivestito incarichi istituzionali presso la regione soggetta a commissariamento – non sono più applicabili per effetto del comma 395 dell'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232; la novella introdotta con la legge di stabilità del 2017 è stata appellata, dagli organi d'informazione e dalle opposizioni in Parlamento, come «norma De Luca» poiché si temeva che tale norma fosse finalizzata a consentire la nomina di commissario ad acta proprio dell'attuale presidente della regione Campania;

    i timori espressi durante l'esame della legge di stabilità del 2017 si sono successivamente concretizzati in data 11 luglio 2017 quando il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, ha deliberato la nomina del presidente della regione Campania Vincenzo De Luca quale Commissario ad acta, per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario della regione;

    per quanto sopra premesso non si può sottacere la peculiare e sconcertante tempistica che ha consentito al presidente De Luca di «governare» a 360 gradi la sanità campana, prima consentendogli di nominare i direttori generali e poi divenendo commissario ad acta del piano di rientro del disavanzo sanitario, determinando, a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo, una generalizzata compromissione dell'imparzialità necessaria laddove i soggetti nominati dal Presidente della Regione sono i medesimi che il Commissario ad acta dovrebbe anche controllare;

    in tale contesto è quindi emblematico quanto emerge in relazione alle vicende correlate alla costruzione del nuovo ospedale del mare di Napoli, a cura della Asl Napoli 1 – Centro (già Asl Napoli 1), che ha il fine di dismettere i presidi ospedalieri di Ascalesi, Annunziata e Loreto Mare, e, in tal guisa, attuare la riqualificazione dei grandi centri urbani ex articolo 71 della legge n. 448 del 1998; la realizzazione del nuovo ospedale della zona orientale di Napoli, nonché di altri interventi di valorizzazione del territorio conseguenti all'Accordo di programma ex articolo 34 del decreto legislativo n. 267 del 2000, sottoscritto nel lontano 24 giugno 2003 (14 anni fa) tra la regione Campania, il comune di Napoli e l'azienda sanitaria locale Napoli 1;

    l'articolo 3 del suddetto accordo individua l'Asl Napoli 1 Centro amministrazione aggiudicatrice, la quale, con la sua sottoscrizione, si è impegnata a predisporre ogni atto necessario, comprese le procedure espropriative, per rendere concreta l'esecuzione della citata opera; successivamente, con decreto del presidente della giunta della regione Campania n. 133 del 14 maggio 2009, all'esito delle determinazioni adottate in varie sedute dal comitato di coordinamento per la vigilanza sull'esecuzione dell'accordo e previa diffida, è stato nominato il Commissario ad acta, nella persona dell'ingegnere Ciro Verdoliva, con l'incarico di adottare, in sostituzione dell'Azienda sanitaria locale Napoli 1 Centro, tutti gli atti necessari al completamento dei lavori di realizzazione del nuovo ospedale della zona orientale di Napoli; il predetto incarico era stato conferito per il tempo necessario all'assolvimento dei compiti attribuiti salvo poi essere successivamente prorogato, con diversi decreti del presidente della giunta regionale;

    da ultimo, detto incarico all'ingegnere Ciro Verdoliva è stato prorogato anche dal presidente De Luca con decreto del presidente della giunta della regione Campania n. 40 del 23 febbraio 2017, in considerazione che «il Nuovo Ospedale della zona orientale di Napoli costituisce un'opera di importanza strategica nell'ambito del processo di ristrutturazione e riqualificazione della rete ospedaliera regionale, dalla cui realizzazione dipende l'attuazione di quanto previsto, in ordine alla riconversione di alcuni plessi ospedalieri della città di Napoli, in attuazione del predisponendo Nuovo Piano Ospedaliero regionale»; con successivo decreto presidenziale n. 44 del 10 marzo 2017 il presidente De Luca ha ritenuto altresì d'integrare i compiti in precedenza affidati al nominato Commissario ad Acta con quelli derivanti dall'avvio e dal completamento degli ulteriori procedimenti (autorizzazioni, forniture di beni e servizi, reclutamento del personale) necessari ad assicurare l'apertura del complesso ospedaliero nei tempi previsti, prorogandone ulteriormente l'incarico;

    il presidente De Luca, già in data 16 luglio 2016, nell'ambito dei poteri conferiti dalla succitata norma sulla nomina dei direttori generali, all'uopo tempestivamente modificata, ha altresì provveduto a nominare l'ingegnere Ciro Verdolina quale direttore generale dell'Azienda ospedaliera di rilevo nazionale Cardarelli;

    la realizzazione del Nuovo ospedale della zona orientale di Napoli è finanziata con risorse pubbliche e, individuata come opera infrastrutturale nell'ambito degli interventi del Cipe (con deliberazione n. 90 del 2012); l'opera è oggi collocata in un «accordo di programma quadro» sottoscritto in data 30 dicembre 2013 tra la regione Campania ed il Ministero dello sviluppo economico, quale strumento di attuazione ordinaria del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC); con delibera Cipe n. 90 del 3 agosto 2012 è stata approvata la programmazione di una quota delle risorse residue del Fondo sviluppo e coesione 2007-2013 relative alla regione Campania e sono stati attribuiti 182,11 milioni di euro, di cui ben 178,11 milioni destinati al completamento dell'Ospedale del mare di Napoli;

    prima di questo intervento «salvifico» del Governo, in realtà, la realizzazione del nuovo Ospedale del mare era reduce da una fallimentare procedura di project financing che inizialmente prevedeva un investimento pubblico di circa 119 milioni di euro e un parallelo investimento del privato aggiudicatario per 91 milioni di euro salvo poi lievitare nei costi fino a circa 400 milioni di euro; successivamente, attraverso una transazione sottoscritta dalla Astaldi spa, capofila dell'Ati aggiudicataria e l'ingegnere Ciro Verdoliva veniva «riformulata» l'aggiudicazione secondo una procedura che non prevedeva più la partecipazione del privato alla costruzione prima ed alla gestione poi dell'opera, ma solo il completamento dei lavori con soli fondi pubblici, con la rinuncia alla gestione dei servizi non sanitari; il privato avrebbe incassato, per detta rinuncia, un risarcimento di circa 45,5 milioni di euro, un importo addirittura superiore a quello di 40 milioni di euro inizialmente richiesto dalla stessa ATI con la domanda di arbitrato volta alla, risoluzione del contratto per presunti inadempimenti da parte della stazione appaltante;

    su tali vicende sono stati attivati procedimenti penali già dal 2008 ed è intervenuta l'Autorità di vigilanza dei lavori pubblici che, con deliberazione n. 110 del 21 dicembre 2011, in relazione alla succitata transazione, dispose d'inviare il verbale ispettivo alla avvocatura distrettuale di Napoli, alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli, e alla procura della Corte dei Conti;

    le diverse vicende succitate hanno visto quest'opera ferma per svariati anni, salvo essere periodicamente rilanciata e inaugurata, dai presidenti di regione, e presentata come una panacea, risolutiva della generale e drammatica situazione ospedaliera in Campania, nell'ottica di procedere ad un riassetto della rete ospedaliera e territoriale richiesto dalla spending review e dalla cosiddetta «razionalizzazione» del servizio sanitario; nell'ambito di tali annunci e previsioni, dunque, il cosiddetto «ospedale del Mare» doveva divenire un'azienda di rilievo nazionale da circa 500 posti letto in cui far confluire ben quattro nosocomi napoletani, quali il Loreto Mare, l'Ascalesi, il San Gennaro e gli Incurabili;

    a fronte di questa pessima gestione commissariale del nuovo Ospedale del mare desta sconcerto, secondo i presentatori del presente atto, che il presidente De Luca, abbia quindi proceduto alla nomina di Ciro Verdolina quale direttore generale dell'Azienda ospedaliera di rilevo nazionale Cardarelli, oltreché riconfermarlo nella suddetta gestione commissariale per la realizzazione del nuovo Ospedale del mare;

    ancor più sconcertante è che le suddette nomine e riconferme siano state effettuate dal presidente De Luca in concomitanza con le notizie emergenti dagli atti dell'inchiesta Consip proprio in relazione al ruolo di Ciro Verdoliva; sembra infatti, secondo quanto emerge da diffusi organi d'informazione, che l'imprenditore napoletano Alfredo Romeo, protagonista dell'inchiesta Consip, cercava di accaparrarsi appalti per le pulizie anche nell'ospedale Cardarelli ed anzi; all'origine dell'inchiesta Consip, sembra vi sia proprio tale appalto;

    sul caso Consi, e sul ruolo di Verdoliva, alcuni organi d'informazione così riportano: «Gli inquirenti identificano nella Romeo Gestioni e nella Hospital Consulting le società individuate per aggiudicarsi gli appalti. “Una società di consulenza per l'ingegneria clinica”, la Hospital Consulting, “presente all'interno dell'AORN Cardarelli da diversi anni poiché insediatasi stabilmente in tale azienda sanitaria attraverso convenzioni e/o l'aggiudicazione di gare di appalto, nell'ambito dello specifico settore, il cui responsabile unico del procedimento risulta essere l'ing. Verdoliva”. Il disinvolto manager non nasconde le sue amicizie negli ambienti giudiziari e della polizia giudiziaria, e proprio questa sua “tranquillità” permette agli inquirenti di scoprire altri episodi di “spessore investigativo”. Come quello che riguarda dei lavori edili commissionati da Verdoliva alla società A&G Multiservice “che cristallizzavano, anche attraverso un atto delegato da codesta AG e il conseguente sequestro di contratti di appalto, un rapporto corruttivo esistente tra i responsabili della società A & G Multiservice e il dirigente del Cardarelli”. C'è quanto basta ai magistrati inquirenti per ritenere “che Ciro Verdoliva”, avvalendosi dell'incarico di RUP (responsabile unico del procedimento) in seno a svariati appalti dell'azienda ospedaliera “Cardarelli”, riesce a trarre vantaggi personali». In questo contesto viene inserita la «determina dirigenziale n. 1067/2014 dell'A.O.R.N.A. Cardarelli» veniva dichiarata l'aggiudicazione definitiva in favore della Romeo gestioni S.p.A., della gara d'appalto avente ad oggetto il «servizio di pulizia delle aree a basso, medio, alto ed altissimo rischio dell'Azienda Ospedaliera» ed avuta contezza di indagini assegnate dalla Procura di Napoli a strutture di polizia giudiziaria diverse da quelle oggi accusate di corruzione e rivelazione di segreti d'ufficio insieme al Verdoliva, quest'ultimo si consultava per individuare una strategia che lo facesse apparire come vittima di pressioni camorristiche;

    nel mese di giugno 2017 il presidente De Luca, insieme con il commissario della struttura, Ciro Verdoliva ha annunciato l'apertura, in cinque tappe, dell'Ospedale del mare, tappe che si concluderanno il 30 dicembre 2017, data entro la quale l'ospedale funzionerà a pieno regime con tutti i reparti operativi e un pronto soccorso di secondo livello, in sinergia con l'altro grandissimo ospedale partenopeo, il Cardarelli, il cui direttore generale è per l'appunto il medesimo Ciro Verdoliva;

    con decreto del Commissario ad acta n. 33 del 2016 è stato licenziato il piano ospedaliero vigente dal quale si evince che l'ospedale del mare configurato, nonostante non sia ancora pienamente operativo, come Hub – DEA di II livello;

    nel piano ospedaliero citato si legge che «l'azienda ospedaliera Cardarelli ha sempre svolto per l'intera regione il ruolo di ospedale di riferimento per l'emergenza, tanto da essere caratterizzato da periodi di iper-afflusso al pronto soccorso con eccessivo overcrowding. La prossima apertura dell'Ospedale del Mare contribuirà a diminuire il problema strutturale dell'emergenza in città. L'Ospedale del Mare, una volta a regime, viene proiettato, infatti, verso una autonomia aziendale, nascendo in prima battuta come presidio ospedaliero della ASL Napoli 1 per diventare successivamente una Azienda Ospedaliera di riferimento nazionale e un punto di riferimento anche per la gestione dell'emergenza-urgenza in particolare per il quadrante sud est della città. Questo richiede nel frattempo una fase transitoria che prevede una necessaria rimodulazione di quanto in precedenza programmato per i presidi che avrebbero dovuto confluirvi, cioè Ascalesi, San Gennaro, Incurabili e Loreto Mare, La precedente programmazione prevedeva che il P.O. Loreto Mare assicurasse la funzione di pronto soccorso nella rete dell'emergenza solo fino alla confluenza nel nuovo Ospedale del Mare che dovrà fungere da DEA di II° livello (le discipline di Ostetricia e Pediatria non vengono programmate in quanto garantite nella Macroarea). L'analisi delle suddette criticità nella rete di emergenza urgenza cittadina e un'attenta valutazione quali-quantitativa dei flussi impone una revisione della precedente programmazione: pertanto, il presente piano prevede un trasferimento parziale del P.O. Loreto Mare nell'Ospedale del Mare. Il P.O. Loreto Mare mantiene, quindi, anche dopo l'attivazione dell'Ospedale del Mare la funzione di Pronto Soccorso»;

    al momento, come peraltro evincibile dal sito istituzionale della Asl 1 Napoli Centro, presso l'Ospedale del mare sono state attivate solo le unità operative di radiologia, di emodialisi e di radioterapia, oltre che un poliambulatorio, i posti letto sono solo circa 90 (a fronte dei 488 previsti) e non è attivo il dipartimento dell'emergenza e urgenza che dovrebbe essere dotato di requisiti di elevata complessità logistica, come ad esempio, l'eliporto ed il collegamento diretto ad una rete viaria a percorrenza veloce; si è dunque ben lontani dalla configurazione di un polo innovativo e strategico, ad alto contenuto tecnologico ed assistenziale;

    nonostante tale ospedale non sia di fatto operativo per le funzioni ad esso attribuite, numerose strutture 42, sono state disattivate, con l'ovvia conseguenza di generare diffuse e gravissime carenze nell'assistenza, alcune delle quali salite anche agli onori della cronaca;

    in questo generalizzato smantellamento delle strutture sanitarie pubbliche, particolarmente compromessa risulta essere la salute-materno infantile a seguito di un gravissimo ridimensionamento dell'assistenza pediatrica e neonatale laddove di fatto sono stati chiusi diversi punti nascita, a cominciare dal punto nascita del presidio ospedaliero «Maresca», proprio con la previsione di una nuova grande area materno infantile presso l'ospedale del mare, ora invece non più prevista; pertanto, alla luce di tale riprogrammazione, il fabbisogno materno-infantile sarà soddisfatto mediante case di cura private convenzionate o classificate;

    la motivazione di tale riprogrammazione, evincibile dal piano ospedaliero citato, è che «la precedente programmazione non aveva previsto nella struttura la disciplina di Cardiochirurgia, facendone derivare l'assetto dalla mera confluenza delle discipline insistenti negli ospedali da dismettere. Questi, naturalmente, non erano dotati della disciplina Cardiochirurgia. Alla luce della riconfigurazione dell'Ospedale del Mare quale DEA di II livello, secondo il Decreto 70/2015, e della necessità di assicurare un importante Hub 2 all'intera area metropolitana di Napoli, che soddisfa i bisogni dei bacini di utenza anche di Na2 e Na3, pare legittimo e incontestabile programmare presso l'Ospedale del Mare la disciplina di Cardiochirurgia che andrà collocata nella disponibilità dei posti letto già previsti per Ostetricia e Ginecologia, che invece rimane nel presidio PS Loreto Mare»;

    questa rivisitazione dell'ostetricia e ginecologia avviene dopo che, proprio per l'Ospedale del mare, sono state investite enormi risorse per la creazione di una area dedicata, comprensiva di 48 posti letto di ginecologia, 4 sale parto, complesso operatorio e neonatologia con TIN e la ricollocazione di spazi e attività per la cardiochirurgia richiederà ulteriori risorse pubbliche, per circa 2 milioni di euro, oltre alle risorse necessarie per riqualificare la struttura Loreto Mare ormai fatiscente;

    la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Campania, all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2017 ha delineato un quadro sconfortante della regione Campania evidenziando che dal «rapporto sull'efficienza della pubblica amministrazione in Europa, reso pubblico il 30 dicembre 2016 dalla C.G.I.A., risulta che la Campania si collocherebbe all'ultimo posto tra le regioni italiane, ed europee, seguita solo da alcune turche e bulgare». Le patologie delle gestioni pubbliche in Campania, rilevate con numerose sentenze deliberate nel corso del 2016, «hanno accertato un desolante e scoraggiante sistema in cui inefficienza e connivenza si mescolano in maniera inestricabile»; la Corte afferma che le «conseguenze di tali grovigli, accresciuti dalle endemiche inefficienze delle macchine amministrative, sono notevoli ritardi, con aggravi di costi, o peggio la mancata realizzazione di opere pubbliche, spesso rilevanti e attese dalla cittadinanza, che rimangono o rischiano di rimanere incompiute, con lunghi e costosi strascichi giudiziari, nonostante l'esborso di fondi ragguardevoli»;

    è del mese di settembre 2017 la notizia, diffusa da diversi organi d'informazione, secondo cui un documento riservato del Ministero della salute svelerebbe che nelle aziende ospedaliere italiane c'è «un buco da un miliardo e mezzo, ripartito tra 42 nosocomi dei 100 sparsi lungo lo stivale, mentre altri 9 hanno i conti in ordine ma non garantiscono i livelli essenziali di assistenza». Il record delle perdite sarebbe della Campania, con oltre 350 milioni di euro 102 dei quali del solo Cardarelli di Napoli;

    dall'ultimo monitoraggio sui livelli essenziali di assistenza (Lea) pubblicato ad ottobre 2017 dal Ministero della salute e relativo al 2015 emerge che Molise, Puglia, Sicilia, Campania e Calabria si collocano nella classe «inadempiente» e pertanto tali regioni dovranno superare le criticità rilevate su alcune aree dell'assistenza tra cui, in particolar modo, quelle delle vaccinazioni, degli screening, dell'assistenza agli anziani ed ai disabili, dell'appropriatezza nell'assistenza ospedaliera (esempio per i parti cesarei);

    il monitoraggio sui Lea evidenzia, in particolare, un sensibile peggioramento di Campania e Sicilia rispetto ai punteggi rilevati nell'anno di verifica 2014. Rimane altissima la percentuale di parti cesarei (48,19 per cento) rispetto alla maggior parte delle regioni che si collocano su percentuali praticamente dimezzate; la valutazione finale, per il 2015, si attesta per la regione Campania su un punteggio pari a 106 che, secondo i parametri di riferimento fissati dal Comitato Lea (range 25-225; positivo a 160), risulta sotto la soglia di adempienza ed in netta diminuzione rispetto all'anno 2014;

    il Ministro della salute Beatrice Lorenzin, nel mese di settembre 2017, proprio a Napoli, in occasione del 6° congresso Card-Anmdo sull'appropriatezza del Servizio sanitario nazionale e sull'integrazione tra ospedale e territorio, ha avuto l'occasione di affermare che «Sui manager di Asl e ospedali ricade il peso del governo di tutta la Sanità italiana. I direttori generali vanno scelti, selezionati e reclutati in base alle competenze e premiati quando raggiungono gli obiettivi, rimossi quando sono inadempienti, facendo valere un principio di meritocrazia come avviene nel settore privato»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative di competenza affinché in tutto il territorio nazionale, e in particolare nella regione Campania, le nomine dirigenziali nel settore sanitario siano conformi ai principi del nostro ordinamento, come da ultimo novellato dalle disposizioni sulla nomina dei dirigenti della sanità, dando quindi concreto seguito alle affermazioni della Ministra della salute in premessa, e assicurando che i direttori generali siano scelti, selezionati e reclutati in base di cui alle competenze e premiati quando raggiungono gli obiettivi rimossi quando sono inadempienti;

   ad assumere iniziative normative per rendere più stringente la disciplina delle gestioni commissariali volte a dare attuazione ai piani di rientro dal disavanzo sanitario delle regioni, tenuto conto di tutti i fatti citati in premessa e considerato che l'attuale assetto non garantisce la necessaria separazione tra controllori e controllati, né un'esaustiva imparzialità delle funzioni istituzionali di pertinenza, oltreché provocare una generalizzata compromissione dei livelli essenziali di assistenza, al fine di definire una netta separazione tra chi svolge i compiti di vigilanza, monitoraggio e controllo sulla spesa sanitaria e chi invece ha precise responsabilità politiche nella gestione della sanità regionale, intervenendo in particolare sull'istituto del commissario ad acta, tenuto conto che esso ben lungi dal risolvere la situazione debitoria delle regioni, ha in realtà prodotto un'ulteriore situazione debitoria e la compressione del diritto all'assistenza sanitaria;

   ad assumere le iniziative di competenza in relaziona alla gestione del nuovo Ospedale del mare tenuto conto delle scelte fallimentari che non sembrano aver portato ai risultati prospettati e preventivati;

   ad assumere le iniziative di competenza, anche, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari in collaborazione con l'Anac, affinché sia fatta complessiva ed esaustiva chiarezza sul notevole impiego di risorse pubbliche per la realizzazione del nuovo Ospedale del mare, tenendo conto di ogni eventuale diseconomia o spreco correlati alla riprogrammazione della rete ospedaliera della regione Campania che ha modificato di fatto la destinazione d'uso di unità operative già ultimate e completamente attrezzate per una disciplina contemplata dalla precedente programmazione e dal decreto ministeriale n. 70 del 2015 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera);

   ad assumere le iniziative di competenza, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, affinché:

    a) nella regione Campania sia garantito l'effettivo funzionamento della rete dell'emergenza nell'area metropolitana e vesuviana, ed in particolare delle emergenze ostetriche e ginecologiche di alta complessità, assicurando altresì il necessario fabbisogno di posti letto di ostetricia e TIN per il bacino di utenza dell'ambito territoriale (area orientale di Napoli ed area vesuviana);

    b) sia verificato se la riconversione della area materno-infantile nell'area cardiochirurgica presso il nuovo Ospedale del mare sia compatibile con quanto prescritto con il decreto ministeriale n. 70 del 2015 in merito alla dotazione di discipline previste per classificazione dell'ospedale, nonché con il fabbisogno di posti letto per le due diverse specialità, dando urgente evidenza degli esiti;

    c) siano verificati i flussi della domanda di assistenza ostetrica, dopo la chiusura di sei centri nascita pubblici nell'area metropolitana di Napoli, dando urgente evidenza degli esiti anche in relazione alla percentuale di domanda intercettata, partitamente, dai centri privati e da quelli pubblici;

    d) sia verificata la congruità e l'adeguatezza del piano ospedaliero vigente della regione Campania laddove si fonda, per l'assolvimento del fabbisogno, su caratteristiche e funzionalità di una struttura ospedaliera (l'Ospedale del mare) ancora non pienamente operativa e di un polo materno infantile (Loreto Mare), neanche in fase di progettazione, la cui riconversione potrà iniziare solo dopo che le altre unità operative saranno trasferite all'Ospedale del mare;

    e) sia rivisto il meccanismo di razionalizzazione della rete ospedaliera, in particolare anche dei punti nascita, delle unità di terapia intensiva neonatale, della gestione delle emergenze ginecologiche ed ostetriche di maggior complessità, assicurando la riorganizzazione della rete ospedaliera possa avvenire esclusivamente sulla base delle strutture esistenti e operative così da garantire nell'immediato standard di sicurezza nella assistenza ospedaliera e non sulla base di attività programmate nell'edilizia sanitaria.
(7-01383) «Nesci, Luigi Gallo, Colonnese, Silvia Giordano, Lorefice».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   la candidatura del rettore dell'università di Palermo, professor Fabrizio Micari, alle prossime elezioni regionali in Sicilia, sta suscitando numerose polemiche per la sua potenziale ineleggibilità, oltre che per ragioni di opportunità;

   i dubbi relativi a tale candidatura riguardano non solo il mantenimento della carica di rettore dell'università di Palermo, da cui lo stesso Micari ha dichiarato di non volersi dimettere, ma anche quella di presidente del consiglio di amministrazione del policlinico «Paolo Giaccone», ente direttamente dipendente dall'università e destinatario di fondi pubblici dalla regione siciliana. Bisogna, inoltre, rilevare le forzature procedurali che sarebbero state messe in atto dal professor Micari per ottenere il congedo utile ai fini della campagna elettorale: a partire dal 7 settembre 2017, infatti, lo stesso avrebbe utilizzato lo strumento del congedo con assegni, prima ordinario e poi straordinario;

   la situazione venutasi a creare ha determinato grande disagio nell'ateneo di Palermo. Gli studenti, i docenti ed i sindacati hanno preso una posizione fortemente contraria al mantenimento della carica di rettore, poiché in contraddizione con l'articolo 1, comma 5, dello statuto dell'università che ribadisce il «carattere laico, pluralistico e indipendente da ogni orientamento ideologico, religioso e politico del ruolo», nonché all'articolo 10, comma 9, che stabilisce che «i componenti del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione non possono ricoprire alcun incarico di natura politica»;

   particolari motivazioni etiche e morali hanno dunque spinto costoro a denunciare formalmente la perdita di autorevolezza dell'università, il tradimento del patto di fiducia stretto con coloro i quali, votandolo, hanno portato Micari ad ottenere quella carica sulla base di un programma sessennale, nonché la perdita della posizione imparziale che invece dovrebbe garantire il rettore, unico rappresentante legale dell'istituzione;

   il comma 2 dell'articolo 10-ter della legge regionale 22 marzo 1951, n. 29, stabilisce che i deputati regionali non possono ricoprire cariche o uffici di qualsiasi specie in enti pubblici o privati, istituti, consorzi, enti dipendenti dalla regione ovvero soggetti alla sua tutela o vigilanza, per nomina o designazione del Governo regionale o di organi dell'amministrazione regionale;

   il successivo comma 3 aggiunge che sono escluse dal divieto suddetto le cariche in enti culturali, assistenziali, di culto, nonché quelle conferite nelle università degli studi o negli istituti di istruzione superiore a seguito di designazione elettiva dei corpi accademici;

   malgrado l'assenza di una disposizione normativa che sancisca espressamente l'ineleggibilità e l'incompatibilità della carica di rettore con quella di presidente o di deputato regionale, sorge il legittimo sospetto che una figura, quale quella del rettore di una università, che mantiene la sua carica di potere apicale di una istituzione pubblica con una fortissima valenza economica sul territorio regionale possa utilizzare la sua influenza al fine di condizionare le scelte di voto di interi gruppi di persone;

   si richiama, a tal proposito, il caso della Valle d'Aosta, su cui la Corte costituzionale si è espressa con sentenza n. 25 del 2008, affermando che le peculiarità relative alla figura del rettore dell'università consentivano di ritenere ragionevole la previsione di uno specifico caso di ineleggibilità, al fine di evitare che dette peculiarità potessero dare luogo ad interferenze sulla consultazione elettorale regionale, avuto riguardo alla posizione del rettore, sia per le funzioni che è chiamato ad esercitare, sia per le modalità della sua nomina, nonché per le interazioni con gli altri organi dell'università;

   la Corte opera una distinzione per quanto concerne gli effetti della disciplina dell'ineleggibilità e della incompatibilità relativamente al corpo docente, da un lato, e al ruolo istituzionale del rettore, dall'altro. La Corte ha ritenuto che, per quanto concerne i professori, i ricercatori in ruolo ed i titolari di contratti di insegnamento in corsi universitari realizzati in Valle d'Aosta, proprio in ragione del ruolo e delle funzioni degli stessi, non sussistessero analoghe esigenze di interesse pubblico o adeguate motivazioni idonee a legittimare restrizioni al diritto di elettorato passivo dei soggetti sopra indicati;

   la Corte ha chiarito, in materia di elezioni regionali, che le discipline differenziate statuite dalle regioni a statuto speciale, in tema di elettorato passivo, possono assicurare una tutela diversificata solo alla luce di un'esigenza particolare da proteggere specificamente in quel determinato territorio;

   il professor Micari, ad avviso degli interpellanti, avrebbe dovuto presentare le dimissioni dalla carica di rettore dell'università, nonché da quella di presidente del consiglio di amministrazione del Policlinico, al momento della sua candidatura alla presidenza della regione siciliana;

   va rimarcata l'inopportunità istituzionale della sua candidatura, considerata quella che gli interpellanti giudicano una manifesta violazione dello statuto dell'università di Palermo, e tenuto conto del potenziale danno patrimoniale e di immagine che rischia di arrecare allo stesso ateneo;

   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda di cui in premessa e se intenda assumere iniziative normative volte a salvaguardare l'imparzialità, l'indipendenza, il pluralismo e l'autorevolezza delle istituzioni universitarie e dei loro organi apicali, al fine di evitare il riproporsi di casi come quello richiamato;

   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per chiarire la legittimità dello strumento del congedo così come utilizzato dal professor Micari.
(2-01991) «Di Benedetto, Marzana, Brescia, D'Uva, Luigi Gallo, Vacca, Simone Valente».

Interrogazioni a risposta scritta:


   BASILIO, CORDA, FRUSONE, RIZZO e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   tra le materie concernenti i rapporti tra Stato e la Chiesa cattolica in Italia vi è quella della assistenza spirituale al personale delle Forze armate;

   ai sensi del comma 2 dell'articolo 11 della «legge di ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede (legge 25 marzo 1985, n. 121)» l'assistenza spirituale ai medesimi è assicurata da ecclesiastici nominati dalle autorità italiane competenti su designazione dell'autorità ecclesiastica e secondo lo stato giuridico, l'organico e le modalità stabiliti d'intesa fra tali autorità;

   l'attuale stato giuridico dei cappellani militari nell'ordinamento italiano riflette il loro pieno inserimento nella struttura gerarchica militare, con assimilazione del loro status a quello degli ufficiali e conseguente attribuzione dei gradi gerarchici (articolo 1546 del decreto legislativo n. 66 del 2010), da cui discende l'applicazione del relativo trattamento economico e la soggezione, in linea di principio, alla medesima disciplina militare;

   più in generale, secondo fonti giornalistiche (L'Espresso, maggio 2016) «l'assistenza spirituale alle Forze armate costa alle casse pubbliche 20 milioni di euro». Occorre, inoltre considerare il miliardo di euro che già annualmente entra nelle casse della Cei ed è usato in gran parte proprio per il sostentamento del clero;

   inoltre, con il recente decreto legislativo n. 94 del 29 maggio 2017, recante disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze mate, risulterebbero in aumento i costi degli stipendi dei cappellani Militari;

   il 15 marzo 2015 il portavoce della sala stampa vaticana aveva annunciato l'interesse a definire la questione dei cappellani militari attraverso una commissione bilaterale, ma, ad oggi, non risulta nessun provvedimento concreto, rilevandosi altresì un notevole silenzio sull'argomento –:

   quali iniziative siano state poste in essere dal Governo per la convocazione della citata commissione bilaterale e, nel caso siano già state effettuate delle riunioni quale ne siano le risultanze e quali documenti ufficiali o bozze di accordi tra le parti siano stati prodotti.
(4-18321)


   CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di dicembre 2017, Total E&P S.p.a., insieme a Mitsui S.p.a. e Shell, inaugureranno l'entrata in produzione del giacimento «Tempa Rossa», insediamento produttivo strategico e di preminente interesse nazionale, per una produzione stimata di 5.000 barili di petrolio al giorno, situato nel comune di Corleto Perticara (Potenza);

   il progetto comprende la lavorazione e lo stoccaggio del greggio nel Centro Oli di Corleto Perticara – ancora in fase di costruzione – e nella Raffineria Eni di Taranto, il cui utilizzo è stato bloccato dalla regione Puglia, che ha posto il veto sul progetto di ampliamento dell'infrastruttura;

   in assenza di una soluzione di lavorazione e stoccaggio vicina al giacimento, Total ha annunciato che, fin quando non sarà completata la costruzione del Centro Oli di Corleto Perticara, trasporterà gli oli estratti in due siti di sua proprietà, Raffineria di Roma S.p.a. e Falconara Marittima, utilizzando circa 170 autobotti al giorno. Ciò determinerà un gravissimo impatto ambientale in termini di inquinamento atmosferico, e renderà ancor più insostenibile la produzione di idrocarburi;

   particolarmente complicata, tuttavia, si presenta la situazione dell'impianto Raffineria di Roma S.p.a., situato a Malagrotta, che ad oggi produce bitume per le piste degli Aeroporti di Roma, contribuendo notevolmente all'inquinamento atmosferico e idrico del territorio della Valle Galeria, già gravemente compromessa dai numerosi impianti industriali e dalla tristemente famosa discarica;

   per poter lavorare e stoccare il grezzo nell'impianto romano, Total ha introdotto un procedimento di verifica di assoggettabilità a Via per «Implementazione di un sistema logistico per la ricezione, stoccaggio ed esportazione di greggio presso il sito della ex raffineria di Roma», determinando l'indignazione degli abitanti della zona e di alcune associazioni, che hanno presentato osservazioni in merito alla pericolosità legata all'ampliamento e alla messa in produzione del sito;

   in particolare, già Total ha previsto emissioni inquinanti atmosferiche, acustiche e idriche sia in fase di cantiere che in fase di esercizio, le quali comprometterebbero definitivamente il territorio, già sottoposto a fortissimo rischio idrogeologico, e dove, tra l'altro, insiste il sito di interesse Comunitario «Macchia Grande di Ponte Galeria» rientrante nella rete di siti protetti «Natura 2000» e nella Riserva naturale statale «Litorale Romano»;

   le osservazioni presentate dalle associazioni ambientaliste denunciano lo stato di quasi totale abbandono dell'impianto da parte di Totale, le numerose fuoriuscite di idrocarburi nel Rio Galeria, nonché sarebbe stata rilevata, a quanto consista agli interroganti, una quantità considerevole di furti o tentativi di furto di carburante dalle condotte interrate, che, a causa degli allagamenti repentini a cui la zona è soggetta, si spezzano o deteriorano;

   in questo quadro, contrasterebbe con l'obiettivo di tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini, concedere a Total S.p.a. di sfruttare ulteriormente un territorio già compromesso da punto di vista ambientale, senza operare le necessarie bonifiche a suo carico, abbandonando buona parte dell'impiantistica, causando numerose compromissioni di acque e terreni agricoli. Inoltre, ci si interroga sull'opportunità di permettere a Total S.p.a. di trasportare 170 autobotti al giorno sulla rete stradale, determinando un notevole impatto ambientale, in contrasto con la transizione sostenibile ed ecologica della produzione di energia –:

   se il Governo sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e se non intenda attivarsi, per quanto di competenza, ai fini della definizione di una soluzione alternativa al trasporto del greggio presso la Raffineria di Roma;

   se non ritenga urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di monitorare lo stato di inquinamento dell'area sopra richiamate dovuto allo stato di quasi totale abbandono del medesimo impianto.
(4-18333)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 stabilisce, ai fini della richiesta del rimborso delle imposte dirette, il termine di 48 mesi dalla data del versamento, ciò in ogni caso di errore materiale, duplicazione o inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento;

   con riferimento, invece, all'ipotesi in cui la legge preveda uno o più acconti e un eventuale saldo, l'Agenzia delle entrate si è espressa con la risoluzione 459/E del 2 dicembre 2008, la quale, in linea con l'indirizzo della Corte di Cassazione, ha precisato che il termine decorre dal versamento dell'acconto soltanto quando il pagamento sia stato fatto «in totale assenza del presupposto», mentre, qualora la richiesta di restituzione riguardi «eccedenze di versamenti in acconto o di pagamenti aventi carattere di provvisorietà, cui non corrisponda successivamente la determinazione di quello stesso obbligo in via definitiva (...)» il termine decorre dal versamento del saldo o della relativa scadenza; sulla stessa linea si pongono le circolari successive n. 16/E del 14 aprile 2009 e n. 8/E del 3 aprile 2013;

   mentre è chiaro che, in caso di totale insussistenza dell'obbligo di versare l'acconto — per totale mancanza del presupposto impositive o per contrarietà della norma impositiva alla Costituzione o al diritto comunitario — il termine decorre fin dal relativo versamento, permangono invece incertezze e dubbi applicativi, riscontrati nell'operatività di molti uffici locali dell'Agenzia delle entrate, circa le ipotesi in cui l'errore di diritto non comporti la totale insussistenza dell'obbligazione di imposta, ma incida sul regime dell'obbligazione, pur sussistente; si pensi, a titolo esemplificativo, all'errore di diritto riguardante la qualificazione del contribuente e, di riflesso, elementi essenziali dell'imposta, quali l'aliquota applicabile e/o il regime legale della base imponibile: infatti, in questi ultimi casi occorre sempre attendere la dichiarazione annuale per fissare l'entità del tributo e, conseguentemente, determinare l'esatta quantificazione della parte indebitamente versata e rimborsabile –:

   se intenda assumere iniziative per chiarire che, in tutti i casi in cui l'errore di diritto tocchi il regime della obbligazione d'imposta il quale conseguentemente non comporta la totale insussistenza della stessa, il termine per proporre istanza di rimborso decorre dalla scadenza stabilita per il versamento del saldo e non dalla data del versamento del primo acconto oggetto dell'errore sopra richiamato.
(5-12581)


   ALBERTI, CRIPPA e SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con la sentenza n. 3816 del 25 febbraio 2016 la Corte di Cassazione ha definito i presupposti di imponibilità ai fini Ici/Imu delle piattaforme petrolifere enunciando i seguenti principi di diritto: le piattaforme petrolifere sono soggette a Ici/Imu; sono classificabili nella cat. D/7, stante la riconducibilità delle stesse al concetto di immobile ai fini civili e fiscali, suscettibili pertanto di accatastamento ed idoneo a produrre un reddito proprio; in mancanza di rendita catastale (riservata all'Agenzia del demanio), la base imponibile delle piattaforme, classificabili nella cat. D/7, è costituita dal valore di bilancio, secondo i criteri stabiliti nel penultimo periodo del comma 3 dell'articolo 6 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 33, cioè in base al valore costituito dall'ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili;

   i principi stabiliti dalla Corte hanno riacceso il dibattito anche sulla tassazione delle cosiddette «trivelle a terra», ovvero i siti di estrazione di idrocarburi ubicati sulla terra ferma: al riguardo, potrebbero infatti valere sia il principio di diritto circa la natura di fabbricato/costruzione del sito (quantomeno delle piattaforme su cui insistono le trivelle), sia l'attribuzione della categoria D/7 quale impianto funzionale a scopi di produzione industriale (superando l'attuale inserimento degli impianti in categoria E/9 ovvero gli impianti a destinazione speciale pubblica, esclusi da imposizione), sia, infine, l'irrilevanza dell'eventuale mancato accatastamento, potendo al riguardo sopperire il criterio residuale del valore di bilancio;

   tali principi andrebbero tuttavia coordinati con i nuovi criteri di accatastamento dei fabbricati introdotti dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208, ai commi 21, 22, 23 e 24, in vigore dal 2016, in particolare con la disciplina dei macchinari cosiddetti «imbullonati»;

   al fine di valutare eventuali iniziative normative, sarebbe in ogni caso utile acquisire maggiori dati circa i pozzi petroliferi esistenti sul territorio nazionale e, in particolare, i dati relativi a:

    a) numero di pozzi petroliferi esistenti, con indicazione del comune di ubicazione;

    b) numero di pozzi accatastati e la categoria di accatastamento;

    c) il gettito derivante da imposizione Ici/Imu degli ultimi 10 anni –:

   se intenda fornire dati relativamente agli elementi indicati in premessa, nonché chiarire l'applicazione, nel caso di pozzi e trivelle a terra, dei nuovi criteri di accatastamento di cui ai commi 21-24 della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
(5-12582)


   SOTTANELLI e ZANETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   nella fase iniziale del tirocinio per l'abilitazione all'esercizio della libera professione di dottore commercialista ed esperto contabile, si effettuano due iscrizioni, una al registro praticanti dell'ordine territoriale di appartenenza e l'altra al registro dei praticanti revisori legali presso il Ministero interrogato;

   fino al 30 giugno 2013, coloro i quali non avevano provveduto all'iscrizione del registro praticanti revisori avevano la possibilità di effettuare il riconoscimento del tirocinio pregresso, sanando la mancata iscrizione; attualmente, invece, questa possibilità è stata oggetto d'inadempienza, motivo per il quale è necessario ripetere l'iscrizione al registro praticanti revisori e attendere ancora tre anni prima dell'iscrizione;

   a tal fine, gli effetti negativi e penalizzanti sul piano economico e temporale, determinati dalla suesposta procedura, nei confronti dei soggetti interessati, risultano, a giudizio dell'interrogante, evidenti e manifesti, in considerazione dell'impossibilità dell'avvio della professione di revisore legale, nei tempi congrui;

   al riguardo, a parere degli interroganti, sarebbe necessario per tutti i soggetti che hanno già superato l'esame di stato di abilitazione alla libera professione di dottore commercialista ed esperto contabile, effettuare il riconoscimento del tirocinio pregresso senza dover ripetere l'iscrizione, attendere ulteriori tre anni e sostenere ulteriori esami –:

   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e, in particolare, in merito ai requisiti attualmente previsti per l'iscrizione al registro dei revisori contabili di coloro che sono risultati idonei all'abilitazione della libera professione di dottore commercialista ed esperto contabile.
(5-12583)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato sul sito web: «newsbiella.it» il 25 ottobre 2017, presso la terza Commissione consiliare «Disagio Sociale» del comune di Biella, il Garante dei detenuti, Sonia Caronni, ha dichiarato che nel corso dell'estate trascorsa, i carcerati detenuti nel penitenziario biellese avrebbero potuto agevolmente evadere, tuttavia non l'hanno fatto in quanto erano presenti soltanto due agenti di custodia a fronte di 400 detenuti presenti del carcere;

   le affermazioni del Garante, che a giudizio dell'interrogante destano sconcerto e preoccupazione, se da un lato confermano la necessità di potenziare l'organico degli agenti penitenziari all'interno della struttura carceraria suesposta, peraltro oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo presentati dall'interrogante sia nella scorsa che nella presente legislatura con cui è stata rappresentata la richiesta di incrementare l'attività di ispezione e sorveglianza, dall'altro, risultano paradossali, considerando che tali valutazioni sono state espresse proprio da chi istituzionalmente è preposto a contribuire a garantire la sicurezza all'interno del carcere di Biella;

   a tal fine, l'interrogante evidenzia inoltre che le dichiarazioni del Garante dei detenuti, ove confermate, oltre a ledere l'onore e la dignità professionale degli agenti penitenziari in servizio, presso la struttura penitenziaria piemontese, accrescono i sentimenti di preoccupazione nella comunità biellese, evidentemente a rischio di una massiccia evasione di detenuti, con gravi ripercussioni sulla sicurezza e la tutela dei cittadini;

   la necessità di rapidi chiarimenti, da parte del Ministro interrogato, in merito a quanto sostenuto dal Garante in precedenza richiamato, appaiono conseguentemente urgenti e indispensabili, al fine di comprendere quale sia la situazione attuale all'interno del carcere di Biella e rassicurare la comunità interessata, in termini di sicurezza e di presidio da parte degli operatori giudiziari, affinché sia garantito che il loro lavoro sia svolto in modo adeguato –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle dichiarazioni riportate in premessa dal Garante dei detenuti Sonia Caronni;

   quali orientamenti intenda esprimere in merito;

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di potenziare l'organico degli agenti penitenziari del carcere di Biella, che a prescindere dalle valutazioni espresse dal sopra citato Garante, appare oggettivamente, sottodimensionato.
(4-18327)


   VITO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 11, comma 2, lettera m), del decreto del Ministro della giustizia del 2 marzo 2016 prevede che «con successivi decreti del Ministro si provvede, entro novanta giorni dalla pubblicazione del presente decreto a definire i criteri e le priorità di assegnazione delle sedi di servizio del personale dell'Amministrazione penitenziaria»;

   con nota prot. 0333874 del 20 ottobre 2017 è stato inoltrato da parte del Ministero alle organizzazioni sindacali di settore lo schema di decreto recante misure per la definizione dei criteri e delle priorità di assegnazione delle sedi di servizio del personale del Corpo di polizia penitenziaria;

   ad avviso dell'interrogante lo schema di decreto sarebbe gravemente lesivo degli accordi già intercorsi tra l'Amministrazione penitenziaria e le organizzazioni sindacali che, nel procedere alla regolamentazione delle assegnazione del personale in esubero, hanno individuato una serie di criteri diversi da quelli emersi dallo schema di decreto citato;

   in particolare, lo schema di decreto non prevede: il blocco di nuove assegnazioni anche nelle ipotesi di collocamento in quiescenza del personale impiegato nelle sedi in questione; l'assegnazione del personale attualmente in servizio in sede extra-moenia che è risultato vincitore di interpelli per sedi penitenziarie presso le stesse; l'assegnazione definitiva del personale in entrata nelle sedi extra-moenia compatibilmente alla dotazione organica; l'assegnazione definitiva presso la sede di distacco del personale in uscita dalle sedi extra-moenia compatibilmente con la dotazione organica, nonché la restituzione del personale non rientrante in quello del punto precedente alle sedi di appartenenza, se nella sede extra-moenia di servizio, nonostante le azioni di cui ai punti precedenti, continui a sussistere una situazione di sovra-organico;

   dal provvedimento sopra citato, ad avviso dell'interrogante, deriverebbe un'indebita mobilità del personale «impiegato in funzioni diverse da quelle operative» che si assume in esubero nelle sedi cosiddette extra-moenia;

   da informazioni pervenute all'interrogante le organizzazioni sindacali non sono state poste nella condizione di partecipare effettivamente alla ricognizione delle piante organiche, così come stabilito dall'articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 2002, che l'amministrazione penitenziaria avrebbe già effettuato tramite il decreto ministeriale 2 ottobre 2017 (in corso di registrazione) quale elemento di fondamentale interesse e mai reso noto alle organizzazioni sindacali –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di riesaminare quanto previsto nello schema di decreto recante misure per la definizione dei criteri e delle priorità di assegnazione delle sedi di servizio del personale del Corpo di polizia penitenziaria dando seguito a quanto già stabilito negli accordi intercorsi tra l'Amministrazione penitenziaria e le organizzazioni sindacali.
(4-18329)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PICCHI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il 19 ottobre 2017 un turista spagnolo di 52 anni è morto colpito da un elemento architettonico caduto dalla sommità di una navata della Basilica di Santa Croce a Firenze;

   il pezzo caduto sarebbe un «peduccio» in pietra, struttura simile a una mensola abbastanza grande (circa 15 per 15 centimetri) che serve per aumentare la base di appoggio delle strutture lignee. Il pezzo si è staccato dal transetto di destra della basilica;

   non c'erano state segnalazioni di criticità per l'area della basilica, assoggettata a periodici controlli;

   inoltre, i finanziamenti che riceve il complesso sono consistenti e gli interventi di manutenzione regolari;

   la procura di Firenze ha aperto un fascicolo d'indagine per omicidio colposo a carico di ignoti e ha deciso di porre sotto sequestro l'area della basilica di Santa Croce;

   la Basilica è di proprietà del Fondo edifici di culto (FEC), ente emanazione del Ministero dell'interno ed è amministrata dalla direzione centrale per l'amministrazione affiancata dall'ente laico Opera di Santa Croce, composto da un collegio di 7 consiglieri nominato ogni 3 anni dal Ministro dell'interno;

   il tragico evento costituisce, inoltre, un enorme danno per il turismo italiano e per l'immagine del nostro Paese all'estero;

   l'Italia ha bisogno di più risorse economiche per la tutela del suo patrimonio, da parte dello Stato e dei privati;

   la regione Toscana sta valutando di costituirsi parte civile nel futuro processo per la morte del turista –:

   se i Ministri interrogati intendano effettuare verifiche rispetto all'esercizio delle competenze sull'immobile, che è di proprietà del Fondo edifici di culto del Ministero dell'interno ma in relazione al quale esisterebbero accordi con il Ministero dei beni e delle attività e del turismo per la manutenzione e il restauro dello stesso, al fine di poter accertare eventuali responsabilità amministrative circa la manutenzione;

   se intendano avviare ispezioni ministeriali per verificare, per quanto di competenza, se ci siano stati errori o sussistano responsabilità sul piano amministrativo che abbiano contribuito a determinare la morte del turista spagnolo, visto che la procura di Firenze ha notificato tre avvisi di garanzia per omicidio colposo ai vertici dell'Opera di Santa Croce.
(4-18325)


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   Augusta per la Sicilia e l'Italia costituisce un porto nevralgico all'interno del Mar Mediterraneo, tanto da ospitare uno dei tre arsenali della Marina militare assieme a La Spezia e Taranto, oltre che un'importante base militare americana;

   Augusta, proprio per le caratteristiche del suo porto, aspira ad assumere sempre di più il ruolo di polo commerciale in grado di intercettare gli importanti flussi economici del Mar Mediterraneo;

   in data 26 ottobre 2017 l'interrogante, nel corso di un incontro ufficiale con il prefetto di Siracusa, ha avuto conferma di quanto la stampa riporta da tempo, ovvero che il Ministero dell'interno si sia attivato per la creazione di un hotspot per migranti all'interno del porto di Augusta;

   la struttura, che sarebbe dislocata in circa 6.000 metri quadrati, potrebbe ospitare oltre mille migranti, soggetti spesso impossibili da identificare –:

   se le notizie apprese corrispondano al vero e se il Governo ritenga opportuno che all'interno di una base militare così strategica, che peraltro custodisce un arsenale militare di tale importanza, siano ospitati migranti, con un elevato rischio di infiltrazioni terroristiche.
(4-18326)


   SARTI, SPADONI, DELL'ORCO, FERRARESI, DALL'OSSO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la Ranieri Costruzioni sas, ad oggi sottoposta a procedura fallimentare, è di proprietà di Francesco Ranieri, imprenditore calabrese originario di Cutro (Crotone). Come emerge dall'udienza dell'11 aprile 2017 del processo Aemilia, a maggio 2015, la questura di Reggio Emilia, ha negato il porto d'armi a Ranieri per «frequentazioni di dubbia moralità»;

   ciò nonostante, la Ranieri Costruzioni sas, a novembre 2015, è stata inserita nella «White List» del comune di Reggio Emilia;

   sempre dal dibattimento del processo Aemilia e agli esposti di Potito Scalzulli (ex dirigente al catasto di Reggio Emilia che recentemente è stato ascoltato anche dalla Commissione antimafia) emergono altri dettagli sull'imprenditore in questione. Francesco Ranieri risulta essere tra i soci fondatori dell'Associazione sportiva dilettantistica (ASD), denominata Associazione «Circolo Ippico Western Ranch», la cui sede è stata costruita da Pasquale Brescia. Tale costruzione è risultata abusiva dopo ben diciannove anni dalla prima segnalazione. Soci della stessa Associazione «Circolo Ippico Western Ranch» sono infatti, Pasquale Brescia, attualmente imputato nel processo Aemilia e Renato Maletta, nato a Cutro, impiegato presso il catasto di Reggio Emilia. I legami fra Ranieri e l'imputato Pasquale Brescia risultano anche dal fatto che a casa dell'imputato risulterebbero essere state trovate fatture della Ranieri Costruzioni SAS;

   in data 14 ottobre 2017, pochi giorni fa, il suv di Francesco Ranieri ha preso fuoco nel parcheggio della sua villa sotto una tettoia. Dalla stampa si apprende che «L'uomo in passato ha già avuto problemi simili sia a Cutro (Crotone) che a Reggio. Questo potrebbe essere il terzo incendio doloso subito. La vicenda è già stata segnalata all'Antimafia di Bologna» (https://www.reggiosera.it) –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione alla vicenda di cui in premessa e, in particolare, circa l'inserimento della società Ranieri Costruzioni sas a novembre 2015 nella White List, sopra richiamata, nonostante solo sei mesi prima, come emerge dall'udienza dell'undici aprile 2017 del processo Aemilia, al titolare della stessa fosse stato negato il porto d'armi per «frequentazioni di dubbia moralità».
(4-18328)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RUBINATO e GIGLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 1, commi da 145 a 150, della legge 13 luglio 2015 n. 107, come modificato dall'articolo 1, comma 620, della legge 11 dicembre 2016 n. 232, dispone che, alle persone fisiche, enti non commerciali e soggetti titolari di reddito d'impresa, che effettuino erogazioni liberali in denaro destinate agli investimenti in favore degli istituti del sistema nazionale di istruzione — dunque, scuole statali e scuole paritarie private e degli enti locali —, per la realizzazione di nuove strutture scolastiche, la manutenzione e il potenziamento di quelle esistenti e per il sostegno a interventi che migliorino l'occupabilità degli studenti, spetti un credito d'imposta, cosiddetto «school bonus», ripartito in tre quote annuali di pari importo, pari al 65 per cento delle erogazioni effettuate nel 2016 e 2017 e al 50 per cento per quelle disposte nel 2018; l'importo massimo ammesso all'agevolazione fiscale è pari a 100 mila euro per ciascun periodo d'imposta;

   il credito d'imposta è riconosciuto a condizione che le somme siano versate in un apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, ovvero direttamente su conto corrente bancario o postale intestato alle scuole, con sistemi di pagamento tracciabili;

   nel caso di versamento diretto agli istituti beneficiari, gli stessi entro trenta giorni, sono tenuti poi a riversare il 10 per cento del contributo ricevuto a favore del Fondo istituito presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per l'erogazione alle istituzioni scolastiche che risultano destinatarie di somme in un ammontare inferiore alla media nazionale;

   tuttavia, con il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca dell'8 aprile 2016, emanato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, risultano disciplinate esclusivamente le modalità per il versamento delle somme in un apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, mentre non è definita la modalità di riversamento del 10 per cento nell'apposito fondo, nel caso in cui l'erogazione liberale sia effettuata direttamente sui conti intestati agli istituti scolastici introdotta dalla successiva novella legislativa;

   inoltre, tra le condizioni imposte alle scuole per beneficiare delle citate somme è previsto che sia comunicato mensilmente al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'ammontare delle erogazioni liberali ricevute nel mese di riferimento;

   si deve altresì provvedere a dare pubblica comunicazione di tale ammontare, nonché della destinazione e dell'utilizzo delle erogazioni stesse, tramite il sito internet della scuola e sul portale telematico dei Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nel rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali;

   la pagina dedicata che permetterebbe agli istituti, alla luce della condizione vincolante, di beneficiare delle somme di cui sono destinatari e ai soggetti erogatori delle liberalità di beneficiare del credito di imposta, sembrerebbe ancora non essere stata predisposta sul portale del suddetto Ministero –:

   se il Governo intenda chiarire se la procedura prevista dal decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dell'8 aprile 2016 in materia di erogazioni liberali in denaro in favore delle scuole trovi applicazione anche qualora il versamento all'apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato sia effettuato dagli stessi istituti scolastici beneficiari dell'erogazione come previsto dalla legge di bilancio per il 2017;

   se si intenda procedere urgentemente alla predisposizione dell'area dedicata nel sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca necessaria per la pubblicazione dell'ammontare delle erogazioni liberali ricevute nel mese di riferimento, nonché della destinazione e dell'utilizzo delle erogazioni stesse e, nelle more, provvedere a definire modalità transitorie di comunicazione che assicurino piena efficacia al diritto soggettivo riconosciuto dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, a coloro che hanno effettuato le erogazioni liberali.
(5-12585)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   gli studenti della scuola primaria dell'isola di Vulcano, dipendente dall'Istituto comprensivo statale Lipari «S. Lucia», a seguito dell'accorpamento delle classi, hanno iniziato l'anno scolastico con, 38 giorni di ritardo rispetto alla data d'inizio fissata giorno 14 settembre 2017;

   come si è appreso dai numerosi articoli di stampa, i genitori degli studenti in segno di protesta hanno fatto disertare ai propri figli le lezioni per via dell'elevato numero di scolari, ben 21, costretti a condividere una piccola aula all'interno della quale a loro avviso non veniva garantita la sicurezza;

   va tenuto conto che l'istituzione della pluriclasse che accorpa ben tre classi non consente agli studenti un efficace apprendimento e che non vengono rispettate le condizioni minime di sicurezza;

   l'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009 prevede che le pluriclassi siano costituite da non meno di 8 e non più di 18 alunni, mentre nell'Isola di Vulcano sono 21;

   la soluzione tampone individuata dal dirigente scolastico di Lipari, professor Renato Candia che ha consentito lo sdoppiamento delle classi mediante l'attivazione di un progetto, ha consentito l'inizio delle lezioni nell'isola di Vulcano, ma non ha risolto in maniera definitiva il problema lamentato dalla piccola comunità scolastica –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda realizzare al fine di assicurare il normale svolgimento delle lezioni nell'isola di Vulcano, garantendo il diritto allo studio.
(4-18318)


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi anni le domande di iscrizione all'istituto tecnico agrario (succursale dell'istituto comprensivo di Maccarese Leonardo da Vinci) sono notevolmente aumentate e, di conseguenza, sono iniziate le difficoltà, poiché le aule non sono sufficienti per tutti gli studenti;

   questa situazione sta creando non pochi problemi agli studenti ed ai loro familiari;

   lo scorso anno la scuola ha tentato di porre rimedio alla situazione sistemando gli studenti in aule di ripiego senza gli standard minimi di comfort: mancanza di riscaldamento e spazi angusti;

   sono state organizzate numerose forme di protesta — riunioni, assemblee, manifestazioni — ma la situazione, nonostante le promesse, non è cambiata per nulla, anzi quest'anno è peggiorata con la formazione delle nuove classi;

   alcune di queste si sono alternate, facendo turni di tre ore in attesa di soluzioni che, però, non si sono trovate nei tempi giusti;

   il 9 ottobre 2017 alcune classi sono state trasferite nei locali del Leonardo da, Vinci stazione Maccarese, attivando finalmente un orario consono (8,00-14,00);

   il regime di alternanza, presso l'Istituto tecnico Baffi di Fiumicino, è stato scongiurato grazie alla protesta degli studenti, dei loro genitori e delle forze politiche di opposizione;

   i disagi di questa decisione sarebbero stati molteplici: all'istituto tecnico agrario vi sono alunni che vengono da tutta la provincia (Ladispoli, Cerveteri, Roma, Bracciano) grazie all'esistenza del collegamento ferroviario;

   questi ragazzi stanno subendo danni economici e disagi permanenti e le famiglie sono state obbligate a riorganizzarsi subendo: perdite economiche per abbonamenti a mezzi di trasporto ora inutilizzabili, impossibilità di frequentare laboratori indispensabili per l'indirizzo di studio, attività sportive già pagate, ma soprattutto tempi delle attività che non coincidono più con gli orari di lavoro dei genitori –:

   se il Ministro intenda promuovere, per quanto di competenza, un'ispezione presso la scuola indicata in premessa, ai fini di accertare eventuali responsabilità delle autorità scolastiche in relazione a tale decisione che ha causato la situazione su esposta;

   come sia stato possibile assumere una decisione così importante per la vita dei ragazzi e delle loro famiglie, senza richiedere l'assenso di queste ultime prima dell'inizio della scuola, in modo che potessero predisporre un'adeguata organizzazione della propria vita.
(4-18331)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIRAS, DURANTI, RICCIATTI, FRANCO BORDO, QUARANTA e MARTELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la «Legler» è stata una ditta del settore tessile che dava lavoro a circa 900 lavoratori nella sola provincia di Nuoro, sull'asse Macomer, Ottana, Siniscola. Le fabbriche, chiuse ormai da anni, hanno fatto precipitare il livello di disoccupazione di una zona già duramente segnata da una grave crisi sociale ed occupazionale come la Sardegna centrale. Molti di loro, non abbastanza anziani per il pensionamento e non abbastanza giovani per trovare altro impiego, hanno goduto come unico mezzo di sostentamento ed in assenza di concrete alternative, degli ammortizzatori sociali, progressivamente venuti meno nel corso degli anni;

   per molti di loro, peraltro, la situazione si è resa ancora più grave negli ultimi mesi, come si apprende anche da diversi organi di stampa. 130 lavoratori, infatti, dal dicembre del 2016 si ritrovano senza il sussidio dovuto dalla mobilità straordinaria, persone spesso, per cause anagrafiche, difficilmente ricollocabili in un mercato del lavoro particolarmente fragile;

   nello specifico la regione Sardegna aprì — sul portale sistema informativo — le domande per la mobilità dal 2 al 12 dicembre 2016. Dati i tempi strettissimi — fra cui peraltro due sabati, due domeniche e la festa della Immacolata — per molti lavoratori fu impossibile produrre la documentazione richiesta, mentre altri lavoratori non furono messi a conoscenza dell'apertura dei termini della domanda stessa;

   in seguito a diverse proteste pubbliche — e con la mobilitazione dei sindacati — nel marzo del 2017 l'Assessorato al lavoro della regione ha riaperto la possibilità di presentare tali domande sul portale, consentendo agli esclusi la possibilità di essere inseriti nel procedimento per la mobilità in deroga;

   ad oltre sei mesi dalla presentazione della domande, i lavoratori non sanno ancora nulla riguardo l'esito delle pratiche inoltrate, nonostante il ripetersi di diversi momenti di pacifica protesta, come il sit-in davanti alla prefettura del 28 settembre 2017;

   prima di agosto — come si apprende dalle parole di un lavoratore coinvolto — «dall'assessorato per il lavoro fu comunicato come l'INPS avesse confermato l'esistenza dei fondi necessari e sufficienti alla copertura della mobilità straordinaria». A questo va aggiunto il diretto interessamento del prefetto di Nuoro, Carolina Bellantoni, che dopo aver incontrato una delegazione di lavoratori ha sollecitato la positiva ed immediata soluzione della vertenza in oggetto –:

   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per porre rimedio a una situazione drammatica come quella dei 130 lavoratori dell'ex azienda Legler;

   quali progetti straordinari il Governo intenda porre in essere per favorire una ripresa degli investimenti produttivi e dei livelli occupazionali nella Sardegna centrale.
(5-12584)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nel corso dell'anno 2013 l'INPS ha recapitato a molte persone in tutta Italia, che dal 2007 hanno svolto la professione di intermediario assicurativo, verbali di accertamento in cui si comunica il mancato rispetto degli obblighi contributivi previsti dalla legge. Più precisamente i verbali contestano il mancato rispetto dell'articolo 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, il quale stabilisce che, ai fini della tutela previdenziale, i produttori di terzo e quarto gruppo sono soggetti all'obbligo di iscrizione all'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti degli esercenti attività commerciali;

   il numero di persone che hanno ricevuto i verbali di accertamento da parte dell'INPS, in larga parte giovani lavoratori, si attesterebbe tra le 12 e le 15 mila unità, cifre ben note alle principali organizzazioni sindacali di categoria, alle quali si sono rivolte molte delle persone raggiunte dagli avvisi di pagamento inviati dall'INPS, al fine di ottenere chiarimenti e assistenza;

   la caratteristica più singolare di questa vicenda consiste nel fatto che la quasi totalità degli intermediari assicurativi ai quali l'INPS ha contestato la mancata iscrizione alla gestione speciale commercianti in qualità di produttore assicurativo del III e IV gruppo per gli anni dal 2007 al 2012, ha lavorato nello stesso periodo per la stessa compagnia assicurativa;

   come risulta da segnalazioni giunte all'interrogante la compagnia assicurativa in questione con una lettera di autorizzazione comunicava agli interessati l'esito positivo della richiesta di operare per proprio conto quale produttore libero, dando notizia dell'avvenuta iscrizione nella sezione C del registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi (RUI);

   da alcune segnalazioni giunte all'interrogante risulterebbe che a fronte di richieste da parte dei diretti interessati in merito agli obblighi contributivi conseguenti l'iscrizione nella sezione C del RUI gli agenti generali della compagnia assicurativa avrebbero ribadito la non esistenza di obblighi contributivi a cui adempiere e che non fosse necessario aprire una partita IVA;

   se il principio secolare che «ignorantia legis non excusat» è un pilastro del diritto, costituisce obiettivamente un'anomalia, quanto meno di natura statistica, che la colpevole non conoscenza della legge in materia di obblighi contributivi, o peggio la volontà fraudolenta di aggirare le norme vigenti in materia nel settore assicurativo si riscontrino soltanto nei produttori liberi iscritti al Rui per conto della stessa compagnia assicurativa e per un periodo temporale ben delineato che va dal 2007 al 2013;

   il disposto dell'articolo 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, in merito agli obblighi previdenziali dei produttori di terzo e quarto gruppo di cui agli articoli 5 e 6 del contratto collettivo nazionale del 25 maggio 1939, è di difficile interpretazione, come dimostra il fatto che l'INPS abbia emanato due circolari interpretative al fine di chiarirne la corretta applicazione, quali le circolari 12/2004 e 78/2010, e da ultimo abbia emanato il messaggio n. 16291 dell'11 ottobre 2013;

   le cifre richieste da parte dell'INPS a titolo di mancata iscrizione alla gestione speciale commercianti in qualità di produttore assicurativo del III e IV per il periodo 2008-2013, unitamente agli importi delle sanzioni e delle more previsti, danno luogo a saldi di notevole rilevanza economica, che divengono ancora più pesanti perché in gran parte riguardano giovani che nel periodo lavorativo di riferimento hanno percepito redditi estremamente bassi. Una situazione questa che configura una vera e propria emergenza sociale per il numero non irrilevante di persone coinvolte e che è aggravata dall'estremo ritardo con cui l'INPS ha inviato le comunicazioni di accertamento delle presunte violazioni, essendo state notificate a pochi mesi dalla prescrizione delle stesse –:

   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di evitare che la vicenda riportata in premessa produca ingiustizie di fatto in danno di molti giovani lavoratori.
(4-18317)


   PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, come modificato nel corso degli anni, si è posto in essere un faticoso percorso di riorganizzazione della Croce rossa italiana (Cri), con la trasformazione della stessa da ente pubblico non economico ad associazione di diritto privato;

   nella definizione dei rapporti economici inerenti al personale, anche in mobilità, nel passaggio dall'Ente strumentale alla nuova Associazione, il decreto legislativo citato detta apposita disciplina riguardo al loro Tfr/Tfs;

   nel caso di specie, infatti, la disciplina generale prevista dall'articolo 2120 del codice civile viene integrata da quanto stabilito dall'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1993, n. 104, in merito alle situazioni di mobilità del personale, e dalla normativa specifica per l'Ente, dettata dall'articolo 6, comma 7-bis, del decreto legislativo n. 178 del 2012 che prevede che i rapporti con gli enti previdenziali derivanti dalle procedure di mobilità del personale della Cri siano definiti in sede di applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo citato, cioè entro il 31 dicembre 2017;

   come riportato da una nota dell'organizzazione sindacale Usb, a seguito di un incontro dei rappresentanti della suddetta organizzazione con il dottor Luciano Busacca, capo segreteria del presidente dell'Inps Tito Boeri, sarebbero state confermate problematiche relative al trasferimento da parte dell'ente strumentale Cri all'Istituto degli accantonamenti obbligatori relativi al pagamento del Tfr/Tfs del personale della Croce rossa italiana posto in mobilità;

   qualora la situazione descritta in premessa fosse confermata, risulterebbe problematica l'erogazione del Tfr/Tfs ai lavoratori in questione –:

   di quali notizie dispongano i Ministri interrogati relativamente ai fatti esposti in premessa e se non ritengano, per quanto di competenza, di verificare che, nel rispetto della normativa vigente, sia assicurato al personale in questione erogazione del Tfr/Tfs.
(4-18319)


   RUSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 102 del 3 agosto 2009, di conversione del decreto-legge n. 78 del 2009, prevede che i requisiti anagrafici per l'accesso al sistema pensionistico italiano debbano essere adeguati all'incremento della speranza di vita accertato dall'Istat e convalidato dall'Eurostat (articolo 22-ter, comma 2, «Disposizioni in materia di accesso al pensionamento»);

   a tal proposito, l'Istat rende annualmente disponibile, entro il 30 giugno dell'anno medesimo, il dato relativo alla variazione nel triennio precedente della speranza di vita in riferimento alla media della popolazione residente in Italia;

   il 23 ottobre 2017 sono stati diffusi dall'Istat i dati aggiornati relativi alla mortalità della popolazione italiana nel 2016 e sull'aspettativa media di vita. I dati confermano un aumento medio nel territorio nazionale della speranza di vita alla nascita di oltre 7 mesi: l'aspettativa di vita degli italiani sale a 82,8 anni di media (85 le donne, 80,6 gli uomini);

   ora, come confermato dall'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (riforma delle pensioni «Fornero»), il Governo dovrà emettere il decreto che fa scattare l'aumento dell'età pensionabile a 67 anni a partire dal 2019;

   la legge, infatti, prevede che il Governo adegui ogni tre anni (ogni due a partire dal 2019) l'asticella per le pensioni di vecchiaia sulla base delle indicazioni dell'Istat e l'aggiustamento valido a partire dal 2019 deve essere definito in anticipo entro quest'anno e sancito da un apposito decreto emesso dal Ministero dell'economia e delle finanze di concerto col Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

   dagli attuali 66 anni e 7 mesi, quindi, si passerebbe a 67 anni, portando questo requisito ai livelli più alti in assoluto in Europa;

   oltre al fatto che l'adeguamento automatico dell'età pensionabile all'aspettativa di vita comporta conseguenze preoccupanti sul mercato del lavoro in generale (sia in relazione all'elevata disoccupazione giovanile ed over 50, sia in relazione alla molteplicità di lavori esistenti che presupporrebbe una norma meno generalista), si pone un problema relativo alla differenza di aspettativa di vita di ogni singola regione dell'Italia;

   lo stesso rapporto dell'Istat, infatti, certifica la regione Campania come «fanalino di coda» per quanto riguarda l'aspettativa di vita media con 78,9 anni per gli uomini e 83,4 anni per le donne. La differenza con le regioni del Nord, dove la vita media raggiunge le quote più alte, è considerevole: il Trentino Alto Adige, regione più «longeva» d'Italia, registra un'aspettativa di vita media di 81,2 anni per gli uomini ed 85,7 per le donne, con ben 2,3 anni di differenza tre le regioni –:

   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno l'avvio di un confronto per una modifica urgente dell'attuale meccanismo di adeguamento dell'accesso al sistema pensionistico italiano all'incremento della speranza di vita accertato dall'Istat, introducendo elementi di differenziazione rispetto all'età pensionabile in base alle diversità nella speranza di vita media di ciascuna regione italiana ed in base al lavoro di ognuno, più o meno gravoso.
(4-18322)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   TERROSI, COVA, CENNI, FIORIO e CARRA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la varietà di grano «Senatore Cappelli» è stata iscritta a registro nel 1969 dal Cra oggi Crea, ente di ricerca pubblica vigilato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;

   questa varietà, dalle dimostrate e importanti qualità nutrizionali, con particolare riferimento al basso contenuto in glutine, venne costituita nel primo ventennio del secolo scorso, mettendo così a disposizione degli agricoltori una varietà adattabile al nostro contesto;

   questo grano, coltivato prevalentemente in Puglia e Basilicata ma diffuso in tutto il territorio nazionale, necessita di molte cure agronomiche per le quali è necessaria tutta la preparazione e la professionalità degli agricoltori che lo coltivano; al grano «Cappelli» è riservato un prezzo di mercato nettamente superiore, a volte anche doppio, rispetto a quello spuntato dalle altre varietà: rappresenta quindi una reale possibilità di valorizzare il lavoro dell'agricoltore e il territorio di provenienza;

   il 30 giugno 2016 il Crea ha pubblicato, sul proprio sito, una manifestazione di interesse rivolta alle ditte sementiere interessate ad acquisire in esclusiva i diritti di moltiplicazione e commercializzazione della cultivar di grano duro denominata «Cappelli»;

   successivamente alla chiusura della manifestazione di interesse prevista per il 15 luglio 2016, non si è avuto evidenza né delle risposte pervenute, né della relativa documentazione presentata, tra cui era prevista una dichiarazione con la quale l'azienda esprime esplicitamente la propria disponibilità al versamento di una royalty al Crea a titolo di «diritti del costitutore per la riproduzione di sementi di specie agricole»;

   al Crea sono infatti riconducibili i diritti del costitutore e quindi i diritti patrimoniali derivanti dallo sfruttamento della varietà;

   da notizie giunte agli interroganti, la Società italiane sementi Sis, si sarebbe aggiudicata la licenza esclusiva di moltiplicazione e commercializzazione della varietà di grano duro «Cappelli», della durata di 15 anni;

   sembrerebbe anche che la Sis abbia nel frattempo stipulato con gli agricoltori accordi che prevedono precisi obblighi a carico dei coltivatori relativamente alla consegna della totalità della granella prodotta, la quale verrebbe, secondo tali accordi, destinata in quota parte alla riproduzione in purezza e in quota parte al mercato della trasformazione;

   tale modalità porrebbe di fatto la Sis nella posizione di esclusivista, non solo relativamente a quanto previsto nella manifestazione di interesse, nella quale si prevedeva la licenza esclusiva per la riproduzione e la commercializzazione della semente, ma anche del rapporto tra il produttore agricolo e l'industria di trasformazione;

   un terzo soggetto, il Cai, non contemplato nell'accordo tra Crea e Sis, si avvarrebbe del beneficio riconosciuto a quest'ultima, dal momento che nel contratto verrebbe chiesto al coltivatore di impegnarsi a ricevere l'assistenza tecnica da parte della struttura consortile aderente al Cai (Consorzi agrari d'Italia) competente per territorio –:

   se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;

   se non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza per evitare l'instaurarsi di un regime di monopolio, da un lato relativo all'attività di ritiro della granella e di vendita della stessa all'industria di trasformazione, che penalizzerebbe le filiere già attivate, e, dall'altro, relativo alla riproduzione e alla commercializzazione della semente della varietà di grano duro «Cappelli», fino ad oggi in capo ad almeno due industrie sementiere;

   se e quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare che possa verificarsi una distorsione anche nel mercato della assistenza tecnica;

   se non ritenga di verificare, per quanto di competenza, la correttezza dell'operazione nel suo complesso, considerando il ruolo marginale in cui viene relegato l'agricoltore e la vulnerabilità cui viene esposto insieme a quelle strutture che hanno avviato filiere in grado di valorizzare il lavoro dei singoli la qualità del prodotto ottenuto.
(4-18332)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COVA e AMATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'Istituto zooprofilattico sperimentale (Izs) dell'Abruzzo e del Molise riveste un ruolo importante nel sistema di controllo, ricerca e studi per il sistema di medicina veterinaria, della salute pubblica, della sanità animale, dell'igiene degli alimenti e dell'igiene zootecnica; infatti, è sede di centri di referenza nazionale per lo studio e l'accertamento delle malattie esotiche degli animali, per l'epidemiologia veterinaria, la programmazione, l'informazione e l'analisi del rischio, la brucellosi, le sequenze genomiche di microrganismi patogeni, l'igiene urbana e emergenze non epidemiche, e centro servizi nazionale per le anagrafi degli animali;

   notizie di stampa riportano che la nomina del direttore generale dell'Izs dell'Abruzzo e Molise è attualmente oggetto di indagine, in quanto il candidato, il dottor Mattioli, risulterebbe non avere i requisiti necessari richiesti, come anche indicato dalla lettera della Ministra interrogata;

   la direzione generale del Ministero, infatti, valutato il curriculum del dottor Mattioli ha rilevato che non è in possesso della «comprovata esperienza nel campo della sanità pubblica veterinaria»;

   lo stesso Izs si trova al centro di una controversia di 34 lavoratori, veterinari, chimici e biologi, per assunzioni fatte circa 10 anni fa in modo «contra legem» secondo il parere dei revisori dei conti –:

   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere, per quanto di competenza, per garantire la costante efficienza dell'Istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo e la garanzia di una governance nella sua pienezza di intervento.
(5-12586)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si apprende da diverse fonti giornalistiche la Campania, nonostante le ripetute segnalazioni, inoltrate già da alcuni mesi, sulla mancanza di scorte nelle farmacie del farmaco antitetanica, si troverebbe in una situazione di assoluta emergenza;

   questa rappresenta una situazione molto grave per i cittadini campani, già messi a dura prova da un sistema sanitario regionale che presenta non poche criticità, poiché ferirsi è diventato un pericolo serio in quanto non vi sarebbero rimedi contro il rischio di contrarre il tetano. L'unica soluzione sarebbe quella di recarsi fuori regione per trovare il farmaco gammaglobulina antitetanica;

   la regione Campania, oramai da alcuni mesi, sta subendo una grossa carenza distributiva che non sembra essere stata al centro di una seria riflessione da parte dei vari commissari del Governo che si succedono alla guida della sanità campana;

   da diverse fonti si apprende che, attualmente, i cittadini campani sono lasciati completamente da soli nella gestione di una simile emergenza, senza che le varie autorità di competenza si adoperino per fornire indicazioni sulle procedure da seguire al fine di procurarsi, in caso di bisogno, il farmaco gammmaglobulina antitetanica –:

   se il Ministro interrogato intenda chiarire la vicenda esposta in premessa e intraprendere le opportune iniziative di competenza allo scopo di attivare una procedura di monitoraggio finalizzata a comprendere quale sia la situazione in merito alle scorte del farmaco presenti sul territorio, anche attraverso confronti con le associazioni dei farmacisti e le aziende produttrici, per implementare in tempi brevi un piano di approvvigionamento e garantire la copertura in primis nella regione Campania e, in generale, su tutto il territorio nazionale.
(4-18323)


   PASTORELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il decreto «Balduzzi» 2012 e la sua revisione del 2015 prevedono che un presidio ospedaliero di base possa avere un bacino d'utenza anche al di sotto degli 80.000 abitanti se si tratta di aree disagiate: «geograficamente e meteorologicamente ostili, tipicamente in ambiente montano o premontano»;

   il territorio del Mugello, tra l'altro classificato ad alto rischio sismico, con oltre 1.100 chilometri quadrati e una popolazione di circa 64.000 abitanti rientra nei parametri previsti dal decreto come territorio avente diritto ad un presidio ospedaliero di base;

   trattasi di un territorio vasto, il più esteso e diversificato sul piano morfologico dell'area metropolitana fiorentina, con distanze importanti dai più vicini presidi ospedalieri e con problematiche pesanti riguardo ai tempi di percorrenza e all'accessibilità con i mezzi pubblici;

   i presidi ospedalieri di base, debbono essere strutture dotate di sede di pronto soccorso con la presenza di specialità ad ampia diffusione territoriale: medicina interna, chirurgia generale, ortopedia, anestesia e servizi di supporto in rete di guardia attiva e/o in regime di pronta disponibilità h24 di radiologia, laboratorio, emoteca. Devono inoltre essere dotati di letti OBI - osservazione breve intensiva;

   il distretto ospedaliero del Mugello è dotato di dipartimenti di emergenza e accettazione con i sopradescritti reparti accessori;

   l'ospedale del Mugello ha ottenuto in passato riconoscimenti importanti per la qualità dei servizi offerti fra cui un'eccellenza come il servizio di senologia, primo in Toscana nella chirurgia senologica ad operare con la tecnica del linfonodo sentinella fin dai primi anni 2000;

   ultimamente il dipartimento di emergenza e accettazione e i vari reparti non sono in grado di offrire in pieno i servizi (esempio il regime di pronta disponibilità h24) né la consueta qualità degli stessi a causa: a) della carenza del personale medico e infermieristico che non viene reintegrato a seguito di pensionamenti o trasferimenti; b) della struttura che ospita il dipartimento di emergenza e accettazione che non risulta più sufficiente ad accogliere la numerosa utenza – oltre 21.000 accessi nel 2015 – determinando il frequente stazionamento di pazienti nel corridoio;

   in più occasioni il presidente, l'assessore regionale alla salute, il consiglio regionale, l'Usl e i suoi tecnici hanno non solo sottolineato l'importanza del presidio ospedaliero come struttura indispensabile a garantire un'adeguata assistenza sanitaria alla cittadinanza mugellana, ma anche come struttura di «alleggerimento» delle altre strutture ospedaliere dell'area metropolitana fiorentina, risultando quindi non solo una priorità locale ma anche regionale;

   il consiglio regionale già nel 2014, constatato che un adeguamento antisismico della struttura ospedaliera non avrebbe comunque garantito la stabilità della struttura, impegnava la giunta a prevedere «nella legge di bilancio il finanziamento necessario all'avvio della fase progettuale del nuovo ospedale e la prima quota di finanziamento necessario alla realizzazione dello stesso», destinando la struttura attuale ad altro impiego sanitario – Sert, riabilitazione, consultori;

   recentemente, proponendo un notevole risparmio, la regione e l'Usl, dopo altalenanti comunicati fra ricostruzione e adeguamento, sostengono che basta intervenire con un semplice intervento antisismico per mettere in sicurezza la struttura;

   gli organi dell'esecutivo regionale e il direttore generale della Usl, a quanto consta all'interrogante, ufficialmente continuano ad asserire che entro la fine del 2017 l'organico dell'ospedale verrà completato –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a monitorare il pieno rispetto dei livelli essenziali di assistenza nell'erogazione delle prestazioni sanitarie alla popolazione del Mugello, in un'area caratterizzata da criticità territoriali e geografiche, con particolare riferimento alle difficoltà che connotano la struttura ospedaliera sopra richiamate.
(4-18334)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con comunicazione del 25 luglio 2017, Alcatel Lucent Italia s.p.a.-Nokia ha annunciato l'avvio della procedura di licenziamento collettivo per la riduzione del personale ai sensi dell'articolo 24 della legge n. 223 del 1991;

   allo stato, sono stati dichiarati esuberi di personale per 115 lavoratori; la procedura avrà termine il 6 novembre 2017; allo stato, la trattativa si è conclusa negativamente, stante la posizione irremovibile della società che intende dare corso, alla scadenza del termine di legge, ai licenziamenti;

   nell'accordo sottoscritto dalle parti al Ministero dello sviluppo economico nel mese di luglio del 2016 la multinazionale aveva garantito che il processo di ristrutturazione aziendale si sarebbe concluso senza azioni traumatiche nei confronti dei lavoratori –:

   se il Governo sia a conoscenza di questi fatti e quali iniziative stia intraprendendo per la riattivazione di ogni tavolo di confronto utile a scongiurare azioni unilaterali di interruzione dei rapporti di lavoro, allo scopo di trovare una soluzione condivisa dai soggetti coinvolti, e in primis dai lavoratori, e impedire il verificarsi delle drammatiche conseguenze personali, umane e sociali che deriverebbero dalla conclusione della procedura di licenziamento.
(4-18320)


   CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la Sogin (Società gestione impianti nucleari) è la società dello Stato italiano nata nel 1999, in ottemperanza al «decreto Bersani», per controllare, smantellare, decontaminare e gestire i rifiuti radioattivi degli impianti nucleari italiani spenti dopo i referendum abrogativi del 1987;

   nel 2008 la Sogin ha presentato un piano per cui il decommissioning si sarebbe dovuto concludere nel 2019 con una spesa complessiva di 4,5 miliardi di euro;

   i piani seguenti, quello del 2013 e quello del 2014, hanno di volta in volta spostato nel tempo l'asticella. Nel 2013 si era già arrivati al 2025, con un costo lievitato a 6,3 miliardi di euro. E nel 2014 si è passati al 2032;

   nel frattempo, però, Sogin costa e se si leggono i suoi bilanci si può calcolare che dal 2001 – l'anno in cui il Governo con la «direttiva Bersani» fissava al 2019 la fine del decommissioning – fino appunto al 2019 verrà a costare 4,3 miliardi di euro: quasi quanto nel 2008 si prevedeva sarebbe venuto a costare l'intero piano di decommissioning, senza aver nemmeno iniziato il condizionamento dei più pericolosi rifiuti prodotti durante il passato esercizio degli impianti, né tantomeno lo smantellamento delle isole nucleari;

   a oggi non è neppure stata pubblicata la Cnapi, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare tutti i materiali derivanti dalla completa demolizione delle centrali;

   nel 2014 il precedente capoazienda Riccardo Casale dichiarava che al suo arrivo lo stato dello smantellamento nucleare era al 22 per cento. Di recente, l'amministratore delegato di Sogin Desiata, in occasione dell'assemblea generale dell'Aiea a Vienna, ha dichiarato che la spesa totale prevista è arrivata a una stima di 7,2 miliardi di euro e che si è al 26 per cento di quel piano;

   la fine del decomissioning è allo stato attuale stimata per il 2035 e i costi sono inevitabilmente destinati a salire, sia quelli fissi o improduttivi (stipendi, manutenzione e sicurezza), che valgono oggi circa 135 milioni di euro/anno (fonte: delibere dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, pubblicate su sito internet della stessa Autorità) sia quelli dell'effettivo «smantellamento», con un totale di spesa stimata che si aggirerà intorno ai 10 miliardi di euro;

   questi costi vengono pagati dai cittadini sulle bollette con aggravi ulteriori per famiglie e imprese e l'inefficienza nella gestione provoca problemi di sicurezza, anche in quei siti dove le scorie nucleari sono ospitate precariamente, si pensi a Saluggia in Piemonte e ai rischi connessi a possibili alluvioni in un sito che ospita 230 metri cubi di rifiuti nucleari liquidi dagli anni Settanta –:

   se si intenda procedere alla pubblicazione della Cnapi, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare tutti i materiali derivanti dalla completa demolizione delle centrali;

   se si intenda promuovere una profonda ristrutturazione della Sogin al fine di ridurre i costi e velocizzare le procedure di decomissioning anche per ragioni di sicurezza.
(4-18324)


   MARTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'interrogante evidenzia che, la grave situazione in cui si trova l'Alba service spa, società partecipata dalla provincia di Lecce, affidataria dei servizi di manutenzione di scuole, strade, pulizia e servizi sociali, si protrae da molto tempo, tanto che lo stessa provincia, a partire dal mese di giugno del 2015, ha bloccato i servizi oggetto di convenzione pluriennale fino al 2020, con la conseguenza di lasciare i lavoratori privi di occupazione e retribuzione per due anni;

   al riguardo, l'interrogante segnala, altresì, come la legge 7 aprile 2014, n. 56, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni dei comuni», che ha ridisegnato organi e competenze dall'amministrazione locale, abbia causato una drastica contrazione nell'erogazione dei servizi alle comunità e, tra questi, anche gli interventi garantiti dall'impegno e dalla professionalità dei 130 lavoratori di Alba Service;

   l'interrogante evidenzia ancora come le condizioni attuali relative alla manutenzione nell'ambito dei servizi essenziali resi alla comunità salentina, quali strade e scuole, inclusa la messa in sicurezza degli edifici scolastici, si siano aggravate proprio a causa della precaria situazione in cui si trova la suesposta società, il cui ruolo risulta essenziale per lo svolgimento di tali servizi;

   a seguito del peggioramento delle condizioni economiche dell'Alba Service, l'interrogante rileva come nessuna azione, neppure quella intrapresa dalla prefettura di Lecce attraverso diversi tavoli istituzionali, abbia prodotto i risultati sperati, se si esclude il riconoscimento della cassa integrazione in deroga per i 130 lavoratori, unico ammortizzatore sociale esteso alle società pubbliche, che tuttavia, scadrà il 31 dicembre 2017;

   nessun'altra ipotesi di soluzione al momento, segnalano i rappresenti sindacali, è stata intrapresa, come ad esempio la ricapitalizzazione societaria o il ricollocamento funzionale dei dipendenti; pertanto, in considerazione della gravità della situazione economica e occupazionale, risulta urgente e necessario avviare ogni iniziativa finalizzata al superamento delle condizioni attuali di estrema criticità, anche attraverso la proroga dei termini della cassa integrazione;

   a parere dell'interrogante, in considerazione del suesposto quadro, che desta preoccupazione, anche con riferimento al possibile aumento della tensione sociale a Lecce e nell'intera provincia, appare urgente convocare in sede ministeriale un tavolo di trattativa con i vertici della società, la provincia di Lecce ed i rappresentanti sindacali al fine di giungere ad una negoziazione finalizzata sia alla salvaguardia occupazionale dei lavoratori dell'Alba Service di Lecce, che ad un rilancio economico della stessa società, al fine di ripristinare le normali condizioni dei servizi sociali resi da parte della stessa azienda nei confronti della comunità salentina –:

   quali orientamenti il Governo intenda esprimere, per quanto di competenza, con riferimento alla grave situazione occupazionale in cui si trova l'Alba Service di Lecce;

   se non ritenga urgente e opportuno, per quanto di competenza e in considerazione della gravità delle condizioni attuali, convocare, in tempi rapidi, un tavolo di trattativa, con le organizzazioni sindacali rappresentanti i dipendenti della società, i vertici societari e la provincia di Lecce, al fine di giungere ad un accordo soddisfacente in grado di tutelare i livelli occupazionali e, al contempo, pianificare un progetto di rilancio economico, anche attraverso l'ingresso di nuovi capitali.
(4-18330)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Palese e altri n. 1-01743, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Labriola.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Tacconi n. 4-18301, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fedi, Garavini, La Marca, Porta.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Arlotti e altri n. 5-12568, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: D'Incecco, Ginoble.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interpellanza Cozzolino n. 2-00489 del 2 aprile 2014;

   interrogazione a risposta immediata in Commissione Pelillo n. 5-12537 del 25 ottobre 2017;

   interrogazione a risposta immediata in Commissione Alberti n. 5-12539 del 25 ottobre 2017;

   interrogazione a risposta immediata in Commissione Sottanelli n. 5-12541 del 25 ottobre 2017.

ERRATA CORRIGE

  Mozione Spadoni e altri n. 1-01737 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 876 del 23 ottobre 2017. Alla pagina 50938, seconda colonna, alla riga trentaduesima deve leggersi: «di ascolto coordinati a livello nazionale;

  15) considerato che la fragilità sociale è uno dei fattori che maggiormente espone le donne a forme di violenza di genere, a promuoverne fermamente l'autonomia economica e l'inserimento nel mondo del lavoro.» e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AGOSTINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da un articolo pubblicato sul quotidiano La Nazione in data 28 maggio 2017, l'interrogante ha appreso che il presidente dell'autorità di sistema portuale del Mare Tirreno settentrionale, ingegnere Stefano Corsini, ha respinto la candidatura del sindaco Filippo Nogarin proposta dal comune di Livorno come proprio rappresentante nel comitato di gestione della stessa autorità di sistema portuale;

   nello stesso articolo si evidenzia come per le città di Genova, Trieste e Civitavecchia, le candidature dei sindaci siano state accettate come rappresentanti dei rispettivi comuni nei comitati di gestione;

   non è chiara, quindi, la ragione per la quale il presidente Corsini abbia respinto la candidatura del sindaco di Livorno Nogarin, considerata anche la sua esperienza maturata nel settore, come presidente dell'Anci città portuali, e nei numerosi convegni sulla tematica portuale e la collaborazione manifestata in occasione del piano di sviluppo dei porti e della logistica e in occasione dell'espressione dei pareri sullo schema di decreto legislativo in attuazione della «legge Madia»;

   va tenuto altresì conto che quando la regione Friuli Venezia Giulia ha proposto come propria rappresentante nel comitato di gestione dell'autorità di sistema portuale del Mare Adriatico orientale la presidente Deborah Serracchiani, nessuno ha avuto nulla da eccepire e la stessa è stata nominata –:

   se il Ministro interrogato, in qualità di organo vigilante sulle autorità di sistema portuale, intenda assumere iniziative per verificare la correttezza della decisione di escludere il sindaco di Livorno, anche alla luce delle nomine dei sindaci di Genova, Trieste e Civitavecchia, nonché della presidente della regione Friuli Venezia Giulia, posto che la preclusione sul sindaco medesimo appare all'interrogante il frutto di una mera discriminazione basata sulla appartenenza politica del sindaco;

   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per risolvere la situazione che, di fatto, impedisce il regolare funzionamento del comitato di gestione dell'autorità di sistema portuale del mare Tirreno settentrionale, con grave nocumento allo sviluppo dell'attività portuale, in quanto impedisce la formazione del comitato di gestione che attualmente è privo proprio del rappresentante del principale porto del sistema.
(4-17055)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazione pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali ed il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  L'articolo 9, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, come novellato dal decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, indica tra i componenti del comitato di gestione un componente designato dalla regione o da ciascuna regione, un componente designato dal sindaco di ciascuna delle città metropolitane, un componente designato dal sindaco di ciascuno dei comuni ex sede di autorità portuali. Il comma 2, ultimo periodo del medesimo articolo recita che a detti componenti si applicano i requisiti di cui all'articolo 8, comma 1, previsti per il presidente dell'autorità di sistema portuale (AdSP), ovvero il possesso di comprovate esperienze e qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale.
  Il che dimostra da un lato che il legislatore ha voluto che all'interno del comitato di gestione ci fossero non i sindaci, come era espressamente previsto, nel comitato portuale, dalla citata legge n. 84 del 1994, istitutiva delle autorità portuali, ma designati da essi e dall'altro che essi devono avere gli stessi requisiti richiesti al presidente dell'AdSP ovvero competenze specifiche e distintive nei settori dello
shipping e della portualità e logistica.
  Analoghe considerazioni valgono per il designato della regione che, pur potendo essere il presidente, deve presentare gli stessi titoli professionali del presidente che, certamente, non si acquisiscono per il solo fatto di essere stato componente del comitato portuale delle ex autorità portuale.
  A seguito dell'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 169 del 2016, la competente direzione generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al fine di dirimere possibili dubbi interpretativi in merito alle prescrizioni dell'articolo 9, con circolare del 13 dicembre 2016, ha rilevato che – conseguentemente – anche i componenti dei comitati di gestione debbono necessariamente essere in possesso di una comprovata esperienza e qualificazione nei settori dell'economia dei trasporti e portuale riconducibile alla tipologia di esperienze qualificazione «professionale», che non possono discendere certamente dall'esperienza legata ad incarichi politici e/o istituzionali.
  A supporto di questa interpretazione, il Consiglio di Stato, nell'adunanza della commissione speciale del 27 aprile 2016, nell'espressione del parere sullo schema di decreto legislativo di riforma, ha richiamato l'attenzione del governo – legislatore a valutare l'opportunità – non escludendone la possibilità – di mantenere una composizione del Comitato di gestione di soggetti aventi una «omogenea competenza professionale», che investe, evidentemente, il profilo tecnico e non politico dei rappresentanti degli enti locali.
  Così, anche l'Anac, con le delibere n. 179 e n. 180 del 2017, in merito alle valutazioni relative alla comprovata esperienza ed alle qualificazione dei sindaci di Civitavecchia e Genova nel settore dell'economia dei trasporti e portuale, nel rimettere tale valutazione in capo ai presidenti delle rispettive autorità di sistema portatile o, eventualmente, al Ministero vigilante, richiama l'attenzione circa il ruolo, ancora una volta, tecnico piuttosto che politico dei componenti del Comitato di gestione.
  Tenuto conto dei sopra indicati atti, l'AdSP del mare Adriatico orientale come si evince dalla lettura del decreto presidenziale n. 1522 del 27 marzo 2017 (pubblicato sul sito dell'AdSP) di costituzione del Comitato di gestione ha proceduto ad una attenta disamina del
curriculum presentato tanto dal presidente della regione Friuli Venezia Giulia quanto dal sindaco di Trieste a seguito della loro autocandidatura e ha ritenuto che le esperienze riportate nei curricula dei due rappresentanti delle istituzioni locali «siano rivelatrici di una competenza professionale specifica omogenea a quella del Presidente dell'Autorità di Sistema portuale, in quanto trascendono incarichi meramente politici istituzionali e sono direttamente riferite ai settori dell'economia dei trasporti e portuale».
  Mentre l'autorità di sistema del mar Ligure occidentale, per le vie brevi, ha comunicato di aver inserito nel comitato di gestione il sindaco di Genova dopo il parere dell'Anac n. 180 del 2017 che non lo escludeva.
  Da ultimo, si fa presente che è in fase di perfezionamento il correttivo al decreto legislativo n. 169 del 2016. Lo scorso 8 settembre il Consiglio dei ministri ha, infatti, approvato in esame preliminare il decreto di modifica al citato decreto legislativo n. 169 del 2016: nel testo approvato si è intervenuti sul secondo comma dell'articolo 9 della legge 28 gennaio 1994 nell'intento di specificare che ai componenti del comitato di gestione designati da regioni e sindaci si applicano le disposizioni del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, recante disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico.
  Sempre al secondo comma si è ulteriormente specificato che gli stessi non possono rivestire incarichi di componente di organo politico amministrativo sia di livello regionale sia locale e che, se rivestono i predetti incarichi, decadono di diritto alla data di entrata in vigore della presente disposizione.
  Tale previsione si è resa necessaria nell'intento di rendere la riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le autorità portuali in linea con le disposizioni normative in tenia incarichi presso le pubbliche amministrazioni.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la giunta municipale e il consiglio comunale di Ragusa hanno rispettivamente approvato e confermato quattro variazioni di bilancio mediante la procedura d'urgenza prevista dall'articolo 175, comma 4, del decreto legislativo n. 267 del 2000 nell'ottobre e nel novembre del 2016;

   la giunta suddetta ha avviato la procedura d'urgenza senza tuttavia addurre le motivazioni che la giustificassero e senza contare che le variazioni in corso d'esercizio, anche se motivate, vanno comunque ratificate dall'organo consiliare entro i sessanta giorni successivi all'adozione da parte dell'organo esecutivo;

   la giunta di Ragusa invece ha di fatto «by-passato» l'organo consiliare per più volte senza motivazioni che giustificassero l'urgenza;

   l'illegittimità della procedura seguita dal comune di Ragusa è stata denunciata dai consiglieri anche nel corso della seduta consiliare svoltasi il 30 dicembre 2016 durante la quale sono stati richiesti più volte dati e documenti utili alla comprensione della deliberazione che non sono stati mai forniti;

   il consiglio comunale ha poi adottato la deliberazione «di approvare nella forma e nella sostanza i provvedimenti di variazione al bilancio come adottati con le deliberazioni della Giunta Municipale, confermando la modifica degli stanziamenti risultati dagli allegati degli atti medesimi», approvando, in via surrettizia e d'intesa con la giunta, non una disciplina dei rapporti insorti, ma una nuova variazione di bilancio dal contenuto sostanzialmente identico a quella decaduta in seguito al voto espresso dal consiglio nel dicembre 2016, avendo fatti salvi i rapporti sorti e le obbligazioni scaturenti a seguito delle deliberazioni della giunta municipale del 20 e 24 ottobre 2016, e dell'11 e 28 novembre del 2016 non ratificate dal consiglio stesso nel dicembre 2016 –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, se intenda promuovere una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica in merito alla situazione amministrativo-contabile del comune di Ragusa e quali ulteriori iniziative di competenza intenda adottare alla luce delle criticità sopra descritte e dei profili di dubbia legittimità che sarebbero stati segnalati.
(4-16913)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione n. 4-16913, con la quale, nel denunciare irregolarità nelle procedure di bilancio del comune di Ragusa, con particolare riferimento all'adozione di una procedura d'urgenza per l'approvazione di quattro variazioni al bilancio 2016, si chiede se si intenda promuovere una verifica amministrativo contabile dei servizi ispettivi di finanza pubblica.
  Al riguardo, si ritiene opportuno rammentare, preliminarmente, che, a norma dell'articolo 14 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, «In relazione alle esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica»..., il dipartimento della ragioneria, tramite i servizi ispettivi, effettua verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo contabile delle amministrazioni pubbliche.
  In attuazione della citata norma viene predisposto un programma annuale, redatto valutando le problematiche di carattere generale da approfondire, secondo l'incidenza delle stesse sulla finanza pubblica, individuando gli enti da verificare con parametri oggettivi, estrapolati dalle banche dati utilizzate dal dipartimento della ragioneria generale dello Stato, sulla base degli obiettivi fissati dalla direttiva ministeriale annuale sull'azione amministrativa, cui la programmazione stessa si deve ispirare.
  I servizi ispettivi di finanza pubblica, infatti, in base alla normativa vigente, effettuano controlli sulla regolarità amministrativa e contabile, con competenza di carattere generale, in relazione alle gestioni finanziarie e patrimoniali condotte da soggetti pubblici.
  Qualora, poi, i fatti denunciati attengano a fattispecie specifiche e circoscritte, come nel caso esposto nell'interrogazione in esame – peraltro rientrante in una variegata mole ampia e complessa di segnalazioni, specialmente nell'ambito degli enti locali – le singole problematiche devono essere generalmente selezionate e valutate anche alla luce della sussistenza di ulteriori oggettivi parametri di criticità.
  Ciò in quanto molte situazioni denunciate, pur rappresentando in sé criticità per gli enti locali, proprio per il loro carattere molto peculiare e circoscritto, non consentono di superare i predetti criteri obiettivi per la selezione degli enti da verificare.
  In tale ottica, ciò non toglie che, per corrispondere comunque alle richieste avanzate nell'interrogazione e per l'incidenza che la criticità segnalata possa avere sulla gestione dell'ente, si valuterà l'opportunità di una verifica presso l'ente coinvolto, compatibilmente con la prioritaria necessità di attuazione del programma ispettivo in atto.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Pier Paolo Baretta.


   BERGAMINI e COZZOLINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la comunità agricola Il Forteto era una struttura destinata ad accogliere minorenni in condizioni di disagio che si trova in provincia di Firenze che si presentava come una comunità produttiva e alternativa alla famiglia tradizionale;

   in realtà sia la struttura che uno dei suoi fondatori, Rodolfo Fiesoli sono stati al centro di vicende giudiziarie legate allo sfruttamento minorile e agli abusi sessuali: il 17 giugno 2015 infatti Fiesoli è stato condannato a 17 anni e mezzo di reclusione per maltrattamenti e abusi sessuali, pena ridotta nel luglio 2016 dai giudici di secondo grado a 15 anni e 10 mesi;

   la vicenda scosse fortemente la Toscana al punto che la regione si costituì parte civile nel processo e in merito furono istituite due commissioni regionali d'inchiesta;

   la vicenda i giornalisti Francesco Dini e Duccio Tronci hanno scritto un libro «Setta di Stato – Il caso Forteto», edito dalla casa editrice AB, che avrebbe potuto essere presentato al Salone del libro di Torino che si terrà dal 18 al 22 maggio prossimi se la regione Toscana, regione ospite della trentesima edizione del festival, non avesse negato all'associazione Toscanalibri, che avrà uno spazio per la presentare la propria produzione letteraria incentrata proprio sulla Toscana, l'autorizzazione alla presentazione;

   «Setta di Stato – Il caso Forteto» è un'inchiesta giornalistica sulla comunità del Forteto, allora guidata dal «profeta» Rodolfo Fiesoli, che racconta della vita nella struttura attraverso le testimonianze dirette di chi, da bambino, ha vissuto l'incubo dell'affidamento alla comunità;

   il Salone del Libro di Torino è promosso dalla Fondazione per il libro, la musica e la cultura che annovera tra i suoi soci fondatori anche il Ministero dei beni culturali e delle attività culturali e del turismo; tra gli obiettivi che si propone la Fondazione ci sono collaborazioni con enti pubblici in favore della diffusione della cultura;

   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, così come altre alte cariche dello Stato compaiono inoltre in qualità di partner istituzionali della manifestazione che, tra gli obiettivi che si propone, annovera anche quello di costituire una grande kermesse culturale;

   la diffusione della cultura non può prescindere dalla libera circolazione delle idee, ma soprattutto non può prescindere dalla circolazione delle informazioni, dal coraggio della trasparenza e dal rifiuto di qualsiasi forma di censura –:

   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, per quanto di competenza e in considerazione del ruolo non solo istituzionale che ricopre nella realizzazione del Salone del Libro di Torino, al fine di impedire che siano adottati filtri censori su ciò che può o non può essere presentato al festival e al fine di sostenere una diffusione della cultura e delle informazioni che tenga conto anche degli aspetti critici e delle vicende meno edificanti della storia del nostro Paese.
(4-16272)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo sopra indicato, nel quale l'interrogante, premesso che il libro «Setta di Stato – Il caso Forteto» avrebbe potuto essere presentato al salone del libro di Torino che si è tenuto dal 18 al 22 maggio 2017 se la regione Toscana, regione ospite della trentesima edizione del festival, non avesse negato l'autorizzazione alla presentazione, chiede di sapere quali iniziative intenda adottare il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al fine di impedire che siano adottati filtri censori su ciò che può o non può essere presentato al festival, anche al fine di sostenere la massima diffusione della cultura e delle informazioni.
  Si vuole innanzi tutto premettere e confermare che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è ed è sempre stato, in linea di principio, estremamente sensibile ai temi sollevati dall'interrogante in merito alla libera circolazione delle idee e delle informazioni.
  In relazione al contenuto dell'interrogazione parlamentare, si rappresenta quanto segue.
  Le case editrici italiane, oltre 4.600, pubblicano ogni anno più di 65.000 opere, la maggior parte delle quali sono novità e nuove edizioni.
  In commercio sono presenti più di 900.000 titoli, che l'editoria italiana cerca di individuare preservando la ricchezza e l'articolazione dell'offerta, delle linee editoriali e letterarie.
  L'appuntamento con il salone internazionale del libro di Torino si rinnova ogni anno a maggio nei quattro padiglioni di Lingotto Fiere ed è una manifestazione, ormai consolidata, dedicata all'editoria, alla lettura e alla cultura, una vetrina dove i 1.000 espositori ed i piccoli e medi editori hanno la stessa visibilità dei grandi marchi e dove anche l'editoria locale può farsi conoscere oltre i confini del proprio territorio.
  Il salone internazionale del libro è promosso dalla fondazione per il Libro, la musica e la cultura, istituzione che ha come soci fondatori regione Piemonte, città metropolitana di Torino e città di Torino.
  Nel 2016 la compagine si è allargata e sono entrati quali nuovi soci fondatori il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Intesa Sanpaolo.
  Quest'anno, per il Salone 2017, la partecipazione della Toscana quale regione ospite al trentesimo salone internazionale del libro di Torino (18-22 maggio 2017) è caratterizzata, come per tutti i partecipanti dell'evento, dalla possibilità di selezionare, in completa autonomia, le opere da illustrare e presentare nel proprio spazio espositivo, senza alcuna interferenza istituzionale né di altro genere, eccetto quanto disposto e comunicato dagli organizzatori per una corretta regolamentazione delle attività.
  Dunque, considerata la cospicua produzione di cui sopra e ribadendo la completa autonomia degli espositori sulle opere da proporre, è doveroso ed inevitabile operare una selezione da parte degli stessi, che nulla toglie alla qualità e al valore di quanto non sia scelto.
  Per quanto riguarda questo Ministero – come pure la Fondazione per il libro – ogni scelta diversa da quella di lasciare piena libertà agli espositori sarebbe da considerare inopportuna e «illiberale».
  Considerato quanto sopra, questo Ministero assicura, comunque, la massima attenzione alla questione evidenziata nell'interrogazione.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   BIANCOFIORE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi in Trentino, nel comune di Terlago, si è verificata da parte di un'orsa un'aggressione ad un uomo che passeggiava col proprio cane, fortunatamente le condizioni del ferito pare non siano particolarmente gravi;

   cronache meno recenti segnalano che, anche in passato, ci sono stati alcuni episodi (si ricorderà il più famoso quello dell'orsa Daniza) che hanno visto aggressioni di orsi verso esseri umani (per la precisione agosto 2014 a Pinzolo, maggio 2015 vicino alla città di Trento e pochi giorni dopo nei pressi di Cadine);

   il progetto Life Ursus nasce nel 1996 con lo scopo di salvare dall'estinzione l'orso bruno del Brenta e ha avuto l'avvio con, l'immissione nel territorio trentino di 9 esemplari – tra maschi e femmine — importati dalla Slovenia, ad oggi, si stimano circa 70 esemplari. Sembrerebbe che la maggioranza degli orsi non sia radiocollarata e, di contro, la parte informativa/formativa riservata alla popolazione sia stata molto trascurata per non dire ignorata;

   la politica in questi anni ha letteralmente dimenticato il progetto, abbandonandolo a se stesso, «snobbando» il fatto che gli orsi si sono moltiplicati in un territorio fortemente antropizzato e non pronto ad una convivenza consapevole con tali animali;

   la giunta provinciale trentina, governata da un presidente dello stesso partito che avrebbe promosso l'avvio di un progetto rivelatosi superficiale e pericoloso e vorrebbe poter intervenire, in maniera drastica su alcuni esemplari catturandoli o, peggio, abbattendoli. Soluzioni inutili ed estreme che evidenziano l'incapacità di gestione della situazione, lasciando il problema immutato, senza considerare il fatto che altri episodi di contatto non pacifico avverranno sicuramente prima o poi –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere il Governo al fine di garantire l'incolumità dei cittadini in relazione a quanto evidenziato in premessa – in assenza di soluzioni pratiche e tangibili — e se intenda sospendere il progetto «Life Ursus»;

   se il Governo intenda accogliere la proposta formulata dalla Commissione paritetica, di cui all'articolo 107 dello Statuto del Trentino-Alto Adige, composta da dodici membri, circa la norma di attuazione dello Statuto concernente le competenze che potrebbero essere riconosciute alla Provincia autonoma di Trento in materia di gestione e controllo della diffusione di orsi e lupi nel territorio;

   se il Governo intenda promuovere, con urgenza, un piano di intervento di installazioni di radiocollari su tutti gli esemplari di tali animali;

   se si ritenga opportuno avviare urgentemente percorsi di informazione e formazione nelle scuole e per tutti i cittadini, tramite la diffusione, in maniera organizzata e capillare, della conoscenza di regole basilari per una convivenza innocua tra esseri umani e orsi;

   se intenda chiarire di quali risarcimenti possano beneficiare le persone vittime degli attacchi degli orsi per i danni subiti sia sotto un profilo fisico/psicologico che economico, e se ciò possa avvenire in tempi brevi e certi.
(4-17527)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al problema delle aggressioni degli orsi bruni in Trentino, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dalla provincia autonoma di Trento, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si premette che, in data 22 luglio 2017 si è verificata l'aggressione di un uomo da parte di un orso, successivamente determinata su base genetica come l'orsa KJ2, già responsabile di due aggressioni nel 2015 oltre ad una serie di falsi attacchi (aggressioni da parte dell'orso nelle quali non vi è però stato contatto fisico con la vittima). Il tipo di comportamento registrato il 22 luglio 2017 rientra tra i più gravi nella tabella sul grado di pericolosità degli orsi e dei relativi interventi, come codificata nel Piano d'azione per conservazione dell'orso bruno nelle alpi centro-orientali (Pacobace), e in questo caso le azioni previste includono l'opzione della cattura o dell'abbattimento dell'individuo.
  Si fa presente inoltre che la provincia autonoma di Trento ha immediatamente informato il Ministero dell'ambiente e in data 24 luglio 2017 il presidente della provincia ha formalmente riferito sulla vicenda informando di aver adottato un'ordinanza contingibile e urgente per la sicurezza pubblica, nella quale si ordina il monitoraggio intensivo dell'area, l'identificazione rapida dell'esemplare, la sua rimozione attraverso cattura o abbattimento in funzione delle circostanze di tempo e luogo sussistenti al momento.
  Si specifica che l'ordinanza contingibile e urgente in questione è un atto autonomo e legittimo della provincia Autonoma di Trento, cui il Ministero dell'ambiente non ha alcun titolo per opporsi. Si ricorda che il Ministero impugnò una analoga ordinanza della provincia contro l'orsa DJ3; in tale occasione con sentenze n. 70 del 24 febbraio 2012 del Tar di Trento e n. 3362 del 31 maggio 2013 del Consiglio di Stato venne confermata la validità dell'ordinanza della provincia autonoma di Trento.
  Per autonoma decisione della provincia, l'orsa KJ2 è stata abbattuta in data 12 agosto 2017 sulla base dei presupposti dell'ordinanza. Sono da ricordare le esigenze di sicurezza ed incolumità pubblica, in quanto non era possibile prevedere i tempi necessari per addivenire alla cattura a scopo di captivazione, come auspicato in più occasioni dal Ministero dell'ambiente.
  Ciò premesso, è opportuno ricordare come gli interventi di gestione della fauna e quindi degli orsi sono di competenza regionale ovvero delle province autonome.
  La conservazione e gestione degli orsi è, comunque, oggetto di costante contatto e confronto del Ministero dell'ambiente con la provincia, con il supporto di Ispra, anche secondo quanto previsto nell'ambito del Pacobace.
  Si ricorda inoltre che una sintesi delle attività, inclusa l'attività di informazione e formazione per le scuole e per tutti i cittadini è ricavabile dal sito www.orso.provincia.tn.it/, oltre che dal rapporto annuale che la provincia produce per informare sull'intero progetto di reintroduzione e conservazione dell'orso, disponibile anch'esso sul sito.
  Un monitoraggio scientifico degli orsi bruni viene costantemente realizzato dalla provincia autonoma di Trento. I risultati di tale monitoraggio sono riportati ogni anno nel sopracitato e dettagliato rapporto pubblico scaricabile dal sito della provincia. Ciononostante, data la natura elusiva degli orsi e i concreti rischi derivanti da ogni operazione di cattura sia per gli operatori che per gli orsi, non risulta tecnicamente possibile munirli di radio collare tutti. L'applicazione dei collari viene praticata in tutte le occasioni in cui risulta possibile, con particolare impegno per gli orsi che per diversi motivi si trovano nelle aree in cui è più probabile un'interazione con l'uomo o con attività umane. Questo, vale peraltro per tutte le popolazioni di orso al mondo. Il monitoraggio con telemetria Gps e Vhf costituisce, tuttavia, assieme al monitoraggio genetico, uno dei principali strumenti di gestione degli orsi presenti in provincia di Trento (13 orsi diversi radiocollarati in più occasioni negli ultimi 10 anni).
  Sull'argomento, si segnala che la provincia ha costantemente svolto e continua a svolgere attività di formazione, informazione, sensibilizzazione per limitare i rischi derivanti dalla presenza di orsi nell'area, per migliorare l'accettazione della presenza di orsi e per prevenire comportamenti pericolosi.
  Secondo quanto riferito dalla stessa amministrazione provinciale, la «parte informativa/formativa per la popolazione», infatti, è stata sviluppata dall'amministrazione sin dall'inizio (2003) nell'ambito di una corposa e strutturata campagna di comunicazione denominata «Conosci l'orso bruno» che è tutt'ora in corso e che si avvale anche del supporto di esperti della comunicazione. Essa si fonda su di uno specifico progetto di comunicazione redatto nel 2003 ed aggiornato nel 2016, che pone la citata amministrazione all'avanguardia in Europa su questo specifico tema. Quale esempio più recente, si fa presente che in occasione della prossima conferenza della «Piattaforma dell'Unione europea sulla coesistenza tra l'uomo e i grandi carnivori» (Venzone, Udine, 12-14 ottobre 2017) la provincia autonoma di Trento è stata invitata a relazionare con una presentazione orale proprio sull'esperienza virtuosa in questo senso condotta negli ultimi 15 anni in Trentino. Si tratta, quindi, di uno degli elementi centrali delle diverse linee d'azione per la gestione dell'orso, fondamentale per una crescita progressiva delle conoscenze e, più in generale, della cultura ambientale, nell'ottica del miglioramento continuo, continuando ad investire in termini di risorse umane e finanziarie nella conduzione di un progetto assai ambizioso e non facile. Si è trattato sempre di investimenti mirati, ricorrendo ai migliori mezzi tecnici disponibili e sempre in raccordo con i massimi esperti internazionali del settore.
  Circa, infine, il tema dei «risarcimenti per le persone vittime degli attacchi», si rappresenta che la provincia autonoma di Trento si è dotata da tempo di una copertura assicurativa
ad hoc.
  Per quanto concerne, inoltre, la dichiarata proposta di concedere alle province di Trento e Bolzano maggiore autonomia nella gestione dell'orso e del lupo, formulata dalla cosiddetta Commissione dei 12, si specifica che essa non è mai stata presentata al Governo.
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tale importante questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il 22 luglio 2017 a Terlago (Trento) lungo un sentiero montuoso, un escursionista con il proprio cane, sarebbe stato ferito da un orso con una dinamica ancora da chiarire, ma, da quanto riportato nelle sue interviste in televisione, lo stesso avrebbe avuto comportamenti sconsigliati dal materiale informativo redatto dalla Provincia autonoma di Trento;

   l'orso, femmina riproduttiva, coinvolta nell'incidente è stata successivamente identificata come KJ2 ed uccisa il 12 agosto a seguito di un'ordinanza del presidente della Provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, che auspicava che la soppressione di KJ2 avvenisse «nel più breve tempo possibile»;

   la procura di Trento ha aperto un'indagine per «uccisione senza necessità» di animale;

   diversi etologi, spiegano che KJ2 aveva solo l'aggressività «naturale» legata alla difesa della prole e del proprio habitat e, egli stessi tecnici della provincia dichiaravano, in sedi istituzionali, che l'orsa era schiva e stanziale in aree isolate, irraggiungibili e non antropizzate;

   le associazioni animaliste, ambientaliste e la cittadinanza, indignati per l'uccisione dell'orsa recriminano che si sarebbe dovuta gestire diversamente tutta la situazione; inoltre, fanno appello alle più cariche istituzionali affinché, si neghino deroghe alla normativa sull'abbattimento di lupi e orsi;

   si ipotizza che l'orsa avesse prole, sulla cui sorte associazioni e cittadini chiedono delucidazioni, perché i cuccioli, senza cure materne, si troverebbero in stato di maltrattamento;

   tale opaco incidente ha spianato la strada alla richiesta di autonomia da parte della provincia di Trento nella gestione e nella soppressione di orsi e lupi ritenuti pericolosi, subito presentata dall'assessore all'ambiente provinciale Dalla Piccola; ricevendo risposta positiva immediata dalla Commissione dei dodici;

   sembra non siano state attivate prevenzioni particolari nella gestione degli orsi sebbene il luogo dell'incidente fosse crocevia di ben 6 femmine riproduttive di orso;

   le provincie autonome di Trento e Bolzano hanno presentato ai Ministeri competenti uno schema di norma di attuazione dello statuto speciale tramite cui sottrarsi alla direttiva «Habitat» e agli impegni del progetto «Life Ursus»;

   il succitato progetto è nato nel 1999 per incrementare il numero dell'ultimo nucleo di orso bruno delle Alpi italiane. Nel Trentino, il limite di estinzione di questo animale si era raggiunto negli anni ’90 con la presenza di soli tre esemplari. Life Ursus prevede che le istituzioni tutelino gli orsi, in particolare quelli del progetto europeo, visti anche i cospicui fondi stanziati ed erogati;

   il Pacobace e lo stesso materiale informativo della Pat mostrano che la convivenza fra uomo e orso è possibile a patto che si rispettino alcune regole, ignorate nell'incidente del 22 luglio. Fondamentali sono l'informazione e la prevenzione incruenta (avvisi, materiale divulgativo, momentanee chiusure al pubblico dei pochi crocevia di transito delle femmine riproduttive, e altro –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere in direzione della reale applicazione del Pacobace, le cui linee risultano essere disattese;

   se il Ministro intenda assumere ogni iniziativa di competenza per evitare deroghe nella gestione del lupo e dell'orso, come prospettato in provincia di Trento;

   quale sia lo stato dell’iter di definizione del «piano lupo» annunciato da diversi mesi dal Ministro interrogato e se permanga lo stralcio sugli abbattimenti, in modo da tutelare effettivamente la fauna protetta anche dalle convenzioni internazionali.
(4-17744)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al problema delle aggressioni degli orsi bruni in Trentino, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dalla provincia autonoma di Trento, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si premette che, in data 22 luglio 2017 si è verificata l'aggressione di un uomo da parte di un orso, successivamente determinata su base genetica come l'orsa KJ2, già responsabile di due aggressioni nel 2015 oltre ad una serie di falsi attacchi (aggressioni da parte dell'orso nelle quali non vi è però stato contatto fisico con la vittima). Il tipo di comportamento registrato il 22 luglio 2017 rientra tra i più gravi nella tabella sul grado di pericolosità degli orsi e dei relativi interventi, come codificata nel piano d'azione per conservazione dell'orso bruno nelle alpi centro-orientali (Pacobace), e in questo caso le azioni previste includono l'opzione della cattura o dell'abbattimento dell'individuo.
  Si fa presente inoltre che la provincia autonoma di Trento ha immediatamente informato il Ministero dell'ambiente e in data 24 luglio 2017 il presidente della provincia ha formalmente riferito sulla vicenda informando di aver adottato un'ordinanza contingibile e urgente per la sicurezza pubblica, nella quale si ordina il monitoraggio intensivo dell'area, l'identificazione rapida dell'esemplare, la sua rimozione attraverso cattura o abbattimento in funzione delle circostanze di tempo e luogo sussistenti al momento.
  Si specifica che l'ordinanza contingibile e urgente in questione è un atto autonomo della provincia autonoma di Trento, cui il Ministero dell'ambiente non ha alcun titolo per opporsi. Si ricorda che il Ministero impugnò una analoga ordinanza della provincia contro l'orsa DJ3; in tale occasione con sentenze n. 70 del 24 febbraio 2012 del Tar di Trento e n. 3362 del 31 maggio 2013 del Consiglio di Stato venne confermata la validità dell'ordinanza della provincia autonoma di Trento.
  Per autonoma decisione della provincia, l'orsa KJ2 è stata abbattuta in data 12 agosto 2017 sulla base dei presupposti dell'ordinanza. A tal proposito, la provincia ha evidenziato le esigenze di sicurezza ed incolumità pubblica, in quanto non era possibile prevedere i tempi necessari per addivenire alla cattura a scopo di captivazione, come auspicato in più occasioni dal Ministero dell'ambiente.
  Ciò premesso, è opportuno ricordare come gli interventi di gestione della fauna e quindi degli orsi sono di competenza regionale ovvero delle province autonome.
  La conservazione e gestione degli orsi è, comunque, oggetto di costante contatto e confronto del Ministero dell'ambiente con la provincia, con il supporto di Ispra, anche secondo quanto previsto nell'ambito del Pacobace.
  Si ricorda inoltre che una sintesi delle attività, inclusa l'attività di informazione e formazione per le scuole e per tutti i cittadini è ricavabile dal sito
www.orso.provincia.tn.it/, oltre che dal rapporto annuale che la provincia produce per informare sull'intero progetto di reintroduzione e conservazione dell'orso, disponibile anch'esso sul sito.
  Un monitoraggio scientifico degli orsi bruni viene costantemente realizzato dalla provincia autonoma di Trento. I risultati di tale monitoraggio sono riportati ogni anno nel sopracitato e dettagliato rapporto pubblico scaricabile dal sito della provincia. Ciononostante, data la natura elusiva degli orsi e i concreti rischi derivanti da ogni operazione di cattura sia per gli operatori che per gli orsi, non risulta tecnicamente possibile munirli tutti di radio collare. L'applicazione dei collari viene praticata in tutte le occasioni in cui risulta possibile, con particolare impegno per gli orsi che per diversi motivi si trovano nelle aree in cui è più probabile un'interazione con l'uomo o con attività umane. Questo vale peraltro per tutte le popolazioni di orso al mondo. Il monitoraggio con telemetria GPS e VHF costituisce, tuttavia, assieme al monitoraggio genetico, uno dei principali strumenti di gestione degli orsi presenti in provincia di Trento (13 orsi radiocollarati in più occasioni negli ultimi 10 anni).
  Sull'argomento, la provincia segnala che ha costantemente svolto e continua a svolgere attività di formazione, informazione, sensibilizzazione per limitare i rischi derivanti dalla presenza di orsi nell'area, per migliorare l'accettazione della presenza di orsi e per prevenire comportamenti pericolosi.
  Secondo quanto riferito dalla stessa amministrazione provinciale, la «parte informativa/formativa per la popolazione», infatti, è stata sviluppata dall'amministrazione sin dall'inizio (2003) nell'ambito di una corposa e strutturata campagna di comunicazione denominata «Conosci l'orso bruno» che è tutt'ora in corso e che si avvale anche del supporto di esperti della comunicazione. Essa si fonda su di uno specifico progetto di comunicazione redatto nel 2003 ed aggiornato nel 2016, che pone la citata amministrazione all'avanguardia in Europa su questo specifico tema. Quale esempio più recente, si fa presente che in occasione della prossima conferenza della «Piattaforma dell'Unione Europea sulla coesistenza tra l'uomo e i grandi carnivori» (Venzone, Udine, 12-14 ottobre 2017) la provincia autonoma di Trento è stata invitata a relazionare con una presentazione orale proprio sull'esperienza virtuosa in questo senso condotta negli ultimi 15 anni in Trentino. Si tratta, quindi, di uno degli elementi centrali delle diverse linee d'azione per la gestione dell'orso, fondamentale per una crescita progressiva delle conoscenze e, più in generale, della cultura ambientale, nell'ottica del miglioramento continuo, continuando ad investire in termini di risorse umane e finanziarie nella conduzione di un progetto assai ambizioso e non facile. Si è trattato sempre di investimenti mirati, ricorrendo ai migliori mezzi tecnici disponibili e sempre in raccordo con i massimi esperti internazionali del settore.
  Circa, infine, il tema degli indennizzi per le persone vittime degli attacchi, si rappresenta che la provincia autonoma di Trento si è dotata da tempo di una copertura assicurativa
ad hoc.
  Si segnala, inoltre, che dal 2015 è stata formalmente istituita una commissione tecnica fra il Ministero dell'ambiente, la provincia autonoma di Trento e Ispra sulla gestione dell'orso e dei grandi carnivori e che da allora la commissione si incontra regolarmente e affronta tutte le questioni relative alla gestione e conservazione dell'orso.
  In relazione alla presenza di cuccioli e alla loro gestione, si riporta che nell'ambito dell'attuazione del Pacobace sono state definite anche delle linee guida per la gestione di cuccioli di orso privi della madre, cui la provincia si sta attenendo.
  Si segnala, inoltre, che alla cosiddetta commissione dei 12 è pervenuta in data 4 ottobre 2017 una proposta di norma di attuazione per concedere alle province di Trento e Bolzano maggiore autonomia nella gestione dell'orso e del lupo e che, in relazione a tale proposta, è in corso la verifica circa la compatibilità della norma proposta con la direttiva europea «Habitat».
  Con riferimento alla gestione e alla conservazione del lupo in Italia, il Governo, consapevole delle problematiche connesse, si è attivato da oltre un anno per aggiornare il piano d'azione del lupo.
  In generale sono diversi i progetti Life, finanziati dalla Commissione europea, conclusi o ancora in corso, finalizzati alla gestione della specie e delle problematiche ad essa connesse: Wolfalps (Alpi), M.I.R.C.O. (parco nazionale dell'appennino tosco-emiliano e parco nazionale del Gran Sasso e dei monti della Laga), Ibriwolf (provincia di Grosseto), Wolfnet (parco nazionale del Pollino, parco nazionale della Majella, parco nazionale delle foreste casentinesi, monte Falterona e Campigna (provincia dell'Aquila)), Medwolf (provincia di Grosseto e Portogallo).
  Più recentemente è stato commissionato a 70 esperti, con il contributo di Ispra e dell'unione zoologica italiana (Uzi), la redazione di un piano di conservazione e gestione del lupo in Italia. Il piano prevede il ricorso a diverse azioni. Un'intera parte del piano è dedicata a 22 azioni per la gestione; tra queste, le azioni di prevenzione e contrasto delle attività illegali, le azioni per prevenire la presenza di cani vaganti e l'ibridazione lupo-cane, le azioni per la prevenzione e la mitigazione dei conflitti con le attività zootecniche, la predisposizione di strutture di captivazione di lupi e, da ultimo, l'applicazione di deroghe al divieto di rimozione di lupi dall'ambiente naturale successivamente alla verifica del rispetto di rigorosi presupposti, condizioni, limiti e criteri di applicazione.
  Tali prerequisiti consistono nella richiesta di deroga avanzata dall'amministrazione regionale, che quindi ha il pieno controllo sull'attivazione del processo; la documentazione prodotta dalla regione che attesti lo stato favorevole della popolazione del lupo e la non incidenza della deroga sulla conservazione della popolazione stessa; la documentazione prodotta dalla regione che attesti la messa in opera delle più idonee misure di prevenzione e di controllo del randagismo canino; la documentazione prodotta dalla regione che attesti l'assenza di altre soluzioni valide; la documentazione prodotta dalla regione sull'attuazione delle misure di competenza previste dal piano.
  Sulla base di quanto detta, Ispra è chiamata ad una valutazione caso per caso e deve accertare la sussistenza di tali requisiti e la piena rispondenza delle condizioni fissate dalla normativa vigente per questo tipo di deroga.
  Solo a seguito del parere di Ispra, il Ministero può autorizzare la rimozione di singoli individui, in un contesto che deve mantenere un carattere di eccezionalità.
  Pertanto, i passaggi sopra rappresentati evidenziano che si tratta di un procedimento amministrativo molto elaborato, che è sottoposto ad un parere dell'Ispra e che non costituisce un automatico riconoscimento della deroga.
  Per questo motivo, stime recenti della dimensione della popolazione invernale alpina di lupo ottenute dai rilievi del citato progetto Life Wolfalps, indicano una consistenza compresa tra 100-130 individui. A questi va aggiunta la popolazione appenninica stimata, attraverso un metodo deduttivo basato sulle attuali migliori conoscenze di cinque parametri biologici, in un valore mediano di 1.580 animali con una valutazione dell'incertezza associata compresa tra 1.070 e 2.472 (Boitani & Salvatori, 2015). Valori simili sono stati estrapolati tramite una revisione sistematica della bibliografia condotta da Galavemi nel 2015 che riportano un valore complessivo per il territorio italiano compreso tra un minimo di 1.269 individui ed un massimo di 1.800.
  L'attivazione di un sistema organico di monitoraggio del carnivoro a scala nazionale rappresenta la principale priorità d'azione identificata dal piano d'azione nazionale per la conservazione del lupo (Genovesi, 2002). Un'adeguata conoscenza dei più importanti parametri di popolazione e dei danni che questo predatore provoca agli allevamenti rappresenta la necessaria premessa per mettere a punto più efficaci strumenti di intervento per la conservazione della specie e per l'attenuazione dei conflitti con l'uomo. La realizzazione di un programma nazionale di monitoraggio è inoltre espressamente prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997.
  Relativamente alla dimensione del problema dell'ibridazione tra cane e lupo non è possibile quantificare frequenza e ricorrenza dei casi di ibridazione avvenuti nella storia evolutiva. Pur tuttavia, studi recenti evidenziano un'accresciuta frequenza dei casi d'ibridazione tra lupo e cane recentemente accertati in Italia. Nelle condizioni attuali il fenomeno si va quindi ad associare alle altre minacce che già gravano sulla specie lupo, con l'importante differenza che la perdita di biodiversità, in questo caso rappresentata dall'integrità genomica originaria della specie, sarebbe irreversibile. Si evidenzia che la problematica dell'ibridazione deriva dalla presenza consistente di cani vaganti sul nostro territorio. Ciò discende largamente dalla mancata applicazione dell'attuale quadro normativo di riferimento (legge n. 281 del 14 agosto 1991) e dalla inadeguatezza degli strumenti da questo definiti.
  Per quanto riguarda le iniziative adottate al fine di garantire un equilibrio che limiti le situazioni di conflitto con le attività produttive, è opportuno evidenziare come diverse azioni siano state adottate a partire dagli anni 70, finalizzate alla conservazione del lupo, che hanno compreso sia misure legislative adottate dalle amministrazioni locali, sia programmi di conservazione promossi dalle amministrazioni locali, dagli enti gestori di aree protette, da Ong e da istituti di ricerca pubblici.
  Al fine di prevenire i conflitti del lupo con la zootecnia, diverse amministrazioni promuovono la messa in opera di strumenti di prevenzione dei danni, anche attraverso il finanziamento di recinzioni per la stabulazione notturna delle greggi. A titolo di esempio, si cita la regione Piemonte che, in collaborazione con la provincia di Torino ed i parchi di Salbentrand e delle alpi marittime, ha attivato il programma «Il lupo in Piemonte: azioni per la conoscenza e la conservazione della specie, per la prevenzione dei danni al bestiame domestico e per l'attuazione di un regime di coesistenza stabile tra lupo e attività economiche». Tale programma, cofinanziato dall'Unione europea tramite il programma Interreg, si è articolato nelle seguenti attività principali: monitoraggi, ricerca, informazione e preparazione. Analogamente, la regione Emilia-Romagna ha cofinanziato un programma Life per la conservazione del lupo in dieci siti di interesse comunitario (SIC) ricadenti all'interno di tre parchi regionali e del parco nazionale dell'appennino tosco-emiliano, di più recente istituzione. Il progetto prevede il monitoraggio del lupo e delle popolazioni preda, la messa in opera di sistemi di prevenzione dei danni, la sensibilizzazione delle popolazioni locali e la produzione di linee guida per una corretta gestione del lupo. Il parco nazionale del Pollino ha promosso un progetto intensivo di quattro anni di ricerca finalizzato a definire consistenza numerica, distribuzione, struttura spaziale e sociale, uso del territorio e dell'habitat, dispersione, alimentazione, impatto sulla zootecnia. Parallelamente, l'Ente parco ha cofinanziato un programma Life triennale, in collaborazione con il WWF, volto al controllo del randagismo canino, alla messa in opera di strumenti di prevenzione (recinzioni elettrificate e cani da guardiania) e a promuovere una migliore opinione sul lupo da parte delle popolazioni locali. Si segnala che il piano non è stato ancora approvato presso la conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Per quanto riguarda le risorse economiche, il piano prevede impegni precisi del Governo, mentre per quanto riguarda la prevenzione e gli indennizzi dei danni da lupo si ricorda che queste sono di competenza delle regioni, che a tal fine possono avvalersi anche dei fondi europei.
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tale importante questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il Ceo della low cost irlandese Ryanair ha informato negli scorsi giorni che, per un errato calcolo nelle ore di riposo dei piloti della compagnia irlandese, sino alla fine di ottobre verranno cancellati circa il 2 per cento dei 2500 collegamenti quotidiani, quindi un numero variabile tra 1680 e 2100 voli totali;

   sempre la compagnia irlandese ha informato che saranno coinvolti nelle cancellazioni circa 400 mila passeggeri, con una richiesta di rimborsi che raggiungerà la cifra di 20 milioni di euro;

   in realtà, i disagi sono ormai presenti da tempo in tutta Europa;

   associazioni di consumatori spagnole, tra le prime, hanno posto la questione chiedendo il rispetto dei diritti dei passeggeri danneggiati e lo stesso Ministero dei trasporti iberico ha aperto un dossier per assicurare che questi diritti siano rispettati dalla compagnia irlandese;

   anche l'Unione europea è intervenuta, dichiarando di aspettarsi che Ryanair rispetti le regole sui diritti dei passeggeri. Se è vero, infatti, che le decisioni operative spettano alle compagnie aeree, queste, operando in ambito europeo, devono rispettarne le norme. Quindi, i passeggeri che vedono cancellati voli hanno diritto al rimborso, alla riprogrammazione su altri voli o al rientro, così come il diritto alla cura ed alle compensazioni;

   è risaputo e dimostrato, a tal proposito, che non sempre questo avvenga, in particolare per quel che riguarda i preavvisi di cancellazione del volo, che non sempre arrivano per mail entro le 48 ore precedenti;

   risulta infatti all'interrogante che pressoché di norma la compagnia Ryanair proceda alla cancellazione dei voli pochi minuti prima del decollo, addirittura con passeggeri già a bordo da diverso tempo, o dopo averne più volte ritardato l'imbarco lasciando gli utenti nel più totale abbandono, come di recente avvenuto all'aeroporto di Trapani dove, dopo una decisa azione di protesta dei passeggeri, l'assistenza è stata garantita grazie al pronto intervento del prefetto, dalle forze dell'ordine e dall'efficienza del personale aeroportuale;

   inoltre, pur non essendovi una norma tassativa europea al riguardo (si parla solo di portare il viaggiatore a destinazione «prima possibile»), diverse compagnie applicano come standard due giorni. Passate le 48 ore il viaggiatore deve raggiungere la meta, altrimenti il vettore si preoccupa di acquistare un volo alternativo a bordo di un'altra compagnia;

   le regole europee, invece, fissano l'obbligo per la compagnia di provvedere gratuitamente all'alloggio e ai pasti dei passeggeri obbligati ad attendere un nuovo volo. Risulta ancora all'interrogante che tutti questi obblighi spesso non verrebbero rispettati da Ryanair;

   non risulta che le autorità competenti e il Governo siano ancora intervenuti per condannare quanto sta accadendo, e che potrebbe, a parere dell'interrogante, configurarsi anche come interruzione di pubblico servizio –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per affrontare una questione che non può essere ignorata dalle autorità italiane, coinvolgendo essa, nei gravi disagi illustrati, migliaia di concittadini.
(4-17836)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In merito alla cancellazione di un cospicuo numero di voli in Italia e in Europa da parte di Ryanair, si assicura che la situazione è all'attenzione di questo Ministero.
  Come già riferito il 27 settembre 2017 in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in aula Camera, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato segnala di aver aperto un procedimento istruttorio nei confronti della compagnia irlandese per presunte pratiche commerciali scorrette in violazione del codice del consumo. In particolare, l'Antitrust contesta che le numerose cancellazioni dei voli potrebbero configurare una violazione dei doveri di diligenza di cui all'articolo 20 del citato codice, nella misura in cui sarebbero in larga misura riconducibili a ragioni organizzative e gestionali già note al professionista e quindi non a cause occasionali e al di fuori del suo controllo e/o in conseguenza di eventi non dipendenti da responsabilità del vettore, causando notevoli disagi ai consumatori che avevano programmato i propri spostamenti e già prenotato e pagato il relativo biglietto aereo.
  A ciò si aggiunge un ulteriore profilo di contestazione, riguardante il tenore e le modalità con le quali Ryanair ha informato i passeggeri della cancellazione dei voli e ha loro prospettato le possibili soluzioni - rimborso o modifica biglietto - che potrebbero indurre in errore i consumatori circa l'esistenza e quindi l'esercizio del diritto alla compensazione pecuniaria previsto dal regolamento CE 261/2004 in caso di cancellazione dei voli.
  A seguito dell'avvio del procedimento istruttorio. Ryanair la potenziato il
set informativo pubblicato sul proprio sito internet chiarendo che in relazione ai 2.100 voli non operati tra settembre e ottobre 2017 – su 130.000 previsti – a motivo di un problema di organizzazione dei turni, tutti i passeggeri in viaggio da domenica 10 settembre a lunedì 2 ottobre, avranno diritto a richiedere un risarcimento EU261 e/o delle spese assistenza.
  Inoltre, si fa presente che l'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) è l'organismo responsabile in Italia del rispetto dei diritti del passeggero in caso di cancellazione del volo, negato imbarco o ritardo prolungato e, in quanto tale, può sanzionare il vettore risultato inadempiente. Affinché possa darsi corso a detta procedura, è però necessario che il passeggero sporga reclamo innanzitutto contro il vettore; se esso non fornisce risposte adeguate entro sei settimane, con lo stesso, sistema può interessarsi l'Enac. Questa procedura contribuisce ad attivare le verifiche dell'ente per l'accertamento di eventuali violazioni del regolamento (CE) n. 261/2004, e monitorare la qualità del servizio. In ogni caso, le conclusioni degli accertamenti vengono comunicate al passeggero, che potrà utilizzarle a supporto di eventuali azioni legali nei confronti dello stesso vettore.
  In ossequio a quanto sopra, quanto agli aspetti autorizzativi per l'esercizio del trasporto aereo, la compagnia Ryanair è un vettore aereo con licenza di esercizio e certificazioni operative rilasciate dalle competenti autorità irlandesi (Caa). In base alla normativa europea, l'Autorità che rilascia i titoli aeronautici e la licenza ha competenza sulla verifica delle condizioni e dei requisiti per il mantenimento delle stesse, pertanto, ogni verifica in merito è nell'ambito della vigilanza irlandese. L'Enac si è quindi, immediatamente attivato per ottenere dalla omologa autorità aeronautica irlandese informazioni circa le condizioni di sicurezza
(safety) i requisiti finanziari per assicurare il mantenimento della licenza di Ryanair.
  Quanto alla tutela del passeggero. L'Enac ha immediatamente convocato Ryanair per ottenere assicurazioni sul rispetto del citato regolamento europeo. Al customer service del vettore sono state evidenziate alcune tra le maggiori criticità registrate in alcuni reclami presentati dai passeggeri e le risposte del settore sono state pubblicate sul sito dell'Enac; il vettore è anche stato richiamato a rendere trasparenti e di più facile consultazione le informazioni pubblicate sul sito al fine di rendere più agevole le richieste di rimborso, riprotezione e compensazione ove dovuta.
  L'Enac sta mormorando le attività del vettore e avvierà procedure sanzionatorie previste nei casi di violazione delle forme a tutela del passeggero; una riunione al riguardo con il vettore è fissata per i primi di ottobre.
  Per completezza d'informazione, sotto l'aspetto della
safity, si evidenzia che la fruizione di ferie e recuperi da parte degli equipaggi della compagnia Rvanair e gli effetti sul rispetto della normativa sui tempi di volo è stata affrontata dall'Enac in una lettera all'Autorità dell'aviazione civile irlandese; questa ha rassicurato l'Enac sul rispetto assoluto dei limiti sui tempi di volo. Tale obbligo rappresenta di fatto il presupposto che ha portato alle cancellazioni dei voli, legate alla concomitante fuoriuscita dagli organici della società di un significativo numero di piloti.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CASTIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Ministero dell'interno ha, da tempo, approvato il bando di un nuovo concorso per 250 posti nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le cui prove selettive inizieranno il 29 maggio 2017;

   la sola notizia dell'imminente avvio delle nuove procedure concorsuali ha accresciuto le preoccupazioni degli idonei non vincitori del concorso bandito nel 2008 per il reclutamento di 814 vigili del fuoco, ancora non esaurita;

   la proroga più recente, che ha spostato alla fine del 2017 il termine di validità della graduatoria del concorso cosiddetto 814, permetterà di sanare un certo numero di posizioni individuali, ma certamente non tutte;

   secondo indiscrezioni, delle assunzioni continuerebbero comunque ad esser fatte attingendo alla graduatoria del concorso promosso nel 2008 per 814 posti fino alla pubblicazione della graduatoria dei vincenti del nuovo concorso per 250 posti appena indetto;

   stando ad alcune stime, potrebbero bastare 2.000-2.500 assunzioni nette nel biennio 2017-18, a fronte delle 1.700 già programmate per l'anno in corso, per assorbire definitivamente gli idonei non vincitori del concorso 814, tra i quali figurano anche vigili volontari e discontinui;

   il personale utilmente collocato nella graduatoria del concorso 814 avrebbe un'età media di 32 anni, che permetterebbe di attenuare l'invecchiamento graduale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, la cui età media è ormai attualmente superiore ai 47 anni –:

   se e quali concrete iniziative il Governo intenda assumere per assicurare l'assunzione di tutti gli idonei del concorso indetto nel 2008 per 814 vigili del fuoco o comunque tutelarne l'interesse ad un avvenire dignitoso.
(4-16010)

  Risposta. — L'Amministrazione dell'interno, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, ha dedicato una particolare attenzione al ripianamento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, da un lato con iniziative legislative di incremento dell'organico teorico di circa 2.500 unità, dall'altro, con il rafforzamento delle presenze effettive presso le strutture territoriali, anche attraverso il ripristino del turn over al cento per cento a decorrere dal 2016.
  Tali decisioni hanno permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 848 unità di vigili del fuoco, 398 dei quali hanno assunto servizio il 5 giugno 2017, mentre i restanti 450, ridottisi di 3 unità rinunciatarie, sono stati assegnati alle sedi di servizio il 7 agosto 2017.
  Il Ministero dell'interno sta, inoltre, procedendo all'espletamento di una procedura concorsuale per l'assunzione di 250 vigili del fuoco, il cui bando è stato pubblicato nel novembre del 2016, che presumibilmente avrà termine entro la fine del prossimo anno.
  Le nuove assunzioni, oltre a ridurre le carenze di organico, attualmente pari, nel complesso, a 3.314 unità su un organico di 37.481, consentiranno di incidere, attenuandolo, sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sul piano operativo.
  Si rappresenta altresì che con la legge di bilancio 2017 è stato attivato uno specifico Fondo per finanziare una serie di istituti attinenti al personale del pubblico impiego, compreso il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Con la ripartizione del predetto Fondo, avvenuta con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2017, sono stati destinati 119 milioni di euro per l'anno 2017 e 153 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente.
  Tali assunzioni riguarderanno le amministrazioni dello Stato, ivi compresi i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco. In particolare, per le assunzioni straordinarie del Corpo nazionale sono stati stanziati 16 milioni di euro che consentiranno l'assunzione di 400 unità.
  Entro la data del 15 dicembre 2017 è prevista, comunque, l'assunzione di altre 302 unità di vigili del fuoco a copertura del
turn over per l'anno 2016.
  In ordine, infine, alla questione dell'assorbimento del personale idoneo al concorso a 814 posti di vigile del fuoco, bandito nel 2008, si rappresenta che la relativa graduatoria è stata più volte prorogata e, da ultimo, fino al 31 dicembre 2017.
  In ragione delle assunzioni effettuate nel corso degli anni, la graduatoria del concorso ha già visto uno scorrimento di circa 4.500 idonei a fronte di un concorso bandito per 814 posti. Numeri che confermano un'importante risposta alle aspettative degli idonei oggi ridotti a circa 3.100 persone.
  Si informa che sono allo studio iniziative volte a prevedere, in uno dei prossimi interventi normativi, la proroga del termine di validità della citata graduatoria sino al 31 dicembre 2018 e, comunque, fino al subentro della graduatoria del concorso per l'assunzione di 250 vigili del fuoco che, come già accennato, è in fase di espletamento.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   CIRIELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   con deliberazione n. 33 dell'11 aprile 2008, la giunta municipale di San Pietro al Tanagro (SA), nell'ambito delle proprie competenze, approvava il prospetto delle tariffe relative alla Tarsu, stabilendo, in particolare, una tariffa di euro 2,50 al metro quadro per la categoria «B», magazzini senza vendita diretta;

   le suddette tariffe venivano confermate anche per i successivi anni da 2009 a 2012, rispettivamente con le deliberazioni n. 1/2009, n. 35/2010, n. 42/2011 e n. 33/2012;

   con deliberazione n. 58 del 19 novembre 2013, la giunta comunale rideterminava per l'anno 2013 le tariffe Tarsu, riducendo ad euro 0,80 al metro quadro la tariffa relativa agli immobili classificati come «Autorimesse e magazzini senza alcuna vendita diretta»;

   per l'annualità 2012, relativamente ai citati immobili, nonostante la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani fosse stata stabilita in euro 2,50 al metro quadro sarebbe stata inspiegabilmente applicata una tariffa ridotta di euro 0,80;

   la riduzione della tariffa Tarsu per l'annualità 2012, a quanto consta all'interrogante, non troverebbe legittimità, in nessun documento formale dell'amministrazione comunale e, come è facile immaginare, ha agevolato numerosi cittadini, diversi dei quali amministratori comunali o loro familiari, proprietari di immobili della categoria interessata, a fronte di un minore introito nelle casse comunali di euro 19.109,7;

   l'applicazione di una tariffa comunale ridotta, in assenza di un provvedimento formale di rideterminazione della stessa, ed in deroga al dettato della determinazione di giunta comunale che aveva stabilito le tariffe in vigore, delinea una condotta quanto meno dubbia sotto il profilo dei presupposti di legittimità;

   il mancato introito di quota parte delle tariffe comunali, conseguente alla dubbia applicazione di un'aliquota tariffaria inferiore a quella stabilita con atto formale della giunta comunale, se confermato, configurerebbe un'ipotesi valutabile sotto il profilo del danno all'erario;

   avendo il consiglio comunale già deliberato il bilancio consuntivo esercizio 2012 ha reso di fatto inesigibile la quota parte della Tarsu non incassata per tempo –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, se intenda promuovere, per quanto di competenza, una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato in ordine ai profili amministrativo-contabili della gestione condotta.
(4-14179)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   sta destando non poche polemiche la determina di affidamento del servizio di trasporto a discarica del rifiuti indifferenziati e non, presso le piattaforme Ge.Sco di Sardone e lo Stir di Battipaglia, al Consorzio Sinergie;

   in particolare, come si apprende da fonti di stampa locale, con la determina n. 216 del 24 febbraio scorso, Palazzo San Carlo aveva affidato il servizio alla società Consorzio Sinergie di Pagani per un importo di poco superiore ai 22 mila euro, iva esclusa. La manifestazione di interesse per procedura negoziata era stata indetta solo pochi giorni prima, il 21 febbraio, con determina n. 190 e con verbale n. 9038 del 24 febbraio la commissione aggiudicava la gara alla discussa ditta paganese;

   la manifestazione di interesse e il verbale non risultano mai essere stati pubblicati sul sito dell'Ente e tale grave mancanza ha, di fatto, impedito la trasparenza delle procedure e la leale concorrenza;

   oltre a ciò, non passa inosservato che la società a cui è stato affidato il servizio è riconducibile ai fratelli Gabriele e Vincenzo Calce, quest'ultimo marito della consigliera comunale democratica Giusy Fiore, nonché deus ex machina del Pd paganese e renziano;

   in questi ultimi anni, inoltre, Consorzio Sinergie ha più volte organizzato le giornate «Puliamo il Mondo» con il circolo cittadino di Legambiente, di cui è Presidente proprio Gabriele Calce;

   tali circostanze avrebbero fatto sorgere numerosi dubbi sulla legittimità dell'affidamento dei servizio, non solo per gli evidenziati legami politici ma anche per gli aspetti economici della gara-lampo, posto che a fronte di un'istruttoria che avrebbe quantificato il costo del viaggio in 200 euro più Iva, è stato approvato con la stessa determina un bando che ha fissato la durata del servizio per un solo mese con un costo di poco superiore ai 31 mila euro, iva esclusa, con un costo per viaggio che sarebbe stato offerto per 247,97 euro più iva;

   dura la reazione del gruppo consiliare paganese di FDI, che in una nota denuncia: «siamo stanchi di far pagare alla città di Pagani, con costosi rapporti politico istituzionali imprenditoriali, il prezzo per acquisire il necessario sostegno al tribolato avvicinamento al Pd ed ai deluchiani del sindaco Salvatore Bottone»;

   l'amministrazione pagane non è nuova a polemiche sulla discutibile gestione del servizio rifiuti, da tempo ritenuta inefficiente e inadeguata, nonostante la delicatezza e importanza del settore;

   peraltro, in questo contesto si inserisce la vicenda della recente riunione del Partito democratico tenutasi alla vigilia delle primarie negli uffici della Consorzio Sinergie;

   da quanto si apprende dagli organi di stampa, all'incontro erano presenti anche il sindaco di Pagani, Salvatore Bottone, membro del nominato consiglio direttivo dell'ente dell'ambito che dovrà decidere a chi affidare la gestione del ciclo dei rifiuti, e il sindaco di Sarno, nonché presidente della provincia di Salerno, Giuseppe Canfora; alla riunione ha partecipato tra gli altri Vincenzo Calce –:

   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative di competenza intendano assumere in ordine alla regolarità della procedura descritta in premessa ed ai relativi effetti finanziari, in particolare tramite i servizi ispettivi di finanza pubblica e alla luce dell'articolo 60 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
(4-16038)

  Risposta. — Si risponde alle interrogazioni in esame, con le quali, nel denunciare, rispettivamente, irregolarità nel calcolo e nell'applicazione della tariffa TARSU, con specifico riferimento agli immobili di categoria B – magazzini senza vendita diretta – nell'arco temporale 2008-2012, nel comune di San Pietro al Tanagro e nello svolgimento di una gara per l'affidamento del servizio trasporto a discarica dei rifiuti, effettuata nel comune di Pagani, si chiede una eventuale verifica dei servizi ispettivi di finanza pubblica.
  Al riguardo si precisa, preliminarmente, per quanto attiene alla prima interrogazione, che la verifica della legittimità dei singoli atti amministrativi non rientra nelle competenze dei servizi ispettivi di finanza pubblica.
  Si ritiene opportuno rammentare, inoltre, che, a norma dell'articolo 14 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, «In relazione alle esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica...», il dipartimento della ragioneria, tramite i servizi ispettivi, effettua verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche.
  In attuazione della citata norma viene predisposto un programma annuale, redatto valutando le problematiche di carattere generale da approfondire, secondo l'incidenza delle stesse sulla finanza pubblica, individuando gli enti da verificare con parametri oggettivi, estrapolati dalle banche dati utilizzate dal dipartimento della ragioneria generale dello Stato, sulla base degli obiettivi fissati dalla direttiva ministeriale annuale sull'azione amministrativa, cui la programmazione stessa si deve ispirare.
  I servizi ispettivi di finanza pubblica, infatti, in base alla normativa vigente, effettuano controlli sulla regolarità amministrativa e contabile, con competenza di carattere generale, in relazione alle gestioni finanziarie e patrimoniali condotte da soggetti pubblici.
  Qualora, poi, i fatti denunciati attengano a fattispecie molto specifiche e circoscritte, come nei casi esposti nelle interrogazioni in esame – peraltro rientranti in una variegata mole ampia e complessa di segnalazioni, specialmente nell'ambito degli enti locali – le singole problematiche devono essere necessariamente selezionate e valutate alla luce della sussistenza di ulteriori oggettivi parametri di criticità.
  Ciò in quanto molte situazioni denunciate, pur rappresentando in sé criticità per gli enti locali, proprio per il loro carattere molto peculiare e circoscritto, non consentono di superare i predetti criteri obiettivi per la selezione degli enti da verificare.
  In tale ottica, ciò non toglie che, per prassi e per corrispondere comunque alle richieste avanzate nell'interrogazione, si pongano allo studio le problematiche segnalate per valutare l'opportunità di una verifica presso gli enti coinvolti, compatibilmente con la prioritaria necessità di attuazione del programma ispettivo.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Pier Paolo Baretta.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   con deliberazione n. 426 del 2 dicembre 2010, la giunta provinciale salernitana adottava il programma triennale dei lavori pubblici 2011/2013 e l'elenco annuale 2011 contenenti, tra gli altri, interventi di messa in sicurezza e potenziamento della rete viaria provinciale; in detto programma triennale, tra le priorità dell'amministrazione, era compreso l'importante intervento denominato «Lavori di variante alla strada provinciale 360 in comune di Cava de’ Tirreni (via Vitale) e messa in sicurezza»;

   la cifra stanziata dalla provincia di Salerno per la realizzazione dell'opera era di un milione e quattrocentocinquanta mila euro, proveniente dalle economie da ribasso svincolate e mediante diverso utilizzo di mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti;

   la messa in sicurezza e l'allargamento di via Vitale, strada molto frequentata in quanto di collegamento viario tra la frazione di Santa Lucia e le zone pedemontane sudorientali della vallata, il cui progetto era stato approvato con una procedura complessa, rappresentano un intervento necessario non tanto per il miglioramento della qualità della viabilità in una zona importante per la connessione tra popolose periferie di Cava de’ Tirreni, ma per l'elevato rischio di frane e alluvioni, proprio al fine di mitigare i rischi ed evitare possibili disastri con perdite di vite umane;

   i lavori, come già evidenziato con l'interrogazione n. 4-06988, iniziati nel gennaio 2014, si sono arrestati in un primo momento a causa dell'applicazione di norme, che l'interrogante giudica assurde e fortemente discutibili, che regolano il patto di stabilità e che impediscono alla provincia di liquidare alla ditta esecutrice le opere già eseguite;

   nell'estate 2016 gli operai del cantiere erano tornati al lavoro; il vicesindaco di Cava de’ Tirreni aveva dichiarato: «Abbiamo chiesto che l'opera si concluda in tempi rapidi»; attualmente, però, sembrerebbe inspiegabilmente tutto di nuovo fermo –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa, e quali iniziative di competenza intenda assumere per contribuire a fronteggiare il rischio idro-geologico dell'area in relazione al quale erano state previste le opere di viabilità sopra citate.
(4-16556)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
  In merito alle attività di competenza, inerenti la prevenzione e protezione dal rischio idrogeologico, si rappresenta che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per far fronte alle emergenze dovute al dissesto sul territorio nazionale, ha deciso di affrontare in maniera strutturale le problematiche relative al rischio idrogeologico in Italia avviando, in coordinamento con la struttura di missione contro il dissesto, il piano operativo nazionale per il periodo 2015-2020.
  Tale piano, che è volto alla identificazione di un «parco progetti», raccoglie il fabbisogno manifestato dalle regioni, attraverso le proposte di intervento presentate secondo la procedura definita dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 maggio 2015, relativo alla «Individuazione dei criteri e delle modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico», che prevede al riguardo l'utilizzo del sistema ReNDiS-web (repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo).
  In relazione al suddetto piano, da una verifica effettuata nel sistema ReNDiS in data 8 agosto 2017, risulta che la regione Campania ha al momento presentato, per l'intero territorio regionale, n. 649 proposte di intervento, validate dalla stessa regione, per un importo complessivo pari ad euro 2.276,627.907,10, che dovranno seguire la procedura delineata dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini dell'ammissibilità all'eventuale finanziamento.
  Tra queste, e relativamente alle aree di interesse dell'interrogante, risulta essere presente un intervento dal titolo: «Sistemazione idraulica del vallone Bagnara-Vallone S. Lucia», nel comune di Cava de’ Tirreni.
  L'opera ha un importo di euro 1.042.386,12 nonché un livello di progettazione definitiva, e consiste in opere idrauliche longitudinali e trasversali per garantire il ripristino della funzionalità del vallone Bagnara e ridurne il rischio di esondazione.
  Nel comune di Cava de’ Tirreni, sono inoltre presenti sulla piattaforma ReNDiS altri 6 interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico, per un importo complessivo pari ad euro 5.757.205,10, i quali però devono ancora essere validati dalla regione Campania.
  Al riguardo giova osservare che gli elenchi presenti sul sistema ReNDiS rappresentano semplicemente una banca dati che raccoglie le varie richieste di finanziamento degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, segnalate a tale scopo dalle regioni.
  Si fa presente inoltre che l'inserimento di un intervento nella citata banca dati non rappresenta, di per sé, garanzia di finanziamento, ma una condizione necessaria affinché l'intervento proposto possa essere valutato, secondo le modalità ed i criteri fissati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, ai fini di un eventuale inserimento in future programmazioni, subordinatamente all'accertamento dell'ammissibilità al finanziamento dell'intervento proposto ed al superamento della concorrenza con altre richieste segnalate per analoghe finalità.
  L'accertamento istruttorio sulla ammissibilità degli interventi inseriti nel sistema ReNDiS e sulla loro finanziabilità viene in genere effettuato non appena risultano disponibili le risorse da destinare per l'avvio delle nuove programmazioni.
  Ciò premesso, con specifico riferimento ai lavori di «Variante alla Strada Provinciale 360 nel Comune di Cava de’ Tirreni (Via Vitale)», la provincia di Salerno, con nota del 5 ottobre 2017, comunica che in data 18 marzo 2017 i lavori di cui trattasi sono stati sospesi avendo accertato l'impossibilità di procedere utilmente a regola d'arte in quanto risultava manifesta la necessità di procedere allo spostamento dei sottoservizi di competenza di altri enti; tale sospensione è proseguita, per motivi contabili/amministrativi, fino alla data del 27 settembre 2017.
  In seguito ai dovuti adempimenti, il servizio espropri ha redatto il tipo di frazionamento delle aree effettivamente utilizzate per l'opera di cui in argomento approvato dall'Agenzia delle entrate – territorio di Salerno in data 6 luglio 2017. Si è peraltro provveduto a variare il quadro economico al fine di poter concludere il procedimento di esproprio.
  Sempre secondo quanto riferito dalla provincia di Salerno, risolte le problematiche connesse allo spostamento dei sottoservizi e quelle di tipo contabile/amministrativo i lavori sono stati ripresi e si sono avviate le attività di collaudo. A breve si procederà con le prove di carico e al completamento dell'opera.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   sin dall'ormai famigerato impianto di Altmont Pass in California negli anni ’80 è noto che le turbine eoliche sono un pericolo per gli uccelli;

   esse costituiscono una fonte di pericolo soprattutto per i grandi veleggiatori, i rapaci, le gru, le cicogne; seguono i piccoli migratori e i pipistrelli;

   l'effetto deleterio delle pale eoliche non è solo diretto: oltre alla morte per collisione, i ricercatori sono concordi nel ritenere che gli impianti eolici sono dannosi per l'avifauna, perché sottraggono territorio agli uccelli, per l'effetto barriera che obbliga gli stormi a giri più lunghi durante i voli;

   in Italia, lo sviluppo del settore eolico ha causato, in molti territori, scempi e danni alla natura;

   il nostro Paese è interessato dal passaggio di numerosi uccelli migratori che dal Nord Europa si dirigono verso l'Africa e viceversa;

   spesso, le pale eoliche posizionate su valichi montani, quindi lungo rotte di migrazione, sono causa di morte, oltre che di disorientamento, di tante specie –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti intenda adottare per proteggere l'avifauna, nonché per rendere noti eventuali studi sul tema.
(4-17478)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa agli effetti negativi degli impianti eolici che a volte costituiscono barriere per l'avifauna, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La direttiva 79/409/CEE, ora 2009/147/CE, ha stabilito le forme di tutela fondamentali per la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo, mediante opportune azioni di protezione e di gestione. Per le specie elencate nell'allegato I della direttiva medesima, queste azioni prevedono misure speciali di conservazione anche per quanto riguarda l'habitat necessario a garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione.
  La direttiva 92/43/CEE «Habitat», con l'articolo 6, ha introdotto la procedura di valutazione d'incidenza (VIncA) che deve essere inderogabilmente rispettata sia per gli habitat e le specie, sia per l'avifauna, in quanto con l'articolo 7, estende tale obbligo anche alla citata direttiva 79/409/CEE «Uccelli».
  Pertanto, per l'intera rete natura 2000 costituita da siti di importanza comunitaria (SIC/ZSC) e da zone di protezione speciale (ZPS), vige l'obbligo della VIncA, che deve tenere conto delle interferenze indirette, per impianti posti anche nelle zone limitrofe, e dell'effetto cumulo con altri impianti preesistenti o progettati che possono costituire barriera all'avifauna migratoria e non.
  Per la maggior parte di progetti riguardanti centrali eoliche, la VIncA è parte integrante della più ampia procedura di valutazione di impatto ambientale.
  Inoltre, con il decreto ministeriale 17 ottobre 2007, sono stati stabiliti i «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e a Zone di Protezione Speciale (ZPS)» ed è specificato, all'articolo 5, lettera
l), il divieto alla «realizzazione di nuovi impianti eolici, fatti salvi gli impianti per i quali, alla data di emanazione sia stato avviato il procedimento di autorizzazione mediante deposito del progetto. Gli enti competenti dovranno valutare l'incidenza del progetto, tenuto conto del ciclo biologico delle specie per le quali il sito è stato designato, sentito l'INFS (ora ISPRA). Sono inoltre fatti salvi gli interventi di sostituzione e ammodernamento, anche tecnologico, che non comportino un aumento dell'impatto sul sito in relazione agli obiettivi di conservazione della ZPS, nonché gli impianti per autoproduzione con potenza complessiva non superiore a 20 km».
  Per quanto concerne le aree non classificate come Zps, come le Important Birds Areas (IBA) si evidenzia che la direttiva 2009/147/CE (ex 79/409/CEE), articolo 4, comma 4, stabilisce che, se per le Zps corre l'obbligo di adottare misure idonee a prevenire l'inquinamento o il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli che abbiano conseguenze significative, per quanto concerne le aree al di fuori di tali zone di protezione, gli stati membri cercheranno di prevenire l'inquinamento o il deterioramento degli habitat.
  Da quanto sopra emerge che, per quanto riguarda le aree esterne alle Zps, debbono essere rispettate una serie di disposizioni che, nel loro complesso, descrivono un ampio spettro di elementi da considerare, per una corretta e soprattutto oggettiva valutazione di interventi in aree sensibili o comunque rappresentative, sia per le specie di cui all'Allegato I, sia per quelle migratrici.

  Pur non essendo prevista una valutazione di incidenza per le aree Iba, occorre quindi applicare i princìpi della predetta direttiva secondo le finalità in essa descritte e stabilite nei citati articoli per la tutela dell'avifauna, soprattutto per le specie rare ed in pericolo di estinzione.
  Detti approfondimenti e valutazioni tecniche andranno effettuati mediante analisi caso per caso dei progetti presentati, al fine di poter vagliare se gli interventi proposti ostino alle finalità di cui alla predetta direttiva 2009/147/CE (ex 79/409/CEE).

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in queste settimane il Paese è stato attraversato da una vera e propria emergenza di incendi boschivi;

   l'emergenza ha interessato, purtroppo, anche territori ricadenti nei parchi nazionali;

   il 3 luglio 2017 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha pubblicato un documento dal titolo «Prevenzione incendi boschivi nelle aree protette statali»;

   dallo stesso risulta che, per ciò che concerne l'adozione dei piani antincendio boschivo, due parchi hanno il piano «AIB» recentemente scaduto e ancora in fase di predisposizione, 6 enti parco hanno il Piano «AIB» predisposto ma con iter non concluso (due per integrazioni dei parchi stessi, due per pareri dei vigili del fuoco e del comando tutela ambientale e forestale dell'Arma dei carabinieri e due per intese regionali), per un parco, precisamente quello del Circeo, con sede a Sabaudia, in provincia di Latina, il nuovo piano «AIB» è stato appena predisposto con una impostazione avente carattere pilota, affinché sia un concreto esempio, per i parchi nazionali, di applicazione del nuovo schema di riferimento ed a breve sarà approvato dall'ente parco;

   per ciò che riguarda invece le 67 riserve naturali statali aventi l'obbligo di predisporre il piano «AIB», sempre dal documento citato, risulta che sette hanno il piano con iter concluso con prossima pubblicazione del relativo decreto ministeriale, 50 hanno il nuovo piano 2017-2021 già predisposto ma con iter non concluso (precisamente per i piani di n. 44 riserve si è in attesa dell'intesa regionale da parte di n. 11 regioni), una ha il piano scaduto e il nuovo in corso di predisposizione –:

   quale sia la situazione dettagliata ed aggiornata dei piani «AIB» dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali.
(4-17569)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla tematica degli incendi boschivi e in particolare della situazione dei piani antincendi boschivi (o Piani Aib), sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  È necessario premettere che il Ministero dell'ambiente ha diretta competenza in materia di incendi solo per i piani anti incendi boschivi (o piani Aib) delle aree protette statali (parchi, nazionali e riserve naturali statali), in attuazione, all'articolo 8, comma 2, della legge n. 353/2000, col supporto degli enti gestori di tali aree protette che curano in modo particolare la «previsione» e la «prevenzione» degli incendi boschivi.
  Resta alle regioni l'approvazione del piano Aib regionale, che comprende un'apposita sezione con i suddetti piani Aib delle aree protette, nonché la diretta competenza nella lotta attiva, anche all'interno delle suddette aree protette statali (articolo 7 in combinato disposto con l'articolo 8, comma 4, della stessa legge n. 353 del 2000), con l'ausilio dei vigili del fuoco ai sensi del recente decreto legislativo n. 177 del 2016 e delle organizzazioni di protezione civile localmente esistenti.
  Per un opportuno inquadramento nel contesto nazionale della problematica incendi boschivi nei parchi nazionali e nelle riserve nazionali statali, si fa presente che, considerando l'iniziale fase di attuazione di quest'ultimo provvedimento legislativo decreto legislativo n. 177 del 2016) e la criticità climatica della stagione estiva, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 3 luglio 2017 aveva convocato una apposita riunione nazionale sugli incendi boschivi nelle aree protette statali per sensibilizzare preventivamente le diverse istituzioni competenti a vario titolo ed ottenere la massima sinergia fra le stesse. A seguito di tale riunione il Ministro dell'ambiente ha provveduto ad emanare una direttiva in data 12 luglio 2017, ove sono previste, tra l'altro, raccomandazioni volte a rafforzare le attività di programmazione, prevenzione, lotta attiva (in particolare per la gestione dei mezzi antincendio boschivo) nonché il «Catasto delle aree percorse dal fuoco» dei comuni ricadenti nelle aree protette statali.
  Secondo tale direttiva, gli enti gestori delle aree protette statali, dovranno inviare ogni anno apposita circolare ai comuni ricadenti nelle suddette aree protette statali al fine di sollecitare i comuni inadempienti nel predisporre e/o aggiornare il relativo «Catasto delle aree percorse dal fuoco» di cui all'articolo 10 della legge n. 353 del 2000. Aggiornamento che i comuni devono comunicare anche all'ente gestore per l'aggiornamento annuale del proprio piano Aib. Il rispetto di tale norma è essenziale per una ottimale applicazione dei vincoli di cui allo stesso articolo 10 sopra citato.
  Detta direttiva è stata trasmessa a tutti gli attori istituzionali cointeressati all'Aib: enti parco nazionali, enti gestori delle riserve naturali statali, regioni e province autonome, comando unità per la tutela forestale, ambientale e agro-alimentare dell'Arma dei carabinieri (Cutfaac), Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco (Cnvf), Capo dipartimento della protezione civile e presidente della conferenza dei Presidenti delle regioni.
  In riferimento alle questioni relative ai piani Aib dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali, si riporta di seguito la situazione aggiornata ad oggi.
  Parchi Nazionali
:

   n. 14 P.N. hanno concluso l’iter, con il Piano Aib inserito nel rispondente piano Aib regionale e con relativo decreto ministeriale di adozione;

   n. 6 P.N. hanno il Piano predisposto AIB ma un iter non ancora concluso: n. 2 per integrazioni ancora in corso da parte degli enti parco, n. 2 per pareri Cutpaac non ancora rilasciati e n. 2 per intese regionali non ancora pervenute;

   n. 2 P.N. hanno il Piano Aib recentemente scaduto e ancora in fase di predisposizione;

   n. 1 P.N. (Circeo): il nuovo piano Aib è stato appena predisposto – tramite supporto scientifico dell'Accademia Italiana di scienze forestali – con una impostazione avente carattere pilota affinché sia un concreto esempio per i parchi nazionali di applicazione del nuovo schema di riferimento ed a breve sarà approvato dall'ente parco; a breve inizierà l’iter di legge con la richiesta di parere ai Carabinieri-forestali del Cutfaac e ai vigili del fuoco (Cnvf), per le rispettive parti di competenza;

   n. 1 P.N. di recente istituzione (isola di Pantelleria): è stato predisposto una programmazione di emergenza («piano speditivo») di attività Aib per l'estate 2017, con il coinvolgimento contemporaneo ed immediato di tutte le istituzioni cointeressate, al fine di fronteggiare adeguatamente la stagione critica ed evitare grandi incendi come quello del 2016.

  Riserve naturali statali (n. 67 Rns aventi obbligo di piano Aib):

   n. 16 Rns hanno il piano Aib con iter concluso e con decreto ministeriale di adozione di prossima emanazione;

   n. 2 Rns hanno il piano Aib con iter concluso e con decreto ministeriale di adozione di prossima emanazione;

   n. 48 RNS hanno il nuovo piano 2017-2021 già predisposto ma con iter non concluso (per n. 4 RNS si è in attesa del parere Cutfaac e per n. 44 Rns si è in attesa dell'intesa regionale da parte di n. 8 regioni);

   n. 1 Rns ha il Piano scaduto e il nuovo è in corso di predisposizione.

  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tale importante questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   DE MITA, BINETTI, BUTTIGLIONE e CERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in Maremma, in provincia di Grosseto, da gennaio ad oggi sono bruciati 1200 ettari di bosco, 280 di campi e 1000 di sterpaglie, per un totale di oltre 1500 interventi con una evidente recrudescenza del fenomeno come facilmente riscontrabile negli ultimi anni dal numero sempre crescente dei focolai accesi e dall'aumento esponenziale delle superfici coinvolte e danneggiate;

   in tutto lo scorso anno in Toscana c'erano stati 1600 i roghi;

   dalle ultime ricostruzioni appare sempre più probabile che l'origine dei roghi sia dolosa dato il rinvenimento, anche nelle ultime ore, di tracce evidenti ed inequivocabili di inneschi che lasciano presagire la possibilità di un disegno criminale dietro ai suddetti fenomeni –:

   quali siano le informazioni più recenti in possesso del Ministro interrogato rispetto ad un fenomeno in evidente crescita che desta preoccupazione tra le comunità locali, con particolare riferimento alla natura degli incendi;

   se la questura e la prefettura della provincia di Grosseto abbiano sufficienti uomini e mezzi per far fronte all'emergenza o se siano necessari ulteriori rinforzi.
(4-18085)

  Risposta. — La passata stagione estiva è stata caratterizzata da una campagna antincendi boschivi particolarmente impegnativa a causa dell'incremento degli incendi su tutto il territorio nazionale, che ha riguardato anche il territorio toscano e in particolare alcuni comuni della provincia di Grosseto.
  Nella regione Toscana gli interventi effettuati dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco dalla data del 15 giugno sino l'8 ottobre 2017, sono stati 4518 interventi a terra, mentre sino al 18 settembre sono state attivate dal Centro operativo aereo unificato (COAU) del dipartimento della protezione civile 48 richieste di intervento con un impiego complessivo di 73 mezzi aerei (58 Canadair e 15 elicotteri) del Corpo nazionale. A livello nazionale gli interventi di spegnimento a terra del Corpo nazionale nell'arco temporale che va dal 15 giugno all'8 ottobre sono stati 102.396, mentre le richieste di intervento al COAU sono state 2241.
  A tale riguardo, si precisa che la legislazione di settore affida alle regioni la competenza primaria in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi, riservando allo Stato il solo concorso nell'attività di spegnimento.
  Tale suddivisione di competenze tra lo Stato e le regioni risulta confermata dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante la razionalizzazione delle funzioni di polizia e l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato.
  Infatti, allo Stato continua a spettare in via sussidiaria il concorso alla lotta attiva agli incendi boschivi attraverso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e l'Arma dei carabinieri per le connesse attività di prevenzione e repressione.
  Nella consapevolezza che il fenomeno degli incendi boschivi rappresenta una delle emergenze ambientali più critiche per il nostro Paese, è stato firmato, il 5 aprile 2017, un apposito protocollo d'intesa tra l'Arma dei carabinieri e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di definire ogni utile sinergia operativa e di migliorare ulteriormente l'efficacia degli interventi.
  Per migliorare, inoltre, le attività svolte dalle regioni e dallo Stato nei rispettivi ambiti di competenza, il Ministero dell'interno si è fatto promotore della sottoscrizione di un apposito accordo quadro tra il Governo e le regioni sancito il 4 maggio 2017 in sede di conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.
  In tale ambito la regione Toscana ha stipulato, l'11 luglio 2017, la Convenzione antincendi boschivi (AIB) con il dipartimento dei vigili del fuoco, per il periodo 15 giugno - 15 settembre, in cui si è impegnata a corrispondere un finanziamento di euro 290.000,00 per il pagamento di spese per gli oneri aggiuntivi connessi all'impiego del personale e per la gestione di mezzi e attrezzature da impiegare nella lotta attiva agli incendi boschivi.
  Sul piano di prevenzione si soggiunge, inoltre, che a seguito degli indirizzi operativi pianificati in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica dello scorso luglio, tenutosi presso la prefettura di Grosseto, la questura ha diramato specifiche direttive volte a sensibilizzare gli operatori di pubblica sicurezza a porre particolare attenzione a comportamenti potenzialmente pericolosi, soprattutto in prossimità delle pinete e delle aree boschive.
  L'attività posta dalla questura è stata in via prioritaria di carattere preventivo, ovvero di soccorso e ausilio al Corpo dei vigili del fuoco impegnati nelle operazioni di spegnimento dei roghi. In tale ottica, nell'ambito del piano per il controllo straordinario del territorio è stata efficacemente impiegata la pattuglia del reparto a cavallo della polizia di Stato di Ladispoli, aggregata dal 20 luglio al 20 agosto 2017.
  A tale proposito informo che il dispositivo a tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica nella provincia di Grosseto è costituito complessivamente da 1.028 unità, di cui 274 appartenenti ai ruoli operativi della Polizia di Stato e da 528 militari dell'Arma dei carabinieri, ai quali si aggiungono 226 appartenenti alla Guardia di finanza che, seppur svolgendo prevalenti compiti di polizia tributaria, concorrono anch'essi ai piani coordinati di controllo del territorio.
  Le citate dotazioni, già incrementate in un recente passato, costituiscono, al momento, il massimo sforzo organizzativo possibile, tenuto conto degli analoghi impegni di pubblica sicurezza su tutto il territorio nazionale.
  Si soggiunge che, al fine dell'ottimale impiego delle descritte risorse per un'efficace azione di prevenzione e di contrasto ad ogni forma di illegalità nella provincia in parola, i servizi di prevenzione generale vengono, di volta in volta, rimodulati nel corso di apposite riunioni tecniche interforze sulla base di criticità riscontrate e secondo specifiche strategie che garantiscano sempre un'adeguata presenza di operatori delle Forze dell'ordine sul territorio.
  Qualora necessario, e in occasione di servizi straordinari di prevenzione generale, il dispositivo territoriale di polizia può essere, inoltre, supportato da aliquote dei reparti prevenzione crimine della Polizia di Stato e delle omologhe compagnie di intervento Operative dell'Arma dei carabinieri.
  In considerazione della specifica competenza in materia forestale, ambientale e agroalimentare dell'Arma dei carabinieri, la questura di Grosseto ha tempestivamente inoltrato al comando provinciale tutte le informazioni e segnalazioni relative a roghi avvenuti in provincia, acquisite nel corso di attività info-investigative.
  La specifica articolazione del comando provinciale dei, carabinieri, oltre ad evidenziare in alcuni casi la natura dolosa degli incendi, su cui sono in corso le attività di indagine a cura dell'autorità giudiziaria ordinaria, ha evidenziato tra i fattori di maggior rischio anche la presenza ai margini stradali di una miscela altamente infiammabile, composta da erba secca falciata o triturata e rifiuti abbandonati lungo le pertinenze stradali.
  Si rappresenta infine che la complessa attività di indagine messa in atto dal comando provinciale Carabinieri attraverso le sue articolazioni territoriali e specialistiche sotto il coordinamento della locale procura della Repubblica, tesa ad accertare l'effettiva dolosità degli incendi, è tutt'ora in corso e allo stato non ha fatto emergere elementi che riconducano gli eventi incendiari ad un disegno criminale incendiario.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   DELL'ORCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto previsto da un accordo firmato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Aiscat dal 1o agosto al 31 dicembre 2017 entra in vigore in via sperimentale la riduzione del pedaggio autostradale per motociclisti con l'obiettivo di ottimizzare l'uso dell'autostrada che prevede una riduzione del 30 per cento per i motocicli con targa che possono transitare in autostrada;

   il Ministro interrogato ha propagandato l'iniziativa come una misura di equità, in quanto il sistema di pedaggiamento italiano, che non distingue tra auto e moto, sarebbe un caso unico nel panorama europeo; tuttavia, il suddetto sconto non viene applicato indistintamente a tutti i motociclisti ma solo a quelli che richiederanno e pagheranno uno specifico abbonamento Telepass per le due ruote;

   secondo i dati della Motorizzazione, a oggi i motocicli e scooter con targa che possono transitare in autostrada sono circa 5 milioni. I minori introiti di ogni concessionaria verranno rendicontati al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e verranno recuperati secondo quanto previsto dalle pattuizioni convenzionali –:

   se il Ministro interrogato, in fase di eventuale stabilizzazione dell'iniziativa non intenda estenderla a tutta la platea delle due ruote che possono transitare in autostrada, provvedendo a definire una classe tariffaria specifica per le due ruote, non vincolata all'abbonamento Telepass;

   quali siano le stime dell'operazione che hanno portato alla firma dell'accordo e, in particolare, quali somme sia stato stimato di dover stanziare per compensare i minori introiti delle concessionarie;

   se l'accordo con Aiscat preveda una forma di compensazione, per la differenza tra i minori introiti delle concessionarie e i maggiori introiti per abbonamento Telepass;

   quali siano i costi concordati dell'abbonamento e se sia prevista per gli utenti la possibilità gratuita di disdire l'abbonamento Telepass moto al termine della sperimentazione prevista per il 31 dicembre.
(4-17611)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La direzione generale di vigilanza stalle concessionarie autostradali di questo Ministero ha riferito che, con nota n. 13976 del 27 luglio 2017, ha autorizzato una modulazione tariffaria riservata ai motoveicoli che prevede una riduzione del pedaggio del 30 per cento rispetto alla tariffa di riferimento (classe veicolare A) subordinatamente all'attivazione di un contratto Telepass abbinato in esclusiva alla larga del motoveicolo oggetto di contratto.
  L'iniziativa è stata autorizzata in via sperimentale con decorrenza 1o agosto 2017 fino al 31 dicembre 2017, nelle more della definizione di apposito protocollo d'intesa tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Associazione italiana società concessionarie autostrade e trafori (AISCAT), che sarà definito nei tempi tecnici minimi occorrenti.

  La scelta dello strumento del Telepass, oltre a ragioni connesse alla velocità delle operazioni di riscossione e riduzione dei tempi di percorrenza, è legata all'attuale metodologia di calcolo del pedaggio autostradale, basata sulla classificazione dei veicoli secondo il sistema assi-sagoma, che non distingue la lunghezza o il peso del veicolo e, quindi, non capace di discriminare se si tratta di moto o di generico veicolo di classe A (autovettura).
  Pertanto, l'adozione di tale speciale tariffa senza l'utilizzo del Telepass sarebbe stata possibile solo sulle piste presidiate dall'operatore.
  Come sopra ricordato tale modulazione tariffaria è in fase sperimentale e, con l'obiettivo di esaminare la sua sostenibilità e una successiva prosecuzione, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le concessionarie autostradali eseguiranno una verifica tecnica circa gli effetti cumulati generali dalla stessa, con particolare riguardo ai diversi volumi di traffico dell'utenza motociclistica, e alle connesse variazioni d'introiti, valutati, altresì, gli auspicabili positivi riflessi sulla sicurezza garantita alla particolare utenza fruitrice.
  Infine, per quanto attiene al rapporto con Telepass, si evidenzia che il cliente per tutta la durata del contratto ha sempre il diritto di recesso gratuita con la semplice restituzione dell'apparato di bordo.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   LUIGI DI MAIO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con la riforma dei porti sono state istituite le autorità di sistema portuale che saranno governate da comitati di gestione, i cui rappresentanti sono designati dai legali rappresentanti di regione, città metropolitana e comune, ai sensi del primo comma dell'articolo 9 della legge 28 gennaio 1994, n. 84;

   il sindaco di Livorno Filippo Nogarin ha visto rifiutarsi la propria auto-designazione per una candidatura che sarebbe stata ritenuta dal presidente dell'autorità di sistema portuale Stefano Corsini giuridicamente non conforme allo spirito della legge;

   il sindaco di Civitavecchia Antonio Cozzolino, che analogamente si è auto-designato, non ha ancora visto formalizzata la propria nomina per presunti dubbi di rispondenza ai requisiti della legge sollevati da parte del presidente dell'autorità di sistema portuale Francesco Maria Di Majo nel corso del consiglio comunale di Civitavecchia del 16 maggio 2017;

   le stesse motivazioni non si sono addotte per il presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, auto-designatasi come componente per conto della regione, o per il sindaco della città metropolitana di Genova, Marco Doria, o per il sindaco del comune di Trieste, Roberto Dipiazza, tutti auto-designatisi in rappresentanza del proprio ente pur non avendo, a quanto consta agli interroganti, curriculum con esperienze portuali al riguardo –:

   se il Ministro interrogato non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, per evitare che le nomine nei comitati di gestione delle autorità di sistema portuale siano effettuate con valutazioni diverse in casi analoghi, vista la macroscopica differenza di trattamento riservata ai sindaci del MoVimento 5 Stelle rispetto ai loro colleghi di altre città.
(4-16737)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali ed il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  L'articolo 9, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, come novellato dal decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, indica tra i componenti del comitato di gestione un componente designato dalla regione o da ciascuna regione, un componente designato dal sindaco di ciascuna delle città metropolitane, un componente designato dal sindaco di ciascuno dei comuni ex sede di autorità portuali. Il comma 2, ultimo periodo del medesimo articolo recita che a detti componenti si applicano i requisiti di cui all'articolo 8, comma 1, previsti per il presidente dell'autorità di sistema portuale (AdSP), ovvero il possesso di comprovate esperienze e qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale.
  Il che dimostra da un lato che il legislatore ha voluto che all'interno del comitato di gestione ci fossero non i sindaci, come era espressamente previsto, nel comitato portuale, dalla citata legge n. 84/1994, istitutiva delle autorità portuali, ma designati da essi e dall'altro che essi devono avere gli stessi requisiti richiesti al presidente dell'AdSP ovvero competenze specifiche e distintive nei settori dello
shipping e della portualità e logistica.
  Analoghe considerazioni valgono per il designato della regione che, pur potendo essere il presidente, deve presentare gli stessi titoli professionali del presidente che, certamente, non si acquisiscono per il solo fatto di essere stato componente del comitato portuale delle ex autorità portuale.
  A seguito dell'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 169/2016, la competente direzione generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al fine di dirimere possibili dubbi interpretativi in merito alle prescrizioni dell'articolo 9, con circolare del 13 dicembre 2016, ha rilevato che – conseguentemente – anche i componenti dei comitati di gestione debbono necessariamente essere in possesso di una comprovata esperienza e qualificazione nei settori dell'economia dei trasporti e portuale riconducibile alla tipologia di esperienze e qualificazione «professionale», che non possono discendere certamente dall'esperienza legata ad incarichi politici e/o istituzionali.
  A supporto di questa interpretazione, il Consiglio di Stato, nell'adunanza della commissione speciale del 27 aprile 2016, nell'espressione del parere sullo schema di decreto legislativo di riforma, ha richiamato l'attenzione del governo-legislatore a valutare l'opportunità – non escludendone la possibilità – di mantenere una composizione del comitato di gestione di soggetti aventi una «omogenea competenza professionale», che investe, evidentemente, il profilo tecnico e non politico dei rappresentanti degli enti locali.
  Così anche l'Anac, con le delibere n. 179 e n. 180 del 2017, in merito alle valutazioni relative alla comprovata esperienza ed alle qualificazione dei sindaci di Civitavecchia e Genova nel settore dell'economia dei trasporti e portuale, nel rimettere tale valutazione in capo ai presidenti delle rispettive Autorità di sistema portuale o, eventualmente, al Ministero vigilante, richiama l'attenzione circa il ruolo, ancora una volta, tecnico piuttosto che politico dei componenti del Comitato di gestione.

  Tenuto conto dei sopra indicati atti, l'AdSP del mare Adriatico orientale come si evince dalla lettura del decreto presidenziale n. 1522 del 27 marzo 2017 (pubblicato sul sito dell'AdSP) di costituzione del comitato di gestione ha proceduto ad una attenta disamina del curriculum presentato tanto dal presidente della regione Friuli-Venezia Giulia quanto dal sindaco di Trieste a seguito della loro autocandidatura e ha ritenuto che le esperienze riportate nei curricula dei due rappresentanti delle istituzioni locali «siano rivelatrici di una competenza professionale specifica omogenea a quella del presidente dell'autorità di sistema portuale, in quanto trascendono incarichi meramente politici istituzionali e sono direttamente riferite ai settori dell'economia dei trasporti e portuale».
  Mentre l'autorità di sistema del Mar ligure occidentale, per le vie brevi, ha comunicato di aver inserito nel comitato di gestione il sindaco di Genova dopo il parere dell'Anac n. 180 del 2017 che non lo escludeva.
  Da ultimo, si fa presente che è in fase di perfezionamento il correttivo al decreto legislativo n. 169/2016. Lo scorso 8 settembre il Consiglio dei ministri ha, infatti, approvato in esame preliminare il decreto di modifica al citato decreto legislativo n. 169/2016: nel testo approvato si è intervenuti sul secondo comma dell'articolo 9 della legge 28 gennaio 1994 nell'intento di specificare che ai componenti del comitato di gestione designati da regioni e sindaci si applicano le disposizioni del decreto legislativo 8 aprile 2013 n. 39, recante disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico.
  Sempre al secondo comma, si è ulteriormente specificato che gli stessi non possono rivestire incarichi di componente di organo politico amministrativo sia di livello regionale sia locale e che, se rivestono i predetti incarichi, decadono di diritto alla data di entrata in vigore della presente disposizione.
  Tale previsione si è resa necessaria nell'intento di rendere la riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le autorità portuali in linea con le disposizioni normative in tema incarichi, presso le pubbliche amministrazioni.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, di attuazione dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge n. 124 del 7 agosto 2015, è stato disposto, a decorrere dal 1o gennaio 2017, l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato nell'Arma dei carabinieri ad eccezione delle competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e spegnimento con mezzi aerei degli stessi, attribuite al Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

   nello specifico, l'articolo 9 del citato decreto legislativo n. 177 del 2016 attribuisce al Corpo nazionale dei vigili del fuoco talune competenze precedentemente spettanti al Corpo forestale dello Stato in materia di lotta agli incendi boschivi e spegnimento con mezzi aerei degli stessi, anche in concorso con le regioni;

   il ruolo di azione e coordinamento del Corpo forestale dello Stato in merito agli interventi sugli incendi boschivi è stato di fatto disattivato, poiché dei trentadue elicotteri appartenenti al Corpo forestale dello Stato sedici sono stati assegnati ai vigili del fuoco e sedici ai carabinieri, quest'ultimi esonerati dal servizio antiincendio;

   come riportato dalle maggiori agenzie di stampa, dei sedici elicotteri, attribuiti ai vigili del fuoco, quattordici sono fermi in manutenzione o per problemi legati a mancate certificazioni tecniche;

   quanto riportato mostra l'inopportunità dello scioglimento del Corpo forestale dello Stato, alla luce del ruolo strategico che lo stesso Corpo ha da sempre rivestito nel nostro Paese, il quale ospita un sistema forestale inestimabile e unico al mondo di oltre 300 mila chilometri quadrati;

   la predetta riforma nel prevedere l'assorbimento del Corpo forestale nei ruoli dell'Arma dei carabinieri e dei vigili del fuoco ha comportato inevitabili complicazioni, anche per quanto concerne il riparto delle competenze affidate all'Arma, ai vigili del fuoco ed alle regioni mettendo a rischio la funzionalità del soccorso alla cittadinanza –:

   quali urgenti e indifferibili iniziative il Governo intenda adottare per garantire il regolare svolgimento delle attività assegnate in precedenza al Corpo forestale dello Stato, assorbito nell'Arma dei carabinieri e nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, intervenendo sulle gravi carenze organiche e organizzative, al fine di far fronte alle problematiche concernenti il soccorso tecnico urgente antincendio, in considerazione dell'aumento degli incendi che stanno colpendo il territorio nazionale.
(4-17340)

  Risposta. — Si premette che la legislazione di settore e, in particolare, il decreto legislativo n. 112 del 1998, affida la competenza primaria nella materia della lotta attiva contro gli incendi boschivi alle regioni, riservando allo Stato il solo concorso nell'attività di spegnimento. Tale assetto generale è stato esplicitato dalla legge quadro sugli incendi boschivi n. 353 del 2000 che ha attribuito alle regioni il compito di definire e programmare, mediante appositi piani regionali, le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi.
  Tale suddivisione di competenze tra lo Stato e le regioni risulta confermata dal decreto legislativo n. 177 del 2016, recante la razionalizzazione delle funzioni di polizia e l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato. Infatti, allo Stato continua a spettare in via sussidiaria il concorso alla lotta attiva agli incendi boschivi attraverso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e l'Arma dei carabinieri, per le connesse attività di prevenzione e repressione.
  Al riguardo, il 5 aprile 2017 è stato firmato un apposito Protocollo d'intesa tra l'Arma dei carabinieri e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di definire ogni utile sinergia operativa e di migliorare ulteriormente l'efficacia degli interventi. In particolare, tale protocollo individua gli ambiti di rispettivo intervento e definisce le attività di collaborazione in materia.
  Inoltre, al fine di sollecitare il ricorso ad accordi pattizi tra le regioni e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il Ministero dell'interno si è fatto promotore della sottoscrizione di un apposito accordo quadro tra il Governo e le regioni, sancito il 4 maggio 2017 nell'ambito della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
  Attraverso lo strumento suddetto si individuano i criteri generali, i principi direttivi e le modalità della collaborazione tra il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e le regioni, nell'esercizio dei rispettivi compiti in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e di concorso del Corpo stesso alle predette attività.
  Tale accordo integra ulteriormente il quadro delle iniziative assunte dal Ministero dell'interno per prevenire, per quanto possibile, su tutto il territorio nazionale, eventuali disfunzioni operative.
  Anche grazie a tale iniziativa sono state successivamente stipulate diverse convenzioni con le regioni che hanno manifestato un interesse in tal senso. Nel dettaglio, alla data del 31 agosto 2017, sono stati sottoscritti 15 atti convenzionali. Tali strumenti, oltre a prevedere diverse forme di collaborazione, consentono di implementare ulteriormente i dispositivi di lotta a terra agli incendi boschivi, grazie alla previsione di squadre del Corpo all'uopo dedicate.
  Sempre da un punto di vista generale, va specificato che la campagna antincendi boschivi (AIB) 2017, anche a causa delle gravi condizioni climatiche, è stata caratterizzata da un notevole aumento degli incendi rispetto agli ultimi anni.
  Infatti il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dal 15 giugno all'8 ottobre 2017, ha già effettuato circa 102.396 interventi a terra (rispetto ai 73.043 effettuati nell'intero anno 2016 e ai 68.651 effettuati nel 2015); inoltre, nel medesimo periodo, il Centro operativo aereo unificato (COAU) del dipartimento della protezione civile ha ricevuto dalle regioni 2241 richieste di concorso aereo della flotta di Stato a supporto delle operazioni svolte dalle squadre di terra impegnate per lo spegnimento degli incendi boschivi.
  Per le operazioni di spegnimento dall'alto, le regioni possono avvalersi, in tutto o in parte, di una propria flotta, anche ricorrendo a società esterne, ovvero richiedere, qualora necessario, il concorso dello Stato. In tal senso, il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri è chiamato ad assicurare, attraverso il COAU, «le attività aeree di spegnimento, con la flotta aerea antincendio dello Stato», grazie a un coordinamento nazionale.
  Tale flotta si avvale, come noto, di mezzi di particolare efficacia, come i 19 Canadair transitati al Corpo nazionale dei vigili del fuoco dal 2014, 16 dei quali sono costantemente operativi. Al riguardo, si precisa che lo schieramento ordinariamente operativo pari a 14 velivoli è stato implementato di ulteriori due mezzi, dal 15 giugno al 15 settembre 2017, grazie al progetto europeo denominato «EU Buffer». Pur essendo dedicati prioritariamente al meccanismo europeo, i predetti 2 Canadair aggiuntivi erano impiegabili anche sul territorio nazionale. Tale esperienza ha seguito quella dello scorso anno, in cui il meccanismo unionale aveva messo a disposizione un unico velivolo.
  Inoltre, proprio per far fronte alle peculiari esigenze connesse con la campagna AIB 2017, oltre ai 16 Canadair, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha messo a disposizione del COAU 15 elicotteri, utilizzando in parte propri velivoli, in parte elicotteri provenienti dall'ex Corpo forestale dello Stato. Al riguardo, si precisa che, rispetto a quanto segnalato nell'interrogazione, dei 16 mezzi aerei transitati al Corpo nazionale sono stati utilizzati 4 Erickson S64 – di cui 1 di riserva – e mediamente 4 AB 412. I restanti mezzi aerei ex Corpo forestale dello Stato sono in fermo manutentivo obbligatorio; attività questa che, oltre a essere imprescindibile per la sicurezza del volo, è legata esclusivamente ad aspetti tecnici e indipendenti, perciò, dal provvedimento di accorpamento del Corpo forestale. In ogni caso, anche in virtù del richiamato sforzo profuso dal Corpo nazionale, il COAU vanta oggi una delle maggiori flotte di cui abbia potuto disporre nell'ultimo decennio, cui il Corpo contribuisce per circa l'80 per cento.
  In relazione all'ammodernamento dei mezzi a disposizione dei vigili del fuoco, si fa presente che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 agosto 2017, inerente «Riparto del fondo di cui all'articolo 1, comma 623, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, per l'acquisto e l'ammodernamento dei mezzi strumentali, in uso alle Forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco», pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 231 del 3 ottobre 2017, ha previsto per il Corpo nazionale, per il 2017, la somma di 9.660.000 euro e, dal 2018 al 2030, la somma di 25.705.000 euro per ciascun anno.
  In ordine alle iniziative intraprese per ripianare le carenze organiche, si premette che, in questi ultimi anni, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, l'Amministrazione dell'interno ha dedicato una particolare attenzione al problema, da un lato con iniziative legislative di incremento dell'organico teorico di circa 2.500 unità (confronta decreto-legge n. 101 del 2013; decreto-legge n. 90 del 2014; decreto-legge n. 113 del 2016), dall'altro, con iniziative destinate al rafforzamento delle presenze effettive presso le strutture territoriali dei vigili del fuoco (si veda ad esempio il ripristino del
turn over al cento per cento a decorrere dal 2016). Tali misure hanno permesso di assumere, negli ultimi mesi del 2016, 848 vigili del fuoco, 398 dei quali sono stati assegnati alle sedi di servizio il 5 giugno 2017; mentre i restanti 447 sono stati assegnati il successivo 7 agosto.
  Si soggiunge che, a distanza di quasi nove anni dall'ultimo concorso per vigile dei fuoco, questa Amministrazione è stata autorizzata a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica. Il relativo bando di concorso è stato pubblicato nel mese di novembre 2016 e durante il mese di 4 maggio 2017 è stata già espletata la prova scritta. Si prevede che la procedura concorsuale potrà avere termine entro la fine del prossimo anno.
  Tale misura, oltre a ridurre le carenze di organico del Corpo nazionale, attualmente pari nel complesso a 3.314 unità su un organico di 37.481, consentirà di incidere, attenuandolo parzialmente, sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio. Inoltre, la legge di bilancio n. 232 del 2016 ha previsto l'istituzione di un fondo da ripartire con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, con dotazione di 1.480 milioni di euro per l'anno 2017 e di 1.930 milioni di euro a decorrere dal 2018, per le seguenti finalità: rinnovi contrattuali, assunzioni straordinarie e riordino delle carriere.
  Il 27 febbraio 2017 è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante «ripartizione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 365, della legge 11 dicembre 2016, n. 232», che ha specificato le somme da destinare alle predette finalità.
  In particolare, sono previsti 119,12 milioni di euro per l'anno 2017 e 153,24 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018 da destinare, complessivamente, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente. Tali assunzioni riguarderanno le amministrazioni dello Stato, ivi compresi i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sono stati stanziati 16 milioni di euro che hanno consentito l'assunzione di 400 unità con decorrenza 10 ottobre 2017. Infine, entro la data del 15 dicembre 2017, è prevista l'assunzione di altre 302 unità a copertura del
turn over per l'anno 2016. Tali assunzioni consentiranno sicuramente di ridurre ulteriormente le carenze di organico sopra richiamate.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco costituisce una delle realtà più importanti per la sicurezza dei cittadini, svolgendo quotidianamente attività di prevenzione, vigilanza e soccorso a sostegno di soggetti pubblici e privati grazie al proficuo impegno del proprio personale;

   con la costituzione delle colonne mobili per le emergenze di protezione civile, il personale a disposizione dei vari comandi regionali dei vigili del fuoco può essere chiamato ad intervenire in altre regioni colpite da gravi calamità;

   gli interventi sopra citati sono formati dal contratto collettivo nazionale di lavoro dei vigili del fuoco (articolo 35 e articolo 37) e dalla circolare EM 01/2011;

   con circolare EM 05/2013 è stato stabilito che i mezzi e le attrezzature sono risorse strumentali di uso corrente nelle attività di soccorso tecnico e corrispondono all'insieme delle risorse di due sezioni operative di colonna mobile versione sisma, ciascuna delle quali è costituita da tre mezzi (1 ACT recante sul pianale un container ISO 13 S, 1 AF/Combi e 1 CA/PU);

   la tabella delle dotazioni regionali (aggiornata al 2013) prevede per la direzione regionale Abruzzo, tre sezioni operative, versione alluvione e due sezioni operative versione sisma;

   con nota prot. n. 4952 del 4 giugno 2014 della direzione regionale Abruzzo si conferma che il comando di Chieti ha una versione Sisma ed una versione Alluvione;

   in seguito alle emergenze sismiche di Umbria, Lazio, Marche e Abruzzo del 24 agosto 2016, alle successive del 26 e 30 ottobre ed alle scosse di gennaio 2017, il contingente del Comando di Chieti, su disposizione del centro operativo nazionale, si è regolarmente recato nei territori emergenziali;

   al termine della prima fase emergenziale, da sezione operativa è stata fatta rientrare in sede poiché priva dei mezzi e delle attrezzature non rispondenti al sistema di risposta e di totale interoperabilità fra le sezioni operative versione sisma;

   dal 2 novembre 2016 fino al giugno 2017 una sezione operativa di Chieti, alternandosi ogni otto giorni, è stato impegnato presso il Comando operativo avanzato di L'Aquila per le opere di messa in sicurezza dei fabbricati rimasti colpiti dalle varie scosse telluriche;

   nonostante l'impegno gravoso volto a realizzare le opere provvisionali, al personale del comando di Chieti non sono stati assegnati gli attrezzi e mezzi adeguati più volte auspicati per far fronte alle situazioni emergenziali cui sono chiamati a rispondere, malgrado le varie richieste, di adeguamento ed integrazione, sollecitate dal comando provinciale di Chieti alla direzione regionale Abruzzo –:

   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto riportato in premessa, non intenda destinare con urgenza i mezzi e le attrezzature idonee, tra cui l'autocarro ACT ed il relativo container ISO 13 S, per garantire la sicurezza dei cittadini della provincia di Chieti.
(4-17822)

  Risposta. — il Corpo nazionale dei vigili del fuoco opera, ordinariamente, nei territori di competenza, con personale e mezzi dei distaccamenti, dipendenti dai comandi provinciali, a loro volta coordinati dalle direzioni regionali.
  In caso di calamità, il Corpo nazionale opera anche mediante colonne mobili regionali, con sezioni operative composte da 9 unità di vigili del fuoco, con i relativi mezzi.
  Come disposto dalle circolari EM 1/2011 e EM 5/2013, richiamate nell'interrogazione, le suddette colonne mobili regionali sono allestite, per attrezzature, mezzi e specializzazioni, in relazione alla tipologia di emergenza, che può essere sismica o alluvionale.
  L'intervento delle colonne mobili avviene su disposizione delle direzioni regionali, con il coordinamento del centro operativo nazionale. Qualora l'emergenza abbia carattere locale, la stessa è gestita con risorse interne alla Regione, mentre le calamità più rilevanti vengono gestite con risorse mobilitate in ambito nazionale.
  Le direzioni regionali organizzano la composizione dei convogli di mezzi e il personale per l'invio sullo scenario di calamità.
  Nel merito dell'interrogazione, si segnala che la direzione regionale Abruzzo ha predisposto una apposita pianificazione di emergenza, in base alla quale il Comando dei vigili del fuoco di Chieti è chiamato a fornire 2 sezioni operative in caso di calamità: una per fronteggiare eventi sismici ed una per gli eventi di tipo alluvionale.
  Per meglio ottemperare alla citata previsione, il comando di Chieti ha richiesto alla direzione regionale la fornitura di 1 mezzo ACT dotato di un container del tipo ISO 13S (autocarro per il trasporto del materiale necessario per fronteggiare emergenze sismiche), segnalando, nel contempo l'opportunità di ricevere in assegnazione un mezzo già in sosta presso quella direzione regionale.
  Quest'ultima non ha ritenuto conveniente assegnare il mezzo individuato nella richiesta del comando di Chieti atteso l'elevato costo degli interventi di riparazione di cui necessitava.
  Più in generale, la direzione regionale Abruzzo, valutato complessivamente lo stato di usura dei mezzi già in assegnazione, impiegati nelle aree interessate dal sisma del centro Italia, ha richiesto, nel marzo scorso, al dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, l'assegnazione di mezzi sostitutivi di nuova produzione, tra cui l'ACT individuato dal comando di Chieti.
  Al riguardo, si rappresenta che la gara per l'acquisizione di nuovi ACT con container ISO 13S è stata già esperita e, pertanto, una volta completata la fornitura, una unità di tali mezzi potrà essere destinata alla direzione regionale Abruzzo.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   FASSINA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in provincia di Reggio Calabria, oggi città metropolitana, la ex Cassa per il Mezzogiorno ha realizzato tre dighe: Metramo, Menta e Lordo;

   quella sul Menta, completata nel 1998, a quota di 900 metri sul livello del mare, volume d'invaso di 18 milioni di metri cubi, è destinata all'approvvigionamento idropotabile della città di Reggio Calabria e del suo hinterland;

   quella sul Metramo, completata nel 1998, volume d'invaso di oltre 25 milioni di metri cubi, utilizzata per usi plurimi, è la seconda in Europa per altezza (900 metri sul livello del mare) tra le dighe in «materiali sciolti»;

   quella sul torrente Lordo, a quota di 50 metri sul livello del mare, completata nel 1993, volume d'invaso di 10 milioni di metri cubi, è realizzata per soddisfare le esigenze irrigue della fascia costiera della Locride, costata centocinquanta miliardi di lire;

   le necessità idropotabili dell'area metropolitana di Reggio Calabria dovrebbero essere integrate anche attraverso il prelievo dall'invaso della diga Alaco, in provincia di Vibo, a quota di 900 metri sul livello del mare, con un volume d'invaso di 16 milioni di metri cubi, per usi esclusivamente potabili, completata nel 2001;

   nonostante lo sforzo finanziario sostenuto dallo Stato la situazione degli invasi ad oggi è la seguente:

    il Menta non può essere utilizzato, perché manca il collegato alle condotte adduttrici;

    per il Metramo esiste solo la galleria di derivazione, ma mancano le condotte di adduzione;

    l'Alaco è completo di impianto di potabilizzazione e di adduttori, ma ad oggi non è stato possibile invasarlo;

   l'unico invaso che è stato possibile utilizzare, anche se in forma parziale e per un certo periodo, è stato quello del Lordo. Il collaudo tecnico-amministrativo è stato effettuato nel 1997, mentre il collaudo statico risulta essere in corso;

   nelle more del collaudo statico la diga ha funzionato in esercizio provvisorio e ha assicurato l'irrigazione di una notevole estensione di terreni, assolvendo così alla sua funzione, oltre a migliorare indirettamente l'approvvigionamento potabile;

   l'esercizio provvisorio, per problemi tecnici, è stato sospeso nel 2013 e a tutt'oggi l'invaso non è utilizzato, con notevoli danni per la già debole agricoltura;

   per un utilizzo anche minimo, con invaso parziale, occorrerebbero circa 800.000,00 euro per mettere in sicurezza provvisoria il pozzo dove alloggiano le paratoie di scarico ed il loro sistema di controllo;

   occorrerebbe chiarire per quale motivo, con un accumulo di acqua a 900 metri sul livello del mare che consentirebbe di servire a gravità tutti i centri abitati, che in Calabria si trovano ad una quota massima di 300 metri, i calabresi sono gravati dal dover pagare l'acqua potabile, con un onere annuo aggiuntivo di circa 20/25 milioni di euro per il consumo di energia elettrica necessaria al sollevamento della risorsa dalle falde freatiche delle fiumare fino al punto di utilizzo –:

   per quali motivi, in presenza di una siccità storica a livello nazionale, ci sia quello che appare all'interrogante un disinteresse totale sull'utilizzo di un patrimonio di risorse idriche che non ha eguali in Europa;

   quali siano, in prospettiva, i programmi di utilizzo, ed entro quale data si preveda possano essere realizzati, consentendo, tra l'altro, che i cittadini di Reggio Calabria (città metropolitana) non bevano più acqua salmastra;

   quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, per l'immediato parziale utilizzo dell'invaso sul torrente Lordo, posto che ulteriori ritardi, oltre a problemi per l'agricoltura, possono comportare anche criticità per il corpo della diga, essendo l'opera realizzata in «materiali sciolti»;

   considerato che l'acqua invasata a quota 900 metri sul livello del mare ed utilizzata a quota 300 rende disponibile per la produzione di energia elettrica un salto di metri 600, quali siano le ragioni che hanno portato al grave danno rappresentato dal non aver prodotto energia elettrica dal 2001 (ultimazione della diga Alaco) ad oggi e quali iniziative di competenza si intendano assumere al riguardo.
(4-17563)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Occorre premettere che le competenze istituzionali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) afferiscono, in via principale, alla istruttoria ed approvazione in linea tecnica dei progetti degli impianti di sbarramento, nonché alla vigilanza sui relativi lavori di costruzione e sul successivo esercizio; tali competenze sono finalizzate alla tutela della pubblica incolumità, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge n. 507 del 1994 convertito con legge n. 584 del 1994 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 1363 del 1959. Dalle suddette competenze esulano gli aspetti amministrativi e finanziari della realizzazione delle opere che sono in capo ai concessionari delle derivazioni d'acqua e, ove da questi designati dai gestori delle dighe. La competenza sul procedimento di concessione è regionale.
  Tuttavia nell'ambito del piano operativo infrastrutture FSC 2014-2020 di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, approvato con delibera CIPE n. 54 del 1° dicembre 2016, la direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche è stata individuata, con il decreto ministeriale n. 286 del 14 giugno 2017, quale struttura responsabile dell'attuazione, gestione e monitoraggio degli interventi urgenti di incremento delle condizioni di sicurezza di 101 grandi dighe in Italia, per un importo finanziato totale di 293,3 milioni di euro. Tra le suddette dighe rientrano anche le dighe Menta e Timpa di Pantaleo (Lordo).
  Al riguardo, la suddetta direzione generale ha comunicato di avere di recente inviato per la sottoscrizione, ai rispettivi soggetti attuatori/beneficiari (concessionari e/o gestori degli impianti), gli accordi concernenti gli obblighi ai quali essi sono tenuti per usufruire dei finanziamenti FSC.
  In particolare, per la diga Menta è prevista una assegnazione di complessivi 400.000,00 euro, e per la diga Timpa di Pantaleo una assegnazione di 3.500.000,00 euro. Gli interventi che dovranno essere attuati dai soggetti beneficiari sono finalizzati all'incremento delle condizioni di sicurezza delle dighe e, quindi, favoriranno il completamento delle opere e l'avvio del regolare utilizzo della risorsa idrica.
  Per quanto riguarda le gestioni tecnico-amministrative degli interventi di completamento, le competenze restano in capo ai rispettivi concessionari e gestori.
  Ciò premesso si forniscono, per quanto di competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le informazioni relativamente a ciascuna delle quattro dighe di interesse sulla base delle informazioni acquisite presso la direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche.

  Diga sul torrente Menta nel comune di Roccaforte del Greco (RC): l'impianto è gestito dalla SoRiCal s.p.a. per conto del concessionario regione Calabria ed è destinato alla regolazione annuale della risorsa idrica per uso prevalentemente potabile. La diga, del tipo di materiali sciolti, è stata ultimata nel 2000; attualmente è in corso la fase degli «invasi sperimentali» ai sensi dell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1363 del 1959. Si precisa che tale fase è preordinata al collaudo tecnico-funzionale (articolo 14 del decreto citato), quest'ultimo avente lo scopo di accertare le condizioni di sicurezza delle opere ai fini della tutela della pubblica incolumità. Gli invasi sperimentali, avviati nel dicembre 2009, risultano ad oggi autorizzati fino alla quota di 1422 metri sul livello del mare (quota effettivamente raggiunta nel marzo 2017), corrispondente ad un volume di invaso di circa 16 milioni di metri cubi, a fronte della quota di massima regolazione di progetto di 1424,50 metri sul livello del mare, corrispondente ad un volume di invaso di circa 17,8 milioni di metri cubi. In data 18 agosto 2017 il gestore ha comunicato alla direzione competente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, in accordo col programma approvato degli invasi sperimentali, procederà ad uno svaso del serbatoio fino a quota 1400 metri sul livello del mare e, successivamente, procederà al reinvaso la cui durata dipenderà naturalmente dal regime degli afflussi meteorici. Il collaudo tecnico-funzionale, e quindi l'avvio del regolare esercizio dell'impianto, potrà aver luogo al raggiungimento della quota di massima regolazione, subordinatamente all'esito favorevole dei controlli e delle verifiche condotte nel corso degli invasi citati. Il finanziamento di cui al piano nazionale per le dighe citato in precedenza, riguarda l'esecuzione di studi di aggiornamento e approfondimento geomeccanico, sismico e idraulico, nonché l'adeguamento degli impianti a servizio dello scarico di fondo ed il miglioramento del sistema di monitoraggio e controllo della diga, per un importo complessivo di 400.000,00 euro.
  Per quanto riguarda le opere di presa e di adduzione all'utilizzazione risulta quanto segue: l'opera di presa è stata completata al 95 per cento circa, dovendosi ancora ultimare la parte impiantistica; la galleria a valle della presa è stata ultimata; la torre piezometrica in testa alla condotta forzata (per il co-utilizzo idroelettrico) e il tratto centrale di quest'ultima non sono state ancora realizzate mentre la centrale idroelettrica è stata realizzata in parte, dovendosi ancora installare le apparecchiature elettromeccaniche. In attesa del completamento dei suddetti lavori relativi all'utilizzazione idroelettrica, il gestore, per consentire comunque l'avvio entro la primavera/estate 2018 del servizio idropotabile di Reggio Calabria utilizzando l'acqua invasata dalla diga del Menta, ha consegnato all'Impresa esecutrice, all'inizio dell'agosto 2017, i lavori di costruzione di una condotta di
by-pass fino al potabilizzatore. Secondo le previsioni di progetto, i suddetti lavori dovrebbero essere realizzati entro giugno 2018. Il potabilizzatore risulta sostanzialmente completato così come l'opera di adduzione dal potabilizzatore a Reggio Calabria.
  Diga Timpa di Pantaleo sul torrente Lordo in comune di Siderno (RC): l'impianto, del quale è concessionario e gestore il consorzio di bonifica Alto Ionio Reggino, è destinato alla regolazione annuale della risorsa idrica per gli usi potabile ed irriguo. La diga, del tipo di materiali sciolti, è stata ultimata nel 1993. Nel corso degli invasi sperimentali, in occasione di un sopralluogo con invaso alla quota di massima regolazione di 87,50 metri sul livello del mare (corrispondente ad un volume d'acqua di circa 8,5 milioni di metri cubi), sono state riscontrate perdite anomale e cospicue all'interno del pozzo di accesso alla camera di manovra dello scarico di fondo. Tale circostanza comportò il rinvio del collaudo tecnico-funzionale dell'opera a dopo l'esecuzione dei necessari interventi di ripristino. Successivamente, nel corso di una visita di sorveglianza dell'ufficio tecnico per le dighe di Cosenza, fu accertata la presenza di una lesione strutturale del suddetto pozzo causata da un fenomeno di instabilità interessante le sponde del serbatoio. Data la natura e l'entità dei fenomeni (dissesto franoso su una sponda dell'invaso e dissesto strutturale del pozzo di accesso alla camera di manovra dello scarico di fondo), incompatibili con la gestione in sicurezza dell'impianto, con nota n. 675 del 28 giugno 2013, l'Utd di Palermo – sede di Cosenza ha prescritto al gestore lo svuotamento dell'invaso, operazione conclusasi nel novembre 2013. A tutt'oggi, a causa della perdurante indisponibilità di adeguate risorse finanziarie da parte del concessionario-gestore, non sono stati ancora progettati e realizzati gli interventi necessari di messa in sicurezza e di consolidamento. Per tale motivo, trattandosi di interventi finalizzati anche alla tutela della sicurezza della diga, su proposta della competente direzione generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, come accennato in precedenza, è stato assegnato al concessionario-gestore un finanziamento di 3.500.000,00 di euro nell'ambito del piano nazionale per le dighe. Gli interventi previsti sono finalizzati, principalmente, alla messa in sicurezza del pozzo di accesso alla camera di manovra delle paratoie dello scarico di fondo ed alla stabilizzazione della sponda destra del serbatoio, interventi per i quali potrebbe comunque essere necessario anche il contributo della regione Calabria, in funzione degli esiti delle indagini e della progettazione.
  L'opera di presa e l'adduttore irriguo principale sono stati realizzati e sono stati in esercizio fino al 2013 (anno dello svuotamento dell'invaso). La rete di distribuzione irrigua a valle dell'adduttore principale è stata realizzata solo in parte. Attualmente, la parte di rete di distribuzione già realizzata e funzionante viene alimentata con acque provenienti da un'altra presa della SoRiCal, gestore del servizio idropotabile. Per quanto riguarda l'uso idropotabile, la SoRiCal s.p.a. ha riferito che il potabilizzatore e le condotte di adduzione ai serbatoi comunali sono stati già realizzati.

  Diga di Mamone sul fiume Alaco nel comune di San Sostene (CZ): l'impianto è gestito dalla SoRiCal s.p.a. per conto del concessionario regione Calabria ed è destinato alla regolazione annuale della risorsa idrica per uso prevalentemente potabile. La diga, del tipo di calcestruzzo a gravità, è stata ultimata nel 2002 ed è entrata in esercizio regolare a seguito dell'approvazione con prescrizioni, da parte di questo Ministero (nota n. 16422 del 14 luglio 2017), degli atti di collaudo ex articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1363 del 1959. Le opere di presa, adduzione e potabilizzazione sono state già realizzate.
  Diga di Castagnara sul fiume Metramo nei comuni di Galatro e S. Pietro di Carità (RC): l'impianto, del quale è concessionario e gestore il Consorzio di bonifica Alto Ionio Reggino, è destinato alla regolazione annuale della risorsa idrica per uso prevalentemente irriguo. La diga, del tipo di materiali sciolti, e le relative opere di scarico sono state ultimate nel 1994 e sono entrate in esercizio regolare a seguito dell'approvazione con prescrizioni, da parte degli uffici competenti di questo Ministero (nota n. 15123 del 2017), degli atti di collaudo
ex articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1363 del 1959.
  Dalle informazioni acquisite, le opere di derivazione non sono state ancora ultimate, dovendosi realizzare circa 2000 metri di galleria in pressione sui 4416 metri previsti in progetto. Dalle informazioni acquisite risulta che i lavori sono stati interrotti a seguito della rescissione del contratto con l'impresa appaltatrice. Risulterebbe, altresì, che la regione Calabria abbia intenzione di finanziare uno studio di fattibilità per lo sfruttamento anche idroelettrico dell'acqua invasata dalla diga previa rimodulazione della concessione, al fine di consentire il completamento dei lavori anche con l'intervento finanziario di soggetti, privati.
  Il comprensorio irriguo a valle della diga viene comunque servito tramite rilascio diretto in alveo e successivo sollevamento mediante impianto di pompaggio in località Molino, nel comune di Laureana di Borrello (RC).

  In merito agli aspetti di concessione e programmazione dell'uso della risorsa idrica si rileva che tali competenze non fanno capo a questo Ministero bensì alla regione Calabria e, per gli aspetti pianificatori, all'Autorità di distretto idrografico dell'Appennino meridionale.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'ancora irrisolta questione dell'apertura stagionale del distaccamento dei vigili del fuoco di Lignano continua a suscitare apprensione;

   organizzazioni sindacali e comandante provinciale territorialmente competente dei vigili del fuoco avrebbero in effetti deciso insieme di rinunciare all'apertura del distaccamento, in quanto ne mancherebbero le precondizioni;

   pare che a determinare questa conclusione abbiano decisivamente contribuito insanabili carenze di personale, ma anche l'inadeguatezza della sede, come lasciano intuire le indiscrezioni concernenti il suo trasferimento a Latisana, dove sarebbe invece disponibile un immobile nuovissimo;

   non sarebbero stati sufficienti a sbloccare la situazione i fondi messi a disposizione dei vigili del fuoco di Lignano, pari a 16 mila euro, del tutto inadeguati in rapporto alla necessità di reperire sedi idonee ad ospitare il personale distaccato ed i suoi mezzi;

   nel periodo estivo stazionano a Lignano non meno di 100 mila persone;

   nel frattempo, tarda a materializzarsi anche la convenzione tra regione Friuli-Venezia Giulia e la direzione regionale dei vigili del fuoco, uno strumento essenziale al regolare svolgimento delle attività del soccorso tecnico urgente, usualmente siglata già ai primi di luglio –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere per assicurare al comune di Lignano la presenza di un distaccamento dei vigili del fuoco nella stagione estiva.
(4-17270)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame si informa in primo luogo che il servizio di soccorso tecnico urgente della provincia di Udine viene assicurato dalla distribuzione sul territorio di 6 sedi permanenti e di 11 sedi volontarie; più precisamente, dai distaccamenti permanenti di Tarvisio, Tolmezzo, Gemona del Friuli, Cividale del Friuli, Cervignano del Friuli e Lignano Sabbiadoro (stagionale) e da quelli volontari di Cividale del Friuli, Cercivento e Sutrio, Codroipo, Forni di Sopra, Forni di Sotto, Latisana, Lignano Sabbiadoro, Paularo, Pontebba, Rigolato, San Daniele del Friuli, Forni Avoltri.
  In generale, tale dislocazione di presidi risulta sufficiente a coprire le esigenze del soccorso provinciale, ma il notevole afflusso turistico del periodo estivo rende a volte necessaria l'adozione di interventi speciali; in particolare, è quanto avviene nel territorio di Lignano Sabbiadoro, che in estate vede la sua popolazione raggiungere la soglia delle 500 mila persone (con una densità turistica, secondo i dati forniti dall'Osservatorio del turismo, di circa 100 presenze per chilometro quadrato).
  In passato, negli anni 2015 e 2016, presso la sede del distaccamento volontario di Lignano Sabbiadoro è stata approntata nei mesi estivi una squadra di vigili permanenti supportata da idonei automezzi (APS, ABP, Autoscala, imbarcazione per soccorso acquatico); il personale impiegato ha svolto prestazioni di lavoro straordinario ed è stato retribuito in parte con i fondi derivanti da un'apposita convenzione del 2015 con il comune di Lignano Sabbiadoro, in parte con i fondi derivanti dalla convenzione AIB regionale.
  Per quanto riguarda invece il 2017, il distaccamento stagionale di Lignano è stato aperto dal 4 al 29 agosto grazie ai fondi stanziati dal comune e dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia.
  Va comunque osservato che, già dal mese di luglio, il vicino distaccamento di Latisana ha assicurato la copertura dell'intera area, ivi compresa quella di Lignano (raggiungibile in meno di 15 minuti attraverso un sistema viario a elevato scorrimento, dotato di più corsie).
  La predetta sede risulta, tra l'altro, più funzionale rispetto a quella di Lignano in quanto consente una maggiore copertura per gli interventi di soccorso sull'autostrada A4; Latisana si trova infatti in una posizione baricentrica rispetto all'asse compreso tra Portogruaro e S. Giorgio di Nogaro, tratto in cui gli incidenti sono aumentati in modo considerevole a causa dei cantieri di lavoro aperti per la realizzazione della terza corsia.
  Per quanto concerne, infine, la convenzione tra questa amministrazione e la regione autonoma Friuli Venezia Giulia alla quale fa riferimento l'interrogante, si informa che è stata firmata lo scorso 5 settembre. Sulla base di tale convenzione, peraltro relativa alla campagna AIB contro gli incendi boschivi, si è resa quindi possibile l'ulteriore implementazione, per il periodo estivo, del dispositivo di soccorso.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   con deliberazione consiliare n. 47 del 2013 il comune di Levico Terme ha approvato una variante al piano regolatore generale per l'aggiornamento del piano di tutela degli insediamenti storici sulla base della disciplina urbanistica dettata dall'allora vigente legge della provincia di Trento 1/2008, fissando il termine al 15 dicembre 2013 per osservazioni al piano e inviando gli atti al servizio urbanistica per il parere prescritto dalla citata norma;

   successivamente, la legge provinciale per il governo del territorio n. 15 del 2015, ha introdotto una nuova disciplina urbanistica per i centri storici, modificando le modalità per l'approvazione di una variante al piano regolatore generale;

   l'articolo 121, comma 12, della suddetta legge prevede che alle varianti in corso di approvazione si applicano le nuove norme e stabilisce un termine perentorio di 120 giorni dalla data di ricevimento del menzionato parere per procedere all'adozione definitiva della variante, pena l'estinzione del procedimento;

   con deliberazione consiliare n. 26 del 2016, il comune di Levico Terme ha approvato la variante in via definitiva accogliendo le osservazioni pervenute, quasi due anni fuori termine e con modalità non conformi alle disposizioni della legge provinciale 15/2015;

   come si apprende dalla risposta all'interrogazione provinciale a risposta scritta, n. 3460 del 2016, la giunta provinciale, posta di fronte a quelle che appaiono palesi irregolarità, non ha approvato nel termine prescritto di 60 giorni la variante in argomento;

   al fine di sanare le irregolarità è stato quindi approvato un emendamento all'articolo 46 della legge provinciale 29 dicembre 2016, n. 20, che ha modificato l'articolo 121, comma 12-bis, della legge 15/ 2015, in base al quale, la seconda adozione di una variante cui procedimento è stato avviato prima dell'entrata in vigore della legge provinciale 15/2015 e per la quale l'adozione definitiva è intervenuta oltre il termine perentorio dei 120 giorni dal ricevimento del parere del servizio urbanistica, può essere ritenuta valida come prima adozione della stessa;

   a parere dell'interrogante, la legge provinciale n. 20 del 2016, nel dettare una nuova disciplina della materia, si configura come una legge provvedimento che incide sul procedimento amministrativo in relazione al quale la pubblica amministrazione ha consumato il proprio potere, operando una sorta di rimessione in termini, con il chiaro ed esclusivo intento di convalidare ex post una sequenza provvedimentale che appare illegittima, in palese contrasto con i principi di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa di cui all'articolo 97 della Costituzione e con i criteri di ragionevolezza e non arbitrarietà;

   dall'interrogazione provinciale n. 3893 del 2017, si evince che tale variante risulterebbe affetta da plurimi profili di irregolarità e non sarebbe conforme alla disciplina urbanistica dei centri storici introdotta dalla legge provinciale 15/2015;

   la Corte costituzionale in più occasioni ha rimarcato che la legittimità delle leggi provvedimento deve essere verificata attraverso uno scrutinio stretto di costituzionalità, condotto alla stregua del principio di ragionevolezza nelle sue molteplici declinazioni di non arbitrarietà, di proporzionalità, di adeguatezza, di congruità anche in considerazione del pericolo di disparità trattamento insito in previsione di tipo particolare o derogatorio (ex plurimis, le sentenze nn. 2 e 153/1997; 288/2008; 270/2010). Ciò anche quando la funzione legislativa è stata attivata al fine di aggirare la sequenza procedimentale prescritta in ordine all'adozione di una determinazione concreta, eludendo l'osservanza della relativa procedura già normativamente prevista (sentenza n. 67/2010) –:

   se il Governo intenda assumere le iniziative di competenza per sollevare la questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, in relazione all'articolo 46, comma 6, della legge della provincia di Trento n. 20 del 2016 con riferimento ai profili in premessa.
(4-15299)

  Risposta. — La legge della provincia autonoma di Trento n. 20 pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione n. 52 del 30 dicembre 2016 recante «Legge di stabilità provinciale 2017» è stata oggetto di una complessa istruttoria durante la quale sono pervenuti da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero della salute, talune osservazioni e rilievi di illegittimità costituzionale, nessuno dei quali, tuttavia, relativi all'articolo 46, comma 6, concernente i procedimenti di adozione di varianti al Piano regolatore generale avviati prima della data di entrata in vigore stessa legge provinciale.
  Premesso che, come noto, ai sensi dell'articolo 8, punto 5, dello statuto speciale di autonomia della regione Trentino Alto Adige, la provincia autonoma di Trento gode di competenza legislativa primaria in materia di urbanistica e piani regolatori, si segnala che i competenti Ministeri delle infrastrutture e beni e delle attività culturali, pure coinvolti nell'istruttoria sulla legge provinciale, non hanno rilevato alcuna criticità in relazione alla norma oggetto dell'interrogazione.
  Si soggiunge che il Governo, nel Consiglio dei ministri del 23 febbraio 2017 ha deliberato l'impugnativa dell'articolo 10 comma 2, lettera
d), della legge regionale di cui trattasi, in materia di sanzioni carico degli enti locali del sistema territoriale provinciale integrato.
  

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Gianclaudio Bressa.


   FRACCARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   nel memoriale conclusionale del giudizio di parificazione sul rendiconto generale esercizio 2016 della provincia autonoma di Trento, il vice-procuratore regionale Giuseppe Teti, rappresentante il pubblico ministero presso la Corte dei conti del Trentino-Alto Adige, ha chiesto: «la non parificazione del risultato di amministrazione emergente dall'esercizio 2016 perché illegittimamente — in violazione del giudicato – imputato a riaccertamento straordinario piuttosto che a cancellazione di residui attivi per insussistenza del credito. Pertanto, in difetto delle ragioni del credito impropriamente accertato nel 2015, ammontante a complessivi euro 417.132.952 euro circa, mantenendo nonostante la mancata parifica delle corrispondenti fonti di entrata (decisione n. 3/2016), si impone di rettificare il risultato di amministrazione al 31 dicembre 2015, dando evidenza del disavanzo effettivo a detta data, da applicarsi al bilancio di previsione 2016-2018, e adottando le conseguenti misure idonee a garantire la sua copertura nel termine ordinario triennale; b) per effetto, la non parificazione del conto consuntivo per il 2016 nella parte in cui non garantisce il mantenimento degli equilibri generali del bilancio, per impropria ed errata imputazione all'esercizio di una minore quota parte del disavanzo complessivo rispetto a quello di competenza; c) la non parificazione del conto consuntivo 2016 nella parte in cui ha preteso di coprire il disavanzo mediante il realizzo dei medesimi crediti ritenuti non sussistenti per difetto del titolo giuridico»;

   il richiamo del vice-procuratore ha messo in luce una criticità dal rilevante importo finanziario che, sebbene il presidente della provincia abbia deciso di minimizzare (Provincia, schiaffo ai giudici — Bilancio, ignorato il richiamo della Corte dei conti di L.P. – L'Adige 7 luglio 2017), potrebbe pesare sul futuro bilancio della provincia autonoma di Trento in ragione del fatto che alcuni crediti vantati nei confronti dei comuni per somme anticipate per abbattere mutui dei comuni stessi e delle partecipate sono stati considerati una posta attiva e utilizzati in quanto tali per il pareggio del bilancio quando invece avrebbero dovuto essere rappresentati nella voce dei residui attivi insussistenti;

   dubbi sulla regolarità delle procedure contabili della provincia sono stati recentemente sollevati anche dall'economista e docente universitario Stefano Zambelli, il quale ha denunciato pubblicamente le opacità sulle modalità di accumulo del debito di 223.453.537 euro della provincia nei confronti dell'università degli studi di Trento e sul calcolo dei costi relativo piano di rientro;

   a giudizio dell'interrogante, i rilievi sulla parificazione del bilancio e i risvolti del dibattito pubblico sul debito della provincia nei confronti dell'università determinano l'urgente necessità di arricchire la conoscenza sul contesto e sulle modalità di gestione della finanza pubblica nella provincia autonoma di Trento e di rendere pubblici i resoconti e le analisi a disposizione del Governo a tal riguardo;

   l'azione svolta dai servizi ispettivi di finanza pubblica rappresenta uno degli ambiti di attività della Ragioneria Generale dello Stato finalizzati il controllo ed alla conoscenza delle dinamiche che attraversano il complesso ed eterogeneo mondo delle autonomie e le finalità dell'attività ispettiva vengono espletate attraverso verifiche amministrativo-contabili e segnalazioni agli organi giurisdizionali e consistono nel ricondurre ad economicità e legittimità le gestioni pubbliche, nel verificare la regolare produzione dei servizi e nel suggerire i provvedimenti dai quali possono derivare economie nella gestione del bilancio –:

   se, dal 2015 ad oggi, i servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato abbiano svolto verifiche sulla gestione finanziaria della provincia autonoma di Trento, con particolare riferimento all'eventuale scostamento dagli obiettivi di finanza pubblica, ovvero se intenda assumere iniziative in tal senso, per quanto di competenza, in relazione alla situazione attuale, rendendone pubbliche le relative risultanze.
(4-17287)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, concernente alcune problematiche riscontrate nella gestione finanziaria della provincia autonoma di Trento e rilevate dalla Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione sul rendiconto dell'esercizio finanziario 2016.
  Si chiede, in particolare, se si intenda promuovere una verifica amministrativo-contabile da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica al fine di verificare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica da parte della provincia autonoma di Trento.
  Al riguardo si evidenzia che l'art. 14, comma 1, lettera
d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità e finanza pubblica), prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento della ragioneria generale dello Stato possa «effettuare, tramite i servizi ispettivi di finanza pubblica, verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione delle regioni e della province autonome di Trento e di Bolzano».
  L'esclusione delle autonomie territoriali dall'attività di controllo dei servizi ispettivi di finanza pubblica è stata confermata anche dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 182 del 1997 e n. 228 del 1993.
  Pertanto, la richiesta di attivare una verifica amministrativo contabile presso la provincia autonoma di Trento non può trovare accoglimento per le motivazioni sopra esposte.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Pier Paolo Baretta.


   GALLINELLA, PARENTELA, L'ABBATE, GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo n. 177 del 2016 ha, tra l'altro ripartito i compiti e le attività tra Arma dei carabinieri, il Corpo della Guardia di finanza, la polizia di Stato e il corpo nazionale dei vigili del fuoco a seguito della soppressione del Corpo forestale dello Stato;

   in particolare, relativamente all'attività di contrasto agli incendi boschivi, il decreto attribuisce al Corpo nazionale dei vigili del fuoco la sola competenza di lotta e spegnimento (articolo 9 del decreto legislativo n. 177 del 2016), mentre attribuisce quella di prevenzione e repressione delle violazioni compiute in materia all'Arma dei carabinieri (articolo 7 del decreto legislativo n. 177 del 2016);

   questa suddivisione di competenze su una stessa, importante, tematica, potrebbe creare una frammentazione che rischierebbe di compromettere l'efficacia degli interventi, come sottolineato in diversi documenti dalla Conapo — Sindacato autonomi dei vigili del fuoco, che lamenta, tra l'altro, l'enorme disparità di uomini del Corpo forestale dello Stato trasferiti all'Arma (circa 7000) e allo stesso, Corpo nazionale dei vigili del fuoco (390);

   tali numeri di fatto penalizzano le attività dei vigili del fuoco, che già soffrono una situazione di sotto organico nonché di disparità di trattamento economico e di carriera rispetto agli altri Corpi di Stato e che da anni reclamano una riforma delle mansioni e delle responsabilità: sempre più spesso chi fisicamente si occupa della gestione degli incendi è sottopagato rispetto a chi impartisce ordini dagli uffici, ma allo stesso tempo risponde completamente della responsabilità dell'azione sul campo;

   in uno dei documenti del Conapo si evince inoltre che non esiste al momento un elenco di tutti i mezzi terrestri ed aerei del Corpo forestale dello Stato destinati al transito in altre amministrazioni, con particolare riferimento a quelli di contrasto, prevenzione e repressione degli incendi boschivi, di cui certamente il Corpo nazionale dei vigili del fuoco avrebbe bisogno;

   a queste problematiche si aggiunge quella dell'incertezza del destino degli elicotteri modello «NH 500», finora in dotazione al Corpo forestale dello Stato e che sono stati utilizzati per il pattugliamento e l'estinzione degli incendi boschivi e che, oltre al personale del Corpo forestale dello Stato che confluirà degli altri corpi, potrebbero facilmente essere utilizzati — considerata la tipologia di addestramento — dai vigili del fuoco più facilmente che dai carabinieri;

   un altro aspetto che appare poco chiaro, relativamente all'attribuzione di competenze tra Corpo nazionale dei vigili del fuoco e carabinieri, è quello della gestione degli incendi all'interno dei parchi naturali, la cui disciplina appare ancora poco chiara –:

   se, in base a quanto esposto in premessa, non si ritenga penalizzante per l'efficacia dell'azione di contrasto agli incendi boschivi, la suddivisione delle competenze tra Corpo nazionale dei vigili del fuoco e Arma dei carabinieri;

   se non si ritenga che il numero del Corpo forestale dello Stato transitato nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco sia troppo esiguo rispetto alle esigenze di azione previste e dislocate in tutto il Paese, specie a fronte della situazione già critica del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

   dove siano effettivamente destinati i mezzi del Corpo forestale dello Stato, con particolare riferimento agli elicotteri «NH 500», che potrebbero rappresentare una importante risorsa di contrasto agli incendi boschivi;

   come si intenda disciplinare la gestione degli incendi nei parchi naturali, considerando che al momento le competenze di vigili del fuoco e dei carabinieri appaiono sovrapposte e confuse.
(4-15166)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante esprime la propria preoccupazione circa i possibili malfunzionamenti del servizio «antincendi boschivo» (AIB) che potrebbero essere stati causati dalla suddivisione di competenze tra il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e l'Arma dei carabinieri attuata con il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177.
  In primo luogo, si comunica che la competenza primaria in merito alla materia dello spegnimento degli incendi boschivi è attribuita alle regioni, ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, salvo lo spegnimento con mezzi aerei di competenza dello Stato.
  Tale assetto di competenze è stato confermato e rafforzato, a favore delle regioni, dalla legge quadro sugli incendi boschivi 21 novembre 2000, n. 353, che ha attribuito alle stesse il compito di definire e programmare, mediante apposito «piano regionale», le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi.
  In conseguenza dell'assorbimento del Corpo forestale dello Stato, l'unico Corpo dello Stato che può, su richiesta delle regioni, concorrere alla lotta a terra degli incendi boschivi è il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Tanto premesso, si rappresenta che, in materia di incendi boschivi, il decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177 – recante la razionalizzazione delle funzioni di polizia e l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato, in attuazione della delega prevista dall'articolo 8, comma 1, lettera
a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche attribuisce differenti competenze all'Arma dei carabinieri e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Nello specifico, il citato decreto legislativo n. 177 del 2016, in materia di contrasto agli incendi boschivi, attribuisce all'Arma dei carabinieri le funzioni di prevenzione e repressione delle violazioni di settore, nonché il monitoraggio del territorio con la raccolta, l'elaborazione, l'archiviazione e la diffusione dei dati, anche relativi alle aree percorse dal fuoco.
  Al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, invece, sono affidati, l'esercizio, in concorso con le regioni, delle funzioni di contrasto degli incendi boschivi con l'ausilio di mezzi da terra e aerei, il coordinamento delle operazioni di spegnimento, d'intesa con le regioni, anche per quanto concerne l'impiego dei gruppi di volontariato antincendi, nonché la partecipazione alla struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali, ai sensi delle disposizioni legislative vigenti.
  Al fine di chiarire il quadro delle rispettive competenze e di stabilire ogni utile sinergia operativa tra l'Arma dei carabinieri e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, potenziando le rispettive funzionalità e organizzazioni, il 5 aprile 2017 è stato firmato un protocollo d'intesa volto a migliorare ulteriormente l'efficacia degli interventi. Ciò anche in relazione al fatto che il fenomeno degli incendi boschivi rappresenta una delle emergenze ambientali più critiche per il nostro Paese.
  Tale protocollo, oltre a definire e disciplinare gli ambiti di intervento e le attività di collaborazione in materia di contrasto agli incendi, declina le attività delle suddette amministrazioni. Inoltre, definisce anche forme di, collaborazione nelle operazioni di spegnimento degli incendi boschivi attraverso la disponibilità alla reciproca collaborazione tecnica.
  In particolare, l'Arma dei carabinieri:

   svolge attività di prevenzione attraverso i servizi di controllo del territorio, anche aerei, nonché la verifica degli adempimenti da parte dei soggetti pubblici e privati tenuti ad osservare le disposizioni normative di settore;

   acquisisce segnalazioni di incendi boschivi che giungono al numero di pubblica utilità «1515» e li trasferisce al numero di emergenza 115;

   espleta attività investigative, avvalendosi delle proprie componenti specializzate che operano a sostegno o con il supporto dei reparti dell'organizzazione territoriale, intervenendo nelle zone interessate;

   monitora le aree percorse dal fuoco e agli accertamenti conseguenti agli incendi boschivi che prevedono attività di rilievo e di perimetrazione delle aree interessate.

  Il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, oltre alle attribuzioni istituzionalmente spettanti allo stesso, vede confermato l'esercizio, in concorso con le Regioni, delle competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi, come definite dall'articolo 7, comma 1, della legge n. 353 del 2000, ivi comprese quelle inerenti:

   l'ausilio di mezzi da terra e aerei;

   il coordinamento delle operazioni di spegnimento, d'intesa con le regioni, anche per quanto concerne l'impiego dei gruppi di volontariato antincendi;

   la partecipazione alla struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali.

  Per quanto concerne la gestione degli incendi nei parchi naturali e nelle aree naturali protette, l'intesa copre anche questo specifico tema richiamato nell'interrogazione, prevedendo che l'Arma attiverà tempestivamente il Corpo nazionale per gli interventi di spegnimento, secondo procedure operative condivise.
  Un analogo strumento utile a fare chiarezza nei compiti svolti dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco e, quindi, anche degli ex appartenenti al Corpo forestale dello Stato, è stato predisposto, in data 4 maggio 2017, presso la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. In tale sede è stato sancito l'accordo quadro tra il Governo e le regioni, in materia di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi che individua i criteri generali, i principi direttivi e le modalità della collaborazione tra il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e le regioni, nell'esercizio dei rispettivi compiti in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e di concorso del Corpo stesso alle predette attività.
  Tale accordo va a integrare ulteriormente il quadro delle iniziative assunte dal Ministero dell'interno – a seguito del trasferimento dei compiti del Corpo forestale dello Stato – allo scopo di prevenire su tutto il territorio nazionale, per quanto possibile, eventuali disfunzioni operative in materia di lotta attiva agli incendi boschivi.
  Anche grazie a tale iniziativa, sono state successivamente stipulate diverse convenzioni con le regioni che hanno manifestato un interesse in tal senso; nel dettaglio, al 31 agosto 2017 erano 15 gli atti convenzionali sottoscritti. Si evidenzia al riguardo come tali strumenti risultino particolarmente significativi in quanto, oltre a prevedere diverse forme di collaborazione, consentono di acquisire, tra l'altro, un'ulteriore implementazione dei dispositivi di lotta a terra agli incendi boschivi grazie alla previsione di squadre del corpo all'uopo dedicate.
  Per quanto concerne l'emanazione dei decreti attuativi previsti dal citato decreto legislativo n. 177 del 2016, si rappresenta che il decreto interministeriale previsto dall'articolo 13 – finalizzato al trasferimento delle risorse logistiche, strumentali e finanziarie – è stato sottoscritto il 21 luglio 2017 dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e dagli altri Ministri concertanti.
  L'emanazione di tale provvedimento, costituendone il necessario presupposto, consentirà in tempi brevi anche l'adozione del decreto interministeriale previsto dall'articolo 9, comma 2, recante disposizioni attuative per l'istituzione, nell'ambito del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, del servizio antincendio boschivo e la sua articolazione in strutture centrali e territoriali.
  Nelle more, questo Dicastero – per il tramite del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile – ha comunque adottato i provvedimenti necessari allo svolgimento delle attività previste dal citato decreto legislativo. In particolare, il personale del Corpo forestale dello Stato effettivamente trasferito al Ministero dell'interno è stato inquadrato, con decreto 28 dicembre 2016, n. 3198, nei nuovi ruoli AIB a esaurimento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; sin da gennaio, sono state inoltre attivate con l'ENAC le procedure per il mantenimento delle condizioni di aeronavigabilità dei mezzi aerei transitati al Corpo nazionale dalla forestale.
  Si aggiunge che, a seguito del trasferimento del personale aeronavigante del Corpo forestale dello Stato, sono stati istituiti i nuovi reparti di volo di Cecina, Lametia Terme e Rieti. Per garantire lo svolgimento dell'attività di indirizzamento degli interventi aerei, si è infine provveduto a formare quasi 800 unità di personale del Corpo per l'esercizio della funzione di direttore delle operazioni di spegnimento (D.O.S.). Tale numero verrà ulteriormente ampliato ed è già stato programmato lo svolgimento dei prossimi corsi di formazione.
  Per quanto riguarda invece l'assegnazione dei velivoli e delle basi aeree del Corpo forestale dello Stato all'Arma dei carabinieri, si comunica che questa è stata determinata a seguito di intese interforze, avuto riguardo alla ripartizione delle funzioni attribuite alle istituzioni interessate dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177 in materia ambientale, agroalimentare e forestale, il cui esercizio si avvale anche delle potenzialità delle ricognizioni aeree.
  In conseguenza a ciò, il servizio aereo dell'Arma è stato rimodulato e sono stati istituiti tre nuovi nuclei elicotteri Carabinieri, a Rieti, Pescara e Roma Urbe; è stato inoltre ridislocato a Belluno il nucleo elicotteri Carabinieri di Treviso, con vantaggi – sia sul piano funzionale e logistico, oltreché economico – legati alla possibilità di impiegare le capacità manutentive autonome dell'Arma.
  Si precisa che i 16 elicotteri trasferiti all'Arma dei carabinieri sono stati tutti iscritti nel registro degli aeromobili militari (RAM) dalla direzione degli armamenti aeronautici e per l'aeronavigabilità del segretariato generale della difesa e, pertanto, sono in condizioni di aeronavigabilità; non sono stati sostenuti oneri per l'adeguamento dei velivoli e per le procedure di conversione delle licenze di piloti e di specialisti, né per l'uso delle basi aeree.
  Si informa anche che l'Arma dei carabinieri è subentrata nei contratti di supporto logistico già siglati dal Corpo forestale dello Stato per i propri aeromobili e ha avviato le procedure di riefficientamento per i velivoli acquisiti dal Corpo, privi di pacchetto manutentivo.
  In merito poi alla linea di volo NH500, alla quale fa riferimento l'interrogante, si informa che tutti gli elicotteri sono operativi, salvo quelli fermi per le ordinarie attività di manutenzione e due in riparazione straordinaria.
  Per quanto riguarda gli altri elicotteri in dotazione si aggiunge inoltre che gli AB412 sono operativi, salvo quattro fermati in manutenzione ordinaria e uno acquisito in stato di grave avaria (che probabilmente verrà dismesso non convenendone il ripristino), mentre per i 3 A109N, preservati dall'aprile 2014 in attesa di poter essere avviati a manutenzione di lungo tempo, è stata attivata la procedura di recupero in efficienza secondo programmi compatibili con le risorse a bilancio; l'aereo P180 infine, la cui gestione era affidata all'Aeronautica militare, è stato acquisito inefficiente ed è stato ricoverato presso la ditta Piaggio per attività di manutenzione e per lo svolgimento delle ispezioni periodiche scadute.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   GALPERTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in data 27 agosto 2012, a firma del dottor Silvano Toso, l'Ispra diramava la nota, contrassegnata come allegato 1, avente come oggetto «Limitazioni dell'attività venatoria in relazione alla situazione climatica esistente»;

   in data 28 agosto 2017, a firma del dottor Piero Genovesi, l'Ispra parimenti emetteva una nota, contrassegnata come allegato 2, avente come oggetto «Limitazioni all'attività venatoria a causa della siccità e degli incendi che hanno colpito il Paese»;

   i due documenti, in particolare nella parte in cui si evidenziano le misure da adottare, presentano molti elementi di identità;

   viceversa, i mutamenti climatici e le conseguenze che ne derivano richiedono alla comunità scientifica un continuo aggiornamento di condizioni di dati, di verifiche e di rimedi prescrittivi –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della circostanza di cui in premessa;

   quali siano state le modalità di ricerca messe in campo dall'Istituto per la ricerca e la protezione ambientale per redigere la nota in questione;

   come giustifichi la coincidenza in numerosi punti dei due testi, vergati a cinque anni di distanza e da due diversi studiosi, circostanza che a giudizio dell'interrogante, conferma, in materia, una linea non precostituita ma costante, precisa e, soprattutto, immutevole.
(4-17874)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle limitazioni dell'attività venatoria a causa della siccità e degli incendi che hanno colpito il Paese, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La grave crisi ambientale verificatasi durante la stagione estiva, caratterizzata dalla diffusione di numerosi ed estesi incendi boschivi, oltre che da una prolungata siccità, ha determinato una protratta condizione di rischio per la conservazione della fauna selvatica in ampi settori del territorio. Alla luce di tale situazione, l'esercizio dell'attività venatoria a carico di talune specie può rappresentare un ulteriore motivo di aggravamento delle condizioni demografiche delle popolazioni interessate, non solo nelle aree percorse dagli incendi, ma anche nei settori limitrofi e interclusi allorquando l'azione del fuoco abbia interessato percentuali importanti del territorio e quando gli incendi si siano succeduti nell'arco degli ultimi anni negli stessi comprensori. Si ritiene pertanto necessaria l'adozione di misure di limitazione del prelievo sulla base delle risultanze di specifiche iniziative di monitoraggio soprattutto a carico delle popolazioni di fauna selvatica stanziale o nidificante, potenzialmente oggetto di prelievo venatorio.
  La sospensione dell'attività venatoria per calamità naturali o altre situazioni che potrebbero compromettere la tutela della fauna selvatica, rientra tra le competenze regionali, come stabilito dall'articolo 19 della legge n. 157 del 1992 che norma le modalità con cui le regioni devono intervenire in contesti del genere. In particolare, si ritiene utile un'estensione per almeno due anni del divieto di caccia in tutte le aree percorse dal fuoco, come già previsto dalla legge n. 353 del 2000 per le sole aree boscate, nonché ad una fascia contigua alle aree medesime, le cui dimensioni devono essere stabilite caso per caso in funzione delle superfici incendiate, della loro distribuzione e delle caratteristiche ambientali delle aree circostanti. Per tale ragione, Ispra, richiamando quanto previsto dalla legge n. 157 del 1992, articolo 19, comma 1, ha ritenuto di inviare, anche quest'anno, una nota alle regioni nella quale, anche in base al principio di precauzione, si sottolinea l'opportunità di adottare alcune indicazioni generali e provvedimenti cautelativi in occasione della stagione venatoria in corso, da valutare caso per caso a carico delle amministrazioni regionali medesime, fra i quali il divieto di caccia in pre-apertura, atti ad evitare che popolazioni, ricadenti nei territori interessati da incendi e condizioni climatiche estreme, possano subire ulteriori danni.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si rassicura che il Ministero continuerà a tenere alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO, GRILLO, LOREFICE, DI VITA e NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in data 31 maggio 2016 il consiglio regionale della Campania ha approvato la proposta di legge «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura dei direttori delle Aziende Sanitarie e ulteriori misure di razionalizzazione» che modifica, in maniera sostanziale, il meccanismo di nomina dei direttori generali del servizio sanitario regionale della Campania, sopprimendo il secondo livello di valutazione da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali di cui all'articolo 3-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni;

   con la citata legge, approvata il 31 maggio 2016, il presidente della giunta nomina il direttore generale direttamente tra i soggetti iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni ed è stata quindi soppressa la previsione che il presidente della giunta regionale, su conforme deliberazione della giunta stessa, nomini il direttore generale all'interno di una rosa di cinque candidati che hanno ottenuto i migliori punteggi, a seguito della valutazione dei titoli e dei requisiti posseduti dagli idonei che hanno partecipato all'avviso;

   il Presidente della regione Campania Vincenzo De Luca, nelle riunioni di giunta del 13 e 20 luglio 2016, ha provveduto sulla base della nuova legge varata dalla regione alla nomina dei direttori generali: dell'Asl Napoli 1, dell'Asl Napoli 2, dell'Asl Napoli 3, dell'azienda ospedaliera dei Colli, dell'Asl Caserta, dell'Asl Salerno;

   a seguito dell'interpellanza urgente 2-01388 e dell'interrogazione a risposta immediata in commissione 5-09157 sono stati illustrati i profili di incostituzionalità della citata legge regionale per palese contrasto con le norme nazionali ovvero con il decreto legislativo n. 502 del 1992 e con la legge n. 124 del 2015 (cosiddetta delega Madia), norme entrambe che costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione che, al terzo comma, prevede che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato; nel caso di specie il principio fondamentale è in materia di tutela della salute;

   in occasione della discussione della citata interpellanza, il sottosegretario alla salute Vito De Filippo, ha fatto presente che nell'ambito dell'istruttoria da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri sarà garantita la massima attenzione tenuto conto della materia così delicata come quella indicata dalla interpellanza sopra richiamata del M5S ed ha aggiunto che riguardo ai profili d'incostituzionalità sia fondamentale, anche soprattutto proprio la citata «legge delega Madia» e lo schema di decreto legislativo di imminente attuazione (poi varato il 28 luglio 2016);

   in riferimento all'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-09157, riferita alla legge della regione Campania n. 15 del 2016, il Ministero della salute ha comunicato che, in data 6 luglio 2016, ha evidenziato la sussistenza di profili di illegittimità costituzionale alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento affari regionali – com'è noto la decisione finale di impugnare la medesima legge compete al Consiglio dei ministri;

   il 28 luglio 2016 Consiglio dei ministri ha varato il decreto legislativo in applicazione dell'articolo 11, lettera p) della legge delega sulla pubblica amministrazione, che detta i criteri per il conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore sanitario, e di direttore dei servizi sociosanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale;

   le regioni potranno procedere a nominare direttori generali esclusivamente gli iscritti all'elenco nazionale. La valutazione dei candidati per titoli e colloquio è effettuata da una commissione regionale che fisserà una rosa di 3-5 nomi da sottoporre al presidente della regione;

   il decreto istituisce l'elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale. L'elenco, istituito presso il Ministero della salute, dovrà essere aggiornato con cadenza biennale;

   nel decreto sono individuati anche requisiti necessari per ricoprire le cariche apicali in sanità: un età inferiore a 65 anni, possedere un'esperienza almeno quinquennale maturata nella sanità o settennale in altri settori, sia nel pubblico che nel privato, aver conseguito l'attestato relativo al corso di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria attivato dalla regione, essere incluso nell'apposito elenco nazionale (con un punteggio da 75 a 100) e entro due anni dovrà raggiungere gli obiettivi prefissati dalla programmazione regionale. E chi decade per aver violato gli obblighi di trasparenza non potrà più entrare nell'elenco nazionale;

   il Premier Matteo Renzi, ha commentato dopo l'approvazione da parte del Governo del decreto legislativo che detta i criteri per la nomina dei manager in sanità «Mai più la sanità nelle mani della politica peggiore. Il tema è la trasparenza, il merito, le persone giuste alla guida della sanità»;

   il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, al termine del Consiglio dei ministri ha affermato «Abbiamo deciso di puntare a nuovi modelli di selezione dei manager della sanità. Il metodo che applichiamo privilegia merito e trasparenza»;

   lo stesso giorno in cui è stato varato dal Consiglio dei ministri il decreto legislativo che detta criteri più trasparenti per la nomina dei vertici sanitari, il Consiglio dei ministri ha esaminato la legge della regione Campania n. 15 del 2016 e deciso di non impugnarla, nonostante tale legge preveda che il presidente della giunta nomina direttamente il direttore generale e sopprima il secondo livello di valutazione, da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali –:

   se nell'ambito dell'istruttoria da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri sia stata garantita la massima attenzione all'esame della legge della regione Campania n. 15 del 2016;

   quale seguito sia stato dato alle osservazioni formulate dal Ministero della salute in materia;

   quali siano le ragioni che hanno determinato la decisione di non impugnare la legge della regione Campania n. 15 del 2016, nonostante i profili di incostituzionalità rilevati dallo stesso Ministero della salute e l'esigenza di una maggiore indipendenza dalla politica delle nomine apicali in sanità, dichiarata lo stesso giorno dal Presidente del Consiglio dei ministri come riportato in premessa.
(4-13996)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare di sindacato ispettivo in esame rappresenta quanto segue.
  Con la legge 8 giugno 2016 n. 15, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura di nomina dei direttori generali delle Aziende sanitarie ed ulteriori misure di razionalizzazione» la regione Campania detta una serie di modifiche alla legge regionale 3 novembre 1994 n. 32, recante «Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche ed integrazioni, riordino del Servizio sanitario regionale», intervenendo in particolare in materia di nomina dei direttori generali delle Aziende sanitarie.
  In particolare, l'articolo 1, comma 1 della legge regionale in esame, nel modificare l'articolo 18-
bis della legge regionale n. 32 del 1994, in materia di conferimento degli incarichi di direttore generale delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), abroga il comma 5 e sostituisce il comma 6 del medesimo articolo 18-bis.
  I commi 5 e 6 dell'articolo 18-
bis sopra citato prevedevano, per la nomina dei direttori generali delle Asl, una doppia selezione: la prima, ad opera di una commissione di esperti, volta alla formazione di un elenco regionale di idonei al conferimento degli incarichi di direttore generale (secondo quanto previsto dall'articolo 3-bis, comma 3 del decreto legislativo n. 502 del 1992, così come modificato dal decreto-legge n. 158 del 2012 convertito, con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189); la seconda – avviata con apposito avviso pubblico rivolto esclusivamente agli iscritti negli elenchi – ad opera di un'altra commissione di esperti, volta a proporre al Presidente della regione ed alla giunta una rosa di cinque candidati con i migliori punteggi. La legge regionale n. 15 del 2016 prevede pertanto la nomina da parte del presidente della giunta dei direttori generali del servizio sanitario regionale direttamente tra i soggetti iscritti nell'elenco regionale degli idonei, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni.
  L'interpellante lamenta la soppressione della previsione del secondo livello di valutazione, da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali di cui all'articolo 3-
bis, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni.
  A tal proposito si fa presente che il Ministero della salute, nel corso dell'istruttoria per l'esame di legittimità costituzionale della legge della regione Campania n. 15 del 2016, aveva rilevato che tale legge, nel modificare l'articolo 18-
bis della legge regionale n. 32 del 1994, in materia di conferimento degli incarichi di direttore generale della aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) sopprime la seconda procedura selettiva, attribuendo la possibilità al Presidente della regione di scegliere discrezionalmente all'interno dell'elenco regionale di idonei il soggetto cui conferire l'incarico. Tali disposizioni regionali, sia pur in linea con i principi stabiliti in materia dall'articolo 3-bis del decreto-legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni, si ponevano in contrasto con l'articolo 11, comma 1, lettera p) della legge n. 124 del 2015.
  Il citato articolo 11, comma 1 lettera
p) infatti prevede che il decreto delegato disciplini, quali «principi in materia di tutela della salute, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione», una «selezione unica per titoli, previo avviso pubblico, dei direttori generali in possesso di specifici titoli formativi e professionali e di comprovata esperienza dirigenziale, effettuata da parte di una commissione nazionale composta pariteticamente da rappresentanti dello Stato e delle regioni, per l'inserimento in un elenco nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, da cui le regioni e le province autonome devono attingere per il conferimento dei relativi incarichi da effettuare nell'ambito di una rosa di candidati costituita da coloro che, iscritti nell'elenco nazionale, manifestano l'interesse all'incarico da ricoprire, previo avviso della singola regione o provincia autonoma che procede secondo le modalità del citato articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni».
  È opportuno sottolineare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la normativa regionale va verificata sulla base della normativa vigente al momento dell'emanazione delle norme stesse. La legge in questione è stata pubblicata sul Bur in data 9 giugno 2016. Peraltro, è ben noto, che qualsiasi provvedimento normativo entra in vigore solo a seguito della sua pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale, condizione che ancora non si era comunque determinata. La possibilità di utilizzare i principi di una legge delega come parametri di riferimento per la proposizione del giudizio di incostituzionalità di una legge regionale è stata asseverata dalla corte stessa solo nei casi in cui gli stessi fossero ben definiti senza la necessità delle successive previsioni delle norme dei decreti delegati attuativi. Questo non appariva in modo inequivocabile in questa situazione. Sulla base di tali considerazioni, il Ministero della salute ha preso atto dell'impegno, assunto dal Presidente della regione Campania con nota del 27 luglio 2016, di «adeguare la disciplina regionale di nomina dei direttori generali delle Asl e delle aziende ospedaliere... ai principi di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge n. 124 del 2015, non appena la imminente riforma governativa in materia sarà pienamente operativa» (normativa introdotta, da ultimo, con decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, modificato ed integrato dal decreto legislativo 26 luglio 2017, n. 126) e, pertanto, ha desistito dalla richiesta di impugnativa della legge in argomento.
  In considerazione degli elementi sopra esposti, il Consiglio dei ministri nella seduta del 28 luglio 2016, ha deliberato la non impugnativa della legge regionale n. 15 del 2016.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Gianclaudio Bressa.


   GRIBAUDO, TARICCO, BOCCUZZI, BORGHI e BONOMO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la strada statale 21 della Maddalena, che collega il sud del Piemonte con il sud francese attraverso il Colle della Maddalena e collega in particolare la città di Cuneo con il comune di Gap (Hautes-Alpes, PACA), è un'importante via di comunicazione dell'area alpina occidentale ed è percorsa ogni giorno da oltre mille mezzi pesanti (autorimorchi o autoarticolati), in parte, per il trasporto merci tra Italia e Francia e in parte per il trasporto di acque minerali prodotte in lata valle; la sua gestione è affidata ad Anas s.p.a.;

   il manto stradale della strada statale 21 appare in condizioni critiche, con asfalto molto risalente negli anni e lavori di manutenzione ordinaria che hanno costellato il percorso di toppe e aggiustamenti vari;

   le condizioni del manto stradale sono rese tali anche a causa degli agenti atmosferici che, ad alta quota, influiscono pesantemente con il suo mantenimento; occorre considerare, inoltre, che ormai ogni inverno la strada rimane chiusa per giorni o settimane a causa delle valanghe che ostruiscono il passaggio e mettono a rischio l'incolumità di automobilisti e camionisti, causando oltretutto il blocco delle vie di comunicazione del Piemonte sud-occidentale con la Francia;

   per risolvere il problema negli ultimi anni è stato adottato da Anas e dalle istituzioni locali il Pidav, piano di intervento per il distacco artificiale delle valanghe, allo scopo di monitorare e manipolare le masse nevose per una regolazione e messa in sicurezza della circolazione. Tale soluzione non ha però impedito nuove chiusure della strada;

   all'interno della convenzione Pidav era stato inserito l'impegno di Anas a realizzare uno studio di fattibilità per la progettazione e la realizzazione delle strutture paravalanghe, considerate la migliore soluzione per garantire una normale circolazione e il miglior mantenimento della strada statale 21;

   tale progettazione è prerequisito, affinché Anas possa inserire l'intervento nei futuri contratti di programma;

   recentemente, i collegamenti stradali con la Francia sono stati resi maggiormente difficoltosi a causa delle necessarie misure cautelative e di rinforzo rispetto ai lavori eseguiti nei pressi del tunnel del Tenda, sul raddoppio del quale la Guardia di finanza ha sequestrato il relativo cantiere ed effettuato numerosi arresti;

   secondo quanto riportato negli ultimi giorni dalla stampa, la condizione delle opere malamente eseguite sul raddoppio del tunnel del Tenda è di una tale gravità da richiedere un rinvio indeterminato dei tempi dei lavori –:

   quali iniziative intenda adottare per il miglioramento dei collegamenti transalpini nella provincia di Cuneo, con particolare attenzione per il tunnel del Tenda e per la strada statale 21;

   quale sia lo stato della progettazione dei paravalanghe per la strada statale 21 del Colle della Maddalena da parte di Anas s.p.a.;

   quali iniziative intenda adottare per la manutenzione ordinaria e straordinaria della strada statale 21 del Colle della Maddalena, vista anche la sua permanente centralità nei collegamenti transalpini causata dalla chiusura dei cantieri per il raddoppio del tunnel del Tenda.
(4-17345)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e della società Anas.
  Nel febbraio 2015 è stata sottoscritta tra Anas, regione Piemonte, provincia di Cuneo, comune di Argentera e comunità montana di Valle Stura la convenzione che regola l'attuazione del piano di intervento per il distacco delle valanghe (PIDAV), prevedendo un monitoraggio costante delle pendici montane presenti lungo la strada Statale 21 «della Maddalena».
  Con tale convenzione è stato demandato alla società Anas l'onere economico di provvedere al mantenimento dell'impianto tecnologico di controllo, oltre alla redazione dello studio di fattibilità per le strutture paravalanghe da realizzare lungo il tratto di strada interessato.
  Anas segnala che sulla base del suddetto atto convenzionale, versa annualmente alla struttura regionale di controllo la quota, concordata con i sopradescritti enti, garantendo la manutenzione del sistema di monitoraggio necessario a fronteggiare le eventuali criticità dell'arteria.
  Detta società ha comunicato, inoltre, di avere elaborato lo studio di fattibilità previsto nella convenzione sottoponendolo a tutti i rappresentanti degli enti interessati in occasione delle riunioni svoltesi presso la regione Piemonte.
  Tale studio individua la localizzazione delle strutture paravalanghe, il cui importo ammonta complessivamente a circa 35 milioni di euro, oltre a prevedere possibili varianti e rettifiche di tracciato i cui costi superano i 60 milioni di euro.
  Inoltre, Anas segnala che nel piano di fabbisogno quinquennale degli investimenti Anas in Piemonte, ha provveduto ad inserire a partire dall'anno 2016, gli importi suddivisi in stralci annuali per la posa in opera delle strutture paravalanghe.
  La gestione efficace del piano di intervento per il distacco artificiale delle valanghe (Pidav) ha consentito di: garantire la viabilità lungo la statale della Maddalena ed in particolare dal gennaio 2017, si è provveduto solo una volta (il 5 febbraio) e per la durata di 20 ore circa, alla chiusura della strada per il pericolo valanghe.
  Per maggiore informazione si evidenzia che, a causa di chiusure al transito della strada stradale 21 sul versante francese, è stato necessario interdire al traffico la statale anche sul versante italiano gestito da Anas, (nell'anno in corso, tale evenienza si è verificata soltanto in due occasioni).
  Anas comunica, altresì, che nell'ambito dell'accordo quadro triennale, per la statale in argomento sono previsti lavori di manutenzione straordinaria della pavimentazione stradale il cui investimento per la rete viaria gestita dalla medesima società in Piemonte, è pari a circa 15 milioni di euro. I lavori saranno eseguiti compatibilmente con le risorse finanziarie che annualmente saranno rese disponibili.
  Da ultimo, Anas precisa che la viabilità in corrispondenza del Tenda non ha subito alcuna modifica rispetto alla situazione preesistente ai provvedimenti assunti dalla magistratura ordinaria (blocco del cantiere e relativi fermi disposti dall'autorità giudiziaria).

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   GRIMOLDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi anni si sono riscontrati nel nostro Paese fenomeni di dissesto idrogeologico che hanno toccato aree montane, di pianure e di mare;

   eventi alluvionali come quelli di Genova, Messina, Milano, della Versilia ecc. dimostrano come le azioni dell'uomo quali l'eccessiva cementificazione e l'aggressione (tombinatura, restrizioni, interferenze e altro) dei corsi d'acqua e dei versanti mettono inevitabilmente a rischio cose e persone;

   le turbolenze meteo, definite dagli esperti di natura «equatoriale» che ormai stanno colpendo diverse parti del nostro Paese obbligando enti e privati ad adottare misure sempre più sofisticate per far fronte a piogge torrenziali che cadono in aree circoscritte e rovesciano pesanti quantitativi d'acqua;

   nel recente terremoto di Amatrice le dichiarazioni governative a tutti i livelli sono state orientate verso la difesa del suolo attraverso finanziamenti di opere connesse anche alla mitigazione del rischio idrogeologico;

   con l'insediarsi del Governo Renzi si è costituita una nuova struttura presso Palazzo Chigi (unità di missione – Italia sicura) che di fatto ha il ruolo di coordinatrice dell'attività del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle regioni in materia di difesa idrogeologica;

   in particolare, il territorio lombardo è costituito da aree collinari e montane per il 53 per cento di aree di pianura per il 47 per cento; il reticolo principale gestito da regione Lombardia è costituito da circa 790 corsi d'acqua della lunghezza di oltre 8.000 chilometri; la fascia metropolitana che percorre la regione da Milano a Brescia è una delle più estese d'Europa e densamente urbanizzate e popolate;

   le regioni del Centro-Nord (Lazio, Umbria, Marche, Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Piemonte, Val d'Aosta, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia) costituiscono geograficamente e geologicamente un territorio complesso e di difficile gestione nella sua difesa ai rischi di alluvione, smottamenti, frane, valanghe e altro. Inoltre, esistono bacini fluviali più importanti del Paese che costituiscono elementi utilizzati da sempre per diverse funzioni traendone molteplici benefici;

   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la struttura di missione Italia sicura hanno da tempo avviato una campagna ricognitiva inerente alle necessità di progettazione e realizzazione di opere di difesa del suolo;

   tutte le regioni hanno inserito nel sistema «RENDIS» (software opportunamente creato per la definizione di una banca dati nazionale) le proprie necessità di finanziare opere di difesa idrogeologica;

   la regione Lombardia attraverso i futuri enti attuatori ha predisposto n. 302 progetti per un ammontare complessivo di circa 771.800.786,20 euro;

   fin dal 2013 il Governo ha nominato un proprio commissario governativo che ha gestito un primo accordo («finalizzato alla programmazione e al finanziamento di interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico») fra regioni e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e successivamente ha individuato, in molte regioni, nei presidenti della giunta la figura commissariale avviando con taluni di loro un secondo accordo di programma definito «rischio idrogeologico delle aree metropolitane»;

   complessivamente in Lombardia questi due accordi ammontano a 363.300.701 euro:

    primo accordo; n. 166 progetti/interventi per un ammontare complessivo di 217.640.700,00 euro;

    secondo accordo; di n. 8 progetti/opere per un ammontare complessivo di 145.660.001,00 euro;

   nel recente convegno organizzato dall'Unità di Missione – Italia Sicura e regione Lombardia «progettare l'assetto idrogeologico» è stato dichiarato che sono a disposizione per le regioni del Sud 5,8 miliardi euro e per le regioni del Centro-nord di soli 1,8 miliardi;

   la legge n. 147 del 27 dicembre 2013 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», in particolare all'articolo 1, comma 6, recita: «la dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione è determinata, per il periodo di programmazione 2014-2020, in 54.810 milioni di euro. Il complesso delle risorse è destinato a sostenere esclusivamente interventi per lo sviluppo, anche di natura ambientale, secondo la chiave di riparto 80 per cento nelle aree del Mezzogiorno e 20 per cento nelle aree del Centro-Nord»;

   la ripartizione è stata strutturata e mutuata dai principi dell'Unione europea che concentra gli sforzi economici nelle aree ad Obiettivo 1 (aree depresse/sottoutilizzate);

   la difesa idrogeologica è necessaria prevalentemente nelle regioni del Centro nord viste le caratteristiche morfologiche di questi territori e il proliferare di situazione di rischio per l'incolumità pubblica –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare allo scopo di evitare la sopracitata sperequazione fra Centro-nord e Sud, anche in funzione delle prossime programmazioni;

   se il Governo non ritenga opportuno porre all'attenzione della Conferenza Stato/regioni il tema sopraindicato al fine di definire una soluzione più equa anche rispetto alle reali necessità esposte in premessa.
(4-14345)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo un esame, l'interrogante ha chiesto di sapere quali iniziative il Governo intenda promuovere anche attraverso la conferenza Stato-regioni, per assicurare un'equa distribuzione delle risorse fra le regioni anche in vista della prossima programmazione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico, per eliminare l'attuale sperequazione tra Centro-nord e Sul.
  Sul punto si fa rilevare che, la conferenza Stato-regioni, nel corso dell'anno 2016, si è già espressa su due provvedimenti che riguardano la materia trattata nell'atto parlamentare.
  Nella seduta del 26 maggio 2016, ha dato parere favorevole allo «schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, concernente le modalità di funzionamento del “Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico”, di cui all'articolo 55 della legge 28 dicembre 2015, n. 221».
  Nella seduta del 29 settembre 2016, ha dato parere favorevole su un documento riguardante un indicatore di riferimento per la distribuzione di risorse nazionali fra le regioni e le province autonome in tema di dissesto idrogeologico, nel testo trasmesso dalla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico della Presidenza del Consiglio dei ministri con nota n. 743 del 12 settembre 2016, e che tiene conto delle proposte formulate dalle regioni. Si evidenzia che il suddetto indicatore costituisce, appunto, un nuovo parametro che evita le sperequazioni fra le regioni, anche in funzione delle prossime programmazioni, considerato che sarà utilizzato per la predisposizione del piano nazionale di mitigazione e contrasto al rischio idrogeologico 2015-2023. Tale indicatore, difatti, definisce la distribuzione delle risorse disponibili fra le diverse regioni in modo che sia equa, trasparente ed efficiente. Equa nel senso che le regioni abbiano una quota di risorse parametrata al proprio fabbisogno, così come risultante dai dati rilevati da ISPRA (Istituto superiore per la ricerca ambientale). Trasparente nel senso che l'indicatore sia condiviso fra le Istituzioni e conosciuto da tutti, anche dal cittadino interessato a controllare le decisioni pubbliche. Efficiente nel senso che le risorse siano allocate laddove sono più elevate le criticità territoriali, tenendo in considerazione anche il rapporto benefici/costi dell'intervento.
  L'indicatore proposto tiene conto, inoltre, della superficie territoriale e della popolazione residente di ciascuna regione, come avvenuto nell'ambito della legge n. 183 del 1989 con l'aggiunta di un indicatore sintetico di rischio, calcolato sulla base di quattro indicatori relativi a frane, alluvioni, erosione costiera e valanghe.
  Relativamente ai criteri della superficie e della popolazione, si propone di attribuire un peso del 70 per cento al parametro della superficie e del 30 per cento a quello della popolazione. Ciò in quanto gli interventi su grandi volumi di popolazione residenti nei grandi agglomerati urbani – peraltro tenuti in particolare considerazione attraverso il piano città metropolitane – presentano forti economie di scala in termini di abbattimento del rischio per unità di popolazione. Al contrario, la popolazione più sparsa e che abita in centri meno aggregati richiede interventi che presentano una efficienza meno elevata in termini di abbattimento del rischio per unità di popolazione.
  Inoltre, per favorire le piccole regioni nelle quali gli interventi presentano forti diseconomie di scala, si propone di aggiungere per esse una percentuale pari allo 0,5 per cento come elemento di riequilibrio.
  Si è proposto, infine, di aggiornare l'indicatore in esame entro il mese di marzo di ogni anno.
  Si fa presente, altresì, che l'Agenzia per la coesione territoriale, interpellata nel merito, ha assicurato di seguire con attenzione il tema del dissesto idrogeologico, supportando e monitorando l'attuazione degli interventi finalizzati alla riduzione del rischio, come previsti nei programmi operativi e nei patti per lo sviluppo e negli altri strumenti della politica di coesione.
  Tali interventi sono principalmente finanziati con le risorse dei fondi SIE (che hanno per loro stessa natura l'obiettivo di promuovere la coesione territoriale, intervenendo prioritariamente nelle aree più svantaggiate) e con la dotazione del fondo di sviluppo e coesione (che, analogamente, segue la chiave di riparto dell'80 per cento nelle aree del Mezzogiorno e del 20 per cento nelle aree del centro nord).
  L'obiettivo della politica di coesione è, come noto, quella di ridurre il divario tra, i territori con un'azione aggiuntiva rispetto alle politiche ordinarie. Da questo ne discende una concentrazione di risorse a favore delle regioni del Mezzogiorno la cui eventuale compensazione è a carico della politica ordinaria.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Gianclaudio Bressa.


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa si apprende che in data 16 luglio 2017 l'ecologista manduriano, Francesco Di Lauro, abbia organizzato una manifestazione, la manifestazione unitaria, con corteo di protesta, contro il depuratore sulla costa e contro ogni genere di scarico in mare;

   all'incontro sembra abbiano partecipato esponenti dello spettacolo a supporto delle proteste di un gruppo di «mamme coraggio», la cui leader sembra sia la signora Mimma Rizziello, che avrebbero più volte fermato pacificamente le ruspe impegnate nella costruzione del depuratore consortile di Manduria e Sava, a ridosso di una splendida riserva naturale;

   il raduno si sarebbe tenuto sulla litoranea salentina, marina di Specchiarica, località Quota 13, davanti al Bar Dalì, da dove sarebbe partito un corteo per raggiungere la zona Urmo sede della costruzione del depuratore;

   la disciplina degli scarichi costituisce una delle componenti principali della normativa per la tutela delle acque dall'inquinamento ed è regolamentata dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni (norme in materia ambientale), Parte terza;

   i pilastri su cui si basa la regolamentazione degli scarichi sono l'obbligo di autorizzazione e il rispetto dei limiti di emissione, fissati in funzione degli obiettivi di qualità dei corpi idrici. Risulta, inoltre, di fondamentale importanza l'adeguamento dei sistemi di fognatura, collettamento e depurazione degli scarichi nell'ambito del servizio idrico integrato;

   onde evitare che un patrimonio naturale come quello marino di Manduria venga compromesso e con esso anche l'economia legata al turismo, sarebbe opportuno un monitoraggio attento sulla costruzione del depuratore e sul rispetto delle regole sancite dalla normativa nazionale e locale in materia di fognature e depuratori –:

   di quali elementi disponga il Governo in ordine alla situazione del sistema di collettamento e depurazione degli scarichi che interessa la costa salentina e quali iniziative di competenza intenda assumere, in sinergia con la regione Puglia, per prevenire danni ambientali in un'area a ridosso di una riserva naturale.
(4-17366)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Premesso che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è impegnato costantemente e con la massima attenzione a vigilare e ad intraprendere e portare avanti tutte le azioni di competenza volte alla risoluzione delle problematiche nel settore fognario depurativo ancora presenti sul territorio nazionale, si precisa che per il sistema fognario-depurativo – incluso nel processo verticale del servizio idrico integrato (S.I.I.) composto appunto da acquedotto, fognata e depurazione – la normativa di settore, in particolare l'articolo 149, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, affida agli enti di Governo d'ambito – in sede di predisposizione e/o aggiornamento del piano dell'ambito – il compito di condurre le attività di ricognizione delle infrastrutture, programmazione degli interventi e redazione di un piano economico finanziario.
  Si fa presente che, in merito alla modalità di allontanamento dei reflui civili, l'abitato di Manduria è asservito da fogna con recapito finale in depuratore, mentre l'abitato di Sava, nonché tutta la fascia costiera di riferimento, allontana i reflui per mezzo di sistemi di fognatura statica.
  Secondo quanto riferito dalla regione Puglia si segnala che il piano di tutela delle acque della regione Puglia, approvato nel 2009, con riferimento all'agglomerato urbano di Sava – Manduria, ha previsto, d'intesa con le amministrazioni locali interessate, la realizzazione di un unico impianto depurativo con recapito finale a mare mediante condotta sottomarina.
  Acquedotto Pugliese S.p.A., soggetto gestore del servizio idrico integrato, ha provveduto a redigere il relativo progetto e, a seguito dell'approvazione dello stesso, ad espletare le relative procedure di evidenza pubblica per l'affidamento della progettazione esecutiva e realizzazione delle opere.
  I ritardi nella realizzazione delle opere progettate hanno determinato una situazione di crisi, sia in considerazione dell'assoluta precaria situazione ambientale determinata dall'attuale mancata raccolta dei reflui nell'area urbana di Sava e dall'esercizio dell'attuale obsoleto ed inadeguato impianto depurativo di Manduria con scarico dei reflui nel sottosuolo, sia in considerazione della circostanza che la situazione dell'agglomerato Sava Manduria era stata già oggetto della procedura di infrazione comunitaria 2004/2034, superata in virtù delle descritte azioni poste in essere in coerenza con le disposizioni del piano di tutela delle acque e che la mancata esecuzione degli interventi determina il concreto rischio di una nuova procedura d'infrazione comunitaria.
  Quindi, a partire dal 2015, la regione Puglia ha attivato un confronto serrato con le amministrazioni di Manduria, Sava ed Avetrana per individuare soluzioni utili a superare l'insostenibile situazione di stallo.
  Detto confronto ha portato all'individuazione di una soluzione alternativa di recapito dei reflui trattati nell'impianto consortile a servizio dei comuni di Sava e Manduria e, a regime, delle Marine di Manduria, da realizzare, in assenza di proposte praticabili di delocalizzazione, in località Urmo di Manduria, che prevede, al posto della condotta sottomarina, un sistema integrato:

   di riutilizzo dei reflui trattati ai fini del rispetto dei limiti tabellari fissati dalla tabella 4 dell'allegato 5 Parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006 e con i requisiti di cui al decreto ministeriale 185 del 2003 per il riuso in agricoltura, attraverso la realizzazione del collettamento dall'impianto depurativo alla rete irrigua di titolarità del consorzio di bonifica Arneo edi due diversi bacini di accumulo delle acque trattate, da attivare in successione tra loro, con il rispettivo complementare scarico del troppo pieno sul suolo e scarico di soccorso/emergenza in solco naturale sfociante in battigia.

  Con deliberazione n. 1150 dell'11 luglio 2017 la regione Puglia ha provveduto a modificare il piano di tutela delle acque, con specifico riferimento al recapito finale dell'impianto depurativo dell'agglomerato di Sava – Manduria su «riuso e suolo (trincee disperdenti/in solco naturale sfociante in battigia) in caso di troppo pieno» e ai rispettivi limiti tabellari (decreto ministeriale 185 del 2003 per il riuso e tab. 4 allegato 5 Parte Terza decreto legislativo 152 del 2006 per scarico su suolo).
  Questa soluzione dovrà comunque essere progettualmente perfezionata ed essere sottoposta alle prescritte autorizzazioni ambientali.
  Il cantiere per la realizzazione del nuovo impianto depurativo, avviato a luglio 2017 sulla base dell'idea progettuale iniziale, è temporaneamente sospeso per verifiche in ordine ad una migliore configurazione dell'impianto stesso.
  Per completezza di informazione, si segnala inoltre che sul sito
http://www.arpa.puglia.it/web/guest/depuratori sono disponibili gli esiti analitici dei prelievi effettuati dal 2012 fino a quanto ad oggi disponibile.
  Premesso quanto sopra e per quanto di competenza, si rassicura che il Ministero continuerà a svolgere le proprie attività mantenendo alto il livello di attenzione sull'adeguamento dei sistemi fognari depurativi e, nel contempo, sulla questione della salvaguardia di un'area di particolare pregio ambientale come la costa salentina.
  Proprio in tale ottica va visto il ruolo svolto dal ministero nell'ambito del piano operativo «Ambiente», approvato il 1o dicembre 2016 dal Cipe con delibera n. 55, piano con il quale sono state destinate risorse, a valere su FSC 2014-2020, per interventi nel settore fognario-depurativo risolutivi di criticità ambientali oggetto, anche, della procedura di infrazione 2014/2059 avviata dalla Commissione europea per la non corretta attuazione della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane.
  In particolare alla regione Puglia, interessata dalla procedura in argomento per 24 agglomerati di cui 5 ricadenti nel territorio della costa salentina, sono state assegnate risorse pari a euro 67.592.194,00.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   LABRIOLA, SISTO e VITO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 1, comma 365, della legge n. 232 dell'11 dicembre 2016 istituisce un Fondo con dotazione di 1.480 milioni di euro per l'anno 2017 e di 1.930 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018 da destinare anche per assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazioni vigente, nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, ivi compresi i corpi di polizia ed il Corpo nazionale dei vigili del fuoco (lettera b), comma 365, della 11 dicembre 2016, n. 232);

   con interrogazione a risposta immediata n. 5-11798 indirizzata al Ministro interrogato, alla luce del dramma degli incendi che si stanno verificando nel nostro territorio, è stato chiesto quali iniziative si intendano adottare in relazione all'emergenza incendi del periodo estivo, per ammodernare il parco macchine del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per rendere disponibili le somme stanziate dalla legge di bilancio 2017 per il potenziamento dell'organico del corpo medesimo, nonché per incrementare il numero degli aeromobili necessari al tempestivo spegnimento degli incendi;

   il Governo ha risposto che «in base a una prima ipotesi di riparto, le somme destinate alle assunzioni nel Corpo nazionale erano state stimate in 23 milioni di euro. Successivamente, si è optato per la destinazione di maggiori risorse, rispetto a quelle inizialmente preventivate, a un'altra finalità, cioè il riordino del personale delle Forze di polizia, delle Forze armate e dello stesso Corpo nazionale. Ragion per cui alle assunzioni del Corpo nazionale è stata destinata la minore somma di circa 16 milioni, utili all'assunzione di 400 vigili del fuoco»;

   la decurtazione di ben 7 milioni di euro destinati all'assunzione di personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco mostra, ad avviso degli interroganti, la scarsa attenzione da parte del Governo in merito all'organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché al mantenimento in efficienza delle risorse strumentali del corpo stesso;

   nel frattempo sarebbe rimasta indeterminata la sorte di circa 3.000 idonei della graduatoria del concorso pubblico bandito nel 2008 (Gazzetta Ufficiale, 4ª serie speciale, n. 90 del 18 novembre 2008) per il reclutamento di 814 vigili del fuoco;

   con decreto n. 676 del 18 ottobre 2016 del Ministero dell'interno (Gazzetta Ufficiale, 4ª serie speciale del 15 novembre 2016) è stato bandito il concorso pubblico, per titoli ed esami, a 250 posti nella qualifica di vigile del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

   con risoluzione n. 7-01320, approvata dalla I Commissione il 2 agosto 2017, si impegna il Governo a riassegnare interamente i 23 milioni di euro, previsti dalla legge di bilancio, per il potenziamento dell'organico dei vigili del fuoco; a prevedere la proroga al 31 dicembre 2018 della graduatoria di concorso pubblico per 814 vigili del fuoco di cui al bando indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008, nonché a stanziare risorse per incrementare la dotazione di mezzi per svolgere tempestivamente il soccorso tecnico urgente –:

   se il Governo intenda assumere iniziative per incrementare il fondo per il pubblico impiego di cui alla legge di bilancio 2017, in modo tale da garantire la ripartizione originaria del suddetto fondo che aveva previsto uno stanziamento di 23 milioni di euro destinati all'assunzione dei vigili del fuoco che avrebbero consentito di procedere all'assorbimento di 569 unità e quali risorse siano destinate alle assunzioni nel 2018 di personale all'interno del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

   se il Ministro dell'interno intenda fornire gli opportuni chiarimenti circa le motivazioni che hanno portato a bandire il concorso di cui in premessa del 18 ottobre 2016 senza prima aver esaurito la graduatoria del concorso pubblico bandito nel 2008.
(4-17965)

  Risposta. — L'Amministrazione dell'interno, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, ha dedicato una particolare attenzione al ripianamento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, da un lato con iniziative legislative di incremento dell'organico teorico di circa 2.500 unità, dall'altro, con il rafforzamento delle presenze effettive presso le strutture territoriali, anche attraverso il ripristino del turn over al cento per cento a decorrere dal 2016.
  Tali decisioni hanno permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 848 unità di vigili del fuoco, 398 dei quali hanno assunto servizio il 5 giugno 2017, mentre i restanti 450, ridottisi di 3 unità rinunciatarie, sono stati assegnati alle sedi di servizio il 7 agosto 2017.
  Il Ministero dell'interno sta, inoltre, procedendo all'espletamento di una procedura concorsuale per l'assunzione di 250 vigili del fuoco, il cui bando è stato pubblicato nel novembre del 2016, che presumibilmente avrà termine entro la fine del prossimo anno.
  Le nuove assunzioni, oltre a ridurre le carenze di organico, attualmente pari, nel complesso, a 3.314 unità su un organico di 37.481, consentiranno di incidere, attenuandolo, sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sul piano operativo.
  Si rappresenta altresì che con la legge di bilancio 2017 è stato attivato uno specifico Fondo per finanziare una serie di istituti attinenti al personale del pubblico impiego, compreso il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Con la ripartizione del predetto Fondo, avvenuta con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2017, sono stati destinati 119 milioni di euro per l'anno 2017 e 153 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente.
  Tali assunzioni riguarderanno le amministrazioni dello Stato, ivi compresi i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco. In particolare, per le assunzioni straordinarie del Corpo nazionale sono stati stanziati 16 milioni di euro che consentiranno l'assunzione di 400 unità.
  Entro la data del 15 dicembre 2017 è prevista, comunque, l'assunzione di altre 302 unità di vigili del fuoco a copertura del
turnover per l'anno 2016.
  In ordine, infine, alla questione dell'assorbimento del personale idoneo al concorso a 814 posti di vigile del fuoco, bandito nel 2008, si rappresenta che la relativa graduatoria è stata più volte prorogata e, da ultimo, fino al 31 dicembre 2017.
  In ragione delle assunzioni effettuate nel corso degli anni, la graduatoria del concorso ha già visto uno scorrimento di circa 4.500 idonei a fronte di un concorso bandito per 814 posti. Numeri che confermano un'importante risposta alle aspettative degli idonei oggi ridotti a circa 3.100 persone.
  Si informa che sono allo studio iniziative volte a prevedere, in uno dei prossimi interventi normativi, la proroga del termine di validità della citata graduatoria sino al 31 dicembre 2018 e, comunque, fino al subentro della graduatoria del concorso per l'assunzione di 250 vigili del fuoco che, come già accennato, è in fase di espletamento.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   LAFORGIA, BOSSA e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nel corso dell'estate 2017 gran parte del territorio italiano è stato devastato da numerosi ed estesi incendi. Tali incendi si sono verificati soprattutto nelle zone boschive e verdi producendo danni ingentissimi al patrimonio naturale italiano;

   il numero, l'estensione e la frequenza degli incendi ha prodotto quella che, a ragione, è stata definita una vera e propria emergenza incendi;

   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco per fronteggiare tale emergenza è stato chiamato a svolgere un lavoro estremamente intenso;

   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco si è sempre occupato negli anni precedenti di spegnimenti di incendi boschivi, poiché il loro intervento era indispensabile quando gli incendi ponevano a rischio la sicurezza di persone e abitazioni. Tale compito è divenuto ancor più gravoso a seguito della riforma disposta dal decreto legislativo 177 del 2016 che ha previsto lo scioglimento del corpo forestale dello Stato;

   a seguito di tale provvedimento l'attività di contrasto agli incendi boschivi è divenuta più gravosa per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco nonostante solo una minima parte del personale appartenente al corpo forestale, pari 390 unità, sia transitata nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

   pur considerando che il lavoro svolto dai vigili del fuoco nel fronteggiare l'emergenza incendi è stato encomiabile, tale emergenza è stata affrontata, loro malgrado, con una carenza di personale nella pianta organica e con una carenza di mezzi e dotazioni;

   la quota spettante al Corpo nazionale dei vigili del fuoco del fondo per le assunzioni nel pubblico impiego, costituito dalla legge di bilancio per il 2017, è stata ridotta dai 23 milioni di euro stimati in un primo momento a 16 milioni di euro –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare per fornire una dotazione adeguata di personale, mezzi e risorse al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e se, per quanto riguarda l'incremento della dotazione organica, non ritenga di procedere in via prioritaria all'assunzione degli idonei del concordo ad 814 posti di vigile del fuoco, attingendo dalle graduatorie in vigore.
(4-17657)

  Risposta. — L'Amministrazione dell'interno, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, ha dedicato una particolare attenzione al ripianamento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, da un lato con iniziative legislative di incremento dell'organico teorico di circa 2.500 unità, dall'altro, con il rafforzamento delle presenze effettive presso le strutture territoriali, anche attraverso il ripristino del turnover al cento per cento a decorrere dal 2016.
  Tali decisioni hanno permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 848 unità di vigili del fuoco, 398 dei quali hanno assunto servizio il 5 giugno scorso, mentre i restanti 450, ridottisi di 3 unità rinunciatarie, sono stati assegnati alle sedi di servizio il 7 agosto 2017.
  Il Ministero dell'interno sta, inoltre, procedendo all'espletamento di una procedura concorsuale per l'assunzione di 250 vigili del fuoco, il cui bando è stato pubblicato nel novembre del 2016, che presumibilmente avrà termine entro la fine del prossimo anno.
  Le nuove assunzioni, oltre a ridurre le carenze di organico, attualmente pari, nel complesso, a 3.314 unità su un organico di 37.481, consentiranno di incidere, attenuandolo, sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sul piano operativo.
  Si rappresenta altresì che con la legge di bilancio 2017 è stato attivato uno specifico fondo per finanziare una serie di istituti attinenti al personale del pubblico impiego, compreso il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Con la ripartizione del predetto fondo, avvenuta con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2017, sono stati destinati 119 milioni di euro per l'anno 2017 e 153 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente.
  Tali assunzioni riguarderanno le amministrazioni dello Stato, ivi compresi i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco. In particolare, per le assunzioni straordinarie del Corpo nazionale sono stati stanziati 16 milioni di euro che consentiranno l'assunzione di 400 unità.
  Entro la data del 15 dicembre 2017 è prevista, comunque, l'assunzione di altre 302 unità di vigili del fuoco a copertura del
turnover per l'anno 2016.
  In ordine, alla questione dell'assorbimento del personale idoneo al concorso a 814 posti di vigile del fuoco, bandito nel 2008, si rappresenta che la relativa graduatoria è stata più volte prorogata e, da ultimo, fino al 31 dicembre 2017.
  In ragione delle assunzioni effettuate nel corso degli anni, la graduatoria del concorso ha già visto uno scorrimento di circa 4.500 idonei a fronte di un concorso bandito per 814 posti. Numeri che confermano un'importante risposta alle aspettative degli idonei oggi ridotti a circa 3.100 persone.
  Si informa che sono allo studio iniziative volte a prevedere, in uno dei prossimi interventi normativi, la proroga del termine di validità della citata graduatoria sino al 31 dicembre 2018 e, comunque, fino al subentro della graduatoria del concorso per l'assunzione di 250 vigili del fuoco che, come già accennato, è in fase di espletamento.
  In merito, poi, alla lamentata carenza dei mezzi di soccorso, si rappresenta che in questa legislatura sono stati previsti interventi normativi che hanno consentito l'avvio da parte dell'Amministrazione dell'interno di linee di finanziamento per realizzare un piano di ammodernamento dei mezzi operativi del Corpo nazionale e, quindi, di rafforzare le strutture e il dispositivo di soccorso tecnico urgente, in un'ottica di modularità e interoperabilità con tutti gli altri enti coinvolti nelle emergenze.
  Si richiamano, al riguardo, le misure adottate più di recente: il decreto-legge n. 113 del 2016, che ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2016-2018. Per l'anno 2016 si è già provveduto all'acquisto di 100 autoveicoli Jeep, e di 40.000 uniformi invernali.
  I fondi previsti per gli anni 2017 e 2018, saranno utilizzati per il rinnovo di dispositivi di protezione individuale.
  Il decreto-legge n. 189 del 2016 ha autorizzato la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2016 e di 45 milioni di euro per l'anno corrente. Con l'utilizzo delle predette risorse del 2016, unitamente a fondi ordinari, sono stati stipulati contratti per l'acquisizione di otto autoscale, attualmente in fase di allestimento, e dieci autocarri in fase di assegnazione. Inoltre, le risorse stanziate per il 2017 verranno utilizzate per l'acquisizione di 160 autopompe, 16 automezzi per soccorso nei centri storici, e infine dieci autoscale.
  La legge di bilancio 2017 ha stanziato 70 milioni di euro per l'anno in corso e 180 milioni di euro annui per il periodo 2018-2030 da ripartire tra le forze di polizia e il Corpo nazionale secondo un programma pluriennale di finanziamento.
  Si fa presente che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 agosto 2017, inerente il «Riparto del fondo di cui all'articolo 1, comma 623 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, per l'acquisto e l'ammodernamento dei mezzi strumentali, in uso alle Forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco», pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 231 del 3 ottobre 2017, ha previsto per il Corpo nazionale, per l'anno in corso, la somma di 9.660.000 euro e, dal 2018 al 2030, la somma di 25.705.000 euro per ciascun anno.
  Da ultimo, si segnala l'incremento, pari a 5 milioni di euro, delle risorse destinate all'acquisto di automezzi in considerazione dell'eccezionale sforzo operativo del Corpo nazionale sostenuto quest'estate per lo spegnimento degli incendi boschivi.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la Eredi Bertè di Mortara, in provincia di Pavia, è una ditta che si occupa prevalentemente dello smaltimento di rifiuti speciali (in piccola parte anche pericolosi), come gomma, plastica, metalli e scarti di ogni tipo;

   il 6 settembre 2017, intorno alle 6,30 del mattino, all'interno della ditta è divampato un incendio di grosse dimensioni. Ad accorgersi dell'incendio, che si è propagato velocemente tra i mucchi di rifiuti vicini tra di loro, sono stati i dipendenti della ditta stessa;

   sul posto sono intervenuti immediatamente 12 squadre dei vigili del fuoco giunte da Vigevano, Pavia, dai distaccamenti volontari di Mortara, Mede, Garlasco e Robbio e anche da Milano. Secondo le prime testimonianze dei vigili del fuoco, sono andati a fuoco sia rifiuti speciali che residui di alluminio e un gran numero di copertoni;

   l'Agenzia regionale per la protezione ambientale fa riferimento a una «imponente massa di rifiuti, pericolosi e non pericolosi, molto eterogenea». Si tratta, in sostanza, di rifiuti ingombranti, imballaggi, legno, carta e materassi;

   il sindaco di Mortara e i colleghi dei paesi limitrofi hanno emesso ordinanze per consigliare ai cittadini di restare in casa, tenere le finestre chiuse e non raccogliere né consumare i prodotti dell'orto, perché, come ha spiegato il prefetto di Pavia, Attilio Visconti, «sta bruciando di tutto, comprese gomma e plastica, e c'è il rischio che si sviluppi diossina»;

   il sindaco di Mortara, Marco Facchinotti, nell'ordinanza parla di «grave situazione d'emergenza per il rischio di coinvolgimento della popolazione e delle abitazioni, nonché delle infrastrutture pubbliche e private, ricadenti lungo la linea interessata dalla colonna di fumo» e intima la chiusura di porte e finestre, di sospendere raccolta e consumo di prodotti ortofrutticoli e di evitare il pascolo di animali nelle zone interessate;

   in tarda mattinata la colonna di fumo nero, spinta dal vento, si è diretta verso nord e nordest, anche verso il Piemonte, destando molta preoccupazione nelle province di Novara, Alessandria e Vercelli;

   inoltre, i sindaci di Mortara e Vigevano, hanno predisposto la chiusura delle scuole per qualche giorno e la sospensione di tutte le attività all'aperto e del consumo di prodotti agricoli dei territori;

   da quanto si apprende dagli organi di stampa, lo stesso giorno dell'incendio i tecnici dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa) avrebbero dovuto presentarsi per l'avvio dell'attività ispettiva di routine, invece si sono trovati davanti a un rogo partito da montagne di rifiuti alte una decina di metri;

   questo è il secondo fatto grave di questo tipo che si verifica sul territorio della Lomellina, dopo quello di un'altra azienda di trattamento rifiuti l'Aboneco di Parona a maggio –:

   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e come intenda intervenire per evitare nuovi incidenti simili, per capire le cause dell'accaduto e acquisire informazioni sui danni che ne sono derivati o possono derivare alla salute della popolazione e dell'ambiente.
(4-17665)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'incendio verificatosi presso la ditta Eredi Bertè di Mortara (PV), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, sulla base dei dati forniteci dalla regione Lombardia, si rappresenta che in merito all'incendio in oggetto, l'Arpa Lombardia ha concluso la fase emergenziale, svolgendo attività e valutazioni sia durante l'incendio, sia nelle fasi immediatamente successive.
  In considerazione della tipologia di incidente e valutate le possibili criticità ambientali, sono stati attiva immediatamente anche i gruppi specialistici di supporto, come previsto dalle procedure Arpa per la gestione delle emergenze (il gruppo specialistico contaminazione atmosferica ed il gruppo meteo). Sul posto erano inoltre presenti le forze dell'ordine, il prefetto, molte squadre dei vigili del fuoco, i carabinieri, i sindaci di Mortara, Albonese e Parona. Sono stati allertati a cura del sindaco di Mortara anche i sindaci dei comuni vicini.
  L'incendio ha coinvolto una massa eterogenea di rifiuti contenenti anche plastica; per «controllo» della massa interessata dal fuoco è stato necessario impiegare un grande volume di acqua; tale aspetto accompagnato dal protrarsi nel tempo dell'incendio ha causato la carenza della risorsa idrica, costringendo ad attingere da un colatore del consorzio Est-Sesia.
  L'evoluzione dell'incidente è stata seguita nell'immediato, e per tutto il periodo 6-14 settembre 2017, mediante una valutazione meteorologica e qualitativa sui dati di qualità dell'aria provenienti dalle centraline fisse collocate sul territorio immediatamente a ridosso della ditta: Parona e Vigevano, a nord-nord-est e Mortara.
  In accordo con le procedure di Arpa Lombardia predisposte per gli interventi in emergenza, oltre ad analisi speditive mediante analizzatore Pid portatile che consente la rilevazione in aria di monossido di carbonio, acido solfidrico, ammoniaca, ISO butilene e metano, il cui incremento registrato è stato di pochi ppm, si è convenuto sulla necessità di collocare nella zona anche sistemi di alto volume per il campionamento di polveri su filtro per le successive analisi di diossine, furani, policlorobifenili e idrocarburi policiclici aromatici. Considerata la meteorologia e la densità abitativa del territorio, i campionatori sono stati collocati rispettivamente nell'abitato di Mortara e in direzione opposta rispetto a sorgente, ovvero nel territorio di Olevano di Lomellina, in accordo con i rispettivi sindaci.
  La mole di rifiuti eterogenei è stata lentamente smembrata con benne e pale meccaniche, ogni bennata è stata abbondantemente raffreddata e spenta con getto di acqua e trasferita in emergenza sul piazzale impermeabilizzato della vicina di Sviluppo Industriale, a seguito di ordinanza sindacale emessa ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo 152 del 2006, allo scopo di creare lo spazio necessario allo smassamento e conseguentemente velocizzare le operazioni di spegnimento dell'incendio. Anche tale area è stata messa sotto sequestro.
  Arpa ha seguito in maniera costante le operazioni svolte, fornendo indicazioni precise per garantire il trasferimento dei rifiuti in aree pavimentate e idonee, allo scopo di contenere eventuali fenomeni di contaminazione del suolo.
  I dati registrati dalle centraline della rete della qualità dell'aria hanno mostrato in tutti i momenti del periodo di osservazione valori in linea con quelli del periodo e con quelli rilevati nelle altre aree del territorio simili per diffusione degli inquinanti convenzionali, in alcun modo influenzati dall'evento incidentale.
  Le concentrazioni di diossine e furani durante i primi due-tre giorni dell'incendio sono risultate di un ordine di grandezza superiori ai valori del fondo naturale locale? Si tratta comunque di valori inferiori a quelli rilevati da Arpa durante i monitoraggi condotti in occasione di altri incendi che hanno coinvolto rifiuti e si attestano quindi tra quelli caratteristici di incendi ad impatto contenuto.
  La somma dei composti diossine-equivalenti dal terzo giorno di monitoraggio sono risultate inferiori al valore di 0.3 pgTEQ/m3. A partire dal quarto giorni i valori dei PCDD/PCDF hanno raggiunto i valori tipici del fondo ambientale.
  Si fa presente inoltre che sono in corso le analisi sulle acque di spegnimento percolate sui rifiuti, in parte asportate mediante auto pompa e in parte inviate al depuratore di Mortara e che sono stati effettuati ulteriori campionamenti delle matrici interessate dall'incendio su richiesta dell'autorità giudiziaria, i cui esiti potranno essere richiesti alla Procura al termine delle indagini.
  Occorre ricordare altresì che l'individuazione delle possibili cause scatenanti l'incendio nonché altre in altre indagini sono in corso da parte della procura della Repubblica di Pavia, con la quale Arpa sta collaborando nell'ambito delle specifiche funzioni di polizia giudiziaria. I dati aventi rilevanza ai fini della valutazione dell'evolversi della situazione ambientale so o stati puntualmente diffusi, non appena disponibili, ai sindaci dell'area, alla Ats e alla prefettura. Tutta l'area è stata posta sotto sequestro dalla magistratura.
  Per quanto riguarda invece le attività di prevenzione, si comunica che, al fine di prevenire possibili situazioni di pericolo come quella dell'episodio in esame, la prefettura di Pavia ha attivato un tavolo tecnico finalizzato all'effettuazione di controlli speditivi sugli impianti di gestione rifiuti con possibile rischio di incendio.
  Nell'ambito di tale iniziativa, il 13 settembre 2017 si è tenuto un incontro a cui, presso la prefettura, hanno partecipato, rappresentanti di regione, provincia, comuni di Mortara, Pavia e Vigevano, Arpa, questura di Pavia, arma dei carabinieri, guardia di finanza e corpo forestale dello Stato. Nel corso dello stesso incontro è stata definita la tipologia di controlli finalizzati a verificare la sussistenza del certificato di prevenzione Incendi, verificare il rispetto della prescrizioni previste dall'autorizzazione in materia di quantitativi in stoccaggio e delle zone di stoccaggio e verificare l'adeguatezza della rete di fornitura delle acque antincendio.
  Mentre nel successivo incontro, tenutosi 19 settembre 2017, sono state individuate le tipologie degli impianti di gestione rifiuti nei confronti dei quali procedere a svolgere controlli a sorpresa di natura speditiva, coordinati da un tavolo appositamente costruito in prefettura al fine di ottimizzare le risorse dei diversi attori deputati a vario titolo all'attività di verifica. I controlli, che saranno calendarizzati dal Tavolo, saranno svolti, oltre che da Arpa e provincia, anche da componenti dell'arma dei carabinieri, della guardia di finanza, del corpo forestale dello Stato e della vigilanza locale, previa breve formazione, per questi ultimi, da parte del dipartimento Arpa di Pavia. L'obbiettivo primario infatti è quello di operare in maniera condivisa accorpando le risorse dei vari enti preposti ai controlli per garantire un'efficace attività preventiva degli incendi.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   a Ginestreto, nella valle dell'Uso, è partito lo sbancamento per realizzare la terza discarica (G4) per rifiuti speciali non pericolosi, con deroga a triplicare i limiti ammessi per sostanze tossiche e cancerogene (tabella 5 del decreto ministeriale 27 settembre 2010), nel comune di Sogliano al Rubicone (Forlì-Cesena) e nel comune di Poggio Torriana (Rimini) per opere accessorie, in base alla delibera della giunta regionale dell'Emilia Romagna n. 2103/2016;

   nella relazione tecnica generale del progetto definitivo, presentata il 30 aprile 2015 dalla Sogliano Ambiente, per la richiesta di realizzazione, al paragrafo «Capacità e previsione di durata della discarica», viene dettagliato che «La volumetria di progetto della discarica G4 è pari a circa 1.600.000 mc (...), l'indice di abbancamento previsto è pari a 1.05 ton/mc, che corrisponde ad una previsione di abbancamento di circa 1.680.000 ton. Considerando una media di smaltimento di 150.000 ton/anno, la durata prevista per la discarica G4 è di poco superiore ad undici anni»;

   tutte le analisi e le valutazioni d'impatto si sono basate su questi dati di progetto (150.000 ton/anno) e non sono tenuti in nessuna considerazione nel Rapporto finale sull'impatto ambientale, né nella delibera della giunta regionale. In entrambi i documenti, sono presenti, secondo gli interroganti, inconfutabili incongruenze ed errori macroscopici;

   contraddizioni inquietanti del percorso autorizzativo sono riscontrabili nel rapporto finale sull'impatto ambientale (prescrizioni 17 e 18) e nella delibera della giunta regionale n. 2103/2016 (pagine 21-22), poiché si ammettono conferimenti annui fino a 439.600 tonnellate di rifiuti, da subito in G2 e in futuro in G4;

   ulteriore confusione e contraddizioni presenti nella delibera nell'allegato 1 – «Rapporto sull'impatto ambientale» del 3 novembre 2016, paragrafo «Sintesi dello studio di impatto ambientale» dove si riferisce: «Il quantitativo massimo di rifiuti che è possibile conferire annualmente all'impianto di discarica (...) è pari a 210.000 tonnellate» confermando, nel seguito, il contenuto della richiesta formulata il 30 aprile 2015 dalla Sogliano Ambiente: la media di smaltimento di 150.000 ton/anno e la durata prevista di poco superiore ad undici anni;

   appare evidente che simili alterazioni in eccesso porterebbero al raggiungimento della volumetria complessiva e all'esaurimento della discarica molto prima di quanto previsto dal progetto e i dati errati inficiano secondo gli interroganti tutta l'analisi e lo studio d'impatto ambientale oggetto della procedura di Valutazione di impatto ambientale, incluso la specifica valutazione di rischio per la salute;

   in seguito alle segnalazioni del gruppo di opposizione del comune di Poggio Torriana, il vicesindaco ha chiesto spiegazioni alla regione sui dati incongruenti presenti nella delibera regionale n. 2103/2016, rispetto a quelli del progetto esaminato. In una e-mail, il responsabile del servizio valutazione impatto e promozione sostenibilità ambientale informa di aver assunto opportune informazioni da Arpae Forlì dichiarando: «In sostanza quanto segnalato è un errore materiale: è stato trascinato quanto precedentemente previsto nella discarica G2, cioè è stata sommata la riserva di 155.000 t/anno di rifiuti urbani ai 284.600 t/anno di rifiuti speciali con una somma totale di 439.600 t/anno. Tale indicazione errata è stata inserita nella nuova AIA che riguarda sia la discarica G2 sia la G4 ed è stata riportata nella DGR sulla VIA. Il nuovo Piano regionale Rifiuti non prevede di smaltire rifiuti urbani nella Discarica di Ginestreto; quindi il quantitativo di 155.000 t/anno di rifiuti urbani non può essere collocato a Ginestreto. I quantitativi, di rifiuti da smaltire a Ginestreto sono in realtà: G2 – 284.600 t/anno di rifiuti speciali; G4 – 210.000 t/anno di rifiuti speciali; ARPAE farà una determina per correggere questo errore materiale nell'AIA, e proporrà la stessa correzione alla Regione per modificare la DGR sulla VIA che riprendeva anch'essa questa indicazione errata»;

   a giudizio degli interroganti la risposta conferma l'opacità delle procedure e gli errori materiali, che sembrerebbero basati su dati errati e senza alcun riferimento oggettivo, suscitando sospetti e preoccupazioni sulla legittimità di tutta la procedura autorizzativa, che dovrebbe essere annullata –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se non ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza, ogni necessaria iniziativa per tutelare una area di particolare importanza naturalistica paesaggistica e culturale che potrebbe essere danneggiata dalla realizzazione della terza discarica sopra richiamata e per rassicurare gli abitanti della Valle dell'Uso che subiscono gli effetti devastanti di tali interventi sul loro fragile territorio.
(4-16360)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla realizzazione della terza discarica per rifiuti speciali non pericolosi nella Valle dell'Uso (Emilia Romagna), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare occorre premettere che, ai sensi dell'articolo 196 del Testo unico ambientale spetta alle regioni non solo l'approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi, ma anche l'autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti e l'autorizzazione all'esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti, anche pericolosi.
  Nel medesimo articolo si indica inoltre che, è obbligo delle regioni predisporre, adottare ed aggiornare il piano regionale di gestione dei rifiuti, promuoverne la gestione integrata ed incentivarne la riduzione ed il recupero. Rientra inoltre nelle competenze delle regioni anche la delimitazione, nel rispetto delle linee guida generali, degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani e assimilati, nonché la definizione di criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti e per l'individuazione dei luoghi o impianti idonei allo smaltimento.
  Per completezza di informazione, si comunica inoltre che è in fase di redazione da parte di questo Ministero il decreto attuativo ai sensi dell'articolo 195 comma 1 lettera
p), del Testo unico ambientale che disciplina i criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti.
  In merito alla presenza di incongruenze evidenziate, nei dati riportati nel provvedimento regionale di valutazione di impatto ambientale e nella correlata autorizzazione integrata ambientale, sulla base di quanto riferito dalla regione Emilia-Romagna, si fa presente che tali discrepanze derivano da meri errori materiali in cui è incorsa l'amministrazione e che non hanno in alcun modo condizionato e quindi viziato la scelta in ordine all'autorizzazione della scarica.
  Secondo quanto riferito da Arpae, si fa rappresenta che, tale errore costituiva un refuso derivante dal previgente Piano provinciale di gestione dei rifiuti urbani che prevedeva un quantitativo di riserva, a soccorso degli impianti vocati allo smaltimento dei rifiuti urbani all'interno della provincia di Forlì-Cesena; prescrizione non più applicabile a seguito dell'approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti.
  Ad ogni modo, accertato l'errore materiale, la struttura autorizzazioni e concessioni di Forlì-Cesena ne ha dato comunicazione in data 20 marzo 2017 alla regione Emilia-Romagna e al comune di Poggio Torriana, e sono stati quindi presi gli opportuni accordi col responsabile del servizio Valutazione impatto e promozione sostenibilità ambientale (Vipsa) per procedere alla necessaria rettifica degli atti.
  Successivamente la regione Emilia-Romagna ha provveduto a modificare la propria delibera con atto decreto di giunta regionale 499 del 20 aprile 2017 prevedendo che il quantitativo massimo di rifiuti conferibili annualmente all'impianto fosse di 210.000 tonnellate. Inoltre la struttura autorizzazioni e concessioni di Forlì-Cesena ha corretto la determina di approvazione dell'Aia del 30 maggio 2017, prevedendo allo stesso modo che il quantitativo massimo di rifiuti conferibili all'impianto fosse di 210.000 tonnellate/anno.
  Da ultimo si segnala che sono state confermate per la discarica G4 le deroghe ai limiti massimi ammessi per sostanze tossiche e cancerogene, previsti dalla Tabella 5 del decreto ministeriale 27 settembre 2010 già concesse per la discarica G2. Tali deroghe sono compatibili con le caratteristiche geomorfologiche del sito e sono corredate da idonee misure di gestione in ordine alla verifica dei rifiuti in ingresso, incrementando la frequenza di controlli rispetto a quelli previgenti.

  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione sulla questione in oggetto.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ANDREA MAESTRI, MARCON, AIRAUDO, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   ritenendo esaustivo l'impegno assunto a partire dal 2012 nei confronti degli «esodati», con la legge di bilancio 2017 il Governo ha stabilito che l’«ottava salvaguardia» dovesse essere l'ultima prevista, tanto da proporre l'abolizione del fondo relativo;

   dagli ultimi dati forniti dall'Inps dell'11 settembre 2017, risulterebbero però che, su un limite massimo di 30.700 soggetti salvaguardabili previsto dalla legge n. 232 del 2016, siano state finora accolte soltanto 13.355;

   in particolare, le domande accolte, relative alle categorie di lavoratori cessati entro il 30 giugno 2012, quelli cessati dopo il 30 giugno 2012 e quelli cessati unilateralmente, sarebbero soltanto 3.021, su una disponibilità di 7.800 e un totale di 8.242 richieste. Rimarrebbero quindi senza salvaguardia circa 5.000/6.000 lavoratori: numero che potrebbe marginalmente aumentare considerando gli esclusi dalla salvaguardia per aver presentato domanda oltre il termine del 2 marzo 2017. Ipotesi quantitativa che trova riscontro sostanziale anche nella risposta del Governo alla recente interrogazione n. 5-11470 che, solo nel ristretto ambito delle domande respinte per vizio dei termini di decorrenza nel contesto dell’«ottava salvaguardia», documenta una platea di oltre 3.400 soggetti esclusi;

   assunto che il diritto non si concretizza con la presentazione di un'istanza, tanto più se estemporanea in quanto carente dei necessari requisiti, ma è dal sussistere di questi ultimi che esso si concretizza prescindendo pertanto dal fatto che, in precedenza, tali lavoratori abbiano presentato o meno istanza di salvaguardia, è del tutto evidente che, per questi lavoratori, lesi dal disconoscimento unilaterale di un patto con lo Stato, non poter più sperare in un ulteriore provvedimento in loro aiuto significa continuare a sopravvivere senza alcun sostegno economico, oltre che essere vittime di una evidente violazione del principio di eguaglianza i cittadini di fronte alla legge. Infatti, come anche rimarcato dal Comitato esodati «Licenziati o cessati senza tutele», nella lettera inviata al Presidente della Repubblica nel mese di gennaio 2017, con il provvedimento dell'ottava salvaguardia, mentre per alcune tipologie di ex lavoratori, si prevede «il perfezionamento dei requisiti entro 36 mesi dal termine mobilità, estendendone di fatto la tutela fino al 6 gennaio 2021, per altre tipologie vincolate al regime delle decorrenze per un periodo di soli 24 o 12 mesi, la tutela si limita per alcuni al 6 gennaio 2019, mentre per altri non va oltre il 6 gennaio 2018. In sostanza, una discriminazione nel diritto che, nei casi limite, tra due ex lavoratori appartenenti a differenti tipologie, ancorché caratterizzati da una perfetta identità di requisiti, arriva a superare i 5 anni»;

   un ulteriore provvedimento, utilizzando i cospicui risparmi che si vanno concretizzando con l’«ottava salvaguardia» a beneficio di queste categorie di lavoratori, si profilerebbe quindi una soluzione per restituire loro giustizia, equità e dignità, così come preteso a chiare lettere nella Costituzione –:

   se il Governo sia a conoscenza dei dati aggiornati forniti dall'Inps e di quelli relativi al numero di domande di accesso all’«ottava salvaguardia» arrivate oltre il termine del 2 marzo 2017;

   se non ritenga opportuno assumere iniziative, accantonando per equità il regime delle decorrenze, per estendere la tutela a tutti i lavoratori esodati con requisiti entro il 6 gennaio 2021 e prevedere nel disegno di legge di bilancio un'ulteriore «salvaguardia», utilizzando i risparmi ottenuti dall'ottava, affinché possano beneficiarne tutti gli aventi diritto.
(4-17994)

  Risposta. — Con il presente atto parlamentare, l'interrogante chiede se il Governo sia a conoscenza dei dati forniti dall'Inps in relazione alla cosiddetta ottava procedura di salvaguardia (prevista dall'articolo 1, comma 214 e seguenti, della legge n. 232 del 2016), nonché dei dati relativi al numero delle domande di accesso alla predetta salvaguardia presentate tardivamente (ossia successivamente al 2 marzo 2017).
  L'interrogante evidenzia, inoltre, una presunta discriminazione nel diritto di accesso alla ottava salvaguardia tra lavoratori appartenenti a diverse categorie ancorché in possesso dei medesimi requisiti.
  Sulla base di tali considerazioni, pertanto, l'interrogante chiede di conoscere se il Governo abbia intenzione di procedere ad una estensione della salvaguardia a tutti i lavoratori esodati con requisiti entro il 6 gennaio 2021, nonché di prevedere nel disegno di legge di bilancio per il 2018 una ulteriore salvaguardia, utilizzando a tal fine i risparmi ottenuti dalla precedente.
  Tanto premesso, con riferimento al primo quesito, si trasmette in allegato (disponibile presso il Servizio Assemblea) la tabella fornita dall'Inps, contenente i dati relativi all'ottava procedura di salvaguardia, aggiornati al 5 ottobre 2017. Al riguardo, con specifico riferimento alle categorie di lavoratori attenzionate dall'interrogante (lavoratori cessanti anteriormente e successivamente al 30 giugno 2012 e lavoratori cessati unilateralmente), dalla predetta tabella si evince che, su un totale di 8.306 richieste, quelle accolte sono 3.110 mentre le domande respinte ammontano a 4.858.
  Per quanto riguarda, invece, le domande di accesso alla medesima procedura di salvaguardia respinte in quanto pervenute oltre il termine perentorio dei 2 marzo 2017, si allega la tabella (All. II) contenente i dati forniti dall'Inps. Dalla predetta tabella in particolare si vince che le istanze respinte sono 1.201, suddivise per tipologie di lavoratori. Al riguardo, l'Istituto ha precisato che, nell'ambito delle 1.201 istanze respinte, sono ricomprese anche le domande presentate dai lavoratori di cui all'articolo 1, comma 214, lettere
d), e) ed f) (soggetti cessati per accordi e risoluzione unilaterale, in congedo ai sensi dell'articolo 42, comma 5, del decreto legislativo n. 151 del 2001, con contratto a tempo determinato) che hanno presentato alle competenti Direzioni territoriali del lavoro istanza di accesso al beneficio in parola entro il 2 marzo 2017, ma che tuttavia sono state respinte per mancanza dei requisiti.
  Da ultimo, con riferimento al secondo quesito, si rappresenta che – come peraltro già pubblicamente affermato dal Ministro – non sono all'esame del Governo ulteriori interventi in materia di salvaguardia.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luigi Bobba.


   MELILLA, SCOTTO, RICCIATTI, PIRAS, SANNICANDRO, QUARANTA, DURANTI, KRONBICHLER, ZARATTI, NICCHI e FRANCO BORDO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la Cassa depositi e prestiti è autorizzata dall'articolo 22 della legge n. 125 del 2013 ad assolvere ai compiti di istituzione finanziaria per la cooperazione internazionale allo sviluppo;

   ai sensi del comma 2 del suddetto articolo il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e l'Agenzia italiana per la cooperazione internazionale allo sviluppo possono stipulare apposita convenzione con la Cassa depositi e prestiti spa al fine di avvalersi della medesima e delle società da essa partecipate per l'istruttoria e la gestione di profili finanziari delle iniziative di cooperazione internazionale allo sviluppo, nonché per la strutturazione di prodotti di finanza per lo sviluppo nell'ambito di accordi con organizzazioni finanziarie europee e internazionali o per la partecipazione a programmi della Unione europea;

   infine, la Cassa depositi e prestiti spa può destinare nei limiti concordati annualmente con il Ministero dell'economia e delle finanze, risorse proprie ad iniziative di cooperazione internazionale allo sviluppo, anche in regime di cofinanziamento con soggetti privati, pubblici o internazionali –:

   quali siano i motivi che hanno sinora impedito la sottoscrizione della suddetta convenzione tra Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Agenzia e Cassa depositi e prestiti che consentirebbe una ulteriore qualificazione delle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo del nostro Paese.
(4-16600)

  Risposta. — La Convenzione Maeci-Aics-Cassa depositi e prestiti (Cdp), prevista dall'articolo 22, comma 2, della legge n. 125 dell'11 agosto 2014 di riforma della disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo, è stata sottoscritta tra le parti il 15 luglio 2016 e pubblicata sul sito Aics. Grazie a tale Accordo, Cdp assume il ruolo di istituzione finanziaria della cooperazione italiana allo sviluppo. Il Maeci e l'Aics possono avvalersi quindi della Cdp per tutti gli aspetti legati al finanziamento e alla valutazione finanziaria di iniziative di cooperazione.
  Una successiva convenzione, stipulata con il Ministero dell'economia e delle finanze (Mef) il 23 dicembre 2016, ha autorizzato Cdp per i fini di cui sopra ad utilizzare risorse proprie per il 2017 fino a 1 miliardo di euro.
  La legge di bilancio 2017 ha poi stabilito un'integrazione all'articolo 8 della legge n. 125 del 2014, prevedendo che il Governo destini una quota del fondo rotativo fuori bilancio costituito presso Cdp (ai sensi dell'articolo 26 della legge n. 227 del 1977), alla costituzione di un fondo di garanzia per prestiti concessi con risorse proprie dalla stessa Cdp a favore di iniziative riguardanti la cooperazione allo sviluppo. Il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo con delibera n. 4 del 23 marzo 2017 (pubblicata in
Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 87 del 13 aprile 2017), ha quindi fissato un ammontare pari a 50 milioni di euro quale dotazione del fondo di garanzia in parola. Al momento il Mef sta predisponendo, d'intesa con Cdp, un decreto relativo alle modalità operative per poter ricorrere in caso di necessità al sopracitato fondo di garanzia.
  Il gruppo Cdp, che ricomprende anche Sace e Simest, continua a svolgere in forma distinta ed indipendente il preesistente ruolo nel campo dell'internazionalizzazione delle imprese.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Mario Giro.


   MINARDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la provincia di Ragusa (Sicilia) è stata investita quest'anno, ed in particolare negli ultimi 2 mesi, da una vera e propria emergenza incendi. I dati sono allarmanti e le statistiche recenti hanno registrato, nel periodo che va dal 1o maggio al 2 luglio 2017, circa 630 interventi richiesti ai vigili del fuoco per lo spegnimento di incendi di varia natura ed entità;

   nonostante una realtà così preoccupante, il territorio ha subito una grave perdita con la chiusura del presidio dei vigili del fuoco a Santa Croce Camerina, che amplifica ulteriormente l'allarme per la riduzione della presenza del corpo in provincia di Ragusa;

   la chiusura a tempo indeterminato del distaccamento dei vigili del fuoco di Santa Croce Camerina ha privato la comunità locale ed il territorio di un importante punto di riferimento, nonché di una fondamentale risorsa che sin dal 2010 (anno di inaugurazione della sede) aveva conosciuto l'impegno di decine di pompieri, per lo più «discontinui», che venivano, cioè, pagati a chiamata e percepivano solo in caso d'intervento, un compenso orario;

   il tempismo adottato per la chiusura della caserma — in piena estate — è, a giudizio dell'interrogante, una follia e risulta inspiegabile, al di là di ogni vertenza, che un territorio così ampio come quello di Santa Croce rimanga sguarnito;

   la situazione ricade anche sulla situazione generale; ad oggi, sono presenti in servizio solo 40 unità in tutto il territorio ibleo, dislocate a Ragusa, 14 unità, 5 a Modica e 5 a Vittoria, oltre ai vari capiturno e centralinisti ed uomini adibiti a mansioni di ufficio, con altri 10 in servizio all'aeroporto di Comiso. Vittoria con 5 unità deve badare, infatti, ad un territorio che va da Acate a S. Croce, Modica a tutto il bacino sud degli Iblei;

   si tratta di una dotazione organica assolutamente insufficiente per un territorio che si trova a fronteggiare un'emergenza incendi praticamente costante durante l'anno, con picchi insostenibili come quelli degli ultimi 2 mesi, ed a gestire servizi di assistenza aeroportuale che, da soli, occupano il 25 per cento dell'organico operativo;

   una dotazione organica che stride con le 140 unità tra effettivi e discontinui che fino a pochi anni fa garantivano piena efficienza e qualità del servizio in provincia di Ragusa, anche a fronte di un investimento importante dell'amministrazione pubblica che, in pochi anni, ha dotato di nuove ed efficienti caserme il territorio ibleo, a partire da quella di Modica –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione generale del territorio ibleo, che, con la chiusura del presidio dei vigili del fuoco a Santa Croce Camerina, può contare su una dotazione organica assolutamente insufficiente del corpo dei vigili del fuoco, nonostante l'emergenza incendi che ha devastato la provincia di Ragusa, soprattutto negli ultimi due mesi, e ha messo a repentaglio la sicurezza dei cittadini; se non intenda adottare iniziative opportune ed immediate affinché venga affrontata e risolta in via prioritaria la questione e si faccia fronte ad una situazione che rischia di divenire oltremodo insostenibile per cittadini e territorio.
(4-17423)

  Risposta. — Si premette che la legislazione di settore (in particolare il decreto legislativo n. 112 del 1998) affida la competenza primaria in materia di lotta attiva agli incendi boschivi alle regioni, riservando allo Stato il solo concorso nell'attività di spegnimento.
  Tale assetto generale è stato confermato e rafforzato dalla legge quadro sugli incendi boschivi n. 353 del 2000, che ha attribuito alle regioni il compito di definire e programmare le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi, mediante un apposito piano regionale.
  Ciò premesso, in considerazione della fase acuta di incendi boschivi che ha interessato l'Italia meridionale e centrale nella scorsa stagione estiva, sono state quotidianamente impegnate 3.400 unità di personale del corpo nazionale, di cui 800 grazie a un'apposita implementazione dei dispositivi ordinari. In media, in tali aree territoriali, sono state giornalmente operative circa 450 squadre di terra, anche grazie al trasferimento di 24 squadre in assetto antincendio boschivo provenienti da alcune regioni del Centro-nord.
  Con riferimento alla Sicilia, si sottolinea che è stata una delle regioni in cui, nella campagna Aib 2017, il centro operativo aereo unificato (Coau) ha attivato il maggior numero di interventi aerei. Infatti, dal 15 giugno al 18 settembre 2017, sono stati svolti 404 interventi da parte del COAU – su un totale a livello nazionale pari a 2.218 – con l'impiego, nella maggior parte dei casi, dei velivoli più efficienti della flotta di Stato, ovvero dei canadair e degli elicotteri Erickson S64. Nello stesso periodo, il corpo nazionale dei vigili del fuoco ha effettuato più di 15.680 interventi di spegnimento a terra.
  Proprio in ragione delle particolari esigenze riscontrate in Sicilia, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha costantemente garantito, dall'avvio della campagna Aib, la presenza su quel territorio di un proprio assetto aereo ad ala rotante, per poter fornire un intervento tempestivo in caso di necessità e di richiesta di concorso da parte della Regione.
  A tal fine, è stata disposta l'apertura di una base aerea temporanea nell'area di Boccadifalco (PA). Inoltre, compatibilmente con la più complessiva esigenza di garantire il soccorso tecnico urgente sull'interno territorio nazionale, è stata disposta la dislocazione di norma di un ulteriore elicottero del Corpo nazionale presso la base aerea di Comiso. Infine, anche in questa regione, il dispositivo di soccorso a terra è stato incrementato attraverso richiami di personale in turno libero e raddoppi di personale.
  Con specifico riferimento alla provincia di Ragusa, si rappresenta che la ripartizione delle dotazioni organiche del corpo nazionale dei vigili del fuoco (ridefinita con decreto ministeriale n. 1546 del 2017) prevede un organico operativo di 18 capi reparto, 54 capi squadra e 144 vigili permanenti, che sono stati ripartiti tra la sede centrale di Ragusa e i distaccamenti permanenti di Modica e Vittoria, oltre al distaccamento aeroportuale di Comiso (decreto del capo del Corpo n. 63 del 2017). Poi, i recenti provvedimenti di mobilità nazionale e di implementazione dell'organico hanno definito l'organico effettivo, per la provincia in questione, in 15 capi reparto, 54 capi squadra e 158 vigili permanenti.
  Quindi, a fronte di una limitata carenza nella qualifica di capo reparto, si registra un organico completo nelle qualifica di capo squadra e in esubero nella qualifica di vigili del fuoco (con una situazione ben differente rispetto al dato nazionale che fa registrare una carenza media del 55 per cento nel profilo di capo reparto, del 7 per cento nel profilo di capo squadra e 3 per cento nel profilo di vigile del fuoco).
  In merito alla chiusura del presidio stagionale volontario dei vigili del fuoco di Santa Croce Camerina, si rappresenta che essa è durata pochi giorni ed è stata determinata da una contingente situazione che ha interessato il personale volontario che vi presta servizio.
  Si tratta infatti di un presidio attivo solo sulla base di adesioni di vigili del fuoco volontari e, dunque, non operativo quando non raggiunge la disponibilità di volontari necessari per costituire una squadra (pari ad almeno 5 unità).
  In particolare, fino al 12 luglio 2017, presso il citato distaccamento hanno operato 40 vigili del fuoco volontari, in aggiunta alla pianificazione organizzativa del personale in organico sopra indicato.
  L'entrata in vigore, l'8 luglio 2017; del decreto legislativo n. 97 del 2017, ha comportato l'introduzione di nuove disposizioni per il personale volontario del corpo nazionale dei vigili del fuoco, prevedendo l'iscrizione in appositi elenchi distinti in due tipologie, rispettivamente per le necessità dei distaccamenti volontari e per le necessità delle strutture centrali e periferiche. È stato altresì stabilito che solo quest'ultimo personale volontario può essere oggetto di eventuali assunzioni in deroga, con conseguente trasformazione del rapporto di servizio in rapporto d'impiego con l'amministrazione.
  Tale disposizione ha ingenerato apprensione tra i vigili volontari del distaccamento di Santa Croce Camerina, tanto da spingerli a chiedere l'immediata cancellazione dall'elenco previsto per il distaccamento stesso che, pertanto, è stato chiuso per indisponibilità di personale.
  La copertura del presidio è stata comunque assicurata dal personale in organico presso le strutture territoriali del comando di Ragusa. Infatti, per far fronte all'eccezionalità degli incendi, il comando ha provveduto a trattenere il personale smontante (che ha effettuato turni anche di 24 ore anziché di 12) e a richiamare il personale libero dal servizio.
  Nel periodo in riferimento, nel territorio di Santa Croce Camerina, sono stati effettuati 7 interventi da parte del personale del distaccamento di Vittoria e del personale appartenente alle 4 squadre inviate dalla sede centrale.
  Infine, i chiarimenti repentinamente forniti dall'amministrazione in ordine alla corretta lettura del testo normativo sopraindicato, hanno consentito, già dal 20 luglio 2017, l'immediato rientro in servizio di 15 volontari, che si sono aggiunti al contingente sopra riportato e hanno coadiuvato i soccorsi nel difficile periodo da stagione estiva.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   NACCARATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   Zitac s.p.a è una società di trasformazione urbana (stu) costituita in data 25 ottobre 2002, ai sensi dell'articolo 120 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo n. 267 del 2000;

   Zitac ha un capitale sociale di 217.000 euro ed è di proprietà, per il 58,8 per cento, del comune di Cittadella, per il 33,4 per cento della Zip, per il 3 per cento dell'Upa, per il 3 per cento di Confederazione italiana imprese commerciali, turistiche e servizi, per l'1,8 per cento dell'Interporto di Padova;

   la gestione di Zitac è stata oggetto di numerose polemiche per le perdite registrate negli ultimi anni e per alcune operazioni anomale;

   in particolare, nel 2014, Etra s.p.a. a capitale pubblico formata da 75 comuni delle province di Padova e Vicenza per la gestione del ciclo integrato delle acque e il servizio rifiuti, ha acquistato da Zitac un'area di 7.571 metri quadrati per realizzare un ecocentro in via Sant'Antonio a Cittadella;

   l'acquisto è avvenuto senza perizia per un importo di 1.015.875 euro;

   l'ecocentro non è mai stato realizzato e, secondo l'interrogante, l'acquisto potrebbe essere stato finalizzato al sostegno economico di Zitac e non alla realizzazione dell'infrastruttura prevista;

   l'acquisto del terreno di Zitac ha sollevato gravi preoccupazioni nelle comunità locali e tra le amministrazioni coinvolte per il rischio di ingenti danni economici e per lo spreco di risorse pubbliche;

   a favore di Zitac sono state concesse fideiussioni bancarie da parte del comune di Cittadella 2.937.788,91 euro e del Consorzio Zip per 1.670.500,00 euro;

   nel 2015 Zitac ha registrato una perdita di 213.807 euro e debiti per 23.344.000 euro;

   il consiglio comunale di Cittadella, con delibera n. 55 del 28 novembre 2016, ha approvato lo scioglimento e la messa in liquidazione della società Zitac s.p.a;

   nei giorni scorsi sono stati nominati due liquidatori della società: Guido Beghetto, sino a pochi mesi fa amministratore delegato della stessa Zitac, e Maria Alberta Arvalli dello studio Arvalli & Associati;

   la nomina dei liquidatori ha sollevato ulteriori preoccupazioni nella comunità locale;

   infatti, il socio principale dello studio Arvalli & Associati, architetto Alberto Arvalli risulta tra gli otto indagati dalla procura di Foggia per irregolarità in materia ambientale, edilizia e urbanistica rispetto al centro commerciale GrandApulia del quale lo stesso Arvalli figura come progettista e direttore dei lavori –:

   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti sopra esposti;

   se e in che modo intendano attivarsi, per quanto di competenza, e anche attraverso i Servizi ispettivi di finanza pubblica, in relazione agli effetti finanziari che potrebbero conseguire per il comune di Cittadella.
(4-16176)


   NACCARATO, MIOTTO e CAMANI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il 3 ottobre 2016 gli ispettori del Ministero dell'economia e delle finanze hanno avviato un'ispezione presso il comune di Cittadella che è terminata l'11 gennaio 2017;

   il risultato degli accertamenti ha prodotto una articolata segnalazione che gli ispettori hanno inviato alla procura della Corte dei conti, alla sezione regionale di controllo della medesima Corte, al Ministero dell'interno, all'attuale sindaco di Cittadella e al collegio dei revisori dei conti del comune;

   dalle verifiche sono emerse diverse irregolarità nella gestione economico-finanziaria del comune nel periodo compreso tra il 2011 e il gennaio 2017 che coinvolgono dirigenti comunali e i sindaci che si sono avvicendati alla guida del comune di Cittadella, Massimo Bitonci, Giuseppe Pan, ora assessore regionale nella giunta Zaia, e infine l'attuale sindaco Luca Pierobon;

   le «varie criticità nei documenti di bilancio» riguardano «scostamenti significativi tra previsioni definitive e accertamenti in ordine ai proventi da permessi di costruire; elevato livello di indebitamento; equilibri di bilancio raggiunti attraverso l'apporto massiccio e determinante di proventi di natura eccezionale e straordinaria, transito nei servizi conto terzi di parti estranee agli stessi; imputazioni di spese correnti al titolo della spesa con riflessi rilevanti in termini di patto di stabilità»;

   ulteriori «gravi criticità di bilancio» sono state rilevate sulla gestione della società Zitac, partecipata dal comune di Cittadella per la quale, secondo la relazione del Ministero dell'economia e delle finanze, «il Comune ha rilasciato garanzia fidejussoria per 3 milioni di euro, peraltro in assenza di parere di regolarità contabile»;

   inoltre, sono state rilevate «irregolarità in ordine agli affidamenti diretti», poiché risulta che i dirigenti avrebbero frazionato gli affidamenti assegnando i lavori senza bandire le opportune gare aggirando la normativa in tema di concorrenza;

   in questo caso, oltre al danno erariale, se le ipotesi venissero confermate, le fattispecie prevedono la responsabilità penale;

   tra le contestazioni, infine, vi sono diversi profili che riguardano a vario titolo premi e incentivi per il personale;

   la vicenda ha sollevato forte preoccupazione nella comunità locale, sia per la vastità degli addebiti, sia per l'entità delle somme interessate dalla cattiva gestione che, ad esempio nel caso delle società partecipate, rischiano di esporre il comune a gravi pregiudizi anche nei prossimi anni –:

   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti sopra esposti;

   se e quali ulteriori iniziative di competenza il Governo intenda assumere nell'interesse dei cittadini di Cittadella rispetto alle descritte gravi irregolarità.
(4-16711)

  Risposta. — Si risponde alle interrogazioni in esame, con le quali, nell'evidenziare una serie di criticità gestionali e contabili nonché, in particolare, le vicende che hanno interessato la messa in liquidazione della società Zitac s.p.a, partecipata, al 58,8 per cento dal comune di Cittadella, si chiedono iniziative per riportare la gestione del comune sul necessario piano di regolarità.
  In proposito, la Ragioneria generale dello Stato riferisce, come anche richiamato nella seconda interrogazione, che il comune di Cittadella è stato interessato da una verifica amministrativo-contabile alla fine del 2016; la relazione ispettiva è stata trasmessa all'amministrazione comunale in data 2 maggio 2017 e si è, allo stato, nella rituale fase istruttoria di interlocuzione post verifica ispettiva, in attesa delle notizie relative ai provvedimenti che il comune ha adottato o sta adottando per il superamento delle criticità rilevate.
  Sarà quindi valutata l'adeguatezza delle iniziative intraprese dall'ente per i provvedimenti da adottare.
  È necessario tenere in considerazione che, tra le predette criticità rilevate, è presente anche quella relativa alla situazione della società partecipata, richiamata nelle interrogazioni, e che la stessa è stata portata all'attenzione sia della procura, sia della sezione regionale della Corte dei conti.
  Ragione per la quale, allo stato, non si ritiene comunque opportuno programmare una ulteriore ispezione.
  Si ritiene invece utile, per completezza di informazione, riportare quanto comunicato dalla prefettura di Padova sulla questione stessa.
  Zitac s.p.a. è una società di trasformazione urbanistica costituita nel 2002, ai sensi dell'articolo 120 del Testo unico degli enti locali, con finalità di progettazione e realizzazione di interventi per la riqualificazione urbana ed edilizia e per lo sviluppo produttivo del territorio del comune di Cittadella.
  A favore della società, il comune di Cittadella e il consorzio zona industriale Padova, socio di minoranza, hanno rilasciato importanti fideiussioni (oltre i 4.500.000,00 euro) a garanzia dei finanziamenti concessi dagli istituti bancari per l'acquisto dei terreni necessari alla realizzazione dei progetti per i quali la società era stata costituita.
  Secondo quanto riferito dal comune interessato, all'atto del rilascio della garanzia fu costituito nel bilancio comunale un accantonamento di pari importo quale fondo rischi, in modo da evitare ripercussioni finanziarie negative per l'ente in caso di una sua escussione.
  A partire dal 2011, anche a causa della crisi economica generalizzata, che ha colpito il settore immobiliare e ha visto crollare la domanda di acquisto, la società si è trovata in grave sofferenza finanziaria causata dalla mancanza di liquidità.
  Nel 2014 è sta posta in essere l'operazione alla quale si fa riferimento nelle interrogazioni: Zitac s.p.a. ha venduto un terreno di sua proprietà a Etra s.p.a. società a capitale pubblico, che svolge servizi di rilevanza pubblica, quali la gestione del servizio idrico integrato e la gestione dei rifiuti, della quale sono soci e proprietari 75 comuni veneti ubicati in un'area che si estende dall'Altopiano di Asiago ai Colli Euganei, e che comprende, per ciò che riguarda questa provincia, l'Alta Padovana e la cintura urbana di Padova.
  Nell'area acquistata Etra avrebbe dovuto costruire un nuovo centro intercomunale di raccolta differenziata a servizio dei comuni di Cittadella, dotato di una struttura ritenuta inadeguata, e Tombolo, sprovvisto di un centro per la raccolta dei rifiuti urbani differenziati.
  L'eco-centro non è stato, ad oggi, realizzato.
  L'operazione immobiliare, dal costo molto elevato, perfezionata senza che venisse disposta una perizia preventiva sul valore dell'area e la mancata costruzione dell'opera cui la stessa era destinata, sono oggetto di un'indagine amministrativa, condotta dalla Corte dei Conti di Venezia con l'ausilio della Guardia di finanza.
  Sull'attività di Etra è invece in corso un'indagine giudiziaria, coordinata dalla procura della Repubblica di Padova ed affidata alla squadra mobile della locale questura.
  Le perdite registrate da Zitac nell'esercizio economico 2015, hanno indotto il consiglio comunale di Cittadella a deliberare lo scioglimento e la messa in liquidazione della società.
  Sono stati nominati liquidatori Guido Beghetto, già amministratore delegato, e Maria Arvalli dello studio Arvalli & associati, il cui amministratore è stato, fino al novembre 2016, l'architetto Alberto Arvalli.
  La prefettura di Padova riferisce, infine, di non disporre di notizie circa il coinvolgimento dell'architetto Arvalli nell'indagine coordinata dalla procura della Repubblica di Foggia.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Pier Paolo Baretta.


   NASTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   alcuni quotidiani locali e nazionali riportano la protesta da parte del sindacato autonomo dei vigili del fuoco Conapo, avvenuta questa mattina davanti alla prefettura di Novara, organizzata per denunciare una situazione di estremo disagio, che prosegue da diverso tempo e che penalizza il comparto interessato sia dal punto di vista economico (300/450 euro al mese in meno rispetto agli altri Corpi) che sotto il profilo legato ai livelli di sicurezza evidentemente peggiorati nel corso degli anni;

   i rappresentanti sindacali dei vigili del fuoco evidenziano gli articoli di stampa, hanno manifestato il proprio sdegno per le condizioni lavorative con le quali operano quotidianamente, anche con riferimento alla precarietà dell'organico attualmente in servizio, nonché agli equipaggiamenti spesso insicuri e non più utilizzabili;

   secondo quanto sostenuto dall'esponente, della categoria sindacale novarese Conapo, il Corpo dei vigili del fuoco, rivendica una giusta equiparazione con gli altri corpi dello Stato; si aggiunge inoltre, che, mentre si riducono continuamente le risorse destinate alla sicurezza ai danni del cittadino, il medesimo comparto (le cui specializzazioni e abilitazioni consentono di fornire un pronto e professionale servizio al cittadino) persiste in una costante opposizione a tali decisioni sfavorevoli, essendo peraltro il comparto della sicurezza dello Stato meno retribuito;

   a giudizio dell'interrogante, la manifestazione di protesta avvenuta a Novara da parte dei vigili del fuoco, giunti anche da Verbania, Vercelli, Biella, conferma, anche in questa occasione, come il costante perpetuarsi delle politiche di disimpegno in tema di sicurezza, e di riduzione dei di riduzione dei livelli salariali nei confronti del medesimo comparto condotte sia da parte del precedente Governo che da parte di quello attuale, accentui fortemente livelli di pericolo e di insicurezza dei cittadini del nostro Paese, esponendo la comunità italiana, specie in questa fase storica legata al terrorismo internazionale, a rischi particolarmente gravi;

   risulta pertanto urgente e necessario, a parere dell'interrogante, invertire in maniera rigorosa un trend negativo e rischioso in termini di sicurezza e di adeguamento delle risorse economiche, volto al potenziamento del comparto dei vigili del fuoco, che com'è noto, svolge un prezioso ed importante servizio, all'intero territorio nazionale, a tutela della sicurezza dei cittadini e delle infrastrutture –:

   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere, per quanto di competenza, con riferimento a quanto esposto in premessa e se non ritenga di intervenire in tempi rapidi, con iniziative di carattere normativo, al fine di procedere a un adeguamento dei livelli salariali del comparto dei, vigili del fuoco, evidentemente inaccettabile, nonché a una revisione del sistema organizzativo e di presidio per l'area novarese, divenuto insufficiente per consentire un adeguato servizio di tutela e d'intervento per la comunità piemontese interessata.
(4-16697)

  Risposta. — Come segnalato nell'interrogazione, il 22 maggio 2017, nell'ambito della mobilitazione nazionale organizzata dal sindacato autonomo dei vigili del fuoco Conapo, si è svolta a Novara una manifestazione, al termine della quale il prefetto ha ricevuto i rappresentanti interprovinciali del predetto sindacato.
  Durante l'incontro, i rappresentanti sindacali hanno evidenziato le aspettative della categoria, specie per ciò che attiene all'equiparazione retributiva e pensionistica dei vigili del fuoco alla polizia di Stato, sottolineando i compiti di soccorso pubblico e di polizia giudiziaria che accomunano le due categorie.
  Al riguardo, si fa presente che negli ultimi anni sono stati molteplici gli interventi legislativi volti a rilanciare la centralità del ruolo del corpo nazionale dei vigili del fuoco e a migliorare il trattamento economico del personale; interventi che si riassumono di seguito per brevi cenni.
  Particolarmente significativo è il riconoscimento della specificità del ruolo assegnato al personale del comparto soccorso pubblico, introdotto dal decreto-legge n. 185 del 2008 e ribadito dallo legge n. 183 del 2010, che riconosce tale specificità alle Forze armate, alle forze di polizia e al corpo nazionale dei vigili del fuoco, ai fini della definizione degli ordinamenti e della tutela economica, pensionistica e previdenziale.
  Tra l'altro, con il citato decreto-legge n. 185 del 2008, sono state destinate risorse aggiuntive all'attuazione dei patti per il soccorso pubblico da stipularsi annualmente tra Governo e parti sindacali e all'istituzione di una speciale indennità operativa per il servizio di soccorso tecnico urgente espletato all'esterno.
  Con il decreto-legge n. 39 del 2009 (il cosiddetto «decreto-legge Abruzzo») è stata ripristinata l'indennità di missione anche per il personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco, analogamente a quanto già previsto per il personale dei comparti sicurezza e difesa.
  Con il decreto-legge n. 78 del 2009 è stata autorizzata la spesa di 15 milioni di euro, a decorrere dal 2010, da destinare alla speciale indennità operativa per il servizio di soccorso tecnico urgente espletato all'esterno.
  Con il decreto-legge n. 195 del 2009 (convertito dalla legge n. 26 del 2010), è stata riconosciuta l'indennità di trasferimento anche in favore del personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Con la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) è stato reintrodotto, in favore del personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco, il trattamento economico aggiuntivo per infermità dipendenti da causa di servizio e il diritto, dal 1° gennaio 2014, agli assegni vitalizi ai familiari di invalidi vittime del terrorismo con invalidità non inferiore al 50 per cento, con relativa copertura finanziaria.
  La legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) ha destinato anche al personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco, come per i corpi di polizia e per le Forze armate, un contributo straordinario pari a 960 euro su base annua, al fine di fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale per l'anno 2016; la legge di bilancio per il 2017 ha prorogato tale contributo straordinario anche per l'anno in corso.
  Inoltre, il decreto legislativo n. 97 del 2017 ha previsto l'istituzione di un fondo per l'operatività del soccorso pubblico, al fine di valorizzare l'impiego professionale del personale del corpo nazionale, che consente di ridurre anche la forbice retributiva del personale operativo rispetto a quello degli altri corpi dello Stato. Le risorse destinate a tale scopo dalla legge di bilancio ammontano a 59 milioni di euro per il 2017 e a 103,3 milioni di euro a decorrere dal 2018.
  Per quanto concerne, infine, la revisione del sistema organizzativo e di presidio per l'area novarese, si precisa che le risorse umane e la situazione dei mezzi e delle attrezzature di soccorso sono sostanzialmente simili alla situazione generale dei comandi di analoga categoria.
  In particolare, l'organico del personale effettivamente operativo presso il comando dei vigili del fuoco di Novara è pari a 148 unità, a fronte di una previsione di 160 unità; pertanto, con una carenza del 7,5 per cento che risulta sostanzialmente in linea con la media nazionale (pari al 6,43 per cento).

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   NASTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'incendio di vaste proporzioni che, dall'alba del 6 settembre 2017, si è sviluppato all'interno dell'azienda Eredi Bertè di Mortara, in provincia di Pavia, che si occupa, del recupero e dello smaltimento di rifiuti pericolosi e non, ripropone a giudizio dell'interrogante, l'importante questione relativa alla tutela e alla salvaguardia delle aree urbane all'interno delle quali sono presenti stabilimenti industriali producono sostanze tossiche in grado di causare gravi effetti d'inquinamento ambientale;

   lo stabilimento in questione al riguardo, che è interessato anche dalla commercializzazione di rottami ferrosi, della gestione di piazzole ecologiche, di autodemolizioni e di bonifiche di aree inquinate, a causa dell'eterogeneità dei materiali coinvolti dall'incendio, ha provocato l'emissione nell'aria di diossina, con comprensibile preoccupazione per l'ambiente e per la salute dei residenti;

   le fiamme all'interno del sito industriale, sebbene siano state domate dai vigili del fuoco, secondo quanto risulta dagli organi di stampa, continuano a covare sotto la grande massa di detriti accumulati ed è facile prevedere che per estinguerli del tutto servirà diverso tempo, come si evince anche dalla colonna di fumo visibile a decine di chilometri di distanza;

   l'intera popolazione interessata e presente all'interno della zona industriale di Mortara, attraverso le ordinanze dei sindaci di tutti i comuni confinanti e anche di Vigevano è stata invitata a non uscire dalle proprie abitazioni e a non raccogliere e consumare i prodotti dell'orto, almeno per il momento, in attesa di conoscere i risultati delle analisi eseguite dall'Arpa, a conferma della gravità dell'accaduto, che ha coinvolto anche parte della comunità del novarese;

   a giudizio dell'interrogante, in considerazione di quanto esposto, risulta urgente e indifferibile, oltre ad un naturale avvio delle indagini per comprendere le cause dell'incendio, conoscere fra l'altro quali siano le misure di prevenzione e le risorse all'uopo attualmente vigenti, al fine di garantire adeguati interventi previsti dalle autorità di vigilanza e d'intervento, nel caso di situazioni come quella sopra descritta –:

   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;

   se, in considerazione della gravità dell'incendio accaduto all'interno dello stabilimento di rifiuti di Mortara, che con ogni probabilità ha causato un disastro ambientale, non ritenga urgente e necessario assumere iniziative normative volte a prevedere adeguate risorse finanziarie, che permettano di incrementare i sistemi di controllo e di monitoraggio dei siti industriali presenti sul territorio nazionale, che producono sostanze tossiche ad elevato rischio di inquinamento per le popolazioni limitrofe e per l'ambiente.
(4-17815)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'incendio verificatosi presso la ditta Eredi Bertè di Mortara (PV), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, sulla base dei dati fornitici dalla regione Lombardia, si rappresenta che in merito all'incendio in oggetto, l'Arpa Lombardia ha concluso la fase emergenziale, svolgendo attività e valutazioni sia durante l'incendio, sia nelle fasi immediatamente successive.
  In considerazione della tipologia di incidente e valutate le possibili criticità ambientali, sono stati attivati immediatamente anche i gruppi specialistici di supporto, come previsto dalle procedure Arpa per la gestione delle emergenze (il gruppo specialistico contaminazione atmosferica ed il gruppo meteo). Sul posto erano inoltre presenti le forze dell'ordine, il prefetto, molte squadre dei vigili del fuoco, i carabinieri, i sindaci di Mortara, Albonese e Parona. Sono stati allertati a cura del Sindaco di Mortara anche i sindaci dei comuni vicini.
  L'incendio ha coinvolto una massa eterogenea di rifiuti contenenti anche plastica; per «controllo» della massa interessata dal fuoco è stato necessario impiegare un grande volume di acqua; tale aspetto accompagnato dal protrarsi nel tempo dell'incendio ha causato la carenza della risorsa idrica, costringendo ad attingere da un colatore del consorzio Est-Sesia.
  L'evoluzione dell'incidente è stata seguita nell'immediato, e per tutto il periodo 6-14 settembre 2017, mediante una valutazione meteorologica e qualitativa sui dati di qualità dell'aria provenienti dalle centraline fisse collocate sul territorio immediatamente a ridosso della ditta: Parona e Vigevano, a nord-nord-est e Mortara.
  In accordo con le procedure di Arpa Lombardia predisposte per gli interventi in emergenza, oltre ad analisi speditive mediante analizzatore Pid portatile che consente la rilevazione in aria di monossido di carbonio, acido solfidrico, ammoniaca, Iso butilene e metano, il cui incremento registrato è stato di pochi ppm, si è convenuto sulla necessità di collocare nella zona anche sistemi di alto volume per il campionamento di polveri su filtro per le successive analisi di diossine, furani, policlorobifenili e idrocarburi policiclici aromatici. Considerata la meteorologia e la densità abitativa del territorio, i campionatori sono stati collocati rispettivamente nell'abitato di Mortara e in direzione opposta rispetto alla sorgente, ovvero nel territorio di Olevano di Lomellina, in accordo con i rispettivi sindaci.
  La mole di rifiuti eterogenei è stata lentamente smembrata con benne e pale meccaniche, ogni bennata è stata abbondantemente raffreddata e spenta con getto di acqua e trasferita in emergenza sul piazzale impermeabilizzato della vicina ditta Sviluppo Industriale, a seguito di ordinanza sindacale emessa ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo 152 del 2006, allo scopo di creare lo spazio necessario allo smassamento e conseguentemente velocizzare le operazioni di spegnimento dell'incendio. Anche tale area è stata messa sotto sequestro.
  Arpa ha seguito in maniera costante le operazioni svolte, fornendo indicazioni precise per garantire il trasferimento dei rifiuti in aree pavimentate e idonee, allo scopo di contenere eventuali fenomeni di contaminazione del suolo.
  I dati registrati dalle centraline della rete della qualità dell'aria hanno mostrato in tutti i momenti del periodo di osservazione valori in linea con quelli del periodo e con quelli rilevati nelle altre aree del territorio simili per diffusione degli inquinanti convenzionali, in alcun modo influenzati dall'evento incidentale.
  Le concentrazioni di diossine e furani durante i primi due-tre giorni dell'incendio sono risultate di un ordine di grandezza superiori ai valori del fondo naturale locale.
  Si tratta comunque di valori inferiori a quelli rilevati da Arpa durante i monitoraggi condotti in occasione di altri incendi che hanno coinvolto rifiuti e si attestano quindi tra quelli caratteristici di incendi ad impatto contenuto.
  La somma dei composti diossine-equivalenti dal terzo giorno di monitoraggio sono risultate inferiori al valore di 0.3 pgTEQ/m3. A partire dal quarto giorni i valori dei PCDD/PCDF hanno raggiunto i valori tipici del fondo ambientale.
  Si fa presente, inoltre, che sono in corso le analisi sulle acque di spengimento percolate sui rifiuti, in parte asportate mediante autopompa e in parte inviate al depuratore di Mortara e che sono stati effettuati ulteriori campionamenti delle matrici interessate dall'incendio su richiesta dell'autorità giudiziaria, i cui esiti potranno essere richiesti alla Procura al termine delle indagini.
  Occorre ricordare altresì che l'individuazione delle possibili cause scatenanti l'incendio nonché altre indagini sono in corso da parte della procura della Repubblica di Pavia, con la quale Arpa sta collaborando nell'ambito delle specifiche funzioni di polizia giudiziaria. I dati aventi rilevanza ai fini della valutazione dell'evolversi della situazione ambientale sono stati puntualmente diffusi, non appena disponibili, ai Sindaci dell'aerea, alla Ats e alla Prefettura. Tutta l'aerea è stata posta sotto sequestro dalla magistratura.
  Per quanto riguarda invece le attività di prevenzione, si comunica che, al fine di prevenire possibili situazioni di pericolo come quella dell'episodio in esame, la prefettura di Pavia ha attivato un tavolo tecnico finalizzato all'effettuazione di controlli speditivi sugli impianti di gestione rifiuti con possibile rischio di incendio.
  Nell'ambito di tale iniziativa, il 13 settembre 2017 si è tenuto un incontro a cui, presso la prefettura, hanno partecipato rappresentanti di regione, provincia, comuni di Mortara, Pavia e Vigevano, Arpa, questura di Pavia, arma dei carabinieri, guardia di finanza e corpo forestale dello Stato. Nel corso dello stesso incontro è stata definita la tipologia di controlli finalizzati a verificare la sussistenza del certificato di prevenzione incendi, verificare il rispetto delle prescrizioni previste dall'autorizzazione in materia di quantitativi in stoccaggio e delle zone di stoccaggio e verificare l'adeguatezza della rete di fornitura delle acque antincendio.
  Mentre nel successivo incontro, tenutosi 19 settembre 2017, sono state individuate le tipologie degli impianti di gestione rifiuti nei confronti dei quali procedere a svolgere controlli a sorpresa di natura speditiva, coordinati da un tavolo appositamente costruito in prefettura al fine di ottimizzare le risorse dei diversi attori deputati a vario titolo all'attività di verifica. I controlli, che saranno calendarizzati dal tavolo, saranno svolti, oltre che da Arpa e provincia, anche da componenti dell'arma dei carabinieri, della guardia di finanza, del corpo forestale dello Stato e della vigilanza locale, previa breve formazione, per questi ultimi, da parte del dipartimento Arpa di Pavia. L'obiettivo primario infatti è quelli di operare in maniera condivisa accorpando le risorse dei vari enti preposti ai controlli per garantire un'efficace attività preventiva degli incendi.
  Ad ogni modo, questo ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   secondo gli ultimi dati Istat diffusi dall'Ufficio studi Confartigianato nel 2016 le esportazioni totali liguri aumentano dell'8,7 per cento rispetto all'anno precedente, superando i 6,7 miliardi di euro, a fronte di un +1,2 per cento di crescita nazionale (oltre 400 miliardi di euro). Ai primi posti per volume di esportazioni si collocano la Lombardia (quasi 110 miliardi, +1 per cento) il Veneto (oltre 56,6 miliardi, +1,2 per cento), l'Emilia Romagna (54,7 miliardi, +1,3 per cento);

   considerando invece l'esportazione dei settori ad alta concentrazione di micro e piccole imprese, che pesa per il 14,2 per cento (955 milioni di euro) sull’export del totale manifatturiero regionale, a fronte di questa crescita regionale totale dell'8,7 per cento, nel 2016 l'esportazione delle micro e piccole imprese della Liguria registra un calo dell'11,9 per cento, sul quale pesano gli andamenti di Genova e La Spezia. Nello spezzino l’export totale cresce del 2,6 per cento (886 milioni), mentre le microimprese perdono il 17,6 per cento (265 milioni di merce esportata). A Genova l’export totale (oltre 3,9 miliardi) aumenta dell'8,7 per cento, mentre la divisione ad alta concentrazione di micro e piccole imprese (487 milioni) cala del 13,2 per cento. Quasi invariato l'andamento delle esportazioni tra le microimprese a Imperia (+0,3 per cento, 150 milioni di euro), a fronte invece di un calo generale dell’export in provincia (-5,7 per cento, 268 milioni). Infine Savona registra i risultati migliori della regione, con un export totale in crescita del 15,3 per cento (quasi 1,7 miliardi) e quello relativo alla divisione ad alta concentrazione di microimprese (53 milioni) in aumento dell'1,2 per cento rispetto al 2015;

   a livello nazionale, l'andamento dell’export delle microimprese mostra un aumento dell'1,3 per cento per un totale di oltre 117 miliardi di euro di export. Anche in questo caso, ai primi posti per volumi di merce movimentata troviamo la Lombardia (30 miliardi, +3,6 per cento), Veneto (24,8 miliardi, +1,3 per cento) ed Emilia Romagna (14,7 miliardi, +2,4 per cento);

   tra i settori a maggior concentrazione di microimprese più rilevanti per le vendite all'estero c'è quello alimentare: nel 2016 il trend ligure delle esportazioni per questo segmento resta positivo del 4 per cento, con 360 milioni di euro di merce esportata. In calo solo Imperia (106 milioni di euro, –1,6 per cento), mentre dati positivi registrano Genova (201 milioni, +6,7 per cento), Savona (32 milioni, +7,7 per cento) e La Spezia (21 milioni, +1,9 per cento);

   anche a livello nazionale la dinamica è positiva: +3,6 per cento per un totale di quasi 24 miliardi di prodotti alimentari esportati –:

   nonostante rispetto agli anni passati si registrino lievi segnali di ripresa dell’export delle microimprese, quali iniziative si intenda adottare per sostenere e rilanciare questo importante segmento dell'economia italiana, nonché per promuovere e valorizzare maggiormente i nostri prodotti sui mercati internazionali.
(4-16273)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Rendere più competitivo il sistema dell’
export italiano, chiamato a confrontarsi in una dinamica internazionale sempre più articolata e complessa, rappresenta uno degli obiettivi primari del Ministero dello sviluppo economico.
  Il «Piano straordinario per il
made in Italy e l'attrazione degli investimenti», ha previsto per il triennio 2015-2017 una articolata serie di misure, pensate per accompagnare e sostenere i diversi segmenti d'impresa.
  In particolare, per quanto riguarda il vasto mondo delle micro e piccole imprese, la strategia del Governo ha soprattutto puntato al potenziamento delle loro competenze.
  I principali assi di intervento sono stati:

   1) formazione;

   2) maggiore accesso alle informazioni sui mercati e sugli strumenti promozionali, finanziari e di assicurazione e riassicurazione dei rischi che gli impreditori possono incontrare all'estero;

   3) ricorso facilitato a professionalità e competenze manageriali specifiche.

  Per quanto concerne le attività di formazione, attraverso Ice agenzia sono state formate nel biennio 2015 - 2016 oltre 2.000 imprese (nell'ambito di programmi come «Export sud», rivolto alle imprese delle regioni obiettivo 1; ed «export now!»); iniziative che si sono affiancate al tradizionale Master «Cor.CE» (Corso di specializzazione in commercio estero - svolto da Ice dal 1963), nonché alla formazione professionale di figure sia junior che senior di Temporary export managers (per creare un bacino di professionisti, i cosiddetti Tem, a disposizione delle imprese).
  Per divulgare le informazioni sugli strumenti e le opportunità assicurate dagli strumenti della «
promotion» nazionale direttamente alle imprese sui territori, è stata avviata l'iniziativa «Roadshow Italia per le imprese» che ha visto presentare per la prima volta i prodotti e servizi di Ice Agenzia, Simest e Sace in forma integrata, in collaborazione con Confindustria, Rete imprese Italia, Unioncamere ed Alleanza delle cooperative italiane.
  Dal 2015, nel corso delle 45 tappe finora tenutesi in altrettante province italiane, sono state coinvolte oltre 7.000 imprese a cui è stata data anche la possibilità di partecipare ad incontri personalizzati di prima consulenza e indirizzo sui mercati.
  Infine, per dotare le micro e piccole imprese di adeguate professionalità, il Ministero dello sviluppo economico ha messo a punto la misura dei «
voucher Tem» nel corso del 2016 circa 1.800 imprese hanno ricevuto un voucher di 10.000 euro con cui acquistare i servizi di Temporary export management forniti da professionisti dell'internazionalizzazione.
  Appare opportuno ricordare come il Ministero abbia affidato ad un operatore di mercato l'incarico di realizzare un'analisi di «
customer, satisfaction» cioè del grado di soddisfazione sulla misura del voucher Tem. Dall'analisi è emerso che oltre il 75 per cento delle micro e piccole imprese beneficiarie del voucher ha segnalato la propria soddisfazione; di queste, oltre il 60 per cento ha dichiarato di aver individuato nuovi clienti all'estero, ed oltre il 50 per cento di aver ampliato il proprio grado di internazionalizzazione.
  Anche sulla base di tali risultati, il Ministero dello sviluppo economico ha deciso di dare continuità allo strumento, lanciando nel corso del 2017 una seconda edizione del
voucher Tem.
  Tutto ciò va naturalmente inserito nel quadro del sopra citato Piano straordinario per il
made in Italy, che rappresenta il perno della nuova azione del Governo per promuovere e valorizzare maggiormente i nostri prodotti sui mercati internazionali.
  Il Piano si articola in tre idee guida:

   riorganizzare il sistema della promotion pubblica a livello centrale, attraverso il rafforzamento della Cabina di regia per l'internazionalizzazione, il rilancio di Ice agenzia e l'integrazione dei prodotti e dei servizi delle società Sace e Simest, in una logica di «Export Bank» all'interno del gruppo Cassa depositi e prestiti;

   incrementare le risorse promozionali a sostegno della maggior presenza e visibilità dei nostri prodotti sui mercati esteri, concentrandole su mercati maturi (come quelli dei partner europei e degli USA), da presidiare per non perdere quote di export rispetto ai paesi nostri concorrenti; e mercati ad alto potenziale, ossia con forti margini di crescita futura;

   rivedere radicalmente la strategia della promotion, puntando su grandi progetti promozionali trasversali, ribadendo l'importanza di elementi quali l'informazione, la formazione e la managerializzazione delle imprese che siano già, o anche solo «potenzialmente», esportatrici - per arrivare a aumentare il numero degli esportatori italiani.
   

  Per realizzare il Piano i fondi pubblici per la promozione sono passati da 50 milioni di euro (periodo 2010-2014) a 200 milioni di euro l'anno (2016-2017).
  Oltre alle risorse finanziarie il Piano ha visto un cambio di metodo proprio di una politica economica efficace, che deve saper individuare le priorità per la crescita e mettere a punto strumenti che sappiano interpretare le tendenze internazionali e soddisfare le esigenze di imprese diverse per dimensione e risorse umane e finanziarie. Il Piano straordinario ha realizzato questo, utilizzando studi e previsioni economiche su mercati e settori, ascoltando gli imprenditori e le associazioni e disegnando misure innovative.
  Si tratta di un programma di eccezionale portata per l'ammontare delle risolse impiegate e per la valenza strategica delle misure da attuare: il Piano punta su un deciso incremento dell’
export italiano e, al contempo, su una maggiore capacità del sistema Paese di attrarre gli investimenti diretti esteri.
  

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Ivan Scalfarotto.


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in un mercato profondamente cambiato negli ultimi anni e in continua evoluzione, caratterizzato da consumatori con nuove esigenze, anche le micro e piccole imprese artigiane hanno ampi margini di crescita e ottime chance per far crescere il proprio business, ma per farlo devono compiere al più presto un salto di qualità in termini di diffusione e utilizzo del digitale nei processi produttivi e nella comunicazione. Infatti, al fine di perseguire i nuovi livelli di produttività e flessibilità richiesti dal mercato, occorre far leva sulle potenzialità dell'Industria 4.0, cioè la capacità di integrare in modo armonico nuove tecnologie digitali e nuovi approcci manageriali con le tecnologie e i metodi tradizionali di fare impresa;

   l'Industria 4.0, sostenuta anche da una serie di incentivi fiscali, tra cui super e iperammortamento, per chi investe in beni strumentali nuovi, materiali e immateriali, rappresenta una vera e propria «rampa di rilancio» fondamentale soprattutto per le piccole realtà imprenditoriali;

   infatti, grazie all'Industria 4.0 anche i processi produttivi delle micro e piccole imprese artigiane possono migliorare in efficacia ed efficienza, consentendo all'impresa non solo di essere più competitiva sui mercati, ma anche di entrare a far parte di quell'economia del pezzo unico «su misura» che caratterizza la nuova manifattura nell'era della tecnologia e soddisfa le esigenze più sofisticate e particolari;

   ci sono straordinari e crescenti esempi di come le tecnologie digitali e il saper fare artigiano possano incontrarsi e produrre risultati straordinari, a prescindere dalle dimensioni delle imprese. La sfida, oggi, è rendere queste buone pratiche prassi comune e fare crescere la digitalizzazione dell'intero sistema produttivo;

   il sistema produttivo italiano è composto per il 99,4 per cento da micro e piccole imprese diffuse in ogni settore dell'economia, dalla manifattura ai servizi, dai settori tradizionali a quelli più innovativi. Alla luce di ciò è importante non solo digitalizzare le imprese esistenti ma anche preservare la biodiversità produttiva italiana. Industria 4.0 deve quindi saper valorizzare le varie eccellenze produttive nel mondo digita mantenendone sempre intatta la «biodiversità» e salvaguardando le specificità di ciascuna. Grazie alle tecnologie digitali, le straordinarie competenze e la flessibilità e creatività degli artigiani possono creare nuovi prodotti, conquistare nuovi mercati, raggiungere grazie alle reti obiettivi prima preclusi alle realtà di piccole dimensioni. Tutto senza perdere le loro specificità –:

   quali iniziative intenda il Governo intraprendere per sostenere e agevolare le piccole e medie imprese nello sviluppo del proprio potenziale di innovazione e guidarlo nei processi di trasformazione tecnologica e digitale che rappresenta per le medesime una vera occasione di rinascita e di crescita;

   quali iniziative intenda adottare, anche mediante un confronto con soggetti pubblici e privati, per orientare e implementare a tutti i livelli le politiche di Industria 4.0, perché possano realmente conseguire l'obiettivo della trasformazione digitale delle imprese artigiane italiane, precondizione per la trasformazione digitale della nostra economia.
(4-16514)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Il Piano Industria 4.0 ha previsto la realizzazione di un
network nazionale per il trasferimento tecnologico e l'alta formazione articolato in diverse modalità. Insieme alle Camere di commercio è stato dato il via ai «Punti di impresa digitale» e insieme alle associazioni di categoria ai «Digital innovation hub», al fine di arrivare in modo capillare a rispondere alla domanda di innovazione e competenze specialistiche del tessuto produttivo, soprattutto di piccola e media dimensione.
  Tale
network prevede la creazione di pochi e selezionati competence center poli di eccellenza a livello nazionale per l'alta formazione e la realizzazione di progetti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale, per la costituzione dei quali, tuttavia, si stanno registrando alcuni ritardi dovuti all’iter di registrazione presso la Corte dei conti del decreto interministeriale autorizzativo della costituzione oltre che alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
  Si osserva, tuttavia, che soltanto i
competence center prevedono l'apertura di un bando ed il finanziamento attraverso risorse pubbliche, mentre i digital innovation hub sono realtà coordinate e gestite dalle principali associazioni datoriali che saranno tenute ad operare nel rispetto delle linee guide condivise con la cabina di regia, composta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dai dicasteri dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, del lavoro e delle politiche sociali, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, oltre che da una rappresentanza degli atenei tecnici, dei centri di ricerca, dell'imprenditoria e delle organizzazioni sindacali.
  I «Punti di impresa digitale», in capo alle Camere di commercio, vengono finanziati attraverso l'incremento del 20 per cento del diritto annuale e, come deliberato dalle singole Camere di commercio, affiancheranno le imprese a livello locale nella formazione di base sulle competenze e sulle tecnologie in ambito Industria 4.0 e supporteranno economicamente, attraverso appositi
voucher, le imprese nello sviluppo e nella realizzazione di progetti di innovazione digitale. I bandi per l'assegnazione dei voucher e la gestione dei costi per l'erogazione dei servizi di formazione saranno competenza delle Camere di commercio, ma sotto la supervisione del Ministero dello sviluppo economico, che avrà il compito di verificare il corretto utilizzo delle risorse prevedendo la revoca, in caso di inadempienze o mancato rispetto delle linee guida.
  Ciò premesso, si sottolinea come obiettivo primario del Ministero dello sviluppo economico sia quello di contribuire allo sviluppo di un ambiente favorevole agli investimenti diffondendo, al contempo, le competenze indispensabili per massimizzare i benefici connessi alle nuove tecnologie, al fine di sostenere le piccole e medie imprese nello sviluppo dei propri potenziali di innovazione.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonio Gentile.


   PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   si apprende da notizie di stampa (La Gazzetta del Mezzogiorno e Lecce del 1o luglio 2017) che per l'ennesima volta negli ultimi anni, sulla costa salentina, in località San Leonardo, nei pressi dello scarico in mare del depuratore consortile di Gallipoli, è stata avvistata dai bagnanti, e fotografata, una chiazza di colore marrone in mare, sottocosta, presumibilmente contenente sostanze provenienti dallo scarico del suddetto depuratore;

   la cosa desta preoccupazione nei cittadini e nei turisti anche perché, pur non verificandosi tale situazione da parecchio tempo, ormai da anni, in presenza di condizioni atmosferiche, venti e moto ondoso di un certo tipo, i reflui del depuratore finiscono di fatto sottocosta;

   da situazione è stata anche oggetto di una sentenza del Tar Lecce di febbraio 2013 quando, su ricorso presentato dal sindaco di Gallipoli, il Tar condannò la regione Puglia e autorità competenti, sollecitandoli a trovare una soluzione definitiva entro 90 giorni;

   da allora non risulta che ciò sia avvenuto e, invece, continuano a registrarsi avvistamenti in mare di chiazze marroni e maleodoranti e denunce di cittadini istituzioni locali –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione denunciata in premessa;

   se il Ministro non ritenga di dover attivare tutte le iniziative di competenza finalizzate alla verifica di quanto denunciato anche tramite ispezioni e prelievi di acqua marina nella località indicata, da parte del Noe o di altre strutture statali deputate al controllo e alla tutela della salute dei bagnanti;

   di quali elementi disponga il Governo circa gli interventi effettuata in esecuzione della sentenza sopracitata per evitare lo scarico sotto costa di sostanze inquinanti.
(4-17362)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che, per quanto di competenza, nel caso di specie, l'agglomerato di Gallipoli è oggetto della procedura di infrazione 2014/2059 avviata dalla Commissione europea per non corretta applicazione della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane; in particolare, per l'agglomerato in questione, la criticità sollevata è inerente alla non corretta depurazione dei reflui.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è impegnato costantemente e con la massima attenzione a vigilare e ad intraprendere e portare avanti tutte le azioni di competenza volte alla risoluzione delle problematiche nel settore fognario depurativo ancora presenti nel territorio nazionale, si precisa che per la depurazione – inclusa nel processo verticale del servizio idrico integrato (S.I.I.) composto appunto da acquedotto, fognatura e depurazione – la normativa di settore, in particolare l'articolo 149, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, affida agli enti di governo d'ambito – in sede di predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito – il compito di condurre le attività di ricognizione delle infrastrutture, programmazione degli interventi e redazione di un piano economico finanziario.
  A riguardo, sulla base delle informazioni fornite dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si fa presente che:

   l'agglomerato di Gallipoli ha un carico generato pari a 73.887 abitanti equivalenti (a.e.), il 95 per cento (70.192 a.e.) del quale è raccolto in rete fognaria e il restante 5 per cento (3.695 a.e.) è raccolto e trattato presso adeguati sistemi individuali.
   Il carico raccolto in rete fognaria è successivamente depurato presso l'impianto consortile di Gallipoli avente una capacità organica di progetto pari a 79.000 a.e., – in grado, quindi, di trattare tutto il refluo in ingresso – e una tipologia di trattamento secondario;

   i certificati analitici (nr. 24 campionamenti) trasmessi da Arpa Puglia e relativi all'anno 2016 attestano per i reflui allo scarico il rispetto, per i parametri BOD5 e COD, dei valori limite di emissione fissati dalla normativa nazionale e comunitaria;

   l'Acquedotto Pugliese ha comunicato lo stato di attuazione dei Lavori di adeguamento funzionale dell'impianto di depurazione a servizio dell'agglomerato di Gallipoli (LE) intervento codice progetto P8020. I lavori conclusi in data 4 dicembre 2016, con previsione di svolgimento del collaudo entro il 13 giugno 2017, hanno riguardato la segregazione e il trattamento aria delle stazioni con maggior impatto odorigeno; il potenziamento della stazione di produzione aria a servizio del comparto biologico e la costruzione di una nuova stazione di filtrazione; la costruzione della stazione di preispessimento dinamico fanghi; l'ampliamento ed aggiornamento dell'impianto elettrico.

  Per completezza di informazione, tenuto conto di quanto già rappresentato, si segnala inoltre che:

   la regione Puglia ha complessivi 27 agglomerati interessati dalla predetta procedura d'infrazione 2014/2059;

   la regione Puglia ha comunicato che 11 agglomerati, tra cui l'agglomerato di Gallipoli, sono ora conformi ai requisiti della Direttiva 91/271/ CEE; 7 agglomerati hanno una conformità strutturale (interventi conclusi – è necessario fornire alla Commissione europea, per il superamento del contenzioso, 1 anno completo di campionamenti); 9 agglomerati sono non conformi;

   nell'ambito del piano operativo «Ambiente», approvato il 1° dicembre 2016 dal Cipe con Delibera n. 55, sono state destinate risorse, a valere su FSC 2014-2020, per interventi nel settore fognario-depurativo finalizzati al superamento della procedura di infrazione 2014/2059. In particolare per la regione Puglia sono state destinate risorse pari a euro 67.592.194,00.

  Sull'argomento si fa presente, altresì, che Arpa Puglia effettua controlli di routine presso gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane ai sensi della normativa nazionale e regionale, per la verifica della «regolarità dello scarico». La modalità e la frequenza dei controlli sono stabilite dal decreto legislativo n. 152 del 2006, dalla deliberazione di giunta regionale n. 1116 del 2006 e dal piano di tutela delle acque, così come richiamate nei provvedimenti di autorizzazione allo scarico.
  Per quanto concerne il depuratore di Gallipoli, i controlli sono condotti dal dipartimento provinciale di Lecce di Arpa Puglia, in accordo con le autorità locali competenti.
  Al riguardo, Arpa Puglia segnala che, nel bollettino, reperebile dal portale della stessa, relativo alle caratteristiche del depuratore in questione, sono riportati i risultati analitici prodotti dai dipartimenti provinciali ed inerenti le acque marino-costiere destinate alla balneazione nelle sei province pugliesi. Più in particolare, nel predetto bollettino sono indicati:
a) le date di monitoraggio; b) i punti di campionamento; c) i risultati analitici per ciascuna delle acque di balneazione designate, con l'indicazione di eventuali superamenti rispetto ai limiti di legge.
  Da ultimo, secondo quanto riferito dalla Asl di Lecce, con riferimento all'impianto di depurazione di acque reflue urbane sito in agro di Gallipoli loc. Madonna delle Grazie – che depura i reflui dei comuni di Gallipoli, Alezio Sannicola e Tuglie, con una potenzialità di circa 80.000 a.e., e trova recapito nello specchio del mare Jonio antistante la località San Leonardo – il tratto di mare, per un raggio di 500 metri intorno al punto di scarico, risulta interdetto alla balneazione.
  Sempre secondo gli elementi forniti dalla Asl, l'autorizzazione allo scarico per il suddetto impianto, rilasciata con prescrizioni dalla provincia di Lecce con determina n. 4443 del 29 luglio 2002, non è mai stata rinnovata sebbene l'Acquedotto pugliese abbia regolarmente inoltrato le prescritte istanze. Al punto 14 della suddetta autorizzazione veniva riportato l'obbligo di realizzare una condotta sottomarina. A tal proposito, il decreto del commissario delegato per l'emergenza ambientale in Puglia n. 36 del 1° aprile 2005 in merito allo scarico delle acque reflue in corpo idrico costituito dal mare prevede che «è consentito lo scarico a mare senza apposita condotta sottomarina solo nei casi in cui venga accertato che lo stesso non peggiori lo stato del corpo recettore». Tale manufatto, tuttora non realizzato, permetterebbe l'intercettazione delle correnti e quindi una adeguata dispersione delle acque recapitate in mare. Risulta invece attivato un impianto di affinamento delle acque reflue per il riutilizzo in agricoltura, che permette però di trattare solo una quota del refluo in uscita dall'impianto.
  La Asl di Lecce ha segnalato, altresì, che nel mese di aprile 2014 l'impianto è stato oggetto di conferenza di servizi presso la regione Puglia – servizio ecologia, per la verifica dell'assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (V.i.a.) del progetto di «Adeguamento funzionale dell'impianto di depurazione a servizio dell'agglomerato di Gallipoli» proposto da A.Q.P. s.p.a.. Con determinazione dirigenziale n. 120 del 17 aprile 2014, sulla base dell'istruttoria e dei pareri espressi dagli enti convocati, veniva determinata l'esclusione dalla procedura di valutazione di impatto ambientale per l'intervento proposto condizionato dal rispetto delle prescrizioni ivi indicate. Anche questo provvedimento prevedeva la realizzazione di una condotta sottomarina.
  Con riferimento alla qualità delle acque balneabili del comune di Gallipoli, la Asl ha peraltro confermato quanto riferito da Arpa Puglia. In particolare, ha evidenziato che, a decorrere dalla stagione balneare 2010, con il decreto-legge n. 116 del 30 maggio 2008 e con la successiva pubblicazione del decreto ministeriale 30 marzo 2010, sono stati definiti i criteri per esaminare la qualità delle acque di balneazione, (intese come aree destinate a tale uso e non precluse a priori, come le aree portuali, le aree marine protette e le aree direttamente interessate dagli scarichi, tra cui rientra il tratto di costa in località San Leonardo).
  Tra l'altro, tale normativa disciplina la frequenza di campionamento mensile ad opera di Arpa nell'arco della stagione balneare (ad iniziare da aprile sino alla fine di settembre) secondo un calendario prestabilito e la classificazione delle acque sulla base degli esiti di quattro anni di monitoraggio, secondo la scala di qualità: «scarsa, sufficiente, buona, eccellente». In relazione a ciò, la giunta regionale, con propria deliberazione n. 490 del 28 marzo 2017 ha provveduto alla valutazione delle acque di balneazione ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 116 del 2008. I giudizi di qualità espressi sui 12 punti di campionamento previsti per il litorale balneabile di Gallipoli hanno avuto esito «eccellente».
  Anche dai prelievi eseguiti nel mese di giugno 2017 nelle date 15 e 21 non è stato rilevato alcun superamento dei limiti di legge previsti dalla normativa. Gli esami dei campioni prelevati a luglio sono, invece, ancora in corso.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PRATAVIERA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 12 maggio 2017 ricorre la data del 220mo anno dall'ultima riunione del Maggior Consiglio della Repubblica di Venezia, che sancì la caduta della Repubblica stessa;

   un gruppo di cittadini denominato «Maggior Consiglio del Palazzo Ducale», a quanto risulta all'interrogante, avrebbe inoltrato richiesta formale agli uffici competenti per ottenere la disponibilità di spazi interni al Palazzo Ducale al fine di effettuare una cerimonia celebrativa della ricorrenza di cui sopra;

   non si è a conoscenza di quale sia l'esito di tale istanza;

   al di là del caso in questione, richieste come quella sopra riportata fanno emergere un interesse ricorrente, ossia quello allo svolgimento di eventi culturali e rievocativi, promossi da gruppi e associazioni, in luoghi celebri del patrimonio artistico e architettonico nazionale –:

   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato, per quanto di competenza, circa l'utilizzo di spazi e locali afferenti a musei, monumenti e luoghi di alto valore artistico e culturale per lo svolgimento di eventi e manifestazioni di interesse storico-celebrativo come nel caso di cui in premessa.
(4-16555)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo sopra indicato, nel quale l'interrogante, con riferimento ad una richiesta di disponibilità di spazi interni al Palazzo Ducale di Venezia in occasione della cerimonia celebrativa del 220mo anno dall'ultima riunione del Maggior Consiglio della Repubblica di Venezia, che sancì la caduta della Repubblica stessa, chiede, anche al di là del caso in questione, quali siano gli orientamenti del Ministero in merito all'utilizzo di spazi di alto valore artistico e culturale per lo svolgimento di eventi e manifestazioni di interesse storico-celebrativo.
  La fattispecie cui fa riferimento l'interrogante, vale a dire Palazzo Ducale a Venezia, pur appartenendo al demanio statale propriamente detto, riguarda un bene gestito dal comune di Venezia già dal 1923 con apposita convenzione, e, pertanto, non di competenza di questa Amministrazione.
  Gli uffici della soprintendenza paesaggistica per il comune di Venezia e Laguna occupano per uso governativo una piccola parte del Palazzo con accesso dalla Porta della Carta, Piazza San Marco 1. In particolare, la citata sala del Maggior Consiglio non è in consegna alla soprintendenza, ma fa parte del percorso museale interno al Palazzo, attualmente gestito dalla Fondazione Musei civici di Venezia.
  La soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per il comune di Venezia e Laguna del Ministero non risulta, infatti, mai aver ricevuto alcuna richiesta di concessione, ai sensi dell'art. 106 del codice dei beni culturali e del paesaggio, dal gruppo di cittadini denominati «Maggior Consiglio di Palazzo Ducale».
  In linea generale, comunque, si rappresenta che la legge 14 gennaio 1993, n. 4 (cosiddetto «Legge Ronchey») ha introdotto la possibilità per questa amministrazione (al tempo «Ministero per i beni culturali e ambientali») di concedere l'uso dei beni dello Stato che abbia in consegna senza alcun'altra autorizzazione, dietro corrispettivo di un canone.
  Il Regolamento di attuazione disciplinava le modalità di concessione, e prevedeva che il canone fosse versato alla competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato, mentre il decreto ministeriale 8 aprile 1994 cosiddetto «Tariffario») indicava il capo XXIX, cap. 2583 per i versamenti e fissava le tariffe; in particolare, per l'uso occasionale degli spazi, distingueva la tipologia di spazi (cortili e giardini, interni con arredi storici e decorazioni, interni non decorati) e di eventi (conferenze, convegni, proiezioni e concerti, spettacoli e riprese telecinematografiche, ricevimenti) e prevedeva un deposito cauzionale pari almeno al triplo del canone d'accesso, da fissare in funzione della quantità di artisti coinvolti e delle attrezzature utilizzate.
  L'attuale codice dei culturali e del paesaggio, nel disciplinare nuovamente la materia, ha introdotto la possibilità di versamento del canone anche sul conto corrente bancario aperto da ciascun responsabile di istituto presso un istituto di credito (articoli 106-110).
  La fattispecie della concessione d'uso strumentale e precario (articolo 107) risulta essere pacificamente ammessa nell'ordinamento dei beni culturali purché gli spazi e i beni siano concessi applicando canoni adeguati ai livelli di mercato e sufficientemente remunerativi per l'amministrazione.
  Si rappresenta, in ogni caso, l'orientamento favorevole del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per l'utilizzo di spazi e locali afferenti a musei, monumenti e luoghi di valore artistico e culturale per lo svolgimento di manifestazioni ed eventi di elevato interesse storico-celebrativo, a fini di promozione della cultura, che garantiscano il pieno rispetto delle esigenze di conservazione e tutela del patrimonio culturale nazionale.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'Automobile Club Italia (ACI) è stata istituita all'inizio del novecento con l'obiettivo di favorire lo sviluppo dello sport automobilistico in Italia, di associare gli automobilisti fornendo loro servizi e di organizzare manifestazioni sportive. Quale federazione sportiva automobilistica, ACI SPORT è riconosciuta dal CONI e dalla Fédération Internationale de l'Automobile (FIA);

   l'ACI è anche ente pubblico non economico a base federativa senza scopo di lucro, la cui attività concerne in prevalenza la gestione del pubblico registro automobilistico (PRA) e l'acquisizione dei relativi tributi (bollo auto) in regioni, oltre ad essere fornitrice di numerosi servizi rivolti sia ai propri soci che alla generalità dei consumatori;

   in Italia, ogni anno si svolgono circa 150 competizioni automobilistiche su strada (rally) autorizzate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con apposita circolare, secondo il Calendario proposto da ACI SPORT, a cui partecipano una media di 70 concorrenti ciascuna;

   i rally sono manifestazioni sportive di regolarità che si svolgono lungo percorsi suddivisi in settori o tratti di percorso in ciascuno dei quali, di norma, sono compresi tratti di regolarità su strade aperte alla circolazione stradale dove è obbligatorio il rispetto delle norme del codice stradale, e prove speciali a velocità libera su tratti chiusi al traffico;

   le autovetture utilizzate per i rally vengono immatricolate come autovetture ad uso proprio, senza alcuna menzione descrittiva dalle vetture «stradali»; dopo la richiesta di omologazione sportiva dello specifico modello di vettura da parte della Casa costruttrice alla FIA secondo una particolare regolamentazione tecnica, e il rilascio della relativa fiche di omologazione, la vettura è soggetta a verifica da parte dei Commissari tecnici federali sulla corrispondenza tra i particolari effettivamente montati e le prescrizioni previste dalla fiche di omologazione per la specifica categoria di appartenenza; conseguentemente per ogni vettura preparata viene rilasciato un passaporto tecnico, documento di identificazione in formato digitale dove sono indicati i dati tecnici fondamentali della vettura ed annotati i rilievi nei casi di non conformità rilevati in sede di verifica effettuata durante le gare, o di incidenti di particolare gravità;

   le modifiche apportate alle vetture per poter partecipare ai rally, montando particolari elementi meccanici, sono necessarie sì per aumentarne le prestazioni, ma in particolar modo per garantire una maggiore sicurezza per gli occupanti;

   le vetture, proprio in virtù di tali modifiche, devono essere conformi ai prescritti regolamenti, ma non corrispondono più alle caratteristiche riportate sulla carta di circolazione. Non possono, quindi, effettuare le revisioni periodiche previste, né stipulare l'assicurazione propria di responsabilità civile obbligatoria, né circolare liberamente su strada;

   l'articolo 9 del nuovo codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 30 aprile 1992) sottopone a specifica autorizzazione lo svolgimento di gare sportive su strada, comprese le competizioni automobilistiche rally: in particolare, il comma 4-bis stabilisce: «Fermo restando quanto disposto dall'articolo 193, i veicoli che partecipano alle competizioni motoristiche sportive di cui al presente articolo possono circolare, limitatamente agli spostamenti all'interno del percorso della competizione e per il tempo strettamente necessario per gli stessi, in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 78»;

   l'articolo 78 del nuovo codice della strada relativo alle «Modifiche delle caratteristiche costruttive dei veicoli in circolazione e aggiornamento della carta di circolazione» dispone che le variazioni delle caratteristiche di costruzione debbano essere approvate dai competenti uffici del dipartimento dei trasporti terrestri e annotate successivamente sulla carta di circolazione;

   la circolare del Ministero dei trasporti n. 0108172 del 27 novembre 2007 diffusa a tutti i comparti della polizia di Stato dal Ministero dell'interno con circolare n. 300/A/1/26733/105/2 precisa la deroga anche in relazione all'articolo 80 del nuovo codice della strada, relativo alla revisione che le vetture devono effettuare periodicamente per l'accertamento dei requisiti necessari per la sicurezza e la circolazione su strada;

   gli organizzatori delle gare, come previsto dai regolamenti ACI SPORT e dal decreto legislativo n. 285 del 1992, articolo 9, comma 6, hanno l'obbligo di contrarre delle apposite assicurazioni di responsabilità civile che coprono le autovetture per il solo percorso delle singole manifestazioni, sia sulle strade chiuse che aperte alla normale circolazione;

   pertanto, se le vetture dovessero, erroneamente, percorrere un tratto di strada estraneo al percorso di gara e quindi non coperto dall'assicurazione stipulata dall'organizzatore, sarebbero passibili di sanzioni e sequestro del mezzo da parte degli organi preposti in quanto sprovviste dell'assicurazione per la responsabilità civile e non più corrispondenti alle specifiche riportate dalla carta di circolazione;

   tale situazione, irrisolta da decenni, desta ulteriori preoccupazioni anche a seguito delle notizie riferite sul futuro utilizzo di sistemi automatizzati di verifica dei pagamenti delle tasse di circolazione e dell'effettuazione delle revisioni periodiche, nonché della stipula dell'assicurazione obbligatoria;

   a parere degli interroganti, per regolarizzare tale situazione, sarebbe necessario istituire una definizione speciale, da riportare sulla carta di circolazione, per gli autoveicoli conformi alle specifiche riportate dalle normative tecniche Aci Sport ed alle quali è stato rilasciato il passaporto tecnico digitale dopo le opportune verifiche, in maniera da riconoscere anche nel codice della strada tale status, permettendo così l'omogeneità tra le normative sportive nazionali ed internazionali e il codice della strada. Allo stesso tempo si potrebbero risolvere le questioni pendenti relative alle revisioni periodiche ed alla copertura assicurativa della responsabilità civile auto –:

   se sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;

   quali iniziative intenda adottare per regolarizzare le vetture che sono conformi alle norme sportive nazionali ed internazionali previste dalla Federazioni sportive e dalla FIA, in particolare, ma che risultano in contrasto con il nuovo codice della strada;

   se ritenga di individuare delle concrete iniziative per permettere una soluzione che dia modo di esplicitare un particolare riconoscimento a tali vetture da inserire sulla carta di circolazione e consentire le revisioni periodiche stabilite e la stipula dell'assicurazione per la responsabilità civile auto.
(4-09603)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta, sulla base delle informazioni acquisite presso la direzione generale per la motorizzazione di questo Ministero.
  In merito alla possibilità di istituire una definizione «speciale» per la carta di circolazione dei veicoli utilizzati per le gare sportive su strada, si evidenzia che i contenuti delle carte di circolazione sono conformi alle specifiche fissate da norme comunitarie e non risulta possibile inserire «speciali definizioni» se non quelle riferibili alla ordinaria nomenclatura internazionale.
  Mentre per quanto riguarda l'assolvimento dell'obbligo della revisione periodica, si fa presente che detta revisione, prevista dall'articolo 80 del Codice della strada, ed effettuata in conformità alle vigenti norme comunitarie, è tesa alla verifica della persistenza dei requisiti di sicurezza e di salvaguardia ambientale dei veicoli in circolazione, appare pressoché impossibile che i veicoli destinati alle gare, che hanno subito significative modifiche rispetto al corrispondente veicolo omologato, possano soddisfare i predetti requisiti, soprattutto in relazione alle emissioni di sostanze inquinanti e al rumore.
  Se così non fosse non ci sarebbe alcuna motivazione nel chiedere deroghe e speciale regolamentazione per le revisioni, in quanto detti veicoli potrebbero essere sottoposti all'ordinaria revisione.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   REALACCI e BRATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da numerosi articoli apparsi sulla stampa nazionale e sui social media si apprende che le associazioni ambientale Legambiente, WWF e Greenpeace hanno presentato nel maggio 2016 una diffida al Ministero per lo sviluppo economico e, per quanto di competenza, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per chiedere lo smantellamento a rigore di legge delle piattaforme la cui attività estrattiva in mare sia esaurita prima dell'entrata in vigore della legge 28 dicembre 2015 n. 208, ovvero legge di stabilità 2016;

   tale disposizione fa salvi, come sopraddetto, solo ed esclusivamente i titoli abilitativi già rilasciati e non le istanze di ricerca e/o coltivazione o le istanze di proroga avanzate nel frattempo fino a tutto il 2015. Ora risulta che i seguenti 10 titoli abilitativi scaduti tra il 2014, in cui ne è scaduto 1, e il 2015, in cui ne sono scaduti 9, relativi a piattaforme offshore localizzate nella fascia di interdizione delle 12 miglia, siano da considerarsi decaduti, pur in presenza nella maggior parte dei casi di istanze di proroga. Più precisamente:

   risulta scaduta nel 2014 con istanza di proroga:

    B.C 5.AS: Titolo vigente da 41 anni e 6 mesi – Inizio 12 novembre 1974 – I proroga (30+10) – ADRIATICAI. 100 per cento;

   risultano scadute nel 2015 con istanza di proroga:

    A.C1.AG: Titolo vigente da 45 anni e 8 mesi – Inizio 13 settembre 1970 – II Proroga (30+10+5) – ENI 100 per cento;

    A.C2.AS: Titolo vigente da 45 anni e 5 mesi – Inizio 3 dicembre 1970 – II Proroga (30+10+5) – ENI 100 per cento;

    A.C3.AS: Titolo vigente da 45 anni e 5 mesi – Inizio 3 dicembre 1970 – II Proroga (30+10+5) – ENI 100 per cento;

    A.C8.ME: Titolo vigente da 40 anni e 6 mesi – Inizio 5 novembre 1975 – II Proroga (30+10+5) – ENI 100 per cento;

    A.C9.AG: Titolo vigente da 36 anni e 6 mesi – Inizio 23 ottobre 1979 – Termine 25 ottobre 2009 – II proroga (30) – ENI 100 per cento;

    A.C14.AS: Titolo vigente da 35 anni e 1 mese – Inizio 18 marzo 1981 – I periodo (30) ENI 51 per cento – EDISON 49 per cento;

    B.C1.LF: Titolo vigente da 45 anni e 8 mesi – Inizio 27 agosto 1970 – II proroga (30+10+5) – ENI 95 per cento/Gas Plus 5 per cento;

    B.C2.LF: Titolo vigente da 45 anni e 5 mesi – Inizio 27 luglio 1970 – II proroga (30+10+5) – ENI 95 per cento/Gas Plus 5 per cento;

   risulta scaduta nel 2015 senza istanza di proroga:

    D.C3.AG: Titolo vigente da 35 anni e 4 mesi – Inizio 6 dicembre 1980 – Termine 16 dicembre 2010 – I periodo (30) – ENI 100 per cento;

   a quanto si apprende dalla stampa e sulla base dei dati forniti da Unmig – Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse si sarebbe dovuto dichiarare la decadenza dei titoli abilitativi e rigettare le istanze delle concessioni offshore classificate come «non operative». Decadenza peraltro prevista dal nostro ordinamento da circa 90 anni, ex regio-decreto n. 1447 del 1927;

   inoltre, secondo dati Unmig aggiornati al 2016, 42 delle 88 piattaforme o strutture emerse localizzate nella fascia offlimits delle 12 miglia (il 47,7 per cento del totale) sono state costruite prima del 1986 e quindi non sono stata mai sottoposte a valutazione di impatto ambientale. Si aggiunga che il mantenimento delle concessioni per tali strutture emerse, se non più produttive e non rimosse, impedisce l'accesso per altri usi ad aree demaniali marine localizzate nelle acque territoriali italiane e che le piattaforme offshore, facenti capo a dette concessioni, costituiscono un ostacolo e un rischio per la sicurezza e per la navigazione;

   il Decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 145 – «Attuazione della direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE», all'articolo 25, comma 3, prevede poi che: «Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche avvalendosi dell'ISPRA, trasmetta annualmente alle Commissioni parlamentari competenti un rapporto sugli effetti per l'ecosistema marino della tecnica dell'airgun» –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopraesposti e come intendano rispondere alla sopracitata diffida promossa dalle associazioni Legambiente, WWF e Greenpeace;

   se non intendano, per quanto di competenza, redigere l'elenco delle piattaforme «esauste» e non soggette a proroga di attività ex lege 28 dicembre 2015, n. 208, affinché se ne provveda da parte del concessionario allo smantellamento e alla bonifica;

   se il rapporto sugli effetti per l'ecosistema marino della tecnica dell'Airgun sia in fase di redazione, posto che lo stesso, ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 145 del 2015, deve essere presentato annualmente alle Commissioni parlamentari competenti.
(4-13573)

  Risposta. — Per quanto di competenza del Ministero dello sviluppo economico, si rappresenta quanto segue.
  Con riferimento alla dichiarazione di decadenza dei titoli abilitativi, si rileva che in base alle nuove disposizioni della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), confermate anche dall'esito referendario dello scorso 17 aprile, nelle aree marine protette nonché nelle 12 miglia da tali aree e dalla linea di costa lungo l'intero perimetro nazionale, sono vietate nuove attività
upstream, ad eccezione delle attività correlate ai titoli minerari già conferiti. Queste ultime sono infatti consentite per la durata di vita utile del giacimento.
  Conseguentemente, le istanze di ricerca e/o di coltivazione presentate relativamente ad aree marine interferenti con i divieti non possono essere trasformate in nuovi titoli minerari e sono state pertanto rigettate dal Ministero dello sviluppo economico, mentre le istanze di proroga sono fatte salve in quanto consentono, da un punto di vista amministrativo, di gestire i titoli esistenti per la durata utile del giacimento, come previsto dalla legge.
  Si osserva, altresì, che i titoli per i quali sono state presentate istanze di proroga non ancora concesse (1 nel 2014 e 9 nel 2015) possono essere considerati scaduti e quindi decaduti, in quanto in base all'articolo 34, comma 19, decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, gli impianti in funzione, rientranti e l'ambito dei titoli minerari di ricerca e coltivazione di idrocarburi, possono «essere eserciti fino al completamento delle procedure autorizzative in corso previste sulla base dell'originario titolo abilitativo, la cui scadenza deve intendersi a tal fine automaticamente prorogata fino all'anzidetto completamento».
  Con riferimento al tema dello smantellamento e della bonifica delle piattaforme, si evidenzia invece che gli uffici del Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito della costante attività di controllo, monitoraggio e ispezione sul campo degli impianti e delle operazioni in materia di idrocarburi, effettua verifiche periodiche anche sulle strutture non più produttive presenti nell’
offshore italiano, valutandone costantemente lo stato di manutenzione e di sicurezza, nel rispetto dei più alti standard di sicurezza e di salvaguardia anche ambientale. Tali attività di controllo e verifica sono ulteriormente rafforzate, a seguito del recepimento della direttiva 2013/30 dell'UE sulla sicurezza offshore. A tale riguardo, si evidenzia la recente richiesta trasmessa agli operatori offshore volta alla presentazione di un completo e capillare programma di verifica e adeguamento delle infrastrutture di produzione alle best practices europee.
  Il Ministero dello sviluppo economico, attraverso i propri uffici, effettua ricognizioni periodiche delle strutture esistenti, al fine (i) di individuare quelle che possono essere dismesse nel breve periodo, in quanto giunte al termine della propria vita produttiva, e quelle che invece richiedono ulteriori valutazioni, e (ii) di definire i relativi programmi di
decommissioning, tenendo conto della normativa nazionale ed europea esistente in materia, oltre che di specifiche linee guida per la chiusura mineraria dei pozzi e il ripristino ambientale finale.
  Si evidenzia poi che i citati uffici sono attualmente impegnati (i) nell'elaborazione di un nuovo programma di
decommissioning che tenga conto dell'attuale situazione dei mari italiani e delle più alte metodologie per la sicurezza, anche ai sensi del decreto-legislativo n. 145 del 2015 e (ii) alla realizzazione di un elenco di «piattaforme» per la dismissione mineraria nel periodo 2017-2021.
  In questo contesto, le competenti direzioni del Ministero dello sviluppo economico, hanno seguito attivamente i lavori legislativi che hanno portato al decreto legislativo n. 104 del 16 giugno 2017 (recepimento per l'attuazione della direttiva 2014/52/UE che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale) e dato immediato seguito a quanto disposto dal comma 6 dell'articolo 25 il quale prevede che: «Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, da adottarsi entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, sono emanate le linee guida nazionali per la dismissione mineraria delle piattaforme per la coltivazione di idrocarburi in mare e delle infrastrutture connesse al fine di assicurare la qualità e la completezza della valutazione dei relativi impatti ambientali». Queste linee guida potranno fornire metodologicamente un punto di riferimento qualificato soprattutto per quelle «piattaforme» costruite prima del 1986, quindi mai sottoposte a VIA.
  Per quanto attiene al rapporto sugli effetti per l'ecosistema marino della tecnica dell’
airgun, esso è stato redatto nel mese di dicembre 2016 dal competente Ministero dell'ambiente con il supporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ed è reperibile sulla pagina web http://www.minambiente.it/pagina/rapporto-sugli-effetti-lecosistema-marino-dellatecnica-dellairgun.
  Da ultimo, si evidenzia che le associazioni ambientaliste, a seguito dei riscontri forniti al loro atto di «diffida», hanno accolto positivamente l'apertura mostrata a voler collaborare su temi di comune interesse, manifestando riscontri positivi anche sulle argomentazioni fornite alle valutazioni critiche contenute nella «diffida» medesima.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonio Gentile.


   RIZZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la strada statale 124 Siracusana (SS 124) attraversa in direzione ovest-est la porzione sud-orientale della Sicilia;

   la stessa attraversa il comune di San Michele di Ganzeria, nel tratto urbano denominato via IV novembre ed è, soprattutto in particolari ore del giorno, ad alto transito anche di mezzi pesanti che utilizzano questa arteria per raggiungere l'autostrada Catania-Palermo o la Catania-Siracusa;

   un recente articolo di stampa fotografa la situazione di disagio vissuta dai residenti del comune siciliano: «prospetti esterni anneriti dallo smog, ballatoi semidistrutti, pluviali divelti» a causa della carreggiata disponibile inferiore ai tre metri di larghezza, che crea, per effetto dell'imbuto, un ingorgo di auto e mezzi pesanti;

   già in passato alcuni cittadini hanno segnalato la situazione di disagio agli organi competenti, così come la locale stazione di carabinieri, ma tali appelli risultano ancora inascoltati;

   resta grave la situazione anche dal punto di vista sanitario, con decine di residenti costretti a respirare gli scarichi di gas provenienti dai motori degli innumerevoli mezzi che ogni giorno attraversano la stretta strada in entrambe i sensi di marcia, mettendo a rischio la salute dei cittadini sanmichelesi;

   il comandante dei vigili urbani del comune denuncia come tale situazione dipenda dall'Anas che dovrebbe deviare i mezzi pesanti in percorsi alternativi, mentre per il tratto urbano sarebbe necessario installare un semaforo regolatore del traffico –:

   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato in merito allo stato di manutenzione della SS 124 Siracusana;

   quali iniziative per il breve e medio periodo, siano in corso di realizzazione per favorire la normale circolazione nel tratto urbano della SS 124 all'interno del comune di San Michele di Ganzeria ed il transito in percorsi alternativi del traffico extraurbano;

   se non si intendano assumere le iniziative di competenza per pervenire alla installazione di centraline di rilevazione dell'inquinamento ambientale, al fine di tutelare la salute degli abitanti del comune di San Michele di Ganzeria.
(4-17181)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero della società Anas.
  La strada statale 124 «Siracusana», dal chilometro 3+700 si snoda, per un tratto, nel centro abitato di San Michele di Ganzaria (Catania). La società Anas rileva che nel citato tratto urbano, la statale è percorsa giornalmente da 2.800 veicoli circa, che vanno ad aggiungersi al traffico locale.
  La predetta società evidenzia che a tal proposito sarebbe opportuna l'adozione da parte dell'amministrazione comunale del piano urbano traffico (Put), previsto dall'articolo 36 del codice della strada, necessario per fluidificare la percorribilità viaria evitando i disagi all'utenza lamentati dall'interrogante.
  Inoltre, Anas riferisce che ha consegnato all'impresa esecutrice i lavori di risanamento della sovrastruttura stradale nel tratto di statale che si sviluppa fino all'intersezione con la strada provinciale 37i nell'abitato di Mirabella Imbaccari. Detti lavori prevedono un investimento di 800 mila euro.
  Anas fa presente, altresì, che sul tratto di strada in argomento sono state ultimate le attività di manutenzione programmata delle opere in verde (sfalcio d'erba).
  In merito agli aspetti riguardanti la qualità dell'aria e l'installazione di centraline di rilevazione dell'inquinamento ambientale sono state chieste informazioni al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ha riferito quanto segue.
  La normativa vigente in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente (decreto legislativo n. 155 del 2010) nel recepire le direttive comunitarie di tale settore in modo coerente con la normativa nazionale in materia di decentramento delle competenze statali, prevede che le regioni e le province autonome siano le autorità competenti sul territorio nazionale nella valutazione e gestione della qualità dell'aria.
  In conseguenza di ciò, spetta a tali amministrazioni, il monitoraggio degli inquinanti atmosferici, la predisposizione ed attuazione di misure e piani di qualità dell'aria volti a prevenire i superamenti dei valori limite previsti dalla normativa per i vari inquinanti, la divulgazione al pubblico di dati ed informazioni di settore e la comunicazione alla Commissione europea dei dati richiesti dalle direttive di settore.
  In tale settore il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha un ruolo di coordinamento nell'attuazione della normativa, si occupa della trasmissione alla Commissione europea dei dati di qualità dell'aria forniti dalle regioni ed interviene nel processo di predisposizione dei progetti di zonizzazione del territorio e di rete di monitoraggio.
  Per quel che riguarda la rete di monitoraggio siciliana, adottata dalla regione siciliana nell'anno 2014, nel comune in esame non risultano collocate stazioni di monitoraggio né se ne prevede l'attivazione. Ciò non esclude che nel territorio regionale siano già attive o di prevista attivazione stazioni di monitoraggio in grado di rilevare l'esposizione della popolazione da flussi di traffico analoghi a quelli oggetto dell'interrogazione in esame.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   RIZZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   gli abitanti di San Michele di Ganzaria sono sempre più costretti ad uno stato di isolamento e di marginalità dovuto alle precarie condizioni di viabilità che ostacolano il fruire di rapporti di relazione e continuità con i comuni limitrofi come Mirabella Imbaccari;

   le due comunità, da anni ormai, si vedono costrette a lunghi tragitti per lo stato di abbandono in cui versa la bretella viaria che congiunge la SS124 e la SP37i, collegando i due paesi, strada che oggi, per un tratto, è addirittura sfornita di asfalto ed in numerosi punti presenta segni di pericolose frane. Insomma si tratta di un raccordo che da lungo tempo è lasciato in uno stato di totale abbandono;

   la bretella è stata chiusa al traffico per promessi interventi di recupero mai adottati, costringendo le due comunità, vicine solo qualche chilometro, a percorrere decine di chilometri tortuosi e degradati per interagire fra loro;

   raggiungere Mirabella Imbaccari è oltremodo disagevole per le condizioni pietose sia della SS124 che della SP37i che in essa si innesta in contrada Salvatorello a metà strada fra i due comuni;

   entrambe le strade sono vecchie mulattiere borboniche tortuose e asfaltate con rappezzature occasionali e di pessima fattura; l'incuria presente e diffusa vede la vegetazione spontanea occupare i bordi della strada e in questo periodo estivo si trasforma in steppaglia secca a rischio di incendio;

   non meno pericoloso è percorrere la SP37i che presenta numerosi avvallamenti del manto stradale e diffuse crepe in via di espansione che mettono a rischio l'incolumità di chi si trova a percorrerla;

   diversi articoli pubblicati sul quotidiano « La Sicilia» hanno evidenziato questa intollerabile situazione, ma nessuna risposta è arrivata alle autorità competenti;

   nell'area in questione sono presenti beni culturali, storici, artistici e archeologici di rara bellezza, purtroppo penalizzati da simili infrastrutture viarie;

   anche a causa di questa situazione, nell'ultimo decennio, si è registrato una perdita demografica significativa con picchi che raggiungono il 30 per cento della popolazione;

   anche gli interscambi commerciali ed il tessuto produttivo risentano della mancanza di adeguate e moderne infrastrutture viarie –:

   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, anche coinvolgendo gli enti territoriali interessati, per procedere alla messa in sicurezza delle strade di cui in premessa e per trovare una soluzione rapida, efficace e condivisa in merito.
(4-17253)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e la società ANAS.
  La strada statale 124 «Siracusana», dal chilometro 3+700 si snoda, per un tratto, nel centro abitato di San Michele di Ganzaria (Catania). La società ANAS evidenzia che nel citato tratto urbano, la statale è percorsa giornalmente da 2.800 veicoli circa, che vanno ad aggiungersi al traffico locale.
  La predetta società evidenzia che a tal proposito sarebbe opportuna l'adozione da parte dell'amministrazione comunale del Piano urbano traffico (PUT), previsto dall'articolo 36 del codice della strada, necessario per fluidificare la percorribilità viaria evitando i disagi all'utenza lamentati dall'interrogante.
  Inoltre, ANAS riferisce che ha consegnato all'impresa esecutrice i lavori di risanamento della sovrastruttura stradale nel tratto di statale che si sviluppa fino all'intersezione con la strada provinciale 37i nell'abitato di Mirabella Imbaccari. Detti lavori prevedono un investimento di 800 mila euro.
  Infine, ANAS, fa presente che sul tratto di strada in argomento sono state ultimate le attività di manutenzione programmata delle opere in verde (sfalcio d'erba).

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   RONDINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   da quasi un mese ormai SDA Express, la società di recapito controllata da Poste Italiane, sta vivendo una grave crisi a causa di scioperi e manifestazioni nei quattro grandi centri di smistamento, quello di Carpiano (Milano), Bologna, Roma e Piacenza, gestiti da cooperative esterne, tanto da richiedere l'intervento delle prefetture per ripristinare l'ordine e i servizi;

   le proteste hanno avuto inizio l'8 settembre 2017 e si stanno esprimendo con modalità diverse nei vari centri di smistamento di SDA, anche se le cause sono poco chiare e sembra dipendano sia da alcuni litigi interni tra i differenti sindacati Cobas, i gruppi Si Cobas e Sol Cobas, che dalla decisione presa dall'azienda di sostituire un fornitore in ritardo con i pagamenti;

   le proteste infatti hanno inizio dopo che il sindacato Sol Cobas aveva chiesto e ottenuto da SDA l'allontanamento della cooperativa CPL che forniva 43 dipendenti al centro di smistamento di Carpiano (poco fuori Milano) e che aveva appunto accumulato ritardi nei pagamenti degli stipendi. A seguito della sostituzione di Cpl con Ucsa, il sindacato Sol Cobas aveva negoziato l'assunzione dei 43 dipendenti di Cpl in Ucsa parlando di vittoria sindacale;

   il Si Cobas tuttavia, un altro gruppo sindacale di base, che ha contestato l'accordo raggiunto tra Ucsa e Sol Cobas, motivando che l'accordo non escludeva la possibilità di licenziare con facilità prevista dal Jobs Act e che c'erano diverse questioni irrisolte intorno al passaggio dei dipendenti da una cooperativa all'altra (tra le quali anche il pagamento dei Tfr). Il Si Cobas ha quindi chiesto a Ucsa di modificare l'accordo già raggiunto per eliminare esplicitamente la possibilità di ricorrere alle novità introdotte dal Jobs Act in fatto di licenziamenti, riconoscendo agli ex dipendenti di Cpl gli anni di anzianità di servizio e le tutele previste per i dipendenti dopo molti anni di lavoro;

   se, da un lato, quindi, la sigla dei Sol Cobas ha interrotto le proteste in seguito alla rassicurazione che saranno mantenuti da nuovo fornitore tutti i diritti attuali dei lavoratori, dall'altro lato la sigla dei Si Cobas ha proseguito con gli scioperi, picchetti e sit in, e impedendo l'accesso al luogo di lavoro anche a coloro che non sostengono le ragioni dello sciopero e vorrebbero invece esercitare il diritto al lavoro, così come costituzionalmente garantito;

   Sda ha circa 1.500 lavoratori diretti e 7.000 indiretti, di cui 4.500 sono corrieri e facchini e, quindi, le conseguenze di un mese di interruzione del lavoro potrebbero ripercuotersi su molte migliaia di famiglie, senza considerare i milioni di ricavi persi per i pacchi non consegnati (si parla di circa 70.000 pacchi bloccati e il 50 i volumi di ricavi persi), le penali da pagare e i clienti che si stanno indirizzando verso altre società di logica e di distribuzione;

   la situazione attuale rischia di generare un calo strutturale dei volumi e quindi dei fatturati con ripercussioni negative sul comparto occupazionale e, inoltre, crea un immediato danno diretto a cittadini ed imprese che riceveranno con forte ritardo i pacchi a loro destinati, non vedendo garantito il proprio diritto a ricevere un servizio universale, come quello postale, di qualità –:

   quali iniziative il Governo intenda intraprendere, per quanto di competenza, per impedire che le proteste sindacali possano degenerare in forme che, di fatto, vincolano la libertà altrui, mettendo in discussione il diritto al lavoro costituzionalmente garantito;

   se e quali iniziative di natura normativa si intendano adottare per garantire i lavoratori da scioperi strumentali;

   quali iniziative si intendano porre in essere per garantire all'utenza il diritto al servizio di recapito della corrispondenza.
(4-18023)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in esame, si espone quanto segue.
  L'interrogante riferisce una situazione riguardante la
SDA-ExPress courier spa, società appartenente al gruppo Poste italiane, che si trova a gestire proteste dei sindacati di base, Sol Cobas e Si Cobas, culminate anche in azioni di picchettaggio, presso quattro grandi centri di smistamento, quelli di Milano (Carpiano), Bologna, Roma e Piacenza, gestiti da cooperative esterne.
  Tali azioni non consentirebbero di recapitare ingenti quantitativi di pacchi, con conseguente riduzione dei volumi produttivi e possibili ripercussioni negative sull'assetto occupazionale.
  Da informazioni assunte anche presso il Ministero dello sviluppo economico, è emerso che tale situazione è stata causata da riorganizzazioni interne alle aziende consorziate che hanno dato luogo ad accordi sindacali aventi ad oggetto il passaggio di dipendenti da una cooperativa all'altra a seguito di cambio di appalto.
  Inoltre, come già avvenuto con riferimento al sito di Bologna, da informazioni acquisite, si è appreso che la prefettura di Milano sta svolgendo una attività di mediazione per consentire una riformulazione, condivisa dalle parti, delle condizioni di cambio di appalto.
  Ciò premesso circa lo svolgimento dei fatti, quanto alle iniziative normative si rammenta che è attualmente all'esame del Senato, presso le commissioni riunite 1a e 11a in sede referente, un disegno di legge di iniziativa parlamentare (A.S. 550, abbinato all'A.S. 1286 e A.S. 2006) di modifica alla legge 12 giugno 1990, n. 146, che disciplina l'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali.
  Tale disegno di legge ha l'obiettivo primario di rafforzare il ruolo della commissione di garanzia, alla quale sono attribuiti importanti funzioni in tema di vigilanza e regolazione del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e quindi a far sì che tali azioni di sciopero si svolgano nel pieno rispetto delle regole poste a tutela dei diritti costituzionali dei cittadini.
  In ogni caso questo Ministero assicura che continuerà a monitorare la vicenda nei suoi futuri sviluppi, anche nella eventuale prospettiva di esaminarne le principali criticità e nell'ottica della salvaguardia dei livelli occupazionali. Ciò, nella piena consapevolezza della delicatezza di tali situazioni che sfociano spesso in momenti di conflittualità con conseguenti ricadute anche di ordine pubblico.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luigi Bobba.


   RUSSO e SARRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 31 maggio 2016 il consiglio regionale della Campania ha approvato la proposta di legge «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura dei direttori delle Aziende Sanitarie e ulteriori misure di razionalizzazione»;

   in particolare, l'articolo 1, comma 1, della legge regionale sopra citata, nel modificare l'articolo 18-bis della legge regionale n. 32 del 1994, in materia di conferimento degli incarichi di direttore generale delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, abroga il comma 5 e sostituisce il comma 6 del medesimo articolo 18-bis;

   i commi 5 e 6 dell'articolo 18-bis sopra citato prevedevano per la nomina dei direttori generali delle asl, una doppia selezione: la prima, ad opera di una commissione di esperti, volta alla formazione di un elenco regionale di idonei al conferimento degli incarichi di direttore generale; la seconda, avviata con apposito avviso pubblico rivolto esclusivamente agli iscritti negli elenchi, ad opera di un'altra commissione di esperti, volta a proporre al presidente della regione ed alla giunta una rosa di cinque candidati con i migliori punteggi;

   le disposizioni previste nella legge della regione Campania 8 giugno 2016, n. 15, sia pur in linea con i principi stabiliti in materia dall'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 si pongono a giudizio degli interroganti in evidente contrasto con la legge 7 agosto 2015, n. 124 (cosiddetta legge Madia) che, all'articolo 11, prevede una delega al Governo in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici ufficiali e specificatamente, alla lettera p), anche con riferimento agli incarichi di direttore generale, direttore amministrativo, direttore sanitario e di direttore dei servizi sociosanitari;

   il legislatore ha previsto che il decreto di delega dovrà prevedere, quale principio in materia di tutela della salute ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, una «selezione unica per titoli, previo avviso pubblico, dei direttori generali in possesso di specifici titoli formativi e professionali e di comprovata esperienza dirigenziale, effettuata da parte di una commissione nazionale composta pariteticamente da rappresentanti dello Stato e delle regioni, per l'inserimento in un elenco nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, da cui le regioni e le province autonome devono attingere per il conferimento dei relativi incarichi da effettuare nell'ambito di una rosa di candidati costituita da coloro che, iscritti nell'elenco nazionale, manifestano l'interesse all'incarico da ricoprire, previo avviso della singola regione o provincia autonoma che procede secondo le modalità del citato articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni»;

   il 19 luglio 2016 la commissione affari sociali (XII) della Camera ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, (305) sul quale si sono espressi la Conferenza delle regioni e delle province autonome nonché il Consiglio di Stato;

   nel testo dello schema di decreto e in entrambi i pareri resi dalle citate istituzioni si conferma la necessità di mantenere un meccanismo di nomina che, da un lato, preveda la formazione di un elenco, in questo caso nazionale, dal quale le regioni devono attingere e dall'altro, una procedura selettiva per titoli e colloquio, previo avviso pubblico dell'incarico da ricoprire, volte a determinare una rosa (rectius «terna») di nominativi tra i quali il presidente della regione individua il candidato più idoneo; nella terna proposta non possono essere inseriti coloro che abbiano ricoperto l'incarico di direttore generale, per due volte, presso la medesima azienda ospedaliera o il medesimo ente del servizio sanitario nazionale;

   è dunque evidente secondo gli interroganti, che la legge regionale in questione si pone in netto contrasto con la normativa nazionale vigente violando l'articolo 117 della Costituzione, soprattutto nella parte in cui non prevede un'adeguata selezione da attuarsi per il tramite di un sistema cosiddetto bifasico come già presente nel vigente articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992;

   il sistema di nomina dei direttori generali come stabilito dalla legge regionale 8 giugno 2016, n. 15, si pone in contrasto con la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale che ha censurato ogni norma contrastante con il sistema di stabilità gestionale e di indipendenza funzionale del direttore generale (Corte costituzionale n. 104 del 19 marzo 2007; Corte costituzionale 5 febbraio 2010, n. 34);

   il Ministero della salute con nota del 6 luglio 2016 ha ritenuto che le disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 1, della legge regionale Campania n. 15 del 2016 possano essere censurate per la violazione del «principio di ragionevolezza», laddove sopprimono le procedure per la nomina dei direttori generali delle asl e ripristinano procedure che, pur compatibili formalmente con quanto previsto dall'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni, operano una reformatio in peius rispetto alla garanzia di trasparenza ed imparzialità che il legislatore ha inteso assicurare con la riforma operata con la legge n. 124 del 2015, al fine di garantire il buon andamento e l'imparzialità dell'azione amministrativa;

   nonostante le evidenti criticità sopra riportate, il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, durante le sedute di giunta del 13 e 20 luglio 2016 ha provveduto, sulla base della legge regionale n. 15 del 2016, alla nomina dei direttori generali dell'asl Napoli 1, Napoli 2 e Napoli 3, dell'azienda ospedaliera dei Colli, dell'asl di Caserta e dell'asl di Salerno;

   il 28 luglio 2016 il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Maria Anna Madia e del Ministro interrogato, ha approvato, in esame definitivo, il decreto legislativo di attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di dirigenza sanitaria;

   nello specifico il decreto istituisce presso il Ministero della salute un elenco nazionale di quanti hanno i requisiti per la nomina a direttore generale delle aziende sanitarie italiane. L'elenco sarà stilato da una Commissione istituita presso il Ministero della salute e composta da 5 esperti che parteciperanno a titolo gratuito. Il direttore generale dovrà essere scelto all'interno di una rosa individuata da una commissione regionale tra gli iscritti all'albo nazionale in possesso di comprovati requisiti di merito. L'operato del direttore generale è sottoposto a valutazione e, in caso di gravi motivi o di una gestione che presenta un disavanzo importante, entro 30 giorni dall'avvio del procedimento, la regione provvede alla sostituzione. Il testo recepisce le indicazioni dei pareri parlamentari e tiene conto delle osservazioni della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato;

   nella stessa sede, il Consiglio dei ministri ha esaminato la legge della regione Campania n. 15 del 2016 e deciso di non impugnarla, nonostante tale legge preveda che il presidente della giunta possa nominare direttamente il direttore generale e sopprime il secondo livello di valutazione, da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali;

   gli interroganti rilevano l'assoluta mancanza di ragioni di urgenza per procedere alla nomina dei direttori generali con una procedura difforme da quella introdotta con la legge delega e con il decreto legislativo, già vigente in Campania, atteso che tale asserita urgenza, invocata in tutte le sedi dall'attuale presidente della regione, è stata causata, ad avviso degli interroganti, dall'avere bloccato, per un anno intero le procedure già avviate dall'ente, concluse, o in via di conclusione, con l'individuazione delle cinquine di tecnici qualificati, nel cui ambito si sarebbero potute effettuare da tempo le nomine –:

   se il Governo non intenda chiarire le motivazioni che hanno determinato la decisione di non impugnare la legge della regione Campania n. 15 del 2016, nonostante l'evidente violazione del principio di ragionevolezza rilevato dal Ministero della salute.
(4-14076)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta quanto segue.
  Con la legge 8 giugno 2016 n. 15, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura di nomina dei direttori generali delle Aziende sanitarie ed ulteriori misure di razionalizzazione» la regione Campania detta una serie di modifiche alla legge regionale 3 novembre 1994 n. 32, recante «Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche ed integrazioni, riordino del Servizio sanitario regionale», intervenendo in particolare in materia di nomina dei direttori generali delle Aziende sanitarie.
  In particolare, l'articolo 1, comma 1 della legge regionale in esame, nel modificare l'articolo 18-
bis della legge regionale 3 novembre 1994 n. 32, in materia di conferimento degli incarichi di direttore generale della aziende sanitarie locali e della aziende ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), abroga il comma 5 e sostituisce il comma 6 del medesimo articolo 18-bis.
  I commi 5 e 6 dell'articolo 18-
bis sopra citato prevedevano, per la nomina dei direttori generali delle Asl, una doppia selezione: la prima, ad opera di una commissione di esperti, volta alla formazione di un elenco regionale di idonei al conferimento degli incarichi di direttore generale (secondo quanto previsto dall'articolo 3-bis, comma 3 del decreto legislativo n. 502 del 1992, così come modificato dal decreto-legge n. 158 del 2012 convertito, con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189); la seconda – avviata con apposito avviso pubblico rivolto esclusivamente agli iscritti negli elenchi – ad opera di un'altra commissione di esperti, volta a proporre al Presidente della regione ed alla Giunta una rosa di cinque candidati con i migliori punteggi. La legge regionale n. 15 del 2016 prevede pertanto la nomina da parte del presidente della Giunta dei direttori generali del servizio sanitario regionale direttamente tra i soggetti iscritti nell'elenco regionale degli idonei, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni.
  A giudizio dell'interrogante le disposizioni previste dalla legge della Campania 8 giugno 2016, n. 15, sia pur in linea con i principi stabiliti in materia dall'articolo 3-
bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, si pongono in evidente contrasto con la legge 7 agosto 2015 n. 124 che, all'articolo 11, prevede una delega al Governo in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici ufficiali e specificatamente, alla lettera p), anche con riferimento agli incarichi di direttore generale, direttore amministrativo, direttore sanitario e di direttore dei servizi socio-sanitari. L'interrogante rammenta che il decreto di delega dovrà prevedere «una selezione unica per titoli, previo avviso pubblico, dei direttori generali in possesso di specifici titoli formativi e professionali e di comprovata esperienza dirigenziale... per l'inserimento in un elenco nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, da cui le regioni e le province autonome devono attingere per il conferimento dei relativi incarichi da effettuare nell'ambito di una rosa di candidati costituita da coloro che, iscritti nell'elenco nazionale, manifestano l'interesse all'incarico da ricoprire, previo avviso della singola regionale o provincia autonoma che procede secondo le modalità del citato articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni».
  Ciò premesso, si fa presente che il Ministero della salute, nel corso dell'istruttoria per l'esame di legittimità costituzionale della legge della regione Campania n. 15 del 2016, aveva rilevato che tale legge, nel modificare l'articolo 18-
bis della legge regionale n. 32 del 1994, in materia di conferimento degli incarichi di direttore generale delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) sopprime la seconda procedura selettiva, attribuendo la possibilità al Presidente della regione di scegliere discrezionalmente all'interno dell'elenco regionale di idonei il soggetto cui conferire l'incarico. Tali disposizioni regionali, sia pur in linea con i principi stabiliti in materia dall'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni, si ponevano in contrasto con il citato articolo 11, comma 1, lettera p) della legge n. 124 del 2015.
  È opportuno sottolineare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la normativa regionale va verificata sulla base della normativa vigente al momento dell'emanazione delle norme stesse. La legge in questione è stata pubblicata sul BUR in data 9 giugno 2016 ed è superfluo ricordare che il decreto legislativo di attuazione della delega Madia approvato in via definitiva al Consiglio dei ministri in data 28 luglio 2016 non era all'epoca ancora né conosciuto né compiutamente definito. Peraltro, è ben noto, che qualsiasi provvedimento normativo entra in vigore solo a seguito della sua pubblicazione in G.U., condizione che ancora non si era comunque determinata. La possibilità di utilizzare i principi di una legge delega come parametri di riferimento per la proposizione del giudizio di incostituzionalità di una legge regionale è stata asseverata dalla Corte stessa solo nel casi in cui gli stessi fossero ben definiti senza la necessità delle successive previsioni delle norme dei decreti delegati attuativi. Questo non appariva in modo inequivocabile in questa situazione. Sulla base di tale considerazioni, il Ministero della salute ha preso atto dell'impiego, assunto dal Presidente della regione Campania, con nota del 27 luglio 2016, successivamente alla formulazione del proprio parere espresso in corso di istruttoria, di «adeguare la disciplina regionale di nomina dei direttori generali delle ASL e delle aziende ospedaliere ... ai principi di cui all'articolo 11, comma 1, lettera
p), della legge n. 124 del 2015, non appena la imminente riforma governativa in materia sarà pienamente operativa» (normativa introdotta, da ultimo, con decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171, modificato ed integrato dal decreto legislativo 26 luglio 2017, n. 126) e, pertanto, ha desistito dalla richiesta di impugnativa della legge in argomento.
  In considerazione degli elementi sopra esposti, il Consiglio dei ministri, nella seduta del 28 luglio 2016, ha deliberato la non impugnativa della legge regionale n. 15 del 2016.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Gianclaudio Bressa.


   SIBILIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in data 11 marzo 2016 sul sito di informazione on line ottopagine.it è stato pubblicato un articolo dal titolo «Appalti in Provincia, inviata una segnalazione a Cantone» che riporta la notizia secondo cui «stando a quanto trapelato dagli uffici del settore infrastrutture di Palazzo Caracciolo (sede dell'Ente Provincia di Avellino, ndr) il dirigente responsabile del procedimento si sarebbe trovato in una condizione di incompatibilità dal momento che i lavori sono stati affidati ad una ditta in cui figura suo figlio. Una situazione indubbiamente imbarazzante, che potrebbe suscitare anche l'interesse della magistratura. Ma c'è di più: chi avrebbe dovuto vigilare sull'appalto, ossia il dirigente superiore, non ha effettuato i necessari controlli a cominciare dal fatto che nella determina n. 302 del 18 febbraio 2016 con cui sono stati affidati i lavori non ci sarebbe traccia del verbale di gara»;

   il giorno dopo, cioè il 12 marzo 2016, sempre sullo stesso sito è stato pubblicato un articolo di «smentita» intitolato «Appalti sospetti, la Provincia chiarisce: legge rispettata» in cui si legge che i rappresentanti di Palazzo Caracciolo «sono certi di aver operato nel pieno rispetto della legge. Proprio per evitare un ipotetico conflitto tra il dirigente del settore Lavori Pubblici e una ditta, la gara d'appalto sarebbe stata seguita da un altro dirigente, che ha verbalizzato – come da prassi – il procedimento. L'Amministrazione provinciale, inoltre, non teme ripercussioni per un ricorso al Tar presentato dall'Avvocatura dello Stato che, come è noto, interviene quando chiamata in causa per conto di un'altra istituzione. Ma saranno i giudici amministrativi a decidere in futuro. In ogni caso, proprio perché a palazzo Caracciolo si dicono convinti che l'iter sia stato seguito secondo la norma, si andrà avanti con il percorso»;

   la vicenda ha inizio quando con decreto presidenziale n. 1 dell'8 gennaio 2016 il presidente della Provincia ha conferito all'ingegner Antonio Liberato Marro, dipendente dell'ente incarico temporaneo di dirigente coordinatore dell'area tecnica, fino al 31 marzo 2016;

   con nota del 26 gennaio 2016 (prot. n. 4311) l'ingegner Marro ha comunicato un possibile impedimento legato ad una situazione di conflitto di interesse relativamente al completamento dell'espletamento della procedura negoziata per i «Lavori di ripasso della segnaletica stradale ambito Nord 2014», alla quale era stato invitato anche un proprio congiunto (lettera/invito prot. 78013 del 22 dicembre 2015), cioè l'impresa CSM con sede legale in Ospedaletto D'Alpinolo (AV);

   nel rispetto dell'articolo 24 del regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi che disciplina i casi di sostituzione dei dirigenti, il vicepresidente della Provincia ha decretato di conferire alla dottoressa Filomena Bilancio l'incarico specifico di sostituzione del coordinatore dell'area tecnica per completare l'espletamento della procedura negoziata relativa ai «Lavori di ripasso della segnaletica stradale ambito Nord 2014»;

   con determinazione n. 302 del 18 febbraio 2016 il dirigente del settore infrastrutture strategiche ed edilizia scolastica, nonché responsabile del procedimento Marro ha affidato l'appalto dei lavori all'impresa CSM per un importo di 48 mila euro (i.i.);

   in data 16 luglio 2016 sul sito di informazione on line ottopagine.it è stato pubblicato un articolo dal titolo «Avellino, appalti truccati nelle scuole. Tremano in sette» che riporta la notizia di «Sette rinvii a giudizio. Fra gli accusati anche un funzionario della provincia. Finiscono nel mirino i lavori di adeguamento, manutenzione e costruzione di alcuni istituti scolastici del capoluogo e della provincia. Le scuole finite sotto la lente d'ingrandimento delle Fiamme Gialle sono il liceo scientifico De Capraris di Atripalda, il Liceo artistico De Luca di Avellino, l'Ipsar di Ariano Irpino e l'Itis di Grottaminarda. Un'inchiesta partita lo scorso anno che contestava i reati di turbativa d'asta, falso in atti d'ufficio, e frode nelle pubbliche forniture. (...) Nell'inchiesta, denominata High School, sono stati coinvolti anche rappresentanti e dirigenti delle imprese edili vincitrici degli appalti che includevano anche lavori liquidati e mai realizzati»;

   infine, alla fine del 2015 sono stati sottoscritti presso l'Ente Provincia di Avellino accordi di programma quadro con i comuni per la realizzazione di poli formativi scolastici di eccellenza, per i quali la Provincia ha previsto un investimento di 26,5 milioni di euro recuperati dall'avanzo di amministrazione, di cui 12 milioni destinati al polo alberghiero agroalimentare di Ariano Irpino, comune di cui è sindaco Domenico Gambacorta, che è anche Presidente della provincia erogante –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritengano opportuno, per quanto di competenza promuovere una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica in relazione agli effetti sul piano amministrativo-contabile delle operazioni sopra descritte;

   se rispetto a quanto emerso in relazione all'affidamento all'impresa CSM, non intendano porre in essere una qualche iniziativa di carattere normativo al fine di regolamentare casi del genere, che, sebbene non siano illegittimi o illeciti, sono quantomeno da considerarsi inopportuni da un punto di vista istituzionale a causa di potenziali conflitti di interesse.
(4-13870)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione n. 4-13870, con la quale, nel segnalare varie situazioni verificatesi, secondo un sito internet di informazione, nell'ente locale provincia di Avellino, si chiede un eventuale intervento dei servizi ispettivi di finanza pubblica, nonché se si ritenga di intraprendere iniziative normative per regolamentare una serie di casi analoghi a quello riportato nell'interrogazione. Fattispecie nelle quali – continua l'interrogazione – non ricorrano estremi di illiceità o illegittimità ma siano da considerare inopportune a causa di potenziali conflitti di interesse.
  Al riguardo, per quanto attiene alla richiesta di verifica ispettiva, si precisa che, a norma dell'articolo 14 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, «In relazione alle esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica»..., il dipartimento della ragioneria, tramite i servizi ispettivi, effettua verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche.
  In attuazione della citata norma viene predisposto un programma annuale, redatto valutando le problematiche di carattere generale da approfondire, secondo l'incidenza delle stesse sulla finanza pubblica, individuando gli enti da verificare con parametri oggettivi, estrapolati dalle banche dati utilizzate dal dipartimento della ragioneria generale dello Stato, sulla base degli obiettivi fissati dalla direttiva ministeriale annuale sull'azione amministrativa, cui la programmazione stessa si deve ispirare.
  I servizi ispettivi di finanza pubblica, infatti, in base alla normativa vigente, effettuano controlli sulla regolarità amministrativa e contabile, con competenza di carattere generale, in relazione alle gestioni finanziarie e patrimoniali condotte da soggetti pubblici.
  Qualora, poi, i fatti denunciati attengano a specifiche fattispecie, come nei casi esposti nell'interrogazione in esame – considerando anche che, come in seguito meglio dettagliato, risulta lo svolgimento di indagini da- parte della competente Magistratura – le singole problematiche devono essere necessariamente selezionate e valutate alla luce della sussistenza di ulteriori oggettivi parametri di criticità.
  Ciò in quanto molte situazioni denunciate, pur rappresentando in sé criticità per gli enti locali, proprio per il loro carattere molto peculiare e circoscritto, non consentono di superare i predetti criteri generali per la selezione degli enti da verificare.
  In tale ottica, ciò non toglie che, per prassi e per corrispondere comunque alle richieste avanzate nell'interrogazione, si valuterà l'opportunità di una verifica presso l'ente coinvolto, compatibilmente con la prioritaria necessità di attuazione del programma ispettivo in atto.
  Per quanto attiene, poi, alla richiesta di un eventuale, mirato intervento normativo, occorre richiamare la previsione recata all'articolo 42 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, sotto il profilo del rispetto dei principi di concorrenza e trasparenza e della corretta applicazione della normativa, per cui le modalità di gestione degli appalti pubblici attengono alla sfera di responsabilità delle singole stazioni appaltanti, fatto salvo il coinvolgimento dell'Autorità nazionale anticorruzione (Anac). Tale previsione, peraltro, ha fatto seguito, nello specifico, alla previsione dell'articolo 6-
bis («conflitto di interessi») della legge n. 241 del 1990 – introdotto dall'articolo 1, comma 41, della legge 190 del 2012 – ai sensi del quale «il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale».
  Relativamente, infine, agli aspetti giudiziari delle specifiche situazioni segnalate, si ritiene utile riferire quanto riportato dalla prefettura di Avellino, laddove comunica che, da notizie apparse sulle testate giornalistiche locali, è emerso che, nell'ambito dell'inchiesta denominata «
high school», relativa a presunti appalti truccati per lavori di ristrutturazione alle scuole, liquidati e mai eseguiti, il Gip del tribunale di Avellino, su richiesta della locale procura della Repubblica, ha eseguito sei provvedimenti restrittivi, di cui cinque a rappresentanti di imprese edili ed uno ad un funzionario in servizio presso la provincia di Avellino.
  I reati ipotizzati dal pubblico ministero nei confronti dei soggetti arrestati sono: turbativa d'asta, frode nelle pubbliche forniture, falso materiale e falso ideologico.
  Le complesse indagini sono state svolte dal nucleo di polizia tributaria di Avellino, seguendo due direttrici: un primo filone di indagine, avente ad oggetto i reati di turbata libertà degli incanti, di cui all'articolo 353 del codice penale, ha portato alla luce collusioni ed illeciti accordi tra imprese sulle percentuali di ribasso, per consentire l'aggiudicazione dell'affidamento di appalti di gare pubbliche, indette dalla citata provincia di Avellino e dalla comunità montana Partenio-Vallo Lauro.
  Altro significativo filone ha consentito di accertare un giro di frode nelle pubbliche forniture (articolo 356 del codice penale) per mezzo della redazione di false attestazioni e contabilizzazioni ad opera di un funzionario tecnico, responsabile per l'edilizia scolastica dell'ente provincia.
  In particolare, i legali rappresentanti delle imprese coinvolti nella vicenda, avvalendosi dei falsi in atto pubblico del predetto funzionario pubblico, in ordine allo stato dei lavori, hanno fatto risultare, come effettivamente fornite, opere e cose in realtà mai realizzate e messe a disposizione in relazione a lavori di adeguamento, manutenzione (straordinaria e ordinaria) e costruzione di scuole.
  Al riguardo, il Comando provinciale della guardia di finanza ha comunicato che relativamente all'operazione «
high school», le persone attinte da misure cautelari personali, nell'ambito del procedimento penale n. 7687/11 R.G.N.R. e 2609/RG GIP, sono state rinviate a giudizio.
  Per ciò che attiene agli altri contesti segnalati, la stessa prefettura precisa, inoltre, che il nucleo di polizia tributaria ha trasmesso al procuratore della Repubblica di Avellino due esposti afferenti al conflitto di interessi in capo all'ingegnere Marro, dirigente dell'ente citato nell'interrogazione, in ordine agli affidamenti di lavori pubblici a soggetti giuridici riconducibili ai propri figli.
  Si precisa che le attività preliminari svolte, doverosamente comunicate all'autorità giudiziaria, hanno consentito di appurare che l'ente provincia di Avellino nel periodo tra il 2009 ed il 2012, ha stipulato una serie di contratti di appalto con la Cms srl, il cui capitale sociale di euro 10.000 risulta detenuto al 50 per cento dai figli del citato ingegner Marro.
  Da successive informazioni assunte presso l'autorità giudiziaria, che ha rilasciato il nulla osta per la comunicazione delle notizie, si è appreso che il procedimento penale intrapreso a seguito dei predetti esposti è stato archiviato in data 22 dicembre 2016.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Pier Paolo Baretta.


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SPADONI, GRANDE, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   in data 17 novembre 2016 sul sito on line agoravox.it veniva pubblicato un articolo dal titolo «Istituto Culturale Italiano di Marsiglia: l'Omertà?» che riferiva di un convegno, tenutosi a ottobre a Firenze e organizzato dalla Farnesina, su «Gli stati generali della lingua italiana nel mondo», con un capitolo dedicato alla situazione degli istituti italiani all'estero;

   secondo l'articolista «non si è spesa nemmeno una parola sulla crisi dell'Istituto Italiano di Cultura di Marsiglia, dove, un mese prima, quasi i due terzi dei circa 350 studenti avevano deciso di non rinnovare la loro iscrizione per l'anno 2016-2017»;

   questa che viene definita «dimissione collettiva» viene spiegata come conseguenza dell’«annuncio da parte della direzione dell'Istituto della sostituzione, senza indennità né possibilità di riqualificazione, del personale docente e il “licenziamento” della segretaria dei corsi. Decisione a dir poco incomprensibile che ha lasciato basiti sia gli studenti sia gli stessi insegnanti»;

   nell'articolo si ipotizza, inoltre, che «Marsiglia non è un caso isolato ma l'ultimo episodio di alcune pratiche scandalose ai danni degli insegnanti, già osservate in questi ultimi anni in diversi Istituti Italiani di Cultura (Parigi, Bruxelles...)» –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere per risolvere la questione della precarietà del personale docente e ristabilire, quindi, quel clima di serenità e fiducia tra gli studenti dell'Istituto italiano di cultura di Marsiglia.
(4-15008)

  Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, mi preme innanzitutto precisare che l'attività degli Istituti italiani di cultura all'estero (Iic) è regolata dalla legge n. 401 del 1990 e dal decreto ministeriale n. 392 del 1995 come riformato dal DI n. 211 del 2015. I contratti stipulati dagli Iic, in quanto uffici della pubblica amministrazione, devono essere conformi alla normativa italiana e, in caso di irregolarità contabili, il titolare dell'istituto può essere ritenuto responsabile di danno erariale e chiamato a rifondere eventuali somme indebitamente erogate.
  I corsi di lingua costituiscono una delle più rilevanti fonti di autofinanziamento per gli istituti; l'articolo 17 del citato decreto ministeriale n. 392 del 1995 prevede, in particolare, che questi siano organizzati nelle forme e nei modi consentiti dalla situazione locale e siano gestiti direttamente dagli Istituti.
  Con riguardo all'Iic di Marsiglia, i controlli esercitati sulla sua documentazione contabile hanno fatto emergere un modesto profitto ottenuto dai corsi di lingua negli scorsi anni, verosimilmente causato dalle modalità della loro gestione, che era stata affidata all'Associazione Amerigo Vespucci attraverso una Convenzione
ad hoc.
  Con l'obiettivo di rispondere alle richieste degli studenti di continuare ad avere occasioni di formazione e al contempo aumentare la redditività dell'Iic nel rispetto delle regole, il titolare
pro tempore dell'Iic ha deciso di non rinnovare alla fine dell'anno scolastico 2015/16 la sopra citata convenzione e di avviare per l'anno scolastico 2016/17 dei corsi di lingua e cultura italiana in gestione diretta. I corsi a gestione diretta hanno avuto un buon successo, con un centinaio di studenti iscritti e un buon livello di redditività e verranno attivati anche per l'anno 2017/18 (sono attualmente aperte le iscrizioni). Da parte di questo Ministero si ritiene quindi che il direttore abbia esercitato correttamente la sua responsabilità di dirigente e abbia agito nell'interesse dello Stato italiano.
  Preciso, infine, che la soluzione della vicenda relativa ai contratti delle docenti dell'Amerigo Vespucci afferisce alla stessa associazione, non avendo il Maeci e l'Iic di Marsiglia alcun obbligo contrattuale diretto con le interessate.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Mario Giro.


   SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 19 gennaio 2017 il sito di informazione online « Terra nostra news» pubblicava un articolo dal titolo «L'ultima sulle bollette “pazze” a Marano: 27 mila euro l'importo per la caserma dei carabinieri», in cui si riportava «l'imbarazzante caso delle bollette “pazze”, ossia “l'invio, qualche giorno fa, di una bolletta di 27 mila euro alla caserma dei carabinieri, per i consumi idrici di un anno e mezzo. Bolletta poi ridotta a 5 mila euro dopo gli opportuni controlli”»;

   lo stesso sito online in data 8 febbraio 2017, nell'articolo «Marano, ecco la super bolletta “pazza”: 94 mila euro a una famiglia di via Campana. Nelle case dei contribuenti anche le bollette del 2011, ma in molti casi sono state già pagate o sarebbero prescritte», riportava la notizia di una famiglia di via Campana che si è vista recapitare una bolletta di «94 mila euro, e sempre per un anno di consumi: quelli del 2012 emessi con quasi quattro di ritardo dagli uffici comunali preposti, quel settore economico-finanziario (che fa acqua da tutte le parti) diretto fino a pochi giorni fa dal dirigente “disastro” Claudia Gargiulo. Si tratta di errori clamorosi, originati dal server utilizzato dagli uffici dell'Ente. Le bollette dovevano essere vagliate prima della loro emissione, ma così non è stato. Gli errori vengono corretti in via Nuvoletta, nei locali dell'ufficio tributi, ogni giorno assaltato dagli utenti»;

   infine, nell'articolo pubblicato su « Terra nostra news» il 9 febbraio 2017 ed intitolato «Marano, sempre più in alto con le bollette “pazze”. C'è un nuovo record: 106 mila euro» si è dato conto di un nuovo record per gli importi delle bollette idriche per l'anno 2012: il titolare di una nota caffetteria del centro si è visto, infatti, recapitare una bolletta con importo pari a 106 mila euro –:

   di quali elementi disponga il Governo circa la vicenda delle bollette esorbitanti ed erronee recapitate alla caserma dei carabinieri di Marano;

   se non si ritenga di valutare se sussistano i presupposti per promuovere una verifica dei servizi ispettivi di finanza pubblica presso l'ente locale sopracitato in relazione alla sua gestione amministrativa contabile e alla situazione delle casse comunali alla luce dei macroscopici problemi registrati dai cittadini contribuenti.
(4-15606)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione n. 4-15606, con la quale nel segnalare la situazione di disagio degli utenti del servizio idrico del comune di Marano, a causa di macroscopici errori nella bollettazione dei consumi, si chiede un eventuale intervento dei servizi ispettivi di finanza pubblica.
  Al riguardo, come si è già precisato in altra occasione con precorsa corrispondenza, a norma dell'articolo 14 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, «In relazione alle esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica»..., il dipartimento della ragioneria, tramite i servizi ispettivi, effettua verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche, con competenza di carattere generale.
  Ciò sulla base di un programma annuale dove vengono selezionati gli enti da verificare sulla base di varie problematiche concomitanti, secondo l'incidenza delle stesse sulla finanza pubblica, con parametri oggettivi, estrapolati dalle banche dati utilizzate dal dipartimento della ragioneria generale dello Stato, sulla base degli obiettivi fissati dalla direttiva ministeriale annuale sull'azione amministrativa, cui la programmazione stessa si deve ispirare.
  Qualora, invece, i fatti denunciati attengano a specifiche fattispecie, come nei casi esposti nell'interrogazione in esame, le singole problematiche devono essere necessariamente selezionate e valutate alla luce della sussistenza di ulteriori oggettivi parametri di criticità.
  Ciò in quanto molte situazioni denunciate, pur rappresentando in sé criticità per gli enti locali, proprio per il loro carattere molto peculiare e circoscritto, non consentono di superare i predetti parametri per la selezione degli enti da verificare.
  Si ribadisce, in ogni caso, che, per prassi e per corrispondere alle richieste avanzate nell'interrogazione, si valuterà l'opportunità di una verifica presso l'ente coinvolto, compatibilmente con la prioritaria necessità di attuazione del programma ispettivo in atto.
  In merito al caso specifico, si ritiene comunque utile rappresentare quanto riferito dal Ministero della difesa, laddove si precisa che la gestione commissariale del comune di Marano (a seguito dello scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose) ha ripreso la regolarità delle riscossioni, procedendo con l'emissione delle cartelle di pagamento anche per le annualità pregresse, situazione che ha comportato, per le annualità 2012-13, errori materiali, essenzialmente riconducibili a valori/parametri di calcolo inseriti in maniera inesatta nel programma di gestione informatizzata.
  Ad ogni buon fine, il Ministero della difesa ritiene utile segnalare che, nel mese di gennaio 2017, anche presso la tenenza di Marano di Napoli è pervenuto un avviso di pagamento per i consumi idrici del biennio 2012/2013 di oltre 26.000 euro che, a seguito di opportuna segnalazione da parte di quel comando, è stato prontamente rettificato dagli uffici comunali con l'importo corretto pari a 5.763,00 euro.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Pier Paolo Baretta.


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il comune di Melito di Napoli con la sentenza emessa in data 22 marzo 2017 dal tribunale di Napoli nord è stato condannato al pagamento di un risarcimento di venti milioni di euro in favore della società «Progetto casa 2000»;

   la predetta società si era, infatti, vista assegnare delle concessioni edilizie, poi revocate a causa dell'annullamento della delibera di giunta comunale che ne aveva autorizzato il rilascio;

   la delibera di giunta comunale del 26 febbraio 2001, n. 39, era infatti stata annullata dalla commissione straordinaria prefettizia a causa di una serie di irregolarità, non ultima il fatto che un atto concessorio di licenze, edilizie avrebbe dovuto essere approvato dal consiglio comunale e non dalla giunta;

   va rilevato che il sindaco in carica al momento dell'adozione della delibera, nel 2001, è attualmente ricandidato a sindaco –:

   se il Governo sia informato dei fatti di cui in premessa e se intenda promuovere, per quanto di competenza, una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica in ordine ai riflessi finanziari e contabili connessi al pesante onere recato dalla sentenza del tribunale di Napoli nord.
(4-17059)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione n. 4-17059, con la quale, nel segnalare una sentenza del tribunale di Napoli del marzo 2017, che condanna il comune di Melito al pagamento di un risarcimento di venti milioni di euro alla società «Progetto casa 2000», si chiede l'eventuale intervento dei servizi ispettivi di finanza pubblica in ordine ai riflessi finanziari a carico del comune, connessi a tale pagamento.
  Al riguardo si precisa che, a norma dell'articolo 14 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, «In relazione alle esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica»..., il dipartimento della ragioneria, tramite i servizi ispettivi, effettua verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche.
  In attuazione della citata norma viene predisposto un programma annuale, redatto valutando le problematiche di carattere generale da approfondire, secondo l'incidenza delle stesse sulla finanza pubblica, individuando gli enti da verificare con parametri oggettivi, estrapolati dalle banche dati utilizzate dal dipartimento della ragioneria generale dello Stato, sulla base degli obiettivi fissati dalla direttiva ministeriale annuale sull'azione amministrativa, cui la programmazione stessa si deve ispirare.
  I servizi ispettivi di finanza pubblica, infatti, in base alla normativa vigente, effettuano controlli sulla regolarità amministrativa e contabile, con competenza di carattere generale, in relazione alle gestioni finanziarie e patrimoniali condotte da soggetti pubblici.
  Qualora, poi, i fatti denunciati attengano a specifiche fattispecie, come nel caso esposto nell'interrogazione in esame, le singole problematiche devono essere necessariamente selezionate e valutate alla luce della sussistenza di ulteriori oggettivi parametri di criticità.
  Ciò in quanto molte situazioni denunciate, pur rappresentando in sé criticità per gli enti locali, proprio per il loro carattere molto peculiare e circoscritto, non consentono di superare i predetti criteri generali per la selezione degli enti da verificare.
  In tale ottica, ciò non toglie che, per prassi e per corrispondere comunque alle richieste avanzate nell'interrogazione, si valuterà l'opportunità di una verifica presso l'ente coinvolto, compatibilmente con la prioritaria necessità di attuazione del programma ispettivo in atto.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Pier Paolo Baretta.


   VACCA, DEL GROSSO e COLLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 9, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, prevede che la Conferenza unificata acquisisca le designazioni dei rappresentanti delle autonomie locali nei casi previsti dalla legge;

   il decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 2006, n. 204, reca il «Regolamento di riordino del Consiglio superiore dei lavori pubblici» e, in particolare, l'articolo 3 ne disciplina la composizione;

   l'articolo 3, comma 3, lettera d) del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 2006, n. 204, prevede che tra i componenti effettivi del Consiglio superiore dei lavori pubblici vi siano cinque rappresentanti designati dalla Conferenza unificata, scelti tra soggetti in possesso di specifiche qualità tecniche, corrispondenti all'importanza e alla delicatezza delle funzioni del Consiglio stesso;

   le regioni, nella seduta del 21 luglio 2016 del Consiglio superiore dei lavori pubblici, hanno chiesto di rinviare la designazione dei propri rappresentanti;

   nella seduta della Conferenza unificata del 3 agosto 2016 le regioni hanno designato, quali propri rappresentanti all'interno del Consiglio superiore dei lavori pubblici, l'ingegnere Edoardo Balzarini, esperto della regione Sardegna e l'architetto Gianluca Marcantonio, esperto della regione Abruzzo, secondo quanto indicato in un documento che è allegato al verbale della Conferenza unificata del 3 agosto 2016;

   il 3 agosto 2016 la Conferenza delle regioni e delle province autonome, con protocollo n. 3864 /DES-1LP ha notificato al Consiglio superiore dei lavori pubblici le designazioni dei rappresentanti di parte delle regioni e a tale comunicazione sono stati allegati i curricula degli esperti regionali;

   nella comunicazione della Conferenza delle regioni e delle province autonome allegato al verbale della Conferenza unificata (allegato 3) e scaricabile da internet all'indirizzo www.statoregioni.it, i curricula degli esperti regionali Edoardo Balzarini, esperto della regione Sardegna e l'architetto Gianluca Marcantonio, esperto della regione Abruzzo, in realtà non sono allegati;

   un quotidiano on-line, Primadanoi.it, ha pubblicato il 3 settembre 2016 un articolo con il seguente titolo «Testimoniò al suo processo: D'Alfonso lo fa nominare nell'organo che controlla i lavori pubblici» per informare il cittadino della nomina al Consiglio dei lavori pubblici di Marcantonio;

   l'architetto Gianluca Marcantonio ha già svolto incarichi professionali per conto della regione Abruzzo guidata da Luciano D'Alfonso –:

   quale sia il curriculum dell'esperto della regione Abruzzo, in considerazione dei requisiti richiesti dall'articolo 3, comma 3, lett. d), del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 2006, n. 204, ovvero «il possesso di specifiche qualità tecniche, corrispondenti all'importanza e alla delicatezza delle funzioni del Consiglio Superiore»;

   per quale motivo non siano stati resi pubblici i curricula allegati alla lettera indirizzata alla Conferenza unificata protocollo n. 3864 /DES-1LP della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
(4-14215)

  Risposta. — La Conferenza Stato - regioni, organo di raccordo tra le Amministrazioni interessate nell'ambito dei processi decisionali di interesse regionale, interregionale ed infraregionale, acquisisce, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le designazioni dei rappresentanti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, individuati in totale autonomia dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel rispetto delle disposizioni che disciplinano i diritti e le prerogative di tutti i soggetti istituzionali titolari di diritto di intervento, al fine di fornire la prevista tutela degli interessi coinvolti e la garanzia partecipativa.
  La mancata pubblicazione dei
curricula, oggetto della presente interrogazione, conforme alla prassi in uso presso la Conferenza Stato-regioni per tutti i procedimenti finalizzati alla designazione di esperti, non presenta profili di illegittimità, in quanto l'obbligo di pubblicazione dei dati relativi ai titolari di incarichi sul sito istituzionale, non incombe sulla Conferenza, che acquisisce le designazioni da parte dalla Conferenza delle regioni e province autonome senza partecipare alla procedura di selezione dei curricula, ma sui diversi enti presso cui sono incardinati gli organismi in seno ai quali gli esperti vengono designati.
  In proposito, l'articolo 15 del decreto legislativo n. 97 del 2016, recante gli obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi di collaborazione o consulenza, dispone, al comma 1, che le pubbliche amministrazioni pubblicano e aggiornano le informazioni, tra cui il
curriculum vitae (lettera b)) e, al comma 2, che «le amministrazioni pubblicano e mantengono aggiornati sui rispettivi siti istituzionali gli elenchi dei propri consulenti».
  Al fine di consentire l'assolvimento dei predetti obblighi di trasparenza pertanto, giusto quanto prescritto dall'articolo 15 del decreto legislativo n. 33 del 2013, come modificato dal decreto legislativo n. 97 del 2016, i
curricula sono trasmessi alle Amministrazioni interessate all'effettiva utilizzazione degli esperti designati contestualmente alla trasmissione dell'atto con cui la Conferenza ha acquisito le designazioni.
  Fermo restando quanto sopra, si rappresenta la disponibilità, in qualità di Presidente, di verificare anche con le regioni, la possibilità di rendere pubblici sul sito della Conferenza Stato-regioni i singoli
curricula relativi alle designazioni.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Gianclaudio Bressa.


   VENITTELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la diga di Chiauci è ubicata in Molise ma in prevalenza è a servizio della regione Abruzzo per uso irriguo, potabile e industriale; risulta del tutto inadeguato l'approvvigionamento idrico in particolare dei comprensori molisani;

   il serbatoio artificiale, completato nel 1997, è tuttora nella fase dei primi invasi sperimentali, avviati solo nel 2011 dal Consorzio di Bonifica Sud Vasto cui è affidata la gestione; l'attuale quota, autorizzata nel 2012, è di 738 metri s.l.m., cui corrisponde un volume d'invaso di soli 3,5 milioni di metri cubi a fronte di un volume potenziale, alla quota massima di regolazione, di 14,2 milioni di metri cubi;

   il ritardo negli invasi sperimentali è imputabile, ad avviso dell'interrogante, all'inefficienza del concessionario/gestore, responsabile anche di gravi carenze e inadempienze nella manutenzione e nei controlli ordinari;

   nel piano dighe è previsto per Chiauci uno stanziamento di 5 milioni di euro destinato inizialmente anche al consolidamento dell'ammasso roccioso a valle diga, intervento incluso, insieme ad altri di completamento territoriale, anche nei patti per il Sud delle regioni Abruzzo e Molise; le risorse non impegnate per interventi a valle e di compensazione ambientale potranno essere utilizzate per impianti e scarichi, in particolare per lo scarico di fondo e, rimodulate, saranno reinserite nel «piano dighe» delle regioni Molise ed Abruzzo;

   risulta all'interrogante che il gestore della diga (Consorzio Sud Vasto) non abbia ancora presentato istanza per la prosecuzione degli invasi sperimentali;

   quanto ai necessari e propedeutici interventi di manutenzione straordinaria e di controllo della diga, a seguito di sopralluogo dell'ufficio dighe di Napoli del 5 aprile 2017, risulta che il gestore abbia finalmente avviato alcune indagini e controlli e presentato, a maggio, un progetto di interventi per 4 milioni di euro, finanziati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti nell'ambito del piano infrastrutture FSC 2014-20, attualmente in istruttoria tecnica che dovrebbe concludersi entro un mese circa;

   allo stato risultano avviate dal gestore gli appalti per opere di completamento atte al ristoro ambientale e territoriale ed un altro che prevede interventi importanti per la sicurezza come la sistemazione del costone roccioso immediatamente a valle diga e per i quali risulta che le regioni Abruzzo e Molise abbiano già disponibili fondi (15 milioni di euro) nell'ambito dei patti per il sud, a valere sul fondo per lo sviluppo e la coesione;

   la direzione generale per le dighe del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha constatato le gravi carenze gestionali, manutentive e di controllo del concessionario/gestore;

   l'affidamento dell'esercizio della diga è autorizzato dal Ministero previa verifica dell'idoneità tecnico-organizzativa del responsabile della gestione;

   il foglio di condizioni per l'esercizio e la manutenzione prevede l'obbligo della verifica degli impianti esistenti, da effettuarsi con periodiche misurazioni, verifiche e controlli specifici, con frequenza almeno mensile, obbligo che, a quanto risulta all'interrogante, non sarebbe rispettato dall'attuale gestore/concessionario –:

   se non si ritenga essenziale e urgente assumere le iniziative di competenza affinché la gestione della diga di Chiauci sia affidata a soggetti in possesso dei requisiti essenziali previsti dal foglio di condizioni, al fine di garantire la sicurezza dell'infrastruttura, l'incolumità delle popolazioni a valle e la salvaguardia delle attività economiche della zona, tra cui l'insediamento industriale di San Salvo e le attività agricole localizzate a valle della diga in ragione della possibilità di beneficiare di un adeguato approvvigionamento idrico proporzionato alle potenzialità – non valorizzate – della diga di Chiauci;

   se non si ritenga di valutare l'opportunità di revocare la concessione di gestione all'attuale gestore e di affidare la gestione della diga agli enti strumentali esistenti della regione Molise localizzati nel territorio della diga di Chiauci e che già gestiscono in modo adeguato infrastrutture analoghe.
(4-17719)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, circa l'esercizio della diga di Chiauci sul fiume Trigno nella provincia di Isernia, sulla base delle informazione pervenute dalla Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche di questo Ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La diga di Chiauci, ubicata in Molise ma a servizio di utilizzazioni plurime anche nella regione Abruzzo, è costituita da uno sbarramento in materiali sciolti, con manto di tenuta di altezza pari a 65 m. Il serbatoio artificiale, completato fin dal 1997, risulta tuttora nella fase dei primi invasi sperimentali che sono stati avviati dal concessionario solo nel 2011 e proseguiti conseguendo, nel 2012, l'attuale quota autorizzata, pari a 738,00 m s.m., cui corrisponde un volume d'invaso di 3.5 milioni di m3, a fronte di una potenzialità di 14,2 milioni di m3 in corrispondenza della quota, massima di regolazione di progetto, pari a 756.80 m s.m.
  Nel merito delle problematiche che condizionano il pieno utilizzo della risorsa idrica, evidenzia che lo stesso è stato condizionato da una serie di adempimenti e prescrizioni tecnico-gestionali non del tutto ottemperate dall'ente gestore, strettamente correlate alla sicurezza dello sbarramento. Nello specifico si riporta quanto segue.
  La prosecuzione degli invasi sperimentali, necessaria per il collaudo funzionale dell'opera ai sensi dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1363/1959 e per le verifiche regolamentari circa la piena esercibilità in sicurezza della stessa, è allo stato condizionata da problemi di carattere tecnico-gestionale che il Consorzio gestore deve esaustivamente risolvere per garantire i sistematici controlli di sicurezza dell'opera e dare adempimento alle prescrizioni stabilite dal Foglio di condizioni per l'esercizio e la manutenzione della diga (F.c.e.m.) o impartite da questa amministrazione a seguito dell'attività di vigilanza espletata durante cicli di esercizio sperimentale.
  Detti adempimenti riguardano principalmente: la sistematica manutenzione della strumentazione di controllo della diga; il rilevamento e la presentazione delle misure di controllo stesse secondo le prescrizioni del F.c.e.m.; le verifiche e le manutenzioni degli organi di scarico profondi; la garanzia di un tempestivo intervento in caso di problemi tecnici che dovessero emergere dagli invasi sperimentali stessi.
  L'ente concessionario, il consorzio di bonifica Sud Vasto, ha recentemente presentato agli uffici competenti di questo Ministero un progetto definitivo relativo ad una serie di interventi finalizzati ad incrementare la sicurezza della diga di Chiauci (nota CB Vasto n. 1500 dell'11 maggio 2017). Tali interventi sono principalmente riferibili a manutenzioni di natura impiantistica sullo scarico di fondo e sulla derivazione, a studi di rivalutazione sismica della diga, ad installazione di nuova strumentazione topografica ed alla verifica della tenuta idraulica delle sponde in prossimità dello sbarramento. Il progetto in parola è stato istruito dagli uffici competenti di questo Ministero che ha richiesto, lo scorso 14 settembre, integrazioni progettuali relativamente alla parte di interventi finalizzati ad incrementare la sicurezza del pozzo paratoie della diga e della condotta di derivazione.
  Si conferma, in proposito, che il medesimo concessionario ha sottoscritto in data 21 agosto 2017 l'accordo per poter concretamente accedere alla linea di finanziamenti Fsc 2014-2020 attivata da questo Ministero nell'ambito del piano operativo infrastrutture – asse tematico D: interventi di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza dighe; detto accordo prevede, in base alla delibera Cipe del 1o dicembre 2016, un importo di 4 milioni di euro per gli interventi strettamente propedeutici alla ripresa degli invasi sperimentali della diga.
  Altri interventi di sistemazione territoriale sono in corso di avvio da parte del consorzio concessionario su finanziamenti a valere sui patti per il sud regioni Abruzzo e Molise. Detti interventi complementari ancora da realizzarsi per il completamento dell'opera pubblica non sono, allo stato, condizionanti la prosecuzione degli invasi sperimentali, almeno per quanto attiene ai prossimi cicli di invaso.
  Tra detti interventi complementari riveste carattere prioritario la sistemazione dei versanti rocciosi immediatamente a valle diga, per le implicazioni sulla sicurezza dei luoghi in rapporto all'accessibilità degli stessi; per detto intervento, peraltro, questa amministrazione ha già espresso in linea tecnica il proprio nulla-osta, con prescrizioni di carattere esecutivo, in data 27 maggio 2013.
  Per quanto attiene al progetto di sistemazione in coda lago denominato «Impianto di sollevamento di Pescolanciano ed ulteriori opere di completamento – I stralcio», questa amministrazione si è già espressa in linea tecnica con motivata richiesta di modifiche ed integrazioni al progetto in data 26 giugno 2013, ma la revisione progettuale non è stata ancora presentata.
  Non sono allo stato pendenti istanze da parte dell'ente gestore per conseguire l'autorizzazione all'incremento della quota ad oggi autorizzata: è evidente che raccoglimento di un'eventuale istanza in tal senso e condizionata dall'accertamento dell'avvenuta risoluzione dei summenzionati problemi tecnico-gestionali, in modo da garantire che gli invasi stessi possano proseguire sotto controllo, in sicurezza e nel rispetto dei requisiti volti alla tutela della pubblica incolumità.
  Per quanto attiene alle osservazioni formulate dall'interrogante circa le difficoltà tecnico-organizzative dell'ente concessorio nel far fronte all'esercizio ed alla manutenzione dell'impianto di ritenuta, trattasi di aspetto già segnalato alle regioni interessate.
  In ogni caso gli aspetti di sicurezza delle popolazioni a valle della diga sono allo stato tutelati tramite la vigente limitazione di invaso sperimentale emanata da questa amministrazione con atto del 2012.
  Infine, in merito alla proposta dell'interrogante di revocare la concessione idrica in capo al consorzio di bonifica sud Vasto, si segnala che detta materia è estranea alle competenze di questa amministrazione in quanto trasferita alle regioni, con la gestione del demanio idrico, ai sensi dell'articolo 89 del decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   ZACCAGNINI e PIRAS. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'associazione «Il movimento libera rappresentanza», è un'organizzazione non politica, senza scopi di lucro, nata dalla volontà di un gruppo di cittadini che desiderano unire la società civile con quella «militare», alla quale partecipano anche membri osservatori di Euromil, l'organizzazione internazionale delle associazioni militari. In data 1o giugno 2015, a firma del proprio consulente legale l'avvocato Francesco Pandolfi «esperto in diritto militare», compare sul blog dell'associazione il seguente contributo dal titolo: «Militari: indice di massa corporea», nel quale si descriveva come:

    «Lo Stato Maggiore dell'Esercito applica al personale militare la cosiddetta circolare I.M.C, “indice di massa corporea”, che fissa un limite tra l'idoneità e la non idoneità al servizio, ossia il limite del 30 per cento per gli uomini e il 28 per cento per le donne, riconducendo il controllo ad una mera applicazione di una formula matematica senza tenere contro della specificità di ogni individuo. Sembra però che detta circolare venga applicata in maniera generica sul personale: chi non rientra nei requisiti previsti (elaborazione matematica di valori antropometrici) viene collocato in convalescenza per lunghi periodi, fino a 180 giorni, senza lavorare, il tutto per ridurre l'IMC di almeno un punto: dopo di ciò si avvia la fase delle convalescenze, fino a due anni. Da un lato si tratta di un grave spreco economico poiché si pagano persone collocate dalla propria amministrazione a riposo coatto, dall'altra parte queste interminabili convalescenze mettono a rischio l'impiego del militare. Ora, stando ai principi di medicina legale, al fine di valutare l'idoneità o meno al servizio, si individua come sbarramento un'infermità ascrivibile ad una 5o o 6o categoria comunque, tale patologia deve essere in netto contrasto con l'espletazione dei compiti d'istituto»;

   nel medesimo contributo si legge che «nelle tabelle delle valutazioni di infermità, l'obesità non viene menzionata; le CMO applicano la normativa rigidamente rispetto ad altre patologie permanenti. Non potendo riformare solo per l'obesità, tendono a far sforare i 730 giorni (stipendiati senza lavorare per risposo forzato) di aspettativa, con conseguente decadimento dal servizio e con la possibilità di non transitare nei ruoli civili. Per quanto concerne invece l'invalidità civile, la percentuale d'invalidità che può essere concessa ad un soggetto obeso (soltanto in presenza di obesità di terzo grado con IMC superiore a 40 per cento) va dal 31 per cento al 40 per cento in quei soggetti con limitata funzionalità e con masse adipose voluminose tali da non poter svolgere le normali attività»;

   nel documento è altresì evidenziato che «è corretto considerare l'obesità come una patologia vera e propria da trattare come tale, ovvero con percorsi personali mirati di rieducazione elementare e di sport. Un ambiente di lavoro particolarmente stressante può condurre alcune persone ad un deperimento generale, altre all'impinguamento: si può pretendere che una persona possa intraprendere un percorso per ristabilire un equilibrio salutistico se subisce la costante pressione psicologica della paura di perdere il lavoro? Sembra arduo giungere a valutare l'obesità in funzione del grado e dell'incarico, che, evidentemente, non corrispondono a parametri medici»;

   nello stesso documento si rileva che «rispetto alla questione tesa a verificare e far rientrare il personale militare all'interno dei parametri ponderali, indicati dalla direttiva di forza armata, sovente sono state sollevate da parte del personale domande e perplessità che fanno emergere forti dubbi e lacune normative»;

   a giudizio dell'interrogante è condivisibile quanto esposto nel suddetto documento, laddove si legge ancora che «si ritiene opportuno rivedere alcuni parametri giudicati eccessivi e privi di fondamento scientifico con un ulteriore elemento di dubbio, nascente dal fatto che la normativa vigente preveda, in caso di superamento della percentuale del 30 per cento, l'obbligo per il personale di essere posto in convalescenza attraverso un lesivo meccanismo di deliberata “esclusione” anziché “inclusione” della persona dall'ambito lavorativo. Di fatto la persona si ritrova sola a gestire e risolvere la propria condizione»;

   «la tutela della salute si evidenzia inoltre nel documento è scopo primario di ogni norma e, per questo, occorre un vero e proprio cambiamento di “filosofia”, atto a preservare e mettere al centro della problematica la persona. L'aiuto va portato in loco con l'ausilio del DSS, degli istruttori ginnico-militari, per seguire un programma alimentare e sportivo all'interno delle strutture e in orari di servizio, evitando di porre, in convalescenza e con obbligo di presentarsi alle visite preposte solo alla scadenza di questa. La convalescenza produce effetti dirompenti in termini di carriera e giuste aspettative in capo al personale rappresentato: non vengono effettuate le minime consulenze specialistiche in materia, nonostante provvedimenti quali quelli della collocazione in convalescenza (che rischiano di determinare la perdita del posto di lavoro). È noto che tali “rischi” non sussistono per gli appartenenti ad altre Forze armate, tanto meno in capo al comparto sicurezza, e ciò nonostante, i dettami legislativi di equa ordinazione. Le disposizioni in materia di I.M.C. possono portare fino alla perdita del posto di lavoro per riforma, ciò in palese disparità di trattamento tra il personale dello stesso comparto o tra i comparti Difesa-Sicurezza». Il Ministero della salute dà indicazioni ben precise sull'unità di misura I.M.C.;

   l'IMC può determinare orientativamente, la valutazione del sovrappeso e dell'obesità, ma non dell'effettiva composizione della massa corporea di un individuo: in altri termini, l'IMC non distingue la massa grassa dalla massa magra. In questo modo, si presenta l'evidente rischio di sovrastimare il grasso corporeo in soggetti, come gli sportivi, che hanno una corporatura muscolosa, oppure di sottostimare il grasso corporeo in soggetti anziani, che hanno meno massa muscolare. L'IMC non consente, pertanto, di conoscere la distribuzione del grasso corporeo che, invece, è fondamentale identificare nella sua localizzazione. La distribuzione di grasso maschile, detta «androide» si associa ad una maggiore presenza di tessuto adiposo nella regione addominale, toracica, dorsale. La distribuzione di grasso «a pera» detta «ginoide» (o anche sottocutanea) si caratterizza per una presenza delle masse adipose nella metà inferiore dell'addome, nelle regioni glutee e in quelle femorali. Con l'utilizzo dell'indice di massa corporea non sarà mai possibile, ad esempio, scoprire le differenze sostanziali tra soggetto femminile e soggetto maschile, avuto riguardo alla percentuale corporea di massa grassa e massa magra. Dunque, l'indice può essere indifferentemente utilizzato sia nei confronti degli uomini, che nei confronti delle donne: è questo uno dei suoi limiti, non rappresentando alcuna distinzione uomo/donna; gli studi medico – clinici e le stesse valutazioni dell'OMS ci dicono che le donne hanno un grasso maggiore rispetto agli uomini. Discorso a parte va fatto per tutte le persone un po’ più avanti con l'età. Questa categoria di soggetti è infatti influenzata da altri fattori, rispetto agli adulti più giovani, come le modificazioni biologiche collegate all'età, allo stato di salute, allo stile di vita, ai fattori socioeconomici: è possibile, quindi, tranquillamente dedurre che per entrambi i sessi l'efficacia dell'IMC diminuisce con il passare dell'età. In buona sostanza, l'IMC, per la sua semplicità, non dà a giudizio dell'interrogante indicazioni utili sulla distribuzione del grasso corporeo, che invece sarebbe molto importante identificare –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intendano adottare in merito;

   se il Ministro della difesa intenda assumere iniziative volte a modificare la circolare di cui in premessa;

   come si concili l'applicazione della suddetta circolare con la normativa vigente in materia di diritti universali dell'uomo e di tutela della salute della persona, con quanto previsto dall'atto di arruolamento sottoscritto dai quadri permanenti, nonché con l'equo ordinamento tra le Forze armate e le Forze dell'ordine.
(4-18168)

  Risposta. — L'idoneità al servizio militare incondizionato è un requisito fondamentale per l'assolvimento dei compiti istituzionali. Ogni singolo militare è, pertanto, tenuto a possedere tale requisito all'atto dell'arruolamento e a mantenerlo nel corso della successiva vita professionale in relazione a funzione, impiego ed età. In tale ottica, il sistema sanitario militare tutela il personale militare prevedendo una verifica periodica dei parametri antropometrici per ogni specifico tipo di impiego.
  In particolare, la direttiva citata dagli interroganti, riguardante l'indice di massa corporea (Imc), è inserita in un quadro normativo che, al preciso scopo di agevolare al massimo grado il mantenimento dell'idoneità al servizio militare incondizionato, ne disciplina ogni presupposto di carattere sanitario, dal mantenimento dell'efficienza operativa, alla corretta alimentazione, allo svolgimento di visite periodiche.
  Nello specifico, queste ultime hanno introdotto, con finalità di medicina preventiva, visite mediche annuali integrate da analisi di laboratorio e controlli cardiologici con una periodicità biennale o triennale in base all'età.
  L'applicazione di questa circolare tiene naturalmente conto di uno
screening clinico e/o strumentale che consente di escludere i casi in cui l'elevato valore dell'Imc derivi da una struttura muscolare particolarmente sviluppata e non da un eccesso di tessuto adiposo.
  Per i militari ai quali, invece, vengono riscontrati valori di Imc superiori a 28 per le donne e 30 per gli uomini, l'ufficiale medico avvia un protocollo semestrale che, attraverso la prescrizione di un regime dietetico adeguato e di un programma di attività fisica personalizzato, consenta il calo di un punto di Imc (che corrisponde a circa 3-5 chilogrammi) nel semestre.
  Durante tale periodo il personale continua a prestare regolare servizio, con la sola esclusione dall'impiego in operazioni e dell'effettuazione delle prove di efficienza operativa. Solo qualora la procedura anzidetta risulti inefficace il militare viene collocato in convalescenza sino a che non rientri al di sotto dei citati valori.
  Infine, per quanto attiene al menzionato obbligo di presentarsi alle visite preposte solo alla scadenza dei prescritti periodi di convalescenza, si evidenzia che la direttiva in materia consente, a domanda dell'interessato, di effettuare la visita di controllo al raggiungimento del calo di 2 punti di Imc anche in data antecedente alla scadenza del provvedimento medico-legale.

Il Sottosegretario di Stato per la difesa: Gioacchino Alfano.