Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 18 ottobre 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    la violenza sulle donne è un fenomeno trasversale, che colpisce tutte le età, anche quelle più giovani. Il contrasto e la prevenzione della violenza richiedono necessariamente un cambiamento culturale profondo che va costruito con il contributo di tutti: la cultura del rispetto e della parità tra gli uomini e le donne deve essere uno degli obiettivi fondamentali di ogni livello istituzionale;

    le violenze sulle donne sono un intollerabile attacco alla persona e alla libertà individuale, in violazione dei diritti umani delle donne come riconosciuto dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cosiddetta Convenzione di Istanbul), ratificata dall'Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77;

    la violenza contro le donne è costituita da «qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre, danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica sia nella vita privata», come ebbe già a definirla la «Dichiarazione Onu sull'eliminazione della violenza contro le donne» del 1983;

    nonostante la Convenzione di Istanbul costituisca uno dei più recenti strumenti giuridicamente vincolanti per prevenire gli atti di violenza, proteggere le vittime e perseguire gli aggressori, la situazione relativa alle violenze sulle donne e ai femminicidi rimane grave sul piano fattuale; si pone la necessità di monitorare la sua concreta attuazione e che le istituzioni, pubbliche e private, adottino rapidamente e ad ogni livello tutte le misure utili a produrre risultati positivi e duraturi;

    il Senato della Repubblica nel gennaio 2017 ha istituito una Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, che include tra i suoi ambiti di competenza anche l'indagine sulla concreta attuazione della Convenzione di Istanbul e l'accertamento del livello di attenzione e della capacità di intervento delle autorità e delle pubbliche amministrazioni, centrali e periferiche, competenti a svolgere attività di prevenzione e di assistenza alle vittime di violenza di genere;

    in attesa di potersi avvalere anche delle conclusioni dei lavori di questa Commissione, si rileva la gravità della situazione, che è resa evidente dai numeri diffusi dall'Istat: 1 milione 150 mila donne hanno subito stupri o tentati stupri nel corso della vita, quasi 7 milioni di donne hanno subito violenza fisica o sessuale, il 36 per cento delle donne che hanno subito violenza da partner ha avuto paura per la sua vita;

    i numeri di cui si dispone non consentono, tuttavia, di affermare come la situazione stia cambiando, come ricordato da Linda Laura Sabbadini, perché le indagini statistiche sono costose e in Italia quelle «di genere» non sono svolte ogni anno. Alle rilevazioni del 2006 e del 2014 ne seguirà un'altra solo nel 2019, nonostante già nel 1995 la Conferenza mondiale sulle donne di Pechino abbia dichiarato l'importanza degli studi statistici sulla condizione femminile;

    il bilancio dei primi mesi del 2017 in Italia è drammatico per il ripetersi quotidiano di fatti di cronaca di donne ammazzate, anche se gli ultimi dati del Viminale riferiscono che le denunce per stupro sono in diminuzione;

    la «forza» dei numeri di cui si dispone non è però in grado di rappresentare effettivamente la realtà, in quanto la stragrande maggioranza delle donne continua a non denunciare le violenze subite;

    una grandissima parte di stupri non è denunciata, ad esempio, perché si consuma in famiglia, ad opera di mariti, ex mariti, compagni o ex compagni. Altrettanto sommerse rimangono le altre violenze che avvengono tra le mura domestiche (circa il 90 per cento del totale);

    tutelare le donne che non riescono a denunciare una violenza per paura o per vergogna deve divenire anche un obbligo istituzionale a fronte di un 56,3 per cento delle donne vittima di violenze che non trova un confidente cui rivolgersi anche per la mancanza di fiducia verso le istituzioni;

    i centri antiviolenza e le case rifugio sono nel nostro Paese, gli unici presidi a protezione e sostegno delle donne vittime della violenza maschile;

    in Italia, da Nord a Sud, sono presenti 160 strutture, a fronte di quasi 7 milioni di donne italiane che hanno subito violenza almeno una volta nella loro vita. La sproporzione è impressionante e nonostante si facciano carico quasi per intero degli interventi a supporto delle vittime, sopperendo alle mancanze delle istituzioni, quello che viene fatto è svolto in larga parte senza l'aiuto del Governo e di risorse pubbliche;

    numericamente insufficienti, privi di risorse umane e materiali rispetto all'entità del fenomeno, i centri anti-violenza non riescono a fare fronte a tutte le richieste di sostegno, soccorso e appoggio da parte delle vittime;

    i centri antiviolenza sono coinvolti nei tavoli istituzionali e agli incontri voluti dal Dipartimento Pari Opportunità in vista del nuovo Piano nazionale antiviolenza, ma sono sistematicamente messi da parte nella fase decisionale;

    i fondi, già insufficienti, sono spesso assegnati ad enti e associazioni che decidono di occuparsi di violenza all'ultimo minuto, spesso senza professionalità da spendere e progetti validi. La realtà racconta quanto manchi una visione che valorizzi il patrimonio rappresentato dai Centri antiviolenza;

    un aspetto della violenza che non viene quasi mai preso in considerazione dagli interventi pubblici sono i costi diretti della violenza che vengono sopportati dalle donne, a tacere di quelli pubblici e sociali. L'Istat nel 2015 ha calcolato che tra le vittime, una quota di poco inferiore al 15 per cento (14,3 per cento) ha dovuto sostenere spese per cure mediche e psicologiche presso strutture private, spese per farmaci (18,6 per cento), spese legali (12,3 per cento) e per danni a proprietà (5 per cento); molte donne si sono dovute assentare dal lavoro e hanno avuto difficoltà a gestire le attività quotidiane (rispettivamente 5,7 per cento e il 6,7 per cento), nella maggior parte dei casi per più di 10 giorni;

    un altro corno del problema è rappresentato dalle azioni che vanno adottate per cambiare il paradigma della cultura patriarcale e violenta, permettendo di uscire dalla logica degli interventi emergenziali, che spesso sono frutto di improvvisazione e poco efficaci, come quelli individuati dal decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, che usa la norma penale quale strumento privilegiato di protezione delle vittime percepite come soggetti deboli da tutelare;

    presso la VII Commissione della Camera dei deputati, da oltre un anno e mezzo, è in corso l'esame di una serie di proposte di legge abbinate che recano l'introduzione dell'educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione; sarebbe assai auspicabile che tutte le forze politiche si adoperassero per portare a conclusione l’iter in questione molto rapidamente;

    le notizie di stupri, di donne morte ammazzate per mano di un uomo sono oggetto della cronaca quasi ogni giorno, ma le parole e le analisi che le accompagnano, sia nei media, che da parte delle istituzioni, spesso costituiscono esse stesse un'ulteriore forma di violenza poiché le donne, i loro corpi e le loro sofferenze vengono sovente strumentalizzate in occasione di un evento tanto drammatico e doloroso;

    quando si parla della violenza di genere il corpo delle donne è presentato spesso come oggetto di conquista, visto con lo sguardo della cultura patriarcale che porta al conseguente gesto della violenza maschile e alle sue molteplici giustificazioni;

    quando a compiere la violenza è un migrante le donne diventano le «nostre donne» – proprietà dei «patri uomini» – da difendere contro l'invasione straniera. Se, invece, autore della violenza è un maschio italiano, a volte il messaggio che passa è che la violenza possa essere colpa delle donne, delle loro abitudini, nel fatto che credano nel principio dell'autodeterminazione, nell'autodifesa, nella libertà. Il corpo allora andrebbe coperto, circondato da una «corazza protettiva», secondo le parole del «manuale per le donne» di recente pubblicato da Il Messaggero. Oppure, come ripetuto sempre di recente da un rappresentante delle istituzioni, le donne dovrebbero tenere conto che il desiderio maschile è «istinto primordiale», quasi che, se lo dimenticassero, la responsabilità della violenza possa essere loro;

    l'omicidio di una ragazza di 16 anni, uccisa da un ragazzo di 17, ha svelato nella cronaca il comune tentativo di derubricare la violenza a fatto di gelosia e devianza e a occultare questioni ben più scomode, che porterebbero a interrogarsi sui modelli dell'identità maschile piuttosto che stilare vademecum antistupro;

    contrastare gli stereotipi e contribuire ad un cambiamento culturale a partire da un'informazione corretta e un uso consapevole del linguaggio, dovrebbe essere alla base di qualunque attività di formazione e aggiornamento dei giornalisti e di chiunque lavori nel campo dei media, nonché patrimonio di tutti e tutte coloro che operano nelle istituzioni;

    nonostante il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, prevedesse l'adozione di un Piano nazionale antiviolenza, che considerato il contesto normativo nel quale era inserito, avrebbe dovuto essere adottato con urgenza, ci sono voluti ben due anni perché questo fosse approvato; il Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, è stato infatti adottato dopo una lunga gestazione tra polemiche e dubbi sull'utilizzo dei fondi da parte delle regioni;

    i contenuti di quel Piano sono stati contestati da associazioni di donne, centri antiviolenza, sindacato, che hanno espresso delusione e rabbia per un'occasione mancata. Il risultato è stato un Piano che appare non innovativo e per certi aspetti peggiorativo della situazione esistente; sarebbe opportuno – a distanza di due anni – produrre un'analisi degli effetti e dei risultati conseguiti da tale piano per non ripetere gli stessi errori;

    a distanza di due ulteriori anni, risulta ancora in gestazione il nuovo piano nazionale antiviolenza, che la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio con delega alle pari opportunità, a settembre 2017, ha annunciato essere in corso di definizione, e che sarà oggetto dell'approvazione finale da parte della Conferenza unificata e del Consiglio dei ministri, insieme con la proposta di linee guida per le aziende sanitarie e ospedaliere per il soccorso e l'assistenza sociosanitaria alle donne vittime di violenza;

    mentre l'Italia, seguendo la logica emergenziale, continua a procedere molto lentamente, ignorando che le donne vittima della violenza maschile non possono aspettare, altri Paesi si dotano di piani complessi e molto articolati per tentare di risolvere alla radice il problema;

    è il caso, ad esempio, della Spagna, il cui Parlamento il 28 settembre 2017 ha adottato in via definitiva, all'esito di un iter parlamentare di soli sei mesi, un piano che include ben 213 azioni puntuali, che dovranno essere realizzate nella scuola, nell'informazione e nella pubblicità, nel Parlamento e nelle altre istituzioni, nella pubblica amministrazione e nelle forze armate, nell'assistenza alle vittime di violenze sulle donne;

    per realizzare le azioni del piano nazionale spagnolo è stato stanziato un miliardo di euro in 5 anni, mentre – per fare un esempio – la legge di bilancio per il 2017 ha incrementato di soli 5 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, lo stanziamento destinato al finanziamento delle azioni per i centri antiviolenza e le case-rifugio, la cui dotazione ammontava a soli 10 milioni di euro annui, a cui sono stati aggiunti ulteriori 12 milioni di euro, a marzo 2016, mediante un bando per il potenziamento delle attività sopracitate. Si tratta di previsioni finanziarie obiettivamente incommensurabili;

    la disattenzione del Governo si è vista secondo i presentatori del presente atto anche nelle recenti iniziative normative assunte che consentono di considerare il reato di stalking fatto di lieve entità, come è accaduto nel recente procedimento svoltosi dinanzi al tribunale di Torino, nel quale uno stalker offriva 1.550 euro di risarcimento alla vittima, che rifiutava, per estinguere il reato. Nonostante il rifiuto, il giudice decideva di «non doversi procedere» in quanto la proposta di risarcimento veniva considerata congrua e il reato era da considerarsi estinto,

impegna il Governo:

1) a dare piena applicazione alla Convenzione di Istanbul, quale strumento che punta a favorire l'autodeterminazione delle donne e a non considerarle soggetti deboli da tutelare;

2) a mettere in atto strategie e azioni strutturate ed integrate per affrontare il problema della violenza maschile sulle donne da un punto di vista educativo e culturale, assumendo come impegno prioritario quello di favorire, per quanto di competenza, un rapido iter delle proposte di legge in materia, con particolare riferimento a quelle in materia di educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione;

3) ad assumere iniziative volte a finanziare attività di formazione dei giornalisti e degli operatori dei media, all'interno di università e scuole di giornalismo, sul tema del contrasto della violenza di genere, favorendo l'utilizzo di un uso consapevole del linguaggio e un'informazione corretta;

4) ad assumere iniziative per rafforzare, con la massima urgenza, gli strumenti di tutela delle donne già vittime di violenza, garantendo la presenza capillare sul territorio dei centri antiviolenza e il numero delle case rifugio, destinando a tali strutture adeguate risorse economiche per conseguire almeno quanto indicato dal Consiglio d'Europa che raccomanda la presenza di un centro antiviolenza ogni 10.000 abitanti e un centro d'accoglienza ogni 50.000 abitanti (Raccomandazione Ue – Expert Meeting sulla violenza contro le donne – Finlandia 8-10 novembre 1999, sugli standard dei centri), prevedendo in particolare di finanziare almeno 5.700 posti letto (a fronte delle poche centinaia oggi esistenti);

5) a riconoscere i Centri antiviolenza operanti sul territorio nazionale, innanzitutto attraverso una mappatura ufficiale, sostenendo una veloce conclusione delle ricerche in corso da parte dell'Istat e del Cnr e indicando chiaramente tali centri come strutture fondamentali del Nuovo piano nazionale antiviolenza;

6) a finanziare le statistiche di genere correlate al fenomeno della violenza maschile sulle donne, aumentandone il numero e la frequenza, quali strumenti indispensabili per l'elaborazione e l'attuazione di politiche efficaci;

7) ad assumere iniziative finalizzate a promuovere l'approvazione di una legge specifica contro la violenza di genere che preveda, oltre al potenziamento dei consultori, il riconoscimento del ruolo delle case delle donne maltrattate, dei centri antiviolenza e delle associazioni che svolgono sul territorio azioni di sostegno alle vittime, nonché l'incremento del Fondo che consenta di garantire continuità all'erogazione dei servizi;

8) ad assumere iniziative volte a garantire il rimborso da parte dello Stato – in forma di indennizzo o di risarcimento – di tutti i costi diretti della violenza che vengono sopportati dalle donne;

9) a estendere e finanziare i centri di ascolto per uomini maltrattanti (Cam), autori di comportamenti violenti, con l'obiettivo di incoraggiarli a riflettere sul comportamento nelle relazioni affettive e aiutarli a uscire dalla situazione di violenza perpetrata ai danni delle donne;

10) ad assumere iniziative normative, al fine di escludere che, con riferimento al reato di stalking, possa in alcun modo trovare applicazione l'istituto dell'estinzione del reato per condotte riparatorie, previsto dall'articolo 162-ter del codice penale;

11) ad assumere iniziative per stanziare una congrua e specifica provvista finanziaria, che incrementi le ridotte risorse previste, da impegnare per tutti gli interventi contro la violenza maschile sulle donne.
(1-01734) «Brignone, Pannarale, Costantino, Gregori, Pellegrino, Marcon, Civati, Fratoianni, Andrea Maestri, Pastorino, Palazzotto, Airaudo».


   La Camera,

   premesso che:

    Catherine Ashton, già Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea, ha definito la violenza sulle donne «la più diffusa violazione dei diritti umani del nostro tempo»;

    la violenza di genere non conosce barriere geografiche, culturali, di classe o etniche;

    nel tempo è stata semplicisticamente ricondotta alla storica disuguaglianza di potere tra donne e uomini. Comprende invece tutti gli atti che si traducono o possono tradursi in lesioni, sofferenze fisiche e sessuali o psicologiche, minacce, coercizione, la privazione della libertà sia pubblica che privata; non essendoci una comune definizione di «violenza sulle donne», a livello europeo e internazionale non esiste una omogeneità di metodi e strumenti utilizzati per la repressione del fenomeno;

    secondo studi condotti dal Consiglio d'Europa, sono state vittime di violenze fisiche almeno una volta nella vita tra il 20 e il 25 per cento delle donne;

    in Europa ogni giorno una donna su cinque subisce una violenza e più di una su dieci l'ha subita con la forza; l'ambito nel quale la violenza è più diffusa è quello domestico dove tra il 12 e il 15 per cento delle donne ne è stata vittima dopo i 16 anni di età;

    le donne subiscono la violenza anche nei luoghi di lavoro fra insulti, mobbing, molestie sessuali, soprattutto nei paesi economicamente più sviluppati;

    fin dal 1999, il 25 novembre è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Lo ha decretato, con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre 1999, l'Assemblea generale delle Nazioni unite a dimostrazione della gravità di un fenomeno di profonda inciviltà che, purtroppo, investe indistintamente tutto il mondo;

    una indagine dell'Istat del 2014 fornisce dati rilevanti: nel complesso diminuisce il numero delle violenze, tranne gli stupri, ma aumenta la loro gravità;

    la stessa indagine dice quanto è alto il costo economico, pubblico e privato, della violenza. Le vittime sono costrette a sostenere spese per cure mediche e psicologiche presso strutture private, per farmaci, legali e per danni alla proprietà. Molte si sono dovute assentare dal lavoro con costi a carico del sistema produttivo o hanno avuto difficoltà a gestire le attività quotidiane. Ai costi diretti vanno aggiunti quelli legati alle prestazioni sanitarie pubbliche, i servizi erogati dai centri antiviolenza, gli interventi di polizia e del sistema giudiziario, nonché i costi sociali indiretti se sono stati coinvolti i figli;

    le donne italiane, purtroppo, denunciano più spesso la violenza se sono vittime di uno straniero e per il tentato stupro il numero di denunce arriva ad essere 10 volte maggiore;

    una indagine dell'Istat condotta nel 2016 stima che siano state 1 milione e 403 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa, hanno subito molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro e che solo una donna su cinque ha raccontato la propria esperienza e quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell'ordine;

    da quando nel 2009 è entrata in vigore la legge che definisce il reato, le condanne per stalking sono in aumento e i reati più frequentemente associati allo stalking sono la violenza privata, le lesioni personali e le ingiurie;

    l'Italia si colloca fra le posizioni più elevate della classifica dei Paesi dove si perpetua il reato di violenza domestica e domestica di genere anche se i dati raccolti a livello ufficiale costituiscono una parte molto ristretta rispetto al dilagare del fenomeno;

    a tale proposito va citata la risoluzione del Parlamento europeo sull'eliminazione della violenza contro le donne del 26 novembre 2009;

    da una rilevazione condotta dal dipartimento delle pari opportunità sul numero di emergenza 1522 risulta che nell'ultimo trimestre siano giunte 222 richieste di aiuto per stalking, 1154 richieste di aiuto da vittime di violenza e che 356 persone hanno segnalato un caso di violenza; tutte richieste esplicite di aiuto che le donne o le persone a loro vicine rivolgono al servizio, in assenza di strumenti alternativi efficaci per rispondere ad un bisogno immediato. La fascia di età più vulnerabile è compresa fra i 35 e i 54 anni;

    la Convenzione del Consiglio d'Europa del 7 aprile 2011 sulla prevenzione e sulla lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, più conosciuta come la Convenzione di Istanbul, evidenzia la relazione fra la violenza e l'assenza di parità di genere; amplia la portata del termine violenza includendo anche quella economica, psicologica e domestica; rileva la necessità di politiche che favoriscano l'effettiva parità fra i sessi e di quelle necessarie ad assicurarne la prevenzione;

    la ratifica ed esecuzione della Convenzione sopra citata è avvenuta con legge n. 77 il 27 giugno 2013; mentre il 15 ottobre dello stesso anno il Parlamento ha approvato la legge n. 119 recante misure urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere; nel 2015, invece, è stato adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere,

impegna il Governo:

1) a prevedere campagne di informazione capaci di incoraggiare le donne a denunciare le violenze di cui sono vittime e a richiedere l'assistenza, psicologica, pratica ed economica necessaria all'abbandono dell'ambiente violento;

2) a sostenere il sistema di istruzione affinché promuova fin dall'infanzia forme di comunicazione verbali, figurative e scritte, rispettose della parità di genere anche grazie a corsi di formazione del personale docente per assicurare una educazione che superi vecchi stereotipi, le disuguaglianze e le discriminazioni di genere;

3) a individuare forme efficaci di rilevazione del fenomeno e di condivisione dei dati fra istituzioni pubbliche e forze dell'ordine al fine di comprenderne la reale portata e prevedere misure di contrasto efficaci;

4) a valutare di assumere iniziative per l'inasprimento delle pene per i reati di violenza contro le donne affinché i violenti siano scoraggiati dal riprovarci, visto che per una somma di benefici spesso tornano liberi dopo pochissimo tempo;

5) a valutare la possibilità di recuperare risorse economiche sufficienti al fine di rendere possibile l'uso del braccialetto elettronico per accompagnare i provvedimenti di ammonimento per lesioni e garantire la tutela delle persone offese;

6) a valutare l'adozione di iniziative per l'istituzione di un fondo per le vittime di violenza e per i loro familiari affinché possano avere risorse sufficienti per ricominciare una vita dignitosa, anche in considerazione del fatto che spesso sono costretti a lunghe cure, anche psicologiche, o versano in situazione di invalidità permanente e, per questo sono obbligati a interrompere il lavoro;

7) ad assumere iniziative per prevedere, in presenza di violenze familiari note e reiterate ai danni delle donne, nei casi di separazione, che i maltrattamenti divengano causa di esclusione dell'affido condiviso.
(1-01735) «Vezzali, Francesco Saverio Romano, Abrignani, Auci, Borghese, D'Alessandro, D'Agostino, Faenzi, Galati, Marcolin, Merlo, Parisi, Rabino, Sottanelli, Zanetti».


   La Camera,

   premesso che:

    le violenze fisiche, sessuali e psicologiche contro le donne rappresentano un abuso contro i diritti umani;

    l'Agenzia dei diritti fondamentali dell'Unione europea (FRA) ha presentato a Bruxelles il nuovo rapporto sulla violenza contro le donne. Dall'analisi emerge che una donna su tre (il 33 per cento) ha subito violenza fisica e/o violenza sessuale dai 15 anni in su. La percentuale sale al 43 per cento nei casi di violenza psicologica;

    è sconcertante rilevare quanto siano ancora troppo poche le donne che, a seguito di un episodio di violenza, denunciano gli abusi alle autorità competenti. Dal rapporto emerge che solo il 14 per cento ha denunciato alla polizia l'episodio di violenza più grave subito dal partner, percentuale che scende al 13 per cento per i casi in cui l'aggressore non era il partner;

    in Italia, secondo un recente studio dell'Istat sono oltre cento le donne che ogni anno, vengono uccise da uomini. Nel 2016 sono state 120 le vittime di femminicidio e nel 2017 la media è di una vittima ogni tre giorni. Negli ultimi dieci anni le donne uccise sono state circa 1.740, di cui 1.251 (il 71,9 per cento) in famiglia. Inoltre, è stato rilevato che: 3 milioni e 466 mila sono le donne che nell'arco della propria vita hanno subito stalking, ovvero atti persecutori da parte di qualcuno. Di queste: 2 milioni e 151 mila sono le vittime di comportamenti persecutori dell'ex partner. Il dato preoccupante è che il 78 per cento delle donne che ha subito stalking non si è rivolta ad alcuna istituzione e non ha cercato aiuto;

    da uno studio dell'Istat pubblicato nel giugno del 2015, emerge che: sono circa 6 milioni 788 mila donne hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Il 20,2 per cento ha subito violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento forme più gravi di violenza sessuale come stupri e tentati stupri. Sono 652 mila le donne che hanno subito stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri;

    dai dati forniti dalla polizia la durezza delle violenze è sempre più grave: aumentano quelle che hanno subito ferite (dal 26,3 per cento al 40,2 da partner) e il numero di donne che hanno temuto per la propria vita (dal 18,8 per cento del 2006 al 34,5 per cento del 2014);

    il 19 giugno 2013 il Parlamento italiano ha approvato, in via definitiva, la legge per la ratifica e l'esecuzione della convenzione del Consiglio d'Europa, nota come Convenzione di Istanbul, contro la violenza sulle donne e la violenza domestica;

    la convenzione di Istanbul pone l'accento su un tema importante, quello della «vittimizzazione secondaria», ovvero la colpevolizzazione della vittima, che consiste nel ritenere chi ha subito una violenza o altre sventure parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto, inducendo la stessa ad auto-colpevolizzarsi. Un atteggiamento di «colpevolizzazione» è anche connesso con l'ipotesi che si deve conoscere e accettare una supposta «natura intrinseca»;

    dalle indagini all'eventuale dibattimento si richiedono tempi che spesso non sono assolutamente conciliabili con le esigenze di urgenza legate ad una situazione di violenza. La fase istruttoria dura solitamente due anni e altrettanti ce ne vogliono per avere la sentenza di primo grado. Se si continua in secondo e terzo grado possono essere necessari anche sino a 10 anni e solo a conclusione di tutto l’iter processuale, l'eventuale sentenza di condanna diventa definitiva e può essere eseguita;

    sono numerosi gli esempi di casi prescritti come purtroppo accaduto a Torino in un odioso caso di violenza su una bambina di sette anni, procedimento non concluso e prescritto dopo venti anni (già ricordato nella interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3/02837 del 1° marzo 2017);

    l'obbligo del braccialetto elettronico per i responsabili di violenze note, già segnalate e denunciate e che abbiano conseguentemente ricevuto un provvedimento di ammonimento, sarebbe un ottimo strumento per tenere sotto controllo chi è indagato o accusato di molestie sulle donne. L'utilizzo di questo dispositivo permetterebbe la costante localizzazione da parte delle forze dell'ordine dei «persecutori»;

    la mancata denuncia del proprio «persecutore» da parte delle donne vittime di violenza di genere è da attribuire anche al fatto di essere spesso la parte economicamente debole;

    in Italia si registra un alto tasso di disoccupazione femminile: secondo un recente studio dell'Istat il tasso di occupazione delle donne (15-64 anni) a giugno 2017 ha raggiunto il 48,8 per cento, dato tra i più bassi in Europa (fonte Eurostat);

    le vittime di violenza di genere hanno il diritto di avere giustizia e poter vivere una vita per quanto sia possibile normale, senza il timore di ritorsioni da parte da parte dei loro aggressori violenti;

    l'ultimo piano straordinario nazionale contro la violenza sessuale e di genere è stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 con durata biennale. Attualmente, si è a conoscenza solo di una bozza delle linee strategiche del prossimo piano,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative normative per abbreviare la durata dei processi in materia, al fine di arrivare ad una sentenza che venga emessa prima dei tempi previsti per la prescrizione;

2) ad assumere iniziative per consentire e favorire l'utilizzo della videoregistrazione come testimonianza delle vittime in sede di incidente probatorio, per evitare alle donne una ulteriore violenza psicologica causata da testimonianze reiterate durante il percorso giudiziario;

3) ad assumere iniziative per destinare fondi per la formazione specialistica del personale dell'amministrazione della giustizia, dei Corpi di sicurezza statali, del pronto soccorso e del personale sanitario, per affrontare in modo professionale la tutela delle vittime e il contrasto alla violenza di genere;

4) a sostenere una maggiore diffusione del manuale comunitario delle buone pratiche per combattere la violenza contro le donne;

5) a promuovere campagne istituzionali di educazione, sensibilizzazione e informazione sul tema della violenza di genere;

6) a monitorare l'applicazione delle disposizioni vigenti in materia di braccialetto elettronico;

7) a istituire un fondo speciale per il microcredito a favore di start up costituite da vittime di violenza;

8) a rendere noti i risultati del piano d'azione 2015-2017, nonché i contenuti e le tempistiche del nuovo piano nazionale contro la violenza sessuale e di genere.
(1-01736) «Galgano, Oliaro, Mucci, Bueno, Monchiero, Mazziotti Di Celso, Menorello, Molea, Quintarelli, Bombassei, Catalano, Vaccaro, Menorello».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,

   premesso che:

    la legge 11 marzo 2014, n. 23, all'articolo 15, ha delegato il Governo ad introdurre, in considerazione delle politiche e delle misure adottate dall'Unione europea per lo sviluppo sostenibile e per la green economy, nuove forme di fiscalità nel rispetto del principio della neutralità fiscale, finalizzate a orientare il mercato verso modi di consumo e produzione sostenibili, anche in funzione del contenuto di carbonio e delle emissioni di ossido di azoto e di zolfo, prevedendo che il maggior gettito fosse destinato prioritariamente alla riduzione della tassazione sui redditi e al finanziamento di modelli di produzione e consumo sostenibili;

   fin dalla comunicazione della Commissione europea del 26 settembre 1997, è stata introdotta la possibile applicazione delle imposte ambientali a livello comunitario;

   la direttiva 2003/96/CE di cui alla comunicazione COM (2011) 169 della Commissione, ammette esenzioni e riduzioni fiscali in particolare per ragioni di politica ambientale e sanitaria;

   la risoluzione del Parlamento europeo del 4 ottobre 2017 sulla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenutasi nel 2017 a Bonn (Germania) ricorda che, se si vuole conseguire l'obiettivo della temperatura media mondiale, è necessaria una rapida decarbonizzazione e il picco delle emissioni di gas a effetto serra nel mondo deve essere raggiunto il prima possibile; la risoluzione rammenta che le emissioni globali dovrebbero essere gradualmente eliminate entro il 2050 o subito dopo, per mantenere il pianeta su una traiettoria delle emissioni efficiente in termini di costi che sia compatibile con gli obiettivi relativi alla temperatura fissati dall'accordo di Parigi;

   sono diversi gli interventi a livello internazionale che hanno l'intento di gestire le emissioni al fine di tutelare l'ambiente e il benessere delle persone, ai quali il Parlamento europeo fa riferimento, tra cui: la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) e il relativo protocollo di Kyoto, l'accordo di Parigi e la COP 21, la COP 8 di Doha (Qatar) del 2012, la risoluzione del 6 ottobre 2016 sull'attuazione dell'accordo di Parigi e la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Marrakech (Marocco) del 2016 (COP 22), la dichiarazione adottata dai capi di Stato e di Governo in occasione del vertice del G7, tenutosi al castello di Elmau (Germania) il 7 e l'8 giugno 2015, il comunicato emesso dai leader del G7 nel 2017 e, in particolare, il comunicato di Bologna dei Ministri dell'ambiente del G7, nonché l'enciclica di Papa Francesco Laudato Si’;

   il veloce consumo delle risorse naturali che, negli anni successivi al 2000, ha visto una costante accelerazione delle produzioni, 4 impone un approccio circolare all'economia anche al fine di razionalizzare le risorse per la tutela dell'ambiente e delle società future;

   è innegabile che in Italia la quota di utilizzo di fonti energetiche fossili sia ancora troppo elevata nonostante gli enormi passi in avanti fatti attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili;

   i rischi ambientali ed i cambiamenti climatici sono sempre più importanti ed incidono direttamente anche sull'economia reale e finanziaria che tiene sempre più in considerazione il fattore di rischio maggiore delle realtà ambientalmente insostenibili che subiscono una svalutazione della propria attività;

   il meccanismo di mercato europeo attraverso l’Emission Trading Scheme (ETS) per il contenimento delle emissioni di CO2, non ha dato i risultati sperati e si necessita di ulteriori strumenti che incentivino l'abbattimento delle emissioni;

   in uno studio recente di Nomisma Energia si evidenzia come in Europa, a fronte di un contributo alla riduzione delle emissioni di circa 70 milioni di tonnellate l'anno dovuto alle fonti rinnovabili, a causa del bassissimo prezzo delle quote di emissione, la crescita delle rinnovabili è avvenuta soprattutto a discapito delle centrali a ciclo combinato a gas, piuttosto che di quelle a carbone o a lignite (assai più inquinanti ma molto meno costosi), facendo registrare anche l'aumento delle emissioni di altre sostanze inquinanti, quali polveri, ossidi di zolfo e di azoto;

   il sistema fiscale italiano non risulta ancora adeguato alle esigenze sopra esposte, anche a causa della mancanza dei decreti attuativi di cui all'articolo 15 della legge 11 marzo 2014, n. 23;

   si necessita pertanto di una riforma fiscale che, superando eventualmente l'attuale sistema di accise, introduca una nuova imposta sulle emissioni;

   è altresì vero che diversi studi indicano che la più grande forza del cambiamento sono le scelte di acquisto dei cittadini che vanno informati e sensibilizzati sulla necessità di una differenziazione delle imposte e quindi di prezzo tra prodotti sostenibili e non;

   le politiche fiscali sono strumenti idonei a modificare e correggere consumi e investimenti verso prodotti e settori a minor impatto ambientale e socialmente più sostenibili, anche attraverso imposte sul consumo che stimolino le aziende esterne all'Europa a diminuire le emissioni e consentano una perequazione dei costi ambientali e energetici europei con quelli di altri Paesi;

   è necessaria una conversione verso le fonti rinnovabili e la dematerializzazione dei processi, l'introduzione di indicatori che raffrontino la crescita con la sostenibilità anche attraverso proiezioni sugli effetti che le decisioni di policy del Governo hanno sulle emissioni di CO2;

   Il Piano d'azione nazionale ed appositi decreti emanati dal Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare, individuano un set di criteri ambientali «minimi» (CAM) per gli acquisti in diverse «categorie merceologiche»;

   diversi metodi di calcolo come il Life Cycle Assessment (LCA) danno la possibilità di valutare il ciclo di vita di prodotti o servizi;

   i CAM e il LCA possono essere strumenti utili per essere utilizzati come indicatori per la tassazione differenziata ambientale;

   una nuova imposta ambientale dovrebbe incidere sui consumi ed essere modulata in base a opportuni indicatori ambientali. Ad indicatori migliorativi dovrebbe essere associata una tassazione complessiva inferiore; viceversa, ad indicatori peggiorativi una tassazione superiore. Con questo meccanismo, le imprese sono incentivate a produrre e importare prodotti a minor impatto ambientale, rendendo competitivi e appetibili quei beni che rispettano i requisiti minimi di sostenibilità;

   è inoltre auspicabile una revisione della normativa vigente, orientata alla realizzazione di un progressivo passaggio dall'attuale sistema impositivo basato sulla tassazione del reddito d'impresa e da lavoro, verso un modello basato sul prelievo sui consumi, così come raccomandato dall'Unione europea;

   in Italia sono attualmente censiti 57 siti di interesse nazionale (SIN) inquinati e non sempre, nonostante il principio europeo: «chi inquina paga», vengono reperiti i fondi necessari per la bonifica dell'ambiente;

   l'articolo 14 della direttiva 2004/35/CE – garanzia finanziaria –, prevede il ricorso all'assicurabilità del rischio ambientale e, conseguentemente, il ristoro del danno ambientale; questo consentirebbe la bonifica e il ripristino dei siti inquinati da parte di chi ha prodotto l'inquinamento attraverso l'intervento di un terzo garante,

impegna il Governo:

  ad assumere iniziative per introdurre un'imposta ambientale per le emissioni (Iape) – sulla base delle emissioni climalteranti a prescindere dal luogo di fabbricazione ed applicata sui consumi, in armonia con quanto già previsto e stipulato a livello europeo, che dia anche la possibilità di incentivare le attività con minor impatto ambientale, oltre a disincentivare le attività con impatto ambientale elevato;

  ad assumere iniziative per ridurre, in misura corrispondente, la tassazione sui redditi d'impresa, mantenendo una sostanziale neutralità fiscale e invarianza di gettito;

  a promuovere, in sede nazionale ed europea, l'adozione di un sistema di certificazione dei prodotti e dei servizi finalizzato alla creazione di indici standard di valutazione dell'impronta ecologica, basato sull'analisi del ciclo di vita, che tenga conto dei fattori maggiormente impattanti sull'ambiente e sulla salute dell'uomo, oltre alle emissioni climalteranti, anche al fine del calcolo dell'imposta ambientale per le emissioni (Iape);

  ad assumere iniziative per prevedere l'assicurabilità del rischio ambientale per tutte le attività produttive potenzialmente inquinanti, non solamente quelle a rischio d'incidente rilevante, incluso il trasporto di merci pericolose;

   a revisionare le imposte e le agevolazioni fiscali con finalità ambientale, assumendo iniziative per procedere all'eliminazione di quelle risultate inefficaci per la tutela ambientale.
(7-01374) «Alberti, Pesco, Villarosa».


   La X Commissione,

   premesso che:

    l'obsolescenza programmata è la pratica industriale in forza della quale un prodotto tecnologico di qualsiasi natura è deliberatamente progettato dal produttore in modo da poter durare solo per un determinato periodo, al fine di imporne la sostituzione con un nuovo prodotto, più efficiente e funzionale, la cui carica innovativa viene pianificata in precedenza;

    si tratta, in sostanza, ad avviso dei firmatari del presente atto, di un fenomeno che in numerosi casi ha comportato e può continuare a comportare un vero e proprio danno economico nei confronti del cittadino;

    questa pratica è una delle colonne portanti del sistema economico fondato sul consumo continuo. Recenti studi, infatti, confermano come l'obsolescenza programmata non sia solo una sensazione, ma un fatto che comporta evidenti problemi a livello commerciale, nonché un enorme danno economico a carico dei cittadini e dell'intera collettività;

    le risorse necessarie per sostenere i costi legati all'obsolescenza programmata, stimati in parecchi miliardi di euro nell'arco di un anno, potrebbero essere reinvestiti nelle attività legate alla riparazione e al reimpiego dei beni, programmando e incentivando, ad esempio, l'apertura di nuove attività dedicate alla manutenzione e al ripristino;

    una strada che, quindi, la politica dovrebbe perseguire è proprio quella dell'apertura e del sostegno di scuole tecniche rivolte alla formazione di nuovi artigiani dediti alle riparazioni;

    queste figure potrebbero diventare una nuova classe di professionisti che potrebbe sostituire i pochissimi artigiani ancora operanti in tale attività nel nostro Paese e, con adeguata, formazione, esercitare il compito di riparare i prodotti che verranno conservati;

    volendo inquadrare il fenomeno dell'obsolescenza programmata sotto il profilo storico e normativo, anche facendo riferimento alle esperienze già maturate al livello europeo, si può ricordare che il 23 dicembre 1924 fu stipulato a Ginevra l'accordo Phoebus, il primo cartello mondiale avente come scopo il controllo della produzione e della vendita delle lampadine a incandescenza;

    tale accordo, che coinvolgeva le più importanti case produttrici di lampadine ad incandescenza, prevedeva, tra l'altro, di ridurre la vita delle lampadine dalle oltre 2.500 ore (garantite prima dell'accordo) a sole 1.000 ore;

    i progettisti, quindi, dovettero mettersi al lavoro per ideare lampadine meno efficienti e meno durature. Phoebus, di fatto, è stato dunque l'atto di nascita dell'obsolescenza deliberatamente programmata per gli oggetti d'uso comune. Nel 1933, nel pieno della crisi economica mondiale, l'immobiliarista americano Bernard London, nel suo primo capitolo del libro The New Prosperity, dal titolo «Ending the depression through planned obsolescence» arrivò a teorizzare l'obsolescenza obbligatoria per ogni bene di consumo. Per uscire dalla recessione e per rilanciare una nuova prosperità, London riteneva fondamentale imporre una domanda continua, volta ad alimentare la produzione e il profitto delle imprese;

    esistono, poi, alcune direttive europee che dovrebbero essere comunque prese in considerazione per valutare il fenomeno dell'obsolescenza programmata nella prospettiva di un intervento legislativo;

   si tratta, in particolare: della direttiva 2006/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 settembre 2006, relativa alla smaltimento di pile e accumulatori, con la quale si stabiliscono le regole per l'immissione sul mercato, la raccolta, il trattamento, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti; della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti, con la quale si stabiliscono misure volte a proteggere l'ambiente e la salute umana prevenendo o riducendo gli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, e per una riduzione globale dell'uso delle risorse e migliorandone l'efficienza di utilizzo; della direttiva 2009/125/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009, che stabilisce un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all'energia; e infine, della direttiva 2012/19/EU del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 luglio 2012, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE);

    si segnala, infine, la citazione sull'obsolescenza contenuta nel Libro verde della Commissione europea «Una strategia europea per i rifiuti di plastica nell'ambiente», ove si legge: «Al fine di garantire una produzione e un consumo sostenibili dei prodotti di plastica e di evitare la dispersione di risorse naturali non rinnovabili, i prodotti di plastica dovrebbero essere progettati in maniera da garantire la massima durabilità. Diversi motivi ostacolano il raggiungimento di questo obiettivo, ad esempio l'obsolescenza pianificata o tecnica oppure una progettazione che rende antieconomica o addirittura impossibile la riparazione di prodotti di plastica». E ancora: «L'obsolescenza pianificata è una strategia commerciale in cui l'obsolescenza (il processo che rende il prodotto obsoleto, ossia non più di moda o non più utilizzabile) di un prodotto è pianificata e prevista fin dal suo concepimento»,

impegna il Governo:

   a valutare l'adozione di ogni iniziativa, anche normativa, affinché:

    a) il produttore di un bene di consumo assicuri la disponibilità delle parti di ricambio per tutto il tempo in cui il bene è immesso in circolazione nel mercato, nonché per i cinque anni successivi, garantendo che il costo della parte di ricambio sia sempre e comunque proporzionato al prezzo di vendita del bene;

    b) nel caso in cui, per motivi tecnici o di sicurezza, sia oggettivamente impossibile per il consumatore accedere alle parti componenti, elementi o pezzi del bene di consumo o sostituirle, a far sì che il produttore fornisca chiara indicazione nell'etichetta del prodotto e il venditore sia tenuto a informarne il consumatore prima dell'acquisto;

   a valutare l'opportunità di avviare verifiche sul funzionamento e sulla durata media dei beni di consumo nonché ad assumere iniziative per determinare, per categorie di beni di consumo, la misura percentuale massima di accettabilità dei guasti che possono occorrere nel periodo della loro durata media secondo il normale utilizzo.
(7-01372) «Ricciatti, Ferrara, Simoni, Giorgio Piccolo, Zappulla, Scotto, Zoggia, Nicchi, Murer, Duranti, Piras, Quaranta, Sannicandro, Rostan, Fossati, Roberta Agostini, Albini, Bossa».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    la legge 11 dicembre 2016, n. 232, ed in particolare l'articolo 1, comma 368, che ha apportato modifiche all'articolo 4, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, ha previsto che l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, vigenti alla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, è prorogata fino al 31 dicembre 2017;

    l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, secondo cui l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, approvate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, è prorogata al 31 dicembre 2017, ferma restando la vigenza delle stesse fino alla completa assunzione dei vincitori e, per gli idonei, l'eventuale termine di maggior durata della graduatoria ai sensi dell'articolo 35, comma 5-ter del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;

    si tratta delle graduatorie dei concorsi pubblici con migliaia di candidati non risultati vincitori ma entrati nelle graduatorie e che aspettano una chiamata da anni; con i provvedimenti normativi suddetti dunque ne è stata prorogata l'efficacia fino al 31 dicembre 2017;

    sono tantissimi gli idonei e gli idonei dirigenti di un concorso pubblico che attendono da tempo di essere assunti, tant'è che nel corso del tempo si è creata una nuova categoria di «disoccupati»: i cosiddetti idonei di concorsi pubblici non assunti, vale a dire giovani che, pur avendo sostenuto una prova concorsuale ed essendo stati ritenuti «idonei», si trovano oggi a non poter accedere al posto per il quale hanno studiato e sostenuto sacrifici anche economici;

    la situazione è stata resa difficile dall'applicazione del blocco del turn over nella pubblica amministrazione, protrattasi per diversi anni;

    si tratterebbe complessivamente di oltre 84.080 persone che, con la scadenza del termine del 31 dicembre 2017 di efficacia delle graduatorie, potrebbero vedersi vanificata la possibilità di essere assunti nella pubblica amministrazione;

   ciò ha indotto il Governo ad intervenire con il decreto-legge n. 101 del 2013 (articolo 4, comma 3) prevedendo che «Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, è subordinata alla verifica: a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate; b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti ed approvate a partire dal 1° gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza»;

    asse portante della nuova disciplina è dunque il collegamento tra l'obbligo di esaurire le graduatorie vigenti e l'autorizzazione a bandire nuovi concorsi;

    il decreto-legge n. 101 del 2013 precostituisce, così, in caso di decisione di coprire i posti vacanti, un diritto all'assunzione per i vincitori, esteso anche agli idonei collocati nelle graduatorie dell'amministrazione vigenti ed approvate dal 1° gennaio 2007;

    la ratio del provvedimento è chiara: l'utilizzo delle graduatorie vigenti, in un'epoca in cui le risorse pubbliche risultano complessivamente ridotte, risponde ad esigenze sociali e di equità ed esonera l'amministrazione dalle spese, dai costi e dai tempi di attesa connessi ad un nuovo concorso (e quindi attuando il principio costituzionale di buon andamento);

    basti pensare che recentemente al concorso per 800 posti da cancelliere bandito dal Ministero della giustizia e per 30 vice-assistenti della Banca d'Italia si sono presentati rispettivamente 308.468 persone e 81.715 concorrenti;

    fermo il fondamentale principio costituzionale secondo cui «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso», accade che i concorsi spesso durano anni e finiscono sotto la lente del Tar e si è calcolato che la spesa sopportata dal nostro Paese per il 2014 per il loro espletamento abbia superato il miliardo e 400 milioni di euro;

    dunque, è accaduto che per l'effetto – da una parte – delle limitazioni del turn over nella pubblica amministrazione (legge n. 208 del 2015) e, dall'altra, dei ricollocamenti a favore del personale degli enti di area vasta in ragione del riordino delle funzioni ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56, che hanno impedito agli enti di stipulare nuovi contratti, l'applicazione del decreto-legge n. 101 del 2013 sullo scorrimento delle graduatorie ha avuto un effetto più contenuto con il risultato paradossale che la posizione di molti idonei è rimasta «congelata» in attesa della cessazione delle predette esigenze;

    con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 aprile 2017 pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 124 del 30 maggio 2017, è stata autorizzata l'assunzione di unità di personale, ai sensi dell'articolo 3, comma 102, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché ai sensi dell'articolo 3, commi 1 e 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, in favore di varie amministrazioni;

    inoltre, il decreto-legge n. 50 del 24 aprile 2017, convertito dalla legge n. 96 del 2017 (cosiddetta Manovrina) all'articolo 22, commi 1, 1-bis e 2, ha previsto l'ampliamento delle capacità assunzionali a tempo indeterminato per le regioni e i comuni seppur a determinate condizioni;

    appare pertanto opportuno un intervento affinché venga concesso un congruo lasso di tempo alle pubbliche amministrazioni al fine di garantire una proroga dell'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per le assunzioni tramite il meccanismo dello «scorrimento» e così «recuperare» il lasso di tempo perso per effetto dei provvedimenti di limitazioni del turn over e dei ricollocamenti del personale delle province che hanno impedito agli enti di stipulare nuovi contratti;

    il Governo Gentiloni ha meritevolmente proceduto, con diversi decreti nel corso del 2017, ad autorizzare numerose assunzioni, attese da tempo, da parte delle amministrazioni centrali,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa utile – anche di tipo normativo – finalizzata ad una proroga dell'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici agli effetti di quanto previsto dal decreto-legge 31 agosto 2013 n. 101, convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» in tema di scorrimento delle graduatorie;

   ad adottare tutte le misure necessarie – anche di tipo normativo – per incentivare, favorire e rafforzare tra le amministrazioni gli accordi per l'assunzione di figure per profili analoghi o equivalenti ai sensi dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e dell'articolo 4, comma 3-ter, del decreto n. 101 del 2013;

   a realizzare un monitoraggio al fine di verificare lo stato di attuazione del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito dalla legge n. 125 del 2013 e in particolare circa il numero dei vincitori e degli idonei collocati nelle graduatorie vigenti immessi in servizio per effetto delle disposizioni del medesimo decreto-legge n. 101 del 2013 in tema di scorrimento delle graduatorie.
(7-01371) «Damiano, D'Alia, Gnecchi, Gribaudo, Miccoli, Paris».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    le riforme pensionistiche che si sono succedute a partire dagli anni ’90 del secolo scorso hanno prodotto una riduzione della spesa pensionistica che consente di affermare che essa non desta preoccupazione per il bilancio dello Stato:

     1) da un lato, secondo la Ragioneria generale dello Stato, gli interventi approvati a partire dal 2004 hanno prodotto una riduzione cumulata dell'impatto della spesa pensionistica sul prodotto interno lordo pari a circa 60 per cento di prodotto interno lordo al 2050 (vedasi il rapporto n. 15 sulle tendenze di medio e lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario, aggiornato al 2014). Se si considera la sola «riforma Fornero», essa ha generato una riduzione della spesa rispetto al prodotto interno lordo che si protrae per circa 30 anni. Oggi la spesa pensionistica impatta sul prodotto interno lordo per circa il 16 per cento e, secondo le previsioni, andrà scendendo fino al 14,6 per cento intorno al 2060;

     2) dall'altro, la sostenibilità finanziaria della spesa pensionistica è stata messa in sicurezza da almeno 15 anni, essendo essa in attivo se si sottrae la parte destinata a fini assistenziali (che è a carico dello Stato, ma figura nel bilancio dell'Inps) e non previdenziali e la quota relativa alle tasse (IRE) che ritornano o rimangono nelle casse dello Stato. Con tali sottrazioni il saldo contabile per il 2013 è stato positivo di circa 1,3 punti percentuali sul prodotto interno lordo (circa 21 miliardi di euro), ma negli anni precedenti ha anche superato il 2 per cento;

    il risultato raggiunto dalle riforme previdenziali non è positivo, tuttavia, dal momento che tutte esse hanno inciso sul sistema di calcolo della pensione e sull'innalzamento dell'età pensionabile. Con la conseguenza che l'effetto immediato di risparmio prodotto dall'innalzamento dell'età pensionabile, è in contrasto con gli effetti negativi che esse hanno avuto sul prodotto interno lordo, ad esempio per la sua incidenza sulla produttività e sull'innovazione, che sono anche legate all'età anagrafica;

    tuttavia, le riforme pensionistiche che si sono succedute, in particolare l'ultima, hanno sempre avuto l'obiettivo di sottrarre risorse al sistema previdenziale per sostenere il bilancio dello Stato, all'interno di una visione economica, politica e sociale, secondo cui la riduzione della media degli importi delle pensioni e l'innalzamento dell'età pensionistica favorirebbe la crescita del prodotto interno lordo e aumenterebbe l'equità a vantaggio delle giovani generazioni. Attualmente il rapporto tra pensione media e salario medio è pari al 45 per cento ma è previsto che scenda a circa il 33 per cento nel 2036;

    l'esperienza di questi ultimi 25 anni (ovvero dall'inizio delle riforme degli anni novanta) dimostra che tale impostazione è sbagliata, perché la situazione della crescita non è migliorata, né quella delle giovani generazioni. La conclusione dovrebbe essere che la scelta di continuare a far ricadere sulla popolazione anziana il peso dell'invecchiamento demografico, anziché sull'intera popolazione, è ideologica e fondamentalmente sbagliata dal punto di vista etico, del patto tra generazioni e della credibilità del sistema nel tempo;

    sarebbe dunque necessario abolire in toto la «controriforma Fornero», ma nell'immediato occorre risolvere un suo aspetto importante, ossia l'adeguamento automatico dell'età pensionabile all'incremento delle aspettative di vita;

    infatti, il decreto-legge n. 78 del 2010, prevede, all'articolo 12, comma 12-bis, che tale adeguamento debba avvenire a cadenza triennale con decreto direttoriale del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanarsi almeno dodici mesi prima della data di decorrenza di ogni aggiornamento, cioè nel caso di specie entro il 31 dicembre 2017. La mancata emanazione del predetto decreto direttoriale, peraltro, comporta responsabilità erariale;

    en passant, appare assai bizzarro al firmatario del presente atto che la responsabilità di tale decreto non sia politica e dunque non faccia capo al Ministro stesso;

    è iniziata, già rilevata dall'Istat, una brusca inversione di tendenza della prospettiva di sopravvivenza della popolazione italiana. Ciò è drammatico non solo in sé, ma anche in quanto è il risultato della riduzione delle prestazioni del servizio sanitario nazionale e dell'assistenza agli anziani, come ipotizzato da numerosi ricercatori ed esperti socio-economici;

    è da rilevare che una riduzione della prospettiva di vita di una popolazione è un evento doloroso che storicamente ricorre in coincidenza di guerre o crisi sociali, politiche ed economiche di proporzioni e durata gigantesca. Un esempio per tutti, in tempi recenti: il crollo di quasi venti anni della prospettiva di vita della popolazione russa maschile nel periodo compreso, all'incirca tra il 1980 e il 2000 – in seguito parzialmente recuperato – conseguente ai processi di disfacimento dell'Urss;

    la cosa più paradossale è che, pur di fronte a questa drammatica ed avvilente riduzione della prospettiva di vita della popolazione, prosegue l'aumento dell'età pensionabile;

    la previsione (articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, articolo 12, comma 12-ter) che «lo stesso aggiornamento non viene effettuato nel caso di diminuzione della predetta speranza di vita» non è – ad avviso del presente atto di indirizzo una bizzarria. Si può facilmente intuire che i legislatori – su impulso della Bce e dei creditori europei – sin da allora preconizzassero che la curva di incremento della prospettiva di vita della popolazione italiana avrebbe subito un'inversione negli anni successivi;

    la questione più grave dell'aumento dell'età pensionabile – oltre al fatto di togliere il diritto al meritato riposo alle persone anziane, sottraendo anche alle famiglie il loro aiuto, ad esempio, nella cura dei nipoti – è il rischio catastrofico di essere espulsi dal lavoro ancor prima del raggiungimento dell'età della pensione. Molti posti di lavoro, infatti, oggi sono in bilico e le aziende fanno e faranno di tutto per liberarsi proprio dei lavoratori anziani, in quanto meno in salute e meno forti fisicamente, con maggiore probabilità di essere tecnicamente obsolescenti e in genere meglio pagati;

    tutto ciò penalizza, inoltre, le nuove generazioni nella ricerca di un'occupazione come dimostrano i dati dell'Istat in materia;

    in materia di età pensionabile si è di gran lunga superata la media europea e quella di tutti i Paesi dell'Ocse. L'Italia, infatti, ha l'età di accesso alla pensione più alta d'Europa: 66 anni e 7 mesi per gli uomini e per le donne del settore pubblico e privato;

    mediamente nei Paesi dell'Unione europea gli uomini vanno in pensione a 64 anni e 4 mesi, le donne a 63 anni e 4 mesi: gli italiani e le italiane vanno, dunque, in pensione 2 anni dopo rispetto agli altri cittadini europei. Questo divario è destinato a crescere se non si blocca il meccanismo di adeguamento automatico dei requisiti anagrafici per l'accesso alla pensione alle aspettative di vita. Infatti, in Germania, l'età pensionabile è fissata a 67 anni, ma «solo» nel 2029; nel Regno Unito, l'età richiesta per accedere alla pensione è pari a 65 anni, per uomini e donne, a decorrere dal 2018, mentre in Austria, gli uomini vanno in quiescenza a 65 anni e le donne ancora a 60 anni, con un aumento progressivo per parificarne l'età pensionabile entro il periodo 2024-2033. Nella stessa Grecia, dove il requisito anagrafico richiesto è pari a 67 anni, tale requisito è suscettibile di numerose deroghe attualmente in vigore che possono abbattere l'età di accesso alla pensione fino a 55 anni per gli uomini e 50 anni per le donne;

    l'età più bassa è richiesta in Svezia dove dai 61 anni il lavoratore può decidere di accedere alla pensione;

    anche se si paragona il requisito anagrafico del nostro Paese con la media dei Paesi non europei, si evince come in Italia siano richiesti circa 3 anni in più di anzianità per gli uomini e 4 per le donne per accedere alla pensione;

    i dati dell'Istat sulla speranza di vita mostrano che negli ultimi dieci anni l'incremento risulta minore nelle donne (1,06 contro 1,92 negli uomini per gli anni 2007-2016) e decisamente disomogeneo tra le diverse aree del Paese (come ad esempio emerge da rapporto ISTAT Le dimensioni della salute in Italia, pubblicato nel 2015), creando ulteriori sperequazioni di genere e territoriali nel diritto ad accedere alla pensione, per non parlare della diversa gravosità delle varie professioni di cui questa regola non tiene minimamente conto, mentre sarebbe opportuno reintrodurre il principio della flessibilità di accesso alla pensione di vecchiaia come era previsto dalla «riforma Dini»;

    sospendere il procedimento di cui al comma 12-ter dell'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, fino al 31 dicembre del 2022, avrebbe un costo di 2,4 miliardi di euro annui, a cui si potrebbe provvedere, ad esempio, mediante la soppressione dell'articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601 del 1973 (comma 4), il quale prevede l'esenzione dall'Irpef di vari fattispecie, ed in particolare, l'esenzione dall'imposta sul reddito delle persone fisiche per «I capitali percepiti in caso di morte in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, a copertura del rischio demografico». Il gettito complessivo mancante in seguito alle disposizioni di tale articolo 34 è, infatti, pari a 2.441 milioni di euro (si veda, ad esempio, la tabella n. 1 allegata al bilancio di previsione delle entrate per il triennio 2015-2017),

impegna il Governo

ad assumere un'iniziativa normativa urgente per sospendere il procedimento di cui al comma 12-ter dell'articolo 12 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, fino al 31 dicembre del 2022.
(7-01373) «Airaudo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   NACCARATO, MENORELLO, FIORONI, CASELLATO, COVA e CRIVELLARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   il 5 settembre 2017 è stato pubblicato il bilancio consuntivo della Federazione italiana rugby (in seguito Fir) relativa all'esercizio 2016 da cui si ricavano informazioni preoccupanti circa lo stato di salute della stessa federazione;

   in particolare, rispetto al bilancio preventivo che aveva indicato un utile di 12.000 euro, si registra un netto peggioramento della situazione finanziaria che si chiude con un disavanzo notevole per il 2016 a fronte di una gestione ordinaria che non ha dovuto affrontare eventi imprevedibili;

   analizzando l'andamento finanziario dei bilanci Fir si apprende che la situazione è grave: infatti sembrerebbe che i ricavi dal 2012 ammontino a quasi 220 milioni di euro e nonostante questo cospicuo flusso di denaro si siano prodotte perdite ingenti per tre esercizi su quattro e precisamente nel 2013 per oltre 265.000 euro, nel 2015 per oltre 2.150.000 euro e nel 2016 per oltre 636.000 euro;

   accanto a questi elementi non può essere trascurato il dato relativo alla disponibilità di cassa, la cosiddetta liquidità, che passa da oltre 13 milioni di euro al 31 dicembre 2011 a meno di 2 milioni di euro al 31 dicembre 2016;

   oltre a generare forti perdite, quindi, la Fir avrebbe progressivamente consumato gran parte delle risorse liquide per un totale di 11 milioni di euro;

   a fronte di tale situazione il Coni, ente che ha il compito di vigilare sull'operato delle federazioni, ha imposto di predisporre un piano di ricostituzione del patrimonio netto;

   Fir ha proposto un piano che prevede di produrre e accantonare circa 2,4 milioni di euro di utile nel triennio 2017-2019 principalmente attraverso risparmi sui costi;

   la detta situazione ha generato forti preoccupazioni nel mondo del rugby poiché risulta difficile comprendere i motivi delle consistenti perdite per una tra le federazioni più ricche dello sport italiano e in particolare perché il piano di consolidamento è stato affidato agli stessi soggetti che hanno prodotto il descritto disavanzo;

   l'11 settembre 2017 gli organismi tecnici di controllo del Coni hanno respinto il piano di rientro triennale deliberato dal consiglio federale Fir e la notizia ha raggiunto la stampa come era accaduto già nell'agosto 2016 a fronte dei ritardi nell'approvazione dei bilanci;

   gli interroganti avevano espresso perplessità circa i conti Fir con l'interrogazione 4-14136 del settembre 2016 nella quale sono state indicate alcune delle criticità che puntualmente si sono verificate nel periodo successivo e oggi sono certificate dai bilanci citati;

   la drammatica situazione appare fuori controllo e rischia di nuocere all'intero mondo del rugby;

   occorre ricordare che, in caso di gravi irregolarità nella gestione, il Consiglio nazionale del Coni, in base all'articolo 6, n. 4, lettera F1 del proprio statuto, può deliberare il commissariamento Federazione italiana rugby –:

   di quali elementi disponga in ordine, alle circostanze segnalate in premessa e se risultino iniziative adottate o in corso d'adozione da parte del Coni, in relazione alla situazione descritta.
(4-18194)


   COLLETTI, AGOSTINELLI, SARTI, BUSINAROLO e CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il comune di Catanzaro, con delibera consiliare del 17 febbraio 2016, ha stabilito di formulare un bando per l'avvio di una procedura aperta avente ad oggetto l'affidamento di un incarico professionale a titolo gratuito per la redazione del piano strutturale del comune di Catanzaro e del relativo regolamento urbanistico. A ciò sono seguiti i provvedimenti dirigenziali comunali dell'ottobre 2016 di approvazione del bando e del relativo disciplinare di gara;

   gli ordini professionali provinciali e nazionali di ogni categoria, indignatisi di ciò, hanno proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, chiedendo l'annullamento della gara;

   quest'ultimo ha accolto il ricorso ritenendo illegittima la gara in quanto contrastante con la definizione di «appalti pubblici» contenuta nel codice di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, secondo il quale gli appalti pubblici sono contratti a titolo oneroso. Secondo il Tar della Calabria, un appalto pubblico di servizi non può essere a titolo gratuito, affermando, altresì, che la mancata previsione di un compenso a fronte di una prestazione professionale, è «inidonea a garantire la qualità dell'offerta e, ancora prima, a consentire una sua effettiva valutazione»;

   la sentenza del Tar è stata appellata innanzi al Consiglio di Stato che, con decisione n. 4614 del 3 ottobre 2017, ha respinto l'appello ritenendo legittimo l'affidamento pubblico senza compenso al professionista. Nella specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto che un contratto pubblico può prescindere dall'esborso pecuniario perché sostituibile dal potenziale ritorno di immagine che il professionista potrebbe ricavare dalla prestazione effettuata in favore della pubblica amministrazione;

   da tale decisione pare emergere che ogni libero professionista possa offrire, gratuitamente, la propria prestazione a favore della pubblica amministrazione anche in totale spregio a quanto stabilito dall'articolo 36 della Costituzione, per cui la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto;

   in linea con quanto deciso dai giudici di Palazzo Spada si potrebbe, secondo gli interroganti, quindi, ragionare egualmente con riguardo agli emolumenti degli appartenenti al Consiglio di Stato che, in considerazione anche della loro immagine derivante dal ruolo ricoperto, trarrebbero un'ulteriore utilità economica (in aggiunta ai loro stipendi) dai loro corsi a pagamento per la preparazione al concorso per l'accesso alla magistratura ordinaria. Alla luce del descritto ritorno di immagine, gli stessi potrebbero volgere la propria attività di consigliere di Stato a titolo gratuito. Un ritorno di immagine, tra l'altro, abbastanza significativo per alcuni consiglieri, dato che molti Ministri del Governo scelgono i capi di gabinetto e i capi degli uffici legislativi proprio tra i consiglieri di Stato. Pertanto, nel rispetto dell'articolo 3 della Costituzione, il Governo potrebbe prevedere l'estensione di tale principio di gratuità per tali giudici, o quantomeno prevedere una riduzione dei loro stipendi;

   ai sensi dell'articolo 24, comma 8 del decreto legislativo n. 50 del 2016 secondo gli interroganti non sarebbe lecito un bando di gara che preveda offerte gratuite, in quanto i corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazioni e delle attività dei professionisti devono essere utilizzati dalle stazioni appaltanti quale criterio o base di riferimento ai fini dell'individuazione dell'importo da porre a base di gara dell'affidamento. Inoltre, ai sensi dell'articolo 24, comma 8-ter, «nei contratti aventi ad oggetto servizi di ingegneria e architettura la stazione appaltante non può prevedere quale corrispettivo forme di sponsorizzazione o di rimborso», ovvero di un cosiddetto «ritorno di immagine» per il professionista;

   il prezzo corrispettivo dell'appalto costituisce un elemento indefettibile per la serietà dell'offerta, nonché dell'affidabilità nell'esecuzione della prestazione intellettuale, anche a garanzia dei principi eurounitari di concorrenza ed efficienza del mercato;

   la redazione di un piano strutturale richiede una prestazione professionale lunga, complessa e multidisciplinare poiché costituisce uno strumento strategico per lo sviluppo e la competitività di un territorio comunale. Da ciò ne consegue che siffatto incarico così delicato (con conseguenze sulla sicurezza dei cittadini e sull'efficienza ed efficacia degli investimenti pubblici) necessiti di una seria prestazione professionale che garantisca la qualità dei piani, invece di perseguire un mero risparmio economico a discapito degli interessi pubblici –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto ed in particolare quali iniziative di competenza intenda assumere sul punto, anche a tutela dell'immagine e del lavoro prestato dai professionisti a vantaggio della pubblica amministrazione e della collettività;

   se si intenda valutare l'opportunità di assumere iniziative normative volte a diminuire al minimo gli emolumenti dei membri del Consiglio di Stato o addirittura prevedere la gratuità dell'incarico stante per gli interroganti il chiaro ritorno d'immagine che gli stessi ne trarrebbero.
(4-18204)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA, PIRAS, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, FERRARA, ZARATTI, FRANCO BORDO, DURANTI, SCOTTO e KRONBICHLER. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   sono passati 17 anni dal feroce assassinio di Antonio Russo, giornalista di Radio Radicale e inviato di guerra;

   il suo corpo, con i segni delle torture, fu ritrovato a pochi chilometri da Tbilisi, in un fosso;

   nella sua abitazione, messa a soqquadro furono trafugati computer, videocamera, telefono satellitare, appunti, materiali che testimoniavano le violente violazioni dei diritti umani nei confronti di bambini, donne e anziani ceceni ad opera dei reparti speciali dell'esercito russo;

   la Georgia a distanza di 17 anni non ha accertato la verità e il procedimento giudiziario non è concluso –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo, nei confronti delle autorità della Georgia per contribuire a far piena luce sull'accaduto e pretendere giustizia per un efferato e criminale assassinio ai danni di un giornalista coraggioso e purtroppo «dimenticato» dalla Repubblica italiana.
(3-03316)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   da quando nel 1998 Poste italiane si è trasformata in una società per azioni e il capitale pubblico si è ridotto, i contratti a termine sono cresciuti esponenzialmente;

   in contrasto con quanto ribadisce la legislazione italiana e europea sul rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato che deve rappresentare la forma privilegiata di accesso al mondo del lavoro, l'azienda sistematicamente assume lavoratori con contratti a tempo determinato per un massimo di 24 mesi per sostituzioni, ma anche per coprire posizioni rimaste vacanti dopo i pensionamenti, che necessiterebbero di figure stabili;

   il periodico ma continuo ricorso a campagne di recruiting conferma una carenza di personale cronica che viene tamponata dall'assunzione di lavoratori con contratto a tempo determinato, nonostante il Piano strategico 2015-2019 di Poste italiane prevedesse 8000 nuove assunzioni – metà delle quali di giovani – per incrementare i servizi sui quali si focalizzava il Piano: logistica e servizi postali, pagamenti e transazioni, risparmio e assicurazioni;

   nel contratto collettivo nazionale per il personale non dirigente di Poste italiane, scaduto il 31 dicembre 2012 e in attesa di rinnovo, all'articolo 22, riconoscendo che i contratti a tempo indeterminato «sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro», l'azienda si impegnava a fornire ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato «informazioni in merito ai posti vacanti a tempo indeterminato che si rendessero disponibili nell'ambito della provincia di appartenenza, in modo da agevolarli nella eventuale richiesta di posti di lavoro a tempo indeterminato»;

   rispondendo all'interpellanza n. 2-01920 diretta al Ministro dello sviluppo economico, il Governo si è dichiarato estraneo al processo di recruiting e selezione del personale;

   si ricorda a questo proposito che Poste Italiane è una S.p.a. soggetta partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze che, tramite Cassa depositi e prestiti, detiene il 60 per cento del capitale sociale dell'azienda;

   il pacchetto di incentivi per l'occupazione dei giovani inserito nel prossimo disegno di legge di bilancio prevederebbe di dimezzare i costi dei contributi per i primi tre anni di contratto alle aziende che li assumono a tempo indeterminato per evitare che gli stessi siano utilizzati solo nel breve periodo e per rilanciare le assunzioni stabili dei giovani –:

   se il Governo, considerato il ruolo del Ministero dell'economia e delle finanze quale maggior azionista di Poste Italiane S.p.a., non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza affinché l'azienda, nel rispetto degli obblighi di legge, limiti il ricorso ai contratti a tempo determinato e offra ai lavoratori così contrattualizzati prospettive future di stabilizzazione.
(5-12482)


   BASSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che: e:

   il quotidiano «Il Tirreno» in data 14 ottobre 2017 riporta un servizio a firma della giornalista Ilaria Bonuccelli, corredato da video integrale, in cui la giornalista smaschera un tentativo di truffa telefonica da parte di un call center;

   l'operatore telefonico in questione si spaccia per dipendente di call center di Enel Energia, società che però, ha sospeso il Telemarketing dal 1° giugno 2017. L'azienda, contattata sabato pomeriggio 14 ottobre 2017 conferma al quotidiano «Il Tirreno»: «Non effettuiamo più telemarketing per l'acquisizione di nuovi clienti e comunque il numero utilizzato per questa chiamata non è nella nostra disponibilità»;

   l'operatore telefonico in questione non solo conosce i dati anagrafici dell'utente ma, con disinvoltura, declina l'Iban bancario della persona contattata e dichiara di non temere la denuncia ai carabinieri né alla polizia «perché tanto sono tutti al bar a bere e non hanno tempo per occuparsi delle bollette di luce e gas»;

   come si sa, per motivi di sicurezza, qualunque dato sensibile è disaccoppiato dall'anagrafica per salvaguardare la privacy e i diritti costituzionali –:

   se risultino al Governo banche dati di IBAN e conti correnti associati alle anagrafiche personali di cittadini e aziende in possesso di call center;

   se e quali iniziative normative intenda assumere al fine di bloccare l'attività delle società che trattano questi dati in modo illecito e incrementare le relative sanzioni;

   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per tutelare l'immagine delle forze dell'ordine che ogni giorno si prodigano per difendere i consumatori dalle truffe e proteggere i loro dati e le loro identità.
(5-12491)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COMINARDI e FERRARESI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 5 luglio 2017 gli interroganti inviavano una raccomandata all'ambasciatore Moez Sinaoui chiedendo il suo intervento affinché, venissero attivate tutte le autorità preposte per ottenere la cattura e l'estradizione in Italia di Mootaz Chaambi. Quest'ultimo è infatti il responsabile di un gravissimo fatto di sangue accaduto a Palazzolo Sull'Oglio (BS): qui il 22 settembre 2014 ha ucciso a coltellate la moglie Daniela Bani, madre dei suoi due figli. Subito dopo aver commesso l'atroce delitto, Mootaz Chaambi è fuggito in Tunisia. Il 26 giugno 2017 la corte d'assise di Brescia l'ha condannato a 30 anni di carcere, riconoscendo alle parti civili costituite, in aggiunta ad un risarcimento del danno da stabilirsi in separata sede, una provvisionale di euro 100.000,00 ciascuno per la madre ed il padre della vittima, euro 100.000,00 ciascuno ai due figli minori ed euro 50.000,00 per il fratello. L'assassino, tuttavia, oltre ad essere nullatenente, sin dal giorno dell'efferato delitto è latitante, presumibilmente in Tunisia, nonostante il mandato di cattura internazionale e la richiesta di estradizione avanzata dalla procura della Repubblica di Brescia;

   dopo numerosi contatti telefonici effettuati dagli interroganti, con una lettera in data 19 luglio 2017 le ambasciate, sia l'ambasciata italiana in Tunisia, sia a quella tunisina in Italia, rispondevano affermando di non essere a conoscenza della richiesta di estradizione o di altro provvedimento di cattura riguardante il cittadino tunisino Mootaz Chaambi. In seguito alla predetta risposta, gli interroganti in data 28 luglio 2017 inviavano una nuova richiesta a tutte le autorità competenti ed in data 19 settembre 2017 incontravano al Ministero della giustizia il sottosegretario Cosimo Maria Ferri ed i suoi funzionari, i quali, nonostante l'inesistenza di accordi bilaterali tra l'Italia e la Tunisia in materia di estradizione, tranne un trattato datato 1967 che nulla dispone nel merito, hanno preso l'impegno di attivarsi chiedendo ai Ros aggiornamenti sullo stato delle ricerche dell'omicida, informando, altresì, della vicenda il Ministro della giustizia –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti e degli elementi riportati in premessa;

   quali iniziative abbiano intrapreso o intendano intraprendere al fine di avviare un concreto e fattivo dialogo diplomatico con le autorità tunisine per consentire la cattura e l'estradizione di Mootaz Chaambi.
(5-12481)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU e MATARRESE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   i decreti legislativi nn. 155 e 156 del 7 settembre 2012 hanno disegnato la riforma delle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari, che rivisita l'organizzazione dei tribunali e delle procure della Repubblica (decreto legislativo n. 155) e degli uffici del giudice di pace (decreto legislativo n. 156), definita con l'obiettivo di ridurre le spese e migliorare l'efficienza del sistema giudiziario italiano;

   tale riforma è andata a regime il 13 settembre 2013, manifestando immediatamente alcune criticità, che sono state successivamente in parte corrette tramite il decreto legislativo n. 14 del 19 febbraio 2014;

   è oggi in corso nel mondo della giustizia il dibattito sulla soppressione dei tribunali dei minori (le cui funzioni verrebbero prese in carico da sezioni specializzate dei tribunali ordinari) in ossequio ad un'idea di accentramento delle attività;

   l'azione di centralizzazione delle funzioni giudiziarie, che obbedirebbe ancora una volta ad esigenze di risparmio e di razionalizzazione, è stata fortemente contestata dalle professioni forensi che, oltre a segnalare il forte disagio degli operatori, denunciano il rischio dell'ulteriore ingorgo delle sedi giudiziarie maggiori, già oggi in forte sofferenza per le importanti carenze di organico e la grande mole di lavoro;

   lo smantellamento dei tribunali cosiddetti minori ha poi significative ricadute negative sul complessivo «sistema della legalità», perché riduce la percezione della presenza dei presidi di giustizia sul territorio e desertifica le funzioni a sostegno della cultura della legalità;

   il potenziale danno alla rete di garanzia e tutela territoriale della legalità e della efficienza degli strumenti di giustizia appare ancora più drammatico in regioni, come la Sardegna, con grande estensione territoriale e forte rarefazione della densità della popolazione che, anche per effetto della condizione di insularità, hanno la necessità di garantire piena autosufficienza alla propria amministrazione di giustizia;

   in Sardegna, l'efficienza della attuale rete dei tribunali e il decentramento delle attività giudiziarie obbediscono alla necessità di rendere capillare la presenza della giustizia nei territori, garantendo i presidi della legalità indispensabili per dare certezza del diritto anche nelle zone geografiche marginali e contribuendo a dare visibilità e sostanza alla presenza dello Stato;

   l'esigenza di un approccio differenziato al riordino delle funzioni giudiziarie in Sardegna appare dunque ampiamente giustificata dalle condizioni di svantaggio legate all'insularità e appesantite dalla demografia e dall'orografia sarda, che creano una vera e propria emergenza che rende assai più che altrove indispensabile la buona amministrazione della giustizia e la testimonianza della presenza dello Stato –:

   alla luce delle peculiarità della situazione insulare della Sardegna e dei suoi svantaggi strutturali demografici e orografici, se non intenda assumere iniziative volte a definire un approccio differenziato agli interventi attuativi di riordino delle competenze giudiziarie nei tribunali della Sardegna;

   quali specifiche iniziative di riequilibrio intenda pone in essere per garantire la rete delle funzioni di giustizia in Sardegna, compensando gli svantaggi legati all'insularità, alla forte dispersione della popolazione e agli eccezionali disagi delle reti di trasporto locale.
(4-18200)


   MELILLA, FRANCO BORDO, KRONBICHLER, RICCIATTI, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI, NICCHI e FERRARA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nel 2012 la Banca Tercas fu commissariata dalla Banca d'Italia per «gravi irregolarità e violazioni normative»;

   nel 2014 Banca Popolare di Bari acquistò Banca Tercas salvandola dal fallimento;

   il Tribunale civile de L'Aquila ha condannato i dirigenti di Tercas a risarcire Banca Popolare di Bari per milioni di euro;

   riguardo al buco economico di Banca Tercas è in corso un processo penale presso il tribunale di Roma per fatti risalenti al 2011 e al 2012; tale processo è iniziato nel 2016;

   secondo quanto pubblicato dalla stampa locale, in assenza di calendarizzazione delle udienze il caso viene discusso una volta al mese, rischiando, a questo ritmo, di portare a prescrizione tutti i reati prima del terzo grado di giudizio –:

   se non intenda avvalersi dei propri ispettivi, anche in considerazione del rischio della prescrizione già citato e, in definitiva, al fine di tutelare centinaia di piccoli risparmiatori coinvolti nella vicenda.
(4-18205)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:

   a seguito dell'approvazione della norma di interpretazione autentica contenuta nell'articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, è stato risolto ogni dubbio circa la non vigenza delle norme introdotte dall'articolo 29, comma 1-quater, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito dalla legge n. 14 del 2009;

   ciò nonostante, risulta all'interpellante che diversi comuni, attraverso un'interpretazione estensiva delle norme originarie della legge n. 21 del 1992, continuino a sanzionare i conducenti Ncc per comportamenti de facto corrispondenti a quelli vietati dalle disposizioni sospese;

   inoltre, nel frattempo, la sezione specializzata in materia d'impresa del tribunale di Roma ha rilevato come neppure le norme originarie, a suo tempo sostituite da quelle dell'articolo 29, comma 1-quater, sarebbero più vigore, come afferma l'ordinanza – depositata in data 26 maggio 2017 – di accoglimento totale del reclamo proposto da Uber con procedimento R.G. 25857/17;

   secondo la sezione specializzata, a seguito della sospensione delle norme di cui all'articolo 29, comma 1-quater, del decreto-legge n. 207 del 2008, non potrebbe tornare in vigore la legge n. 21 del 1992 nella sua formulazione precedente, in quanto, in base ai princìpi di successione delle leggi nel tempo, i tre articoli sostituiti per effetto dell'articolo 29, comma 1-quater, sarebbero stati abrogati e non sarebbero più applicabili le norme originarie della legge n. 21 del 1992 in tema di stazionamento in rimessa, obbligo di acquisizione del servizio in rimessa, e divieto di stazionamento su suolo pubblico;

   come già esposto con l'interrogazione 5-10462, le disposizioni sanzionatorie di cui all'articolo 85 del codice della strada difettano di proporzionalità e di differenziazione;

   inoltre, tali disposizioni prevedono una sanzione accessoria, il fermo amministrativo, significativamente più afflittiva della sanzione principale e tale da determinare danni irrimediabili, ivi compreso il possibile arresto dell'attività, anche nel caso in cui, a seguito di ricorso, sia poi accertata l'illegittimità del provvedimento sanzionatorio;

   l'articolo 1, comma 179, della legge 4 agosto 2017 n. 124 prevede che «il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dello sviluppo economico, previo parere della Conferenza unificata (...) un decreto legislativo per la revisione della disciplina in materia di autoservizi pubblici non di linea»;

   è stata recentemente diffusa una bozza di decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da adottarsi di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, per l'attuazione di quanto previsto all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40;

   il contenuto di tale bozza, pur contenendo opportune innovazioni rispetto alla disciplina previgente, presenta tuttora criticità che lo rendono inidoneo a superare le incertezze normative, le inefficienze e il contenzioso giudiziario nel settore del trasporto pubblico non di linea;

   in particolare, l'obbligo di compilazione di un foglio di servizio configura uno sproporzionato appesantimento burocratico in assenza di dematerializzazione, dematerializzazione che viene meramente demandata a un futuro, eventuale e ulteriore decreto, con una norma priva di qualsiasi vincolatività;

   il foglio di servizio rappresenta uno strumento rigido che, sia nel caso di imprecisioni nella compilazione (per esempio, per una grafia ritenuta non chiara dall'agente accertatore), sia nel non infrequente caso in cui il cliente chieda, poco prima o durante il servizio, anche solo modeste variazioni di tragitto o di orario (per esempio per un ritardo), espone il conducente a possibili contestazioni, che, anche per (supposte) violazioni minime o meramente formali comunque conducono al fermo amministrativo;

   inoltre, la bozza mantiene il riferimento alla rimessa quale destinazione della prenotazione, riferimento che, pur essendo previsto dalla legge e quindi comprensibilmente non superabile con norme secondarie, risulta obsoleto e inevitabilmente ambiguo alla luce dell'attuale sviluppo delle comunicazioni informatiche, per definizione prive dei, limiti geografici di quelle analogiche;

   le disposizioni della bozza, ivi comprese quelle sul foglio di servizio, sono tali da acuire la problematica relativa ai danni derivanti dal fermo amministrativo ex articolo 85, commi 4 e 4-bis, dell'articolo 85 del codice della strada, anche a fronte di provvedimenti sanzionatori poi dichiarati illegittimi dalla magistratura o annullati in sede di autotutela dall'amministrazione –:

   come il Governo intenda agire per l'esercizio della delega di cui alla legge 4 agosto 2017, n. 124, e se ritenga possibile pervenire alla definizione del relativo decreto legislativo entro il termine originariamente previsto, ovvero se sia allo studio un'iniziativa normativa per la proroga dello stesso termine;

   se il Governo non ritiene di assumere iniziative normative parallelamente o anche prima dell'emanazione del suddetto decreto legislativo, al fine di correggere le citate criticità dell'articolo 85 del codice della strada e garantire un migliore coordinamento tra i relativi commi 4 e 4-bis.
(2-01979) «Catalano».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   BORGHI, GIACOBBE, TULLO e VAZIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il comune di Vado Ligure ha inviato il 12 maggio 2017 una nota al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, all'autorità portuale di sistema del Mar Ligure occidentale e alla regione Liguria in merito all'attuazione dell'accordo di programma 15 settembre 2008 tra regione Liguria, autorità portuale di Savona, provincia di Savona e comune di Vado Ligure, con particolare riferimento alle infrastrutture di collegamento tra la nuova piattaforma portuale di Vado Ligure e la rete autostradale;

   all'articolo 4 del citato accordo di programma è indicata la «necessità di realizzare contestualmente alla nuova Piattaforma Portuale un nuovo svincolo di accesso all'Autostrada dei Fiori» e si precisa che le fasi di attuazione delle due infrastrutture dovranno procedere con tempistiche compatibili;

   con la delibera della giunta regionale della Liguria n. 254 del 27 marzo 2015, inerente alla positiva conclusione, con prescrizioni, della valutazione di impatto ambientale di «varianti di livello esecutivo al progetto definitivo della piattaforma multipurpose di Vado Ligure», si prescriveva che l'entrata in esercizio della piattaforma fosse condizionata, tra l'altro, all'operatività del nuovo casello autostradale;

   nella seduta del consiglio di vigilanza sull'attuazione dell'accordo di programma del 1o dicembre 2016 il comune di Vado Ligure ha richiesto che, in caso di eccessivo scostamento rispetto alle tempistiche realizzative previste in relazione al nuovo casello autostradale, venga adottata ogni possibile iniziativa finalizzata ai necessari adeguamenti della strada di collegamento a scorrimento veloce tra Vado Ligure e l'esistente casello autostradale di Savona;

   tali condizioni ed istanze sono state richiamate nella deliberazione n. 61/20 dicembre 2016 del consiglio comunale di Vado;

   non sono chiari né lo stato delle determinazioni di Autostrada dei Fiori s.p.a., né l’iter delle procedure e le relative tempistiche in merito alla costruzione e alla messa in esecuzione del nuovo casello autostradale;

   si è tenuto il 14 giugno 2017 un incontro presso la prefettura di Savona con all'ordine del giorno le questioni qui descritte –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato ritenga di mettere in atto per dare soluzione alle criticità che riguardano i collegamenti tra la piattaforma Multipurpose di Vado Ligure e la rete autostradale, affinché l'Autorità portuale di sistema del Mar ligure occidentale effettui i necessari interventi e Autostrada dei Fiori s.p.a. completi le attività relative al proprio ambito di competenza.
(5-12486)


   PASTORELLI e GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   a causa di movimenti franosi lungo la strada comunale denominata «Madonna dei Bagni», che collega Deruta sud (PG) alla frazione di Casalina, nel tratto parallelo alla strada statale 3-bis «Tiberina», S.G.C. E/45, con ordinanza sindacale n. 32 del 15 luglio 2017 se ne è disposta la chiusura temporanea del transito veicolare e pedonale;

   nel 2016; a seguito di vari incontri tra il comune di Deruta e la Regione Umbria, l'Anas spa ha avviato una rete di monitoraggio nell'area interessata dal fenomeno deformativo, mediante l'esecuzione di sondaggi geognostici e l'installazione di tre tubi inclinometrici e tre piezometrici;

   con lettera del 19 maggio 2017 l'Anas ha comunicato alla regione Umbria e al comune di Deruta l'esito della valutazione del monitoraggio e i valori acquisiti nel periodo ottobre 2016 - aprile 2107. Da questo studio si evince che nella zona esaminata è in atto un fenomeno franoso da attribuire a richiami deformativi del fiume Tevere che nella loro evoluzione si propagano, coinvolgendo le infrastrutture stradali. Inoltre, si rivela che l'estensione della frana potrebbe coinvolgere un versante più ampio del tratto che ora è limitato alla strada statale Tiberina. La causa della suddetta situazione è da attribuire a interventi di consolidamento che nel tempo sono stati poco incisivi e risolutivi;

   il 24 luglio 2017 l'Anas ha diffuso un rapporto nel quale, nonostante la mancanza di precipitazioni atmosferiche nel periodo maggio 2017 — giugno 2017, si conferma l'evoluzione dell'estensione della frana in versanti molti più ampi della strada statale Tiberina. Inoltre, si rileva la necessità di ulteriori indagini strumentali utili a contenere il fenomeno franoso in atto e pervenire ad una soluzione delle problematiche afferenti alla strada in questione;

   per le suddette finalità, a seguito di un sopralluogo effettuato con i tecnici dell'Anas, l'Agenzia forestale regionale ha rimesso un preventivo di 36.000 necessario per effettuare il decespugliamento dell'area boscata in prossimità del fiume Tevere;

   la strada denominata «Madonna dei Bagni» è fondamentale per la viabilità e la sicurezza del comune di Deruta, in quanto è l'unica via di collegamento tra il capoluogo e le frazioni di Casalina e Ripabianca –:

   quali urgenti iniziative il Governo intenda intraprendere, per quanto di competenza e anche per il tramite dell'Anas, al fine di contenere il suddetto evento franoso e ripristinare una piena viabilità nei tratti stradali sopraindicati.
(5-12487)


   TERZONI, AGOSTINELLI, CECCONI, DAGA, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   a seguito del crollo del ponte sull'autostrada A14, cavalcavia 167, occorso il 9 marzo 2017, il quale ha causato la tragica morte di 2 persone, il territorio di Castelfidardo, Osimo e Camerano è stato interessato da pesanti problemi di viabilità dovuti al traffico che si è riversato sulla strada statale 16 (direzione nord-sud stazione Osimo);

   in particolare, un numero cospicuo di lavoratori è costretto, per raggiungere il posto di lavoro, ad utilizzare lunghi ed estenuanti percorsi alternativi su strade che si rivelano di difficile percorribilità, con ripercussione gravi per tutti i settori produttivi della zona. Inoltre, i cittadini residenti stanno subendo pesanti disagi causati dall'aumento del traffico e quindi dell'inquinamento atmosferico;

   si registrano, altresì, lungo il tratto della strada statale 16, lunghissime code di auto che comportano gravi disagi alla popolazione e alle aziende e ritardi nell'arrivo delle ambulanze e dei mezzi di soccorso, con la necessità di molteplici e reiterati interventi che coinvolgono tutti gli addetti preposti al controllo della viabilità;

   ad oggi, solo dopo numerose manifestazioni dei residenti locali e una richiesta formale del comune di Castelfidardo, si è venuti a conoscenza che nell'area interessata dal crollo, con provvedimento del 30 giugno 2017, il pubblico ministero di Ancona dottoressa Bilotta ha disposto il dissequestro del cavalcavia, compresa l'area di sedime, e la restituzione ad Autostrade per l'Italia spa. È stato mantenuto il sequestro solo sui monconi già demoliti e giacenti a terra ai margini della careggiata, ed è stata disposta la rimozione ed il deposito presso il custode giudiziario Zallocco. Con il medesimo provvedimento, Autostrade spa è stata delegata all'esecuzione della rimozione dei residui;

   ad oggi Autostrade per l'Italia spa non ha provveduto ad alcuna rimozione, né ha presentato alcuna progettazione preliminare del nuovo manufatto –:

   quali iniziative di competenza siano già state intraprese o si intendano intraprendere al fine di promuovere una rapida ricostruzione del ponte da parte di Autostrade per l'Italia spa e di tutti gli altri soggetti interessati e se sia in grado di fornire un cronoprogramma della ricostruzione.
(5-12488)


   PELLEGRINO, MARCON, GREGORI, PANNARALE, AIRAUDO, PLACIDO, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI e PASTORINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il Consiglio di Stato, Sez. V, con la Sentenza n. 4614 del 3 ottobre 2017, si è pronunciato favorevolmente sulla possibilità in capo alla pubblica amministrazione di procedere ad un bando di gara con conferimento di incarichi professionali a titolo gratuito;

   l'articolo 3, lettera ii), del decreto legislativo n. 50 del 2016 definisce gli appalti pubblici come contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi;

   secondo i dettati dalle direttive europee, l'onerosità e, quindi, il corrispettivo dell'appalto costituiscono un elemento strumentale e indefettibile per la serietà dell'offerta;

   la sentenza arriva dopo polemiche e contestazioni da parte degli ordini professionali, in quanto il corrispettivo della prestazione è imprescindibile nell'ambito di una gara d'appalto;

   il Consiglio di Stato, adducendo la piena ed assoluta legittimità delle deliberazioni comunali, afferma che l'incarico a titolo gratuito non si pone in contrasto con il principio della onerosità degli appalti pubblici e che anzi la gratuità della prestazione giova alla salvaguardia ed al contenimento della spesa pubblica ed equipara l'incarico gratuito ad un contratto di sponsorizzazione con un'evidente «utilità» per il professionista che può usare promozionalmente l'immagine della cosa di titolarità pubblica;

   il bando del comune di Catanzaro, relativo all'affidamento di incarichi di progettazione a titolo gratuito, con tutta evidenza, è una offesa alla dignità professionale di tutte le categorie professionali abilitate;

   il comma 6 dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 165 del 2001, prevede fra i fondamenti, per il conferimento degli incarichi, la predeterminazione del compenso; le norme del codice civile sulle prestazioni professionali (articoli 2229 e segg.) e quelle sulla concorrenza fra professionisti concorrono a far ritenere che esista un divieto implicito al conferimento da parte delle pubbliche amministrazioni di incarichi gratuiti, stante il principio fondamentale previsto in Costituzione (articolo 36) della remunerazione del lavoro;

   l'offerta gratuita di incarichi professionali, nell'ambito di procedure selettive delle pubbliche amministrazioni, prefigurerebbe, una violazione del principio della libera concorrenza che si basa sul confronto comparativo fra offerte di tipo economico;

   nella fattispecie, l'offerta al ribasso della prestazione, pari a un euro, abbassa lo standard di efficienza ed efficacia a cui deve tendere l'azione pubblica –:

   se non intenda assumere urgenti iniziative di carattere normativo al fine di assicurare un'inequivocabile interpretazione della espressione «a titolo oneroso».
(5-12489)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto denunciato di recente dalla dirigente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti Antonella Tiraburri, responsabile del ufficio disciplina del suddetto dicastero sarebbero seimila le revisioni false di bus e mezzi pesanti registrate alla motorizzazione di Napoli nel corso di un solo anno;

   stando a quanto dichiarato dalla dirigente, nel corso del processo di Avellino, avviato dopo la strage del bus precipitato da un viadotto dell'A16, provocando la morte di 40 persone, risultano evase in Campania, dal 1o luglio 2013 al 30 giugno 2014, oltre seimila pratiche, attraverso l'inserimento di dati fittizi nel sistema informatico del Ministero;

   agli esiti della inchiesta interna avviata sulla motorizzazione di Napoli, è emerso che, attraverso la manomissione delle password, sono state registrate nel sistema informatico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti anche più di 500 certificazioni false in un solo giorno, con l'inserimento di targhe e numeri di telaio di camion e autobus che solo virtualmente avevano superato i test della motorizzazione;

   secondo quanto rivelato dalla dirigente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti all'interno della motorizzazione di Napoli, attraverso la messa in rete di false pratiche, venivano prodotti certificati cartacei falsi, poi allegati ai documenti di circolazione del mezzo;

   tra i mezzi mai sottoposti a revisione, risulta anche il bus Volvo responsabile della strage di Avellino, precipitato a Monteforte Irpino da venti metri di altezza;

   attualmente risultano a processo, davanti ai tribunali di Napoli e di Avellino, oltre ai vertici della società Autostrade e ad uno dei titolari dell'agenzia di viaggi proprietaria del bus di Avellino, anche i funzionari della motorizzazione napoletana, accusati di aver manomesso il sistema informatico interno e di aver rilasciato documenti falsi –:

   alla luce delle sconvolgenti rivelazioni relative alla falsificazione dei certificati di revisione per i mezzi pesanti, emerse anche attraverso l'inchiesta interna condotta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sul caso specifico della motorizzazione di Napoli, quali specifiche procedure siano state avviate al fine di scongiurare il rischio di manomissioni del sistema informatico utilizzato dagli uffici della motorizzazione.
(5-12479)

Interrogazione a risposta scritta:


   VALLASCAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   secondo alcuni organi di stampa della Sardegna, l'amministrazione comunale di Oristano starebbe portando a termine le procedure preliminari all'avvio dei lavori di realizzazione dell'intervento «Circonvallazione Comune di Oristano», per il quale, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel 2004, aveva disposto, in base alla legge n. 376 del 2003, un finanziamento pari a 3.000.000 di euro;

   è il caso di rilevare che l'intervento, secondo quanto riportato dalla stampa locale, è al centro di motivate osservazioni critiche da parte dei cittadini interessati dal tracciato, che contestano una molteplicità di aspetti controversi del progetto, tra i quali, acquista particolare rilevanza – per le implicazioni che comporta sia sulla sicurezza dei cittadini sia sul corretto e coerente impiego delle risorse pubbliche – la questione che non si tratterebbe affatto di una circonvallazione, come si rileverebbe erroneamente dall'intestazione del finanziamento, ma di una strada urbana;

   a questo proposito, l'Unione Sarda del 5 ottobre 2017, nel riportare le preoccupazioni dei rappresentanti del comitato «Sa Rodia» – costituitosi negli anni proprio per dare voce alle obiezioni dei cittadini dei quartieri interessati –, ha riportato che «il comitato insiste che quella strada non è una vera circonvallazione e “rischia di rendere più pericolosa la circolazione, creando una strada a scorrimento veloce nel centro abitato [...]. Se andranno avanti, noi faremo ricorso”»;

   è anche il caso di riferire che, a causa del prolungato lasso di tempo intercorso che ha mutato il contesto di riferimento, sarebbero venute meno le finalità e la stessa utilità originaria dell'intervento;

   giova riferire che l'opera verrebbe realizzata oggi in uno scenario in cui nel frattempo sono intervenute circostanze che hanno rafforzato la dimensione squisitamente urbana dell'intervento: tra le altre cose, non verrebbero più realizzati i lavori di innesto e interconnessione con la viabilità sovracomunale, di competenza della provincia, a fronte dei quali si sarebbe effettivamente potuto parlare di circonvallazione;

   la circostanza sarebbe emersa anche durante la seduta del consiglio comunale del 9 aprile 2015, nel corso della quale, l'assessore all'urbanistica pro tempore avrebbe affermato che «il tracciato non può considerarsi una “Circonvallazione”, ma che in tal modo deve essere definito al fine di non perdere il finanziamento ministeriale»;

   a questo proposito è il caso di riferire che, secondo la documentazione pubblicata anche sul sito dell'amministrazione comunale, risulterebbe che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (nota prot. 3881 del 30 agosto 2013), nel riscontrare che la documentazione trasmessa dal comune «prevede la realizzazione di un collegamento tra due strade e non la realizzazione di una circonvallazione», precisa che «non è possibile finanziare interventi diversi da quello previsto dalla norma in argomento»;

   da quanto rilevato, emergerebbe che l'amministrazione comunale di Oristano sarebbe titolare di un finanziamento di 3 milioni di euro che, nonostante fosse originariamente destinato alla realizzazione di una circonvallazione, verrebbe oggi destinato alla costruzione di una strada urbana che risulterebbe, oltreché inutile, pericolosa perché lambirebbe luoghi ad alta densità pedonale, come la cittadella sportiva, una scuola elementare, una piscina, un palazzetto dello sport –:

   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;

   se, dalle informazioni in possesso del Ministro interrogato, si evinca con chiarezza che l'opera di cui in premessa corrisponde alle caratteristiche del progetto finanziato in base alla legge n. 376 del 2003;

   se non intenda verificare la persistenza, dei requisiti necessari al mantenimento del finanziamento di cui in premessa e se non ritenga opportuno, in caso di mancanza dei citati requisiti, avviare le procedure volte al definanziamento dell'opera.
(4-18191)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   un sudanese di 43 anni è stato arrestato a Villanova di Guidonia, dopo aver molestato, con continue richieste di denaro, i clienti dei negozi e ferito due agenti di polizia con un coltello;

   secondo quanto si apprende da fonti dei media, l'uomo si sarebbe posizionato nel parcheggio dell'area commerciale sulla Tiburtina, per chiedere spiccioli ai clienti intenti a fare la spesa, i quali infastiditi dai modi, hanno chiamato la polizia;

   l'immigrato, alla vista degli agenti, avrebbe estratto dalla tasca un coltello; i poliziotti sono riusciti a disarmarlo, ma sono rimasti feriti;

   l'uomo è stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, lesioni e porto abusivo di coltello, ma è stato rimesso in libertà con il solo obbligo di dimora nel comune di Roma –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti intenda assumere per fronteggiare questi fenomeni sempre più frequenti nella Capitale, che colpiscono anche le forze dell'ordine, prevedendo espulsioni immediate per chi commette simili violenze.
(4-18187)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi la farmacia Marchetti di via di Tor Sapienza a Roma è stata svaligiata nel cuore della notte;

   sul posto sono intervenuti gli agenti del commissariato Prenestino che continuano ad indagare per individuare i malviventi;

   è dura la denuncia del titolare Mario Marchetti: «In questo quartiere l'abbandono è totale, hanno distrutto tutto, ma più di così non potevamo fare. Abbiamo installato tutti i dispositivi di sicurezza possibili, dalle telecamere agli allarmi, teniamo le luci accese anche di notte. La percezione resta quella di un quartiere insicuro, dove si ha paura ad uscire di casa dopo le 20 e dove la microcriminalità agisce indisturbata. Sono tanti i negozi che hanno subito negli ultimi mesi questo tipo di irruzioni»;

   sono dure anche le parole del presidente del Comitato di quartiere Tor Sapienza Roberto Torre: «Siamo terra di nessuno. Lo diciamo da anni. Qui non manca nulla, tranne i servizi»;

   si tratta, a parere dell'interrogante, di una situazione allarmante che merita la massima attenzione –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti intenda assumere, per quanto di competenza, per fronteggiare la microcriminalità nella Capitale e restituire tranquillità ai commercianti e all'intera comunità del quartiere Tor Sapienza.
(4-18188)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi è stata incendiata l'auto di Genoveffa Pizza, consigliera comunale e dirigente di Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale di Montella, in provincia di Avellino;

   secondo quanto riportato da fonti dei media, si tratta del secondo atto intimidatorio che colpisce la famiglia dell'ex assessore; in passato, è stata parzialmente incendiata l'auto del marito, l'avvocato Marco Dragone;

   stando a quanto si è appreso ad agire nella notte potrebbe essere stata una sola persona la cui ombra è stata ripresa da una telecamera di sorveglianza nei pressi dell'abitazione Dragone-Pizza;

   sarebbe stata danneggiata anche un'altra autovettura dal propagarsi delle fiamme di proprietà di un parrucchiere;

   si tratta, a parere dell'interrogante, di un episodio molto grave, sul quale occorre fare piena luce –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, e considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire sicurezza alla comunità di Montella.
(4-18190)


   PILOZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il comune di Rocca d'Arce (Frosinone) dopo le elezioni del 2014, ha nominato i componenti della XV comunità montana risultando eletto, per la minoranza, il consigliere Mario Lancia;

   il 7 febbraio 2017 il Lancia si dimetteva dalla carica di consigliere e veniva surrogato con Di Folco Patrizio;

   il 26 maggio 2017, il consiglio ha proceduto alla nomina del nuovo «rappresentante del comune nella XV comunità montana» per sostituire il consigliere dimissionario citato;

   al voto per l'elezione del nuovo rappresentante di minoranza nella comunità, hanno partecipato i consiglieri Di Folco Sergio e Mollicone Bernardo, eletti in consiglio comunale a sostegno dell'attuale Sindaco di Rocca d'Arce ed usciti dalla maggioranza solo pochi giorni prima costituendo un nuovo gruppo unitamente al consigliere Di Folco Patrizio, eletto nella lista di minoranza;

   all'esito della votazione, risultava eletto rappresentante della minoranza nella XV comunità montana il signor Patrizio Di Folco, consigliere eletto nelle liste di minoranza ma fuoriuscito dal gruppo costituito all'indomani delle elezioni amministrative;

   i consiglieri Di Folco Sergio e Mollicone Bernardo sono attualmente componenti della XV comunità montana eletti in rappresentanza della maggioranza consiliare del consiglio di Rocca d'Arce la quale, pur avendo lo strumento della revoca per cessata rappresentatività della maggioranza, non ha ancora proceduto;

   circa il mandato di consigliere della comunità montana, la giurisprudenza ha affermato che il mandato trae origine da un'elezione indiretta, basata sul rapporto tra maggioranza (o minoranza) ed eletto. Se il consigliere eletto non è più espressione della parte consiliare che lo ha designato, la revoca è lo strumento per ristabilire la condizione voluta dalla legge per assicurare l'equilibrata rappresentanza della maggioranza e della minoranza, che sarebbe altrimenti alterata (Consiglio di Stato 707/2003). Il sindaco non ha provveduto a ritirare le proprie deleghe concesse ai due citati consiglieri nonostante abbiano «abbandonato» la maggioranza (sulla carta);

   il consigliere Di Folco Sergio poi, ricopre attualmente la carica di assessore alla XV comunità montana Di Folco Patrizio è stato designato in questa occasione in quota «minoranza» ma con i voti degli eletti in maggioranza;

   a seguito della votazione, il gruppo Misto vanta tutti e tre i rappresentanti dell'Ente presso la comunità montana: sia quelli che spettano alla maggioranza che quelli della minoranza;

   il Ministero dell'interno ha fornito un proprio parere il 16 febbraio 2005 in risposta alla domanda di conoscere se un «Gruppo Misto», al quale hanno aderito due consiglieri di maggioranza ed uno di minoranza, possa considerarsi come un ulteriore gruppo di minoranza ai fini di eventuali votazioni per l'elezione di rappresentanti della minoranza consiliare;

   la giurisprudenza si è espressa su casi analoghi confermando l'orientamento della citata pronuncia del Consiglio di Stato n. 9755/2002 e considerando illegittima la delibera di nomina di un rappresentante della minoranza consiliare là ove alla votazione hanno partecipato i consiglieri comunali eletti in maggioranza ma da essa dissociatasi, non avendo alcuna rilevanza la costituzione di un nuovo gruppo di minoranza;

   tali fatti hanno comportato il venir meno della rappresentanza politica della minoranza in seno alla XV comunità montana subendo l'interferenza degli eletti in maggioranza che hanno inciso nella scelta della minoranza eletta;

   inoltre, risulta che i citati consiglieri dissociati dalla maggioranza non hanno subito la revoca dai propri ruoli di maggioranza né la revoca delle deleghe del sindaco –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda di cui in premessa e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda assumere per chiarire la disciplina applicabile al caso in questione ed eventualmente definire disposizioni più stringenti in relazione all'esigenza di tutelare le minoranze nell'ambito degli organi eletti degli enti locali, così evitando che si ripetano casi come quello di Rocca d'Arce.
(4-18202)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:

   in data 29 giugno 2017 il maestro Carmine Santaniello, attuale direttore del Conservatorio di musica di Avellino, veniva eletto con largo suffragio direttore del Conservatorio di musica di Napoli;

   invero il maestro Santaniello riportava sessantaquattro voti da parte del corpo elettorale formata da centodue votanti su centoundici aventi diritto;

   la competente commissione elettorale provvedeva alla proclamazione dell'eletto che ne riceveva comunicazione il successivo 4 luglio;

   a seguito di un esposto anonimo spedito alla Direzione generale per la programmazione, il coordinamento e il finanziamento delle istituzioni della formazione superiore del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, retta dal dottor Daniele Livon, nel quale si prospettava un'irregolarità nella procedura elettorale per la presunta incandidabilità di un docente che aveva preso parte al turno di votazione del 21 giugno, quell'ufficio richiedeva all'attuale direttrice del Conservatorio un'informativa circa la regolarità delle elezioni;

   appare strano agli interpellanti che la detta Direzione generale abbia azionato una procedura conoscitiva a seguito di uno scritto anonimo e che, in maniera irrituale, abbia richiesto lumi non all'organo evidentemente competente, cioè a dire la commissione elettorale, bensì alla direttrice protempore Elsa Evangelista della quale Santaniello avrebbe dovuto legittimamente prendere il posto;

   la suddetta, senza consultare in alcun modo la commissione elettorale, rispondeva alla richiesta ministeriale evidenziando che al primo turno di elezione aveva preso parte un docente asseritamente incandidabile, che aveva però riportato solo 11 voti e che per tale ragione non era stato ammesso al turno di ballottaggio;

   nessuno dei docenti partecipanti alla procedura di elezione ha inteso impugnare in via gerarchica o ricorrendo alla giustizia amministrativa lo svolgimento o l'esito delle tenute consultazioni;

   con nota del 6 ottobre 2017 il direttore generale sopra richiamato comunicava alla direzione del Conservatorio di non essere in grado di sottoporre al Ministro interpellato la ratifica della nomina del maestro Santaniello a nuovo direttore;

   nella stessa nota il direttore generale Livon invitava la direttrice Evangelista e il presidente del conservatorio professor Palma ad assumere un provvedimento di annullamento in autotutela del procedimento elettorale che aveva visto vincitore il professor Santaniello;

   nessuna della predette comunicazioni sarebbe stata inviata a Santaniello, che pure era evidentemente interessato alla procedura e che aveva il diritto di intervenire nella fase istruttoria del procedimento con il quale si provava a frustrare suoi diritti e interessi legittimi;

   addirittura, in data 11 ottobre 2017 la stampa riportava la notizia dell'avvenuto annullamento delle elezioni;

   il giorno successivo la commissione elettorale dichiarava alla stessa stampa che la procedura per l'elezione del direttore del Conservatorio era perfettamente regolare;

   risulta all'interpellante che in pari data le locali sigle sindacali Cgil, Cisl, Uil e Gilda-Umans, con nota congiunta, rivolgevano istanza al competente Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con la quale chiedevano che venisse rispettata la volontà espressa dal corpo elettorale a ciò deputato;

   addirittura in data 13 ottobre cinquantanove docenti, che costituiscono a ben vedere la maggioranza del corpo elettorale composto da 111 soggetti, rivolgevano allo stesso Ministro interpellato una petizione con la quale chiedevano che la loro sovranità elettorale venisse rispettata;

   il consiglio direttivo della Conferenza dei direttori dei conservatori di musica italiani rappresentava al Ministro, ai responsabili delle strutture amministrative ministeriali e alla direttrice del conservatorio in carica Evangelista, la ferma contrarietà di quell'organismo al paventato sovvertimento dell'esito delle legittime elezioni svoltesi;

   si rappresentava infatti che, in assenza di qualsivoglia impugnativa dell'esito e della procedura di elezione, non poteva procedersi all'annullamento del risultato;

   nel merito si aggiungeva che la presunta irregolarità segnalata nello scritto anonimo, consistita nella partecipazione al primo turno elettorale di un professore di seconda fascia non poteva essere ritenuta meritevole di alcuna considerazione, e meno che mai assunta come elemento demolitorio del risultato del voto;

   invero lo Statuto del Conservatorio non fa alcuna distinzione tra docenti di prima e di seconda fascia e lo stesso intervento del direttore generale Livon, a giudizio degli interpellanti, si appalesa come un'ingiustificata interferenza nell'autonomia statutaria della secolare istituzione accademica della città di Napoli, normata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003;

   l'intervento del direttore Livon sembra, a giudizio degli interroganti, non tenere in considerazione che, ad esempio, il professor Vito Maggiolino e la professoressa Donateli Pieri, entrambi docenti di seconda fascia, abbiano potuto non solo partecipare alle elezioni dei direttori di conservatori ma abbiano ricoperto, rispettivamente per un mandato l'incarico di direttore del conservatorio di Torino il primo, e per due mandati l'analogo incarico presso il conservatorio di Bologna la seconda;

   con decreto del 16 ottobre 2017, protocollo 6910, la direttrice del conservatorio San Pietro a Maiella, Elsa Evangelista, ha decretato l'annullamento in autotutela delle elezioni del nuovo direttore dell'istituzione per il triennio 2017-2020;

   appare infondato il rilievo valorizzato nell'atto che tra le cinque candidature esaminate dalla commissione elettorale sarebbe stata accolta quella di un docente di seconda fascia in asserito contrasto con quanto disposto dallo Statuto e dall'apposito regolamento dell'istituto;

   non può condividersi l'assunto che tale inesistente circostanza renda evidentemente vulnerabili le elezioni ed il conseguente decreto ministeriale di nomina del nuovo Direttore, non fosse altro perché non sono stati prodotti reclami avverso l'esito delle elezioni e perché i termini per l'impugnazione amministrativa appaiono trascorsi, con conseguente intervenuta definitività dell'atto di proclamazione;

   inconferente appare altresì la considerazione che l'esito della procedura elettorale sarebbe inficiata da un vizio, quello della partecipazione al primo turno di un docente che avrebbe riscosso 11 voti non supererebbe la cosiddetta prova di resistenza;

   non appaiono sussistenti secondo gli interpellanti le ritenute «evidenti criticità nella proceduta elettorale per la nomina del nuovo direttore» che ne inficerebbero il risultato e apparendo del tutto infondato che a causa di ciò non residui in capo all'Amministrazione alcuna discrezionalità;

   a giudizio degli interpellanti, l'attuale direttrice del Conservatori Elsa Evangelista, con proprio atto discrezionale e in evidente stato di incompatibilità, non aveva il potere di annullare l'esito delle elezioni per il nuovo direttore e procurarsi l'ingiusto vantaggio di rimanere in carica per altro tempo –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare per verificare i fatti esposti in premessa, al fine di assicurare la regolarità nell'elezione del direttore del Conservatorio di Napoli, considerato che, ad avviso degli interpellanti, non sussiste alcuna fondata obiezione alla elezione del professor Santaniello.
(2-01980) «Laboccetta, Brunetta».

Interrogazione a risposta orale:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   al comma 108 dell'articolo la legge n. 107 del 2015 ha previsto per l'anno scolastico 2016/17 l'avvio di un piano straordinario di mobilità territoriale e professionale su tutti i posti dell'organico dell'autonomia, indirizzato a docenti già assunti a tempo indeterminato e in deroga al vincolo triennale di permanenza nella provincia;

   con l'accordo sindacale siglato tra la Ministra e il sindacato di categoria, la mobilità straordinaria è stata estesa anche all'anno scolastico 2017/18, a giudizio dell'interrogante contravvenendo a quanto sancito dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2009, che prevede che «una norma in materia di lavoro possa essere derogata da parte dei contratti solo se tale possibilità è espressamente prevista dalla norma stessa» –:

   a due anni dalla sua approvazione e nella fase iniziale del terzo anno scolastico regolato dalla legge n. 107 del 2015, quali iniziative intenda assumere la Ministra interrogata al fine di rendere pubblici e trasparenti i dati relativi all'applicazione della legge, indicando nello specifico, per quanto riguarda il piano di mobilità straordinario, in ciascuno degli anni 2015/16 e 2016/17:

    a) quanti docenti hanno presentato domanda di trasferimento e per quali regioni;

    b) quanti docenti hanno ottenuto il trasferimento e in quali regioni, province e ambiti territoriali;

    c) quanti docenti hanno chiesto le assegnazioni provvisorie nel complesso e divisi per «strumenti» utilizzati (legge n. 104, riavvicinamento a coniuge e figli, maternità e altro);

    d) quanti docenti hanno ottenuto le assegnazioni provvisorie;

    e) quanti docenti hanno fatto richiesta di utilizzo e quanti lo hanno ottenuto;

    f) quante cattedre sono rimaste scoperte e sono state assegnate in supplenza in seguito all'ottenimento di assegnazione provvisoria o di utilizzo e in quali province/ambiti territoriali.
(3-03315)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, DI BENEDETTO, SIBILIA, VACCA, DELL'ORCO e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con l'articolo 1, comma 265, della legge 11 dicembre 2016 n. 232, «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017/2019», articolo 1, comma 265, è decretato l'incremento del fondo per il finanziamento ordinario delle università (Ffo) con una somma pari a 55 milioni di euro per l'anno 2017 e di 105 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018;

   tale norma, è citata dal decreto ministeriale del 9 agosto 2017 n. 610 in riferimento ai criteri di ripartizione dell'Ffo per l'anno 2017, precisamente alla lettera d) dell'articolo 8, recante «interventi a favore degli studenti», lettera d);

   tale disposizione legislativa afferma testualmente che le somme a copertura della nuova disciplina sugli esoneri dai contributi universitari, «sono ripartite tra le università statali a decorrere dall'anno 2017, con riferimento all'anno accademico 2016/2017, e conseguentemente per gli anni successivi, in proporzione al numero degli studenti esonerati dal pagamento di ogni contribuzione»;

   il criterio utilizzato prevede il riparto delle risorse in proporzione alla percentuale di studenti attualmente esonerati dal pagamento della tassa moltiplicati per il costo standard per studente in corso del rispettivo ateneo;

   la così detta «no tax area», come si legge da nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 9 agosto 2017, consente di fatto agli studenti con l'Indicatore di situazione economica equivalente (Isee) fino 13.000 euro di essere esonerati dal pagamento delle tasse e garantisce tasse contenute a chi ha un Indicatore di situazione economica equivalente fra i 13.000 e 30.000 euro;

   il consiglio universitario nazionale con parere del 3 agosto 2017, protocollo n. 22216, esprime la propria posizione in merito alla questione trattata dichiarando, in riferimento all'articolo 8 del decreto ministeriale n. 610, il proprio allarme e consigliando una rimodulazione delle assegnazioni in quanto, come si legge a pagina 5, «si è verificata una decurtazione delle risorse complessive destinate agli interventi a favore degli studi considerando che esse includono i 5 milioni di euro previsti dalla legge 232/16 per l'orientamento pre-universitario»;

   allarme accompagna anche il mondo universitario e studentesco, tra cui l'Università «Federico II» di Napoli, Ateneo campano di rilievo che di fatto per sostenere la «no tax area» rischia di aumentare ancor di più la tassazione sugli studenti appartenenti a famiglie più benestanti al fine di non perdere l'equilibrio di bilancio –:

   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al riguardo e se le risorse previste per legge risultino sufficienti.
(5-12480)


   BOSSA, CARLONI e SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   nel maggio 2017 il rettore del Conservatorio di Napoli ha emanato il bando per l'elezione del nuovo direttore per il triennio 2017/2020;

   da tale bando si evince che possono concorrere alla carica i docenti, anche di altre istituzioni, che possiedono i seguenti requisiti:

    1) essere in servizio presso il Conservatorio o in altre istituzioni, avendo maturato un'anzianità in servizio di almeno dieci anni ed essere in possesso di adeguata e comprovata esperienza come componente di organi di direzione o gestione acquisita anche in ambiti multidisciplinari e internazionali;

    2) non aver riportato, quali docenti o direttori incaricati, sanzioni disciplinari superiori alla censura per la quali non siano stati riabilitati;

    3) non aver riportato condanne penali passate in giudicato per reati inerenti l'esercizio delle proprie funzioni, oppure non essere stati puniti con pena superiore nel massimo ai cinque anni;

    4) non essere stati trasferiti d'ufficio per incompatibilità negli ultimi sei anni;

   il bando per le elezioni parla di docenti e non fa alcuna distinzione tra i docenti di prima fascia e i docenti di seconda fascia;

   il 12 giugno 2017 la commissione elettorale dispone l'elenco dei candidati ammessi a concorrere per la carica di direttore;

   il 21 giugno 2017 si svolge il primo turno con i seguenti risultati: Carmine Santaniello voti 36, Angela Morrone voti 27, Maurizio Pietrantonio voti 22, Livio De Luca voti 11, Giuseppina Ambrifi voti 10;

   il 29 giugno 2017 ha luogo il secondo turno elettorale, con il seguente risultato: Carmine Santaniello voti 64, Angela Morrone voti 36;

   il 4 luglio 2017, la commissione elettorale procede con la proclamazione del vincitore;

   successivamente, il direttore generale della Direzione generale per la programmazione, il coordinamento e il finanziamento delle istituzioni della formazione superiore Daniele Livon invia una richiesta di chiarimenti al direttore del Conservatorio di Napoli, Elsa Evangelista; in tale richiesta si fa riferimento ad un esposto anonimo giunto al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca su presunte irregolarità nello svolgimento delle elezioni di cui sopra, e nello specifico al fatto che uno dei cinque candidati non possedesse i requisiti come da bando;

   dopo questa comunicazione, il direttore Livon invia una nota, il 6 ottobre 2017, con la quale decide di non poter dar seguito all'elezione e invita il direttore e presidente del Conservatorio a porre in essere un atto di autotutela annullando le elezioni; il tutto è basato sul presupposto della non regolarità della candidatura del Maestro Livio De Luca, essendo questi un accompagnatore al pianoforte;

   in realtà, lo status giuridico di questa categoria di lavoratori è stato modificato da una serie di atti: in primo luogo, in base al Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al comparto Afam, i pianisti accompagnatori perdono la loro qualifica per acquisire quella di docenti di II fascia; mutando lo status giuridico cambia anche l'inquadramento stipendiale;

   ciò che definisce inequivocabilmente il passaggio degli ex accompagnatori al ruolo di docenza sono le declaratorie per la messa a sistema dei corsi accademici di I livello, emanate con il decreto ministeriale n. 124 del 30 settembre 2009, dove, alla tabella B, nella sezione area discipline interpretative, si evince che gli ex accompagnatori al pianoforte inquadrati come classe di concorso con il codice F010 prendono il codice del settore disciplinare corrispondente ovvero CODI/25, accompagnamento pianistico (all. 8);

   con questo passaggio gli ex accompagnatori risultano di fatto docenti a tutti gli effetti;

   ciò è tanto vero che in altri istituti Afam sono stati regolarmente eletti e insediati direttori, la cui qualifica era quella di docenti di II fascia –:

   quali elementi intenda fornire la Ministra interrogata in relazione alla vicenda di cui in premessa e quali siano i suoi orientamenti al riguardo.
(5-12493)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   un bando pubblico per l'assegnazione di un incarico di circa 60 ore, con un contratto della durata di un anno, per individuare un insegnante di antropologia culturale da inserire all'Isia – Istituto superiore per le industrie artistiche – di Faenza in provincia di Ravenna (con un incarico annuale retribuito meno di 4.000 euro lordi), è stato annullato dal Ministro interrogato per evidenti irregolarità, visto che la presidente della commissione esaminatrice non solo ha partecipato al bando, ma si è classificata al primo posto nella graduatoria;

   l'Isia è un istituto scolastico che gode di grande autonomia, con ordinamento autonomo e organi eletti dai professori e dagli studenti. Ne consegue un'autonomia nella scelta dei docenti, nella creazione dei piani di studio e di ricerca e nello sviluppo delle iniziative di collegamento con industrie ed enti;

   l'Isia è un fiore all'occhiello di Faenza e della Romagna e un'eccellenza del sistema universitario italiano, oltre che del design made in Italy;

   l'Isia è guidato da un consiglio d'amministrazione con competenze strategiche e finanziarie e da un consiglio accademico che definisce le linee di intervento e sviluppo della didattica, della ricerca e della produzione. Rappresenta l'istituzione il presidente, che è nominato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, entro una terna di soggetti designati dal consiglio accademico;

   a denunciare il fatto è stata la docente arrivata seconda in graduatoria dietro la direttrice, che ha inviato una lettera alla presidente dell'istituto. La graduatoria, pubblicata il 25 settembre 2017 è stata infatti approvata dalla direttrice dell'Isia a seguito di una selezione operata da una commissione presieduta da lei stessa e che le ha assegnato il contratto;

   il competente direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha scritto alla presidente dell'Isia, in modo da poter chiedere spiegazioni e ottenere la documentazione che ha portato alla graduatoria;

   nel frattempo il Ministro Fedeli ha fatto sapere che la graduatoria del bando sarà annullata, vista «l'irregolarità della procedura e il palese conflitto di interesse», intanto venerdì 13 ottobre 2017 l'Isia aveva già provveduto all'annullamento in autotutela dell'elenco definitivo degli idonei per l'insegnamento di antropologia culturale. L'obiettivo dell'istituzione faentina è quello di essere il più possibile collaborativa e trasparente e fare chiarezza sulla vicenda, in sintonia con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

   pare che quello dell'Isia non sarebbe però un caso isolato nella regione: ci sarebbero alcune segnalazioni riguardanti l'irregolarità di altri bandi –:

   se, oltre all'annunciato annullamento della graduatoria del bando, sia stata avviata un'immediata e severa azione disciplinare, visto che non è ipotizzabile che permanga il minimo dubbio sulle modalità con cui si accede ai contratti e, dunque, all'insegnamento;

   se intenda monitorare, per quanto di competenza, la regolarità dei bandi per l'insegnamento in Emilia-Romagna, assumendo iniziative per evitare che si ripetano concorsi nei quali giudicato e giudicante siano la stessa persona o altre gravi irregolarità.
(4-18193)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   BINETTI, FUCCI, BUTTIGLIONE, CERA e DE MITA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il problema delle malattie rare, di seguito «MR», in Italia rappresenta una priorità politica di grande attualità. L'Italia ha adottato il proprio piano nazionale nell'ottobre 2014. Nel nostro Paese il regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità n. 279 del 2001 ha gettato le basi per l'introduzione di principi di tutela della persone affette da MR in particolare attraverso la costituzione di una rete nazionale delle MR. Tuttavia, ciò non sembra sufficiente per garantire la piena integrazione sociale e lavorativa delle persone affette da tali patologie;

   una particolare attenzione deve essere dedicata allo sviluppo di programmi in grado di garantire quei diritti esigibili collegati alla vita, al rispetto della persona malata e della sua famiglia, nonché alle peculiarità della relazione educativo-economico-organizzativa, che non può trascurare la continuità assistenziale nel passaggio dall'età pediatrica all'età adulta. Proprio nel passaggio all'età adulta, infatti, si presentano nuove criticità e la famiglia deve sviluppare nuove capacità per affrontare gli effetti della malattia. Criticità che esulano dal servizio sanitario nazionale ed esigono un maggiore coordinamento delle politiche pubbliche;

   bisogna ricordare anche il progetto «Carosello», finanziato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi della lettera f) del comma 3 dell'articolo 12 della legge n. 383 del 2000, presentato nel maggio 2015, finalizzato a sviluppare un percorso di empowerment delle persone affette da MR e dei loro rappresentanti associativi che, muovendo da una preliminare analisi degli assetti istituzionali e organizzativi dei servizi per tali persone nelle diverse regioni, ha favorito la formulazione di proposte per il miglioramento delle reti regionali di assistenza, promuovendo l'equità di accesso ai servizi sanitari, socio-sanitari e sociali e facilitando, di conseguenza, la piena inclusione sociale e lavorativa delle stesse persone;

   finora i malati rari sono stati esclusi da un vero e proprio collocamento mirato che tenga conto delle loro capacità e delle loro competenze, senza penalizzarli per la loro patologia specifica, che, anche se pone dei limiti, riserva comunque ampi spazi di apertura professionale –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato al fine di venire incontro alle persone affette da malattie rare, offrendo loro la possibilità di un adeguato sostegno nell'inserimento, nell'integrazione e nell'accompagnamento nel mondo del lavoro, all'interno di una più ampia strategia di inclusione sociale.
(5-12483)


   NESCI, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, GRILLO, MANTERO e BARONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il recente esame della nota di aggiornamento al Def e dell'assestamento di bilancio per l'anno 2017 ha fatto emergere un diffuso ritardo sia nel trasferimento delle risorse alle regioni e sia nella realizzazione delle attività programmate;

   già la Corte dei Conti nel proprio giudizio di parificazione del bilancio dello Stato, per l'anno 2016, ha messo in evidenza i citati ritardi proprio sulle politiche sociali, in riferimento alla prima infanzia, alle responsabilità genitoriali e ai centri per le famiglie poiché alcune regioni non hanno ancora programmato le attività del 2015 (Campania, Basilicata, Calabria, Puglia) mentre altre addirittura (come nel caso di Sardegna e Lazio), anche le attività del 2014; anche sul fondo per le non autosufficienze si registra oltre che una riduzione nelle assegnazioni definitive anche un ritardo notevole nei pagamenti;

   il segno tangibile dei ritardi è evincibile anche nel rilevante incremento dei residui che nello specifico riguarda le risorse da destinare alle regioni per il rilancio dei servizi dell'infanzia, per il sostegno alle donne vittime di violenza di genere, per la famiglia, per le non autosufficienze, per le disabilità gravi;

   la manovra che il Governo è in procinto di varare non sembra voler recuperare la pregressa sottrazione di risorse di 2,7 miliardi di euro sulla spesa non sanitaria delle regioni, con l'evidente conseguenza proprio di penalizzare ulteriormente le politiche sociali, assai spesso sacrificate in ossequio ai paramenti finanziari imposti dall'Unione europea nell'ambito del contributo dovuto dalle regioni alla finanza pubblica;

   è stata recentemente raggiunta l'intesa sul riparto del fondo nazionale per le politiche sociali per risorse pari a 277 i milioni di euro per l'anno 2017 necessari per finanziare le politiche sociali, ma, com'è evidente, appare necessario che al riparto consegua una effettiva programmazione nonché un puntale trasferimento di risorse;

   in riferimento ai succitati ritardi è evidente che occorre fare il punto della situazione complessiva onde verificare se tali ritardi siano connessi ad inadempienze organizzative territoriali o se, piuttosto, siano da correlare ad una carenza di risorse, sia in termini di risorse sottratte sia in termini di ritardo nei trasferimenti –:

   se intenda fornire ogni utile chiarimento, in maniera puntuale e aggiornata all'anno in corso, circa il citato ritardo delle attività programmate nell'ambito delle politiche sociali, dando evidenza per ciascuna attività programmata e per ciascuna regione delle motivazioni che hanno indotto tale ritardo e delle azioni poste in essere al riguardo.
(5-12484)


   PIAZZONI, LENZI e RIBAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il comune di Piana degli Albanesi (provincia di Palermo), con delibera di giunta del 23 agosto 2017, ha indetto l'avvio di una procedura selettiva per l'affidamento di incarico professionale di n. 2 assistenti sociali a tempo determinato, in quanto sprovvisto del servizio;

   come chiaramente esplicitato dalla delibera, elemento fondamentale del suddetto incarico è individuato nella totale gratuità dello stesso, stante la compresenza di stringenti vincoli di finanza pubblica che non permettono l'assunzione a pieno titolo della figura professionale in questione;

   l'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha espressamente previsto tra le funzioni fondamentali degli enti locali la progettazione e la gestione del sistema locale dei servizi sociali e l'erogazione delle rispettive prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto comma, della Costituzione. La legge della regione siciliana 9 maggio 1986, n. 22, dispone, inoltre, all'articolo 5, che gli enti locali istituiscano un apposito ufficio per il servizio sociale, dotato di personale adeguato, e successivamente, il decreto presidenziale della regione siciliana del 29 giugno 1988, ne definisce l'organizzazione ed il numero di professionisti in base al numero degli abitanti;

   la vicenda desta dunque perplessità, in quanto delineerebbe un quadro in cui un servizio previsto dalla legge, riservato a professionalità qualificate che svolgono un ruolo molto delicato all'interno della comunità, avendo compiti, mansioni e responsabilità ben definite, verrebbe affidato a titolo gratuito;

   il presidente dell'Ordine degli assistenti sociali, stigmatizzando il bando in questione, in quanto contrario al codice deontologico, ha sottolineato come altri casi simili a quello descritto in premessa si siano verificati proprio in Sicilia;

   con l'avvio del reddito d'inclusione (ReI), ai sensi della legge 15 marzo 2017, n. 33, e del decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147, occorre rilevare che fondamentali servizi, considerati come livello essenziale delle prestazioni, sono affidati al servizio sociale professionale. Bisogna precisare, infine, che con l'estensione su tutto il territorio nazionale del sostegno per l'inclusione attiva (Sia) sono state messe a disposizione degli ambiti territoriali risorse per 480 milioni di euro a valere sul Pon inclusione per rinforzare i servizi necessari al miglior funzionamento delle misure di contrasto alla povertà –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere affinché tale funzione fondamentale sia garantita nelle modalità previste dalla legge su tutto il territorio nazionale.
(5-12485)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LIUZZI, BASILIO, NESCI, SILVIA GIORDANO, DIENI, LOMBARDI, GAGNARLI, SPADONI, CANCELLERI, CORDA, TERZONI, DADONE, MARZANA, LOREFICE, DAGA, SPESSOTTO, SARTI, AGOSTINELLI, DALL'OSSO, BUSTO, PAOLO BERNINI, VILLAROSA, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   Canali Spa, azienda di produzione di capi d'abbigliamento, fondata in Italia nel 1934, ha stabilimenti anche in Usa, in Inghilterra, Francia e Svizzera. Dagli anni ’80 i capi Canali sono esportati in Europa, Medio Oriente e Canada. Nel 2012 la produzione italiana destinata all'esportazione ha raggiunto l'87,5 per cento del totale. Il marchio Canali ha vestito illustri personaggi come, ad esempio, Barack Obama e Dustin Hoffman. Nel 2015 Canali ha inaugurato la vendita diretta con lo shop online;

   in data 16 ottobre 2017, l'azienda Eraclon Spa del gruppo Canali, a sorpresa ha annunciato l'inizio della procedura di licenziamento collettivo per la cessata attività dello stabilimento di Carate Brianza (MB) per tutti i 134 dipendenti, di cui 130 donne e 4 uomini;

   a settembre 2016 era stata già gestita una forte riorganizzazione aziendale dello stabilimento di Carate con l'utilizzo del contratto di solidarietà difensivo e l'uscita volontaria di 75 lavoratrici. Poco tempo dopo, 39 delle lavoratrici rimaste hanno accettato una riduzione del proprio orario di lavoro. I sindacati che hanno concordato tali operazioni con l'azienda, hanno affermato che, tra le uscite e i part-time dei lavoratori, è stata trovata una soluzione in equilibrio con le esigenze della società le cui intenzioni erano di modificare in maniera drastica la produzione con la metà della forza lavoro a disposizione. Intenzioni del tutto disattese visto che la decisione ultima della proprietà è di chiudere definitivamente il sito produttivo licenziando tutti i dipendenti;

   i sindacati hanno espresso la loro volontà di percorrere tutte le iniziative idonee per arrivare ad una soluzione della vertenza che possa evitare la chiusura del sito di Carate Brianza –:

   se i Ministri interrogati non intendano convocare, qualora non l'abbiano già previsto, un tavolo nazionale di confronto con i proprietari dell'azienda Eraclon Spa e del gruppo Canali Spa, le rappresentanze sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie interessate, al fine di promuovere azioni volte all'esclusione dei licenziamenti per ognuno dei 134 lavoratori dello stabilimento di Carate Brianza, prevedendo nell'immediato degli adeguati ammortizzatori sociali;

   nel caso non si riescano ad evitare i licenziamenti dei sopraindicati 134 lavoratori del sito di Carate Brianza, se non intendano assumere iniziative volte a prevedere un piano di ricollocamento per ognuno dei dipendenti licenziati.
(5-12478)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU e MATARRESE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 111 del 2011 consente alle regioni italiane di attivare un rapporto convenzionale con l'Inps per trasferire all'ente previdenziale il compito di effettuare le visite mediche di accertamento dell'invalidità civile, dell'handicap e della disabilità, precedentemente poste in carico alle Commissioni mediche integrate delle Asl;

   alcune regioni italiane (Calabria, Lombardia, Sicilia) hanno dunque attivato rapporti convenzionali che hanno trasferito tali competenze, in tutto o in parte, dalle Asl all'Inps;

   tale trasferimento di competenze ha spesso causato criticità nella tempistica di garanzia delle prestazioni, in gran parte conseguente alle carenze di professionalità mediche dedicate, operanti presso l'Inps;

   l'articolo 1 della legge n. 295 del 1990 dispone che le commissioni per l'accertamento della invalidità civile siano composte da 4 medici, mentre l'articolo 4 della legge n. 104 del 1992 dispone che la Commissione per il riconoscimento dell'handicap e della disabilità sia composta da 4 medici + 1 esperto + 1 operatore sociale;

   tale composizione delle commissioni è garanzia di collegialità ed equità della valutazione;

   la tutela dei requisiti di collegialità e di equità della valutazione appare ancor più indispensabile all'atto dell'eventuale affidamento in convenzione, da parte della regione, delle funzioni di accertamento e di erogazione allo stesso ente, cancellando il precedente «doppio accertamento ASL-INPS», che era sicura garanzia di maggior neutralità di valutazione;

   la ridotta disponibilità di risorse professionali presso l'Inps comporta che le commissioni di accertamento che operano nel contesto dell'ente previdenziale siano spesso costituite da due soli sanitari, dunque apparentemente contra legem, riducendo in tal modo cospicuamente la qualità dell'accertamento sanitario e la garanzia della sua equa aderenza alla norma;

   in via informale, l'Inps sostiene che tale costituzione, delle commissioni in forma «ridotta» sarebbe autorizzata dal disposto del comma 22 dell'articolo 18 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011 che recita «Ai fini della razionalizzazione e della unificazione del procedimento relativo al riconoscimento dell'invalidità civile, della sordità, dell'handicap e della disabilità, le regioni, anche in deroga alla normativa vigente, possono affidare all'INPS, attraverso la stipula di specifiche convenzioni, le funzioni relative all'accertamento dei requisiti sanitari»;

   appare del tutto evidente come la «deroga alla normativa vigente» prevista dal comma 22 dell'articolo 18 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 2011, non possa certo riguardare i requisiti di garanzia per il paziente, rappresentati dalla costituzione formale della commissione, nelle unità professionali previste dalle leggi –:

   alla luce del fatto che l'eventuale stipula di convenzioni tra regioni e Inps comporterebbe la perdita delle garanzie del «doppio canale di accertamento ASL-INPS», quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per potenziare organici e competenze specialistiche delle commissioni di accertamento, per evitare il rischio di riduzione della tutela del paziente, con conseguente crescita del contenzioso;

   se, nel caso di stipula di convenzioni tra le regioni e l'Inps per il trasferimento all'ente previdenziale delle attività di accertamento dei requisiti necessari per ottenere i benefici previsti dalla legge n. 295 del 1990 e dalla legge n. 104 del 1992, l'Inps sia autorizzato ad operare tramite commissioni mediche che siano costituite con un numero di professionisti inferiori alle previsioni di legge, e come ciò si concili con i requisiti indispensabili per la garanzia dell'equità e della collegialità del giudizio di valutazione sul paziente.
(4-18199)


   CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   Melegatti s.p.a. è un'azienda dolciaria italiana, fondata nel 1894, con sede a San Giovanni in Lupatoto (Verona). L'azienda è specializzata – e per questo famosa a livello internazionale –, nella produzione di Pandoro, dolce da essa stessa brevettato;

   negli stabilimenti veronesi lavorano circa 70 dipendenti a tempo indeterminato e 20 a tempo determinato, oltre a circa 250 lavoratori stagionali, interessati soprattutto dalla produzione di Pandoro, linea produttiva che assicura circa il 70 per cento del fatturato dell'intera azienda che, nel 2016, è stato pari a circa 70 milioni di euro;

   l'esposizione dell'azienda nei confronti di banche e fornitori sarebbe superiore ai 40 milioni di euro. Parte di questi debiti sarebbero dovuti a un investimento di circa 15 milioni di euro, necessari a realizzare un piano industriale che prevedeva di aumentare i ricavi dalle vendite non ricorrenti. A questo fine è stato aperto un secondo stabilimento a San Martino Buon Albergo;

   secondo fonti citate dal quotidiano Repubblica, tutte le nuove attrezzature del secondo stabilimento sarebbero state rimpacchettate nel nylon. Scrive Ilpost.it: «Appena aperta, la nuova fabbrica è stata usata a pieno regime e alcuni dipendenti raccontano di aver lavorato con turni di 63 ore settimanali. I soldi però sono finiti in pochi mesi. Alla fine dell'estate le banche hanno iniziato a essere sempre più severe, a chiedere il rientro dei prestiti, a limitare i fidi e a tagliare la liquidità. La società non ha più potuto pagare né dipendenti né fornitori ed è stata costretta a sospendere le attività»;

   secondo studi di fonti specializzate, dall'analisi dei bilanci si ricava una solida «capacità societaria di produrre reddito dalla gestione caratteristica e numeri in netto miglioramento rispetto all'esercizio 2012. [...] Le difficoltà, quindi, sarebbero tutte sul piano finanziario. [...] I consumatori non stanno voltando le spalle allo storico marchio, anzi il fatturato sarebbe persino in crescita»;

   da fonti di stampa si apprende che, a partire dalla morte del presidente Salvatore Ronca, avvenuta nel 2005, si sono aperte all'interno della società forti discussioni sulle strategie aziendali;

   allo stato attuale, i dipendenti denunciano di non ricevere lo stipendio dal mese di agosto 2017 e risultano essere in cassa integrazione ordinaria (per complessivi 30 giorni) dal 5 ottobre 2017;

   le organizzazioni sindacali, insieme ai lavoratori, sono da mesi in uno stato d'agitazione. Gli stessi hanno denunciato pratiche potenzialmente non rispettose dei diritti dei lavoratori;

   il 13 ottobre 2017 presso la prefettura di Verona, è stato convocato un tavolo con la partecipazione dei sindaci di San Giovanni Lupatoto e di San Martino Buon Albergo, i sindacati e i soci di minoranza. Era invece assente la presidente del gruppo Melegatti, Emanuela Perazzoli. Le organizzazioni sindacali e alcuni soci di minoranza hanno chiesto un passo indietro di quest'ultima. La famiglia Turco in particolare, socia di minoranza dell'azienda, si è detta disponibile a rilevare in toto la società (il 30 ottobre è fissata l'assemblea straordinaria dei soci per sottoscrivere l'aumento di capitale) –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e in che modo intenda attivarsi perché siano tutelati al più presto i diritti dei lavoratori coinvolti nella crisi aziendale e siano offerte garanzie rispetto alle prospettive occupazionali;

   quali iniziative intenda assumere per scongiurare ogni rischio di chiusura dell'azienda e attivarsi affinché uno storico marchio della produzione alimentare italiana possa continuare a operare sul mercato.
(4-18203)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   VALLASCAS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   il Centro di ricerca per la cerealicoltura (CREA), ente di ricerca italiano dedicato all'agroalimentare, con personalità giuridica di diritto pubblico, vigilato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, nel mese di giugno del 2016 aveva pubblicato «Un invito aperto ad aziende sementiere per formulare manifestazioni di interesse preliminari per l'acquisizione esclusiva dei diritti di moltiplicazione e commercializzazione della nuova cultivar di grano duro denominata “Cappelli”»;

   a conclusione del procedimento, si sarebbe aggiudicato il bando, per un periodo di 15 anni, la Società italiana sementi;

   la notizia avrebbe destato allarme tra gli operatori sardi della filiera del grano «Cappelli», in considerazione dei limiti che potrebbero derivarne alle aziende della Sardegna;

   è il caso di rilevare che, secondo alcuni organi di stampa locali, la riscoperta della particolare varietà di grano sarebbe avvenuta per impulso di alcuni operatori della Sardegna che, nell'arco di vent'anni, hanno lavorato per costruire la filiera nazionale;

   in particolare, l’Unione sarda del 6 ottobre 2017, riportando i commenti di alcuni cerealicoltori, rivela: «Dal ’97 al 2007 lo abbiamo certificato noi, la cosa non interessava a nessuno. Abbiamo mandato i semi ai laboratori del Crea, superato le analisi. [...] In seguito abbiamo stipulato un contratto in esclusiva e così è cominciato il percorso di crescita»;

   il precedente contratto in esclusiva, scaduto a ottobre 2016, sarebbe stato stipulato con l'azienda sarda Selet che, nell'ambito di una generale ripresa delle coltivazioni del grano «Cappelli», nel 2014 aveva anche dato impulso alla costituzione del Consorzio sardo grano Cappelli, per salvaguardare la rara cultivar per anni abbandonata, mentre nel 2015 è stato registrato il marchio al fine di garantire la tracciabilità del prodotto;

   sempre secondo quanto riportato dagli organi di stampa, la produzione ha avuto un progressivo e sorprendente sviluppo nell'isola, passando nell'arco di un decennio, dal ’97 al 2007, dai 50 ai 1.760 quintali, sino a giungere ai 4.000 quintali nel 2012, ai 4.530 quintali del 2015, agli oltre 9.000 del 2016 e ai 15 mila del 2017;

   adesso, riferiscono alcuni organi di stampa, «il rischio è che non si possa più certificare, dunque automaticamente perderebbe il blasone di genuinità e autenticità indispensabile alle aziende bio»;

   la nuova convenzione con la Società italiana sementi rischierebbe di vanificare l'attività svolta dagli operatori sardi nella riscoperta e nella diffusione del grano «Cappelli», compromettendo la piena operatività della filiera nazionale, considerato che buona parte del prodotto sardo viene acquistato dai principali operatori del mercato del biologico nazionale;

   risulterebbe altresì inaccettabile che gli operatori cerealicoli sardi nonché il Consorzio sardo grano Cappelli venissero esclusi dalla filiera nazionale, dopo che, secondo quanto riportato da organi di stampa, l'avrebbero letteralmente creata dal nulla riscoprendo vecchi semi della varietà;

   da quanto esposto ne deriverebbe che il nuovo bando metterebbe a rischio la filiera e il lavoro fatto sino a oggi per costruirla e questo unicamente per questioni economiche, visto che, tra le condizioni che hanno spinto la Selet a rinunciare, ci sarebbe «un'offerta di royalty con un prezzo di partenza aumentato del 450 per cento per la semente R2 (la seconda riproduzione) e del 150% per la R1 (la prima)» –:

   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;

   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per garantire la salvaguardia della filiera nazionale del grano «Cappelli», a tutela dei consumatori e degli operatori, e l'operatività stessa delle aziende del Consorzio sardo grano Cappelli che hanno permesso la riscoperta e la diffusione della rara cultivar negli ultimi vent'anni.
(4-18189)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SALTAMARTINI e RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   le notizie di cronaca quasi quotidianamente riportano di casi di malasanità nel nostro Paese;

   in gran parte dei casi si tratta di morti evitabili, con cure più tempestive e appropriate, ma anche con diagnosi precoci, troppe volte rese impossibili da liste d'attesa infinite;

   ogni 100 mila decessi nel nostro Paese ce ne sono 141 tranquillamente evitabili, secondo le rilevazioni del rapporto Crea – università Tor Vergata. Si tratta di dati comunque migliori di quelli diffusi a maggio da Eurostat, secondo i quali in Italia una morte su tre si sarebbe potuta evitare con giuste cure e buona assistenza;

   al primo posto per morti evitabili, nella classifica del Crea, spicca sempre la Campania, già «maglia nera» della classifica generale delle performance unitarie e che fa contare 179 decessi evitabili. Seguono Sicilia e Sardegna con 155, Lazio con 150 e Calabria con 147;

   i dati riportano come anche la sanità in una regione che vorrebbe essere un punto di riferimento per l'intero centro sud del Paese come il Lazio, siano drammatici nella loro rappresentazione della realtà;

   la cronaca ha riportato la notizia, o meglio, il racconto di una giornalista in attesa 16 ore al Fatebenefratelli per un intervento che doveva durare 15 minuti;

   la paziente è rimasta sedici ore di attesa in ospedale. Le parole con cui chiude il terribile racconto sono un atto d'accusa nei confronti di un sistema sanitario laziale: «Ventiquattro senza mangiare né bere. Non importa se vieni dal Sud e se pensi di aver già visto abbastanza, il punto sembra essere sempre quello: in Italia devi pagare o conoscere qualcuno per ricevere un trattamento umano. E non importa a nessuno se stai vivendo un dramma. Giovedì sera ho perso del tutto il mio piccolo compagno di viaggio di 2,4 cm e in quell'ospedale ho perso parte della mia dignità di donna e di madre. Anche se solo in potenza» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e se non ritenga sussistano i presupposti per promuovere iniziative ispettive, al fine di verificare se vi sia stato il rispetto di tutti i protocolli sanitari, in merito agli accadimenti riportati, al fine di evitare che altre situazioni simili possano accadere di nuovo.
(4-18195)


   VALLASCAS. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   il programma straordinario 2015-2017 della regione Sardegna per l'eradicazione della peste suina africana prevede, tra l'altro, misure connesse alla lotta al «suino irregolare» ed al pascolo non-controllato (brado);

   secondo il provvedimento «Il depopolamento sarà rivolto agli animali della specie suina che interponendosi tra le metapopolazioni di cinghiali e gli allevamenti registrati e legali rappresentano il principale fattore di rischio per la persistenza della PSA in Sardegna»;

   al fine di attuare le citate misure, il territorio è stato suddiviso in quattro grandi raggruppamenti (di cui alla mappa 2 del programma), «in funzione di una analisi del rischio che viene periodicamente aggiornata almeno su base semestrale»;

   il programma definisce anche la progressione geografica di attuazione del programma medesimo stabilendo che «In questi territori così raggruppati le suddette azioni saranno attivate in modo coordinato, graduale, progressivo e centripeto, partendo dai comuni alla periferia dei raggruppamenti, secondo un gradiente di rischio predefinito, ed in sinergia con le azioni previste dalla misura 14»;

   l'aggiornamento al citato programma – documento allegato alla delibera della giunta regionale n. 46/4 del 10 agosto 2016 – contiene alcune valutazioni sugli effetti prodotti dal medesimo programma, in particolare, al capitolo 1, «Recente evoluzione della malattia in Sardegna», riferisce che «Nel corso del 2015 e nei primi mesi del 2016 il numero complessivo dei focolai nei suini domestici è nettamente diminuito rispetto agli anni precedenti [...] Anche nei cinghiali, la tendenza è, in generale, di un lieve miglioramento della situazione, anche se ancora fonte di preoccupazione. La “emergenza PSA” degli anni 2011/2013 si è assestata sui livelli decisamente più bassi, soprattutto considerando l'incidenza dei focolai nel domestico»;

   è il caso di osservare che, ai fini di una valutazione del rischio, ogni singolo comune della Sardegna, per un totale di 377 comuni, è stato incluso in una fascia di rischio (da 1 a 4);

   da un confronto tra le mappe, quella del programma, stilata nel 2014, e quella dell'aggiornamento, stilata nel 2016, si rileva una contrazione delle fasce di rischio;

   in particolare, nella prima fascia (zone non infette) il numero dei comuni è passato da 262 a 313, nella seconda fascia (basso rischio) da 34 a 35, nella terza fascia (alto rischio) da 43 a 18, nella quarta fascia (zone infette) da 39 a 11 comuni;

   il quarto provvedimento attuativo nel programma (giugno 2017), per quanto concerne le misure di contrasto alla Psa nelle popolazioni di cinghiali selvatici e allevati, riporta (allegato 1A) la nuova delimitazione della zona infetta «selvatico», dove risulterebbe che la fascia a rischio sarebbe stata estesa rispetto alle mappe del rischio Psa definite nel 2014 e nel 2016;

   è il caso di rilevare che, secondo alcune associazioni di categoria, la nuova delimitazione, comprendendo un territorio molto esteso, non risponde alle disposizioni in materia, con particolare riguardo alla decisione 422/2003 della Commissione europea –:

   di quali informazioni disponga il Governo in merito alla definizione e all'attuazione del programma per l'eradicazione della Psa in Sardegna 2015-2017 e, in particolare modo, sulle modalità con le quali vengono definiti la mappa del rischio e i micro areali infetti del selvatico;

   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire il puntuale rispetto delle disposizioni nazionali ed europee in materia di contrasto alla Psa su tutto il territorio nazionale, incluso quello sardo
(4-18198)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FANUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la società Giannino Distribuzione fa parte di un gruppo (unitamente ad altre piccole società complementari: Tra-ser srl e Giannino srl) la cui proprietà e gestione è riconducibile a famiglie locali, e dà lavoro a 215 persone;

   tali aziende svolgono attività di commercializzazione di articoli di abbigliamento e tessili in genere destinati a consumatori di fascia media;

   fino ad oggi, nonostante la contrazione dei consumi dovuta alla crisi economica dell'ultimo decennio, la Giannino Distribuzione è riuscita ad evitare riduzioni di personale (con eccezione di sei unità su base volontaria e con importanti incentivi all'esodo, al fine di favorire la cessazione anticipata, al termine di una procedura di solidarietà che ha coinvolto 70 dipendenti per circa tre anni, conclusasi a metà 2016);

   la Giannino Distribuzione è proprietaria di un immobile di circa 10.000 metri quadrati corredato da ampio parcheggio, in strategica posizione, accanto all'uscita del casello di Altopascio (Lucca) sull'autostrada A11, concesso in locazione alla Mercatone Business srl e verso la quale ha maturato un credito per canoni di locazione mensile da corrispondersi in rate anticipate per complessivi 761.234,26 euro;

   i ricavi dell'attività accessoria di locazione degli immobili ed i flussi finanziari, che prima erano complementari, sono ora diventati di importante rilevanza per la gestione e per permettere alla Giannino Distribuzione di non licenziare i propri dipendenti;

   recentemente, per sopperire alla mancata corresponsione dei canoni di affitto, la Giannino Distribuzione ha dovuto implementare il debito verso le banche e richiedere ulteriori affidamenti;

   il canone di locazione praticato è estremamente basso rispetto ai valori di mercato per immobili a destinazione commerciale di circa il 50 per cento, beneficio di cui la Mercatone Business srl in amministrazione straordinaria continua a fruire a tutt'oggi;

   il capannone in questione fu costruito e successivamente ampliato fino agli attuali 10.000 metri quadrati su espressa richiesta e secondo le esigenze del conduttore;

   la Mercatone Business srl è oggi soggetta all'amministrazione straordinaria la cui finalità è la tutela dei dipendenti e dei posti di lavoro, ma ciò non può scontrarsi con gli stessi diritti dei 215 dipendenti del gruppo Giannino Distribuzione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda descritta e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, affinché venga onorato il credito che la società Giannino Distribuzione vanta nei confronti di Mercatone Business srl e sia evitata l'eventualità che la stessa Giannino Distribuzione sia costretta ad attivare procedure di mobilità per i propri dipendenti.
(5-12490)


   VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la regione Sardegna, in base al piano energetico e ambientale relativo al «patto per la Sardegna – metano ed energia», avrebbe avviato il processo di metanizzazione dell'isola con un investimento stimato pari a 1,5 miliardi di euro;

   sarebbero previste numerose opere (dorsali, bacini rigassificatori e depositi costieri di stoccaggio del Gnl);

   oltre ad essere invasivo per l'ambiente, l'impianto sarebbe ad alto rischio di incidente rilevante (sanitario, antropico, ambientale, idrogeologico, archeologico, industriale e di incendi boschivi) e fonte di potenziali danni;

   nonostante i citati rischi, non ci sarebbero sufficienti informazioni in merito al progetto, così come non risulterebbero quantificati i costi ambientali e sanitari;

   la realizzazione dell'infrastruttura ha destato numerose perplessità sia perché il metano non è presente nell'isola (verrebbe trasportato con navi metaniere), sia perché essa risulterebbe anacronistica sotto molti aspetti;

   in primo luogo, l'opera risulterebbe inutile in un contesto in cui il fabbisogno energetico è crollato per il mutamento avuto dal tessuto produttivo che ha determinato la chiusura di industrie energivore;

   secondo Terna, nel 2016, la produzione netta sarebbe stata pari a 11.617,7 GWh e i consumi totali si sarebbero fermati a 8.295,0 GWh: nel complesso, negli ultimi anni, si sarebbe registrata una flessione della domanda di elettricità nell'isola (-28,5 per cento dei consumi finali, +22 per cento di produzione di energia elettrica da rinnovabili e -52 per cento dei consumi finali di prodotti petroliferi);

   l'opera sarebbe in antitesi con i programmi assunti dal Paese a livello internazionale per abbattere le emissioni nocive, contrastare i cambiamenti climatici e convertire il sistema energetico verso un maggiore ricorso alle fonti rinnovabili e una progressiva riduzione delle fonti fossili;

   è il caso di rilevare che il «pacchetto clima-energia» (Pacchetto 20-20-20) dell'Unione europea ha l'obiettivo di ridurre, entro il 2020, le emissioni di gas a effetto serra del 20 per cento e il consumo finale di energia del 20 per cento; contestualmente, esso punta ad aumentare il consumo di fonti rinnovabili del 20 per cento rispetto ai valori del 2005;

   l'Unione europea ha tra i suoi obiettivi quelli di garantire la sicurezza dell'approvvigionamento, di diversificare le fonti, di sostenere gli investimenti nella generazione, nelle reti e nell'efficienza energetica, di sostenere lo sviluppo e l'adozione di apparecchiature e reti intelligenti per consentire un uso flessibile e distribuito dell'energia, di conseguire il 30 per cento di miglioramento dell'efficienza entro il 2030;

   l'utilizzo di Gnl, ha anche se in misura sensibilmente inferiore rispetto agli altri combustibili fossili, causerebbe emissioni di gas serra e altri inquinanti atmosferici, oltre a porre il sistema energetico della Sardegna in una situazione di pericolosa dipendenza nei confronti di terzi;

   la metanizzazione sarebbe in controtendenza rispetto al processo di elettrificazione dei consumi domestici e del riscaldamento, soluzione che verrebbe auspicata anche nella Strategia energetica nazionale per l'innegabile efficacia che avrebbe nei processi di efficientamento energetico, di riduzione dei consumi e di abbattimento delle emissioni;

   sarebbero stati avviati due procedimenti di valutazione di impatto ambientale, relativi ai progetti «Sistema trasporto gas naturale Sardegna — sezione Centro-Sud» e «Metanizzazione Sardegna»;

   la valutazione di impatto ambientale non sarebbe comprensiva dell'intero progetto di rete metanifera ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo n. 155 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni e dell'articolo 6 della deliberazione della giunta regionale n. 34/33 del 7 agosto 2012, All. A –:

   se il Governo non ritenga opportuno, assumere iniziative per quanto di competenza, per evitare la realizzazione di un'opera che risulterebbe costosa sotto il profilo economico, ambientale e sanitario e sulla cui utilità persistono molteplici perplessità;

   se il Governo non ritenga opportuno attivare, per quanto di competenza, iniziative volte ad acquisire un quadro completo e aggiornato di dati e documenti sul progetto.
(5-12492)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi mesi, l'ufficio postale di Vighizzolo, frazione del comune di Cantù (CO) che serve circa diecimila abitanti, offre ai propri utenti un servizio a dir poco insoddisfacente, costringendo, a quanto consta all'interrogante, le persone ad ore di attesa per espletare semplici pratiche, senza neanche mettere a disposizione un numero di sedute congruo al numero di persone anziane che in media si recano nell'ufficio;

   la situazione si protrae ormai da troppo tempo e gli utenti hanno sollecitato un intervento da parte di Poste Italiane S.p.a., che deve garantire l'espletamento del servizio universale postale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità;

   la direttiva 97/67/CE del 15 dicembre 1997 inserisce le prestazioni postali tra i servizi di interesse di economia generale e stabilisce specifiche obbligazioni comunitarie per la tutela dei servizi universali a garanzia della piena efficienza a favore degli utenti, dando la possibilità al cittadino-utente non soddisfatto del servizio postale di appellarsi, in prima istanza, all'operatore postale responsabile, in seconda istanza, all'autorità nazionale competente e, da ultimo, alla Commissione europea;

   Poste Italiane riceve ingenti contributi da parte dello Stato per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione del servizio essenziale ed è inaccettabile per l'interrogante che continui invece a sacrificare le esigenze della collettività, scegliendo di chiudere molti uffici, di rimodulare la frequenza settimanale di raccolta e recapito, in favore di una logica puntata al guadagno;

   si verificano con troppa frequenza negli uffici postali problemi legati alla carenza di personale e al mal funzionamento dei sistemi informatici che generano evidenti difficoltà nella gestione operativa e una conseguente diminuzione della qualità del servizio fornito alla clientela –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda prevedere per garantire agli abitanti del comune di Cantù l'effettiva erogazione di un servizio essenziale di qualità, nel rispetto del contratto di programma siglato fra le Poste Italiane spa e lo Stato.
(4-18192)


   MELILLA, FRANCO BORDO, NICCHI, KRONBICHLER, PIRAS, QUARANTA, RICCIATTI, SCOTTO, FERRARA, ZARATTI e SANNICANDRO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la Intecs Solution s.p.a. è un'azienda che opera nel settore della progettazione e sviluppo di sistemi elettronici high-tech nei mercati aerospazio, difesa, trasporti e telecomunicazioni;

   nella giornata del 19 settembre 2017 la Intecs ha comunicato all'assessore della regione Abruzzo alle attività produttive la volontà di chiudere il laboratorio dell'Aquila;

   la Intecs ha fatto ampiamente uso degli ammortizzatori sociali e nel febbraio 2017 ha presentato tre progetti alla regione Abruzzo per l'assegnazione di fondi Por Fers 2014-20 per i quali uno dei requisiti è lo sviluppo occupazionale;

   come emerso da quanto riportato dal quotidiana on-line «news-town.it» in data 16 ottobre 2017, che fa anche riferimento ad alcune dichiarazioni del direttore generale di Intecs solution, la Intecs de L'Aquila, non soffrirebbe una crisi tale da giustificarne la chiusura –:

   se il Governo non intenda assumere ogni iniziativa di competenza, a partire dall'apertura di un tavolo di confronto ministeriale, per accertare la situazione dello stabilimento della Intecs de L'Aquila, evitare i licenziamenti anche alla luce della partecipazione dell'impresa ai suddetti bandi di finanziamento, nonché per promuovere l'elaborazione di piani industriali che garantiscano l'occupazione dei ricercatori ed il futuro dei laboratori de L'Aquila inseriti in un già difficilissimo contesto socio-occupazionale a seguito dei noti eventi sismici.
(4-18196)


   VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO e TERZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il 10 ottobre 2017 si è tenuto un test di trasporto ai laboratori nazionali del Gran Sasso (LNGS) per l'esperimento SOX, ovvero un test di trasporto senza carico allo scopo di verificare le procedure di trasferimento e movimentazione del materiale che dovrà essere utilizzato per l'esperimento stesso che avrà inizio ad aprile 2018;

   secondo fonti di stampa il Movimento mobilitazione acqua Gran Sasso denuncia pubblicamente che l'esperimento comporterebbe l'uso sotto il Gran Sasso di materiale radioattivo in ambiente già a rischio di incidente rilevante e il rischio di un effetto domino in caso di incidente;

   tuttavia anche la regione Abruzzo sembrerebbe caldeggiare lo stop all’iter dell'esperimento. Secondo quanto riportato da «La Repubblica», infatti, il vicepresidente della giunta regionale abruzzese «Giovanni Lolli avrebbe chiesto che ricominci l’iter dei controlli che lo ha già autorizzato, con l'aggiunta di nuove certificazioni a quelle già ottenute dall'istituto Ispra del ministero dell'Ambiente»;

   secondo il comunicato stampa del Movimento mobilitazione acqua Gran Sasso, l'uso della sorgente radioattiva al Gran Sasso è stata autorizzata da un decreto del Ministro dello sviluppo economico su richiesta avanzata il 27 novembre 2014 dai laboratori, ma sarebbe coinvolto anche il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che avrebbe rilasciato l'autorizzazione all'uso della sorgente radioattiva;

   i laboratori nazionali del Gran Sasso (LNGS) dipendono dall'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), l'ente pubblico nazionale di ricerca, vigilato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che in Italia coordina e finanzia la ricerca in fisica nucleare, subnucleare e della fisica delle particelle elementari;

   pur riconoscendo le ragioni della ricerca scientifica, la vicenda mette in luce la totale assenza di trasparenza e partecipazione degli enti e del territorio coinvolto, nonché la seria difficoltà nel ricostruire l’iter autorizzatorio dell'acquisizione del materiale radioattivo e dell'esperimento –:

   se corrisponda al vero quanto riportato dalle notizie di stampa;

   se il Governo intenda chiarire i termini dell'autorizzazione relativa all'istanza dell'Infn prot. n. 0003490 del 27 novembre 2014 circa l'utilizzo di sorgenti radioattive presso i laboratori nazionali del Gran Sasso;

   se il Governo intenda chiarire l’iter autorizzatorio e la documentazione prodotta da tutti gli enti e le istituzioni coinvolti ed in particolare dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dall'Infn;

   se siano stati valutati i rischi ambientali e per le popolazioni e, in caso affermativo, quali elementi siano emersi.
(4-18197)


   RAMPI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nella giornata del 17 ottobre 2017, l'azienda Canali ha comunicato l'avvio di una procedura di licenziamento collettivo dei 134 lavoratori del sito, di Carate in Brianza;

   l'azienda Canali produce abiti da uomo di alta moda che esporta in tutto il mondo;

   da un mese si è concluso un anno di attivazione del contratto di solidarietà e si sono registrate l'uscita attraverso una procedura di mobilità di 75 lavoratori, nonché la riduzione dell'orario per altri 39;

   questo percorso di riorganizzazione che ha visto pesanti carichi per tutte le lavoratrici e i lavoratori dello stabilimento sembrava avesse raggiunto l'obiettivo del risanamento del sito, come anche dichiarato dalla direzione aziendale;

   l'azienda ha rifiutato l'apertura di un tavolo di confronto che, sospendendo i licenziamenti, permetta di individuare soluzioni possibili che tengano conto della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, dell'impatto sociale e delle responsabilità connesse a tali scelte aziendali –:

   se il Governo sia a conoscenza di tali fatti;

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere affinché l'azienda si assuma le proprie responsabilità sociali e sia individuato un percorso che dia una prospettiva alle donne e agli uomini colpiti da questa inaspettata e drastica decisione.
(4-18201)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Crippa n. 5-12088, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 settembre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vallascas;

  l'interrogazione a risposta in Commissione Miccoli n. 5-12112, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 settembre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cimbro;

  l'interpellanza urgente Nesci e altri n. 2-01977, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 ottobre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Carinelli, Caso;

  l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Palma e altri n. 3-03309, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 ottobre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente;

  l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Squeri n. 3-03314, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 ottobre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Baldelli.

Ritiro di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Piazzoni n. 5-12239 del 20 settembre 2017.