Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 11 ottobre 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII Commissione,

   premesso che:

    una parte del sistema stradale nazionale, a seguito della devoluzione avvenuta alla fine degli anni Novanta, è stata progressivamente regionalizzata o provincializzata;

    tale processo ha dato luogo a un sistema che non risponde all'esigenza di eliminare le disuguaglianze territoriali e di garantire l'accesso alla rete autostradale e alle reti europee ed è carente sia in termini di tempi di percorrenza sia di comfort e di sicurezza rispetto alle moderne esigenze di accessibilità sostenibile e di facilità di raggiungimento di nodi strategici del sistema medesimo;

    tale situazione rende urgente la revisione complessiva della rete stradale nazionale, come previsto dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto legislativo 29 settembre 1999, n. 461, il quale impone che alle modifiche della rete autostradale e stradale di interesse nazionale esistente si provveda, su iniziativa dello Stato o delle regioni interessate, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia;

    il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha di conseguenza attivato le procedure stabilite dalla legislazione vigente che hanno condotto alla definizione di uno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di revisione della rete stradale di interesse nazionale che prevede la riclassificazione di 6.576,53 chilometri di strade ex statali e provinciali e la declassificazione di circa 630 chilometri;

    al fine di attivare una fase di concertazione e condivisione con le regioni e con gli altri soggetti interessati, è stato avviato un tavolo tecnico sfociato nella seduta straordinaria della Conferenza unificata del 3 agosto 2017, che ha sancito l'intesa (ai sensi dell'articolo 1-bis comma 1, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 461) sul citato schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la revisione delle reti stradali di interesse nazionale e regionale ricadenti nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Toscana e Umbria;

    lo schema di decreto recepisce le linee espresse dal Coordinamento tecnico interregionale e dalle regioni, prevedendo:

     la sostituzione delle tabelle di individuazione della rete stradale di interesse nazionale relative alle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Toscana e Maria, allegate al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 461;

     la sostituzione delle tabelle di individuazione della rete stradale d'interesse regionale relativa alle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Toscana e Umbria, allegate al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 febbraio 2000, come modificata dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 21 settembre 2001, 23 novembre 2004, 21 giugno 2005, 2 febbraio 2006, 16 dicembre 2008 e 8 luglio 2010;

     l'integrazione delle tabelle di individuazione della rete stradale di interesse nazionale e l'integrazione delle tabelle di individuazione della rete stradale di interesse regionale;

     la previsione che, ai sensi dell'articolo 4, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, restino di proprietà dei comuni i tratti delle strade aventi le caratteristiche di cui all'articolo 2, comma 2, lettere d), e) ed i), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modifiche ed integrazioni, che attraversano i centri abitati con popolazione superiore ai diecimila abitanti;

     la previsione che eventuali imprecisioni nei dati contenuti nelle tabelle allegate al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri possano essere rettificate d'intesa con le amministrazioni interessate, in sede di redazione e sottoscrizione dei verbali di consegna delle strade interessate;

    il trasferimento delle strade ad Anas spa sarà perfezionato una volta completato l’iter del provvedimento, ma tale iter si sta allungando in modo preoccupante, mentre una parte delle strade individuate dallo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che dovrebbero essere trasferite alla rete stradale nazionale, a causa delle varie calamità che hanno caratterizzato, negli anni 2016 e 2017, l'intero Paese, versano in gravi condizioni e gli enti locali interessati sono incerti sulle decisioni da assumere a causa del previsto passaggio alla rete stradale nazionale di tali arterie;

   nel corso dell'audizione del Presidente di Anas spa, sul nuovo contratto di programma 2016-2020, svoltasi presso l'VIII Commissione della Camera, il 4 ottobre 2017, è stato sollevata da più parti la necessità di accelerare l’iter del più volte citato schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,

impegna il Governo:

   ad accelerare l’iter di adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui in premessa e, nelle more della conclusione di tale iter, ad assumere iniziative per anticipare l'operatività del trasferimento all'Anas delle strade di cui è certa la riclassificazione;

   a prevedere adeguate risorse per la manutenzione straordinaria delle strade provinciali nel disegno di legge di bilancio per l'anno 2018.
(7-01366) «Borghi, Realacci, Burtone, Fragomeli, Bonomo, Lodolini, Bergonzi, Minnucci, Tino Iannuzzi, Manzi, Patriarca, Culotta, Arlotti, Amato, Valiante, Bruno Bossio, Ventricelli, Falcone, Schirò, Capozzolo, Braga, Preziosi, Mariani, Senaldi, Mazzoli, Romanini, Manfredi, Giacobbe, Carrescia, Camani, Iacono, Venittelli, Gribaudo, Valeria Valente, Stella Bianchi, Moscatt, Marco Di Maio, De Menech, Albanella, Porta, Famiglietti, Miotto, Cominelli, Capone, Giovanna Sanna, Magorno, Zanin, Antezza, Carnevali, Pinna, Ascani».


   La XI Commissione,

   premesso che:

    l'azienda Froneri, joint-venture costituita dalle società Nestlé e R&R Ice Cream, specializzata nel settore del lattiero-caseario refrigerato e nella produzione di gelati e surgelati, è presente in più di 20 Paesi in tutto il mondo ed impiega circa 12.500 lavoratori. In Italia è presente a Parma, Ferentino e Terni. Nello stabilimento ex Nestlé di Parma adibito al confezionamento di gelati, sono impiegati 180 dipendenti che raggiungono le 250 unità nel periodo estivo;

    in data 27 settembre 2017, sul quotidiano onlineLa Repubblica è stata pubblicata la notizia riguardante la decisione presa dall'azienda di chiudere lo stabilimento e di avviare il procedimento di licenziamento collettivo non prevedendo alcun ammortizzatore sociale, per 120 dipendenti del settore produttivo; tale numero sarebbe in contrasto con quello dichiarato dai sindacati di 180 che include anche gli amministrativi, più i 70 stagionali;

    l'azienda ha motivato la decisione di chiudere l'impianto parmigiano per «un insieme di cause di inefficienza su cui non è possibile intervenire secondo una logica industriale adatta alle sfide del mercato nazionale e internazionale» e per «l'esigenza di rendere sostenibile il business in Italia, compatibilmente con la complessità del contesto locale e l'andamento del mercato di riferimento, che è in trasformazione per effetto di una crescente dinamica competitiva». L'azienda ha però specificato che «tutti i volumi di produzione realizzati nel sito di Parma saranno riallocati, in funzione delle esigenze tecniche ed organizzative, negli altri siti italiani»;

    secondo i sindacati che seguono la vicenda, l'azienda si è comportata senza alcun rispetto per le relazioni industriali, attuando comportamenti che per i firmatari del presente atto di indirizzo si rivelano palesemente scorretti e ingannevoli soprattutto dopo che a fine luglio 2017 la stessa aveva sottoscritto un verbale di un incontro in cui smentiva categoricamente l'ipotesi di chiusura, tranquillizzando il sindaco di Parma e i sindacati nazionali;

    i lavoratori, dopo essere arrivati a conoscenza dell'avvio del procedimento di licenziamento collettivo, hanno annunciato lo stato di agitazione, il blocco degli straordinari e delle flessibilità e hanno dato mandato ai sindacati di intraprendere ogni iniziativa utile ad ottenere l'annullamento della procedura di licenziamento collettivo e un confronto con l'azienda atto a scongiurare la chiusura dello stabilimento,

impegna il Governo:

   a promuovere immediatamente un tavolo tecnico di confronto in sede ministeriale, coinvolgendo i vertici dell'azienda Froneri e le rappresentanze sindacali, al fine di promuovere azioni volte ad elaborare un piano di intervento che preveda la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali e l'esclusione dei licenziamenti dei lavoratori dello stabilimento di Parma, prevedendo altresì per loro degli adeguati ammortizzatori sociali e rendendo tempestiva informazione degli esiti del suddetto tavolo;

   ad assumere ogni iniziativa di competenza volta a far sì che l'azienda ponga al centro delle priorità gli investimenti necessari per la salvaguardia occupazionale del sito di Parma;

   nel caso non si riescano ad evitare i licenziamenti dei lavoratori del sito produttivo di Parma, ad assumere iniziative volte a prevedere un piano di ricollocamento per ognuno dei dipendenti licenziati.
(7-01365) «Dall'Osso, Tripiedi, Ciprini, Chimienti, Lombardi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   FIANO e FABBRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   la legge 15 ottobre 2013, n. 119, di conversione del decreto 14 agosto 2013, n. 93, recante nuove «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere», è stata approvata con lo scopo di rendere più incisivi gli strumenti di contrasto dei fenomeni di maltrattamento, violenza e atti persecutori nei confronti delle donne;

   la suddetta legge prevede anche lo stanziamento di 10 milioni di euro per un piano anti-violenza elaborato dal dipartimento per le pari opportunità, che avrà come obiettivo l'informazione e la prevenzione della violenza contro le donne, la promozione dell'uguaglianza di genere nelle scuole, la sensibilizzazione della stampa su come trattare l'argomento, la formazione di operatori in grado di aiutare le persone che hanno subito stalking e maltrattamento e il recupero degli autori delle violenze;

   nel mese di settembre 2017 sono state annunciate dalla sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio con delega alle pari opportunità, Maria Elena Boschi, la bozza del nuovo piano nazionale antiviolenza che avrà durata triennale e la proposta di linee guida per le aziende sanitarie e ospedaliere per il soccorso e l'assistenza sociosanitaria alle donne vittime di violenza –:

   in che tempi e con quali modalità il Governo intenda pervenire all'adozione del piano nazionale antiviolenza previsto dalla normativa di cui in premessa e se siano previste iniziative per lo stanziamento di ulteriori risorse a partire dal disegno di legge di bilancio per il 2018.
(5-12436)


   TONINELLI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   fonti di stampa (Libero del 30 agosto 2017) riferiscono dell'esistenza di norme derivanti da regolamenti o prassi dei partiti politici che governano lo Stato e di numerose regioni e enti locali, che impongono ai designati ad incarichi pubblici, in enti pubblici o in società partecipate da enti pubblici attraverso nomine politiche, di versare ai partiti, ai quali è dovuta la designazione, una parte dei compensi ricevuti per lo svolgimento degli incarichi in questione;

   ciò è emerso in particolare con riferimento alle designazioni del Partito Democratico, che imporrebbe percentuali differenti a seconda dei territori, ma che sarebbero tuttavia nella maggior parte d'Italia pari al 10 per cento di quanto percepito dai titolari degli incarichi, percentuale che in alcuni territori raggiungerebbe il 30 per cento; peraltro, anche nello statuto della Lega Nord all'articolo 37 è espressamente previsto che «coloro che ricoprono incarichi [...] di nomina politica retribuita hanno il dovere [...] di contribuire al finanziamento della Lega Nord e della Nazione versando una quota dell'indennità e degli emolumenti derivanti dalla carica ricoperta», mentre fonti di stampa hanno riportato in passato di come direttori di Asl definiti «manager in quota Lega» inviassero messaggi ad altri direttori di Asl per richiedere versamenti diretti nei conti correnti del partito (Lombardia, i direttori delle Asl costretti a versare il contributo per le casse della Lega su La Repubblica Milano del 25 maggio 2014);

   gli incarichi in questione hanno natura tecnica – pur essendo espressamente prevista per essi una nomina politica e non sono incarichi elettivi – e tali forme di imposizione verso tecnici chiamati a prestare la propria professionalità all'interno di aziende pubbliche si traduce in un'indebita compressione di retribuzioni che può comportare, da un lato, il potenziale allontanamento delle professionalità migliori e, dall'altro, una forma di condizionamento per il decisore politico che sarà indotto a nominare chi paga di più il partito, ciò che si traduce in un grave danno per la collettività –:

   se e come intenda chiarire e fugare ogni dubbio in ordine alle notizie della stampa esposte in premessa, al fine di rassicurare i cittadini sulle pratiche ed i connubi tra nominanti e nominati ivi divulgate, che gettano un'ombra pesante sull'operato di amministratori, politici ed alte professionalità chiamati ad operare nelle istituzioni.
(5-12437)


   SISTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   ai sensi dell'articolo 9, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, «Il Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri, può conferire ai ministri, con decreto di cui è data notizia nella Gazzetta Ufficiale, incarichi speciali di Governo per un tempo determinato»;

   nella configurazione attuale della compagine governativa sarebbe necessario conferire una esclusiva delega per il Sud e individuare una struttura ad hoc che si occupi specificatamente delle questioni inerenti il Sud Italia;

   il conferimento di un'apposita ed esclusiva delega per il Sud comporterebbe senz'altro un'attenzione maggiore da parte del Governo nei confronti della situazione economica, sociale e culturale dello stesso sud Italia, nonché permetterebbe allo stesso Esecutivo, in attuazione di quanto disposto dal decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante «Disposizioni urgenti per la crescita economica del Mezzogiorno», di emanare i relativi decreti attuativi, contenenti, misure a favore dei giovani imprenditori nel Mezzogiorno e per l'istituzione delle Zone economiche speciali, nei tempi fissati dalla legge così da non incorrere nel pericolo di lasciare spirare i suddetti termini –:

   se e con quali tempistiche il Governo intenda procedere al conferimento di una delega esclusiva per il Sud provvedendo all'individuazione di una struttura ad hoc.
(5-12438)


   D'ATTORRE, ROBERTA AGOSTINI, QUARANTA, CAPODICASA, DURANTI, RICCIATTI, SPERANZA e MARTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   nel luglio 2017, in sole 24 ore, nel nostro Paese, si sono verificati ben quattro femminicidi, tutti commessi dai compagni delle vittime, punta massima di un fenomeno grave che non può non costituire, per le istituzioni, una priorità;

   le violenze, fisiche e psicologiche, riguardano le donne italiane, come le straniere, ed i soggetti più vulnerabili sono le donne separate, divorziate o con problemi di salute o disabilità;

   il 2 marzo 2017, l'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per la violazione degli articoli 2, 3 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, quanto al caso di Elisaveta Talpis, che non ha ricevuto una protezione adeguata, nonostante le ripetute chieste d'aiuto per le violenze subite dal marito; dal 2012 al 2015 Elisaveta si era rivolta alle forze dell'ordine, vivendo per tre mesi in un centro antiviolenza;

   dopo aver denunciato il marito per atti di violenza nei suoi riguardi, la Talpis, aveva poi modificato le sue dichiarazioni, attenuando la gravità dei fatti di cui si era lamentata, a causa delle pressioni psicologiche del marito; con provvedimento del 1° agosto 2013, il Gip archiviò la denuncia per la parte che riguardava i maltrattamenti in famiglia e le minacce; il 25 novembre 2013 Andrei Talpis ha ferito Elisaveta e ucciso il figlio che aveva tentato di proteggerla;

   i giudici di Strasburgo hanno stabilito che «non agendo prontamente in seguito ad una denuncia di violenza domestica fatta dalla donna, le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto, creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che alla fine hanno condotto al tentato suicidio della ricorrente e alla morte di suo figlio»;

   la Corte ha condannato l'Italia a risarcire la vittima di 30.000 euro per danni non pecuniari e di 10.000 euro a titolo di rimborso delle spese affrontate;

   il 1° agosto 2014 è entrata in vigore la Convenzione di Istanbul, che prevede, all'articolo 50, che «Le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo necessarie per garantire che le autorità incaricate dell'applicazione della legge affrontino in modo tempestivo e appropriato tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione, offrendo una protezione adeguata e immediata alle vittime» –:

   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda assumere per attuare in maniera puntale quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul, così da offrire finalmente una protezione tempestiva ed adeguata a tutte le vittime della violenza di genere.
(5-12439)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, ZOGGIA, RAGOSTA, MELILLA, ZARATTI, PIRAS, QUARANTA, NICCHI, SANNICANDRO, ALBINI, MURER, BOSSA, MARTELLI e SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   a seguito degli eventi sismici che hanno interessato l'Italia centrale a far data dal 26 agosto 2016, tra i numerosi interventi che sono stati predisposti dal Governo, rientrano la sospensione delle rate dei finanziamenti e dei mutui;

   quello della sospensione delle rate dei finanziamenti e mutui è stato tra i primi interventi urgenti attivati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, poi confermato dal decreto-legge n. 189 del 2016, e infine prorogato al 31 dicembre 2017 dal cosiddetto decreto-legge «Milleproroghe»;

   come segnalato anche da «Confartigianato Imprese Marche», le banche hanno attuato comportamenti estremamente difformi tra loro nel gestire questa problematica. Non tutti gli istituti bancari, con l'imminente ripresa dei pagamenti e del versamento delle rate, che a normativa vigente avverrà nel mese di gennaio 2018, adotteranno il piano di ammortamento originario senza oneri aggiuntivi e con il semplice allungamento di un anno del piano stesso. In particolare, alcune banche, anche in difformità rispetto alle indicazioni iniziali dalle stesse fornite alla clientela, hanno già provveduto ad informare i propri clienti che, al termine del periodo di sospensione, saranno addebitate con le stesse periodicità previste dal piano originario, sia le rate dei finanziamenti/mutui previste dallo stesso piano, sia quelle oggetto di sospensione, queste ultime maggiorate degli interessi;

   non c'è alcuna previsione di allungamento del piano d'ammortamento originario o, comunque, non c'è la formulazione di un nuovo piano d'ammortamento maggiormente coerente con la capacità di rimborso del cliente, che magari, nel frattempo, è variata. E questo rischia di essere in molti casi insostenibile, soprattutto in questa delicata fase che vede ancora gran parte del tessuto economico-sociale dei territori colpiti, in grande disagio –:

   se non si ritenga indispensabile assumere iniziative al fine di consentire alle imprese e ai soggetti interessati di rimodulare, allungandone eventualmente la durata, il piano di ammortamento secondo le diverse esigenze;

   se non intendano assumere iniziative al fine di eliminare o, in subordine, temperare almeno in parte gli interessi di sospensione, prevedendo, nelle more dell'attuazione dei suddetti interventi, un'ulteriore proroga a dicembre 2018 della suddetta sospensione delle rate, con diverse e più chiare modalità.
(5-12416)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   la protezione degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità nell'interesse pubblico è un principio sancito da diversi atti internazionali. Tra i più significativi si menzionano la Convenzione ONU contro la corruzione del 2003 (articolo 33), ratificata dall'Italia con la legge n. 116 del 2009, e la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla corruzione (articolo 9), ratificata con legge n. 112 del 2012;

   disposizioni per assicurare accorgimenti tecnici affinché sia attuata la tutela del dipendente che effettua segnalazioni sono previste dall'attuale piano nazionale anticorruzione (Pna), il quale stabilisce che l'adozione delle iniziative necessarie deve essere prevista nell'ambito del piano triennale di prevenzione della corruzione (Ptpc) come intervento da realizzare con tempestività, nonché dalle linee guida per le pubbliche amministrazioni in merito ai modelli da adottare per la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (determinazione Anac n. 6 del 2015), le quali sono state emanate all'esito di una consultazione pubblica lanciata all'uopo;

   la proposta di mozione 781/17 «Whistleblowing nella pubblica amministrazione» depositata il 29 maggio 2017 a prima firma del consigliere della provincia autonoma di Bolzano Paul Köllensperger, al punto 2 del dispositivo, impegnava la giunta provinciale ad adottare le raccomandazioni della determinazione dell'Anac n. 6 del 28 aprile 2015 «Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti – c.d. whistleblower», al fine di tutelare al meglio gli autori di segnalazioni di reati o irregolarità nell'interesse pubblico all'interno dell'amministrazione pubblica;

   nella seduta del consiglio provinciale n. 175 del 13 settembre 2017, registrando in sede di dichiarazione di voto il parere negativo della giunta provinciale espresso per voce dell'assessora Deeg, veniva respinta la mozione 781/17. Si perpetuava così la mancata applicazione da parte della provincia di Bolzano delle prescrizioni contenute nel piano nazionale anticorruzione e nella suddetta determinazione dell'Anac;

   l'orientamento della giunta provinciale veniva ripreso dagli organi di stampa. In particolare, gli articoli «Segnalazioni interne, Provincia bacchettata» (Il Corriere dell'Alto Adige, 26 agosto 2017) e «Segnalazioni anonime nell'amministrazione. Stop dalla Provincia» (Il Corriere dell'Alto Adige, 14 settembre 2017) suscitavano un certo clamore tra la cittadinanza per effetto delle dichiarazioni dell'assessora Deeg, la quale giudicava la disciplina del whistleblowing una mera moltiplicazione di burocrazia;

   l'interrogante non mira a mettere in discussione il diritto di opinione dei rappresentanti politici coinvolti. Ritiene opportuno, invece, richiamare l'obbligo istituzionale di conformarsi ai principi sanciti dal diritto internazionale e alle raccomandazioni emanate dall'Autorità nazionale anticorruzione oppure, in alternativa, di motivare adeguatamente le scelte in caso di mancato recepimento –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative di negoziazione politica abbia assunto o intenda assumere, ferme restando le garanzie di autonomia, al fine di favorire la piena realizzazione su tutto il territorio nazionale dei princìpi evocati negli atti internazionali nelle prescrizioni e raccomandazioni emanate dall'Anac.
(4-18121)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   PASTORELLI e LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'impianto nucleare di Rotondella (Matera), situato all'interno del Centro di ricerca Enea-Trisaia di Rotondella (MT), è un impianto Itrec (impianto di trattamento e rifabbricazione elementi di combustibile);

   dal 2003, Sogin ha assunto la gestione dell'impianto con l'obiettivo di realizzare il decommissioning;

   per la realizzazione delle strutture dedicate ad ospitare l'impianto di cementazione liquidi radioattivi (ICPF) ed il relativo deposito, Sogin e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, hanno scelto di applicare la procedura di Via (valutazione di impatto ambientale);

   nell'atto di autorizzazione il Ministero ha prescritto un piano di monitoraggi ambientali periodici delle aree circostanti alle superfici impegnate dal cantiere Icpf, attraverso la realizzazione di pozzi per il campionamento dell'acqua di falda;

   nel giugno 2015, Sogin ha rilevato alcuni agenti contaminanti presenti nell'acqua di falda prelevata tra cui trielina, cromo esavalente (cromo VI) e altri metalli pesanti. Sogin ha provveduto all'autodenuncia, comunicando quanto rilevato a regione, Arpab, provincia, prefettura e comune di Rotondella. Una conferenza di servizi, convocata con tutti gli organi preposti, ha definito un piano di caratterizzazione, con la realizzazione di un maggior numero di pozzi per il prelievo dell'acqua di falda e il monitoraggio di una superficie più estesa rispetto a quella inizialmente prevista dalle prescrizioni della Via;

   nella prima metà di agosto 2017, Sogin ha trasmesso i risultati – che confermano i rilevamenti del 2015 – ad Arpab. La presenza dei citati agenti contaminanti è stata rinvenuta anche in altri punti, oltre a quelli precedentemente individuati. Arpab ha, inoltre, riscontrato inquinamento da triclorometano in concentrazione più che doppia della soglia di contaminazione in un pozzetto esterno al sito e, da cloro esavaente, in un pozzetto al confine dell'area ma interno ad essa;

   secondo quanto comunicato da Sogin, le sostanze rinvenute nelle acque della falda superficiale non sono riferibili alle attività di decommissioning e gestione dei rifiuti radioattivi ad essa affidati e, da una prima analisi, risulta che la fonte primaria di tale inquinamento sia costituita da un impianto ubicato nel Centro Enea (impianto Magnox) –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti riportati e quali iniziative di competenza intenda porre in essere per accelerare la messa in sicurezza dell'area, per accertare cause e responsabilità dell'inquinamento, in particolare per comprendere il ruolo di Enea, e per portare alla definitiva caratterizzazione del sito, al fine di pervenire all'indispensabile e non più procrastinabile bonifica.
(5-12423)


   BORGHI e MINNUCCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) negli ultimi mesi si è interessato alla grave crisi idrica che ha colpito il lago di Bracciano e che è oggetto di accese discussioni in ambito istituzionale;

   in particolare, nel mese di luglio 2017 l'Ispra ha effettuato dei sopralluoghi, volti a verificare le condizioni del bacino idrico e del suo ecosistema, in relazione ai quali ha redatto una relazione;

   dal mese di agosto 2017, più volte è stato richiesto ufficialmente, sia all'Ispra sia al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di avere una copia della predetta relazione. A tale richiesta, però, non è mai seguita alcuna risposta e, ad oggi, di essa non vi è traccia e nessuno dei soggetti coinvolti nella vicenda che vede protagonista il lago di Bracciano è riuscito a visionarla;

   tale atteggiamento, che ormai si protrae immotivatamente da diverso tempo, non può essere ulteriormente tollerabile, essendo contrario al diritto dei cittadini alla libertà di informazione (oggi peraltro ulteriormente garantita dal decreto legislativo n. 97 del 2016, in materia di trasparenza), ed essendo, peraltro, evidentemente ostativo al raggiungimento di qualsiasi soluzione che possa salvaguardare sia il lago ed il suo ecosistema, sia gli interessi oggettivamente coinvolti, quali la garanzia dell'approvvigionamento idrico della città di Roma e di molti altri comuni della sua provincia –:

   se il Ministro sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali iniziative intenda intraprendere al fine di permettere che la relazione redatta dall'Ispra sia accessibile a chi ne faccia richiesta debitamente motivata.
(5-12424)


   DAGA, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   secondo l'apposta unità di missione, il fabbisogno complessivo delle opere contro il dissesto è un elenco di 11.108 interventi, per un fabbisogno di circa 29 miliardi di euro, ma il 90 per cento delle opere in elenco sono ancora da progettare;

   il piano finanziario 2015-2023, predisposto dall'unità di missione, passa attraverso l'indebitamento con le banche europee: a pagina 532 del piano nazionale pubblicato da Italiasicura, sono previsti con la Bei e la Ceb prestiti per 1 miliardo di euro. A confermare il tutto sono le dichiarazioni del vicepresidente della Bei, Dario Scannapieco: «Il Consiglio di amministrazione della Bei ha approvato un finanziamento di 800 milioni per progetti di messa in sicurezza sul territorio nazionale», consentendo il finanziamento di interventi (principalmente nelle zone del Nord Italia) tra i progetti esecutivi presenti negli archivi dell'unità di missione. A questi prestiti si dovrebbero affiancare 200 milioni di euro provenienti dalla Ceb;

   in merito ai piccoli e medi invasi, Italiasicura prevede la costruzione in 20 anni di 2.000 opere per un investimento totale di circa 20 miliardi di euro, confermato durante l'audizione in Commissione ambiente dei 6 settembre 2017 dalle dichiarazioni di D'Angelis, il quale ha dichiarato dell'esistenza del piano dei piccoli e medi invasi, specificando che a breve partirà lo stralcio di programma riguardante 84 progetti per un totale circa 500 milioni di euro, finanziati con mutui Bei;

   lo stesso Ministro interrogato ha più volte ribadito che «i fondi per il dissesto idrogeologico ci sono: sono circa due miliardi. Il vero nostro problema è spenderli» e che la responsabilità dei ritardi è nella governance, posto che: «ci sono regioni che hanno molte difficoltà a spendere quei soldi»;

   risulta, quindi, incomprensibile per quale motivo gli italiani dovrebbero ripagare l'indebitamento miliardario e i relativi interessi con le banche europee con i fondi pluriennali individuati dalla ultima legge di bilancio –:

   dato lo stanziamento già più volte dichiarato dal Governo, di circa 9 miliardi di euro da qui al 2023, di fondi ritenuti già disponibili e in considerazione del forte ritardo nella fase progettuale, quali iniziative si intendano assumere per evitare un ulteriore indebitamento in ambito europeo che appare una strategia poco opportuna nella lotta contro il dissesto e, nello specifico, quali interventi verrebbero avviati con i prestiti delle banche europee.
(5-12425)


   ZARATTI, DURANTI, KRONBICHLER e FORMISANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il «Riesame della autorizzazione integrata ambientale n. DVA/DEC/2011 del 4 agosto del 2011 rilasciata per l'esercizio dello stabilimento siderurgico della società Ilva s.p.a. ubicato nei comuni di Taranto e di Statte» del 26 ottobre 2012 prevede – all'articolo 1, comma 22, che «Si prescrive all'ILVA s.p.a., su specifica richiesta dei Sindaci dei comuni di Taranto e Statte, di garantire alle medesime autorità comunali il ristoro degli oneri derivanti ai comuni della pulizia delle strade prospicienti lo stabilimento e di tutte le aree pubbliche del quartiere Tamburi.»;

   come si apprende anche da fonti giornalistiche, il comune di Taranto – nel pieno rispetto della previsione di cui sopra – ha provveduto a richiedere all'azienda Ilva il soddisfacimento del credito risarcitorio relativo al rimborso dei costi di pulizia e spazzamento delle aree limitrofe allo stabilimento, con particolare riferimento quindi al quartiere Tamburi, stimato in 800 mila euro per il periodo compreso fra aprile 2012 e maggio 2015;

   i commissari straordinari dell'Ilva, nel motivare il diniego alla richiesta risarcitoria, hanno fra le altre cose specificato che: «riguardo alle spese che sarebbero state sostenute dal Comune di Taranto in ragione della asserita violazione delle prescrizioni AIA da parte dell'ILVA e delle asserite emissioni/immissioni derivanti dall'attività industriale delle stesse, non risulta dimostrata né la pretesa violazione della prescrizione AIA da parte della società, né il nesso di casualità diretta tra l'attività svolta dalla società e l'affermata necessità di sostenere le spese oggetto di insinuazione, né la straordinarietà delle stesse rispetto all'ordinaria attività di pulizia svolta dalla ricorrente, né, infine, l'ammontare delle spese effettivamente sostenute ed astrattamente imputabili alla società»;

   a giudizio degli interroganti la decisione presa, oltre a ledere la normativa vigente, sottende – nelle motivazioni – la negazione della pesantissima azione inquinante dell'azienda Ilva (con particolare incidenza nel quartiere Tamburi), al contrario ampiamente dimostrata in diverse sedi negli ultimi anni –:

   quali iniziative il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda assumere immediatamente al fine di assicurare il rispetto da parte dell'Ilva di quanto previsto dall'articolo 1, comma 22, dell'autorizzazione integrata ambientale, con specifico riferimento al risarcimento richiesto dal comune di Taranto.
(5-12426)


   PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in data 4 ottobre 2017 il Mattino di Padova ha pubblicato un articolo in merito alle tracce del radionuclide Ru-106 che sono state registrate dalle stazioni di controllo della radioattività in aria delle sedi di Verona, Vicenza e Belluno dell'Arpav, nell'ambito della loro attività di campionamento del particolato atmosferico, lo scorso fine settimana e tra il 2 e 3 ottobre 2017;

   nella nota diffusa dall'Arpav si parla di una presenza evidenziata anche da altri laboratori del Nord Italia e di alcuni Paesi europei, quali Austria e Svizzera e si riferisce che i livelli documentati sono bassi e non destano alcuna preoccupazione sotto il profilo sanitario e ambientale;

   la nota dell'Arpav comunica, altresì, che sono in corso approfondimenti per determinare l'origine della contaminazione che, in base ai dati radiologici e meteorologici disponibili, sembrerebbe provenire dall'Europa centro-orientale;

   la stessa nota, infine, afferma che la presenza di questo radionuclide, in assenza di altri radionuclidi artificiali tipici di una fissione, porta a escludere incidenti a un impianto di energia nucleare o esplosioni di ordigni bellici;

   pur in presenza di livelli di radioattività nell'aria che sembrerebbero al livello base, è necessario fornire una informazione adeguata ai cittadini interessati in particolare in merito all'origine della contaminazione dell'aria riscontrata –:

   quali siano le informazioni in merito alle tracce di radionuclide RU-106 in possesso del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, in tale contesto, se sia stata accertata l'origine della contaminazione in ogni caso avvenuta.
(5-12427)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   il giorno 8 ottobre 2017, un uomo di cinquantanove anni di Vicolungo è stato colpito a morte dal fucile di un cacciatore;

   secondo quanto ricostruito dalle forze dell'ordine, intervenute sul posto, la vittima era in compagnia della moglie per raccogliere castagne tra le campagne di Cavaglio e Ghemme (To), quando un colpo di fucile lo colpiva;

   la moglie allertava immediatamente il 118, che intervenuto sul posto non ha potuto che costatare il decesso dell'uomo;

   parrebbe che il cacciatore abbia sparato credendo di trovarsi di fronte a un cinghiale;

   i cacciatori, circa una decina, fermati dalle forze dell'Ordine dopo il tragico evento, hanno negato di aver sparato, presupponendo che l'autore del gesto si sia allontanato –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;

   considerato che dall'inizio della stagione venatoria (un mese circa) sono cinque le persone decedute per incidenti di caccia, sette i feriti gravi e nella sola giornata di ferma domenica 8 ottobre 2017, i morti ammazzati a fucilate dai cacciatori sono stati due, se il Governo non ritenga di assumere urgenti iniziative al fine di evitare ulteriori perdite di vite umane;

   se non si ritenga necessario assumere iniziative normative urgenti per la immediata sospensione dell'attività venatoria su tutto il territorio italiano al fine di fermare il massacro di milioni di animali ed evitare che possano perdere la vita ed essere ferite gravemente così tante persone.
(4-18100)


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   ad oltre cinque mesi dal devastante incendio che ha distrutto lo stabilimento di stoccaggio rifiuti speciali pericolosi della Eco X di Pomezia, nulla è stato fatto per lo smaltimento delle 8.413 tonnellate di rifiuti bruciati e per la bonifica dell'area;

   anzi, le foto sui quotidiani mostrano un crescente abbandono sul luogo di ulteriori rifiuti, da ignoti, tant'è che l'area è diventata ormai un'enorme discarica a cielo aperto;

   si apprende dai giornali che, nonostante il sito sia ancora sotto sequestro e le indagini della magistratura in corso, il procuratore ha da tempo rilasciato l'autorizzazione per la bonifica, ma la regione Lazio, ente beneficiario della polizza fidejussoria stipulata dalla ditta Eco X a garanzia degli obblighi sullo smaltimento dei rifiuti, nonostante le sollecitazioni di cittadini e comitati di quartiere di Pomezia e Torvaianica, non ha ancora proceduto all'escussione della fidejussione;

   d'altra parte, il sindaco, che ha il potere e il dovere di garantire ai propri cittadini le attività di prevenzione in ordine ai disastri ambientali e il controllo sull'azienda di stoccaggio rifiuti che, secondo l'interrogante, palesemente non ha rispettato le regole, visto quanto è accaduto, non sembra aver svolto efficacemente le proprie funzioni, né risulta dagli articoli di stampa che attualmente stia effettuando controlli e monitoraggi su altri siti potenzialmente pericolosi sul territorio comunale e in ordine all'andamento degli inquinanti dispersi sull'ambiente, in termini di concentrazione su aria, suolo, falda idrica e quindi coltivazioni agricole e allevamenti zootecnici;

   i cittadini sono preoccupati perché con l'arrivo della stagione autunnale, basterebbe un temporale per trasformare la situazione in disastro ambientale, con inquinamento della falda idrica;

   il mercato agricolo dei prodotti di Pomezia sta subendo danni irreparabili, poiché i cittadini, preoccupati, evitano il consumo dei prodotti coltivati nella zona;

   la vicenda di Pomezia e delle modalità con cui vengono effettuati i controlli nello stabilimento della Eco X e in altri impianti simili sono state oggetto di discussione nella Commissione «ecoreati»; il 24 maggio 2017 hanno riferito in Commissione il direttore generale dell'Arpa Lazio e il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Velletri che si sono dichiarati consapevoli dell'urgenza di ripristinare lo stato dei luoghi ed effettuare la bonifica;

   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in occasione delle risposte a numerose interrogazioni parlamentari, ha assicurato il Parlamento sulla propria volontà di continuare «a monitorare la situazione con la direzione competente e con l'Ispra, che è a disposizione dell'Arpa regionale per ogni necessario supporto tecnico»;

   anche la Ministra della salute ha dichiarato in Aula, in risposta ad una interrogazione, il proprio interesse per la messa in sicurezza del sito, proprio per non avere contaminazioni, riferendosi al ruolo dell'Istituto superiore di sanità per affiancare la regione nella definizione dei programmi di monitoraggio e di sorveglianza sanitaria dei cittadini esposti, e quindi per tutto quello che riguarda la «fase due», che, secondo la stessa Ministra doveva cominciare «nelle prossime ore» –:

   quali iniziative urgenti i Ministri abbiano già adottato o intendano adottare, per quanto di competenza, per monitorare la situazione dell'area inquinata dall'incendio dello stabilimento Eco X di Pomezia ed evitare che gli inquinanti ancora presenti nei materiali di risulta possano ulteriormente disperdersi nell'aria, nel suolo e nella falda idrica continuando a contaminare le persone e l'ambiente.
(4-18109)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FREGOLENT, PAOLA BRAGANTINI, D'OTTAVIO e BONOMO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la Fondazione Torino Musei cura e gestisce il patrimonio storico-artistico della città di Torino;

   la missione della Fondazione, si legge nel sito istituzionale, è «tutelare il patrimonio, effettuare ricerche, esporre e comunicare le collezioni d'arte e i monumenti storici al fine di renderle fruibili, aperti al pubblico, comprensibili, al servizio della comunità e del suo sviluppo»;

   tra i musei che fanno capo alla Fondazione vi è la Gam — Galleria civica d'arte moderna e contemporanea;

   il primo ente fondatore della Fondazione è il comune di Torino;

   è emerso da organi di stampa che nella prima settimana di ottobre 2017, «durante una verifica semestrale dell'impianto antincendio si è verificato un guasto tecnico che ha danneggiato alcune opere» presenti nei magazzini della Gam;

   nei media sono riportate differenti notizie su cause e conseguenze dell'accaduto: secondo una prima versione, che corrisponderebbe alla denuncia fatta dalla Fondazione Musei agli uffici della Soprintendenza (che avrebbe anche effettuato un sopralluogo), l'incidente sarebbe stato circoscritto nel deposito di alcune opere dell'800 ed avrebbe causato danni lievi, mentre un'altra versione parlerebbe dell'esplosione di una bombola di gas che avrebbe fatto crollare parte del soffitto;

   ad oggi né i dirigenti della Gam, né gli organi istituzionali preposti hanno ancora chiarito le cause dell'incidente e la reale entità dei danni subiti dalle opere d'arte presenti –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di quali elementi disponga circa le cause che hanno provocato il guasto tecnico presso la Gam e di quale sia l'entità dei danni subiti dal patrimonio artistico della Galleria civica d'arte moderna e contemporanea di Torino.
(5-12420)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il Consiglio centrale della rappresentanza militare (COCER) è l'organo centrale a carattere nazionale in rappresentanza del personale delle forze armate, dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, le cui competenze riguardano la formulazione di pareri, di proposte e di richieste su tutte le materie che formano oggetto di norme legislative o regolamentari circa la condizione, il trattamento, la tutela di natura giuridica, economica, previdenziale, sanitaria, culturale e morale dei militari;

   il Governo, in sede di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, recante «proroga e definizione di termini. Proroga del termine per l'esercizio di deleghe legislative» (legge 27 febbraio 2017, n. 19), con l'articolo 8, commi 5-bis e 5-ter, ha prorogato di un ulteriore anno il mandato della rappresentanza militare, rinviando conseguentemente l'elezione per il rinnovo dei delegati del personale delle Forze armate e dei corpi di polizia ad ordinamento militare;

   tale proroga era già avvenuta nel 2016, per cui il mandato dell'attuale rappresentanza è stato prorogato per il 50 per cento del tempo in più rispetto al periodo di mandato previsto dalla legge;

   un articolo giornalistico di «Agenparl.com» del 4 ottobre 2017 dal titolo «i lobbisti dell'Arma» divulga e riproduce il testo di una registrazione audio fonica avvenuta durante una riunione della Rappresentanza militare con cui un appuntato dei carabinieri afferma, rivolgendosi presumibilmente al generale Gerometta, (già capo del Cocer interforze e direttore generale del personale militare) come sarebbe stato strumentalizzato l'operato del Cocer Carabinieri (che avrebbe goduto della proroga sopra citata) al fine di far appoggiare le richieste dei vertici militari in merito al provvedimento presentato al Parlamento sul riordino delle carriere (che ha prodotto 12.000 dirigenti in più nelle Forze armate) e poter ottenere maggiori risorse, nonché per divulgare comunicati stampa che potessero in qualche modo «salvaguardare» l'immagine dell'Arma dei carabinieri che in quel periodo si vedeva costretta a fare i conti con l'indagine a carico del suo comandante, il Generale Tullio Del Sette, e di altri appartenenti all'Arma nell'ormai noto «caso CONSIP»;

   presso l'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, dal 10 marzo 2017, è in funzione il «Registro dei soggetti che svolgono attività di rappresentanza di interessi» che stabilisce che per attività di rappresentanza di interessi si intende «ogni attività svolta nelle sedi della Camera dei deputati professionalmente» attraverso «proposte, richieste, suggerimenti, studi, ricerche, analisi e qualsiasi altra iniziativa o comunicazione orale e scritta, intesa a perseguire interessi leciti propri o di terzi nei confronti dei membri della Camera dei deputati»;

   il regolamento precisa che «non costituiscono attività di rappresentanza di interessi le dichiarazioni rese e il materiale depositato nel corso di audizioni dinanzi alle commissioni e ai comitati parlamentari». Quindi, escludendo la sola convocazione del Cocer per l'audizione da parte della commissione difesa della Camera sullo schema di decreto in merito al riordino delle carriere, il resto, l'attività di «andare a parlare con dei parlamentari» per «reperire risorse», «sposando la tesi del riordino» a cui fa espresso riferimento il delegato del Cocer nel corso del suo intervento potrebbe configurarsi come un'attività di «lobbying»;

   il regolamento di attuazione della rappresentanza militare, all'articolo 12, prevede che ai delegati è vietato avere rapporti di qualsiasi genere con organismi estranei alle forze armate, salvo quanto disposto dalla legge n. 382 del 1978 (lettera c)), nonché assumere iniziative che possano infirmare l'assoluta estraneità delle forze armate alle competizioni politiche (lettera f)); l'inosservanza di tali disposizioni è considerata a tutti gli effetti grave mancanza disciplinare –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere per evitare situazioni come quella descritta affinché l'attività di rappresentanza dei militari svolta dai Cocer avvenga in modo indipendente, autonomo e in sintonia con gli indirizzi previsti dalla normativa vigente;

   se si intenda favorire l'avvio di una indagine ministeriale interna al fine di accertare eventuali responsabilità nei confronti di chi abbia favorito tali comportamenti ad avviso degli interroganti poco consoni al decoro ed all'immagine dell'Arma dei carabinieri.
(4-18122)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, BUSINAROLO e FANTINATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   da fonti di stampa si apprende che: «è previsto il dimezzamento della produzione dell'Euro nello stabilimento di Fabriano delle Cartiere del gruppo Fedrigoni, a seguito della scelta della BCE di riposizionare il 50 per cento della produzione stessa in una cartiera francese che provocherebbe ulteriori esuberi»;

   si ricorda che Fabriano ricade all'interno del cosiddetto «cratere» del sisma 2016 che ha colpito il Centro Italia. Inoltre, i dati della disoccupazione del comprensorio Fabrianesi hanno toccato quota 5.025 disoccupati, 2.794 donne e 2.231 uomini in cerca di lavoro su una popolazione residente di 31.200 abitanti;

   considerando la popolazione attiva, fra i 14 e i 65 anni, la percentuale di disoccupati sfiora il 30 per cento, se, si aggiungono i lavoratori in mobilità, tale percentuale sfiora la soglia dei 6 mila iscritti al centro per l'impiego. Considerando il comprensorio fabrianese (Cerreto d'Esi, Genga, Sassoferrato e Serra San Quirico), si sale a 8.288 disoccupati (dati di marzo 2017) –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti, dei motivi e dei presupposti giuridici di tale scelta da parte della BCE nonché delle modalità di attivazione delle procedure di appalto riguardanti la predetta fornitura e le precedenti forniture;

   quali iniziative intendano mettere in campo per arginare il problema dei potenziali esuberi di cui in premessa.
(3-03298)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   SIBILIA e D'INCÀ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'interrogazione n. 5-12179 ad iniziativa dei deputati Sibilia e D'Incà riguardava le intercettazioni acquisite dalla procura di Roma relative a:

    a) presunte irregolarità oggetto di disquisizione tra l'avvocato Massimo Malvestio e Massimo Lembo, dirigente di Veneto Banca, connesse ad un'operazione finanziaria da 400 milioni di euro posta in essere dalla Banca popolare di Vicenza che ha finanziato la società «Optimum» di diritto lussemburghese, affinché questa sottoscrivesse azioni della medesima banca, intestando formalmente le stesse a fondi amministrati da una consociata nell'isola di Malta;

    b) dichiarazioni dell'avvocato Malvestio, in base alle quali la suddetta operazione è stata proposta anche a Veneto Banca e che gli è stato riferito che l'operazione avesse «l'appoggio della Vigilanza»; in tale ambito lo stesso Malvestio ha dichiarato che il rifiuto di Veneto Banca nel porre in essere l'operazione descritta «(...) sia stato all'origine dei guai con il dottor Barbagallo»;

   in sede di risposta all'interrogazione citata il rappresentante del Governo rispondeva esclusivamente alla questione di cui al punto a); per tal motivo appare necessaria l'integrazione della risposta relativamente al punto b);

   quanto dichiarato dall'avvocato Malvestio – qualora dovesse essere confermato, ivi compreso il riferimento al dottor Barbagallo, capo del dipartimento di vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia – rappresenterebbe, ad avviso degli interroganti, non solo una grave violazione delle disposizioni normative di settore, ma altresì una non corretta gestione dei compiti di vigilanza attribuiti alla Banca d'Italia da parte dei propri esponenti, con gravi conseguenze sulla stabilità e sull'efficienza del sistema bancario e finanziario –:

   qualora dovesse essere confermata l'eventuale interferenza, così come dichiarato dall'avvocato Malvestio, del capo del dipartimento di vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia, dottor Carmelo Barbagallo, nei confronti di Veneto Banca, determinandone l'instabilità economica-finanziaria, se non si intendano avviare le procedure per la revoca del Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ai sensi del comma 8 dell'articolo 19 della legge n. 262 del 2005.
(5-12428)


   MENORELLO e GEBHARD. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge n. 99 del 2017 i crediti deteriorati delle banche venete, quantificati dalla Banca Italia in «9,9 miliardi di valore netto contabile, 17,8 di valore lordo» (relazione luglio 2017), avrebbero dovuto essere ceduti dai liquidatori alla Società di gestione delle attività spa (Sga);

   secondo tale fonte di Banca Italia, «l'evidenza empirica indica che la percentuale di valore dei crediti deteriorati che può essere recuperata mediante un approccio “paziente” è molto più elevata di quanto possa essere ottenuto cedendo questi attivi pro soluto sul mercato e di quanto stimato (18 per cento in via provvisoria e 22 per cento in via definitiva) nel caso della risoluzione delle quattro banche avvenute nel novembre 2015»;

   la possibilità di «personalizzare» sui singoli debitori, specie imprenditoriali, una definizione dei non performing loans (npl) è condizione irrinunciabile per non compromettere ulteriormente l'economia veneta;

   Banca Italia afferma che «SGA è attrezzata per attuare tale approccio “paziente”», ma le categorie economiche venete e qualificati operatori di settore denunciano importanti criticità proprio nella capacità di rinegoziazione e gestione dei crediti deteriorati veneti, che impedisce a migliaia di aziende di accedere al circuito del credito, bloccando la relativa operatività aziendale;

   nel corso dell’«Npl meeting» svoltosi a Venezia il 16 settembre 2017 è stata denunciata «una gestione da puro recupero» dei crediti deteriorati, stigmatizzando la situazione di 8 miliardi di euro di crediti «incagliati» di Veneto Banca e Bpvi «rimasti nel limbo tra la liquidazione coatta amministrativa e il mancato trasferimento alla SGA»;

   alcune fonti affermano, in particolare, che i decreti del Ministero dell'economia e delle finanze di avvio delle liquidazioni non sarebbero stati ancora pubblicati e, soprattutto, che Sga non avrebbe le necessarie autorizzazioni bancarie per poter effettivamente proporre e disporre la riconfigurazione dei crediti deteriorati ad essa ceduti, al fine di far tornare in bonis i debitori, potendo attuare solo una mera azione di recupero legale;

   tale situazione causa un impatto sensibilmente grave nell'economia veneta e compromette le previsioni di recupero prospettate alla presentazione del decreto-legge n. 99 del 2017 –:

   se – nel quadro delle iniziative da esplicitare per garantire quell’«approccio paziente» sui non performing loans essenziale per non danneggiare ulteriormente l'economia veneta e, contemporaneamente, ottenere la percentuale di recupero dell'investimento pubblico stimata dal decreto-legge n. 99 del 2017 – risulti che i crediti deteriorati delle banche venete siano effettivamente stati trasferiti alla Sga e se la stessa abbia le necessarie autorizzazioni bancarie per rinegoziare i singoli crediti deteriorati, al fine di modularli considerando la specificità di ciascun debitore.
(5-12429)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi la Banca centrale europea ha adottato nuove linee guida per indurre gli istituti di credito ad applicare politiche più rigide per la gestione e gli accantonamenti dei crediti in sofferenza (cosiddetta Npl), prevedendo, in particolare, che tutti quelli assistiti da garanzie debbano essere svalutati al cento per cento al settimo anno dalla loro classificazione a credito deteriorato, termine ridotto a due anni, invece, per quelli non garantiti (cosiddette sofferenze unsecured);

   pur trattandosi di raccomandazioni non strettamente vincolanti, per i destinatari costituiscono comunque un'indicazione abbastanza stringente, poiché assottigliano il margine della discrezionalità esercitata nel gestire i crediti deteriorati; inoltre, per quegli istituti di credito che non le applicheranno è previsto l'obbligo di fornire, in sede di ispezione da parte dell'organo di controllo, adeguate motivazioni per giustificare lo scostamento dal comportamento suggerito;

   si tratta di una politica che verrà implementata in modo graduale, poiché prevede che le soglie siano applicabili ai soli crediti di nuova classificazione «deteriorati», che matureranno a partire dal 2018, anche se di fatto imporrà alle banche destinatarie una revisione delle politiche sugli accantonamenti già nel breve periodo; inoltre è contenuta in un addendumAddendum to the ECB Guidance to banks on nonperforming loans») che sarà oggetto di consultazione da parte degli operatori del settore fino al mese di dicembre;

   la svalutazione integrale rappresenta una pericolosa opportunità per il mercato secondario degli Npl (cosiddetti marketplace), dal momento che rende meno onerosa la loro cessione massiva ai fondi speculativi a fronte di un pesante impatto sui bilanci delle banche cedenti, ma soprattutto di un depauperamento di gran parte della ricchezza nazionale accantonata nel tempo da famiglie ed imprese;

   nel corso di un'esternazione rilasciata nei giorni scorsi alla stampa, a margine dell'Eurogruppo a Lussemburgo, il Ministro interrogato, con riferimento alle suddette linee guida, ha espresso, testualmente, «forti perplessità sui modi e sui contenuti», uniformandosi ai giudizi di un largo schieramento che va dal presidente dell'Abi a Confindustria e ai sindacati bancari –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare per impedire l'adozione di misure tanto dannose per il sistema bancario, per l'economia e per le famiglie italiane.
(5-12430)


   SOTTANELLI e ZANETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   in occasione dell'esame del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, recante disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili, fu introdotto per i soggetti passivi Iva, l'obbligo di trasmettere telematicamente all'Agenzia delle entrate, con cadenza trimestrale, i dati di tutte le fatture emesse e ricevute concernenti operazioni rilevanti ai fini Iva;

   nella relazione tecnica venivano previsti significativi incassi aggiuntivi per lo Stato, grazie a maggiori introiti da lotta all'evasione per il recupero dell'Iva;

   la relazione tecnica afferma che tale strategia è fondata su una più efficiente e tempestiva trasmissione delle informazioni e costituisce un deterrente per contrastare sia il fenomeno degli omessi versamenti (gap Iva stimato: 8 miliardi di euro), sia l'evasione senza consenso e le frodi (gap Iva stimato: 17 miliardi di euro);

   in particolare la relazione tecnica considerava che l'effetto deterrente si sarebbe esplicato per due trimestri nel 2017, mentre dal 2018 si sarebbe avuto un recupero su base annua, quantificando ai fini di copertura del provvedimento un maggiore gettito (IVA + imposte dirette) derivante dalla trasmissione telematica trimestrale delle fatture, pari a 1,32 miliardi di euro nel 2017 e a 2,64 miliardi di euro dal 2018;

   a causa di una serie di evidenti lacune gestionali da parte dell'Agenzia delle entrate e della Sogei, non ultima quella recente legata alla privacy, l'adempimento è stato più volte differito e ora è previsto il 16 ottobre 2017 come termine per il primo invio dei dati dai contribuenti all'Agenzia;

   è evidente che lo slittamento dell'invio dei dati relativi ai primi trimestri del 2017 influisce sulla possibilità dell'Agenzia delle entrate di utilizzarli con tempestività per ottenere gli obiettivi di incasso stimati, quanto meno per il corrente anno 2017 –:

   se trovi conferma il fatto che non avrà luogo il maggiore incasso di 1,32 miliardi di euro nel 2017 stimato nella relazione tecnica e considerato per la copertura finanziaria della manovra 2016 con bollinatura della ragioneria di Stato, o, in subordine, quanto di quella somma 1,32 miliardi di euro si ritenga di poter comunque incassare nel 2017, applicando lo stesso modello di stima, ma aggiornandolo con le nuove scadenze ritardate di invio dei dati su cui le stime di recupero si basavano.
(5-12431)


   MORETTO, PELILLO e LATTUCA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 7 della direttiva 2003/96/CE del Consiglio dell'Unione europea in materia di tassazione dei prodotti energetici, stabilisce livelli minimi di tassazione da applicare ai carburanti per motori;

   secondo il paragrafo 2 del medesimo articolo 7 gli Stati membri possano distinguere tra uso commerciale e non commerciale del gasolio utilizzato come propellente, purché siano rispettati i livelli minimi comunitari;

   lo stesso articolo 7 definisce commerciale il gasolio utilizzato, per il trasporto di merci effettuato con un autoveicolo con peso pari o superiore a 7,5 tonnellate e per il trasporto regolare o occasionale di passeggeri, effettuato con un autoveicolo delle categorie M2 o M3, quali definite dalla direttiva 70/156/CEE del Consiglio, del 6 febbraio 1970;

   il decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 26, di attuazione della citata direttiva 2003/96/CE, ha previsto, all'articolo 6, comma 1, l'incremento dell'aliquota di accisa sul gasolio usato come carburante e contemporaneamente, al comma 2, il rimborso del maggior onere conseguente alla disposizione di cui al comma 1, solo per alcune categorie interessate escludendo di fatto il settore del noleggio autobus con conducente dal beneficio del rimborso delle accise;

   la direzione fiscalità e unione doganale della Commissione europea ha fornito chiarimenti in merito ai criteri di applicazione dell'articolo 7 della direttiva 2003/96/CE, che non prevede la possibilità di una definizione nazionale diversa e più restrittiva del gasolio commerciale;

   secondo la Commissione europea una volta che uno Stato membro si avvale della possibilità di applicare un'aliquota di accisa ridotta per il gasolio commerciale, non può poi restringere il campo di applicazione del beneficio escludendo taluni settori di attività tra quelli menzionati dall'articolo 7 della direttiva;

   alla luce del parere della Commissione europea, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli sarebbe tenuta al rimborso delle accise anche in relazione ai consumi di gasolio effettuati per l'attività di noleggio autobus con conducente dal 1° aprile 2012, poiché l'Italia ha recepito in modo difforme la direttiva 2003/96/CE –:

   se non ritenga utile convocare tutte le associazioni del settore per concertare le soluzioni del caso, evitando inutili e dannosi contenziosi, nonché promuovere le iniziative amministrative e normative necessarie per il rimborso dell'accisa, che coinvolgerebbe circa 40.000 imprese del settore del noleggio autobus con conducente, individuando le risorse economiche per farvi fronte.
(5-12432)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CULOTTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge n. 201 del 2011 ha previsto l'introduzione anticipata dell'Imu al 2012, riservando allo Stato una «quota di imposta pari alla metà dell'importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell'abitazione principale e delle relative pertinenze di cui al comma 7, nonché dei fabbricati rurali ad uso strumentale di cui al comma 8, l'aliquota di base di cui al comma 6, primo periodo (7,6 per mille)»;

   il predetto decreto ha inoltre previsto che la quota di imposta di competenza statale fosse versata contestualmente all'imposta municipale propria e che al comune spettino anche le attività di accertamento e riscossione dell'imposta erariale, nonché «le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette attività a titolo di imposta, interessi e sanzioni»;

   il 2012 rappresenta pertanto il primo anno di applicazione della nuova Imu con un particolare meccanismo di ripartizione tra quota comunale e statale;

   i comuni sono attualmente impegnati nell'attività di controllo dei versamenti effettuati dai contribuenti, attività che deve concludersi entro il 31 dicembre di quest'anno;

   la stampa specializzata degli ultimi giorni ha sottolineato la presenza di numerosi errori nel caricamento del versamento da parte di poste e banche (errori nella digitazione del codice tributo ovvero del codice catastale) che spesso non consentono al comune di competenza di avere contezza del versamento effettuato dal contribuente;

   l'effetto dell'errore nel versamento comporterà non solo l'emissione di avvisi di accertamento infondati (ai quali dovrà seguire l'annullamento), ma potrebbe falsare i dati degli incassi di ogni comune validi ai fini del calcolo dei trasferimenti statali;

   l'AgID ha introdotto il sistema PagoPA che certamente non comporterà gli inconvenienti sopra descritti, ma che ha ancora bisogno di qualche tempo per entrare a pieno regime –:

   se il Governo sia a conoscenza della circostanza di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per facilitare l'attività di accertamento comunale e di rettifica dei modelli F24 erronei da parte dei contribuenti.
(5-12421)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 183 del 8 agosto 2015, a far data 9 agosto 2015 sono stati interrotti i termini per presentare domanda di agevolazione per l'autoimpiego (prestito d'onore e microimpresa), misura disciplinata dal titolo II del decreto legislativo n. 185 del 2000, che prevede contributi a favore di piccole iniziative imprenditoriali;

   la motivazione della chiusura dello sportello è stata determinata «dall'esaurimento delle risorse disponibili», ragion per cui migliaia di potenziali beneficiari che avevano presentato domanda nei mesi precedenti hanno ricevuto apposita comunicazione dal soggetto attuatore «Invitalia»;

   il 1° maggio 2016 il Cipe ha assegnato 40 milioni di euro per il rifinanziamento dell'autoimpiego, a valere sul fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2014-2020;

   l'importo, per come si legge dal portale di Invitalia, «sarà utilizzato per riavviare l’iter di valutazione delle oltre 3.000 domande di finanziamento rimaste senza copertura»;

   successivamente alla delibera del Cipe i potenziali beneficiari hanno ricevuto nuova comunicazione da parte di Invitalia, con la quale si fa riferimento «al riavvio dell’iter di valutazione»;

   da settembre 2016 sono ripresi i colloqui di valutazione, che si sono protratti per un paio di mesi circa –:

   quante delle oltre 3.000 domande risultino, a tutt'oggi, prive di provvedimento di accoglimento o rigetto da parte di Invitalia;

   quale cifra sia stata utilizzata dei 40 milioni di euro stanziati dal Cipe;

   quali iniziative il Governo abbia intrapreso affinché tutti i potenziali beneficiari ottengano un esito, positivo o negativo che sia.
(4-18111)


   CATALANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in Gazzetta Ufficiale 5a serie speciale – contratti pubblici n. 109 – del 16 settembre 2015 è stato pubblicato l'avviso di aggiudicazione di un appalto bandito da Poste Italiane per l'ammontare di circa 30 milioni di euro, avente ad oggetto la gestione, la conduzione e la manutenzione del complesso immobiliare Roma Eur e dell'immobile sede della presidenza di via dei Crociferi;

   l'operatore economico in favore del quale è stata adottata la decisione di aggiudicazione dell'appalto è risultato un raggruppamento temporaneo di imprese, avente come indirizzo postale la città di Firenze, e del quale fanno parte le società Sof Spa, Rublan Costruzioni srl, Ph Facility srl e TM. A. Ambiente srl;

   alla data di pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione, non era ancora stato firmato il protocollo di vigilanza collaborativa tra Poste Italiane e Anac, datato 21 aprile 2016;

   a soli tre mesi dalla pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione, in data 15 dicembre 2015 la TM. A. Ambiente s.r.l. ha presentato domanda di concordato preventivo presso il tribunale de La Spezia, che in data 12 ottobre 2016 ne ha sentenziato il fallimento;

   in data 14 aprile 2016 gli agenti della polizia locale X gruppo mare ufficio di polizia giudiziaria hanno perquisito 5 proprietà della società Rublan Costruzioni srl, provvedendo a sequestrare materiale cartaceo, pc e hard disk;

   tali atti si inseriscono nell'alveo di un'indagine, avviata dal citato gruppo di polizia locale, per abbandono di cantiere, grave pericolo per i cittadini e alcuni reati urbanistici, in relazione alla realizzazione di un complesso residenziale di circa 8 ettari in zona Casal Bernocchi, oggetto di sequestro in data 10 marzo 2016;

   a quanto risulta dalla stampa (Il Tempo, 11 marzo 2016), fra i reati ipotizzati vi sarebbe anche quello di truffa a danno del comune di Roma –:

   di quali notizie sia in possesso il Governo in relazione a quanto esposto in premessa;

   se non ritenga di acquisire, per quanto di competenza, informazioni dettagliate sulla procedura di aggiudicazione indicata in premessa;

   se risulti al Governo che le attività oggetto dell'appalto siano state e siano in corso di corretta realizzazione.
(4-18113)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

II Commissione:


   FERRARESI e TRIPIEDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il primo firmatario del presente atto da tempo segue e denuncia, insieme al suo gruppo parlamentare, il grave problema del bracconaggio sul fiume Po e sui suoi immissari e, a sua prima firma, ha depositato gli atti parlamentari n. 5-06210 e n. 5-05053;

   gli articoli 39 e 40 della legge n. 154 del 2016, stabiliscono i divieti, le contravvenzioni, le pene detentive e le misure per il contrasto del bracconaggio ittico nelle acque interne e marine;

   spiace constatare che anche dopo l'entrata in vigore della sopraindicata legge, il problema della pesca di frodo non si sia risolto. Le bande di bracconieri, ben identificabili dato che hanno sedi precise ove stoccano il loro pescato abusivo ma anche quando svolgono le loro azioni sui fiumi, continuano praticamente indisturbate a svolgere le loro operazioni di pesca fraudolenta. Dopo avere completamente ripulito la fauna ittica del delta del Po, stanno lentamente risalendo il fiume alla ricerca di nuovo pescato;

   a giudizio degli interroganti, per fermare definitivamente i bracconieri che agiscono sul fiume Po e sui suoi immissari, sarebbe necessario aumentare in maniera considerevole le unità di forze dell'ordine operanti in loco accompagnandole ad operazioni di coordinamento tra loro ed inasprendo le contravvenzioni e le pene previste nelle suindicate norme vigenti –:

   a circa un anno dall'entrata in vigore degli articoli 39 e 40 della legge n. 154 del 2016, di quali elementi disponga il Governo circa la cifra totale relativa alle sanzioni pecuniarie applicate, la cifra totale effettivamente riscossa dai trasgressori, il numero degli arresti effettuati e dei procedimenti penali avviati per i reati legati alla pesca di frodo nelle acque interne e, nel dettaglio, sul fiume Po e sui suoi immissari.
(5-12433)


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il comune di Cantù è stato sede di pretura prima e sezione distaccata poi, del tribunale di Como fino al 2015;

   la sezione distaccata di Cantù è stata soppressa, come tutte le 220 sezioni distaccate di tribunale, ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, dal Governo Monti;

   il comune di Cantù ha anticipato per conto dello Stato le spese di funzionamento della sezione distaccata del tribunale come previsto dalla legge 24 aprile 1941, n. 392;

   la legge di stabilità del 2015 (commi 526-530, dell'articolo 1, della legge 23 dicembre 2014, n. 190) ha radicalmente modificato la questione attribuendo dal 1° settembre 2015 gli oneri in carico al Ministero della giustizia;

   il comune di Cantù ha, quindi, anticipato fino alla modifica anzidetta le spese di funzionamento e risulta, pertanto, essere creditore nei confronti dello Stato di ben 874.463,80 euro;

   in base al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 marzo 2017, tabella D, verrebbero riconosciuti solo 89.449,07 euro, un rimborso pari al 10,23 per cento di quanto speso, e rimarrebbero pertanto a carico del comune di Cantù ben 785.014,73 euro;

   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola inoltre ha stabilito che la somma verrà corrisposta in rate trentennali a decorrere dal 2017 e fino al 2046;

   di recente si è espresso il Tar del Lazio in ordine al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola (ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017), e alla nota del Ministero della giustizia 10 agosto 2017 prot. 151185.U, con specifico riferimento alla questione (termine ultimativo e «perentorio» per presentare la documentazione ai fini di ottenere il rimborso, adeguatezza dei rimborsi riconosciuti e congruità della rateizzazione trentennale), accogliendo l'istanza cautelare in relazione al fatto che la disposizione è lesiva del diritto di difesa e ritenendola pertanto illegittima;

   appare quindi opportuno assumere iniziative volte a recepire quanto stabilito dal Tar del Lazio con l'ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017, eliminando ogni indicazione che si riferisca al termine perentorio del 30 settembre, ai fini della presentazione da parte dei comuni della documentazione per ottenere il rimborso –:

   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per procedere alla refusione totale delle spese sostenute fino al 2015 dai comuni sede di uffici giudiziari, e nello specifico dal comune di Cantù, nonché a provvedere, per quanto di competenza, a rimodulare la rateizzazione del rimborso affinché lo stesso sia contenuto e comunque non superiore a 5 anni.
(5-12434)


   CHIARELLI e MARGUERETTAZ. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la legge sulla concorrenza 4 agosto 2017, n. 124, all'articolo 1, comma 144, estende l'ambito territoriale nel quale il notaio può esercitare le proprie funzioni;

   le funzioni, infatti, potranno essere svolte in tutto il territorio della regione in cui si trova la sede notarile nonché nel territorio del distretto di corte d'appello se questo comprende più regioni e analogo criterio, della regione o della corte d'appello, si applica al notaio che intenda aprire una sede secondaria;

   con l'ultima modifica della geografia giudiziaria relativa ai distretti delle corti d'appello, ora la Valle d'Aosta è ricompresa nel distretto della corte d'appello di Torino, ciò comporta che un notaio con sede in Piemonte potrà aprire un ufficio secondario in Valle d'Aosta, in virtù della legge sulla concorrenza, che ha anche notevolmente aumentato le sedi notarili, con il nuovo requisito di una sede ogni 5.000 abitanti, in luogo dei precedenti 7.000;

   è utile ribadire che in Valle d'Aosta è necessaria la conoscenza della lingua francese per poter ottenere l'assegnazione di una sede notarile, a norma del decreto legislativo 22 maggio 2001, n. 263, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d'Aosta in materia di accertamento della conoscenza della lingua francese per l'assegnazione di sedi notarili»;

   in base alla norma appena richiamata, di rango costituzionale, dunque anche i notai piemontesi devono esercitare le proprie funzioni in francese qualora decidano di aprire un ufficio secondario nel territorio della Valle d'Aosta e la conoscenza linguistica deve essere accertata da un'apposita commissione alla quale partecipa anche un rappresentante del Ministero della giustizia, a norma di legge –:

   se intenda assumere iniziative, anche normative, per chiarire che i notai piemontesi che intendano aprire uffici secondari nel territorio della Valle d'Aosta in virtù dell'articolo 1, comma 144, della legge 4 agosto 2017, n. 124, debbano avere la piena conoscenza della lingua francese ai sensi della norma di attuazione dello statuto speciale della Valle d'Aosta di cui al decreto legislativo 22 maggio 2001, n. 263.
(5-12435)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIMONETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   appare all'interrogante oltremodo assurda la comunicazione del Ministero della giustizia del 18 agosto 2017 prot. 0035462 in riferimento ai contributi da versare agli enti pubblici che sino al 2015 sono stati sede di uffici giudiziari, con riguardo alla decisione di corrispondere solo una parte della somma (pari ad una cifra molto modesta) e peraltro in rate trentennali a partire dal 2017 con termine 2046;

   nello specifico, si fa riferimento ai comuni di Borgomanero, Domodossola, Bra e Varallo a cui verrebbero riconosciuti, rispettivamente, solo per 52.576,30, per 63.991,34, per 50.052,43 e 31.225,44, e pertanto la maggior parte della somma rimarrebbe a carico dei comuni medesimi;

   i predetti comuni hanno anticipato per conto dello Stato – ai sensi della legge n. 392 del 1941 – le spese di funzionamento degli uffici giudiziari soppressi, per gli effetti del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, dal Governo Monti;

   la vicenda dei rimborsi delle spese sostenute per il funzionamento degli uffici giudiziari, come nel caso dei citati comuni di Borgomanero, Domodossola, Bra e Varallo, è stata regolata da ultimo dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2017 (in Gazzetta Ufficiale n. 123 del 29 maggio 2017), e dalla relativa nota del Ministero della giustizia del 10 agosto 2017 prot. 151185.U;

   ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato, si subordina il riconoscimento e la corresponsione delle somme stabilite dalla tabella allegata a detto decreto (e comunque a parziale copertura delle spese sostenute), alla presentazione da parte dell'amministrazione comunale di un formale atto di rinuncia alle azioni pendenti, nonché alle eventuali procedure esecutive relative a titoli di pagamento, ovvero di formale dichiarazione di inesistenza di giudizi o procedure esecutive pendenti;

   la nota del Ministero della giustizia (10 agosto 2017 prot. 151185.U) invita a presentare la documentazione per ottenere il rimborso entro e non oltre il 30 settembre 2017, termine ultimativo e «perentorio» non previsto né dalla norma primaria (commi 433, 438 e 439 dell'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232) né dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola, e pertanto, secondo l'interrogante, non può che esser inteso come termine arbitrario e privo di ogni pregio giuridico;

   di recente, si è espresso il Tar Lazio in ordine al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola (ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017), e alla nota del Ministero 10 agosto 2017 prot. 151185.U, con specifico riferimento alla questione (termine ultimativo e «perentorio» per presentare la documentazione ai fini di ottenere il rimborso, adeguatezza dei rimborsi riconosciuti e congruità della rateizzazione trentennale), accogliendo l'istanza cautelare in relazione al fatto che la disposizione è lesiva del diritto di difesa e ritenendola pertanto illegittima –:

   se il Ministero non intenda assumere iniziative per procedere alla refusione totale delle spese sostenute fino al 2015 dai comuni sede di uffici giudiziari, e nello specifico dai comuni di Borgomanero, Domodossola, Bra e Varallo, nonché provvedere, per quanto di competenza, a rimodulare la rateizzazione del rimborso affinché lo stesso sia contenuto e comunque non superiore a 5 anni;

   se intenda assumere iniziative, anche mediante un'apposita nota, che recepiscano quanto stabilito dal Tar Lazio con l'ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017, eliminando ogni indicazione che si riferisca al termine perentorio del 30 settembre 2017, ai fini della presentazione da parte dei comuni della documentazione per ottenere il rimborso.
(4-18102)


   SALTAMARTINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   appare all'interrogante oltremodo assurda la comunicazione del Ministero della giustizia del 18 agosto 2017 prot. 0035462 in riferimento ai contributi da versare agli enti pubblici che sino al 2015 sono stati sede di uffici giudiziari, con riguardo alla decisione di corrispondere solo una parte della somma (pari ad una cifra molto modesta) e peraltro in rate trentennali a partire dal 2017 con termine 2046;

   nello specifico, si fa riferimento alle somme a titolo di rimborso riconosciute ai seguenti comuni laziali: 96.646,77 euro ad Anagni; 177.872,85 euro a Bracciano; 123.338,35 euro a Fiumicino; 112.975,79 euro a Gaeta; 39.096,23 euro a Poggio Mirteto; 148.994,67 euro a Terracina; 286.691,07 euro ad Albano Laziale; 66.450,20 euro ad Anzio; 48.556,55 euro a Civita Castellana; 158.291,85 euro a Frascati; 27.795,42 euro a Palestrina; 66.229,91 euro a Sora;

   i predetti comuni hanno anticipato per conto dello Stato – ai sensi della legge n. 392 del 1941 – le spese di funzionamento degli uffici giudiziari soppressi, per gli effetti del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, dal Governo Monti;

   la vicenda dei rimborsi delle spese sostenute per il funzionamento degli uffici giudiziari, come nel caso dei sopracitati comuni è stata regolata da ultimo dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2017 (in Gazzetta Ufficiale n. 123 del 29 maggio 2017), e dalla relativa nota del Ministero della giustizia del 10 agosto 2017 prot. 151185.U;

   ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato, si subordina il riconoscimento e la corresponsione delle somme stabilite dalla tabella allegata a detto decreto (e comunque a parziale copertura delle spese sostenute), alla presentazione da parte dell'amministrazione comunale di un formale atto di rinuncia alle azioni pendenti, nonché alle eventuali procedure esecutive relative a titoli di pagamento, ovvero di formale dichiarazione di inesistenza di giudizi o procedure esecutive pendenti;

   la nota del Ministero della giustizia (10 agosto 2017 prot. 151185.U) invita a presentare la documentazione per ottenere il rimborso entro e non oltre il 30 settembre 2017, termine ultimativo e «perentorio» non previsto né dalla norma primaria (commi 433, 438 e 439, dell'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232) né dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola, e pertanto non può che esser inteso, secondo l'interrogante, come termine arbitrario e privo di ogni pregio giuridico;

   di recente, si è espresso il Tar del Lazio in ordine al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola (ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017), e alla nota del Ministero 10 agosto 2017 prot. 151185.U, con specifico riferimento alla questione (termine ultimativo e «perentorio» per presentare la documentazione ai fini di ottenere il rimborso, adeguatezza dei rimborsi riconosciuti e congruità della rateizzazione trentennale), accogliendo l'istanza cautelare in relazione al fatto che la disposizione è lesiva del diritto di difesa e ritenendola pertanto illegittima –:

   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per procedere alla refusione totale delle spese sostenute fino al 2015 dai comuni sede di uffici giudiziari, e nello specifico ai comuni sopracitati, nonché provvedere, per quanto di competenza, a rimodulare la rateizzazione del rimborso affinché lo stesso sia contenuto e comunque non superiore a 5 anni;

   se intenda assumere iniziative, anche mediante un'apposita nota, che recepiscano quanto stabilito dal Tar Lazio con l'ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017, eliminando ogni indicazione che si riferisca al termine perentorio del 30 settembre 2017, ai fini della presentazione da parte dei comuni della documentazione per ottenere il rimborso.
(4-18103)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   sulla linea ferroviaria Bari-Barletta, nel tratto Andria-Corato, affidata alla gestione della Ferrotramviaria spa, il 12 luglio 2016 avveniva uno scontro frontale tra due convogli che causava 23 morti e 50 feriti, per cui è di tutta evidenza la necessità di accelerare i lavori di adeguamento e messa in sicurezza, ormai in ritardo di anni, su tutta la linea;

   in particolare, la società Ferrotramviaria spa, con nota del 28 giugno 2016 inviata all'interrogante ed in merito all'interramento della linea ferroviaria nell'abitato di Andria, affermava che «il progetto definitivo dell'interramento è stato completato ed è attualmente presso i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'approvazione definitiva. Ottenuta tale approvazione provvederemo, ai sensi di quanto previsto nel nuovo codice degli appalti, alla validazione del progetto e all'avvio delle procedure espropriative. Tutto ciò premesso, Le rappresento che è nostro intendimento avviare le procedure di gara tra ottobre e novembre del 2016»;

   in data 4 maggio 2017, non essendosi concretizzata la predetta previsione di avvio delle procedure di gara, l'interrogante inviava una nota di richiesta di chiarimenti all'azienda rimasta senza risposta;

   con nota del 9 ottobre 2017 la stessa società Ferrotramviaria spa in un nuovo riscontro all'interrogante affermava che «il progetto definitivo dell'intervento è stato trasmesso alla Regione Puglia nello scorso mese di Giugno, ai fini della istruttoria e del procedimento di propria competenza. Il progetto è stato oggetto di revisione alla luce degli aggiornamenti legislativi in materia di appalti pubblici nonché a seguito della emanazione del D.M. Infrastrutture e Trasporti 5/8/2016 e del conseguente passaggio delle ferrovie rientranti nell'ambito di applicazione del decreto legislativo 112/2015 sotto il regime delle direttive e disposizioni ANFS. Il suddetto progetto dovrà essere sottoposto a verifica preliminare da parte di un validatore indipendente di sicurezza accredidato presso ANFS e dovrà quindi essere presentato all'ANFS per i necessari pareri. Superate queste fasi, previa approvazione del Progetto da parte della Regione Puglia, si potrà passare all'avvio delle procedure di gara. Riteniamo che tanto possa aver luogo nel primo semestre del 2018»;

   pare, dai riscontri citati, che nel tempo il procedimento si sia complicato e vi è l'evidenza di un significativo slittamento dell'avvio della gara, tutte situazioni che confliggono con le prese di posizioni e le assicurazioni date ai massimi livelli all'indomani della tragedia ferroviaria –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, siano state eventualmente già intraprese o si intendano intraprendere per consentire la realizzazione dell'interramento ferroviario nell'abitato di Andria.
(4-18116)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   si apprende dagli organi di informazione che, per la 11ma volta, nel corso degli ultimi due mesi la stazione di servizio «Esso» presso il quartiere San Paolo di Bari è stata rapinata;

   un uomo armato e col volto coperto ha minacciato due dipendenti facendosi consegnare parte dell'incasso;

   nei giorni scorsi il sindaco della città, Antonio Decaro, si era recato in visita per esprimere solidarietà agli operatori e per rassicurarli sul fatto che la loro vicenda sarebbe stata oggetto della riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica;

   cresce la preoccupazione tra i lavoratori della stazione di servizio e gli stessi automobilisti;

   si tratta di una vicenda che ha richiamato l'attenzione dei media nazionali –:

   quali iniziative il Ministro intenda assumere con la massima urgenza affinché, nell'ambito del competente Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, vengano rafforzati i dispositivi di sicurezza a protezione della citata stazione di servizio e sia scongiurato il ripetersi di simili episodi.
(5-12422)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   dal 17 aprile 2016, il commissariato di pubblica sicurezza di Caltagirone è precariamente ospitato presso dei locali ricavati in altro stabile a servizio della polizia stradale;

   tale disagio, arrecato per un crollo nei solai del plesso in cui era ospitato, in locazione, il personale di P.S., sembrava aver trovato la giusta soluzione, anche a seguito di altro atto di sindacato ispettivo dell'interrogante, in uno stabile del comune di Caltagirone originariamente destinato ad ospitare richiedenti asilo;

   si assiste, invece, ad un protrarsi dei tempi di consegna dell'immobile di via Santa Maria di Gesù, denominato «Ex Casa delle Fanciulle» per evidenti lungaggini amministrative e burocratiche riconducibili al Ministero dell'interno, in ordine alle lavorazioni specifiche previste per il commissariato di polizia di Stato;

   attualmente, oltre ai locali «prestati» dalla polizia stradale di Caltagirone, gli uomini e le donne del commissariato di polizia svolgono il loro prezioso lavoro, a servizio della cittadinanza, anche attraverso l'utilizzo di un camper posto di fronte al municipio cittadino –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei ritardi nella ultimazione dei lavori relativi al nuovo commissariato di polizia di Caltagirone;

   quali siano i gravi motivi che stanno prolungando i tempi di consegna e quando si preveda di inaugurare il nuovo commissariato di polizia presso lo stabile concesso dal comune di Caltagirone.
(4-18104)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi a Ventimiglia si è verificato l'ennesimo episodio di violenza da parte di migranti ai danni di un cittadino italiano;

   secondo quanto riportato da fonti dei media, tre uomini ubriachi hanno preso a calci e pugni l'auto di Francesco Galluccio, presidente cittadino di Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale;

   secondo quanto denunciato da quest'ultimo l'auto non è stata danneggiata (a parte una riga sulla carrozzeria), ma sullo specchietto lato passeggero dell'auto di Galluccio, c'è una macchia di sangue; uno degli aggressori si sarebbe procurato escoriazioni colpendo l'auto con i pugni;

   dura la denuncia di Francesco Galluccio: «È così ogni giorno. Gli africani, ubriachi, compiono atti vandalici e infastidiscono le persone. (...) È questa l'immagine desolante di una città che sembra andare avanti senza regole e senza alcuna forma di controllo e di governo del territorio»;

   si tratta, a parere dell'interrogante, di un episodio molto grave, l'ultimo di una lunga serie che ha come protagonisti i migranti –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti intenda assumere per fronteggiare questi fenomeni e garantire sicurezza alla comunità di Ventimiglia, anche prevedendo espulsioni immediate per chi commette simili violenze.
(4-18105)


   RICCIATTI, D'ATTORRE, ROBERTA AGOSTINI, QUARANTA, PIRAS, DURANTI, CARLO GALLI, FAVA, ALBINI, MURER, BOSSA, NICCHI, FOSSATI, MELILLA e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il sistema integrato di verifica e controllo massivo delle targhe consentiva alle telecamere, già posizionate sul territorio di numerosi comuni di leggere la targa di una vettura, interrogare la banca dati del sistema centralizzato nazionale targhe e transiti (Scntt), e nel giro di pochissimo tempo, far avere alla centrale operativa, la segnalazione di un mezzo rubato, localizzandone la posizione;

   il sistema Scntt, consentiva di acquisire e distribuire le liste nazionali delle targhe rubate, non revisionate, con il bollo scaduto o prive di assicurazione. Nello specifico, il transito di una targa compresa nella lista di quelle rubate, generava un allarme, che in tempo reale veniva trasmesso agli uffici operativi di competenza, per l'immediata azione di repressione delle forze dell'ordine. Molti comuni nel tempo si sono già dotati di un sistema di videosorveglianza, con centinaia di telecamere, presenti sulle strade più importanti, e all'interno delle città. Il sistema Scntt non aveva fatto altro che collegarle tra loro con un unico sistema centralizzato di immediato controllo; le applicazioni di controllo targhe verificavano in tempo reale se il veicolo risultasse rubato al legittimo proprietario e ne comunicavano il transito e la posizione esatta, dando la possibilità agli agenti di polizia stradale di effettuarne il fermo; questo prezioso servizio, assicurato dai sistemi installati dalle amministrazioni locali, era a beneficio della polizia locale ma anche di polizia di Stato e carabinieri;

   con questi strumenti gli organi di controllo si è riusciti ad abbassare notevolmente la percentuale di evasione degli obblighi più importanti. Infatti, la diminuzione di veicoli circolanti senza copertura assicurativa ha portato alcuni vantaggi in termini di sicurezza. Inoltre, questa pratica ha contribuito anche all'abbassamento delle tariffe da parte delle compagnie assicuratrici per effetto della diminuzione dei falsi risarcimenti;

   mentre è ancora possibile effettuare interrogazioni massive mediante telecamere per il riconoscimento delle targhe per verificare la copertura assicurativa tramite accesso alla banca dati dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA) nonché per la verifica dell'adempimento della revisione del veicolo tramite la banca dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (DTT), da quando il Ministero dell'interno ha recentemente inserito la verifica Capcha anche sulla visura massiva, viene impedito di fatto qualsiasi tipo di controllo automatico sui mezzi rubati, in quanto i programmi di interfaccia si bloccano e non possono più fornire i datti necessari –:

   se non ritenga necessario assumere le iniziative di competenza per ripristinare l'accesso delle polizie locali alle informazioni relative alle targhe dei mezzi rubati al fine di offrire un prezioso strumento per la sicurezza dei cittadini e non esporre gli agenti a rischi evitabili, permettendo così il controllo del flusso massivo del traffico anche ai carabinieri e alla polizia di Stato che si appoggiano alle telecamere fisse e mobili presenti sui territori.
(4-18106)


   MINARDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il sindaco di Pozzallo (Libero consorzio comunale di Ragusa-Sicilia), Roberto Ammatuna, è stato ricevuto il 10 ottobre 2017, alle ore 18,30, dal Ministro interrogato;

   un incontro che arriva dopo la lettera inviata nei giorni scorsi al suddetto Ministro dallo stesso primo cittadino di Pozzallo, nella quale è espresso a chiare lettere il timore che, dietro agli arrivi recenti di migranti sulla costa siciliana, potrebbero nascondersi delinquenti o soggetti appartenenti alla criminalità o, peggio, a cellule jihadiste;

   la situazione, infatti, è precipitata dal 2 febbraio 2017, giorno dell'accordo italo-libico (memorandum di intesa) per fermare l'arrivo dei migranti in Europa che, nel corso dei primi 6 mesi del 2017, ha effettivamente prodotto una drastica riduzione del flusso migratorio dalla Libia verso l'Italia;

   con la stretta sulla direttrice Libia-Lampedusa, però, i cittadini siciliani hanno visto «riattivarsi» rotte oramai in disuso per sbarcare sulle coste italiane e, così come accadeva qualche anno fa, i migranti approdano dalla Tunisia (e anche dall'Algeria) direttamente sulle spiagge italiane, senza soluzione di continuità: nel 2016 dalla Tunisia, dall'inizio dell'anno e fino ad ottobre, erano giunti meno di 600 migranti; oggi si è giunti già ad oltre 2.700 arrivi e gli sbarchi da questa rotta non accennano a fermarsi;

   all'arrivo di piccole imbarcazioni tunisine si aggiunge quello di imbarcazioni provenienti dall'Algeria: circa 1500 persone giunte nel 2017, il doppio rispetto a tutto il 2016;

   si tratta di clandestini che, in fretta e furia, si dileguano e raggiungono la stazione ferroviaria di Agrigento perché consapevoli che, se identificati, sarebbero destinati all'espulsione immediata;

   appare, dunque, doverosa la scelta del Ministro interrogato di ricevere il sindaco per discutere della grave e insostenibile situazione di questi sbarchi, che ha reso di fatto Pozzallo uno dei territori più martoriati d'Italia, vittima di un fenomeno divenuto progressivamente incontrollabile;

   la situazione è precipitata negli ultimi mesi sono rimaste inascoltate innumerevoli iniziative assunte a livello parlamentare dall'interrogante sul tema della sicurezza per gli operatori e i cittadini e per contrastare le possibili infiltrazioni criminali e jihadiste;

   il tutto avviene a discapito del turismo, da sempre fonte primaria di reddito per questi splendidi territori, la maggior parte dei quali sono diventati quartieri ghetto, dove i rischi per l'incolumità e l'emergenza sanitaria mettono a repentaglio la sicurezza, l'ordine pubblico e la salute delle persone e di chi si trova direttamente a contatto con i migranti (Forze dell'Ordine, volontari e sanitari);

   per questo motivo l'interrogante ha anche presentato una proposta di legge (A.C. 4491) per l'istituzione di presidi sanitari specializzati soprattutto presso i porti dell'isola (Pozzallo e Augusta) dove ogni giorno crescono in modo esponenziale gli sbarchi di migranti;

   a tutto ciò va aggiunta anche la delicatissima questione dei minori stranieri non accompagnati –:

   se il Ministro interrogante intenda fare chiarezza sulle iniziative che intende adottare, per quando di competenza, per affrontare la delicata situazione espressa in premessa, non solo con la semplice interlocuzione, ma avviando azioni concrete e mirate, nonché interventi rapidi e risolutivi prima che dall'emergenza sociale si passi ad una situazione di non ritorno, sia per la sicurezza dei cittadini, sia per l'immagine ed il turismo di questi splendidi territori.
(4-18117)


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   circa 8 mesi fa il direttore centrale delle specialità della polizia di Stato, Roberto Sgalla ed il direttore del servizio polizia stradale, Giuseppe Bisogno, elogiavano pubblicamente il lavoro svolto dai poliziotti di Novafeltria negli anni e prospettavano per il presidio un imminente potenziamento;

   ad oggi, il distaccamento conta appena 7 uomini a fronte di un organico previsto (e necessario) di 19 (15 dopo la chiusura notturna serale del presidio). Un calo lento e progressivo che ha visto le unità scendere dalle 15 del 2006 alle 7 di oggi;

   questo avviene nonostante il presidio abbia dimostrato negli anni, sostenuto dalle giuste risorse, la piena efficienza, anche nei periodi di emergenza (si ricordi l'ottimo lavoro svolto durante l'emergenza neve del 2012), risultando un punto di riferimento imprescindibile per la sicurezza stradale della zona;

   negli ultimi mesi, parecchi operatori sono stati trasferiti (causa corsi formativi), altri sono andati in pensione e senza essere sostituiti, l'organico è stato ridotto all'osso, con lo spauracchio della chiusura del presidio all'orizzonte;

   la zona della Valmarecchia, con la sua estensione, non può permettersi di perdere un punto di riferimento per la sicurezza come il presidio della polizia stradale di Novafeltria, visto che ha già perso la guardia di finanza;

   il sindacato autonomo di polizia (Sap) ha denunciato pubblicamente la delicatezza della situazione valligiana, facendo notare anche l'attuale carenza di mezzi a disposizione: gli agenti possono contare solamente su una jeep nuova ed una vecchia per le situazioni di emergenza;

   il Sap ha interessato della questione tutti i sindaci della Valmarecchia e i politici locali, denunciando la grave difficoltà nel garantire gli standard di controllo e sicurezza a queste condizioni;

   l'organico della polizia stradale di Novafeltria dovrebbe poter contare su 19 elementi, proporzionalmente ai chilometri di strada da pattugliare: circa 300 chilometri di strade provinciali, in particolare i 50 chilometri circa della Marecchiese, con oltre 51.500 gli abitanti interessati;

   a giudizio dell'interrogante è inconcepibile questa carenza di organico, considerando anche che le poche pattuglie sopravvissute vengono generalmente usate per il presidio della Riviera e poche volte per il controllo della zona a valle;

   la sicurezza ne risente in tutti i settori perché i pattugliamenti e i servizi di controllo hanno sempre svolto, in passato, il ruolo di deterrenti alla guida spericolata o sotto gli effetti dell'alcool degli automobilisti, così come ai furti e si sono rivelati essenziali durante le emergenze, con un'assistenza impeccabile ai cittadini, a fianco delle altre forze dell'ordine –:

   se il Ministro interrogato non intenda adottare le opportune iniziative per scongiurare la chiusura del presidio della polizia stradale di Novafeltria e l'ulteriore indebolimento delle forze di polizia sul territorio della Valmarecchia;

   quali ulteriori iniziative di competenza intenda adottare per contrastare l'arretramento degli standard minimi di sicurezza e controllo nel valligiano, diretta conseguenza della drastica riduzione di mezzi ed organico a disposizione nell'area avvenuta negli ultimi anni.
(4-18118)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, VACCA e CIPRINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   con il conferimento dell'autonomia alle istituzioni scolastiche (decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999) e la qualifica dirigenziale ai capi di istituto (decreto legislativo n. 59 del 1998), quelli che fino al 2000 erano i presidi sono diventati dirigenti scolastici che, oltre al nome, hanno cambiato anche il ruolo svolto: con direzione di istituzioni molto grandi e l'evidente assunzione di responsabilità e compiti più delicati che in passato;

   a fronte di un aumentato livello di responsabilità, però, non si è assistito ad un aumento della retribuzione economica, né tantomeno ad una equiparazione con le altre figure dirigenziali statali;

   la legge n. 107 del 2015 («buona scuola») ha conferito ancora maggiore spessore alla figura del dirigente scolastico, riconoscendo esplicitamente la necessità di un incremento della retribuzione accessoria (comma 86 dell'articolo 1);

   gli stanziamenti messi a disposizione da tale legge finora, però, risultano essere insufficienti, specie a fronte dell'arretramento economico subito dagli stessi dirigenti a causa della riduzione fondo unico nazionale; un arretramento che potrebbe proseguire dal 1° gennaio 2018 a causa dell'esaurirsi di alcune voci di finanziamento previste;

   il contratto dei dirigenti scolastici – secondo quanto segnalano gli stessi in alcune missive recapitate agli interroganti – è bloccato da otto anni e, vista la rinegoziazione imminente, sarà quanto mai necessaria una revisione della retribuzione economica, equiparandola a quella dei dirigenti della seconda fascia della pubblica amministrazione;

   un dirigente scolastico, infatti, percepisce mediamente 62.890 euro lordi annui, mentre un dirigente di un ente di ricerca e dell'università, appartenente alla stessa area contrattuale, ha una retribuzione compresa tra i 94.000 e i 102.000 euro;

   per i dirigenti scolastici, dal 2001 ad oggi, all'aumentare di carichi e responsabilità gli stipendi sono diminuiti e, a parità di analogo profilo professionale nella pubblica amministrazione le retribuzioni sono pesantemente inferiori –:

   se, in considerazione della situazione esposta in premessa nonché dell'imminente riapertura del tavolo negoziale sui contratti di lavoro dei dirigenti scolastici, il Governo non intenda, già a partire dal prossimo disegno di legge di bilancio, individuare idonee risorse per la piena perequazione tra la dirigenza scolastica e la dirigenza di II fascia della pubblica amministrazione.
(5-12415)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   una parte di un solaio del liceo classico Virgilio, nel centro di Roma, ha ceduto nella tarda mattinata di sabato 7 ottobre 2017 e solo un caso fortuito ha impedito che ci fossero feriti, infatti, sono tre le aule, insieme alla biblioteca e ad un laboratorio, che rimarranno chiuse nei prossimi giorni perché interessate dal crollo;

   a giudizio della preside, il crollo è dipeso dall'incuria. L'edificio è composto da due ali: una antica del 500 che dà su via Giulia e una degli anni ’30 dell'architetto Piacentini che dà sul Lungotevere; ad aver ceduto è una parte delle tegole della copertura del tetto dell'ala antica, che è sprofondata per difetto di manutenzione;

   l'Associazione presidi del Lazio è intervenuta dicendo che il Virgilio aveva già richiesto negli anni di intervenire per consolidare quella parte dell'edificio interessato dal crollo. Avevano inoltrato la domanda prima alla provincia e poi alla città metropolitana senza ottenere risposte. Da mesi l'associazione continua a chiedere uno screening degli istituti cittadini per monitorare il livello di sicurezza che in buona parte sono precedenti agli anni Settanta, quando non addirittura edifici storici, come nel caso del Virgilio;

   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha dichiarato che con riferimento al liceo Virgilio di Roma, secondo quanto risulta dai dati dell'anagrafe ministeriale dell'edilizia scolastica, la città metropolitana di Roma non ha fatto richieste per il finanziamento di interventi strutturali di manutenzione della scuola;

   secondo il Ministero, di Virgilio risulta destinatario di 42.000 euro per l'adeguamento alla normativa antincendio, finanziati attraverso lo sblocco del patto di stabilità; la città metropolitana ha fatto poi domanda per le indagini diagnostiche sui solai, ricevendo 277.000 euro per 32 interventi già finanziati, ma il Virgilio non è indicato come prioritario fra quelle richieste. La città metropolitana di Roma ha infatti candidato 57 scuole e il Virgilio è la cinquantaduesima in graduatoria;

   l'ex provincia, di contro, lamenta i consistenti tagli operati dal Governo; si parla di 300 milioni di euro negli ultimi anni, che ha di fatto indebolito la programmazione di bilancio dell'ente metropolitano, su un settore strategico come la scuola;

   al di là dell'inopportuno «rimpallo» di responsabilità, bisogna ricordare piuttosto che il «piano scuole sicure», varato dal Governo Renzi, aveva stanziato 7 miliardi di euro per l'edilizia scolastica; inoltre, la regione aveva messo a disposizione 88 milioni di euro per sistemare le scuole laziali, di cui 37,5 per la messa in sicurezza di 89 istituti romani;

   i tecnici a seguito del sopralluogo che si è tenuto nella mattinata di domenica, dopo aver rimosso le macerie, hanno assicurato che nei prossimi giorni si procederà a sistemare una copertura provvisoria del solaio. È stato constatato il «cedimento di una trave dell'orditura secondaria della copertura in legno del corpo seicentesco del fabbricato». I tempi previsti per i lavori di ripristino definitivo sono stimati in un mese, ma non ne ha subito conseguenze la didattica; infatti, le lezioni nel liceo classico sono riprese regolarmente il 9 ottobre 2017 –:

   se il Ministro interrogato, al di là della mera divulgazione delle cifre stanziate per la sicurezza nelle scuole, intenda adoperarsi fattivamente per il concreto utilizzo delle stesse in tempi brevi, visto lo stato di estrema incuria in cui versano la maggior parte degli istituti scolastici;

   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché vengano accertate al più presto le cause del crollo avvenuto al liceo Virgilio per verificare se vi siano state omissioni o negligenze da parte delle autorità scolastiche della sicurezza.
(4-18108)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   si riscontrano numerose iniziative da parte di camere di commercio in diverse province italiane volte a disporre bandi finalizzati ad attribuire voucher alle imprese disponibili ad attivare progetti di alternanza scuola-lavoro;

   a questo fine le camere di commercio utilizzerebbero fondi derivanti dalla riserva del 20 per cento sul diritto annuale che la legge chiede di destinare a progetti triennali ben definiti;

   per quanto è possibile ricostruire dalle frammentarie notizie di stampa, l'importo totale di tali erogazioni sarà certamente pari a numerosi milioni di euro;

   si dà quindi il caso di un onere sostenuto dalla generalità del sistema delle imprese, utilizzato di fatto non per progetti strategici, ma per sostenere la «Buona scuola» e garantire ad alcune aziende prestazioni di lavoro gratuite da parte degli studenti;

   a parere dell'interrogante tale utilizzo è del tutto improprio ed estraneo allo spirito della legge n. 580 del 1993;

   appare inoltre strano, secondo l'interrogante, che tali iniziative vengano messe in essere nello stesso momento da camere di commercio in diversi territori, come se esistesse un'indicazione generale ad operare in questo modo –:

   se il Governo si sia attivato per richiedere al sistema delle camere di commercio di attivare bandi come quelli descritti in premessa, posto che tali bandi non paiono rispondenti alle finalità che la legge prevede per la quota del 20 per cento del diritto camerale;

   se non ritenga opportuno assumere iniziative per sospendere per un anno il sistema dell'alternanza scuola-lavoro, per verificarne lo stato di attuazione, dato che evidentemente è difficile trovare imprese disposte ad attivare percorsi reali e seri di formazione e che appare politicamente ed eticamente non corretto che a fronte di lavoro gratuito prestato obbligatoriamente dagli studenti siano anche corrisposti voucher alle imprese beneficiarie di quelle prestazioni.
(4-18119)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALLASIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con una comunicazione aziendale unilaterale, il 1° ottobre 2017 la cartiera di Verzuolo ha espresso la volontà di chiudere la linea di produzione «linea ottava»che produce carta patinata;

   alla base della decisione è la crisi dal 2015 della linea, dovuta ad una minore richiesta del prodotto sul mercato ed all'alto prezzo della materia prima, la cellulosa, oltre che ad una forte competizione con la Cina ed il Nord Europa;

   la procedura di licenziamento ufficialmente aperta dalla Burgo Group investe 143 lavoratori, di cui una settantina direttamente impiegati sulla linea, mentre i restanti fanno parte dell'indotto interno (manutenzione, logistica, approvvigionamento e altro);

   a destare maggiore preoccupazione è non soltanto il futuro di una storica realtà produttiva sul territorio cuneese, ma anche e soprattutto il futuro reddituale delle centinaia di lavoratori coinvolti;

   l'età media piuttosto alta, 48 anni, li pone in condizioni di difficile ricollocazione lavorativa;

   inoltre, la riforma degli ammortizzatori sociali ha cancellato la mobilità e ha previsto l'attivazione della cassa integrazione guadagni ordinaria solo in mancanza momentanea di commesse e quella della cassa integrazione guadagni straordinaria soltanto se si riuscirà a dare un futuro alla linea;

   di fatto si prospetta solo l'ipotesi della indennità di disoccupazione (la «Naspi») per due anni e poi il nulla –:

   se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Governo intenda urgentemente adottare per scongiurare la chiusura della linea di produzione citata in premessa;

   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno aprire un tavolo istituzionale con tutte le parti coinvolte, proprietà, rappresentanze sindacali, regione e provincia, al fine di addivenire ad una soluzione positiva della vicenda che tuteli e salvaguardi i livelli occupazionali.
(5-12414)


   PES. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa, si apprende che i patronati Acli, Enapa-Confagricoltura, Epaca-Coldiretti, Enac-Uci, Acai, Inapa-Confartigianato, Inas-Cisl, Inca-Cgil, Ital-Uil, Epasa-Cna, Sias ed Enasco-Confcommercio della Sardegna denunciano diverse criticità dell'Inps, circa i tempi impiegati per l’iter delle pratiche contributive;

   i suddetti patronati evidenziano anche alcuni disservizi che hanno penalizzato diversi lavoratori che, avendo percepito una pensione provvisoria, a distanza di due anni, a causa del blocco del ricalcolo delle prestazioni legate al reddito, hanno dovuto restituire somme di denaro indebitamente percepite;

   gravi difficoltà si registrano anche, per lavoratori interessati da convenzioni internazionali, che da due anni, attendono l'assegno della pensione; si tratta di circa seicento lavoratori, che vivono senza percepire alcuna risorsa, la cui domanda di quiescenza è in giacenza dal 2015 presso l'Istituto, per carenza di personale con competenze specifiche per l'elaborazione dei contributi da liquidare;

   il direttore dell'Inps di Oristano, nel mese di luglio 2017, durante un incontro con i patronati, avrebbe annunciato la costituzione di un polo regionale, con il compito di definire le domande in convenzione internazionale di tutte le sedi provinciali, ma, ancora oggi, non si è avuto alcun riscontro;

   in Sardegna l'emigrazione all'estero ha riguardato e riguarda numerosi soggetti che ora, avendo cessato l'attività lavorativa, versano in condizioni precarie, poiché privi di reddito;

   numerose, inoltre, sono le situazioni di persone in difficoltà per la restituzione di rate di pensioni provvisorie non spettanti, che a distanza di anni sono costretti a enormi sacrifici, poiché appartenenti a famiglie monoreddito –:

   se il Ministro intenda valutare l'opportunità di porre in essere tutte le iniziative amministrative o, se necessario, normative, per garantire una liquidazione tempestiva delle pensioni da parte dell'Inps, nel rispetto delle convenzioni con i Paesi stranieri interessati e della normativa interna;

   se intenda valutare l'opportunità di assumere iniziative normative, al fine di definire tempi brevi tra il calcolo della pensione pensione provvisoria e il calcolo di quella definitiva, per evitare la restituzione, a distanza di anni, di somme di denaro indebitamente percepite magari già investite.
(5-12418)

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'azienda Officine Lovato, costituita nel 1958 a Vicenza per iniziativa dell'imprenditore Ottorino Lovato, è stata ceduta nel 2008 al gruppo Landi Renzo con sede a Reggio Emilia, azienda quotata in borsa di Milano;

   la storia della Lovato è sempre stata legata alla ricerca e all'innovazione, basti ricordare la prima realizzazione della multivalvola per impianti a gpl, patrimonio tecnologico e di cultura aziendale che è arrivato sino ad oggi, anche attraverso il lavoro di innovazione e passione del fondatore e poi dei figli;

   nel 2007 l'azienda ha cambiato ragione sociale in Lovato Gas, orientandosi sempre più a rispondere alle esigenze di evoluzione dei sistemi di trasporto, richiesta in particolare dalle azioni di tutela ambientali;

   Lovato Gas ha sviluppato nel tempo una gamma di prodotti e componenti per la conversione di veicoli a gas, sia gpl che a metano, rispondendo alle necessità odierne di ridurre gli agenti inquinanti in atmosfera, nel rispetto delle sempre più stringenti normative sulle emissioni in atmosfera;

   la qualità dei prodotti e l'affidabilità ha consentito negli anni alla Lovato Gas di imporsi anche sui mercati internazionali realizzando circa il 90 per cento del fatturato oltre i confini nazionali e di occupare stabilmente oltre 110 dipendenti;

   anche grazie a questo successo, per ben due volte nel 2008 e nel 2013, il comune di Vicenza, attraverso specifiche deliberazioni consiliari, ha consentito delle varianti urbanistiche in deroga ai piani vigenti, che hanno permesso di realizzare adeguati ampliamenti dell'azienda, che si trova in un contesto agricolo e ambientale, in una zona di particolare delicatezza con vista sulla Rotonda, opera del sommo architetto Andrea Palladio;

   oggi il gruppo Landi Renzo ha elaborato un nuovo piano industriale del gruppo, che prevede la chiusura dello stabilimento di Vicenza, motivando tale scelta con il trasferimento degli impianti e delle produzioni in Polonia, Iran e India;

   le motivazioni addotte sono legate esclusivamente al tagli dei costi, in primis alla riduzione del costo del lavoro e poi alle esigenze di mercato: si tratta, ad avviso dell'interrogante, della classica delocalizzazione di una attività produttiva per meri fini finanziari;

   la Lovato Gas nel 2016 ha chiuso il bilancio con un utile di 1,2 milioni di euro, fatturandone 34 e prestando 3 milioni al gruppo Landi Renzo, realizzando risparmi nei processi produttivi e nel costo del lavoro per circa 500 mila euro. L'azienda è in ottima salute ed occupa per la maggior parte donne vicentine;

   avuta notizia della chiusura attraverso una nota sul sito internet dell'azienda, i lavoratori tutti si sono mobilitati con un presidio notte e giorno per vigilare affinché il patrimonio tecnologico aziendale non venga smantellato nottetempo. Un sacrificio e un senso di responsabilità enorme da parte dei lavoratori visto che poi, durante il giorno, si lavora e che l'attività produttiva dell'azienda continua, nonostante il senso di disperazione e di frustrazione per una reale minaccia di perdita del lavoro e nella totale incertezza di un futuro per sé e per le proprie famiglie. Molte di queste lavoratrici hanno un'età media tra i 40 e 55 anni e ben sanno quanto sia difficile oggi trovare un'eventuale nuova collocazione nel mondo del lavoro;

   infine, va segnalato l'atteggiamento, ad avviso dell'interrogante assurdo e incomprensibile, da parte del gruppo Landi Renzo, che finora ha sempre rifiutato qualsiasi confronto per ricercare possibili soluzioni con i lavoratori –:

   se i Ministri interrogati, alla luce di quanto riportato in premessa, non ritengano di dover aprire immediatamente un tavolo di confronto con i rappresentanti degli enti locali, i lavoratori e l'azienda al fine di individuare tutte le possibili soluzioni per evitare l'ennesima delocalizzazione e tutelare il personale.
(4-18114)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Agecontrol spa è l'agenzia pubblica per i controlli e le azioni comunitarie che, per conto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e dell'Agenzia per le erogazioni in Agricoltura (Agea), effettua controlli di qualità su prodotti ortofrutticoli freschi sia nel mercato interno che nell’import/export, oltre che verifiche istruttorie, contabili e tecniche nell'agroalimentare e nei comparti interessati dagli aiuti comunitari;

   il Governo intende accorpare Agecontrol in Agea, nell'ambito del processo di riorganizzazione di quest'ultima e del riordino del sistema dei controlli nel settore agroalimentare;

   è ormai da tempo che il personale a tempo indeterminato di Agecontrol, che conta più di duecento lavoratori, vive una situazione di tensione poiché non sono state previste adeguate misure per garantire la salvaguardia di tutti i posti di lavoro, nonostante tale ente sia un'agenzia pubblica. Al riguardo, sembra che i lavoratori potranno essere trasferiti in Agea solo previo superamento di una procedura di selezione in relazione al profilo professionale di destinazione e alla verifica dell'esperienza maturata in società; il personale che riceverà una valutazione positiva sarà inquadrato nei relativi ruoli. Quindi, non è dato sapere quale sarà il destino di chi eventualmente non supererà la predetta procedura selettiva che all'interrogante non appare legittima;

   si ritiene che debbano essere tutelati tutti i posti di lavoro a tempo indeterminato di Agecontrol e solo in mancanza di un'oggettiva possibilità in tal senso, occorre prevedere un piano di ricollocazione in altre amministrazioni per i lavoratori, anche con l'obiettivo di non disperdere le competenze acquisite da detto personale –:

   se e quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, affinché siano prioritariamente tutelati e salvaguardati tutti i posti di lavoro di Agecontrol nel processo di accorpamento in Agea, posto che per l'interrogante non sarebbe legittima qualsiasi procedura che non garantisca la collocazione di tutti i lavoratori di tale agenzia pubblica.
(5-12417)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIAZZONI, AMATO, PAOLA BOLDRINI, CAPONE, CARNEVALI, D'INCECCO e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio, ha introdotto all'articolo 21-ter nuove disposizioni in materia di indennizzo a favore delle persone affette da sindrome da talidomide;

   l'articolo 21-ter citato prevede l'estensione dell'indennizzo in favore dei soggetti affetti da sindrome da talidomide ai nati negli anni 1958 e 1966, nonché ai soggetti nati al di fuori di questo arco temporale che presentino malformazioni compatibili con la sindrome citata, in presenza di nesso causale tra l'assunzione del farmaco talidomide e le lesioni o l'infermità da cui è derivata una menomazione permanente nelle forme dell'amelia, dell'emimelia, della focomelia e della micromelia;

   in quest'ultimo caso, come precisato dal Sottosegretario Davide Faraone rispondendo ad interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-10612 presentata dalla prima firmataria del presente atto ai fini dell'accertamento dell'indennizzo, le sezioni congiunte II e V del Consiglio superiore di sanità hanno reso, in data 17 gennaio 2017, parere allo scopo di apportare le necessarie modifiche al regolamento di cui al decreto ministeriale n. 163/2009;

   in data 4 ottobre 2016 il signor M. C., nato nel 1958 e residente in provincia di Rieti ha presentato richiesta di indennizzo per danni da sindrome da talidomide ai sensi della normativa vigente. In data 31 marzo 2017, il Ministero della salute, accertata la regolarità della certificazione inviata, ha trasmesso la documentazione al dipartimento militare di medicina legale di Roma per gli adempimenti di competenza della Commissione medica ospedaliera. Oltre alla documentazione citata, il richiedente inviava al Ministero della salute e consegnava in originale alla Commissione medica ospedaliera, cartelle cliniche attestanti che la malformazione da cui è affetto, focomelia, non è presente nella prole, secondo le indicazioni della circolare del Ministero della difesa n. 0541 del 24 settembre 2010;

   la Commissione medica ospedaliera, per quanto di competenza, esprimeva il proprio giudizio, oltre che sulla base della normativa vigente, anche in base alla circolare del Ministero della difesa citata;

   in data 26 settembre, il Ministero della salute ha chiesto alla Commissione medica ospedaliera di rivedere il giudizio medico legale espresso in quanto non rispondente al parere reso dal Consiglio superiore di sanità — sezioni congiunte II e V — nella seduta del 17 gennaio 2017;

   tale procedura tuttavia, come sopra citato e come affermato dal Sottosegretario Faraone, riguarderebbe esclusivamente la definizione dei criteri di inclusione e di esclusione delle malformazioni ai fini dell'accertamento del diritto all'indennizzo, per i soggetti nati al di fuori dell'arco temporale 1958-1966. In caso contrario, si desumerebbe richiamo a nuova visita per tutti i soggetti nati tra il 1959 e 1965 e già visitati dal 2009 in base alle norme e circolari più volte citate, e le cui pratiche di rimborso sono state definite da anni –:

   di quali notizie disponga il Ministro interrogato in merito ai fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno chiarire il perimetro di applicazione del parere reso dal Consiglio superiore di sanità, anche al fine di una positiva definizione della vicenda descritta.
(5-12419)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO e BOSSA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra domenica 1° e lunedì 2 ottobre 2017 il dottor Maurizio Busciolano affetto da calcoli biliari era stato ricoverato presso l'ospedale San Giovanni Bosco per una crisi aggravata da dolori lancinanti alla pancia;

   la diagnosi del nosocomio era stata di pancreatite acuta. L'inadeguatezza della struttura ospedaliera del San Giovanni Bosco, dove il Brusciano era stato tenuto, inspiegabilmente, per diverse ore in barella senza ricovero e con perduranti e lancinanti dolori alla pancia, ha determinato il trasferimento dello stesso presso la nuova struttura dell'ospedale del Mare;

   presso l'ospedale del Mare, dopo un'ora di attesa dovuta alla mancanza delle chiavi per il funzionamento dell'ascensore in cui è possibile il trasporto della lettiga, è avvenuto il ricovero;

   solo a seguito del perdurare dello stato di dolore fortissimo del ricoverato e della sopraggiunta crisi cardiaca, nella notte tra lunedì e martedì il chirurgo di guardia ha disposto la Tac addominale, durante la quale è avvenuto il primo arresto cardiaco del dottor Busciolano morto poi intorno alle ore 12,40 del 3 ottobre 2017;

   questo ultimo decesso si aggiunge ai già troppi casi di malasanità denunciati tramite interrogazioni parlamentari, come avvenuto con l'atto n. 4-17651, sulla morte del giovane Antonio Scafuri, e l'atto n. 4-17311, relativa al giovane Ibrahim Manneh, ai quali ancora oggi non è stata data risposta; neppure sono state approntate soluzioni, in quanto i cittadini campani si trovano a confrontarsi con una sanità che non riesce ad offrire un servizio efficiente –:

   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda intraprendere la Ministra interrogata;

   se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, inviare ispettori ministeriali affinché verifichino il rispetto dei protocolli di pronto soccorso dell'ospedale del mare, del San Giovanni Bosco e, più in generale, delle strutture appartenenti all'Asl campana.
(4-18101)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, NESCI, GRILLO, COLONNESE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   i disturbi neuropsichici, che vanno dall'autismo all'epilessia, dalle paralisi cerebrali infantili alle sindromi genetiche rare, per fare esempi di alcuni dei molteplici casi delicati da affrontare nelle strutture specializzate, colpiscono un bambino su cinque;

   fondamentali e necessari sono una diagnosi tempestiva e l'accesso a strutture riabilitative nel minor tempo possibile;

   purtroppo, le statistiche evidenziano che meno di un bambino su quattro accede a cure e riabilitazione con gravissime ripercussioni sullo sviluppo del bambino stesso e sulle famiglie;

   il negato accesso è dovuto a carenze di servizi territoriali, a personale numericamente insufficiente, alla mancata assunzione in modo capillare delle figure multidisciplinari necessarie per i percorsi riabilitativi prescritti;

   a tutto ciò si aggiunge una politica sanitaria poco predittiva; in alcune regioni si stanno declassando le unità operative complesse di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza a unità semplici con grave compromissione dell'erogazione dei servizi mirati per bambini e famiglie, mentre in altre regioni è evidente il collasso delle strutture dedicate per mancanza di personale e di fondi –:

   quali iniziative concrete il Ministro interrogato, di concerto con le regioni, intenda intraprendere per tutelare la salute di bambini e adolescenti colpiti da malattie e sindromi neuropsichiche.
(4-18107)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALGANO, CATALANO, MENORELLO, MUCCI, MAZZIOTTI DI CELSO, DAMBRUOSO, QUINTARELLI e OLIARO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   è stata indetta dal comune di Lecce una procedura telematica tramite sistema Mepa per l'affidamento del «servizio di consegna della corrispondenza indirizzata al comune di Lecce, ritiro, lavorazione e recapito degli invii postali in partenza dal comune di Lecce (valore stimato 175.000 euro per la durata di tre anni)». Il criterio di aggiudicazione è stato individuato in quello del minor prezzo, ai sensi dell'articolo 95, comma 4, del decreto legislativo n. 50 del 2016;

   in data 17 luglio 2017 la gara è stata provvisoriamente aggiudicata a L'Espresso con un'offerta economica di 31.500 euro, corrispondente ad un ribasso dell'82 per cento; al secondo posto si è classificata Posta & Service di Stefania Scrimieri con un'offerta economica di 87.500, con un ribasso del 50 per cento;

   Posta & Service ha diffidato la stazione appaltante dal procedere all'aggiudicazione definitiva della procedura in favore de L'Espresso, presentando una contestazione per incongruità del ribasso economico offerto dalla ditta concorrente e conseguente necessità di sottoporre l'offerta alla verifica di anomalia ex articolo 97 del decreto legislativo n. 50 del 2016;

   l'organico richiesto per la distribuzione dei quantitativi di posta ordinaria e di posta raccomandata viene normalmente stimato sulla base della proporzione indicata nella determinazione dell'Anac n. 3 del 2014, «Linee guida per l'affidamento degli appalti pubblici di servizi postali»;

   se si considerano i quantitativi di posta da spedire nell'arco di tre anni sulla base dei dati dello scorso anno, il numero di addetti richiesti per quei quantitativi e il costo orario lordo aziendale per la retribuzione di un postino inquadrato al quarto livello del contratto servizi postali in appalto, si evince che il ribasso offerto da L'Espresso richiederebbe che i quantitativi di posta che un addetto deve lavorare in un'ora siano quasi quattro volte superiori a quelli indicati nelle linee guida dell'Anac. In tale calcolo andrebbero poi considerati, oltre ai costi di manodopera, anche quelli relativi ai mezzi di trasporto e alle spese generali di mantenimento della struttura;

   da queste stime deriva che l'operatore economico aggiudicatario dell'appalto non sarebbe in grado di eseguire correttamente il contratto, avendo presentato un'offerta non economicamente sostenibile –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo, anche sul piano normativo, per evitare eccessi di ribasso che non sono economicamente sostenibili e non garantiscono la qualità dei servizi/prodotti e il rispetto della legislazione del lavoro e delle linee guida dell'Anac, oltre a minare la sopravvivenza delle aziende.
(5-12440)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 7 del decreto legislativo n. 150 del 2009 «Sistema di misurazione e valutazione della performance» dispone che le amministrazioni pubbliche valutano annualmente la performance organizzativa e individuale. L'articolo 10 prevede che, al fine di assicurare la qualità, la comprensibilità e l'attendibilità dei documenti di rappresentazione della performance, le amministrazioni pubbliche, redigono annualmente il piano della performance e la relazione sulla perfomance;

   l'articolo 10, comma 8, lettera c), del decreto legislativo n. 33 del 2013 dispone che ogni amministrazione ha l'obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale nella sezione «Amministrazione trasparente» il piano e la relazione di cui all'articolo 10 del decreto legislativo n. 150 del 2009;

   l'articolo 10, comma 8, lettera b), del decreto legislativo n. 33 del 2013 non trova applicazione per i comuni del Trentino-Alto Adige per effetto dell'articolo 1, comma 1, della legge regionale n. 10 del 2004 e successive modificazioni. Al suo posto è talvolta pubblicato sui siti istituzionali il piano esecutivo di gestione;

   in virtù delle suddette disposizioni e di una peculiare interpretazione della legge sulla tutela della riservatezza e dei dati, in aggiunta all'omessa pubblicazione nella sezione dei siti istituzionali, i parametri di valutazione, la valutazione sulla performance e la quantificazione del premio sono spesso oscurati nelle delibere di approvazione del premio di risultato assegnato ai dirigenti. A titolo esemplificativo, si richiama la delibera giuntale del comune di Drena n. 22 del 9 marzo 2016 avente ad oggetto «Retribuzione di risultato del segretario comunale. Valutazione per l'anno 2015», i cui pareri di regolarità tecnico-amministrativa e di regolarità contabile sono stati peraltro espressi dal medesimo beneficiario della retribuzione di risultato;

   inoltre, la prassi di assegnare la retribuzione di risultato in modo integrale pare essere prevalente negli enti locali della provincia di Trento, a giudizio dell'interrogante non offrendo, nella quasi totalità dei casi, elementi concreti per consentire la verifica dell'utilizzo di risorse a disposizione dell'apparato amministrativo in modo conforme ai criteri di sana gestione. Si citano per esempio le delibere di giunta del comune di Arco n. 187 del 29 dicembre 2016 e del comune di Riva del Garda n. 456 7 luglio 2017;

   a parere dell'interrogante, l'omessa pubblicazione degli obiettivi e della valutazione della performance degli incarichi dirigenziali aumenta il rischio di erogare una retribuzione di risultato senza che siano riconosciuti meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle capacità e dei risultati e senza che sia perseguito l'incremento dell'efficienza del lavoro pubblico. Al contrario, da un'analisi a campione delle delibere giuntali, apparirebbe all'interrogante che la retribuzione di risultato sia legata meramente al rapporto fiduciario esistente tra dirigenti e cariche politiche di vertice degli enti locali e non a una effettiva valutazione della performance;

   l'omessa pubblicazione degli obiettivi e delle modalità di valutazione della performance, in una logica avversa ai principi della trasparenza e dell’accountability, limita altresì l'emersione di elementi che permetterebbero un controllo più diffuso. Una maggiore trasparenza sul sistema di misurazione e valutazione della performance, invece, favorirebbe la spending review rendendo edotta la comunità locale, tra l'altro, sull'entità dei costi di funzionamento degli apparati amministrativi –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti in premessa e se, ferme restando le garanzie di autonomia della provincia di Trento, intenda assumere le iniziative di competenza per assicurare il rispetto dei principi non derogabili e discendenti dalla citata normativa statale in materia di trasparenza delle pubbliche amministrazioni e garantire strumenti che consentano di verificare se vi sia una erogazione di spesa pubblica in contrasto con le disposizioni in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza amministrativa.
(4-18120)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   NARDUOLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il Ministero dello sviluppo economico cura l'attuazione del piano nazionale strategico per la banda ultralarga (Bul), il quale punta a raggiungere l'85 per cento della popolazione con infrastrutture in grado di veicolare servizi a velocità pari e superiori a 100 Mbps e garantire accesso ad almeno 30 Mbps al 100 per cento dei cittadini;

   per raggiungere questo obiettivo, il Governo e gli operatori di telecomunicazioni hanno avviato ingenti piani infrastrutturali (sono stati stanziati 5,3 miliardi di euro) che prevedono una diffusione capillare delle reti in fibra ottica anche nelle cosiddette aree «a fallimento di mercato», quelle cioè dove gli operatori non avrebbero investito autonomamente;

   il cosiddetto «piano aree bianche», da circa 3 miliardi di euro, coinvolge oltre 7.700 comuni e ha come obiettivi di copertura 9,9 milioni di unità immobiliari e 14,7 milioni di abitanti;

   il 3 giugno 2016 è stato pubblicato il primo bando di gara per lo sviluppo della nuova rete pubblica per la diffusione della banda ultralarga nelle aree a fallimento di mercato di 6 regioni italiane (Abruzzo, Molise, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Veneto);

   rispetto alla base di asta di circa 1,4 miliardi di euro, Open Fiber si è aggiudicata la gara offrendo, a titolo di prezzo della concessione, un totale di circa 675 milioni di euro;

   all'esito dell'aggiudicazione, il lotto relativo al Veneto prevede un investimento di 141 milioni di euro per la progettazione, la realizzazione, la manutenzione e la gestione di una rete pubblica in fibra per portare a tutti i veneti almeno i 30 Mbps e i 100 Mbps a quasi il 90 per cento della popolazione che risiede nei comuni con più di 2.500 unità immobiliari;

   il 16 giugno 2017 Infratel Italia e Open Fiber hanno firmato il contratto di concessione per la realizzazione della rete a banda ultralarga nelle prime 6 regioni, i cui interventi verranno realizzati gradualmente nei prossimi 3 anni;

   in provincia di Padova l'area a fallimento di mercato riguarda i comuni di Agna, Anguillara Veneta, Arquà Petrarca, Arre, Arzergrande, Bagnoli di Sopra, Baone, Barbona, Boara Pisani, Bovolenta, Brugine, Candiana, Carceri, Cartura, Casale di Scodosia, Casalserugo, Castelbaldo, Cinto Euganeo, Codevigo, Conselve, Correzzola, Due Carrare, Este, Galzignano Terme, Granze, Lozzo Atestino, Masi, Megliadino San Fidenzio, Megliadino San Vitale, Merlara, Monselice, Montagnana, Ospedaletto Euganeo, Pernumia, Piacenza d'Adige, Piove di Sacco, Polverara, Ponso, Pontelongo, Pozzonovo, Saletto, San Pietro Viminario, Sant'Angelo di Piove di Sacco, Sant'Elena, Sant'Urbano, Santa Margherita d'Adige, Solesino, Stanghella, Terrassa Padovana, Tribano, Urbana, Vescovana, Vighizzolo, Villa Estense –:

   quale sia ad oggi lo stato di avanzamento del piano per la banda ultralarga in Vento e, nello specifico, nei comuni della provincia di Padova individuati come aree «a fallimento di mercato».
(4-18110)


   RUSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   secondo le ultime stime diramate da Aci e Istat, il 2016 rappresenta un anno positivo per la sicurezza sulle strade italiane, con un calo sia del numero di incidenti che di vittime. Nonostante ciò, secondo un'analisi di Facile.it, per oltre 1,4 milioni di automobilisti il 2017 si è aperto all'insegna di un aumento delle tariffe per la responsabilità civile auto;

   diversi articoli giornalistici riportano infatti che, secondo l'analisi condotta da Facile.it, ad agosto 2017 il premio medio della responsabilità civile auto avrebbe raggiunto i 577,50 euro, pari ad un aumento del 12,99 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno;

   considerando nello specifico gli ultimi sei mesi il portale Facile.it – sito leader in Italia per la comparazione di assicurazioni auto – ha riscontrato una crescita del costo della polizza pari al 9,14 per cento. Inoltre, dall'analisi dell'andamento dei prezzi nell'arco dei dodici mesi, emerge come gli aumenti abbiano riguardato tutta la Penisola, ma con variazioni sensibili a seconda della zona;

   la Campania non solo si conferma essere la regione con i premi responsabilità civile auto più alti d'Italia – ad agosto il valore medio ha raggiunto i 989,91 euro, oltre il 71 per cento in più rispetto a quello nazionale – ma anche una delle aree che hanno visto i rincari maggiori del Paese (+20,78 per cento);

   in aggiunta, le regioni con gli aumenti più contenuti, invece, sono state il Friuli Venezia Giulia (+7,29 per cento) e la Basilicata (+8,09 per cento). In termini di valori assoluti, dopo la Campania, le regioni con i premi medi più alti sono la Calabria (689,33 euro) e la Puglia (670,06 euro), mentre le aree con gli importi più bassi sono la Valle d'Aosta (405,31 euro) e il Friuli Venezia Giulia (408,59 euro);

   analizzando i valori a livello provinciale si nota come le aree più care d'Italia siano Caserta (1.065,37 euro), Napoli, dove per la prima volta nell'anno il prezzo medio ha superato la soglia dei mille euro (1.040,56 euro), e Prato (959,78 euro), mentre le meno care sono Oristano (374,12 euro) e Pordenone (386,29 euro);

   vi è solo una provincia italiana che, rispetto a dodici mesi fa, ha visto un calo delle tariffe, sia pur minimo; si tratta di quella del Verbano Cusio Ossola, dove i premi sono diminuiti dello 0,17 per cento;

   l'Osservatorio di Facile.it fornisce, infine, anche i dati relativi anche alle garanzie accessorie: l'assistenza stradale si conferma come la più richiesta a livello nazionale (42,25 per cento), seguita dalla copertura infortunio conducente (24,27 per cento) e dalla tutela legale (17,53 per cento) –:

   se il Ministro interrogato intenda fornire ulteriori elementi in ordine alla situazione del mercato assicurativo riferito alla responsabilità civile auto ed adottare le opportune iniziative di competenza, anche attraverso la promozione di un confronto con le compagnie assicurative, al fine di procedere ad un abbassamento dei costi per la stipula delle polizze.
(4-18112)


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo l'ultima rilevazione dell'ufficio studi della Cgia di Mestre le micro e piccole imprese italiane rischiano 111 controlli all'anno da parte di ben quindici diversi istituti, agenzie o enti pubblici; in pratica, un controllo ogni tre giorni;

   il settore a maggior «densità» di potenziali controlli risulta quello dell'ambiente e della sicurezza nei luoghi di lavoro, con ben dodici diversi tipi di verifiche in cui sono coinvolti dieci enti, per un potenziale di 56 controlli annuali sulla tematica;

   le voci più a rischio riguardano la conformità e il mantenimento dell'efficienza dei vari impianti e il rispetto delle norme antincendio: in entrambi i casi sono sei gli enti competenti in materia che sono autorizzati a eseguire controlli. Nel primo caso possono intervenire l'Asl, l'Inail, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, i vigili del fuoco, Nas, Noe o capitaneria di porto e il comune o la polizia municipale. Nel caso delle norme antincendio, invece, i soggetti controllori sono l'Asl, la direzione territoriale del lavoro, l'Inail, i vigili del fuoco, Nas, Noe o capitaneria di porto e il comune o la polizia municipale. Particolarmente impegnative sono anche le voci riferite alle autorizzazioni agli scarichi, alle emissioni in atmosfera, alla corretta gestione dei rifiuti e tutto ciò che riguarda il rispetto degli obblighi in materia di sicurezza e di attrezzature di lavoro: in tutti questi casi i soggetti controllori sono cinque;

   la materia contrattualistica conta undici diversi tipi di verifiche e quattro istituti coinvolti, per un totale di 21 controlli potenziali nel corso dell'anno. Nella maggior parte dei casi, gli enti coinvolti sono Inps, Inail e direzione territoriale del lavoro, che possono svolgere verifiche su dichiarazioni, contratti di lavoro o altro. In alcuni casi può intervenire anche l'Agenzia delle entrate svolgendo controlli formali, cioè quelli effettuati automaticamente in via telematica (pagamento F24, modelli 770, e altro);

   proprio l'Agenzia delle entrate effettua verifiche su 14 dei 18 diversi tipi di controlli in materia fiscale, sui quali, talvolta, può intervenire anche la Guardia di finanza. In altri casi, più specifici, la competenza è dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, del comune, della camera di commercio e dell'Inps. Essendo in totale sei gli enti coinvolti, i controlli su questo tema per singola impresa potrebbero complessivamente essere potenzialmente addirittura 26, di cui solamente tre formali;

   nell'area amministrativa sono otto i possibili controlli e tre gli enti coinvolti: nella maggior parte dei casi la competenza è del comune o della polizia municipale. In alcune situazioni può intervenire anche la camera di commercio: si tratta della verifica del possesso dei requisiti specifici per l'esercizio dell'attività e il controllo dell'iscrizione all'albo delle imprese artigiane. L'Inps, infine, esegue controlli sull'iscrizione all'istituto stesso;

   in tale «giungla burocratica» il rischio per qualsiasi microimpresa è quello di non essere completamente a norma e, pertanto, l'unico modo per non mettere le piccole e medie imprese in forte difficoltà sarebbe percorrere la strada della semplificazione –:

   in uno scenario così complesso che vede le piccole e medie imprese subire potenzialmente più di cento controlli all'anno, quali iniziative intenda adottare il Governo per semplificare il quadro normativo, rendere più comprensibili norme e regolamenti, velocizzare le tempistiche, ma anche aumentare e rendere più efficienti i controlli formali, cioè quelli eseguiti telematicamente in modo automatico, nonché mettere a regime il sistema di «autocontrollo», alleggerendo così il peso burocratico che grava sulle microimprese.
(4-18115)

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Placido n. 4-18048, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 865 del 6 ottobre 2017.

   PLACIDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da alcuni mesi in Basilicata, i medici che garantiscono la continuità assistenziale subiscono le conseguenze della delibera di giunta regionale del 3 maggio 2017 che sospende (da aprile 2017 retroattivamente) la corresponsione degli emolumenti fissati dell'accordo integrativo regionale del 2006-2008;

   il governo regionale replica in tal modo ad una richiesta di chiarimenti, riferita ai costi del servizio, proveniente dalla Corte dei conti e, piuttosto che controdedurre analiticamente, dando conto dell'incidenza delle singole voci di costo sul totale della spesa, sceglie in maniera pilatesca di sospendere unilateralmente il pagamento di quanto pattuito e dovuto;

   le indennità percepite dai medici, sulla base dell'accordo citato (pari ad euro 5 lordi orari), infatti, erano state parametrate ignorando un insieme di elementi (attività ambulatoriale, reperibilità, indennità non residenti, adeguamento sedi ai fini della sicurezza) che, qualora computati avrebbero fatto lievitare sensibilmente i costi dei servizi erogati;

   in data 29 settembre 2017, infine aggiungendo il danno alla beffa, la giunta regionale dà mandato ai direttori generali delle Asp di avviare le procedure di recupero delle indennità – indebitamente – percepite, senza neppure attendere un qualsiasi pronunciamento da parte della Corte dei Conti –:

   iniziative il Governo intenda assumere per quanto di competenza e con il coinvolgimento della regione per evitare il rischio che i medici si astengano dall'erogare le prestazioni non più retribuite, privando i cittadini lucani di servizi sanitari essenziali come intenda evitare che agli utenti della sanità lucana non siano assicurati i livelli delle prestazioni garantiti sul resto del territorio nazionale.
(4-18048)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

  interrogazione a risposta in Commissione Tripiedi n. 5-11861 del 14 luglio 2017;

  interrogazione a risposta in Commissione Daga n. 5-12177 del 14 settembre 2017;

  interrogazione a risposta in Commissione Marguerettaz n. 5-12218 del 20 settembre 2017;

  interrogazione a risposta in Commissione Duranti n. 5-12327 del 28 settembre 2017.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   già in passato erano stati segnalati diversi casi in cui sono stati rinvenuti esemplari di delfini (stenelle e tursiopi) uccisi e deprivati del dorso, notoriamente utilizzato per confezionare il musciame; il Musciame (o Mosciame), è il filetto prevalentemente del muscolo dorsale di delfino che veniva salato e seccato a vento del mare a bordo dei pescherecci, chiamato anche «oro nero» dei pescatori liguri, siciliani e santostefanesi;

   tali ritrovamenti continuano, nonostante i divieti normativi e l'obbligo di dichiarazione di cattura accidentale, come previsto da regolamenti europei: (si veda la comunicazione della Commissione europea «Catture accidentali di cetacei nell'ambito della pesca», relazione relativa all'applicazione di talune disposizioni del regolamento (CE) n. 812/2004 del Consiglio e a una valutazione scientifica degli effetti che l'impiego, in particolare, di reti da imbrocco, di reti da posta impiglianti e di tramagli ha sui cetacei del Mar Baltico, conformemente al regolamento (CE) n. 2187/2005 del Consiglio/COM/2009/0368def.);

   in particolare, nei giorni scorsi numerose fonti di stampa hanno riportato notizie del ritrovamento di altri esemplari di delfini deprivati di parti del corpo per evidente opera dell'uomo;

   è evidente che se il dorso di delfino, cosiddetto musciame, fosse per altro somministrato al pubblico ci si troverebbe di fronte anche ad ulteriori violazioni, oltre che relativamente all'uccisione di una specie particolarmente protetta, anche riguardo alla somministrazione di prodotti non controllati. Tali parti animali possono essere molto pericolose in ragione dell'alto livello di contaminazione da xenobiotici riscontrato mediamente nelle indagini eco-tossicologiche condotte dai ricercatori;

   va inoltre rammentato che in un filmato della trasmissione «Le Iene» venne dimostrato un vero e proprio sistema di cattura, uccisione, smembramento, trasporto, commercio e consegna degli animali appartenenti a specie protette;

   infatti, uno dei due soggetti ripresi nel filmato dichiara apertamente: «me lo portano già capato»;

   le uccisioni intenzionali effettuate nel tentativo di ridurre il conflitto con la pesca sono state una delle principali cause di mortalità dei delfini costieri fino agli anni ’60, e in alcuni casi si è trattato di vere e proprie campagne di sterminio su larga scala;

   la pesca, la commercializzazione e l'utilizzo alimentare della carne di delfino è vietata dalla normativa nazionale, comunitaria ed internazionale;

   tali attività continuano ad essere frequenti; nonostante i divieti, infatti le cosiddette spadare continuano ad operare indisturbatamente e i sequestri dimostrano che sono ancora utilizzate reti vietate pericolose per cetacei, tartarughe e uccelli marini, tutte specie particolarmente protette –:

   se i Ministri intendano assumere iniziative per verificare se questi episodi siano isolati o si tratti di un vero e proprio mercato sommerso di consumo di carne di delfino che necessita evidentemente di un impegno costante anche delle forze dell'ordine per identificarlo, sanzionarlo ed eradicarlo;

   quali iniziative per quanto di competenza, abbiano inteso intraprendere per fermare queste azioni contro specie particolarmente protette, sia in relazione alla pesca illegale che alla distribuzione della carne dei cetacei;

   se i Ministri siano consapevoli di un fenomeno di conflitto tra attività di pesca e presenza dei delfini e quali strategie intendano porre in essere per evitare l'uccisione di specie particolarmente protette che si ripresenta costantemente ogni anno;

   quali siano le iniziative straordinarie – evidentemente necessarie – che i Ministri intendano porre in essere per contrastare la pesca con reti bandita già nel 2002 per la cui riconversione e gli armatori hanno percepito fondi sia dallo Stato che dall'Unione europea;

   quali siano le iniziative di contrasto alla pesca di tonni e pescespada con qualunque attrezzo retiero vietato dal regolamento europeo in vigore.
(4-17419)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa al mercato illegale di carne di delfino, nonché alle iniziative di contrasto alla pesca illegale di tonni e pescespada, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che tutte le specie di cetacei risultano essere particolarmente protette, anche sotto il profilo sanzionatorio, ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 157 del 1992. Pertanto, tutte le segnalazioni circostanziate sono opportunamente trasmesse dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare agli organi di vigilanza competenti.

  Al riguardo si evidenzia che stante la necessità, sia a livello centrale che regionale, di mantenere e rafforzare la vigilanza faunistico-venatoria e il coordinamento delle politiche di contrasto del fenomeno, il 30 marzo 2017 è stato approvato dalla conferenza Stato-regioni il «Piano d'azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici», pubblicato in
Gazzetta Ufficiale serie generale n. 120 del 25 maggio 2017. Tra le 32 azioni del «Piano» sono previste anche forme di controllo più strette sul circuito della ristorazione. L'attuazione del suddetto «Piano», pertanto, avrà evidenti ricadute positive sul contrasto agli illeciti anche in altri ambiti e al di là dei soli uccelli selvatici.
  Rispetto alle tematiche dei controlli sulla filiera della pesca si evidenzia che, oltre ad essere centrale il ruolo del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, l'azione sinergica con le capitanerie di porto, nonché con gli organismi sanitari anche di livello regionale risulta quanto mai necessaria e indispensabile per un'efficace salvaguardia dei cetacei, le cui specie sono tutte particolarmente protette.
  Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, rende noto in premessa che le funzioni di vigilanza e controllo sul rispetto delle vigenti norme della pesca marittima (con particolare riferimento all'attività di cattura, al commercio e alla somministrazione dei prodotti ittici) è affidata, sotto la direzione dei comandanti delle capitanerie di porto, al personale civile e militare dell'autorità marittima centrale e periferica, alla Guardia di finanza, ai carabinieri e agli altri soggetti indicati all'articolo 22, comma 3, del decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4. A tali soggetti è attribuita la qualifica di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, secondo le rispettive funzioni.
  In tale contesto, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, per quanto di competenza, prosegue nella propria azione inquadrata nelle funzioni di indirizzo e coordinamento, in ossequio a quanto disposto dall'articolo 22, comma 1, del citato decreto legislativo, impartendo costantemente ai predetti organi di polizia specifiche direttive, affinché garantiscano, lungo l'intera filiera della pesca, il rispetto di tali norme, mediante incessanti, mirati e sempre più efficaci controlli.
  Ciò posto, si rileva che il sistema sanzionatorio nazionale è stato recentemente modificato dalla legge 28 luglio 2016, n. 154 anche a seguito dell'attuazione di un
Action plan promosso dalla Commissione dell'Unione europea nel quale veniva contestato all'Italia che il sistema vigente non fosse sufficientemente effettivo, proporzionato e dissuasivo, in particolare nel contrasto a particolari attività illegali, quali quelle effettuate con le reti derivanti vietate ovvero riguardanti specie ittiche quali il tonno rosso ed il pesce spada. Oltre alla norma sopra citata, è necessario rammentare l'entrata in vigore del decreto ministeriale 28 luglio 2016 recante «Misure tecniche per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale non dichiarata e non regolamentata».
  Le norme in questione hanno rivisto il precedente impianto sanzionatorio, che puniva penalmente la condotta illecita senza tuttavia tener conto della gravità delle singole fattispecie, valutabile in relazione al quantitativo di prodotto illecito catturato, detenuto o commercializzato, nonché della tipologia del prodotto ittico oggetto dell'illecito. Peraltro, le sanzioni preesistenti hanno dimostrato nel tempo di non essere efficaci e dissuasive nel perseguire la pesca volontaria e la commercializzazione del prodotto sottotaglia.
  Al riguardo, si evidenzia altresì che, dall'entrata in vigore delle nuove norme, i dati in possesso dei competenti organi di controllo già mostrano effetti positivi, in termini di proporzionalità tra incremento dei controlli e riduzione delle infrazioni (e, quindi, delle sanzioni applicate e/o applicabili). I dati in questione mostrano, infine, l'efficacia dissuasiva della norma, con particolare riguardo all'immissione in filiera di prodotto vietato che, ad un prudente apprezzamento, non trova mercato in quanto non più considerato economicamente vantaggioso in ragione dei rischi derivanti dell'illecita detenzione.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi informativi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a svolgere le proprie attività mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BORGHESI, GUIDESI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   secondo la Convenzione di Washington, sottoscritta il 3 marzo 1973, recepita dall'Italia con legge 19 dicembre 1975, n. 874, si prevede la stringente regolazione del commercio, dell'importazione, dell'esportazione, della detenzione di specie minacciate a livello globale;

   secondo la Convenzione di Berna del 19 settembre 1979 e ratificata dall'Italia con legge 5 agosto 1981 n. 503, nell'allegato II si prevede la protezione e divieto di cattura, uccisione, detenzione e commercio del lupo;

   secondo la direttiva «Habitat» 21 maggio 1992, Conservazione degli habitat naturali e seminaturali della flora e della fauna selvatiche (92/43/CEE), recepita dall'Italia con il decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e che inserisce il lupo nell'allegato D, si proibisce la cattura, l'uccisione, il disturbo, la detenzione, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione del lupo;

   il lupo negli ultimi decenni ha portato a riconoscere la specie in uno stato di conservazione soddisfacente rispetto ai parametri propri della direttiva « habitat», e a migliorare la sua classificazione da «minacciata» a «vulnerabile» nella classificazione della lista rossa IUCN;

   sono in continuo aumento, soprattutto nella zona appenninica ed alpina, gli attacchi da parte di lupi e ibridi ai capi di bestiame facendo registrare ingenti danni ad agricoltori ed allevatori fino a determinarne in taluni casi la chiusura di comparti produttivi;

   i danni causati all'agricoltura ed alla zootecnia dagli animali selvatici hanno assunto dimensioni rilevanti in tutta la penisola e l'incremento della frequenza di questi attacchi sta causando un inasprimento della tensione sociale che ha bisogno di risposte urgenti da parte delle istituzioni e del Governo, a partire da misure preventive e di contrasto –:

   se intenda chiarire, previo censimento ufficiale, il numero esatto dei lupi ed ibridi presenti sul territorio nazionale;

   quali iniziative urgenti intenda assumere per garantire un giusto equilibrio tra la presenza del lupo e quella degli allevatori, salvaguardando, al tempo stesso, le attività che producono reddito per le comunità locali e la biodiversità;

   quante risorse economiche si intendano destinare a sostegno delle imprese agricole zootecniche che sono chiamate a convivere con la specie.
(4-17273)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi di valutazione forniti dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), nonché dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territori e del mare, per quanto di competenza si rappresenta quanto segue.
  Il Governo, consapevole del problema relativo alla gestione e conservazione del lupo in Italia e alle problematiche ad esso connesse, si è attivato da oltre un anno per aggiornare il Piano d'azione del lupo.
  In generale sono diversi i progetti Life, finanziati dalla Commissione europea che sono stati condotti o sono ancora in corso, finalizzati alla gestione della specie e delle problematiche ad essa connesse: Wolfalps (Alpi), M.I.R.C.O. (parco nazionale dell'Appennino tosco-emiliano e parco nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga), Ibriwolf (provincia di Grosseto), Wolfnet parco nazionale del Pollino, parco nazionale della Majella, parco nazionale delle foreste casentinesi, Monte Falterona e Campigna (provincia dell'Aquila), Medwolf (provincia di Grosseto e Portogallo).
  Più recentemente è stato commissionato a 70 esperti, con il contributo di Ispra e dell'Uzi, la redazione di un piano di conservazione e gestione del lupo in Italia. Il Piano prevede il ricorso a diverse azioni. Un'intera parte del piano è dedicata alle azioni per la gestione; tra queste, le azioni di prevenzione e contrasto delle attività illegali, le azioni per prevenire la presenza di cani vaganti e l'ibridazione lupo-cane, le azioni per la prevenzione e la mitigazione dei conflitti con le attività zootecniche, la predisposizione di strutture di captivazione di lupi e, da ultimo, l'applicazione di deroghe al divieto di rimozione di lupi dall'ambiente naturale successivamente alla verifica del rispetto di rigorosi presupposti, condizioni, limiti e criteri di applicazione.
  Per questo motivo, stime recenti della dimensione della popolazione invernale alpina di lupo ottenute dai rilievi del citato progetto Life Wolfalps, indicano una consistenza compresa tra 100-130 individui. A questi va aggiunta la popolazione appenninica stimata, attraverso un metodo deduttivo basato sulle attuali migliori conoscenze di cinque parametri biologici, in un valore mediano di 1580 animali con una valutazione dell'incertezza associata compresa tra 1.070 e 2.472 (Boitani & Salvatori, 2015).
  L'attivazione di un sistema organico di monitoraggio del carnivoro a scala nazionale rappresenta la principale priorità d'azione identificata dal piano d'azione nazionale per la conservazione del Lupo (Genovesi, 2002). Un'adeguata conoscenza dei più importanti parametri di popolazione e dei danni che questo predatore provoca agli allevamenti rappresenta la necessaria premessa per mettere a punto più efficaci strumenti di intervento per la conservazione della specie e per l'attenuazione dei conflitti con l'uomo. La realizzazione di un programma nazionale di monitoraggio è inoltre espressamente prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 1997.
  Relativamente alla dimensione del problema dell'ibridazione tra cane e lupo non è possibile quantificare frequenza e ricorrenza dei casi di ibridazione avvenuti nella storia evolutiva. Pur tuttavia studi recenti evidenziano un'accresciuta frequenza dei casi d'ibridazione tra lupo e cane recentemente accertati in Italia. Nelle condizioni attuali il fenomeno si va quindi ad associare alle altre minacce che già gravano sulla specie lupo, con l'importante differenza che la perdita di biodiversità, in questo caso rappresentata dall'integrità genomica originaria della specie, sarebbe irreversibile. Si evidenzia che la problematica dell'ibridazione deriva dalla presenza consistente di cani vaganti sul nostro territorio. Ciò discende largamente dalla mancata applicazione dell'attuale quadro normativo di riferimento (legge 14 agosto 1991 n. 281) e dalla inadeguatezza degli strumenti da questo definiti.
  Per quanto riguarda le iniziative adottate al fine di garantire un equilibrio che limiti le situazioni di conflitto con le attività produttive, è opportuno evidenziare come diverse azioni siano state adottate a partire dagli anni ’70, finalizzate alla conservazione del lupo, che hanno compreso sia misure legislative adottate dalle amministrazioni locali, sia programmi di conservazione promossi dalle amministrazioni locali, dagli enti gestori di aree protette, da Ong, e da istituti di ricerca pubblici.
  Infatti, in ottemperanza all'obbligo di risarcimento dei danni provocati dalla fauna selvatica, le regioni interessate dalla presenza del lupo hanno promulgato normative che assicurano la refusione dei danni al patrimonio zootecnico causati da questo predatore.
  Al fine di prevenire i conflitti del lupo con la zootecnia, diverse amministrazioni promuovono la messa in opera di strumenti di prevenzione dei danni, anche attraverso il finanziamento di recinzioni per la stabulazione notturna delle greggi. A titolo di esempio, si cita la regione Piemonte che, in collaborazione con la provincia di Torino ed i parchi di Salbentrand e delle Alpi Marittime, ha attivato il programma «Il lupo in Piemonte: azioni per la conoscenza e la conservazione della specie, per la prevenzione dei danni al bestiame domestico e per l'attuazione di un regime di coesistenza stabile tra lupo e attività economiche». Tale programma, cofinanziato dall'Unione europea tramite il programma Interrreg, si è articolato nei seguenti compatti principali: monitoraggi, ricerca, informazione e preparazione. Analogamente, la Regione Emilia-Romagna ha cofinanziato un programma Life per la conservazione del lupo in dieci Siti di interesse comunitario ricadenti all'interno di tre parchi regionali e del parco nazionale dell'Appennino settentrionale di recente istituzione. Il progetto prevede il monitoraggio del lupo e delle popolazioni preda, la messa in opera di sistemi di prevenzione dei danni, la sensibilizzazione delle popolazioni locali e la produzione di linee guida per una corretta gestione del lupo. Il Parco nazionale del Pollino ha promosso un progetto intensivo di quattro anni di ricerca finalizzato a definire consistenza numerica, distribuzione, struttura spaziale e sociale, uso del territorio e dell’
habitat, dispersione, alimentazione impatto sulla zootecnia. Parallelamente, l'ente parco ha cofinanziato un programma Life triennale, in collaborazione con il WWF, volto al controllo del randagismo canino, alla messa in opera di strumenti di prevenzione (recinzioni elettrificate e cani da guardiania) e a promuovere una migliore opinione sul lupo da parte delle popolazioni locali.
  Si segnala che il Piano non è stato ancora approvato presso la conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato e a svolgere le proprie attività mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nell'area del cratere del terremoto, nel tratto tra Matelica nord e CastelRaimondo (Macerata), è in corso di definizione il progetto esecutivo per la costruzione della Pedemontana – l'asse viario ideato circa 40 anni fa, che avrebbe dovuto consentire l'espansione del comparto industriale e della piccola e media impresa, mediante un sistema di infrastrutture viarie che prevedeva il raccordo dell'asse Foligno-Civitanova strada statale 77 all'asse Perugia-Ancona strada statale 76 e strada statale 318;

   tale progetto fu avanzato dalla Società Quadrilatero che presentò un'analisi di valorizzazione, ipotizzando un volano sull'economia dell'area in questione, tanto da prevedere effetti economici, in termini di valore aggiunto, che ammontavano a circa 200 milioni di euro;

   il sistema viario, disciplinato dal Pav (il piano di area vasta), prevedeva l'attivazione di fonti di finanziamento, tra cui principalmente il contributo trentennale delle camere di commercio interessate dalle opere viarie e i canoni di concessione per la realizzazione e gestione delle iniziative imprenditoriali nelle «aree leader», con una occupazione diretta e indiretta negli anni successivi alla realizzazione dell'opera pari ad oltre 8000 unità l'anno, per arrivare a 90.000 unità in 10 anni;

   il progetto è stato autorizzato dal comune di Matelica, dalla regione Marche e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al punto da diventare un progetto strategico di rilievo nazionale;

   tuttavia, nella Gazzetta Ufficiale n. 109 del 12 maggio 2017 è stata pubblicata la delibera del CIPE del 1o dicembre 2016, in cui dall'esame di uno schema di «piano di valorizzazione» delle aree leader, trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 24 marzo 2016, lo stesso Ministero rilevava che, nonostante la previsione di ulteriori elementi incentivanti per la valorizzazione delle aree, permanevano criticità e incertezze che non avrebbero consentito l'attivazione delle successive fasi procedurali; pertanto, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti intendeva rinunciare al progetto;

   dal 2002, molti sono stati gli eventi che hanno impattato sull'area in questione, modificandone il tessuto economico-sociale: la crisi delle piccole e medie imprese e il collasso del «modello imprenditoriale marchigiano», la chiusura di industrie e il relativo effetto domino su tutte le aziende satelliti, il bail in di Banca delle Marche, fino al terremoto del 30 ottobre 2016;

   l'area interessata dalla Pedemontana è un territorio che convive con le macerie del sisma e nessun avvio della ricostruzione è ancora iniziato;

   nonostante una concomitanza di eventi avversi, la popolazione sta cercando con enormi difficoltà di ripartire dalle risorse dei luoghi, anche mediante una « soft economy» delle attività ricreative, agrituristiche e enogastronomiche, che proprio dall'ambiente traggono fonte di sostentamento;

   la ricostruzione non può passare attraverso infrastrutture viarie che, oltre a rivelarsi completamente inutili in questa particolare fase economica, porteranno ulteriore distruzione, decretando la desertificazione di tutto il territorio che invece dovrebbe ripartire dalla comunità, dalle case, dalle stalle, dai laboratori e dalle fabbriche;

   strade come la Pedemontana progettate in un'altra epoca dovrebbero essere oggetto di revisione ad esempio con l'ottimizzazione e l'ampliamento dei tracciati esistenti –:

   quale sia la posizione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, relativamente ai fatti sopra esposti e in particolare alla luce di quanto riportato nella delibera del CIPE del 1o dicembre 2016 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 109 del 2017;

   quali siano le analisi economiche in possesso del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per il progetto suindicato;

   se vi siano e quali siano le previsioni di investimento nell'area;

   quale sia il settore di potenziale sviluppo economico previsto dalle analisi di settore per l'area in questione;

   quali siano le motivazioni della velocità estrema di esecuzione dei lavori citati in premessa e se le analisi e le valutazioni sull'effettivo valore della realizzazione di tale opera siano stati più rivisti e aggiornati dal 2002.
(4-17435)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base delle informazioni pervenute dalla Direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalle società Anas e Quadrilatero Marche Umbria (Qmu), si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 21 settembre 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in VIII commissione Camera, l'opera strategica di interesse nazionale «Asse Viario Quadrilatero Marche Umbria» consiste nel completamento ed adeguamento di due arterie principali (l'asse Foligno-Civitanova Marche strada statale (SS) 77 e l'asse Perugia-Ancona SS 76 e SS 318), della Pedemontana delle Marche e di altri interventi viari, idonei ad assicurare il raccordo con i poli industriali esistenti e, più in generale, a migliorare ed incrementare l'accessibilità alle aree interne delle Regioni interessate.
  Le potenzialità generate dalla realizzazione dell'intero sistema viario Quadrilatero, compresa la Pedemontana delle Marche consentono, pertanto, di ridurre il
deficit infrastrutturale che penalizza le regioni Marche ed Umbria, creando un efficiente collegamento con le circostanti e verso l'Europa, determinando il decongestionamento del traffico, la significativa riduzione del tasso di incidentalità, producendo inoltre effetti ambientali, territoriali e socioeconomici positivi per la collettività.
  Tutte queste motivazioni sono state fondamentali nello sviluppo dell'intero progetto Quadrilatero, proprio per dare l'opportunità ai territori di rilanciare il potenziale economico a seguito degli eventi sismici avvenuti nel 1997.
  Aver realizzato ed aperto al traffico buona parte degli assi principali del progetto, in concomitanza del grave sisma che ha colpito l'Italia centrale nell'agosto-ottobre 2016, ha dimostrato di essere fondamentale per la gestione dell'emergenza, essendo le uniche valide alternative stradali in esercizio rispetto alla viabilità ordinaria.
  Le opere strutturali del sistema viario Quadrilatero rispettano infatti le «Norme tecniche per le Costruzioni» di cui al decreto ministeriale 14 settembre 2005 e successive modificazioni ed integrazioni ed hanno risposto con successo agli eventi sismici di cui sopra.
  La società Qmu precisa che, per quanto riguarda la tematica relativa all'impatto ambientale generato dalla realizzazione della Pedemontana delle Marche, così come per l'intero progetto viario Quadrilatero, l'obiettivo principale è stato quello di un ottimale inserimento delle opere nei contesti paesaggistici interessati dal tracciato, limitandone per quanto possibile, l'impatto ambientale.
  Tale attenzione è stata positivamente accolta, sin dalle prime proposte progettuali del sistema viario Quadrilatero (2001) attraverso i pareri degli enti istituzionali coinvolti (Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, Ministero dei beni, attività culturali e turismo e le proprie strutture periferiche, regioni e province).
  A tal fine i manufatti ed i tracciati sono stati adattati alla varietà topologica dell'ambito di inserimento, individuando soluzioni architettoniche ed ingegneristiche per preservare il paesaggio e l'ambiente, fornendo contemporaneamente all'utente stradale l'apprezzamento visivo dei luoghi percorsi (interramenti delle sedi stradali, verde all'ingresso delle gallerie, opere di compensazione ambientale, e altro).
  La società Qmu riferisce, inoltre, che l'inserimento paesaggistico sarà costantemente verificato in corso d'opera, grazie al progetto di Monitoraggio ambientale, che prevede una serie di
screening in sede di realizzazione, atti a constatare il risultato ed intervenire con eventuali ulteriori mitigazioni ove necessario. Il monitoraggio sopra citato è garantito anche dalle verifiche di ottemperanza di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare — Commissione Via-Vas).
  Tali misure sono parte integrante dei progetti stradali, ottemperando alle prescrizioni e raccomandazioni del Cipe.
  La strada Pedemontana delle Marche, in particolare, ha avuto un lungo
iter approvativo, non ancora completato, che ha interessato tutte le amministrazioni e gli enti preposti, in osservanza del quadro normativo di riferimento. Si riporta di seguito il riepilogo, fornito dalla società Qmu degli eventi più significativi di detto iter:

   il progetto preliminare della intera tratta della Pedemontana è stato predisposto dalla regione Marche e acquisito dalla società Qmu nel corso del 2003;

   nel dicembre 2003 la Qmu ha avviato le procedure di approvazione al Cipe e lo stesso Comitato ha approvato la progettazione preliminare con la delibera Cipe n. 13 del 2004;

   nel corso del 2006, a seguito di gara comunitaria ad evidenza pubblica, la Qmu ha affidato al contraente generale il completamento, della progettazione e la realizzazione dell'intervento viario;

   nel corso del 2010 si sono avviate le procedure per l'approvazione del progetto definitivo da parte del Cipe;

   con la delibera n. 58 del 2012 il Cipe ha approvato e finanziato il progetto definitivo del 1° lotto funzionale della Pedemontana delle Marche, tratto Fabriano — Matelica nord e bretella di collegamento SS 77 — strada provinciale (SP) 209 presso Muccia (MC);

   con successiva delibera n. 109 del 2015 il Cipe ha approvato e finanziato il progetto definitivo del 2° lotto funzionale della Pedemontana delle Marche, tratto Matelica Nord – Castelraimondo nord;

   nel 2016, il Cipe, con delibera n. 64 del 2016, pubblicata in G.U.R.I. n. 109 del 12 maggio 2017, ha ridefinito l'intero progetto Quadrilatero ed il relativo quadro economico complessivo, confermando la Pedemontana delle Marche tra gli interventi prioritari necessari a garantire il completamento funzionale del sistema viario Quadrilatero e il quadro economico complessivo della stessa opera;

   nell'ambito della predetta delibera n. 64 del 2016, il comitato ha ritenuto di abbandonare lo strumento del Piano di area vasta (Pav), riallocando le risorse finanziarie ad esso precedentemente stanziate, per completamento del sistema viario Qmu.

  Ad oggi, riferisce la società Qmu, è in corso di realizzazione il 1° lotto funzionale, con uno stato di avanzamento dei lavori pari a circa il 22 per cento nel pieno rispetto del cronoprogramma dei lavori, parte integrante della documentazione progettuale approvata dal Cipe.
  È inoltre in corso di approvazione il progetto esecutivo del 2° lotto funzionale mentre è in via di completamento la procedura approvativa degli ultimi due lotti funzionali della Pedemontana delle Marche (3° e 4° lotto),
  In conclusione, l'attuazione delle procedure per la realizzazione di tale opera strategica di interesse nazionale ha portato al finanziamento di circa il 60 per cento della Pedemontana delle Marche, arteria di collegamento tra i due assi principali del sistema Quadrilatero, la SS 77 Foligno-Civitanova Marche e la SS 76 Perugia-Ancona, il primo in esercizio ed il secondo in avanzato stato di realizzazione (83 per cento).

Il Vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   BUSTO e BENEDETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   diverse fonti stampa hanno riportato la notizia dell'ennesimo atto di bracconaggio nella regione Toscana: l'uccisione e lo scuoiamento, in data 28 aprile, di un lupo, il quale è stato ritrovato appeso ad un cartello stradale a Suvereto, in provincia di Livorno;

   la questione delle corretta convivenza uomo-lupo è stato oggetto di discussioni negli ultimi mesi, a fronte dei molteplici casi di bracconaggio avvenuti nella penisola italiana, delle lamentele degli agricoltori e degli allevatori e della presentazione da parte del Ministro Galletti del «piano-lupo»;

   la situazione risulta molto tesa come dimostra il verbale della seduta n. 81 del 2 marzo 2017 della regione Toscana in cui si può leggere la dichiarazione del dottor Banti favorevole ai piani di abbattimento per il lupo nelle aree non vocate, prevedendo l'abbattimento anche dell'80 per cento degli animali censiti. Nello stesso verbale l'assessore Remaschi espone la posizione della regione Toscana favorevole all'approvazione del piano lupo corredato della clausola di abbattimento del 5 per cento degli animali anche se la ritiene una percentuale insufficiente;

   come già indicato nella risoluzione in commissione n. 7-00928 il lupo è patrimonio indisponibile dello Stato ed una specie particolarmente protetta da numerose normative nazionali ed internazionali quali la Convenzione di Berna, la direttiva «Habitat» (direttiva 92/43/CEE, recepita dall'Italia con decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997), la Convenzione di Washington (1973) sul commercio delle specie animali e vegetali minacciate di estinzione (Cites, recepita dal nostro Paese con la legge n. 874 del 19 dicembre 1975);

   nei rilievi effettuati nell'ambito del progetto Life medwolf (LIFE11 NAT/IT/069) risulta che sul territorio toscano i fenomeni delle predazioni sono messe in atto da cani mal gestiti. Tra le aziende zootecniche che hanno subito predazioni nel 2014 il 98 per cento non era sorvegliata dal pastore, l'85 per cento non aveva recinti anti predatore, il 57 per cento non aveva cani da guardia, il 41 per cento aveva solo 2 cani ogni 500 pecore. Il medesimo progetto Life medwolf, inoltre, sulla base del registro ufficiale delle predazioni, indica in appena 0,3 per cento la percentuale del patrimonio zootecnico ovino colpito dalle predazioni nel 2014;

   molti metodi risultano efficaci al fine della tutela degli allevatori/agricoltori quali: azioni dissuasive e di disturbo attivi anche per evitare la cronicizzazione degli attacchi, corretta applicazione delle norme vigenti previste dalla legge n. 281 del 1991 con controllo del randagismo canino, interventi gestionali quali recinzioni elettrificate e finanziamenti agli allevatori per l'adozione di misure volte alla prevenzione degli attacchi;

   il lupo è un inequivocabile segnale positivo per tutto l'ecosistema e per la biodiversità, è quindi un indicatore biologico, in qualità di top predator, di un ambiente ecologicamente sostenibile;

   a differenza di quanto può avvenire in altre specie l'abbattimento dei lupi non può essere selettivo, in quanto ogni singolo individuo del branco ha un ruolo sociale molto preciso. La presenza di ognuno garantisce la sopravvivenza del branco stesso, pertanto andando a rimuovere un qualunque individuo si potrebbero generare squilibri e ripercussioni tanto sulla sopravvivenza del branco quanto sulla sua capacità riproduttiva, la quale, potrebbe addirittura aumentare –:

   quali iniziative di prevenzione alla predazione, diverse dall'abbattimento, il Governo intenda assumere e quali e quante risorse economiche intenda predisporre per i piani coesistenza uomo-lupo e quale sia lo status del «piano lupo» presentato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per fare chiarezza sulla vicenda di Suvereto (Livorno), per inasprire la lotta al bracconaggio, contrastare il randagismo e uniformare gli strumenti previsti per la tutela degli allevatori.
(4-16464)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'uccisione di un esemplare di lupo a Suvereto (Livorno) e al piano di gestione del lupo in Italia, sulla base degli elementi di valutazione forniti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), si rappresenta quanto segue.
  Il Governo, consapevole del problema relativo alla gestione e conservazione del lupo in Italia e alle problematiche ad esso connesse, si è attivato da oltre un anno per aggiornare il piano d'azione del lupo.
  In generale sono diversi i progetti Life, finanziati dalla Commissione europea, conclusi o ancora in corso, finalizzati alla gestione della specie e delle problematiche ad essa connesse: Wolfalps (Alpi), M.i.r.c.o. (parco nazionale dell'Appennino tosco-emiliano e parco nazionale del Gran Sasso e dei monti della Lega), Ibriwolf (provincia di Grosseto), Wolfnet (parco nazionale del Pollino, parco nazionale della Majella, parco nazionale delle foreste casentinesi, monte Falterona e Campigna (provincia dell'Aquila), Medwolf (provincia di Grosseto e Portogallo).
  Più recentemente è stato commissionato a 70 esperti, con il contributo di Ispra e dell'unione zoologica italiana (UZI), la redazione di un piano di conservazione e gestione del lupo in Italia. Il piano prevede il ricorso a diverse azioni. Un'intera parte del piano è dedicata a 22 azioni per la gestione; tra queste, le azioni di prevenzione e contrasto delle attività illegali, le azioni per prevenire la presenza di cani vaganti e l'ibridazione lupo-cane, le azioni per la prevenzione e la mitigazione dei conflitti con le attività zootecniche, la predisposizione di strutture di captivazione di lupi e, da ultimo, l'applicazione di deroghe al divieto di rimozione di lupi dall'ambiente naturale successivamente alla verifica del rispetto di rigorosi presupposti, condizioni, limiti e criteri di applicazione.
  Tali prerequisiti consistono nella richiesta di deroga avanzata dall'amministrazione regionale, che quindi ha il pieno controllo sull'attivazione del processo; la documentazione prodotta dalla regione che attesti lo stato favorevole della popolazione del lupo e la non incidenza della deroga sulla conservazione della popolazione stessa; la documentazione prodotta dalla regione che attesti la messa in opera delle più idonee misure di prevenzione e di controllo del randagismo canino; la documentazione prodotta dalla regione che attesti l'assenza di altre soluzioni valide; la documentazione prodotta dalla regione sull'attuazione delle misure di competenza previste dal piano.
  Sulla base di quanto detto, Ispra è chiamata ad una valutazione caso per caso e deve accertare la sussistenza di tali requisiti e la piena rispondenza delle condizioni fissate dalla normativa vigente per questo tipo di deroga.
  Solo a seguito del parere d Ispra, il Ministero può autorizzare la rimozione di singoli individui, in un contesto che deve mantenere un carattere di eccezionalità.
  Pertanto, i passaggi sopra rappresentati evidenziano che si tratta di un procedimento amministrativo molto elaborato, che è sottoposto ad un parere dell'Ispra e che non costituisce un automatico riconoscimento della deroga.
  Per questo motivo, stime recenti della dimensione della popolazione invernale alpina di lupo ottenute dai rilievi del citato progetto Life Wolfalps, indicano una consistenza compresa tra 100-130 individui. A questi va aggiunta la popolazione appenninica stimata, attraverso un metodo deduttivo basato sulle attuali migliori conoscenze di cinque parametri biologici, in un valore mediano di 1.580 animali con una valutazione dell'incertezza associata compresa tra 1.070 e 2.472 (Boitani & Salvatori, 2015).
  L'attivazione di un sistema organico di monitoraggio del carnivoro a scala nazionale rappresenta la principale priorità d'azione identificata dal piano d'azione nazionale per la conservazione del lupo (Genovesi, 2002). Un'adeguata conoscenza dei più importanti parametri di popolazione e dei danni che questo predatore provoca agli allevamenti rappresenta la necessaria premessa per mettere a punto più efficaci strumenti di intervento per la conservazione della specie e per l'attenuazione dei conflitti con l'uomo. La realizzazione di un programma nazionale di monitoraggio è inoltre espressamente prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997.
  Relativamente alla dimensione del problema dell'ibridazione tra cane e lupo non è possibile quantificare frequenza e ricorrenza dei casi di ibridazione avvenuti nella storia evolutiva. Pur tuttavia, studi recenti evidenziano un'accresciuta frequenza dei casi d'ibridazione tra lupo e cane recentemente accertati in Italia. Nelle condizioni attuali il fenomeno si va quindi ad associare alle altre minacce che già gravano sulla specie lupo, con l'importante differenza che la perdita di biodiversità, in questo caso rappresentata dall'integrità genomica originaria della specie, sarebbe irreversibile. Si evidenzia che la problematica dell'ibridazione deriva dalla presenza consistente di cani vaganti sul nostro territorio. Ciò discende largamente dalla mancata applicazione dell'attuale quadro normativo di riferimento (legge n. 281 del 14 agosto 1991) e dalla inadeguatezza degli strumenti da questo definiti.
  Per quanto riguarda le iniziative adottate al fine di garantire un equilibrio che limiti le situazioni di conflitto con le attività produttive, è opportuno evidenziare come diverse azioni siano state adottate a partire dagli anni ’70, finalizzate alla conservazione del lupo, che hanno compreso sia misure legislative adottate dalle amministrazioni locali, sia programmi di conservazione promossi dalle amministrazioni locali, dagli enti gestori di aree protette, da Ong e da istituti di ricerca pubblici.
  Infatti, in ottemperanza all'obbligo di risarcimento dei danni provocati dalla fauna selvatica, le regioni interessate dalla presenza del lupo hanno promulgato normative che assicurano la refusione dei danni al patrimonio zootecnico causati da questo predatore. In diverse regioni, tuttavia, la ridotta disponibilità di fondi non permette il risarcimento dell'intera perdita economica subita dagli allevatori; in questi casi, le amministrazioni corrispondono un indennizzo parziale dei danni, per una percentuale variabile tra il 29 per cento ed il 100 per cento delle richieste avanzate (Ciucci et al., 1997).
  Al fine di prevenire i conflitti del lupo con la zootecnia, diverse amministrazioni promuovono la messa in opera di strumenti di prevenzione dei danni, anche attraverso il finanziamento di recinzioni per la stabulazione notturna delle greggi. A titolo di esempio, si cita la regione Piemonte che, in collaborazione con la provincia di Torino ed i parchi di Salbentrand e delle alpi marittime, ha attivato il programma «Il lupo in Piemonte: azioni per la conoscenza e la conservazione della specie, per la prevenzione dei danni al bestiame domestico e per l'attuazione di un regime di coesistenza stabile tra lupo e attività economiche». Tale programma, cofinanziato dall'Unione europea tramite il programma Interreg, si è articolato nelle seguenti attività principali: monitoraggi, ricerca, informazione e preparazione. Analogamente, la regione Emilia-Romagna ha cofinanziato un programma Life per la conservazione del lupo in dieci siti di interesse comunitario (SIC) ricadenti all'interno di tre parchi regionali e del parco nazionale dell'Appennino tosco-emiliano, di più recente istituzione. Il progetto prevede il monitoraggio del lupo e delle popolazioni preda, la messa in opera di sistemi di prevenzione dei danni, la sensibilizzazione delle popolazioni locali e la produzione di linee guida per una corretta gestione del lupo. Il parco nazionale del Pollino ha promosso un progetto intensivo di quattro anni di ricerca finalizzato a definire consistenza numerica, distribuzione, struttura spaziale e sociale, uso del territorio e dell'habitat, dispersione, alimentazione, impatto sulla zootecnia. Parallelamente, l'ente parco ha cofinanziato un programma Life triennale, in collaborazione con il Wwf, volto al controllo del randagismo canino, alla messa in opera di strumenti di prevenzione (recinzioni elettrificate e cani da guardiania) e a promuovere una migliore opinione sul lupo da parte delle popolazioni locali.
  Si segnala che il piano non è stato ancora approvato presso la conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Per quanto riguarda le risorse economiche, il piano prevede impegni precisi del Governo, mentre per quanto riguarda la prevenzione e gli indennizzi dei danni da lupo si ricorda che queste sono di competenza delle regioni, che a tal fine possono avvalersi anche dei fondi europei.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi informativi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato e a svolgere le proprie attività mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   COLLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'emergenza incendi che le regioni meridionali del nostro Paese stanno fronteggiando in questi giorni, sta colpendo anche diverse province della regione Abruzzo;

   in particolare, nella tarda mattinata dell'11 luglio 2017, un incendio di vaste proporzioni si è sviluppato a Caramanico Terme, in località Colle della Rena, tra le contrade San Tommaso e Scagnano, al confine con San Valentino in Abruzzo Citeriore. Il fronte dell'incendio sta interessando non solo il territorio comunale di Caramanico, ma anche quelli confinanti raggiungendo terreni e abitazioni; per fronteggiare la situazione è stato necessario sollecitare un mezzo aereo, arrivato, tra l'altro, solo nel pomeriggio inoltrato. Non solo, un Canadair è dovuto partire addirittura dalla città di Cagliari per raggiungere la citata zona;

   in base ad un primo bilancio tracciato dal sottosegretario alla presidenza della giunta regionale che si occupa di protezione civile, Mario Mazzocca, sono circa sessanta gli ettari di terreno andati in fumo. Lo stesso, ha sottolineato, inoltre, che «con due Canadair sarebbe stato più semplice fronteggiare la situazione»;

   solamente nella mattinata del 13 luglio 2017 la regione Abruzzo e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco hanno sottoscritto una convenzione con la quale viene disciplinata l'attività di spegnimento degli incendi boschivi sul territorio della regione Abruzzo. Quest'ultima, per il conseguimento degli obiettivi previsti dalla convenzione, sarà costretta a sopportare un onere finanziario quantificato forfettariamente in 450 mila euro;

   tale emergenza sta creando ingenti danni al patrimonio boschivo e alla macchia mediterranea, oltre che seri disagi e rischi per la stessa incolumità fisica della collettività;

   la flotta aerea impegnata nella campagna Aib 2017 risulta composta da sedici Canadair CL415 – due dei quali cofinanziati dalla Commissione europea nell'ambito del progetto BufferIT – quattro elicotteri Erickson S64F (uno dei quali considerato riserva tecnica), e altri otto elicotteri del comparto difesa e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

   risulta dal sito internet istituzionale del dipartimento della protezione civile, in particolare dalla tabella relativa allo schieramento della flotta aerea statale Aib 2017 (in dotazione dal 1o luglio al 31 agosto 2017) che la regione Abruzzo può contare solamente su una base operativa di Pescara, dalla qual poter far partire un solo elicottero AB-412;

   negli anni passati, alcune flotte regionali erano costituite da elicotteri del Corpo forestale dello Stato messi a disposizione attraverso convenzioni stipulate con le regioni. Quest'anno, per effetto del decreto legislativo n. 177 del 2016 (emesso ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a) della legge n. 124 del 2015) si è disposto lo smembramento del Corpo forestale dello Stato, e il relativo passaggio di competenze al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dell'Arma dei carabinieri che insieme alle regioni concorrono nell'attività di contrasto agli incendi boschivi. Quest'ultimi (già con pochi mezzi e uomini) non pare però siano stati dotati delle opportune risorse umane e materiali per adempiere alle competenze prima affidate al Corpo forestale e garantire, di conseguenza, alla collettività una campagna antincendi efficace ed efficiente. Infatti, sciolto il Corpo forestale, solo una parte marginale di esso è confluita nel Corpo dei vigili del fuoco, mentre un'altra parte è stata assorbita nell'Arma dei carabinieri;

   alla luce di ciò, le regioni, tra cui quella abruzzese, chiamate a organizzare i propri sistemi antincendio in modo nuovo e con poche risorse, stanno facendo enorme fatica a contrastare in modo efficace l'emergenza incendi, soprattutto in quei contesti in cui esisteva un collaudato e consolidato rapporto di collaborazione con il Corpo forestale, che interveniva nei casi di necessità con i propri Canadair –:

   se siano a conoscenza dei drammatici sviluppi della situazione nonché delle emergenze analoghe di altre regioni e quali iniziative nell'ambito delle rispettive competenze, intendano adottare per risolvere le criticità sopra esposte, al fine di prevenire e contrastare in modo efficace il fenomeno degli incendi boschivi;

   se si intenda chiarire come il Ministero dell'interno stia utilizzando i mezzi ereditati dall'assorbito Corpo forestale.
(4-17339)

  Risposta. — Va, preliminarmente, segnalato come la legislazione di settore e, in particolare, il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, affidi la competenza primaria nella materia della lotta attiva contro gli incendi boschivi alle regioni, riservando allo Stato il solo concorso nell'attività di spegnimento. Tale assetto generale è stato, del resto, confermato e ancor più esplicitato dalla legge quadro sugli incendi boschivi 21 novembre 2000, n. 353, che ha, tra l'altro, attribuito alle regioni il compito di definire e programmare, mediante appositi piani regionali, le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi. Tale suddivisione di competenze tra lo Stato e le regioni in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi non risulta in alcun modo mutata anche a seguito dell'emanazione del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante la razionalizzazione delle funzioni di polizia e l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato. Infatti, allo Stato continua a spettare in via sussidiaria il concorso alla lotta attiva agli incendi boschivi attraverso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e l'Arma dei carabinieri per le connesse attività di prevenzione e repressione.
  Nella consapevolezza che il fenomeno degli incendi boschivi rappresenta una delle emergenze ambientali più critiche per il nostro Paese, è stato firmato, il 5 aprile, 2017, un apposito protocollo d'intesa tra l'Arma dei carabinieri e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di definire ogni utile sinergia operativa e di migliorare ulteriormente l'efficacia degli interventi. In particolare, tale protocollo, individua gli ambiti di rispettivo intervento e definisce le attività di collaborazione in materia.
  Inoltre, va ricordato come al fine di sollecitare il ricorso ad accordi pattizi tra le regioni e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco – l'unico corpo dello Stato che può, su richiesta delle regioni, concorrere nelle attività di lotta attiva contro gli incendi boschivi – il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile si sia fatto promotore della sottoscrizione di un apposito accordo quadro tra il Governo e le regioni sancito il 4 maggio 2017 nell'ambito della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trenta e Bolzano.
  L'accordo individua i criteri generali, i principi direttivi e le modalità della collaborazione tra il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e le regioni, nell'esercizio dei rispettivi compiti in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi.
  Grazie a tale iniziativa sono state successivamente stipulate diverse convenzioni con le regioni che hanno manifestato un interesse in tal senso. Nel dettaglio, alla data del 31 agosto 2017 sono stati sottoscritti 15 atti convenzionali. Giova, al riguardo, sottolineare come tali strumenti risultino particolarmente significativi, in quanto, oltre a prevedere diverse forme di collaborazione, consentono di addivenire, tra l'altro, ad un'ulteriore implementazione dei dispositivi di lotta a terra agli incendi boschivi, grazie alla previsione di squadre del corpo all'uopo dedicate.
  La regione Abruzzo ha stipulato, in data 14 luglio 2017, la convenzione AIB con il dipartimento dei vigili del fuoco, per il periodo di massima pericolosità, in cui si impegna a corrispondere un finanziamento di euro 450.000,00 per il pagamento di spese per gli oneri aggiuntivi connessi all'impiego del personale e per la gestione di mezzi e attrezzature da impiegare nella lotta attiva agli incendi boschivi. Sempre da un punto di vista generale, va specificato come la campagna AIB della scorsa estate – anche in virtù delle peculiari condizioni climatiche e del perdurante stato di siccità che ha interessato diverse regioni – si è caratterizzata per un'eccezionale intensità del fenomeno, in quanto si è registrato, rispetto al
trend degli ultimi anni, un notevole aumento degli incendi boschivi dal 15 giugno al 18 settembre 2017 e sono stati effettuati 98.401 interventi a terra (nell'intero anno 2016 sono stati in tutto 73.043, 68.651 nel 2015). Nello stesso periodo sono state attivate 2.218 schede da parte del Centro operativo aereo unificato (COAU) per l'impiego di mezzi aerei della flotta statale.
  Per quanto attiene, più specificamente, agli interventi relativi agli incendi boschivi effettuati nella regione Abruzzo, si rappresenta che, dalla data del 15 giugno sino a quella del 18 settembre 2017, sono stati effettuati dal Corpo nazionale 3.061 interventi a terra. Nel medesimo arco temporale sono state attivate dal centro operativo aereo unificato (COAU) 173 schede COAU, con un impiego complessivo di 326 mezzi aerei, di cui 200 Canadair e 87 elicotteri del corpo nazionale e i rimanenti 39 relativi all'impiego di elicotteri di altre Amministrazioni.
  A tale riguardo, va segnalato che le regioni, per le operazioni di spegnimento dall'alto, possono avvalersi, in tutto o in parte, di una propria flotta, anche ricorrendo a società esterne, ovvero richiedere, qualora necessario, il concorso dello Stato. In tal senso, va ricordato che il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri è chiamato, attraverso il centro operativo aereo unificato (COAU) ad assicurare, grazie ad un coordinamento nazionale, le attività aeree di spegnimento con la flotta aerea antincendio dello Stato. Tale flotta si avvale, come noto, di mezzi di particolare efficacia, come i 19 Canadair, transitati al Corpo nazionale dei vigili del fuoco dal 2014 – di cui 16 sono costantemente operativi. Per quanto attiene a tali velivoli, si precisa che lo schieramento ordinariamente operativo pari a 14 velivoli è stato implementato, dal 15 giugno al 15 settembre 2017, di ulteriori due mezzi grazie al progetto europeo denominato «EU Buffer». I predetti 2 Canadair aggiuntivi sono dedicati prioritariamente al meccanismo europeo – e, in tal senso, va incidentalmente ricordato che tali mezzi sono intervenuti in Portogallo in occasione dei tragici eventi che hanno interessato quel Paese – ma sono impiegabili anche sul territorio nazionale. Tale esperienza segue quella dello scorso anno, in cui il meccanismo unionale mise a disposizione un unico velivolo.
  Inoltre, proprio per far fronte alle esigenze connesse con la campagna AIB in corso, si deve precisare che, oltre ai 16 Canadair, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha messo a disposizione del COAU 4 elicotteri S64 (Erikson) – di cui 1 di riserva – oltre che 4 elicotteri AB 412 già appartenenti al soppresso Corpo forestale dello Stato e oggi transitati al Corpo nazionale, e che in caso di necessità viene assicurato l'intervento dei propri mezzi aerei ad ala rotante utilizzabili per le attività AIB. Si tratta, in particolare, di mediamente 12 velivoli (AB412 e A109). Inoltre, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha impiegato ulteriori 5 mezzi aerei A206 per attività di ricognizione e di pronto trasferimento del personale DOS. Anche in virtù di tale sforzo il COAU oggi vanta una delle maggiori flotte di cui abbia potuto disporre nell'ultimo decennio, a cui contribuisce per circa l'80 per cento il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   da oltre quarant'anni l'Ismar (Istituto di scienze marine del Cnr) e l'università di Padova sono impegnati nello studio e nel monitoraggio del fenomeno della «subsidenza», movimento geologico che determina il lento abbassamento della crosta terrestre;

   nel mese di giugno 2016 si è chiuso a Venezia il secondo convegno internazionale dedicato al fenomeno della subsidenza nelle aree costiere;

   la ricerca più recente è basata sulle tecniche usate per il controllo dei livelli altimetrici, il cosiddetto approccio multi-banda integrato — processando le immagini acquisite dal satellite Cosmo-SkyMed (banda X) dell'Agenzia spaziale italiana (Asi) e dal satellite Alos-Palsar (banda L) dell'Agenzia spaziale giapponese Jaxa;

   la ricerca del Cnr conclude evidenziando che: «Venezia è la città più nota nel mondo riguardo alla problematica della subsidenza relativa, cioè la perdita di altimetria del suolo rispetto al livello del mare dovuta alla combinazione di subsidenza (abbassamento del terreno) ed eustatismo (innalzamento del mare). Laguna e Delta del Po rappresentano quindi ecosistemi molto vulnerabili: la pianura costiera che li circonda è generalmente soggiacente il livello marino, anche di oltre 4 metri, e il rischio idrogeologico e ambientale associato è particolarmente elevato, con rischi di inondazione e desertificazione»;

   per la prima volta, è stato osservato come la subsidenza delle aree naturali o agricole sia diversa da quella dei rilevati arginali (strade e corsi d'acqua) che le attraversano. Al margine settentrionale della laguna la subsidenza del e aree naturali è circa doppia di quella dei corpi arginali (fino a 7 mm/anno contro 4), mentre nel delta del Po il comportamento è opposto, con le strutture antropiche che risentono di una subsidenza maggiore delle zone coltivate. Ad esempio, la centrale elettrica di Porto Tolle è caratterizzata da cedimenti che superano i 15 mm/anno;

   in particolare, nell'area del delta del Po è oggi certificata l'esistenza di porzioni del territorio che si abbassano al ritmo di 2 centimetri l'anno –:

   se e quali iniziative, nell'ottica di un più incisivo contrasto del fenomeno della «subsidenza», il Ministro interrogato intenda mettere in campo.
(4-13497)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa al fenomeno della «subsidenza» che interessa la fascia costiera della regione Veneto, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si fa presente che alcuni contesti del territorio della regione Veneto sono stati interessati nel recente passato da fenomeni di subsidenza dovuti alla sovrapposizione di diverse cause naturali (compattazione dovuta all'evoluzione del bacino sedimentario e l'innalzamento del livello marino) e per cause antropiche.
  Queste ultime sono connesse all'estrazione di fluidi dal sottosuolo (emungimenti d'acqua di falda a scopi agricoli, potabili, industriali, prelievo di acque metanifere ecc.), alle bonifiche per drenaggio all'ossidazione biochimica di aree torbose, alla salinizzazione dei sedimenti per intrusione salina negli acquiferi.
  Gli effetti di tali fenomeni hanno avuto ricadute sull'assetto idraulico, geomorfologico e territoriale e risulta, quindi, necessario provvedere ad iniziative volte al controllo ed al contrasto attivo di tali fenomeni.
  I fenomeni di subsidenza generano e acuiscono criticità territoriali, quali allagamenti di aree recentemente bonificate per ingressione marina; generano maggiore vulnerabilità nei confronti di fenomeni alluvionali, destabilizzazione dei litorali ed erosione dei bassi fondali lagunari, aumento dei costi di mantenimento delle aree bonificate, abbandono e ricostruzione di manufatti idraulici, danneggiamento di infrastrutture (ponti, strade, acquedotti), modificazioni e danneggiamento della rete di drenaggio idraulico, riduzioni della capacità agricola delle aree coltivate.
  Le zone soggette a subsidenza interessano principalmente parti significative della fascia costiera veneziana, il delta del fiume Po e un ampio settore del suo entroterra e altri ambiti regionali di minore estensione.
  In particolare, la subsidenza di origine antropica nell'area lagunare e costiera veneziana va ricondotta all'intenso sfruttamento delle acque sotterranee, localizzato nei 350 metri più superficiali del complesso sedimentario Quaternario, iniziato negli anni 30 del secolo scorso, e aumentato progressivamente a seguito del sviluppo industriale del dopoguerra; solo dopo il 1970 in conseguenza delle drastiche misure adottate per ridurre l'estrazione d'acqua, la velocità della subsidenza si è sensibilmente ridotta.
  Analogamente, la subsidenza di ampie zone nell'area polesana va ricondotta all'estrazione di acque metanifere: a partire dagli anni 1935-36 con perforazioni attorno ai 50 metri di profondità, fino agli anni 1956-57 in cui le perforazioni raggiungevano gli 800-900 metri di profondità. L'estrazione di metano venne interrotta nel 1963 a causa, appunto, del fenomeno di subsidenza. I giacimenti gassiferi, presenti attorno agli 800 metri di profondità, erano in sostanza costituiti da orizzonti di depositi sabbiosi nei quali il gas era disciolto nell'acqua contenuta nei pori del sedimento.
  Premesso ciò, si fa presente che la regione del Veneto ha mantenuto una costante attenzione sulle aree particolarmente fragili del proprio territorio e ha promosso azioni tese ad approfondire le conoscenze, sia ai fini di salvaguardia che di individuazione degli interventi di contrasto.
  La misura all'entità della subsidenza è stata valutata, in tempi diversi, tramite livellazioni topografiche di precisione e, più recentemente, anche attraverso l'utilizzo di tecnologie Gps, e di interferometria satellitare. In particolare, nel 2005, nell'ambito di un progetto generale di ripetizione delle principali linee di livellazione del Veneto per la revisione della carta tecnica regionale con il coordinamento e controllo dell'istituto geografico militare di Firenze è stata effettuata una nuova livellazione di alta precisione che ha interessato i centri di Mestre, Venezia, Lido, Chioggia, Padova, Monselice, Rovigo, Adria, Loreo, Codigoro, Ferrara, collegandosi ai rilievi dell'Emilia-Romagna. Verso est sono stati rilevati tre sbracci che hanno attraversato il delta del Po: Loreo — foce Po di Goro, Porto Viro – Porto Levante, e Contarina – Pila, aperti verso la costa. Per l'area del delta del Po è stata condotta contemporaneamente un'analisi interferometrica con tecnica PS di dati satellitari.
  I livelli di conoscenza fino ad ora acquisiti inducono a disporre l'attivazione di studi specifici nei territori interessati. La disponibilità di dettagliate informazioni geologiche del sottosuolo e l'evolversi di speciali tecnologie consentono ora di approfondire e organizzare tali dati, di verificare la fattibilità di concreti interventi tesi alla compensazione dei fenomeni di abbassamento del suolo, anche attraverso la reiniezione, in ambiti confinati, di fluidi e gas nel sottosuolo, con particolare riferimento ad acque dolci e a CO2 (vedi direttiva 2009/31 della Comunità europea) che appaiono esprimere caratteristiche potenzialmente consone allo scopo.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a svolgere le proprie attività, mantenendo alto il livello di attenzione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   DAGA, ZOLEZZI, MICILLO, DE ROSA, TERZONI, BUSTO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   con delibera del Cipe 51/2013 è stato approvato il progetto definitivo del tratto A12 Roma Civitavecchia-Roma (Tor de’ Cenci), parte dell'intervento denominato corridoio tirrenico meridionale A12-Appia;

   nella delibera del Cipe è dato leggere che l'opera attraversa la riserva naturale statale del litorale romano, istituita con il decreto ministeriale 29 marzo 1996 del Ministero dell'ambiente;

   nelle more di approvazione dell'opera il soggetto aggiudicatore ADL spa il 29 novembre 2011 ha inoltrato all'ente gestore Roma Capitale la richiesta del nulla osta obbligatorio e vincolante per l'istruttoria di legge e per la successiva sottoposizione alla commissione di riserva per l'espressione del parere obbligatorio e vincolante, così come disposto all'articolo 8 del citato decreto;

   l'ente gestore Roma Capitale X dipartimento ha inoltrato il progetto alla commissione di riserva in data 19 giugno 2011, per l'espressione del citato nullaosta obbligatorio e vincolante;

   in data 20 giugno 2012 il soggetto aggiudicatore ADL spa ha comunicato a Roma Capitale, ed altri enti, l'avvenuta formazione del silenzio assenso «atteso che è trascorso il termine indicato in 60 giorni dalla trasmissione del progetto alla Commissione di Riserva»;

   la commissione di riserva in data 8 febbraio 2017, nel termine previsto dei 60 giorni previsti da decreto ministeriale 29 marzo 1996, esprimeva parere negativo sulla richiesta del nullaosta obbligatorio e vincolante argomentando che l'opera attraversa in più punti la zona 1 e che a norma dell'articolo 7, comma 2, del citato decreto è vietata qualsiasi trasformazione del territorio. Neanche la commissione di riserva ha il potere di concedere il nulla osta, in quanto l'articolo 8 fa salvi i divieti imposti all'articolo 7 del decreto ministeriale, chiarendo inoltre che la realizzazione dell'opera, e più in particolare il cosiddetto «Viadotto-Tevere» (integralmente ricadente all'interno della zona 1 di riserva), avrebbe degli impatti irreversibili sull’habitat naturale assoggettato a tutela integrale proprio per le sue peculiarità e particolarità;

   il 20 ottobre 2016 il consiglio comunale di Roma Capitale ha approvato una mozione con cui impegna la sindaca ad impedire l'avvio dei lavori per l'autostrada A12 e a convocare quanto prima una conferenza servizi e ad avanzare nelle sedi competenti la richiesta che la cifra già stanziata sia invece stornata per interventi di messa in sicurezza della strada statale 148 Pontina –:

   quali iniziative di competenza abbia assunto il Ministro interrogato relativamente:

    a) alle tutele a protezione della riserva naturale statale del litorale romano, alla luce dei nuovi fatti sopravvenuti in forza del diniego del nulla osta obbligatorio e vincolante della commissione di riserva ed accertata l'impossibilità ex lege di trasformazione del territorio ricadente all'interno della zona 1 a tutela integrale;

    b) alla revoca della valutazione di impatto ambientale approvata con la delibera del Cipe 53/2012;

   se il progetto, di siffatta importanza, sia stato o meno sottoposto all'esame della commissione di riserva, nei modi e nei tempi corretti, e quali iniziative intenda assumere per chiarire che non si è mai perfezionato il silenzio – assenso asserito dalla società ADL, attivando tutti i poteri di vigilanza volti a tutelare la riserva naturale statale del litorale romano.
(4-16658)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ai lavori del tratto autostradale A12 Roma-Civitavecchia-Roma (Tor dé Cenci), sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il progetto preliminare «Collegamento tra l'Area Pontina e la A2 – Bretella autostradale Cisterna – Valmontone» è stato oggetto di procedura di valutazione di impatto ambientale, conclusasi con il parere n. 54 del 18 maggio 2004 di compatibilità ambientale positiva, subordinato al rispetto di prescrizioni, reso dalla Commissione speciale di valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 190 del 2002. La delibera Cipe n. 50 del 29 settembre 2004 successivamente approvava, con prescrizioni e raccomandazioni, il progetto preliminare dell'intervento di cui sopra.
  Il progetto definitivo integrato «Corridoio Intermodale Roma-Latina e collegamento Cisterna-Valmontone» è stato, successivamente, approvato, con prescrizioni e raccomandazioni, con la delibera CIPE n. 88 del 18 novembre 2010 («Approvazione progetto definitivo Roma (Tor De’ Cenci)-Latina nord (CUP F31B01000210008) e Cisterna-Valmontone (CUP F31B04000310008) oltre progetti definitivi e preliminari di opere connesse »), resa sulla base del parere della commissione tecnica di Verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS n. 388 del 30 novembre 2009 di compatibilità ambientale positivo, subordinato al rispetto di prescrizioni.
  Detta delibera riportava, inoltre, la suddivisione del progetto definitivo in: «Autostrada A12-Roma (Tor de’ Cenci), Autostrada Roma (Tor de’ Cenci) — Latina ed Autostrada Cisterna – Valmontone» e disponeva che, ai fini dell'espletamento delle procedure di affidamento in concessione, dovesse essere approvato dal Cipe anche il progetto definitivo del tratto autostradale «A12 – Roma (Tor de’ Cenci)», adeguato alle prescrizioni della delibera Cipe n. 50/2004 di approvazione del progetto preliminare.
  In ultimo, sul progetto definitivo «Corridoio intermodale Roma – Latina e Collegamento Cisterna – Valmontone. Collegamento autostradale A12 Roma-Civitavecchia-Roma Pontina (Tor de’ Cenci) – tratto compreso tra il km 5+400 e il nodo di Tor De’ Cenci», ai sensi dell'articolo 185 del decreto legislativo n. 163 del 2006, è stata svolta la verifica di ottemperanza alle prescrizioni di cui alla delibera Cipe n. 50/2004, approvato con delibera Cipe n. 51 del 2 agosto 2013.
  La Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS, nel parere di valutazione di impatto ambientale speciale n. 963 del 15 giugno 2012, inerente l'intervento «Variante in nuova sede dal km 0+000 al km 5+400 del Collegamento autostradale A12 Roma-Civitavecchia-Roma Pontina (Tor de’ Cenci)» di variante al progetto definitivo, ex articoli 165 e 167 del decreto legislativo n. 163 del 2006, esprimeva un parere di compatibilità ambientale positivo, subordinatamente ad una serie di prescrizioni tra cui «[...] si prescrive specificatamente che dovranno essere acquisiti i seguenti pareri: Parere della Commissione di Gestione della Riserva Naturale Statale del “Litorale Romano” ex decreto ministeriale del 29 marzo 1996 [...]».
  La legge obiettivo per la VIA speciale prevede che la compatibilità ambientale venga accertata dal Cipe che dispone le eventuali prescrizioni da ottemperare. In particolare, la delibera Cipe n. 51/2013 riporta che «[...] con nota 20 giugno 2012, n. 376, il soggetto aggiudicatore, rilevata la mancata formulazione del parere della Riserva naturale statale del litorale romano entro 60 giorni dalla richiesta, ha comunicato che il parere stesso si intendeva espresso favorevolmente, come previsto dal decreto dell'allora Ministero dell'ambiente 29 marzo 1996, istitutivo della Riserva medesima [...]».
  Tuttavia, nell'allegato 1 alla citata delibera, al punto 2 «Prescrizioni da recepire nella progettazione esecutiva», la prescrizione n. 77 recita: «[...] Dovranno essere acquisite le autorizzazioni relative ad eventuali altri vincoli o prescrizioni di salvaguardia gravanti sull'area in oggetto, con particolare riferimento a quelli ambientali (valutazione d'incidenza), urbanistici, paesistici e archeologici, al vincolo idrogeologico e agli usi civici [...]».
  In data 17 luglio 2012 la commissione di riserva inviava una nota all'ente gestore della riserva, che aveva inoltrato il progetto, evidenziando che la pratica risultava incompleta e che sarebbe stata presa in carico solo ed esclusivamente all'atto della trasmissione del «progetto corredato di istruttoria tecnica e dei pareri endoprocedimentali».
  A tale riguardo, la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare eseguiva approfondimenti di ricerca e verifica, da cui è emerso che il prescritto parere della commissione di riserva, come evidenziato con nota del 17 giugno 2013 della stessa commissione, non era stato reso all'interno del procedimento di valutazione ambientale, né risultava l'esistenza di provvedimenti emessi in deroga dal Ministro.
  La competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota del 29 novembre 2016 ha interessato l'ente di gestione e la commissione di riserva.
  È utile sottolineare che la mancata acquisizione del parere della commissione di riserva trova conferma anche nella nota di riscontro del 28 ottobre 2016 dell'Ente gestore – dipartimento tutela ambientale di Roma capitale, nella quale si legge testualmente: «Inoltre dai documenti presenti in archivio non esiste alcuna nota di invio del progetto da parte dell'Ufficio R.N.S.L.R. alla Commissione di Riserva per l'espressione dell'obbligatorio parere. Con nota del 17 luglio 2012 protocollo QL 50384 del 18 luglio 2013 la Commissione di Riserva rinviava il progetto all'ufficio R.N.S.L.R. perché carente di istruttoria».
  La competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 2017, con nota del 1o marzo 2017, ha nuovamente sollecitato l'ente gestore della riserva con riferimento all'istruttoria e ad adoperarsi al fine di fornire alla commissione di riserva la documentazione completa relativa al procedimento in oggetto, necessaria alla stessa commissione per poter espletare i propri adempimenti, consistenti nell'esprimere il parere obbligatorio e vincolante sull'intervento di cui in oggetto.
  In data 3 marzo 2017, è stata acquisita agli atti della competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la nota del 28 febbraio 2017 del dipartimento tutela ambientale di Roma Capitale, con la quale, visto il parere negativo della commissione di Riserva n. 40 del 2017, si comunica alla società Autostrade del Lazio spa l'esito negativo dell'istruttoria, ai sensi degli articoli 8 e 9 del decreto ministeriale 29 marzo 1996, per il rilascio del nulla-osta dell'intervento in oggetto.
  La società autostrade del Lazio s.p.a ha presentato ricorso (RG. 4145/2017) nei confronti di Roma Capitale presso il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio chiedendo l'annullamento, previa sospensiva dell'efficacia, dei suddetti pareri negativi.
  Il Tar Lazio, sez. II, in data 8 giugno 2017, ha pronunciato ordinanza n. 2853/2017 con cui viene respinta l'istanza cautelare, ritenendo che: «Considerato che la delibera n. 50 del 2013 adottata dal CIPE è tuttora efficace e che essa, allo stato — ovvero anche nell'ipotesi in cui fosse illegittima per le ragioni rappresentate dagli intervenienti — sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione o parere comunque denominato, ai sensi degli articoli 166 e seguenti del decreto legislativo n. 163 del 2006»; «rilevato, pertanto, che gli atti impugnati non sono idonei — ex se — ad incidere sul progetto approvato (quand'anche, in ipotesi, lo stesso presenti parti in contrasto con le misure di salvaguardia contenute nel decreto ministeriale istitutivo della Riserva del Litorale Romano), in quanto, allo scopo, sarebbe comunque necessario un atto di autotutela da parte dell'organo competente all'approvazione del progetto definitivo e della dichiarazione di pubblica utilità», rileva in definitiva che «dagli atti impugnati, in quanto aventi natura endoprocedimentale, non derivi al soggetto aggiudicatore, un pregiudizio immediato ed attuale».
  Sull'opera in questione, inoltre, le valutazioni ambientali da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare proseguiranno, avvalendosi della commissione VIA nazionale, anche sul progetto esecutivo, con lo svolgimento della procedura di verifica di attuazione ai sensi dell'articolo 185, commi 6 e 7 del decreto legislativo n. 163 del 2006 sul progetto esecutivo che ad oggi non risulta sia stato presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e che, come sopra detto, dovrà contenere la documentazione attestante l'avvenuto rispetto della prescrizione n. 77 della delibera Cipe n. 51 del 2013.
  Si rappresenta, infine, che nel corso delle istruttorie di valutazione ambientale svolte per il progetto in questione sono stati trattati e valutati tutti i temi ambientali legati alla realizzazione dell'infrastruttura, inclusi anche gli aspetti relativi alla valutazione di incidenza ambientale, poiché l'area lambisce ed attraversa aree appartenenti alla rete natura 2000. Gli esiti della valutazione di incidenza sono riportati nei provvedimenti di valutazione ambientale.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le proprie attività senza ridurre il livello di attenzione sulla questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   esistono diverse aziende che operano nel mercato della gestione di rifiuti non pericolosi e recuperabili che si sono trovate a dover affrontare molte sfide adattandosi continuamente ai cambiamenti che il mercato ha imposto e conformandosi puntualmente alle tante novità legislative che nel corso degli anni si sono succedute;

   vi sono palesi problematiche, contraddizioni e paradossi con cui il settore deve confrontarsi, tra le quali il fatto che le sanzioni previste per chi opera in regime «semplificato» sono molto più pesanti di chi opera con autorizzazione «ordinaria», con la quale si possono gestire anche rifiuti non recuperabili o pericolosi ed incorrere, in caso di violazione, solo in sanzioni amministrative; inoltre un'eventuale chiusura dell'attività sarebbe ordinata solo dopo diverse istanze di conformazione e sanzioni pecuniarie;

   vi è assoluta mancanza di coordinamento e di dialogo fra i vari organi di controllo, comuni, province, Asl, polizia ferroviaria, polizia stradale e Corpo forestale, con evidenze diverse risultanti dai loro controlli;

   c'è la possibilità, per le imprese che operano nel settore del trattamento dei rifiuti non pericolosi e recuperabili, di subire una sospensione immediata dell'attività lavorativa, essere pesantemente sanzionate e dover affrontare procedure penali senza che siano stati riscontrati e comprovati danni a persone o all'ambiente;

   sono richiesti tempi lunghissimi per poter cominciare o ricominciare un'attività, in quanto dopo aver preparato tecnicamente l'impianto come previsto dalla normativa vigente, bisogna comunicare l'inizio attività al competente ufficio provinciale e solo dopo 90 giorni si può iniziare ad operare, mentre in caso di richiesta di documenti integrativi i tempi si dilatano ulteriormente e tali tempistiche vengono applicate anche per una semplice modifica organizzativa interna al deposito;

   l'applicazione della prassi normativa è così diversa, territorialmente, per cui operatori di una provincia a parità di categoria e di iscrizione all'albo recuperatori, hanno delle specifiche prescrizioni restrittive che altre province non applicano;

   moltissimi artigiani edili, i quali rappresentano la maggioranza della clientela delle imprese del settore trattamento rifiuti, dovendosi rivolgere alla camera di commercio per ottenere l'iscrizione per il trasporto di rifiuti prodotti in conto proprio, si ritrovano spesso con un'autorizzazione incompleta;

   in alcune regioni e/o province italiane vi è l'impossibilità di ottenere un'autorizzazione straordinaria/temporanea per poter noleggiare un mezzo di trasporto alternativo (rivolgendosi a specialisti del settore autonoleggio) o comunque trovare un'economica ed equilibrata soluzione nel caso il proprio mezzo iscritto ed autorizzato si guasti o venga rubato;

   le imprese sono tenute alla verifica della loro autorizzazione al trasporto e spesso rilevano che i codici di categoria rifiuti che la camera di commercio ha rilasciato sono, di frequente, insufficienti –:

   se il Governo non intenda assumere, per quanto di competenza, un'iniziativa normativa finalizzata alla previsione di una «disciplina minima» del rilascio delle autorizzazioni locali, con l'obiettivo di uniformare e semplificare ogni onere amministrativo previsto a favore delle imprese che operano nel settore del trattamento dei rifiuti non pericolosi e recuperabili, esclusa la concessione di autorizzazioni relative a impianti di trattamento termico o discariche.
(4-12282)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche delle aziende che operano nel campo della rimozione dei rifiuti, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre in primo luogo chiarire che le attività di recupero dei rifiuti in procedura semplificata possono riguardare sia i rifiuti non pericolosi che i rifiuti pericolosi e sono esercitate ai sensi dei seguenti decreti ministeriali: il decreto ministeriale 5 febbraio 1998 «Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22» ed il decreto ministeriale del 12 giugno 2002, n. 161 «Regolamento attuativo degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, relativo all'individuazione dei rifiuti pericolosi che è possibile ammettere alle procedure semplificate».
  Conseguentemente l'autorizzazione in procedura semplificata può essere ottenuta sia nel caso in cui l'azienda intenda recuperare rifiuti non pericolosi e sia nel caso in cui intenda invece recuperare rifiuti pericolosi. Pertanto, fermo restando il rispetto tassativo delle norme tecniche contenute nei decreti sopracitati, non è necessario richiedere l'autorizzazione ordinaria nel caso in cui l'azienda intenda procedere al recupero dei rifiuti pericolosi.
  Si rappresenta inoltre che, in merito alla questione concernente le modalità di applicazione delle sanzioni in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzative, fermo restando l'applicazione delle sanzioni di cui al titolo VI della parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, l'articolo 216 del citato decreto legislativo, nel caso delle procedure semplificate di recupero, stabilisce che, in caso di accertamento del mancato rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione la provincia dispone il divieto di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività entro i termini e secondo le prescrizioni imposte dall'amministrazione.
  Si fa presente altresì che anche l'articolo 208 comma 13 del medesimo decreto legislativo, nel caso delle autorizzazioni in procedura ordinaria, stabilisce che le autorità competenti provvedono, secondo la gravità dell'infrazione alla diffida, ad indicare un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze; alla diffida e contestuale sospensione dell'autorizzazione per un tempo determinato; infine alla revoca in caso di mancato adeguamento e in caso di reiterate violazioni.
  Pertanto sia nel caso delle autorizzazioni semplificate, che nel caso delle autorizzazioni ordinarie, è prevista la sospensione delle attività all'atto dell'accertamento del mancato rispetto delle rispettive autorizzazioni e la successiva chiusura dell'impianto in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni date.
  Per quanto concerne invece le difficoltà che le aziende sperimentano nell'ottenere il rilascio dei titoli autorizzativi presso le diverse regioni/province, pur nel rispetto dell'autonomia propria degli enti amministrativi locali che può comportare differenze legate alle specificità territoriali, si conviene sull'opportunità che vengano adottate procedure formali e sostanziali maggiormente omogenee.
  Proprio al fine di rendere compatibili tali procedure ed evitare disparità di applicazione della normativa sul territorio nazionale, il Ministero ha posto in essere una intensa attività. In tal senso sono stati emanati: il decreto ministeriale 26 maggio 2016 sui criteri da tenere in conto nel determinare l'importo delle garanzie finanziarie anche per gli impianti di gestione dei rifiuti ed il decreto 9 marzo 2017, n. 68, sulle modalità di prestazione delle garanzie finanziarie da parte dei produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Sono inoltre in fase di emanazione i decreti sull’
end of waste, che pure agiscono per uniformare le modalità del rilascio delle autorizzazioni per il recupero del fresato di asfalto e dei pneumatici fuori uso.
  Sono infine in fase di preparazione i decreti su altri flussi di rifiuti da sottoporre a recupero ovvero i pannolini assorbenti igienici, i materiali da costruzione e demolizione ed il pastello di piombo.
  Ad ogni modo, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi informativi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tale tematica.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   si è venuti a conoscenza tramite mezzi di comunicazione che la giunta capitolina ha intenzione di allocare un impianto di compostaggio in un'area sita nel XIII municipio ed esattamente su via Casal Selce;

   tale collocazione si trova in linea d'aria a poca distanza dalla discarica Malagrotta;

   nello stesso quadrante insiste un deposito di gas;

   fino a qualche anno fa insisteva anche una raffineria;

   per tutto quanto sopra i cittadini residenti in tale zona hanno vissuto tutti gli inquinamenti dovuti agli impianti suddetti;

   in particolare, le esalazioni maleodoranti della discarica di Malagrotta ancora oggi, nonostante la sua chiusura, si possono respirare;

   la lettera «p» dell'articolo 195 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che detta norme in materia ambientale, include nelle competenze statali l'indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti;

   il decreto 29 dicembre 2016, n. 266, disciplina le attività di impianti di compostaggio;

   il decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, ha recepito le normative europee in merito ai rifiuti;

   tale previsto insediamento dista meno di mezzo chilometro in linea d'aria da un grande insediamento immobiliare;

   l'installazione di tali impianti ricadenti nel territorio della regione Lazio prevede una distanza minima dall'edificato urbano maggiore di 1.000 metri e da case sparse di 500 metri;

   tra l'altro la scelta della localizzazione in questo territorio di un impianto di compostaggio risulterebbe contraria al principio di prossimità ed al principio di autosufficienza espressi nella direttiva europea 2006/12/CE, i quali prevedono che i centri di trattamento dei rifiuti debbano essere localizzati in vicinanza delle fonti primarie di produzione, minimizzando i costi di trasporto stradale e favorendo la chiusura del ciclo dei rifiuti all'interno del territorio stesso che li ha prodotti;

   vi è la forte possibilità che le esalazioni di tale impianto vadano ad impattare ulteriormente sull'inquinamento atmosferico di quel quadrante del territorio pesantemente compromesso dall'ancora esistente, se non più funzionante, discarica di Malagrotta e dai suoi insediamenti industriali –:

   se, alla luce di quanto riportato in premessa, il Governo non ritenga necessario assumere iniziative normative per implementare la disciplina vigente in tema di localizzazione degli impianti per il trattamento di rifiuti vietando la collocazione di nuove installazioni nei pressi di siti dove insistono già impianti dismessi o insediamenti industriali a forte impatto ambientale o con gravi rischi di incidente rilevante.
(4-17233)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla necessità di implementazione della disciplina vigente in tema di localizzazione degli impianti per il trattamento dei rifiuti, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare occorre ricordare che, come noto, la Corte costituzionale ha in più occasioni ribadito che «la disciplina dei rifiuti è riconducibile alla materia "tutela dell'ambiente e dell'ecosistema", di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera
s), della Costituzione, anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (tra le molte, sentenze n. 67 del 2014, n. 285 del 2013, n. 54 del 2012, n. 244 del 2011, n. 225 e n. 164 del 2009 e n. 437 del 2008)». Pertanto, «la disciplina statale "costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le regioni e le province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino – sentenze n. 314 del 2009, n. 62 del 2008 e n. 378 del 2007 –"» (sentenza n. 58 del 2015).
  In tal senso, e con riferimento specifico alla localizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti, si evidenzia tuttavia che l'articolo 195, comma 1, lettera
p), del decreto legislativo n. 15 del 2006 prevede che spetti allo Stato, tra l'altro, «l'indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti». Il successivo articolo 196, comma 1, lett. n) del medesimo decreto stabilisce invece che spetta alle regioni «la definizione di criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nel rispetto dei criteri generali indicati nell'articolo 195, comma 1, lettera p).».
  Ciò premesso, e compatibilmente con le risorse disponibili, l'azione del Ministero è orientata a garantire una disciplina unitaria ed omogenea che superi gli interessi locali, stabilendo standard minimi di tutela generale anche in tema di localizzazione degli impianti di discarica.
  Si rappresenta inoltre che, per quanto attiene invece alla localizzazione degli impianti di recupero dei rifiuti, tra i quali per l'appunto possono essere ricompresi gli impianti di trattamento finalizzati al compostaggio della frazione organica, spetta alle Regioni il compito di definirne i criteri, nonché quello di rilasciare le relative autorizzazioni.
  Al riguardo, si evidenzia che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 marzo 2016 sono state definite le misure per la realizzazione di un sistema adeguato e integrato di gestione della frazione organica dei rifiuti urbani, effettuando la ricognizione dell'offerta esistente ed individuando il fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica di rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni.
  Il citato decreto prevede che le «regioni, al momento della revisione dei piani di cui all'art. 199 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, individuano il valore specifico del fabbisogno residuo di impianti all'interno dell'intervallo riportato nell'allegato III e provvedono, nell'implementazione dei predetti piani, al soddisfacimento dello stesso scegliendo la tipologia, il numero e la localizzazione di massima degli impianti più appropriati».
  Sebbene i rifiuti organici raccolti in maniera differenziata destinati a operazioni di recupero, ai sensi della normativa vigente, non siano soggetti ai vincoli di trattamento all'interno dell'ambito territoriale di provenienza, spetta comunque alle regioni, in virtù anche della potestà legislativa e delle competenze specifiche in tema di governo del proprio territorio, effettuare nell'ambito della propria pianificazione le scelte più opportune per garantire il soddisfacimento del fabbisogno impiantistico per la chiusura del ciclo dei rifiuti nel rispetto del principio di prossimità, rimanendo in capo al Ministero i poteri di vigilanza sulle attività in tema di pianificazione e di gestione del ciclo dei rifiuti da parte delle regioni.
  Si evidenza in ultima analisi che l'effetto della cumulabilità degli impatti, tale da escludere la possibilità di localizzare un impianto per il trattamento dei rifiuti in un'area già interessata da insediamenti industriali impattanti, è un aspetto che trova compiuta definizione nel procedimento di valutazione ambientale di cui alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Nel caso di specie, relativo ad impianti soggetti alla normativa sui rischi da incidente rilevante, si evidenzia che con il decreto legislativo n. 105 del 26 giugno 2015 il legislatore nazionale ha già recato precise disposizioni in merito al controllo sull'urbanizzazione, all'individuazione dei criteri e alla definizione delle aree ad elevata concentrazione di stabilimenti, alla previsione dell'effetto domino, al sistema di gestione della sicurezza, ai piani di emergenza e alla consultazione della popolazione interessata.
  Spetta conseguentemente agli enti territoriali preposti dare attuazione alle disposizioni del legislatore nazionale, recependo nell'ambito dei rispettivi livelli di pianificazione ed autorizzazione gli eventuali vincoli e le attività necessarie alla gestione del rischio connesso alla presenza sul territorio di insediamenti ad elevato impatto ambientale ovvero a rischio di incidenti rilevanti.
  In merito alla specifica questione concernente la presunta intenzione di Roma capitale di allocare un impianto di compostaggio in un sito ubicato in via Casal Selce nel territorio del municipio XIII, sulla base delle informazioni acquisite, si rappresenta che è in fase di studio un sistema impiantistico innovativo, per la cui adozione è stata avviata un'estesa e complessa valutazione, anche attraverso un'attività di concertazione con la cittadinanza, per l'individuazione di aree idonee alla localizzazione di impianti di compostaggio. Allo stato attuale, non risultano tuttavia approvati provvedimenti in tal senso.
  Per quanto riguarda le osservazioni di natura tecnica concernenti la scelta della localizzazione, sulla base alle informazioni fornite dal comune di Roma, occorre far presente che l'obbligo di rilevare che la distanza dall'abitato e dalle case sparse, in base a quanto previsto dal vigente piano di gestione dei rifiuti, approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 14, costituisce fattore di attenzione progettuale per gli aspetti territoriali ma non fattore escludente, implicando, di conseguenza, approfondimenti per valutare la realizzabilità degli interventi in relazione agli specifici usi del suolo ed alle caratteristiche morfologiche dell'area interessata, specialmente nell'ambito della stesura di cartografie con differenti gradi di suscettività alla localizzazione. Viene evidenziato, da ultimo, che il principio di prossimità definito dall'articolo 182-
bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, non investe la tipologia degli impianti oggetto della presente interrogazione, atteso che permette il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti che siano più vicini ai luoghi di produzione o raccolta dei rifiuti urbani indifferenziati.
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tale questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   FANTINATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   su segnalazione del comitato Terre Nostre di Torretta di Legnago, il 13 aprile 2017 i carabinieri, i vigili del fuoco e i tecnici di Arpav hanno fatto un sopralluogo per un fenomeno di inquinamento della falda acquifera;

   nella zona, ci si trova in provincia di Verona, insiste una discarica contro il cui ampliamento il sindaco di Castelnovo Bariano, ha presentato un ricorso al Tar, oltre a un esposto alla procura della Repubblica di Verona;

   la nuova segnalazione del comitato Terre Nostre fa riferimento proprio a un fenomeno riguardante l'acqua in uno scolo a una distanza di circa 100 metri dalla discarica. Acqua che si presenterebbe con macchie rossastre, oltre che con un odore acido e che, secondo questa lettura dell'attività della discarica, mette a grave rischio la salute pubblica e l'ambiente;

   a supporto di questa descrizione dei fatti ci sarebbero anche una serie di osservazioni tecniche redatte da una consulente iscritta nel registro dei periti ambientali presso il tribunale di Padova e citate nell'esposto, secondo le quali, l'attività in essere della discarica è fonte di inquinamento, in particolar modo per la matrice acque, mettendo a repentaglio in primis la salute dei residenti, nonché la salubrità del territorio –:

   se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra descritta e dei rischi di carattere ambientale e sanitario che la situazione sta causando agli abitanti dei comuni vicini alla discarica e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di verificare, anche tramite ulteriori interventi del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, lo stato dei luoghi di cui in premessa.
(4-16495)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al fenomeno di inquinamento della falda acquifera nel comune di Castelnovo Bariano (VR), sulla base degli elementi acquisiti dai competenti enti territoriali si rappresenta quanto segue.
  Secondo quanto riferito da Arpav si rappresenta che, presso la discarica Le.Se. di Torretta, comune di Legnago (VR), nell'area di più antico allestimento e gestione nella quale il conferimento dei rifiuti si è svolto nel periodo compreso tra il 1982 ed il 1990, è presente una situazione di contaminazione delle acque sotterranee. Tale inquinamento è presumibilmente dovuto all'inadeguatezza dei presidi impiantistici realizzati per tale tratto dell'impianto, tecnicamente oggi non più attuali, ed anche al loro possibile deterioramento nel tempo.
  Si specifica altresì che i parametri chimici presenti in concentrazioni superiori alla norma nell'acquifero superficiale alcuni, come il manganese, il ferro, l'arsenico e l'ammoniaca, sono caratteristici di ampie zone del territorio del basso veronese, e la loro presenza è attribuibile, almeno in parte, a cause geologiche naturali. Nel caso di altre sostanze di natura salina o organica presenti in elevata concentrazione nel percolato della discarica, ed in minore concentrazione nelle acque di alcuni punti di controllo, è stato riconosciuto un contributo diretto di rilascio da parte dell'impianto.
  Per discriminare tali contributi di contaminazione, dagli effetti derivanti da un più generale stato chimico scadente del primo acquifero, l'Arpa Veneto si è avvalsa di una serie di piezometri ubicati nell'area vasta circostante l'impianto, posti in posizioni opportunamente distanziati da esso, in modo da costituire un sistema di riferimento remoto di «bianco ambientale», scarsamente influenzabile dalla presenza della discarica.
  È stata riconosciuta, per quanto riguarda l'alterazione qualitativa della falda derivante dalla discarica, un'estensione areale limitata, in quanto l'effetto di diluizione naturale da parte della falda è in grado di riportare nei pozzi a valle nell'area vasta (distanti poche centinaia di metri) le concentrazioni sui livelli di fondo naturale.
  Giova richiamare, per maggiore chiarezza, la situazione idrogeologica degli acquiferi nell'area in esame. Il primo acquifero semi-confinato e in pressione è posto poco sotto il piano campagna; la falda ha in linea generale una direzione nordovest-sudest, e presenta un gradiente idraulico molto basso. Gli acquiferi più profondi sono isolati da livelli di permeabilità bassa o nulla, tali da scongiurare una diffusione in profondità della contaminazione.
  Ai fini della risoluzione della problematica descritta, la regione Veneto ha approvato nel 2009, con deliberazione della giunta regionale Veneto, n. 994, un progetto di messa in sicurezza permanente e ripristino ambientale del primo tratto in alveo di discarica, autorizzando nel contempo un ampliamento della discarica in esercizio.
  L'intervento prevede la rimozione di tutti i rifiuti depositati in tale tratto di discarica e la loro ricollocazione nei nuovi lotti di discarica. Le operazioni di bonifica sono iniziate nel 2011. Attualmente i lavori risultano eseguiti per circa il 50 per cento, la regione Veneto ha concesso recentemente una proroga per il loro completamento, che dovrà avvenire entro l'anno 2019.
  Inoltre si comunica che, le attività di monitoraggio della qualità delle acque di falda, eseguite da Arpav con frequenza trimestrale, hanno puntualmente registrato le anomalie qualitative in precedenza descritte e le loro oscillazioni nel tempo. Dei risultati delle verifiche sono state informate le autorità amministrative e l'autorità giudiziaria, trasmettendo periodicamente gli esiti dei controlli effettuati. Poiché i lavori di messa in sicurezza permanente prevedono la rimozione della sorgente primaria di contaminazione della falda, costituita nei rifiuti abbancati nel primo tratto in alveo della discarica, ci si attende nel tempo un'attenuazione dei fenomeni di contaminazione della falda superficiale, una volta completati i lavori suddetti. Attualmente tale attenuazione non è ancora apprezzabile.
  L'Arpav ha inoltre eseguito nel contempo anche periodici controlli integrati presso l'impianto, soggetto ad autorizzazione integrata ambientale, prendendo in considerazione le diverse sezioni che lo compongono, non solo la discarica, ma anche il comparto di selezione meccanica e biostabilizzazione di rifiuti di matrice organica.
  L'impianto, per quanto potuto verificare, risulta gestito con sufficiente correttezza, e non si segnalano pertanto ulteriori criticità.
  Recentemente, la regione Veneto con Dgrv n. 146 del 16 novembre 2016, ha approvato una modifica autorizzativa che permette al gestore di ritirare in discarica un serie di rifiuti speciali non pericolosi, a fronte della riduzione dei flussi in impianto di rifiuti derivanti dalla filiera dei rifiuti solidi urbani. Viene fatto presente che, ad oggi, il gestore non si sia avvalso della facoltà di poter accogliere queste ulteriori tipologie di rifiuti.
  Si rappresenta altresì che, in seguito a recenti segnalazioni di fenomeni anomali, quali colorazioni rossastre e valori anomali di pH, nella rete di scoli nella zona a valle geografica della discarica, il dipartimento provinciale di Verona sta eseguendo approfondimenti per definire la matrice ambientale coinvolta e per verificare un eventuale contributo della discarica.
  Un approfondimento ha riguardato i pozzi di sottotelo presenti lungo le sponde di discarica nel secondo tratto in alveo, considerati come elementi di possibile fragilità nel sistema di impermeabilizzazione dell'impianto. Dopo avere rilevato una presenza di liquidi all'interno di quasi tutti questi pozzi, è stata segnalata tale situazione alla provincia di Verona, che ha emesso diffida nei confronti del gestore richiedendo di asportare, anche a scopo puramente preventivo, tali liquidi e mantenere il battente nei pozzi al livello minimo possibile. Risulta che tale diffida sia stata ottemperata con solerzia da parte del gestore della discarica. Mentre in merito alle anomalie rilevate presso gli scoli nei pressi della discarica, sono tuttora in corso indagini di approfondimento ai fini di accertarne la natura e possibilmente l'origine.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   FRACCARO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   nell'interrogazione presentata dal consigliere Angelo Trainotti alla giunta del comune di Ala (Trento) il 12 maggio 2017, avente ad oggetto «Trasparenza ed accesso agli atti. Il Comune non rispetta la legge» (prot. 8053), si segnala, con dovizia di dettagli, una prolungata limitazione del diritto di accesso del consigliere in carica, la quale ostacola in via sistematica l'attività di controllo politico amministrativo connessa al mandato elettivo;

   l'articolo 43 del Tuel afferma il diritto dei consiglieri comunali di ottenere dagli uffici del comune, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato, con il solo vincolo di essere tenuti al segreto nei casi specificatamente determinati dalla legge;

   l'articolo 13 del Tulroc (Testo unico delle leggi regionali sull'ordinamento dei comuni della regione Trentino-Alto Adige), facendo esplicito riferimento all'articolo 22 della legge n. 241 del 1990, riconosce il diritto di accesso dei consiglieri comunali analogamente a quanto previsto dal Tuel;

   l'istituto giuridico dell'accesso alle informazioni dei consiglieri comunali è espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività e persegue il fine di consentire al consigliere di poter esercitare il proprio mandato, verificando e controllando il comportamento degli organi istituzionali decisionali dell'ente locale;

   la giurisprudenza ha affermato in più di un'occasione che al consigliere che lo richieda spetta la copia dei documenti cui chiede di accedere e che, in linea di principio, non sia dovuto al comune, da parte del consigliere, alcun rimborso per le spese di riproduzione, in ragione dell'interesse pubblico perseguito nello svolgimento del mandato. In tal senso, è esemplificativa la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. V, resa con sentenza 976/1994;

   il Consiglio di Stato, con la sentenza 4855/2006 sez. IV, ha altresì specificato che al consigliere comunale non può essere opposto alcun diniego (salvo i pochi casi eccezionali e contingenti, da motivare puntualmente e adeguatamente, e salvo il caso – da dimostrare – che lo stesso agisca per interesse personale), determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo al concreto esercizio della sua funzione, che è quella di verificare che il sindaco e la giunta municipale esercitino correttamente la loro funzione;

   infine, la Corte di cassazione, sezione VI, con sentenza n. 42610/2015, ha ribadito la pacifica linea interpretativa che ha ormai da tempo stabilito il principio secondo cui, in tema di delitto di omissione di atti d'ufficio, il formarsi del silenzio-rifiuto alla scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta costituisce un inadempimento integrante la condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice. In particolare, la fattispecie di cui all'articolo 328, comma 2, c.p. incrimina non tanto l'omissione dell'atto richiesto, quanto la mancata indicazione delle ragioni del ritardo entro i trenta giorni dall'istanza di chi vi abbia interesse –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se non ritenga opportuno assumere iniziative di competenza al fine di assicurare, fatta salva l'autonomia regionale e locale, una piena ed effettiva realizzazione del diritto di accesso agli atti e alle informazioni riconosciuto ai consiglieri comunali.
(4-17127)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede che vengano assunte opportune iniziative al fine di assicurare, fatta salva l'autonomia regionale e locale, una piena ed effettiva realizzazione del diritto di accesso agli atti e alle informazioni riconosciuto ai consiglieri. La richiesta prende spunto dalla segnalazione di un consigliere del comune di Ala (Trento), che dopo aver presentato una interrogazione alla giunta comunale, stigmatizza la limitazione del diritto di accesso ad opera dell'ente, che avrebbe ostacolato l'attività di controllo politico amministrativo connessa al mandato.
  Sulla questione va precisato, in via generale, che le vigenti disposizioni garantiscono al consigliere comunale, nell'esercizio delle proprie funzioni, un ampio diritto ad accedere agli atti del comune.
  Come osservato dal plenum della commissione per l'accesso ai documenti amministrativi del 16 marzo 2010, il «diritto di accesso» ed il «diritto di informazione» dei consiglieri comunali nei confronti della pubblica amministrazione trovano la loro disciplina nell'articolo 43 del decreto legislativo n. 267 del 2000, che riconosce a questi il diritto di ottenere dagli uffici comunali, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato.
  Nel caso specifico, anche il testo unico delle leggi regionali dei comuni del Trentino Alto Adige, riconosce sostanzialmente gli stessi diritti previsti per i consiglieri comunali dall'articolo 43, comma 2, del testo unico sull'ordinamento degli enti locali n. 267 del 2000.
  La maggiore ampiezza di legittimazione rispetto al cittadino (articolo 10 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali e, per il Trentino Alto Adige, l'articolo 74 del D.P.Reg. n. 3/L/2005), è riconosciuta in ragione del particolare
munus espletato dal consigliere comunale, affinché questi possa valutare con piena cognizione di causa la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, onde potere esprimere un giudizio consapevole sulle questioni di competenza della pubblica amministrazione, opportunamente considerando il ruolo di garanzia democratica e la funzione pubblicistica da questi esercitata.
  A tal fine il consigliere comunale non deve motivare la propria richiesta di informazioni, poiché, in caso contrario, la pubblica amministrazione assumerebbe il ruolo di arbitro delle forme di esercizio delle potestà pubblicistiche dell'organo deputato all'individuazione ed al perseguimento dei fini collettivi. Conseguentemente, gli uffici comunali non hanno il potere di sindacare il nesso intercorrente tra l'oggetto delle richieste di informazioni avanzate da un consigliere comunale e le modalità di esercizio del
munus da questi espletato.
  Così come riconosciuto sempre dalla commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, nella seduta del 14 luglio 2009, anche sulla base della giurisprudenza del Consiglio di Stato, ai consiglieri comunali spetta un'ampia prerogativa a ottenere informazioni senza che possano essere opposti profili di riservatezza, restando fermi, peraltro, gli obblighi di tutela del segreto e i divieti di divulgazione di dati personali secondo la vigente normativa sulla riservatezza.
  Ciò posto, salvo espressa eccezione di legge, ai consiglieri comunali non può essere opposto alcun divieto, determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo alla loro funzione.
  In merito al caso specifico segnalato nell'interrogazione, il sindaco di Ala ha precisato che l'amministrazione comunale ha prontamente evaso tutte le richieste del consigliere, le quali, dalla data della sua elezione nel maggio 2015 al 31 dicembre 2015, sono state 85 tra interrogazioni e richieste di accesso, mentre nel 2016 sono state 82, e nell'anno in corso - fino alla data della presentazione dell'interrogazione parlamentare in esame - sono state 76.
  Per quanto concerne, poi, le difficoltà lamentate dal predetto consigliere nell'utilizzo del sistema di protocollo informatico, a causa della mancanza di credenziali di accesso personali, il sindaco ha chiarito di aver disposto l'affiancamento di un dipendente comunale per garantirgli il diritto di accesso al registro di protocollo, nel lasso di tempo necessario alla ditta incaricata del protocollo informatico di rilasciare
password e userid.
  Il sindaco ha, quindi, confermato di avere sempre assicurato l'applicazione ed il rispetto di quanto previsto da normativa e giurisprudenza in merito ai diritti dei consiglieri comunali, con l'unico limite rappresentato dal necessario contemperamento dei diritti del consigliere con i compiti dell'Amministrazione nell'erogazione dei servizi a favore della collettività.
  Per tali motivi il sindaco di Ala ha dichiarato, per il futuro, di riservarsi di valutare ed adeguatamente motivare, secondo criteri di stretta interpretazione, la sussistenza di oggettive condizioni suscettibili di pregiudicare in modo serio ed immediato il buon funzionamento dell'amministrazione comunale.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'itinerario E78, conosciuto anche come autostrada dei «Due Mari», rappresenta uno dei più importanti collegamenti trasversali tra i corridoi longitudinali tirrenico ed adriatico, la cui progettazione, iniziata verso la fine degli anni Sessanta non è stata mai completata;

   il collegamento ha una lunghezza complessiva di circa 270 chilometri di cui circa il 65 per cento in Toscana, il 30 per cento nelle Marche e il 5 per cento in Umbria;

   ad oggi, secondo quanto riportato ufficialmente sul sito web dell'ANAS sono stati ultimati e sono utilizzabili 127 chilometri di tracciato, i restanti sono in fase di approvazione o addirittura di progettazione e le risorse ancora da trovare sono ingenti;

   l'opera costerà circa 3 miliardi di euro e, secondo quanto si apprende da alcune dichiarazioni degli amministratori locali di Toscana, Umbria e Marche del febbraio scorso, era stato previsto il suo inserimento tra le opere che avrebbero partecipato al bando europeo per l'assegnazione di risorse comunitarie destinate alla realizzazione del corridoio di comunicazione europeo «TEN-T» (rete transeuropea);

   le dichiarazioni di un imminente completamento della rete viaria che collegherà Grosseto a Fano, si ripetono a cadenza regolare da oltre cinquant'anni e non esiste, ad oggi, la certezza che l'opera sarà completata, poiché di fatto non risulta ancora costituita la società di progetto che dovrà occuparsi del completamento dei tratti mancanti;

   uno degli smacchi più grandi è rappresentato dalla galleria Guinza, che collega Marche ed Umbria, la cui lunghezza ne farebbe il sesto tunnel per estensione in territorio italiano, ma i cui i lavori di completamento sono fermi;

   recentemente il Sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti Rocco Girlanda, ha incontrato i responsabili regionali di infrastrutture e trasporti delle regioni coinvolte ed ha ribadito l'interesse e l'impegno del Governo per il completamento di quest'opera;

   come noto, più volte il Ministro interrogato ha fatto intendere che se il progetto per il completamento della E78 fosse stato presentato entro il mese di settembre si sarebbe dato immediato seguito all'avvio dei lavori di completamento –:

   quali siano le iniziative che il Governo intenda mettere in atto per la realizzazione ed il completamento della E78 e in quali tempi intenda procedere per la definizione della stessa nella programmazione delle infrastrutture pubbliche;

   quali siano gli impegni formalmente richiesti alle tre regioni e quali i tempi di realizzazione previsti per la per la costituzione della società di progetto che porterà avanti l'opera e bandirà la gara di evidenza pubblica per l'aggiudicazione dei lavori;

   se, nell'ambito delle proprie competenze, preveda delle verifiche e dei controlli durante i lavori realizzazione dell'opera da parte dello stesso Ministero, per garantire la regolarità e la trasparenza nella gestione degli appalti;

   se la E78 sia effettivamente e formalmente inserita nella rete Transeuropea Ten-T e potrà, quindi, accedere ai finanziamenti comunitari.
(4-02192)

  Risposta. — Come già riferito il 21 settembre 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata presso la VIII Commissione della Camera dei deputati, la E78, di lunghezza complessiva di circa 270 chilometri, si sviluppa per il 65 per cento in Toscana, per il 30 per cento nelle Marche e per il restante 5 per cento in Umbria.
  La società ANAS riferisce che: l'itinerario in Umbria e nelle Marche è suddiviso in due tratti, comprendenti diversi, lotti, come di seguito specificato:

   tratto 5 Selci Lama (E45)-S. Stefano di Gaifa: 6 lotti, di cui 2 già ultimati e 4 in progettazione, dello sviluppo di circa 57 chilometri, di cui circa 10 chilometri in Umbria – Selci Lama (E45) – Parnacciano;

   tratto 6 S. Stefano di Gaifa-Fano, tratto già in esercizio, dello sviluppo di circa 33 chilometri.

  In particolare, ANAS si prevede di completare l'adeguamento a 2 corsie e messa in sicurezza del tratto della strada esistente della E78 nel tratto tra l'innesto con la E45 Orte-Ravenna (Selci Lama) e l'innesto con il tratto finale già realizzato (Santo Stefano di Gaifa).
  Per una rapida realizzazione dell'itinerario della E78 nel tratto Umbria-Marche, tutti gli interventi sono stati inseriti nel piano pluriennale 2016-2020 per un investimento complessivo pari a 552 milioni di euro, di cui 190 a valere sul fondo di sviluppo e coesione (PSC) e 123 sul fondo unico ANAS (FUA).
  Più in dettaglio, il tratto 5 è diviso in 10 lotti ed è in corso lo studio per completare l'adeguamento a 2 corsie della E78 con ottimizzazioni/semplificazioni degli interventi originariamente previsti al fine di pervenire ad una sensibile riduzione dei costi.
  In particolare:

   1° lotto tratto Selci Lama (E45) – Parnacciano (imbocco Guinza): estesa di 10 chilometri, importo stimato del progetto pari a 100 milioni di euro, opera inserita nel piano pluriennale 2016-2020 con ipotesi di finanziamento a valere sulle risorse FUA per 24 milioni e sul FSC per 76 milioni: è in corso lo sviluppo dello studio di fattibilità per completare l'adeguamento a 2 corsie. L'ultimazione della progettazione e l'appalto lavori sono previsti entro dicembre 2018;

   2° e 3° lotto: tratto Guinza-Mercatello ovest: estesa di 6+4 chilometri, importo stimato del progetto 59,31 milioni di euro, opera inserita nel citato piano pluriennale, con ipotesi di finanziamento a valere sulle risorse del FUA. È inoltre in corso il progetto esecutivo degli interventi di completamento a 2 corsie della galleria della Guinza, con singolo fornice già realizzato di lunghezza pari a circa 6 chilometri, opere di finitura e impianti per la messa in sicurezza e l'apertura al traffico della galleria. L'ultimazione della progettazione e l'appalto lavori sono previsti entro dicembre 2018. Per il 3° lotto, di lunghezza pari a circa 4 chilometri i lavori sono stati ultimati e la funzionalità dello stralcio è subordinata all'esecuzione e messa in esercizio del precedente lotto 2°;

   4° lotto tratto Mercatello Ovest-Mercatello est, con estesa 2 chilometri, importo stimato del progetto 39,54 milioni di euro, opera inserita nel citato piano pluriennale con ipotesi di finanziamento a valere sulle risorse del FUA. È in corso lo sviluppo dello studio di fattibilità per completare l'adeguamento a 2 corsie della E78 nel tratto in esame. L'ultimazione della progettazione e l'appalto lavori sono previsti entro dicembre 2018;

   lotti dal 5° ai 10° tratto Mercatello Est-S. Stefano di Galla, con estesa di 35 chilometri importo stimato del progetto 239,08 milioni di euro e opera programmata nel piano pluriennale 2016-2020. È in corso lo studio per completare l'adeguamento in sede della strada esistente a 2 corsie. L'ultimazione della progettazione e l'appalto lavori sono previsti entro dicembre 2020.

  Per la variante di Urbania, con estesa 5 chilometri, l'importo stimato del progetto è di 114 milioni di euro con opera inserita nel piano pluriennale 2016-2020 e ipotesi di finanziamento a valere sulle risorse FSC. È in corso lo studio per completare l'adeguamento a 2 corsie della E78 nel tratto in esame e l'ultimazione della progettazione e l'appalto lavori sono previsti entro dicembre 2019.
  Infine, il tratto 6 tra S. Stefano di Gaifa e Fano, di lunghezza pari a 33 chilometri è stato interamente realizzato e aperto al traffico.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   GELMINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il Centro meteorologico regionale (Cmr) di Linate, con sede presso l'omonimo aeroporto, rappresenta un pezzo importante della storia della meteorologia e un polo di riferimento meteo per l'intero bacino dell'Italia settentrionale;

   si tratta di un patrimonio unico nel suo genere, perché – oltre a svolgere ruoli di competenza militare e di assistenza al volo – opera attivamente in svariati settori civili: dalla sicurezza in territorio alpino alla salute dalla ricerca alla formazione didattica;

   il Cmr venne istituito nel 1934 presso il dismesso campo di aviazione di Taliedo – il primo aeroporto della città di Milano – e poi trasferito presso il nuovo aeroporto di Linate. Un anno più tardi, nel 1935 l'ufficio entrò, come Centro meteorologico regionale, nella struttura della Centrale di assistenza al volo della 1a zona aerea territoriale di Milano e mantenne tale connotazione anche dopo il secondo conflitto mondiale, transitando nella Regione informazioni volo, nel 1954. In tale struttura il Cmr assunse la sua naturale connotazione di ente meteorologico di regione aerea, con compiti di assistenza all'aviazione militare e civile. Divenne comando di corpo ed ente autonomo nel 1987 e venne posto alle dipendenze del Centro operativo di regione (1o ROC) e poi del Comando operativo delle forze aeree (COFA), mantenendo le sue competenze di assistenza meteorologica ai sensi ICAO sulla Fir di Milano. Nel 1999 il 1o Cmr venne posto alle dipendenze del neonato Ufficio generale per la meteorologia (UGM), all'interno del Comando della squadra aerea. Contemporaneamente vennero chiusi i Cmr di Roma e Brindisi ed il 1o Cmr assunse quindi il compito di «Veglia meteorologica aeronautica» su tutto il territorio nazionale diventando allo stesso tempo unico alternato del Centro nazionale di meteorologia e climatologia (CNMCA). Dal maggio 2006 al 2015 è stato posto alle dipendenze del Cnmca stesso;

   con la riorganizzazione del comparto meteorologico dell'Aeronautica militare, il 1o Centro meteorologico regionale (CMR) di Milano Linate è stato riorganizzato nel neo-costituito Centro operativo per la meteorologia (COMET), alle dirette dipendenze della 9a brigata aerea «Intelligence, Surveillance, Target Acquisition and Reconnaissance – Electronic Warfare» (ISTAR-EW), presso il sedime aeroportuale di Pratica di Mare;

   a seguito di tale ristrutturazione organizzativa il centro e anche coloro che attualmente vi operano saranno trasferiti a Ferrara, dove ha sede il neo-costituito «Ufficio meteorologico» alle dipendenze del comandante dell’«Air Operation Centre» (AOC) nazionale di Poggio Renatico (Ferrara), così privando il territorio lombardo di un centro di eccellenza all'avanguardia per la meteorologia, di un importante polo per la ricerca e la formazione aeronautica, ma anche di una struttura di servizio che collabora con l'Arpa Lombardia, per il monitoraggio in quota dei parametri meteorologici indispensabili per la previsione degli inquinanti, con la Forestale, le università e anche con l'autorità di bacino del Po per la prevenzione del rischio alluvionale;

   in questi mesi forti si sono levate le perplessità di operatori, cittadini ed istituzioni locali e regionali di fronte a questa decisione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di evitare la chiusura del Centro meteorologico regionale (CMR) di Linate, ente storico dal valore strategico, e se intenda rivalutare la decisione assunta che, ad avviso dell'interrogante, porterebbe all'ennesima dismissione di una realtà consolidata e alla dilapidazione di un'enorme ricchezza in termini di valore storico, potenziale operativo e di capitale umano.
(4-16765)

  Risposta. — Nell'ambito di una complessiva revisione dello strumento militare, l'Aeronautica militare sta procedendo a un piano di riordino progressivo dell'intero settore meteorologico per una ottimizzazione e razionalizzazione nell'impiego delle risorse disponibili, nell'ottica di garantire un servizio in linea con quello già fornito e, ove possibile, ulteriormente migliorato che assicuri, comunque, tutte le prestazioni e i prodotti già presenti.
  Tale progetto ha riguardato anche il 1° Centro meteorologico regionale (1° CMR) di Milano linate attraverso una programmazione che prevede un'articolata riassegnazione nell'ambito della Forza armata delle funzioni svolte presso il medesimo centro.
  In questo contesto verranno, comunque, assicurati i medesimi livelli di prestazione del servizio erogato e di collaborazione con tutti gli utenti istituzionali, anche a livello locale (collaborazione con la Forestale – ora assorbita nei Carabinieri – e autorità bacino del Po).
  In tal modo, viene anche garantito il miglior utilizzo, su scala nazionale, delle peculiari professionalità del personale del servizio meteorologico dell'Aeronautica militare.

Il Sottosegretario di Stato per la difesa: Gioacchino Alfano.


   GUIDESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con due precedenti interrogazioni n. 4-14155 e n. 4-11550, attualmente senza risposta, l'interrogante aveva messo in evidenza le preoccupazioni dei cittadini del lodigiano per la conversione del giacimento esaurito di gas naturale a Cornegliano Laudense (Lodi) in un maxi impianto di stoccaggio di gas, di capacità stimata in 2,2 miliardi di metri cubi, chiedendo iniziative urgenti da parte del Ministro interrogato per effettuare verifiche preventive, controlli e monitoraggi a tutela della salute della popolazione locale;

   la concessione per la realizzazione e l'esercizio dell'impianto è stata rilasciata alla società Ital Gas Storage il 15 marzo 2011 per una durata complessiva di 40 anni, e i lavori, iniziati alla fine 2015, dovrebbero concludersi nell'anno 2018;

   dall'inizio 2015 sono stati avviati una serie di monitoraggi concordati con l'Arpa Lombardia per la qualità dell'aria (PM10), delle acque di prima falda e dei livelli acustici e, nei prossimi giorni, è in programmazione l'avvio dei rilievi in 3D dell'area, insieme ai parametri geologici e fisici, per mappare, con altissima definizione, l'assetto geologico del sottosuolo;

   si tratta di monitoraggi prescritti da Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministero dello sviluppo economico, anche a seguito alle conclusioni della «Commissione I.c.h.e.s.e.» e alle conseguenti prescrizioni previste per accompagnare le attività di movimentazione del gas con reti di monitoraggio ad alta tecnologia, finalizzate a seguire nel tempo l'attività microsismica delle deformazioni del suolo e l'andamento delle pressioni;

   inoltre, sono da poco conclusi i test al Cluster B, con prove di combustione del gas metano, per le quali la società ha annunciato l'esito positivo delle auto-misurazioni degli impatti e il rispetto dei limiti di norma, nei comunicati pubblicati sul sito web www.italgasstorage.it;

   tuttavia, su tale sito, istituito dalla società per garantire l'informazione dei cittadini, non sono presenti dati ambientali e da quanto si apprende dal giornale il Giorno, edizione Lodi, del 9 marzo 2017, sembra che «il Ministero ha messo sotto segreto industriale i dati sull'inquinamento ambientale durante i test dell'impianto»;

   i cittadini sono indignati e preoccupati per la propria salute, e chiedono di sapere i dati della qualità dell'aria durante i test sui pozzi;

   inoltre, si apprende dal medesimo giornale che, nonostante il presidente della provincia avesse garantito l'utilizzo ai fini della sicurezza delle risorse messe a disposizione da parte della società per l'attuazione di compensazioni ambientali, pari ad un milione di euro, attualmente, la provincia intende utilizzare tali risorse per interventi sulla rete viaria provinciale –:

   quali iniziative il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda adottare per assicurare l'accesso dei cittadini di Cornegliano Laudense ai dati dei monitoraggi e della mappatura in 3D, durante la costruzione e l'esercizio del deposito di gas naturale;

   quali interventi saranno possibili, qualora venissero registrate delle anomalie nell'attività microsismica delle deformazioni del suolo e se l'eventuale utilizzo per opere viarie delle compensazioni ambientali, messe a disposizione dalla società Ital Gas Storage, possa corrispondere agli standard e agli indirizzi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
(4-16196)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che le cessioni di «Cornegliano stoccaggio» hanno durata ventennale (dal 15 marzo 2011 al 15 marzo 2031).
  Per quanto riguarda l'ottemperanza agli obblighi di monitoraggio acustico in fase di perforazione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha preso atto di quanto comunicato da Arpa Lombardia secondo cui «il PMA della componente rumore proposto e presentato possa ritenersi conforme alle prescrizioni» e con nota del 16 settembre 2016 comunicava alla società e alle amministratori territoriali coinvolte l'avvenuta ottemperanza della prescrizione A9) punto a) del decreto di compatibilità ambientale Dsa – Dec 2009 – 0047 del 22 gennaio 2009.
  Per quando riguarda il monitoraggio della qualità dell'aria, si segnala altresì che la società Ital Gas Storage ha comunicato all'Arpa di Lodi (dandone evidenza al Ministero dello sviluppo economico) che in data 2 febbraio 2015 ha messo in servizio nel territorio del comune di Cornegliano Laudense una cabina per il monitoraggio del Pm 10.
  Ad ogni modo, le emissioni acustiche ed atmosferiche sono state oggetto di valutazione in sede di Via e oggetto di specifiche prescrizioni (ad esempio predisposizione di un piano di monitoraggio delle emissioni acustiche, installazione di centralina per il monitoraggio delle Pm 10), il rispetto delle quali è soggetto al controllo di Arpa Lombardia.
  In merito alla prevista realizzazione del rilievo sismico 3D, si evidenzia che in data 23 febbraio 2017 il Ministero dello sviluppo economico (ufficio territoriale Unmig di Bologna) ha autorizzato l'esecuzione dello stesso; la società Ital Gas Storage ha iniziato i relativi lavori il 4 aprile 2017 e concluso le attività in campo il 27 dello stesso mese.
  Il Ministero dello sviluppo economico evidenzia, inoltre, che tutte le attività avvengono nell'ambito di normali operazioni minerarie, sotto la supervisione di personale tecnico qualificato e sono costantemente controllate dalle competenti autorità. L'ufficio territoriale Unmig di Bologna ha effettuato e continuerà ad effettuare regolari ispezioni sia nel prosieguo della fase di perforazione nei due
cluster (autorizzata il 9 giugno 2014 per sette pozzi su ciascun cluster, per un totale di 14 pozzi, in corso di perforazione dal 1o luglio 2016), sia durante la costruzione degli impianti di superficie (in fase di realizzazione), sia poi durante il normale esercizio della centrale di stoccaggio.
  Il Ministero dello sviluppo economico riferisce altresì che sono in fase di studio gli «Indirizzi e linee guida per il monitoraggio della sismicità, delle deformazioni del suolo e delle pressioni di poro nell'ambito delle attività antropiche», e che si inizia attualmente ad applicarli a casi pilota (giacimento di stoccaggio gas di Minerbio, giacimento ad olio di Cavone e giacimento geotermico di Casaglia, tutti in Emilia Romagna) con lo scopo di raccogliere dati sulla loro efficacia e rispondenza alle esigenze per i quali sono stati redatti.
  Già nel novembre 2015, la società Ital Gas Storage, su base volontaria, ha comunque aderito alle suddette linee guida pubblicate dal Mise nel novembre 2014 ed il 21 dicembre 2015 ha ottenuto il nulla osta ministeriale alla realizzazione di una rete di monitoraggio sismico.
  La rete di monitoraggio sismico è composta da 9 nuove stazioni equipaggiate con strumentazione sismologica di elevata qualità e apparecchiature di teletrasmissione del dato continuo verso il centro di acquisizione ed elaborazione dell'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale – Ogs di Trieste che fungerà da Spm (Struttura preposta al monitoraggio).
  La società Ital Gas Storage ha realizzato 9 stazioni di monitoraggio che sono oggi in funzione.
  Le attività di monitoraggio di cui al precedente punto, a cui Igs ha aderito su base volontaria dal 2015, si aggiungono a quanto già specificamente previsto dalle normative ambientali, di sicurezza mineraria e dalla normativa «Seveso». In tal modo, tutti i rischi potenzialmente associabili all'impianto sono coperti da precise operazioni di gestione operativa e di costante monitoraggio che permettono alle autorità di controllo di avere ampie e aggiornate informazioni sull'iniziativa, anche al fine di implementare immediatamente tutte le azioni correttive eventualmente necessarie.
  I cittadini hanno possibilità di accesso ai dati raccolti dal Mise nel rispetto delle norme vigenti.
  Della vicenda sono comunque interessati diversi soggetti istituzionali, pertanto qualora dovessero pervenire ulteriori e utili elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere le attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   con delibera della giunta della regione Campania n. 381/2015 si è inteso provvedere agli adempimenti utili a conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 16 luglio 2015 (causa C-653/13), approvando un documento di indirizzo per l'aggiornamento del piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani;

   tale aggiornamento si basa sull'incremento della raccolta differenziata fino al 65 per cento entro il 2019 e molte città in Campania sono lontane dall'obiettivo;

   il piano prevede l'implementazione di due filiere di trattamento: «la seconda di queste due filiere di trattamento sarà volta alla produzione di css in due impianti, da realizzarsi, rispettivamente, nell'area dello stir di Caivano ed in un'area da identificare nelle zone limitrofe ai siti di stoccaggio principali per una potenzialità complessiva di circa 2.000.000 di tonnellate»;

   nel paragrafo 2.2 è previsto il «recupero energetico in impianti di trattamento termico sul territorio nazionale o comunitario» ed al paragrafo 4 si ammette che «il recupero/smaltimento fuori Regione delle intere ed enormi quantità di rifiuti stoccati, pari all'origine a circa 5.500.000 tonnellate, sia difficilmente perseguibile per motivazioni di carattere economico e di disponibilità di impianti capaci di accettare tali quantitativi in pochi anni». Leggendo in combinato i due paragrafi si evince che si arriverà alla costruzione di nuovi impianti per lo smaltimento del css ricavato dal trattamento dei rifiuti;

   al paragrafo 2.2 si legge «il trattamento dei rifiuti in balle per la produzione del Css e/o per il recupero di materia, produrrà degli scarti di processo da destinare ad impianti di discarica controllata: a tal fine, è prevista l'identificazione di aree da riqualificare morfologicamente al fine di realizzare siti di smaltimento della frazione residua non destinabile a recupero di materia o a valorizzazione energetica proveniente dai processi di lavorazione delle balle»;

   al paragrafo 7 si legge «il trattamento di rifiuti in balle finalizzato alla produzione di css sarà attuato anche all'interno di un'area da identificare tra quelle limitrofe ai siti di stoccaggio di maggiori dimensioni»;

   al paragrafo 6.1 si legge «Stime preliminari consentono di ritenere ragionevole che il trattamento del rifiuto in balle consenta di destinare a recupero una quantità pari a circa il 25-35 per cento in peso del rifiuto trattato, costituito da materiali recuperabili quali plastiche e, in misura minore, metalli»;

   la restante aliquota del rifiuto in balle processato è destinata a discarica e rappresenta circa il 65-75 per cento della massa complessiva di rifiuti da trattare;

   in riferimento al paragrafo 8.1, infine, calcolando che su 1.600.000 tonnellate solo 420.000 tonnellate potrebbero essere recuperate, 1.180.000 tonnellate sono già destinate a discariche da individuarsi nel territorio di Giugliano o limitrofo –:

   di quali elementi disponga il Governo circa l'ipotesi di installare nuovi impianti di trattamento del rifiuto organico nell'area della «Terra dei fuochi», soprattutto in un territorio già vessato e saturo come quello di Giugliano e Villa Literno, e di costruire un nuovo impianto di trattamento termico dei rifiuti, nonché di smaltire, tramite trattamento termico, il combustibile solido secondario in impianti già esistenti sul territorio regionale;

   se non si ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, anche normativa, per evitare qualsiasi intervento di trattamento termico del combustibile solido secondario in tali zone;

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per raggiungere i livelli di raccolta differenziata prescritti.
(4-17544)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla gestione dello smaltimento dei rifiuti nelle zone di Giugliano e Villa Literno (Campania), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la competenza in materia di pianificazione e localizzazione degli impianti è posta in capo alle regioni. Nel caso in questione, si evidenzia che la regione Campania ha adottato l'aggiornamento del Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani (PRGRU) per ottemperare agli adempimenti previsti dalla sentenza di condanna della Corte di giustizia europea del 16 luglio 2015, riguardante la violazione della direttiva 2006/12/CE per la gestione dei rifiuti.
  Il nuovo piano 2016 prevede, tra l'altro, la rinuncia alla realizzazione di nuovi impianti di incenerimento e l'incremento della raccolta differenziata fino al 65 per cento entro il 2019, discostandosi, in questo modo, dalle previsioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 2016 adottato ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del cosiddetto «Sblocca Italia». Alla luce di ciò, la regione ha inviato al Ministero la richiesta di aggiornamento del richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 2016 in ragione dei mutati fabbisogni regionali.
  Il Piano contiene, inoltre, uno specifico piano straordinario d'interventi per lo smaltimento e il trattamento dei rifiuti stoccati in balle, che individua 3 filiere per il trattamento dei complessivi 5,3 milioni di tonnellate di rifiuti stoccati. La prima filiera prevede lo smaltimento, presso impianti nazionali ed esteri, di una quota di rifiuti pari a circa 1 milione di tonnellate; la seconda filiera, finalizzata al recupero di materia, prevede il trattamento di circa 1,6 milioni di tonnellate di balle situate nel sito di Giugliano; la terza filiera prevede la produzione di «Combustibile solido secondario» (CSS), che potrà essere valorizzato energeticamente in impianti produttivi presenti sul territorio nazionale e non solo. A tale filiera è destinato circa il 30 per cento del totale dei rifiuti stoccati in balle.
  Nel Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani della regione Campania non vi è, dunque, alcuna indicazione relativa alla realizzazione di nuovi impianti termici per la valorizzazione del combustibile solido secondario derivante dal trattamento delle ecoballe all'interno del territorio regionale.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà comunque a tenersi informato e manterrà alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nella città di Parma il Movimento Nuovi Consumatori (MNC) ha raccolto numerose segnalazioni e lamentele da parte dei cittadini che utilizzano le linee di trasporto TEP (i trasporti pubblici di Parma);

   alla base delle segnalazioni, l'attività di controllo dei biglietti sull'autobus che, da marzo 2016, è stata assegnata, con intento di potenziamento delle verifiche, ad una, ditta privata di Modena, la «Holacheck srl»;

   pur non vestendo la divisa aziendale, a quanto consta all'interrogante i controllori «in borghese» della ditta Holacheck indosserebbero comunque un tesserino di riconoscimento rilasciato da TEP e disporrebbero delle stesse dotazioni aziendali a disposizione dei dipendenti TEP (palmari per il controllo degli abbonamenti e il POS bancomat per la regolarizzazione delle sanzioni a bordo bus);

   la procedura per l'assegnazione del servizio di controllo ad Holacheck srl si è svolta senza indizione di reale gara pubblica, come si evince dall'avviso di appalto aggiudicato, nel quale risulta che solo un'impresa è stata invitata a fare un'offerta e che il numero di offerte ricevute ed ammesse è stato pari a 1, l'offerta Holacheck srl appunto;

   in una seduta della commissione di controllo in municipio, il presidente Antonio Rizzi, aveva motivato la scelta di non ricorrere a gara con la volontà di avviare in tempi più rapidi la sperimentazione del nuovo sistema di controlli;

   il compenso per questo appalto è pari ad un corrispettivo fisso di 207.000 euro più una quota variabile pari all'85 per cento delle sanzioni incassate oltre la soglia del corrispettivo fisso;

   subito dopo (19 aprile 2016) la pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione dell'appalto (8 aprile 2016) da parte della Holacheck srl, con l'articolo 217 del decreto 50 del 2016, è stata abrogata la possibilità di riproporre gare di questo tipo per il futuro;

   i dipendenti di un'azienda pubblica che svolge il ruolo di controllo dei titoli di viaggio, nello svolgimento delle loro funzioni, sono dei pubblici ufficiali. È per questo che a loro è concesso fermare le persone, chiedere i documenti e generalità, impedire loro di uscire dall'autobus;

   la legge regionale del trasporto pubblico 30 del 1998, inoltre, all'articolo 40, qualifica con precisione chi possa svolgere il ruolo di controllore e non annovera, tra i soggetti abilitati, dipendenti appartenenti a società private;

   il 25 maggio 2016 un sindacato confederale ha scritto al prefetto di Parma e alla direzione provinciale del lavoro per sollecitare chiarimenti sullo status giuridico di questi «controllori in borghese». Non è pervenuta risposta alcuna –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali chiarimenti, per quanto di competenza, si intendano fornire in relazione ai dubbi posti dalle organizzazioni sindacali al prefetto di Parma e alla competente direzione provinciale del lavoro;

   se il Governo, in particolare, intenda chiarire, per quanto di competenza, su quali basi giuridiche gli addetti della Holacheck srl svolgano l'attività di controllo, legalmente riservata a pubblici ufficiali, posto, tra l'altro, che la legge regionale prescrive che solo i dipendenti dell'azienda di trasporto pubblico hanno la possibilità di comminare le multe e chiedere i documenti d'identità.
(4-13911)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Va premesso che le problematiche rappresentate dall'interrogante, concernente l'attività di controllo dei biglietti sulle linee di trasporto «TEP» (trasporti pubblici di Parma), vertono su questioni devolute a livelli di governo diversi da quello statale.
  In ogni caso, al fine di fornire una risposta alle criticità segnalate si riporta di seguito quanto pervenuto dal Ministero dell'interno.
  La prefettura di Parma riferisce che da quanto emerso dall'istruttoria condotta, T.E.P. s.p.a., per il periodo da marzo a dicembre del 2016, ha proceduto all'affidamento diretto dell'attività di controllo dei biglietti alla Holacheck s.r.l. in base all'articolo 221 comma 1, lettera
b) del previgente codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 163 del 2006 in ragione del carattere sperimentale e della durata limitata nel tempo dell'appalto.
  Tale affidamento sperimentale è stato giustificato dalla necessità di valutare concretamente l'impatto economico e gestionale dell'esternalizzazione del servizio prima di procedere all'indizione di una gara pubblica.
  La scelta è ricaduta sulla Holacheck, in quanto unica offerente del servizio in parola e soggetto già operante in alcune realtà dell'Emilia Romagna (oltre che della Lombardia, a Lodi e nel milanese in particolare).
  Al termine della, fase sperimentale, T.E.P. s.p.a. ha deciso, di prorogare ulteriormente l'affidamento alla luce dei risultati raggiunti (numero di passeggeri incrementato di 2.1 milioni di utenti rispetto all'anno precedente, pari ad una crescita del 6,52 per cento su base annua, a fronte del - 1,94 per cento del 2015 e il - 1,65 per cento del 2014; incremento del 7 per cento della vendita degli abbonamenti, con un calo complessive del numero di passeggeri sanzionati passati dall'8,2 per cento nel mese di marzo a inizio sperimentazione al 3,59 per cento di dicembre).
  La gara pubblica è stata, poi, effettivamente bandita ed è stata aggiudicata alla Holacheck, unico operatore che ha presentato l'offerta.
  La predetta aggiudicazione è Stata fatta per un periodo di 3 anni, con una riduzione dei corrispettivi negoziati in fase di sperimentazione.
  Sul punto specifico la T.E.P. soggiunge che la legge non è stata modificata poco prima dell'appalto bensì due mesi dopo (la delibera di assegnazione del CDA è del 26 febbraio 2016; la pubblicazione del decreto legislative n. 50 del 2016 che modifica il codice degli appalti è del 19 aprile dello stesso anno).
  Peraltro, non si registrano novità significative in tema di affidamenti a scopo di sperimentazione, ammessi anche dal nuovo codice (articolo 125 del citato decreto legislativo n. 50 del 2016).
  In merito alla qualifica di pubblico ufficiale dei soggetti verificatori aziendali esterni, sempre secondo la prefettura di Parma, va precisato che T.E.P. s.p.a. ha interpretato l'articolo 40 della legge della regione Emilia-Romagna n. 30 del 1998 nel senso, che l'accertamento e la contestazione immediata delle violazioni possano essere eseguite dagli agenti accertatori previo incarico formale dell'azienda e indipendentemente da un rapporto di dipendenza organica con l'azienda medesima.
  D'altra parte il contralto autoferrotranviari (contratto con cui sono inquadrati gli operatori in forza a T.E.P.) non prevede espressamente l'attività di verificatore; T.E.P. assegna questa funzione mediante la lettera di incarico. Pertanto, sia i controllori esterni sia i controllori aziendali sono entrambi investiti della funzione attraverso il medesimo strumento giuridico, sufficiente, secondo la T.E.P., per assumere la qualità di pubblico ufficiale, ai sensi dell'articolo 357 del codice penale.
  Da tale titolo giuridico discende, quindi, la possibilità del singolo agente di eseguire le verifiche sulla regolarità del titolo di viaggio nonché l'abilitazione alle procedure di identificazione del trasgressore.
  A conferma della correttezza del proprio operato, l'azienda aggiunge la novella legislativa introdotta con l'articolo 48, comma 12 del decreto-legge n. 50 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 96 del 2017, che, in tema di contrasto all'evasione tariffaria, consente ai gestori dei servizi di trasporto pubblico di affidare le attività di prevenzione, accertamento e contestazione delle violazioni alle norme di viaggio anche a soggetti non appartenenti agli organici del gestore medesimo, qualificabili come agenti accertatori.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il lago di Quarto si trova nell'alto Appennino cesenate tra i comuni di Bagno di Romagna e Sarsina; è il secondo lago per dimensioni e per importanza della provincia di Forlì – Cesena dopo Ridracoli ed ha un bacino artificiale che ha un'estensione dello specchio liquido di 0,11 chilometri quadrati ed un volume d'acqua di 0,35 milioni di metri cubi;

   i principali corsi d'acqua che si immettono nelle acque del lago sono il Savio (nel segmento corto) e il torrente la Para (nel segmento lungo). Da decenni si ipotizza uno sfruttamento intensivo, mai realmente messo in pratica, delle acque per scopi di rifornimento idrico;

   già nel 1925, la «Società Elettrica Alto Savio» (SIDAS), pensò di sfruttare le risorse idriche del lago per produrre energia elettrica, utilizzando la diga edificata nel 1922 che, al livello di massimo invaso, estendeva la superficie dello specchio liquido del lago artificiale fino a 0,87 chilometri quadrati ed il volume d'acqua fino a 4,50 milioni di metri cubi;

   nel 1991 vennero firmati protocolli d'intesa che prospettavano di derivare dal Savio e dai bacini adiacenti circa 25 milioni di metri cubi d'acqua all'anno, da potabilizzare sia con l'impianto di Capaccio di Santa Sofia, sia con un nuovo impianto da realizzare per le acque del lago di Quarto;

   nel 1997 l'assemblea di «Romagna Acque» (oggi «Romagna Acque-Società delle Fonti», società per azioni, a capitale totalmente pubblico vincolato, proprietaria di tutte le fonti idropotabili per usi civili della Romagna, che gestisce la produzione all'ingrosso della risorsa per i territori di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini, per mezzo di un complesso sistema acquedottistico denominato «Acquedotto della Romagna») approvò un piano di intervento comprendente questi progetti, grosso modo invariati, a parte una diminuzione dei prelievi idrici previsti;

   nel 2007 il sindaco di Sarsina dell'epoca (Lorenzo Cappelli) scrisse a regione, province e comuni per sollecitare la prosecuzione del progetto per lo sfruttamento delle acque del Savio e dei bacini adiacenti;

   solo nel 2009, però, venne completato un primo stralcio dei lavori per la pulizia delle acque ed il ripristino del lago, come da accordi intercorsi tra Ministero dell'ambiente, regione ed Enel fin dal 1994;

   l'attuale sindaco di Sarsina, Luigino Mengaccini, ha rilanciato l'iniziativa del progetto di utilizzo del lago di Quarto come risorsa idrica, ripartendo dal disegno originario avallato dall'allora presidente di Romagna Acque, Giorgio Zanniboni;

   il 25 luglio 2017 il consiglio comunale ha deciso, inoltre, di stanziare 30 mila euro dell'avanzo di bilancio per avviare un progetto di valorizzazione turistica e naturalistica dell'area del lago, gestito direttamente dall'amministrazione comunale –:

   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato e quali iniziative di competenza intenda assumere, da un lato, per valorizzare il lago di Quarto dal punto di vista ambientale, paesaggistico e turistico e, dall'altro, per realizzare finalmente il progetto che permetterebbe di inquadrare le acque del lago come un'importantissima risorsa idrica ed idroelettrica di rilevanza nazionale, in un momento in cui la maggior parte delle regioni italiane sono in ginocchio a causa delle carenza idrica e della conseguente siccità, considerato anche il fatto che, da sempre, il lago di Quarto lavora a regime ridottissimo, senza che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a quanto consta all'interrogante, sia mai intervenuto per correggere tale andamento.
(4-17546)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la valorizzazione del lago Quarto, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il lago di Quarto, situato in Alto Savio nell'Appennino Cesenate, è nato da una frana che nel 1812 causò la morte di 18 persone e sbarrò il corso del fiume Savio, creando un enorme bacino naturale. Nel 1828, con il sopraggiungere di una grande siccità, il prolegato della provincia di Forlì diede l'incarico di creare una breccia nello sbarramento naturale che impediva l'efflusso delle acque del fiume Savio, perché ne beneficiasse l'intera vallata comprese le pianure del cesenate.
  Nel secolo successivo, quando ormai il bacino del lago poteva dirsi scomparso per effetto della sedimentazione di detriti melmosi, la S.I.D.A.S. (Società Elettrica Alto Savio) pensò di sfruttarne le risorse idriche per la produzione di energia elettrica costruendo nel 1922 una diga ed una centrale idroelettrica. Si creò così uno specchio d'acqua dell'estensione di 85 ettari con una capienza di 4 milioni 470 mila metri cubi.
  Ad oggi, la risorsa idrica viene utilizzata per produrre energia grazie alla centrale idroelettrica presente a valle. È in concessione ad Enel Green Power che vi deriva una portata media di 3.200 litri al secondo per produrre 2,283,3 kW. Il volume utile, per la produzione di energia è da sempre limitato dalle due quote massima e minima di esercizio: quella massima di metri 317,80 non si può superare in quanto la diga tracimerebbe, mentre il livello minimo non può essere inferiore a metri 315,70 in quanto entrerebbe aria nell'opera di presa impedendo così la derivazione.
  Nel 1999 Romagna Acque assoggettò a
screening il progetto di costruzione di un acquedotto con derivazione dal fiume Savio. Si prevedeva la captazione di una quantità media di acqua pari a 350 litri al secondo, con punte massime di 600 litri al secondo, con opere di derivazione e di adduzione dalla condotta che porta le acque dalla diga di Quarto alla centrale idroelettrica Enel. Romagna Acque però abbandonò questo progetto per scegliere altre fonti di approvvigionamento in grado di garantire maggiori volumi e continuità di prelievo: preferì l'opzione di prelevare dal Po, a Palantone, 2,3 metri cubi al secondo tramite il canale emiliano romagnolo.
  Attualmente il lago è pienamente utilizzato ai fini idroelettrici. A fronte dell'originaria capacità di invaso di 4.470.000 m3, ad oggi sono accolti solo 370.000 m3. Il volume totale dei sedimenti ammonta infatti a 4.000.000 m3.
  Per la rimozione dei sedimenti sono state formulate due ipotesi: lo svuotamento del lago con successiva rimozione del materiale presente sul fondo oppure la sua fluitazione, in tempi ben più lunghi e comunque da svolgere nella piena sostenibilità ambientale.
  La regione Emilia-Romagna ha rilevato, altresì, che il 27 luglio 2017 si è tenuto presso la stessa, a Bologna, un incontro tra l'assessore Gazzolo ed i rappresentanti di Enel e di Enel Green Power durante il quale è stata decisa l'istituzione di un tavolo di confronto – con avvio a settembre 2017 – per definire le modalità di svuotamento degli invasi in gestione ai due soggetti privati. Il confronto riguarderà appunto anche il lago di Quarto e sarà propedeutico alla ricerca dei necessari finanziamenti statali.
  Si rileva altresì che nella seduta consiliare del comune di Sarsina del 25 luglio 2017 si è deciso di stanziare la somma di 30.000,00 euro per un progetto di valorizzazione naturalistica del lago di Quarto, il cui progetto definitivo — esecutivo, è stato già approvato dalla giunta comunale nella seduta del 5 settembre 2017.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi informativi, si provvederà a fornire aggiornamenti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PARENTELA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il progetto di investimento «interventi di adeguamento tecnologico e infrastrutturale per l'incremento delle prestazioni e dell'affidabilità della linea Battipaglia-Reggio Calabria» è stato articolato in 14 sottoprogetti funzionali, di cui 10 ricadenti nel territorio della regione Calabria, per un costo complessivo di 200 milioni di euro, e 4 ricadenti nel territorio delle regioni Basilicata e Campania, per un costo comprensivo di 30 milioni di euro;

   dei sopracitati 14 sottoprogetti, i lavori relativi all'intervento SP01 «galleria Coreca» sono stati realizzati nel dicembre 2011 poiché «divenuti nel tempo improcrastinabili» come ha affermato il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti con risposta scritta pubblicata l'11 settembre 2013 nell'allegato al bollettino delle giunte e delle commissioni, all'interrogazione n. 5-00562;

   tra i finanziamenti programmativi vi sarebbe, come riferito da Anas, «SS 18 Tirrena Inferiore. Lavori di manutenzione straordinaria per l'efficientemente degli impianti della galleria Coreca al km 346+655 importo 4,70 milioni di euro, finanziamento a valere sui fondi del decreto-legge n. 133 del 2014 cosiddetto Sblocca Italia»;

   la galleria di Coreca è chiusa al traffico da oltre un mese con l'ingresso sbarrato da un mezzo dell'Anas e nessun operaio che vi lavori all'interno. Quali siano i motivi della chiusura al traffico di questo tunnel non è dato saperlo e L'Anas, interpellata sulla questione, non ha fornito una spiegazione ufficiale se non uno scarno comunicato del 26 maggio scorso in cui si limita a rendere nota la chiusura dell'infrastruttura per l'esecuzione di verifiche ed indagini tecniche. L'ipotesi più accreditata che ha portato alla chiusura della galleria, si legge da notizie a mezzo stampa, sarebbe: «la presenza di copiose infiltrazioni d'acqua nella parte superiore della galleria, tali da generare il concreto rischio di un crollo in diversi punti del traforo, lungo quasi un chilometro. La sensazione quindi, è che occorrano interventi strutturali per garantire piena sicurezza sul percorso. E che i tempi per la riapertura al traffico saranno ancora molto lunghi»;

   il vecchio percorso, sul quale il traffico viene oggi deviato, con gravi disagi per gli automobilisti, prevede il transito nella frazione di Coreca, su una lingua d'asfalto spesso flagellata dal mare, affollata di turisti e bagnanti durante l'estate –:

   quali siano le cause della chiusura della galleria Coreca che, in piena estate, sta generando gravi disagi agli automobilisti che si trovano a transitare o a raggiungere la località turistica calabrese con tutto ciò che comporta in termini di ripercussioni sulla sicurezza stradale e sull'economia dell'area coinvolta.
(4-17221)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società ANAS, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  ANAS riferisce che la chiusura temporanea della galleria Coreca è stata determinata dalla necessità di effettuare alcune indagini e rilievi sulle condizioni statiche della predetta galleria. Tali indagini si sono concluse il giorno 6 luglio 2017 e il giorno successivo è stato riaperto al traffico il tratto di strada statale 18 Tirrena inferiore tra il chilometro 346,655 e il chilometro 347,700 nel territorio comunale di Amantea, in provincia di Cosenza.
  Per completezza di informazione, ANAS evidenzia di aver, comunque, predisposto un monitoraggio ed un presidio permanente della galleria Coreca, in attesa della realizzazione dei necessari interventi di manutenzione straordinaria.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in Calabria esiste un problema di depurazione, troppo spesso carente o del tutto assente. Solo pochi giorni fa, il dirigente regionale Pallaria, nel corso di una intervista tv alla RAI Calabria, ha affermato che: in Calabria «siamo ancora all'anno zero» in fatto di depurazione. Nonostante siano stati spesi ben 900 milioni di euro in opere tampone, non si assiste ancora alla realizzazione di quegli interventi strutturali, cui peraltro siamo obbligati per via della procedura di infrazione comunitaria del 2004 e della relativa sentenza di condanna della Corte di giustizia europea del 2007 (Causa C-135/05);

   nel piano d'ambito della regione, si legge che, su 409 comuni calabresi, esistono 765 impianti di depurazione censiti. Di questi, ben il 13 per cento «richiede adeguamenti tecnologici». Inoltre, ben 29 comuni «risultano sprovvisti di impianti per il trattamento di acque reflue», mentre 18 agglomerati urbani sono oggetto della citata infrazione. Per quanto riguarda invece i collettori, esiste una rete di 597 chilometri, con un'età media di 20 anni, e occorre realizzare ulteriori 893 chilometri di condotte per adeguare la realtà calabrese alla normativa prevista dal decreto legislativo n. 152 del 1999. In totale, è stato calcolato che la spesa per gli interventi necessari al mantenimento e la realizzazione delle nuove condotte è di circa 326 milioni di euro. Si ha dunque una rete vecchia, complicata da gestire (fatta di pozzi di sollevamento, condotte sottomarine), ma soprattutto fragile e costosa (se si considera che basta un blocco elettrico o una mareggiata per mandarli in tilt), e questi costi vengono traslati sui contribuenti che già oggi si vedono addebitare costi elevati per un servizio pessimo;

   l'attenzione pubblica è concentrata sugli scarichi illegali e finora poco o nulla si è detto sulla presenza di scarichi legali, autorizzati ma con livelli non compatibili con la presenza di aree naturalisticamente sensibili o protette: questo è il caso del canale di scolo del depuratore di Lamezia Terme (CZ) che attraversa, in maniera evidente il Sito di interesse comunitario (SIC IT9330089) «Dune dell'Angitola» prima di sfociare in mare, ed è ubicato all'interno di un'area già dichiarata dalla regione Calabria ad «alta vulnerabilità da nitrati» e ad «alta vulnerabilità degli acquiferi». Il canale di scolo dell'impianto di Lamezia Terme che è tarato per più di 100.000 abitanti equivalenti (fonte Asicat) – non risulta segnalato in maniera chiara né nella cartografia ufficiale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, né in quella della regione Calabria; inoltre in base ai limiti di legge per fosforo totale e azoto totale, nell'area in questione questi dovrebbero essere rispettivamente minori o uguali a 1 mg/l e minori o uguali a 10 mg/l;

   considerata l'interferenza ecologica del depuratore sul confinante sito Sic «dune dell'Angitola», a norma del decreto legislativo n. 152 del 2006 il depuratore dovrebbe attenersi ai valori limite disposti dalla tabella 2 dell'allegato 5 alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, ed invece sorprendentemente l'impianto è autorizzato dalla provincia di Catanzaro ad attenersi alla tabella 1 e alla tabella 3 –:

   per quale motivo il canale di scolo dell'impianto di Lamezia Terme non risulti segnalato in maniera chiara nella cartografia ufficiale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e come ciò si concili con le prescrizioni imposte dalla direttiva 56/2008;

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, per quanto di competenza, per garantire la tutela di un'area che si trova all'interno del perimetro del Sito di interesse comunitario «Dune dell'Angitola», per il quale valgono gli obblighi previsti dalla Direttiva «Habitat» e che potrebbe essere danneggiata dalle presenza di acque reflue provenienti dal depuratore di cui in premessa.
(4-17535)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è impegnato costantemente e con la massima attenzione a vigilare e ad intraprendere e portare avanti tutte le azioni di competenza volte alla risoluzione delle problematiche nel settore fognario depurativo ancora presenti nel territorio nazionale.
  A tal proposito si deve evidenziare, che la depurazione si inserisce nel processo verticale del servizio idrico integrato (S.I.I.) composto appunto da acquedotto, fognatura e depurazione. In particolare, la normativa di settore, articolo 149, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, affida agli enti di Governo d'ambito – in sede di predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito – il compito di condurre la ricognizione delle infrastrutture, la programmazione degli interventi oltreché la redazione del piano economico finanziario.
  Per questi motivi, la corretta gestione del servizio idrico integrato, secondo le norme vigenti, prevede una struttura decisionale locale che fa capo agli enti di Governo d'ambito a cui spetta la scelta del modello organizzativo del servizio idrico integrato, la pianificazione degli interventi necessari a fornire un servizio di qualità, la redazione del piano economico e finanziario della gestione, l'affidamento del servizio ad un gestore unico, oltre che il controllo e la vigilanza sulla gestione.
  Bisogna inoltre sottolineare che la regione Calabria è tra le regioni che non hanno provveduto tempestivamente, ossia entro il 31 dicembre 2014, a dare piena attuazione al servizio idrico integrato. La regione ha, infatti, provveduto all'organizzazione del servizio idrico integrato soltanto con legge regionale n. 18 del 12 maggio 2017.
  Per quanto riguarda poi le iniziative poste in atto dal Ministero per accelerare la risoluzione delle criticità, si devono ricordare le assegnazioni di diverse risorse finanziarie.
  In particolare, con la delibera Cipe n. 60 del 2012 sono state assegnate alla regione Calabria risorse pari a 159.850.000,00 euro finalizzate al finanziamento di n. 16 interventi. Tra questi rientra l'intervento «Disinquinamento fascia costiera vibonese – Area omogenea Angitola (Sub 3)» che interessa l'area oggetto dell'interrogazione e, in particolare, gli agglomerati di Pizzo, Maierato, Monterosso Calabro, Polia, Filadelfia, San Nicola da Crissa, Filogaso, Francavilla Angitola, Capistrano – Intervento da realizzare con un contributo pari a 6.300.000,00 euro.
  Inoltre, a valere su fondi di cui alla delibera Cipe 26 del 2016, la giunta regionale con la delibera di giunta regionale n. 160 del 2016 recante «Patto per lo sviluppo della Regione Calabria in attuazione degli interventi prioritari e individuazione delle aree di intervento strategiche per il territorio», ha previsto una dotazione finanziaria di 150 milioni di euro.
  Successivamente, con decreto n. 5 del 4 gennaio 2017 recante «Delibera di G.R. N. 160 del 2016 Patto per lo sviluppo della regione Calabria-delibera Cipe N. 26 del 2016 Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014/2020: piano per il mezzogiorno. Individuazione interventi depurazione
» sono state effettivamente destinate le suddette risorse finanziarie, pari a 150 milioni di euro, ai 129 agglomerati/comuni interessati dalla procedura d'infrazione 2014/2059.
  Inoltre, sempre in un'ottica risolutiva delle suddette problematiche, nel 2015 si è proceduto alla nomina di commissari straordinari, con il decreto «Sblocca Italia» e, successivamente, di un commissario straordinario unico (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 aprile 2017) per il coordinamento e la realizzazione degli interventi funzionali a garantire l'adeguamento, nel minor tempo possibile, alle sentenze di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea pronunciate il 19 luglio 2012 e il 10 aprile 2014 in materia di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue.
  Infine, per quanto riguarda l'agglomerato di Lamezia Terme e, precisamente, per «l'area già dichiarata dalla Regione Calabria ad alta vulnerabilità da nitrati e ad alta vulnerabilità degli acquiferi» devono essere chiariti alcuni aspetti.
  In data 20 giugno 2016 la regione Calabria ha caricato sul sito del Sistema informativo per la tutela delle acque in Italia (ISPRA) i dati relativi alla situazione fognaria depurativa dell'agglomerato di Lamezia Terme. Dagli stessi risulta che il carico generato dell'agglomerato è 110.000 abitanti equivalenti (a.e.). Il 95 per cento del carico generato dell'agglomerato è collettato in rete fognaria, mentre il 5 per cento è trattato presso sistemi individuali.
  Pertanto, tutto il carico collettato in rete fognaria è tratto presso l'impianto denominato «Lamezia Terme SIR» che ha una capacità organica di progetto pari a 110.000 a.e., oltre ad essere fornito di un trattamento secondario e di un trattamento più spinto per la rimozione dell'azoto e presenta, allo scarico, valori limite di emissione (BOD5 e COD) conformi alla tabella 1 dell'allegato 5 alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Rispetto a quest'ultimo aspetto si precisa altresì che l'impianto in parola, scaricando in area normale, deve rispettare i limiti indicati dalla tabella 1 e dalla tabella 3 se tratta anche reflui industriali.
  Non trovano applicazione invece limiti indicati nella tabella 2 dell'allegato 5 alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, in quanto limiti che valgono solo per gli impianti a servizio di agglomerati con carico generato maggiore a 10.000 a.e. che scaricano in area sensibile.
  Infatti, l'area in questione rientra tra le zone vulnerabili designate dalla regione Calabria, ai sensi dell'articolo 92 della parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, con decreto di giunta regionale 817 del 23 settembre 2005. A tali zone si applicano le misure previste dal programma di azione adottato con decreto di giunta regionale 393 del 6 giugno 2006 e riconfermato nel 2013 con la delibera di giunta regionale 63 dell'otto marzo.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   RICCIATTI, ZARATTI, MELILLA, KRONBICHLER, FRANCO BORDO, FOLINO, NICCHI, DURANTI, SANNICANDRO, SCOTTO, PIRAS e QUARANTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nell'area del cratere del terremoto, nel tratto tra Matelica Nord e Castel Raimondo, è in definizione il progetto esecutivo per la costruzione della Pedemontana, l'asse viario ideato circa 40 anni fa che avrebbe dovuto supportare lo sviluppo del comparto industriale e della piccola e media impresa all'epoca in pieno sviluppo, in quell'area, mediante un sistema di infrastrutture viarie che, raccordando l'asse Foligno-Civitanova strada statale 77 all'asse Perugia-Ancona strada statale 76 e 318, andrebbe a completare il progetto meglio noto come Quadrilatero Marche Umbria; non è chiaro se le analisi e le valutazioni sull'effettivo valore della realizzazione di tale opera siano stati più rivisti e aggiornati dalla data di prima approvazione del progetto preliminare avvenuta nel lontano 2002;

   all'epoca la Società Quadrilatero presentò un'analisi di valorizzazione in cui il progetto fu considerato come un volano sull'economia dell'area, al punto da prevedere effetti economici, in termini di valore aggiunto nei vari ambiti territoriali, che ammontavano a circa 200 milioni di euro;

   con questi dati il progetto fu autorizzato dal comune di Matelica, dalla regione Marche e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al punto da diventare un progetto strategico di rilievo nazionale;

   al contrario, nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 109 del 12 maggio 2017 è stata pubblicata la delibera del Cipe del 1o gennaio 2016 in cui dall'esame di uno schema di «piano di valorizzazione» delle aree leader, trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 24 marzo 2016, lo stesso Ministero rilevava che, nonostante la previsione di ulteriori elementi incentivanti per la valorizzazione delle aree, permanevano criticità e incertezze che non avrebbero consentito allo stato l'attivazione delle successive fasi procedurali: in conclusione, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti intendeva rinunciare al progetto del «Pav»;

   dal lontano 2002, molti furono gli eventi che impattarono sull'area in questione modificandone sostanzialmente il tessuto economico sociale: la crisi delle piccole e medie imprese e il relativo collasso del «modello imprenditoriale marchigiano» dopo il 2008, la chiusura delle industrie Merloni e il relativo effetto domino su tutte le aziende satelliti, il bail in di Banca delle Marche fino al terremoto del 30 ottobre 2016;

   in questo territorio messo in ginocchio da una concomitanza di eventi avversi, si sta cercando con enormi difficoltà di ripartire dalle risorse dei luoghi, una soft economy costituita dai prodotti agricoli di qualità, dal «Verdicchio di Matelica», fiore all'occhiello del made in Italy e da tutte le attività ricreative, agrituristiche e enogastronomiche che proprio dall'ambiente traggono fonte di sostentamento;

   la ricostruzione non può passare attraverso infrastrutture viarie che, oltre a rivelarsi inutili, in questa particolare fase economica, porteranno ulteriore distruzione per almeno 5 anni, decretando la desertificazione di tutto il territorio;

   la ricostruzione dovrebbe ripartire dalla comunità, dalle case, dalle stalle, dai laboratori e dalle fabbriche e strade come la Pedemontana progettate in un'altra epoca dovrebbero essere oggetto di revisione progettuale, al fine di porre maggiore attenzione al risparmio di risorse economiche e naturali, ad esempio con l'ottimizzazione e l'ampliamento dei tracciati esistenti –:

   quali siano le analisi economiche in possesso del Governo in seguito agli eventi sismici che hanno interessato il cratere del terremoto;

   se e quali siano le previsioni di investimento nell'area da parte di soggetti esterni;

   quale sia l'ambito di potenziale sviluppo economico previsto dalle analisi di settore per l'area in questione;

   quali siano i dati relativi al traffico di mezzi pesanti che al momento giustificherebbero la velocità estrema di esecuzione di un'opera che apporterà altra povertà ad un'area già duramente colpita, in termini di perdita di posti di lavoro e di risorse.
(4-17352)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla Direzione generale per le strade e le autostrade e per la Vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo ministero e dalle società Anas e Quadrilatero Marche Umbria (Qmu), si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 21 settembre 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, in VIII commissione Camera, l'opera strategica di interesse nazionale «Asse Viario Quadrilatero Marche Umbria» consiste nel completamento ed adeguamento di due arterie principali (l'asse Foligno-Civitanova Marche strada statale (SS) 77 e l'asse Perugia-Ancona SS 76 e SS 318), della Pedemontana delle Marche di altri interventi viari, idonei ad assicurare il raccordo con i poli industriali esistenti e, più in generale, a migliorare ed incrementare l'accessibilità alle aree interne delle regioni interessate.
  Le potenzialità generate dalla realizzazione dell'intero sistema viario Quadrilatero, compresa la Pedemontana delle Marche consentono, pertanto, di ridurre il
deficit infrastrutturale che penalizza le regioni Marche ed Umbria, creando un efficiente collegamento con le regioni circostanti e verso l'Europa, determinando il decongestionamento del traffico, la significativa riduzione del tasso di incidentalità, producendo inoltre effetti ambientali, territoriali e socioeconomici positivi per la collettività.
  Tutte queste motivazioni sono state fondamentali nello sviluppo dell'intero progetto Quadrilatero, proprio per dare l'opportunità ai territori di rilanciare il potenziale economico a seguito degli eventi sismici avvenuti nel 1997.

  Aver realizzato ed aperto al traffico buona parte degli assi principali del progetto, in concomitanza del grave sisma che ha colpito l'Italia centrate nell'agosto-ottobre 2016, ha dimostrato di essere fondamentale per la gestione dell'emergenza, essendo le uniche valide alternative stradali in esercizio rispetto alla viabilità ordinaria.
  Le opere strutturali del sistema viario Quadrilatero rispettano infatti le «Norme tecniche per le Costruzioni» di cui al decreto ministeriale 14 settembre 2005 e successive modificazioni e integrazioni ed hanno risposto con successo agli eventi sismici di cui sopra.
  La società Qmu precisa che, per quanto riguarda la tematica relativa all'impatto ambientale generato dalla realizzazione della Pedemontana delle Marche, così come per l'intero progetto Viario Quadrilatero, l'obiettivo principale è stato quello di un ottimale inserimento delle opere nei contesti paesaggistici interessati dal tracciato, limitandone per quanto possibile, l'impatto ambientale.
  Tale attenzione è stata positivamente accolta, sia dalle prime proposte progettuali del sistema viario Quadrilatero (2001) attraverso i pareri degli enti istituzionali coinvolti (Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, Ministero dei beni, attività culturali e turismo e le proprie strutture periferiche, regioni e province).
  A tal fine manufatti ed i tracciati sono stati adattati alla varietà topologica dell'ambito di inserimento, individuando soluzioni architettoniche ed ingegneristiche per preservare il paesaggio e l'ambiente, fornendo contemporaneamente all'utente Stradale l'apprezzamento visivo dei luoghi percorsi (interramenti delle sedi stradali, verde all'ingresso delle gallerie, opere di compensazione ambientale ed altro).
  La società Qmu riferisce, inoltre, che l'inserimento paesaggistico sarà costantemente verificato in corso d'opera, grazie al progetto di monitoraggio ambientale, che prevede una serie di
screening in sede di realizzazione, atti a constatare il risultato ed intervenire con eventuali ulteriori mitigazioni ove necessario. Il monitoraggio sopra citato è garantito anche dalle verifiche di ottemperanza di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare — Commissione Via-Vas).
  Tali misure sono parte integrante dei progetti stradali ottemperando alle prescrizioni e raccomandazioni del Cipe.
  La strada Pedemontana delle Marche, in particolare, ha avuto un lungo
iter approvativo, non ancora completato, che ha interessato tutte le amministrazioni e gli enti preposti, in osservanza del quadro normativo di riferimento. Si riporta di seguito il riepilogo, fornito dalla società Qmu, degli eventi più significativi di detto iter:

   il progetto preliminare della intera tratta della Pedemontana è stato predisposto dalla regione Marche e acquisito dalla società Qmu nel corso del 2003;

   nel dicembre 2003 la Qmu ha avviato le procedure di approvazione al Cipe e lo stesso comitato ha approvato la progettazione preliminare con la delibera Cipe n. 13 del 2004;

   nel corso del 2006, a seguito di gara comunitaria ad evidenza pubblica, la Qmu ha affidato al contraente generale il Completamento della progettazione e la realizzazione dell'intervento viario;

   nel corso del 2010 si sono avviate le procedure per l'approvazione del progetto definitivo da parte del Cipe;

   con la delibera n. 58 del 2012 il Cipe ha approvato e finanziato il progetto definitivo del 1° lotto funzionale della Pedemontana delle Marche, tratto Fabriano-Matelica nord e bretella di collegamento SS 77 – strada, provinciale (SP) 209 presso Muccia (MC);

   con successiva delibera n. 109 del 2015 il Cipe ha approvato e finanziato il progetto definitivo del 2° lotto funzionale della Pedemontana delle Marche, tratto Matelica nord-Castelraimondo nord;

   nel 2016, il Cipe, con delibera n. 64/2016, pubblicata in Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana n. 109 del 12 maggio 2017, ha ridefinito l'intero progetto Quadrilatero ed il relativo quadro economico complessivo, confermando la Pedemontana delle Marche tra gli interventi prioritari necessari a garantire il completamento funzionale del sistema viario Quadrilatero e il quadro economico complessivo della stessa opera;

   nell'ambito della predetta delibera n. 64 del 2016, il comitato ha ritenuto di abbandonare lo strumento del Piano di area vasta (Pav), riallocando le risorse finanziarie ad esso precedentemente stanziate, per il completamento del sistema viario Qmu.

  Ad oggi, riferisce la società Qmu, è in corso di realizzazione il 1° lotto funzionale, con uno stato di avanzamento dei lavori pari a circa il 22 per cento nel pieno rispetto del cronoprogramma dei lavori, parte integrante della documentazione progettuale approvata dal Cipe.
  È inoltre in corso di approvazione il progetto esecutivo del 2° lotto funzionale, mentre è in via di completamento la procedura approvativa degli ultimi due lotti funzionali della Pedemontana delle Marche (3° e 4° lotto).
  In conclusione, l'attuazione delle procedure per la realizzazione di tale opera strategica di interesse nazionale ha portato al finanziamento di circa il 60 per cento della Pedemontana delle Marche, arteria di collegamento tra i due assi principali del sistema Quadrilatero, la SS 77 Foligno-Civitanova Marche e la SS 76 Perugia-Ancona, il primo in esercizio ed il secondo in avanzato stato di realizzazione (83 per cento).

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   ROSTAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la notte tra il 10 e l'11 luglio 2017, un enorme rogo è scoppiato sulla circumvallazione esterna di Napoli, nel territorio della cosiddetta area giuglianese, sollevando per ore una nube tossica che ha reso l'aria irrespirabile in un perimetro ampio, toccando soprattutto i comuni di Giugliano, Qualiano, Villaricca, Melito e Calvizzano;

   la nube ha letteralmente cosparso di cenere tutta l'area a nord di Napoli, costringendo migliaia di cittadini a chiudersi in casa per difendersi dal lezzo nauseabondo;

   il rogo ha bruciato per ore, durante tutta la notte, sollevando fumi e una puzza insistente di plastica bruciata per tutta la mattinata dell'11 luglio, nonostante l'intenso lavoro dei vigili del fuoco sul luogo del disastro;

   alto è stato l'allarme sociale su un territorio già devastato ambientalmente;

   nella giornata dell'11 luglio, altri roghi di natura dolosa sono divampati sull'altro versante della provincia di Napoli, quello delle pendici del Vesuvio, dove anche nei giorni precedenti erano andate in fiamme diverse zone del Parco ambientale;

   anche in tutta la vasta zona vesuviana, l'aria è stata irrespirabile per ore, con cieli oscurati dalle esalazioni, piogge di polveri e migliaia di cittadini tappati in casa con segni di malore;

   pare che le attività di spegnimento del rogo sul Vesuvio abbiano impegnato oltre 60 persone in azione tra dipendenti regionali, personale della Sma Campania e volontari, a testimonianza della gravità dei fatti;

   secondo la protezione civile, nelle giornate del 10 e dell'11 luglio, sono stati attivi oltre cento roghi in tutta la Campania, delineando una vera e propria emergenza nazionale, con più di 600 uomini al lavoro sui territori;

   pochi giorni prima, altri roghi erano stati appiccati nel territorio dell'VIII municipalità di Napoli, a ridosso del campo Rom di Scampia, con colonne di fumo che si sono alzati da almeno tre focolai;

   il Parlamento il 5 febbraio 2014 ha provveduto alla conversione in legge del decreto-legge n. 136 del 2013, con cui prevedeva, tra le varie disposizioni, l'introduzione del reato di combustione dei rifiuti, più una serie di attività di bonifica dei suoli inquinati nella terra dei fuochi, il conferimento di poteri speciali al prefetto di Napoli, la creazione, presso il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, di un gruppo per il monitoraggio, la mappatura dei terreni inquinati, l'uso dell'esercito e lo screening sanitario gratuito per i cittadini residenti in Campania e Puglia;

   nonostante i buoni propositi del testo di legge, com'è del tutto evidente, non accennano a diminuire i roghi tossici e gli sversamenti abusivi; con l'estate e il caldo il livello di emergenza sale oltre la soglia di qualunque possibile tolleranza;

   il fenomeno dei roghi ed, in generale, la condizione di inquinamento dei suoli stanno provocando, come appare evidente da numerosi studi epidemiologici, un preoccupante innalzamento delle patologie diagnosticate nella popolazione residente, in particolare quelle oncologiche;

   va assolutamente innalzato il livello di vigilanza, sorveglianza, lotta dura agli sversamenti abusivi e ai roghi conseguenti sul territorio campano, con una più incisiva e articolata presenza dello Stato –:

   se non ritengano di attivare una speciale azione di contrasto contro i roghi in Campania, in tutti i suoi versanti, e, nello specifico, quali iniziative intendano assumere per aumentare la vigilanza sul territorio, implementare il controllo e il presidio delle zone a rischio e impedire fenomeni ormai dilaganti legati a svernamenti abusivi di rifiuti e conseguenti roghi tossici, che determinano una condizione di totale invivibilità del territorio, un rischio enorme per la salute dei cittadini e un pericolo reale di devastazione per l'ambiente.
(4-17319)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La delicata questione degli incendi boschivi, che sta caratterizzando questo 2017, risulta particolarmente critica per due ordini di motivi.
  Da un lato c'è la forte siccità che sta caratterizzando la stagione estiva, con temperature al di sopra della media e una ventilazione che favorisce il propagarsi degli incendi.
  Dall'altro lato c'è la gravissima recrudescenza di episodi dolosi, che rappresentano la stragrande maggioranza delle cause degli incendi che si verificano.
  Di fronte a questo insopportabile crimine contro la natura si stanno mettendo in campo tutte le azioni e tutto il personale – esercito compreso – disponibile.
  Serve però anche una fortissima azione repressiva contro gli incendiari, per la quale oggi forze dell'ordine e magistratura dispongono di una normativa più adeguata, grazie proprio al lavoro del Parlamento.
  La recente legge sugli ecoreati ha infatti introdotto strumenti attesi da decenni contro chi fa scempio dell'ambiente.
  La legge ha introdotto, tra le varie novità, il reato di «disastro ambientale», la cui pena è la reclusione da 5 a 15 anni. In questa fattispecie può rientrare anche l'incendio boschivo. Con l’«aggravante ambientale» dell'articolo 452-
novies è, inoltre, possibile un inasprimento della pena da un terzo alla metà (quando il reato riguarda i delitti ambientali).
  Questo vuol dire che il trasgressore può essere condannato a una pena di oltre 20 anni di reclusione, una pena adeguata alla gravità del danno che quanti appiccano un incendio, specie se in un'area protetta, determinano per la collettività.
  Si ricorda, altresì, che l'articolo 61, comma 1, n. 3 del codice penale prevede come circostanza aggravante «l'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento» (cosiddetta colpa cosciente o con previsione).
  Ad ogni modo, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  A ciò si aggiunga che la materia degli incendi boschivi è disciplinata dalla legge quadro n. 353 del 21 novembre 2000, che ha fissato, da ben 17 anni, diversi principi, primo tra tutti la ripartizione puntuale delle responsabilità e delle competenze affidate al servizio nazionale di protezione civile e quelle affidate alle regioni.
  Tale ripartizione di funzioni viene configurata anche sulla base del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che attribuisce alle regioni ed alle
province autonome il compito di programmare ed attuare le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi – ossia ricognizione, sorveglianza, avvistamento, allarme e spegnimento con mezzi da terra e aerei – mediante l'approvazione di un piano regionale, a revisione annuale, per la programmazione delle predette attività.
  La richiamata legge quadro affida al dipartimento della protezione civile la responsabilità di garantire il coordinamento del concorso della flotta aerea dello Stato a supporto delle regioni, che sono chiamate ad impiegare le proprie risorse terrestri ed i velivoli che compongono le flotte regionali nelle attività di spegnimento.
  Di fronte a questa emergenza la risposta deve essere ampia, certamente emergenziale e repressiva dei fenomeni criminali, ma anche in grado di recuperare le preziose risorse perdute. Questo perché a essere messe in discussione sono anche le funzioni che tali risorse svolgono per il clima e la biodiversità, con particolare riferimento all'assorbimento di CO2 e all'adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici. Per questo si segnala il lancio di un programma nazionale di riforestazione delle aree protette colpite dagli incendi, per il quale questo dicastero ha previsto un primo stanziamento di 5 milioni di euro, reperite nell'ambito delle risorse europee destinate alle misure di adattamento ai cambiamenti climatici, strettamente connesse con quanto viene messo più a rischio oggi: la protezione del suolo, la riduzione dei rischi idrogeologici, l'assorbimento di CO2, il mantenimento della biodiversità.
  La problematica degli incendi boschivi è complessa, per le molteplici componenti e le interrelazioni (climatiche, morfologiche, vegetazionali, antropiche, socio-economiche, e altro) che la caratterizzano in un dato ambiente geografico. Questa necessita, quindi, di una doverosa sinergia fra le varie Istituzioni, in particolar modo fra quelle competenti per la lotta attiva.
  In questo scenario, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare cura direttamente la pianificazione Anti incendi boschivi (AIB) delle aree protette statali. In particolare, tramite gli Enti gestori, svolge principalmente attività di programmazione e prevenzione sul relativo territorio naturale protetto.
  In previsione della criticità climatica che sta interessando il Paese e considerata anche la riorganizzazione del Corpo forestale operata dal decreto legislativo n. 177 del 2016, il 3 luglio scorso è stata convocata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'apposita riunione per fare il punto sulla relativa pianificazione Anti incendi boschivi e sulle forze disponibili per fronteggiare la situazione con tutte le Istituzioni cointeressate: regioni, corpo nazionale dei vigili del fuoco, carabinieri-forestali (CUTFAAC) ed Enti gestori delle aree protette.
  All'esito della riunione, il 12 luglio scorso, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato una direttiva che evidenzia l'importanza della sinergia e della collaborazione istituzionale nella lotta agli incendi, richiamando all'attenzione tutte le azioni necessarie per far fronte all'emergenza nell'attuale stagione estiva, nonché una serie di raccomandazioni volte a rafforzare anche le attività di programmazione e prevenzione.
  Si è provveduto, inoltre, a trasmettere la Direttiva a tutti gli attori istituzionali che hanno competenza diretta in merito alla lotta attiva, inclusi gli Enti Parco, il Capo dipartimento della protezione civile, nonché il presidente della conferenza dei presidenti delle regioni.
  Con riferimento all'attività pianificatoria in materia svolta da questo dicastero, occorre evidenziare che la situazione dei relativi piani dei parchi nazionali e delle riserve Naturali Statali è sostanzialmente a regime da diversi anni e ogni piano pluriennale viene rinnovato alla sua scadenza quinquennale. Durante il periodo di valenza del piano, ogni anno viene predisposta una relazione di aggiornamento. Si segnala, a tal proposito, che la situazione dei Piani anti incendi boschivi è disponibile sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Si segnala, inoltre, che il 5 aprile scorso è stato firmato un apposito Protocollo d'intesa tra l'Arma dei carabinieri e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di definire ogni utile sinergia operativa e di migliorare ulteriormente l'efficacia degli interventi. Mediante tale strumento, le parti regolano i diversi ambiti di intervento e le attività di collaborazione tenendo conto che le competenze e le funzioni già assegnate dalla legge al Corpo forestale dello Stato devono intendersi trasferiti al corpo se attinenti alla lotta attiva agli incendi boschivi con mezzi aerei e terrestri, e all'arma se attinenti alla prevenzione e repressione delle violazioni in materia di incendi boschivi e al monitoraggio del territorio in genere con raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati relativi alle aree percorse dal fuoco. In particolare, l'Arma, in materia di incendi boschivi realizza l'attività di prevenzione attraverso i servizi di controllo del territorio, anche aerei, nonché la verifica degli adempimenti da parte dei soggetti pubblici e privati; acquisisce le segnalazioni di incendi boschivi; conduce specifiche attività investigative; provvede al monitoraggio delle aree percorse dal fuoco e agli accertamenti conseguenti gli incendi boschivi che prevedono attività di rilievo e di perimetrazione delle aree percorse dal fuoco.
  Sul piano operativo, sono state diramate, per tempo, puntuali disposizioni a tutti i comandi dell'Arma, territoriali e della specialità forestale, per indirizzare i servizi di controllo del territorio alla sorveglianza per il contrasto degli incendi boschivi, specie nelle aree rurali e montane, diramando prontamente i conseguenti allarmi e assicurando i primi interventi.
  Per orientare la pianificazione dei servizi, è stato diramato il documento di analisi elaborato dal comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare, concernente l'esame e la valutazione di tutti gli episodi incendiari verificatisi nel 2016. Inoltre, ogni giorno viene trasmesso a tutti i reparti dell'Arma il bollettino di rischio incendi, diramato dal Dipartimento della protezione civile, che fornisce una previsione a 24 e 48 ore della suscettività all'innesco degli incendi boschivi, della possibile intensità della linea di fuoco e della velocità di diffusione dell'incendio.
  Il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, oltre alle attribuzioni istituzionalmente spettanti allo stesso, esercita, in concorso con le regioni, le competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi, ivi comprese quelle inerenti l'ausilio di mezzi da terra e aerei; il coordinamento delle operazioni di spegnimento; la partecipazione alla struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali.
  Va ricordato, altresì, come al fine di sollecitare il ricorso ad accordi pattizi tra le regioni e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco – l'unico corpo dello Stato che può, su richiesta delle regioni, concorrere nelle attività di lotta attiva contro gli incendi boschivi – sia stato sottoscritto il 4 maggio scorso, su iniziativa del Ministero dell'interno, un apposito accordo quadro tra il Governo e le regioni, nell'ambito della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Tale accordo integra ulteriormente il quadro delle iniziative assunte dal Governo per prevenire, per quanto possibile, su tutto il territorio nazionale, eventuali disfunzioni operative in materia di lotta attiva agli incendi boschivi.
  Successivamente sono state stipulate, alcune sono in via di prossima definizione, diverse convenzioni con le regioni che hanno manifestato un interesse in tal senso. Questi strumenti, oltre a prevedere diverse forme di collaborazione, consentono di rafforzare i dispositivi di lotta a terra agli incendi boschivi, grazie alla previsione di squadre del corpo a questo dedicate.
  A tal ultimo riguardo, va, infatti, precisato che le regioni, per le operazioni di spegnimento dall'alto, possono avvalersi, in tutto o in parte, di una propria flotta, anche ricorrendo a società esterne, ovvero richiedere, qualora necessario, il concorso dello Stato. In tal caso, va ricordato che il Dipartimento della protezione civile della presidenza del Consiglio dei ministri è chiamato, attraverso il centro operativo aereo unificato (COAU) ad assicurare, grazie ad un coordinamento nazionale, le attività aeree di spegnimento con la flotta aerea antincendio dello Stato. Tale flotta si avvale, come noto, di mezzi di particolare efficacia, come i 19 Canadair, transitati al corpo nazionale dei vigili del fuoco dal 2014 – di cui 16 sono costantemente operativi. Per quanto attiene a tali velivoli, si precisa che lo schieramento ordinariamente operativo pari a 14 velivoli è stato implementato, a partire dal 15 giugno e fino al 15 settembre prossimo, di ulteriori due mezzi grazie al progetto europeo denominato «EU Buffer». I predetti 2 Canadair aggiuntivi sono dedicati prioritariamente al progetto europeo – e, in tal senso, va ricordato che tali mezzi sono recentemente intervenuti in Portogallo in occasione dei tragici eventi che hanno interessato quel Paese – ma sono impiegabili anche sul territorio nazionale.
  Inoltre, proprio per far fronte alle esigenze connesse con le attività in corso, si deve precisare che, oltre ai 16 canadair, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha messo a disposizione 15 elicotteri per la campagna Anti incendi boschivi (AIB) 2017, utilizzando in parte elicotteri provenienti dall'ex Corpo forestale dello Stato, in parte mettendo a disposizione propri velivoli. Anche in virtù di tale sforzo il COAU oggi vanta una delle maggiori flotte di cui abbia potuto disporre nell'ultimo decennio, a cui contribuisce per circa l'80 per cento il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In Campania, da informazioni pervenute dalla medesima regione, emerge che, in termini di risposta AIB, la stessa si è dotata di una propria struttura, all'interno della quale è presente anche l'ulteriore sala operativa cosiddetta «terra dei fuochi». Sono, peraltro, attive sale operative di livello provinciale e centri operativi locali.
  La stessa Regione, a partire dall'inizio del mese di luglio, ha dovuto fronteggiare un'ondata di roghi che hanno interessato l'intero territorio regionale. In alcune giornate sono stati registrati oltre cento incendi; i più significativi hanno interessato l'area vesuviana, con fronti di fuoco, in alcuni momenti, lunghi oltre 2 chilometri.
  Al riguardo, va rappresentato che, dal 15 giugno al 30 luglio 2017, la regione ha inviato al COAU del dipartimento della protezione civile 162 richieste di concorso aereo, di cui 108 solo nel periodo dal 10 al 30 luglio.
  L'intera struttura della protezione civile regionale è stata coinvolta: oltre 700 unità che hanno operato incessantemente giorno e notte. A questa forza, naturalmente, va aggiunto l'apporto del Corpo dei vigili del fuoco, dell'esercito (dal 19 luglio hanno raggiunto le 90 unità) e del volontariato locale.
  Al fine di implementare ancor di più i dispositivi di intervento a terra del Corpo è stato, altresì, recentemente stipulato con la regione un protocollo d'intesa che prevede, tra l'altro, nel periodo di maggior esposizione al rischio incendi, un incremento dell'operatività, attraverso la predisposizione di 8 squadre AIB dedicate, aumentabili, in caso di particolari necessità, fino a 10. Inoltre, al fine di implementare il dispositivo di intervento a terra, nella maggior parte dei comandi provinciali del corpo sono stati effettuati richiami di personale in turno libero e raddoppi di personale.
  In merito al parco nazionale del Vesuvio, lo scenario ha messo in evidenza l'aspetto doloso del fenomeno e quindi la necessità di operare in modo altrettanto eccezionale per poter fronteggiare la situazione in modo adeguato, sia con le forze di polizia che con l'esercito, per un'adeguata azione di presidio del territorio, in collaborazione con il Ministero dell'interno e del Ministero della difesa. Per l'emergenza nel parco del Vesuvio è stato disposto il servizio provvisorio di militari provenienti dal comando regione carabinieri forestale Abruzzo e Molise (10 unità) e di 6 operai in tenuta e con automezzo AIB, nell'ambito della riserva nazionale di Tirone Alto Vesuvio (dove già sono presenti 11 operai).
  In merito alle attività investigative per gli eventi del cratere vesuviano, sono stati svolti accertamenti tecnici finalizzati all'individuazione dei punti di insorgenza e al rilevamento di tracce organiche.
  Sempre con riferimento alla regione Campania, e più in particolare alla provincia di Napoli, il procuratore della Repubblica di Napoli ha comunicato che sono state avviate da subito le indagini a carico di ignoti.
  In generale, in relazione all'entità del fenomeno, da una prima, sia pur approssimativa, stima dei danni risulta che i tre incendi abbiano interessato complessivamente circa 1600 ettari del parco nazionale del Vesuvio, dei quali circa 550 relativi alla riserva forestale «Tirone Alto Vesuvio».
  Anche le problematiche segnalate dall'Interrogante relative all'inquinamento ambientale nel comune di Giugliano in Campania, sono da tempo all'attenzione di questo Ministero, nel quadro delle attività promosse dal patto per la terra dei fuochi, e coordinate presso la cabina di regia inter-istituzionale con le prefetture, la regione Campania e gli enti locali.
  A tale riguardo, sin dalla riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica del 21 luglio 2015, alla quale hanno partecipato il sindaco di Giugliano e il procuratore della Repubblica di Napoli nord, è stato disposto un rafforzamento delle attività di controllo e di vigilanza sui siti maggiormente interessati dagli incendi, anche con la rimodulazione del contingente militare già operante nell'area, che è stato in parte impiegato nella sorveglianza fissa di alcune zone del territorio di Giugliano, ritenute strategiche per il controllo delle strade di collegamento verso i siti di stoccaggio abusivo dei rifiuti.
  Si sono inoltre svolti numerosi incontri per la predisposizione di specifiche misure di competenza dei diversi organi di amministrazione, controllo e repressione. In particolare nelle riunioni relative ai comuni di Giugliano, Acerra, Caivano per la provincia di Napoli sono state adottate misure in materia di:

    risanamento dei siti storici di abbandono dei rifiuti;

    potenziamento del servizio di raccolta rifiuti urbani e assimilati;

    aggiornamento del registro comunale e regionale delle aree interessate da abbandono e da roghi di rifiuti;

    interventi urgenti sui luoghi di stoccaggio abusivo di rifiuti a rischio incendio e di potenziamento dei sistemi di video-sorveglianza;

    rafforzamento delle misure di vigilanza e di repressione dei fenomeni.

  In particolare è stata approvata dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica presso la prefettura di Napoli una pianificazione dei servizi che prevede l'impiego mirato dei militari in alcuni settori nei quali si è evidenziata una più elevata propensione ai fenomeni di smaltimento illegale di rifiuti, tra cui, per la provincia di Napoli, il quadrilatero Giugliano-Melito-Qualiano-Marano.
  Ai militari è stato dato mandato di privilegiare un'attività di controllo per posti di osservazione sui siti maggiormente interessati dai fenomeni di smaltimento abusivo, finalizzati alla prevenzione degli sversamenti e dei roghi, ma anche all'identificazione e, in collegamento con i presidi delle forze dell'ordine, al fermo di persone sospettate di attuare condotte illecite di abbandono e di incendio di rifiuti, specificamente sanzionate dall'articolo 256-
bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, che consente l'adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale da parte dell'autorità giudiziaria.
  Inoltre le forze dell'ordine, le polizie municipali, la polizia provinciale, secondo le linee operative definite nel piano di contrasto dei roghi di rifiuti, sono impegnate ad effettuare controlli sulle attività economiche (gommisti, officine, imprese edili e manifatturiere, esercizi commerciali), finalizzati a verificare il rispetto delle procedure di smaltimento dei rifiuti speciali prodotti. Il Corpo forestale dello Stato concorre con mirate attività rivolte a risalire la filiera di produzione dei rifiuti speciali e sul corretto smaltimento dei rifiuti provenienti da attività zootecniche e agricole.
  Analogamente la Guardia di finanza provvede, anche avvalendosi delle informazioni che le pervengono per il tramite della Sala dati regionale alla quale convergono le segnalazioni dei militari, degli osservatori civici e dei cittadini, ad effettuare, nell'ambito delle verifiche fiscali, controlli sulle imprese nei settori produttivi sensibili e sulle aziende iscritte all'albo dei gestori ambientali, sospettate di alimentare il flusso di materiale smaltito illegalmente.
  Ad ogni modo, si segnala che le problematiche connesse alla cosiddetta terra dei fuochi rappresentano una priorità per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che presiede il comitato interministeriale istituito con decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, con il compito di «determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale, monitoraggio, anche di radiazioni nucleari, tutela e bonifica nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della regione Campania».
  Nell'ambito del citato comitato è stata istituita un'apposita Commissione quale organo tecnico-operativo, la quale ha avviato un approfondito esame delle diverse e complesse questioni poste all'attenzione dalle linee di indirizzo fornite dal Comitato Interministeriale, giungendo all'adozione di un programma degli interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori della terra dei fuochi.
  Nello specifico, il piano elaborato dalla commissione, caratterizzato da interventi di ampio respiro, mira a coniugare il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole interessate nel passato dai fenomeni di tombamento di rifiuti con ricadute sulle matrici ambientali, con quello delle iniziative di screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà che attengono allo smaltimento abusivo dei rifiuti e che contribuiscono al degrado del territorio e ad alimentare una percezione negativa con tutte le conseguenze sul piano economico e dello sviluppo.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'Interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale continuerà a svolgere tutte le azioni e valutazioni di competenza, seguendo la situazione con il massimo grado di attenzione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da quanto si apprende dagli organi di stampa, la sede della prefettura di Biella ha ospitato un convegno di lavoro promosso ed organizzato da una parlamentare del Partito democratico;

   l'incontro, anche se verteva su un tema di rilevante importanza come il femminicidio, non può essere inquadrato come iniziativa istituzionale del Governo, in quanto promosso appunto da una senatrice, esponente del PD del territorio, priva di incarichi governativi;

   l'evento, piuttosto, si configura ad avviso dell'interrogante come libero strumento di iniziativa politica del singolo, sia pure in vista di un seguito parlamentare nelle sedi competenti;

   la scelta della location prefettizia per iniziative politiche assume, pertanto, un rilievo tutt'altro che trascurabile;

   il prefetto è l'organo amministrativo periferico, rappresenta il Governo a livello territoriale, è terminale politico-operativo dell'apparato della sicurezza, e per queste ragioni deve garantire la giusta equidistanza tra tutti gli eletti nelle assemblee parlamentari e delle loro iniziative politiche –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per evitare un utilizzo improprio della sede prefettizia di Biella.
(4-17365)

  Risposta. — Il 14 luglio 2017 si è tenuto presso la prefettura di Biella un focus sul tema del femminicidio, delle donne vittime di violenza e dei minori coinvolti. L'iniziativa è stata promossa dalla senatrice Nicoletta Favero in qualità di componente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza di genere, costituita presso il Senato della Repubblica con delibera del 18 gennaio 2017.
  L'intento, in relazione alle finalità della commissione, era quello di svolgere un'attività di monitoraggio del fenomeno sul territorio e di acquisire elementi di conoscenza della situazione locale, tracciando un quadro delle azioni intraprese da parte delle istituzioni e degli organismi (anche di volontariato) che operano nel settore ai fini della prevenzione e del contrasto dello stesso.
  All'incontro hanno partecipato il procuratore della Repubblica, i rappresentanti del tribunale, i responsabili delle forze di polizia, il direttore della casa circondariale di Biella, i rappresentanti delle istituzioni locali, del comune di e della provincia di Biella, dell'ASL, i consorzi socio assistenziali e le varie associazioni attive nel campo della tutela dei diritti e la difesa nei confronti di donne e minori.
  Come anche testimoniato da tale significativa e qualificata partecipazione, il profilo dell'iniziativa è stato puramente istituzionale e ha consentito di aggiornare e condividere la conoscenza del fenomeno in provincia e delle varie realtà che si occupano del delicato argomento, oltre che di disporre di un quadro organico di elementi.
  In tale contesto è emersa, in particolare, la presenza di un sistema di volontariato attento e molto attivo sul territorio che, pur nelle ristrettezze delle risorse disponibili, opera in stretto raccordo con le istituzioni e le forze di polizia.
  Nell'occasione è stata rappresentata l'esigenza di rafforzare la rete di comunicazione anche attraverso strumenti di natura telematica, nonché la necessità di focalizzare l'attenzione – oltre che sulle vittime del fenomeno – anche sull'autore del reato, fornendo percorsi formativi di recupero anche all'interno dell'istituto di detenzione.
  Al termine dell'incontro, molto apprezzato per la qualità degli interventi e per le valide indicazioni in tema di prevenzione e sensibilizzazione, la senatrice Favero ha espresso la volontà di riferire gli argomenti trattati alla Commissione parlamentare d'inchiesta per le opportune valutazioni, anche ai fini di successive eventuali audizioni formali di alcuni dei rappresentanti degli organismi presenti.
  Per completezza d'informazione, si rappresenta infine che questa Amministrazione era stata debitamente informata al riguardo dalla prefettura di Biella e ha ritenuto utile dare risalto all'iniziativa pubblicando la notizia dell'evento il 17 luglio 2017 sulla
home page del proprio sito internet istituzionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   SIMONETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   a seguito dell'incidente mortale dell'8 marzo 2017, provocato dall'ennesimo evento franoso che ha bloccato la strada statale 34 del lago Maggiore, nell'ambito dell'incontro del 3 aprile 2017, tra il Ministro e le autorità locali, è emersa la disponibilità di Governo e regione ad affrontare un intervento radicale di messa in sicurezza dell'intera arteria;

   nella risposta all'interrogazione n. 5-11060 pubblicata il 6 aprile 2017 nell'allegato al bollettino in Commissione ambiente, il Ministro ha assicurato un confronto aperto sul tema della messa in sicurezza della SS34;

   da un comunicato stampa del sindaco di Cannobio (Verban news.it) si apprende che la direzione generale per le strade e le autostrade del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il 17 luglio 2017, ha informato il sindaco medesimo degli approfondimenti in corso, mediante analisi di costi/benefici, relativamente alle schede tecniche, riepilogative degli interventi necessari per la messa in sicurezza della SS34, redatte dai tecnici e geologi di Anas, regione Piemonte e dei comuni interessati per un importo complessivo di 94,500 milioni di euro;

   da una dichiarazione del presidente della regione Piemonte pubblicata su Verbania notizie del 18 agosto 2017, si apprende che in un incontro in sede regionale, il Ministro ha confermato l'impegno per la messa in sicurezza dell'arteria da parte sua e del proprio Ministero, garantendo all'Anas le risorse per la messa in sicurezza dei versanti della SS34 indipendentemente dal contratto di programma dell'Anas, e che la regione potrebbe investire sulla sicurezza della SS34 la somma di ulteriori 25 milioni di euro provenienti dall'integrazione del Fondo di sviluppo e coesione (FSC) qualora accordati da parte del Governo;

   nella seduta del 7 agosto 2017, il Cipe ha approvato lo schema di contratto di programma tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Anas per il periodo 2016-2020, che prevede interventi pluriennali per circa 23,4 miliardi di euro, di cui circa 10,4 miliardi di euro per interventi di manutenzione straordinaria comprese le opere di messa in sicurezza;

   a fronte di tutte le dichiarazioni delle autorità locali e nonostante gli impegni assunti dal Ministro, in tale contratto di programma degli investimenti pubblici sulle strade statali sembrerebbe che non risultino interventi per la messa in sicurezza della SS34 del Lago Maggiore nel tratto da Cannobio (Confine di Stato) a Verbania –:

   se il Ministro intenda dare notizie certe sull'effettiva disponibilità delle risorse occorrenti per la realizzazione di tutte le opere urgenti e ormai improrogabili relative alla definitiva messa in sicurezza della strada statale 34 del lago Maggiore, che rappresenta un collegamento internazionale importantissimo per l'economia della provincia del Verbano-Cusio-Ossola e per l'intero Paese.
(4-17764)

  Risposta. — Come già riferito il 21 settembre 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata presso l'VIII commissione della Camera dei deputati, la strada statale 34 del lago Maggiore rappresenta un'arteria internazionale di accesso all'Italia per i flussi provenienti da/per la Svizzera e dal nord Europa, attraversa un'area a forte rischio idrogeologico che la rende soggetta a frequenti eventi franosi.
  La Direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero conferma che sono in corso intese con Anas, regione Piemonte e comuni territorialmente interessati per la condivisione di interventi di messa in sicurezza del transito.
  All'esito delle valutazioni tecniche, nell'ambito delle previste revisioni annuali del contratto di programma Mit-Anas 2016-2020, sarà affrontato il problema della copertura finanziaria per gli interventi che si riterranno necessari.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   SQUERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 28 ottobre 2016, durante il transito di un mezzo pesante, il cavalcavia al chilometro 41,00 in corrispondenza della strada provinciale 49, tra Cesana e Annone Brianza (Lecco), è collassato e il drammatico crollo ha provocato una vittima e cinque feriti;

   da quel momento, l'attività di rilascio delle autorizzazioni al trasporto eccezionale, con particolare riguardo ai transiti sulla viabilità degli enti locali, ha subito una sostanziale paralisi dovuta principalmente alla preoccupazione dei predetti enti circa la tenuta delle infrastrutture di propria competenza;

   al fine di sbloccare il rilascio di queste autorizzazioni, in sede di conversione del decreto-legge n. 50 del 2017 è stato presentato un emendamento presso la Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati, che ha introdotto modifiche sostanziali all'articolo 10 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, dirette a consentire la ripresa dell'attività di trasporto eccezionale in condizioni di sicurezza;

   con l'obiettivo di sbloccare l’empasse sul rilascio delle autorizzazioni al trasporto eccezionale, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti aveva predisposto un testo di direttiva di cui, tuttavia, a tutt'oggi, non si hanno più notizie;

   il protrarsi di queste incertezze sta avendo pesantissime ripercussioni non solo sulle imprese del trasporto eccezionale, ma anche sul mondo industriale che, come dimostrato anche da una serie di articoli pubblicati su autorevoli organi di stampa, sta perdendo commesse di milioni di euro da parte di operatori esteri per l'impossibilità di far trasportare la loro produzione sulle nostre strade;

   il perdurare di questa indeterminatezza nelle procedure di rilascio delle autorizzazioni, inoltre, ha dato adito a comportamenti di alcuni enti locali che sono ai limiti della vessazione per l'autotrasportatore e, comunque, certamente censurabili sotto il profilo giuridico. In particolare, risulta all'interrogante che la provincia di Pavia, per il transito su un manufatto di sua competenza di un trasporto eccezionale per massa, avrebbe chiesto all'impresa di autotrasporto di eseguire, a sue spese, una verifica di sicurezza indicando anche il nominativo di un professionista disponibile ed abilitato ad effettuare tali perizie il quale, interpellato da detta impresa, avrebbe presentato un preventivo di spesa di ben 70.000 euro –:

   come intenda il Governo intervenire per evitare la chiusura delle attività non solo di molte imprese di autotrasporto, ma anche di imprese del settore della produzione, con la conseguente perdita di posti di lavoro;

   se non ritenga utile adottare una iniziativa normativa d'urgenza che, in attesa della mappatura delle strade attraverso una riduzione della portata complessiva, come proposto dai tecnici della Motorizzazione civile, consenta la ripresa dello svolgimento dei trasporti eccezionali.
(4-17391)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, concernente l'attività di rilascio delle autorizzazioni alla circolazione dei veicoli eccezionali e dei trasporti in condizioni di eccezionalità, si informa chi Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato in data 15 giugno 2017 la direttiva n. 293, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 28 luglio 2017.
  La direttiva, esito del lavoro di un'apposita commissione istituita dal Mit, dopo il drammatico crollo del cavalcavia di Lecco, contribuisce a chiarire e riordinare, in base alle leggi vigenti, i principali adempimenti per i trasporti eccezionali.
  Lo scopo è quello di fornire agli enti proprietari e gestori di strade riferimenti certi ed uniformi, in modo da superare le criticità presenti nel rilascio delle autorizzazioni, anche attraverso lo snellimento e la razionalizzazione delle procedure per i permessi. Il rispetto delle prescrizioni è necessario da parte di tutti per garantire la sicurezza stradale.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   TERZONI, DAGA, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nell'area del cratere del terremoto, nel tratto tra Matelica nord e Castel Raimondo, è in corso di definizione il progetto esecutivo per la costruzione della Pedemontana, l'asse viario ideato circa 40 anni, mediante un sistema di infrastrutture che raccordando l'asse Foligno-Civitanova strada statale 77 all'asse Perugia-Ancona strada statale 76 e 318, progetto meglio noto come Quadrilatero Marche/Umbria;

   all'epoca la Società Quadrilatero presentò un'analisi di valorizzazione in cui il progetto era considerato come un volano sull'economia dell'area, al punto da prevedere effetti economici di circa 200 milioni di euro;

   il sistema viario avrebbe dovuto attivare un vero e proprio volano dell'economia al punto tale da autofinanziarsi mediante il meccanismo della «cattura di valore», una specie di cofinanziamento dell'opera, disciplinato dal Pav (piano area vasta), che prevedeva l'attivazione di fonti di finanziamento, tra cui il contributo trentennale delle camere di commercio interessate dalle opere viarie e i canoni di concessione per la realizzazione e la gestione delle iniziative imprenditoriali nelle cosiddette «aree leader», adiacenti e connesse agli interventi viari; il tutto avrebbe consentito secondo le stime della società una occupazione negli anni successivi alla realizzazione dell'opera pari ad oltre 8000 unità l'anno, per arrivare a 90.000 unità in 10 anni;

   con questi dati il progetto è stato autorizzato dal comune di Matelica, dalla regione Marche e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

   al contrario, nella Gazzetta Ufficiale n. 109 del 12 maggio 2017 è stata pubblicata la delibera del Cipe del 1o gennaio 2016 in cui sulla base di uno schema di «piano di valorizzazione» delle aree leader, trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 24 gennaio 2016, lo stesso Ministero rilevava che, nonostante la previsione di ulteriori elementi incentivanti per la valorizzazione delle aree, permanevano criticità e incertezze che non avrebbero consentito l'attivazione delle successive fasi procedurali; in conclusione, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti intendeva rinunciare al progetto Pav;

   dal 2002, molti sono stati gli eventi che hanno impattato sull'area in questione modificandone sostanzialmente il tessuto economico sociale: la crisi delle piccole e medie imprese e il relativo collasso del «modello imprenditoriale marchigiano» dopo il 2008, la chiusura delle industrie Merloni e il relativo effetto domino su tutte le aziende satelliti, il bail in di banca delle Marche fino al terremoto del mese di ottobre 2016;

   si tratta di un territorio che prima ancora di veder rimosse le macerie del sisma e l'inizio della ricostruzione del comune, delle scuole, degli asili, dell'ospedale, delle chiese, delle case e finanche della camera mortuaria, ha visto arrivare le ruspe che avrebbero demolito l'unica risorsa rimasta, l'ambiente;

   in questo territorio messo in ginocchio da una concomitanza di eventi avversi, si sta cercando con enormi difficoltà di ripartire dalle risorse dei luoghi, da una soft economy costituita dai prodotti agricoli di qualità, dal «verdicchio di Matelica» fiore all'occhiello del made in Italy e da tutte le attività ricreative, agrituristiche e enogastronomiche che proprio dall'ambiente traggono fonte di sostentamento –:

   se le analisi e le valutazioni sull'effettivo valore della realizzazione di tale opera siano stati rivisti e aggiornati dalla data di prima approvazione del progetto preliminare del 2002, e quali siano le analisi economiche in possesso del Governo in seguito agli eventi sismici che hanno interessato il cratere del terremoto;

   quali siano le previsioni di investimento nell'area da parte di soggetti economici esterni;

   quale sia il settore di potenziale sviluppo economico;

   quale sia il volume di traffico di mezzi pesanti che giustificherebbe un'opera che, ad avviso degli interroganti, apporterà altra povertà ad un'area già duramente colpita;

   se non ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere il progetto a seguito degli evidenti cambiamenti socioeconomici avvenuti nell'area interessata.
(4-17480)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazione pervenute dalla Direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalle società Anas e Quadrilatero Marche Umbria (Qmu), si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 21 settembre 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in VIII commissione Camera, l'opera strategica di interesse nazionale «Asse Viario Quadrilatero Marche Umbria» consiste nel completamento ed adeguamento di due arterie principali (l'asse Foligno-Civitanova Marche strada statale (SS) 77 e l'asse Perugia-Ancona SS 76 e SS 318), della Pedemontana delle Marche e di altri interventi viari, idonei ad assicurare il raccordo con i poli industriali esistenti e, più in generale, a migliorare ed incrementare l'accessibilità alle aree interne delle regioni interessate.
  Le potenzialità generate dalla realizzazione dell'intero sistema viario Quadrilatero, compresa la Pedemontana delle Marche consentono, pertanto, di ridurre il
deficit infrastrutturale che penalizza le regioni Marche ed Umbria, creando un efficiente collegamento con le regioni circostanti e verso l'Europa, determinando il decongestionamento del traffico, la significativa, riduzione del tasso di incidentalità, producendo inoltra effetti ambientali, territoriali e socioeconomici positivi per la collettività.
  Tutte queste motivazioni sano state fondamentali nello sviluppo dell'interno progetto Quadrilatero, proprio per dare l'opportunità ai territori di rilanciare il potenziale economico seguito degli eventi sismici avvenuti nel 1997.
  Aver realizzato ed aperto al traffico buona parte degli assi principali del progetto, in concomitanza del grave sisma che ha colpito l'Italia centrale nell'agosto-ottobre 2016, ha dimostrato di essere fondamentale per la gestione dell'emergenza, essendo le uniche valide alternative stradali in esercizio rispetto alla viabilità ordinaria.
  Le opere strutturali del sistema viario Quadrilatero rispettano infatti le «Norme tecniche per le Costruzioni» di cui al decreto ministeriale 14 settembre 2005 e successive modificazioni e integrazioni ed hanno risposto con successo agli eventi sismici di cui sopra.
  La società Qmu precisa che, per quanto riguarda la tematica relativa all'impatto ambientale generato dalla realizzazione della Pedemontana delle Marche, così come per l'intero progetto viario Quadrilatero, l'obiettivo principale è stato quello di un ottimale inserimento delle opere nei contesti paesaggistici interessati dal tracciato, limitandone per quanto possibile, l'impatto ambientale.
  Tale attenzione è stata positivamente accolta, sin dalle prime proposte progettuali del sistema viario Quadrilatero (2001) attraverso i pareri degli enti istituzionali coinvolti (Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, Ministero dei beni, attività culturali e turismo e le proprie strutture periferiche, regioni e province).
  A tal fine i manufatti ed i tracciati sono stati adattati alla varietà topologica dell'ambito di inserimento, individuando soluzioni architettoniche ed ingegneristiche per preservare il paesaggio e l'ambiente, fornendo contemporaneamente all'utente stradale l'apprezzamento visivo dei luoghi percorsi (interramenti delle sedi stradali, verde all'ingresso delle gallerie, opere di compensazione ambientale, eccetera).
  La società Qmu riferisce, inoltre, che l'inserimento paesaggistico sarà costantemente verificato in corso d'opera, grazie al progetto di monitoraggio ambientale, che prevede una serie di
screening in sede di realizzazione, atti a constatare il risultato ed intervenire con eventuali ulteriori mitigazioni ove necessario. Il monitoraggio sopra citato è garantito anche dalle verifiche di ottemperanza di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela dei territorio e del mare – commissione Via-Vas.
  Tali misure sono parte integrante dei progetti stradali, ottemperando alle prescrizioni e raccomandazioni del Cipe.
  La strada Pedemontana delle Marche, in particolare, ha avuto un lungo
iter approvativo, non ancora completato, che ha interessato tutte le amministrazioni e gli enti preposti, in osservanza del quadro normativo di riferimento. Si riporta di seguito il riepilogo, fornito dalla società Qmu, degli eventi più significativi di detto iter:

   il progetto preliminare della intera tratta della Pedemontana è stato predisposto dalla regione Marche e acquisito dalla società Qmu nel corso del 2003;

   nel dicembre 2003 la Qmu ha avviato le procedure di approvazione al Cipe e lo stesso comitato ha approvato la progettazione preliminare con la delibera Cipe n. 004;

   nel corso del 2006, a seguito di gara comunitaria ad evidenza pubblica, la Qmu ha affidato al contraente generale il completamento della progettazione e la realizzazione dell'intervento viario;

   nel corso del 2010 si sono avviate le procedure per l'approvazione del progetto definitivo da parte del Cipe;

   con la delibera n. 58 del 2012 il Cipe ha approvato e finanziato il progetto definitivo del 1° lotto funzionale della Pedemontana delle Marche, tratto Fabriano-Matelica nord e bretella di collegamento SS 77 – strada provinciale (SP) 209 presso Muccia (MC);

   con successiva delibera n. 109 del 2015 il Cipe ha approvato e finanziato il progetto definitivo del 2° lotto funzionale della Pedemontana delle Marche, tratto Matelica nord-Castelraimondo nord;

   nel 2016, il Cipe, con delibera n. 64 del 2016, pubblicata in G.U.R.I. n. 109 del 12 maggio 2017, ha ridefinito l'intero, progetto Quadrilatero ed il relativo quadro economico complessivo, confermando la Pedemontana delle Marche tra gli interventi prioritari necessari a garantire il completamento funzionale del sistema viario Quadrilatero e il quadro economico complessivo della stessa opera;

   nell'ambito della predetta delibera n. 64 del 2016, il comitato ha ritenuto di abbandonare lo strumento del Piano di area vasta (Pav), riallocando le risorse finanziarie ad esso precedentemente stanziate, per completamento del sistema viario Qmu.
   

  Ad oggi, riferisce la società Qmu è in corso di realizzazione il 1° lotto funzionale, con uno stato di avanzamento dei lavori pari a circa il 22 per cento, nel pieno rispetto del cronoprogramma dei lavori, parte integrante della documentazione progettuale approvata dal Cipe.
  È inoltre in corso di approvazione il progetto esecutivo del 2° lotto funzionale, mentre è in via di completamento la procedura approvativa degli ultimi due lotti funzionali della Pedemontana delle Marche (3° e 4° lotto).
  In conclusione, l'attuazione delle procedure per la realizzazione di tale opera strategica di interesse nazionale ha portato al finanziamento di circa il 60 per cento della Pedemontana delle Marche, arteria di collegamento tra i due assi principali del sistema Quadrilatero, la SS 77 Foligno-Civitanova Marche e la SS 76 Perugia-Ancona il primo in esercizio ed il secondo in avanzato stato di realizzazione (83 per cento).

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   VALLASCAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   è tuttora chiuso al transito dei veicoli il ponte di Cioè, situato al settimo chilometro della strada provinciale 46, che collega i comuni di Oliena e Dorgali;

   l'infrastruttura viaria era parzialmente crollata nel corso della violenta alluvione che colpì il territorio sardo il 18 novembre del 2013, circostanza tragica nella quale perse la vita l'agente della polizia di Stato Luca Tanzi;

   riaperto al transito dopo il rifacimento delle strutture crollate e la messa in sicurezza dell'alveo del fiume, è stato richiuso al traffico 25 gennaio 2017 per il cedimento strutturale di una campata riscontrato a seguito di precipitazioni particolarmente violente;

   dopo una riapertura momentanea, il 18 febbraio è stato nuovamente richiuso, perché sottoposto a un provvedimento di sequestro preventivo dalla procura di Nuoro;

   il quotidiano l’Unione Sarda del 19 febbraio 2017 sottolinea che «Malgrado i lavori di ripristino dopo i cedimenti, la situazione non è tornata nella normalità. Così gli ulteriori accertamenti confermano l'ulteriore e progressiva riduzione della sicurezza statica del ponte», che presenta «una situazione di rischio elevato tale da non consentirne la transitabilità neppure a senso alternato e se pure con traffico limitato a mezzi leggeri»;

   la chiusura del ponte ha causato una situazione di grave isolamento delle comunità interessate, in un contesto in cui la viabilità e i collegamenti risultano già insufficienti;

   l'economia del territorio, a prevalenza agro-pastorale e turistica, è gravemente compromessa dalla chiusura del ponte di Oloè, vista la centralità che riveste la struttura viaria;

   la situazione sarebbe resa più complessa anche dalle risultanze dei consulenti nominati dalla procura di Nuoro, secondo i quali, oltre ai problemi statici, il ponte si troverebbero a un livello inferiore rispetto alla quota di massimo invaso della sottostante diga di Preda ’e Othoni;

   a questo proposito, però, giova osservare che, non solo la quota di massimo invaso della diga è pari a 127,50 metri sul livello del mare – un livello impossibile da raggiungere in una regione storicamente siccitosa –, ma che nell'infrastruttura sono anche presenti scarichi a 103, a 110 e a 114 m sul livello del mare, che ne garantirebbero lo svuotamento. Infine, esiste un documento di protezione civile che prevede proprio il «rischio dighe»;

   ne consegue, da quanto esposto precedentemente, che non sussisterebbero pericoli connessi al diverso livello delle due infrastrutture, ponte e diga;

   da alcuni articoli di stampa, sarebbe emerso che, per superare l'attuale situazione di stallo e garantire alle comunità la libera circolazione nel territorio, l'Anas starebbe predisponendo il progetto per un nuovo viadotto, in sostituzione dell'attuale ponte, con un'altezza che consentirà di superare il livello della diga sottostante;

   per l'immediato, come riporta un articolo dell’Unione Sarda del 4 agosto 2017 «il piano d'intervento dell'Anas contempla la predisposizione di un ponte provvisorio per consentire il transito alle auto anche durante i lavori dei quello nuovo»;

   considerato che l'attuale ponte è chiuso da oltre sei mesi, circostanza che sta causando, come detto, gravi danni alle comunità interessate, sarebbe necessario conoscere i tempi degli interventi dell'Anas e le risorse con cui verranno realizzate le opere necessarie –:

   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;

   se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, verificare il piano dell'Anas in merito alla realizzazione del viadotto che dovrebbe sostituire il ponte di Oloè, con particolare riguardo al cronoprogramma, alle risorse disponibili e alle soluzioni che saranno approntate nell'immediato;

   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per individuare una soluzione, nell'immediato e nel lungo periodo, per superare lo stato di isolamento causato dalla chiusura del ponte di Oloè.
(4-17855)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i segmenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla Direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali e dalla Società Anas.
  Dopo l'avvenuto ripristino dei danni provocati dall'alluvione del novembre 2013 – danni che non hanno interessato le strutture portanti del ponte – la Giunta regionale della Sardegna, dando seguito alla deliberazione n. 38 del 2011 del 28 giugno 2016, ha approvato lo schema di protocollo di intesa tra regione, province e Anas per l'attuazione, da parte di quest'ultima, di alcuni interventi di viabilità provinciale già affidati alle amministrazioni provinciali nel piano regionale delle infrastrutture.
  In particolare, la predetta Giunta ha sottoscritto con Anas e provincia di Nuoro una convenzione per la «realizzazione di un sistema di protezione attiva per il monitoraggio-allerta delle piene nella strada provinciale 46 in prossimità del ponte di Oloè, con studi e indagini per il rifacimento del ponte di Oloè e relativi raccordi alla viabilità esistente».
  La convenzione prevede che la regione (soggetto finanziatore) trasferisca ad Anas (soggetto attuatore), per il tramite della provincia di Nuoro (soggetto convenzionato), una somma di complessivi 600.000 euro in due annualità da 300.000 euro ciascuna per l'attuazione di quanto convenuto.
  Per dare attuazione agli impegni previsti dalla convenzione, il 18 maggio 2017 il coordinamento territoriale Anas per la Sardegna ha nominato il responsabile del procedimento dell'intervento in questione e, successivamente, si sono svolti alcuni incontri presso la regione Sardegna.
  A seguito delle conclusioni della riunione preliminare del 23 maggio 2017, convocata dall'assessore regionale dei lavori pubblici, il successivo 29 giugno Anas ha trasmesso il cronoprogramma di previsione delle attività necessarie per la progettazione e la realizzazione del sistema di allerta attivo delle piene idrauliche del fiume Cedrino e per le attività propedeutiche allo studio di fattibilità di una nuova opera di attraversamento sul fiume medesimo (ponte Oloè), conformemente agli accordi convenzionali.
  Nel corso di due successive riunioni, Anas ha presentato due ipotesi di massima del tracciato alternativo del nuovo ponte di Oloè per condividerne preliminarmente l'idoneità con gli enti preposti alle autorizzazioni di legge e con l'ente proprietario della strada.
  Infine, Anas ha fatto presente che, coerentemente con gli accordi convenzionali e con il cronoprogramma presentato, procederà entro il corrente mese all'affidamento dei servizi tecnici per lo studio idraulico propedeutico alla progettazione e alla realizzazione del sistema di allerta attivo per le piene, per l'esecuzione dei rilievi di dettaglio dell'alveo fluviale a monte e a valle del ponte e per l'esecuzione dei sondaggi geognostici sull'asse del nuovo tracciato stradale, al fine di giungere, nel minor tempo possibile, alla redazione di uno studio di fattibilità tecnico ed economico della nuova opera condiviso con gli enti interessati, anche al fine di quantificare l'impegno finanziario necessario.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   VARGIU e MATARRESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il tema della gestione delle risorse idriche rappresenta oggi una sfida globale che condiziona le opportunità di sviluppo di intere aree geografiche;

   l'Italia ha già pagato ampiamente il prezzo delle «tropicalizzazioni climatiche» con drammatici eventi alluvionali che hanno moltiplicato le criticità territoriali connesse al dissesto idrogeologico;

   sempre più spesso, le stagioni alluvionali sono alternate a lunghi periodi siccitosi, che mettono a dura prova i sistemi di raccolta e di distribuzione della risorsa idrica, causando problemi sempre più drammatici alle utenze agricole e industriali e persino alla disponibilità di acqua potabile delle famiglie, degli ospedali, delle attività commerciali;

   in tale contesto appare vieppiù fondamentale il tema dell'efficienza delle reti di distribuzione idrica;

   i dati diffusi nel 2017 dall'Istat sulle perdite delle reti forniscono numeri impressionanti: le perdite sono quasi al 40 per cento assai più drammatiche nel Sud e nelle isole, proprio laddove le condizioni climatiche necessiterebbero di maggior efficienza delle reti;

   la Sardegna presenta una situazione particolarmente preoccupante: la rete idrica di Cagliari arriva ad accumulare perdite pari al 59,3 per cento, la terza peggior performance italiana, dopo Campobasso e Potenza;

   secondo l'Istat, Cagliari è il comune capoluogo che presenta la maggior dispersione quotidiana d'acqua per chilometro di rete: 161,5 metri cubi. Non molto meglio va nel resto della regione: anche Sassari, Iglesias e Tempio sono sopra i 100 metri cubi per chilometro di rete;

   il Blue Book 2017 di Utilitalia certifica che gli interventi di efficientamento delle reti idriche sono purtroppo limitati ad una media di 34/euro/pro capite/anno, che scendono addirittura a 12 euro/anno/pro capite nelle aree di maggior disagio, contro medie europee tra 80 e 120 euro/anno/pro capite;

   il MIT di Boston ha appena messo a disposizione una nuova tecnologia robotizzata (Pipeguide) in grado di «entrare all'interno delle tubazioni della rete», scoprendo le perdite e addirittura riparandole –:

   se non ritenga urgente definire una strategia idrica nazionale che contenga uno specifico piano di investimenti per l'ammodernamento delle reti di distribuzione idrica e che abbia la doverosa, particolare attenzione per la Sardegna che, a causa dell'isolamento insulare, della certificata obsolescenza delle reti e delle particolari condizioni siccitose climatiche, sta oggi pagando prezzi sempre più insostenibili per la propria economia.
(4-17496)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che tutti gli interventi relativi al servizio idrico integrato (SII), compresi quelli relativi all'ammodernamento delle reti di distribuzione, devono essere pianificati nell'ambito della programmazione dei piani d'ambito e devono trovare copertura finanziaria prioritariamente nella tariffa del servizio idrico integrato, ed il soggetto preposto all'individuazione di tali investimenti in quanto attuatore del servizio idrico integrato è l'ente di governo d'ambito a cui partecipano obbligatoriamente tutti i comuni.
  All'ente di governo d'ambito spetta, pertanto, il compito di approntare il piano d'ambito che rappresenta il piano industriale posto a base dell'affidamento del servizio idrico integrato e costituisce il riferimento essenziale per la determinazione della relativa tariffa e della sua evoluzione nel tempo.
  Nel piano d'ambito sono definiti: il programma degli interventi che individua le opere ritenute necessarie al conseguimento dei livelli di servizi prestabiliti e delle priorità infrastrutturali ed il piano finanziario ed il relativo modello gestionale.
  Ciò premesso, si fa presente che, tenuto conto della situazione contingente, è imprescindibile provvedere al graduale rinnovo/sostituzione delle reti a fronte della scarsità della risorsa, alla conclamata necessità di agire sulla leva quantitativa, anche ai fini del perseguimento degli obiettivi di qualità previsti dalla direttiva 2000/60 e alla necessità di assicurare una fornitura costante a tutti i cittadini.
  Pertanto, prima ancora del manifestarsi della attuale situazione di crisi idrica, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è attivato per approntare un piano di interventi, in fase di definizione, finalizzato a sostenere le iniziative per la riduzione delle perdite di rete, con la convinzione che una simile azione potrà essere più incisiva rispetto ad interventi estemporanei e settoriali.
  Dunque, oltre al sostegno di ogni iniziativa utile per diffondere le buone pratiche volte al risparmio della risorsa, il Ministero ha dato un segnale importante e concreto già da molto tempo, inserendo nella programmazione degli Fsc interventi volti alla sostituzione e all'ammodernamento delle reti, i quali comporteranno un investimento con risorse proprie in questo settore, al fine di porre rimedio alle perdite che, come noto, pur con differenze nelle varie regioni d'Italia, rasentano il 40 per cento di media nazionale.
  Infatti, il Ministero ha provveduto, nell'ambito della pianificazione e programmazione a valere sugli Fsc 2014/2020, a destinare risorse pari a circa 270 milioni di euro per l'attuazione di interventi relativi al settore fognario e depurativo, stante la necessità di superare le criticità in questi settori che ci vedono interessati da procedure d'infrazione comunitaria e a programmare risorse pari a circa 200 milioni di euro per l'attuazione di interventi di sostituzione ed efficientamento delle adduttrici e delle reti di distribuzione idropotabile.
  In merito alla specifica questione della gestione delle risorse nella regione Sardegna, nell'ambito della sopra citata programmazione sono previsti interventi di «Efficienza nella distribuzione dell'acqua per il consumo umano: Interventi di risanamento strutturale e riassetto funzionale per una gestione “
smart” delle reti di distribuzione idropotabile dei centri urbani con maggiori criticità della regione Sardegna» per un fabbisogno di circa 30 milioni di euro.
  Sempre in merito alla questione riguardante la regione Sardegna, in conclusione si fa presente che con la legge regionale n. 19/2006 la competenza in merito alla pianificazione degli interventi relativi al servizio idrico integrato è stata trasferita all'Agenzia del distretto idrografico della Sardegna costituita da una apposita direzione generale della Presidenza. In capo all'assessorato dei lavori pubblici sono rimaste le competenze in merito al sistema idrico multisettoriale regionale che comprende le grandi dighe e le opere di trasporto dell'acqua grezza.
  L'assessorato in questione, negli ultimi quindici anni (2002-2017), ha attuato importanti programmi di investimento nel settore della riqualificazione delle reti idriche di distribuzione grazie ad un investimento complessivo di euro 268.100.079,76.
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione sull'importante tematica riguardante la gestione delle risorse idriche, non solo nella regione Sardegna ma in tutto il territorio italiano.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco impiega, oltre agli effettivi, un elevato numero di discontinui e volontari;

   il personale discontinuo non può essere impiegato per più di 14 giorni consecutivi e per un massimo di 160 giorni per anno, pur essendo utilizzato per colmare una insufficienza di organico conseguenza dei crescenti tagli nelle risorse ad esso attribuite;

   il personale volontario presta servizio in sedi del Corpo, perlopiù isolate, nelle quali sarebbe troppo oneroso per la pubblica amministrazione prevedere un distaccamento permanente;

   l'assenza di distinzione fra figure diverse nel loro status, ma che la legge definisce entrambe «volontarie» legge n. 183 del 2011, che modifica il decreto legislativo n. 368 del 2001, lettera c-bis), tanto da stabilire che i richiami in servizio del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco non costituiscono rapporti di impiego con l'amministrazione (articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 139 del 2006), fa sì che i discontinui sul piano formale perdano lo status di precari;

   andrebbe fatta, invece, una distinzione fra coloro che (anche in modo discontinuo) svolgono funzioni equiparate a quelle svolte da chi è assunto nel Corpo a tempo indeterminato e le funzioni dei volontari che per definizione sono svolte da chi dichiara disponibilità a prestare la propria opera al servizio della comunità in caso di emergenza;

   questo metodo operativo che consente l'impiego di discontinui e volontari per anni e senza limiti di età, crea aspettative e la decisione di bandire nuovi concorsi, senza procedere prioritariamente alla stabilizzazione degli idonei, disperde esperienze acquisite ed esclude coloro che per varie ragioni non possono partecipare alle prove concorsuali –:

   quali iniziative intenda assumere a fronte delle criticità evidenziate, considerato in particolare che appare all'interrogante discriminatorio riassumere nel termine «volontario» due profili diversi e penalizzante per i discontinui l'assimilazione a volontario, visto che sottoscrivono contratti con l'amministrazione pur non guadagnando la qualifica di precario;

   di adottare iniziative volte a sopperire alla carenza di organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, procedendo in ugual misura alla stabilizzazione degli idonei e dei richiamati in servizio (discontinui) prima di pensare a nuovi concorsi, alla luce dei requisiti da questi ultimi posseduti, fra cui l'idoneità al servizio, l'esperienza maturata e l'alta professionalità acquisita, scelta, questa, che produrrebbe, peraltro, risparmi all'amministrazione, non necessitando, questo tipo di personale, dei corsi per l'addestramento che le matricole richiederebbero.
(4-15931)

  Risposta. — Come è noto, il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco si distingue in personale di ruolo e volontario. Con riguardo alla categoria volontari, si specifica che il relativo personale era iscritto in un unico elenco nonostante la categoria ricomprendesse al suo interno sia i volontari cosiddetti «discontinui» che i volontari cosiddetti «a campana».
  Tale distinzione rileva ai fini dei richiami in servizio, in quanto in base all'articolo 9 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, il personale volontario può essere richiamato in servizio temporaneo in occasione di calamità naturali o catastrofi ed essere destinato in qualsiasi località, sia in caso di particolari necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale («discontinui»), sia per le esigenze connesse al servizio di soccorso pubblico e proprie dei distaccamenti volontari del Corpo medesimo («volontari a campana»).
  Recentemente, in considerazione delle suddette differenze, con il decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 97, è stata prevista l'iscrizione del personale volontario in appositi elenchi, distinti in due tipologie, una riferita alle necessità dei distaccamenti volontari del Corpo nazionale e l'altra alle necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo medesimo.
  Il medesimo decreto legislativo stabilisce, inoltre, che solo per il personale volontario iscritto nell'elenco istituito per le necessità delle strutture centrali e periferiche, sono possibili, previo specifico intervento di legge, eventuali assunzioni in deroga, con la conseguente possibilità di addivenire ad una trasformazione del rapporto di servizio in rapporto di impiego.
  Si soggiunge che l'elenco relativo al personale volontario richiamato in servizio ed assegnato presso le strutture centrali e periferiche è ad esaurimento, e in esso vi possono confluire i volontari che siano iscritti da almeno tre anni negli elenchi in vigore tenuti presso i Comandi dei vigili del fuoco e che abbiano effettuato non meno di 120 giorni di servizio.
  A ulteriore dimostrazione dell'attenzione prestata dal legislatore al personale volontario, si ricorda che lo stesso decreto legislativo ha, inoltre, elevato dal 25 al 35 per cento la riserva di posti prevista nel concorso pubblico per l'assunzione nella qualifica di vigile del fuoco, in favore del personale volontario che, alla data di scadenza del bando di concorso, sia iscritto negli appositi elenchi da almeno tre anni e abbia effettuato non meno di centoventi giorni di servizio.
  Del pari, sono state assunte iniziative per l'introduzione di riserve di posti, in favore dei volontari, nella misura del 10 per cento, negli altri concorsi di accesso nei ruoli del Corpo.
  Per quanto riguarda l'accesso al ruolo degli assistenti e operatori – che avviene mediante selezione tra i cittadini italiani inseriti nell'elenco presente presso i centri per l'impiego – con il predetto provvedimento normativo è stata attribuita la precedenza in favore dei volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che, alla data della selezione, siano iscritti negli appositi elenchi da almeno tre anni e abbiano effettuato non meno di centoventi giorni di servizio.
  Quanto alla possibilità di prevedere una nuova procedura di stabilizzazione per il personale volontario, va evidenziato che la stessa costituisce una deroga al principio costituzionale dell'accesso mediante concorso al pubblico impiego e, pertanto, una iniziativa in tal senso richiederebbe un mirato intervento legislativo per reperire la necessaria copertura finanziaria e fissare i requisiti per l'immissione in servizio, tenendo conto della necessità di contemperare le esigenze operative con quelle degli aspiranti alla stabilizzazione.
  Per quanto concerne la problematica della carenza d'organico del Corpo nazionale, l'Amministrazione dell'interno negli ultimi anni, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, ha provveduto, da un lato ad incrementare l'organico teorico di circa 2.500 unità, dall'altro, al rafforzamento delle presenze effettive presso le strutture territoriali dei vigili del fuoco, anche grazie al ripristino del
turn over al cento per cento a decorrere dal 2016.
  Le misure intraprese hanno permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 845 unità di vigili del fuoco, di cui 398 sono state assegnate alle sedi di servizio il 5 giugno 2017, mentre i restanti 447 sono stati assegnati alle sedi servizio il 7 agosto 2017.
  Un ulteriore potenziamento di personale è derivato dall'assorbimento, nel dicembre del 2016, di 390 unità del Corpo forestale dello Stato, assegnati nei ruoli ad esaurimento AIB – antincendio boschivo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Inoltre, l'Amministrazione dell'interno è stata autorizzata a bandire una nuova procedura concorsuale per l'immissione di 250 unità dei vigili del fuoco, la cui prova preselettiva si è conclusa recentemente. La procedura presumibilmente avrà termine entro la fine del 2018.
  Tale misura, oltre a ridurre le carenze di organico del Corpo nazionale, attualmente pari nel complesso a 3.359 unità su un organico di 37.481, consentirà anche di incidere sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sul piano operativo.
  Si fa anche presente che, entro la data del 15 dicembre 2017, a valere sulla graduatoria del concorso pubblico a 814 posti (più volte oggetto di proroga) è prevista l'assunzione di altre 301 unità di vigili del fuoco a copertura del
turn over per l'anno 2016.
  Da ultimo si richiamano le previsioni contenute nella legge di bilancio 2017 che hanno attivato uno specifico Fondo per finanziare una serie di istituti attinenti al personale del pubblico impiego, compreso il personale del Corpo dei vigili del fuoco. Con la ripartizione del predetto Fondo, avvenuta con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2017, sono stati destinati 119,12 milioni di euro per l'anno 2017 e 153,24 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente. Tali assunzioni riguarderanno le amministrazioni dello Stato ivi compresi i corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Si precisa che per le assunzioni straordinarie del Corpo nazionale sono stati stanziati 16 milioni di euro che consentiranno l'assunzione di 400 unità. Tali assunzioni straordinarie consentiranno di ridurre ulteriormente le carenze di organico evidenziate nell'interrogazione.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la riserva naturale statale Bosco della Fontana sorge nel comune di Marmirolo (Mantova) è area Sic (Sito di importanza comunitaria), Zps (Zona di protezione speciale), codice IT20B0011, sito incluso nella lista delle foreste europee di importanza per faune saproxiliche;

   l'85 per cento della riserva è occupata dalla foresta, il rimanente da prateria e una piccola zona umida. La Riserva rappresenta uno degli ultimi relitti di foresta planiziaria della Pianura padana. È inoltre parte della Rete Natura 2000;

   complessivamente, le specie spontanee censite nella riserva sono 470; di queste, 60 sono considerate rare nella Pianura padana; 52 sono le specie animali tutelate a livello comunitario secondo la Direttiva Habitat (92/43/CEE) e la Direttiva Uccelli (79/409/CEE);

   nella riserva sono state identificate 102 specie di uccelli, delle quali circa la metà nidificanti. La riserva ospita una delle colonie storiche di nibbio bruno più importanti e note d'Italia;

   quest'area, sottoposta a vincolo, isolata rispetto ad altre aree protette con le medesime caratteristiche floro-faunistiche, diviene un unicum straordinariamente fragile nella provincia di Mantova, nel cuore fortemente antropizzato della pianura padana;

   durante i consigli comunali del 29 giugno 2017 a Marmirolo e Porto Mantovano è stata approvata la convenzione per la realizzazione della rotonda sulla ex strada statale 236 Brescia-Mantova al chilometro 3+220, proprio all'ingresso del sito di importanza comunitaria;

   un cantiere di 3 ettari sarà presente per 3 anni a poche decine di metri dal Sic, per la realizzazione di un'infrastruttura di 70 metri di raggio a grande percorrenza che ridurrà di 70 metri la già sottile fascia tampone del Sic stesso, attraverso l'abbattimento di oltre 35 alberi senza ripiantumarli, un intervento tale da danneggiare gravemente e definitivamente il normale ciclo biologico di quest'oasi;

   le attuali progettazioni si rifanno al decreto n. 2473 dell'8 marzo 2006 emesso dalla unità operativa Programmazione integrata e valutazioni di impatto struttura valutazioni di impatto ambientale della Direzione generale territorio ed urbanistica della regione Lombardia;

   nello studio di impatto ambientale (Sia), a pagina 342, è scritto chiaramente che quest'opera potrà determinare l'allontanamento di specie animali. Nel caso di un sito di interesse comunitario che ospita, da solo, sul territorio nazionale la nidificazione di alcune specie, questo non appare accettabile;

   gli effetti di disturbo dovuti all'aumento dei livelli sonori, della loro durata e frequenza, potrebbero portare ad un allontanamento della fauna dall'area, con conseguente sottrazione di spazi utili all'insediamento e riproduzione;

   si legge nello studio di impatto ambientale: «Le analisi effettuate hanno rilevato che tanto in fase di cantiere, quanto in fase di esercizio, l'aumento di inquinamento sonoro non risulta significativo rispetto allo stato attuale». Ma, questo appare agli interroganti in contrasto con le tabelle acustiche riportate nel Sia stesso e con i dettagli di progetto che vedono accorciarsi in maniera strutturale la distanza fra la strada e il Sic è che in fase di cantiere vedranno distanze ancora minori da strutture sonore;

   sarà rilevante l'impatto luminoso sia in fase di cantiere, che della struttura definitiva come scritto nel Sia;

   la rotonda in questione non riveste alcuna utilità, secondo gli interroganti, nell'ambito della riqualificazione della strada citata e può essere vicariata da strutture esistenti e/o da nuova strada di collegamento all'interno delle aree industriali dalla parte opposta a Bosco Fontana;

   attualmente, la valutazione di impatto ambientale (Via) relativa all'opera sopra richiamata, di cui è possibile rinvenire elementi nella Piattaforma del sistema operativo lombardo per la valutazione di impatto ambientale (SILVIA), risulta ferma all'avvio di procedura, datata il 1o aprile 2017;

   secondo gli interroganti una Via-V.Inc.A., effettuata 11 anni fa, potrebbe essere inattendibile a causa della continua evoluzione di fauna e flora, tale che i dati contenuti potrebbero risultare poco congrui rispetto alla situazione attuale, e in virtù anche del fatto che potrebbero essere emersi nuovi dati con i monitoraggi finanziati con progetti europei Life (LIFE11 NAT/IT/000252 MIPP) –:

   se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare l'impatto dell'opera infrastrutturale sopra richiamata sulla Riserva naturale statale Bosco della Fontana, situata nei pressi del comune di Marmirolo.
(4-17334)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al progetto di realizzazione di una rotatoria stradale in prossimità della Riserva naturale statale (RNS) Bosco della Fontana e del sito Natura 2000 – ZSC/ZPS IT20B0011 «Bosco della Fontana», in provincia di Mantova, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La regione Lombardia ha fatto presente che il progetto infrastrutturale stradale in argomento è stato oggetto di procedura di VIA regionale, come da decreto VIA 8 marzo 2006, n. 2473. La regione ha evidenziato che non trova invece corrispondenza in atti regionali il riferimento ad «una VIA ferma all'avvio della procedura, datata 1º aprile 2017».
  Le opere previste dal progetto assoggettato a VIA nel 2005 sono state realizzate negli anni passati, stralciando la rotatoria in argomento per mancanza di copertura finanziaria provinciale.
  All'inizio dell'anno in corso, previo interesse di operatori privati (riferito ad aree adiacenti alla prevista rotatoria e relativo a previsioni urbanistiche industriali/commerciali datate e consolidate negli strumenti urbanistici comunali) i due comuni hanno convenzionato (congiuntamente a provincia di Mantova e agli operatori privati) la realizzazione, a carico dei privati, della rotatoria originariamente stralciata dalla cantierizzazione dell'opera viaria.
  Sempre secondo quanto riferito dall'amministrazione regionale, la nuova rotatoria risulta peraltro ridimensionata – in diminuzione – rispetto a quanto previsto dal precedente progetto assoggettato a VIA regionale (raggio di curvatura attuale = 70 m invece degli originari 90 m), anche a maggior tutela dei beni vincolati limitrofi.
  Il progetto definitivo per la realizzazione della rotatoria lungo la ex SS236 chilometro 3+220 è stato oggetto dei lavori di conferenza di servizi decisoria
ex articolo 14 della legge n. 241 del 1990, con approvazione definitiva durante la seduta di conferenza del 15 maggio 2017.
  I vari soggetti/Enti che in passato espressero parere favorevole nell'ambito della citata procedura di VIA regionale hanno ribadito il proprio assenso nell'ambito dei lavori della recente Conferenza di servizi, ritenendo l'intervento rispettoso delle condizioni di cui al decreto VIA del 2006. In particolare, il comando regione carabinieri forestali Veneto ha reputato non di pregio l'alberatura compromessa dal progetto ed ha sottolineato come la realizzazione della rotatoria andrà a risolvere problemi di sicurezza viabilistica-stradale che ancora caratterizzano la viabilità in esame.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato ed a svolgere la propria attività di monitoraggio sull'area in questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.