Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 6 ottobre 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,

   premesso che:

    come si evince dalla «Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo della esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento» relativa al 2016 e trasmessa al Parlamento Italiano il 20 aprile 2017, il valore dell’export armato del nostro Paese è aumentato esponenzialmente negli ultimi anni, arrivando ad una quota dell'85 per cento rispetto al 2015, pari a 14,6 miliardi di euro;

    nella classifica dei Paesi per destinazione di export armato se da un lato è evidente la regressione degli Stati africani, dall'altro guadagno le prime posizioni Paesi come Arabia Saudita (427,5 milioni di euro), Qatar (341 milioni), Turchia (133,4 milioni) e Pakistan (97,2 milioni) che o fanno parte di coalizioni di guerra o sono colpevoli di ripetute e conclamate violazioni dei diritti umani;

    proprio il giorno precedente alla trasmissione della relazione al Parlamento, il 19 aprile 2017 si è assistito a uno scarico di blindati e armi nel porto di Piombino con trasbordo nella nave Excellent, una grande imbarcazione noleggiata dal Ministero della difesa italiano e battente bandiera maltese. Dopo aver imbarcato un gran quantitativo di armamenti e aver effettuato uno scalo tecnico ad Augusta, si è diretta a Gedda, in Arabia Saudita, attraversando il canale di Suez. Secondo l'autorità portuale di Piombino quelle armi e quei blindati erano destinati a un corso di addestramento bellico di militari italiani proprio in quel Paese;

    l'Arabia Saudita è a capo di una coalizione composta, tra gli altri, anche da Emirati Arabi Uniti, Oman, Bahrain, Egitto, Qatar, Marocco e Kuwait, che da anni conduce continui attacchi in Yemen e soltanto nei mesi appena passati sono stati esportati materiali di armamento, fra cui le famigerate bombe RWM MK82, per un valore di oltre 257 milioni di euro;

    secondo la summenzionata relazione trasmessa al Parlamento, la RWM Italia — controllata della tedesca Rheinmetall e con sede a Domusnovas (Sardegna) — è salita al terzo posto per giro di affari nel settore della difesa Italia, con un aumento di commesse pari a 460 milioni di euro nel 2016. Le nuove autorizzazioni richieste al Governo italiano, inoltre, risultano essere 45 e comprendono anche l'esportazione di circa 20.000 bombe verso Paesi «MENA» (Medio-oriente e Nord-Africa);

    l'eticità della produzione di ordigni utilizzati per i bombardamenti dello Yemen, a causa dei quali si riscontra una crisi umanitaria e sanitaria senza precedenti, è da molti mesi al centro del dibattito nazionale e regionale in Sardegna, dato che la chiusura della azienda avrebbe ripercussioni occupazionali su un territorio già duramente colpito dalla crisi;

    nel maggio del 2017 è stato costituito il «Comitato riconversione RWM per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell'industria bellica, il disarmo, la partecipazione civica a processi di cambiamento, la valorizzazione del patrimonio ambientale e sociale del Sulcis Iglesiente», composto da 23 persone (a titolo personale o in rappresentanza di associazioni) e nato, tra le altre cose, per esprimere una «diversa posizione rispetto al previsto ampliamento della Rwm ed in generale per scongiurare il pericolo che l'economia del territorio possa andare nella direzione di un rafforzamento della industria bellica»;

    la legge n. 185 del 1990, da cui discende la relazione trasmessa ogni anno al Parlamento, prevede, al comma 5, dell'articolo 1 che: «5. L'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione e la delocalizzazione produttiva, sono vietati quando sono in contrasto con la Costituzione, con gli impegni internazionali dell'Italia, con gli accordi concernenti la non proliferazione e con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con altri Paesi, nonché quando mancano adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali di armamento»;

    al comma successivo si prevede ulteriormente che: «6. L'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali di armamento sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere; b) verso Paesi la cui politica contrasti con i princìpi dell'articolo 11 della Costituzione; c) verso i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea (UE) o da parte dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE); d) verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'Unione europea o del Consiglio d'Europa; e) verso i Paesi che, ricevendo dall'Italia aiuti ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49, destinino al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa del paese; verso tali Paesi è sospesa la erogazione di aiuti ai sensi della stessa legge, ad eccezione degli aiuti alle popolazioni nei casi di disastri e calamità naturali»;

    all'articolo 1, comma 3, della medesima legge si stabilisce che il Governo debba predispone misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della Difesa. Inoltre è previsto, all'articolo 6, comma 1, che: «È istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il Comitato interministeriale per gli scambi di materiali di armamento per la difesa (CISD)»; all'articolo 6 comma 3 che: «Nel rispetto dei principi di cui all'articolo 1, dei trattati e degli impegni internazionali cui l'Italia aderisce ed in attuazione delle linee di politica estera e di difesa dello Stato, valutata l'esigenza dello sviluppo tecnologico e industriale connesso alla politica di difesa e di produzione degli armamenti, il CISD formula gli indirizzi generali per le politiche di scambio nel settore della difesa e detta direttive d'ordine generale per l'esportazione, l'importazione ed il transito dei materiali di armamento e sovrintende nei casi previsti dalla presente legge, all'attività degli organi preposti all'applicazione della legge stessa»;

    all'articolo 8 si prevede invece un «Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento» con il compito di fornire al Cisd pareri, informazioni e proposte – nel quadro degli indirizzi generali delle politiche di scambio nel settore della difesa adottati dal Parlamento e dal Governo – relative alla produzione nazionale dei materiali di armamento, sui problemi e sulle prospettive di questo settore produttivo in relazione alla evoluzione degli accordi internazionali;

    l'Ufficio, inoltre, secondo quanto previsto dal comma 2 «contribuisce anche allo studio e alla individuazione di ipotesi di conversione delle imprese. In particolare identifica le possibilità di utilizzazione per usi non militari di materiali derivati da quelli di cui all'articolo 2, ai fini di tutela dell'ambiente, protezione civile, sanità, agricoltura, scientifici e di ricerca, energetici, nonché di altre applicazioni nel campo civile»;

    al comma 7 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 149 del 20 maggio 1993, convertito dalla legge n. 237 del 19 luglio 1993, recante interventi urgenti in favore della economia, si è infine previsto che: «Il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sentite le regioni maggiormente interessate e avvalendosi anche dell'Ufficio di coordinamento della produzione di materiali di armamento, istituito dall'articolo 8 della legge 9 luglio 1990, n. 185, definisce con proprio decreto, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le aree del territorio nazionale caratterizzate da elevata incidenza delle attività di produzione e di manutenzione di materiali di armamento». Si autorizzava quindi la spesa di 500 miliardi di lire per favorire la razionalizzazione, la ristrutturazione e la riconversione produttiva nel campo civile e duale delle imprese operanti nel settore della produzione di materiali di armamento nelle aree individuate;

    con decreto ministeriale venivano individuate le aree ad elevata incidenza di tali produzioni (l'intero territorio delle regioni: Campania, Lazio, Liguria, Lombardia e Piemonte, nonché delle Province: Bolzano, Brindisi, Firenze, Gorizia, L'Aquila e Livorno e dei Comuni di S. Marcello Pistoiese e Foligno);

    tuttavia, come viene evidenziato nella reazione sulle spese di investimento e sulle relative leggi pluriennali allegata alla nota di aggiornamento al Def 2017 (Doc. LVII, n. 5-bis, Allegato I, Volume I, pag. 240, «non essendo stato disposto alcun rifinanziamento della legge, le cinque istanze pervenute sono prive di copertura finanziaria e non può, quindi, essere fornita una programmazione relativa alla fase di concessione delle agevolazioni. Le attività programmate, pertanto, sono esclusivamente connesse all'utilizzo dei fondi impegnati in precedenti esercizi (cfr. capitolo 7342/MISE piano di gestione 9 e 29) e riguardano la liquidazione delle agevolazioni, il cui ammontare annuo non è quantificabile in via preventiva. Le aziende beneficiarie, infatti, hanno facoltà di presentare le apposite istanze sia per stato di avanzamento lavori, che all'atto della conclusione del programma, peraltro spesso oggetto di proroga del termine di realizzazione»;

    ad ogni modo parrebbe che le risorse stanziate sul capitolo in titolo sarebbero state essenzialmente dirette, tranne in un caso risalente agli anni 1997-2000, alla razionalizzazione dell'industria bellica, anziché alla riconversione;

    da allora — e nonostante le chiare previsioni di norma contenute nella legge n. 185 del 1990 — nessuna misura economica è stata intrapresa dallo Stato per favorire la riconversione della industria bellica,

impegna il Governo:

1) a rifinanziare, nell'ambito del disegno di legge di bilancio 2018, il comma 7 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 149 del 20 maggio 1993, convertito dalla legge n. 237 del 19 luglio 1993, prevedendo un adeguato stanziamento pluriennale di almeno 50 milioni l'anno e destinando almeno il 70 per cento di tale importo alle attività di riconversione dell'industria bellica;

2) ad assumere iniziative per inserire la regione Sardegna tra le aree del territorio nazionale caratterizzate da elevata incidenza delle attività di produzione e di manutenzione di materiali di armamento.
(1-01722) «Duranti, Piras, Ricciatti, Sannicandro, Nicchi, Melilla, Matarrelli, Fossati, Bossa, Martelli».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,

   premesso che:

    dopo due guerre d'indipendenza combattute contro la Federazione Russa, la Cecenia è divenuta una repubblica semi-autonoma sotto il controllo di Ramzan Kadyrov, sostenuta e protetta da Vladimir Putin;

    la Repubblica Cecena fa parte della Federazione Russa e condivide con essa gli impegni presi sotto la Convenzione europea dei diritti dell'uomo;

    un dossier pubblicato nel 2016 dal Memorial Human Rights Center descrive la Repubblica Cecena come uno «Stato totalitario dentro uno Stato»;

    il 1° aprile 2017, il giornale russo indipendente Novaya Gazeta ha reso noto che nella Repubblica Cecena sono attivi almeno 6 centri di detenzione illegale dove almeno 100 persone presunte gay sono state detenute illegalmente e torturate;

    immediatamente dopo l'annuncio del giornale di opposizione russa, l'agenzia di informazione indipendente Interfax, con sede a Mosca, ha riportato alcune dichiarazioni del portavoce di Kadyrov, Alvi Karimov, che, oltre a negare l'accaduto, poiché in Cecenia «non esisterebbero omosessuali», ha affermato che se esistessero, le autorità non dovrebbero intervenire perché «ci penserebbero le famiglie a mandarli in luoghi da dove non vi è ritorno»;

    secondo un rapporto pubblicato nel maggio 2017 da Human Rights Watch, gli arresti illegali di presunti uomini gay sono iniziati alla fine di febbraio 2017, ma altre fonti fanno risalire l'inizio delle persecuzioni al dicembre 2016;

    secondo Human Rights Watch alcuni degli uomini arrestati sospettati di essere gay sono stati torturati e quindi «restituiti» alle famiglie, le quali sono state incoraggiate a commettere una sorta di «delitto d'onore»;

    Novaya Gazeta afferma di avere prove di almeno 6 persone morte in conseguenza delle persecuzioni delle autorità cecene, ma Elena Milashina, la giornalista autrice degli articoli, ha dichiarato a Huffington Post Italia che le vittime potrebbero essere anche 50;

    il 3 aprile 15 mila persone si sono riunite in una moschea di Grozny, capitale della Repubblica Cecena, e hanno condannato Novaya Gazeta perché avrebbe «insultato le fondamenta centenarie della società cecena e la dignità dei ceceni» e che i colpevoli «saranno puniti ovunque si trovino senza limitazioni». In conseguenza di queste e altre minacce Elena Milashina è stata costretta a lasciare la Federazione Russa e vive ora in una località sconosciuta;

    il 15 aprile 2017 Jambulat Umarov, ministro della stampa e dell'informazione ceceno, ha chiesto su Instagram a Novaya Gazeta di scusarsi con il popolo ceceno per aver parlato delle atrocità, soprattutto per aver insinuato che possano esistere persone gay in Cecenia, affermazione definita dal ministro come una «lurida provocazione»;

    il 21 aprile 2017 il Sottosegretario agli affari del Commonwealth Sir Alan Duncan ha reso note al Parlamento britannico altre dichiarazioni del leader ceceno Ramzan Kadyrov: su una emittente locale avrebbe sostenuto di voler eliminare la popolazione omosessuale cecena entro l'inizio del Ramadan;

    in una intervista al leader della Repubblica autonoma cecena andata in onda sul canale televisivo statunitense HBO, Kadyrov – seguitando a negare l'esistenza di persone omosessuali in Cecenia – ha dichiarato: «Non ci sono gay in Cecenia, e se ci sono, portateli via in Canada, per grazia di Allah, lontano da noi, per depurare il sangue del popolo ceceno»;

    il Russian LGBT Network ha dato vita a una hotline per raccogliere le testimonianze di sopravvissuti che hanno riferito di essere stati sottoposti ad elettroshock e picchiati con bastoni e tubi di plastica, di essere stati ricattati per mesi e di aver dovuto pagare migliaia di rubli per essere lasciati in vita;

    i sopravvissuti hanno denunciato altresì di essere stati utilizzati per intercettare e arrestare altri gay attraverso i loro telefoni cellulari;

    riferendo davanti alla Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato e al Comitato permanente sui diritti umani della Camera dei deputati, il 18 e 19 luglio 2017, l'esponente del Russian LGBT Network Igor Kochetkov ha sottolineato con preoccupazione il richiamo, che trova precedenti nella follia nazista, alla «pulizia» delle minoranze sessuali in Cecenia;

    l'11 maggio 2017, l'attivista italiano Yuri Guaiana, insieme agli attivisti russi Alexandra Aleksieva, Marina Dedales, Nikita Safronov e Valentina Dekhtiarenko, è stato fermato dalla polizia mentre tentava di consegnare alla Procura generale a Mosca le firme raccolte attraverso una petizione online per sollecitare l'avanzamento dell'inchiesta federale sul pogrom antigay in Cecenia;

    il 18 maggio 2017 il Parlamento europeo in una risoluzione ha espresso preoccupazione per queste notizie e condannato le dichiarazioni delle autorità cecene che tollerano o incoraggiano la violenza contro le persone LGBTI. I parlamentari europei chiedono la fine immediata delle detenzioni e delle torture, l'avvio di un'inchiesta in Russia e un contributo alle indagini da parte dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa. Dello stesso tenore è la presa di posizione di alcuni leader europei (tra cui quelli di Germania, Francia e Regno Unito) e dei rappresentanti di varie istituzioni intergovernative, tra cui l'Unione europea, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e le Nazioni Unite;

    ad oggi il Russian LGBT Network ha aiutato oltre 60 persone a lasciare la Cecenia, ma secondo Human Rights Watch potrebbero essere rintracciate dalle forze di sicurezza cecene o dai loro familiari e per questo devono vivere nascoste e non possono cercare un lavoro in Russia restando totalmente dipendenti dalle associazioni LGBTI;

    secondo il Russian LGBT Network agli inizi di luglio gli arresti sono ripresi,

impegna il Governo:

   a porre l'attenzione in tutte le sedi e i fori internazionali, la questione delle violazioni dei diritti umani contro il popolo ceceno e la sua comunità LGBTI;

   ad assumere tutte le iniziative necessarie per promuovere forme di collaborazione con le organizzazioni per i diritti umani che danno assistenza alle vittime dei fatti denunciati in premessa, offrendo la disponibilità dell'Italia ad accogliere e ad assistere le vittime e le potenziali vittime del pogrom antigay ceceno.
(7-01359) «Locatelli, Quartapelle Procopio, Pastorelli, Marzano».


   La VI Commissione,

   premesso che:

    la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), all'articolo 1, comma 629, lettera b), ha modificato il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, introducendo l'articolo 17-ter, recante il meccanismo della scissione dei pagamenti (cosiddetto split payment);

    la misura è stata introdotta con il dichiarato fine di rafforzare le misure di contrasto alla lotta all'evasione fiscale in materia di Iva;

    la nuova procedura, autorizzata dall'Unione europea, prevede che l'Iva dovuta sulle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti di cessionari o committenti pubblici, statali o locali, non debitori d'imposta ai fini Iva, venga versata dallo stesso soggetto pubblico anziché dal fornitore, al quale verrà corrisposto unicamente il corrispettivo pattuito al netto dell'Iva. Il fornitore emette la fattura con la specificazione «scissione dei pagamenti» e l'annota nel registro Iva vendite o in quello dei corrispettivi, senza computare l'imposta indicata nella liquidazione periodica e salvo il diritto alla detrazione dall'Iva a debito;

    l'articolo 1 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, ha introdotto disposizioni volte a estendere l'ambito applicativo dello split payment, includendo anche l'Iva dovuta per tutte le operazioni (prestazioni di servizi e cessioni di beni) effettuate nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni inserite nel conto consolidato pubblicato dall'Istat nonché le operazioni effettuate nei confronti di altri soggetti, tra cui le società controllate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dai Ministeri e dagli enti territoriali, le società quotate. Inoltre, si è prevista l'applicazione dello split payment ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito (dunque ai compensi dei professionisti);

    lo split payment ha determinato (e determina) non poche complicazioni per le imprese e i professionisti assoggettati al relativo regime. Da considerare anzitutto che i soggetti sottoposti allo speciale meccanismo pongono spesso in essere anche operazioni a regime ordinario, con la conseguente adozione di differenti sistemi contabili di gestione e liquidazione del tributo che aggravano gli oneri gestionali;

    sul piano finanziario, invece, l'addebito dell'Iva direttamente in capo al cessionario o committente determina per il fornitore o prestatore, cui spetta comunque la detraibilità dall'Iva a debito, un'eccedenza di Iva detraibile che genera, sistematicamente, l'insorgenza di crediti d'imposta;

    uno studio condotto dall'Osservatorio permanente della Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa sulla tassazione delle piccole imprese in Italia ha evidenziato che dal meccanismo dello split payment deriva uno squilibrio finanziario per le imprese in conseguenza sia della perdita a breve di liquidità finanziaria (mancato incasso dell'Iva dal cessionario o committente) sia per i tempi di recupero dell'Iva a credito pagata ai propri fornitori, con una perdita complessiva di liquidità su base annuale di oltre 22,5 miliardi di euro. Di contro, v'è un aumento di liquidità per le pubbliche amministrazioni acquirenti dei beni e dei servizi in virtù della posticipazione al mese successivo del versamento dell'Iva (che prima andava versata al fornitore contestualmente al pagamento del corrispettivo), con un incremento di giacenza finanziaria mensile pari 1,5 miliardi di euro a cui corrisponde un vantaggio economico in termini di costo opportunità ovvero di risparmi finanziari di quasi 100 milioni di euro. A ciò si aggiunge l'ulteriore vantaggio per l'Erario derivante dal fatto che tutta l'Iva relativa alle transazioni con la pubblica amministrazione è versata mensilmente e non più con cadenza trimestrale;

    per far fronte agli squilibri finanziari che si generano per i contribuenti sottoposti al regime in esame, lo stesso legislatore è intervenuto modificando la disciplina dei rimborsi Iva (articolo 30, secondo comma, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972) con l'inclusione, tra i contribuenti che possono chiedere in tutto o in parte la restituzione dell'eccedenza detraibile all'atto della richiesta di rimborso Iva, dei soggetti sottoposti allo split payment, con priorità nel rimborso;

    tuttavia, come chiarito dalla circolare ADE 15/E/2015, il rimborso in via prioritaria è ammesso a condizione che sussista anche il presupposto dell’«aliquota media», ai sensi dell'articolo 30, comma 3, lettera a) del decreto del presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (ossia quando il fornitore esercita esclusivamente o prevalentemente attività che comportano l'effettuazione di operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori a quelle dell'imposta relativa agli acquisti e alle importazioni) ed, in ogni caso, nei limiti dell'ammontare dell'imposta applicata alle operazioni sottoposte a split payment nel periodo di riferimento (articolo 8, comma 1, decreto ministeriale 23 gennaio 2015);

    con il decreto-legge n. 50 del 2017 ha poi previsto, a partire dal 1° gennaio 2018, una accelerazione dei rimborsi da conto fiscale per i soggetti passivi d'imposta a cui si applica lo split payment, con erogazione diretta da parte di Equitalia, sui fondi di bilancio resi disponibili dall'Agenzia delle entrate, eliminando così i tempi per l'accredito di specifici fondi da parte dell'Amministrazione finanziaria;

    l'effetto distorsivo dello split payment è, quindi, la formazione di soggetti strutturalmente a credito costretti a recuperare l'Iva pagata ai rispettivi fornitori solamente tramite richieste di rimborso o, in alternativa, mediante il meccanismo della compensazione con altre imposte;

    le misure predisposte, quindi, possono essere fruite solamente in caso di richiesta di rimborso, ed, in ogni caso, alle condizioni stabilite dalla legge. Tali misure, non possono ritenersi sufficienti sia per gli oneri e i costi comunque a carico dei contribuenti e connessi alla procedura di rimborso (si pensi ai limiti di accesso al rimborso diretto e alle garanzie richieste, all'apposizione dei visti di conformità sulle istanze) sia per tempi di erogazione dei rimborsi che, sebbene ammessi in via prioritaria, si prolungano ben oltre il termine ordinatorio di 3 mesi previsto dalla legge, mentre lo squilibrio finanziario in capo al contribuente si produce nel breve periodo con la necessità di dover finanziare l'Iva a debito fino alla recupero dell'Iva a credito;

    allo stesso modo, la possibilità, alternativa, di compensare il credito Iva con debiti erariali e previdenziali (compensazione cosidetta «orizzontale» o «esterna») non garantisce l'integrale recupero del credito Iva che può avvenire solo nei limiti di capienza degli altri debiti d'imposta, ed in ogni caso non oltre il limite annuale di 700.000 euro. Di conseguenza, la compensazione rappresenta una soluzione poco appetibile per le imprese con perdite fiscali o per le imprese con forte esposizione creditoria, per le quali il credito non troverebbe integrale capienza nei debiti;

    in sostanza lo split payment, se non adeguatamente corretto, si sostanzia in una misura che dirotta risorse finanziarie destinate alle imprese a favore dello Stato e degli enti pubblici;

    sarebbe pertanto auspicabile l'introduzione di correttivi allo split payment, al fine di non far gravare sulle imprese, soprattutto quelle oneste, il peso della lotta all'evasione fiscale;

    va in primo luogo evitata la formazione sistematica di crediti Iva in capo ai contribuenti sottoposti allo split payment, analogamente a quanto già previsto con il meccanismo del plafond di cui all'articolo 8, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, per i soggetti considerati esportatori abituali. Tale soluzione troverebbe giustificazione, come rilevato anche dalla dottrina più attenta, sia da un punto di vista strutturale, che costituzionale, tenuto conto dell'esigenza di evitare una costante situazione creditoria dell'operatore economico nei confronti del Fisco italiano verso cui non potrebbe recuperare il suddetto credito in via di rivalsa, come, invece, fa normalmente in relazione alle operazioni imponibili;

    le recenti misure introdotte in tema di invio telematico dei dati di fatturazione potrebbero rivelarsi misure di contrasto molto più efficienti e concrete con le quali lo split payment andrebbe adeguatamente coordinato;

    è necessaria, in ogni caso l'adozione di strumenti che assicurino alle imprese una consistente accelerazione dei tempi di rimborso dell'Iva a credito, tra cui il potenziamento della compensazione esterna e la possibilità di cedere il credito a terzi. A tale ultimo riguardo, si segnala la posizione non condivisibile dell'Agenzia delle entrate secondo la quale sarebbe da escludere dalla possibilità di cessione a terzi i crediti, Iva infrannuali, facendo leva sul dettato normativo di cui all'articolo 5, comma 4-ter del decreto legislativo n. 70 del 1988, che richiama i soli crediti Iva risultanti dalla dichiarazione annuale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative volte a evitare la formazione sistematica di eccedenza di Iva a credito per i fornitori cui si applica il meccanismo dello split payment, tenuto conto dell'esigenza di evitare una costante situazione creditoria dell'impresa nei confronti dello Stato;

   ad assumere iniziative normative per potenziare la compensazione esterna dei crediti Iva ammettendo la compensazione con qualsivoglia debito, indipendentemente dalla tipologia e dalla natura erariale o locale, nonché per accelerare le procedure di rimborso;

   ad assumere iniziative normative volte a prevedere, per i contribuenti cosidetti «virtuosi» ai sensi dell'articolo 38-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, l'eliminazione dell'obbligo di apposizione del visto di conformità per richieste di rimborsi e compensazione, in considerazione dell'adeguamento al sistema della fatturazione elettronica e dell'introduzione dell'obbligo di invio telematico dei dati di fatturazione;

   ad assumere iniziative normative per chiarire la possibilità di cedere a terzi il credito Iva infrannuale chiesto a rimborso;

   ad assumere iniziative normative volte ad escludere dall'applicazione del regime dello split payment i compensi corrisposti a professionisti già assoggettati a ritenuta alla fonte sul reddito.
(7-01357) «Alberti, Fico, Pesco, Pisano, Ruocco, Sibilia, Villarosa».


   La VI Commissione,

   premesso che:

    dal 1° gennaio 2017, il decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, nell'ambito delle misure di contrasto all'evasione Iva; ha introdotto l'obbligo di comunicazione trimestrale dei dati delle fatture emesse, di quelle ricevute e registrate, e delle relative note di variazione, nonché della comunicazione dei dati di sintesi delle liquidazioni periodiche Iva (con la modifica dell'articolo 21 e l'aggiunta dell'articolo 21-bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122);

    nell'introdurre tali obblighi, lo stesso decreto-legge del 2016 ha, altresì, determinato gli aspetti sanzionatori legati alla loro eventuale violazione. In particolare, introducendo i commi 2-bis e 2-ter dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 471 del 1997 (così come modificato dal citato decreto-legge n. 193 del 2016), che hanno previsto l'applicazione della sanzione amministrativa di euro 2 per ogni fattura, con un limite massimo di euro 1.000 per ciascun trimestre per i casi di omessa o errata comunicazione delle fatture, con riduzione alla metà, entro il limite massimo di euro 500, della medesima sanzione se la trasmissione è effettuata entro i quindici giorni successivi alla scadenza ordinaria, ovvero se, nel medesimo termine, è effettuata la trasmissione corretta dei dati. L'omessa, incompleta o infedele comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche è, invece, punita con la sanzione amministrativa da euro 500 a euro 2.000, ridotta alla metà se la trasmissione è effettuata entro i quindici giorni successivi alla scadenza di legge, ovvero se, nel medesimo termine, è effettuata la trasmissione corretta dei dati;

    a seguito della molteplici richieste di chiarimenti sollevate dagli addetti al settore, con la recente risoluzione 104/E del 18 luglio 2017, la direzione centrale normativa dell'Agenzia delle entrate ha chiarito che le sanzioni introdotte in materia di comunicazione periodica dei dati Iva hanno natura amministrativo-tributaria e, pertanto, in assenza di una deroga espressa, è ad esse applicabile l'istituto del ravvedimento operoso previsto dall'articolo 13 del decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 472;

    l'applicazione del ravvedimento operoso, come si desume dalle tabelle riepilogative riportate nella risoluzione, garantiscono un significativo sconto di sanzione per i contribuenti. In particolare, con il ravvedimento operoso la sanzione si riduce in considerazione del termine in cui si provvede a regolarizzare l'omissione o l'incompletezza della comunicazione, con la seguente progressione:

     a 1/9 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni avviene entro il novantesimo giorno successivo al termine per la presentazione della dichiarazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro novanta giorni dall'omissione o dall'errore;

     a 1/8 del minimo, se la regolarizzazione avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore;

     a 1/7 del minimo, se la regolarizzazione avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro due anni dall'omissione o dall'errore;

     a 1/6 del minimo, se la regolarizzazione avviene oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, oltre due anni dall'omissione o dall'errore;

     a 1/5 del minimo, infine, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene dopo la constatazione della violazione (ai sensi dell'articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4), salvo nei casi di mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscali o documenti di trasporto o di omessa installazione degli apparecchi per l'emissione dello scontrino fiscale);

    tuttavia, la stessa Agenzia «ricorda» che il ravvedimento è possibile «salva la notifica degli atti di accertamento»;

    al riguardo, numerose denunce e segnalazioni evidenziano l’«iperattività» dell'Agenzia delle entrate che, proprio in questi giorni, sta inoltrando ai contribuenti gli avvisi di irregolarità contenenti l'irrogazione di sanzioni per omessa, errata o incompleta trasmissione dei dati Iva sulle comunicazioni obbligatorie trimestrali relative al primo trimestre 2017;

    gli avvisi di irregolarità e irrogazione di sanzione espressamente avvertono, come peraltro «ricordato» dalla stessa direzione centrale normativa, dell'impossibilità di accedere al ravvedimento operoso, prevedendo la sola possibilità della riduzione della sanzione a 1/3 (al 10 per cento anziché al 30 per cento);

    in buona sostanza, se da un lato si concede la possibilità al contribuente di ravvedersi entro precisi termini fissati dalla legge, che si protraggono addirittura oltre i due anni dall'omissione o irregolarità (con sanzione ridotta a 1/5); dall'altro, si limita quasi del tutto tale possibilità nel momento in cui, a seguito delle nuove misure di contrasto, i termini di notifica degli avvisi di recupero si riducono significativamente;

    peraltro, si evidenzia che il descritto quadro procedurale rischia di generare ingiustificate disparità di trattamento tra i contribuenti in quanto rimessi alla discrezionalità operativa dell'Agenzia e dei singoli uffici periferici: dipendendo la preclusione al ravvedimento operoso dalla ricezione dell'avviso di irregolarità (la cui notifica è incerta nei tempi), si avranno differenti ipotesi e trattamenti sanzionatori a seconda della tempestività ed efficienza operativa dell'ufficio territoriale competente sull'accertamento;

    non si vuole certo contestare l'operato (pienamente legittimo) dell'Agenzia che sta procedendo nel rispetto delle prescrizioni di legge. Ma appare evidente che il mutato contesto operativo e procedurale, reso possibile dalle misure di contrasto introdotte (che hanno sorprendentemente accelerato i tempi di recupero dell'imposta), impone un necessario e immediato intervento normativo volto a rimuovere gli effetti distorsivi delle nuove disposizioni sull'istituto del ravvedimento operoso, al fine di non vanificarne i benevoli effetti per i contribuenti;

    da considerare, inoltre, che, con le disposizioni in commento, sono state introdotte, a regime, almeno 7 nuove scadenze periodiche a fronte delle due annuali previste dalle precedenti disposizioni in materia di comunicazione annuale Iva e relativi dati rilevanti (spesometro);

    tali modifiche stanno consentendo all'amministrazione finanziaria di ottenere, anticipatamente rispetto alle pregresse scadenze annuali, i dati analitici relativi alla gestione dell'Iva di milioni di imprese e lavoratori autonomi al prezzo, tuttavia, di imporre loro maggiori costi di conformità e un significativo aggravio in termini di complicazione;

    così facendo, però, il legislatore ha inteso anche dare impulso al processo di digitalizzazione del fisco nella dichiarata convinzione che ciò possa migliorare il rapporto di collaborazione tra i contribuenti e l'erario, in un'ottica di compliance e riduzione degli oneri amministrativi;

    la funzione delle sanzioni, secondo la giurisprudenza pressoché unanime della Corte di cassazione, non è quella di far cassa ma di orientare i comportamenti individuali verso la massimizzazione del bene collettivo;

    sebbene la legge delega in materia fiscale abbia conferito al Governo il compito di rivedere l'impianto sanzionatorio secondo princìpi di proporzionalità tra l'illecito commesso e la sanzione pretesa, quella prevista in caso di accertamento ex articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 e 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, è rimasta ancorata al 10 e cento. Ciò quantunque appaia evidente che il comportamento di un contribuente che adempie agli obblighi di dichiarazione e comunicazione, pur in carenza di tempestivo versamento, non possa essere rubricato come un illecito pericoloso, anche in considerazione del recente allargamento dei termini per fruire del ravvedimento operoso,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative volte a garantire la piena ed effettiva applicazione del ravvedimento operoso in relazione alle violazioni e irregolarità commesse nell'invio delle comunicazioni trimestrali dei dati Iva;

   ad assumere iniziative per prevedere la stessa riduzione di sanzione che si applicherebbe con il ravvedimento operoso nei casi in cui gli avvisi di irregolarità vengano notificati durante la pendenza dei termini per l'esercizio del ravvedimento operoso;

   ad assumere iniziative per eliminare in ogni caso l'assurdità in base alla quale diventa possibile per l'Agenzia delle entrate inviare un avviso di irregolarità con sanzione al 10 per cento in pendenza dei termini per l'esercizio del ravvedimento operoso;

   ad assumere iniziative per ridurre in ogni caso la sanzione amministrativa pecuniaria applicabile nei casi di pagamento entro il 30° giorno dalla notifica dell'avviso di irregolarità dall'attuale 10 per cento alla misura del 4 per cento in armonia con il principio di proporzionalità tra illecito commesso e sanzione.
(7-01358) «Sibilia, Alberti, Fico, Pesco, Pisano, Ruocco, Villarosa».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, DAGA, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 2 settembre 2017 è uscita la notizia, ripresa da diverse testate, dello slittamento della consegna delle soluzioni abitative in emergenza (Sae) presso il comune di Visso (Macerata), duramente colpito dal sisma del 2016 (http://www.cronachemaceratesi.it);

   secondo le nuove disposizioni sembra che le casette, 180 su 224 previste, arriveranno non prima di dicembre 2017, ad inverno già iniziato, invece che ad agosto come era stato annunciato dalla regione, nonostante le aree urbanizzate siano già pronte e le scuole aperte –:

   di quali elementi disponga il Governo circa le ragioni di tali ritardi e se non ritenga doveroso assumere ogni iniziativa di competenza per agevolarne la consegna in tempi più brevi;

   se risulti al Governo che il consorzio al quale è stato assegnato l'appalto della costruzione delle casette sia in grado di soddisfare le richieste in tempi congrui, anche se quelli fissati sono stati già disattesi, e se si intendano assumere iniziative di competenza per il finanziamento di un fondo a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici.
(3-03297)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SALTAMARTINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con deliberazione n. 105 della giunta capitolina del 26 maggio 2017 il comune di Roma ha adottato il piano di indirizzo per l'inclusione sociale, economica e abitativa delle popolazioni Rom, Sinti e Caminanti (RSC);

   in particolare, all'allegato A/1 «Misure temporanee e sperimentali a sostegno delle persone Rom, Sinti e Caminanti (RSC) in condizione di fragilità per il superamento delle residenzialità nei campi e villaggi della solidarietà di Roma Capitale» vengono previsti (articolo 3) una serie di misure di sostegno economico a favore di ogni singolo/nucleo familiare: un contributo fino a 10.000 euro, oltre ad una somma mensile di 800 euro come compartecipazione alle spese per l'abitazione, e fino a 5.000 euro per l'avvio di attività imprenditoriali;

   nonostante la garanzia del comune di una caparra e un assegno mensile fino a 800 euro, da notizie di stampa si apprende che l'amministrazione capitolina non è ancora riuscita a reperire gli alloggi da destinare ai rom e, dunque, a procedere alla chiusura del primo campo previsto dal piano e che stia, perciò, pensando di ospitarli in «strutture recettive», quali alberghi e bed & breakfast della Capitale;

   tale soluzione, oltre alle innegabili ripercussioni negative sulla città di Roma per la sua nota vocazione turistica, costituisce un ulteriore affronto verso tutti i cittadini romani che si trovano in difficoltà, sia abitativa che lavorativa, i quali già nei mesi scorsi, esasperati dalle condizioni di degrado e insicurezza soprattutto nelle periferie, hanno espresso, in più occasioni, la loro assoluta contrarietà alle politiche dell'amministrazione comunale riguardo all'emergenza rom in città;

   nel frattempo, le agevolazioni previste nel piano, finanziato con 3,8 milioni di euro di fondi europei, rischiano di attirare a Roma un gran numero di Rom, Sinti e Caminanti da tutta Europa, potendone beneficiare anche quelli di cittadinanza straniera, i quali si andranno ad aggiungere ai 4.503 finora censiti nei villaggi attrezzati e a quelli presenti nei campi abusivi, con evidenti e ulteriori conseguenze negative sull'ordine pubblico e sulla sicurezza della città –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra riportato e se ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per dichiarare lo stato di emergenza nella città di Roma in relazione alla problematica di cui in premessa e per pervenire alla chiusura immediata dei campi autorizzati e non attualmente presenti nella medesima città, nonché il ripristino delle condizioni di sicurezza e legalità nelle aree interessate.
(4-18036)


   SIBILIA, CRIPPA e MICILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   dagli anni Ottanta si discute a Benevento della realizzazione di un unico, grande depuratore al quale collegare i numerosi scarichi fognari della città, ma nel corso dei decenni si sono susseguiti vari progetti mai realizzati;

   la regione Campania ha messo a disposizione un finanziamento di circa 10 milioni di euro per la costruzione dell'opera a patto che si concluda entro il 2017;

   l'ultimo progetto prevedeva la collocazione del depuratore nella zona di S. Angelo a Piesco che, durante l'alluvione del 2015, è stata sommersa dalle acque ed è, quindi, ad oggi considerata inadeguata ad ospitare un'opera simile;

   su impulso del gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle, negli ultimi mesi la questione e stata al centro di un lavoro di approfondimento da parte delle commissioni consiliari ambiente e lavori pubblici, che ha fatto emergere dubbi sulla scelta della collocazione nella zona di S. Angelo a Piesco, nonché criticità strutturali, problematiche di natura tecnologica rischi di natura ambientale;

   all'inizio del 2017 il comune di Benevento e l'autorità di bacino dei fiumi Liri, Garigliano e Volturno hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per la difesa, la tutela, la valorizzazione e la gestione del sistema fisico-ambientale, territoriale e paesaggistico del comune di Benevento;

   il 26 aprile 2017 il Presidente del Consiglio dei ministri ha nominato, con decreto, il professor Enrico Rolle commissario straordinario unico per il coordinamento e la realizzazione degli interventi funzionali a garantire l'adeguamento, nel minor tempo possibile, alle sentenze di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea pronunciate il 19 luglio 2012 (causa C-565/10) e il 10 aprile 2014 (causa C-85/13) in materia di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative – per quanto di competenza – intenda valutare di porre in essere al fine di superare le criticità emerse in relazione al progetto iniziale, garantire il proficuo utilizzo dei finanziamenti pubblici e coinvolgere le popolazioni locali nelle prossime attività realizzative.
(4-18047)


   MENORELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in materia di corresponsione del contributo unificato in materia di appalti di lavori pubblici, l'articolo 204, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 50 del 2016 ha introdotto il comma 2-bis all'articolo 120 del codice del processo amministrativo dal seguente tenore: «Il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all'esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nei termini di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell'articolo 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici adottato in attuazione della legge 28 gennaio 2016, n. 11. L'omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l'illegittimità delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale. È altresì inammissibile l'impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli atti procedimentali privi di immediata lesività»;

   tale previsione comporta, fra l'altro, un incremento sensibilissimo delle spese del contributo unificato in materia di appalti di lavori pubblici, con ricadute negative sul pieno esercizio del diritto di difesa di cui agli articoli 24 e 113 della Costituzione;

   a proposito del sopracitato articolo 204 del decreto legislativo n. 50 del 2016 in tema di immediata impugnazione delle ammissioni ed esclusioni alle pubbliche gare anche il Consiglio di Stato, nel rendere il parere n. 855 del 2016 in sede di emanazione del codice degli appalti, ha posto in luce l'esigenza di rimodulare il contributo unificato per non ledere «il valore costituzionale e sovranazionale dell'effettività della difesa», considerato l'onere di immediata impugnazione che grava le parti con tempi stretti e ulteriori costi processuali;

   similmente, anche la Corte di giustizia dell'Unione europea (quinta sezione), con sentenza del 6 ottobre 2015, se ha ritenuto non ostativa alle direttive comunitarie in materia di appalti la legge nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari all'atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici, ha, nondimeno, inteso precisare che spetta al giudice nazionale accertare che gli oggetti dei ricorsi presentati in uno stesso procedimento siano effettivamente distinti ovvero costituiscano un ampliamento considerevole dell'oggetto della controversia già pendente, dispensando l'amministrato dall'obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi;

   in varie occasioni l'Unione nazionale avvocati amministrativisti ha denunciato come l'abnorme appesantimento dei costi di giustizia in materia di appalti abbia prodotto una verticale discesa del ricorso alla giustizia, con i relativi rischi sotto il profilo dei controlli di legalità sugli appalti pubblici, nonché sul gettito complessivo a favore dell'Erario –:

   se il Ministro interrogato intenda fornire i dati relativi al numero di ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato depositati dall'introduzione del comma 2-bis dell'articolo 120 del codice del processo amministrativo, in forza del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, al 30 settembre 2017, nonché i ricorsi giurisdizionali di primo grado e in appello depositati in un periodo della medesima durata da calcolarsi a ritroso rispetto alla vigenza del citato comma bis dell'articolo 120.
(4-18053)


   FASSINA e MARCON. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il 5 aprile 2011 la Commissione europea ha emanato la comunicazione n. 173 inerente al quadro dell'Unione europea e strategie nazionali di integrazioni dei Rom fino al 2020;

   il 23-24 giugno 2011, in sede di Consiglio europeo, lo Stato Italiano, ha sottoscritto la comunicazione n. 173 della Commissione europea in attuazione degli accordi quadro strutturali europei;

   il 10 novembre 2011, il Presidente del Consiglio Berlusconi dava indicazioni al Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei Ciace, istituito dalla legge n. 11 del 4 febbraio 2005, di individuare l'UNAR, l'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio dei ministri, come punto di contatto nazionale per implementare in Italia la comunicazione n. 173 della Commissione europea. Il CIACE viene ridenominato Ciae, Comitato interministeriale per gli affari europei, con la legge n. 234 del 24 dicembre 2012. Esso è convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri;

   il 15 novembre 2011 l'Unar ha emesso il decreto n. 761 recante «Costituzione del Punto di contatto nazionale per le strategie di integrazione dei Rom, Sinti e Caminanti (RSC) in attuazione della Commissione europea 173/2011»;

   il 6 dicembre 2011 l'Unar ha definito le procedure di coinvolgimento della società civile RSC e delle associazioni, anche non riconosciute, volte all'elaborazione della Strategia nazionale di inclusione;

   il 12 dicembre 2011 l'UNAR ha emesso il decreto n. 787, recante «approvazione di un Avviso di manifestazione di interesse per la partecipazione alle Strategie di inclusione dei RSC in attuazione della comunicazione della Commissione dell'Unione europea 173/2011»;

   il 24 febbraio 2012 il Consiglio dei ministri ha approvato la Strategia nazionale di inclusione dei RSC e gli schemi di governance dando formale comunicazione alla Commissione europea;

   il 29 febbraio 2012 l'Associazione nazione Rom (ANR) ha aderito alle procedure di coinvolgimento istituite presso l'Unar adottando lo statuto costitutivo del Consiglio nazionale Rom;

   il 15 giugno 2012 la Presidenza del Consiglio dei ministri inviava, con protocollo MCII 0001995, direttiva ai prefetti della Repubblica, al Ministero dell'interno, al Ministero del lavoro e politiche sociali, al Ministero della giustizia, all'Unar, alla Conferenza delle regioni e delle province, all'Associazione nazionale comuni italiani, avente come oggetto Strategia nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti. In essa si legge: «con la comunicazione n. 173 dello 05/04/2011 recante Quadro dell'UE per le strategie nazionali dei Rom fino al 2020, la Commissione Europea ha affermato l'improcrastinabile esigenza di superare la situazione di emarginazione economica e sociale della principale minoranza d'Europa. Sul territorio saranno definiti Tavoli regionali/locali con la partecipazione di rappresentanti delle Amministrazioni periferiche statali, delle regioni, delle province e dei comuni, nonché con il coinvolgimento delle associazioni e degli enti della società civile impegnati nella tutela delle Comunità dei Rom, Sinti e Caminanti e di rappresentanti delle medesime comunità»;

   ANR è componente istituzionale del tavolo di inclusione dei RSC varato dalla regione Liguria con delibera n. 1348 del 31 ottobre 2013 nel rispetto della strategia nazionale di inclusione e degli schemi di governance. La stessa regione Liguria ha comunicato all'Unar la citata delibera;

   la Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Maria Elena Boschi, è responsabile istituzionale del dipartimento per le pari opportunità e dell'Unar. Essa ha la responsabilità politica istituzionale di implementare e monitorare la concreta applicazione della Strategia nazionale di inclusione RSC e gli accordi strutturali europei;

   per l'inclusione di RSC e senza fissa dimora, nel rispetto degli accordi strutturali europei, il Governo ha presentato due programmi all'Unione europea: il PON inclusione FSE 2014/2020 è stato approvato dalla Commissione europea con decisione di esecuzione 10130 del 17 dicembre 2014, per una cifra complessiva di un miliardo e duecento milioni di euro; il PON Metro 2014-2020 è stato approvato dalla Commissione europea con decisione di esecuzione n. 4998 del 14 luglio 2015, valore economico di 894 milioni di euro;

   con la deliberazione n. 117 del 16 dicembre 2016, della giunta capitolina, si è dato avvio all'istituzione del tavolo cittadino per l'inclusione delle popolazioni RSC, un tavolo esclusivamente consultivo, dal quale sono esclusi i RSC. Componenti del tavolo sono tra gli altri, l'assessorato alla persona, scuola e comunità solidale, il vice capo di gabinetto, i presidenti dei municipi, i direttori dei dipartimenti politiche sociali, sussidiarietà e salute, servizi educativi e scolastici, politiche delle famiglie e dell'infanzia, rappresentanti del Corpo di polizia locale. Al tavolo, sono altresì invitati a partecipare i rappresentanti dei Ministeri interessati, della prefettura, delle forze dell'ordine, delle Aziende sanitarie locali e dei centri per l'impiego;

   il 22 settembre 2017, Marcello Zuinisi legale rappresentante ANR, si è rivolto, al comando carabinieri per la tutela della salute, denunciando una emergenza sanitaria in atto a Roma Capitale, Campo Rom di Castel Romano, richiedendo attività ispettiva e di polizia giudiziaria;

   sono 1076 i cittadini residenti a Castel Romano che vivono ed affrontano una situazione drammatica: sono accertate e conclamate decine e decine di casi di scabbia, rogna, epatiti, leucemie, leptospirosi. In cinque anni, nella stessa area, sono decedute 63 persone a seguito delle inumane condizioni igienico/sanitarie;

   gli impianti fognari, già messi sotto sequestro, nel febbraio 2017, dal vice comandante della polizia municipale di Roma Capitale Lorenzo Botta, sono recentemente esplosi invadendo tutta l'area ed una riserva naturale adiacente al campo;

   da cinque mesi non viene garantita l'erogazione dell'acqua e da venti giorni è, inoltre, interrotta l'erogazione di energia elettrica;

   le drammatiche situazioni igienico/sanitarie, denunciate dalla stessa Asl Roma 2, da ben due anni, sono rimaste di fatto completamente inascoltate dall'amministrazione della sindaca Raggi. La polizia municipale chiamata ad affrontare giornalmente l'emergenza denuncia, tramite i propri sindacati, la propria inadeguatezza ad intervenire in modo appropriato –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda intraprendere per salvaguardare, garantire, promuovere e tutelare la salute dei cittadini del campo Rom di Castel Romano, come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività;

   quale stanziamento, ricevuto attraverso il Pon inclusione e il Pon metro 2014-2020, sia stato previsto e pianificato per garantire la chiusura e il superamento del campo Rom di Castel Romano.
(4-18055)


   MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, TERZONI, ZOLEZZI e D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la Provincia di Barletta – Andria – Trani, con la Determinazione dirigenziale protocollo n. 1016 del 25 agosto 2017, ha concluso positivamente la conferenza di servizi in ordine all'allargamento della discarica sita in contrada Tufarelle in agro Minervino Murge gestita dalla società Bleau s.r.l.,

   la capacità della discarica diventa così di oltre 2 milioni di metri cubi, una volumetria sproporzionata a cui non è possibile applicare la procedura relativa agli ampliamenti di discariche preesistenti;

   l'impianto, essendo destinata allo smaltimento di rifiuti speciali, è sovradimensionato per il soddisfacimento della produzione dei rifiuti della Puglia, rischia pertanto di ricevere rifiuti speciali da altre regioni;

   la zona di Minervino Murge e Canosa di Puglia rappresentano un'area agricola di pregio con importanti produzioni ortofrutticole, vitivinicole ed olivicole, che rischiano di essere danneggiate;

   la discarica sorge in un'area classificata dall'Enea di Roma, già nel 1994, come sito inquinato da rifiuti tossici e nocivi soggetta a ripristino ambientale;

   il comune di Canosa di Puglia ha espresso, sotto il profilo urbanistico e ambientale, dissenso motivato;

   il territorio risulta sovraccarico di impianti per rifiuti speciali, oggetto di numerose indagini della magistratura, volte ad accertare eventuali fonti di contaminazione sugli aspetti ambientali;

   attualmente, in zona, insistono:

    la discarica di rifiuti speciali non pericolosi di Bleu s.r.l.;

    una discarica di rifiuti speciali della ditta Co.be.ma. per una capacità autorizzata di 200.000 metri cubi e per una estensione di 24.720 metri quadrati circa, attualmente chiusa, interessata da un procedimento di infrazione europea e per la quale al momento non risulta essere stato avviato l'iter di post gestione;

    un impianto di stoccaggio e trattamento rifiuti liquidi speciali della ditta S.ol.v.i.c. di Canosa per una capacità massima di 216.000 metri cubi e per una estensione di 133.640 metri quadri circa che, in quanto detiene reflui liquidi stoccati in vasche interrate, è equiparabile ad una discarica ai sensi dell'articolo 2, del decreto legislativo n. 36 del 2003;

   esistono le prescrizioni ostative di cui al par. 16.2 del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali in Puglia (P.R.G.R.S.), da ultimo aggiornato con D.g.r. n. 1023 del 2015, che con riguardo alla localizzazione dei nuovi impianti o le modifiche sostanziali agli impianti esistenti, per lo smaltimento e il recupero di rifiuti speciali pericolosi e non, impone il rispetto del seguente criterio («escludente»): «6) localizzazione impianti ... ad una distanza sufficiente da quelli esistenti che consenta di distinguere e individuare il responsabile di un eventuale fenomeno di inquinamento, al fine di assicurare un'elevata protezione dell'ambiente e controlli efficaci, nel rispetto del principio comunitario “chi inquina paga”»;

   lo stesso piano regionale di gestione dei rifiuti speciali in Puglia definisce, secondo un «differente grado di prescrizione derivante dalle caratteristiche dell'area considerata», i criteri di localizzazione degli impianti tra cui, per quel che rileva, quello «escludente» caratterizzato da: «preesistenza di discariche a distanza tale da non consentire l'individuazione del responsabile dell'eventuale inquinamento»;

   l'area in questione dista meno di 150 metri dall'impianto di discarica esistente e quest'ultima non ha soluzioni di continuità con l'impianto di smaltimento dei reflui liquidi pericolosi della S.ol.v.i.c. e, da questo, con la discarica per rifiuti speciali Co.be.ma.

   Il comune di Canosa di Puglia, in persona del sindaco pro tempore Roberto Morra, ha proposto opposizione ex articolo 14-quinquies, della legge n. 241 del 1990 al Presidente del Consiglio dei ministri –:

   quale esito abbia avuto l'opposizione proposta dal comune di Canosa di Puglia di cui in premessa, alla luce delle evidenti criticità segnalate sul piano ambientale e sanitario incluso il rischio di incorrere in una eventuale nuova procedura di infrazione europea.
(4-18071)


   BRIGNONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riferito all'interrogante dal signor S.C., di nazionalità italiana e residente a Houston (USA), la compagna, J.M.S. madre del loro figlio di quattro anni, avrebbe rivelato – dopo oltre cinque anni di convivenza –, di essere nata e cresciuta, fino al compimento dei sedici anni di età, nella setta religiosa Children of God (Figli di Dio) nota alla cronaca per gravi atti di violenze e pedofilia;

   tale rivelazione avrebbe permesso al signor S.C. di far luce su molti comportamenti messi in atto dalla signora J.M.S. su se stessa e sul figlio, sino a determinare la rottura della loro relazione;

   all'insaputa del signor S.C., nell'aprile 2017, la signora J.M.S. lasciava l'abitazione familiare portando con sé il figlio per andare a vivere con la sorella e genitori;

   il 7 aprile 2017, il signor S.C. si rivolgeva a un legale, poiché a causa delle rivelazioni sull'appartenenza alla setta dell'ex compagna e in seguito alla scoperta delle accuse che gravano sul patrigno, chiedeva l'affidamento primario del bambino;

   infatti, l'avvocato, svolgendo una breve ricerca on-line, avrebbe trovato un sito dove veniva riportato che il padre della signora J.M.S., Ph.S. era conosciuto come un noto pedofilo quindi, preoccupato per il figlio, il signor S.C. si rivolgeva all'Associazione Child Protective Service (CPS) e al FBI; per il signor S.C. è stato impossibile avere ogni tipo di confronto o incontro con l'ex compagna che si sarebbe rifiutata di parlare e collaborare, continuando a negare ogni accusa e dubbio;

   i genitori della signora J.M.S., venuti a conoscenza delle accuse di pedofilia da parte del signor S.C., avrebbero abbandonato l'abitazione facendo perdere le proprie tracce;

   il signor S.C., incaricando un investigatore privato, sarebbe riuscito a rintracciarli e portarli a deporre nella sede giudiziarie;

   nonostante abbiano ammesso la loro appartenenza alla setta religiosa Children of God negli anni passati, negavano ogni responsabilità da violenze e pedofilia;

   dopo alcune settimane dalla deposizione, il signor S.C. rintracciava una delle vittime del patrigno della signora J.M.S.;

   sempre secondo quanto riferito dal signor S.C., la deposizione della vittima, avvenuta a maggio 2017, avrebbe fatto emergere particolari sconvolgenti confermando l'enorme rischio del figlio del signor S.C. nell'essere esposto a quella famiglia, inclusa la signora J.M.S., che ha sempre difeso i genitori, anche di fronte all'evidenza;

   la signora J.M.S., viste le accuse e le prove, avrebbe chiesto una restrizione per il patrigno Ph.S. nei confronti del proprio figlio, pur di tenere l'argomento al di fuori della Corte;

   la signora J.M.S., a luglio 2017, avrebbe chiesto una restrizione totale nei confronti dei suoi genitori nel vedere il nipote fino al compimento dei diciotto anni, evitando così che il tribunale approfondisse l'argomento concernente la loro appartenenza alla setta e a tutte le realtà a essa collegate (pedofilia, violenze, promiscuità sessuali anche tra componenti della stessa famiglia);

   il giudice, accogliendo la richiesta, lasciava l'affidamento prevalente del figlio alla signora J.M.S. e consentiva al signor S.C. di poterlo tenere con se dieci giorni/mese;

   il minore è cittadino italiano, ma la sentenza nega al signor S.C. di viaggiare all'estero con lui, impedendo quindi di visitare la famiglia paterna residente in provincia di Ancona –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;

   se non ritengano opportuno adoperarsi, per quanto di competenza, in relazione alla vicenda di cui in premessa, poiché un minore italiano potrebbe essere coinvolto in uno Stato estero in sette religiose responsabili di fatti di pedofilia;

   se non ritengano di dover intervenire tempestivamente in aiuto del signor S.C., cui è negata la possibilità di poter rientrare in Italia con il proprio figlio minore, anch'esso cittadino italiano.
(4-18078)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PREZIOSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'importante risultato acquisito dall'azione di Governo in merito al crollo degli sbarchi di profughi provenienti dal Nord Africa non deve indurre a sottovalutare quanto accade all'interno dei campi profughi presenti prevalentemente in territorio libico;

   la Libia è oggi una priorità dell'Unione europea e in questo ambito, anche attraverso il coinvolgimento delle Nazioni Unite, come ha sostenuto l'Alto rappresentante per gli affari esteri dell'Unione europea, Federica Mogherini, va individuata un'azione in grado di coniugare stabilità del Paese e rispetto dei diritti umani;

   è noto che la gestione dei campi profughi sia di spettanza delle milizie libiche e non di organizzazioni non governative né tantomeno di organizzazioni internazionali, quali Oim e Unhcr;

   è tuttavia evidente che l'incremento del numero delle persone presenti all'interno dei campi rischia di tradursi in vera emergenza;

   pertanto alla diminuzione degli sbarchi deve corrispondere un'adeguata attenzione anche degli organismi internazionali sulle condizioni di vita all'interno dei campi profughi, attenzione che doveva essere pretesa anche a fronte degli aiuti corrisposti –:

   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere per superare l'attuale gestione dei campi profughi in Libia, con il coinvolgimento dell'Unione europea e delle altre organizzazioni internazionali, ma anche valutando la possibilità di organizzare dei corridoi umanitari per le persone che hanno diritto allo status di rifugiato;

   se sia possibile, a fronte dei consistenti interventi economici, assumere iniziative per prevedere dei controlli diretti (o attraverso organismi internazionali), finalizzati al rispetto dei diritti umani, obiettivo che si potrà raggiungere pienamente solo con la chiusura degli attuali campi e con la costruzione di luoghi che rispondano agli standard internazionali, contribuendo così alla presa in carico di questa emergenza umanitaria.
(5-12377)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   dal mese di luglio 2017, gli abitanti della area del comune di Marano di Napoli (Na) che si estende nelle adiacenze del sito di via Cupa del Cane, stanno lamentando odori nauseabondi e miasmi insopportabili provenienti dal sito. La salute dei cittadini che abitano le zone limitrofe è messa in serio pericolo;

   nel, sito è costante la presenza di «fumarole» rispetto alle quali il commissario, straordinario del comune di Marano di Napoli ha dovuto effettuare, in due occasioni, un riporto di terreno. Lo stesso commissario si è formalmente rivolto all'A.r.p.a.c., all'Asl ed alla regione Campania esponendo la situazione;

   ad innescare tutto (miasmi, odori nauseabondi di plastiche bruciate) è stato un incendio verificatosi il 12 luglio 2017 sulla parte superficiale della cava che ha raggiunto in profondità i materiali altamente infiammabili, rifiuti fatti depositare nel corso degli anni dalle amministrazioni locali che si sono succedute nel tempo;

   come se non bastasse, non si arresta, lo sversamento di rifiuti nel sito;

   trattasi di amianto, spazzatura, materiale di risulta, spesso dato anche alle fiamme. I controlli sono scarsi (la strada è per metà di competenza del comune di Marano e per l'altra del comune di Napoli) e le telecamere sono assenti (http://www.ilmattino.it) –:

   se siano a conoscenza della situazione sopra descritta e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere per risolvere la grave situazione in cui si trova l'area abitata limitrofa al sito per tutelare la salute degli abitanti della zona;

   se stiano monitorando la situazione di inquinamento delle zone poste a confine del detto sito e se al riguardo, si intenda promuovere una verifica da parte del comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente che consenta di ottenere un quadro della zona limitrofa allo stesso sito, con specifico riguardo alla qualità dell'aria e dei terreni, anche in considerazione dei rifiuti smaltiti all'interno della cava e degli inquinanti che possono essere stati rilasciati al suolo;

   se si intenda fare in modo che venga montato un congruo numero di telecamere a protezione del sito;

   se non si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario straordinario del comune di Marano, per i mettere in sicurezza il sito e le zone limitrofe danneggiate dal percolato nella rispetto della salute dei cittadini.
(4-18040)


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con la sentenza n. 4611 del 13 aprile 2017 la II sezione civile del Tar del Lazio ha dichiarato l'illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonostante la diffida inviata il 12 maggio 2016, rispetto all'obbligo su di esso gravante di concludere il procedimento volto alla definizione dei criteri per l'assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, mediante l'adozione di apposito decreto ex articolo 195, comma 2, lettera e) del decreto legislativo n. 152 del 2006 e condannando l'amministrazione all'adozione dei conseguenti provvedimenti;

   la predetta sentenza ha dichiarato altresì l'obbligo del predetto Ministero di concludere il procedimento menzionato nella diffida adottando, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, il decreto che fissi i criteri per l'assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani nel termine di giorni 120 dalla comunicazione, in via amministrativa, o dalla notifica, ad istanza di parte, della presente sentenza;

   i 120 giorni risultano abbondantemente trascorsi senza che da parte dei Ministeri vi sia stata la pubblicazione di alcun decreto atto ad ottemperare a quanto stabilito dal Tar. Esiste una bozza di testo la quale, allo stato attuale, non fissa alcun criterio uniforme ed oggettivo su tutto il territorio nazionale e non stabilisce un limite quantitativo omogeneo ai rifiuti assimilabili –:

   se i Ministri interrogati intendano dare seguito alla sentenza del Tar Lazio ed eventualmente in quali tempi;

   se i Ministri interrogati intendano prevedere nel decreto di cui in premessa la fissazione di limiti quantitativi oggettivi ed uniformi su tutto il territorio nazionale per quanto concerne l'assimilabilità dei rifiuti speciali agli urbani.
(4-18049)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il comma 2 dell'articolo 2 della legge del 5 gennaio 2017, n. 4 «Interventi per il sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze geologiche», autorizza la spesa di un milione di euro per l'anno 2016 e di due milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018, a seguito di appositi bandi pubblici emanati, con cadenza annuale per ciascuno degli anni del triennio, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per i progetti di ricerca presentati dalle università e dagli enti pubblici di ricerca e finalizzati alla previsione e alla prevenzione dei rischi geologici;

   il Governo, rispondendo all'interrogazione n. 5-10992 del primo firmatario del presente atto, ha dichiarato che «in data 6 febbraio 2017, allo scopo di dare operatività alla predetta normativa, il Ministero dell'ambiente ha già richiesto al Ministero dell'economia e delle finanze l'istituzione nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'ambiente di uno specifico capitolo di spesa ove far affluire le risorse e avente ad oggetto: “spese per il finanziamento dei progetti di ricerca presentati dalle Università e dagli enti pubblici di ricerca finalizzati alla previsione e alla prevenzione dei rischi geologici”»;

   tuttavia, agli interroganti risulta che ancora l’iter di emanazione dei bandi sia lontano dalla conclusione, situazione aggravata dal fatto che sono ormai trascorsi due dei tre anni previsti dalla legge –:

   quale sia lo stato dell’iter dei bandi richiamati in premessa e se si intendano prevedere le somme per il loro finanziamento nell'imminente disegno di legge di bilancio.
(4-18068)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GHIZZONI, ASCANI, MANZI, RAMPI, BONACCORSI, NARDUOLO, SGAMBATO, IORI, CRIMÌ e D'OTTAVIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il comma 3 dell'articolo 68 della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di diritto d'autore stabilisce «il divieto di riproduzione di spartiti e partiture musicali»;

   tale divieto assoluto di riproduzione di spartiti musicali è stato spesso oggetto di interpretazione a causa della natura del bene e delle diverse applicazioni delle norme sul diritto d'autore;

   la legge 4 agosto 2017, n. 124 — ha modificato, all'articolo 1, commi 171 e 172, due norme del 22 codice dei beni culturali e del paesaggio (già modificati nel 2014 dal decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 cosiddetto Art Bonus) semplificando ulteriormente la riproduzione dei beni culturali, in particolare estendendo le ipotesi in cui la stessa non necessita di autorizzazione e ampliando i casi in cui non è dovuto alcun canone; in particolare si inserisce, tra le ipotesi nelle quali non è dovuto alcun canone per le riproduzioni, quelle eseguite direttamente da privati per uso personale o per motivi di studio e si estende, inoltre, la riproduzione libera — a determinate condizioni — ai beni finora esclusi, cioè quelli bibliografici e archivistici, fatta eccezione per i beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità in ragione del loro contenuto sensibile;

   la nuova normativa parrebbe estendersi anche ai beni bibliografico-musicali, per i quali però esistono problematiche specifiche, in quanto oltre al diritto d'autore essi comportano anche i cosiddetti diritti connessi;

   le biblioteche e, in generale, gli istituti di conservazione di partiture e spartiti musicali rispetto alla riproduzione e ora anche alla libera riproduzione non presentano un indirizzo comune e in seguito all'approvazione delle suddette norme, in vigore dal 29 agosto 2017, hanno posto diversi dubbi interpretativi;

   inoltre, la circolare n. 14 emanata il 21 settembre dalla direzione generale biblioteche non fa cenno al bene bibliografico-musicale;

   il 60 per cento del patrimonio mondiale dei beni musicali risulta custodito in Italia –:

   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per fornire chiarimenti interpretativi in ordine alle norme contenute nella legge 4 agosto 2017, n. 124, al fine di consentire la libera riproduzione di spartiti e partiture musicali — manoscritti e a stampa — alla luce delle restrizioni attualmente vigenti disposte dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, che di fatto stabilisce il divieto alla riproduzione anche per il materiale bibliografico musicale escluso dal diritto d'autore;

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno costituire un apposito gruppo di studio per approfondire le diverse istanze — dei ricercatori, degli autori e delle istituzioni di conservazione — e approdare ad una sintesi normativa che tuteli le opere e il diritto d'autore e consenta altresì la massima diffusione delle ricerca in campo musicale e musicologico.
(5-12392)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA, CRIPPA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   come si legge sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali del turismo, la Dogana dei Grani di Atripalda (Avellino), costruita nel 1883 e attualmente in comodato d'uso alla Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici, dal 1993 è «un museo contenitore adibito a custodire i manufatti storico artistici recuperati sul territorio a seguito del sisma del 1980 nell'azione di tutela tesa ad evitare la dispersione, il furto o il deperimento delle opere d'arte»;

   in data 2 ottobre 2017 il primo firmatario del presente atto ha effettuato una visita all'interno della Dogana dei Grani, riscontrandone uno stato di abbandono;

   a parere degli interroganti, tra sistemi anti-incendio mai collaudati, locali semi-vuoti ed opere d'arte impolverate e per nulla valorizzate, la struttura non si trova nelle condizioni di assolvere alla funzione museale ed espositiva attribuita dallo stesso Ministero;

   all'interno della Dogana sono allocate, tra l'altro, otto statue in origine collocate nella Dogana di Avellino, dal valore inestimabile, completamente abbandonate e in condizioni precarie –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza, anche di carattere economico-finanziario intenda valutare di porre in essere, anche per il tramite della Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici di Salerno e Avellino, al fine di garantire la valorizzazione culture della Dogana dei Grani di Atripalda e di restituirle la sua funzione di museo, ad oggi impossibile da assolvere in maniera soddisfacente per il territorio.
(4-18031)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   secondo la nota stampa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del 21 settembre 2017, «la Conferenza Unificata Stato-Regioni e il Consiglio Superiore dei beni Culturali hanno dato parere favorevole al piano strategico “Grandi progetti beni culturali” proposto dal Ministro interrogato. Il piano, che prevede investimenti per 65 milioni di euro per il restauro e la valorizzazione di musei e aree archeologiche, biblioteche, poli museali e attrattori culturali» destina 4 milioni di euro al restauro ed alla valorizzazione del parco del comprensorio del castello di Miramare;

   nell'articolo del 22 settembre 2017, il Piccolo di Trieste ha informato che «il Parco verrà radicalmente restaurato a partire dal 2019, dopo anni di polemiche sulle sue cattive condizioni. I lavori saranno finalizzati a ridisegnare e restaurare tutto il comprensorio, risolvendo i problemi e impiantando in modo filologico essenze e fiori utilizzati dai giardinieri di Miramare ai tempi di Massimiliano d'Asburgo.»;

   il primo firmatario del presente atto ha già affrontato la questione delle condizioni del Parco con le interrogazioni: n. 4-00897, n. 4-08760, n. 5-06613, n. 4-10833 n. 5-06847, n. 5-07202, n. 5-07240, n. 5-07297, n. 4-12216, n. 4-12217, n. 4-12877, n. 5-08816, n. 5-10545, n. 5-11789, n. 4-17909;

   nell'interrogazione n. 5-07089 è stata ricordata la mostra intitolata «Il Parco di Miramare e le condizioni di degrado» organizzata dalla sede di Trieste di Italia Nostra con l'Unione degli Istriani, l'Associazione Orticola del Friuli Venezia Giulia e la collaborazione dell'ingegner Stefania Musco, nella quale è stato illustrato lo stato complessivo di decadenza del parco al fine di portare l'attenzione sui problemi irrisolti e di interrogarsi sui modi per ridargli il decoro e l'identità perduti;

   infine, con l'interrogazione n. 5-07153, si è trattato «dell'accordo di programma ed un finanziamento congiunto Stato-regione, sottoscritti in data 4 gennaio 2012 secondo tre linee di intervento: parco del Castello (1.000.000 di euro), serre storiche (200.000 euro) e l'area delle serre nuove (600.000 euro)»; al riguardo si è sollecitato il Ministro «affinché predisponesse la pubblicazione dettagliata e puntuale dello stato di avanzamento degli interventi previsti dall'accordo di programma soprattutto inserendola in una programmazione ordinaria e straordinaria dei lavori di manutenzione e di corretta gestione di cui necessita il Parco di Miramare»;

   con il decreto interministeriale n. 328 del 2016 il Castello ed il Parco di Miramare sono stati riconosciuti quali organismi dotati di autonomia speciale, caratterizzati, in base al decreto ministeriale 23 dicembre 2014, da una struttura gestionale particolare, attribuita ad un direttore individuato attraverso un bando internazionale, un consiglio di amministrazione ed un comitato scientifico con funzione consultiva;

   dopo la conclusione della selezione pubblica per l'individuazione del nuovo direttore il 22 giugno 2017 si è insediata Andreina Contessa quale nuova direttrice del museo storico e del parco del castello di Miramare –:

   se il Ministro intenda chiarire secondo quali indirizzi e priorità saranno utilizzati i fondi del piano strategico destinati al restauro ed alla valorizzazione del parco storico del Castello di Miramare di Trieste;

   se e quali studi e proposte sul recupero del parco già realizzati verranno utilizzati per la progettazione e per la successiva manutenzione ordinaria e se saranno coinvolte, ed in quali modalità, le professionalità competenti in materia di parchi storici;

   se sia a conoscenza degli esiti dei lavori previsti per il parco con l'accordo di programma del 2012.
(4-18039)


   ASCANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   come noto, la legge 11 dicembre 2016, n. 232, legge di bilancio 2017, ha esteso ai giovani che compiono 18 anni nel 2017 il bonus, già introdotto dalla legge di stabilità 2016, che consente l'acquisto di musica registrata, corsi di musica, di teatro, lingua straniera, nonché l'ingresso ai musei, teatri, siti archeologici, altri eventi culturali e simili. Trattasi della misura che ha preso il nome di card cultura per i giovani (o bonus 18 anni), poiché la fruizione dell'importo erogato può avvenire attraverso una card del valore complessivo di 500 euro, spendibile online, dai ragazzi che abbiano compiuto 18 anni nell'anno indicato dal legislatore;

   secondo quanto riportato dalle fonti stampa (tra le tante: La Repubblica) che riprendono i dati ministeriali, solo il 61 per cento dei ragazzi classe ’98 (poco più di 351 mila ragazzi in totale), ha fatto accesso alla card; conseguentemente, è stato registrato un avanzo di 114 milioni sui 290 milioni di euro complessivamente stanziati per la misura, con circa la metà dei bonus prenotati ancora da spendere, corrispondente ad un importo di circa 90 milioni di euro;

   i risparmi che si sarebbero registrati all'interno del sistema erano prevedibili già all'introduzione della misura tant'è che, con apposito ordine del giorno 9/03444-A/016, a prima firma dell'interrogante e sottoscritto da diversi deputati, è stato impegnato il Governo pro tempore affinché i fondi non utilizzati fossero destinati al «Fondo per il contrasto della povertà educativa» previsto nella legge 28 dicembre 2015, n. 208, legge di stabilità 2016 (la medesima che ha istituto la card cultura per i giovani);

   il fondo sopra citato è stato costituito grazie ad un accordo tra Fondazioni di origine bancaria e il Governo, con l'avvio dei primi due bandi dedicati alla prima infanzia (0-6 anni) e all'adolescenza (11-17 anni). Le due iniziative, rivolte a organizzazioni del terzo settore e mondo della scuola, hanno l'obiettivo di mettere in campo progetti di contrasto alla povertà educativa minorile. Tuttavia, le medesime fonti che forniscono i dati sopra elencati non menzionano gli avanzi della card cultura per i giovani quale voce di finanziamento del «Fondo per il contrasto della povertà educativa» come, viceversa, il Governo pro tempore si era impegnato a fare accogliendo l'ordine del giorno 9/03444-A/016 –:

   se trovino conferma le notizie citate ed, eventualmente, quali iniziative intenda assumere per dare seguito a quanto previsto nell'ordine del giorno 9/03444-A/016 accolto dal Governo pro tempore.
(4-18042)


   POLVERINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   in una recente interrogazione a risposta scritta al Ministro interrogato (interrogazione n. 4-1729) si documentano le pessime condizioni in cui versa il sito di Palazzo Reale, lo storico edificio ubicato in Piazza del Plebiscito, nel centro di Napoli;

   il grave degrado in cui si trova questo storico monumento è documentato dalla presenza di rifiuti in più punti, di numerosi bidoni colmi di sporcizia che esonda da tutte le parti e da condizioni igienico-sanitarie generali indecenti;

   le associazioni ed i comitati civici si stanno battendo, insieme all'interrogante, per l'avvicendamento immediato del Soprintendente Luciano Garella, che ha palesato più volte inadeguatezza ed incapacità nel ricoprire un ruolo così delicato;

   un nuovo sconvolgente particolare relativo alla spazzatura presente nei dintorni di Palazzo Reale conferma, ove ce ne fosse bisogno, quella che appare all'interrogante come la pessima gestione dell'attuale Soprintendenza;

   pochi giorni fa, infatti, il Comitato Civico Portosalvo, presieduto da Antonio Pariante, ha realizzato un dossier fotografico che documenta la presenza di faldoni che conterrebbero documentazioni e pratiche della stessa Soprintendenza, proprio nei cumuli di rifiuti, cartacce gettate alla rinfusa e materiali ammonticchiati a due passi dall'ingresso della Biblioteca nazionale e all'interno dei cortili storici del palazzo;

   il dossier fotografico è stato inviato per conoscenza anche al Ministro interrogato anche perché si tratta di un comportamento che si pone in contrasto con la normativa vigente, secondo la quale non è permesso gettare qualsivoglia documentazione della Soprintendenza nella spazzatura;

   tutto ciò che fa parte dell'archivio della Soprintendenza, infatti, deve seguire un preciso iter per essere smaltito e non si può assolutamente trattare documentazione, rilevante o non, alla stregua di cartacce, dal momento che si tratta comunque di dati sensibili che potrebbero essere prelevati da chiunque;

   è stato più volte ribadito che lo status quo desolante in cui versa tutta l'area della villa comunale rappresenta una ferita aperta per la città di Napoli e, dal momento che per l'interrogante se ne conoscono i responsabili e chi non è in grado di fronteggiare questa situazione, è inevitabile l'avvicendamento urgente degli stessi –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza degli ultimi sviluppi della vicenda che riguarda la presenza di rifiuti all'interno e all'esterno dell'area in cui sorge Palazzo Reale, situazione più volte denunciata dall'interrogante e se non intenda adottare le iniziative più urgenti per l'avvicendamento del Soprintendente Luciano Garella, che, a giudizio dell'interrogante si è macchiato dell'ennesimo caso di mala gestione relativo al ritrovamento di faldoni e pratiche che apparterrebbero alla stessa Soprintendenza nella spazzatura.
(4-18044)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con l'articolo 30-quinquies del decreto «Sblocca Italia», introdotto durante l'esame al Senato, veniva ad essere modificato l'articolo 45, comma 2, della legge 23 luglio 2009, n. 99, con la soppressione delle parole: «nonché dalle attività di rigassificazione anche attraverso impianti fissi offshore»;

   con tale disposizione erano pertanto esclusi gli impianti fissi offshore da quelli la cui presenza all'interno di un territorio regionale consente ai residenti di poter beneficiare del cosiddetto «bonus carburante»;

   infatti, con il comma 2 dell'articolo 45 della legge n. 99 del 2009, era stato costituito un apposito fondo presso il Ministero dello sviluppo economico preordinato alla riduzione del prezzo alla pompa dei carburanti per i residenti nelle regioni interessate dalla estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi, nonché dalle attività di rigassificazione «anche attraverso impianti fissi offshore»;

   con il decreto ministeriale emanato, per l'attuazione delle disposizioni previste dal predetto articolo 45, dal Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico del Governo Berlusconi in data 12 novembre 2010, era stata ritenuta «la necessità di circoscrivere il godimento del beneficio ai cittadini maggiorenni residenti nelle regioni su cui insistono le attività estrattive interessate dall'aumento delle aliquote» di prodotto della coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi;

   la regione Veneto, stante la presenza del rigassificatore Adriatic Lng, in mare Adriatico, al largo di Porto Viro (Rovigo), con una capacità produttiva di otto miliardi di metri cubi annui, corrispondenti al 10 per cento del fabbisogno nazionale di gas naturale, ha impugnato il predetto decreto ministeriale ed anche il successivo decreto in data 21 febbraio 2011;

   con sentenza n. 4134/2013 il Consiglio di Stato ha poi riconosciuto il «bonus idrocarburi» anche per i cittadini veneti, in quanto nella sentenza si legge testualmente: «va riconosciuta una compensazione sotto forma di minor costo del carburante a tutti i residenti delle regioni che sopportano la presenza di impianti di elevato impatto ambientale a vantaggio dell'intera collettività»; una seria politica energetica non può non prendere in considerazione anche il tema delle compensazioni in favore delle popolazioni residenti nelle aree che ospitano impianti di rigassificazione, strategici per l'Italia:

   in sede di conversione in legge del decreto «sblocca Italia» alla Camera, recependo un ordine del giorno a prima firma «Crivellari», il Governo pro tempore prese l'impegno in aula (con il viceministro De Vincenti) di correggere la norma dell'articolo 30-quinquies e di reintrodurre un meccanismo agevolativo destinato alle regioni interessate dalle attività di rigassificazione, come il Veneto, anche attraverso impianti off-shore, «che assicuri un analogo impatto finanziario e sia in coerenza con le linee fondamentali della strategia energetica nazionale»;

   dopo circa due anni, in sede di esame della legge di stabilità 2016, l'emendamento 27.211 a prima firma «Santini» fu ritirato al Senato in Commissione bilancio in relazione a un nuovo impegno del viceministro pro tempore Morando a trovare «una soluzione tecnico-amministrativa» per il bonus destinato alle attività di rigassificazione in Conferenza Stato-regioni –:

   quali siano gli intendimenti del Governo in materia e i tempi previsti per la soluzione tecnico-amministrativa della questione «bonus carburanti» per i cittadini del Veneto e del Polesine.
(3-03296)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARCO DI MAIO e LATTUCA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito dalla legge n. 96 del 2017, contiene varie disposizioni finalizzate a dare concreta attuazione alla legge di bilancio per il 2017 e agli accordi assunti dal Governo con gli enti locali;

   tra queste disposizioni ve ne sono alcune che interessano il comparto delle province e delle città metropolitane e che consentono di gestire una fase finanziaria provvisoria e delicata;

   appare inevitabile e non più rinviabile un intervento per modificare ruolo e funzioni delle province delle regioni a statuto ordinario alla luce del risultato del referendum del 4 dicembre 2016, che ha «bocciato» la riforma costituzionale che avrebbe abolito le province;

   in tale contesto, per il 2017 e il 2018 è stato aumentato il finanziamento per l'esercizio delle funzioni fondamentali delle province fino a 180 milioni di euro e confermato quello di 80 milioni di euro a decorrere dal 2019. Per la medesima finalità sono stati attribuiti 12 milioni di euro alle città metropolitane per ciascuno degli anni 2017 e 2018, tenendo conto che dal 2019 non sarà più dovuto il contributo di 516,7 milioni di euro annui di riduzione della spesa corrente richiesto, anche per gli anni 2017 e 2018, ai sensi dell'articolo 47, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89;

   inoltre, per l'anno 2017, sono stati autorizzati contributi di 170 milioni di euro per l'attività di manutenzione straordinaria delle strade provinciali e 79 milioni di euro finalizzati agli interventi sull'edilizia scolastica;

   un contributo di 10 milioni di euro è stato attribuito per il 2017 alle province che hanno dichiarato il dissesto entro il 31 dicembre 2015 e che non sono state escluse dal contributo al risanamento della finanza pubblica;

   è stata introdotta, inoltre, la possibilità di utilizzare i proventi delle contravvenzioni per finanziare oneri relativi alle funzioni di viabilità e polizia locale per migliorare la sicurezza stradale;

   sono state eliminate le sanzioni a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario che non hanno rispettato il vincolo del saldo non negativo tra le entrate e le spese finali nell'anno 2016;

   il decreto-legge n. 91 del 2017 ha stanziato per le province e le città metropolitane delle regioni a statuto ordinario, un contributo complessivo di 100 milioni di euro per l'anno 2017, di cui 72 milioni di euro a favore delle province e 28 milioni di euro a favore delle città metropolitane;

   il provvedimento segnala la volontà di dare risposte concrete che consentano alle province di vivere questa fase di transizione in maniera stabile e definita;

   ciò era richiesto anche dall'Unione delle province italiane e dall'accordo che è intervenuto nella Conferenza Stato-città, nella cui sintesi si invitavano le province a «certificare» lo squilibrio al 30 giugno (data ultima per l'approvazione dei bilanci) con l'intento da parte del Ministero di finanziare in modo puntuale le province in disequilibrio;

   con decreto del presidente della provincia di Forlì-Cesena si è accertato uno squilibrio della situazione corrente annuale 2017 della, provincia di 5,3 milioni di euro;

   la mancanza di risorse ha spinto i dipendenti della provincia di Forlì-Cesena a indire uno sciopero per spiegare ai cittadini l'impatto su servizi e investimenti;

   i servizi scolastici, la manutenzione delle strade e altre competenze di spettanza provinciale, in assenza di adeguati interventi finanziari, non potranno essere garantiti con danno per cittadini e impresa –:

   se e quali iniziative si intendano intraprendere per garantire le risorse necessarie in particolare alle province che, come quella di Forlì-Cesena, presentano un disavanzo previsionale della situazione corrente 2017.
(5-12394)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   da organi di stampa si apprende che la Banca centrale europea (Bce) chiederà agli istituti di credito dell'Eurozona la copertura totale degli Npl (non performing loan): nello specifico questi dovranno portare al 100 per cento gli accantonamenti sui crediti deteriorati di nuova classificazione a partire dal mese di gennaio 2018. La misura interesserà, quindi, anche i crediti deteriorati già presenti nei bilanci degli istituti – che in totale, nella zona euro, sono pari quasi a 1.000 miliardi di euro – nel caso in cui verrà cambiato lo status di questi ultimi da performing loans a non performing loans (poiché la classificazione precedente, a partire dal 1° gennaio 2018, non sarà più rilevante);

   tali nuove istruzioni, sono ora oggetto di pubblica consultazione fino all'8 dicembre 2017;

   la Bce specifica che, per quanto riguarda i crediti deteriorati non garantiti, la copertura deve avvenire entro i due anni, mentre, per quelli garantiti, entro sette;

   la stessa ha poi aggiunto: «si prevede inoltre che le banche motivino di fronte alle autorità di vigilanza qualsiasi scostamento rispetto alla nuova guidance» e che «in base alle spiegazioni delle singole banche, la Bce valuterà se sarà necessario prendere ulteriori misure di supervisione»;

   per quanto riguarda gli Npl già in stock, la Bce richiede che quelle con alti livelli di crediti deteriorati presentino strategie su come intendono ridurre il portafoglio Npl indicando anche dei target precisi entro la prima metà del 2018. «Molte banche hanno già fatto progressi notevoli e sottoposto strategie credibili su come ridurre lo stock – si legge nel documento Bce – tuttavia alcune banche devono migliorare ancora»;

   sicuramente i nuovi provvedimenti avranno effetto anche sulle sofferenze già in essere perché lo stesso istituto di credito europeo ha già richiesto, alle banche che hanno un elevato stock nei bilanci, di presentare nel primo semestre di quest'anno un piano strategico sulla riduzione dei crediti deteriorati e la stessa sessione di vigilanza della Bce potrebbe presentare ulteriori provvedimenti entro la fine del primo trimestre del prossimo anno;

   il piano di rientro sarà progressivo: verrà chiesto alle banche di portare gli accantonamenti al 100 per cento in maniera graduale e lineare e nel caso il credito deteriorato sia in parte garantito e in parte non garantito, la Bce precisa che verrà applicata una tempistica diversa sulle singole porzioni del medesimo Npl. In ogni caso, queste nuove misure avranno degli effetti pericolosi e destabilizzanti sul già debole sistema bancari italiano, di cui sono note le falle e l'instabilità, che persistono anche in seguito alle recenti riforme che, oltre ad essere state insufficienti e frammentate, si sono rivelate spesso anche inique;

   in base ai dati forniti dalla Banca d'Italia, a dicembre 2016, dei 173 miliardi di euro di crediti deteriorati netti, 81 erano classificati come sofferenze, 85 come inadempienze probabili e 7 come esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate; a giugno 2017, Carmelo Barbagallo, capo del dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia fino al 2016, ha affermato che il tasso di incremento delle sofferenze registrato dagli intermediari significativi è stato, in media, superiore al 500 per cento ed è risultato particolar ente elevato (superiore al 350 per cento) anche tra gli intermediari più virtuosi –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere, per quanto di competenza, alla luce dei nuovi provvedimenti della Bce riguardo agli stock di crediti deteriorati, come esposto in premessa, e alla luce dell'elevato numero di Npl presente nei bilanci degli istituti di credito italiani, tenuto conto che tali nuove linee guida potrebbero mettere in seria difficoltà non soltanto i piani industriali e di rientro delle stesse, ma impedire anche l'accesso al credito da parte delle aziende e delle famiglie.
(4-18067)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa si apprende delle falle gravissime sulla protezione dei dati che hanno investito il sistema informatico per la gestione del cosiddetto «spesometro»: dal portale, infatti, è stato possibile accedere, da parte dei contribuenti, alla parte relativa alla consultazione delle ricevute di trasmissione altrui;

   nonostante le rassicurazioni date, la settimana scorsa, dal direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, in sede di audizione presso la Commissione di vigilanza sull'anagrafe tributaria, i sindacati dei commercialisti hanno segnalato la persistenza del problema;

   nella nota congiunta delle sigle sindacali si legge infatti come la situazione fosse rimasta immutata e che «per quanto riguarda il problema del codice fiscale è stato inserito un alert che informa l'utente sul rispetto della normativa sulla privacy e sulle responsabilità connesse agli eventuali abusi che possono essere rilevati»;

   dunque, questo potrebbe far supporre, si legge ancora nella nota, che «la possibilità di accessi indebiti non sia stata tecnicamente bloccata, eppure il servizio è stato nuovamente reso disponibile online». Le sigle sindacali, quindi, hanno chiesto al Ministero dell'economia e delle finanze e all'Agenzia delle entrate «un'immediata verifica ispettiva e, qualora le segnalazioni di irregolarità fossero confermate, la sospensione dell'adempimento fino a quando non saranno messi a disposizione mezzi di trasmissione sicuri». Le stesse hanno chiesto, altresì, che «il Governo comunichi ad intermediari e contribuenti una proroga lunga e ragionevole e la sospensione delle sanzioni tout court»;

   il viceministro dell'economia Casero, dal canto suo, ha dichiarato che sarà concesso un congruo numero di giorni per la trasmissione dei dati, mentre il direttore dell'Agenzia delle entrate ha rassicurato che, dopo l'interruzione di tre giorni, Sogei ha poi ripristinato il servizio e confermato all'Agenzia delle entrate che, dopo gli interventi ed i test eseguiti, non persisteva più nessun problema di privacy;

   da nuove agenzie di stampa, si apprende che, nella giornata di ieri, il sistema ha presentato nuovi intoppi telematici: molti studi professionali si sono visti scartare gli invii effettuati tra le 17 di lunedì e le 10,30 di martedì, senza l'indicazione dell'errore commesso. Come deciso nel nuovo vertice al Ministero dell'economia e delle finanze con l'amministratore delegato di Sogei, questi utenti dovranno quindi rinviare i dati;

   come ha dichiarato il direttore generale di AssoSoftware, questo «oltre a creare disagio e problemi agli utenti, porrebbe un'ombra sul funzionamento del sistema di interscambio che in questo caso non sarebbe stato in grado di elaborare correttamente i dati ricevuti chiedendo all'utente un nuovo invio»;

   si tenga presente che questi rifiuti non motivati si erano già verificati in precedenza, ma in misura contenuta, e l'indicazione che era stata data era di considerare questi invii validi. Ora, invece, l'errore ha riguardato moltissimi gestionali, probabilmente troppi per essere rielaborati;

   il Garante della privacy, ieri mattina, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri per sottolineare l'importanza della tutela dei dati personali durante il processo di trasformazione tecnologica del nostro Paese. In merito, il presidente dei commercialisti Massimo Miani ha dichiarato che «la presa di posizione di Soro certifica di fatto la gravità della situazione creatasi i queste settimane sullo spesometro. Un adempimento sulla cui complessità avevamo immediatamente messo in guardia tutti i nostri interlocutori istituzionali» –:

   se il Ministro interrogato non ritenga imprescindibile, considerati i continui problemi telematici tali da generare un generale clima di incertezza e difficoltà per gli utenti, assumere iniziative per prorogare la scadenza per l'invio dei dati dello spesometro anche oltre il 16 ottobre 2017, data proposta dal Ministero dell'economia e delle finanze, e, soprattutto, sospendere l'irrogazione di qualsiasi tipo di sanzione, dato che l'eventuale mancata trasmissione dei suddetti dati dipende esclusivamente dal malfunzionamento del sistema informatico.
(4-18073)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa recenti (vedasi «Verona sera» dell'11 settembre 2017) si apprende di un nuovo episodio di violenza, tra un detenuto e sette agenti, verificatosi nei giorni scorsi all'interno della casa circondariale di Montorio, a Verona;

   la struttura penitenziaria, come dichiarato anche dal segretario generale del Siulp, Aldo Di Giacomo, ospita all'interno una cinquantina di detenuti in più e oltre 50 agenti in meno rispetto alle previsioni, rispecchiando l'attuale situazione degli istituti di pena nel nostro Paese;

   il caso in questione evidenzia la situazione di grave precarietà, legata principalmente al sovraffollamento delle carceri e alle condizioni di continuo rischio in cui si trovano ad operare gli agenti penitenziari, spesso oggetto di aggressioni, insulti e minacce da parte dei detenuti –:

   se, alla luce di quanto descritto in premessa, il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra citati e quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare al fine di contrastare la diffusione di episodi che potrebbero avere anche conseguenze più drammatiche;

   se non ritenga opportuno assumere iniziative al fine di tutelare lo svolgimento dell'attività della polizia penitenziaria, anche prevedendo maggiori risorse da destinare all'incremento delle unità del personale e dei mezzi a disposizione, nonché garantendo condizioni più dignitose ai detenuti presenti nelle strutture.
(5-12384)


   CARRA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in data 31 luglio 2017 Francesco Mazzega, si era reso protagonista dell'omicidio della sua fidanzata Nadia Orlando a seguito di un litigio;

   l'episodio di cronaca aveva molto colpito l'opinione pubblica per l'efferatezza e per aver guidato tutta la notte con il cadavere della ragazza accanto prima di costituirsi presso gli uffici della polizia stradale di Palmanova, in provincia di Udine;

   si apprende dagli organi di informazione che a 57 giorni di distanza dalla confessione il Mazzega è stato scarcerato e ora si trova agli arresti domiciliari presso la casa dei genitori;

   la procura di Udine ai primi di settembre ha fatto ricorso in Cassazione contro la scarcerazione e auspica il pronunciamento della stessa Corte di cassazione quanto prima –:

   se il Governo intenda assumere iniziative normative per rendere più stringente la disciplina degli arresti domiciliari limitandone o escludendo la concessione in relazione a delitti particolarmente efferati e di allarmi sociale, come quello di cui in premessa, in modo da esitare il ripetersi di casi analoghi.
(5-12387)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VILLAROSA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto è già stato oggetto delle interrogazioni n. 4-13211 e n. 5-11096 le cui risposte, purtroppo, ad avviso dell'interrogante rappresentano solo parzialmente la vera situazione dei fatti verificata, più volte, di persona;

   ad oggi, la richiesta di adeguamento della pianta organica è rimasta inevasa malgrado, con analogo volume di sopravvenienza, al vicino tribunale di Patti sia stata riconosciuta, correttamente, una pianta organica di 18 magistrati, a fronte dei 15 del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto;

   anche per quanto riguarda la magistratura onoraria, nonostante le richieste inoltrate, nulla ancora è stato fatto dal Ministero della giustizia in materia. Anche la richiesta di posticipato possesso dell'ultimo (solo in ordine di tempo) magistrato che ha ottenuto il trasferimento non ha ancora ricevuto risposta;

   c'è da considerare anche il fatto, abbastanza rilevante, che il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto deve garantire udienze anche alla sede di Lipari (Isole Eolie) con conseguente dislocamento giornaliero dei già pochi magistrati in organico durante tutto l'anno, con qualunque condizione meteorologica e con i derivanti rischi di mancato rientro dei magistrati;

   nonostante le gravi carenze di organico sopra indicate, grazie al lodevole sforzo dei magistrati togati ed onorari, nel corso del 2016, la pendenza civile si è ridotta del 10 per cento. Tale tendenza appare confermata anche dagli attuali dati del 2017. Un simile risultato si è conseguito anche con il settore penale dibattimentale che, secondo i dati del 2017, per la prima volta da diversi anni, ha ridotto le pendenze;

   anche dal punto di vista strutturale la situazione del tribunale in questione è molto preoccupante, questione peraltro più volte segnalata al Ministero ed al provveditorato per le opere pubbliche, soggetti competenti per gli interventi di manutenzione. Va evidenziato che nonostante la disponibilità manifestata dal Ministero per una somma di 50.000 euro per l'esecuzione degli interventi urgenti, ancora nulla è stato fatto. Il provveditorato per le opere pubbliche ha, inoltre, indicato in 800.000 euro l'importo necessario per l'esecuzione degli interventi di manutenzione sulle facciate e sull'impianto elettrico, ma anche la richiesta riferita a tali interventi, ad oggi, risulta inevasa –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   se intenda assumere le iniziative di competenza per avviare una procedura utile alla soluzione dei problemi esposti;

   se intenda al più presto assumere le iniziative di competenza per rimodulare, ampliandola, la pianta organica del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto;

   se intenda attivarsi, per quanto di competenza, al fine di accelerare le procedure per il concreto trasferimento dei fondi per la messa in sicurezza della struttura che ospita il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.
(4-18037)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di settembre 2017, un bambino di circa un anno è rimasto intossicato dopo aver ingerito del veleno per topi nel reparto femminile del carcere Gazzi di Messina, dove vive insieme alla madre detenuta nigeriana. Mentre la mamma stava telefonando in una cabina telefonica, il figlio, rimasto fuori, ha ingerito parte del contenuto di una bustina di topicida trovata a terra. Il bambino è stato ricoverato d'urgenza in gravi condizioni al Policlinico di Messina e poi dimesso dopo qualche giorno;

   l'accaduto ha riacceso un faro sul tema dei minori che vivono reclusi in carcere con le madri: un fenomeno che ancora persiste nonostante sia stato oggetto nel tempo di diversi interventi legislativi, che però non hanno centrato il punto o sono rimasti disattesi;

   con la cosiddetta «legge 8 marzo», la legge n. 40 del 2001, sono state introdotte alcune modifiche e favorito l'accesso delle donne con figli piccoli alle misure cautelari alternative. Tra queste, la detenzione speciale domiciliare, che permette alle detenute madri di bambini con meno di dieci anni di poter scontare parte della pena a casa o in altro luogo di accoglienza. Alcune condizioni dettate dalla legge però hanno finito per tagliar fuori dal beneficio le donne appartenenti a categorie più svantaggiate, come le detenute tossicodipendenti, ma soprattutto donne straniere, spesso prive di fissa dimora che non possono accedere agli arresti domiciliari;

   in risposta a queste problematiche, la legge n. 62 del 2011 ha introdotto nuovi modelli detentivi più tollerabili per i bambini: le case famiglia protette, affidate ai servizi sociali e agli enti locali, e gli Icam, gli Istituti a custodia attenuata per le madri che fanno capo all'amministrazione penitenziaria. La legge è però è sostanzialmente rimasta inapplicata e al momento esiste solo una casa famiglia;

   la carenza di queste strutture è dovuta sostanzialmente alle disposizioni della legge n. 40 del 2011, che non prevede finanziamenti per le case famiglia protette. Inoltre, a differenza degli Icam che sono sotto il dipartimento di amministrazione penitenziaria, le suddette case famiglia devono essere gestite dagli enti locali. L'articolo 4 della legge n. 62 del 2011 prevede che il Ministero della giustizia può «stipulare convenzioni con enti locali per l'individuazione delle case famiglia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Questa la causa della mancata realizzazione di strutture idonee a ospitare donne con bambini appartenenti alle categorie svantaggiate;

   eppure il fenomeno dei bambini detenuti insieme alle madri è una realtà sempre presente, come rilevato anche dai dati diffusi dal Ministero della Giustizia: al 31 agosto 2017, negli istituti di detenzione, risultano reclusi 60 bambini, 25 di italiane e 35 di mamme straniere;

   a giudizio degli interroganti, la questione potrebbe essere risolta celermente e definitivamente se si decidesse di stanziare risorse «irrisorie» allo scopo, anche considerando quanto riportato nel documento finale degli Stati Generali sull'esecuzione penale che denuncia «la ridottissima attuazione dell'istituto delle Case famiglia protette (...) che avrebbe consentito ai destinatari della disciplina, qualora sprovvisti di riferimenti materiali e abitativi, di evitare in toto l'ingresso in strutture penitenziarie. (...) L'attuazione della legge richiede uno sforzo non rinviabile» –:

   se il Governo non ritenga urgente e non più rinviabile assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire ai bambini, figli di donne detenute, in particolare straniere, alle quali non possono essere destinate misure cautelari alternative come la detenzione speciale domiciliare, sistemazioni idonee, sicure e a misura di bambino e nel rispetto della Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo;

   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative, per prevedere una modifica dell'articolo 4 della legge n. 62 del 2011, affinché vengano stabilite le risorse necessarie da destinare alla creazione di case famiglia protette che possano ospitare le detenute madri con bambini finora escluse da qualsiasi misura cautelare alternativa.
(4-18043)


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   l'interrogante prende atto della comunicazione del Ministero della giustizia, del 18 agosto 2017, prot. 0035462, in riferimento ai contributi da versare agli enti pubblici che sino al 2015 sono stati sede di uffici giudiziari che con particolare riferimento al comune di Cantù ammontano 874.463,80 euro e verrebbero riconosciuti solo per il 10.23 per cento (89.449,07) e pertanto rimarrebbero a carico del comune ben 785.014,73 euro;

   nella comunicazione citata emerge, tra l'altro, che la somma verrà corrisposta in rate trentennali a partire dal 2017 con termine 2046;

   la vicenda dei rimborsi delle spese sostenute per il funzionamento degli uffici giudiziari, come nel caso del comune di Cantù, è stata regolata da ultimo dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 marzo 2017 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 123 del 29 maggio 2017), e dalla relativa nota del Ministero della giustizia in intestazione del 10 agosto 2017 prot. 151185.U, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato; la disciplina prevede che si subordini il riconoscimento e la corresponsione delle somme stabilite dalla tabella allegata a detto decreto in parola (e comunque a parziale copertura pari al 70 per cento delle spese sostenute), alla presentazione da parte dell'amministrazione comunale di un formale atto di rinuncia alle azioni pendenti, nonché eventualmente a porre in esecuzione titoli esecutivi di pagamento ovvero formale dichiarazione di inesistenza di giudizi o procedure esecutive pendenti;

   la nota del Ministero della giustizia (10 agosto 2017 prot. 151185.U) invita a presentare la documentazione per ottenere il rimborso entro e non oltre il 30 settembre 2017, termine ultimativo e «perentorio» non previsto né dalla norma primaria (commi 433, 438 e 439, articolo 1, della legge 11 dicembre 2016, n. 232) né dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in parola, e pertanto non può che esser inteso, secondo l'interrogante, come termine arbitrario e privo di ogni pregio giuridico;

   di recente si è espresso il Tar del Lazio con ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017, dal quale emerge che su un ricorso presentato dal comune di Ascoli Piceno riguardante il merito della questione (adeguatezza dei rimborsi riconosciuti e congruità della rateizzazione trentennale), l'istanza cautelare è stata accolta dal giudice di legittimità in relazione al fatto che la disposizione appare lesiva del diritto di difesa;

   il Tar del Lazio appare confermare, con l'accoglimento dell'istanza cautelare, che il percorso delineato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che condiziona l'erogazione dei fondi a parziale ristoro delle spese per gli uffici giudiziari all'abbandono di qualsiasi pretesa di maggior ristoro perseguibile per via giurisdizionale, in considerazione di un principio di carattere generale – il diritto di difesa – e non sulla base di considerazioni specifiche circa la procedura da seguire, è illegittimo. La stessa nota citata del Ministero viene pertanto delegittimata, travolgendo così qualsiasi termine perentorio (30 settembre 2017) che impedisca la successiva acquisizione delle somme riconosciute –:

   se il Ministro interrogato intenda procedere alla refusione totale delle spese sostenute fino al 2015 dai comuni sede di uffici giudiziari, e nello specifico al comune di Cantù, nonché assumere iniziative per provvedere, per quanto di competenza, a rimodulare la rateizzazione del rimborso affinché la stessa sia contenuta e comunque non superiore a 5 anni; se intenda inoltre assumere iniziative che recepiscano quanto stabilito dal Tar Lazio con l'ordinanza n. 7687/2017 del 14 settembre 2017, quindi andando ad eliminare in modo espresso ogni indicazione che si riferisca ad un termine perentorio o comunque «ultimativo», come quello del 30 settembre 2017, ai fini della presentazione da parte dei comuni della documentazione per ottenere il rimborso.
(4-18066)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   CENTEMERO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   dal 7 settembre 2017 è stato chiuso il ponte che collega le due sponde del Po fra Casalmaggiore e Colorno;

   la chiusura si è resa necessaria in seguito all'individuazione del collassamento di alcune travi, il cui cemento è stato trovato lesionato con le barre d'acciaio che compongono l'armatura spezzate e con conseguente impossibilità per la struttura di garantire la portata della soletta che regge il nastro d'acciaio, nonché del passaggio delle auto e tantomeno dei tir;

   sono state avviate verifiche tecniche, ma intanto il traffico è stato deviato sul ponte di Viadana con conseguenti code, rallentamenti e disagi per i cittadini e per le attività economiche; desta inoltre preoccupazione anche la situazione di questo ponte alternativo a causa della sollecitazione derivante dall'intensificarsi del traffico, soprattutto pesante;

   è di oggi la notizia che si sta valutando l'ipotesi di una riapertura del ponte tra due settimane con percorribilità a senso unico alternato, ad una velocità massima di 30 chilometri orari e per le sole automobili;

   intanto, il Ministro interrogato ha convocato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per un incontro, sindaci e parlamentari, nonché esponenti politici locali e rappresentanti delle regioni Emilia Romagna e Lombardia per discutere della vicenda e valutare possibili soluzioni –:

   quali urgenti iniziative intenda porre in essere il Ministro interrogato al fine di trovare una soluzione adeguata che ponga al primo punto la sicurezza ma che tenga anche conto delle esigenze dei cittadini delle due sponde del Po al momento isolati dalla inagibilità del ponte, considerato anche il fatto che fonti informali parlano di 5 travi completamente da sostituire e di 77 travi complessive che necessiterebbero comunque di interventi.
(3-03295)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la regione Basilicata soffre notoriamente di un forte deficit infrastrutturale e di collegamenti capaci di garantire un'adeguata mobilità regionale e interregionale e che la consegna ad una situazione di inaccettabile isolamento;

   in questo contesto Matera, capitale della cultura 2019, a causa dell'incompiuta tratta ferroviaria Ferrandina-Matera, risulta essere ancora priva di un collegamento con le Ferrovie dello Stato italiane, nonostante ripetutamente e, da ultimo con la legge di stabilità 2016, siano state appostate risorse per un ammodernamento e rilancio della tratta in oggetto. In particolare, con l'ultima legge di bilancio è stata autorizzata la spesa di ulteriori 10 milioni di euro per l'anno 2017, di 32 milioni per il 2018 e di 42 milioni per ciascuno degli anni dal 2019 al 2022;

   non sfugge che l'accessibilità alla città di Matera, attraverso il completamento della linea Ferrandina-Matera, è essenziale per lo sviluppo e l'attrattività della città lucana, anche se rammarica che il raggiungimento di tale obiettivo non coinciderà con l'importante appuntamento culturale e vetrina internazionale del 2019;

   il 12 luglio 2107, alla presenza del Ministro interrogato, l'Amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana, Maurizio Gentile, ha mostrato davanti ad un folto pubblico presso l'Auditorium «Gervasio» di Matera, il cartello di inizio dei lavori nella galleria di Miglionico, per cui il ripristino funzionale, in attesa da più di 30 anni, sono stati stanziati 500 mila euro. I lavori avranno una durata di 180 giorni;

   nel mese di settembre 2017 sono stati avviati i lavori sui ponti, sulla tratta ferrata e presso la stazione di La Martella, cui seguirà il riappalto per l'intera linea che verrà, contestualmente, elettrificata. Il completamento delle opere di ammodernamento, secondo l'amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana è previsto per il 2021-2022;

   accanto a questi lavori e al ripristino e al potenziamento della direttrice per Taranto, vi è il progetto del raccordo di Ferrandina con Potenza, che consentirà di collegare Matera a Salerno in tre ore;

   nelle ultime settimane si sta diffondendo la voce di uno slittamento al 2024 del completamento della tratta ferroviaria a causa del necessario periodo di prove tecniche sulla linea –:

   quali siano i tempi effettivamente previsti per il completamento dell'opera e se siano fondate le notizie di un ulteriore ennesimo ritardo nei lavori di ristrutturazione ed efficientamento di una tratta indispensabile per garantire a Matera quell'accessibilità necessaria per il proprio sviluppo.
(5-12385)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162 che istituisce l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (di seguito, Ansf) con compiti di garanzia della sicurezza del sistema ferroviario nazionale all'articolo 4 prevede che il Ministero in delle infrastrutture e dei trasporti, con separati decreti, definisca l'assetto organizzativo, centrale e periferico, dell'Agenzia, nonché le modalità di trasferimento del personale da inquadrare nell'organico dell'Agenzia proveniente dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e la disciplina del reclutamento da parte dell'Agenzia delle risorse umane;

   si dispone altresì che in sede di prima applicazione del decreto legislativo medesimo, e sino all'attuazione dei provvedimenti previsti, il funzionamento dell'Agenzia sia assicurato con l'utilizzazione anche del personale tecnico, «avente riconosciute capacità e competenza», anche proveniente da F.s. S.p.a., R.f.i. s.p.a. e da società controllate da F.s. s.p.a., da individuarsi «con procedura selettiva»;

   in termini generali, pertanto, al personale dell'Agenzia si applicano le disposizioni del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni;

   il decreto del Presidente della Repubblica 25 febbraio 2009, n. 35, recante il regolamento concernente l'organizzazione dell'Agenzia, all'articolo 2, conferma il regime pubblicistico anche per la dirigenza in quanto gli incarichi dirigenziali devono essere conferiti con provvedimento del direttore dell'Agenzia, nell'ambito della dotazione organica e nei limiti delle risorse finanziarie dell'Agenzia, ai sensi delle disposizioni di cui al titolo II, capo II, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;

   valgono pertanto i princìpi generali di imparzialità, pubblicità e trasparenza oltre che di competenza e professionalità;

   in particolare, l'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 15 novembre 2011, n. 224, che disciplina il regime per il personale proveniente dal gruppo Fs s.p.a. o da altre società ed enti prevede che «con disposizione del direttore dell'Agenzia, fatto salvo motivato diniego, il personale che ha presentato la domanda di cui al comma 1 è inquadrato nel ruolo dell'Agenzia, secondo i criteri di equiparazione previsti dalla delibera di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166.» –:

   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per verificare, per quanto di competenza, se le procedure previste dalla normativa vigente siano state rispettate all'atto dell'inquadramento nell'organigramma dell'Agenzia del personale proveniente da F.s. s.p.a., da R.f.i. s.p.a. e da società controllate da F.s. s.p.a.;

   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato circa le procedure che hanno riguardato in particolare l'inquadramento e la successiva evoluzione di carriera dei seguenti professionisti: Claudio Bargilli, Rocco Cammarata, Ilaria Castriota e Alessandro Laschi.
(5-12398)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la variante al vigente piano integrato di intervento inerente all'ambito territoriale denominato «Bettola», compreso tra la tangenziale nord A52, la strada statale 36, l'autostrada A4 e la strada provinciale 58 via Valtellina in comune di Cinisello Balsamo, è stata definitivamente approvata con delibera di giunta comunale n. 216 del 28 settembre 2017;

   l'intervento oggetto della variante prevede nuove superfici a destinazione commerciale e terziario per oltre 200.000 metri quadrati, la realizzazione all'interno del comparto del capolinea della metropolitana M1, nonché in previsione la costruzione della M5 lateralmente al centro commerciale, con considerevole aumento del flusso di traffico veicolare nel quadrante interessato, che già si caratterizza per un transito giornaliero di oltre 300.000 veicoli, e ricadute sulla viabilità nazionale in prossimità dello svincolo di Sesto S. Giovanni (Cinisello Balsamo);

   le criticità indotte dalla realizzazione dell'intervento, ripetutamente segnalate dalla cittadinanza nelle fasi procedimentali di approvazione della variante, sono state da ultimo confermate da Autostrade per l'Italia s.p.a. con nota ASPI/RM/2017/0013980/EU del 18 luglio 2017;

   in riferimento al potenziamento della quarta corsia dinamica della A4 Torino-Trieste, nella predetta nota si afferma che «a seguito degli approfondimenti trasportistici dello svincolo autostradale di Sesto S. Giovanni, oggetto peraltro di specifica riunione presso la Direzione Generale Infrastrutture e Mobilità della Regione Lombardia, è emerso che la configurazione prevista nel PII pubblicato, potrebbe essere causa della crisi del sistema viabilistico dello svincolo autostradale e dell'area urbana circostante, con particolare gravità a riguardo dell'innesto sulla SS36 in direzione Lecco»;

   la configurazione del sistema viabilistico recepito nella variante approvata, formata dall'autostrada A4 Torino-Trieste, dalla tangenziale nord A52, dalla strada statale 36 e dalla strada provinciale 58 via Valtellina rappresenta un aggravio per la viabilità nazionale in ragione dei flussi traffico coinvolti –:

   quali iniziative intenda assumere per scongiurare la possibile crisi del sistema viabilistico dello svincolo autostradale e dell'autostrada A4, della tangenziale nord A52 e della strada statale 36, fornendo risposte puntuali alle preoccupazioni dei cittadini e delle comunità interessate.
(4-18035)


   RIZZO e GRILLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con ordinanza dirigenziale n. 32 del 2 ottobre 20107 la città metropolitana di Catania ha provveduto a interdire il transito pedonale e veicolare nel tratto della strada provinciale 180var compreso tra il chilometro 0+800 e l'innesto con la strada statale 124 mediante barriera non rimovibile;

   tale provvedimento si è reso necessario per le persistenti condizioni precarie di transito dovute ad avvallamenti e deformazioni del piano viario e in quanto sono presenti cedimenti che non consentono di rispettare le caratteristiche plano-altimetriche e strutturali del corpo stradale adatte allo svolgimento del transito in piena sicurezza;

   la strada provinciale 180var è classificata come strada di tipo F extraurbano e collega la circonvallazione di Caltagirone con la strada statale 124;

   tra le funzioni della città metropolitana di Catania, così come si apprende dal sito internet istituzionale, vi è quella di costruzione e manutenzione della rete stradale regionale, infraregionale, provinciale, intercomunale, rurale e di bonifica e delle ex trazzere;

   si tratta di un caso emblematico circa la difficoltà degli enti locali di garantire una corretta manutenzione della rete viaria, anche alla luce delle criticità finanziarie e della carenza di risorse con cui convivere –:

   se il Governo non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, anche incrementando le risorse a disposizione degli enti locali interessati, per permettere gli interventi necessari a garantire una rete viaria adeguata alle esigenze del Paese e in linea con gli standard di sicurezza.
(4-18063)


   CARDINALE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   vi è forte preoccupazione in merito al rischio di blocco dei lavori della strada Palermo-Agrigento;

   nonostante le rassicurazioni da parte di Anas, la società contraente dell'opera, la Bolognetta scpa, ha comunicato ai sindacati la riduzione del 50 per cento delle maestranze e la sospensione dei lavori nei tratti oggetto dell'appalto;

   secondo le organizzazioni sindacali risulterebbero essere state avviate le procedure per il licenziamento del personale in esubero;

   è paradossale che ciò avvenga nonostante la volontà espressa dall'Anas di incrementare l'attività sui cantieri proprio per rispettare i tempi di consegna dell'opera;

   il sistema infrastrutturale ha bisogno del completamento di questa arteria fondamentale per l'intera Sicilia e, in particolare, per i comprensori interessati la cui popolazione sta soffrendo disagi immani –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere per scongiurare il blocco dell'opera e per salvaguardare i livelli occupazionali relativi ai cantieri in essere lungo la strada Palermo-Agrigento.
(4-18069)


   FEDRIGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con l'articolo 55, comma 23, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, è stato previsto l'adeguamento dei canoni Anas per i passi carrabili;

   la norma ha permesso all'Anas di incrementare i canoni fino ad un massimo del 150 per cento del corrispettivo precedentemente dovuto, per la prima annualità, ma non reca previsioni per gli anni successivi; in questo modo si sono registrati cospicui aumenti dei canoni da parte dell'Anas, arrivati anche all'ottomila per cento;

   le ingiunzioni di pagamento di migliaia di euro chieste dall'Anas per gli arretrati hanno letteralmente creato drammi umani, con risvolti sociali incredibili; sono apparse sui giornali storie di imprenditori costretti a chiudere la propria attività, di altri che hanno dovuto chiedere fidi e mutui alle banche per continuare a lavorare, di semplici cittadini angosciati da richieste a cui non potevano fare fronte;

   con l'articolo 16-bis, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, è stata prevista l'eliminazione del contenzioso con il pagamento del 30 per cento di quanto maturato o del 60 per cento in caso di rateizzazione, fino ad un massimo di nove rate annuali;

   tuttavia, non tutti i casi sono stati chiusi positivamente;

   un caso clamoroso con grande eco sui giornali è quello del signor Alfonso Formenton residente a Chioggia, ex artigiano in pensione, che è stato condannato dal tribunale di Roma al pagamento ad Anas della somma di circa 30 mila euro per 2 accessi carrabili alla sua vecchia officina, sulla strada statale 309 «Romea» nel comune di Chioggia/VE;

   con successiva sentenza del 21 ottobre 2011 il tribunale ha dichiarato prescritto il canone relativo all'anno 1998, non dovuto il canone per il 2005, visto che il signor Formenton ha rinunciato alla concessione dei passi carrai, e ha condannato il medesimo a pagare ad Anas la residua somma di circa 22 mila euro oltre agli interessi e le spese di lite; sono susseguiti una serie di ricorsi e appelli, risolti tutti in favore dell'Anas, fino al 17 gennaio 2017;

   l'Anas ha anche inviato una proposta di recupero crediti nel 2014, sulla base della legge n. 164 del 2014, che conteneva cifre diverse rispetto a quanto stabilito dal tribunale;

   il signor Formenton tormentato dalle spese legali ha dovuto vendere l'officina nel 2007 e oramai a 85 anni e con problemi di salute subisce, insieme alla figlia, l'estremo disagio della situazione, anche rischiando il pignoramento della propria abitazione;

   la situazione sopraesposta rappresenta un caso umano particolare, ma sarebbe opportuno che Anas monitori vicende analoghe sul territorio nazionale perché a circa 20 anni di distanza dall'entrata in vigore della norma sull'adeguamento dei canoni Anas risulta all'interrogante incredibile che siano ancora rimasti casi di contenzioso irrisolti che ancora intasano i tribunali amministrativi –:

   se i Ministri interrogati intendano adoperarsi, secondo le proprie competenze, affinché l'Anas effettui un monitoraggio delle situazioni ancora irrisolte per il recupero dei crediti da canoni per passi carrabili risolva tali situazioni con l'invio di una nuova proposta di sanatoria sulla base di quanto stabilito dalle sentenze dei tribunali amministrativi, con una particolare riflessione sul caso incredibile sopraesposto.
(4-18077)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PELUFFO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si apprende dalla stampa locale («Il Corriere della Sera», edizione Milano Cronaca, del 29 settembre 2017), nell'inchiesta che ha portato ai domiciliari il sindaco di Seregno, Edoardo Mazza, appare il nome di Gabriele Vitalone, assessore ai trasporti e all'ambiente a Senago nella giunta guidata dal sindaco Magda Beretta. Si viene a sapere, infatti, che Vitalone, pur non essendo indagato, è stato fotografato dai carabinieri del nucleo investigativo di Milano al funerale di Francesco Zumbo, il 17 novembre 2015, insieme ad alcuni uomini della ’ndrangheta e al fratello, Giovanni Vitalone, arrestato nel blitz di martedì 26 settembre con l'accusa di associazione mafiosa;

   secondo quanto riportato da «Il Giorno», edizione Rho Cronaca del 2 ottobre 2017, il sindaco di Senago, il giorno dell'arresto del fratello di Vitalone, aveva difeso il proprio assessore rinnovandogli la fiducia e precisando che non gli avrebbe chiesto «alcun passo indietro», ma, già il 30 settembre 2017, ha deciso di revocargli le deleghe, annunciandolo il giorno dopo dal proprio profilo Facebook. L'articolista de «Il Giorno» paventa l'ipotesi che il cambio di rotta sia dovuto all'emergere dei dettagli dell'inchiesta e di alcune intercettazioni, pubblicati nelle ore successive –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra riportati e se non ritenga di acquisire ulteriori elementi, valutando eventualmente se sussistano i presupporti per assumere le iniziative di competenza ai sensi degli articoli 141 e seguenti del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali).
(5-12389)


   MINNUCCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il decreto ministeriale 1o aprile 2008, n. 86, emanato dal Ministero dello sviluppo economico, prevede, all'articolo 5, comma 1, in attuazione dell'articolo 125, comma 7, del codice delle assicurazioni private, per i veicoli a motore immatricolati in Stati esteri, che circolano temporaneamente nel territorio italiano, che l'obbligo della copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi, per la durata della permanenza in Italia, si considera assolto se la targa di immatricolazione è rilasciata da uno degli Stati esteri elencati nell'articolo stesso (tra cui Andorra, Estonia, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia, Romania, Ungheria e altri);

   l'articolo 193 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, prevede l'obbligo di assicurazione per la responsabilità civile per tutti i veicoli a motore e una sanzione amministrativa per chiunque circoli senza copertura;

   il Ministero dell'interno, con il parere 300/a/2792/17/124/9 del 3 aprile 2017, ha escluso l'applicazione del citato articolo 193 per le auto provenienti dai predetti Stati, anche quando, attraverso qualsiasi mezzo, sia accertato che il veicolo immatricolato in uno di quei Paesi sia effettivamente sprovvisto di copertura assicurativa, ovvero quando venga accertato che il veicolo circoli sul territorio italiano da più di un anno e non si sia proceduto alla «nazionalizzazione» attraverso immatricolazione; in tal caso, sebbene il veicolo circoli illegittimamente in Italia si ritiene che non possano essere contestate le violazioni del codice della strada in materia di circolazione senza assicurazione proprio per via di una regolare immatricolazione straniera;

   l'autorità di pubblica sicurezza risulta impossibilitata ad effettuare i controlli sulla regolarità della copertura assicurativa per i veicoli provenienti dai citati Paesi e, in caso di incidente stradale che veda coinvolti veicoli immatricolati nel territorio italiano e veicoli immatricolati in uno degli Stati stranieri indicati, l'obbligo di controllo della copertura assicurativa è prevista solo per i veicoli immatricolati in Italia;

   oltre all'evidente diversità di trattamento, ciò che risulta più grave è che tale sistema non assicura le giuste garanzie in caso di incidente stradale che veda coinvolti, oltre al veicolo straniero, altri automobilisti o più in generale altri fruitori della strada come pedoni, ciclisti e altro;

   in caso di incidente il proprietario di un veicolo regolarmente assicurato in Italia, deve rivolgersi all'Uci (Ufficio nazionale di Assicurazione per l'Italia per i veicoli a motore in circolazione internazionale); il predetto ufficio, tuttavia non è tenuto a risarcire i danni in caso in cui riscontri che il veicolo straniero non abbia una regolare copertura assicurativa nello Stato di provenienza o, addirittura, non circoli regolarmente sul territorio italiano perché non «nazionalizzato»;

   sebbene il citato articolo 5 del decreto ministeriale faccia riferimento a veicoli stranieri che circolino temporaneamente sul territorio italiano, il parere del Ministero dell'interno, affermando l'efficacia della copertura assicurativa presunta anche per quei veicoli stranieri non nazionalizzati nei termini previsti dall'articolo 132 del codice della strada, sembrerebbe estendere temporalmente all'infinito l'efficacia assicurativa, rendendola di fatto una regola incontrovertibile e avulsa da qualsiasi tipo di controllo –:

   quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, per dirimere l'evidente contrasto normativo in materia anche chiarendo l'esistenza di un limite temporale di validità della copertura assicurativa presunta per i veicoli immatricolati negli Stati esteri interessati;

   se non ritengano opportuno farsi promotori in sede comunitaria di una iniziativa volta ad estendere, armonizzare ed integrare i sistemi di controllo al fine di verificare la regolarità della copertura assicurativa dei veicoli immatricolati all'interno dell'Unione europea e ridurre i rischi di mancato risarcimento in caso di incidente stradale che veda coinvolti veicoli non assicurati.
(5-12390)


   MINNUCCI e CARELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi tempi, l’iter per il conferimento delle ricompense al valore civile, sembra essere sempre più caratterizzato da ritardi che allungano di molto i tempi di conferimento dei titoli stessi;

   tali ritardi, a quanto consta agli interroganti, si verificherebbero, maggiormente, al momento del rilascio del parere da parte della Commissione, nominata con decreto presidenziale su proposta del Ministero dell'interno, alla fine dell'istruttoria che viene posta in essere a seguito delle richieste avanzate;

   tale Commissione, infatti, non sarebbe stata attiva per diverso tempo e, una volta ricostituita, si è trovata a dover affrontare molto lavoro arretrato tanto che ad oggi risulta che stia evadendo richieste di conferimento presentate tra il 2013 e il 2014;

   questa situazione sta rendendo vane le richieste di conferimento dei titoli stessi che, molto spesso, sono legate a particolari episodi storici o ricorrenze a cui il riconoscimento in tempi brevi darebbe non solo rilievo ma anche la possibilità di organizzare manifestazioni e commemorazioni;

   un esempio è la richiesta di conferimento della medaglia al merito civile al quartiere di Centocelle, presentata nel 2016, con riferimento al protagonismo dei suoi abitanti negli episodi di resistenza romana al nazifascismo, durante i mesi di occupazione tedesca alla fine della seconda guerra mondiale;

   tale richiesta, seppur presentata, a quanto consta agli interroganti, quasi due anni fa, non ha ancora avuto risposta e pertanto non è possibile per i suoi fautori dare il giusto rilievo (anche con manifestazioni e commemorazioni) ad un lavoro, durato circa quattro anni, in cui sono emerse pagine importanti, e a volte inedite, della storia della resistenza romana al nazifascismo –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopra descritta e quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, anche al fine di dare impulso alla medesima Commissione, affinché vengano ridotti i tempi necessari per il rilascio del parere a cui è preposta, permettendo così una risposta più immediata alle richieste di conferimento delle onorificenze presentate.
(5-12395)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   secondo «Perils and Possibilities: growing up online», uno studio presentato dall'Unicef nell'aprile del 2016 – frutto di un sondaggio internazionale su oltre 10.000 giovani maggiorenni di 25 Paesi – otto diciottenni su dieci credono che i giovani corrano il rischio di subire una qualche forma di abuso sessuale o di sfruttamento attraverso il web e oltre 5 su 10 pensano che molti di loro siano entrati in contatto con pericolose situazioni online;

   spiega Cornelius Williams, direttore associato dell'Unicef per la protezione dell'infanzia, che «i telefoni mobili e internet hanno rivoluzionato l'accesso dei giovani all'informazione, ma il sondaggio ha rilevato quanto attraverso internet sia reale il rischio di abusi per i ragazzi e le ragazze»;

   è notizia di oggi, pubblicata sul quotidiano on line «Veronasera», la riapertura del profilo Instagram di Wordstar Verona 2.0, dopo la chiusura della pagina originale che diffondeva video violenti i cui protagonisti erano spesso giovani veronesi;

   i contenuti di quelle pagine erano stati segnalati alla polizia postale che aveva provveduto a bloccarle, ma, con un banale escamotage tecnico – la semplice modifica del nome – Wordstar Verona 2.0, è tornato a condividere scene di violenza tra i giovani –:

   quali iniziative s'intendano adottare con riferimento a quanto descritto in premessa, al fine di tutelare con maggiore rigore i giovani e gli adolescenti nell'utilizzo dei social network, prevedendo anche l'avvio di un percorso di formazione all'utilizzo degli stessi e la promozione di campagne pubblicitarie che mettano in guardia dai rischi e dai pericoli che possono derivare dall'utilizzo dei social, strumenti questi che potrebbero gettare le basi per una migliore e più approfondita conoscenza di un mezzo informatico spesso pericoloso e talvolta fatale.
(4-18032)


   GIUDITTA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la situazione del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è giunta ad un tale livello di criticità da rischiare l'efficacia e l'efficienza dei compiti ad esso assegnati;

   quello che risalta di più sono le insufficienze strutturati con cui opera il servizio, tra cui la carenza in pianta organica, la mancanza dell'ammodernamento del parco mezzi e attrezzature, del rinnovo contrattuale, dell'adeguamento salariale, previdenziale e assicurativo in caso di infortunio;

   nonostante gli sforzi dell'attuale Governo in materia, che hanno portato a rilevanti assunzioni, deliberate con i decreti-legge di questi ultimi anni (articolo 8 del decreto-legge n. 101 del 2013) (articolo 3 del decreto-legge n. 90 del 2014) (articolo 16-ter del decreto-legge n. 78 del 2015) (articolo 6-bis del decreto-legge n. 113 del 2016) effettuati mediante corrispondente riduzione degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il vuoto del personale operativo non è stato mai colmato del tutto per molteplici fattori;

   la carenza di organico, causata anche dal blocco del turnover, si è cronicizzata (attualmente l'organico è composto da oltre 3300 unità, a fronte di un organico teorico di meno di 30000 unità), acuita da una serie storica di motivazioni imputabili ai precedenti Governi; i pochi ed irregolari passaggi di qualifica a caposquadra ed a caporeparto, la percentuale rilevante dei parzialmente idonei al servizio operativo, che si attesta tra il 2 ed il 5 per cento dell'organico nazionale (risultano in pianta organica ma non svolgono il servizio operativo) non hanno aiutato il quadro della situazione;

   nonostante ciò, la professionalità dimostrata dalle donne e dagli uomini del Corpo è stata incredibile: raddoppio di turni, attività lavorativa continua giorno e notte in situazioni climatiche avverse quali freddo intemperie e caldo torrido; tuttavia, molte vite sono state salvate grazie ad un lavoro egregio, premiato anche a livello mondiale, oltre che riconosciuto da tutta la popolazione;

   con l'ultima legge di bilancio 2017 sono state destinate risorse extra per realizzare assunzioni extra turnover; a seguito della ripartizione con gli altri corpi e ai maggiori costi dovuti al riordino delle carriere, la quota inizialmente stimata in 23 milioni di euro è stata ridotta a 16 milioni di euro, consentendo comunque l'immissione in di 400 nuovi allievi vigili del fuoco (80° corso partito il 2 ottobre 2017);

   in base alla disciplina vigente, il corso di promozione per allievi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha una durata di 9 mesi e ciò permette agli interessati di frequentare un solo corso all'anno; il corso può avere un massimo di 800/900 unità per anno a cui tolte le unità del turnover ordinario medio potrebbero accedere solo poche centinaia di unità di potenziamento extra turnover annuali, aumentando di oltre 10 anni il tempo necessario per assorbire completamente la carenza di organico odierna –:

   se il Governo intenda assumere iniziative normative vigenti per il reperimento di ulteriori risorse spendibili già nel 2017, per aumentare le assunzioni 2017, oltre a quelle già previste dalla legge di bilancio 2017, alla luce del forte impegno a cui sono stati sottoposti i vigili del fuoco, dei numerosi e gravosi interventi per incendi estivi divenuti competenza del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a causa della soppressione del Corpo forestale dello Stato;

   quale sia la programmazione triennale relativamente ai fabbisogni assunzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;

   se sia intenzione del Ministro interrogato disporre nuovamente, in deroga alla disciplina sulla durata del corso di formazione per allievi vigili del fuoco, come avvenuto negli ultimi anni, una riduzione a 6 mesi invece che a 9 mesi della durata del corso di formazione previsto presso le scuole centrali antincendio, in quando questa ulteriore deroga consentirebbe agli interessati di poter effettuare due corsi di formazione per allievi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco all'anno, portando in pochi anni al superamento totale della carenza di organico che affligge storicamente il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
(4-18046)


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il Corriere della sera online del 3 ottobre 2017 riporta il racconto di un imprenditore di Bassano che sabato 30 settembre 2017 si trovava nel treno Venezia-Bassano delle 19,56 nel quale un manipolo di ragazzini, con ogni probabilità sotto effetto dell'alcol, avrebbe cominciato a spintonarsi;

   si sarebbe verificato un alterco degenerato in scene di tensione a base di sputi, insulti e addirittura minacce anche agli altri viaggiatori intervenuti per tentare di riportare la serenità nel vagone con minacce a chi cercava di documentare la scena;

   nonostante l'attivazione del tasto di soccorso per oltre quaranta minuti non si registrava alcun intervento, ma nel treno, a porte chiuse, i bulli avrebbero invece alzato il livello di insulti e minacce imbracciando un estintore e vuotandolo nel corridoio;

   non appena le porte sono state aperte nella stazione di Castello di Godego (Treviso) i ragazzini si sono dileguati facendo perdere tracce;

   all'arrivo i carabinieri non avrebbero potuto far altro che raccogliere le testimonianze dei viaggiatori, nessuno dei quali ha però sporto formale querela;

   la segnalazione dell'intervento è stata trasmessa per competenza alla polizia ferroviaria che ora dovrà tentare di risalire agli autori di quelle tensioni;

   l'episodio, forse uno dei più gravi tra molti emersi sui treni negli ultimi mesi, fa emergere drammaticamente il tema della sicurezza a bordo dei vagoni ferroviari e dovrebbe condurre il Governo a riconsiderare il ridimensionamento della presenza della polizia ferroviaria –:

   se corrispondano al vero i fatti esposti in premessa e per quali motivi il 30 settembre 2017, per oltre 40 minuti, nonostante l'attivazione del pulsante di soccorso, non si sia registrato alcun intervento da parte del personale ferroviario né di quello di polizia sul treno Venezia-Bassano delle 19,56 a seguito delle azioni di un gruppo di adolescenti che avrebbero tenuto di fatto in ostaggio i passeggeri;

   se, alla luce di eventi come quelli descritti, non si intenda rafforzare la presenza della polizia ferroviaria sui treni regionali e se siano stati verificati gli effetti del ridimensionamento di uomini e mezzi in forza alla stessa in relazione alla sicurezza delle persone che utilizzano il mezzo ferroviario.
(4-18051)


   SBERNA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   come è noto il passaporto è il documento rilasciato ai cittadini italiani, che attesta l'identità di una persona autorizzandola a circolare fuori dallo Stato di appartenenza ed in particolare fuori dai Paesi dell'Unione europea;

   il passaporto è richiesto o a volte solo consigliato anche per l'ingresso in Paesi – quali la Gran Bretagna – per i quali prima non era necessario;

   è cresciuto negli ultimi anni il numero dei Paesi che richiedono il visto con la conseguenza di un notevole anticipo nella richiesta di un passaporto;

   dal giugno 2012 il passaporto è un documento obbligatorio anche per i bambini che effettuano l'attraversamento delle frontiere e in tal caso ha una validità inferiore a quello degli adulti comportando la necessità di richieste di rinnovo più frequenti;

   a Brescia e nella provincia la richiesta di passaporti è elevata — basti pensare che nel 2016 sono stati rilasciati dall'ufficio preposto della questura oltre 25 mila passaporti — e per far fronte alla richiesta sempre crescente, l'ufficio competente della questura ha ritenuto opportuno predisporre un'apertura quotidiana dell'agenda online precisando tuttavia che «è stato e sarà comunque sempre garantito, nei casi di urgenza, il rilascio del passaporto con la possibilità per tutti di raggiungere le mete feriali, professionali o connotate da altre esigenze»;

   salvo i casi urgenti adeguatamente motivati, fissare un appuntamento online è quindi la via obbligatoria per il rinnovo o il rilascio del passaporto; tuttavia, come più volte riportato dai giornali locali a partire da circa un anno, le attese per avere un appuntamento sono eccessivamente lunghe;

   la disponibilità quotidiana per le prenotazioni è di 80 posti, che sono esauriti già nelle prime ore della mattina;

   c'è chi lamenta, altresì, che dopo diversi tentativi si riesce a prendere un appuntamento, ma i tempi di attesa arrivano anche a due mesi;

   secondo fonti giornalistiche locali, tali ritardi sono da imputare sia al numero di posti inferiore alle richieste sia al fatto che, la maggior parte delle volte, chi ha prenotato decide di non presentarsi, senza avvisare, impedendo in tal modo che il posto sia utilizzato da chi ne ha realmente bisogno;

   già nel settembre 2016 il vicequestore, in una intervista pubblicata sulle colonne del Giornale di Brescia, si era impegnato a destinare più risorse all'ufficio passaporti per portare gli appuntamenti quotidiani da 80 a 100;

   facendo un calcolo matematico che tiene conto del numero dei passaporti che le sedi competenti rilasciano (80 Brescia e 40 Desenzano), della validità del passaporto, dei giorni lavorativi utili al disbrigo delle pratiche e del numero degli abitanti (1.200.000), attualmente solo un quinto dei cittadini bresciani può sperare di riuscire ad avere un passaporto in tempi più o meno lunghi;

   le attese e le lentezze nelle procedure di rilascio e di rinnovo del passaporto – che all'interrogante risultano essere ancora irrisolte – soprattutto quando si viaggia per motivi di lavoro o familiari, sono avvertite come particolarmente disagevoli e richiedono una risposta immediata –:

   se sia a conoscenza della situazione sopra illustrata e quali tempestive iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare perché si possano ridurre i tempi di attesa nella suddetta procedura di rilascio del passaporto.
(4-18064)


   CASTIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'interrogante è venuta a conoscenza di gravi irregolarità che sarebbero state commesse dal sindaco del comune di Lettere (Napoli) eletto nel 2012;

   la vicenda, stando anche alle indiscrezioni diffuse dai media e riconducibili a un esposto presentato alla procura della Repubblica, presenta aspetti tali da far emergere con chiarezza una impossibilità nel prosieguo del mandato da parte del sindaco che, con i suoi reiterati comportamenti, al di là del fatto che vengano accertate delle eventuali responsabilità penali, ad avviso dell'interrogante ha tradito la fiducia degli elettori e di tutta la comunità cittadina;

   il sindaco, infatti, dalle notizie dettagliate a conoscenza dell'interrogante, avrebbe violato le norme urbanistiche, commettendo un abuso edilizio, ma cosa ben più grave, secondo l'esposto avrebbe esercitato un abuso di potere rimuovendo dall'ufficio tecnico il funzionario responsabile della pratica sostituendolo con persona esterna all'amministrazione –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione alla vicenda di cui in premessa e se non intenda valutare se sussistano i presupposti per assumere le iniziative di competenza ai sensi dell'articolo 142 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
(4-18070)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   Sei Toscana è il gestore del servizio integrato dei rifiuti urbani nelle province di Arezzo, Grosseto e Siena e di sei comuni della provincia di Livorno. Un anno fa i suoi vertici sono stati travolti da un'inchiesta giudiziaria su appalti truccati, che ha condotto alla decisione di un commissariamento e alla nomina di un nuovo consiglio di amministrazione;

   sono circolate notizie nei primi giorni del mese di ottobre 2017 secondo le quali i consiglieri di amministrazione avrebbero deciso di aumentare i propri compensi lordi annui da 300 mila a 460 mila euro, pur essendo in una situazione di commissariamento, e quindi con responsabilità e carichi di lavoro minori, e pur avendo condizioni del servizio piuttosto deficitarie e precarie, per effetto dei guasti prodotti nella gestione precedente. Condizioni che si riversano sui cittadini e sulle amministrazioni locali interessate;

   successivamente, sembrerebbe che il consiglio di amministrazione si sia orientato per non aumentare i compensi –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti;

   quali iniziativa di competenza intenda assumere il Governo, per il tramite dei commissari incaricati della gestione dell'azienda Sei Toscana, per evitare il verificarsi di nuovi episodi che possano dar luogo a ulteriore scempio in un'azienda già funestata, a danno della qualità dei servizi e dei cittadini.
(4-18072)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la capacità ricettiva del sistema di accoglienza di richiedenti/titolari di protezione internazionale italiano persiste nell'essere governata in via principale da centri di accoglienza straordinari (Cas) istituiti ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015;

   le notevoli e profonde criticità del sistema Cas hanno reso necessarie diverse iniziative del Governo volte al suo superamento, come il potenziamento della rete Sprar, e al suo controllo e monitoraggio come stabilito dalla circolare del Ministero dell'interno n. 11209 del 20 agosto 2015 in materia di implementazione delle attività di controllo sui centri e sui servizi di accoglienza dei migranti, nonché dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 142 del 2015, che richiamano e definiscono le responsabilità della prefettura territorialmente competente;

   è stato approvato con decreto del 7 marzo 2017 del Ministero dell'interno il nuovo schema di capitolato di appalto secondo le indicazioni dell'autorità nazionale anticorruzione;

   il Ministero dell'interno ha varato un piano di controlli finanziato dal fondo europeo Fami e denominato progetto Mireco, a cui ha fatto seguito la circolare n. 43 del 20 luglio 2017 circa le modalità di esecuzione, oltre ad un Osservatorio permanente istituito presso il medesimo Ministero con il compito specifico di implementare i controlli nei centri di accoglienza;

   nel mese di giugno 2017, a seguito di una visita effettuata presso il Cas istituito presso Istituto «Maria Cristina di Savoia» nel comune di Bitonto (Bari) e gestito dalla Società Cooperativa «Costruiamo Insieme Snc» è stata presentata richiesta di accesso agli atti in prefettura, a seguito di numerose gravi inadempienze e anomalie nella registrazione delle presenze nonché criticità igienico sanitarie;

   la risposta della competente prefettura di Bari è risultata parziale ed incompleta, ma soprattutto ha messo in luce una grave incongruenza tra il documento di idoneità della struttura fornito dall'azienda sanitaria locale della provincia di Bari che stabiliva una capienza massima di 25 persone, ed i migranti effettivamente accolti, pari a n. 77 persone al momento della visita effettuata;

   è stata presentata una richiesta di chiarimenti alla competente prefettura e una richiesta urgente di intervento all'Asl della provincia di Bari;

   l'Asl ha provveduto a effettuare una nuova visita presso la struttura e ha rilevato una presenza di n. 102 ospiti, in palese violazione dei 25 posti per cui era stato fornito parere di idoneità, in evidente situazione di sovraffollamento, carenza e inadeguatezza dei servizi igienici;

   la Asl ha prodotto poi comunicazione di riscontro inviata ai soggetti interessati –:

   se e quali iniziative urgenti intenda adottare, per quanto di competenza, per accertare le gravi criticità segnalate, anche per il tramite dell'Osservatorio permanente e/o nell'ambito del progetto Mireco, promuovendo un intervento della prefettura.
(4-18076)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo n. 66 del 2017 – Norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità – emanato a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge n. 107 del 2015, all'articolo 14, comma 3, prevede, la possibilità per dirigente scolastico, «valutati l'interesse della bambina o del bambino, dell'alunna o dell'alunno, della studentessa o dello studente e l'eventuale richiesta della famiglia» di sottoporre ai docenti con contratto a tempo determinato per i posti di sostegno didattico, «non prima dell'avvio delle lezioni, ulteriori contratti a tempo determinato nell'anno scolastico successivo, ferma restando la disponibilità dei posti e le operazioni relative al personale a tempo indeterminato»;

   l'attuazione di questa norma è affidata, dallo stesso comma 3, alla emanazione di un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca che ne stabilisca le modalità di applicazione;

   in questi giorni in cui sono ancora in corso le procedure di avvio dell'anno scolastico e di assegnazione delle cattedre e delle supplenze, è possibile quotidianamente leggere notizie relative alle difficoltà degli studenti con disabilità e dei loro genitori nell'iniziare l'anno scolastico con serenità e con i docenti necessari;

   è recente, per esempio, l'episodio della madre di un alunno disabile che ha deciso di presenziare alle procedure di convocazione del docente di sostegno per chiedere che nessuno prendesse la cattedra della scuola del figlio così da poter ottenere – così come è accaduto – la riassegnazione della stessa insegnante dell'anno precedente, al fine di assicurare la continuità didattica ed educativa al figlio;

   il Ministero, dove si è esaurita la presenza di docenti in possesso di titolo di specializzazione sul sostegno, sta coprendo i posti con contratti a tempo determinato di docenti non specializzati;

   secondo alcune fonti l'anno scolastico 2017-2018 appena iniziato vedrà quasi un terzo dei posti del sostegno assegnati in deroga –:

   se la Ministra interrogata non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza per la definizione di tutte le norme di rango secondario necessarie a rendere applicabili le disposizioni in materia di continuità educativa e didattica, affinché l'inclusione scolastica degli studenti con disabilità non sia solo una affermazione di principio ma acquisti concretezza e risponda alle esigenze digli alunni e delle loro famiglie.
(3-03294)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, MICILLO, CHIMIENTI, BRESCIA, SIBILIA, MASSIMILIANO BERNINI e LUPO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il tirocinio formativo attivo (TFA) per il sostegno è rivolto esclusivamente ai docenti che sono già in possesso dell'abilitazione all'insegnamento e che desiderano specializzarsi per il sostegno ad alunni con disabilità;

   per accedere al percorso di specializzazione è necessario superare le prove d'accesso che consistono in test preliminari, ossia una prova scritta e/o pratica e una prova orale;

   le prove scritte e/o pratiche sono organizzate dalle varie università e uguale criterio viene applicato per le prove orali;

   al seguito del superamento di tali prove selettive, si accede al tirocinio formativo attivo per il sostegno che ha la durata di circa 8 mesi e prevede l'acquisizione di 60 crediti formativi universitari, distribuiti tra laboratori, tirocini diretti, indiretti e prova finale;

   i posti da assegnare sono precisamente 9.649 che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha distribuito per i vari gradi di istruzione e precisamente: infanzia: 1.692, primaria: 3.162, secondaria di I grado: 2.498, secondaria di II grado: 2.297;

   a loro volta la distribuzione dei posti nelle università è divisa regione per regione in un'apposita tabella riassuntiva;

   dalla tabella si evince che ad esempio per tutta la Campania i posti disponibili presso l'Università Suor Orsola Benincasa siano soltanto 800 (200 posti per l'infanzia, 250 per la scuola primaria, 150 per la secondaria di primo grado e 200 per la scuola secondaria di secondo grado) e in Piemonte, a fronte di 1.240 cattedre disponibili, sono stati banditi soltanto 200 posti;

   da ciò si deduce chiaramente che in Piemonte oltre mille cattedre verranno assegnate a docenti non specializzati e/o abilitati all'insegnamento, comportando una forte carenza in termini di competenze e professionalità, oltre all'esclusione degli insegnanti che, pur avendo superato le prove preselettive, vengono scartati per l'esiguo numero di posti disponibili –:

   con quali criteri il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia stabilito il numero dei posti regione per regione;

   in che modo si possa dare l'opportunità agli idonei di specializzarsi, anche in università diverse da quelle in cui hanno svolto le prove del tirocinio formativo attivo, per garantire a tutti gli studenti diversamente abili sul territorio nazionale l'insegnante di sostegno specializzato.
(5-12382)


   VACCA, D'UVA e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   come appreso dai media e dalla stampa, l'università di Roma «Tor Vergata» ha effettuato 57 chiamate di professori associati e ordinari, ai sensi dell'articolo 24, comma 6, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, senza pubblicare il bando via web e quindi, di fatto, attraverso delibere «riservate» ad un solo candidato;

   il decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 2000, n. 117 concernente le modalità di espletamento delle procedure per il reclutamento dei professori di ruolo e dei ricercatori stabilisce che «I bandi sono pubblicati dalle università e resi disponibili anche per via telematica. L'avviso di ciascun bando è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale»;

   è del tutto logico che all'interno della stessa università può essere strutturato più di un soggetto qualificato a ricoprire un ruolo di professore per un determinato settore, per cui, secondo gli interroganti, è del tutto irragionevole e quanto mai sospetta la modalità della chiamata su misura a favore di un singolo soggetto;

   Pierpaolo Sileri, ricercatore a tempo indeterminato di chirurgia generale e in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale di professore nel settore concorsuale 06/C1, ha proposto un ricorso al Tar del Lazio contestando la preclusione a partecipare alla procedura di chiamata come professore associato in quanto riservata a Paolo Gentileschi, membro del Senato accademico e figlio del professore Ezio Gentileschi, ex direttore della scuola di specializzazione in chirurgia generale della stessa Università di Tor Vergata;

   Giuliano Grüner, ricercatore a tempo indeterminato di diritto amministrativo e abilitato come professore nel settore concorsuale 12/D1, ha proposto un ricorso al Tar del Lazio contestando la preclusione a partecipare alla procedura di chiamata come professore associato in quanto riservata a Marco Macchia, allievo diretto del pro rettore vicario, professore Claudio Franchini;

   il ricorso proposto da Pierpaolo Sileri è stato accolto dal Tar del Lazio, sede di Roma, Sez. III-bis, 20 marzo 2017, con sentenza n. 3720, che ha disposto l'annullamento della procedura di chiamata di Paolo Gentileschi; per l'analogo ricorso proposto da Giuliano Grüner è stata fissata l'udienza di discussione nel merito alla data del 10 ottobre 2017;

   entrambi i ricercatori, a seguito dei ricorsi al Tar contro l'Università di Tor Vergata, sembra abbiano subito pressioni di vario genere dal rettore, professor Pietro Novelli già membro del consiglio direttivo dell'Anvur, che ne caldeggiava il ritiro. Tali comportamenti del rettore sono stati denunciati dagli stessi ricercatori alla procura della Repubblica di Roma che ha fissato l'udienza preliminare il 18 dicembre 2017 chiedendo il rinvio a giudizio del professor Novelli per tentata concussione e per istigazione alla corruzione;

   dalla registrazioni dell'incontro tra il rettore e Giuliano Grüner, pubblicate on line, è evidente la pressione esplicita con il fine di ottenere il ritiro del ricorso;

   la sentenza del Tar che dà ragione a Pierpaolo Sileri, secondo gli interroganti, fa sorgere più di qualche ragionevole dubbio riguardo alla legittimità delle 57 chiamate operate con le medesime modalità;

   l'articolo 2 del decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1944, n. 264 concede la facoltà al Ministro interrogato di revocare per gravi motivi, sentito il Consiglio dei ministri, il rettore;

   la nomina del rettore è perfezionata con decreto del Ministro –:

   di quali ulteriori elementi disponga sulle vicende richiamate e se il Ministro non ritenga vi siano i presupposti per revocare il decreto di nomina del rettore di Tor Vergata;

   se il Ministro non ritenga opportuno avviare iniziative, anche di tipo normativo, che prescrivano meccanismi di decadenza della carica di rettore e di sospensione dei professori per gravi motivi, con il relativo recepimento negli statuti delle università.
(5-12397)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESI, SALTAMARTINI e FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   ieri in occasione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'immigrazione, per rendere visibile agli studenti la loro presa di posizione, oltre 4.500 docenti sono entrati in classe con un nastrino tricolore sugli abiti;

   inoltre, 850 professori stanno praticando uno sciopero della fame e molti altri hanno realizzato attività con _ gli alunni per parlare di immigrazione e del senso della proposta della legge cosiddetta sullo ius soli per concedere la cittadinanza a coloro che nascono in Italia;

   questi argomenti non vengono trattati nelle scuole superiori, con studenti che hanno un relativo senso critico su certi argomenti, che sanno discernere ed eventualmente dibattere e replicare, bensì nelle scuole elementari, un «humus» umano particolarmente recettivo ai messaggi dei maestri, coloro di cui gli alunni si fidano maggiormente;

   all'Istituto comprensivo «Giacosa» di Milano, le insegnanti hanno organizzato un evento dove si parla a bambini delle elementari di ius soli in questi toni: «Chiediamo i diritti e i doveri di cittadinanza piena per i nostri bambini e ragazzi: impegniamoci tutti a difendere la legge sullo “ius soli” già approvata in Parlamento. Venite a cantare l'inno nazionale italiano e a gridare con noi, forte e chiaro: “Nella mia scuola nessuno è straniero!”», tutto questo si legge nella locandina dell'evento sponsorizzato dagli insegnanti;

   l'istituto era già stato teatro di una manifestazione due anni fa, con tanto di canzone «Bella ciao» intonata dagli alunni della «Casa del Sole» – un plesso del Giacosa;

   tra le pagine dei diari scolastici, i genitori hanno trovato un modulo firmato dal dirigente scolastico, per chiedere il consenso alla partecipazione dei bambini all'evento. La presenza dei piccoli non è obbligatoria (non potrebbe esserlo essendo attività extracurriculare), ma tra i genitori si è insinuato il dubbio che i propri figli vengano indottrinati verso una certa parte politica;

   si ritiene davvero grave che la scuola porti dei bambini a una manifestazione politica, la propaganda deve restare fuori dalle aule. Inoltre, si tratta di un'iniziativa per gli interroganti subdola, perché mette in soggezione i genitori che risultano condizionati verso un certo atteggiamento che in altre situazioni non avrebbero tenuto;

   ad avviso degli interroganti l'invito ad aderire a manifestazioni di parte deve essere fatto passare dagli organizzatori attraverso i normali canali di comunicazione pubblica e non tramite le istituzioni scolastiche;

   si sperava che l'arrivo di un nuovo dirigente scolastico potesse cambiare le cose in meglio in uno dei plessi più politicizzati di Milano –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati e quale sia il suo orientamento sulla vicenda;

   se intenda assumere iniziative ispettive in merito alla vicenda, anche al fine di valutare su sussistano i presupposti per rimuovere il dirigente in questione, posto che per gli interroganti è necessario valutare la possibilità di dare definitivamente ai bambini di quel comprensorio un dirigente che si occupi effettivamente di istruzione piuttosto che di politica;

   come intenda intervenire in merito all'accaduto e affinché iniziative di questo genere non vedano più come veicolo di propaganda la scuola e i docenti.
(4-18045)


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato dai giornali locali il 28 settembre 2017 un bimbo straniero di 10 anni che frequenta la prima media in un istituto del miranese avrebbe subito un vero e proprio agguato da parte di bulli, tutti di terza media e tutti italiani, che dopo averlo seguito fino al bagno della scuola, gli avrebbero sferrato un pugno in volto durante la pausa dalle lezioni;

   finita la ricreazione, rientrato in classe, il bimbo, in evidente stato di shock e con l'occhio gonfio, si è sentito male, accusando un forte mal di testa accompagnato dal vomito;

   per questo il padre, dopo averlo ritirato da scuola prima della fine dei corsi, allarmato l'ha prima portato a casa per poi deviare d'urgenza in ospedale, al pronto soccorso di Mirano;

   all'ospedale di Mirano i sanitari, viste le evidenti contusioni e gli ematomi riportati in faccia dal piccolo studente e considerata la persistente forte emicrania, gli hanno prima effettuato un elettroencefalogramma e poi, visti i traumi refertati, lo hanno trasferito in ambulanza a Dolo, dove il bimbo è stato trattenuto per una notte in osservazione;

   una professoressa ha denunciato «atti di prevaricazione da parte di una specie di baby gang, volti noti dentro come fuori la scuola e già protagonisti anche di alcuni episodi vandalici nell’hinterland comunale»;

   inoltre, alcuni genitori avrebbero dichiarato che «Il fatto che ci lascia perplessi è che la scuola non avrebbe compiutamente avvisato del fatto il padre del ragazzino, a cui è stato detto semplicemente che il figlio stava male e per questo doveva andare a prenderlo prima della fine delle lezioni»;

   versione diversa invece è quella fornita dall'Istituto, che, nella persona della vicepreside, sostiene l'opposto affermando inoltre di come sia partita un'inchiesta interna anche alla luce della denuncia fatta all'assicurazione –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se intenda disporre una verifica su quanto accaduto per accertare la presenza di fenomeni di bullismo all'interno della scuola, quale sia la ragione per la quale non sarebbe stato prontamente soccorso il bambino malmenato e se siano ravvisabili omissioni o responsabilità da parte del personale scolastico.
(4-18054)


   VILLAROSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   la Gazzetta del Sud in data 4 ottobre 2017 pone nuovamente l'attenzione sul problema delle multi-classi nelle isole minori, nella fattispecie a Vulcano e Filicudi (Isole Eolie);

   già nei giorni precedenti i giornali riportavano la notizia della protesta ad oltranza intrapresa dagli alunni (e genitori) della scuola media coinvolta nella sua totalità in una multiclasse che prevede prima, seconda e terza media in un'unica aula;

   le preoccupazioni dei genitori riguardano le garanzie che i loro figli possano avere un'istruzione adeguata ed equivalente a quanto previsto nel resto del territorio nazionale e l'accorpamento delle tre classi della scuola media in un'unica aula alimenta forti dubbi sulla qualità della didattica;

   dal punto di vista logistico, non dovrebbero esserci problemi, in quanto le aule sono già disponibili sull'isola di Vulcano a seguito di un intervento, con relativi costi già sostenuti, che ha praticamente rimesso a nuovo l'intero istituto isolano;

   il problema appare, quindi, inerente all'organico non sufficiente per coprire le tre distinte classi. C'è anche da considerare il fatto che gli studenti delle tre classi sono in tutto 21 e quindi probabilmente il dirigente scolastico di Lipari ha deciso di ottimizzare le risorse con la conseguenza di conculcare o almeno affievolire di fatto il diritto all'istruzione garantito dallo Stato;

   vista la composizione attuale delle classi (8 alunni prima media, 2 alunni seconda media, 11 alunni terza media) in relazione ai problemi logistici e di personale i genitori hanno anche proposto l'accorpamento di due classi al posto delle tre previste, soluzione che potrebbe apparire un compromesso accettabile da entrambe le parti e che eviterebbe anche una possibile «contestazione» riguardo a una eventuale classe composta da soli 2 alunni, ma anche questa richiesta è stata ad oggi rigettata –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   se intenda, per quanto di competenza, promuovere ogni iniziativa idonea alla soluzione del problema manifestato dai cittadini dell'isola di Vulcano;

   se intenda farsi promotore di un dispositivo normativo idoneo a fronteggiare i problemi lamentati dalle isole minori sicuramente di non facile ed economica soluzione ma, altrettanto sicuramente, meritevoli della massima attenzione dello Stato.
(4-18057)


   CIRACÌ e MARTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   la legge 107 del 2015 stabilisce al comma 126 dell'articolo 1, che per la valorizzazione del merito del personale docente è istituito presso il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca un apposito fondo, con lo stanziamento di 200 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016, ripartito a livello territoriale e tra le istituzioni scolastiche in proporzione alla dotazione organica dei docenti, considerando altresì i fattori di complessità delle istituzioni scolastiche e delle aree soggette a maggiore rischio educativo, con decreto del Ministro interrogato;

   il comma 127 dispone che il dirigente scolastico, sulla base dei criteri individuati dal comitato per la valutazione dei docenti, istituito ai sensi dell'articolo 11 del Testo unico, di cui al decreto legislativo 16 aprile del 1994, n. 297, come sostituito dal comma 129 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, assegna annualmente al personale docente una somma del fondo di cui al comma 126 sulla base di motivata valutazione;

   al successivo comma 128 è stabilito che la somma di cui al comma 127, definita bonus, è destinata a valorizzare il merito del personale docente di ruolo delle istituzioni scolastiche ogni ordine e grado e ha natura di retribuzione accessoria;

   il comma 129 della medesima legge dispone che «dall'inizio dell'anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge, l'articolo 11 del TU di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sia sostituito dal seguente: Art. 11 (Comitato per la valutazione dei docenti).

   1. Presso ogni istituzione scolastica ed educativa è istituito, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il comitato per la valutazione dei docenti.

   2. Il comitato ha durata di tre anni scolastici, è presieduto dal dirigente scolastico ed è costituito dai seguenti componenti:

    a) tre docenti dell'istituzione scolastica, di cui due scelti dal collegio dei docenti e uno dal consiglio di istituto;

    b) due rappresentanti dei genitori, per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo di istruzione; un rappresentante degli studenti e un rappresentante dei genitori, per il secondo ciclo di istruzione, scelti dal consiglio di istituto;

    c) un componente esterno individuato dall'ufficio scolastico regionale tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici.

   3. Il comitato individua i criteri per la valorizzazione dei docenti sulla base:

    a) della qualità dell'insegnamento e del contributo al miglioramento dell'istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti;

    b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell'innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche;

    c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale.

   4. Il comitato esprime altresì il proprio parere sul superamento del periodo di formazione e di prova per il personale docente ed educativo. A tal fine il comitato è composto dal dirigente scolastico, che lo presiede, dai docenti di cui al comma 2, lettera a), ed è integrato dal docente a cui sono affidate le funzioni di tutor» –:

   se il Ministro intenda assumere iniziative per chiarire se i criteri possano essere modificati in qualunque momento dell'anno scolastico dal comitato di valutazione o se, una volta approvati, siano immodificabili per la durata dei tre anni;

   se il dirigente scolastico, nelle proprie funzioni, possa assegnare il bonus premiale derogando ai criteri stabiliti dal Comitato di valutazione o non considerandoli totalmente o parzialmente;

   se il dirigente scolastico possieda discrezionalità assoluta nell'assegnazione del bonus;

   quali iniziative si intendano assumere per garantire il pieno rispetto della normativa in tema di accesso agli atti, di cui alla legge n. 241 del 1990 con riferimento ad eventuali docenti che dovessero ravvisare motivazioni valide per accedere alla documentazione relativa all'attribuzione o alla mancata attribuzione del bonus premiale.
(4-18058)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   con nota del 20 dicembre 2016 prot. n. 31511 l'interrogante ha richiesto al Ministro interrogato una visita ispettiva presso l'Università «Aldo Moro» di Bari avente per oggetto la problematica occorsa alla studentessa Ludovica Cristiani;

   nella nota del 30 marzo 2017 prot. n. 0009983 del direttore generale del dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca è riportato che «l'attuale assetto normativo incardina il potere disciplinare sui comportamenti tenuti dal personale universitario, anche docente, in capo al rettore di ciascun singolo Ateneo, ragion per cui non sembrerebbe potersi imputare al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca come soggetto gerarchicamente sovraordinato rispetto all'Ateneo» –:

   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative normative volte a prevedere, nel rispetto dell'autonomia dell'ordinamento universitario, strumenti più stringenti per garantire la trasparenza e la legalità dell'attività degli atenei, nonché il rispetto del principio meritocratico.
(4-18059)


   MURGIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il progetto di legge sullo ius soli è ancora in discussione in Parlamento e oggetto di un confronto politico in cui le diverse forze politiche si sono schierate, prescindendo dalla propria appartenenza alla maggioranza o all'opposizione;

   ad oggi non è mai stato negato ad alcuno il diritto all'istruzione, alle prestazioni sanitarie o a qualsiasi altro tipo di assistenza fornita dallo Stato, tantomeno quando si tratta di minori;

   il 3 ottobre 2017 si è svolta l'iniziativa di sensibilizzazione sullo Ius soli, promossa dai docenti della classe Quinta A della scuola primaria dell'istituto comprensivo Pietro Allori di Iglesias che ha previsto un percorso tra le vie cittadine, concludendosi nella piazza principale della città, Piazza Sella;

   l'iniziativa ha compreso una performance scenica e canora sulle note del brano «Essere umani» del cantante Marco Mengoni con alcuni momenti scanditi nella lingua dei segni;

   questa iniziativa, pubblicizzata come flash mob, in cui sono stati coinvolti gli alunni della 5 A, è solo l'ultima di un progetto che una delle docenti presenta su internet con le seguenti parole: «Eccoci a condividere il percorso di lavoro che sta coinvolgendo la nostra classe nella conoscenza della proposta di legge relativa allo ius soli e allo ius culturae. La fase iniziale l'abbiamo aperta proponendo ai bambini le seguenti attività: svolgimento di un'indagine individuale (a casa); lavoro di gruppo: condivisione delle indagini e dei materiali reperiti; riflessione su quanto compreso autonomamente; individuazione delle parole-chiave; restituzione alla classe (documentata con video); ristrutturazione a cura dell'insegnante con il supporto di una mappa costruita partendo da quanto emerso dai bambini. Il lavoro è proseguito con la visione di due filmati: “Ehi lo sai che non sei italiano” di Giulia Santerini, e “I bambini rispondono ai commenti razzisti contro lo Ius soli” di Alessio Viscardi... Il percorso si concluderà con una giornata interamente dedicata alla proposta di legge (3 ottobre 2017), che prevede: uno “Spazio creatività”, in cui i bambini presenteranno in modo personale, e utilizzando qualunque materiale autoprodotto, un possibile modo di far conoscere lo ius soli e lo ius culturae, e un momento di sensibilizzazione rivolto alla città partendo dalla canzone “Esseri umani” di Marco Mengoni»;

   il direttore scolastico dell'istituto in questione è il vicepresidente del consiglio comunale di Iglesias, città dove si è svolta l'iniziativa in oggetto e nella quale tra circa sei mesi si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del mandato del sindaco e dei consiglieri;

   la propaganda politica in una scuola primaria è un fatto grave e sconveniente in quanto lo ius soli e lo ius culturae non sono il contenuto di una legge già approvata dal nostro Parlamento ma sono, anzi, temi oggetto di un aspro dibattito, tra partiti, correnti culturali e filosofiche contrapposte;

   il rispetto, l'uguaglianza, la lotta al razzismo non si insegnano attraverso la propaganda di un partito politico o la scelta di materiale didattico fazioso e apertamente schierato, ma attraverso l'esempio di un confronto equilibrato tra le diverse posizioni in campo –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti, e se non ritenga di valutare la possibilità di inviare ispettori presso il citato istituto scolastico, al fine di valutare la correttezza dell'operato del personale in questione e di adottare le opportune iniziative per riportare nella scuola un insegnamento che si limiti ai fatti e che non possa dar luogo a forme di indottrinamento politico.
(4-18062)


   LO MONTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa si apprende che lo scandalo dei concorsi truccati che ha investito l'ateneo di Firenze, attualmente oggetto di indagine da parte della procura della Repubblica del capoluogo toscano, sta coinvolgendo anche le università di Messina e Palermo e potrebbe investire anche il Kore di Enna;

   in Sicilia il 5 novembre 2017 si voterà per l'elezione del nuovo presidente e dei settanta componenti l'Assemblea regionale;

   uno dei candidati alla guida della regione è il rettore dell'università di Palermo;

   tra i candidati a ruolo di deputato regionale sembra possa esservi anche il direttore generale dell'università di Messina;

   vista la gravità dei fatti che vedono come protagoniste le università di Palermo e Messina, la coincidenza dei ruoli di candidato e dei ruoli in ambito accademico ed in ambito amministrativo possono essere tali da ingenerare, all'interno degli atenei, pressioni per la ricerca e l'ottenimento di consensi all'interno delle stesse università e disagi per il personale docente e non docente;

   sarebbe quindi più che auspicabile, a parere dell'interrogante, che a fronte di candidati che ricoprono tali ruoli si individuassero strumenti idonei al fine di evitare l'alterazione della libera formazione del consenso in conseguenza dei chiari ed evidenti profili connessi al rapporto gerarchico –:

   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se intenda porre in essere le iniziative di competenza necessarie in relazione agli scandali che stanno coinvolgendo i due importanti atenei siciliani.
(4-18075)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIBAUDO, CULOTTA, BURTONE e ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il 29 agosto 2017 il Consiglio dei ministri ha approvato definitivamente il decreto legislativo che introduce nel nostro ordinamento un'importante misura a sostegno delle famiglie che vivono gravi disagi sociali, il reddito d'inclusione (RIA);

   come per moltissime provvidenze sociali, anche il Rel sarà basato sulla situazione Isee delle famiglie;

   il sistema dei Centri di assistenza fiscale (Caf) assiste oltre il 97 per cento dei nuclei familiari che richiedono all'Inps la certificazione Isee in modo gratuito, grazie a una convenzione annuale, a titolo oneroso, sottoscritta dagli stessi con l'Istituto;

   per l'anno 2017, l'Inps ha dichiarato ai Caf la disponibilità di copertura economica della convenzione fino a 5,1 milioni di dichiarazioni sostitutive uniche (Dsu) prodotte dagli stessi; al 27 settembre, il trend di crescita delle domande, certificato dallo stesso Inps sul proprio sito, fa prevedere il raggiungimento di tale soglia, entro la seconda settimana del mese di ottobre 2017, quindi, in data ancora molto distante addirittura dall'avvio delle domande per il Ria, stabilito al 1º dicembre 2017 –:

   quali iniziative intenda assumere per evitare conseguenze a danno dei cittadini che a partire dalle prossime settimane potrebbero non avere più l'assistenza gratuita dei Caf per la predisposizione della propria Dsu – quasi un milione – venendo a mancare la copertura economica da parte dell'Inps (circa 15 milioni di euro).
(5-12378)


   DALL'OSSO, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'azienda Froneri, joint-venture costituita dalle società Nestlé e R&R Ice Cream, specializzata nel settore del lattiero-caseario refrigerato e nella produzione di gelati e surgelati, è presente in più di 20 Paesi in tutto il mondo ed impiega circa 12.500 lavoratori. In Italia è presente a Parma, Ferentino e Terni. Nello stabilimento ex Nestlé di Parma adibito al confezionamento di gelati, sono impiegati 180 dipendenti che raggiungono le 250 unità nel periodo estivo;

   in data 27 settembre 2017, sul quotidiano online «La Repubblica» è stata pubblicata la notizia riguardante la decisione presa dall'azienda di chiudere lo stabilimento e di avviare il procedimento di licenziamento collettivo non prevedendo alcun ammortizzatore sociale, per 120 dipendenti del settore produttivo, numero in contrasto con quello dichiarato dai sindacati di 180 che include anche gli amministrativi, più i 70 stagionali;

   l'azienda ha motivato la decisione di chiudere l'impianto parmigiano per «un insieme di cause di inefficienza su cui non è possibile intervenire secondo una logica industriale adatta alle sfide del mercato nazionale e internazionale» e per «l'esigenza di rendere sostenibile il business in Italia, compatibilmente con la complessità del contesto locale e l'andamento dei mercato di riferimento, che è in trasformazione per effetto di una crescente dinamica competitiva». L'azienda ha però specificato che «tutti i volumi di produzione realizzati nel sito di Parma saranno riallocati, in funzione delle esigenze tecniche ed organizzative, negli altri siti italiani»;

   secondo i sindacati che seguono la vicenda, l'azienda si è comportata senza alcun rispetto per le relazioni industriali, attuando comportamenti che sono apparsi palesemente non corretti e ingannevoli, soprattutto dopo che a fine luglio 2017 aveva sottoscritto un verbale di incontro dove smentiva categoricamente l'ipotesi di chiusura, tranquillizzando il sindaco di Parma e i sindacati nazionali;

   i lavoratori, dopo essere arrivati a conoscenza dell'avvio del procedimento di licenziamento collettivo, hanno annunciato lo stato di agitazione, il blocco degli straordinari e delle flessibilità e hanno dato mandato ai sindacati di intraprendere ogni iniziativa utile ad ottenere l'annullamento della procedura di licenziamento collettivo e un confronto con l'azienda atto a scongiurare la chiusura dello stabilimento –:

   se il Ministro interrogato non intenda prontamente istituire un tavolo nazionale di confronto con l'azienda Froneri, le rappresentanze sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie interessate, al fine di promuovere azioni volte all'esclusione del licenziamento per ognuno dei lavoratori fissi e stagionali dello stabilimento di Parma, prevedendo per gli stessi adeguati ammortizzatori sociali;

   nel caso non si riescano ad evitare i licenziamenti dei sopraindicati lavoratori del sito di Parma, se non intendano assumere iniziative volte a prevedere un piano di ricollocamento per ognuno dei dipendenti licenziati.
(5-12379)


   RICCIATTI, EPIFANI, MARTELLI, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, FERRARA, SIMONI, NICCHI, QUARANTA, FRANCO BORDO, FOLINO, MOGNATO, ALBINI, BOSSA, PIRAS, MELILLA, SANNICANDRO, SCOTTO, SPERANZA, KRONBICHLER, ZARATTI e D'ATTORRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   come si apprende dagli organi di stampa, il 16 maggio 2017, l'azienda Sky, nonostante avesse chiuso l'esercizio 2016-2017 con ricavi saliti del 4 per cento (circa 2,86 miliardi di euro) e profitti operativi a 162 milioni, quindi addirittura a più 139 per cento, ha deciso di licenziare circa 200 lavoratori e trasferirne 300 a Milano, quasi tutti dalla sede di Roma, di via Salaria;

   il 22 agosto 2017, il tribunale di Roma con una pronuncia del giudice del lavoro, dottoressa Laura Baiardi, ha accettato le doglianze contenute nel ricorso promosso dal sindacato Ugl, sancendo il comportamento antisindacale di Sky Italia. Nel dispositivo si contesta «il mutamento volontario della sede di lavoro» verso Milano, considerandolo invece «imposto». Secondo il tribunale infatti il trasferimento della sede romana di Sky a Milano è stato fatto violando l'articolo 57 del contratto collettivo nazionale, in pratica senza spiegare le «comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive» dietro la chiusura di Roma, e senza attivare le procedure di licenziamento, in primis il coinvolgimento del sindacato, preferendo procedere a colloqui individuali «volontari» con i lavoratori da cacciare e da spostare e assumendo quindi una decisione unilaterale;

   ovviamente la sentenza del giudice del lavoro ha riaperto le speranze dei lavoratori impossibilitati a spostarsi a Milano o che avevano scelto di non accettare con riserva il trasferimento e il 20 settembre 2017 anche i sindacati confederali hanno chiesto a Sky di tenere conto della pronuncia in questione e di riaprire la trattativa;

   incurante di tale sentenza, l'azienda ha però spedito senza alcun preavviso, 102 lettere di licenziamento, immediato per amministrativi e tecnici, che lavorano nella sede di Roma, da dove ancora trasmette Sky Tg24;

   con il pronunciamento del tribunale di Roma questa gigantesca operazione di trasferimento avrebbe dovuto essere azzerata così come i licenziamenti consequenziali e invece Sky ha scelto di non ottemperare alla decisione assunta dal giudice del lavoro e di proseguire nella sua decisione –:

   se il Governo, per quanto di competenza, non intenda assumere iniziative per individuare forme di sostegno del reddito per la tutela sociale dei lavoratori dell'azienda Sky colpiti da lettera di licenziamento e quali strumenti intenda porre in essere per scongiurare il rischio che altre aziende del settore possano in futuro assumere iniziative in contrasto con il contratto collettivo nazionale di lavoro e condotte analoghe a quelle di Sky.
(5-12391)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il trattamento di fine rapporto, Tfr o liquidazione, è una vera e propria porzione di retribuzione al lavoratore subordinato differita alla cessazione del rapporto di lavoro: erogato in tutti i casi di cessazione del rapporto di lavoro, qualunque e ne sia la ragione;

   negli anni esso ha subito diverse modifiche: la legge finanziaria 2007 ha istituito il fondo per l'erogazione del Tfr ai lavoratori privati, gestito dall'Inps; sono stati assoggettati al regime di cui alla legge n. 297 del 1982 — in attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 20 dicembre 1999 i dipendenti pubblici in servizio al 30 maggio 2000: gli altri restano assoggettati al vecchio regime di trattamento di fine servizio (TFS). Nel pubblico impiego i dipendenti non hanno il diritto all'anticipo del Tfr né del Tfs;

   L'articolo 1, commi 484 e 485, della legge del 2013 n. 147 ha normato il procedimento per il pagamento rateale del Tfs e del Tfr ai dipendenti che cessano dal servizio a partire dal 1o gennaio 2014, innalzando a 12 mesi il termine di pagamento delle prestazioni dovute. Normalmente vengono corrisposti in unica soluzione se di importo pari o inferiore a 50.000 euro; in due o tre rate annuali, se di ammontare pari o inferiore a 100.000 euro; in tre importi annuali se l'ammontare è uguale o superiore a 100.000 euro;

   in caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso, trova applicazione il termine breve: la prestazione deve essere liquidata entro 105 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro;

   la prestazione non può essere liquidata prima di dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro per: a) raggiungimento limite di età; b) cessazione dal servizio per estinzione del rapporto di lavoro a tempo determinato; c) cessazione dal servizio per risoluzione unilaterale;

   la prestazione non può essere liquidata e messa in pagamento prima di 24 mesi, quando questa è avvenuta per cause diverse;

   naturalmente, sono previsti numerose deroghe che rendono di difficile comprensione, soprattutto per i lavoratori, i tempi e le modalità di applicazione dalla normativa vigente. Tant'è che sono numerosissimi i casi di ricorso verso gli enti erogatori del Tfr e Tfs avverso i tempi e le modalità per avere la liquidazione del maturato diritto. Non ultimo il caso di un ex dipendente della provincia di Rieti, che a seguito di pensionamento in base alle norme della legge n. 135 del 2012 (spending review) in data 1o agosto 2015 potrà avere la liquidazione, secondo la comunicazione Inps, non prima del 23 maggio 2019: non prima di 47 mesi dal collocamento in quiescenza ovvero a maturazione dei requisiti ex legge n. 214, nonostante la richiesta fatta dall'interessato all'Inps in data 4 agosto 2017 n. 1-3937340693. Ciò è riconducibile, a livello nazionale, ad una ampia casistica relativa ai dipendenti delle amministrazioni provinciali collocati unilateralmente in pensione con i requisiti previgenti alla normativa «Fornero/Monti» in applicazione della circolare del dipartimento della funzione pubblica n. 4 2014. È evidente la discrasia di applicazione di norme da una parte al collocamento in pensione in base al previgente regime, mentre vincolano i tempi di erogazione del Tfs alla maturazione differita dei requisiti qualora i soggetti interessati fossero rimasti in servizio –:

   se il Ministro interrogato, anche alla luce di quanto espresso in premessa, non ritenga di dover effettuare un monitoraggio presso gli enti erogatori del Tfr e Tfs, affinché vengano rispettate le norme vigenti in materia e, se necessario, valutare l'opportunità di assumere iniziative per una modifica normativa al fine di rimuovere la palese disparità di trattamento.
(4-18060)


   CORDA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   al termine di una procedura di licenziamento collettivo, il 31 dicembre 2016, sono stati licenziati 525 lavoratori dell'Ati-Ifras di Elmas, in provincia di Cagliari, associazione di imprese che ha svolto una serie di opere nel settore ambientale ed archeologico in numerosi comuni della Sardegna;

   la regione Sardegna si impegnava a risolvere la vertenza con i lavoratori ex Ati-Ifras mediante l'assunzione a termine dei lavoratori nella società in house Igea, negli enti locali e negli enti pubblici fino al reinserimento degli stessi nel nuovo parco geominerario della Sardegna, prevedendo un piano di accompagnamento alla pensione e all'esodo per i lavoratori che ne avrebbero fatto richiesta;

   ad oggi i 525 lavoratori ex Ati-Ifras, nonostante le continue promesse della regione, sono ancora senza, occupazione e ancora in attesa di risposte concrete da parte della regione medesima; nessun lavoratore è stato assunto con contratto a tempo determinato; il Geoparco, simbolo del rilancio sociale, culturale e ambientale della regione, non è stato ancora costituito allontanandosi ulteriormente la possibilità di procedere alla assunzione dei lavoratori coinvolti –:

   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, per quanto di competenza, per promuovere l'immediato reinserimento nel mercato del lavoro degli ex lavoratori Ati-Ifras e far fronte alle conseguenze sul piano sociale.
(4-18061)


   FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato da notizie di stampa, l'azienda di raccolta e smaltimento di rifiuti Cidiu che opera a Torino, ha licenziato una dipendente che lavorava nell'azienda da 11 anni, perché avrebbe sottratto un monopattino rotto, destinato alla raccolta differenziata, per portarlo a casa;

   per la verità, il fatto ha contorni poco chiari, dal momento che nessuno nell'azienda è in grado di dire dove sarebbe stato raccolto il giocattolo, né si comprende chi avrebbe dato il monopattino alla dipendente, la quale ha più volte sostenuto di non conoscere la provenienza del giocattolo, e cioè se fosse un rifiuto o no;

   per effetto di questa presunta sottrazione, la direzione dell'azienda ha ritenuto di licenziare la lavoratrice a giugno scorso, senza possibilità di spiegazioni –:

   se il Ministro sia a conoscenza della situazione;

   se non ritenga di assumere iniziative normative per disciplinare in modo più stringente limiti e garanzie nell'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro onde evitare che una questione di così poco conto possa nuovamente essere utilizzata in futuro come motivazione per il licenziamento.
(4-18065)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FANUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il florovivaismo in Italia vale oltre 2,5 miliardi di euro, di cui circa 1,15 per la sola produzione di fiori e piante da vaso. Sono 27 mila le aziende impegnate nel settore, per un totale di 100 mila addetti e quasi 29 mila ettari di superficie agricola complessivamente occupata;

   l’export rappresenta un quarto del valore complessivo annuo della produzione florovivaistica in Italia. Tra i principali mercati di destinazione delle piante in vaso si annoverano la Germania, la Francia, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna e il Belgio, mentre come mete di alberi e arbusti, oltre ai Paesi già citati, vanno aggiunti la Spagna, la Turchia e la Svizzera. Tra i Paesi che importano fogliame italiano spiccano, invece, Paesi Bassi, Germania e Francia, mentre per i fiori recisi il primo sbocco di mercato è quello dei Paesi Bassi;

   da tempo sono apparsi articoli su riviste straniere che mettono in cattiva luce il vivaismo italiano, con particolare riferimento al fatto che il nostro Paese è «infestato» dalla Xylella. Si tratta di una grande campagna denigratoria nei confronti delle produzioni del nostro Paese, che strumentalizza la questione della Xylella, nonostante sia noto che è limitata ad una zona della Puglia. Si tratta di riviste di grande diffusione nei rispettivi Paesi come Deutsche Baumschule Magazin (D), Le Lien Horticole (F), de Boomkwekerij (NL), Grower (UK), che comunque i clienti del settore florovivaistico italiano leggono abitualmente e certamente ne sono influenzati;

   l'Italia ha molte importanti realtà che si basano sull'esportazione ma anche diverse aziende medio piccole che sono cresciute in questi anni grazie alle esportazioni. Non si tratta quindi soltanto di un danno d'immagine ma soprattutto di un danno economico consistente –:

   quali iniziative adottate i Ministri interrogati abbiano adottato a livello europeo per contrastare questa campagna denigratoria nei confronti di un settore così strategico per il nostro Paese e se, in particolare, non ritengano necessario promuovere una verifica da parte di una commissione fitosanitaria europea nelle principali aziende florovivaistiche italiane, al fine di fornire rassicurazioni sui controlli che vengono effettuati in Italia.
(5-12383)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PAOLA BOLDRINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'emergenza sanitaria è un momento critico per l'intero sistema sanitario dove in tempi strettissimi è necessario prendere in carico un paziente con una possibile situazione di pericolo di vita e sottoporlo ad accertamenti e terapie non programmati;

   con il decreto del Presidente della Repubblica del 27 marzo 1992 si sono fondate le basi per una organizzazione del sistema di emergenza che comprende la fase di allarme, la fase preospedaliera costituita da mezzi e professionisti del soccorso ed una rete di servizi ospedalieri differenziati;

   pur essendo stato il sistema di emergenza 118 oggetto di importanti percorsi di armonizzazione sulla base delle linee guida 1/96, si registrano comunque modelli organizzativi differenziati tra le varie regioni e all'interno della stessa regione tra le aziende, anche rispetto ai territori confinanti. Lo sviluppo dei sistemi è stato disomogeneo soprattutto relativamente alla costituzione degli equipaggi sui mezzi di soccorso e al rapporto tra gli stessi mezzi, dotati di ligure professionali diversificate ma con livelli di responsabilità che spesso si sovrappongono;

   il governo clinico-assistenziale degli interventi di emergenza-urgenza sanitaria svolti in ambito preospedaliero deve trovare livelli di controllo che permettano di erogare efficacemente la miglior prestazione utile al paziente mediante l'identificazione di livelli differenziati in: fase di pianificazione; fase esecutiva e fase ex post;

   di estremo rilievo sono stati il cambiamento nel percorso formativo degli infermieri italiani nonché l'istituzione della scuola di specializzazione in medicina d'emergenza-urgenza con lo scopo di assicurare un preciso riferimento riguardo alla preparazione professionale dei medici che si confrontano quotidianamente con le emergenze e con le urgenze;

   la criticità nel reclutamento di medici specializzati e formati in pronto soccorso come conseguenza della mancanza, fino a 11 anni fa, della scuola di specializzazione di disciplina (decreto ministeriale 17 febbraio 2006) ha fatto sì che per sostenere gli organici si è fatto ricorso ad un numero elevato di equipollenze, per cui in pronto soccorso si trovano ad operare specialisti di varie discipline;

   per la stessa ragione sono stati inseriti nel sistema di emergenza anche medici provenienti da settori convenzionati e con contratti libero professionali, rendendo il settore uno dei più colpiti dal fenomeno del precariato medico;

   inoltre, vi è una conflittualità nella definizione di mezzo di soccorso avanzato per il quale si dovrebbe prevedere, secondo il regolamento degli standard di assistenza ospedaliera, la contemporanea presenza di entrambi i professionisti, medico ed infermiere;

   da più società scientifiche ed organizzazioni sindacali si sollecita un intervento finalizzato a definire in maniera non equivocabile le caratteristiche professionali di ciascuna unità operativa mobile;

   è necessario definire il fabbisogno di mezzi di soccorso avanzati sul territorio regionale utilizzando il criterio previsto dal decreto ministeriale n. 70 del 2015 che si basa sulla attribuzione di un mezzo di soccorso avanzato ogni 60.000 abitanti con la copertura di un territorio non superiore a 350 chilometri quadrati, applicando un necessario correttivo specifico per la copertura ottimale nelle zone di particolare difficoltà di accesso, per garantire l'adeguata funzionalità dei percorsi clinico assistenziali;

   si rendono necessari oggi riferimenti nazionali che vadano oltre le linee guida del 1996 e che indirizzino le regioni sull'organizzazione dei dipartimenti d'emergenza urgenza dove l'integrazione della medicina pre-ospedaliera (sistema 118) con quella ospedaliera sia intesa come appartenenza almeno funzionale ad un'unica organizzazione dell'emergenza che permetta ai professionisti di svolgere attività sia sul territorio che in ospedale, con modalità organizzative adattate ad ogni realtà (rotazione, progressione e altro) –:

   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato, nel rispetto delle competenze regionali in materia sanitaria, intenda adottare al fine di pervenire ad una riorganizzazione e ad una omogeneizzazione su tutto il territorio nazionale del modello operativo dei dipartimenti d'emergenza urgenza.
(5-12380)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, GRILLO, NESCI e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 27-bis del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha previsto per i soggetti danneggiati da trasfusione con sangue infetto o emoderivati infetti o da vaccinazioni obbligatorie (o ai loro eredi, in caso decesso) il riconoscimento di una somma di denaro a titolo di equa riparazione per il danno subito;

   secondo lo stesso articolo 27-bis la liquidazione degli importi deve essere effettuata entro il 31 dicembre 2017, in base al criterio della gravità dell'infermità derivatane agli aventi diritto;

   è però accaduto che il Ministero della salute abbia avuto difficoltà nella gestione delle pratiche, rendendosi necessaria la partecipazione di un numero maggiore di personale per la liquidazione degli assegni. Rappresentanti del Ministero, infatti, in occasione di un incontro avuto con le associazioni dei danneggiati, hanno riferito di aver avviato un progetto di ristrutturazione interna volto all'arruolamento di personale, ridotto a poche unità, per poter lavorare più velocemente le pratiche per quanto riguarda l'equa riparazione, l’iter transattivo e il pagamento delle sentenze;

   sta accadendo, altresì, che tantissimi aventi diritto all'equa riparazione non siano ancora stati liquidati, nonostante la scadenza a breve della procedura, e che abbiano seri problemi a mettersi in contatto con gli uffici del Ministero deputati alla gestione della pratica (il numero telefonico è costantemente occupato);

   l'articolo 5-ter del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, ha statuito che «Al fine di definire le procedure finalizzate al ristoro dei soggetti danneggiati da trasfusioni con sangue infetto, da somministrazione di emoderivati infetti o da vaccinazioni obbligatorie, il Ministero della salute, per le esigenze della Direzione generale della vigilanza sugli enti e della sicurezza delle cure, è autorizzato ad avvalersi di un contingente fino a venti unità di personale appartenente all'area III del comparto Ministeri» –:

   se, a più di tre mesi dall'entrata in vigore del citato decreto-legge, sia già stato utilizzato il personale dell'area III del comparto Ministeri per la definizione delle procedure finalizzate al ristoro dei soggetti danneggiati da sangue infetto e da vaccinazioni obbligatorie;

   quante unità di personale si stiano utilizzando per tale finalità, con quali modalità sia stato scelto il personale in questione e da quali uffici provenga.
(5-12381)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAUSIN. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   è stata definita, dal Ministero della salute, influenza aviaria ad alta patogenicità H5N8 quella che, nel corso di quest'anno, ha colpito alcune regioni del nord Italia, in particolare il Veneto dove si contano già oltre 40 aziende interessate sia da focolai che da abbattimenti preventivi che hanno comportato l'eliminazione di oltre 300 mila capi, in particolar modo nella Bassa Veronese, nella Bassa Padovana (l'ultimo episodio dell'11 settembre 2017 quando un focolaio è stato riscontrato in un allevamento di oche e anatre), nel Polesine, e nel Veneziano;

   con il provvedimento dirigenziale del 20 settembre 2017, recante ulteriori misure di controllo ed eradicazione per contenere la diffusione dell'influenza aviaria, sono state prorogate le disposizioni già assunte in precedenza a conferma che l'emergenza è ancora attuale;

   per l'abbattimento e la distruzione dei capi presenti in allevamento, i cosiddetti danni diretti, la legge n. 218 del 1988 prevede un rimborso pari al valore di mercato dei capi abbattuti: è riconosciuta una indennità pari al 100 per cento del valore di mercato degli animali e all'80 per cento del valore attribuito in sede di stesura del verbale di distruzione «di attrezzature fisse o mobili e/o, in quanto non adeguatamente disinfettabili, di mangimi, di prodotti agricoli e di prodotti zootecnici contaminati»;

   tuttavia, come osserva Confagricoltura Veneto, gli indennizzi per i capi abbattuti non bastano a coprire i danni indiretti subiti dagli allevatori a causa del conseguente fermo obbligatorio e dei divieti di movimentazione e di accasamento. In tal senso, la normativa è chiara: rilevato un focolaio, si deve procedere con l'abbattimento di tutti gli animali e la creazione di una zona di protezione, di 3 chilometri di diametro dal focolaio, ed una zona di sorveglianza di diametro di 10 chilometri dal focolaio. In queste zone, oltre ad essere vietato il cosiddetto «accasamento», cioè la reintroduzione di animali in allevamento, sono previsti limiti diversificati alla movimentazione degli animali, anche a fini della macellazione;

   ecco perché si parla di danni indiretti: oltre al danno diretto e immediato dovuto all'abbattimento e alla distruzione degli animali – prosegue Confagricoltura Veneto – gli agricoltori si trovano a subire i danni «indiretti», cioè quelli da mancati redditi e alla mancata possibilità di allevare gli animali;

   in tal caso, opera il decreto ministeriale che, in attuazione del regolamento (UE) 1071 del 2014, riguarda i cosiddetti danni indiretti: cioè le domande di aiuto relative alle misure eccezionali a sostegno del settore avicolo per le quali l'Unione europea partecipa nella misura del 50 per cento al finanziamento delle spese sostenute dall'Italia;

   il 20 settembre 2017 si è riunito il tavolo avicolo interregionale cui hanno partecipato le regioni interessate all'epidemia (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Friuli Venezia Giulia), le associazioni dei produttori e il Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali per un confronto sulle misure di sostegno da inoltrare all'Unione europea. Questo fa capire che le misure di ristoro per l'intero comparto saranno lente ad arrivare, perché il procedimento di riconoscimento dei danni richiede l'attivazione di una serie di procedure normative sia nazionali che sovranazionali –:

   quali iniziative urgenti, al di là delle richieste da avviare in sede europea, i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere per una corresponsione in tempi brevi degli indennizzi relativi sia ai danni diretti che a quelli indiretti;

   di quali notizie disponga il Governo in merito alla mancata utilizzazione del vaccino nel caso specifico di quest'ultima epidemia.
(4-18033)


   BUSTO, MANTERO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 28 settembre 2017 alcune associazioni di tutela dei cittadini e dell'ambiente, tra cui Legambiente e CIWF, hanno inviato una lettera al presidente Bonaccini volta a chiedere una consultazione sulla bozza di piano nazionale di contrasto dell'Antimicrobico resistenza – Pncar 2017-2020 che il Ministero della salute ha trasmesso alla Conferenza delle regioni e delle province autonome;

   la lettera reca delle osservazioni al Pncar e un'annotazione sul fatto che il Ministero non ha mai risposto ad alcuna delle richieste di informazione e confronto sul tema avanzate nell'ultimo anno dalle associazioni;

   tra le osservazioni si rileva come nel piano non venga considerato tutto il mondo dei Pet e quello degli equidi non-Dpa, un numero considerevole di animali a cui viene somministrato un notevole numero di antibiotici;

   le associazioni evidenziano come il target di riduzione del 30 per cento proposto dal piano rischi di «non affrontare la minaccia in modo tempestivo e significativo». Mancano inoltre i dati al consumo per il 2016, per i quali viene richiesto «quali dati di consumo, raccolti da chi e con quale metodo, utilizza relativamente all'anno 2016 per stabilire la riduzione del consumo prevista per il 2020»;

   il report Esvac evidenzia come nel 2014 (ultimi dati disponibili) la vendita di antibiotici ammontava a 359,98 mg/kg pf PCU mentre la media dell'Unione europea nel 2014 era di 152,9 mg/kg;

   altri Paesi europei hanno adottato piani di riduzione drasticamente superiori: l'Olanda, per esempio, aveva stabilito un target di riduzione dell'uso pari al 50 per cento tra il 2009 e il 2013 e del 70 per cento tra il 2009 e il 2015;

   la richiesta delle associazioni è una riduzione del consumo degli antibiotici del 70 per cento, che condurrebbe comunque l'Italia ad un consumo superiore a quello olandese;

   tra le richieste delle associazioni c'è quella per un divieto dell'uso routinario degli antibiotici, soprattutto a scopo preventivo, in particolare per gli antibiotici di importanza critica;

   il Movimento 5 Stelle ha riposto molta attenzione alla definizione del piano attraverso diversi atti politici, tra cui un'interpellanza in data 7 luglio 2017. Nella risposta all'interpellanza il delegato del Governo ha riportato come il Ministero abbia predisposto un monitoraggio sul corretto uso dei medicinali veterinari, da cui scaturisce «una ragionevole speranza che talune modalità vengano completamente superate»;

   la prevenzione delle malattie animali dovrebbe essere basata prevalentemente sulle corrette pratiche di allevamento, così come affermato dalla Federazione europea dei veterinari. Tale dichiarazione viene supportata da studi che dimostrano come gli animali tenuti in strutture adeguate abbiano un benessere migliore, vengano colpiti da meno infezioni e necessitino di un numero inferiore di antibiotici;

   le situazioni di stress all'interno degli allevamenti intensivi, per contro, alterano il sistema immunitario e la suscettibilità degli animali alle malattie, così come emerge dal parere congiunto Ema/Efsa,

   i dati disponibili in Italia sull'uso dei farmaci veterinari negli allevamenti sono carenti e si ipotizza un uso eccessivo e sommerso di antibiotici negli allevamenti. La stessa relazione al Pni 2015 riporta che «permane l'incoerenza dei risultati ottenuti dalle attività di farmacosorveglianza, in termini di basso numero di prescrizioni veterinarie, rispetto ai dati di vendita degli antimicrobici veterinari» –:

   quali siano i dati a disposizione del Ministro interrogato sull'uso di antibiotici negli allevamenti e sulla frequenza di isolamento di batteri resistenti negli allevamenti medesimi, nonché sull'eventuale persistere di atteggiamenti non consentiti, quali la somministrazione degli antibiotici per usi diversi da quello terapeutico;

   se il Ministro interrogato non ritenga di recuperare un coinvolgimento delle associazioni per la tutela dei cittadini, dell'ambiente e degli animali, ai fini della definizione del piano.
(4-18038)


   MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   è notizia recente che a partire dagli ultimi giorni del mese di settembre 2017 e fino agli inizi di novembre 2017 il reparto di ortopedia dell'ospedale «San Giuliano» sito in Giugliano in Campania (Napoli) non accoglierà più pazienti in regime di ricovero ordinario «per grave e improvvisa carenza di medici ortopedici» (http://www.internapoli.it);

   dalle dichiarazioni rese dal direttore generale della Asl Napoli 2 nord sembra che, all'interno del reparto, 3 medici si siano dimessi e 2 si siano messi in aspettativa. Ciò ha comportato che, nel reparto, adesso vi sono solo un primario ed un altro medico; inoltre, gli arrivi in ambulanza sono stati sospesi e gli interventi programmati bloccati;

   la legge finanziaria 2007 ha introdotto l'attività di affiancamento delle regioni che hanno sottoscritto l'accordo comprensivo di piani di rientro, prevedendo che esso debba essere assicurato dal Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, nell'ambito del sistema nazionale di verifica e controllo sull'assistenza sanitaria, SiVeAS;

   con deliberazione del Consiglio dei ministri in data 23 luglio 2009 il Governo ha proceduto alla nomina del presidente pro tempore della regione Campania quale commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222 –:

   se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra descritta e quali iniziative, nel rispetto della competenza delle regioni e degli enti locali in materia di gestione sanitaria, intenda intraprendere per risolvere la problematica sopra descritta;

   se intenda verificare, per quanto di competenza, che siano assunte iniziative con celerità per risolvere la situazione descritta;

   quali iniziative abbia assunto il Governo – nell'ambito della funzione di affiancamento che il Governo, tramite il suo commissario, deve esercitare in relazione al piano di rientro dal disavanzo delle spese sanitarie della regione Campania – per garantire i livelli essenziali di assistenza nell'ospedale di cui in premessa;

   se la situazione descritta in premessa, oltre a pregiudicare la salute dei cittadini, non possa alimentare – eventualmente – un'ulteriore aggravio di spese sul già deficitario bilancio del servizio sanitario regionale.
(4-18041)


   PLACIDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da alcuni mesi in Basilicata, i medici che garantiscono la continuità assistenziale subiscono le conseguenze della delibera di giunta regionale del 3 maggio 2017 che sospende (da aprile 2017 retroattivamente) la corresponsione degli emolumenti fissati dell'accordo integrativo regionale del 2006-2008;

   il governo regionale replica in tal modo ad una richiesta di chiarimenti, riferita ai costi del servizio, proveniente dalla Corte dei conti e, piuttosto che controdedurre analiticamente, dando conto dell'incidenza delle singole voci di costo sul totale della spesa, sceglie in maniera pilatesca di sospendere unilateralmente il pagamento di quanto pattuito e dovuto;

   le indennità percepite dai medici, sulla base dell'accordo citato (pari ad euro 5 lordi orari), infatti, erano state parametrate ignorando un insieme di elementi (reperibilità, indennità non residenti, adeguamento sedi ai fini della sicurezza) che, qualora computati avrebbero fatto lievitare sensibilmente i costi dei servizi erogati –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere per quanto di competenza e con il coinvolgimento della regione per evitare il rischio che i medici si astengano dall'erogare le prestazioni non più retribuite, privando i cittadini lucani di servizi sanitari essenziali come intenda evitare che agli utenti della sanità lucana non siano assicurati i livelli delle prestazioni garantiti sul resto del territorio nazionale.
(4-18048)


   ZOLEZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in data 9 settembre 2017 è stato pubblicato sulla rivista Indian Journal of medichal ethics l'articolo intitolato «Infanrix hexa and sudden death (SUD): a review of the periodic safety update reports submitted to the European Medicines Agency» di Jacob Puliyel, C Sathyamala. In tale articolo si esegue una analisi dei rapporti periodici di aggiornamento sulla sicurezza dati di sicurezza (PSUR) relativi al vaccino esavalente Infanrix hexa, prodotto dalla Glaxo Smith Kline (GSK) dopo molti rapporti spontanei di morte improvvisa (Sudden Unaxpected Death SUD) successivi alla somministrazione di questo vaccino. L'articolo mette in dubbio la correttezza dei Periodic Safety Update Report (PSUR) della GSK visto che per esempio nel PSUR 19 sembrano scomparsi i decessi citati nel PSUR 16 quando dovevano essere sommati; secondo gli autori dell'articolo, l'83 per cento delle morti riportate nei PSUR è avvenuto subito dopo la vaccinazione nei primi 10 giorni e solo il 17 per cento è accaduto nei successivi dieci giorni e l'inserimento corretto dei dati porta a un incremento statisticamente significativo dei decessi per SUD nei primi 4 giorni successivi a vaccinazione;

   già un altro vaccino esavalente, l'Exavac, era stato attenzionato per sospetto incremento dei costi di SUD e tolto dal mercato nel 2005 per un'asserita scarsa immunogenicità per quanto riguarda il virus dell'epatite B, in realtà negata da successivi studi;

   da un punto di vista eziopatogenetico è stata documentata in molti studi una possibile reazione immunitaria ritardata e uno stress respiratorio acuto in seguito a vaccinazione esavalente: «J. Aust. Coli. Nutr. & Env. Med. Vol. 23 No. 3 (December 2004) pages 1-5, Dynamics of critical days as part of the dynamics of non-specific stress syndrome discovered during monitoring with Cotwatch breathing monitor del Dr Viera Scheibner»;

   nella relazione intermedia della Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, presieduta dal parlamentare Scanu, un capitolo è dedicato alle vaccinazioni, si legge che i soggetti adulti sottoposti a vaccinazioni in numero superiore a cinque possono avere complicanze e tale limite numerico, come sottolineato anche dal generale Tomao, deve diventare prescrittivo nella somministrazione dei vaccini e adottato nelle linee guida militari come specifica prescrizione. In conclusione, la Commissione ritiene che l'utilizzo di farmaci vaccinali forniti in soluzione monovalente e monodose sia auspicabile;

   la legge n. 119 del 31 luglio 2017 ha portato all'obbligatorietà per 10 vaccini (di cui un farmaco esavalente) –:

   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative al fine di ottenere ulteriori rassicurazioni da parte del produttore del vaccino Infanrix hexa;

   se intenda assumere iniziative per incrementare la farmaco vigilanza nazionale nel settore dei vaccini, stante anche l'aumentato numero di vaccini somministrato ai bambini italiani, compresi preparati multipli come l'Infanrix hexa, e ritardare la somministrazione di alcuni vaccini come quelli per HBV e rosolia.
(4-18052)


   PETRAROLI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il 26 settembre 2015 è stata inaugurata la residenza socio-assistenziale «Albertini Vanda», la casa di riposo gestita dalla Santambrogio Servizi srl, dell'amministratore Gianni Caprara;

   dopo tanti anni dalla chiusura della casa di riposo di Agra, con problematiche legate ad autorizzazioni per la gestione tra due società, tornava in vita il presidio sanitario di lunga degenza sul territorio della parte nord della provincia di Varese. La ristrutturazione della struttura ha interessato sia l'interno che l'esterno dell'immobile; al suo interno hanno preso servizio una cinquantina di operatori sanitari;

   secondo quanto riportato da un articolo del quotidiano online «Luinonotizie» del 26 settembre 2015 dal titolo «Agra, inaugurata stamane la “rinata” casa di riposo “Albertini Vanda”. Ecco le foto» l'obiettivo dei gestori era quello di raggiungere l'occupazione totale dei posti letto entro la fine dell'anno, aumentando l'organico superando le iniziali 50 unità;

   da un articolo del quotidiano online «LAPREALPINA.it» si apprende del rischio di chiusura della struttura, con la perdita di una cinquantina di posti di lavoro e il trasferimento in altre strutture di una sessantina di ospiti. Tale situazione è dovuta alla mancata contrattualizzazione, utile per avere il sostegno economico della quota parte della retta per gli ospiti, garantita da regione Lombardia;

   nel 1999 la Cooperativa Sant'Anna, amministrata da Pastorelli, ottenne un finanziamento regionale di euro 3.723.654,24 per la costruzione di una residenza socio-assistenziale ad Agra (di cui 2.606.557,97 euro da restituire in 20 anni), che avrebbe dovuto sostituire due strutture esistenti, di pari ricettività, gestite da Sant'Anna che non rispettavano gli standard regionali;

   la regione Lombardia nel dare il finanziamento, non impose l'iscrizione di una ipoteca; questa dimenticanza consentì al Pastorelli di effettuare, attraverso Unicredit Leasing, un'operazione di lease-back sull'immobile appena costruito. La Rsa di Agra, in pratica, fu venduta da Unicredit Leasing per 7.000.000,00 euro per restituirla in locazione finanziaria. Incassato il finanziamento regionale, la Cooperativa Sant'Anna venne messa in liquidazione coatta amministrativa lasciando regione Lombardia, la banca ed i creditori nell'impossibilità di essere rimborsati;

   la società Sant'Ambrogio Servizi, nel 2015 venne contattata da Unicredit, per sondare l'interesse a rilevare la struttura di Agra, di proprietà della banca e chiusa da anni. La società manifestava interesse all'acquisto/a condizione che lo stesso, con congrua cauzione versata, fosse formalizzato quando la struttura avesse potuto essere utilizzata come Rsa, cioè dopo il convenzionamento e la contrattualizzazione. A settembre 2015 arriva il convenzionamento, la contrattualizzazione, invece, non è mai arrivata. La Sant'Ambrogio Servizi, pertanto, si rivolge al Tar Lombardia che respinge il ricorso;

   in una lettera dell'amministratore dell'istituto, la contrattualizzazione della struttura pare sia stata garantita nel 2015 durante una cena privata alla quale hanno partecipato rappresentanti politici quali l'allora presidente della Commissione sanità Fabio Rizzi, successivamente arrestato e condannato, il vicesindaco del comune di Luino, il sindaco di Agra, funzionari di regione Lombardia, quali l'attuale direttore della Ats Insubria, il direttore sociosanitario e il direttore generale al welfare regionale;

   la situazione della Rsa «Albertini Vanda» è emblematica della crisi e delle difficoltà che attraversano le strutture socio-assistenziali e residenziali anche in altre realtà regionali –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, per evitare la chiusura della Rsa «Albertini Vanda» di Agra e scongiurare la perdita di posto di lavoro nonché, in generale, per sostenere e favorire, anche con interventi e misure di carattere finanziario, il rafforzamento della rete di struttura finalizzate a erogare assistenza socio-sanitaria su tutto il territorio nazionale.
(4-18074)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   la regione Friuli Venezia Giulia, nell'ambito del percorso di riforma degli enti locali per l'abolizione delle province, ha trasferito delle importanti funzioni provinciali del lavoro alla regione; in tale passaggio, a quanto risulta all'interrogante non ha tenuto conto di tutte le graduatorie utili dei concorsi pubblici a tempo indeterminato, di quelle regionali degli psicologi, nonché di quelle provinciali. Sono state disattese graduatorie contenenti profili selezionati e fungibili per lo svolgimento delle funzioni trasferite, di persone che, tra l'altro, hanno maturato una specifica esperienza nel settore (più di 3 anni);

   l'esistenza di queste graduatorie era ben nota, poiché in più occasioni gli idonei in questione, anche come Comitato vincitori idonei concorsi Friuli Venezia Giulia avevano sollecitato un trattamento equo rispetto alle situazioni di altri precari affinché fosse escluso il rischio di disparità di trattamento nel passaggio di competenze. Invece, nel predetto passaggio di funzioni è stato del tutto disatteso, in danno degli idonei di concorso, il decreto attuativo della cosiddetta legge Delrio, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 settembre 2014, che, all'articolo 4, comma 1, lettera d), prevede, con riferimento ai posti in organico correlati alle funzioni oggetto di trasferimento, il passaggio e, quindi, il naturale scorrimento delle graduatorie vigenti; detto passaggio in Friuli Venezia Giulia non c'è stato. Dunque, tale precetto sembra essere stato palesemente disatteso creando anche in questo caso una profonda disuguaglianza tra precari nazionali e regionali e tra legittime aspettative di precari;

   si ricorda che per il blocco del turnover dall'anno 2009 non è stato più possibile assumere in ruolo nelle province. Ciò ha determinato la proroga delle graduatorie a tempo indeterminato e il conseguente ricorso a proroghe dei soli contratti a termine. È, dunque, assurdo che appena si sia definito il passaggio di competenze alla regione Friuli Venezia Giulia e sia stata fermata la necessità di personale adeguatamente formato, la regione, a quanto è dato sapere, abbia scelto di far entrare di ruolo persone con una procedura riservata esclusivamente ai precari escludendo gli idonei di concorsi a tempo indeterminato. In questo modo, persone precarie senza possedere i titoli di studio previsti dalla norma regionale hanno ottenuto un posto di ruolo e la qualifica D, istruttore direttivo amministrativo economico, mentre gli idonei di concorso a tempo indeterminato con tutti i requisiti richiesti per l'inquadramento sono stati tagliati fuori –:

   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti esposti in premessa e se e quali iniziative di competenza intenda adottare, anche sul piano normativo, affinché in conformità all'articolo 97 della Costituzione nell'attribuzione di impieghi pubblici sia data precedenza a coloro che hanno superato un concorso pubblico evitando situazioni inique e paradossali come quella esposta in premessa.
(5-12388)


   BUSINAROLO, BASILIO, BATTELLI, MANTERO e SIMONE VALENTE. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   notizie di stampa recenti (La Repubblica del 15 agosto 2017 e Il Secolo XIX del 30 agosto 2017) riportano il caso, che ha destato grande eco nell'opinione pubblica, con la mobilitazione di molti cittadini, a sostegno del signor Tullio Rossi, dipendente dell'ospedale «Galliera» di Genova e sindacalista Usb il quale, ad oggi, rischia il licenziamento dopo aver rivolto alcune critiche nei confronti del presidente dell'ente ospedale Galliera, il cardinale Angelo Bagnasco, relativamente al progetto del nuovo «Galliera»;

   Tullio Rossi già in precedenti occasioni aveva mosso alcune critiche nei confronti della dirigenza del nosocomio ligure e contro una classe politica che, a suo parere, opererebbe negativamente nei confronti della sanità ligure in generale e verso le aziende sanitarie che la compongono, tra privatizzazioni, esternalizzazione di servizi e spreco di denaro pubblico sperperato in opere del tutto inutili, a vantaggio soltanto di pochi;

   a sostegno di Tullio Rossi si sono mobilitati sia l'Unione sindacale di base che i cittadini, in nome del diritto di ogni cittadino di manifestare la propria opinione ed esprimere il proprio dissenso e, per quanto riguarda il suo ruolo di sindacalista, in nome della tutela degli interessi dei lavoratori e della sanità pubblica;

   nei confronti del Rossi ci sarebbe anche un'ulteriore contestazione, riferibile ad un'altra sua denuncia concernente l'utilizzo di microchip, da parte del «Galliera», collocati nei camici dei dipendenti, motivo per cui il Rossi aveva lacerato il proprio camice per estrarre il microchip;

   a giudizio dell'interrogante la vicenda sopra descritta rappresenta un classico caso di whistleblowing, ovvero la denuncia di irregolarità riscontrate sul posto di lavoro, in seguito alla quale il soggetto denunciante, cosiddetto «whistleblower», si ritrova a subire pesanti conseguenze, nel caso specifico la minaccia di licenziamento, rimanendo sfornito di un'adeguata tutela –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di quali elementi disponga, anche per il tramite del dipartimento della funzione pubblica, circa le cause alla base della contestazione disciplinare a carico di Tullio Rossi, che ha solo esercitato il diritto a manifestare le proprie idee e il proprio dissenso;

   quali iniziative di competenza, anche normative, intenda intraprendere, al fine di favorire l'implementazione del whistleblowing nelle amministrazioni pubbliche e nel settore privato, con l'obiettivo di garantire un'adeguata tutela agli autori delle segnalazioni e di impedire il verificarsi di episodi di corruzione nell'ambito lavorativo, sia pubblico che privato.
(5-12393)


   BRANDOLIN. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 29 maggio 2017 è stato emanato il decreto legislativo n. 18;

   il testo del succitato provvedimento evidenzia, ad avviso dell'interrogante, diverse criticità in relazione ad alcune evidenti mancanze nelle condizioni che il Governo avrebbe dovuto rispettare nell'esercizio della delega;

   risulta infatti, tra l'altro, innegabile l'assenza di qualsivoglia indicazione circa i modi ed i livelli relativi alla realizzazione di consistenti risparmi che la normativa avrebbe dovuto porre in essere in favore degli automobilisti, né si comprende la ragione di un aggravio di attività posto a carico degli uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (in grave ritardo nel disbrigo delle proprie attuali attività d'istituto, ed in dichiara a grave carenza di personale) che non potrà che comportare come conseguenza la necessità di ulteriori spese per tecnologie e/o risorse umane, a carico della finanza statale;

   risulta inoltre incomprensibile il mancato accoglimento delle condizioni poste nel parere espresso dalla Commissione parlamentare competente al Senato il 3 maggio 2017 nella parte, punto c), in cui si chiedeva che «sia determinata e chiaramente indicata la programmazione delle risorse umane coinvolte nelle varie fasi del processo di riorganizzazione, individuando tutti li strumenti necessari a garantire i livelli occupazionali esistenti»;

   è quindi evidente che il decreto legislativo n. 98 del 2017 non potrà produrre alcun beneficio né a favore dei cittadini né del bilancio dello Stato;

   rimane pertanto irrisolto il grave problema occupazionale che vede coinvolti migliaia di lavoratori operanti in ACI e nelle società collegate, senza trascurare in questo quadro l'oneroso rinnovo del contratto per il mantenimento del Gran Premio di Formula 1 a Monza, cui ACI non è più nelle condizioni di poter far fronte –:

   se il Governo sia a conoscenza di tutte le problematiche esposte in premessa e quali iniziative intenda assumere per garantire l'effettivo rispetto di quanto previsto nella delega ricevuta in tema di «consistente risparmio» per i cittadini ed assenza di oneri a carico del bilancio dello Stato, nonché per verificare l'effettivo accoglimento delle condizioni poste nel parere parlamentare espresso per garantire i livelli occupazionali esistenti sia dei dipendenti ACI che di quelli delle società collegate.
(5-12396)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il territorio della Valle Antrona (Verbano Cusio Ossola) è interamente montuoso. L'altezza minima è di 450 metri sul livello del mare mentre l'altezza massima è invece di 3.656 metri sul livello del mare e segna uno dei confini tra l'Italia e la Svizzera;

   una zona molto interessante anche da un punto di vista paesaggistico che, con le altre Valli dell'Ossola, secondo i dati della regione Piemonte e dell'Agenzia di accoglienza e promozione turistica locale (A.T.L.) del distretto dei laghi, ha registrato per l'estate 2017 un andamento fortemente positivo dal punto di vista turistico, con una crescita delle presenze intorno al 5 per cento;

   come si può apprendere da alcuni articoli di testate locali e videoservizi giornalistici, al momento l'intera Valle è isolata dal punto di vista dei collegamenti telefonici (molto deboli), della rete mobile (praticamente assente) e delle reti fisse di connessione internet;

   secondo l'articolo 54, comma 1, del decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259 «codice delle comunicazioni elettroniche», così come modificato dal decreto legislativo n. 70 del 28 maggio 2012 «[...] Qualsiasi richiesta ragionevole di connessione in postazione fissa a una rete di comunicazione pubblica è soddisfatta quanto meno da un operatore. Il Ministero vigila sull'applicazione del presente comma. [..]» –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti citati in premessa;

   quali iniziative di competenza, nel rispetto del codice delle comunicazioni elettroniche, il Ministro interrogato intenda assumere per vigilare sull'applicazione della normativa citata in modo che almeno un operatore soddisfi nel più breve tempo possibile la necessità, oltre che il diritto dei cittadini ossolani di essere connessi alla rete con un segnale di qualità.
(5-12386)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Hatria è un'azienda specializzata nella produzione di sanitari ceramica made in Italy situata a Teramo;

   come riportato da notizie di stampa, Hatria negli ultimi 20 anni ha subito diversi passaggi di proprietà, tra cui uno nel 2013 quando il gruppo Marazzi, di cui faceva parte, è stato acquisito dalle Mohawk industries. Agli inizi del 2014 la fabbrica è stata venduta al fondo di investimento americano Cobe Capital che non ha mai investito o ricapitalizzato l'azienda, limitandosi a gestire il valore del capitale;

   negli ultimi 10 anni l'azienda ha registrato un calo di fatturato che ne ha determinato perdite notevoli;

   i 185 dipendenti hanno usufruito di ammortizzatori sociali e cassa integrazione straordinaria, scaduta a settembre 2017;

   secondo notizie di stampa, il 2 ottobre 2017 presso la regione Abruzzo si è tenuto un incontro nel quale l'impresa ha ribadito l'intenzione di procedere al licenziamento di 55 dipendenti;

   secondo un comunicato riportato dalla stampa locale, la delegazione sindacale ha tentato in tutti i modi di scongiurare i 55 licenziamenti su un organico di 185, ma l'azienda si è dimostrata chiusa a qualsiasi ipotesi, nonostante gli stessi sindacati si fossero spinti a formulare una proposta di estremo sacrificio sul salario dei lavoratori che prevedeva:

    regime di riduzione di orario (part-time) differenziato per reparto ed esteso a tutte le maestranze con conseguente perdita di salario;

    piano di gestione dell'organizzazione del lavoro per concordare tutti gli aggiustamenti finalizzati all'ottimizzazione ed efficienza degli impianti;

    accompagnamento al pensionamento senza incentivo;

    esodo incentivato per i lavoratori volontari;

   il territorio teramano è già fortemente in crisi anche a causa delle calamità naturali che l'hanno colpito nel 2016, tra cui il terremoto che ha interessato il centro Italia;

   ad avviso degli interroganti è necessario avviare tutte le iniziative politiche e amministrative per scongiurare i licenziamenti e, soprattutto, l'eventuale chiusura dell'azienda, in quanto rappresenta un importante sito di produzione di sanitari di ceramica di qualità made in Italy –:

   se il Governo sia a conoscenza dell'intenzione di Hatria di avviare 55 licenziamenti;

   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda attivare per raggiungere una soluzione che tuteli l'occupazione e, nel contempo, favorisca il rilancio dell'azienda e del suo know how.
(4-18034)


   MARTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, Guido Bertoni, nel corso della relazione annuale presentata il 4 ottobre 2017, sullo «Stato dei Servizi e sull'Attività svolta», ha lanciato per l'ennesima volta l'allarme del costo delle bollette energetiche per le imprese italiane, in particolare per le pmi, che pagano il 31 per cento in più della media europea;

   il responsabile della suddetta Autorità al riguardo, ha evidenziato come, nonostante il Governo incentivi la tendenza dell'automazione industriale capace di integrare nuove tecnologie produttive, attraverso la cosiddetta industria 4.0, tuttavia le imprese italiane sono gravate da oneri elevatissimi, contraddistinti da opacità e meccanismi distorti che determinano gravi effetti penalizzanti sui bilanci aziendali;

   i prezzi lordi dell'energia elettrica per gli industriali italiani, rileva infatti la relazione annuale, si sono attestati anche per il 2016, su valori superiori a quelli medi dell'eurozona, in tutte le classi di consumo, anche se con grandi differenze e mentre i grandissimi consumatori (quelli da 70 mila-15 mila MWh all'anno) pagano «soltanto» l'8 per cento in più della media dell'Unione europea, la prima classe di consumo che assorbe meno di 20 MWh nei dodici mesi e che include anche tante piccole e medie imprese, è gravata da oneri, come in precedenza richiamato, pari al 31 per cento in più degli altri Paesi europei;

   il suesposto quadro negativo, costituisce pertanto, secondo l'Autorità, un peso indubbiamente maggiore nel sistema industriale italiano e rappresenta un evidente fattore sfavorevole in termini di competitività e sviluppo, in un contesto internazionale globale, che inibisce il nostro mondo produttivo, da troppi anni;

   gli ultimi cinque anni infatti le differenze tra i prezzi italiani e quelli medi dell'area euro, sono state sempre altissime, sebbene si sia registrato un timido miglioramento rispetto al + 30 per cento medio pagato dalle industrie italiane nel 2012;

   ulteriori profili di criticità che si evincono dalla relazione annuale, si riscontrano altresì dagli oneri del gas, i più alti dell'Unione europea a causa dell'eccessiva imposizione fiscale e degli oneri delle infrastrutture il cui sistema è caratterizzato da un gap che grava sul settore idrico;

   le politiche pubbliche sul sistema delle tariffe elettriche del gas e idriche, in definitiva, sulla base delle considerazioni espresse dal Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, Guido Bertoni, sono state contraddistinte nel corso degli ultimi anni, da visibili distorsioni, in particolare nel settore elettrico, nel quale si è generato un gap rilevante tra i prezzi pagati dai consumatori finali al dettaglio e i prezzi delle commodity sul mercato all'ingrosso;

   a giudizio dell'interrogante, il suesposto scenario conferma nuovamente come le politiche di controllo e di monitoraggio dei prezzi energetici siano state evidentemente inefficienti e incontrollate non solo da parte del Governo, ma anche da parte dell'Autorità stessa, la quale non ha avanzato nessun ammonimento a difesa del cittadino e delle imprese, nonostante la situazione notevolmente preoccupante in relazione al costante aumento delle bollette elettriche, che non possono rappresentare una normalità;

   la determinazione delle tariffe di mercato, che determinano le dinamiche dei prezzi, a parere dell'interrogante, complicate ed ermetiche, evidenziano la necessità di approfondire a livello anche parlamentare e con iniziative normative, la questione della governance del sistema elettrico e degli interventi che il Governo potrebbe porre in essere anche con riferimento allo stesso ruolo della suddetta Autorità, considerato che l'Italia ha i più elevati prezzi dell'elettricità in Europa –:

   quali interventi il Ministro interrogato intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di favorire una effettiva riduzione dei costi per le imprese e le famiglie relativamente alle forniture energetiche.
(4-18050)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   come riportato nel Manuale del turismo montano, pubblicato dalla Touring University Press nel 2002, «Il turismo per alcune aree di montagna ha rappresentato una fondamentale attività economica in grado di evitare il completo spopolamento e di garantire alla popolazione possibilità di lavoro e di reddito. Dopo il boom degli anni passati, oggi per le destinazioni turistiche montane è necessario rivedere le proprie strategie di sviluppo e di posizionamento sul mercato»;

   Giorgio Daidola, docente di economia e gestione delle imprese turistiche all'università degli studi di Trento, nell'articolo de Il Fatto Quotidiano del 5 settembre 2014, ha dichiarato come occorra rivedere «il modello del turismo invernale, altrimenti si rischia di sprecare altri soldi pubblici. (...) In seguito alla diminuzione dei flussi, tutto il turismo invernale è in crisi. In Val di Fassa e a Madonna di Campiglio, per esempio, il tasso di occupazione delle camere alberghiere durante l'anno ormai è del 30-35 per cento e buona parte degli alberghi è in perdita»;

   secondo quanto è stato dichiarato da Giuliano Tonarelli, albergatore di Cutigliano, in provincia di Pistoia, è opinione comune pensare solo alla neve, 3 massimo 4 mesi, credendo che sia la panacea dei problemi, e non si pensa nemmeno lontanamente alla primavera, all'estate e all'autunno, ossia gli altri 8-9 mesi. Al suo albergo e agli alberghi montani sono più di vent'anni che non danno un contributo. Eppure anche gli alberghi fanno turismo. Al momento sono tutti, o quasi tutti, vecchi, obsoleti e non offrono più quello che il turista chiede;

   a giudizio degli interroganti per le imprese montane si segnalano perduranti criticità di bilancio in quanto le circa 100 giornate invernali e le 15/20 estive non permettono di ottenere una redditività soddisfacente. La scarsità di utile di esercizio ostacola i nuovi investimenti, impoverendo conseguentemente l'offerta infrastrutturale complessiva e spostando le popolazioni locali verso attività più redditizie;

   ad esempio, secondo l'articolo del 30 gennaio 2015 pubblicato sul Messaggero Veneto, «in 23 anni, ossia dal censimento del 1991 agli ultimi dati ufficiali Istat, si sono persi all'interno del comprensorio dell'Alto Friuli, caratterizzato da 63 comuni tra Gemonese, Carnia, Val Canale-Canal del Ferro e zona collinare, ben 6.425 abitanti. Non sono ancora scomparsi dalle cartine, ma il destino per questi territori appare inesorabile.»;

   il rapporto «La montagna perduta» del 9 febbraio 2016, curato dal Centro Europa Ricerche (CER) e dalla Trentino School of Management (TSM), ha illustrato come in Italia «la popolazione montana sia crollata dal 42 al 26 per cento in 60 anni», nonostante rappresentino il 43 per cento della superficie italiana, i territori montani subiscono un progressivo e silenzioso spopolamento verso le pianure. La relazione evidenzia che «la responsabilità non è tanto da attribuire all'orografia quanto a scelte politiche sbagliate. Tanto è vero che, dove i decisori pubblici hanno saputo mettere in campo policy pubbliche lungimiranti, i dati sono in netta controtendenza, fino a rappresentare delle vere e proprie best practice per l'intero Paese»;

   il curatore dello studio, Gianfranco Cerea, economista dell'università di Trento, ha sottolineato che «avere meno popolazione significa avere meno peso politico, minore domanda di servizi e un'organizzazione più difficile con una conseguente maggiore propensione all'emigrazione in pianura»;

   il sito www.montagna.tv nell'articolo dell'8 luglio 2016 ha riportato il rapporto della Coldiretti il quale ha evidenziato come, negli ultimi vent'anni, «il 53 per cento degli agricoltori abbia abbandonato la montagna provocando il raddoppio della superficie boschiva, che, se sfruttata adeguatamente, potrebbe fornire ben 35 mila posti di lavoro». Inoltre, «l'assenza dell'attività umana espone il territorio al dissesto idrogeologico. In Italia i comuni interessati sono 7.145, di cui più della metà è a rischio» –:

   alla luce dei fatti esposti in premessa, se, e secondo quali modalità, i Ministri interrogati, di concerto con l'Enit, con gli enti regionali e con i maggiori stakeholder nazionali interessati al comparto montano, intendano promuovere la risorsa montana italiana nei suoi utilizzi complessivi, nella sua accezione storica, culturale, sociale, naturalistica, economica e turistica;

   quali iniziative strategiche e di management intendano intraprendere affinché il turismo montano possa continuare a rappresentare per le comunità alpine una fonte economica sostenibile, oltre a valorizzarne le peculiarità socioculturali e naturali;

   se intendano attivare un centro studi, che analizzi le nuove tendenze del mercato montano, finalizzato a valutare il potenziale turistico di un territorio;

   quali iniziative intendano assumere per evitare lo spopolamento delle aree montane;

   se intendano promuovere campagne di comunicazione atte a diffondere il prodotto turistico montano e contribuire alla destagionalizzazione della domanda.
(4-18056)

Apposizione di firme ad una risoluzione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La risoluzione in Commissione Ricciatti e altri n. 7-00960, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Epifani, Simoni, Giorgio Piccolo, Zappulla, Albini, Bossa, Murer, Fossati, Stumpo, Zoggia, Laforgia e, contestualmente, l'ordine delle firme si intende così modificato:

   «Ricciatti, Epifani, Simoni, Giorgio Piccolo, Zappulla, Albini, Bossa, Murer, Fossati, Stumpo, Zoggia, Laforgia, Fassina, Ferrara, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fava, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti».

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Meta e altri n. 7-01349, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 settembre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Minnucci.

  La risoluzione in Commissione Sanga e altri n. 7-01355, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 ottobre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gebhard.

Apposizione di una firma
ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-18028, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 ottobre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carinelli.

Ritiro di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza Fassina urgente n. 2-01963 del 2 ottobre 2017.

Trasformazione di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Luigi Gallo e altri n. 4-17883 del 21 settembre 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-12382.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in Commissione Mantero e altri n. 7-01049 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 650 dell'8 luglio 2016. Alla pagina 39481, seconda colonna, dalla riga quinta alla riga settima deve leggersi: «l'azienda U.s.l. di Empoli ha emanato in data 5 ottobre 2014 una procedura operativa per la fibromialgia;» e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AIELLO, CUOMO e CENSORE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la scuola Dante Alighieri di Córdoba è, dall'anno 1961, un istituto di riferimento in materia di istruzione bilingue e biculturale, oltre ad essere l'unica scuola paritaria della provincia di Córdoba in Argentina;

   la finalità di questa scuola è quella di fornire agli studenti un'ampia formazione culturale italiana, favorendone lo sviluppo di una capacità critica combinata con l'insegnamento dei più alti valori umani, per formare veri cittadini del mondo;

   la scuola Dante Alighieri di Córdoba è una scuola paritaria; ossia si inserisce nel sistema nazionale di istruzione e rilascia titoli di studio aventi lo stesso valore legale dei titoli rilasciati dalle scuole statali;

   la gestione delle scuole italiane all'estero, sia statali che non statali, è esercitata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale tramite gli agenti diplomatici e consolari, come stabilito dai commi 625 e successivi del decreto legislativo n. 297 del 1994, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione;

   la scuola Dante Alighieri di Córdoba è destinataria di un contributo annuale pari a euro 12.000 da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, versato con una cadenza annuale;

   la Dante Alighieri di Córdoba, a quanto risulta agli interroganti, non ha ricevuto a tutt'oggi i contributi dovuti per l'anno 2015-2016, nonostante abbia inviato le dovute pratiche amministrative al consolato e al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;

   in data 24 ottobre 2016, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per quanto consta agli interroganti, ha effettuato un'ispezione Ministeriale presso la sede della scuola;

   delle risultanze di questa ispezione, ad oggi, nessuna comunicazione è pervenuta né alla scuola stessa che ne ha fatto domanda, né ai parlamentari che ripetutamente hanno chiesto di avere accesso ai verbali in possesso del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;

   questa assenza di comunicazione tra l'Istituzione italo-argentina, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il consolato, danneggia di fatto la scuola Dante Alighieri nel proseguire regolarmente la propria attività didattica, sia per la carenza dei fondi, sia per l'impossibilità di sanare irregolarità eventualmente emerse nell'ispezione ma mai comunicate –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se intenda assumere iniziative affinché siano chiarite le motivazioni della mancata erogazione del contributo 2015-16 alla scuola Dante Alighieri di Córdoba e se siano emerse eventuali irregolarità con l'ispezione del 24 ottobre 2016;

   se, nel caso in cui dal controllo effettuato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale non sia emerso alcun rilievo, intenda assumere iniziative per l'erogazione immediata del contributo 2015/2016, affinché la scuola Dante Alighieri possa svolgere regolarmente la propria attività didattica.
(4-16652)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, fortemente impegnato nella diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo, riconosce il contributo offerto in tal senso dalle scuole italiane paritarie all'estero, a favore delle quali ha stanziato nell'esercizio finanziario 2016 una somma pari a complessivi 1.250.111 euro a valere sul capitolo 2619.
  I criteri ed i parametri per l'assegnazione dei contributi alle scuole italiane paritarie all'estero sono dettati dal decreto direttoriale n. 3204 del 19 aprile 2016. Questo stabilisce che i contributi vengano erogati, per ogni esercizio finanziario, sulla base della documentazione annualmente inviata al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per il tramite della rappresentanza diplomatico-consolare competente con visto di regolarità. L'Allegato A al decreto in parola dispone che la scuola che presenta richiesta di contributo deve trasmettere il conto consuntivo relativo all'esercizio finanziario precedente corredato di «visto» di convalida rilasciato dall'ambasciata o consolato di riferimento.
  In Argentina operano sei scuole paritarie. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale nel 2016 ha assegnato a favore di quattro di esse un contributo complessivo pari a 220.962 euro («Cristoforo Colombo» e «Edmondo De Amicis» di Buenos Aires, «Centro Culturale Italiano Scuole Alessandro Manzoni» di Olivos-Villa Adelina, «Istituto di Cultura Italica» di La Plata). La scuola «Dante Alighieri» di Cordoba, in particolare, non ha ricevuto il contributo richiesto in quanto ha allegato alla domanda un bilancio consuntivo 2015 privo del regolare visto di conformità.
  Il competente consolato generale attesta di non avere potuto apporre tale visto in quanto, in sede di controllo amministrativo-contabile, ha più volte chiesto all'ente gestore della scuola elementi informativi e documentali che chiarissero alcune spese non pertinenti alle attività didattiche, senza ottenere risposte adeguate.
  Per quanto riguarda l'ispezione citata nell'atto parlamentare, si precisa che l'ispettorato generale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha condotto presso il consolato generale a Cordoba una ispezione dal 6 al 10 giugno 2016 e non nel mese di ottobre. A quella data il bilancio consuntivo della scuola «Dante Alighieri» risultava essere oggetto di attività di revisione contabile da parte del consolato generale, in relazione alle sopra citate spese non pertinenti le attività didattiche.
  Resta fermo che, qualora venga chiarita e regolarizzata la questione contabile, previo parere favorevole del consolato generale, la scuola «Dante Alighieri» di Cordoba potrà accedere al contributo di questo Ministero per il corrente esercizio finanziario.
  Quanto alla comunicazione tra la scuola ed il consolato generale, che agisce sul posto per conto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, risulta che il consolato abbia mantenuto un costante flusso di informazioni con la dirigenza della scuola e con il suo rappresentante legale.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale: Mario Giro.


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 26, comma 4-septies, del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, prevede l'istituzione, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione siciliana e sentiti gli enti locali interessati, di quattro nuovi parchi nazionali, e tra questi del Parco dell'isola di Pantelleria;

   negli anni successivi, anche a seguito al parere contrario del consiglio comunale di Pantelleria, l'istituzione del parco a carattere nazionale è stata bloccata; nel 2015, a seguito alla formale richiesta avanzata dal presidente della regione Siciliana e dal sindaco del comune di Pantelleria, l’iter istruttorio è stato ripreso e a seguito al raggiungimento dell'intesa regionale, con il decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 2016 è stato istituito il Parco nazionale «Isola di Pantelleria» e l'Ente Parco nazionale «Isola di Pantelleria»;

   l’iter è stato accelerato anche a causa del devastante incendio che ha interessato l'Isola di Pantelleria nell'estate 2016 e che notizie strumentali ne hanno diffuso ai media la natura dolosa, nonostante non ne siano state ancora accertate le origini; il nuovo perimetro dell'area protetta amplia di molto i confini della riserva naturale regionale, interessando quasi l'intero territorio isolano, al di fuori dell'abitato;

   l'istituzione del Parco nazionale ha provocato le dimissioni dei consiglieri comunali dell'opposizione che hanno lamentato il mancato ruolo del consiglio comunale nel raggiungimento del «sentito» del comune, opponendosi ad un parco «calato dall'alto» che non tiene conto delle esigenze del territorio per progetti di sviluppo che creino prospettive e opportunità per la comunità, per tutti i lavoratori e soprattutto per i giovani;

   a parere dell'interrogante e come rilevato da molti cittadini dell'isola di Pantelleria, nell’iter di istituzione del Parco sono mancati alcuni passaggi fondamentali, come la consultazione democratica della comunità locale o il voto dei consiglieri comunali eletti dal popolo;

   eppure la Carta europea dell'autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985, e ratificata dall'Italia con la legge 30 dicembre 1989, n. 439, agli articoli 5 e 6, prevedono la consultazione delle collettività locali interessate per apportare modifiche dei limiti locali territoriali e l'adeguamento delle strutture amministrative alle esigenze specifiche delle collettività locali;

   in particolare, l'ampliamento dei confini del parco, oltre il territorio già vincolato come riserva regionale, rischia di bloccare con vincoli eccessivi le attività economiche della comunità locale –:

   se il Ministro non intenda assumere iniziative volte a rivedere la decisione riguardante l'istituzione del Parco nazionale «Isola di Pantelleria», considerato che per l'interrogante l’iter che ha determinato la sua costituzione presenta profili di dubbia legittimità, nonché l'ampliamento dei confini del parco, provvedendo a riperimetrare l'area protetta sui confini del territorio già precedentemente vincolato come riserva regionale.
(4-17256)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'istituzione del Parco nazionale «Isola di Pantelleria», sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si rappresenta, in via preliminare, che i parchi nazionali sono istituiti e delimitati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'ambiente (art. 8, comma 1, legge n. 394 del 1991), d'intesa con le regioni interessate (art. 2, comma 23, legge n. 426 del 1998), previo parere della Conferenza unificata (art. 77, comma 2, del decreto legislativo n. 112 del 1998).
  Gli adempimenti e i passaggi amministrativi che portano alla istituzione dell'ente Parco trovano la loro
ratio nel confronto tra istituzioni nazionali e locali. Queste, nel rispetto del principio di sussidiarietà, si fanno portatrici degli interessi e delle istanze delle comunità rappresentate.
  In merito all'istituzione del Parco nazionale in oggetto, il confronto tra il Ministero dell'ambiente con la regione Sicilia è stato continuo e approfondito. Tra l'altro si rammenta che l'avvio del tavolo istituzionale per la definizione dell'intesa, ai sensi dell'articolo 2 comma 7 della legge n. 394 del 1991, è stato preceduto dai lavori di un tavolo tecnico cui hanno partecipato, oltre al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il comune di Pantelleria, gli enti e le amministrazioni interessate al procedimento istitutivo.
  L'intesa con la regione Sicilia è stata quindi espressa con deliberazione della giunta regionale n. 206 del 7 giugno 2016, ed il 9 giugno 2016 è stato acquisito l'avviso favorevole della Conferenza unificata, in cui è rappresentato il comune di Pantelleria, che già aveva espresso il favorevole parere sull'istituzione del Parco nazionale «Isola di Pantelleria».
  Peraltro nell'ambito della definizione della
governance del parco, ai sensi della normativa vigente, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha provveduto, da ultimo con nota del 14 giugno 2017, a sollecitare l'ufficio di presidenza della regione Sicilia nella qualità di presidente della comunità del parco a designare i 4 membri del consiglio direttivo del parco espressione della medesima comunità.
  Ciò premesso, si evidenzia inoltre che, le valenze ambientali e naturalistiche dell'isola di Pantelleria non si limitano all'ambito della preesistente riserva regionale, che pure ne costituisce parte di significativa rilevanza, e quindi durante tutto l’
iter istruttorio, è sempre stato preso in considerazione, ai fini della individuazione del perimetro e della zonizzazione, l'intero territorio isolano.
  Infine si rappresenta che la perimetrazione e la zonizzazione hanno tenuto in dovuto conto, oltre alle previsioni pianificatorie e regolamentari già vigenti, a partire dal piano territoriale paesistico e dal piano regolatore generale, le prescrizioni esecutive e il regolamento edilizio di Pantelleria, contemperando le finalità di tutela con quelle socio-economiche per uno sviluppo sostenibile dell'isola.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si fa presente che il Ministero dell'ambiente continuerà a svolgere le proprie attività mantenendo alto il livello di attenzione sull'area prestando la massima attenzione alla cura del territorio.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la carenza di piogge ha recato un danno e i cambiamenti climatici incombono. Non solo il Movimento cinque stelle lo sostiene, ma la Fao, i climatologi e gli scienziati internazionali;

   una delle principali cause di immissioni di Co2 sono proprio gli allevamenti, gli stessi nella filiera di produzione, richiedono disponibilità di immense quantità di acqua. Per ottenere un chilo di carne bovina occorrono, in media, 15 mila litri d'acqua;

   numerosi studi scientifici dimostrano le correlazioni evidenti tra il consumo di proteine animali e i cambiamenti climatici «il consumo di carni, latte e derivati è una delle principali cause del cambiamento climatico»;

   «l'allevamento e la produzione animale è la più grande fonte mondiale di metano e protossido di azoto»;

   l'acqua impiegata nella produzione di foraggi, farine e per abbeverare gli animali rappresenta fino l'87 per cento del consumo mondiale e la produzione di mangimi per animali assorbe il 70 per cento dei consumi di combustibili;

   è lo stesso consorzio del Parmigiano Reggiano a scrivere che per un chilogrammo di parmigiano occorrono 600 litri di latte, 1.530.000 litri di acqua per ottenere un chilogrammo di parmigiano;

   una mucca da latte ha bisogno di circa 200 litri di acqua al giorno, per ottenere un bicchiere di latte occorrono in media 255 litri di acqua. Ogni grammo di proteine contenute nel latte richiede circa 33 litri d'acqua. Una quantità sorprendente, se si considera il fatto che sono il triplo dei litri di acqua che servono per ottenere proteine vegetali;

   ovunque ci sono allevamenti industriali, i cittadini hanno l'acqua inquinata e non potabile. Per esempio sono preoccupanti i risultati di uno studio commissionato ad Arpa dalla provincia di Reggio e da 4 comuni interessati, sulle caratteristiche qualitative delle prime falde acquifere: «Per un anno sono stati monitorati 32 pozzi superficiali, da cui dunque non viene captata acqua potabile per le abitazioni, e lo studio ha evidenziato un impatto dell'inquinamento causato dagli allevamenti, ma anche da liquami fognari e attività produttive.»;

   inoltre, in Italia, moltissimi campioni di acqua sono risultati positivi ai pesticidi. In particolare: Non solo Pfas. Il Veneto è la terza regione, dopo Lazio e Sicilia, per contaminazione da pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee;

   le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici tendono a concentrarsi sul settore energetico, mentre il settore zootecnico riceve sorprendentemente poca attenzione, nonostante il fatto che esso rappresenta il 18 per cento delle emissioni di gas serra e per l'80 per cento del consumo totale di terreno di origine antropica; un allevamento bovino con 2500 mucche da latte produce la stessa quantità di rifiuti di una città di 411,000 persone –:

   se i Ministri interrogati, preso atto delle emergenze e dei danni causati dagli allevamenti sul clima, hanno intrapreso iniziative in materia e quali;

   se i Ministri interrogati, alla luce della portata degli impatti stimati rispetto a queste condizioni di sostenibilità, abbiano preso in considerazione di assumere iniziative per frenare la crescita di questo settore che dovrebbe essere la priorità nella governance ambientale;

   se e come il Governo stia agendo per rispettare gli obiettivi del Protocollo di Kyoto;

   se esista un quadro chiaro e completo sui danni causati degli allevamenti in Italia;

    se i Ministri interrogati non ritengano necessario incentivare un'alimentazione 100 per cento vegetale;

   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative per promuovere consumi più sostenibili e per promuovere diversi sistemi di allevamento dato che gli attuali non possono più essere né finanziati né sostenuti, per la salvezza del pianeta, degli animali e dell'ambiente che ci circonda.
(4-17070)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'incidenza idrica sui cambiamenti climatici, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre premettere che nel rapporto «Emissioni di gas serra dall'agricoltura, Edizione 2016» elaborato da Ispra, vengono descritte le emissioni di gas serra in atmosfera prodotte dal settore agricolo. Tali emissioni sono dovute principalmente alla gestione degli allevamenti e all'uso dei fertilizzanti. Tale indicatore permette di valutare il peso del settore agricolo rispetto al totale di emissione nazionale e il raggiungimento degli obiettivi di riduzione.
  Come noto, con riferimento alla riduzione delle emissioni di gas serra, l'Italia è impegnata a rispettare gli obiettivi di riduzione stabiliti nell'ambito del meccanismo di monitoraggio delle emissioni di gas serra dell'Unione europea (Regulation (EU) No 52 5 del 2013). Tali obiettivi stabiliscono la riduzione comunitaria (quindi complessivamente di tutti i paesi membri) del 20 per cento delle emissioni di gas serra al 2020 e del 40 per cento al 2030 rispetto a livelli di emissione del 1990. In particolare, considerando le sole emissioni derivanti dai settori non-ETS (trasporti, residenziale, rifiuti e agricoltura), gli obiettivi di riduzione per l'Italia sono -13 per cento al 2020 e -33 per cento al 2030 rispetto ai livelli del 2005.
  Dai studi Ispra, nel 2014, l'agricoltura è stata responsabile del 7,2 per cento delle emissioni totali di gas serra, corrispondenti a 30,3 Mt CO2 eq, un valore che segna una riduzione del 16,2 per cento rispetto a quello del 1990, il cui valore era pari a 36,2 Mt CO2 eq. Tale andamento è attribuibile fondamentalmente alla riduzione del numero di capi per alcune specie zootecniche, dell'uso di fertilizzanti azotati sintetici e delle superfici e produzioni agricole.
  Nell'ambito delle politiche e misure di riduzione delle emissioni di gas serra del settore agricoltura. La riduzione della quantità distribuita in agricoltura di fertilizzanti azotati sintetici ha comportato un conseguente calo dell'azoto complessivo in essi contenuto del 32 per cento nel 2015 rispetto alle quantità distribuite nel 1990.
  L'energia prodotta dai reflui zootecnici è aumentata notevolmente a partire dal 2009 grazie a diversi provvedimenti normativi e atti amministrativi. Nel 2015 la riduzione delle emissioni di metano da stoccaggio delle deiezioni è stata stimata pari a circa il 16 per cento grazie al recupero del biogas delle deiezioni avviate ai digestori anaerobici.
  L'Italia ha previsto la razionalizzazione dell'uso dei fertilizzanti azotati e il recupero energetico del biogas dallo stoccaggio dei reflui zootecnici nei digestori anaerobici.
  Altri sforzi vengono intrapresi nel settore dell'agricoltura per promuovere le buone pratiche di gestione agricola, quale il rispetto dei limiti di applicazione dei fertilizzanti e delle regole di spandimento degli effluenti, i metodi di stoccaggio degli effluenti, i limiti di densità del bestiame e le esigenze di rotazione delle colture, e inoltre la produzione integrata di prodotti agricoli e l'agricoltura biologica.
  Nell'ambito della convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (United Nations Fraework Convention on Climate Change, UNFCCC) e in particolare del susseguente protocollo di Kyoto, l'Italia aveva l'impegno di ridurre le emissioni nazionali complessive di gas serra nel periodo 2008-2012 del 6,5 per cento rispetto all'anno base (1990).
  La 18a Conferenza delle parti di Doha (Qatar) nel 2012 ha approvato un emendamento al protocollo di Kyoto. Il cosiddetto emendamento di Doha istituisce un secondo periodo di impegno (2013-2020), aggiunge il trifluoruro di azoto all'elenco di gas a effetto serra contemplati dal protocollo e agevola un rafforzamento unilaterale degli impegni delle singole parti.
  Per quanto attiene al periodo post 2020, durante la conferenza sul clima di Parigi (COP21) del dicembre 2015, 195 paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale.
  L'accordo definisce un piano d'azione globale, inteso a mantenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2° C rispetto ai livelli preindustriali, e proseguire l'azione volta a limitare l'aumento di temperatura a 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali, riconoscendo che ciò potrebbe ridurre in modo significativo i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici.
  Va infine sottolineato come l'Italia ha messo in atto politiche e misure che le hanno consentito già nel 2015 di raggiungere tutti gli obiettivi previsti dal pacchetto clima-energia al 2020: l'obiettivo sull'efficienza energetica, quello sulle energie rinnovabili e il target nel settore non-ETS. Rispetto a quest'ultimo obiettivo, l'Italia, stante i dati forniti dalla commissione, supererà il proprio target al 2020 con un surplus di quote pari a 217 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, tale surplus è tra i più alti d'Europa. Di fatto dunque, l'Italia sta già ora contribuendo con il proprio surplus al raggiungimento dell'obiettivo EU al 2030.
  Con l'adozione delle conclusioni del Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014 è stato definito il «Quadro 2030 per le politiche dell'energia e del clima». In particolare, sono state definite politiche e regole che l'Unione europea e tutti i suoi Stati membri dovranno seguire per conseguire l'obiettivo UE vincolante di riduzione delle emissioni nazionali di gas a effetto serra almeno del 4 entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.
  L'obiettivo sarà raggiunto collettivamente dall'Unione europea nel modo più efficace in termini di costi, con riduzioni, da realizzare entro il 2030 sia nei settori coperti dal sistema ETS che in quelli non coperti da esso, pari rispettivamente al 43 per cento e al 30 per cento rispetto al 2005.
  Con riferimento ai settori non coperti dal sistema ETS, ed in particolare all'agricoltura e alla destinazione dei suoli, il Consiglio europeo ha invitato la commissione a esaminare i modi migliori per incoraggiare l'intensificazione sostenibile della produzione alimentare, ottimizzando al contempo il contributo del settore alla mitigazione degli effetti dei gas a effetto serra e al loro sequestro, anche attraverso l'afforestazione.
  A tal fine, la Commissione, nel luglio 2016, ha presentato una proposta di regolamento sulle modalità di inclusione delle emissioni e degli assorbimenti dei gas a effetto serra dalla destinazione dei suoli, dal cambiamento della destinazione dei suoli e dalla silvicoltura nel quadro degli impegni di riduzione delle emissioni a livello europeo per il 2030 (Proposta LULUCF).
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su questa importante tematica.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   il parco nazionale del Vesuvio è stato istituito nel 1995 con la finalità di conservare il territorio e l'ambiente, salvaguardare specie animali e vegetali e la precipua identità geologica, salvaguardare le specie di flora e fauna protette e promuovere attività di educazione ambientale, formazione e ricerca scientifica;

   ha la vastità di 7.259 ettari ricchi di oltre 600 specie vegetali e circa 230 animali e, al suo interno comprende 13 comuni;

   la devastazione di questi incendi dolosi ancora in corso è inimmaginabile in termini di danni ad ogni livello, ma ciò che è evidente è l'assoluta inadeguatezza degli interventi e l'assenza di piani di emergenza congrui e di adeguati mezzi per contrastare un evento chiaramente pianificato;

   l'interrogante ha visitato il territorio vesuviano ove vi sono roghi ancora in corso e animali bloccati nelle strutture senza che si sia pensato ad un precedente piano di evacuazione. La situazione dimostra che non esiste un adeguato piano di emergenza e di azione per episodi come questo e che ogni intervento di messa in sicurezza dei cani nei canili e di quelli randagi che, secondo la legge, sono di responsabilità del sindaco, sono, di fatto, demandati ai volontari delle associazioni;

   la situazione apocalittica che l'interrogante ha potuto verificare direttamente, mostra che si è di fronte ad un chiaro disegno criminoso di distruzione di tutta l'area vesuviana e della sua preziosa biodiversità e, che per essere messo a segno, avrebbe visto l'utilizzo anche di gatti vivi cui sarebbe stato dato fuoco per innescare l'incendio. L'interrogante ha appreso questa notizia dagli organi di stampa e, per questo, ha provveduto immediatamente a chiedere informazioni al comando dei vigili del fuoco perché, se tale notizia venisse confermata, ci si troverebbe di fronte a soggetti spietati, pericolosi evidentemente, oltre che per gli animali e per tutta la biodiversità, anche per le persone;

   tali gravissimi e criminali episodi maturano anche grazie alla totale assenza dello Stato e delle istituzioni sul territorio, dove, se la pianificazione di interventi di emergenza è un miraggio, lo sono anche la prevenzione e la gestione adeguata –:

   quale sia il piano di emergenza messo in pratica e, nel dettaglio, quanti mezzi delle diverse categorie e uomini siano stati impiegati;

   in che modo intendano intervenire per il futuro, garantendo un sistema di prevenzione e pronto intervento con sufficienti mezzi, nel rispetto delle norme, visto che quelli impiegati si sono dimostrati insufficienti ed inadeguati;

   se i Ministri non ritengano di dover assumere iniziative per prevedere investimenti adeguati per i mezzi e gli uomini necessari a difendere le persone, gli animali e l'ambiente, posto che ambiente e animali sono le principali vittime di quella che appare all'interrogante una scellerata e incompetente gestione locale e nazionale che, come mai prima d'ora nella storia del nostro Paese, ha raggiunto livelli di inciviltà e di totale indifferenza, al punto che con questo episodio si sono distrutti patrimoni dello Stato e che appartengono a tutti i cittadini.
(4-17411)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La delicata questione degli incendi boschivi che sta caratterizzando questo 2017, risulta particolarmente critica per due ordini di motivi.
  Da un lato c'è la forte siccità che sta caratterizzando la stagione estiva, con temperature al di sopra della media e una ventilazione che favorisce il propagarsi degli incendi.
  Dall'altro lato c'è la gravissima recrudescenza di episodi dolosi, che rappresentano la stragrande maggioranza delle cause degli incendi che si verificano.
  Di fronte a questo insopportabile crimine contro la natura si stanno mettendo in campo tutte le azioni e tutto il personale — Esercito compreso — disponibile.
  Serve però anche una fortissima azione repressiva contro gli incendiari, per la quale oggi forze dell'ordine e magistratura dispongono di una normativa più adeguata, grazie proprio al lavoro del Parlamento.
  La recente legge sugli ecoreati ha infatti introdotto strumenti attesi da decenni contro chi fa scempio dell'ambiente.
  La legge ha introdotto, tra le varie novità, il reato di «disastro ambientale», la cui pena è la reclusione da 5 a 15 anni. In questa fattispecie può rientrare anche l'incendio boschivo. Con l’«aggravante ambientale» dell'articolo 452-
novies è, inoltre, possibile un inasprimento della pena da un terzo alla metà (quando il reato riguarda i delitti ambientali).
  Questo vuol dire che il trasgressore può essere condannato ad una pena di oltre 20 anni di reclusione, una pena adeguata alla gravità del danno che quanti appiccano un incendio, specie se in un'area protetta, determinano per la collettività.
  La materia degli incendi boschivi è disciplinata dalla legge quadro n. 353 del 21 novembre 2000, che ha fissato, da ben 17 anni, diversi principi, primo tra tutti la ripartizione puntuale delle responsabilità e delle competenze affidate al Servizio nazionale di protezione civile e quelle affidate alle regioni.
  Tale ripartizione di funzioni viene configurata anche sulla base del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che attribuisce alle regioni ed alle province autonome il compito di programmare ed attuare le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi — ossia ricognizione, sorveglianza, avvistamento, allarme e spegnimento con mezzi da terra e aerei — mediante l'approvazione di un piano regionale, a revisione annuale, per la programmazione delle predette attività.
  La richiamata legge quadro affida al dipartimento della protezione civile la responsabilità di garantire il coordinamento del concorso della flotta aerea dello Stato a supporto delle regioni, che sono chiamate ad impiegare le proprie risorse terrestri ed i velivoli che compongono le flotte regionali nelle attività di spegnimento.
  Di fronte a questa emergenza la risposta deve essere ampia, certamente emergenziale e repressiva dei fenomeni criminali, ma anche in grado di recuperare le preziose risorse perdute. Questo perché ad essere messe in discussione sono anche le funzioni che tali risorse svolgono per il clima e la biodiversità, con particolare riferimento all'assorbimento di CO2 e all'adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici. Per questo si segnala il lancio di un programma nazionale di riforestazione delle aree protette colpite dagli incendi, per il quale questo dicastero ha previsto un primo stanziamento di 5 milioni di euro, reperite nell'ambito delle risorse europee destinate alle misure di adattamento ai cambiamenti climatici, strettamente connesse con quanto viene messo più a rischio oggi: la protezione del suolo, la riduzione dei rischi idrogeologici, l'assorbimento di CO2, il mantenimento della biodiversità.
  La problematica degli incendi boschivi è complessa, per le molteplici componenti e le interrelazioni (climatiche, morfologiche, vegetazionali, antropiche, socio-economiche, ecc.) che la caratterizzano in un dato ambiente geografico. Questa necessita, quindi, di una doverosa sinergia fra le varie Istituzioni, in particolar modo fra quelle competenti per la lotta attiva.
  In questo scenario, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare cura direttamente la pianificazione anti incendi boschivi (Aib) delle aree protette statali. In particolare, tramite gli enti gestori, svolge principalmente attività di programmazione e prevenzione sul relativo territorio naturale protetto.
  In previsione della criticità climatica che sta interessando il Paese e considerata anche la riorganizzazione del corpo forestale operata dal decreto legislativo n. 177 del 2016, il 3 luglio 2017 è stata convocata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'apposita riunione per fare il punto sulla relativa pianificazione anti incendi boschivi e sulle forze disponibili per fronteggiare la situazione con tutte le Istituzioni cointeressate: regioni, corpo nazionale dei vigili del fuoco, carabinieri-forestali (Cutfaac) ed enti gestori delle aree protette.
  All'esito della riunione, il 12 luglio 2017 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato una direttiva che evidenzia l'importanza della sinergia e della collaborazione istituzionale nella lotta agli incendi, richiamando all'attenzione tutte le azioni necessarie per far fronte all'emergenza nell'attuale stagione estiva, nonché una serie di raccomandazioni volte a rafforzare anche le attività di programmazione e prevenzione.
  Si è provveduto, inoltre, a trasmettere la direttiva a tutti gli attori istituzionali che hanno competenza diretta in merito alla lotta attiva, inclusi gli enti parco, il capo dipartimento della protezione civile, nonché il presidente della conferenza dei presidenti delle regioni.
  Con riferimento all'attività pianificatoria in materia svolta da questo Ministero, occorre evidenziare che la situazione dei relativi piani dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali è sostanzialmente a regime da diversi anni e ogni piano pluriennale viene rinnovato alla sua scadenza quinquennale. Durante il periodo di valenza del piano, ogni anno viene predisposta una relazione di aggiornamento. Si segnala, a tal proposito, che la situazione dei piani anti incendi boschivi è disponibile sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Si segnala, inoltre, che il 5 aprile 2017, è stato firmato un apposito protocollo d'intesa tra l'Arma dei carabinieri e il corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di definire ogni utile sinergia operativa e di migliorare ulteriormente l'efficacia degli interventi. Mediante tale strumento, le parti regolano i diversi ambiti di intervento e le attività di collaborazione tenendo conto che le competenze e le funzioni già assegnate dalla legge al corpo forestale dello Stato devono intendersi trasferiti al corpo se attinenti alla lotta attiva agli incendi boschivi con mezzi aerei e terrestri, e all'Arma se attinenti alla prevenzione e repressione delle violazioni in materia di incendi boschivi e al monitoraggio del territorio in genere con raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati relativi alle aree percorse dal fuoco. In particolare, l'Arma, in materia di incendi boschivi realizza l'attività di prevenzione attraverso i servizi di controllo del territorio, anche aerei, nonché la verifica degli adempimenti da parte dei soggetti pubblici e privati; acquisisce le segnalazioni di incendi boschivi; conduce specifiche attività investigative; provvede al monitoraggio delle aree percorse dal fuoco e agli accertamenti conseguenti gli incendi boschivi che prevedono attività di rilievo e di perimetrazione delle aree percorse dal fuoco.
  Sul piano operativo, sono state diramate, per tempo, puntuali disposizioni a tutti i comandi dell'Arma, territoriali e della specialità forestale, per indirizzare i servizi di controllo del territorio alla sorveglianza per il contrasto degli incendi boschivi, specie nelle aree rurali e montane, diramando prontamente i conseguenti allarmi e assicurando i primi interventi.
  Per orientare la pianificazione dei servizi, è stato diramato il documento di analisi elaborato dal comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare, concernente l'esame e la valutazione di tutti gli episodi incendiari verificatisi nel 2016. Inoltre, ogni giorno viene trasmesso a tutti i Reparti dell'Arma il bollettino di rischio incendi, diramato dal dipartimento della protezione civile, che fornisce una previsione a 24 e 48 ore della suscettività all'innesco degli incendi boschivi, della possibile intensità della linea di fuoco e della velocità di diffusione dell'incendio.
  Il corpo nazionale dei vigili del fuoco, oltre alle attribuzioni istituzionalmente spettanti allo stesso, esercita, in concorso con le regioni, le competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi, ivi comprese quelle inerenti l'ausilio di mezzi da terra e aerei; il coordinamento delle operazioni di spegnimento; la partecipazione alla struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali.
  Va ricordato, altresì, come al fine di sollecitare il ricorso ad accordi pattizi tra le regioni e il corpo nazionale dei vigili del fuoco – l'unico corpo dello Stato che può, su richiesta delle regioni, concorrere nelle attività di lotta attiva contro gli incendi boschivi – è stato sottoscritto il 4 maggio scorso, su iniziativa del Ministero dell'interno, un apposito accordo quadro tra il Governo e le regioni, nell'ambito della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Tale accordo integra ulteriormente il quadro delle iniziative assunte dal Governo per prevenire, per quanto possibile, su tutto il territorio nazionale, eventuali disfunzioni operative in materia di lotta attiva agli incendi boschivi.
  Successivamente sono state stipulate, alcune sono in via di prossima definizione, diverse convenzioni con le regioni che hanno manifestato un interesse in tal senso. Questi strumenti, oltre a prevedere diverse forme di collaborazione, consentono di rafforzare i dispositivi di lotta a terra agli incendi boschivi, grazie alla previsione di squadre del corpo a questo dedicate.
  A tal ultimo riguardo, va, infatti, precisato che le regioni, per le operazioni di spegnimento dall'alto, si avvalgono, in tutto o in parte, di una propria flotta, anche ricorrendo a società esterne, ovvero richiedere, qualora necessario, il concorso dello Stato. In tal caso, va ricordato che il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri è chiamato, attraverso il centro operativo aereo unificato (Coau) ad assicurare, grazie ad un coordinamento nazionale, le attività aeree di spegnimento con la flotta aerea antincendio dello Stato. Tale flotta si avvale, come noto, di mezzi di particolare efficacia, come i 19 canadair, transitati al corpo nazionale dei vigili del fuoco dal 2014 – di cui 16 sono costantemente operativi. Per quanto attiene a tali velivoli, si precisa che lo schieramento ordinariamente operativo pari a 14 velivoli è stato implementato, a partire dal 15 giugno e fino al 15 settembre prossimo, di ulteriori due mezzi grazie al progetto europeo denominato «EU Buffer». I predetti 2 canadair aggiuntivi sono dedicati prioritariamente al progetto europeo – e, in tal senso, va ricordato che tali mezzi sono recentemente intervenuti in Portogallo in occasione dei tragici eventi che hanno interessato quel Paese ma sono impiegabili anche sul territorio nazionale.
  Inoltre, proprio per far fronte alle esigenze connesse con le attività in corso, si deve precisare che, oltre ai 16 canadair, il corpo nazionale dei vigili del fuoco ha messo a disposizione 15 elicotteri per la campagna anti incendi boschivi (Aib) 2017, utilizzando in parte elicotteri provenienti dall'ex corpo forestale dello Stato, in parte mettendo a disposizione propri velivoli. Anche in virtù di tale sforzo, il Coau oggi vanta una delle maggiori flotte di cui abbia potuto disporre nell'ultimo decennio, a cui contribuisce per circa l'80 per cento il corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In Campania, da informazioni pervenute dalla medesima regione, emerge che, in termini di risposta Aib, la stessa si è dotata di una propria struttura, all'interno della quale è presente anche l'ulteriore sala operativa cosiddetta «terra dei fuochi». Sono, peraltro, attive sale operative di livello provinciale e centri operativi locali.
  La stessa regione, a partire dall'inizio del mese di luglio ha dovuto fronteggiare un'ondata di roghi che hanno interessato l'intero territorio regionale. In alcune giornate sono stati registrati oltre cento incendi; i più significativi hanno interessato l'area vesuviana, con fronti di fuoco, in alcuni momenti, lunghi oltre 2 km.
  Dal 15 giugno al 30 luglio 2017, la regione ha inviato al Coau del dipartimento della protezione civile 162 richieste di concorso aereo, di cui 108 solo nel periodo dal 10 al 30 luglio.
  L'intera struttura della protezione civile regionale è stata coinvolta: oltre 700 unità che hanno operato incessantemente giorno e notte. A questa forza, naturalmente, va aggiunto l'apporto del corpo dei vigili del fuoco, dell'Esercito (dal 19 luglio raggiungeranno le 90 unità) e del volontariato locale.
  Al fine di implementare ancor di più i dispositivi di intervento a terra del corpo è stato, altresì, recentemente stipulato con la regione un protocollo d'intesa che prevede, tra l'altro, nel periodo di maggior esposizione al rischio incendi, un incremento dell'operatività, attraverso la predisposizione di 8 squadre Aib dedicate, aumentabili, in caso di particolari necessità, fino a 10. Inoltre, al fine di implementare il dispositivo di intervento a terra, nella maggior parte dei comandi provinciali del corpo sono stati effettuati richiami di personale in turno libero e raddoppi di personale.
  In merito al parco nazionale del Vesuvio, lo scenario ha messo in evidenza l'aspetto doloso del fenomeno e quindi la necessità di operare in modo altrettanto eccezionale per poter fronteggiare la situazione in modo adeguato, sia con le forze di polizia che con l'esercito, per un'adeguata azione di presidio del territorio, in collaborazione con il Ministero dell'interno e del Ministero della difesa. Per l'emergenza nel parco del Vesuvio è stato disposto il servizio provvisorio di militari provenienti dal comando regione carabinieri forestale Abruzzo e Molise (10 unità) e di 6 operai in tenuta e con automezzo Aib, nell'ambito della riserva nazionale di Tirone Alto Vesuvio (dove già sono presenti 11 operai).
  In merito alle attività investigative per gli eventi del cratere vesuviano, sono in corso accertamenti tecnici finalizzati all'individuazione dei punti di insorgenza e al rilevamento di tracce organiche.
  Con riferimento alla provincia di Napoli, il procuratore della Repubblica di Napoli ha comunicato che l'ufficio sta procedendo a carico di ignoti e le indagini sono ancora in corso. Il procuratore ha aggiunto che, allo stato, e salvi gli esiti di successivi accertamenti, i tre eventi incendiari che hanno di recente interessato la zona non appaiono collegati tra loro né riconducibili ad un'unica matrice. L'ufficio ha sottolineato come il lavoro investigativo in corso non consenta, allo stato, di privilegiare una particolare ipotesi circa la natura dolosa o colposa dei fatti e la riconducibilità ad «un'unica mano» degli altri accadimenti nel territorio vesuviano. Ad ogni modo, secondo quanto rappresentato dal procuratore, le prime risultanze investigative hanno escluso che tutti i citati fenomeni fossero ingenerati da autocombustione, derivando verosimilmente la matrice degli stessi da comportamenti, dolosi ovvero colposi, di soggetti allo stato non ancora identificati.
  In relazione all'entità del fenomeno, da una prima, sia pur approssimativa, stima dei danni risulta che i tre incendi abbiano interessato complessivamente circa 1600 ettari del parco nazionale del Vesuvio, dei quali circa 550 relativi alla riserva forestale «Tirone Alto Vesuvio».
  È evidente la necessità di una migliore gestione forestale dell'area in questione, di bonifica tempestiva degli incendi pregressi e della ripulitura della viabilità, senza dimenticare la piaga sulla gestione dei rifiuti. Resta, tuttavia, inteso che tutti gli attori istituzionali e non (compresi i proprietari pubblici e privati) dovrebbero congiuntamente assicurare il benessere del territorio.
  Il problema vero resta quello di affrontare la gestione del territorio con la dovuta concertazione di tutti i suddetti soggetti cointeressati, affinché ciascuno faccia la propria parte seguendo una visione di obiettivi di gestione il più possibile condivisa.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale continuerà a svolgere tutte le azioni e valutazioni di competenza, seguendo la situazione con il massimo grado di attenzione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in data 2 febbraio 2015 TGS-NOPEC Geophysical Company ASA (TGS.OL), società norvegese specializzata in acquisizioni di dati geofisici multi-client, ha presentato istanza ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni per l'avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) del progetto di prospezione geofisica al largo della costa nord-occidentale della Sardegna – zona marina E, denominato «d 2 E. P-. TG». Tale progetto prevede l'acquisizione di circa 7.818 chilometri di linee sismiche 2D e la successiva acquisizione di dati attraverso indagini geofisiche 3D su un'area di circa 6000 chilometri quadrati nel mar di Sardegna – zona E;

   l'ampia area di mare interessata è poco distante dal santuario Pelagos per la protezione dei mammiferi marini nel Mediterraneo, iscritto nel 2001 nell'elenco dell'Aspim (aree specialmente protette di importanza mediterranea) del Protocollo relativo alle aree specialmente protette e alla diversità biologica della convenzione di Barcellona;

   secondo importanti studi gli effetti della tecnica dell’airgun, che la società avrebbe intenzione di utilizzare per la realizzazione del progetto presentato, sarebbero devastanti per le specie di cetacei e tartarughe presenti nell'area marina sia sul piano uditivo sia per l'orientamento. Gli spari, infatti, hanno una cadenza ravvicinata e una intensità sonora compresa tra 240 e 260 decibel, superata in natura soltanto da terremoti ed esplosioni di vulcani sottomarini. Ci sarebbero inoltre anche danni ingenti per il settore della pesca che è di grande rilevanza per l'economia della Sardegna;

   il gruppo istruttore della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via e Vas, incaricato dell'istruttoria tecnica, con nota prot. CTVA-2015-0002687 del 4 agosto 2015, acquisita con prot. DVA-2015-0020599 del 5 agosto 2015, ha comunicato la necessità di acquisire chiarimenti e approfondimenti relativi alla documentazione prodotta fino ad allora dalla società norvegese;

   con nota del 29 ottobre 2015 (prot. DVA-2015-0027108) è stata concessa una proroga di 60 giorni per la consegna delle integrazioni e, successivamente, con nota del 14 marzo 2016 (prot. DVA-2016-0006961) è stata concessa una proroga di 8 mesi per la consegna delle integrazioni a partire dal 24 novembre 2015;

   in data 22 luglio 2016 la società norvegese ha presentato la richiesta documentazione integrativa;

   la regione autonoma della Sardegna, in seguito alle integrazioni fornite dalla società, ha ribadito nei confronti del progetto presentato il parere negativo già espresso, ritenendo l'intervento proposto fortemente critico, con effetti difficilmente prevedibili. Forti critiche nei confronti del progetto sono state espresse anche da molti comuni della Sardegna, da associazioni e da comitati attivi nel territorio per la difesa dell'ambiente e da numerosi cittadini;

   con decreto n. 240 del 12 novembre 2015 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha espresso giudizio negativo di compatibilità ambientale relativo a un progetto analogo, presentato dalla società Schlumberger italiana spa nel 2014;

   all'inizio del 2017 la direzione generale valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe inviato alla società norvegese il preavviso di rigetto dell'istanza di pronuncia di compatibilità ambientale –:

   se il Ministro interrogato non intenda fornire informazioni sulle tempistiche previste per la conclusione del procedimento di cui in premessa;

   quali siano gli orientamenti in riferimento al giudizio di compatibilità sul progetto della società norvegese di cui in premessa, considerando che i pareri già espressi sono fortemente negativi.
(4-16877)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In data 24 novembre 2014 la società TGS-NOPEC
Geophysical Company ha presentato istanza di avvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale per il progetto «Permesso di prospezione geofisica denominato “d 2 EP-TG” localizzato al largo della costa nord-occidentale della Sardegna».
  L'avviso al pubblico dell'avvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale e del deposito della documentazione progettuale è stato pubblicato in data 2 febbraio 2015 sui quotidiani «La Repubblica» e «La Nuova Sardegna».
  In data 9 febbraio 2015 la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente ha dato avvio all'istruttoria tecnica presso la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica.
  La Commissione Tecnica e valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica del ministero, dopo aver approfonditamente esaminato la documentazione progettuale predisposta dal proponente e considerato le osservazioni del pubblico ed i pareri degli enti pervenuti nel corso del procedimento, ha provveduto a richiedere integrazioni alla documentazione progettuale.
  L'avviso al pubblico del deposito della documentazione integrativa è stato pubblicato in data 22 luglio 2016 sui quotidiani «La Repubblica» e «La Nuova Sardegna».
  Tutti i pareri e le osservazioni presentati nel corso dell'iter istruttorio, unitamente alle relative controdeduzioni presentate dall'interrogante, sono stati tenuti in debita considerazione dalla commissione tecnica — di valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica nel corso dell’
iter istruttorio, ai fini dell'espressione del parere di compatibilità ambientale.
  La documentazione presentata nel corso del procedimento, compresi i pareri degli enti pubblici e le osservazioni pervenute, è pubblicata sul portale delle valutazioni ambientali all'indirizzo:
http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/1523.
  Attualmente, l’
iter istruttorio presso la commissione tecnica di Valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica risulta concluso ed è in fase di predisposizione il provvedimento finale di compatibilità ambientale negativo, come peraltro riportato nel comunicato stampa del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, visibile all'indirizzo: http://www.minambiente.it/comunicati/sardegna-ministero-ambiente-no-prospezioni-vicino-santuario-dei-cetacei.
  Ad ogni modo, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare manterrà alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   STELLA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 224 del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che i produttori e gli utilizzatori degli imballaggi partecipino al Conai (Consorzio nazionale imballaggi), il cui statuto è approvato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, per il raggiungimento degli obiettivi di recupero e di riciclaggio dei rifiuti di imballaggio;

   il contributo ambientale Conai (CAC) è ripartito tra i produttori e gli utilizzatori degli imballaggi, in proporzione alla quantità, al peso ed alla tipologia del materiale di imballaggio immessi sul mercato nazionale;

   dal 1o gennaio 2018 il CAC sarà diversificato per gli imballaggi in plastica in quanto — come si legge sulla «Guida tecnica» pubblicata dal Consorzio — «...la finalità della diversificazione è di incentivare l'uso di imballaggi maggiormente selezionabili e riciclabili, collegando il livello contributivo all'impatto ambientale delle fasi di fine vita/nuova vita...». Da maggio 2017 è stata avviata una prima fase di sperimentazione per consentire alle aziende di affrontare i cambiamenti previsti dal nuovo sistema di contribuzione;

   a questo scopo sono state definite tre categorie di imballaggi in plastica con tre diverse fasce contributive, che saranno definite entro l'estate, corrispondenti ad imballaggi selezionabili e riciclabili da circuito «commercio e industria», da circuito «domestico» e imballaggi non selezionabili/riciclabili allo stato delle tecnologie attuali. Le prime due saranno agevolate rispetto alla terza categoria;

   nella terza fascia sono inserite le stoviglie monouso, nonché i sacchi per ortofrutta. Tra questi sono inclusi anche stoviglie e sacchi realizzati in plastica biodegradabile e compostabile che vengono conferiti direttamente agli impianti di compostaggio con un fine vita quindi ben definito come ammendante per i terreni e ai quali risulta ciononostante applicato un contributo ambientale Conai particolarmente oneroso;

   un contributo ambientale Conai così oneroso per beni realizzati in plastica biodegradabile e compostabile rischia di penalizzare una delle produzioni virtuose del nostro Paese –:

   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative per rivedere il nuovo sistema di tariffazione sopra citato, considerato che esso rischia, contrariamente al suo proposito, di incentivare l'uso e la ricerca di materiali maggiormente sostenibili, di penalizzare la produzione di imballaggi e manufatti prodotti con bioplastiche compostabili, altamente compatibili dal punto di vista ambientale al punto di avere il proprio fine vita negli impianti di compostaggio e non in quelli di riciclo meccanico.
(4-16672)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al contributo ambientale Conai-CAC, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Nel rispetto dei principi «chi inquina paga» e di responsabilità condivisa, il Conai stabilisce gli obblighi di ciascun operatore economico, garantendo che il costo della raccolta differenziata, della valorizzazione e dell'eliminazione dei rifiuti di imballaggio sia sostenuto dai produttori e dagli utilizzatori in proporzione alle quantità di imballaggi immessi sul mercato nazionale e secondo criteri e modalità definite in autonomia dai consorziati, in attuazione delle norme di legge e degli obiettivi fissati dal decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché in considerazione del programma generale di prevenzione e gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio.
  Il Conai, nell'ambito della propria autonomia, nell'attività di ripartizione del contributo ambientale, tra le diverse misure di prevenzione, ha previsto, a partire dal 10 gennaio 2018, la diversificazione del contributo ambientale in relazione agli impatti ambientali derivanti dalla diversa gestione degli imballaggi una volta che diventano rifiuti. Detta misura verrà applicata per la filiera degli imballaggi in plastica, prevedendo un'agevolazione economica sul contributo ambientale per gli imballaggi selezionabili e riciclabili da circuito «domestico» e da circuito «commercio e industria». Non beneficeranno, invece, di agevolazioni gli imballaggi che presentano maggiori difficoltà nella gestione del fine vita, indipendentemente dal loro circuito di destinazione.
  La finalità, assolutamente condivisibile, è di incentivare l'uso di imballaggi maggiormente riciclabili, collegando il livello contributivo all'impatto ambientale delle fasi di fine vita/nuova vita a cominciare dagli imballaggi in plastica, il materiale più complesso per la varietà delle tipologie e per le tecnologie di selezione e di riciclo.
  Dal 1° maggio 2017 è disponibile la nuova modulistica che i consorziati potranno utilizzare per le dichiarazioni del contributo ambientale di competenza di aprile 2017 e che diventerà obbligatoria a partire dalle dichiarazioni di competenza di luglio 2017.
  Durante la fase di test rimarrà comunque invariato e unico il valore del contributo ambientale plastica, pari a 188,00 euro alla tonnellata. Eventuali errori di imputazione delle tipologie di imballaggio dichiarate nelle corrispondenti fasce contributive non avranno conseguenze a carico delle aziende.
  In merito ai criteri di selezionabilità e di riciclabilità dei rifiuti di imballaggio in plastica adottati ai fini della determinazione delle nuove fasce contributive imposte ai produttori consorziati, si osserva che, ai sensi della suddetta diversificazione, le borse di plastica monouso conformi alle caratteristiche di biodegradabilità o computabilità previste dalla norma europea EN 13432 del 2002 beneficeranno comunque di un'agevolazione. Infatti, secondo quanto comunicato dal Conai, rientrano nella categoria «domestico», beneficiaria di agevolazioni, le borse riutilizzabili, i cosiddetti cabas, e gli
shoppers monouso conformi a quanto previsto dalla normativa vigente.
  La misura in fase di sperimentazione va, in generale, nella direzione di incentivare l'uso e la ricerca di materiali maggiormente sostenibili, tenendo in considerazione che differenziazione del contributo ambientale, definito in piena autonomia dal Conai, può risultare uno strumento di prevenzione verso lo sviluppo delle tecnologie di recupero e di riciclo.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si rassicura l'interrogante che il Ministero continuerà a svolgere le attività di monitoraggio nell'ottica di garantire l'attuazione di misure incentivanti e sostenibili.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BONAFEDE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il Castello di Castiglioni, fortino longobardo dell'Alto Medioevo, trasformato in villa rinascimentale dalla famiglia Catellini, citata da Dante tra le illustri casate della Fiorenza Antica, è situato a Cercina, frazione del comune di Sesto Fiorentino, in provincia di Firenze, dominando la pieve romanica che prende nome dalla stessa località;

   l'edificio si presenta composto da più parti edificate in periodi diversi; l'ala sud-occidentale sembra essere di più antica origine. L'attuale aspetto si deve a trasformazioni subite probabilmente nel XV-XVI secolo: di questo riordino ed ampliamento sono visibili sulla facciata sud i due portoni di accesso incorniciati con blocchi bugnati di pietra (uno dei quali tamponato) e le ampie finestrate uguali a quelle del lato est nel cortile interno; alcuni lavori di trasformazione interna sono stati eseguiti nel XX secolo, come mostrano i resti di solai laterocementizi semicrollati, alcuni mirati alla suddivisione dell'edificio in unità abitative con il tamponamento di porte interne;

   oggi, la struttura, vero e proprio gioiello medievale, è in una situazione drammatica, a tal punto da essere a rischio di crolli; il complesso del castello, bene comune artistico in rovina, è caratterizzato da stanze affrescate invase da mucchi di calcinacci del tetto sfondato e da finestre murate da muschio, edificio diventato un vero e proprio rudere abbandonato a se stesso, pericolante e con arredi razziati;

   l'edificio, a lungo abbandonato, ha subito diffusi crolli di solai e coperture oltre ai danni causati da vandali e saccheggiatori che lo hanno spogliato di quasi tutto ciò che era possibile asportare;

   il bene è stato, altresì, come da notizie di stampa (http://www.nove.firenze.it), oggetto di un braccio di ferro da parte del proprietario dell'immobile ed il comune di Sesto Fiorentino «... Nel 2013 mio padre è deceduto ed io sono diventato Amministratore della sua Società immobiliare. È stato lui ad acquistare il Castello 30 anni fa e da allora c'è stato un braccio di ferro con il Comune di Sesto Fiorentino affinché potesse prendere vita il suo progetto residenziale. Lui era un immobiliarista, intendeva quindi trarne profitto. Oggi la manutenzione del bene si presenta molto costosa ed il mio problema è: cosa ne faccio?...»

   gli studenti Fotografi dell'ISIS «Leonardo da Vinci» di Firenze, lo scorso anno hanno partecipato a un concorso indetto dall'associazione «Italia Nostra», denominato «Le pietre e i cittadini», che proponeva come scopo l'adozione di un bene storico-architettonico, decidendo di adottare il Castello di Castiglioni e realizzando un video. Gli stessi proponevano, tra le altre cose, anche una serie di soluzioni tra cui la difesa idrogeologica del territorio e dell'ambiente ed il recupero dell'edificio; lo stesso video è stato inviato al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di recuperare l'edificio sopra descritto.
(4-15054)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento al precario stato di conservazione del castello di Castiglione, nel comune di Sesto Fiorentino (Firenze), chiede di sapere le iniziative che si intende intraprendere per il recupero dell'edificio.
  La competente soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per la città di metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato ha comunicato quanto segue.
  Il castello di Castiglione, ubicato nel comune di Sesto Fiorentino, si eleva a 450 metri sul livello del mare con un aspetto ancora oggi imponente.
  Il complesso, appartenente alla società Jalor, è stato sottoposto a vincolo
ex lege n. 1089 del 1939, con decreto ministeriale del 15 gennaio 1960 nonché a vincolo paesaggistico, essendo ricompreso nel decreto ministeriale del 23 dicembre 1962, riguardante le colline di Monte Morello.
  Il sito dove è ubicato il castello è di origine antichissima, forse etrusca, e si indica come luogo di passaggio di Annibale.
  Il castello, le cui notizie risalgono a prima dell'anno mille, appartenne ai Catalini o Catelini di origine longobarda che qui avevano i loro possedimenti.
  Alla fine del secolo XIII il castello feudale fu adattato a villa di campagna. Nel XVI secolo la costruzione divenne una sontuosa dimora.
  La conformazione dell'edificio è rimasta inalterata nei secoli.
  Dalla prima metà dell'Ottocento in poi, il Castiglione subì diversi passaggi di proprietà fino ad essere acquistato dalla società Jalor che, attualmente, lo detiene.
  Il complesso edilizio è globalmente in pessimo stato di conservazione.
  I documenti evidenziano un sostanziale abbandono del complesso, che è la causa principale del suo degrado dovuto alle infiltrazioni d'acqua piovana che hanno gradualmente interessato, oltre che le coperture e le gronde, anche le murature principali e i solai interni.
  A seguito di numerose sollecitazioni provenienti dalla soprintendenza, dal comune di Sesto Fiorentino e dalla società civile, la proprietà ha presentato nel 1988 un progetto di restauro che riguardava principalmente una porzione di copertura in stato di crollo.
  Il progetto è stato oggetto di varie richieste di integrazione e infine approvato in data 18 novembre 1989.
  I lavori risultano comunque essere stati eseguiti parzialmente tanto che la soprintendenza è intervenuta predisponendo una perizia di spesa per un importo di lire 170.000.000 milioni di cui il Ministero ha ordinato l'esecuzione ai sensi del articolo 16 della legge n. 1089 del 1939 con decreto ingiuntivo 16 giugno 1995.
  Nel 2001 è stato presentato alla soprintendenza un progetto di restauro e risanamento conservativo di una porzione del complesso che non risulta autorizzato.
  Sono stati presentati negli anni successivi piani di recupero per il restauro e riuso funzionale a scopo abitativo e diverse altre proposte che, stando agli atti, non hanno avuto alcun esito.
  Si assicura che gli uffici periferici dell'amministrazione, così come hanno già fatto, eserciteranno i poteri di tutela che l'ordinamento pone a loro disposizione per promuovere, sollecitare e sostenere gli interventi di restauro necessari al recupero del castello.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   BOSCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 28 marzo 2017, dopo oltre otto anni di lavoro, è stato definitivamente inaugurato il primo lotto della strada statale 640 Agrigento-Caltanissetta corrispondente alla tratta ricadente in territorio agrigentino, ovvero tra la città di Agrigento e Grottarossa, al confine con la provincia di Caltanissetta;

   un progetto, quello relativo al primo lotto, che ha avuto inizio nel 2005 con l'approvazione ed il finanziamento dell'opera (595 milioni di euro stanziati dal CIPE) di raddoppio ed ammodernamento della strada, precisamente dal chilometri 9+800 al chilometro 44+400;

   con l'inaugurazione del 28 marzo 2017, il primo lotto offre due carreggiate separate da spartitraffico con due corsie per senso di marcia, più la corsia di emergenza;

   per quanto riguarda, invece, il secondo lotto della strada statale 640 ricadente in territorio nisseno, da Canicattì all'innesto con la A19, l'ultimazione dei lavori sarebbe prevista per il 2018, comunque non oltre il mese di marzo del 2019;

   in attesa della fine dei lavori del secondo lotto, la chiusura del ponte Petrusa comporta, tra le altre cose, l'isolamento del centro abitato di Favara, con enormi disagi per studenti e pendolari impossibilitati a raggiungere scuole e posti di lavoro, per i residenti del luogo;

   i disagi già elencati, inoltre, vengono accentuati dalle gallerie che hanno allungato la durata dei lavori, nonché dalle deviazioni presenti lungo il tratto, mentre dopo Caltanissetta la viabilità è compromessa da deviazioni che rallentano di molto il percorso;

   nell'attesa che i lavori vengano completati e che il ponte di Petrusa venga di nuovo aperto al traffico, la realizzazione di una bretella provvisoria, in grado di smaltire il traffico e permettere ai residenti della zona interessata dal secondo lotto del progetto di raggiungere i posti di lavoro e di studio e di evitare di isolare il penitenziario di Petrusa ed il quartiere Fontanelle di Agrigento (sede dell'Ospedale San Giovanni di Dio), sarebbe una risposta adeguata per alleviare i disagi della popolazione –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;

   se non ritenga opportuno convocare un tavolo tecnico, alla presenza di ANAS e degli amministratori locali, al fine di accelerare la realizzazione di una bretella provvisoria in grado di alleviare i disagi dei residenti della zona interessata dai lavori del secondo lotto della strada statale 640, in attesa del suo completamento previsto, ad oggi, non oltre il mese di marzo del 2019.
(4-16333)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazione pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla società Anas, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Occorre premettere che la ricostruzione del viadotto Petrusa e l'ipotesi di realizzazione della bretella di collegamento con il centro abitato di Favara, ricadente in prossimità del km 3+000 della strada statale (SS) 122, non rientrano nei lavori di ammodernamento della strada statale 640.
  Per quanto riguarda lo stato di degrado del Ponte Petrusa, Anas riferisce che è stata, in una prima fase, disposta dal contraente generale la chiusura precauzionale del manufatto con la contestuale esecuzione di una corposa campagna di indagini, di tipo non distruttivo, destinate ad accertare, non solo visivamente, il reale stato di usura delle strutture portanti dell'opera d'arte, anche in considerazione delle notevoli interferenze previste, in termini di sicurezza, con la nuova viabilità (in fase di completamento) al di sotto del Ponte.
  Inoltre, sulla base delle risultanze ottenute, è stata disposta una specifica verifica strutturale che ha confermato il rilevante stato di degrado delle capacità portanti della struttura, tali da non consentire la riapertura al traffico.
  Le descritte indagini hanno, altresì, sconsigliato, non solo dal punto di vista tecnico ma anche da quello economico, il recupero della struttura esistente propendendo per la sua demolizione e per la successiva ricostruzione.
  Pertanto, Anas comunica che si è provveduto alla parziale demolizione dell'opera d'arte, ovvero delle sole tre campate che sovrappassavano la nuova strada statale 640, includendone i relativi oneri nell'ambito delle somme ancora disponibili nelle economie registrate nell'appalto affidato al Contraente generale, unitamente alla progettazione esecutiva del nuovo Ponte Petrusa.
  Le attività di demolizione sono state concluse alla fine del mese di marzo scorso.
  Il Progetto esecutivo risulta, ad oggi, in corso di redazione da parte del Contraente generale, dovendo, successivamente, seguire l'acquisizione dei necessari pareri da parte degli Enti competenti.
  Anas dovrà, poi, reperire i finanziamenti necessari per l'appalto dei lavori.
  La ricostruzione del nuovo Ponte non potrà, pertanto, avvenire prima di 18-24 mesi.
  Per quanto attiene, invece, alle rimostranze del territorio sulla nuova tempistica di percorrenza determinata dalla chiusura del ponte, Anas precisa che il comune di Favara risulta connesso alla nuova strada statale 640 attraverso ben quattro svincoli:

   la rotatoria San Pietro di inizio tratto ammodernato attraverso la strada provinciale 80;

   lo svincolo «Petrusa», nel quale ricade il Ponte Petrusa parzialmente demolito, attraverso la strada statale 122;

   lo svincolo «Caldare», attraverso la strada provinciale (SP) 3;

   lo svincolo «Scintilia» attraverso la SP 85.

  Per l'utenza che proviene dalla rotatoria Giunone in direzione di Favara, l'interdizione del Ponte Petrusa è irrilevante poiché dallo svincolo Petrusa si può raggiungere Favara attraverso la strada statale 122.
  Il traffico veicolare, invece, proveniente da Agrigento, percorrendo la SS 122 in direzione Favara, non potendo percorrere il Ponte Petrusa, può alternativamente dirigersi verso Porto Empedocle imboccando il ramo dello svincolo Petrusa e raggiungere così la rotatoria San Pietro (posta a circa 350 metri), uscendo, quindi, a Favara dallo svincolo Petrusa (con un maggiore tragitto di soli 700 metri).
  L'utenza di Favara, proveniente dalla strada statale 122 diretta ad Agrigento, in prossimità dello svincolo Petrusa, non potendo percorrere il Ponte Petrusa, che scavalca la SS 640, deve utilizzare il ramo dello svincolo in direzione Caltanissetta, raggiungendo il successivo svincolo Caldare (posto a circa 4 chilometri dallo svincolo Petrusa), con due possibilità:

   ritornare sulla SS 640 in direzione Porto Empedocle ed uscire in direzione Agrigento dallo svincolo Petrusa attraverso la SS 122 (ovvero ritornare in prossimità dell'opera parzialmente demolita);

   percorrere la strada provinciale 3 e la strada statale 189 per raggiungere, parimenti, Agrigento dalla zona industriale.

  In entrambi i casi la maggiore percorrenza richiesta, in termini di distanza, è di circa 8 chilometri e il maggiore tempo richiesto dai percorsi alternativi non supera i 10 minuti.
  Da ultimo, proprio per attenuare al massimo i disagi per gli utenti, Anas fa sapere di aver verificato la possibilità di realizzare una bretella di collegamento tra la nuova strada statale 640 e il centro abitato di Favara, tuttavia, tale intervento è risultato tecnicamente non realizzabile, a causa delle norme funzionali previste per le intersezioni stradali e geometriche per la costruzione di strade di tipo B, categoria alla quale appartiene la nuova strada statale 640.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   BOSSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   una serie di gravissimi incendi devasta da giorni, fin dai primi di luglio, tutta l'area del Vesuvio, in più punti, con decine di focolai, la chiusura di alcune vie di accesso, molti disagi per i cittadini e gravi danni ambientali;

   in particolare, nella giornata dell'11 luglio 2017, sono stati attivi cinque focolai gravissimi, due sul versante di Torre del Greco, fino a lambire la sede storica dell'Osservatorio vesuviano;

   il rogo più pericoloso si è esteso per oltre due chilometri, dopo che si sono incontrati e sovrapposti i focolai di Ercolano e Ottaviano;

   colonne impressionanti di fumo si sono sollevate tutto il giorno, sovrastando il golfo di Napoli;

   brucia, in realtà, da più giorni uno dei boschi più belli del parco nazionale del Vesuvio, la riserva Tirone Alto Vesuvio, un bosco misto di querce centenarie e pini mediterranei su lave dell'ottocento e anche più antiche;

   i militanti dell'associazione Cittadini per il parco hanno denunciato la presenza di incendi e roghi da giorni, prima ancora che questi si sviluppassero velocemente con la combustione di vaste aree;

   la situazione ha chiesto l'intervento dei vigili del fuoco, ma ha visto anche la mobilitazione di tanti volontari;

   alcuni volontari denunciano, in queste ore, l'incuria in cui veniva tenuto il bosco, che nel momento in cui è andato a fuoco era tappezzato di rami secchi, con strati di fogliame altamente infiammabile;

   pare che le attività di spegnimento dei vari roghi sul Vesuvio abbiano reso necessario l'azione di oltre 60 persone, mentre su tutto il territorio campano, nelle giornate del dieci e dell'undici luglio, sono stati attivi oltre cento roghi;

   è evidente che l'attività di sorveglianza del territorio e di intervento tempestivo ha presentato qualche difficoltà se si è potuti arrivare a un tale livello di devastazione –:

   quale sia la situazione dei danni ambientali legati ai roghi sul Vesuvio di questi giorni e se il Governo non ritenga di attivare, per quanto di competenza, iniziative di prevenzione e controllo per impedire fenomeni che determinano rischi per la salute e pericolo per l'ambiente.
(4-17317)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La delicata questione degli incendi boschivi, che sta caratterizzando questo 2017, risulta particolarmente critica per due ordini di motivi.
  Da un lato c'è la forte siccità che sta caratterizzando la stagione estiva, con temperature al di sopra della media e una ventilazione che favorisce il propagarsi degli incendi.
  Dall'altro lato c'è la gravissima recrudescenza di episodi dolosi, che rappresentano la stragrande maggioranza delle cause degli incendi che si verificano.
  Di fronte a questo insopportabile crimine contro la natura si stanno mettendo in campo tutte le azioni e tutto il personale – esercito compreso – disponibile.
  Serve però anche una fortissima azione repressiva contro gli incendiari, per la quale oggi forze dell'ordine e magistratura dispongono di una normativa più adeguata, grazie proprio al lavoro del Parlamento.
  La recente legge sugli ecoreati ha infatti introdotto strumenti attesi da decenni contro chi fa scempio dell'ambiente.
  La legge ha introdotto, tra le varie novità, il reato di «disastro ambientale», la cui pena è la reclusione da 5 a 15 anni. In questa fattispecie può rientrare anche l'incendio boschivo. Con l’«aggravante ambientale» dell'art. 452-
novies è, inoltre, possibile un inasprimento della pena da un terzo alla metà (quando il reato riguarda i delitti ambientali).
  Questo vuol dire che il trasgressore può essere condannato a una pena di oltre 20 anni di reclusione, una pena adeguata alla gravità del danno che quanti appiccano un incendio, specie se in un'area protetta, determinano per la collettività.
  La materia degli incendi boschivi è disciplinata dalla legge quadro n. 353 del 21 novembre 2000, che ha fissato, da ben 17 anni, diversi princìpi, primo tra tutti la ripartizione puntuale delle responsabilità e delle competenze affidate al servizio nazionale di protezione civile e quelle affidate alle regioni.
  Tale ripartizione di funzioni viene configurata anche sulla base del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che attribuisce alle regioni ed alle province autonome il compito di programmare ed attuare le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi – ossia ricognizione, sorveglianza, avvistamento, allarme e spegnimento con mezzi da terra e aerei – mediante l'approvazione di un piano regionale, a revisione annuale, per la programmazione delle predette attività.
  La richiamata legge quadro affida al dipartimento della protezione civile la responsabilità di garantire il coordinamento del concorso della flotta aerea dello Stato a supporto delle regioni, che sono chiamate ad impiegare le proprie risorse terrestri ed i velivoli che compongono le flotte regionali nelle attività di spegnimento.
  Di fronte a questa emergenza la risposta deve essere ampia, certamente emergenziale e repressiva dei fenomeni criminali, ma anche in grado di recuperare le preziose risorse perdute. Questo perché a essere messe in discussione sono anche le funzioni che tali risorse svolgono per il clima e la biodiversità, con particolare riferimento all'assorbimento di Co2 e all'adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici. Per questo si segnala il lancio di un programma nazionale di riforestazione delle aree protette colpite dagli incendi, per il quale questo Dicastero ha previsto un primo stanziamento di 5 milioni di euro, reperite nell'ambito delle risorse europee destinate alle misure di adattamento ai cambiamenti climatici, strettamente connesse con quanto viene messo più a rischio oggi: la protezione del suolo, la riduzione dei rischi idrogeologici, l'assorbimento di Co2, il mantenimento della biodiversità.
  La problematica degli incendi boschivi è complessa, per le molteplici componenti e le interrelazioni (climatiche, morfologiche, vegetazionali, antropiche, socio-economiche, ecc.) che la caratterizzano in un dato ambiente geografico. Questa necessita, quindi, di una doverosa sinergia fra le varie Istituzioni, in particolar modo fra quelle competenti per la lotta attiva.
  In questo scenario, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare cura direttamente la pianificazione anti incendi boschivi (AIB) delle aree protette statali. In particolare, tramite gli enti gestori, svolge principalmente attività di programmazione e prevenzione sul relativo territorio naturale protetto.
  In previsione della criticità climatica che sta interessando il Paese e considerata anche la riorganizzazione del Corpo forestale operata dal decreto legislativo 177 del 2016, il 3 luglio scorso è stata convocata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'apposita riunione per fare il punto sulla relativa pianificazione anti incendi boschivi e sulle forze disponibili per fronteggiare la situazione con tutte le istituzioni cointeressate: regioni, Corpo nazionale dei vigili del fuoco, Carabinieri-forestali (CUTFAAC) ed enti gestori delle aree protette.
  All'esito della riunione, il 12 luglio scorso, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato una direttiva che evidenzia l'importanza della sinergia e della collaborazione istituzionale nella lotta agli incendi, richiamando all'attenzione tutte le azioni necessarie per far fronte all'emergenza nell'attuale stagione estiva, nonché una serie di raccomandazioni volte a rafforzare anche le attività di programmazione e prevenzione.
  Si è provveduto, inoltre, a trasmettere la direttiva a tutti gli attori istituzionali che hanno competenza diretta in merito alla lotta attiva, inclusi gli enti parco, il capo dipartimento della protezione civile, nonché il presidente della conferenza dei presidenti delle regioni.
  Con riferimento all'attività pianificatoria in materia svolta da questo Dicastero, occorre evidenziare che la situazione dei relativi piani dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali è sostanzialmente a regime da diversi anni e ogni piano pluriennale viene rinnovato alla sua scadenza quinquennale. Durante il periodo di valenza del piano, ogni anno viene predisposta una relazione di aggiornamento. Si segnala, a tal proposito, che la situazione dei piani anti incendi boschivi è disponibile sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Si segnala, inoltre, che il 5 aprile 2017 è stato firmato un apposito protocollo d'intesa tra l'Arma dei carabinieri e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di definire ogni utile sinergia operativa e di migliorare ulteriormente l'efficacia degli interventi. Mediante tale strumento, le parti regolano i diversi ambiti di intervento e le attività di collaborazione tenendo conto che le competenze e le funzioni già assegnate dalla legge al Corpo forestale dello Stato devono intendersi trasferiti al corpo se attinenti alla lotta attiva agli incendi boschivi con mezzi aerei e terrestri, e se attinenti alla prevenzione e repressione delle violazioni in materia di incendi boschivi e al monitoraggio del territorio in genere con raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati relativi alle aree percorse dal fuoco. In particolare, l'arma, in materia di incendi boschivi realizza l'attività di prevenzione attraverso i servizi di controllo del territorio, anche aerei, nonché la verifica degli adempimenti da parte dei soggetti pubblici e privati; acquisisce le segnalazioni di incendi boschivi; conduce specifiche attività investigative; provvede al monitoraggio delle aree percorse dal fuoco e agli accertamenti conseguenti gli incendi boschivi che prevedono attività di rilievo e di perimetrazione delle aree percorse dal fuoco.
  Sul piano operativo, sono state diramate, per tempo, puntuali disposizioni a tutti i comandi dell'arma, territoriali e della specialità forestale, per indirizzare i servizi di controllo del territorio alla sorveglianza per il contrasto degli incendi boschivi, specie nelle aree rurali e montane, diramando prontamente i conseguenti allarmi e assicurando i primi interventi.
  Per orientare la pianificazione dei servizi, è stato diramato il documento di analisi elaborato dal comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare, concernente l'esame e la valutazione di tutti gli episodi incendiari verificatisi nel 2016. Inoltre, ogni giorno viene trasmesso a tutti i reparti dell'arma il bollettino di rischio incendi, diramato dal dipartimento della protezione civile, che fornisce una previsione a 24 e 48 ore della suscettività all'innesco degli incendi boschivi, della possibile intensità della linea di fuoco e della velocità di diffusione dell'incendio.
  Il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, oltre alle attribuzioni istituzionalmente spettanti allo stesso, esercita, in concorso con le regioni, le competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi, ivi comprese quelle inerenti l'ausilio di mezzi da terra e aerei; il coordinamento delle operazioni di spegnimento; la partecipazione alla struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali.
  Va ricordato, altresì, come al fine di sollecitare il ricorso ad accordi pattizi tra le regioni e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco – l'unico corpo dello Stato che può, su richiesta delle regioni, concorrere nelle attività di lotta attiva contro gli incendi boschivi – sia stato sottoscritto il 4 maggio 2017, su iniziativa del Ministero dell'interno, un apposito accordo quadro tra il Governo e le regioni, nell'ambito della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Tale accordo integra ulteriormente il quadro delle iniziative assunte dal Governo per prevenire, per quanto possibile, su tutto il territorio nazionale, eventuali disfunzioni operative in materia di lotta attiva agli incendi boschivi.
  Successivamente sono state stipulate, alcune sono in via di prossima definizione, diverse convenzioni con le regioni che hanno manifestato un interesse in tal senso. Questi strumenti, oltre a prevedere diverse forme di collaborazione, consentono di rafforzare i dispositivi di lotta a terra agli incendi boschivi, grazie alla previsione di squadre del corpo a questo dedicate.
  A tal ultimo riguardo, va, infatti, precisato che le regioni, per le operazioni di spegnimento dall'alto, possono avvalersi, in tutto o in parte, di una propria flotta, anche ricorrendo a società esterne, ovvero richiedere, qualora necessario, il concorso dello Stato. In tal caso, va ricordato che il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri è chiamato, attraverso il centro operativo aereo unificato (COAU) ad assicurare, grazie ad un coordinamento nazionale, le attività aeree di spegnimento con la flotta aerea antincendio dello Stato. Tale flotta si avvale, come noto, di mezzi di particolare efficacia, come i 19 canadair, transitati al Corpo nazionale dei vigili del fuoco dal 2014 – di cui 16 sono costantemente operativi. Per quanto attiene a tali velivoli, si precisa che lo schieramento ordinariamente operativo pari a 14 velivoli è stato implementato, a partire dal 15 giugno e fino al 15 settembre prossimo, di ulteriori due mezzi grazie al progetto europeo denominato «EU Buffer». I predetti 2 canadair aggiuntivi sono dedicati prioritariamente al progetto europeo – e, in tal senso, va ricordato che tali mezzi sono recentemente intervenuti in Portogallo in occasione dei tragici eventi che hanno interessato quel Paese ma sono impiegabili anche sul territorio nazionale.
  Inoltre, proprio per far fronte alle esigenze connesse con le attività in corso, si deve precisare che, oltre ai 16 canadair, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha messo a disposizione 15 elicotteri per la campagna anti incendi boschivi (AIB) 2017, utilizzando in parte elicotteri provenienti dall'ex Corpo forestale dello Stato, in parte mettendo a disposizione propri velivoli. Anche in virtù di tale sforzo il Coau oggi vanta una delle maggiori flotte di cui abbia potuto disporre nell'ultimo decennio, a cui contribuisce per circa l'80 per cento il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In Campania, da informazioni pervenute dalla medesima regione, emerge che, in termini di risposta Aib, la stessa si è dotata di una propria struttura, all'interno della quale è presente anche l'ulteriore sala operativa cosiddetta «terra dei fuochi». Sono, peraltro, attive sale operative di livello provinciale e centri operativi locali.
  La stessa regione, a partire dall'inizio del mese di luglio 2017, ha dovuto fronteggiare un'ondata di roghi che hanno interessato l'intero territorio regionale. In alcune giornate sono stati registrati oltre cento incendi; i più significativi hanno interessato l'area vesuviana, con fronti di fuoco, in alcuni momenti, lunghi oltre 2 chilometri.
  Al riguardo, va rappresentato che, dal 15 giugno al 30 luglio 2017, la regione ha inviato al Coau del dipartimento della protezione civile 162 richieste di concorso aereo, di cui 108 solo nel periodo dal 10 al 30 luglio 2017.
  L'intera struttura della protezione civile regionale è stata coinvolta: oltre 700 unità che hanno operato incessantemente giorno e notte. A questa forza, naturalmente, va aggiunto l'apporto del Corpo dei vigili del fuoco, dell'esercito (dal 19 luglio 2017 hanno raggiunto le 90 unità) e del volontariato locale.
  Al fine di implementare ancor di più i dispositivi di intervento a terra del corpo è stato, altresì, recentemente stipulato con la regione un protocollo d'intesa che prevede, tra l'altro, nel periodo di maggior esposizione al rischio incendi, un incremento dell'operatività, attraverso la predisposizione di 8 squadre Aib dedicate, aumentabili, in caso di particolari necessità, fino a 10. Inoltre, al fine di implementare il dispositivo di intervento a terra, nella maggior parte dei comandi provinciali del corpo sono stati effettuati richiami di personale in turno libero e raddoppi di personale.
  In merito al parco nazionale del Vesuvio, lo scenario ha messo in evidenza l'aspetto doloso del fenomeno e quindi la necessità di operare in modo altrettanto eccezionale per poter fronteggiare la situazione in modo adeguato, sia con le forze di polizia che con l'esercito, per un'adeguata azione di presidio del territorio, in collaborazione con il Ministero dell'interno e del Ministero della difesa. Per l'emergenza nel parco del Vesuvio è stato disposto il servizio provvisorio di militari provenienti dal comando regione carabinieri forestale Abruzzo e Molise (10 unità) e di 6 operai in tenuta e con automezzo Aib, nell'ambito della riserva nazionale di Tirone Alto Vesuvio (dove già sono presenti 11 operai).
  In merito alle attività investigative per gli eventi del cratere vesuviano, sono in corso accertamenti tecnici finalizzati all'individuazione dei punti di insorgenza e al rilevamento di tracce organiche.
  Sempre con riferimento alla regione Campania, e più in particolare alla provincia di Napoli, il procuratore della Repubblica di Napoli ha comunicato che l'ufficio sta procedendo a carico di ignoti e le indagini sono ancora in corso. Il procuratore ha aggiunto che, allo stato, e salvi gli esiti di successivi accertamenti, i tre eventi incendiari che hanno di recente interessato la zona non appaiono collegati tra loro né riconducibili ad un'unica matrice. L'ufficio ha sottolineato come il lavoro investigativo in corso non consenta, allo stato, di privilegiare una particolare ipotesi circa la natura dolosa o colposa dei fatti e la riconducibilità ad «un'unica mano» degli altri accadimenti nel territorio vesuviano. Ad ogni modo, secondo quanto rappresentato dal procuratore, le prime risultanze investigative hanno escluso che tutti i citati fenomeni fossero ingenerati da autocombustione, derivando verosimilmente la matrice degli stessi da comportamenti, dolosi ovvero colposi, di soggetti allo stato non ancora identificati.
  In relazione all'entità del fenomeno, da una prima, sia pur approssimativa, stima dei danni risulta che i tre incendi abbiano interessato complessivamente circa 1600 ettari del parco nazionale del Vesuvio, dei quali circa 550 relativi alla riserva forestale «Tirone Alto Vesuvio».
  È evidente la necessità di una migliore gestione forestale dell'area in questione, di bonifica tempestiva degli incendi pregressi e della ripulitura della viabilità, senza dimenticare la piaga sulla gestione dei rifiuti. Resta, tuttavia, inteso che tutti gli attori istituzionali e non (compresi i proprietari pubblici e privati) dovrebbero congiuntamente assicurare il benessere del territorio.
  Il problema vero resta quello di affrontare la gestione del territorio con la dovuta concertazione di tutti i suddetti soggetti cointeressati, affinché ciascuno faccia la propria parte seguendo una visione di obiettivi di gestione il più possibile condivisa.
  Ad ogni modo questo Ministero continuerà a svolgere tutte le azioni e valutazioni di competenza, seguendo la situazione con il massimo grado di attenzione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   in data 1o settembre 2012 l'Istituto professionale di Stato per i servizi dell'enogastronomia e dell'ospitalità alberghiera (Ipsseoa) consoli di Castellana Grotte (Bari) passava dalla dirigenza del professor Tartaglia a quella del professor Verni;

   il Consiglio di istituto del «Consoli» non ha approvato i conti consuntivi degli esercizi finanziari dal 2012 al 2016 per criticità amministrativo-contabili, determinate, probabilmente, da operazioni poste in essere negli anni fino al 2012;

   la scuola, attraverso la dirigenza e il Consiglio di istituto ha segnalato a partire dall'anno scolastico 2012/2013 le criticità amministrativo-contabili evidenziate ai soggetti istituzionali interessati;

   i revisori dei conti hanno segnalato numerose criticità. I conti consuntivi dal 2013 al 2016 hanno avuto, infatti, parere favorevole «con riserva». Nel Verbale n. 2014/004 si legge che il C.C. 2013 «presenta degli elementi di criticità che non lo rendono completamente veritiero... da un esame più approfondito della documentazione contabile relativa al 2012 e anni precedenti, sono emerse delle criticità dovute a procedure amministrative poco chiare o corrette». Nel Verbale n. 003/2015 per il C.C. 2014 viene dichiarato che: «... è stata disposta una visita ispettiva da parte del USR Puglia con nota n. 5872 nella persona dell'ispettore Patano Vito. Il 9 dicembre 2014 detto ispettore ha consegnato gli atti all'USR Puglia, ma ad oggi gli esiti ispettivi non sono noti né ai sottoscritti revisori, né al D.S». Nel Verbale n. 2016/004 per il C.C. 2015 si legge «Al momento della redazione del presente Verbale ai sottoscritti Revisori non è ancora noto l'esito di tale ispezione, pur avendone fatta specifica richiesta...»;

   nel verbale del Consiglio di istituto del 27 agosto 2015 si legge di dichiarazioni informali del ragioniere Patano al presidente del Consiglio di istituto circa la contabilità dell'Ipsseoa alla quale mancherebbero 150.000 euro relativi al contributo volontario delle famiglie delle annualità 2012 e precedenti;

   tra le irregolarità figurerebbe anche una sede distaccata, pare, non autorizzata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca; nel Consiglio di istituto del 13 novembre 2014 si parla infatti di gestione nelle annualità fino al 2012 di una sede nel comune di Putrinano priva di codice meccanografico che avrebbe ospitato centinaia di alunni e decine di docenti risultanti in servizio a Castellana Grotte;

   l'Ufficio scolastico regionale ha inviato due ispezioni che hanno prodotto altrettante relazioni. La prima della ragioniere Bellocchio, nomina protocollo n. 3993 del 2013 riferisce: «ho rilevato numerose irregolarità... nella gestione dell'Istituzione Scolastica rilevo la violazione di precise disposizioni normative...». La seconda del DSGA Patano nomina protocollo n. 5872/2014 suddivisa in due parti di cui la prima, che dovrebbe riportare gli esiti dell'indagine sui CC fino al 2014, non è stata mai consegnata neanche ai Revisori dei Conti; la verifica doveva riguardare presunte irregolarità quali contributi volontari, polizze assicurative ecc.;

   a causa dei C.C. non approvati dal Consiglio di istituto e approvati con riserva dai revisori dei conti, l'Ipsseoa rischia di rimanere escluso dalla programmazione dei fondi comunitari, con enorme danno per l'offerta formativa della scuola; queste situazioni critiche inoltre portano i conti a continue squadrature e incertezza contabile –:

   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;

   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per accertarsi delle presunte irregolarità amministrative di cui in premessa, verificando quali siano le «criticità dovute a procedure amministrative poco chiare o corrette» evidenziate dai revisori, quali «le numerose irregolarità» sottolineate da Bellocchio e quali le conclusioni dell'ispezione del ragioniere Patano;

   quali ulteriori iniziative intenda assumere il Ministro interrogato in merito alle suddette irregolarità al fine di sanare le criticità in essere.
(4-15911)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame, vertente sulla situazione dell'istituto professionale di Stato per i servizi dell'enogastronomia e dell'ospitalità alberghiera «Angelo Consoli» di Castellana Grotte, si riportano di seguito gli elementi informativi comunicati dal competente ufficio scolastico regionale per la Puglia.
  Il citato istituto, attuale I.I.S.S. «Consoli-Pinto» dal 1° settembre 2016, non ha provveduto all'approvazione dei conti consuntivi afferenti agli esercizi finanziari dal 2012 al 31 agosto 2016, nonostante i revisori dei conti abbiano espresso parere positivo, pieno per l'esercizio 2012, con riserva per gli esercizi 2013, 2014 e 2015.
  Per l'anno 2016 la scuola avrebbe dovuto approvare il conto consuntivo relativo al periodo 1° gennaio-31 agosto, in quanto è stata oggetto di modifiche nell'ambito del piano regionale di dimensionamento scolastico per l'anno 2016/2017, tuttavia il consiglio d'istituto non ha potuto espletare tale adempimento mancando il prescritto parere dei revisori dei conti.
  A seguito di ciò l'ufficio scolastico regionale ha provveduto a nominare, in data 20 ottobre 2016, il commissario
ad acta previsto dall'articolo 18, comma 7, del regolamento contabile di cui al decreto interministeriale n. 44 del 2001, per l'approvazione del conto consuntivo 2016 (alla data del 31 agosto) e per la verifica della situazione amministrativo-contabile afferente agli esercizi dal 2012 al 2015.
  Per completezza, il predetto ufficio ha precisato, inoltre, che la ragioneria territoriale di Bari aveva comunicato all'istituto in data 9 ottobre 2015 di aver acquisito, da parte del revisore rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, un parere di superamento delle quasi totalità delle possibili criticità precedentemente evidenziate.
  Preso atto della documentazione prodotta dalla scuola, l'ufficio scolastico regionale ha ritenuto di non dover adottare alcun provvedimento per gli anni anteriori al 2016 in quanto l'istituto ha deliberato la non approvazione del conto consuntivo, mentre il citato regolamento prevede la nomina del commissario
ad acta nel caso in cui il consiglio d'istituto non deliberi sullo stesso atto.
  Come è noto, sono state disposte due ispezioni amministrativo-contabili da parte dell'ufficio scolastico regionale. L'esito della prima, effettuata nel 2013, è stato integralmente comunicato all'Istituto scolastico, mentre la relazione conclusiva della seconda, del 2014, è stata comunicata alla scuola soltanto per la parte riguardante gli adempimenti necessari ad eliminare le irregolarità riscontrate e a consentire l'approvazione dei conti consuntivi da parte del consiglio d'istituto. Infatti, la scuola appariva in possesso di tutta la documentazione utile al riesame del conto consuntivo 2012 e, conseguentemente, anche degli esercizi successivi.
  L'operato dell'ufficio scolastico regionale è da ritenersi lineare, come dimostrato dal fatto che la commissione per l'accesso ai documenti amministrativi costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ha rigettato per tre volte la richiesta formulata dall'istituzione scolastica di acquisire l'integrale contenuto della relazione ispettiva.
  Da tutto quanto sopra esposto, si evince che il rischio di esclusione dell'IPSSEOA «Consoli» dalla programmazione dei fondi comunitari non può che essere ricondotto alle delibere di non approvazione dei conti consuntivi adottate dal consiglio d'istituto.
  Per ciò che concerne, infine, la sede staccata di Putignano, è stato evidenziato che tale situazione non è più operante dall'anno scolastico 2013/2014. L'uso dei locali in questione si era reso temporaneamente indispensabile per la necessità di abbandonare altri locali gravemente deteriorati. Tale plesso, tuttavia, non era stato inserito nella programmazione della rete scolastica regionale e, conseguentemente, non si è potuto procedere all'attribuzione del codice meccanografico. Tale circostanza è stata comunicata in data 25 febbraio 2013 dall'ufficio scolastico regionale all'ente provinciale, il quale ha disposto il funzionamento delle classi interessate presso la sede centrale di Castellana a partire dall'anno scolastico 2013/2014.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Valeria Fedeli.


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il piano «alternanza scuola-lavoro» da 200 ore per ogni studente del liceo e da 400 ore per gli studenti degli istituti tecnici e professionali, con l'obiettivo di portare i ragazzi in azienda, è stato introdotto con la riforma della scuola di cui alla legge n. 104 del 2015;

   l'alternanza scuola-lavoro è stata avviata lo scorso anno con 653 mila alunni; nel 2018 una volta a regime il programma riguarderà un milione e mezzo di studenti;

   tuttavia, da un'inchiesta pubblicata nei giorni scorsi dal settimanale L'Espresso, emerge che l'alternanza scuola lavoro non ha prodotto i risultati desiderati in termini di occupazione dopo il conseguimento del diploma di maturità;

   inoltre, viene evidenziato che solo nelle regioni del Nord, in qualche caso, i neo diplomati sono riusciti a inserirsi nel mondo del lavoro, mentre nelle regioni del Centro-sud, i giovani, sono costretti a dover ripiegare su una occupazione che non consente né garanzie future di lavoro né tanto l'ottenimento dei diritti dei lavoratori;

   in quasi tutti i casi di alternanza scuola-lavoro, gli studenti vengono impiegati per mansioni superflue o vengono loro affidati compiti di bassissimo rilievo che quindi non consentono di acquisire le conoscenze e l'approfondimento necessario per introdursi nel mondo del lavoro;

   va sottolineato che la legge n. 104 del 2015, in merito all'alternanza obbligatoria tra studi ed esperienze lavorative per gli enti degli ultimi tre anni delle superiori, dall'anno scolastico 2017/2018, sarà materia dell'esame di Stato;

   pur accogliendo positivamente la decisione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di mettere a disposizione circa cento milioni di euro per la formazione dei professori-tutor inserendo, tra l'altro, tra le strutture che possono ospitare i ragazzi associazioni del terzo settore, enti ecclesiastici e sportivi, che si vanno ad aggiungere ad aziende, camere di commercio e ordini professionali, purtroppo ad oggi gli effetti non sono stati quelli prefissati –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   se trovi conferma quanto emerso dall'inchiesta pubblicata dall’Espresso per quanto attiene all'alternanza scuola-lavoro introdotta con la legge n. 104 del 2015;

   quali siano i motivi che hanno fatto emergere un divario tra Nord e Centro-sud in riferimento alle opportunità di occupazione post diploma di maturità;

   se non si ritenga opportuno avviare uno studio sull'effettivo svolgimento dell'alternanza scuola-lavoro, in modo da garantire agli studenti la giusta attribuzione di mansioni in relazione al tipo di studio scelto finalizzata all'acquisizione dell'esperienza e delle conoscenze necessarie per l'avviamento nel mondo del lavoro;

   quali iniziative intenda intraprendere per consentire alla scuola di valorizzare e valutare le competenze, considerato che gli insegnanti devono effettuare una valutazione sulle competenze, ma, allo stato attuale, ciò risulta quasi impossibile, poiché l'attuale alternanza scuola-lavoro non offre gli strumenti necessari ai docenti per dare valutazioni nel merito.
(4-16834)

  Risposta. — Si ricorda, in premessa, che la legge n. 107 del 2015 dispone l'attivazione di percorsi di alternanza scuola-lavoro, per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell'ultimo anno dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado, di 400 ore negli istituti tecnici e professionali e di 200 ore nei Licei, con l'obiettivo di favorire l'orientamento delle studentesse e degli studenti ed incrementarne l'occupabilità. La citata previsione normativa risponde alle indicazioni della commissione Europea per la diffusione di forme di apprendimento basate sul lavoro, facenti parte della strategia «Europa 2020» per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e confermate nella «New skills agenda for Europe» del 2016.
  Si prevede che nell'anno scolastico 2017/2018, in cui l'alternanza entra a regime, saranno circa 1,5 milioni gli studenti coinvolti in esperienze di transizione tra scuola e lavoro. Si sottolinea, al riguardo, che l'obbligatorietà dell'alternanza prevista dalla legge n. 107 del 2015, è stata introdotta per gli studenti delle classi terze dell'anno scolastico 2015/2016, i quali si diplomeranno nel 2017/2018 con il completamento del triennio finale del percorso.
  Risulta prematuro, quindi, qualsiasi resoconto in termini di avvenuto inserimento nel mondo del lavoro dei suddetti studenti.
  Per fronteggiare l'impatto della nuova legge e facilitare il compito delle scuole nel realizzare percorsi di alternanza rispondenti a standard di qualità, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha adottato una serie di azioni di supporto, tra le quali si segnalano:

   la pubblicazione di una guida operativa nell'ottobre 2015, riepilogativa delle prassi fino ad allora adottate e di coordinamento tra la vecchia e la nuova normativa di riferimento, a supporto dell'attività delle scuole;

   l'attivazione di un sito web dedicato all'alternanza scuola-lavoro (www.istruzione.it/alternanza/index.shtml), nel quale tra l'altro sono evidenziate le buone prassi adottate dalle scuole in vari settori del mondo produttivo;

   la firma di una serie di protocolli d'intesa con associazioni di categoria, imprese di rilevanza nazionale, enti di tipo associativo pubblici e privati e Istituzioni, che hanno favorito la collaborazione tra le scuole e il mondo del lavoro, permettendo il dialogo delle stesse con il territorio;

   con nota n. 3355 del 28 marzo 2017, pubblicata nel sito istituzionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sono stati forniti nuovi chiarimenti interpretativi che rispondono ai più frequenti quesiti che, con l'operatività, sono stati formulati dalle scuole, dalle famiglie e dai soggetti che intendono ospitare gli studenti in esperienze di alternanza, dissipando i dubbi più ricorrenti degli operatori coinvolti.

  È stato, inoltre, attivato il registro nazionale per l'alternanza scuola-lavoro, tenuto dalle CCIAA territoriali, dal quale i dirigenti scolastici possono individuare i soggetti che manifestino la disponibilità ad accogliere studenti in alternanza, permettendone il controllo dell'adeguatezza organizzativa, strutturale e dimensionale.
  È imminente la pubblicazione della carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro, che detterà una serie di princìpi di riferimento da osservare per salvaguardare la sicurezza degli studenti e la qualità dei percorsi.
  Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sta progettando, inoltre, una piattaforma informatizzata con la quale si propone di fornire alle scuole tutti i servizi indispensabili per la gestione dei percorsi, quali la formazione delle studentesse e degli studenti sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro mediante formazione a distanza, la gestione dei percorsi e degli aspetti documentali da parte delle scuole.
  Per favorire la
governance del sistema, inoltre, dall'anno scolastico 2015/2016 è stato impiantato un sistema di monitoraggio quantitativo dei percorsi di alternanza e nell'anno 2016/2017 è stato avviato un monitoraggio qualitativo dei suddetti percorsi, con il fine di intercettare le migliori prassi, ma anche le criticità che si sono manifestate fino ad oggi, rendendo scalabili e replicabili le prime e operando una serie di misure di aggiustamento per le seconde, al fine di guidare costantemente le scuole verso pratiche virtuose a garanzia delle studentesse e degli studenti che hanno l'opportunità, attraverso i percorsi di alternanza frequentati, di arricchire il proprio bagaglio di competenze.
  L'articolo del settimanale «
L'Espresso», cui fa riferimento l'interrogazione in oggetto, mette in luce le diverse esperienze condotte dalle studentesse e dagli studenti in tema di alternanza, su tutto il territorio nazionale, tali da rendere alcuni di essi entusiasti per l'opportunità offerta e per la possibilità di riconoscere le loro attitudini da valorizzare nei futuri percorsi di studi o esperienze di lavoro, altri, invece, delusi per aver svolto compiti di basso rilievo e, come tali, non qualificanti.
  L'articolo, tuttavia, chiude con una significativa constatazione, riconoscendo che anche una esperienza meno qualificante è utile per acquisire competenze da spendere nel mercato del lavoro, considerato che dalle interviste agli studenti emerge il corale convincimento che «per stare sul mercato, devi imparare a creare il tuo lavoro».
  Circa i motivi che fanno emergere un divario della qualità delle esperienze di alternanza tra nord e centro-sud, si deve constatare che l'alternanza scuola lavoro mette in relazione due mondi (scuola e lavoro) che fino a poco tempo fa non dialogavano tra loro, permettendo agli studenti e alle scuole di «toccare con mano» tutte le dinamiche, ma anche le contraddizioni, che risiedono nel mondo del lavoro, ivi comprese la diversa consistenza del tessuto imprenditoriale tra nord e centro-sud e la differente percezione dell'importanza della sicurezza nei luoghi di lavoro e, in generale, della tutela dei diritti dei lavoratori, le cui origini risalgono allo storico divario in termini di sviluppo.
  Sotto tale aspetto, tuttavia, l'alternanza costituisce una seria opportunità per far conoscere agli studenti le regole che governano il mercato del lavoro e, attraverso esperienze interregionali o internazionali, rappresenta un
driver per la crescita e lo sviluppo dei territori, permettendo ai giovani di impiantare, in futuro, efficienti e innovative attività produttive, sulla base del know-how appreso in età scolare con l'alternanza.
  Con riguardo alle misure che intende adottare il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per limitare e minimizzare il rischio che vengano messi in atto percorsi di alternanza di Minor qualità, si evidenzia che tali misure agiscono nell'ottica del continuo miglioramento dei processi e della qualità dell'erogazione del servizio istruzione cui risponde l'intero sistema nazionale di valutazione delle istituzioni scolastiche.
  Oltre alle azioni di monitoraggio già indicate, si richiama l'attenzione su una delle misure più importanti, rappresentata dalla formazione dei docenti sull'alternanza scuola-lavoro e sull'apprendistato, al fine di metterli in condizione di progettare percorsi di qualità insieme con le strutture ospitanti e di certificare le competenze acquisite dagli studenti nelle suddette esperienze.
  La co-progettazione dei percorsi con le strutture ospitanti è la successiva certificazione delle competenze acquisite, permettono di far acquisire ai docenti maggiori capacità di operare didatticamente in termini di competenze, con la consapevolezza dell'interdisciplinarità in termini di progettazione delle stesse e di successiva rendicontazione.
  Con le descritte misure si conta di favorire la diffusione di buone prassi e processi virtuosi che, una volta assimilati dal personale scolastico, possano garantire esperienze di alternanza di qualità, ad esclusivo vantaggio delle studentesse e degli studenti.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Valeria Fedeli.


   CAPARINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il Giornale, in data 11 gennaio 2017 nell'articolo dal titolo: «Il preside è un fantasma: mai visto, vive in Francia. Scuola di piazza Sicilia, due anni fa il dirigente va in pensione. Del sostituto neppure l'ombra» di Marta segnala che due scuole di Milano, l'elementare Novaro Ferrucci di piazza Sicilia e la media Monteverdi, sono governate da reggenti, che peraltro cambiano ogni anno. Prima ancora l'amara sorte era toccata alla primaria Calasanzio;

   due anni fa alla storica dirigente della elementare di piazza Sicilia in pensione subentra una dirigente scolastica che è in servizio a Metz, in Francia, nominata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per dirigere la scuola italiana. Il suo mandato è scaduto il 31 agosto 2016 ma della dirigente a Milano neanche l'ombra. Il mandato ordinario per i titolari di sedi diplomatiche consolari sarebbe di 4 anni, prorogabile di due anni fino a un massimo di nove anni. Due rinnovi sono tanti, visto che «chi ha effettuato un primo mandato quadriennale potrà eventualmente ottenere una proroga di due anni» secondo quanto prevede il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;

   i dirigenti scolastici in missione all'estero mantengono il posto di ruolo e, di anno in anno, alla scuola di piazza Sicilia, e prima alla scuola Calasanzio, ogni anno viene assegnato un reggente diverso: ovvero il dirigente scolastico di un altro plesso che fa da supplente al titolare con le evidenti conseguenze in termini di continuità didattica ed organizzativa, sia per la programmazione delle attività extrascolastiche, che per l'attività ordinaria e quotidiana;

   i genitori della elementare Novaro Ferrucci e della media Monteverdi hanno reclamato un preside stabile in quanto sono diversi i problemi che stanno vivendo centinaia di famiglie milanesi: «la nostra scuola funzionava molto bene, ora si fa fatica a seguire la quotidianità e a programmare anche a brevissimo termine le attività, ma non solo». Il capo d'istituto, infatti, incide nella vita quotidiana della scuola, più di quanto si creda: se un genitore ha un problema con la classe del figlio, o non si riesce a creare un dialogo tra maestre e famiglia o, viceversa, se si pone un problema di carattere didattico, famigliare o di apprendimento del bambino è con il dirigente scolastico che si cerca di trovare una soluzione. Per non parlare delle questioni più pratiche, ma altrettanto fondamentali, come la manutenzione dell'edificio, la necessità di nominare una supplente a lungo termine o l'acquisto di materiale. Così per portare avanti progetti a lungo termine, che in queste scuole sono ben avviati grazie all'intraprendenza e alle competenze messe a disposizione dall'associazione dei genitori per esempio, è indispensabile avere l'avvallo della dirigente. «Gli sportelli psicologici, i servizi di sostegno, i laboratori organizzati e finanziati dagli stessi genitori hanno un futuro incerto» –:

   se il Governo sia a conoscenza di questa situazione e quali iniziative intenda intraprendere;

   se il Governo abbia assunto o intenda assumere iniziative normative per rimuovere la possibilità doppio incarico per i dirigenti scolastici di ruolo in missione all'estero.
(4-15171)

  Risposta. — Sulla questione rappresentata nell'interrogazione in esame, relativa alla dirigenza scolastica dell'istituto comprensivo di piazza Sicilia di Milano, sono stati acquisiti dall'ufficio scolastico regionale per la Lombardia i seguenti elementi informativi.
  Al partire dall'anno scolastico 2015/2016 l'incarico di dirigente scolastico della citata istituzione è stato assegnato ad un dirigente proveniente da altra scuola di Milano, il quale si trovava fin dall'anno 2007/2008 in servizio all'estero con provvedimento della direzione generale per la promozione del sistema Paese del MAECI. Tale posizione di stato interessa, in Lombardia, 16 dirigenti scolastici su un totale di 1.005.
  Al termine del mandato all'estero, il dirigente in questione è stato restituito ai ruoli metropolitani, con decreto del Ministero degli esteri, in data 31 agosto 2016. Pertanto, a seguito di stipula di regolare contratto individuale di lavoro, lo stesso avrebbe dovuto prendere servizio presso l'istituto comprensivo di piazza Sicilia a partire dall'anno scolastico 2016/2017.
  Senonché, l'interessato ha presentato il 1° marzo 2016 istanza di concessione di un congedo straordinario retribuito per dottorato di ricerca all'estero, secondo le previsioni del decreto legislativo n. 297 del 1994 e della legge n. 476 del 1984.
  L'ufficio regionale ha respinto detta istanza richiamando le disposizioni dell'articolo 2, comma 1, della legge n. 476 del 1984, richiamato da testo unico n. 297 del 1994, che consente di accedere ai corsi di dottorato di ricerca compatibilmente con le esigenze dell'amministrazione. Nel caso di specie, infatti, il lungo periodo di attività svolta all'estero ha reso necessario il ricorso all'istituto della reggenza nella scuola di titolarità e, quindi, un ulteriore periodo di permanenza all'estero è apparso incompatibile con le esigenze di buon andamento dell'attività amministrativa.
  Successivamente, in data 25 luglio 2016 il giudice del lavoro ha accolto con propria ordinanza il ricorso presentato dal dirigente con procedura d'urgenza
ex articolo 700 del codice di procedura civile avverso il diniego, l'ufficio scolastico regionale, su indicazione espressa dall'avvocatura distrettuale dello Stato con nota del 4 agosto 2016, ha concesso con provvedimento del successivo 30 agosto 2016 il nulla-osta provvisorio per il dottorato di ricerca, con riserva di riesame all'esito della definizione del giudizio di merito.
  In data 28 settembre 2016 è poi intervenuta la sentenza di merito del tribunale di Milano – sezione lavoro civile – n. 2524 che ha accolto l'istanza dei dirigente scolastico condannando contestualmente l'amministrazione all'ottemperanza.
  Avverso la sentenza l'ufficio ha proposto all'avvocatura distrettuale di presentare appello nei termini e nelle sedi di rito per le motivazioni che ostavano alla concessione del nulla-osta, già fatte valere in primo grado.
  In riscontro alla citata richiesta, l'avvocatura ha osservato, con nota del 18 novembre 2016, che la sentenza appare non censurabile in quanto conforme all'ormai consolidato orientamento della corte d'appello e della Corte di cassazione e, inoltre, la conclusione della procedura di appello si sarebbe conclusa, con ogni probabilità, in un momento prossimo alla conclusione del dottorato di ricerca, con l'unica conseguenza di un ulteriore ed ingiustificato esborso per spese legali a carico dell'Amministrazione.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Valeria Fedeli.


   CAPARINI e BORGHESI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la Valcamonica, con le sue incisioni rupestri è il primo dei siti italiani inseriti nella Unesco World Heritage List ed è uno dei giacimenti di arte rupestre più conosciuti nel mondo per ricchezza, per varietà ed estensione cronologica. Quello della Valcamonica è il parco d'arte rupestre, più vasto e completo presente in Europa;

   si sono ripetute nel parco chiusure impreviste e non tempestivamente comunicate che hanno creato gravissimi disagi a utenti e operatori;

   la dottoressa Sara Rifletti, responsabile di Archeocamuni — una delle agenzie che programmano e gestiscono le visite alle rocce incise — e il presidente dell'Agenzia turistico culturale Sergio Turetti, con alcuni operatori turistici e commerciali del paese, hanno pubblicamente manifestato la loro contrarietà alle chiusure straordinarie del parco di Naquane e dei Massi di Cemmo;

   la Soprintendenza per i beni archeologici della Liguria ha rigettato la proposta di collaborazione avanzata dal comune di Capo di Ponte che si era detto pronto a mettere a disposizione il proprio personale formato per l'accoglienza e la sorveglianza a Naquane perché «servirebbe una contrattazione sindacale e i tempi si allungherebbero»;

   la Soprintendenza ha annunciato l'intenzione di inserire nel bando del Polo regionale museale la richiesta di alcune unità da destinare per l'apertura festiva del parco –:

   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per una risoluzione definitiva che debelli le chiusure improvvise del più noto e importante parco archeologico rupestre d'Italia decise dalla Soprintendenza competente.
(4-16118)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, premesso che nel parco d'arte rupestre della Valcamonica, il più noto e importante parco archeologico rupestre d'Italia, si sono ripetute chiusure impreviste e non tempestivamente comunicate che hanno creato gravissimi disagi a utenti e operatori, chiede quali iniziative intenda intraprendere il Ministero per non scongiurare in futuro tali chiusure.
  A tal proposito si comunica quanto segue, anche in base agli elementi forniti dagli uffici periferici competenti per materia.
  A causa della grave carenza di personale, che da tempo affligge i parchi nazionali d'arte rupestre, la Soprintendenza archeologia belle arti e passaggio per le province di Bergamo e Brescia ha dovuto procedere nel mese di febbraio e fino al 19 marzo 2017 alla chiusura del parco nazionale delle incisioni rupestri, località Naquane, e del parco archeologico nazionale dei Massi di Cemmo durante le domeniche, fatta eccezione per le prime domeniche del mese (05 febbraio 2017 e 05 marzo 2017) per poter aderire alle iniziative «Domeniche gratis in Museo».
  La chiusura è stata messa in atto per i mesi che hanno il minor flusso turistico e, proprio per trovare una idonea soluzione e affrontare con serenità e continuità il periodo di massima affluenza turistica ai parchi durante le giornate festive (da aprile a ottobre), la soprintendenza ha chiesto al polo museale della Lombardia supporto esterno alla vigilanza presso i parchi nazionali d'arte rupestre della Valle Camonica.
  Poiché musei del polo hanno in organico effettivo personale pari a circa il 50 per cento di quello previsto nei relativi decreti ministeriali di assegnazione, il polo aveva predisposto da gennaio 2017 un bando per il supporto alla vigilanza presso i propri Musei.
  Accolta la richiesta della soprintendenza archeologia belle arti e passaggio per le province di Bergamo e Brescia, il bando è stato rivisto, prima della sua pubblicazione avvenuta con urgenza a fine febbraio, prevedendo un supporto per Naquane predefinito in accordo con la stessa soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Bergamo e Brescia, in seguito ad accordi sindacali, e sufficiente a garantire le aperture del sito di Naquane nei giorni festivi da aprile a ottobre 2017.
  Tale scelta collaborativa è stata presa tenendo in considerazione anche altri fattori:

   l'imminente passaggio delle tre aree archeologiche attualmente in capo alla soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Bergamo e Brescia, al polo museale della Lombardia; tra esse i parchi di Naquane e Cemmo e la Villa Romana di Desenzano. Il supporto del polo museale della Lombardia ha quindi anche la funzione di arginare eventuali problemi gestionali che dovessero insorgere, ed essere irrisolvibili in tempi stretti, al passaggio del parco nazionale al polo;

   il parco nazionale delle incisioni rupestri di Naquane e il parco di Cemmo sono legati al museo nazionale della preistoria della Valle Camonica (MuPRE) di Capo di Ponte, museo in consegna al polo museale della Lombardia sin dal 2015, tramite una bigliettazione unica. Dal buon funzionamento del parco dipende quindi il funzionamento del MuPRE (il MuPre è in sostanza totalmente dipendente da Naquane);

   la collaborazione con altri istituti periferici del Ministero è elemento assolutamente positivo. Le risorse vengono inoltre impegnate per il funzionamento del sistema museale regionale; compito, peraltro, previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014, articolo 34, comma 2, lettera b), c), o), p).

  La collaborazione con la soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Bergamo e Brescia, i necessari passaggi sindacali effettuati dalla medesima soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Bergamo e Brescia, il buon esito del bando per il supporto alla vigilanza nei Musei del assegnato in data 7 marzo 2017, sono tutti fattori che hanno consentito l'assegnazione di personale di supporto al parco di Naquane e la sua regolare riapertura nei giorni festivi (e quindi anche del parco di Cemmo) già da domenica 26 marzo 2017.
  Sempre sulla base del predetto accordo con il polo museale della Lombardia, che ha garantito piena collaborazione, è stata assicurata l'apertura del sito per tutto il periodo estivo anche nei giorni infrasettimanali, avendo già provveduto alla copertura delle necessità nei giorni festivi.
  Considerati i risultati si conta che tale collaborazione possa continuare anche per il prossimo futuro.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'area marina protetta di Capo Carbonara, ricadente nella giurisdizione del comune di Villasimius, è caratterizzata da un territorio di alto pregio ambientale, con accentuata vocazione turistico/marittima;

   la citata area è stata istituita nel 1998 e, nel 2012 è stata sancita una nuova perimetrazione, nonché la zonizzazione dell'area marina, con il passaggio da una a quattro «zone A – protezione integrale», mentre viene introdotta una «zona D – riserva sperimentale»;

   dal 2015 tutte le attività esercitate nel territorio di Villasimius sono soggette a contingentamento per la protezione dell'area, con un evidente necessità di maggior controllo da parte dei corpi preposti alla sorveglianza;

   le caratteristiche dell'area esercitano un fortissimo richiamo antropico, prevalentemente legato al turismo della stagione estiva, che fa sì che il comune di Villasimius debba porre in essere un'attività programmatica, finalizzata alla corretta e sostenibile fruizione del territorio;

   a rafforzare il livello di pregio dell'area si ricorda che di essa fanno parte varie zone di protezione speciale, che si estendono per oltre novemila ettari, e che tutta quest'area si trova nel comune di Villasimius;

   a ciò si aggiunge il fatto che la zona, per effetto della particolare posizione geografica, è punto di incrocio strategico dei traffici marittimi che insistono sulla stessa area marina protetta, ubicata in prossimità delle rotte utilizzate dalle navi in arrivo e partenza dal porto di Cagliari e dal polo petrolchimico di Sarroch;

   appare evidente, quindi, il grave rischio ambientale che corre l'area marina protetta, e appare anche evidente all'interrogante come non sia sufficiente la presenza solo stagionale di un organo/ente capace di coniugare le peculiarità dell'attività d'informazione/prevenzione con quelle tipiche delle attività di repressione e che si concentri in particolare sugli ambienti costieri, oltre che sul mare, e sulle attività ad esso collegate;

   è quindi necessaria l'attivazione di un organismo/ente che garantisca la presenza annuale e non stagionale sul territorio, salvaguardando anche la vita umana potendo intervenire costantemente in tutte quelle situazioni, e non sono poche, che mettono a rischio in mare la vita umana, anche per comportamenti scriteriati e irresponsabili che non si verificano per altro solo nella stagione estiva;

   appare, quindi fondamentale per l'interrogante l'attivazione annuale in Villasimius del presidio della Capitaneria di porto – Guardia Costiera, ad oggi, come detto, solo stagionale;

   il comune di Villasimius ha già dato la disponibilità a coprire parte dei costi necessari che la Capitaneria di Porto dovesse sostenere per l'attivazione del presidio annuale;

   si rileva inoltre che, nel 2016, l'area marina protetta di Capo Carbonara si è fatta carico di stipulare una convenzione con la direzione marittima di Cagliari per l'apertura di 9 mesi (30 marzo-22 dicembre 2016) della Sezione mare di Villasimius, con un costo complessivo di 20 mila euro;

   i risultati ottenuti possono essere considerati molto positivi, ed appare opportuno rinnovare la convenzione sopra citata;

   infine, si osserva che avere il corpo della Capitaneria di porto tutto l'anno a Villasimius garantirebbe una serie di servizi che potrebbero giovare a tutta la cittadinanza ed ai turisti, e consentirebbe di combattere con efficacia abusi ed attività illecite e di proteggere la delicatissima area protetta sopra ricordata –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo per contribuire alla soluzione della problematica ricordata in premessa, da un lato favorendo così la protezione della fondamentale area marina di Capo Carbonara e dall'altro garantendo sicurezza ai cittadini e ai turisti presenti in gran numero, soprattutto ma non solo in estate, nell'area citata.
(4-16918)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dal comando generale del corpo delle capitanerie di porto e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In primis, non può che confermarsi la circostanza secondo cui il territorio costiero di che trattasi è caratterizzato da un elevato pregio ambientale, in quanto tale sottoposto a peculiari vincoli di tutela.
  Ne è prova l'insistenza di numerosi Siti di interesse comunitario (SIC) e Zone di protezione speciale (ZPS), oltre alla nota istituzione di un'Area marina protetta (AMP) denominata Capo Carbonara.
  Nell'anzidetta fascia costiera sono altresì presenti due strutture portuali, l'una in Villasimius e l'altra in Porto Corallo, con una capacità ricettiva complessiva pari a circa milleduecento posti barca, che assevera un flusso turistico di notevole intensità.
  In ragione di dette specificità, e considerata la distanza che separa questa porzione del territorio sud-orientale della Sardegna, il Sarrabus, dagli uffici marittimi limitrofi – 25 miglia nautiche dal porto di Cagliari e 50 dal porto di Arbatax - è attiva, come è noto, nel comune di Villasimius una sezione staccata della guardia costiera a carattere stagionale,
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, informa di aver firmato nel 2017 con il comando generale una convenzione per le attività di prevenzione e lotta all'inquinamento marino e potenziamento della vigilanza nelle aree marine protette nel periodo estivo.
  Successivamente, l'ente gestore dell'Area marina protetta di Capo Carbonara, con verbale n. 15 del 6 febbraio 2017, ha approvato, ai sensi della suddetta convenzione, un accordo di collaborazione con la competente Capitaneria di Porto per le attività di vigilanza dell'Area marina protetta.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riferisce anche che non vi sono presupposti ostativi, per cui l'ente gestore, una volta terminata la suddetta collaborazione, attivi altre convenzioni con la Capitaneria di Porto competente per assicurare la sorveglianza e la protezione dell'Area marina protetta.
  Infine, il Comando generale fa presente che i vagliati, molteplici interessi pubblici meritevoli di tutela in zona hanno già consentito di definire in senso favorevole la valutazione della possibilità di una apertura annuale della sezione staccata de qua, facoltà che rientra, peraltro, nelle prerogative proprie della direzione marittima di Cagliari.
  Qualora la citata autorità marittima dovesse in concreto prospettare l'eventuale istituzione di un ufficio locale marittimo nel comune di Villasimius, il comando generale assicura che porrà in essere la necessaria apposita istruttoria propedeutica ad un mirato intervento normativo che acclari l'assenza di oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, se non un'auspicabile economia di spesa.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   come è noto il 13 novembre 2013, a seguito del cosiddetto «Ciclone Cleopatra», il ponte di Oloè, ubicato sulla strada provinciale 46 Oliena-Dorgali, ha subito danni gravissimi, con la conseguenza della tragica morte dell'agente di polizia Luca Tanzi;

   il ponte, infatti, è stato oggetto di importanti interventi di manutenzione e di parziale ricostruzione, affidati ad Anas, con un intervento complessivo pari a 2,9 milioni di euro; al termine di una prima fase di lavori il ponte è stato riaperto parzialmente, dopo una chiusura di oltre otto mesi;

   a seguito di ulteriori eventi meteorologici avversi il ponte è stato successivamente soggetto a nuova chiusura temporanea, e a successiva riapertura al traffico;

   la provincia di Nuoro ha incaricato un tecnico specializzato di verificare la sicurezza del ponte, consentendo nel giugno 2016 la transitabilità solo con mezzi di carico complessivo massimo di 440kN per corsia, con distanza minima di 70 metri tra i mezzi, e a condizione di frequenti ispezioni, in particolare dopo eventi climatici eccezionali;

   nel gennaio 2017 il ponte ha presentato nuove criticità, dovute ancora una volta ad eventi meteorologici che ci si ostina a considerare eccezionali, ma che ormai non possono più essere considerati tali;

   il 19 febbraio 2017 la procura di Nuoro ha disposto il sequestro preventivo del ponte, dopo che i periti nominati dalla procura hanno stabilito la pericolosità del ponte stesso. Custode e responsabile del ponte veniva nominato il sindaco di Oliena;

   nel giugno 2017, però la procura è stata costretta a revocare la custodia al sindaco perché venivano segnalati sia la rimozione delle opere finalizzate alla chiusura del ponte, sia degli stessi segnali di divieto di transito, mai ripristinati;

   la procura ha affidato sino al 19 luglio 2017 il compito di custodia al Genio militare che in tempi rapidi ha predisposto il necessario per evitare nuovi episodi come quelli ricordati;

   in recenti riunioni tenutesi presso la prefettura di Nuoro si è ventilata la possibilità di una parziale riapertura del ponte, anche con la costruzione di un «ponte militare» provvisorio in attesa di un rapido finanziamento di un nuovo ponte;

   di fatto ad oggi il ponte continua a rimanere chiuso, isolando cittadine, imprese e mezzi di soccorso;

   sarebbe nel frattempo auspicabile una soluzione temporanea, quale, ad esempio, la costruzione di un ponte militare. Si tratterebbe di un intervento che non richiederebbe molti giorni e che potrebbe essere coperto anche con la compartecipazione degli enti locali interessati e della stessa regione Sardegna;

   come segnalato dal Governo all'interrogante, esiste uno schema di protocollo tra regione Sardegna e Anas per l'attuazione da parte di quest'ultima di alcuni interventi relativi alla viabilità provinciale, tra cui quelli per il ponte di Oloè;

   secondo quanto comunicato dal Governo medesimo, Anas avrebbe proceduto entro il settembre 2017 all'affidamento ai servizi tecnici per gli interventi necessari al fine di giungere nel minor tempo possibile, alla redazione di uno studio di fattibilità tecnico ed economico della nuova opera condiviso con gli enti interessati, anche al fine di qualificare l'impegno finanziario necessario;

   si tratta di un primo passo importante ma che non fornisce tempi certi per la realizzazione dell'opera in questione –:

   se il Ministro interrogato non intenda precisare, per quanto di competenza, i tempi per la concreta realizzazione della nuova opera, in modo da dare certezze ai cittadini che da troppo tempo vivono una situazione assurda e che richiede una risposta concreta e non solo lodevoli impegni.
(4-17826)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali e dalla Società Anas.
  Dopo l'avvenuto ripristino dei danni provocati dall'alluvione del novembre 2013 – danni che non hanno interessato le strutture portanti del ponte – la giunta regionale della Sardegna, dando seguito alla deliberazione n. 38/11 del 28 giugno 2016, ha approvato lo schema di Protocollo di intesa tra regione, province e Anas per l'attuazione, da parte di quest'ultima, di alcuni interventi di viabilità provinciale già affidati alle amministrazioni provinciali nel Piano regionale delle infrastrutture.
  In particolare, la predetta giunta ha sottoscritto con Anas e provincia di Nuoro una convenzione per la «realizzazione di un sistema di protezione attiva per il monitoraggio allerta delle piene nella Strada provinciale 46 in prossimità del ponte di Oloè, con studi e indagini per il rifacimento del ponte di Oloè e relativi raccordi alla viabilità esistente».
  La convenzione prevede che la regione (soggetto finanziatore) trasferisca ad Anas (soggetto attuatore), per il tramite della provincia di Nuoro (soggetto convenzionato), una somma di complessivi 600.000 euro in due annualità da 300.000 euro ciascuna per l'attuazione di quanto convenuto.
  Per dare attuazione agli impegni previsti dalla convenzione, il 18 maggio 2017 il Coordinamento territoriale Anas per la Sardegna ha nominato il responsabile del Procedimento dell'intervento in questione e, successivamente, si sono svolti alcuni incontri presso la regione Sardegna.
  A seguito delle conclusioni della riunione preliminare del 23 maggio 2017, convocata dall'assessore regionale dei lavori pubblici, il successivo 29 giugno Anas ha trasmesso il cronoprogramma di previsione delle attività necessarie per la progettazione e la realizzazione del sistema di allerta attivo delle piene idrauliche del fiume Cedrino e per le attività propedeutiche allo studio di fattibilità di una nuova opera di attraversamento sul fiume medesimo (ponte Oloè), conformemente agli accordi convenzionali.
  Nel corso di due successive riunioni, Anas ha presentato due ipotesi di massima del tracciato alternativo del nuovo ponte di Oloè per condividerne preliminarmente l'idoneità con gli riti preposti alle autorizzazioni di legge e con l'ente proprietario della strada.
  Infine, Anas ha fatto presente che, coerentemente con gli accordi convenzionali e con il cronoprogramma presentato, procederà entro il corrente mese all'affidamento dei servizi tecnici per lo studio idraulico propedeutico alla progettazione e alla realizzazione del sistema di allerta attivo per le piene, per l'esecuzione dei rilievi di dettaglio dell'alveo fluviale a monte e a valle del ponte e per l'esecuzione dei sondaggi geognostici sull'asse del nuovo tracciato stradale, al fine di giungere, nel minor tempo possibile, alla redazione di uno studio di fattibilità tecnico ed economico della nuova opera condiviso con gli Enti interessati, anche al fine di quantificare l'impegno finanziario necessario.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CARUSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il consolato generale d'Italia a Toronto ha sede in un edificio denominato «Casa Italia»;

   Casa Italia è stata edificata nel secolo scorso nel periodo tra le due guerre dalla comunità italiana che ha finanziato interamente la costruzione, acquistando il terreno nonché tutti i materiali necessari alla sua realizzazione;

   nel 1940, allo scoppio del conflitto che vedeva Italia e Canada combattere su fronti opposti, il Governo canadese ha requisito Casa Italia in quanto struttura di proprietà di una comunità proveniente da un Paese in guerra con il Canada;

   nel dopoguerra il Governo canadese ha restituito alla comunità italiana in Canada, e non al Governo italiano, tutto il complesso «Casa Italia» che è diventato patrimonio della comunità italiana per essere destinato a sede del consolato generale di Toronto;

   con il passare del tempo, «Casa Italia», oltre ad assumere una rilevanza dal punto di vista storico, artistico e culturale, è assurta ad emblema della comunità italiana e delle sue battaglie per mantenere e riconoscersi, con tanti sacrifici ma anche tanto orgoglio, nelle radici del Paese d'origine;

   in modo che appare all'interrogante del tutto arbitrario il consolato di Toronto, il quale, si ribadisce, non ha alcun diritto di proprietà, essendo «Casa Italia» patrimonio della comunità italiana, ha di recente avallato il progetto finalizzato alla vendita dell'edificio del consolato e delle aree di pertinenza;

   da tale vendita si ricaverebbero locali da destinare a sedi degli organismi di rappresentanza del Governo italiano in Toronto e, presumibilmente, una cospicua somma di denaro da far confluire nelle casse del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;

   la comunità italiana, con la sola esclusione di coloro che sono coinvolti nel citato progetto di vendita, si è dichiarata contraria a tale iniziativa;

   anche di recente, il Ministro e il presidente del Consiglio generale degli italiani all'estero (C.G.I.E.) ha ribadito la gravità, dal punto di vista politico ed economico – commerciale, della decisione di vendere le sedi diplomatiche;

   quella che, a giudizio dell'interrogante, si configura come una vera e propria operazione di speculazione edilizia, reca un gravissimo danno all'immagine non solo della comunità italiana in Canada ma dell'Italia stessa nei confronti del Governo canadese –:

   se il Ministro sia al corrente di quanto sopra esposto e quali urgenti iniziative intenda porre in essere per evitare che la realizzazione del progetto di alienazione di alienazione di Casa Italia rechi un danno non solo all'immagine della comunità italiana di Toronto ma anche agli interessi economico-commerciali del nostro Paese in territorio canadese.
(4-16731)

  Risposta. — L'immobile in cui ha attualmente sede il consolato generale d'Italia a Toronto – costruito nel 1872 come residenza privata da un imprenditore inglese - fu acquistato nel 1936 da una società denominata «Toronto Casa d'Italia Limited», costituita dall'allora vice console d'Italia e da tre impiegati della sede.
  Dopo averlo confiscato ed acquistato durante la seconda guerra mondiale, nel 1955 il Governo canadese vendette l'immobile ai signori Sam Sorbara, Joseph Carrier e Suilio Venchiarutti, in qualità di rappresentanti fiduciari («
trustees») dell'associazione di cittadini italo-canadesi Federation of Italo-Canadian Societies e membri dell'associazione Canadian Italian Business Association.
  Nel 1960 i signori Sorbara, Carrier e Venchiarutti donarono il complesso all'allora console generale d'Italia a Toronto, stabilendo che la donazione fosse
in trust per il Governo della Repubblica italiana e ponendo i due seguenti vincoli: 1) l'immobile doveva essere utilizzato come sede del consolato generale d'Italia; 2) nel caso in cui il Governo italiano avesse deciso di vendere o di affittare l'immobile, i donanti avrebbero avuto il diritto di esercitare un'opzione per il riacquisto.
  Nel 2014, l'ultimo sopravvissuto dei tre
trustees, Venchiarutti, cedeva i diritti su Casa d'Italia all'organizzazione The Canadian italian business and professional association of Toronto (Cibpa), che era succeduta alla sopra menzionata Canadian italian business association. Tale diritto veniva trascritto nei registri del catasto. Come confermato da uno studio legale canadese, quindi, il Governo italiano dispone del titolo di proprietà sul bene, pur sussistendo una limitazione alla disponibilità dello stesso come prevista dall'atto di donazione.
  In considerazione di quanto precede, va pertanto escluso che questo Ministero abbia avviato un progetto di vendita del complesso in cui ha sede il consolato generale d'Italia a Toronto. Per contro, è stata presa in considerazione l'ipotesi di una ristrutturazione del complesso immobiliare, stante soprattutto il degrado significativo dello stesso e le evidenti situazioni di rischio per la salute e sicurezza dei dipendenti e dell'utenza, come peraltro evidenziato dall'indagine conoscitiva tecnica effettuata nel 2015 su struttura, involucro ed impianti. In tale contesto, il consolato generale d'Italia a Toronto – oltre ad effettuare alcuni interventi tesi a superare le maggiori criticità dal punto di vista della sicurezza – sta verificando la fattibilità di un progetto cosiddetto di
redevelopment ovvero di un contratto di collaborazione/partenariato pubblico-privato per la concessione di costruzione e gestione del terreno su cui sorge il complesso immobiliare. Tale progetto – su cui la sede sta procedendo d'intesa con la Cibpa stanti i vincoli esistenti sulla proprietà – potrebbe prevedere la concessione del terreno per un determinato periodo ad un operatore economico privato – individuato tramite apposita procedura selettiva – che provvederà alla ristrutturazione della palazzina storica (soggetta peraltro a vincolo culturale paesaggistico), nonché all'eventuale ulteriore costruzione di una nuova struttura destinata alla promozione del made in Italy ed all'utilizzo da parte della collettività italiana. Inoltre, al fine di coinvolgere la comunità italiana ed italo-canadese nel progetto di valorizzazione e seguendo un principio di massima trasparenza, il consolato e la Cibpa hanno costituito un advisory committee presieduto dall'ex giudice della corte suprema del Canada, Frank Iacobucci. Consolato e Cibpa hanno anche avviato una serie di incontri con la collettività – il primo del 27 maggio scorso – per spiegare gli obiettivi del progetto ed acquisire idee, commenti ed osservazioni. Positive sono state le reazioni dei partecipanti al primo incontro. Dopo aver terminato questo processo di consultazione, il consolato generale e la Cibpa procederanno alla pubblicazione di una Request for proposal volta a richiedere agli operatori economici privati di formulare possibili soluzioni per la riqualificazione del sito.
  Le proposte pervenute saranno attentamente vagliate sotto il profilo tecnico ed economico e della conformità con l'ordinamento locale, tenendo conto di tutti gli interessi rilevanti.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Vincenzo Amendola.


   CIRACÌ. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con strada statale 172 dir dei trulli (SS 172) si definisce quel tratto di strada che collega Casamassima (Bari), con Taranto, attraversando tra i tanti comuni anche Fasano (Brindisi) e Locorotondo (Bari);

   da molti anni il tratto di strada situato tra Fasano e Locorotondo necessita di essere messo in sicurezza, anche e soprattutto a seguito della constatata pericolosità del percorso — che costeggia parte delle colline fasanesi per poi inoltrarsi nelle campagne di Locorotondo — e dei numerosi incidenti, talvolta mortali, che si sono verificati;

   la SS 172 dir dei trulli rientra pienamente nelle competenze di gestione della società Anas;

   uno dei più gravi episodi verificatosi lungo l'arteria interessata è quello risalente al 3 luglio 2008, ovvero uno scontro frontale tra pullman e camion in cui persero la vita 6 persone e 35 restarono ferite, fatto di cronaca che trovò triste eco e diffusione su tutti i telegiornali e i quotidiani nazionali;

   a sostegno della causa della risistemazione della soprannominata «strada della morte» da anni ormai si batte anche l'associazione AGUVS (Associazione gruppi uniti tutela e giustizia delle vittime della strada), composta soprattutto dai parenti delle vittime che sulla SS 172 hanno perso la vita;

   il 12 ottobre del 2009 l'Anas, dopo la convocazione di una serie di tavoli tecnici, assunse impegni per la pubblicazione di un bando, in un importo relativo e pari a 3 milioni di euro, per la risistemazione di un primo tratto della strada;

   il 19 aprile del 2012, dopo varie battaglie, fu sottoscritto il protocollo d'intesa tra la regione Puglia e l'Anas per l'avvio dei lavori di ammodernamento: venne previsto un finanziamento regionale pari a circa 15 milioni di euro;

   il 26 luglio 2013, la stampa diffuse la notizia che i finanziamenti destinati alla «statale della morte», sull'intero tratto, erano stati dirottati dal Cipe nel tratto Torino-Lione, la nota Tav: nonostante anche l'intervento e la mediazione bipartisan del mondo politico pugliese, quel finanziamento non vide più la luce, così com'era stato negli anni precedenti promesso;

   l'intervento oggi è inserito nel bilancio pluriennale dell'Anas 2016-2020 tra gli interventi con appaltabilità 2016, ormai trascorso, per un importo complessivo di euro 14.851.971,21: esso riguarda con precisione l'ammodernamento di circa 3 chilometri di strada, dal chilometro 6+500 al chilometro 9+500, con annessa realizzazione di due rotatorie e di allargamento del tratto stradale;

   con l'emissione del decreto d'intesa Stato-regione n. 292 del 14 maggio 2015 è stato completato l’iter approvativo: si sarebbe dovuto procedere, come da dichiarazione dell'Anas rilasciata pubblicamente sui portali telematici della società, all'avvio delle procedure di gara entro e non oltre il 15 aprile 2017;

   l'ultimo fatto di cronaca verificatosi sul tratto interessato risale proprio al 16 aprile 2017, giorno in cui ha perso la vita un giovane centauro della città di Mesagne, in provincia di Brindisi –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della ormai insostenibile situazione di insicurezza in cui versa la strada statale 172 dir dei trulli e dell'urgenza degli interventi necessari, dal momento che l'Anas aveva assicurato la pubblicazione dei bandi entro il 15 aprile 2017, impegno che è stato disatteso, e che ad oggi i progetti non risultano ancora validati dall'ufficio tecnico interno, lasciando presagire il decorso di diversi mesi per arrivare alla citata pubblicazione;

   quali iniziative intendano assumere di fronte a quelle che appaiono inadeguatezza e inerzia degli uffici dell'Anas, affinché la società in questione proceda alla pubblicazione del bando dei lavori, in modo che possa essere messo in atto quanto prima l'ammodernamento della strada si evitino, così, ancora altre stragi.
(4-16549)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società Anas si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Anas comunica che, il 23 giugno 2017, sulla G.U.R.I. 5a Serie Speciale – Contratti pubblici n. 71, è stato pubblicato il bando di gara n. 12-17 avente per oggetto esecuzione di lavori di razionalizzazione delle intersezioni e miglioramento ad adeguamento della sede stradale Fasano — Laureto, 1° stralcio dal chilometro 6+500 al chilometro 9+500, lungo la strada statale 172 «dei Trulli».
  L'importo complessivo dell'appalto ammonta a 8.301.321,14 euro; sulla predetta somma 860.241,69 sono destinati agli oneri della sicurezza e 19.200 euro all'aliquota forfetaria per la sottoscrizione del protocollo di legalità (non soggetti al ribasso d'asta).
  Ad oggi, la gara in questione è tuttora in corso.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   come ormai è ben noto, la riforma delle circoscrizioni giudiziarie disposta dai decreti legislativi n.155 e n.156 del 2012, ha previsto una revisione geografica giudiziaria su tutto il territorio nazionale con la soppressione di 31 tribunali, 38 procure, 220 sedi distaccate e 674 uffici del giudice di pace;

   solo pochi giorni fa il Ministero della giustizia ha reso nota la soppressione dell'ufficio del giudice di pace di Eboli, proprio nei minuti in cui addetti della presidenza del tribunale di Salerno verificavano la fattibilità del trasferimento della sede giudiziaria nei locali dell'ex tribunale di Eboli;

   si tratta di una situazione paradossale, posto che lo stesso Ministero aveva chiesto un impegno al comune, che era stato puntualmente mantenuto, con l'assunzione per intero del costo del servizio e l'assicurazione di ben sei dipendenti, tre lavoratori ex lavoratori socialmente utili e una nuova sede;

   pur condividendo la necessità di ottimizzare le risorse operando un taglio alla spesa pubblica, tale intervento non deve essere dettato da ragioni meramente economiche ma, come nel caso di specie, tenere conto delle ragioni complessive in base alle quali un territorio necessita della presenza di un presidio dello Stato al proprio interno;

   come evidenziato più volte dagli stessi avvocati e dalle associazioni di categoria, fondamentale appare il mantenimento dell'ufficio del giudice di pace le cui funzioni ineriscono al bisogno primario di tutela delle problematiche civili e penali che riguardano direttamente il cittadino comune –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, in considerazione della prospettiva di una paralisi generale della macchina giudiziaria, se non ritenga opportuno adottare tutte le iniziative di competenza necessarie a scongiurare la chiusura dell'ufficio del giudice di pace di Eboli e a offrire così ai cittadini un più efficiente e tempestivo servizio di giustizia.
(4-15610)

  Risposta. — Il tema oggetto dell'atto ispettivo in esame, pur riguardando specificamente l'ufficio del giudice di pace di Eboli, si inserisce nel più ampio quadro di riforma che ha portato alla ridefinizione della geografia giudiziaria ed alla conseguente rimodulazione delle piante organiche della magistratura in generale.
  L'intervento normativo attuativo della delega conferita con la legge 14 settembre 2011, n. 148 ha, in particolare, determinato la soppressione di 666 degli 846 uffici del giudice di pace esistenti.
  Per le sedi soppresse, peraltro, l'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012 ha previsto la facoltà per gli enti locali interessati di chiedere il mantenimento del presidio giudiziario, assumendo a proprio carico le spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia, con la sola esclusione di quelle inerenti al personale di magistratura.
  Successivamente, la legge 27 febbraio 2015, n. 11, che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, ha consentito agli enti locali interessati, alle unioni di comuni nonché alle comunità montane di richiedere, entro il 30 luglio 2015, il ripristino degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio della giustizia, ivi compreso il fabbisogno di personale amministrativo.
  Occorre sottolineare, peraltro, in linea generale, come l'adeguatezza delle scelte operate sia stata, in più occasioni, vagliata positivamente dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 237 del 2013 e nell'ordinanza n. 15 del 2014 in cui, tra l'altro, è stato rilevato che «... si è in presenza di una misura organizzativa, in cui la soppressione dei singoli tribunali ordinari ha costituito la scelta rimessa al Governo, nel quadro di una più ampia valutazione del complessivo assetto territoriale degli uffici giudiziari di primo grado, finalizzata a realizzare un risparmio di spesa e un incremento di efficienza; che tale valutazione è stata effettuata sulla base di un articolata attività istruttoria, come si desume dalla relazione che accompagna il decreto legislativo n. 155 del 2012 e dalle schede tecniche allegate – le quali, con specifico riferimento alle singole realtà territoriali, illustrano le modalità di applicazione dei criteri – nonché dalle relazioni e dai pareri, in particolare delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, sottoposti all'attenzione del Governo e del Parlamento; che, alla stregua di tale quadro di riferimento per l'esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte del decreto legislativo n. 55 del 2012 dei relativi criteri, né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione».
  Invero, la revisione complessiva degli uffici giudiziari ha rappresentato una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, anche, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato anche un significativo processo di risparmio di spesa.
  Proprio i principi ispiratori della complessiva riforma ordinamentale della geografia giudiziaria e della coerente ridefinizione delle piante organiche hanno influito sul metodo di lavoro prescelto, caratterizzato da una approfondita raccolta di ogni dato rilevante, dal confronto analitico tra organico e bacino d'utenza, dal costante monitoraggio dei flussi di lavoro di ogni ufficio e dalla sistematica ed ininterrotta interlocuzione con il Consiglio superiore della magistratura.
  La valutazione degli effetti della riforma è, inoltre, costantemente monitorata attraverso un'apposita commissione con lo specifico compito di verificare lo stato della sua realizzazione, osservare gli effetti dell'applicazione del nuovo assetto territoriale sulla operatività degli uffici giudiziari e proporre soluzioni organizzative e normative per superare le eventuali criticità riscontrate.
  Con specifico riguardo all'ufficio del giudice di pace di Eboli, il decreto ministeriale 6 febbraio 2017 aveva disposto l'esclusione dell'ufficio medesimo dall'elenco delle sedi mantenute ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156.
  Il provvedimento, nelle more della registrazione, era stato tempestivamente trasmesso ai referenti distrettuali ed all'ente territoriale interessato.
  Con nota del 20 febbraio 2017, il presidente del tribunale di Salerno, nel comunicare la sopravvenuta formale accettazione dell'incarico dei dipendenti assegnati dall'ente locale interessato, ha rappresentato di poter considerare superate le criticità di funzionamento dell'ufficio del giudice di pace di Eboli, in considerazione delle quali erano intervenute le determinazioni assunte con il provvedimento innanzi citato.
  Gli elementi pervenuti successivamente all'emanazione del decreto ministeriale, nonché le risultanze della specifica indagine condotta relativamente alla funzionalità e alle effettive capacità operative dell'ufficio del giudice di pace di Eboli, hanno consentito di rivedere le decisioni assunte in relazione alla permanenza del presidio giudiziario, determinando l'adozione del decreto ministeriale 10 marzo 2017, registrato alla Corte dei conti il 23 marzo 2017, che ha disposto la revoca del suddetto decreto ministeriale 6 febbraio 2017 di esclusione del giudice di pace di Eboli dall'elenco delle sedi mantenute con oneri a carico degli enti locali.
  La scelta di prestare, nel rispetto di criteri di efficienza e funzionalità, la massima attenzione alle esigenze emergenti dai territori ha reso possibile al presidio giudiziario di Eboli di proseguire, pertanto, la propria attività, pur sottoposto ad un periodo di osservazione, quantificato in mesi sei, in considerazione delle reiterate criticità precedentemente rilevate.
  Trattandosi, tuttavia, di ufficio giudiziario mantenuto con oneri a carico dell'ente locale comunale, compete al comune di Eboli ogni scelta in ordine all'individuazione degli immobili da adibire a sede giudiziaria.
  

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi si è consumata una nuova aggressione a bordo di un treno; la vittima è un capotreno che alla stazione marittima di Porto Torres, in provincia di Sassari, è stata molestata da un gruppo di nigeriani;

   la donna, secondo quanto riportato da fonti dei media, sarebbe stata aggredita durante un controllo dei biglietti; i ragazzi erano saliti a bordo senza titolo di viaggio e così hanno deciso di accerchiare la donna per poi aggredirla e palpeggiarla;

   la polizia ferroviaria ha identificato gli aggressori, ma al momento non risultano provvedimenti di fermo;

   è stata dura la reazione dei rappresentanti sindacali: «Non si può più continuare così, con i lavoratori dei trasporti in balia dei violenti. Ormai registriamo un episodio di violenza al giorno e le lavoratrici e i lavoratori non possono essere lasciati soli»;

   a parere dell'interrogante, si tratta di episodi molto gravi, purtroppo molto frequenti, e che meritano la massima attenzione –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti abbia inteso e intenda adottare, a tutela dei lavoratori e degli stessi passeggeri a bordo dei treni, e per assicurare una vigilanza più attiva dopo le riduzioni dei servizi di polizia ferroviaria sul territorio nazionale.
(4-17385)

  Risposta. — In relazione all'episodio menzionato nell'atto di sindacato ispettivo, riguardante l'aggressione ai danni di un capotreno avvenuta presso la stazione ferroviaria di Porto Torres, si rappresenta che le relative indagini sono tuttora coperte da segreto istruttorio.
  Il tema della sicurezza del personale ferroviario nonché dei passeggeri a bordo dei treni, posto all'attenzione del Ministro dell'interno dall'interrogante, attiene ad un settore strategico per la mobilità nel Paese, caratterizzato da imponenti volumi di traffico. Su base giornaliera, sono più di 3 milioni e mezzo le persone che transitano nelle oltre 2.500 stazioni italiane e più di 8.000 i convogli circolanti sulla linea ferroviaria nazionale.
  In tale contesto, l'attività di vigilanza viene garantita dalle 4.400 unità della polizia ferroviaria attraverso assidui e mirati controlli, in coordinamento con le altre Forze di polizia territorialmente presenti.
  Nel corso del 2016, sono stati effettuati 205.000 servizi di vigilanza presso le stazioni ferroviarie, 44.000 servizi di scorta a bordo treno (con 96.000 treni scortati), 17.000 servizi antiborseggio in abiti civili, oltre 26.000 pattugliamenti lungo le linee ferroviarie e poco meno di 2.000 servizi straordinari di controllo del territorio.
  Sono stati, inoltre, assicurati servizi quotidiani a bordo dei convogli notturni ed è stata intensificata la vigilanza su quei convogli e in quelle tratte ove si sono rilevate maggiori criticità.
  Durante i predetti servizi, sono state controllate 941.000 persone, di cui 1.245 arrestate e 11.360 deferite in stato di libertà all'autorità giudiziaria. Sono state, inoltre, elevate 14.000 contravvenzioni.
  Grazie alle misure messe in campo, nel 2016 si è registrata una riduzione degli episodi di criminalità predatoria, con un calo dei furti del 27 per cento rispetto al 2015. Anche gli altri indici di delittuosità lasciano emergere una diminuzione della quasi totalità dei fenomeni: rapine, -37 per cento; danneggiamenti, -9 per cento; furti di rame, -47 per cento; lancio di oggetti contro i treni, - 24 per cento, con un aumento delle sole frodi ai danni delle imprese ferroviarie.
  Si è registrato, infine, un calo delle aggressioni, tanto di quelle al personale delle imprese ferroviarie (-5 per cento, quanto di quelle ai viaggiatori (-13 per cento).
  In relazione a quest'ultimo aspetto si osserva che nel 67 per cento dei casi, i responsabili di condotte criminose sono stati tratti in arresto e deferiti all'Autorità giudiziaria. In tale contesto, risultano essenziali le sinergie informative ed operative instaurate con le diverse imprese ferroviarie.
  Per quel che riguarda in particolare la Sardegna, l'attività del compartimento della Polizia ferroviaria, che dispone di 68 operatori in coordinamento con le altre Forze di polizia territorialmente presenti, si articola in servizi in stazione ed a bordo treno, oltre che lungo linea. Nel periodo compreso tra il 1° gennaio ed il 30 giugno 2017, sono stati effettuati 1.802 servizi di vigilanza in stazione, 416 servizi di scorta a bordo treno (con 838 convogli scortati), 235 servizi antiborseggio in abiti civili e 335 pattugliamenti lungo linea. Sono state sottoposte a controllo 5.990 persone, di cui 13 sono state indagate in stato di libertà, mentre sono state elevate 147 contravvenzioni.
  I dati della delittuosità mostrano una sostanziale stabilità nel numero dei furti denunciati (da 13 eventi riscontrati nel 1° semestre 2016 a 14 eventi nello stesso periodo di riferimento del 2017) e nel numero degli episodi di posa ostacoli lungo linea (da 2 a 2). In diminuzione risultano gli episodi di danneggiamento (-25 per cento) e di lancio oggetti contro i treni (-33
per cento, mentre non si sono rilevate frodi, rapine né aggressioni in danno di viaggiatori.
  Viceversa, il dato relativo alle aggressioni al personale ferroviario risulta in aumento rispetto allo stesso periodo del 2016, con un incremento da 2 a 9 eventi, dei quali, nel 44 per cento dei casi, gli autori sono stati identificati e deferiti all'Autorità giudiziaria.
  In merito alla ulteriori iniziative intraprese per assicurare una maggiore sicurezza nel settore, si segnala che, con cadenza mensile o all'insorgere di specifiche problematicità, la Polizia ferroviaria individua, congiuntamente alle imprese ferroviarie, i treni ritenuti «critici» sulla base dell'indice di delittuosità e dell'esposizione degli stessi a potenziale rischio di aggressioni.
  In relazione agli elementi di conoscenza così acquisiti, vengono effettuate scorte mirate sui convogli segnalati, nonché servizi negli scali ferroviari interessati dal transito dei convogli medesimi, realizzando in tal modo un efficace dispositivo di filtraggio già all'atto della partenza.
  Si ricorda, inoltre, che dal 2008 è anche attivo il numero telefonico di emergenza «1600» per il collegamento terra-treno, che consente al personale ferroviario di mettersi in contatto diretto con la sala operativa della Polizia Ferroviaria più vicina per garantire un intervento più immediato delle pattuglie.
  Un ruolo importante in termini di elevazione degli standard di sicurezza è affidato anche ai dispositivi di videosorveglianza di cui sono dotati, sempre in maggio numero, sia stazioni ferroviarie che treni.
  Si tratta di una tendenza senz'altro da consolidare, trattandosi di strumenti di fondamentale importanza non solo per l'individuazione di eventuali responsabili di atti illeciti, ma anche in chiave di prevenzione.
  Specifiche misure sono state altresì adottate al fine di fronteggiare, in particolare, i fenomeni dell'evasione, delle vendite abusive e dei furti in danno dei viaggiatori e dei reati in danno del personale ferroviario. In tale direzione, Rete ferroviaria italiana ha avviato un progetto per la realizzazione di appositi varchi di accesso nelle principali stazioni, ubicati in prossimità dei binari, che vengono monitorati da personale di sicurezza del gruppo ferrovie. Ciò ha consentito di realizzare un maggior controllo nella zona di arrivo e partenza dei treni, contribuendo a ridurre in maniera determinante i fenomeni illeciti sia in stazione che a bordo treno.
  Considerato, inoltre, che circa il 90 per cento delle aggressioni si verifica a bordo in conseguenza della mancanza di titolo di viaggio, Trenitalia ha anche costituito uno specifico «
pool antievasione», composto da personale debitamente formato che, muovendosi su tutto il territorio e coadiuvato all'occorrenza dalla Polizia ferroviaria, offre supporto al personale di front-line sia a terra che a bordo treno, intervenendo in modo particolare sui convogli ritenuti maggiormente a rischio.
  Il quadro delle misure e dei risultati illustrati ottenuti testimonia l'attenzione che questa Amministrazione rivolge alla sicurezza lungo la rete ferroviaria nazionale.
  Si assicura, pertanto, l'impegno a raggiungere standard sempre più elevati di sicurezza, sia facendo leva sul consolidamento della collaborazione con le imprese ferroviarie sia, in prospettiva, attraverso la riorganizzazione della Polizia ferroviaria.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   a Sottomarina di Chioggia (Venezia), all'ingresso dello stabilimento balneare Playa Punta Canna, campeggiavano all'ingresso, scritte che inneggiavano al fascismo: «regole-ordine, pulizia, disciplina, stabilimento antidemocratico con regime, ecc.»;

   grazie a un reportage di Repubblica – che ha mostrato come il gestore dello stabilimento si sia costruito un regno personale in cui la democrazia viene bandita e «vige solo il regime» – si è venuti a conoscenza di quanto verificatosi;

   sul caso è intervenuta la digos per raccogliere materiale per una possibile segnalazione alla magistratura per apologia al fascismo, notificando al gestore dello stabilimento balneare il provvedimento del prefetto Carlo Boffi di Venezia, con l'ordine immediato di rimuovere tutti i simboli, le frasi, i cartelloni e quant'altro faccia riferimento al fascismo e l'assoluto divieto di diffondere con gli altoparlanti discorsi che esaltano la dottrina fascista;

   i cartelli apposti lungo il percorso dello stabilimento che conduce alla spiaggia riportavano asserzioni riferite al pensiero, del gestore, come pannelli indicatori con vere e proprie minacce: «riservato ai clienti, altrimenti manganello sui denti», ritratti di Mussolini e citazioni del duce;

   la stampa riporta che l'ufficio dello stabilimento è allestito con gadget del Ventennio, tariffari delle case di tolleranza e bustine di zucchero con l'effige di Mussolini;

   il gestore si definisce «antidemocratico» ed esterna commenti come: «i tossici sono da sterminare, il 50 per cento della popolazione mondiale è gente di m... e io non li voglio qui» e altro;

   è opportuno ricordare come gli inneggi al fascismo non siano così sporadici, infatti, il 25 aprile 2017, nell'ambito della commemorazione dei caduti della Repubblica di Salò al cimitero di Cremona, e quella di Milano, non sono mancati casi di saluti fascisti in aperta e provocatoria violazione di quanto stabiliscono la Costituzione e la legge –:

   se Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno effettuare, per quanto di competenza, le verifiche del caso, anche avviando un'interlocuzione con l'amministrazione comunale per l'eventuale adozione di iniziative coordinate in materia;

   poiché la condotta del titolare dello stabilimento balneare Playa Punta Canna non è un caso isolato e può senza dubbio essere considerato un affronto alla democrazia nata dalla Resistenza, quali iniziative di competenza intenda assumere affinché casi come quello descritto in premessa non si verifichino più;

   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di monitorare il diffondersi di movimenti e luoghi di aggregazione ispirati a princìpi non compatibili con la Costituzione e le leggi.
(4-17300)

  Risposta. — L'interrogazione in esame fa riferimento al sopralluogo, effettuato nel luglio 2017 dal personale della DIGOS, presso il lido balneare Playa Punta Canna di Chioggia, in seguito alla pubblicazione di un reportage su di un quotidiano nazionale che denunciava la presenza presso quello stabilimento di immagini e scritte inneggianti al fascismo.
  A tale riguardo, si comunica che l'intervento sul posto da parte della DIGOS ha, effettivamente, consentito di verificare la presenza di diversi cartelli, tra cui uno con la riproduzione di immagini di Benito Mussolini e altri con frasi del signor G.S., dipendente del citato lido, che invitavano gli ospiti all'ordine, alla pulizia e alla disciplina.
  Ulteriori verifiche effettuate sulla rete Internet hanno permesso di individuare anche un video della spiaggia, che riproduceva la voce dello stesso G.S., mentre pronunciava frasi contro la democrazia.
  Il 10 luglio, il prefetto di Venezia, acquisito il rapporto della questura ed informata l'autorità giudiziaria, ha adottato un'ordinanza, ai sensi dell'articolo 2 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, con la quale è stata intimata al signor G.S. l'immediata rimozione di ogni riferimento al fascismo, contenuto in cartelli, manifesti e scritte presenti all'interno dello stabilimento, con contestuale ordine di astenersi dall'ulteriore diffusione di messaggi contro la democrazia.
  Nella stessa giornata del 10 luglio, il signor G.S. è stato sentito quale persona informata sui fatti dalla DIGOS e successivamente deferito in stato di libertà per il reato di apologia del fascismo, di cui all'articolo 4 della legge n. 645 del 1952.

  La citata comunicazione di notizia di reato ha portato all'instaurazione di un procedimento penale e il pubblico ministero, titolare del fascicolo, ha delegato la DIGOS medesima ad effettuare ulteriori approfondimenti investigativi.
  Il rapporto della questura e l'ordinanza del prefetto di Venezia sono stati trasmessi al sindaco di Chioggia per le valutazioni di competenza in ordine all'eventuale revoca della concessione demaniale del lido Playa Punta Canna, rilasciata alla società Summertime srl.
  L'ente locale si è riservato ogni ulteriore provvedimento all'esito del procedimento penale in corso, segnalando che, dopo i fatti di luglio, sono stati eseguiti presso quel lido diversi sopralluoghi, effettuati da parte della polizia locale e del personale degli uffici amministrativi comunali; sopralluoghi nel corso dei quali non è stata riscontrata la presenza di alcun comportamento illecito, né di forme propagandistiche antidemocratiche o inneggianti al regime fascista.
  Su un piano più generale, si ricorda che l'ordinamento giuridico prevede in materia alcuni fondamentali presidi di legalità, si fa riferimento innanzitutto alla legge n. 645 del 1952, la cosiddetta legge Scelba, relativa al divieto di riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista e al decreto-legge n. 122 del 1993, convertito dalla legge n. 205 del 1993, la cosiddetta legge Mancino, che offre specifici strumenti per la prevenzione e il contrasto dell'antisemitismo, del razzismo e della xenofobia.
  Gli istituti delineati da tali normative sono oggetto di rigorosa e puntuale applicazione da parte delle autorità provinciali di pubblica sicurezza e delle forze di polizia. In particolare, esse presentano la massima attenzione all'attività di prevenzione che si sviluppa in un costante monitoraggio e in una meticolosa raccolta informativa, al fine di cogliere ogni eventuale segnale di turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica e di deviazione dalle regole del diritto e dalla pacifica convivenza.
  D'altra parte, le forze di polizia segnalano, sempre e puntualmente, all'autorità giudiziaria tutte le iniziative poste in essere da comportamenti di associazioni di ispirazione estremista, qualunque ne sia l'orientamento, per le quali possono ritenersi sussistenti ipotesi di reato.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la pericolosità dell'amianto è nota: l'Osservatorio nazionale amianto ricorda come questo, oltre ad avere effetti fibrogeni, capaci di provocare l'insorgenza di asbestosi, placche pleuriche, ispessimenti pleurici, con complicazioni cardiovascolari, abbia effetti cancerogeni dato che provoca, oltre al mesotelioma della pleura, del peritoneo, del pericardio e della tunica vaginale del testicolo e del polmone, anche altre neoplasie, quali il cancro alla laringe e alle ovaie, ed inoltre, è stata confermata l'associazione tra esposizione ad amianto e una maggiore incidenza di cancro alla laringe, allo stomaco e al colon-retto;

   venerdì 5 maggio 2017 un incendio è divampato in una ditta di stoccaggio di rifiuti in via Pontina Vecchia al chilometro 33,381, nei pressi di Pomezia, che ha tenuto svariate ore i vigili del fuoco al lavoro per domare le fiamme;

   Eco-X di Pomezia, stabilimento coinvolto nell'incendio, trattava materiali di recupero, in particolare carta e plastica e si trova all'interno di un'area fortemente caratterizzata da insediamenti industriali;

   il fuoco si sarebbe, dapprima, sviluppato dal materiale che era accatastato nel piazzale dell'azienda, per poi propagarsi anche ai materiali conservati all'interno dei capannoni;

   nel comunicato stampa diffuso dalla Asl, che ha chiarito di aver agito tempestivamente, con sopralluoghi e attivando una «unità di coordinamento per garantire ogni azione necessaria alla migliore tutela della salute della popolazione», e della «tutela della sicurezza animale», si legge che ci possa essere una «possibile presenza di coperture in cemento amianto sui capannoni dell'impianto» richiedendo «ad ARPA Lazio di poter estendere le attività di campionamento ambientale, al fine di determinare l'eventuale presenza di fibre aerodisperse; contestualmente, è stato contattato il Centro regionale amianto della Asl VT per concordare l'analisi dei campioni ed eventuali ulteriori accertamenti da effettuare»;

   l'amministratore delegato dell'azienda Eco X dichiarava nelle prime ore: «Escludo che nel nostro stabilimento ci fossero rifiuti pericolosi, ed è assolutamente falso che ci sia amianto sul tetto visto che è di cemento»;

   nelle coperture del tetto dei capannoni andati a fuoco nell'incendio, nonostante le prime rassicurazioni, sarebbe stato invece presente dell'amianto, seppure «incapsulato», cioè trattato per non nuocere in condizioni normali;

   a confermarne la presenza è stato il direttore del dipartimento prevenzione della Asl Roma 6, Mariano Sigismondi che ha aggiunto che «si dovrà valutare l'effetto del calore su questa particolare sostanza. Al momento non abbiamo elementi che possano far destare preoccupazioni, almeno a livello acuto, nell'immediatezza del momento»;

   com'è noto la procedura di incapsulamento dell'amianto non consente una sicurezza assoluta nel trattamento di questo materiale, specie se questo non è integro –:

   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   quali iniziative si stiano assumendo al fine di accertare eventuali rischi per la salute derivanti dalla dispersione di fibre d'amianto a seguito dell'incendio della Eco X e quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo al fine di limitare le conseguenze di tale evento.
(4-16543)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente l'incendio sviluppatosi il 5 maggio 2017 presso l'impianto di trattamento di rifiuti della Eco X, sito nel comune di Pomezia, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, evidenziare, in primo luogo, che da subito il Ministero dell'ambiente si è messo in contatto con la regione Lazio che ha fatto presente di aver attivato tempestivamente tutte le strutture preposte alla sicurezza e alla tutela dell'ambiente e della salute della popolazione.
  In particolare, i controlli sui livelli di agenti inquinanti sono stati attivati dai tecnici dell'Asl RM6 e dell'agenzia Arpa Lazio attraverso l'installazione di sistemi di rilevazione ed il prelievo di campioni nei pressi dell'area interessata nonché verifiche sulla qualità dell'aria anche mediante le centraline della rete di monitoraggio. Tali campionamenti sono stati effettuati in modo continuativo per garantire la corretta applicazione di ogni eventuale prescrizione a tutela della salute della popolazione e del territorio.
  Più precisamente, l'Arpa Lazio ha fatto presente che i dati del particolato PM10 hanno evidenziato concentrazioni elevate (130 µg/mc) nel giorno dell'incendio per poi dimezzarsi il giorno successivo (73 µg/mc). Nei giorni seguenti si è evidenziata una graduale diminuzione del PM10, fino a valori inferiori al limite di legge nella giornata del 9 maggio 2017. È stato, peraltro, elaborato un modello di dispersione degli inquinanti per individuare le zone con maggior rischio di ricaduta in un'area di 30km x 30km al fine di concentrare i monitoraggi ambientali successivi che riguardano suolo e acque superficiali.
  Sempre secondo quanto riferito dall'Arpa, dai rilevamenti effettuati anche nelle giornate del 6 e 7 maggio scorso, le concentrazioni misurate presso le stazioni di Ciampino, Cinecittà e Fermi e quelle rilevate dal mezzo mobile situato nell'abitato di Albano Laziale hanno fornito valori inferiori ai limiti imposti dal decreto legislativo n. 155 del 2010 e in linea con quelli rilevati nelle giornate precedenti l'incendio. Al fine di monitorare l'evoluzione della situazione su un'area più ampia, sono stati istallati ulteriori campionatori di aria di cui uno a circa 200 metri in linea d'aria dal luogo dell'incendio e uno nel comune di Pomezia in piazza dell'Indipendenza.
  L'Arpa Lazio ha fatto presente, altresì, che, nelle giornate dal 16 al 21 maggio 2017, le concentrazioni misurate presso le stazioni Ciampino, Cinecittà e Fermi e quelle rilevate dal mezzo mobile situato nell'abitato di Albano Laziale hanno fornito valori inferiori ai limiti imposti dal predetto decreto legislativo n. 155 del 2010 e in linea con quelli rilevati nelle giornate precedenti l'incendio.
  Per quanto riguarda le misurazioni effettuate con campionatori specificamente installati nelle immediate vicinanze dell'incendio, nonché nel plesso degli uffici del comune di Pomezia, in piazza Indipendenza, la predetta agenzia ha raccolto i filtri per la determinazione del PM10 confermando, in entrambe le postazioni mobili installate, valori inferiori al limite imposto per il PM10 ed in linea con quelli misurati dalla rete fissa di monitoraggio nello stesso periodo.
  Nello specifico, con riferimento al campionatore per il PM10 situato nelle immediate vicinanze dell'incendio, sono state completate le analisi per la ricerca di microinquinanti organici sui campioni di PM10 relativi alle giornate del 13 e 14 maggio 2017 che hanno evidenziato una diminuzione della concentrazione di benzo(a)pirene, risultato inferiore al limite medio annuale. Anche le concentrazioni di diossine e furani rilevate nelle vicinanze dell'incendio tra il 9 ed il 14 maggio confermano il trend decrescente messo in evidenza nelle precedenti rilevazioni. Le stesse risultanze sono emerse per le concentrazioni di PCB che evidenziano una costante diminuzione.
  Analogamente, sono state determinate le concentrazioni di inquinanti organici sui filtri di PM10 campionati il 13 e 14 maggio 2017 presso il comune di Pomezia, in piazza Indipendenza. La concentrazione di benzo(a)pirene è risultata inferiore al limite medio annuale e le concentrazioni di PCB e diossine sono in linea con quelle normalmente riscontrabili in ambiente urbano e con i valori misurati in precedenti analoghe campagne di monitoraggio.
  Con riferimento alla messa in sicurezza del sito, si segnala che, con l'ordinanza del 10 maggio, il sindaco di Pomezia ha ordinato ai gestori dell'impianto di adottare con urgenza gli interventi di tempestiva rimozione in sicurezza dei materiali ivi presenti e di contestuale bonifica del sito, nel rispetto della normativa vigente a tutela della salute pubblica.
  A seguito di indagini analitiche svolte dalla Asl Roma 6, la stessa ha confermato la presenza di fibre di amianto nelle coperture dei capannoni dello stabilimento, ma dagli accertamenti effettuati non si rileva la presenza di tali fibre aerodisperse. La Asl, comunque, sta proseguendo nelle attività di campionamento e monitoraggio delle aree limitrofe allo stabilimento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si rassicura che il Ministero dell'ambiente continua a monitorare la situazione con la direzione competente e con l'Ispra, che è a disposizione dell'Arpa regionale per ogni necessario supporto tecnico.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   a quanto emerge da notizie riportate sulla stampa locale, tra cui nell'articolo «Eroina “in saldo” mentre a Mestre arriva anche il crack» apparso ne Il Gazzettino del 29 giugno 2017, sarebbe in atto nella località citata una guerra per il monopolio del mercato della droga tra individui di origine nigeriana e tunisina che starebbe causando degrado e insicurezza nell'area limitrofa alla stazione ferroviaria;

   dopo che tale scontro si è consumato in passato a Padova, nella zona di via Anelli, assurta all'attenzione delle cronache per fenomeni di diffusa illegalità e di incuria, esso si sarebbe spostato nella città lagunare dove la piazza, prima occupata dai tunisini, sarebbe ora contesa nuovamente dai nigeriani;

   in questo quadro la stazione di Mestre si starebbe trasformando in un'area di spaccio, caratterizzata da scontri, accoltellamenti e violenze;

   Mestre sarebbe arrivata a contendere il primato come principale piazza dello spaccio a Verona e Padova, data la presenza di eroina di buona qualità e a prezzi contenuti, fatto che incrementerebbe i rischi per i fruitori;

   i casi di overdose sarebbero pari a tre negli ultimi tre mesi, dopo anni che non se ne registravano;

   nella sfida tra tunisini e nigeriani si starebbe aprendo il mercato anche a nuove sostanze come il crack, droga che incentiva l'aggressività e che quindi porta a incrementare i problemi di ordine pubblico;

   non si starebbe peraltro rispondendo adeguatamente alla minaccia derivante dalla diffusione dello spaccio e del degrado nella zona di Mestre dato che i controlli predisposti non sarebbero efficaci a debellare e neppure a frenare il fenomeno –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali azioni stiano attuando le forze dell'ordine per evitare la diffusione dello spaccio e dei problemi di ordine pubblico sopra descritti nella zona limitrofa alla stazione di Mestre (Venezia);

   se siano stati riscontrati effetti sul miglioramento della sicurezza urbana, e segnatamente sul contrasto allo spaccio di stupefacenti, a seguito dell'attuazione delle misure previste nel decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 convertito dalla legge 18 aprile 2017, n. 48.
(4-17143)

  Risposta. — La stazione ferroviaria di Venezia Mestre è ubicata all'interno del quartiere Piave, negli ultimi anni luogo di residenza, ritrovo e sede di attività economiche di molti cittadini stranieri.
  Nella zona, caratterizzata dalla presenza di aree di degrado urbano, sono presenti, soprattutto nelle ore pomeridiane e notturne, persone senza fissa dimora, nonché cittadini stranieri di diverse etnie, che spesso recano disturbo alla quiete pubblica.
  Inoltre, il fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti, praticato principalmente da giovani di origine nordafricana, ha determinato un notevole incremento della percezione di insicurezza nella popolazione residente e la conseguente costituzione di diversi comitati di protesta, che lamentano il venir meno delle condizioni di tranquillità sociale.
  Negli ultimi due mesi e mezzo sono stati registrati nove decessi di soggetti tossicodipendenti, la cui morte è verosimilmente riconducibile a overdose di oppiacei, e segnatamente di eroina, nonché diversi episodi di aggressione tra extracomunitari. Va rilevato, al riguardo, che non risultano, al momento, risultanze investigative circa una conflittualità in atto riconducibile a dinamiche connesse al traffico illecito di sostanze stupefacenti.
  Si segnala, tuttavia, che le attività investigative nella provincia di Venezia, nel settore del contrasto del traffico e dello spaccio delle sostanze stupefacenti, di cui alcune concentrate proprio nel territorio di Mestre, hanno consentito di individuare organizzazioni e reti criminali particolarmente strutturate, alcune delle quali hanno evidenziato qualificate connessioni con associazioni, anche mafiose, nazionali e internazionali.
  Si assicura, pertanto, che la situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica del quartiere viene costantemente esaminata dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, in seno al quale è stato previsto per quell'area per l'area urbana in questione, un potenziamento dei servizi di prevenzione e controllo del territorio, attraverso l'effettuazione di mirati e coordinati interventi interforze. Ciò anche con l'obiettivo di assicurare una maggiore visibilità delle Forze dell'ordine e della polizia locale nella zona che, nell'ambito del dispositivo generale di prevenzione e controllo del territorio, considerata obiettivo sensibile, come tale ricompresa nell'attività di vigilanza del poliziotto di quartiere e del progetto «strade sicure».
  Dall'inizio dell'anno, accanto alle attività di carattere preventivo, che hanno consentito di deferire in stato di arresto o di libertà, anche per reati in materia di sostanze stupefacenti, diversi soggetti stranieri, nonché di sequestrare vari quantitativi di droga, si sono aggiunte, sul piano repressivo, specifiche operazioni investigative, tuttora in atto.
  In particolare, fino al 31 agosto, sono stati svolti dalle forze dell'ordine nell'area di Mestre-Marghera, 2168 servizi, con l'impiego di oltre 5384 unità; 125 servizi coordinati di controllo del territorio con finalità antidroga, con l'impiego di 482 unità, che hanno consentito di identificare 872 persone, trarne in arresto 121 deferirne all'Autorità Giudiziaria 155 e sequestrare complessivamente circa 10 chilogrammi di sostanze stupefacenti.
  Anche la polizia locale del comune di Venezia, nello stesso periodo, ha svolto un'importante attività antidroga che ha portato al sequestro di 18.5 chilogrammi di sostanze stupefacenti, all'arresto di 11 spacciatori, alla denuncia a piede libero di 17 spacciatori, alla segnalazione alla prefettura di 44 assuntori di sostanze e al ritiro di 6 patenti di guida per possesso di sostanze.
  Infine, in linea con quanto previsto dalla recente legge sulla sicurezza delle città (legge n. 48 del 2017), la prefettura di Venezia, d'intesa con il comune capoluogo, ha avvia tavolo di lavoro per addivenire alla stipula di un nuovo Patto per la città di Venezia, volto a rafforzare e consolidare il rapporto di collaborazione tra i diversi attori istituzionali sul versante della sicurezza integrata.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   le pene previste dal codice penale per chiunque cagioni un incendio su boschi, selve o foreste prevedono la reclusione da quattro a dieci anni;

   a giudizio dell'interrogante, tali pene sono eccessivamente lievi, anche alla luce delle conseguenze gravissime che gli incendi arrecano alle abitazioni private, alle tante aree protette presenti sul territorio nazionale e ai costi che lo Stato deve sostenere per lo spegnimento e per rimediare ai danni conseguenti ai roghi;

   vero è che il codice penale prevede che le pene siano aumentate se dall'incendio derivi pericolo per edifici o danno su aree protette e che siano aumentate della metà se dall'incendio deriva un danno grave, esteso e persistente all'ambiente, ma ciononostante in questi ultimi anni si è registrato un costante aumento di incendi;

   a giudizio dell'interrogante, le pene sono decisamente poco dissuasive, anche in considerazione del fatto che non sempre è facile individuare i responsabili, ma, quando questo accade, difficilmente le pene vengono applicate al massimo previsto;

   l'aumento dei casi di incendio, che si verificano in particolare nel periodo estivo, a giudizio dell'interrogante impongono un inasprimento delle pene previste dall'articolo 423-bis del codice penale e il superamento della distinzione tra rogo doloso e colposo;

   numerosi sono i processi per i tanti che vengono denunciati dalle forze dell'ordine, ma sono davvero pochi quelli che scontano la pena;

   la discrepanza tra numero di processati e numero dei condannati è determinata proprio dalla distinzione che l'attuale normativa fa tra incendio doloso e colposo;

   è necessario, a giudizio dell'interrogante, superare tale distinzione, se non altro perché il coltivatore che dà fuoco alle sterpaglie o ai rimasugli della potatura è ben consapevole non solo del divieto tassativo di abbruciamento, ma anche del fatto che il fuoco può facilmente sfuggire al suo controllo e mettere a repentaglio l'incolumità delle persone, degli edifici circostanti e dell'intero ambiente;

   è altrettanto chiaro che non basta inasprire le pene per combattere efficacemente contro chi deliberatamente dà fuoco a un bosco, a una selva o a una foresta: è grazie ad una più capillare attività di controllo del territorio si possono prevenire tali reati e i danni ingentissimi che ne conseguono, in particolare all'ambiente –:

   se i Ministri interrogati intendano promuovere, iniziative normative volte all'inasprimento delle pene per il reato di incendio boschivo, valutando il superamento della distinzione tra incendio doloso e colposo; quali iniziative intendano adottare al fine di assicurare un maggiore controllo del territorio e una migliore prevenzione degli incendi.
(4-17370)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La delicata questione degli incendi boschivi, che sta caratterizzando questo 2017, risulta particolarmente critica per due ordini di motivi.
  Da un lato c'è la forte siccità che sta caratterizzando la stagione estiva, con temperature al di sopra della media e una ventilazione che favorisce il propagarsi degli incendi.
  Dall'altro lato c'è la gravissima recrudescenza di episodi dolosi, che rappresentano la stragrande maggioranza delle cause degli incendi che si verificano.
  Di fronte a questo insopportabile crimine contro la natura si stanno mettendo in campo tutte le azioni e tutto il personale – esercito compreso – disponibile.
  Serve però anche una fortissima azione repressiva contro gli incendiari, per la quale oggi forze dell'ordine e magistratura dispongono di una normativa più adeguata, grazie proprio al lavoro del Parlamento.
  La recente legge sugli ecoreati ha infatti introdotto strumenti attesi da decenni contro chi fa scempio dell'ambiente.
  La legge ha introdotto, tra le varie novità, il reato di «disastro ambientale», la cui pena è la reclusione da 5 a 15 anni. In questa fattispecie può rientrare anche l'incendio boschivo. Con l’«aggravante ambientale» dell'articolo 452-
novies è, inoltre, possibile un inasprimento della pena da un terzo alla metà (quando il reato riguarda i delitti ambientali).
  Questo vuol dire che il trasgressore può essere condannato a una pena di oltre 20 anni di reclusione, una pena adeguata alla gravità del danno che quanti appiccano un incendio, specie se in un'area protetta, determinano per la collettività.
  Si ricorda, altresì, che l'articolo 61 comma 1, n. 3 del codice penale prevede come circostanza aggravante «l'avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento» (cosiddetta colpa cosciente o con previsione).
  Rispetto alla colpa cosciente, è inoltre possibile prospettare la più grave fattispecie del dolo eventuale ogni qualvolta ne ricorrano i presupposti. Si segnala, al riguardo, l'arresto della cassazione penale, sezioni unite, 18 settembre 2014, n. 38343, secondo cui la linea di confine tra colpa cosciente e dolo eventuale va individuata considerando e valorizzando la diversa natura dei rimproveri giuridici che fondano l'attribuzione soggettiva del fatto di reato nelle due fattispecie:

   nella colpa si è in presenza del malgoverno di un rischio, della mancata adozione di cautele doverose idonee a evitare le conseguenze pregiudizievoli che caratterizzano l'illecito. Il rimprovero è di inadeguatezza rispetto al dovere precauzionale anche quando la condotta illecita sia connotata da irragionevolezza, spregiudicatezza, disinteresse o altro motivo censurabile. In tale figura manca la direzione della volontà verso l'evento, anche quando è prevista la possibilità che esso si compia (colpa cosciente);

   nel dolo si è in presenza di organizzazione della condotta che coinvolge, non solo sul piano rappresentativo ma anche volitivo, la verificazione del fatto di reato. In particolare, nel dolo eventuale, che costituisce la figura di margine della fattispecie dolosa, un atteggiamento interiore assimilabile alla volizione dell'evento e quindi rimproverabile si configura solo se l'agente prevede chiaramente la concreta, significativa possibilità di verificazione dell'evento e, ciò nonostante, si determina ad agire, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi.

  Ad ogni modo, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  A ciò si aggiunga che la materia degli incendi boschivi è disciplinata dalla legge quadro n. 353 del 21 novembre 2000, che ha fissato, da ben 17 anni, diversi princìpi, primo tra tutti la ripartizione puntuale delle responsabilità e delle competenze affidate al servizio nazionale di protezione civile e quelle affidate alle regioni.
  Tale ripartizione di funzioni viene configurata anche sulla base del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che attribuisce alle regioni ed alle province autonome il compito di programmare ed attuare le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi – ossia ricognizione, sorveglianza, avvistamento, allarme e spegnimento con mezzi da terra e aerei – mediante l'approvazione di un piano regionale, a revisione annuale, per la programmazione delle predette attività.
  La richiamata legge quadro affida al dipartimento della protezione civile la responsabilità di garantire il coordinamento del concorso della flotta aerea dello Stato a supporto delle regioni, che sono chiamate ad impiegare le proprie risorse terrestri ed i velivoli che compongono le flotte regionali nelle attività di spegnimento.
  Di fronte a questa emergenza la risposta deve essere ampia, certamente emergenziale e repressiva dei fenomeni criminali, ma anche in grado di recuperare le preziose risorse perdute. Questo perché a essere messe in discussione sono anche le funzioni che tali risorse svolgono per il clima e la biodiversità, con particolare riferimento all'assorbimento di Co2 e all'adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici. Per questo si segnala il lancio di un programma nazionale di riforestazione delle aree protette colpite dagli incendi, per il quale questo Dicastero ha previsto un primo stanziamento di 5 milioni di euro, reperite nell'ambito delle risorse europee destinate alle misure di adattamento ai cambiamenti climatici, strettamente connesse con quanto viene messo più a rischio oggi: la protezione del suolo, la riduzione dei rischi idrogeologici, l'assorbimento di Co2, il mantenimento della biodiversità.
  La problematica degli incendi boschivi è complessa, per le molteplici componenti e le interrelazioni (climatiche, morfologiche, vegetazionali, antropiche, socio-economiche, ecc.) che la caratterizzano in un dato ambiente geografico. Questa necessita, quindi, di una doverosa sinergia fra le varie istituzioni, in particolar modo fra quelle competenti per la lotta attiva.
  In questo scenario, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare cura direttamente la pianificazione anti incendi boschivi (AIB) delle aree protette statali. In particolare, tramite gli enti gestori, svolge principalmente attività di programmazione e prevenzione sul relativo territorio naturale protetto.
  In previsione della criticità climatica che sta interessando il Paese e considerata anche la riorganizzazione del Corpo forestale operata dal decreto legislativo 177 del 2016, il 3 luglio 2017 è stata convocata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'apposita riunione per fare il punto sulla relativa pianificazione anti incendi boschivi e sulle forze disponibili per fronteggiare la situazione con tutte le istituzioni cointeressate: regioni, Corpo nazionale dei vigili del fuoco, carabinieri-forestali (CUTFAAC) ed enti gestori delle aree protette.
  All'esito della riunione, il 12 luglio 2017, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato una direttiva che evidenzia l'importanza della sinergia e della collaborazione istituzionale nella lotta agli incendi, richiamando all'attenzione tutte le azioni necessarie per far fronte all'emergenza nell'attuale stagione estiva, nonché una serie di raccomandazioni volte a rafforzare anche le attività di programmazione e prevenzione.
  Si è provveduto, inoltre, a trasmettere la direttiva a tutti gli attori istituzionali che hanno competenza diretta in merito alla lotta attiva, inclusi gli enti parco, il capo dipartimento della protezione civile, nonché il presidente della conferenza dei presidenti delle regioni.
  Con riferimento all'attività pianificatoria in materia svolta da questo Dicastero, occorre evidenziare che la situazione dei relativi piani dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali è sostanzialmente a regime da diversi anni e ogni piano pluriennale viene rinnovato alla sua scadenza quinquennale. Durante il periodo di valenza del piano, ogni anno viene predisposta una relazione di aggiornamento. Si segnala, a tal proposito, che la situazione dei piani anti incendi boschivi è disponibile sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Si segnala, inoltre, che il 5 aprile 2017 è stato firmato un apposito protocollo d'intesa tra l'Arma dei carabinieri e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al fine di definire ogni utile sinergia operativa e di migliorare ulteriormente l'efficacia degli interventi. Mediante tale strumento, le parti regolano i diversi ambiti di intervento e le attività di collaborazione tenendo conto che le competenze e le funzioni già assegnate dalla legge al Corpo forestale dello Stato devono intendersi trasferiti al corpo se attinenti alla lotta attiva agli incendi boschivi con mezzi aerei e terrestri, e all'arma se attinenti alla prevenzione e repressione delle violazioni in materia di incendi boschivi e al monitoraggio del territorio in genere con raccolta, elaborazione, archiviazione e diffusione dei dati relativi alle aree percorse dal fuoco. In particolare, l'arma, in materia di incendi boschivi realizza l'attività di prevenzione attraverso i servizi di controllo del territorio, anche aerei, nonché la verifica degli adempimenti da parte dei soggetti pubblici e privati; acquisisce le segnalazioni di incendi boschivi; conduce specifiche attività investigative; provvede al monitoraggio delle aree percorse dal fuoco e agli accertamenti conseguenti gli incendi boschivi che prevedono attività di rilievo e di perimetrazione delle aree percorse dal fuoco.
  Sul piano operativo, sono state diramate, per tempo, puntuali disposizioni a tutti i comandi dell'arma, territoriali e della specialità forestale, per indirizzare i servizi di controllo del territorio alla sorveglianza per il contrasto degli incendi boschivi, specie nelle aree rurali e montane, diramando prontamente i conseguenti allarmi e assicurando i primi interventi.
  Per orientare la pianificazione dei servizi, è stato diramato il documento di analisi elaborato dal comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare, concernente l'esame e la valutazione di tutti gli episodi incendiari verificatisi nel 2016. Inoltre, ogni giorno viene trasmesso a tutti i reparti dell'arma il bollettino di rischio incendi, diramato dal dipartimento della protezione civile, che fornisce una previsione a 24 e 48 ore della suscettività all'innesco degli incendi boschivi, della possibile intensità della linea di fuoco e della velocità di diffusione dell'incendio.

  Il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, oltre alle attribuzioni istituzionalmente spettanti allo stesso, esercita, in concorso con le regioni, le competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi, ivi comprese quelle inerenti l'ausilio di mezzi da terra e aerei; il coordinamento delle operazioni di spegnimento; la partecipazione alla struttura di coordinamento nazionale e a quelle regionali.
  Va ricordato, altresì, come al fine di sollecitare il ricorso ad accordi pattizi tra le regioni e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco – l'unico corpo dello Stato che può, su richiesta delle regioni, concorrere nelle attività di lotta attiva contro gli incendi boschivi – sia stato sottoscritto il 4 maggio 2017, su iniziativa del Ministero dell'interno, un apposito accordo quadro tra il Governo e le regioni, nell'ambito della conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Tale accordo integra ulteriormente il quadro delle iniziative assunte dal Governo per prevenire, per quanto possibile, su tutto il territorio nazionale, eventuali disfunzioni operative in materia di lotta attiva agli incendi boschivi.
  Successivamente sono state stipulate, alcune sono in via di prossima definizione, diverse convenzioni con le regioni che hanno manifestato un interesse in tal senso. Questi strumenti, oltre a prevedere diverse forme di collaborazione, consentono di rafforzare i dispositivi di lotta a terra agli incendi boschivi, grazie alla previsione di squadre del corpo a questo dedicate.
  A tal ultimo riguardo, va, infatti, precisato che le regioni, per le operazioni di spegnimento dall'alto, possono avvalersi, in tutto o in parte, di una propria flotta, anche ricorrendo a società esterne, ovvero richiedere, qualora necessario, il concorso dello Stato. In tal caso, va ricordato che il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri è chiamato, attraverso il centro operativo aereo unificato (COAU) ad assicurare, grazie ad un coordinamento nazionale, le attività aeree di spegnimento con la flotta aerea antincendio dello Stato. Tale flotta si avvale, come noto, di mezzi di particolare efficacia, come i 19 canadair, transitati al Corpo nazionale dei vigili del fuoco dal 2014 – di cui 16 sono costantemente operativi. Per quanto attiene a tali velivoli, si precisa che lo schieramento ordinariamente operativo pari a 14 velivoli è stato implementato, a partire dal giugno e fino al 15 settembre 2017, di ulteriori due mezzi grazie al progetto europeo denominato «EU Buffer». I predetti 2 canadair aggiuntivi sono dedicati prioritariamente al progetto europeo – e, in tal senso, va ricordato che tali mezzi sono recentemente intervenuti in Portogallo in occasione dei tragici eventi che hanno interessato quel Paese ma sono impiegabili anche sul territorio nazionale.
  Inoltre, proprio per far fronte alle esigenze connesse con le attività in corso, si deve precisare che, oltre ai 16 canadair, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha messo a disposizione 15 elicotteri per la campagna anti incendi boschivi (AIB) 2017, utilizzando in parte elicotteri provenienti dall'ex Corpo forestale dello Stato, in parte mettendo a disposizione propri velivoli. Anche in virtù di tale sforzo il Coau oggi vanta una delle maggiori flotte di cui abbia potuto disporre nell'ultimo decennio, a cui contribuisce per circa l'80 per cento il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In Campania, da informazioni pervenute dalla medesima regione, emerge che, in termini di risposta Aib, la stessa si è dotata di una propria struttura, all'interno della quale è presente anche l'ulteriore sala operativa cosiddetta «terra dei fuochi». Sono, peraltro, attive sale operative di livello provinciale e centri operativi locali.
  La stessa regione, a partire dall'inizio del mese di luglio 2017, ha dovuto fronteggiare un'ondata di roghi che hanno interessato l'intero territorio regionale. In alcune giornate sono stati registrati oltre cento incendi; i più significativi hanno interessato l'area vesuviana, con fronti di fuoco, in alcuni momenti, lunghi oltre 2 chilometri.
  Al riguardo, va rappresentato che, dal 15 giugno al 30 luglio 2017, la regione ha inviato al Coau del dipartimento della protezione civile 162 richieste di concorso aereo, di cui 108 solo nel periodo dal 10 al 30 luglio 2017.
  L'intera struttura della protezione civile regionale è stata coinvolta: oltre 700 unità che hanno operato incessantemente giorno e notte. A questa forza, naturalmente, va aggiunto l'apporto del Corpo dei vigili del fuoco, dell'esercito (dal 19 luglio 2017 hanno raggiunto le 90 unità) e del volontariato locale.
  Al fine di implementare ancor di più i dispositivi di intervento a terra del corpo è stato, altresì, recentemente stipulato con la regione un protocollo d'intesa che prevede, tra l'altro, nel periodo di maggior esposizione al rischio incendi, un incremento dell'operatività, attraverso la predisposizione di 8 squadre Aib dedicate, aumentabili, in caso di particolari necessità, fino a 10. Inoltre, al fine di implementare il dispositivo di intervento a terra, nella maggior parte dei comandi provinciali del corpo sono stati effettuati richiami di personale in turno libero e raddoppi di personale.
  In merito al parco nazionale del Vesuvio, lo scenario ha messo in evidenza l'aspetto doloso del fenomeno e quindi la necessità di operare in modo altrettanto eccezionale per poter fronteggiare la situazione in modo adeguato, sia con le forze di polizia che con l'esercito, per un'adeguata azione di presidio del territorio, in collaborazione con il Ministero dell'interno e del Ministero della difesa. Per l'emergenza nel parco del Vesuvio è stato disposto il servizio provvisorio di militari provenienti dal comando regione carabinieri forestale Abruzzo e Molise (10 unità) e di 6 operai in tenuta e con automezzo Aib, nell'ambito della riserva nazionale di Tirone Alto Vesuvio (dove già sono presenti 11 operai).
  In merito alle attività investigative per gli eventi del cratere vesuviano, sono in corso accertamenti tecnici finalizzati all'individuazione dei punti di insorgenza e al rilevamento di tracce organiche.
  Sempre con riferimento alla regione Campania, e più in particolare alla provincia di Napoli, il procuratore della repubblica di Napoli ha comunicato che l'ufficio sta procedendo a carico di ignoti e le indagini sono ancora in corso. Il Procuratore ha aggiunto che, allo stato, e salvi gli esiti di successivi accertamenti, i tre eventi incendiari che hanno di recente interessato la zona non appaiono collegati tra loro né riconducibili ad un'unica matrice. L'ufficio ha sottolineato come il lavoro investigativo in corso non consenta, allo stato, di privilegiare una particolare ipotesi circa la natura dolosa o colposa dei fatti e la riconducibilità ad «un'unica mano» degli altri accadimenti nel territorio vesuviano. Ad ogni modo, secondo quanto rappresentato dal procuratore, le prime risultanze investigative hanno escluso che tutti i citati fenomeni fossero ingenerati da autocombustione, derivando verosimilmente la matrice degli stessi da comportamenti, dolosi ovvero colposi, di soggetti allo stato non ancora identificati.
  In relazione all'entità del fenomeno, da una prima, sia pur approssimativa, stima dei danni risulta che i tre incendi abbiano interessato complessivamente circa 1600 ettari del parco nazionale del Vesuvio, dei quali circa 550 relativi alla riserva forestale «Tirone Alto Vesuvio».
  È evidente la necessità di una migliore gestione forestale dell'area in questione, di bonifica tempestiva degli incendi pregressi e della ripulitura della viabilità, senza dimenticare la piaga sulla gestione dei rifiuti. Resta, tuttavia, inteso che tutti gli attori istituzionali e non (compresi i proprietari pubblici e privati) dovrebbero congiuntamente assicurare il benessere del territorio.
  Il problema vero resta quello di affrontare la gestione del territorio con la dovuta concertazione di tutti i suddetti soggetti cointeressati, affinché ciascuno faccia la propria parte seguendo una visione di obiettivi di gestione il più possibile condivisa.
  Ad ogni modo questo Ministero continuerà a svolgere tutte le azioni e valutazioni di competenza, seguendo la situazione con il massimo grado di attenzione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   DI GIOIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   un uomo di 38 anni, Alberico di Noia, detenuto nel carcere di Lucera si è tolto la vita impiccandosi in una cella di isolamento;

   l'uomo si trovava in isolamento da cinque giorni dopo avere avuto un alterco con una guardia penitenziaria;

   l'alterco avrebbe avuto origine dal divieto, opposto dalla guardia carceraria, al detenuto di regalare una caramella al figlio che era andato a trovarlo in carcere insieme alla madre;

   l'uomo che sembrerebbe avere avuto sempre un ottimo comportamento in carcere si sarebbe alterato poiché usualmente gli veniva concesso di dare una caramella al figlio;

   il Di Noia, si trovava in carcere dal marzo 2012, con l'accusa di tentata estorsione nei confronti di una donna;

   nel prossimo mese di febbraio, secondo quanto riportano notizie di stampa, era stata fissata una udienza per decidere se affidare o meno il detenuto ai servizi sociali;

   gli avvocati del Di Noia hanno sostenuto che al loro difeso era stata diagnosticata una tachicardia che lo rendeva incompatibile con il sistema di isolamento e i familiari hanno, a loro volta, denunciato che per 36 ore sarebbe stato loro impedito di vedere il loro congiunto e che, quando hanno potuto visionare il corpo senza vita, avrebbero notato una tumefazione sul lato destro del volto che non sarebbe riconducibile ad ipostasi;

   quello del Di Noia è, dall'inizio dell'anno, il terzo suicidio in cella, che si vanno ad aggiungere ai 49 che hanno deciso di togliersi la vita nel 2013;

   quali iniziative intenda, per quanto di competenza, intraprendere al fine di arrivare all'accertamento dei fatti sopra esposti e dissipare tutti i dubbi sulle dinamiche che hanno portato alla morte di Alberico Di Noia;

   quali ulteriori provvedimenti si intendano prendere al fine di evitare, per quanto possibile, i suicidi nelle carceri che sono la palese dimostrazione dello stato di abbandono e disagio in cui vivono i detenuti costretti a scontare la propria pena o, peggio ancora, lunghi periodi di carcere preventivo, in condizioni disumane di sovraffollamento.
(4-03264)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, prendendo le mosse da un caso di decesso per suicidio avvenuto nel gennaio 2014 all'interno della casa circondariale di Lucera, pone quesiti riguardanti un tema di particolare delicatezza che vede il Ministero della giustizia impegnato in ogni iniziativa, necessaria ed utile, alla prevenzione del rischio di gesti di autolesionismo in ambiente carcerario.
  Quanto al caso del detenuto Alberico Di Noia, la competente articolazione ministeriale, disposta un'indagine amministrativa sull'accaduto, ha comunicato quanto segue.
  In data 15 gennaio 2014, alle ore 7,25, veniva riscontrato l'avvenuto decesso per suicidio del detenuto Di Noia.
  Dai primi accertamenti emergeva che il gesto era stato attuato mediante impiccagione, con l'ausilio di un lembo di lenzuolo annodato e legato a forma di cappio alla grata della finestra della camera detentiva.
  Il detenuto risulta essere stato soccorso tempestivamente, per quanto purtroppo inutilmente, dal personale di polizia penitenziaria e dal personale del 118, nel frattempo sopraggiunto.
  Per quanto comunicato il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Di Noia, giunto nell'istituto di Lucera in data 11 settembre 2013 proveniente dalla casa circondariale di Altamura ed appartenente alla categoria «protetti» per la tipologia
di reato contestato, era stato collocato presso il reparto osservazione dall'8 gennaio 2014, in esecuzione della sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attività in comune per quindici giorni.
  Il detenuto, la mattina del tragico evento, sarebbe stato trasferito presso la casa circondariale di Lecce, a seguito di provvedimento provvisorio emesso dal provveditorato regionale.
  Svolti gli accertamenti richiesti, il provveditore regionale per la Puglia e Basilicata, cui è stata affidata l'indagine amministrativa, ha comunicato che «i comportamenti tenuti dal personale di polizia penitenziaria, nella gestione dell'evento critico, sono risultati corretti e tra loro ben coordinati».
  Quanto alla dinamica del decesso ed alla sua causa, dagli esiti degli accertamenti autoptici, effettuati sulla salma del Di Noia, risulta che «i dati circostanziali permettono di accreditare l'ipotesi che si è trattato di evento suicidario».
  Lo stesso provveditore regionale, acquisite le relative notizie, ha comunicato che il procedimento penale relativo al decesso del Di Noia Alberico è stato archiviato in data 20 novembre 2014.
  Per quanto riguarda, infine, eventuali impedimenti alla messa a disposizione della salma ai familiari, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha chiarito che la stessa, dopo l'evento, non poteva essere consegnata né mostrata alla famiglia in quanto posta a disposizione dell'autorità giudiziaria, il cui successivo nulla osta è stato immediatamente comunicato alla famiglia, anche attraverso numerose telefonate al difensore di fiducia.
  Il fenomeno di cui il caso di Lucera rappresenta manifestazione è alla mia costante attenzione, e mi vede direttamente impegnato in ogni iniziativa, necessaria ed utile, alla prevenzione del rischio di gesti di autolesionismo in ambiente carcerario.
  Finalità alla cui attuazione certamente concorre l'istituzione e la nomina, con decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 2016 e decreto del Presidente della Repubblica 3 marzo 2016, del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
  Nella consapevolezza della drammaticità di ogni atto di autolesionismo, occorre osservare, sotto il profilo statistico, che a partire dal 2013 il numero di suicidi all'interno degli istituti penitenziari ha avuto un sensibile decremento.
  Tra il 2009 e il 2012, infatti, il numero di casi è stato sempre annualmente superiore a 55, con un picco di 63 nel 2011, mentre pari a 45 e 46 sono stati gli eventi degli anni 2007 e 2008.
  Grazie al miglioramento della situazione nei nostri penitenziari, il numero si è ridotto in maniera significativa, registrandosi 42 casi di suicidio nel 2013, 43 nel 2014, 39 nel 2015, 39 nel 2016 e 10 sino al 28 febbraio 2017.
  Sul piano comparativo, poi, l'Italia, secondo le statistiche ufficiali del Consiglio d'Europa, registra uno dei tassi più bassi di casi di suicidio. Nell'ultima rilevazione del 2013, si registra un tasso di 6,5 su 10.000 in Italia, 12,4 in Francia, 7,4 in Germania, 8,9 nel Regno Unito.
  I dati restano, in ogni caso, allarmanti e impongono un eccezionale sforzo dell'amministrazione penitenziaria, cui è demandata l'attuazione dei modelli di trattamento necessari alla prevenzione di ogni pericolo.
  Alla luce delle analisi e delle riflessioni degli Stati generali dell'esecuzione della pena, il 3 maggio 2016 ho adottato una specifica
«Direttiva sulla prevenzione dei suicidi», indirizzata al capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, prescrivendo la predisposizione di un organico piano d'intervento per la prevenzione del rischio di suicidio delle persone detenute o internate, il puntuale monitoraggio delle iniziative assunte per darvi attuazione e la raccolta e la pubblicazione dei dati relativi al fenomeno.
  In attuazione della direttiva, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha predisposto un «Piano Nazionale per la prevenzione delle condotte suicidiarie in ambito penitenziario», cui hanno fatto seguito circolari attuative trasmesse ai provveditorati regionali.

  Le misure adottate dall'amministrazione penitenziaria attengono alla formazione specifica del personale, alla raccolta ed elaborazione dei dati ed all'aggiornamento progressivo dei piani di prevenzione.
  Sono state, inoltre, impartite istruzioni ai provveditorati regionali ed alle direzioni penitenziarie per la conclusione di intese con regioni e servizi sanitari locali, al fine di intensificare gli interventi di diagnosi e cura, nonché l'attuazione di misure di osservazione e rilevazione del rischio.
  L'amministrazione ha anche operato sul piano dell'organizzazione degli spazi e della vita penitenziaria, con incentivazione di forme di controllo dinamico volte a limitare alle ore notturne la permanenza nelle celle, in modo da rendere agevole l'osservazione della persona in ambiente comune e ridurre le condizioni di isolamento.
  Allo stesso scopo, sono state adottate misure volte a facilitare, anche attraverso l'accesso protetto ad internet, i contatti con i familiari.
  Il 3 marzo 2017, inoltre, si è svolta presso il Ministero della giustizia una riunione nel corso della quale ho incontrato, con il Capo di Gabinetto, tutti i referenti centrali e periferici dell'amministrazione penitenziaria, al fine di fare il punto sulle modalità di esecuzione, al livello locale prossimo agli istituti penitenziari, delle disposizioni contenute nella direttiva sulla prevenzione dei suicidi e sollecitarne, ove necessario, la completa e rapida attuazione.
  Sono state, inoltre, programmate attività di monitoraggio e verifica periodica degli interventi di prevenzione delineati, attività che saranno svolte istituto per istituto.
  Tale iniziativa ha dato l'avvio ad un tavolo in convocazione permanente, che esaminerà costantemente i dati relativi allo stato di attuazione della direttiva che ogni referente è tenuto a raccogliere ed a trasmettere attraverso apposito monitoraggio. Le successive riunioni del tavolo, a partire dalla prima, si svolgono con stringente cadenza periodica.
  L'azione sin qui intrapresa risulterà ulteriormente rafforzata dalle misure contenute nella riforma dell'ordinamento penitenziario, appena approvata dal Parlamento ed i cui decreti attuativi sono in corso di elaborazione, che consentirà di introdurre strumenti adeguati per garantire una funzione davvero recuperatoria e risocializzante, in chiave costituzionalmente orientata, all'esecuzione penale.

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   nel comune di Nola (Napoli), in località «Torretta – Tre Ponti», lungo la strada provinciale 92, è ubicata in posizione isolata la «Torre della duchessa» (N. C. E. U. foglio n. 1, particella n. 5): un edificio di notevole interesse architettonico, storico, etnoantropologico che caratterizza da secoli con la sua presenza la fisionomia del luogo;

   pervenuta in uno stato di eccezionale integrità, la torre circolare con base leggermente a scarpa è costituita da due ordini separati da cornicioni in piperno modanato con una copertura emisferica, mentre le due celle interne, inferiore e superiore, sono collegate da uno scalone ligneo elicoidale attraverso un'apertura nella volta intermedia;

   la fabbrica, già documentata nella Carta Topografica della Campagna Felice della Società di Storia Patria di Napoli redatta nel 1761, viene indicata nella cartografia di Giovanni Antonio Rizzi Zannoni del 1793 come «Torre del Fusaro»;

   alla fine del XVIII secolo risale, invece, la trasformazione dell'edificio in chiesa campestre: le celebrazioni liturgiche, infatti, venivano officiate al primo piano e i contadini che si raccoglievano all'esterno potevano seguire la messa attraverso l'ampia apertura ad arco posta al primo piano, protetta da una grata metallica ancora esistente;

   ristrutturata nel 1894 dal duca di Marigliano, Giulio XI Mastrilli, come attesta un'iscrizione marmorea sul vano di accesso, la torre presenta una cella inferiore utilizzata attualmente come deposito per attrezzi agricoli;

   la cella superiore conserva, al contrario, un pavimento settecentesco e un altare in stucco policromo addossato alla parete su cui è dipinta una scena sacra, non identificata ma riquadrata da cornici in stucco di gusto rococò –:

   quali iniziative urgenti di salvaguardia il Ministro intenda predisporre per evitare il danneggiamento, la distruzione o la perdita di un'importantissima testimonianza di civiltà;

   quali iniziative di tutela, diretta e indiretta, siano state adottate dalle Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio per il comune di Napoli e dell'area metropolitana di Napoli per garantire la salvaguardia architettonica e paesaggistica della «Torre della duchessa» nel comune di Nola (Na).
(4-14598)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, chiede quali iniziative il Ministero intende adottare per garantire la salvaguardia e la tutela dell'edificio denominato Torre della Duchessa situato in località Torrette Tre Ponti (comune di Nola), ritenuto dall'interrogante importantissima testimonianza di civiltà.
  Con riferimento alla questione oggetto dell'interrogazione, la soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio competente per territorio ha comunicato, con una nota dell'aprile 2017, di aver provveduto ad inviare di recente l'archeologo responsabile di zona ad effettuare un sopralluogo nell'area in questione, ed in particolare all'edificio su indicato.
  Da tale sopralluogo, si evince, secondo la sopraccitata nota della soprintendenza, che non sarebbero state rilevate situazioni di particolare degrado o di abbandono, né dell'area, né dell'edificio di cui trattasi, il quale complessivamente versa in decoroso stato di conservazione e manutenzione, anche dal punto di vista estetico.
  Si evidenzia, inoltre, che sono in corso accertamenti da parte della soprintendenza competente presso la diocesi di Nolo – ufficio beni culturali, per un riscontro sull'effettiva proprietà del monumento, in quanto esso veniva usato in passato prevalentemente come luogo di culto, e quindi presumibilmente facente parte del patrimonio della diocesi.
  Al riguardo si ritiene opportuno precisare che, qualora venga accertato che l'edificio risulti di proprietà della curia, ne risulterebbe la sottoposizione a tutela ai sensi dell'articolo 12 della n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni.
  Viceversa, se l'immobile risultasse di proprietà privata, la soprintendenza competente per territorio fornirà le proprie valutazioni circa l'opportunità di avviare un procedimento di «dichiarazione di interesse culturale» ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 42 del 2004.
  Si rammenta, comunque, che, essendo certamente l'edificio un bene architettonico con oltre 70 anni, in base agli articoli 20 comma 1, 21, 22, 101 comma 3 del codice dei beni culturali n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni, esso è sottoposto a tutela cautelare.
  I competenti uffici del Ministero, specificatamente interpellati sul punto, hanno comunque assicurato la massima attenzione alla questione evidenziata nell'interrogazione data la valenza storico-architettonica e culturale dell'edificio in questione.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   DIENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   l'interrogante, nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-13135 rivolta al Ministro interrogato, chiedeva conto dei criteri definiti dal comitato di valutazione dell'istituto comprensivo Francesco Jerace di Polistena (Reggio Calabria) per attribuire al diligente il bonus premiale, conformemente al comma 129 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107;

   nei suddetti criteri, infatti, si prevedeva la decurtazione del punteggio in relazione ad eventuali relazioni conflittuali con colleghi, dirigenti scolastici e altri soggetti del territorio, fatto che ha destato sorpresa anche da parte di svariati organi di stampa;

   l'inazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha prodotto tuttavia ulteriori effetti perversi che hanno colpito l'istituto comprensivo Francesco Jerace, mentre la scelta di tali strumenti di valutazione rappresentavano non solo un fatto isolato, ma la spia di condotte, a giudizio dell'interrogante scorrette di alcuni dipendenti, denunciate tanto dai genitori quanto dal personale docente;

   più specificamente nella scuola sarebbero stati rilevati da alcuni genitori, come da comunicazione indirizzata al direttore generale dell'ufficio scolastico provinciale di Reggio Calabria, poi inoltrata al direttore generale regionale, alcuni fatti non chiari, che sarebbero culminati nella modifica della votazione già registrata di una studentessa a vantaggio della stessa;

   a quanto emerge inoltre da una segnalazione pervenuta all'interrogante dalla professoressa Francesca Stilo, si rileva inoltre come siano avvenuti altri fatti, a partire dalla non chiara ripartizione delle ore di sostegno richieste per alunni: le ore concesse sono note solo al team della dirigenza, ma sembrerebbe che ore di sostegno assegnate ad un alunno con disabilità grave siano state invece dirottate su un alunno con disabilità meno grave, ma funzionale alla formazione delle ore di cattedra per alcuni docenti vicini alla dirigenza, che sono peraltro gli stessi che hanno anche coordinato la richiesta del monte ore di sostegno;

   è quindi singolare che gli stessi soggetti, nonostante questi fatti, risultino inseriti nella lista dell'assegnazione del bonus premiale ex articolo 1, comma 126, della legge 13 luglio n. 107, secondo criteri che non risultano mutati rispetto a quelli segnalati nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-13135 e che privilegiano esplicitamente il pieno accordo con il dirigente scolastico;

   i fatti sopra descritti, a parere dell'interrogante, sono prova di alcuni difetti insiti nella legge 13 luglio 2015, n. 107, altrimenti nota come Buona Scuola, principalmente per ciò che attiene l'eccessivo potere che viene posto in capo al dirigente scolastico e, a cascata, ai suoi più vicini collaboratori i quali, discrezionalmente, possono influire tanto sull'erogazione dei bonus premiali quanto su alcuni atti interni, rendendo più facile la realizzazione di quelli che appaiono all'interrogante provvedimenti di dubbia legittimità –:

   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per sanare le problematiche descritte in premessa concernenti l'istituto comprensivo Francesco Jerace di Polistena (Reggio Calabria);

   se non intenda assumere iniziative con urgenza per modificare la legge 13 luglio 2015, n. 107 per limitare i poteri del dirigente scolastico e in particolare evitare un trattamento privilegiato per il personale docente più vicino ai dirigenti scolastici.
(4-15608)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, vertente su talune questioni inerenti alla gestione dell'istituto comprensivo «Francesco Jerace» di Polistena (Reggio Calabria), si riferiscono gli elementi informativi acquisiti per il tramite del competente ufficio scolastico regionale per la Calabria.
  Per quanto riguarda il
bonus premiale introdotto dall'articolo 1, commi 126 e seguenti, della legge n. 107 del 2015, si ricorda che l'individuazione dei criteri per l'attribuzione di detto bonus è demandata al comma 127 della legge al comitato per la valutazione dei docenti di ciascuna istituzione scolastica, che li definisce nell'ambito dei principi generali indicati al successivo comma 129.
  In base alle norme citate il comitato per la valutazione dei docenti della scuola in discorso ha proceduto all'individuazione dei criteri prodromici alla successiva attività di assegnazione del
bonus da parte del dirigente scolastico per l'anno scolastico 2015/2016, stilando una dettagliata tabella dei punteggi attribuibili con decine di indicatori per i quali è stato previsto un punteggio. Alcuni di questi criteri hanno previsto la decurtazione del punteggio in presenza di specifiche situazioni, quali le assenze dal servizio e la mancata accettazione di incarichi aggiuntivi, nonché le eventuali relazioni conflittuali con colleghi, dirigenti scolastici ed altri soggetti del territorio.
  In relazione all'episodio della modifica della valutazione di una studentessa, è stato precisato che la vicenda è stata oggetto di una precedente visita ispettiva disposta dall'ufficio scolastico regionale per la Calabria in data 6 luglio 2016, sulla scorta di una segnalazione pervenuta attraverso un esposto a firma di quattro genitori degli alunni frequentanti la classe III C sulla sospensione degli esami orali conclusivi del primo ciclo a causa della convocazione di un consiglio di classe straordinario.
  Tale sospensione è stata decisa dal presidente della commissione d'esame al fine di procedere alla verifica dei voti di ammissione degli alunni agli esami. Il consiglio di classe, all'uopo convocato, ha effettivamente appurato l'esistenza di un errore di trascrizione nel registro elettronico di un voto attribuito ad un'alunna nell'anno scolastico 2013/2014. Preso atto di tale situazione e tenuto, altresì, in debito conto che la media dei voti del triennio concorre a determinare il voto di ammissione all'esame conclusivo del I ciclo, la dirigente scolastica ha proceduto alla rettifica del voto medesimo con conseguente modifica della media finale del primo anno.
  A giudizio dell'ispettore, fatto proprio dall'ufficio scolastico regionale, la rettifica del voto è da ritenersi legittima poiché adottata per il perseguimento di uno specifico interesse pubblico volto a ripristinare le condizioni di parità nei confronti di tutti gli alunni.

  Per quanto concerne, infine, le ore di sostegno, il citato ufficio scolastico regionale ha verificato l'operato della scuola prendendo in esame tutti gli elementi (monte ore complessivo, numero di docenti specializzati in servizio, criteri stabiliti nel gruppo di lavoro handicap, criteri di assegnazione delle ore di sostegno per ogni alunno con disabilità, eccetera).
  Dall'analisi dei suddetti indicatori non sono emerse condotte censurabili da parte della scuola, sia sotto l'aspetto formale che sostanziale. Non risulta, infatti, alcun dirottamento di ore di sostegno assegnate ad un alunno con disabilità grave a favore di un portatore di una forma meno grave di disabilità. A tutti gli alunni portatori di disabilità grave ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992, in ciascun plesso ricompreso nell'ambito dell'Istituto «F. Jerace», è stato garantito un numero di ore con rapporto 1/1 nel rispetto dei criteri stabiliti dal gruppo di lavoro handicap.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Valeria Fedeli.


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il porto di Gioia Tauro (RC) ha assunto un ruolo importantissimo dal punto di vista economico e sociale nell'area dato che esso rappresenta oltre il 50 per cento del Pil della regione Calabria, con l'impiego di migliaia di unità lavorative;

   tale rilevanza, sia per l'economia sia per l'occupazione della zona, rischia tuttavia di essere minacciata dai recenti sviluppi;

   nel 2017 il Porto, Hub del Mediterraneo, porta Sud per l'Europa sulla rotta del Canale di Suez, conta 1640 lavoratori, più 600 unità per l'indotto;

   a quanto emerge da notizie di stampa se non si trova un accordo entro il 15 luglio 2017, l'azienda terminalista Medcenter Container Terminal (Mct), azienda italo-tedesca che controlla il terminal container di Gioia Tauro, invierà le lettere di licenziamento per circa 400 dipendenti in esubero ancora non allocati nella costituenda agenzia portuale;

   il 13 giugno 2017 si sarebbe tenuto l'ennesimo incontro conclusosi senza esito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti tra le organizzazioni sindacali, l'Autorità portuale di Gioia Tauro e la società Mct;

   il 1o aprile 2017 è partita la procedura di mobilità per i lavoratori e i primi 45 giorni dovevano servire proprio ad individuare una strategia comune, ma così non è stato;

   quello che i lavoratori chiedono al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti è un piano di investimenti a lungo termine che valorizzi il ruolo del porto come centro di transhipment (trasbordo);

   quello di Gioia Tauro rappresenta un porto che, per molti anni, ha rappresentato e potrebbe continuare a rappresentare a maggior ragione oggi, nell'evoluzione attuale del traffico di merci via mare, un hub strategico, situato al centro del Mediterraneo, non certo un problema da gestire attraverso l'Agenzia per il lavoro a cui vengono destinati 45 milioni di euro;

   secondo l'interrogante il Governo sembrerebbe dimostrare un atteggiamento rinunciatario e volto a dirottare il traffico di Gioia Tauro su altri porti del nord; ciò sarebbe dimostrato dal fatto che qualche settimana fa lo stesso premier Paolo Gentiloni ha indicato ai grandi imprenditori indocinesi i porti di Trieste e Genova come unici terminali verso cui indirizzare le merci in entrata nel Mediterraneo provenienti dal Sud-Est asiatico;

   l'assenza di progettualità oltre al silenzio e all'inazione della regione Calabria sembrano condannare il porto di Gioia Tauro ad una fine annunciata, cancellando un'ulteriore fonte di sostentamento e di sviluppo per uno tra i territori più poveri d'Italia –:

   quali iniziative urgenti di propria competenza il Governo intenda adottare per conservare gli attuali livelli occupazionali, frenare il declino del porto di Gioia Tauro e promuoverne lo sviluppo, anche al fine di tutelare la crescita economica dei territori limitrofi;

   se il Presidente del Consiglio dei ministri intenda confermare di aver invitato imprenditori stranieri ad indirizzare le merci in entrata nel Mediterraneo esclusivamente ai porti di Trieste e Genova.
(4-16997)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base delle informazione pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali ed il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne di questo Ministero si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come dichiarato anche pubblicamente dal Ministro Delrio e rilanciato sul sito ministeriale, in data 15 giugno 2017, è stata siglata l'intesa quadro per il rilancio del porto di Gioia Tauro, per la sua crescita e l'occupazione.
  Oltre alle tradizionali attività di
transhipment, infatti, vanno sviluppati settori nuovi e a tale obiettivo si sta lavorando attraverso la realizzazione del gateway ferroviario, l'istituzione della zona economica speciale (ZES) e il progetto del bacino di carenaggio. Si sono conclusi interventi di dragaggio attesi da anni e che fanno oggi di Gioia Tauro l'unico scalo del Mediterraneo in grado di ospitare fino a quattro navi madri.
  Si sta lavorando per accelerare le operazioni di controllo sulla merce, grazie alla
partnership con l'agenzia delle dogane che ha previsto l'istituzione di una vera e propria task force dedicata, e si stanno sostenendo iniziative di diversificazione dei traffici. Sono complessivamente in corso investimenti per 150 milioni di euro, così come previsto nell'accordo di programma quadro firmato a Palazzo Chigi un anno fa.
  L'agenzia per la somministrazione, la riqualificazione e la ricollocazione del personale posto in esubero da MCT, in prospettiva e come già previsto per legge si trasformerà poi in soggetto articolo 17 della legge n. 84 del 1994 e successive modificazioni e integrazioni come operante in tutti gli altri porti di Italia.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   FANTINATI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   Mario Vece, l'agente di polizia rimasto gravemente ferito dall'ordigno esploso a Capodanno di fronte alla libreria «Il Bargello» di Firenze, dovrà pagarsi la protesi alla mano sinistra, amputata dalla deflagrazione;

   nel contratto dell'artificiere salernitano che, nello scoppio, ha perso anche l'uso di un occhio «non è prevista una polizza assicurativa per danni riportati in servizio. In molte regioni, quando ci si fa male in servizio bisogna pagarsi il ticket al pronto soccorso, come le partite Iva» ha denunciato il segretario provinciale del Siulp di Firenze, Antonio Lanzilli, all'indomani del tragico evento;

   Mario Vece, che ha subito il terzo intervento chirurgico all'occhio destro, gravemente compromesso, ha una moglie e due figlie e si tratta di una famiglia monoreddito;

   il sindacato italiano dei lavoratori della polizia di Stato ha annunciato l'apertura di un conto corrente per raccogliere denaro in favore dell'artificiere per aiutarlo, ha spiegato Lanzilli «ad affrontare spese di decine di migliaia di euro, perché ci sarà da mettere una protesi per la mano sinistra che non c'è più e da fare la riabilitazione, senza contare le spese che dovranno sostenere i familiari che da Salerno si sono trasferiti qui per stargli vicino» –:

   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Governo non ritenga necessario, e ormai non più rinviabile, assumere iniziative, per quanto di competenza, che consentano l'introduzione nel contratto di lavoro delle forze di polizia di una polizza assicurativa, così da supportare gli agenti feriti o menomati in servizio.
(4-15135)

  Risposta. — Come riferito nell'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, durante la notte del 1° gennaio 2017 alcuni operatori della questura di Firenze, nell'ambito dei servizi di prevenzione generale, hanno notato un involucro sospetto incastrato nella serranda della sede dell'associazione «Il Bargello», in via Leonardo da Vinci.
  Constatato che si trattava di un ordigno rudimentale, è immediatamente intervenuto il nucleo artificieri della Polizia di Stato per la messa in sicurezza del manufatto; purtroppo, nel corso delle operazioni di disinnesco, il sovrintendente Mario Vece è stato investito da un'improvvisa esplosione riportando gravi ferite alla mano sinistra e al volto, a causa della quali, come ricordato nell'interrogazione, ha poi subito l'amputazione della mano.
  Alla luce di quanto accaduto, l'interrogante lamenta l'assenza per il personale della Polizia di Stato di una polizza assicurativa che copra le spese di cura conseguenti ad eventuali infortuni sul lavoro. Al riguardo, occorre precisare che l'Amministrazione dell'interno – per il tramite del dipartimento della pubblica sicurezza – già applica apposite disposizioni normative a tutela di tutti coloro che vengono a trovarsi in situazioni analoghe a quelle sopra descritte.
  L'articolo 1, comma 555, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) già prevede, infatti, il rimborso delle spese di cura – comprese quelle per ricoveri in istituti sanitari e per protesi – per gli operatori delle Forze di polizia rimasti menomati nella propria integrità fisica a causa di lesioni riportate sul lavoro e riconosciute dipendenti da causa di servizio.
  Inoltre, il decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 29 ottobre 2001 prevede l'avvio, anche d'ufficio, della procedura per il riconoscimento della causa di servizio (articolo 3), del riconoscimento di un equo indennizzo (articolo 2) e di un trattamento pensionistico di privilegio (articolo 17).
  Sulla base di queste disposizioni normative, anche in relazione alla vicenda evidenziata nell'interrogazione sono state intraprese le apposite procedure per il riconoscimento della dipendenza delle lesioni traumatiche da causa violenta, secondo quanto disposto dall'articolo 1880 del codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010). Si informa, al riguardo, che il 25 maggio di quest'anno, la competente commissione medico ospedaliera (C.M.O.) di La Spezia, in sede di giudizio di idoneità al servizio di pubblica sicurezza, ha ritenuto ascrivibili le lesioni traumatiche da causa violenta subite dal sovrintendente capo Mario Vece ai fini dell'equo indennizzo alla 5ª categoria; indennizzo che è stato successivamente liquidato il 31 luglio 2017, con apposito decreto ministeriale.
  Si fa, inoltre, presente che dopo il parere espresso nella seduta dello scorso 11 luglio dalla commissione consultiva di cui all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 738 del 1981, il sovrintendente capo Mario Vece ha ripreso servizio per essere impiegato in «servizi interni e non operativi esterni con le prescrizioni previste dal processo verbale della C.M.O».
  Occorre poi aggiungere che, in favore del predetto dipendente, è prevista anche la liquidazione di una indennità speciale «
una tantum» ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 738 del 1981; ciò avverrà non appena acquisito il formale provvedimento di parziale utilizzo alle mansioni individuate dalla citata commissione consultiva.
  A completamento di quanto riferito, si rappresenta, inoltre, che l'amministrazione della pubblica sicurezza ha deciso, con apposito decreto datato 26 maggio 2017, di accogliere l'istanza prodotta dal sovrintendente capo Mario Vece per l'applicazione di protesi transradiale mioelettrica bionica, come da preventivo pervenuto dal centro INAIL di Vigorso di Budrio, in provincia di Bologna.
  Va, infine, segnalato che al dipendente in questione è stata conferita la medaglia d'oro al valore civile e la promozione per merito straordinario a sovrintendente capo.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   FEDRIGA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, in attuazione della legge delega articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67, è stato introdotto nel nostro ordinamento penale un nuovo istituto giuridico: la non punibilità per particolare tenuità dell'offesa. La disciplina si applica a tutti quei reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria o la pena detentiva non superiore a cinque anni, sia nelle ipotesi che le due tipologie di pena siano congiunte sia che siano previste in modo distinto. La norma indica, quali criteri di valutazione, la modalità della condotta, l'esiguità del danno o del pericolo e la mancanza di abitualità nel comportamento dell'offensore;

   purtroppo, come l'istante ha sempre sostenuto si tratta di una sostanziale depenalizzazione dei reati che provoca una sfiducia diffusa nell'opinione pubblica in tema di sicurezza e di certezza della pena;

   recente è il caso in cui la Corte di cassazione ha statuito la non punibilità per tenuità del fatto per un clochard che ha trovato riparo in una abitazione altrui. Nello specifico il comunicato dell'Ansa del 7 settembre 2017 riporta che «Non merita di essere condannato chi, in condizioni di emarginazione e miseria, vive per la strada, "senzatetto", se per ripararsi dal freddo si introduce nelle abitazioni altrui, o nelle pertinenze di appartamenti e villette, per non passare la notte all'addiaccio»;

   con tale orientamento, inaccettabile a giudizio dell'interrogante, la Corte di Cassazione ha annullato la condanna a tre mesi e dieci giorni di reclusione inflitta a un «soggetto senza fissa dimora» – uno straniero proveniente dall'est Europa, Ion T. di 36 anni – dalla corte di appello di Brescia nel giugno 2015, dopo che l'uomo era finito sotto processo, e neanche per la prima volta, per essersi introdotto nell'abitazione di Luca G., a Desenzano del Garda (Brescia), la sera del 24 novembre 2014 per ripararsi «dai rigori dell'inverno»;

   è stata dunque accolta, contro ogni ragionevolezza a parere dell'interrogante, la tesi difensiva dell’homeless, basata sulla richiesta «che fossero tenute in considerazione “le particolari condizioni di emarginazione in cui era maturato il reato” e “l'esigenza di Ion T., soggetto senza fissa dimora, di reperimento di un alloggio notturno”. Ad avviso degli “ermellini”, “le particolari condizioni dell'imputato, quali le particolari circostanze di miseria e di emarginazione, e la considerazione dei motivi a delinquere attinenti al reperimento di un alloggio notturno, escludenti una spiccata capacità a delinquere ed una maggiore gravità soggettiva, giustificano ampiamente, ad avviso del collegio, la valutazione di particolare tenuità del fatto”, con “conseguente annullamento senza rinvio, della sentenza impugnata”»;

   l'agenzia stampa sopra richiamata rileva che vi è stata reiterazione da parte del signor Ion T., del reato di violazione di domicilio e che pertanto parrebbe che l'istituto in parola non possa applicarsi al caso di specie –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e, fermo restando il rispetto delle attribuzioni costituzionali della magistratura, quali iniziative di competenza intenda adottare, alla luce degli eventi sopra richiamati, affinché sia garantito il diritto costituzionalmente sancito dell'inviolabilità del domicilio e della tutela e della sicurezza delle abitazioni private.
(4-17698)

  Risposta. — L'atto di sindacato ispettivo in esame affronta il tema della tutela del diritto all'inviolabilità del domicilio e della sicurezza delle abitazioni private prendendo spunto da una recente sentenza con cui la suprema Corte ha applicato l'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto nei confronti di un senzatetto, condannato per il reato di violazione di domicilio.
  Va, in primo luogo, ribadito come, nel rispetto delle prerogative costituzionali, l'orientamento della Corte di cassazione espresso nel caso di specie non possa essere sottoposto a valutazioni in questa sede: l'applicazione dell'istituto del proscioglimento per particolare tenuità costituisce, difatti, manifestazione del libero convincimento del giudice, non suscettibile di censura da parte del Governo al di fuori delle ipotesi di manifesta abnormità della decisione, non rilevabili nel caso di specie.
  Considerato che nel nostro sistema il giudice penale è chiamato anche all'esame delle condizioni soggettive dell'autore del reato, nel caso di specie proprio la valutazione della particolare situazione dell'imputato avevano portato, già nel giudizio di merito, al ridimensionamento dell'accusa.
  Proprio l'ancoraggio della decisione in questione alle particolarità del caso concreto esclude, in linea generale e astratta, che l'istituto del proscioglimento per particolare tenuità del fatto possa rappresentare una forma di depenalizzazione di reati avvertiti come allarmanti.
  Le iniziative legislative del Governo dimostrano, peraltro, la particolare attenzione riservata al tema della sicurezza ed al contrasto dei reati predatori, specie ove commessi in luoghi di privata dimora.
  L'obiettivo prioritario di contrastare il dilagare di gravi episodi delittuosi di criminalità comune, di alleviare il diffuso senso di insicurezza e di impunità per coloro che commettono reati di grave allarme sociale ha ispirato la legge n. 103 del 2017, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario», con la quale, a seguito della presentazione di emendamenti governativi, sono stati introdotti severi inasprimenti del trattamento sanzionatorio per taluni reati, in relazione ai quali è stato ridotto l'ambito di applicazione della sospensione condizionale della pena, in modo da attuare in concreto il principio di effettività della pena.
  Tra i predetti reati spicca il furto in abitazione e la rapina, per i quali è stata aumentata la pena in maniera significativa ed è stata limitata la possibilità di bilanciare con eventuali attenuanti gli aumenti di pena dovuti alla ricorrenza di aggravanti specifiche.
  Proprio il tema della sicurezza e della tutela della sfera privata rappresenta, allora, un cardine della riforma, ferma restando l'autonomia del giudice nella valutazione dei singoli casi concreti sulla base dei criteri oggettivi e soggettivi delineati dal legislatore.
  

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   FRACCARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nel periodo compreso fra il maggio del 2010 e l'aprile 2012 il dipartimento di bioscienze dell'università degli studi di Parma ha prodotto lo studio intitolato «Indagini ecologiche sul lago d'Idro». La ricerca è stata sviluppata su commissione dell'amministrazione regionale lombarda nel quadro del progetto europeo Silmas «Strumenti sostenibili per la gestione dei laghi nello spazio alpino» sotto la responsabilità del professor Pierluigi Viaroli e pubblicata il 17 maggio 2013;

   lo studio affronta nel dettaglio le criticità in ordine alla gestione delle acque del lago e all'incidenza della stessa sui processi ecologici e sulla qualità delle acque e, di riflesso, sugli usi della risorsa idrica e dell'ecosistema lacustre. Lo studio rileva che, anche in relazione agli scenari del cambiamento climatico per il sistema alpino in cui è inserito il lago la gestione del lago d'Idro, si deve affrontare una serie di problemi, dei quali i più rilevanti sono al momento di difficile soluzione. Infine, di fronte a un sistema decisionale articolato e complesso che richiede un quadro costantemente aggiornato di conoscenze sull'evoluzione dell'ecosistema lacustre e del suo bacino imbrifero a supporto della gestione e delle politiche di governo del territorio, conclude che si debba stabilire un piano di indagini di lungo termine e l'attivazione di un osservatorio scientifico permanente a servizio del sistema decisionale;

   la Rete italiana per la ricerca ecologica di lungo termine (Lter-Italia) è una rete di siti terrestri, d'acqua dolce, di acque di transizione e marine, sui quali si conducono ricerche ecologiche su scala pluridecennale. Alla rete appartengono 25 siti (al 2015), distribuiti su tutto il territorio nazionale, gestiti dai principali enti di ricerca, università e istituzioni che si occupano di ricerca e monitoraggio ecologici in Italia. Per affinità geografica, oltre alle organizzazioni di carattere nazionale e internazionale, si segnalano Arpa Lombardia, provincia autonoma di Trento e fondazione Edmund Mach;

   l'assessore all'ambiente, energia e sviluppo sostenibile della regione Lombardia, Claudia Maria Terzi, nella risposta all'interrogazione ITR 2962 presentata il 21 marzo 2017 sottolinea come già alcuni grandi laghi lombardi come il lago di Garda, il lago Maggiore, il lago di Como e il lago d'Iseo fanno parte della rete Lter, che l'aggiunta di ulteriori siti dovrebbe essere proposta da un ente di ricerca e che la regione potrebbe, nel caso, promuovere l'iniziativa;

   l'assessore sottolinea altresì che su impulso degli enti locali è possibile valutare l'istituzione di un osservatorio del lago, sulla scorta di quanto fatto ad esempio sul lago di Varese;

   infine, a margine di quanto sopra, l'assessore ricorda che nella seduta del 29 maggio 2017 la giunta regionale lombarda ha approvato la delibera di affidamento ad Aipo delle funzioni di regolatore della gestione del lago d'Idro e del bacino del fiume Chiese e che, venendo incontro alla richiesta della provincia autonoma di Trento, con successiva deliberazione verrà altresì costituito un Comitato di indirizzo paritetico, che supporterà il regolatore nell'esercizio delle sue funzioni –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per favorire l'inserimento del lago d'Idro nella rete dei siti Lter e per recepire le raccomandazioni dello studio Silmas in ordine alla costituzione di un osservatorio scientifico permanente;

   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza per favorire la presenza, negli enti e negli organismi che svolgono funzioni di indirizzo e coordinamento in tema di risorse idriche e monitoraggio ecologico, di rappresentanti delle associazioni riconosciute a livello locale per l'attività svolta nell'ambito della tutela dell'ambiente.
(4-17110)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la Rete italiana per la ricerca ecologica di lungo termine (Lter-Italia) è una rete di siti terrestri ed acquatici distribuiti su tutto il territorio nazionale, sui quali si conducono ricerche ecologiche su scala pluridecennale.
  Detti siti sono gestiti dai principali enti di ricerca, università e istituzioni che si occupano di ricerca e monitoraggio ecologici in Italia, tra i quali l'Ismar-Cnr.
  Lo statuto Lter disciplina le modalità di adesione alla rete di nuovi siti attribuendo la formulazione dell'istanza agli Enti territorialmente competenti.
  Per quanto riguarda il lago d'Idro, lo stesso è stato oggetto di attenzione da parte della regione Lombardia anche negli anni successivi allo studio effettuato all'interno del progetto europeo Silmas. L'attività di studio e approfondimento delle conoscenze sul lago è infatti proseguita, attraverso la sottoscrizione di un apposito accordo di collaborazione con l'università di Parma. Oggetto dell'accordo è stato il monitoraggio delle acque del lago e dei tributari negli anni 2013 e 2014.
  Secondo quanto riferito dalla regione, l'approfondimento di alcuni aspetti legati alle pressioni maggiormente gravanti sul lago hanno confermato la situazione critica già evidenziata nello studio precedente. Viene fatto, altresì, presente che con particolare riferimento alle verifiche sulle attività di acquacoltura, sono stati valutati i dati di monitoraggio allo scarico delle due attività presenti sul territorio regionale, dai quali non sono mai emersi superamenti dei limiti di concentrazione allo scarico imposti dalle autorizzazioni provinciali. Tuttavia, benché le concentrazioni di azoto e fosforo negli scarichi rispettino i limiti tabellari, gli elevati volumi scaricati determinano comunque carichi significativi di nutrienti sversati nei tributari o nel lago.
  Attualmente gli uffici della giunta regionale stanno valutando l'opportunità di prevedere disposizioni specifiche per gli impianti di acquacoltura, finalizzate anche all'adozione di buone pratiche, atte a limitare lo sversamento di elevati quantitativi di nutrienti nei recettori.
  Oltre che dalle azioni sugli impianti di acquacoltura, la riduzione dell'immissione di nutrienti passa anche dal controllo delle fonti diffuse (soprattutto agricole) e di quelle puntuali, per lo più di origine civile.
  A tale proposito si evidenzia che il bacino drenante al lago d'Idro risulta complessivamente di 617 chilometri quadrati; circa il 66 per cento del territorio è in provincia di Trento e il restante 34 per cento in territorio lombardo.
  Relativamente ai reflui zootecnici, dai bilanci effettuati dallo studio sopra citato, emerge come circa 56 tonnellate di fosforo all'anno e 311 tonnellate di azoto all'anno sono in eccesso rispetto al fabbisogno delle colture e formano un
pool latente nel suolo. Il destino di tale surplus non è facilmente stimabile e non si può escludere che parte di esso possa confluire nel reticolo idrografico come carico diffuso, che risulta inoltre di difficile quantificazione. Questo rischio aumenta significativamente quando i reflui sono conservati in modo inappropriato nelle vicinanze dei corpi idrici e senza un'adeguata impermeabilizzazione dei suoli e/o con misure di contenimento. In questi casi il dilavamento dovuto alle acque meteoriche favorisce un rapido trasferimento di elevate quantità di nutrienti nelle acque superficiali.
  Relativamente ai reflui di origine civile le stime effettuate indicano un carico totale di circa 12 tonnellate di fosforo all'anno e circa 82 tonnellate di azoto all'anno. Di queste, buona parte vengono trattate all'interno degli impianti di depurazione presenti nel bacino del lago.
  In merito alla metodologia utilizzata per gli studi sul lago, si precisa che lo studio realizzato all'interno del progetto Silmas proponeva l'utilizzo di modelli quantitativi (
ecological network analysis) per valutare il ciclo dei nutrienti (azoto e fosforo) all'interno del lago, e l'utilizzo di modelli qualitativi per identificare le principali componenti dell'ecosistema lacustre in relazione alle variazioni dei livelli idrometrici, in modo da mettere a sistema le conoscenze e i dati esistenti sul lago.
  Sempre la Regione ritiene poco perseguibile, a causa della mole di dati necessari e della bassa affidabilità dei risultati, utilizzare modelli quantitativi per prevedere le eventuali risposte dell'ecosistema a variazioni di livello delle acque del lago. Le variabili da quantificare avrebbero infatti un'elevata aleatorietà, dato l'ampio intervallo di confidenza applicabile nella loro stima.
  Come evidenziato nell'interrogazione, relativamente alle indagini a lungo termine sullo stato del lago d'Idro, lo stesso (come peraltro gli altri principali laghi lombardi inseriti nel piano di gestione del Po e nel piano di tutela delle acque regionali) è inserito nella rete di monitoraggio lombarda gestita da ARPA Lombardia ed è pertanto già oggetto di monitoraggio dei principali elementi di qualità, così come definiti dalla normativa nazionale.
  In merito alla proposta di costituzione di un osservatorio scientifico permanente, quella contenuta nella conclusione dello studio prendeva come esempio la Rete italiana per la ricerca-eologica di lungo termine (Lter-Italia) che è una rete di siti terrestri, d'acqua dolce, di acque di transizione e marine, sui quali si conducono ricerche ecologiche su scala pluridecennale, distribuiti su tutto il territorio nazionale, gestiti dai principali enti di ricerca, università e istituzioni che si occupano di ricerca e monitoraggio ecologico in Italia. Di questa rete fanno parte già alcuni grandi laghi lombardi come il lago di Garda, il lago Maggiore, il lago di Como e il lago d'Iseo. L'aggiunta di ulteriori siti dovrebbe essere proposta da un ente di ricerca; la regione Lombardia potrebbe, nel caso, promuovere l'iniziativa.
  Su impulso degli enti locali è possibile inoltre valutare l'istituzione di un osservatorio del lago, sulla scorta di quanto fatto ad esempio sul lago di Varese.
  A tale scopo, nella seduta del 29 maggio 2017 la giunta regionale ha approvato la delibera di affidamento ad Aipo delle funzioni di regolatore della gestione del lago d'Idro e del bacino del fiume Chiese. Si segnala peraltro che è in corso un'interlocuzione con la provincia autonoma di Trento, finalizzata alla definizione della composizione del comitato di indirizzo paritetico, che supporterà Aipo come regolatore del lago d'Idro, e di criteri generali cui dovrà ispirarsi l'attività del regolatore stesso. A tale riguardo, regione Lombardia segnala che è in corso l'interlocuzione con la provincia autonoma di Trento, finalizzata alla definizione della composizione del comitato di indirizzo paritetico, che supporterà Aipo come regolatore del lago d'Idro, nonché dei criteri generali cui dovrà ispirarsi l'attività del regolatore stesso.
  In ogni caso, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Per quanto di competenza il Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la frazione di Camucia nel comune di Cortona, ben nota per la vastità dell'area archeologica ancora da portare alla luce, negli anni passati è stata oggetto di danneggiamenti collegati a cantieri edili, come sottolineato anche nella interrogazione n. 4-11330 già presentata dalla sottoscritta in data 1o dicembre 2015;

   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sovrintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per la provincia di Siena, Grosseto e Arezzo, tra il mese di luglio 2014 e quello 2016, a seguito di richiesta di parere inoltrata da imprese private per procedere a scavi finalizzati alla realizzazione di edifici commerciali, ha informato l'amministrazione comunale che l'area in questione, sia quella prospiciente a via Capitini, di proprietà dell'impresa Ma.Ti srl, sia in viale Gramsci/Camucia, sono state dichiarate di interesse culturale/archeologico, rispettivamente con i decreti n. 144 del 2016 e n. 204 del 2016, ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lettera a), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;

   l'amministrazione comunale, negando gli interventi alle imprese Ma.Ti srl e Soc. Eurospin spa, ha palesato la volontà di far prevalere la salvaguardia dell'interesse archeologico e culturale della zona rispetto all'interesse privato, ed anche all'interesse pubblico relativo all'attuazione della variante di sistemazione di un'area comunale in evidente stato di degrado;

   nella sopracitata nota della soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per la provincia di Siena Grosseto e Arezzo, si sottolinea altresì la presenza, nell'area in questione, di un'ampia area archeologica costituita da una serie di edifici a carattere culturale meritevoli per la loro importanza, di essere apprezzati quale complesso unitario e costituenti forse l'unica porzione ormai conservata di un sito archeologico più esteso. Nella stessa nota si annunciava come fosse ormai giunto alla fase cruciale la realizzazione del parco archeologico del Sodo, che aveva già comportato un impegno economico importante sia da parte dell'amministrazione comunale che dello stesso Ministero;

   il sindaco del comune di Cortona, in risposta ad un'interrogazione del consigliere comunale del M5S in data 19 aprile 2017, ha dichiarato che ogni decisione riguardo alle aree in discussione sarà presa unitamente alla soprintendenza e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo –:

   quali siano i propositi del Ministro interrogato in merito all'eventuale programmazione e progettazione di un parco archeologico nell'area in questione, e con quali risorse intenda contribuire alla realizzazione di tale opera.
(4-16411)

   Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento all'area archeologica della frazione di Camucia nel comune di Cortona, chiede quali siano i propositi del Ministero in merito all'eventuale programmazione e progettazione di un parco archeologico nell'area in questione e con quali risorse intenderebbe realizzarlo.
   A tal proposito si comunica quanto segue, anche in base a quanto indicato dagli uffici periferici competenti in materia.
   Con l'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 44 del 23 gennaio 2016, l'area archeologica del Sodo è stata assegnata alla soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Siena Arezzo e Grosseto di nuova costituzione, con relativo passaggio di consegne dalla ex soprintendenza archeologica della Toscana.
   Dati gli impegni presi da quest'ultima e il processo avviato da tempo, la SABAP SI AR GR, pur ribadendo che le funzioni di tutela del patrimonio culturale sono esercitate dal Ministero secondo quanto previsto dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 42 del 2004, ha ritenuto necessario portare avanti un accordo con il comune di Cortona e l'Accademia etrusca per la valorizzazione e la gestione del costituendo parco archeologico, e per questo ha elaborato una bozza di accordo (dell'aprile 2017) che definisce le linee strategiche per:

   a) il miglioramento della conservazione dei beni archeologici oggetto dell'accordo e delle aree connesse;

   b) la realizzazione di un modello di valorizzazione improntato alla massima integrazione tra l'area del Sodo, le altre emergenze archeologiche sul territorio, il MAEC e la città di Cortona e basata sulla programmazione coordinata dello sviluppo e dell'assetto dei territorio, compatibili con i valori culturali dello stesso;

   c) la creazione di un percorso unitario di valorizzazione delle aree summenzionate;

   d) la valorizzazione dei principi di trasparenza informativa.

  Già nel 1991 fu avviato dalla ex soprintendenza archeologica per la Toscana il progetto per un «Protocollo di intesa per la valorizzazione dei beni archeologici cortonesi», frutto di una intensa attività svolta con la collaborazione fattiva del comune di Cortona, grazie alla quale, negli anni 1986-1987, fu effettuata una campagna di ricognizione topografica, tesa ad accertare la consistenza del patrimonio archeologico cortonese, motivata anche da importanti rinvenimenti archeologici. In particolare, di rilievo sono quelli avvenuti nella frazione Camucia lungo l'antica via Cassia, ricalcata dall'attuale viale Gramsci.
  L'intesa, oltre alle operazioni di ricerca scientifica, di tutela e di conservazione, prevedeva attività mirate a migliorare la fruizione delle emergenze archeologiche. Considerata la presenza nel territorio, nel raggio di pochi chilometri, di «una esemplare sequenza cronologica e tipologica dell'architettura funeraria etrusca dal tardo orientalizzante all'età ellenistica», fu posto allora, tra le altre cose, l'obiettivo di costituire «un parco archeologico» che collegasse i tumuli, le «sepolture monumentali alle imponenti testimonianze della città, al Museo dell'Accademia etrusca» (anni 1991-1992).
  Da allora è stato avviato un percorso, articolato attraverso ricerche scientifiche, attività di musealizzazione e di valorizzazione, che ha visto la sua prima concreta formalizzazione con l'accordo di programma quadro per i beni e le attività culturali tra Ministero per i beni e le attività culturali e regione Toscana firmato il 16 dicembre 1999): intervento «AR03/B — Tumulo II del Sodo. Sistema integrato di archeologia di Cortona» e il conseguente inizio dei lavori presso l'area archeologica del Sodo.
  Successivamente, nel 2010, il comune di Cortona formulò la richiesta ufficiale del passaggio di gestione dei beni di proprietà statale al comune di Cortona (ex direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici nel febbraio 2010).
  Il 17 novembre 2011 venne sottoscritto l'accordo di programma «Valorizzazione del patrimonio archeologico di Cortona attraverso la funzionalizzazione dell'area archeologica del Sodo» (a cui si aggiunse un atto integrativo ai lavori, sottoscritto l'11 novembre 2011, e approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 214 del 1° dicembre 2011) ai sensi della legge n. 241 del 1990 del decreto legislativo n. 42 del 2004, dell'articolo 34, comma 4, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), dell'articolo 10 della legge regionale n. 76 del 1996 (disciplina degli accordi di programma), della legge regionale n. 21 del 2010 (testo unico in materia di beni, istituti e attività culturali), del protocollo di intesa tra il Ministero, la regione Toscana e la consulta delle fondazioni di origine bancaria della Toscana sottoscritto il 20 gennaio 2010 e approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 16 del 2011 (individuazione delle linee strategiche per la valorizzazione del patrimonio culturale e definizione di sei ambiti di intervento prioritari tra cui l'area archeologica del Sodo disciplinati da un accordo di programma).
  L'accordo di programma prevedeva la funzionalizzazione dell'area archeologica a cura del comune di Cortona in stretta collaborazione con la soprintendenza (deviazione del Rio Loreto, accessibilità dell'area archeologica mediante la realizzazione di percorsi di visita e di servizi per il miglioramento della fruibilità nell'area accoglienza dei parco, realizzazione di un parcheggio e di una biglietteria, indagini archeologiche, interventi di restauro e collegamento dell'area con il Museo dell'accademia Etrusca di Cortona (MAEC).
  In base all'articolo 6 dell'accordo venne istituito un tavolo tecnico.
  Nel 2013 il comune di Cortona e l'accademia etrusca sottolineavano la necessità di definire un progetto di gestione, fino ad allora mai affrontato (riunione del 18 dicembre 2012 del tavolo tecnico e del collegio di vigilanza istituito ai sensi dell'articolo 10 dell'accordo di programma).
  Quasi conclusi i lavori, dal 2016 le spese di manutenzione sono così ripartite: fornitura di energia elettrica, manutenzione delle pompe idrauliche, dell'impianto di allarme (adeguato al nuovo assetto e collegato ai Carabinieri di Cortona), del verde, della pulizia, a carico del comune; linea telefonica, funzionale alla permanenza di una addetta alla vigilanza della SABAP SI, a carico della soprintendenza.
  Eseguite le opere di drenaggio superficiale e sub-superficiale, costruita la nuova biglietteria, sono stati realizzati i percorsi di visita e la sostituzione degli stipiti dell'altare del Tumulo II con calchi eseguiti dalla soprintendenza.
  Gli originali sono stati esposti presso il museo dell'accademia etrusca di Cortona (MAEC): è stata regolarizzata la pratica di deposito dei materiali di proprietà statale, anche di quelli non compresi nella precedente autorizzazione, esposti nei nuovi spazi.
  Tali lavori sono stati ultimati entro il 30 giugno del 2017, come da cronoprogramma.
  Ancora da realizzare sono la copertura e il restauro della Tomba 1 del Tumulo II, per i quali la soprintendenza SI AR GR ha fornito le linee guida e il supporto scientifico, e la sistemazione del verde, dei punti sosta, della pannellistica e dei punti di illuminazione.
  Il Tumulo II e la tomba a camera, detta degli Ori, situati nell'area archeologica del Sodo nel comune di Cortona (Arezzo), sono stati dichiarati di interesse particolarmente importante con decreto n. 149 del 13 maggio 2008, immessi al demanio con verbale n. ARD0038 prot. 2013/1492/R.I.
  Il tumulo distinto al Catasto al F. 196 partile A, 83 (parte), 166, 170, 172, 230, 233 (parte), è stato dichiarato di interesse particolarmente concreto decreto n. 403 del 14 giugno 2012.
  In base alla deliberazione del Consiglio regionale 27 marzo 2015 n. 37 «Atto di integrazione del piano di indirizzo territoriale (PIT) con valenza di piano paesaggistico. Approvazione ai sensi dell'articolo 19 della legge regionale 10 novembre 2014 n. 65», il parco archeologico di Sodo ricade nella zona di interesse archeologico ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera
m) del codice denominata AR14, zona comprendente le necropoli e le mura dell'antica città di Cortona, la cui scheda descrive i valori culturali e paesaggistici della zona e gli obiettivi di tutela, la valorizzazione e la disciplina d'uso.
  In conclusione, sulla base della concessione in uso al comune di Cortona dei beni di proprietà statale, l'accordo si propone l'obiettivo di consentire la gestione delle attività di fruizione e di valorizzazione dell'area da parte del comune, in forma integrata con le politiche del territorio e di sviluppo economico, e definisce le modalità di gestione dell'area, che sarà parte del percorso archeologico di Cortona, e che avrà nel museo dell'accademia etrusca e della città di Cortona il centro erogatore dei servizi di accoglienza.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   GALLINELLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   come noto, l'Organizzazione delle nazioni unite per l'agricoltura e l'alimentazione, Fao, ha da sempre il suo quartier generale a Roma;

   essa svolge un ruolo prezioso nel contribuire alla elaborazione di politiche ed indirizzi volti alla eliminazione della fame, dell'insicurezza alimentare, della malnutrizione e della povertà, oltre che per sostenere e promuovere la gestione e l'utilizzazione sostenibile delle risorse naturali e genetiche a beneficio delle generazioni future;

   le pubblicazioni dei dossier realizzati dall'organizzazione riguardano quindi tematiche di estremo interesse che dovrebbero trovare la più ampia diffusione e divulgazione sia al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica, sia, per conoscenza, tra gli addetti ai lavori quali potrebbero essere gli operatori del settore primario;

   la sede di un ente delle Nazioni Unite presso uno Stato membro assume un valore particolare per quel Paese che spesso rappresenta un partner privilegiato, sia da un punto di vista logistico, sia per il sentimento di vicinanza che si sviluppa tra la popolazione locale in favore dell'organizzazione in quanto tale e dell'ente nello specifico;

   le lingue ufficiali di lavoro delle Nazioni Unite sono sei ovvero: inglese, francese, spagnolo, russo, cinese e arabo e, tuttavia, sarebbe opportuno che pubblicazioni e studi fossero disponibili anche nella lingua che ospita il quartier generale degli enti istituiti dagli organi principali –:

   se il Governo non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché le pubblicazioni, gli studi, le ricerche, i dossier vari, nonché che il sito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'agricoltura e l'alimentazione con sede a Roma, possano essere redatti anche in lingua italiana.
(4-16608)

  Risposta. — La Farnesina attribuisce grande rilevanza ai documenti prodotti dalla Fao, e più in generale al prezioso ruolo svolto dall'organizzazione nell'elaborazione di strategie e indirizzi volti all'eliminazione della fame e dell'insicurezza alimentare e nutrizionale, oltre che nell'attuazione di concrete iniziative di sviluppo agricolo e rurale.
  L'Italia, quale Paese ospite della Fao, ne sostiene l'operato, sia in termini di contribuzione finanziaria, sia tramite l'incisiva partecipazione ai suoi organi di governo, sia infine favorendo l'affermazione della centralità delle problematiche della sicurezza alimentare e nutrizionale nelle politiche di sviluppo sostenibile a livello globale.
  In merito all'opportunità di una maggiore diffusione e divulgazione di studi, ricerche e pubblicazioni della Fao presso il pubblico nazionale, tramite la traduzione in lingua italiana, si fa tuttavia presente che, come indicato anche nel testo della stessa interrogazione, le lingue ufficiali e di lavoro dell'Onu sono sei: Arabo, Cinese, Francese, Inglese, Russo e Spagnolo.
  Tale disposizione, prevista dalle «
Rules of procedure», dell'assemblea generale e suoi comitati e sottocomitati, (articolo 51), nonché dalle «Rules of procedure» del consiglio di sicurezza (articolo 41), è riprodotta nelle «General rules» della Fao (articolo XLVII), che non prevedono eccezioni.
  Alla luce di tale regola, la Fao non pubblica documenti né prevede versioni del sito
web in lingue diverse da quelle ufficiali. L'eventuale uso della lingua italiana introdurrebbe quindi un trattamento preferenziale tra le lingue non ufficiali dell'Onu e potrebbe essere censurato dagli altri Stati membri interessati.
  Si fa inoltre presente al riguardo che neanche le agenzie Onu con base in altri Paesi la cui lingua non rientra tra quelle ufficiali delle Nazioni unite (ad esempio l'Austria con il polo viennese) risultano pubblicare documenti o tradurre i propri siti
web nella lingua locale.
  Si segnala comunque che a titolo di cortesia verso il Paese ospite, la Fao provvede direttamente all'interpretariato dall'italiano alle lingue ufficiali in occasione di interventi di autorità politiche italiane a riunioni e conferenze presso l'organismo, in deroga alla regola generalmente vigente in ambito Onu (articolo 53 delle «
Rules of procedures» e dell'assemblea generale e articolo 44 delle «Rules of procedures» del consiglio di sicurezza) secondo cui di tale interpretariato si fa carico il relatore.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Vincenzo Amendola.


   GIULIETTI, SERENI, ASCANI e VERINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in data 25 ottobre 2013 l'assessore regionale ai trasporti dell'Umbria dottor Silvano Rometti ha inviato una nota al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e al capo dipartimento del Ministero per avere informazione sulle ipotesi di soppressione dei treni interregionali intercity;

   con sempre maggior insistenza sembrano giungere segnali sulla definitiva soppressione di ogni ormai residuo servizio intercity sulla linea dorsale che collega capoluoghi ed importanti centri di regione (Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Lazio);

   il danno che ne deriverebbe per i cittadini delle citate regioni, in particolar modo per l'Umbria che soffre già ampiamente di collegamenti inefficaci, e per i pendolari in particolare, sarebbe di assoluta gravità –:

   se il Ministro intenda dissipare ogni dubbio sul mantenimento del servizio e comunque se non ritenga necessario convocare un incontro quanto prima con le regioni coinvolte alla presenza dei vertici di Trenitalia.
(4-02341)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie e da Ferrovie dello Stato italiane, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta in IX Commissione Camera, si ricorda che la quasi totalità dei servizi Intercity è inserita nel contratto di servizio stipulato tra Trenitalia e lo Stato e che, come è noto, la caratteristica di tali treni è quella di non essere economicamente sostenibili da parte di Trenitalia; pertanto, lo Stato eroga corrispettivi in coerenza con quanto stabilito nel piano economico-finanziario, inserito anch'esso nel contratto.
  Sino al 31 dicembre 2016, il contratto di servizio in essere comprendeva la quasi totalità dei servizi Intercity ad eccezione di cinque coppie (IC 582-583-584-588-590-591-592-594-596-597) che erano effettuate in regime di mercato da Trenitalia.
  Da molti anni, però, questi dieci treni registravano perdite economiche estremamente rilevanti, assolutamente insostenibili per Trenitalia che, quindi, ne aveva previsto la soppressione.
  In considerazione, comunque, della funzione prevalentemente sociale di tali collegamenti, rivolti anche al traffico pendolari, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ne ha disposto l'inserimento nel perimetro del nuovo contratto di servizio media e lunga percorrenza 2017-2026.
  Conseguentemente, nessuno dei treni in questione è stato soppresso.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   GRIMOLDI, GUIDESI, RONDINI, GUIDESI, RONDINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la linea M3 San Donato Milanese – Paullo, sarebbe un'infrastruttura di trasporto nel settore sud — est della provincia di Milano in grado di diffondere nell'area metropolitana la rete di forza milanese, migliorando le connessioni interpolo e con aree di rilevante peso insediativo, e creando una indispensabile connessione con il sistema della grande viabilità tangenziale;

   nel dicembre 2007 è stato approvato il progetto preliminare del prolungamento della M3 San Donato Milanese – Paullo, successivamente modificato e trasmesso al Ministero per l'approvazione di Legge Obiettivo e quindi la conseguente riapprovazione del CIPE;

   il 13 maggio 2010 il CIPE ha approvato la versione modificata del progetto preliminare del «Prolungamento della linea M1 San Donato Milanese – Paullo», finanziando la sola progettazione definitiva (8,6 milioni di euro), rinviando il finanziamento complessivo dell'opera alla fase di approvazione del Progetto definitivo;

   in data 9 dicembre 2010 la Corte dei conti, nell'adunanza della Sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, ha controdedotto le osservazioni del Ministero, pur riconoscendone in parte la fondatezza, ed ha ricusato il visto della citata delibera CIPE del 13 maggio (in particolare per la mancata previsione delle fonti di finanziamento);

   quindi ad oggi il progetto preliminare non può dirsi «approvato», in quanto la delibera CIPE del 13 maggio 2010 non ha ricevuto i necessari passaggi formali da parte della Corte dei conti;

   tuttavia Metropolitana Milanese ha successivamente completato la redazione del progetto definitivo (la sola finanziata, con gli 8,6 milioni di euro di cui sopra). Tale progetto non ha avuto nessun passaggio formale e allo stato non è pertanto approvabile;

   il costo complessivo dell'opera è di 750 milioni di euro, ripartiti nel seguente modo: 450 milioni di euro lo Stato (60 per cento), 225 milioni di euro (30 per cento) da ripartire tra regione, ex provincia MI e LO e comune di Milano e i restanti 75 milioni di euro (10 per cento) da suddividere tra i comuni interessati dal tracciato;

   per la realizzazione dell'opera erano stati previsti 5 anni a decorrere dall'affidamento dei lavori, ma ad oggi, in assenza di certezze sul finanziamento, la situazione rimane sospesa e indefinita;

   il prolungamento della M3 San Donato Milanese – Paullo potrebbe migliorare l'offerta e la qualità del servizio lungo la direttrice radiale interessata, recuperando competitività per il sistema pubblico nel suo complesso e riequilibrando il riparto modale, con l'opportunità di interscambio nelle aree più esterne, in corrispondenza di importanti collegamenti viabilistici –:

   data l'importanza che l'opera riveste per il miglioramento per la viabilità e delle connessioni interpolo e con aree di rilevante peso insediativo, se il Ministro non ritenga opportuno intraprendere tutte le azioni di competenza i necessarie finalizzate alla realizzazione del prolungamento della linea M3 San Donato Milanese – Paullo;

   quali siano le azioni intraprese o da intraprendere volte a superare il parere negativo della Corte dei conti e ripristinare il finanziamento CIPE.
(4-07533)

  Risposta. — Come già riferito il 14 settembre 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata presso la IX Commissione trasporti, in merito al prolungamento della linea metropolitana M3 di Milano da San Donato a Paullo, la direzione generale per i sistemi di trasporto ad impianti fissi e il trasporto pubblico locale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha comunicato che – nell'ambito dell'attività ricognitiva di propria competenza finalizzata all'individuazione delle opere da inserire nel redigendo documento pluriennale di pianificazione (DPP) – con nota del 21 marzo 2017 il comune di Milano ha sottolineato la propria intenzione di procedere alla realizzazione dell'opera in esame lungo la direttrice della Paullese, in quanto tale area non è allacciata ad un servizio di trasporto pubblico urbano efficiente, il che costringe gli utenti che si muovono da sud-est verso la città a servirsi del trasporto privato con conseguenti importanti problemi legati al congestionamento del traffico.
  L'intervento, di cui è stato sviluppato il progetto definitivo, prevede un'estensione della linea metropolitana M3 di 14,5 chilometri, la realizzazione di 6 stazioni e la fornitura di nuovo materiale rotabile, per un importo complessivo di circa Meuro 850: ad oggi il comune di Milano non dispone di alcun finanziamento e quindi l'intero costo dovrebbe ricadere su risorse statali.
  Tuttavia, nelle ultime comunicazioni del comune di Milano in merito alle priorità di finanziamento degli interventi nel settore lo stesso non ha dato evidenza di ulteriori sviluppi per l'intervento in argomento rispetto a quanto manifestato in precedenza.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   si è appreso dalla stampa, in particolare in un recente articolo apparso sul settimanale Settegiorni di Rho, che tra ospiti del centro di accoglienza «la Vincenziana», in via Casati 4 a Magenta, dove da luglio 2014 sarebbero alloggiati circa un centinaio di immigrati, sarebbe stato registrato un caso di Aids;

   sempre secondo quanto riportato dalla stampa, la notizia avrebbe suscitato forti preoccupazioni e timori tra la cittadinanza, in particolare, per la possibilità di contagio di alcune donne che nei mesi scorsi avrebbero avuto libero accesso notturno al centro e avrebbero, proprio all'interno della struttura, avuto rapporti sessuali con alcuni richiedenti ivi ospitati;

   già nei mesi scorsi, il centro di accoglienza la Vincenziana è stata più volte oggetto di interesse da parte dei mezzi di comunicazione, per i già noti casi di tubercolosi verificatisi tra gli immigrati ivi ospitati e per gli scontri tra questi ultimi e le forze di polizia, costrette ad intervenire in diverse occasioni per riportare ordine nel centro;

   pertanto, se le ultime notizie riportate dalla stampa fossero confermate, riguardo a presunti casi di Aids all'interno del centro, nonché dell'accesso, nelle ore notturne, di donne al fine di avere prestazioni sessuali con gli immigrati ospiti, è palese l'estrema gravità della situazione in quanto confermerebbe che gli immigrati, a quanto consta agli interroganti, non sarebbero controllati adeguatamente da un punto di vista sanitario, non solo al loro arrivo in Italia, contrariamente allo screening medico previsto nella fase della prima accoglienza, anche ai sensi della cosiddetta Road Map e del decreto legislativo n. 142 del 2015, ma altresì successivamente, quando vengono dislocati nei vari centri di accoglienza sui territori;

   la Lombardia è la regione che ospita il numero maggiore di immigrati nei centri di accoglienza, oltre 23 mila secondo i dati del 2016, ed è altresì la regione in cui si è registrato un aumento del 32 per cento complessivo dei casi di malaria, nel quinquennio tra il 2011 e il 2015, ed un incremento rilevante di altre malattie, quali la tubercolosi o la meningite, che, sebbene da debellate negli ultimi decenni, stanno tornando a colpire la popolazione –:

   quali iniziative intenda assumere nell'immediato, al fine di predisporre tutte le necessarie verifiche sulla veridicità delle notizie giornalistiche riportate in premessa ed, in particolare, quali iniziative siano già state adottate, anche a seguito dei precedenti casi riportati dalla stampa nei mesi scorsi a proposito dello stesso centro, o intenda adottare per procedere agli opportuni e doverosi controlli della struttura La Vincenziana e della cooperativa che la gestisce; se reputi, comunque, opportuno assumere iniziative per procedere all'immediata chiusura dello stesso centro di accoglienza.
(4-15247)

  Risposta. — Si premette che le problematiche sanitarie connesse ai flussi migratori sono da tempo all'attenzione del Ministero dell'interno che – di concerto con tutte le altre Amministrazioni coinvolte – svolge ogni opportuna azione per assicurare la tutela della salute delle persone migranti che arrivano nel nostro paese, così come degli operatori che prestano il loro servizio durante le operazioni di sbarco e nei centri per l'immigrazione.
  Al riguardo, il Ministero della salute ha emanato apposite linee guida sulla prevenzione del rischio biologico, fornendo precise indicazioni agli operatori che intervengono nelle primissime fasi dell'arrivo, per l'applicazione delle misure di sorveglianza e prevenzione appropriate.
  Le procedure di controllo sanitario effettuate sui migranti prevedono che questi siano sottoposti a visita medica già prima dello sbarco, per mettere in atto prioritariamente tutte le misure di profilassi che si richiedono in caso di malattia infettiva e contagiosa.
  Gli ulteriori approfondimenti diagnostici svolti negli
hotspot e durante la permanenza nei centri consentono poi di identificare i casi eventualmente sfuggiti al primo filtro sanitario.
  Per quanto riguarda, in particolare, il centro di accoglienza straordinario La Vincenziana di Magenta, gli ospiti effettivamente affetti da Hiv sono tre e sono attualmente in cura presso il reparto di malattie infettive dell'ospedale di Legnano (Milano).
  Il personale della cooperativa Intrecci, cui è affidata la gestione del centro, li accompagna periodicamente presso l'ospedale per visite di controllo, esami clinici e ritiro dei farmaci antiretrovirali. Gli ospiti sono stati sensibilizzati sulla corretta assunzione della terapia, che viene effettuata in autonomia. Tutti godono di un buono stato di salute.
  Il 24 maggio 2017 ad uno degli ospiti risultato sieropositivo è stata riconosciuta una percentuale di invalidità pari al 91 per cento in ragione della patologia cui è affetto. Per tale ragione è stata presentata domanda per i benefici economici.
  A seguito del primo caso registratosi nel centro, i gestori si sono attivati per realizzare dei corsi di formazione e prevenzione sulle malattie sessualmente trasmesse, rivolti agli ospiti della struttura, con la collaborazione del centro «Malattie trasmissibili sessualmente» di Rho.
  Tale percorso, realizzato tra novembre e dicembre 2016 con incontri preparatori presso il centro di accoglienza e poi presso il centro di Rho, ha previsto anche l'esecuzione di esami – a richiesta degli interessati – per i virus dell'epatite e dell'Hiv.
  Per quanto riguarda la notizia evidenziata dall'onorevole interrogante, relativa all'accesso di persone estranee nel centro di accoglienza, si rappresenta che nei mesi scorsi tale irregolarità è stata rilevata in tre casi.
  Nei confronti dei tre migranti che risultano aver ospitato persone estranee al centro, oltre alle contestazioni delle violazioni al regolamento elevate dal responsabile della struttura, la prefettura di Milano ha avviato le procedure per la revoca delle misure di accoglienza.
  Per uno dei tre, beneficiario di protezione internazionale, il procedimento si è concluso con l'accettazione delle memorie difensive che attestano la permanenza dello stato di vulnerabilità fisica del soggetto; perciò è stata avviata la procedura per l'inserimento nel sistema Sprar, che avverrà a breve.
  Gli altri due, invece, hanno già abbandonato il centro: uno volontariamente, l'altro a seguito della revoca delle misure di accoglienza.
  Si rappresenta, inoltre, che la prefettura di Milano svolge regolarmente controlli ispettivi presso il centro di accoglienza straordinario La Vincenziana. Nel corso dell'ultimo sopralluogo, è stata evidenziata la necessità di effettuare alcuni interventi di manutenzione ordinaria, nonché quella di affiggere in maniera ben visibile il regolamento della struttura. L'ente gestore si è tempestivamente attivato per la risoluzione delle problematiche riscontrate.
  Sulla base di quanto appena illustrato, si ritiene che la vicenda segnalata nell'interrogazione sia stata affrontata rispettando tutte le procedure previste dalla legge per garantire l'assistenza sanitaria dei migranti ospiti del centro, tutelando allo stesso tempo la salute pubblica.
  Più in generale, si assicura che il Ministero dell'interno riserva la massima attenzione alla necessità di garantire la massima trasparenza e correttezza nella gestione dei centri per i migranti.
  A tal fine, è stato recentemente disposto l'insediamento presso il Viminale di un osservatorio permanente per il monitoraggio delle strutture di accoglienza su tutto il territorio nazionale che, avvalendosi di personale altamente specializzato e formato per lo specifico obiettivo, riferirà al Ministro dell'interno circa gli esiti delle verifiche effettuate.
  Agli inizi di maggio 2017 è stato avviato un piano di ispezioni presso tutte le strutture che prevede un programma di oltre duemila controlli ai centri di accoglienza, compresi quelli attivati in via d'urgenza.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.


   GUIDESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in area golenale del fiume Po, a fine marzo 2017, sotto il ponte della linea ferroviaria storica che collega il Lodigiano con il Piacentino, nel comune di San Rocco al Porto, è stata scoperta una discarica abusiva di eternit con circa 1.000 lastre di cemento amianto, dal peso di circa 5.000 chilogrammi;

   l'abuso è stato individuato dalla guardia di finanza della tenenza di Casalpusterlengo, durante un pattugliamento delle rive del fiume Po, indirizzata a prevenire illeciti che, secondo i giornali (il Giorno e il cittadino del 24 marzo 2017), sembrerebbero frequenti in zona;

   l'area di circa 200 metri quadrati è stata subito circoscritta, in quanto le lastre di eternit si presentavano gettate alla rinfusa e spezzate a contatto con il terreno ed esposte agli agenti atmosferici, e creavano un serio pericolo per la diffusione ambientale dell'asbesto e per la salute della popolazione locale;

   sono ancora in corso le indagini della procura della Repubblica di Lodi per accertare l'ipotesi di inquinamento ambientale e individuare i responsabili del reato;

   la società RFI Spa, proprietaria dell'area, ha proceduto a proprie spese alla bonifica e, conseguentemente, le lastre di cemento amianto sono state trasportate da impresa specializzata in discarica per rifiuti pericolosi, ai fini dello smaltimento; attualmente, l'area risulta dissequestrata;

   resta, tuttavia, vivo lo sgomento della popolazione locale per il pericolo cui è stata sottoposta la propria salute e cresce la preoccupazione per gli eventuali ulteriori pericoli latenti cui sono sottoposti i cittadini, in quanto, anche da quanto risulta dai giornali, l'episodio della discarica abusiva non risulta isolato nelle aree golenali del Po e vi sono seri rischi che simili illeciti possano verificarsi nuovamente e ripetutamente –:

   se il Governo non intenda adottare tutte le iniziative di competenza per monitorare la situazione nel comune di San Rocco al Porto e verificare il programma degli interventi di sorveglianza e i pattugliamenti in essere, nonché promuovere l'adozione di appositi accordi tra i carabinieri del NOE, le altre forze dell'ordine e il sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente (SNPA), indirizzati ad intensificare i controlli ambientali e le attività di prevenzione degli illeciti sulle rive e nelle aree golenali del fiume Po, garanzia della tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini.
(4-16716)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alla presenza di lastre di amianto nel comune di San Rocco al Porto in provincia di Lodi, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In merito alle attività di accertamento, occorre premettere, innanzitutto, che, ai sensi della normativa ambientale vigente, la competenza territoriale in ordine al controllo delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compreso l'accertamento delle violazioni di cui alla parte IV del decreto legislativo 152 del 2006, spetta alle province, mentre la competenza alla repressione di tali illeciti spetta agli organi di polizia, anche locali.
  A tal proposito, la prefettura di Lodi ha fatto presente che l'11 maggio 2017, in seguito al provvedimento con il quale l'autorità giudiziaria ha disposto la restituzione delle cose sequestrate, la società Rfi ha provveduto, tramite ditta specializzata, alla rimozione dei materiali pericolosi e al risanamento dell'area interessata. Il materiale che ha dato luogo al sequestro risulta già regolarmente smaltito presso discariche autorizzate, situate in parte in Italia ed in parte all'estero.
  La prefettura ha comunicato, inoltre, che le indagini finalizzate all'identificazione dei responsabili sono tuttora in corso. Ad ogni modo, sulle rive e nelle aree golenali del fiume Po proseguono le attività di controllo condotte dalla Guardia di finanza nell'ambito delle attività di controllo economico del territorio e del contrasto ai traffici illeciti e ai reati di natura ambientale.
  Sul punto, la prefettura di Lodi ha evidenziato, altresì, che sono in corso operazioni promosse dall'Interpol, finalizzate all'attività di contrasto allo smaltimento e al commercio illegale dei rifiuti pericolosi di carattere internazionale.
  Il Ministero della giustizia ha fatto presente, peraltro, di aver acquisito elementi informativi dalla procura della repubblica di Lodi. In particolare, il procuratore ha precisato che «per quanto non si possa escludere l'avvenuta diffusione nell'aria di minuscole particelle di amianto prima dell'intervento di bonifica, non pare che nella specie sia ravvisabile quella compromissione o quel deterioramento di entità “significativa e misurabile” di “porzioni estese del suolo o del sottosuolo” ed ancor di meno, dell'intero “ecosistema”».
  Tenuto conto, comunque, che risultano ancora in corso le indagini della magistratura, finalizzate anche alla valutazione del danno ambientale, è necessario attendere la conclusione delle predette indagini che, oltre ad individuare il responsabile dell'abbandono dei rifiuti, potrebbero indicare anche l'eventuale necessità di procedere ad ulteriori ed opportune bonifiche ambientali ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo 152 del 2006.
  Ad ogni modo, appare utile ricordare che, ai sensi dell'articolo 250 del predetto decreto, qualora i soggetti responsabili della eventuale contaminazione non siano individuabili o non provvedano direttamente agli adempimenti di bonifica, né provvedano il proprietario del sito o gli altri soggetti interessati, le procedure di bonifica sono realizzate dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione.
  Sulla base delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà, comunque, a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine dell'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la società Atral Lazio si occupa del servizio di trasporto pubblico urbano e scolastico del comune di Latina. Fa parte del gruppo Cotral, una società per azioni controllata al 100 per cento dalla regione Lazio che, ad oggi, è il maggior gestore di trasporto extraurbano su gomma dell'intero Paese;

   da molto tempo i collegamenti effettuati dall'Atral Lazio nei giorni festivi vengono praticamente dimezzati e i viaggiatori sono costretti ad aspettare anche oltre due ore prima di poter salire su un bus che li porti dalla stazione ferroviaria al centro di Latina, come è accaduto, secondo fonti stampa, anche il 16 e 17 aprile 2017;

   dall'inizio del 2016, la società Cotral ha deciso di sopprimere quasi tutti i collegamenti tra la provincia pontina e Roma e molti di quelli tra i piccoli centri di montagna e le città della pianura pontina. Secondo quanto afferma la società, si tratterebbe di una «razionalizzazione per rendere migliore il servizio». I pendolari invece lamentano che la provincia di Latina è stata tagliata fuori dai collegamenti su gomma con la capitale: infatti, la domenica e i festivi, per muoversi o andare a lavoro, sono costretti a prendere l'auto o il treno visto che molte corse sono state soppresse;

   in particolare, la linea Latina-Roma, sembra la più colpita da disagi e ritardi;

   al di là di quelle che appaiono pur palesi violazioni puntualmente denunciate dai viaggiatori, la Atral continua a beneficiare di proroghe – più di venti ormai – del contratto di appalto;

   con espresso riferimento alla possibilità di rinnovi o proroghe automatiche di contratti in concessione relativi al trasporto pubblico locale, la Corte costituzionale, ha reiteratamente affermato che non è consentito al legislatore regionale disciplinare il rinnovo o la proroga automatica delle concessioni alla loro scadenza – in contrasto con i principi di temporaneità e di apertura alla concorrenza – poiché, in tal modo, dettando vincoli all'entrata, verrebbe ad alterare il corretto svolgimento della concorrenza nel settore del trasporto pubblico locale, determinando una disparità di trattamento tra operatori economici ed invadendo la competenza esclusiva del legislatore statale di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. Con la sentenza n. 2/2014, la Corte conferma l'orientamento ormai consolidato, in passato, infatti, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale di disposizioni regionali, che prevedevano la possibilità di proroghe automatiche di contratti di trasporto pubblico locale (sentenza n. 123 del 2011), ovvero il mantenimento di affidamenti preesistenti in capo agli stessi concessionari di servizi di trasporto pubblico locale oltre il termine ultimo previsto dal legislatore statale per il passaggio al nuovo sistema di affidamento di tali servizi tramite procedure concorsuali (sentenza n. 80 del 2011);

   il bando di gara per l'affidamento del servizio di trasporto pubblico locale per il comune di Latina è stato pubblicato il 4 febbraio 2016, ma la procedura non ha avuto seguito –:

   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza, anche normativa, per implementare la concorrenza nel settore del trasporto pubblico locale al fine di evitare situazioni come quella descritta in premessa e favorire uno scambio tempestivo e virtuoso tra gomma e rotaia, per garantire un effettivo diritto alla mobilità ai viaggiatori.
(4-17801)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dall'autorità di regolazione dei trasporti e dalla Direzione generale per i sistemi di trasporto ad impianti fissi e il trasporto pubblico locale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  In prima analisi, l'Autorità di regolazione dei trasporti (ART) evidenzia come gli elementi indicati nell'interrogazione in esame intervengono su due distinti contratti che coinvolgono due diverse imprese facenti parti dello stesso gruppo:

   a) la società Atral, che gestisce il trasporto pubblico urbano di Latina in forza di un contratto di servizio affidato direttamente dal comune di Latina il 1° gennaio 2005 e di durata quinquennale, al momento scaduto e in proroga;

   b) la società Cotral, che gestisce il trasporto pubblico extraurbano secondo un contratto di servizio affidato direttamente dalla regione Lazio nel 2011 e di durata quinquennale.

  In merito alla riduzione della programmazione del servizio esercito dalla società Atral si rileva come dalle informazioni disponibili dal sito internet della società stessa e dello stesso comune di Latina, i collegamenti tra la città di Latina e lo scalo ferroviario sono assicurati dai seguenti servizi (orari in vigore dal 5 ottobre 2015):

   a) linea Fs express: da stazione autolinee a stazione Fs, attiva nei giorni feriali dal lunedì al venerdì: presenta 4 coppie di corse/giorno;

   b) linea Q4 Q5 express: da Viale Paganini a stazione Fs, presenta 9 corse/giorno in direzione della stazione Fs e 6 corse/giorno in direzione opposta;

   c) linea Fs da stazione autolinee a stazione Fs con 54 coppie di corse/giorno nei feriali e 17 coppie di corse/giorno nei festivi.

  Circa la riduzione della programmazione dei servizi extraurbani eserciti dalla società Cotral, l'analisi degli orari dal portale Cotral mostrano, nei giorni feriali, un collegamento bus con frequenza variabile con un picco di 7 corse nella fascia oraria 7:00-8:00, mentre nelle altre fasce orarie è prevista una media di circa 1 o 2 corse; nei giorni festivi non risulta previsto alcun collegamento.
  Per quanto riguarda, poi, le procedure di gara per il nuovo affidamento del servizio TPL di Latina, con delibera n. 112/2017 del 4 aprile scorso il comune di Latina ha pubblicato una relazione illustrativa in cui dichiara di voler procedere a un nuovo affidamento del servizio urbano di TPL, fornendo indicazioni sulle modalità prescelte. In particolare si precisa che:

   il servizio di TPL è stato affidato all'Atral – gruppo Cotral con affidamento dal 1° gennaio 2005 al 31 dicembre 2010. Poco prima della scadenza dell'affidamento, con delibera n. 415 del 29 dicembre 2010 il commissario straordinario deliberava di procedere all'affidamento per ulteriori sei anni mediante nuova procedura, di gara. Successivamente è stata predisposta la sospensione della gara causa la non definizione da parte della regione Lazio dei fondi da destinare al comune di Latina per il servizio TPL;

   dal 1° gennaio 2011 l'amministrazione comunale ha proceduto a una serie di proroghe contrattuali dell'affidamento del servizio alla stessa società Atral;

   il comune evidenzia che i dati registrati nel periodo di proroga, rispetto a quelli del contratto principale d'appalto, evidenziano un sostanziale incremento dei costi a fronte di una minore percorrenza chilometrica... Si rileva in ogni caso l'esigenza di procedere ad un affidamento del servizio di trasporto pubblico locale che sia frutto di un nuovo procedimento di gara ad evidenza pubblica.

   Il 19 maggio 2017 il comune di Latina ha poi adottato la determina n. 890/2017 dal titolo Affidamento del servizio di trasporto pubblico locale — approvazione alti di gara e impegno spesa per pubblicazione Guri e quotidiani, con cui ha stabilito e disciplinato la predisposizione dei documenti di gara e l'avvio dell'affidamento del servizio di trasporto in oggetto attraverso gara ad evidenza pubblica.
   A fronte degli elementi sopra citati, l'ART osserva che per quanto riguarda la riduzione della programmazione dei servizi eserciti da Atral e da Cotral, gli elementi di valutazione sono entrambi riconducibili ad aspetti di programmazione del servizio, i cui Enti titolari sono rispettivamente comune di Latina e regione Lazio. Ai sensi del decreto legislativo n. 422 del 1997 ...Le regioni, le province e i comuni, allo scopo di assicurare la mobilità degli utenti, definiscono, ai sensi dell'articolo 2 del regolamento 1191/69/CEE, modificato dal regolamento 1893/91/CEE, obblighi di servizio pubblico ...adeguati alla domanda di spostamento potenziale del bacino territoriale di riferimento. Inoltre, con particolare riferimento ai servizi extraurbani, è necessario considerare che gli indirizzi del Legislatore, non ultimo quelli contenuti nel recente decreto-legge n. 50 del 24 aprile 2017 e relativa legge di conversione, indicano che regioni a statuto ordinario determinano i livelli adeguati dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale con latte le modalità ...assicurando l'eliminazione di duplicazione di servizi sulle stesse direttrici...
   In tal senso, la riduzione dei collegamenti con Roma potrebbe rientrare in questo contesto, ma è sempre necessario un approfondimento e un confronto con l'ente preposto, cui si rimanda per verificare la effettiva adeguatezza dei suddetti servizi.
   Quanto al bando di gara, a fronte di alcune recenti segnalazioni pervenute all'ART e riguardanti le predette procedure di gara adottate dal comune di Latina, si è rilevata:

   la non coerenza delle stesse con gli atti di regolazione ART (delibera n. 49 del 17 giugno 2015 e delibera n. 48 del 30 marzo 2017):

   l'individuazione da parte del comune di Latina dell'affidamento in oggetto come un «appalto» di servizi, anziché come «concessione», pur configurandosi un regime contrattuale di net cost, con relativa assunzione a carico dell'affidatario sia del rischio industriale (legato ai costi di esercizio e all'attività di impresa), sia del rischio commerciale (legato alla vendita dei titoli di viaggio), a fronte di un corrispettivo pubblico (risorse regionali), con conseguente inapplicabilità delle disposizioni del regolamento europeo n. 1370/2007 e della delibera ART n. 49/2015.

  Lo scorso 10 luglio, l'autorità ha inviato nota al comune di Latina volta a segnalare la necessità di adeguare gli atti di gara al quadro regolamentare vigente. A tale nota il comune di Latina ha risposto riconfermando le proprie considerazioni in merito alle decisioni che hanno portato alla definizione della procedura in oggetto respingendo le osservazioni dell'ART.
  In data 7 agosto 2017 Asstra ha scritto al comune di Latina e all'ART ribadendo la correttezza delle osservazioni presentate da ART con la nota del 10 luglio, in particolare viene indicato che la delibera ART trova, quindi, il suo atto presupposto non solo nel Reg. 1370/2007 ma anche nel decreto legislativo n. 422/1997 che, in via generale, disciplina gli «affidamenti» dei servizi TPL senza precisare se essi siano appalti o concessioni ....Si rileva, pertanto, l'obbligo da parte del comune di Latina di attenersi alle indicazioni fornite dall'Autorità e nella delibera 49/2015 e nella delibera 48/2017.
  In risposta a tale ultima comunicazione di Asstra, il comune di Latina non ha al momento fornito ulteriore comunicazione all'ART.
  Infine, l'ART segnala che le tematiche evidenziate sono all'attenzione dei propri uffici e costituiscono oggetto di interlocuzione con gli uffici ANAC nell'ambito del protocollo d'intesa ART-ANAC del 20 novembre 2014.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   secondo i dati forniti dall'Ispra, nell'ultimo rapporto di sintesi sul dissesto idrogeologico in Italia, ogni anno oltre un migliaio di frane colpiscono il territorio nazionale mentre il numero delle persone esposte a possibili fenomeni alluvionali di grave entità è di circa 2 milioni. Tra le 7 regioni maggiormente a rischio di dissesto idrogeologico figura anche la Basilicata;

   in Basilicata il rischio idrogeologico è piuttosto preoccupante e coinvolge almeno un centinaio di comuni. Si tratta di aree, che per particolari caratteristiche orografiche, sono prevalentemente collinari, montuose e quindi potenzialmente più esposte al rischio idrogeologico. Dai dati dell'Ispra emerge che il 17,8 per cento dei lucani, equivalente a 103.000 persone, vive nelle aree a rischio frana, mentre il 5,9 per cento, pari a 34.000 mila persone, vive in luoghi a rischio frana elevato;

   il 23 marzo 2016, il territorio del comune di Stigliano, in provincia di Matera, è stato interessato, a causa delle incessanti piogge e nubifragi, da una pericolosa frana verificatasi in località Serra Rotonda, che ha inghiottito il centro sociale anziani dell'ampiezza, di 2 mila metri quadri. Sono spaventose le immagini che hanno ripreso in diretta la frana, che era attesa da tempo;

   sui social network circola il video che riprende le fasi del crollo della sede del centro sociale anziani, che era stata sgomberata dal 2014. L'area interessata era fortunatamente disabitata e messa in sicurezza, ma le piogge abbondanti hanno rimesso in moto la frana con conseguenze fatali per il fabbricato risalente ai primi anni Ottanta;

   il fronte franoso non interessa solo l'area del centro sociale ma si estende per 1 chilometro e mezzo di ampiezza e 700 metri di profondità nel cuore del Paese; anche la zona del centro storico sarebbe stata interessata da un movimento franoso nella notte di Pasqua che ha portato allo sgombero in via Magenta di otto unità immobiliari. I sopralluoghi effettuati hanno evidenziato un'accelerazione della situazione di dissesto del fronte della frana esteso per circa cento metri;

   le criticità idrogeologiche e idrauliche del territorio lucano diventano emergenza e dissesto ogni qualvolta si abbattono piogge e nubifragi violenti e gli abitanti di Stigliano sono rimasti anche isolati a seguito del crollo del viadotto che collega la ex strada provinciale 2 Saurina al centro abitato e per pochi secondi le auto in transito non sono state ingoiate della voragine;

   è quanto mai necessario affrontare, tempestivamente e con il coinvolgimento di tutti i livelli di Governo, il tema del dissesto idrogeologico e, in particolare, degli ingenti danni provocati alle infrastrutture dagli eventi meteorologici, come è accaduto a Stigliano –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative per quanto di competenza, intenda assumere per fronteggiare i fenomeni di dissesto idrogeologico ed evitare il ripetersi di situazioni di rilevante criticità come quelle verificatesi nel territorio del comune di Stigliano, assicurando le risorse e il supporto necessario agli enti locali per la messa in sicurezza dei luoghi e l'incolumità dei cittadini.
(4-12909)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al problema del dissesto idrogeologico in Basilicata, sulla base degli elementi acquisiti presenta quanto segue.
  In primo luogo si premette che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è ben consapevole della situazione grave e complessa che investe il territorio della regione Basilicata, come dimostra l'interesse ad esso rivolto nell'ambito delle recenti programmazioni.
  Infatti, si evidenzia al riguardo che in attuazione a quanto disposto dal Governo con la legge finanziaria 2010 (articolo 2, comma 240, legge n. 191 del 2009), inerente la realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale, in data 14 dicembre 2010 è stato firmato l'accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Basilicata, per il finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico, cui hanno poi fatto seguito un primo atto integrativo in data 14 giugno 2011, un secondo atto integrativo in data 4 agosto 2014 ed un terzo atto integrativo in data 5 dicembre 2016.
  Il numero complessivo di interventi finanziati è di 170 interventi, per un importo di euro 129.475.027,46, tra cui figurano anche i seguenti interventi nel comune di Stigliano (MT): lavori urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico in località Rione Casale e Sant'Antonio (254.113,60 euro); messa in sicurezza del centro abitato (2.000.000,00 euro); messa in sicurezza del centro abitato e dei versanti prospicienti il centro sociale II Stralcio Funzionale (5.000.000,00 euro).
  In particolare, si rappresenta che l'intervento nelle località Rione Casale e Sant'Antonio risulta già concluso, mentre i restanti due interventi sono al momento in fase di attuazione.
  Per quanto riguarda le attuali e le future programmazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, si rappresenta che il Governo ha inteso riunificare in un unico strumento tutte le necessità del territorio, facendole confluire in un unico database, il ReNDiS (repertorio nazionale degli interventi di difesa del suolo).
  La procedura prevede che le regioni, ciascuna per il territorio di rispettiva competenza, inseriscano e validino, attraverso la compilazione di una apposita scheda, le richieste di finanziamento nel sistema citato. Le suddette richieste saranno valutate secondo le procedure, le modalità ed i criteri fissati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, per garantire la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia nell'utilizzo di tali risorse rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  In particolare, si prevede che tale accertamento istruttorio venga effettuato, di volta in volta, non appena risultino disponibili le risorse da destinare per l'avvio delle nuove programmazioni.
  Si rappresenta al riguardo che la regione Basilicata ha al momento segnalato (piano operativo nazionale), nell'ambito del citato database ReNDiS, ai fini di nuove eventuali programmazioni per la rimozione del rischio idrogeologico, n. 457 nuove proposte di intervento validate dalla stessa regione, per un importo totale pari ad euro 1.088.263.787,53. Tra queste, non risultano ad oggi presenti proposte di intervento ricadenti nel comune di Stigliano.
  Al riguardo è opportuno segnalare che attualmente risulta in fase avanzata di definizione l'istruttoria degli interventi da finanziare nell'ambito della linea di azione denominata «Interventi di riduzione del rischio idrogeologico e di erosione costiera» del piano operativo «Interventi per la tutela del territorio e delle acque». Tale linea di azione prevede nel territorio della regione Basilicata il finanziamento di n. 16 interventi, già selezionati tra le proposte di intervento contenute nel citato database ReNDiS e secondo i criteri fissati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, per un importo complessivo pari ad Euro 16.367.847,51.
  In ultimo, va ricordato che il Governo si è di recente attivato per sottoscrivere i «Patti per il Sud», tra cui figura anche quello con la regione Basilicata, già firmato in data 2 maggio 2016.
  Con essi la Presidenza del Consiglio dei ministri ed i rispettivi enti coinvolti condividono la volontà di attuare una strategia di azioni sinergiche e integrate, miranti alla realizzazione degli interventi necessari per la infrastrutturazione del territorio, la realizzazione di nuovi investimenti industriali, la riqualificazione e la reindustrializzazione delle aree industriali, e ogni azione funzionale allo sviluppo economico, produttivo e occupazionale del territorio metropolitano. In questo ambito, tra le linee di sviluppo e le relative aree di intervento previste, figurano anche azioni nel campo delle infrastrutture e dell'ambiente.
  In particolare, il patto con la regione Basilicata identifica interventi prioritari per un importo complessivo pari ad euro 3.829.277.041,00. In tale ambito risulta ricompreso anche un programma di interventi contro il rischio di dissesto idrogeologico: il programma di intervento per la difesa del suolo (euro 440.000.000,00).

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   LO MONTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   da diversi giorni la città di Messina è senza acqua. Una frana ha, infatti, danneggiato la condotta che approvvigiona la città siciliana creando enormi disagi ai cittadini, costretti a rifornirsi alle autobotti;

   la situazione sembrava essere tornata alla normalità quando, l'erogazione dell'acqua è stata interrotta nuovamente per una nuova frana sulla condotta da Fiumefreddo a Calatabiano che porta l'acqua alla città di Messina. La tubazione nei giorni scorsi, dopo che la città era rimasta senz'acqua per oltre una settimana, era stata riparata dai tecnici dell'Amam, ma la frana di Calatabiano è tornata attiva rompendo il tubo dell'acquedotto esattamente dove era stato riparato;

   nella città intanto il rifornimento di acqua potabile avviene con le autobotti e le lunghe code creano non poche difficoltà soprattutto a disabili e anziani, che faticano a trasportare le taniche piene d'acqua. Da giorni, inoltre, le scuole, l'università e gli uffici pubblici, che non hanno un proprio serbatoio idrico, sono chiusi e ci sono stati disagi anche negli ospedali cittadini;

   in questa situazione di drammatica emergenza, da un lato ci sono privati che distribuiscono acqua a pagamento senza averne le autorizzazioni per cui il direttore generale dell'Amam ha invitato i cittadini a segnalare all'azienda queste pratiche «poco ortodosse»; dall'altro lato c'è il prefetto di Messina che viste le difficoltà di coordinamento del comune con una nota fa sapere che: «la Prefettura si è soffermata prioritariamente sulla necessità di una più idonea distribuzione di acqua alla cittadinanza chiedendo alla Protezione Civile Regionale ed al Ministero della Difesa ulteriori dieci autobotti oltre quelle già disponibili .... Sono state ribadite le priorità da tenere presenti nell'ordine della distribuzione, e precisamente: Sicurezza, Sanità, Servizi pubblici essenziali, Carceri, Uffici giudiziari e fasce disagiate della popolazione, senza tralasciare l'esigenza condivisa da tutti di ampliare i punti di distribuzione, coprendo le zone della città meno servite. È stata evidenziata anche la possibilità dell'arrivo di una nave cisterna da Napoli con una portata di acqua pari a circa cinquemila tonnellate da immettere direttamente nelle condotte cittadine»;

   intanto con una nota Ansa, del 29 ottobre, il Presidente del Consiglio definisce «vergognosa» la vicenda. È di ieri poi la decisione di inviare gli uomini della Protezione civile. Così, si legge in una nota di Palazzo Chigi: «Alla luce del verificarsi di nuove criticità nell'erogazione idrica a Messina e del perdurare di pesanti disagi per la cittadinanza, la Presidenza del Consiglio ha disposto l'immediato invio in loco di uomini della Protezione civile nazionale» –:

   quali iniziative urgenti il Governo abbia intenzione di assumere al fine di trovare una soluzione positiva e duratura ai problemi strutturali connessi con il rischio idrogeologico in Sicilia di cui la frana sulla condotta da Fiumefreddo a Calatabiano è solo l'ultima manifestazione in ordine di tempo.
(4-10997)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La prefettura di Messina ha fatto presente che, sabato 24 ottobre 2015, si apprendeva che un tratto della condotta idrica di Fiumefreddo, sita nel comune di Calatabiano in provincia di Catania, che fornisce l'acquedotto della città di Messina, subiva una lesione a causa di un movimento franoso.
  Tale evento comportava la completa interruzione dell'erogazione dell'acqua in tutto il territorio comunale.
  La prefettura veniva prontamente a conoscenza del guasto e contemporaneamente prendeva atto anche dell'intervento tempestivo avviato dai tecnici dell'Amam, l'azienda che, per conto del comune di Messina, gestisce l'approvvigionamento idrico in città. La circostanza veniva portata a conoscenza anche del comune di Messina e della protezione civile regionale. Atteso che nella serata di domenica 25 ottobre la condotta non risultava ancora funzionante, il prefetto si determinava a convocare una riunione per l'indomani per fare il punto della situazione, accertare le criticità e conoscere quali provvedimenti intendeva attuare l'amministrazione comunale per fronteggiare la carenza idrica.
  Nel corso dell'incontro tenuto il 26 ottobre 2015, alla presenza, tra gli altri, dei rappresentanti dell'Amam, si prendeva atto che i lavori di riparazione della condotta sarebbero stati ultimati nell'arco delle successive 48 ore e che non si erano, fino a quel momento, verificate particolari criticità nell'approvvigionamento idrico.
  Il ripristino della condotta, secondo quanto riferito dall'Amam, veniva completato nella mattinata del 28 ottobre ma, nel pomeriggio, si apprendeva dal comune di Messina che la collina di Calatabiano aveva subito ulteriori smottamenti, tali da rendere necessari altri interventi di ripristino che avrebbero posticipato la ripresa dell'erogazione idrica.
  La mattina del 29 ottobre, in considerazione del protrarsi dell'emergenza, il prefetto si determinava ad imprimere una svolta alla vicenda e, a tal fine, attivava in prefettura un'unità di crisi, anche per supportare le attività del comune che, nel frattempo, aveva attivato il Cioc (Centro operativo comunale).
  Nella stessa mattinata il prefetto convocava una riunione tecnica di coordinamento delle forze di polizia, per l'approfondimento degli aspetti di competenza, e, subito dopo, un'ulteriore riunione, nel corso della quale si stabiliva di incrementare i mezzi per la distribuzione idrica, rivelatisi insufficienti per fronteggiare tutte le necessità, con il coinvolgimento, a tal fine, della protezione civile regionale per fornire autobotti in aggiunta a quelle già utilizzate dal comune. Venivano inoltre date indicazioni circa le priorità da tenere presenti nella distribuzione dell'acqua e cioè; sicurezza, sanità, servizi pubblici essenziali, carcere (poi rivelato già approvvigionato) uffici giudiziari e fasce disagiate della popolazione.
  In merito all'approvvigionamento, veniva presa in considerazione la proposta avanzata dall'autorità portuale di richiedere l'intervento di una nave cisterna di proprietà privata della capacità di 5.000 tonnellate. Si individuava infine nell'autoparco municipale.
  Nella serata di domenica 1° novembre il momento critico sembrava superato, risultando che la condotta di Fiumefreddo, opportunamente riparata, aveva raggiunto la portata di circa 800 litri al secondo.
  L'organo cui affidare il compito di gestire e coordinare le operazioni di distribuzione dell'acqua.
  Nel pomeriggio, riscontrate nell'attività del centro operativo comunale, disfunzioni di tipo gestionale-organizzativo che rischiavano di pregiudicare le operazioni di soccorso, il prefetto assumeva le seguenti mirate iniziative:

   a) richiedeva alla protezione civile regionale e all'esercito una congrua disponibilità di autobotti;

   b) chiedeva alla società mercantile Marnavi di Napoli l'invio di una nave cisterna per garantire una sicura disponibilità di acqua da immettere nella rete idrica cittadina i cui costi sono stati presi in carico dalla protezione civile regionale;

   c) incaricava, ad integrazione dell'unità di crisi già costituita in prefettura, il dirigente dell'ispettorato ripartimentale delle foreste di sovrintendere alla redistribuzione delle autobotti e l'ingegnere capo dell'ufficio del genio civile di monitorare i lavori di ripristino della condotta di Fiumefreddo in fase di esecuzione;

   d) convocava i presidenti delle sei circoscrizioni cittadine e li coinvolgeva sia nelle attività di distribuzione dell'acqua che in quelle di indicazione delle necessità emergenti dal territorio.

  Venerdì 30 ottobre il prefetto incaricava il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Messina di monitorare le operazioni di approvvigionamento idrico nella rete cittadina.
  Sabato 31 ottobre giungeva in porto la nave cisterna che svolgeva le proprie operazioni per tutta la giornata del 1° novembre, immettendo nelle condotte cittadine circa 5000 metri cubi di acqua.
  Nel contempo l'Amam comunicava di aver realizzato un
by-pass che, all'occorrenza, avrebbe potuto raccordare l'acquedotto del Fiumefreddo a quello, limitrofo, dell'Alcantara, assicurando così un'ulteriore fonte di approvvigionamento.
  Nella mattinata del 2 novembre 2015 si prendeva atto, secondo quanto riferito dai tecnici della stessa Amam, che non si erano verificati ulteriori smottamenti lungo la collina di Calatabiano, nonostante le piogge battenti del fine settimana, e che l'erogazione dell'acqua stava raggiungendo il massimo della portata.
  L'erogazione idrica poteva considerarsi ripristinata e pertanto l'unità di crisi costituita in prefettura veniva disattivata.
  Veniva comunque ribadita la necessità di procedere in tempi brevi all'ancoraggio della condotta alla roccia ed al risanamento del versante, al fine di evitare il ripetersi dell'inconveniente.
  Nella nottata fra lunedì 2 e martedì 3 novembre, anche a causa di ulteriori movimenti del fronte franoso, si verificava una nuova rottura della condotta nel medesimo punto con conseguente interruzione della fornitura idrica alla città.
  Risultava, pertanto, indefettibile l'attuazione in tempi rapidissimi delle opere di consolidamento della collina e di ancoraggio della condotta stessa.
  Nel corso di una nuova riunione convocata in prefettura nella mattinata di martedì 3 novembre, emergeva la gravità dello smottamento che aveva interessato la condotta idrica.
  Il prefetto ripristinava l'unità di crisi e disponeva la ripresa delle attività di pianificazione della distribuzione dell'acqua alla popolazione a mezzo di autobotti, riproponendo le priorità già stabilite ed aggiungendovi la irrinunciabile necessità di provvedere all'approvvigionamento delle scuole.
  L'Amam comunicava che entro la serata del 3 novembre sarebbe stato collettato il
bypass Fiumefreddo-Alcantara che avrebbe consentito di immettere in condotta circa 300 litri al secondo. Il raccordo veniva posto in funzione intorno le ore 21.00.
  Nel contempo il prefetto disponeva il potenziamento dell'approvvigionamento a mezzo autobotti, anche in considerazione del fatto che le parti alte della città risultavano ancora non rifornite di acqua. Tali zone venivano presto raggiunte da circa 20 autobotti.
  Nella serata si teneva un'altra riunione operativa con la presenza del presidente della regione Siciliana, del sindaco di Messina e dei capi dipartimenti di protezione civile nazionale e regionale.
  Venivano assunte decisioni operative che possono sintetizzarsi nell'attivazione di due gruppi di lavoro, uno con sede al comune di Calatabiano per la problematica della riparazione della condotta e del risanamento del costone e l'altro con sede a Messina per la questione relativa all'approvvigionamento e la distribuzione delle risorse idriche.
  Nella giornata di mercoledì 4 novembre il prefetto presiedeva un'ulteriore riunione tecnica interforze con l'unico argomento all'ordine del giorno «Messina. Emergenza idrica. Pianificazione interventi operativi».
  Nella mattinata del 5 novembre 2015 giungeva un'altra nave cisterna della Marnavi, richiesta dalla prefettura il giorno precedente, della capacità di 5.450 metri cubi.
  Nel corso di un'ulteriore riunione tenuta in Prefettura nel pomeriggio, si assumevano le seguenti decisioni:

   chiedere alla Marina Militare l'arrivo di una ulteriore nave cisterna proveniente dal porto di Augusta (Siracusa), della capacità di 1200 tonnellate;

   aderire all'offerta pervenuta da due società di inviare gratuitamente due serbatoi di acqua non potabile della capacità di circa 29 mila litri ciascuno;

   aderire all'offerta di tre società di inviare gratuitamente un rilevante quantitativo di acqua minerale;

   acquistare dieci cisterne con rubinetti multipli da posizionare in punti strategici, adeguatamente protetti, della città per un più agevole approvvigionamento idrico della popolazione.

  Proseguivano, nel contempo, le riunioni tecniche per vagliare le soluzioni al danno della condotta, ormai strettamente in rapporto con il consolidamento della collina di Calatabiano.
  Intervenivano, su disposizione del Ministro per la difesa, anche il IV reggimento del genio guastatori di Palermo e del VI reggimento del genio militare di Roma allo scopo di eseguire, tra l'altro, lavori di consolidamento delle vie di accesso alla collina interessata dalla frana, propedeutici ai necessari interventi di messa in sicurezza del costone.
  In merito alle attività sulla collina di Calatabiano, infatti, emergevano alcune serie criticità inerenti il ripristino della condotta danneggiata atteso che il fronte franoso continua a muoversi.
  Ciò rendeva difficoltosa anche l'esecuzione degli interventi, proposti dall'Amam, di realizzazione di un ulteriore
by-pass alla condotta danneggiata del Fiumefreddo, utilizzando materiale duttile resistente alla pressione della frana.
  Tale nuovo raccordo avrebbe potuto consentire il ripristino di oltre il 50 per cento della portata della condotta.
  Il prefetto, in proposito, dava incarico all'Amam di predispone un progetto per la realizzazione di tale
by-pass, al fine di fornire al tavolo tecnico che si sarebbe tenuto il giorno 8, notizie certe sui tempi di realizzazione. Si stabiliva inoltre di effettuare quotidiane verifiche sugli avanzamenti di tale attività progettuale.
  Veniva, nel contempo, formalizzata dalla prefettura precisa richiesta al comando II Fod di San Giorgio a Cremano (Napoli) per l'impiego delle risorse del genio militare per la realizzazione dei lavori di consolidamento delle vie d'accesso alla collina interessata dalla frana.
  Per supportare i tecnici dell'Amam, il prefetto si determinava, altresì, a chiedere al Rettore dell'Università di Messina di individuare, tra il corpo docente, figure professionali idonee.
  Ciò anche in considerazione della riscontrata carenza da parte dell'azienda erogatrice delle progettualità necessarie al ripristino della condotta danneggiata e data la riscontrata mancanza della necessaria mappatura della rete idrica cittadina, indispensabile ai fini di una più razionale ed equa distribuzione dell'acqua. Infatti, interi quartieri posti nelle zone collinari, continuavano, dall'inizio della crisi, a subire l'assoluta mancanza di fornitura idrica.
  Nella mattinata del 6 novembre, il prefetto, preso atto di talune distonie emergenti in sede di Coc, in ragione delle quali si configurava un'esigenza di maggiore raccordo tra le varie componenti al fine di una più incisiva efficacia delle attività poste in essere, disponeva per la presenza, fino a cessate esigenze, di un viceprefetto presso il citato Coc cui avrebbero dovuto far capo le varie componenti operative, anche in considerazione delle esigenze connesse all'ordine ed alla sicurezza pubblica.
  Arrivava nella mattinata il primo serbatoio da 29 mila litri, che veniva posizionato nella zona nord della città, ove non arrivava ancora l'acqua corrente; l'altro sarebbe giunto in serata.
  L'erogazione idrica a mezzo di autobotti avveniva con regolarità secondo le priorità concordate in seno all'unità di crisi, raggiungendo ospedali, case di cura e/o di riposo, uffici pubblici e scuole e attenzionando anche richieste pervenute dai singoli cittadini in particolare sofferenza.
  La distribuzione idrica alla popolazione avveniva, invece, mediante undici punti di approvvigionamento, mentre per i cittadini disabili l'acqua ad uso potabile veniva fornita mediante un servizio porta a porta con l'ausilio di autobotte.
  Permanevano, in ogni caso, diverse criticità, soprattutto nelle zone alte della città che, solo in parte, erano alimentate dall'acqua proveniente dalla sorgente denominata «Santissima» con un flusso idrico di 200 litri al secondo.
  Per incrementare la fornitura, il dipartimento regionale di protezione civile attivava ulteriori sei autobotti e reperiva venti serbatoi da 400 litri ciascuno da ripartire nelle circoscrizioni comunali.
  Nel corso di una riunione ristretta tenuta nel pomeriggio dello stesso 6 novembre, alla presenza del presidente della regione Siciliana, il capo del dipartimento nazionale di protezione civile riferiva che il Consiglio dei ministri in pari data aveva approvato la dichiarazione dello stato di emergenza per contrastare i danni causati dal grave movimento franoso che si era verificato nel comune di Calatabiano il 24 ottobre ed il conseguente danneggiamento dell'acquedotto Fiumefreddo, demandando al citato dipartimento la gestione dell'emergenza.
  Lo stesso capo dipartimento, nel contempo, anticipava di aver individuato nel capo del dipartimento regionale di protezione civile la figura del commissario dotato di poteri straordinari per gestire l'emergenza e che la struttura commissariale avrebbe avuto sede presso l'ufficio messinese del dipartimento regionale.
  Ancora nella mattinata del 7 novembre, su richiesta del dipartimento nazionale di protezione civile si è tenuta in prefettura una riunione cui hanno partecipato, oltre al funzionario del citato dipartimento, anche rappresentanti della Marina militare e della locale capitaneria di porto, al fine di pianificare e razionalizzare il contributo delle navi-cisterna alla crisi idrica.
  Con decorrenza 8 novembre, il prefetto, con l'entrata a regime della struttura commissariale, ha ripreso le ordinarie funzioni di coordinamento e raccordo, anche in relazione allo stato di emergenza, ed ha disattivato la struttura straordinaria denominata «unità di crisi», facendo altresì venir meno, conseguentemente, la vigenza dei provvedimenti straordinari adottati nella prima fase dell'emergenza.
  A quanto fin qui esposto si aggiunga che, in attuazione della legge di stabilità 2015 (articolo 1) comma 703, legge n. 190 del 23 dicembre 2014), che ha definito le nuove procedure di programmazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2014-2020 e della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (articolo 1, comma 6), la quale prevede che il complesso delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo di programmazione 2014-2020 sia destinato a sostenere esclusivamente interventi per lo sviluppo, anche di natura ambientale, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha sottoscritto, il 22 ottobre 2016, con la città metropolitana di Messina il «patto per lo sviluppo della città metropolitana di Messina».
  Il patto, sopra menzionato, è finalizzato all'attuazione degli interventi prioritari e all'individuazione delle aree di intervento strategiche per il territorio della città metropolitana di Messina.
  Negli allegati al patto risultano individuate n. 6 aree d'intervento strategico per un costo complessivo euro 777.889.686,80, in particolare per «l'area d'intervento ambiente» il costo totale interventi è pari a euro 114.601.443,47 (articolo 3, comma 2, del patto).
  Nella scheda allegata al patto, tra gli interventi strategici riportati «nel settore prioritario ambiente» è presente anche il seguente intervento: «mitigazione delle vulnerabilità dell'acquedotto Fiumefreddo – interventi sui versanti», nel comune, di Messina, per un importo pari a euro 2.890.000,00, che sarà finanziato a valere sui fondi Por Fesr Sicilia 2014-2020, così come indicato nella scheda.
  Per quanto riguarda le competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, risulta finanziato, con accordo di programma firmato il 30 marzo 2010, un intervento di «opere di regimazione idraulica e consolidamento versanti Lapide - Pasteria», ricadente nel comune di Calatabiano, per un importo pari a euro 250.000,00. Tale intervento, dalle informazioni presenti su ReNDiS, risulta ultimato.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà comunque, per quanto di competenza, a tenersi informato ed a svolgere la propria attività di monitoraggio, mantenendo alta l'attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   LOREFICE, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, MANTERO, NESCI e DI VITA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il decreto 7 dicembre 2016 del Ministero dello sviluppo economico, recante «Disciplinare tipo per il rilascio e l'esercizio dei titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale», pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 78 del 3 aprile 2017, prevede la possibilità per le compagnie petrolifere di modificare il programma lavori originariamente approvato al momento del rilascio di una concessione;

   al capo III, articolo 15, comma 1, del suddetto decreto si legge «Fermo restando il divieto di conferimento di nuovi titoli minerari nelle aree marine e costiere protette e nelle 12 miglia dal perimetro esterno di tali aree e dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale, ai sensi dell'articolo 6 comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dall'articolo 1 comma 239, della legge n. 208 del 2015, sono consentite, nelle predette aree, le attività da svolgere nell'ambito dei titoli abilitativi già rilasciati, anche apportando modifiche al programma dei lavori originariamente approvato,...»;

   di fatto, con la possibilità di poter modificare il programma dei lavori originariamente approvato, sarà data la possibilità di realizzare nuove trivellazioni, nuovi pozzi e nuove piattaforme anche nelle aree vietate ricadenti entro le 12 miglia marine, eludendo in tal modo il divieto di legge;

   la normativa attuale prevede che, entro le 12 miglia marine, sia possibile solo continuare ad estrarre con i pozzi esistenti e portare a termine il programma lavori;

   l'articolo 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 (richiamato all'articolo 15 del suddetto decreto) fa salvi i titoli abilitativi già rilasciati per la durata di vita utile del giacimento, tuttavia non prevede modifiche al programma lavori originariamente approvato, ma solo mere «attività di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale»;

   di certo, il comma dell'articolo sopracitato (comma 239 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015) non avrebbe potuto prevedere alcuna modifica al programma dei lavori, in quanto sarebbe entrato in conflitto con le precedenti e ancora vigenti normative in tema di rilascio di proroghe;

   è bene rammentare l'articolo 18 della legge 11 gennaio 1957, n. 6: «il concessionario ha diritto ad una proroga di dieci anni se ha eseguito interamente il programma di coltivazione e se ha adempiuto a tutti gli altri obblighi derivanti dalla concessione». Al comma 8 dell'articolo 9 della legge n. 9 del 1991 ed al comma 1 dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 625 del 1996 sono previste proroghe per la coltivazione e la ricerca di idrocarburi;

   il decreto appena emanato pare secondo l'interrogante in contrasto con le leggi sopra citate in quanto concederebbe la possibilità di «apportare modifiche al programma dei lavori originariamente approvato con decreto», pertanto, pare presentare dei profili di illegittimità in quanto in contrasto con le sopracitate norme di rango primario che non prevedono tali modifiche;

   lo stesso decreto del 7 dicembre 2016 sopra richiamato, all'articolo 3, comma 6, (rilascio titoli minerari, durata, proroghe), ricordando gli stessi articoli di due delle tre norme prima menzionate e dichiarando che devono essere soddisfatte le condizioni di tali articoli, reca disposizioni che si pongano, secondo l'interrogante, in contraddizione con l'articolo 15 del decreto –:

   se non ritenga di prendere in considerazione l'ipotesi di modificare o ritirare il decreto appena emanato alla luce delle contraddizioni sopra riportate, dei profili di perlomeno dubbia legittimità sopra evidenziati, alla luce delle norme di carattere primario e della possibili conseguenze che l'atto può avere e sui mari italiani e sui rapporti tra Stato e regioni.
(4-16667)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha ripristinato il limite delle 12 miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere in mare. La disposizione stabilisce che i titoli abilitativi già rilasciati siano fatti salvi dall'estensione del limite alle 12 miglia per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. La norma ha vietato nuove attività di trivellazione entro le 12 miglia (20 chilometri) salvaguardando così le vocazioni proprie delle coste italiane e non vanificando gli investimenti messi in atto da soggetti pubblici e privati, a volte molto consistenti, per lo sviluppo e la promozione del turismo.
  Con riferimento alla predetta normativa, il 17 aprile 2016 si è tenuto il referendum per decidere se abrogare o meno la parte della disposizione che permette a chi ha già ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa, di poter rinnovare la concessione fino all'esaurimento del giacimento, che ha avuto esito negativo per il mancato raggiungimento del quorum.
  Per quanto concerne, invece, il nuovo disciplinare tipo contenuto nel decreto 7 dicembre 2016 del Ministero dello sviluppo economico, secondo quanto riferito dal predetto ministero, lo stesso è stato redatto in ottemperanza a due fondamentali novità normative:

   la ridefinizione delle competenze tra la direzione generale per la sicurezza dell'approvvigionamento e le infrastrutture energetiche (DGSAIE) e direzione generale per la sicurezza anche ambientale delle attività minerarie ed energetiche-Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (DGS-UNMIG) ovvero tra licensing e competent author, come indicato dalla nuova normativa europea in materia;

   l'articolo 1, commi da 239 a 242, della legge di stabilità 2016.

  Il Ministero dello sviluppo economico ha, altresì, sottolineato che non sono contemplate, nell'ambito di titoli già conferiti, nuove attività di ricerca per l'individuazione di giacimenti diversi da quelli in coltivazione indicati nei decreti di approvazione dei programmi di sviluppo, come si evince dalla lettura dell'articolo 15 del decreto ministeriale, laddove si specifica che le uniche fattispecie di attività contemplate, anche in caso di modifica di programmi, sono quelle «funzionali a garantire l'esercizio (degli impianti) nonché consentire il recupero delle riserve accertate».
  Non risulta dunque prevista alcuna nuova apertura, ma esclusivamente la regolamentazione delle procedure da seguire in tutti quei casi in cui l'operatore, per sopraggiunte modifiche di comportamento del giacimento o dei piani, per l'esigenza di adeguare le tecnologie impiantistiche alle
best practices europee in continua evoluzione, e per modificare o rimuovere parti d'impianti o intere piattaforme, debba necessariamente ottenere dall'amministrazione le relative autorizzazioni, da rilasciare previa valutazione d'impatto ambientale.
  Coerentemente con l'indirizzo espresso nel decreto ministeriale 7 dicembre 2016 saranno poi dettagliate le operazioni ed attività di cui si tratta nelle apposite procedure esecutive messe a punto dalle due citate direzioni competenti.
  Conseguentemente, attraverso le nuove descritte procedure, le sole attività finalizzate al completamento della produzione dei giacenti già in coltivazione potranno essere autorizzate, previa istruttoria ministeriale, Via ed esame da parte del nuovo organo preposto alla sicurezza offshore (art. 8 decreto legislativo 145 del 2015 - designazione dell'autorità competente).
  Si evidenzia, inoltre, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale (Via) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici comunque coinvolti da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Si evidenzia altresì che i provvedimenti di compatibilità ambientale relativi alle attività di prospezione geofisica di determinate aree in mare sono preliminari rispetto ad eventuali attività di ricerca e produzione di idrocarburi, che potranno essere realizzate in futuro previe ulteriori e distinte valutazioni di impatto ambientale: le prospezioni vagliate con esito positivo nel procedimento Via, e non ancora autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico, mirano infatti a stabilire se in determinate aree siano presenti idrocarburi e in quale quantità, con lo studio preliminare della struttura geologica del sottosuolo, mediante l'emissione di onde acustiche rivolte verso il fondale e prodotte al largo, al fine di acquisire dati ed elementi utili per l'eventuale successiva fase di ricerca.
  In tale fase di prospezione non è prevista alcuna installazione di piattaforme, che potranno eventualmente essere allocate solo a seguito di riscontri positivi delle prospezioni medesime e, comunque, dopo diversi anni, previa nuova valutazione di impatto ambientale e ulteriore diversa autorizzazione da parte del Ministero dello sviluppo economico.
  In relazione al coinvolgimento delle istituzioni locali, si precisa che, ai fini autorizzativi delle istanze di rilascio di titoli minerari in mare, è prevista l'intesa con la regione o le regioni interessate. Infatti, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'ambito della procedura di Via sono valutate e considerate tutte le osservazioni pervenute sia da parte dei privati cittadini che da parte delle amministrazioni coinvolte: tale valutazione è debitamente riportata nei provvedimenti di compatibilità ambientale del ministero con le eventuali controdeduzioni e prescrizioni.
  Con l'intervento normativo effettuato con il decreto-legge «Sblocca Italia» si è inteso favorire lo sviluppo delle risorse energetiche nazionali, introducendo misure che garantiscano la ripresa delle attività produttive e la razionalizzazione delle procedure burocratiche, senza modificare alcunché in termini di partecipazione del territorio ai procedimenti di rilascio dei titoli minerari. Per il conferimento di tali titoli, compreso il titolo concessorio unico, è prevista, infatti, l'acquisizione dell'intesa regionale e la partecipazione di tutti gli enti locali interessati che continuano ad essere coinvolti nell'ambito dell'endoprocedimento di Via, potendo prendere visione del progetto e manifestare i propri pareri.
  Con la legge di stabilità 2016 sono state tuttavia apportate delle modifiche alla normativa vigente in materia, senza alterare, anche in questo caso, la posizione degli enti locali: è stato riscritto l'articolo 38 del decreto «Sblocca Italia», eliminando il carattere strategico, urgente ed indifferibile delle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, mantenendo per queste soltanto la pubblica utilità, ed è stato inoltre eliminato il piano delle aree; è stato altresì modificato in senso più restrittivo l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, limitando ulteriormente lo svolgimento delle attività minerarie in mare.
  Ad ogni modo, la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Si evidenzia, inoltre, che dopo l'incidente del 2010 nel golfo del Messico, gli Stati membri della Comunità europea hanno dato avvio a una revisione delle politiche dell'Unione volte a garantire la sicurezza delle operazioni relative al settore degli idrocarburi.
  Con l'emanazione della direttiva 2013/30/UE è stato avviato un processo per ridurre, per quanto possibile, il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e di limitarne le conseguenze, aumentando così la protezione dell'ambiente marino e delle economie costiere dall'inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, limitando possibili interruzioni della produzione energetica interna dell'Unione e migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente.
  Riducendo il rischio di inquinamento marino, la direttiva assicurerà la protezione dell'ambiente marino e in particolare il raggiungimento o il mantenimento di un buono stato ecologico al più tardi entro il 2020, obiettivo stabilito nella direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino).
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli Interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 4 luglio 2017 il Ministro degli esteri e della cooperazione internazionale ha annunciato di essere impegnato nel tentativo di portare in Italia il piccolo Charlie, il bimbo britannico affetto da una rara e incurabile forma di mitocondriopatia;

   il 5 luglio, nel corso di un colloquio telefonico, il Ministro degli esteri britannico Johnson ha respinto la richiesta del Ministro Alfano, spiegando che «ragioni legali» impediscono alla Gran Bretagna di accoglierla:

   da tempo il piccolo Charlie è mantenuto in vita artificialmente e, dopo aver tentato diverse terapie per tentare di migliorare le sue condizioni, recentemente i medici del Great Ormond Street Hospital di Londra hanno deciso di interrompere i supporti vitali per evitare al bimbo ulteriori e dolorosi peggioramenti;

   sia la Corte suprema del Regno Unito, sia in seguito la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu), hanno respinto l'appello presentato dai genitori di Charlie per consentire di portare il loro figlio negli Stati Uniti. Entrambe le Corti hanno confermato le valutazioni dei medici secondo le quali il viaggio e il prolungarsi del supporto vitale avrebbero solo causato altre sofferenze al bambino e non avrebbero portato a realistiche possibilità di miglioramento delle sue condizioni;

   l'intervento del Ministro degli esteri italiano è seguito alla disponibilità dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ad accogliere il piccolo e la sua famiglia per provare un trattamento sperimentale per il piccolo Charlie e, al pieno sostegno dato dal Papa ai genitori. Secondo il segretario di Stato Vaticano, il cardinal Pietro Parolin, «la Santa Sede farà il possibile per superare gli ostacoli legali che non consentono il trasferimento del piccolo Charlie [...] al Bambino Gesù»;

   a giudizio degli interroganti la posizione del Ministro Alfano, che è vicina a quella del Vaticano sulla triste vicenda disattende il principio della laicità dello Stato, posto dall'articolo 7 della Costituzione;

   si rileva inoltre che, nell'ottobre 2014, quando lo stesso ricopriva l'incarico di Ministro dell'interno, inviò una circolare ai prefetti, affinché invitassero formalmente i sindaci a cancellare le trascrizioni dei matrimoni celebrati all'estero tra persone dello stesso sesso. In seguito il Consiglio di Stato dichiarò illegittime quelle cancellazioni –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa;

   quale sia la posizione del Governo in relazione alle vicende di cui in premesse, in particolare al seguito del rifiuto delle autorità britanniche di consentire il trasferimento in Italia del piccolo Charlie;

   se il Governo intenda rendere noto quali iniziative avrebbe intrapreso il nostro Paese in caso di risposta positiva da parte della Gran Bretagna;

   se il Governo italiano e le autorità dello Stato della Città del Vaticano abbiano concordato iniziative comuni in relazione al caso del minore sopra richiamato.
(4-17236)

  Risposta. — La tutela e la promozione dei diritti dei bambini sono una priorità nell'azione dell'Italia a livello internazionale in materia di diritti umani. I bambini sono una delle categorie maggiormente vulnerabili e perciò la loro tutela necessita un forte impegno da parte della comunità internazionale.
  In quest'ottica, l'Italia è impegnata a livello internazionale anche per garantire a ogni fanciullo il diritto inerente alla vita, a godere del miglior stato di salute possibile e a beneficiare di servizi medici, in linea con quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata dall'Italia nel 1991.
  Ciò premesso, nel corso del colloquio telefonico, del 5 luglio 2017 con il
foreign secretary Boris Johnson, il Ministro aveva informato l'omologo britannico delle istruzioni date alla nostra ambasciata a Londra affinché segnalasse al «Great Ormond Street hospital» la disponibilità dell'ospedale Bambin Gesù di Roma ad accogliere il piccolo Charlie. Pur consapevole dei vincoli legali derivanti dalle pronunce dell'Alta Corte britannica circa la non trasferibilità del piccolo presso altre strutture, il Ministro aveva fatto presente che la struttura sanitaria italiana sarebbe stata pronta ad accoglierlo subito.
  Da parte sua, nell'esprimere estrema gratitudine per l'interesse dimostrato dall'Italia sulla questione e per la generosa offerta di accogliere il piccolo Charlie, il
foreign secretary Johnson confermò in quell'occasione che la decisione degli indici e dei giudici – nei quali riponeva piena fiducia – era stata presa nell'interesse del bambino.
  Tali sentimenti di gratitudine sono stati ribaditi dal
foreign secretary Johnson al Ministro Alfano in occasione dell'incontro bilaterale svoltosi a margine del Vertice di Trieste il 12 luglio 2017.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Vincenzo Amendola.


   MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il 31 maggio 2012 la Commissione europea ha inviato un parere motivato all'Italia in merito alla procedura 2011-4021, dove si legge: «quand'anche le previste unità di trito – vagliatura da istallare presso la discarica di Malagrotta fossero nel frattempo entrate in funzione, esse, secondo quanto indicato nella suddetta nota della Regione Lazio del 2 marzo 2011, consentono di tritare i rifiuti e di recuperare metalli ferrosi prima della collocazione dei rifiuti stessi in discarica. Poiché tale trattamento non comprende un'adeguata selezione delle diverse frazione dei rifiuti e la stabilizzazione della frazione organica, esso, pur rappresentando un miglioramento, non varrebbe a soddisfare l'obbligo di pre-trattamento previsto dall'articolo 6 comma a), della direttiva 1999/31/CE come interpretato dalla Commissione». Tale interpretazione, il 15 ottobre 2014, diventa diritto attraverso la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea nella causa no C-323/13;

   il 6 agosto 2013, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Andrea Orlando, in relazione al punto di cui sopra, ha inviato una circolare indirizzata a tutte le regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, chiarendo quali siano le attività di trattamento alle quali devono essere sottoposti i rifiuti urbani per poter essere ammessi e smaltiti in discarica. Con questa circolare – ha commentato il Ministro Orlando – viene definitivamente chiarito quali sono i trattamenti necessari per il conferimento dei rifiuti in discarica dove non potrà arrivare mai più il cosiddetto «tal quale», anche se sottoposto a trito-vagliatura;

   per quanto riguarda i rifiuti solidali urbani che subiscono trattamento il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 27 settembre 2010 – recante definizione dei criteri di ammissibilità in discarica (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 281 del 1o dicembre 2010) aggiornato con il decreto ministeriale del 24 giugno 2015 – ne riporta la possibilità di smaltimento in discarica come previsto dall'articolo 6, tabella 5, lettera g), come i «rifiuti derivanti dal trattamento meccanico biologico dei rifiuti urbani, individuati dai codici 190501, 190503, 190604, 190606 purché sia garantita la conformità con quanto previsto dai Programmi regionali di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 36/2003 e presentino un indice di respirazione dinamico (determinato secondo la norma UNI/TS 11184) non superiore a 1000 mgO2/kgSVh)»;

   il direttore generale di Arpa Lazio, Marco Lupo, dinanzi alla Commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, nell'audizione del 13 ottobre 2016, ha dichiarato: «Una seconda tipologia di controllo straordinario che abbiamo avviato sempre su richiesta della regione Lazio dai primi del mese di agosto riguarda invece la funzionalità e l'efficacia dei trattamenti attuati dagli impianti di trattamento meccanico-biologico di tutta la regione. [..] È chiaro che questa è una verifica più complessa, perché necessita non solo di sopralluoghi e verifiche documentali, ma anche di verifiche analitiche e laboratoristiche, quindi richiederà tempi più lunghi, però posso anticiparvi che laddove abbiamo effettuato controlli anche parziali sono state riscontrate criticità relative all'indice respirometrico dinamico potenziale raggiunto dal trattamento, che non rispetta quello della normativa per l'ammissibilità dei rifiuti in discarica. Sapete che l'indice respirometrico dovrebbe essere al di sotto di 1.000, mentre noi abbiamo rilevato valori anche superiori a 4.000» –:

   se i rifiuti speciali – con codici CER 191212, 190501, 190503 – smaltiti presso le discariche italiane abbiano un indice di respirazione dinamico non superiore a 1000 mgO2/kgSVh così come previsto dal decreto ministeriale 27 settembre 2010 e successive modificazioni e integrazioni;

   se non ritenga opportuno avviare un'indagine ministeriale che riguardi tutte le discariche italiane al fine di accertarsi che, dopo il trattamento, i rifiuti solidi urbani conseguano un indice respirometrico dinamico non superiore a 1000 mgO2/kgSVh.
(4-16936)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dall'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente si ritiene utile fornire alcuni elementi sugli aspetti normativi.
  Con la sentenza del 15 ottobre 2014, nella causa C-323/13 Commissione europea contro Repubblica italiana, la Corte di giustizia europea ha evidenziato che l'Italia non aveva rispettato la normativa comunitaria sui rifiuti nella misura in cui:

   a) non aveva adottato tutte le misure necessarie per evitare che i rifiuti urbani venissero discaricati senza essere stati sottoposti a trattamenti, inclusa un'adeguata selezione dei diversi flussi di rifiuti e la stabilizzazione della loro frazione organica; e

   b) non aveva stabilito, in una delle sue regioni, una rete integrata e adeguata di impianti di gestione dei rifiuti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili.

  Si evidenzia che la definizione di «trattamento» ha una accezione diversa nella direttiva quadro sui rifiuti (direttiva 2008/98/CE) rispetto a quella della direttiva sulle discariche (direttiva 99/31/CE). Infatti nell'ambito della direttiva quadro sui rifiuti, il concetto di trattamento comprende tutte le operazioni di recupero e smaltimento dei rifiuti, mentre nell'ambito della direttiva sulle discariche si intende solo il pretrattamento dei rifiuti prima della discarica.
  L'analisi dei dati Ispra, relativi alla gestione dei rifiuti urbani nel 2015, ha evidenziato l'aumento della percentuale di rifiuti sottoposti a trattamento prima dello smaltimento in discarica, passata dal 70 per cento del 2014 a circa l'86 per cento del 2015; tuttavia, nonostante il divieto imposto dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 36 del 2003, ancora nel 2015, 1,1 milioni di tonnellate di rifiuti sono state allocate in discarica senza il preventivo ed idoneo trattamento.
  Al riguardo, la circolare del 6 agosto 2013 del Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare, ha chiarito che «... la trito vagliatura, pur rappresentando un miglioramento della gestione dei rifiuti indifferenziati, non soddisfa, da sola, l'obbligo di trattamento previsto dall'articolo 6, lettera
a) della direttiva 1999/31/CE. Tale obbligo, previsto dall'ordinamento nazionale – articolo 7, comma 1, del decreto legislativo n. 36 del 2003 – deve necessariamente includere un'adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti e la stabilizzazione della frazione organica ...».
  La circolare ha chiarito altresì che «... le operazioni e i processi che soddisfano i requisiti minimi per rispettare il vincolo del conferimento in discarica dei soli rifiuti trattati sono il trattamento effettuato mediante tecnologie più o meno complesse come ad esempio la bioessiccazione e la digestione anaerobica previa selezione, il trattamento meccanico biologico e l'incenerimento con recupero di calore e/o energia ...».
  L'articolo n. 48 della legge 28 dicembre 2015 n. 221 «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di
green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali» prevede che all'articolo 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 «Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti», sia aggiunto il seguente periodo: «L'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale individua, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i criteri tecnici da applicare per stabilire quando il trattamento non è necessario ai predetti fini.».
  L'Ispra è stata chiamata, dunque, a stabilire i criteri tecnici da applicare per consentire ai rifiuti di essere ammessi in discarica senza il necessario trattamento preliminare previsto dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 36 del 2003. Infatti, l'articolo 7 comma 1 stabilisce che «... i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento. Tale disposizione non si applica:

   a) ai rifiuti inerti il cui trattamento non sia tecnicamente fattibile;

   b) ai rifiuti il cui trattamento non contribuisce al raggiungimento delle finalità di cui all'articolo 1, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e l'ambiente, e non risulta indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente. L'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale individua, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i criteri tecnici da applicare per stabilire quando il trattamento non è necessario ai predetti fini ...».

  Nel dicembre 2017 i criteri tecnici predisposti da Ispra, ai sensi dell'articolo n. 48 della legge 28 dicembre 2015 n. 221, sono stati pubblicati sul sito dell'istituto (Ispra n. 145 del 2016).
  Successivamente alla pubblicazione dei criteri di Ispra, il Ministero dell'ambiente ha emanato la circolare n. 5672 del 21 aprile 2017, fornendo chiarimenti circa la natura giuridica dei suddetti ed i loro rapporti con il decreto ministeriale 27 settembre 2010, ex articolo 7, comma 5, del decreto legislativo n. 36 del 2003.
  In particolare, il Ministero ha evidenziato che «... i criteri tecnici definiti da ISPRA riguardano — in base alla disposizione legislativa che i medesimi sono chiamati ad applicare esclusivamente il conferimento di rifiuti senza trattamento preliminare. Di talché quand'anche i medesimi facciano riferimento a parametri discordanti rispetto a quelli del dm 27 settembre 2010, non può ravvisarsi per ciò solo contrasto con quest'ultimo, che invece riguarda il conferimento di rifiuti a seguito di trattamento preliminare. Si tratta, dunque, di due atti destinati ad avere campi di applicazione differenti ...».
  Detti criteri tecnici, per essere efficaci nell'ordinamento, dovranno essere recepiti mediante un decreto ministeriale che consideri l'opportunità di predisporre una adeguata normativa transitoria al fine di consentire gli adeguamenti amministrativi e infrastrutturali che si rendessero necessari per gli operatori.
  Una volta attuati tali criteri attraverso la revisione del decreto ministeriale 27 settembre 2010, si osserverà sicuramente una riduzione sostanziale dello smaltimento in discarica dei rifiuti biodegradabili.
  In merito a quanto segnalato dall'interrogante circa la possibilità di smaltire i rifiuti identificati dai codici dell'elenco europeo dei rifiuti 191212, 190501 e 190503 si precisa quanto segue.
  Si premette che il parametro corretto per la misura della stabilità biologica di un rifiuto, ovvero del grado di decomposizione della sostanza organica a più alta degradabilità, è l'indice di respirazione dinamico potenziale (Irdp). Nelle linee guida per l'identificazione e l'utilizzazione delle migliori tecniche disponibili per gli impianti di trattamento meccanico biologico, di cui al decreto ministeriale 29 gennaio 2007, l'Irdp, posto pari a 1.000 mg O2*kg SV-1*h-1 a fine fase di biossidazione attiva e a 700 mg O2*kg SV-1*h-1 al termine della fase di maturazione, è utilizzato come misura della degradazione della sostanza organica.
  Valori superiori evidenziano, infatti, la necessità di completare il trattamento della frazione umida sottoponendola ad un più efficace processo di stabilizzazione al fine di portare il valore dell'Irdp al disotto dei limiti sopra indicati.
  Il trattamento dei rifiuti da allocare in discarica dovrà, pertanto, essere finalizzato alla riduzione del contenuto della sostanza organica attraverso processi di biostabilizzazione mediante mineralizzazione delle componenti organiche, come nel caso dei processi di tipo aerobico, o alla stabilizzazione del substrato organico attraverso i processi di idrolisi metanogenesi e acidogenesi, come nel caso dei trattamenti di tipo anaerobico.
  Per i rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani, i criteri Ispra individuano, infatti, L'Irdp quale parametro utile a garantire l'avvenuta stabilizzazione dei rifiuti biodegradabili e di conseguenza la possibilità di essere allocati in discarica.
  Un Irdp superiore a 1.000 mg 02*kg SV-1*h-1, indica ancora la presenza di caratteristiche di biodegradabilità e putrescibilità che, in caso di allocazione in discarica, potrebbero compromettere il raggiungimento delle finalità del decreto legislativo n. 36 del 2003, con particolare riguardo alla riduzione delle emissioni climalteranti, nonché degli impatti sul suolo e sulla falda a seguito del rilascio di percolati.
  Ciò premesso, si evidenzia che la rilevanza istituzionale delle questioni attinenti la regione Lazio e il comune di Roma capitale, e l'esistenza della procedura di infrazione comunitaria 2011/4021 — Causa C — 323/13, hanno reso necessario l'intervento di questo Dicastero per il superamento delle criticità.
  A seguito delle problematiche occorse nell'estate 2016 nel Lazio ed in particolar modo a Roma, questo Dicastero, nell'ambito delle competenze attribuite in merito alla vigilanza sulla corretta applicazione delle norme comunitarie e nazionali sul ciclo dei rifiuti, ha provveduto – con nota prot. 11681 del 2 agosto 2016 – a richiedere agli uffici regionali competenti i dovuti e necessari controlli sull'impiantistica regionale, con il supporto di Arpa Lazio.
  Con nota prot. 412319 del 4 agosto 2016, la regione Lazio ha riscontrato la richiesta di questo Dicastero, rappresentando di aver richiesto ad Arpa Lazio di procedere ad una verifica degli impianti al fine di predisporre la richiesta relazione riepilogativa.
  Ai fini dell'esaustività delle verifiche, focalizzate oltre che sull'efficacia del trattamento, anche sulla qualità dei rifiuti in ingresso e uscita, questo Dicastero ha inviato all'amministrazione regionale ulteriori solleciti e richieste di integrazione dei controlli rispettivamente con note prot. n. 12975 del 6 settembre 2016, n. 16855 del 16 novembre 2016, n. 942 del 23 gennaio 2017, n. 1530 del 2 febbraio 2017, n. 4394 del 29 marzo 2017.
  A seguito delle note vicende giudiziarie che hanno portato al sequestro di diversi impianti nel territorio regionale del Lazio, e dell'interdittiva antimafia nei confronti del consorzio Colari, le criticità nella gestione del ciclo dei rifiuti della capitale si sono riproposte anche a ridosso dell'estate 2017, rendendo necessario il contributo di questo Dicastero che ha avviato i lavori del tavolo di coordinamento assieme alla regione Lazio ed al comune di Roma capitale nel tentativo di individuare le opportune soluzioni al sistema gestionale ed impiantistico di riferimento.
  Malgrado tra le competenze attribuibili a questo Dicastero, non rientrino anche quelle di indagine tecnica ed ispettiva su tutti gli impianti di gestione e smaltimento dei rifiuti, specificatamente attribuite agli enti territoriali e di controllo competenti, tuttavia, laddove vengono ad originarsi criticità rilevanti da richiedere un'azione di coordinamento tra le diverse autorità preposte, questo Ministero fornisce ogni necessario supporto.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e supporto, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   impegnato recentemente il 1o gennaio 2017 nel disinnesco di un ordigno deposto nei pressi di una libreria a Firenze, l'artificiere della polizia di Stato, Mario Vece, è stato investito da una potente esplosione, che gli ha causato la perdita di una mano e gravissimi danni agli occhi;

   nella circostanza, anche grazie alle denunce del Sindacato autonomo di polizia, è emerso che Mario Vece, come tutti i suoi colleghi delle Forze armate e dell'ordine, non gode di alcuna copertura assicurativa che gli garantisca un adeguato risarcimento per queste evenienze e non avrebbe diritto neppure alle cure gratuite necessarie alla riabilitazione;

   è stato altresì precisato che Mario Vece dovrà acquistare con le proprie risorse anche l'indispensabile protesi;

   richiesto di un commento al riguardo, il Ministro dell'interno, Marco Minniti, ha riconosciuto che esiste effettivamente un vuoto normativo che priva tutti gli appartenenti alle Forze armate e dell'ordine di una copertura assicurativa adeguata, annunciando contestualmente che sono allo studio iniziative legislative per porvi rimedio;

   lo stesso Ministro Minniti ha altresì dichiarato che alle esigenze di Mario Vece provvederà comunque il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno –:

   entro che tempi e in che modo il Governo ritenga di poter intervenire per fornire anche al personale delle Forze armate e dell'ordine adeguate protezioni assicurative;

   come e su quali basi normative il dipartimento di pubblica sicurezza provvederà alle esigenze dell'artificiere Mario Vece.
(4-15304)

  Risposta. — Come riferito nell'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, durante la notte del 1° gennaio 2017 alcuni operatori della questura di Firenze, nell'ambito dei servizi di prevenzione generale, hanno notato un involucro sospetto incastrato nella serranda della sede dell'associazione «Il Bargello», in via Leonardo da Vinci.
  Constatato che si trattava di un ordigno rudimentale, è immediatamente intervenuto il nucleo artificieri della Polizia di Stato per la messa in sicurezza del manufatto; purtroppo, nel corso delle operazioni di disinnesco, il sovrintendente Mario Vece è stato investito da un'improvvisa esplosione riportando gravi ferite alla mano sinistra e al volto, a causa della quali, come ricordato nell'interrogazione, ha poi subito l'amputazione della mano.
  Alla luce di quanto accaduto, l'interrogante lamenta l'assenza per il personale della Polizia di Stato di una polizza assicurativa che copra le spese di cura conseguenti ad eventuali infortuni sul lavoro. Al riguardo, occorre precisare che l'Amministrazione dell'interno – per il tramite del dipartimento della pubblica sicurezza – già applica apposite disposizioni normative a tutela di tutti coloro che vengono a trovarsi in situazioni analoghe a quelle sopra descritte.
  L'articolo 1, comma 555, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) già prevede, infatti, il rimborso delle spese di cura – comprese quelle per ricoveri in istituti sanitari e per protesi – per gli operatori delle Forze di polizia rimasti menomati nella propria integrità fisica a causa di lesioni riportate sul lavoro e riconosciute dipendenti da causa di servizio.
  Inoltre, il decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 29 ottobre 2001 prevede l'avvio, anche d'ufficio, della procedura per il riconoscimento della causa di servizio (articolo 3), del riconoscimento di un equo indennizzo (articolo 2) e di un trattamento pensionistico di privilegio (articolo 17).
  Sulla base di queste disposizioni normative, anche in relazione alla vicenda evidenziata nell'interrogazione sono state intraprese le apposite procedure per il riconoscimento della dipendenza delle lesioni traumatiche da causa violenta, secondo quanto disposto dall'articolo 1880 del codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010). Si informa, al riguardo, che il 25 maggio di quest'anno, la competente commissione medico ospedaliera (C.M.O.) di La Spezia, in sede di giudizio di idoneità al servizio di pubblica sicurezza, ha ritenuto ascrivibili le lesioni traumatiche da causa violenta subite dal sovrintendente capo Mario Vece ai fini dell'equo indennizzo alla 5a categoria; indennizzo che è stato successivamente liquidato il 31 luglio 2017, con apposito decreto ministeriale.
  Si fa, inoltre, presente che dopo il parere espresso nella seduta dello scorso 11 luglio dalla commissione consultiva di cui all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 738 del 1981, il sovrintendente capo Mario Vece ha ripreso servizio per essere impiegato in «servizi interni e non operativi esterni con le prescrizioni previste dal processo verbale della C.M.O.».
  Occorre poi aggiungere che, in favore del predetto dipendente, è prevista anche la liquidazione di una indennità speciale «
una tantum» ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 738 del 1981; ciò avverrà non appena acquisito il formale provvedimento di parziale utilizzo alle mansioni individuate dalla citata commissione consultiva.
  A completamento di quanto riferito, si rappresenta, inoltre, che l'Amministrazione della pubblica sicurezza ha deciso, con apposito decreto datato 26 maggio 2017, di accogliere l'istanza prodotta dal sovrintendente capo Mario Vece per l'applicazione di protesi transradiale mioelettrica bionica, come da preventivo pervenuto dal centro INAIL di Vigorso di Budrio, in provincia di Bologna.
  Va, infine, segnalato che al dipendente in questione è stata conferita la medaglia d'oro al valore civile e la promozione per merito straordinario a sovrintendente capo.
  

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   NARDUOLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la cura e l'implementazione del verde urbano (parchi, giardini, aree verdi) e la riforestazione delle aree agricole rappresentano sicuramente uno dei fronti più importanti per ripristinare e consolidare pratiche vitali di riqualificazione urbana e rurale e per incentivare le politiche di prevenzione del dissesto idrogeologico nonché il miglioramento della qualità dell'aria e, complessivamente, dell'ambiente;

   alcuni provvedimenti legislativi, in particolare la legge n. 113 del 29 gennaio 1992 («Obbligo per il comune di residenza di porre a dimora un albero per ogni neonato, a seguito della registrazione anagrafica») e la legge n. 10 del 14 gennaio 2013 («Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani»), hanno stabilito numerose disposizioni per valorizzare l'ambiente e il patrimonio arboreo e boschivo;

   nello specifico, la legge n. 10 del 2013 ha stabilito l'obbligo per i comuni sopra i 15 mila abitanti di provvedere alla piantumazione di «un albero per ogni nuovo nato» e di effettuare, alla fine di ogni mandato amministrativo, un rendiconto sulla consistenza del proprio patrimonio «verde» e dello stato complessivo della sua manutenzione;

   le stesse disposizioni legislative prevedevano l'istituzione del Comitato per lo sviluppo del verde pubblico presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il compito di monitorare l'attuazione della legge n. 113 del 1992 (vedi articolo 3 della legge n. 10 del 2013) –:

   quale sia lo stato complessivo dell'attuazione della normativa vigente in riferimento alla piantumazione di «un albero per ogni nuovo nato» ed il grado di rispetto della stessa, con particolare riferimento alle aree urbane del Veneto;

   quali iniziative si intendano assumere in relazione ai casi in cui, per negligenza o sottovalutazione, non sono stati ottemperati dalle amministrazioni locali gli obblighi previsti.
(4-17045)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente la cura e l'implementazione del verde urbano, con particolare attenzione alla situazione della regione Veneto, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 3 della legge n. 10 del 2013, ha istituito il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, il quale provvede ad effettuare azioni di monitoraggio sull'attuazione delle disposizioni della legge 29 gennaio 1992, n. 113, e di tutte le vigenti disposizioni di legge con finalità di incremento del verde pubblico e privato.
  Dalla relazione annuale, redatta dal medesimo comitato in collaborazione con l'Ispra si evince che sul territorio nazionale nel 2015, il 36,2 per cento dei capoluoghi (42 comuni, erano 31 nel 2014) ha attuato la disposizione. Le nuove piantumazioni sono state effettuate in quasi la metà delle città del Nord, in poco meno di quelle del Centro, e in meno di un quinto delle città del Mezzogiorno.
  Ciò posto, si deve sottolineare che l'applicazione della citata legge n. 113 del 92, vede essenzialmente coinvolti gli enti locali nell'individuazione delle risorse disponibili e degli spazi adeguati da destinare alla piantumazione degli alberi.
  A questo scopo i comuni stabiliscono una procedura di messa a dimora di alberi quale contributo al miglioramento urbano i cui oneri sono posti a carico di cittadini, imprese od associazioni per finalità celebrative o commemorative. In particolare, è l'ufficio anagrafico di ciascun comune che fornisce le informazioni di dettaglio circa la tipologia dell'albero e il luogo dove l'albero è stato piantato.
  Per quanto riguarda poi il dato specifico del Veneto, la regione dal 1985, con l'istituzione dei servizi forestali regionali legge regionale n. 8 del 1985 ha sostenuto l'attività di fornitura gratuita di alberi per «Feste dell'Albero» o per interventi di rinverdimento, anche ai sensi della richiamata legge n. 113 del 92 da parte dei comuni, tramite la propria e diretta attività vivaistica forestale.
  Successivamente, con la legge regionale 8 novembre 1988, n. 55 «Interventi per la formazione e l'incremento del verde ambientale», la regione è, inoltre, intervenuta specificatamente per sostenere l'attività di miglioramento ambientale, con concessione a comuni e ad altri enti pubblici, di contributi in conto capitale per l'acquisto delle piante e per l'esecuzione necessari lavori di preparazione e di sistemazione del terreno.
  Da ultimo, si evidenzia che a partire dall'anno 2000 è cessata la produzione regionale di piantine forestali, ed è stata assunta da Veneto Agricoltura (dal 1° gennaio 2017 è diventata Agenzia Veneta per l'innovazione nel settore primario) l'intera gestione vivaistica forestale, compresa l'attività di sostegno agli interventi dei comuni in materia di verde pubblico e la fornitura delle piantine ai sensi della predetta legge n. 113 del 92. Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente continuerà a tenersi informato e a mantenere alto il livello di attenzione sulla questione posta.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto descritto dal quotidiano Roma e dal sito web www.pianetaitalianews.it, nel corso dell'anno 2016 sarebbero scomparsi circa 1300 containers pieni di rifiuti da 22 tonnellate, per complessive 28.600 tonnellate, regolarmente imbarcati al porto di Gioia Tauro, diretti alla discarica di Drisla (Skopje), Macedonia, e scaricati al porto di Durazzo, Albania, senza tuttavia aver mai raggiunto destinazione e aver mai varcato il confine albanese-macedone;

   si tratterebbe di rifiuti urbani, ma forse anche rifiuti pericolosi e industriali, provenienti da Napoli e Campania, Bari e provincia, Imperia, conferiti da comuni e ATO per lo smaltimento oltre confine; la FCL Ambiente amministrata da Massimiliano Ferrazzoli, controllata dalla Finanziaria Centro Lazio della medesima famiglia Ferrazoli, si è aggiudicata sia il trasporto dei rifiuti dalle sopra citate aree, per importi variabili dagli 80 ai 160 euro a tonnellata, sino alla discarica di Drisla, sia la gestione della discarica stessa;

   la FCL Ambiente (costituitasi pochi giorni prima della scadenza nella gara per la gestione della discarica) si è aggiudicata nel 2013 la concessione, con l'impegno di investire 73 milioni di euro per il rinnovamento dell'impianto che gestisce tramite la società «Drisla – Skopje Doo», assieme al comune di Skopje (80 per cento FCL Ambiente e 20 per cento Comune di Skopje);

   nel settembre 2014, Balkan Investigative Reporting Network ha denunciato che la FCL Ambiente «non ha alcuna esperienza nel settore e non ha ancora investito nel progetto»;

   un'altra società connessa alla gestione della discarica è la Marin Gasoil Monte-Carlo, legata tramite joint-venture con la FCL Ambiente, che si occupa del ritiro e del trasporto di rifiuti, secondo quanto dichiarato sul proprio sito web;

   in un rapporto di una funzionaria dell'Istituto del commercio con l'estero di Skopje ad un suo superiore, si legge: «Dopo numerosi incontri con Sonja Lipitkova, Segretario di Stato per l'Ambiente, Natasha Krstevska, Direttore delle Dogane, ed il sindaco di Skopje, sono giunta alla conclusione che il carico non sia arrivato in Macedonia almeno legalmente [...] L'indagine portata avanti dalla polizia italiana ha evidenziato la possibilità che i rifiuti siano sotterrati in Albania [...] secondo le nostre informazioni l'Albania risulterebbe coinvolta nel business dei rifiuti. In alcune regioni i rifiuti vengono nascosti o bruciati. Spesso, oltre ai rifiuti normali, vengono importati anche quelli pericolosi. Lo smaltimento illecito fa circolare grandi quantità di denaro. La mafia controlla il traffico [...] I risultati ottenuti dalla polizia finanziaria italiana dovranno certamente essere resi pubblici, poiché l'Italia è direttamente accusata dall'Europa di esportare rifiuti, anche pericolosi, negli Stati balcanici»;

   nel 2016 il governo macedone ha vietato l'ingresso di rifiuti: secondo gli inquirenti sarebbe questa la causa che ha portato al probabile occultamento dei container in Albania;

   il Ministero dell'ambiente albanese ha dichiarato che né i containers contenenti i rifiuti, né molti altri, avevano richiesto o ottenuto il permesso obbligatorio riservato ai rifiuti in transito nel proprio Paese;

   il Ministro dell'interno Albanese, a seguito dello scandalo di cui sopra, si è dimesso;

   la stampa ha parlato di possibili coperture politico-istituzionale per garantire l'occultamento dei rifiuti –:

   che tipo di collaborazione sia stata messa in atto con la Repubblica di Albania e la Repubblica di Macedonia in relazione ai fatti esposti in premessa;

   quali siano le informazioni in possesso delle prefetture circa la documentazione antimafia della FCL Ambiente e della Finanziaria Centro Lazio;

   se risulti se il conferimento dei rifiuti alla FCL Ambiente sia avvenuto nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria;

   quali siano responsabilità e compiti di vigilanza in capo allo Stato italiano;

   se corrisponda al vero che l'Italia esporti rifiuti pericolosi nella penisola balcanica.
(4-15918)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Secondo quanto riferito dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, la ricostruzione della vicenda relativa all'asserito occultamento doloso di rifiuti urbani e pericolosi, provenienti dal porto di Gioia Tauro in Calabria e scomparsi in Albania prima di attraversare il confine macedone e raggiungere la discarica di Drisla (Skopje), non appare trovare, al momento, elementi di riscontro concreto nei Paesi balcanici.
  In merito poi, alle legislazioni macedone e albanese in materia, il predetto Ministero ha precisato quanto segue:

   in Macedonia i rifiuti risultano assoggettati ad un regime specifico che ne regola importazione, esportazione e transito, sulla base di autorizzazioni rilasciate dal locale Ministero dell'ambiente e della pianificazione territoriale;

   in Albania una legge sulla gestione integrata dei rifiuti era stata approvata nel 2011, poi abrogata in seguito al cambio dell'Esecutivo. Nell'ottobre 2016 lo stesso esecutivo ha approvato alcune modifiche alla precedente legge, autorizzando l'importazione dei rifiuti dall'estero ai fini del loro riciclo. La legge non consente tuttavia l'importazione di rifiuti a scopo di incenerimento o di interramento e vieta l'introduzione nel Paese di rifiuti pericolosi. Secondo notizie ricevute dall'ambasciata d'Italia a Tirana, al momento non esiste alcun riscontro circa l'arrivo e il successivo transito sul territorio albanese di container di rifiuti. Tuttavia, risulta che la procura di Tirana ha aperto un procedimento per il reato di traffico di sostanze velenose il 9 marzo 2017. Inoltre, non vi sarebbero connessioni tra le dimissioni del Ministro dell'interno, Tahiri, legate sembra ad un rimpasto di governo, e la vicenda in questione. Nel contempo, il Ministero dell'ambiente albanese ha dichiarato alla stampa di non aver ricevuto alcuna richiesta di autorizzazione per il trasporto di rifiuti da parte dell'Italia.

  Il Ministero degli affari esteri ha precisato, altresì, che il signor Massimiliano Ferazzoli – titolare della società Fcl ambiente, che nel 2013 si è aggiudicata la gara relativa alla gestione della discarica comunale di Skopje in località Drisla – ha fatto pervenire all'ambasciata d'Italia a Skopje copia del documento rilasciato dall'agenzia delle dogane e dei monopoli di Gioia Tauro dal quale, sulla sola base delle dichiarazioni doganali presentate per l'esportazione all'ufficio doganale stesso, risultano n. 2 esportazioni per l'Albania di agende e calendari e nessuna per la Macedonia nel corso del 2016.
  Si fa presente, inoltre, che secondo quanto riferito dalla prefettura di Reggio Calabria, agli atti della stessa non risulta alcuna documentazione antimafia inerente la società «Fcl ambiente S.r.l.».
  Si rappresenta, infine, che il comando provinciale della guardia di finanza di Reggio Calabria ha comunicato, con riferimento all'anno 2016 e allo scalo portuale di Gioia Tauro quanto segue:

   a) sono giunti circa 1.800.000 containers, in massima parte in sosta temporanea sui piazzali in attesa di essere reimbarcati su altre navi dirette a porti nazionali, comunitari ed extracomunitari (ed transhipment), i quali, ad esclusione di quelli destinati all'importazione (meno del 5 per cento, non sono soggetti a particolari adempimenti doganali;

   b) sono stati imbarcati, oltre ai contenitori in transhipment, nr. 3.315 container destinati all'esportazione, uno solo dei quali (contenente materiale pubblicitario) destinato al Porto di Durazzo (Albania) e n. 50 trasportanti rifiuti non pericolosi;

   c) sono transitati oltre 30.000 container di rifiuti non pericolosi relativi a ritagli, scarti, carta da macero, cascami e altro e n. 77 container di rifiuti pericolosi. Di questi ultimi, la metà circa è rimasta a bordo delle MM/NN, mentre i restanti hanno effettuato operazioni in transhipment.

  Il comando provinciale della guardia di finanza di Reggio Calabria ha evidenziato, peraltro, che, più in generale, all'interno dei porto viene attuata, da parte del 1° nucleo operativo del dipendente gruppo di Gioia Tauro, un'attività di vigilanza fissa e dinamica, tesa ad evitare l'introduzione nel territorio dello Stato di merci per le quali non sono stati corrisposti i diritti doganali, nonché per reprimere traffici illeciti di vario genere, ivi compresi gli stupefacenti. In tale contesto, alla collaborazione che viene prestata ai funzionari doganali nelle consuete attività di controllo sulle dichiarazioni doganali, svolte avvalendosi innanzi tutto delle risultanze del circuito doganale di controllo, si aggiungono le visite doganali ai contenitori selezionati sulla base degli elementi informativi, ovvero di «analisi di rischio» operata sui manifesti di carico e sulle bollette doganali.
  Sempre secondo la guardia di finanza, tali servizi, non hanno fatto emergere alcun elemento di riscontro rispetto alle ipotesi formulate dall'interrogante, né vi sono agli atti evidenze su eventuali indagini di polizia giudiziaria in corso in tal senso. Inoltre, i dati relativi ai
container contenenti rifiuti imbarcati nell'anno in esame nel porto di Gioia Tauro parrebbero smentire il contenuto di quanto pubblicato dal quotidiano «Roma» e dal sito web www.pianetaitalianews.it.
  Per quanto attiene, infine, la «Flc ambiente S.r.l.», la guardia di finanza ha rappresentato che, dai rilevamenti effettuati alle banche dati anagrafe tributaria, la stessa non risulta aver posto in essere alcuna operazione doganale nell'anno 2016. Emergono esclusivamente nr. 2 bollette di esportazione, rispettivamente negli anni 2013 (importo merce: euro 100.000,00) e 2015 (importo merce: euro 5.000,00).
  Ad ogni modo, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, manterrà alto il livello di attenzione sulla questione anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il quotidiano La Repubblica riporta un articolo sullo stabilimento balneare Playa Punta Canna, situato nella località di Sottomarina (Venezia);

   il gestore avrebbe trasformato il bagno in una «zona antidemocratica e a regime», dove sarebbero esposte immagini inneggianti al Duce e al Fascismo, diffusi deliranti proclami fascisti, omofobi e razzisti;

   il motto ambientale sarebbe «a casa mia si vive in totale regime», come afferma il titolare Gianni Scarpa, che evidentemente dimentica di trovarsi su una concessione demaniale;

   non è tollerabile per l'interrogante che in Italia si continui pubblicamente a manifestare nostalgia per un regime sconfitto dalla storia, che ha lasciato esclusivamente un ricordo di guerra, miseria e violenza, in spregio al dettato costituzionale;

   ancor meno tollerabile è che questo avvenga in uno spazio pubblico, che dovrebbe essere di libera frequentazione e non affidato ad una gestione portatrice di messaggi inaccettabili e non conformi alla legge; in merito alla vicenda è intervenuto il prefetto di Venezia, emanando un'ordinanza con cui dispone l'immediata rimozione di ogni riferimento al fascismo in cartelli, manifesti e scritte, presenti all'interno dello stabilimento in questione –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda di cui in premessa;

   quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere al riguardo e se e quale interlocuzione sia stata avviata con l'amministrazione comunale di Chioggia, alla luce dell'esigenza di pervenire immediatamente alla revoca o alla decadenza della concessione demaniale e alla sua riassegnazione ad altro soggetto.
(4-17252)

  Risposta. — L'interrogazione in esame fa riferimento alla notizia riportata sul quotidiano La Repubblica, circa la presenza presso il lido balneare Playa Punta Canna di Chioggia di scritte ed immagini inneggianti al fascismo.
  A tale riguardo si precisa che il personale della DIGOS, effettuato un sopralluogo presso lo stabilimento il 9 luglio 2017, ha verificato la presenza di diversi cartelli, tra cui uno con la riproduzione di immagini di Benito Mussolini e altri con frasi del signor G.S., dipendente del citato lido, che invitavano gli ospiti all'ordine, alla pulizia e alla disciplina.
  Ulteriori verifiche effettuate sulla rete Internet hanno permesso di individuare anche un video della spiaggia, che riproduceva la voce dello stesso G.S., mentre pronunciava frasi contro la democrazia.
  Il 10 luglio, il prefetto di Venezia, acquisito il rapporto della questura ed informata l'autorità giudiziaria, ha adottato un'ordinanza, ai sensi dell'articolo 2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, con la quale è stata intimata al signor G.S. l'immediata rimozione di ogni riferimento al fascismo, contenuto in cartelli, manifesti e scritte presenti all'interno dello stabilimento, con contestuale ordine di astenersi dall'ulteriore diffusione di messaggi contro la democrazia.
  Nella stessa giornata, ossia il 10 luglio, il signor G.S. è stato sentito quale persona informata sui fatti dalla DIGOS e successivamente deferito in stato di libertà per il reato di apologia del fascismo, di cui all'articolo 4 della legge n. 645 del 1952.
  La citata comunicazione di notizia di reato ha portato all'instaurazione di un procedimento penale e il pubblico ministero, titolare del fascicolo, ha delegato la DIGOS medesima ad effettuare ulteriori approfondimenti investigativi. Il rapporto della questura e l'ordinanza del prefetto di Venezia sono stati trasmessi al sindaco di Chioggia per le valutazioni di competenza in ordine all'eventuale revoca della concessione demaniale del lido Playa Punta Canna, rilasciata alla società Summertime srl.
  L'ente locale si è riservato ogni ulteriore provvedimento all'esito del procedimento penale in corso, segnalando che, dopo i fatti di luglio, sono stati eseguiti presso il lido in questione diversi sopralluoghi, effettuati da parte della polizia locale e del personale degli uffici amministrativi; sopralluoghi nel corso dei quali non è stata riscontrata la presenza di alcun comportamento illecito, né di forme propagandistiche antidemocratiche o inneggianti al regime fascista.
  Su un piano più generale, si ricorda che l'ordinamento giuridico prevede in materia alcuni fondamentali presidi di legalità, si fa riferimento innanzitutto alla legge n. 645 del 1952, la cosiddetta legge Scelba, relativa al divieto di riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista e al decreto-legge n. 122 del 1993, convertito dalla legge n. 205 del 1993, la cosiddetta legge Mancino, che offre specifici strumenti per la prevenzione e il contrasto dell'antisemitismo, del razzismo e della xenofobia.
  Gli istituti delineati da tali normative sono oggetto di rigorosa e puntuale applicazione da parte delle autorità provinciali di pubblica sicurezza e delle forze di polizia. In particolare, esse presentano la massima attenzione all'attività di prevenzione che si sviluppa in un costante monitoraggio e in una meticolosa raccolta informativa, al fine di cogliere ogni eventuale segnale di turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica e di deviazione dalle regole del diritto e dalla pacifica convivenza.
  D'altra parte, le forze di polizia segnalano, sempre e puntualmente, all'autorità giudiziaria tutte le iniziative poste in essere da comportamenti di associazioni di ispirazione estremista, qualunque ne sia l'orientamento, per le quali possono ritenersi sussistenti ipotesi di reato.
  

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   PANNARALE, DURANTI, FRATOIANNI, MATARRELLI e SANNICANDRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   da una nota dell'Osservatorio permanente sulle morti in carcere, gli interroganti hanno appreso del decesso del signor Alberico Di Noia, cittadino di Zapponeta, in provincia di Foggia, avvenuto nella casa circondariale di Lucera, in data 15 gennaio 2014;

   questi era ristretto in tale istituto di pena dal 2012;

   da quanto si apprende dalla suddetta nota, il detenuto si sarebbe suicidato impiccandosi nella cella ove si trovava in isolamento;

   tuttavia il signor Di Noia non versava in condizioni di salute fisiche e mentali tali da far presagire un evento così tragico;

   secondo la nota dell'Osservatorio, l'uomo era in cella da solo tecnicamente «in osservazione» da cinque giorni, poiché aveva avuto un alterco con un agente di polizia penitenziaria;

   nella giornata in cui è deceduto, probabilmente, l'uomo sarebbe stato trasferito in un'altra struttura penitenziaria;

   alla famiglia è stato negato di potere vedere la salma del loro congiunto; i genitori, peraltro, sono a conoscenza della morte di un loro figlio, senza aver ricevuto alcun altra informazione;

   dall'inizio del 2014, l'episodio drammatico in oggetto rappresenta già il terzo suicidio in cella; nel 2013 si sono tolti la vita 49 detenuti –:

   di quali informazioni disponga il Ministro circa le cause che hanno portato alla morte del detenuto Di Noia;

   se confermata l'ipotesi del suicidio, se sia noto quali siano state le motivazioni che hanno portato il detenuto al tragico gesto, e se in qualche modo poteva essere evitato;

   se nel carcere di Lucera siano rispettati i livelli essenziali di assistenza per i detenuti;

   quali iniziative intenda intraprendere affinché tali tragici episodi non abbiano a ripetersi.
(4-03190)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti, prendendo le mosse da un caso di decesso per suicidio avvenuto nel gennaio 2014 all'interno della casa circondariale di Lucera, pongono quesiti riguardanti un tema di particolare delicatezza che vede il Ministero della giustizia impegnato in ogni iniziativa, necessaria ed utile, alla prevenzione del rischio di gesti di autolesionismo in ambiente carcerario.
  Quanto al caso del detenuto Alberico Di Noia, la competente articolazione ministeriale, disposta un'indagine amministrativa sull'accaduto, ha comunicato quanto segue.
  In data 15 gennaio 2014, alle ore 7,25, veniva riscontrato l'avvenuto decesso per suicidio del detenuto Di Noia.
  Dai primi accertamenti emergeva che il gesto era stato attuato mediante impiccagione, con l'ausilio di un lembo di lenzuolo annodato e legato a forma di cappio alla grata della finestra della camera detentiva.
  Il detenuto risulta essere stato soccorso tempestivamente, per quanto purtroppo inutilmente, dal personale di polizia penitenziaria e dal personale de 118, nel frattempo sopraggiunto.
  Per quanto comunicato il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Di Noia, giunto nell'istituto di Lucera in data 11 settembre 2013 proveniente dalla casa circondariale di Altamura ed appartenente alla categoria «protetti» per la tipologia di reato, era stato collocato presso il reparto osservazione dall'8 gennaio 2014, in esecuzione della sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attività in comune per quindici giorni.
  Il detenuto, la mattina del tragico evento, sarebbe stato trasferito presso la casa circondariale di Lecce, a seguito di provvedimento provvisorio emesso dal provveditorato regionale.
  Svolti gli accertamenti richiesti, il provveditore regionale per la Puglia e Basilicata, cui è stata affidata l'indagine amministrativa, ha comunicato che «i comportamenti tenuti dal personale di polizia penitenziaria, nella gestione dell'evento critico, sono risultati corretti e tra loro ben coordinati».
  Quanto alla dinamica del decesso ed alla sua causa, dagli esiti degli accertamenti autoptici, effettuati sulla salma del Di Noia, risulta che «i dati circostanziali permettono di accreditare l'ipotesi che si è trattato di evento suicidario».
  Lo stesso provveditore regionale, acquisite le relative notizie, ha comunicato che il procedimento penale relativo al decesso del Di Noia Alberico è stato archiviato in data 20 novembre 2014.
  Per quanto riguarda, infine, la messa a disposizione della salma ai familiari, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha chiarito che la stessa, dopo l'evento, non poteva essere consegnata né mostrata alla famiglia in quanto posta a disposizione dell'autorità giudiziaria, il cui successivo nulla osta è stato immediatamente comunicato alla famiglia, anche attraverso numerose telefonate al difensore di fiducia.
  Il fenomeno di cui il caso di Lucera rappresenta manifestazione è alla mia costante attenzione, e mi vede direttamente impegnato in ogni iniziativa, necessaria ed utile, alla prevenzione del rischio di gesti di autolesionismo in ambiente carcerario.
  Finalità alla cui attuazione certamente concorre l'istituzione e la nomina, con decreto del Presidente della Repubblica 1° febbraio 2016 e decreto del Presidente della Repubblica 3 marzo 2016, del garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
  Nella consapevolezza della drammaticità di ogni atto di autolesionismo, occorre osservare, sotto il profilo statistico, che a partire dal 2013 il numero di suicidi all'interno degli istituti penitenziari ha avuto un sensibile decremento.
  Tra il 2009 e il 2012, infatti, il numero di casi è stato sempre annualmente superiore a 55, con un picco di 63 nel 2011, mentre pari a 45 e 46 sono stati gli eventi degli anni 2007 e 2008.
  Grazie al miglioramento della situazione nei nostri penitenziari, il numero si è ridotto in maniera significativa, registrandosi 42 casi di suicidio nel 2013, 43 nel 2014, 39 nel 2015, 39 nel 2016 e 10 sino al 28 febbraio 2017.
  Sul piano comparativo, poi, l'Italia, secondo le statistiche ufficiali del Consiglio d'Europa, registra uno dei tassi più bassi di casi di suicidio. Nell'ultima rilevazione del 2013, si registra un tasso di 6,5 su 10.000 in Italia, 12,4 in Francia, 7,4 in Germania, 8,9 nel Regno Unito.
  I dati restano, in ogni caso, allarmanti e impongono un eccezionale sforzo dell'amministrazione penitenziaria, cui è demandata l'attuazione dei modelli di trattamento necessari alla prevenzione di ogni rischio.
  Alla luce delle analisi e delle riflessioni degli Stati generali dell'esecuzione della pena, il 3 maggio 2016 ho adottato una specifica «Direttiva sulla prevenzione dei suicidi», indirizzata al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, prescrivendo la predisposizione di un organico piano d'intervento per la prevenzione del rischio di suicidio delle persone detenute o internate, il puntuale monitoraggio delle iniziative assunte per darvi attuazione e la raccolta e la pubblicazione dei dati relativi al fenomeno.
  In attuazione della direttiva, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha predisposto un «piano nazionale per la prevenzione delle condotte suicidiarie in ambito penitenziario», cui hanno fatto seguito circolari attuative trasmesse provveditorati regionali.
  Le misure adottate dall'amministrazione penitenziaria attengono alla formazione specifica del personale, alla raccolta ed elaborazione dei dati ed all'aggiornamento progressivo dei piani di prevenzione.
  Sono state, inoltre, impartite istruzioni ai provveditorati regionali ed alle Direzioni penitenziarie per la conclusione di intese con regioni e servizi sanitari locali, al fine di intensificare gli interventi di diagnosi e cura, nonché l'attuazione di misure di osservazione e rilevazione del rischio.
  L'amministrazione ha anche operato sul piano dell'organizzazione degli spazi e della vita penitenziaria, con incentivazione di forme di controllo dinamico volte a limitare alle ore notturne la permanenza nelle celle, in modo da rendere agevole l'osservazione della persona in ambiente comune e ridurre le condizioni di isolamento.
  Allo stesso scopo, sono state adottate misure volte a facilitare, anche attraverso l'accesso protetto ad
Internet, i contatti con i familiari.
  Lo scorso 3 marzo, inoltre, si è svolta presso il Ministero della giustizia una riunione nel corso della quale ho incontrato, con il capo di Gabinetto, tutti i referenti centrali e periferici dell'amministrazione penitenziaria, al fine di fare il punto sulle modalità di esecuzione, al livello locale prossimo agli istituti penitenziari, delle disposizioni contenute nella direttiva sulla prevenzione dei suicidi e sollecitarne, ove necessario, la completa e rapida attuazione.
  Sono state, inoltre, programmate attività di monitoraggio e verifica periodica degli interventi di prevenzione delineati, attività che saranno svolte istituto per istituto.
  Con tale iniziativa si è dato l'avvio ad un tavolo in convocazione permanente, che esaminerà costantemente i dati relativi allo stato di attuazione della direttiva che ogni referente è tenuto a raccogliere ed a trasmettere attraverso apposito monitoraggio. Le successive riunioni del tavolo, a partire dalla prima, si svolgono con stringente cadenza periodica.
  L'azione sin qui intrapresa risulterà ulteriormente rafforzata dalle misure contenute nella riforma dell'ordinamento penitenziario, appena approvata dal Parlamento e di cui sono in corso di predisposizione di decreti attuativi, che consentirà di introdurre strumenti adeguati per garantire una funzione davvero recuperatoria e risocializzante, in chiave costituzionalmente orientata, all'esecuzione penale.

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   PARENTELA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'interrogante ha presentato gli atti di sindacato ispettivo n. 4-13877 del 20 luglio 2016 e n. 5-10069 del 28 novembre 2016, quest'ultimo ad oggi ancora senza risposta, denunciando gli evidenti segni di cedimento strutturale con l'abbassamento del livello stradale all'altezza della campata centrale – del viadotto «Cannavino», tra gli svincoli di Rovito e Celico, dai più conosciuto come il Ponte di Celico, sito al chilometro 42,700 della strada statale 107 di competenza dell'Anas (ricadente appunto nel comune di Celico);

   in più occasioni, l'interrogante ha contestato la scelta, per giunta tardiva, di migliorare soltanto il comfort stradale del viadotto, la cui sicurezza statica, stando alle perizie pubblicate in seguito a iniziative formali dell'interrogante, non sarebbe garantita in toto;

   ad oggi, risultano sospesi i lavori di manutenzione sul ponte e preoccupa quanto emerge in un verbale della prefettura di Cosenza, in cui, a quanto consta all'interrogante, si farebbe riferimento a cavi di precompressione in posizione diversa da quella prevista dal progetto e ad alcuni cavi in stato di ossidazione;

   la strada statale 107 è una delle arterie «trasversali» più importanti in termini logistici e di volumi di traffico della Calabria, poiché collega il versante tirrenico tramite l'innesto con la strada statale 18 presso Paola (Cosenza) con il versante ionico tramite l'innesto con la strada statale 106 presso Crotone. La chiusura di detta arteria, in piena stagione estiva, genera ingenti danni economici ad un'area a vocazione turistica e disagi per gli automobilisti costretti a percorrere strade alternative che attraversano centri abitati, con tutto ciò che ne consegue in termini di maggiori tempi di percorrenza e rischi per le popolazioni coinvolte –:

   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa se non ritenga urgente ed improcrastinabile intervenire affinché siano evitate pesanti ripercussioni sull'economia e sulla viabilità di un intero territorio e vengano forniti chiarimenti immediati circa quelli che l'interrogante ritiene gravi, quanto inconcepibili, ritardi che generano scetticismo delle popolazioni coinvolte in merito al completamento delle opere di manutenzione previste per il viadotto Cannavino.
(4-17222)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società Anas, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Anas conferma che il viadotto Cannavino, presente sulla strada statale 107 Silana Crotonese al chilometro 43,000 nel territorio comunale di Celico in provincia di Cosenza, risulta interessato da lavori di manutenzione straordinaria.
  La società precisa che le complesse attività di risanamento del cordolo, della rimozione della vecchia pavimentazione, dell'installazione di nuove barriere di sicurezza, dell'installazione della rete di protezione e della rimozione dei vecchi giunti sono proseguite senza interruzioni.
  L'ultimazione dei lavori di manutenzione straordinaria è prevista entro la fine di settembre, con la conseguente riapertura al traffico del viadotto.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PIRAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   ad agosto 2014 – sulla strada statale del Mandrolisai, tratto Oristano-Simaxis – sono stati consegnati, dalla Rete ferroviaria italiana (R.F.I.) alla ditta appaltante Cidieffe Costruzioni (con sede a Colicco, Lecco), i lavori per la realizzazione di un cavalcaferrovia al chilometro 98 e la conseguente soppressione del passaggio a livello del chilometro 100/8 direzione Simaxis (OR);

   in data 24 giugno 2016, suddetta ditta appaltante Cidieffe segnalava alla R.F.I. ed alle autorità competenti che durante le operazioni di scavo nell'area interessata veniva riscontrata la presenza di materiali di demolizione e presumibilmente amianto, inducendo alla sospensione dei lavori;

   a seguito delle segnalazioni e della sospensione dei lavori da parte della ditta appaltante, la R.F.I. provvedeva alla rescissione del contratto;

   ad oggi sono stati presentati diversi esposti alla procura della Repubblica – con oggetto la presenza di materiale potenzialmente pericoloso per la salute – da parte della Cidieffe, della A.S.L. n. 5 di Oristano e da parte della Associazione regionale ex esposti amianto – senza che gli stessi abbiano ottenuto riscontro;

   risulta all'interrogante inconcepibile il prolungato silenzio da parte della Rete ferroviaria italiana, considerate anche le ingenti somme impegnate per la realizzazione di una opera pubblica utile allo sviluppo di un territorio, ad oggi ancora ferma in attesa di decisivi e non eludibili interventi di bonifica di una area fortemente contaminata;

   l'area in questione risulta essere segnalata come discarica di materiali inerti provenienti da attività di demolizione già dal 1995 –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;

   quali iniziative di competenza intendano porre in essere al fine di trovare una soluzione immediata, definitiva e risolutiva della vertenza in questione, considerando in primis il pericolo per la salute dei cittadini, oltre che l'ingente stanziamento di risorse pubbliche già effettuato.
(4-14877)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie di questo Ministero e dalla società Ferrovie dello Stato.
  La direzione territoriale produzione di R.f.i. di Cagliari, in data 27 marzo 2008, ha stipulato un contratto d'appalto con l'Ati Cidieffe Costruzioni s.r.l. — Sikotek s.r.l., per la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori di realizzazione di un cavalcaferrovia al chilometro 99+726, sostitutivo del passaggio a livello al 100+008 della linea Cagliari-Golfo Aranci nei comuni di Oristano e Simaxis.
  Rete ferroviaria italiana s.p.a. (R.f.i.) informa che attualmente i lavori sono stati interrotti a seguito di risoluzione contrattuale dell'appalto, originata da gravi inadempimenti dell'impresa appaltatrice. Tra gli inadempimenti più rilevanti è emerso il mancato smaltimento dei rifiuti riscontrati nel cantiere, attività che contrattualmente l'appaltatore è obbligato ad effettuare.
  R.f.i. evidenzia che dopo i primi due perentori consecutivi intimati all'impresa appaltatrice, per l'ottemperanza agli obblighi di smaltimento dei rifiuti presenti in cantiere, l'appaltatore, in data 24 giugno 2016, in prossimità della data di scadenza (1° luglio 2016) del terzo e ultimo perentorio, ha comunicato a R.f.i. il rinvenimento di elementi frantumati di eternit.
  R.f.i. riferisce che a seguito della suddetta comunicazione, ha provveduto nella mattinata del 24 giugno 2016, a verificare la messa in sicurezza dell'area e ha constatato che l'area interessata era stata delimitata e coperta con un telo, inoltre, ha provveduto ad apporre i cartelli specifici di avviso indicanti cautelativamente il «rischio amianto».
  A seguito della risoluzione contrattuale comunicata all'appaltatore in data 6 luglio 2016, per le gravi inadempienze riguardanti l'esecuzione dell'appalto, R.f.i. ha indicato all'impresa il termine del 25 luglio 2016 per la riconsegna delle aree di cantiere, che tuttavia l'impresa si è illegittimamente rifiutata di effettuare, tentando peraltro di impedire l'ingresso in cantiere del responsabile del procedimento, che in via precauzionale si era già attivato con altra ditta per procedere ai lavori di smaltimento e bonifica dell'area.
  Nel frattempo, l'Ati Cidieffe Costruzioni Srl-Sikotek srl, ha promosso un ricorso presso il tribunale di Cagliari, richiedendo un accertamento tecnico preventivo per l'accertamento dello stato dell'area di cantiere, attualmente in corso di svolgimento, bloccando la possibilità di rientrare in possesso dell'area da parte di R.f.i.
  Per quanto sopra, R.f.i. fa presente che allo stato attuale è impossibilitata ad intervenire sull'area in questione in quanto il cantiere è indebitamente nella esclusiva disponibilità dell'impresa appaltatrice.
  Peraltro, essendo in corso le operazioni giudiziarie di accertamento tecnico preventivo, sarà il consulente giudiziale, attraverso i prelievi e la caratterizzazione delle terre, a stabilire la qualità e le modalità di smaltimento presenti dei rifiuti in cantiere.
  R.f.i. rappresenta altresì, che, nel contempo, il sindaco del comune di Simaxis ha emanato l'ordinanza n. 5 del 28 settembre 2016, con la quale è stato ordinato alla stessa R.f.i. la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi in prossimità dei lavori del cavalcaferrovia.
  Con ordinanza n. 6 del 18 novembre 2016, il sindaco di Simaxis, preso atto della istanza di revoca/sospensione in autotutela, avanzata da in data 10 ottobre 2016, ritenuto che gli argomenti in essa riportati siano meritevoli di giusta considerazione, attesa la loro fondatezza sotto il profilo giuridico, ha sospeso l'ordinanza n. 5 nei confronti di R.f.i. fino alla risoluzione del procedimento giudiziario in essere.
  Pertanto R.f.i. nell'affermare di essere completamente estranea alla produzione dei rifiuti di cui al sito in questione; fa sapere di essere pronta a svolgere tutte le attività necessarie, sia per la rimozione di eventuale amianto affiorante sul sito medesimo, sia per il completamento dei lavori, non appena rientrerà legittimamente in possesso dell'area di cantiere.
  Infine, la medesima Rfi riferisce che è nell'interesse principale della società portare a compimento nel più breve tempo possibile l'opera in questione, necessaria alla soppressione del passaggio a livello al chilometro 100+008, rientrante tra gli obbiettivi primari perseguiti da R.f.i. per la messa in sicurezza della rete ferroviaria sarda.

Il Vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   un nutrito gruppo di studenti del corso di laurea di medicina e chirurgia dell'Università Politecnica delle Marche immatricolato nell'anno accademico 2013/14, è stato iscritto d'ufficio, per l'anno accademico 2016/17, al terzo anno fuori corso, a causa dello sbarramento deciso dalla facoltà, dettato dal mancato superamento dell'esame di fisiologia entro il mese di settembre 2016;

   questo non ha permesso loro di poter frequentare, con validità di frequenza, i corsi afferenti al quarto anno, a cui dovrebbero essere iscritti di diritto;

   non sono state consentite neppure le altre attività quali AFP (attività formative professionalizzanti in corsia), corsi monografici e laboratori, pur avido gli studenti pagato regolarmente le tasse per un anno universitario «fantasma»;

   gli studenti potrebbero solo sostenere gli esami del terzo anno, cioè il precedente, per il quale avevano già versato l'intero ammontare delle tasse universitarie;

   si assiste pertanto ad una sorta di stand-by per il quale, pur pretendendo le tasse, l'università non eroga alcun servizio è allontana, de facto, un gruppo di studenti, vincitori di concorso nazionale, dalla frequentazione degli ambienti universitari, disaffezionandoli alla vita dell'ateneo e ledendo il loro diritto allo studio, arrecando loro danni economici e psicologici, in una facoltà a ciclo unico di sei anni, così come si evince dal regolamento ministeriale;

   la posizione di questi studenti non risulterebbe al momento regolata da alcun piano di studi, neppure cartaceo, poiché la presentazione di quest'ultimo sarebbe stata loro impedita dalla segreteria didattica, per una discutibile interpretazione del regolamento;

   gli studenti si erano attivati da tempo, sin dal settembre 2016, attraverso tutti gli organi accademici competenti, compresi i rappresentanti degli studenti, affinché l'università rivedesse il proprio regolamento, ma erano stati indirizzati ora ad un ufficio, ora ad un altro, senza trovare esaurienti risposte;

   dopo mesi di insistenze, la richiesta di togliere lo sbarramento è stata recepita come legittima dal consiglio di corso di studi e deliberata dal consiglio di facoltà del 22 febbraio 2017;

   nonostante la richiesta risulti essere partita a settembre 2016, questa modifica sarebbe stata resa valida solo per i futuri immatricolati e per gli studenti iscritti al primo, secondo e terzo anno del corso di laurea, per i quali vale una retroattività, mentre sono stati esclusi proprio e solo gli studenti che avevano sollevato la problematica, quelli cioè iscritti impropriamente al terzo anno fuori corso;

   non ci sarebbe stato alcun tipo di problema se l'università avesse preso il provvedimento entro novembre 2016, mese in cui inizia l'anno accademico;

   si incorre così secondo l'interrogante in una chiara disparità di trattamento rispetto agli altri studenti, mentre è convinzione diffusa che tale modifica sia da estendere anche al caso in questione in quanto può essere applicata giuridicamente una «norma transitoria» che include anche i casi in essere;

   la suddetta esclusione sarebbe stata giustificata, a quanto consta all'interpellante, non sulla base di un diritto, ma solo su quella di una difficoltà organizzativa a recuperare il primo semestre, perso poiché gli studenti, come il precedente regolamento-indicava, non avevano il diritto di frequentare le lezioni in corso;

   la maggior parte dei professori contattati aveva manifestato piena comprensione del problema ed espresso la propria disponibilità a risolvere la questione, auspicando la creazione di un tavolo per discutere in maniera più organica e plurilaterale la proposta di recupero, al fine di raggiungere un proficuo compromesso tra gli impegni individuali del corpo docente ed il calendario accademico;

   il Preside ha istituito una commissione volta a verificare la fattibilità del recupero e a proporre un calendario di lezioni aggiuntive;

   l'Università non ha ancora deliberato alcun provvedimento su questo tema che è stato demandato al prossimo Consiglio di Facoltà;

   nel frattempo gli studenti stanno frequentando con verifica il secondo semestre del quarto anno, non volendo perdere la frequenza delle lezioni così come è invece accaduto per il primo semestre: a tal fine questi studenti stanno registrando quotidianamente la presenza mediante firme e badges, senza avere alcuna certezza –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere, anche promuovendo l'adozione di linee guida di carattere generale, al fine di assicurare eguali diritti ed evitare irragionevoli disparità di trattamento per gli studenti che si trovino in situazioni come quella segnalata in premessa.
(4-16423)

  Risposta. — In riferimento a quanto rappresentato dall'interrogante si osserva, preliminarmente, che l'argomento su cui verte l'atto di sindacato ispettivo rientra nelle autonome determinazioni dell'università, politecnica delle Marche. Infatti, l'articolo 33 della Costituzione sancisce il principio dell'autonomia universitaria, a cui il legislatore ha dato applicazione mediante l'approvazione di più atti legislativi di livello ordinario, a iniziare dalla legge n. 168 del 1989.
  Ciò posto, sulla questione dello sbarramento applicato dal sopra citato elenco nei confronti degli studenti del corso di laurea in medicina e chirurgia iscritti d'ufficio, per l'anno accademico 2016/2017, al terzo anno fuori corso a causa dello sbarramento conseguente al mancato superamento dell'esame di fisiologia entro il mese di settembre 2016, sono stati acquisiti dal rettore gli elementi informativi che di seguito si riportano.
  In occasione del consiglio di facoltà del 22 febbraio 2017 alcuni studenti hanno presentato la richiesta di anticipare all'anno accademico 2016/2017 il superamento della regola dello sbarramento in discorso, prevista dai regolamenti didattici del corso di laurea applicati alle diverse coorti di studenti.
  Il superamento dello sbarramento è stato discusso, valutato ed approvato a partire dall'anno accademico 2017/2018, per tutti gli studenti iscritti. Ciò è avvenuto nel mese di febbraio 2017 con la seduta della commissione tecnico-pedagogica del 15 febbraio e la seduta del consiglio del corso di studi del 20 febbraio 2017, al fine di permettere il completamento di tutte le procedure necessarie alla progettazione e alla definizione dell'offerta formativa destinata alla coorte 2017/2018 ed il contestuale superamento della criticità originata dall'incremento degli studenti fuori corso è emersa a seguito delle attività di elaborazione dati, monitoraggio e approfondimento svolta dal corso di studi in ottemperanza alle procedure ministeriali, in particolare quelle relative all'elaborazione dei quadri scheda SUA-CdS a.a. 2016/2017 in scadenza al 30 settembre 2016.
  Nella sopra citata seduta del 22 febbraio 2017 il consiglio di facoltà, dopo aver valutato e discusso quanto deliberato dal consiglio del corso di studi, ha approvato la decorrenza della soppressione della regola dello sbarramento per tutti gli studenti a decorrere dall'anno accademico 2017/2018. Inoltre, in considerazione della richiesta di anticipo avanzata dagli studenti, ha accolto la proposta del preside di verificare a livello organizzativo e di disponibilità dei docenti, la fattibilità del recupero delle attività del I semestre del IV anno (didattica teorica e attività formativa professionalizzante).
  A seguito di tale verifica, svolta a più livelli, nella seduta tenutasi nei locali della presidenza il 10 aprile 2017 è stato espresso, a voti unanimi, parere negativo alla richiesta di soppressione della regola a decorrere dall'anno accademico 2016/2017, in quanto il recupero della didattica frontale e professionalizzante del I semestre del IV anno non è stato giudicato fattibile sia per l'organizzazione didattica sia per la non disponibilità di alcuni docenti titolari dei relativi insegnamenti a ripetere il corso.
  L'esito della riunione è stato comunicato in data 27 aprile, tramite e-mail, al rappresentante degli studenti. L'Università ha, inoltre, fornito gli atti a quattro studentesse che hanno presentato apposita richiesta di accesso.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Valeria Fedeli.


   POLIDORI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   gli effetti disastrosi dei recenti eventi sismici, oltre che sul patrimonio artistico ed edilizio del territorio italiano, si sono riversati anche su un settore, quello del turismo, di particolare importanza per l'economia del nostro Paese;

   se da un lato le strutture ricettive colpite direttamente dal terremoto sono inagibili, anche per i turisti, poiché hanno subito gravi danni al patrimonio immobiliare, dall'altro lato è importante rilevare che il drastico calo dei visitatori ha interessato città, una su tutte Perugia, che di fatto non sono state colpite dal sisma, ma che nell'immaginario collettivo sono avvertito me luoghi «da evitare»;

   nel comune di Perugia le presenze registrate nel settore alberghiero a dicembre 2016, rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, mostrano un calo del 20,37 per cento di visitatori italiani e del 4,74 per cento degli stranieri, mentre dicembre 2015 si è concluso, rispetto al 2014, con un aumento delle presenze del 5,38 per cento di visitatori italiani e dell'8,10 per cento di stranieri;

   ad avviso dell'interrogante i dati sopra riportati mostrano un quadro molto preoccupante per un settore di fondamentale rilievo per l'economia umbra se si considera che quelli riferiti al 2016 sono ancora provvisori, essendosi concluso l'anno da poco tempo, e che nelle presenze sono conteggiati anche i profughi e le persone terremotate;

   a fronte di quanto sopra esposto, Federalberghi Umbria, con il sostegno del comune di Perugia, ha promosso una iniziativa attraverso la quale 50 albergatori per la notte del 5 gennaio 2017 mettevano in palio 250 camere doppie gratuite comprensive di prima colazione, in cambio di visibilità sui social e sui profili Facebook dei clienti;

   l'iniziativa istituita per promuovere il comparto turistico devastato dagli eventi sismici è stata un completo fallimento, considerato che, come riportato dalle maggiori testate giornalistiche, gli alberghi del capoluogo umbro, di Assisi, Todi, Spoleto e Terni sono rimasti semi-vuoti anche per il ponte dell'Epifania facendo registrare un calo di presenze dal 30 al 50 per cento negli alberghi di tutta la regione Umbria;

   l'onda lunga dell'effetto post-terremoto ha fatto registrare, specificatamente, un calo del 20-30 per cento del turismo ad Assisi e del 30 per cento a Todi e addirittura in periferia ci sono state strutture che hanno toccato il 60-70 per cento in meno rispetto agli anni precedenti –:

   quali iniziative di sua competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di risollevare il comparto turistico umbro, alla luce degli evidenti effetti dannosi provocati dai recenti eventi sismici.
(4-15266)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento agli effetti negativi sul turismo provocati dal terremoto nella regione Umbria, anche sulle città non colpite direttamente dal sisma, come il comune di Perugia ove, nel dicembre 2016, è stato rilevato un calo di presenze italiane e straniere di circa il 25 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015, chiede di sapere quali iniziative intenda intraprendere il Ministero al fine di risollevare il comparto turistico umbro alla luce dei danni derivati dai recenti eventi sismici.
  Si risponde sulla base degli elementi forniti dalla competente direzione generale di questa amministrazione.
  Il decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016» e, in particolare, l'articolo n. 22, «Promozione turistica», ha previsto la predisposizione da parte del Commissario straordinario, sentite le regioni interessate e in accordo con Enit, di un programma per la promozione e il rilancio del turismo nelle regioni interessate dal sisma, «a valere sulle risorse disponibili a legislazione vigente sul bilancio Enit-Agenzia nazionale del turismo, nel limite massimo di 2 milioni di euro per l'anno 2017».
  In attuazione di quanto previsto dal richiamato articolo 22 è stato approvato, in condivisione con i presidenti delle regioni Marche, Abruzzo, Lazio e Umbria, il progetto di promozione del centro Italia per la ricostruzione nei territori interessati dal sisma del 24 agosto 2016.
  La direzione generale del turismo, preso atto dell'avvenuta approvazione del progetto, ha disposto l'impegno di spesa di euro 2.000.000,00 ed ha contestualmente autorizzato il pagamento della suddetta somma in favore dell'Enit — Agenzia nazionale del turismo per le finalità di promozione turistica di cui al citato articolo 22 del decreto-legge n. 189 del 2016.
  L'azione promozionale di Enit interesserà non solo le località più conosciute, ma anche le aree più rurali.
  A queste somme si potrebbero aggiungere ulteriori fondi di promozione di Enit, anche a seguito della nota d'indirizzo del Ministro Franceschini, in merito alle priorità 2017.
  Un'ulteriore iniziativa per favorire la ripresa del turismo è stata realizzata dalla Rai, in collaborazione con il Commissario straordinario per la ricostruzione con la campagna Viaggio nel cuore dell'Italia, con l'intento di porre in evidenza le manifestazioni culturali, religiose, sportive, enogastronomiche delle quattro regioni. È stato, inoltre, messo in onda il 10 aprile 2017 uno
spot istituzionale di 45 secondi, realizzato dalla direzione creativa Rai in collaborazione con la presidenza del Consiglio dei Ministri, trasmesso con frequenza continua sui canali del servizio pubblico e nelle sale cinematografiche di tutta Italia.
  Un palinsesto speciale ideato con le regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria proporrà approfondimenti, partecipazione di esperti all'interno dei principali programmi di informazione e intrattenimento e trasmissioni interamente dedicate alle zone colpite dal sisma.
  Con riferimento specifico alla regione Umbria, si segnala, inoltre, che per incentivare i turisti a tornare a visitare la regione, Federalberghi Umbria, per la notte del 5 gennaio 2017 ha messo a disposizione dei visitatori, gratuitamente, 250 camere doppie con prima colazione, in cambio di visibilità sui
social e sui profili facebook dei clienti. L'iniziativa non ha prodotto gli esiti auspicati dagli organizzatori, considerato che, come riportato dalle maggiori testate giornalistiche, gli alberghi del capoluogo umbro, di Assisi, Todi, Spoleto e Terni sono rimasti semi-vuoti anche per il ponte dell'Epifania, facendo registrare un calo di presenze dal 30 al 50 per cento negli alberghi di tutta la regione Umbria rispetto all'anno precedente.
  Dal 27 al 29 gennaio 2017 la regione Umbria, in collaborazione con
Sviluppumbria, l'agenzia multifunzione della regione Umbria per la competitività e la crescita economica regionale, e con il supporto della sede Enit di Londra, ha partecipato, per la prima volta, all’Holiday World di Dublino, la fiera turistica più importante dell'Irlanda.
  A margine dell'evento, Enit e l'Istituto italiano di cultura di Dublino hanno organizzato un incontro con i principali
tour operator locali per far conoscere l'offerta turistica umbra, con particolare riferimento nei settori wedding, cammini, aria aperta ed enogastronomia, molto apprezzati dal pubblico irlandese.
  Occorre, inoltre, evidenziare che come ulteriore strumento di stimolo per la ripresa turistica dei territori colpiti dal sisma, ai sensi dall'articolo 11, comma 3, del decreto-legge del 244 del 2016, introdotto dalla relativa legge di conversione, con un'iniziativa fortemente sostenuta dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo è stata attribuita una quota supplementare pari a 4 milioni di euro del Fondo unico per lo spettacolo (Fus), a sostegno di iniziative di spettacolo dal vivo. L'intervento avrà un rilevante ritorno anche in termini di rinnovata attrattività per i flussi turistici.
  Si rinnova in conclusione l'impegno di questa amministrazione per il rilancio nei settori di competenza della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del turismo nei territori interessati dagli eventi sismici del 2016, al fine di contribuire al più complessivo obiettivo di ripresa socio-economica di tali importanti aree.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Dorina Bianchi.


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con avviso del 26 luglio 2017, apparso sul sito del Ministero della giustizia, è stata pubblicata la graduatoria della selezione interna per la copertura di 1.148 posti dell'area terza, figura professionale del funzionario giudiziario, mediante passaggio dall'area seconda, figura professionale del cancelliere, ai sensi dell'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, e la procedura di selezione interna per la copertura di 622 posti dell'area terza, figura professionale del funzionario Unep, mediante passaggio dall'area seconda, figura professionale di ufficiale giudiziario ai sensi della predetta legge;

   il personale risultato idoneo in graduatoria ammonta, escludendo i candidati risultanti vincitori, rispettivamente a 3487 cancellieri e 418 ufficiali Unep;

   in data 8 agosto 2017, sul sito del Ministero della giustizia, nella sezione relativa alle progressioni ex articolo 21-quater, all'argomento «FAQ» dell'8 agosto 2017, nella risposta alla domanda n. 5, si afferma che «come previsto dall'articolo 21-quater del decreto-legge n. 83 del 2015, lo scorrimento delle graduatorie potrà essere eseguito a seguito di nuove assunzioni di personale nello specifico profilo professionale, per un numero di posizioni corrispondenti a tali nuove assunzioni cui, per espressa previsione normativa, sono equiparati i nuovi ingressi per mobilità»;

   tale posizione ministeriale determinerebbe una indefinita attesa subordinata a nuove assunzioni attraverso «gli ingressi per mobilità»; tale procedura comporterebbe l'ingresso di un ragguardevole numero di 3905 unità dalla mobilità medesima, la cui tempistica – così come il suo eventuale frazionamento –, non è dato sapere, ma è prevedibile che non sia immediata;

   ciò provoca l'ingiusta permanenza in una sorta di «limbo» degli idonei, che da anni attendono una progressione alla figura superiore, progressione stabilita però da apposite sentenze del giudice ordinario;

   l'articolo 21-quater del decreto n. 83, al comma 2 afferma che «il rapporto tra posti riservati ai dipendenti e posti riservati agli accessi dall'esterno è fissato nella percentuale, rispettivamente, del 50 per cento e del 50 per cento, computando nella percentuale gli accessi dall'esterno sulla base di procedure disposte o bandite a partire dalla data di entrata in vigore del citato CCNL, ivi compresi gli accessi per effetto di scorrimenti di graduatorie concorsuali di altre amministrazioni e le procedure di mobilità esterna comunque denominate». Non si dice nulla sul fatto che per lo scorrimento della graduatoria si debba attendere l'ingresso di altrettante unità dall'esterno, ben potendosi effettuare, successivamente, nel rispetto degli importi percentuali stabiliti;

   inoltre, il comma 1 dell'articolo 21-quater dispone che le suddette procedure siano svolte al fine di sanare i profili di nullità per violazione delle disposizioni degli articoli 14 e 15 del contratto collettivo nazionale di lavoro, comparto Ministeri 1998/2001, delle norme di cui agli articoli 15 e 16 del contratto collettivo nazionale di lavoro integrativo del personale non dirigenziale del Ministero della giustizia, quadriennio 2006/2009 del 29 luglio 2010, per assicurare l'attuazione dei provvedimenti giudiziari in cui il predetto Ministero è risultato soccombente, oltre che definire i contenziosi giudiziari in corso;

   da ultimo, il comma 5 del citato articolo 21-quater autorizza per le finalità di cui al suddetto comma 1 la spesa nel limite di euro 25.781.938 a decorrere dall'anno 2016, somma di notevole entità e sufficiente, a parere della interrogante, a sostenere i costi per un rapido e immediato scorrimento della graduatoria e considerato che appare, al contrario, incomprensibile far attendere i lavoratori, per le motivazioni sopra riportate –:

   se il Ministro interrogato intenda chiarire i termini della vicenda esposta in premessa e quali iniziative intenda adottare per procedere ad un immediato scorrimento della graduatoria ex articolo 21-quater, comma 2, decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83.
(4-17732)

  Risposta. — Con riferimento alla questione prospettata dall'interrogante, va premesso come l'impulso dato alle politiche del personale negli ultimi tre anni abbia, finalmente, consentito una svolta tanto rilevante e dinamica, e da tempo auspicata, anche al tema della riqualificazione del personale, pur nel quadro di generale restrizione introdotto dalla legge Brunetta ed imposto da esigenze di stabilità della finanza pubblica.
  Come noto, lo scorso luglio è stata pubblicata la graduatoria della procedura concorsuale per la riqualificazione del personale amministrativo del comparto giustizia, che chiude quella che – ricordo – essere l'unica procedura di riqualificazione realizzata nel settore.
  Con riferimento alle modalità di scorrimento degli idonei nella graduatoria, richiamata nell'interrogazione, va evidenziato come il vincolo previsto dal secondo comma dell'articolo
21-quater del decreto-legge n. 83 del 2015 risponde alla generale prescrizione vigente in materia, che vincola le progressioni interne ad altrettante nuove assunzioni, anche in seguito all'esperimento di procedure di mobilità.
  Il bilanciamento previsto dalla norma è coerente con i generali vincoli di accessibilità al pubblico impiego, ribaditi più volte dalla Corte Costituzionale in applicazione dei principi del pubblico concorso e di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 Costituzione (v. sentenza n. 7 del 2011).
  Il meccanismo in questione prevede, dunque, necessariamente che la quota degli idonei ammessi allo scorrimento possa essere determinata quantitativamente solo all'esito di procedure che abbiano comportato nuove assunzioni, non disponendosi, altrimenti, del dato di riferimento.
  Coerentemente a queste premesse, e all'unica possibile interpretazione del citato articolo
21-quater, è stata formulata la risposta alla Faq riportata nell'interrogazione, che appare perciò corretta.
  Tale meccanismo non determina — diversamente da quanto prospettato — una stasi indefinita nello scorrimento della graduatoria.
  A tal proposito, ricordo che la graduatoria degli idonei resta valida per tre anni ed abbiamo già avviato lo scorrimento delle prime 200 posizioni, che saranno a breve definite con apposito decreto della direzione generale del personale, in corrispondenza dei nuovi ingressi derivanti da altre procedure assunzionali.
  Al contempo, sono in corso ulteriori procedure di mobilità, la cui prossima definizione consentirà un correlato scorrimento di ulteriori posizioni della graduatoria degli idonei.
  Quanto alla copertura finanziaria, le risorse sono state rese disponibili per il complessivo processo di riqualificazione a copertura dell'integrale avanzamento di qualifica degli aventi diritto, nei tempi e con le modalità previste dalla legge.

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il presidente della regione, Luca Zaia, ha presentato recentemente un dossier per la messa in sicurezza idraulica del Veneto, nel quale chiede al Governo 1 miliardo di euro, per avviare i lavori ne necessari ed improcrastinabili;

   trattasi di un lungo e dettagliato elenco di interventi che spaziano dalla realizzazione dell'idrovia Padova-Venezia, ai lavori per il Piave fino a 234.000.000 di euro da destinarsi alla messa in sicurezza del basso Tagliamento;

   secondo diversi studi della regione Veneto, per completare il tracciato dell'idrovia Padova-Venezia (oltre 27 chilometri tra i comuni di Padova, Saonara, Vigonovo, Strà, Fosso, Camponogara, Dolo, Mira e Venezia) in classe Va (cioè in regola con la normativa europea) sono necessari almeno 400 milioni di euro;

   l'unione europea nel sostenere la rivalutazione delle vie navigabili, attraverso la revisione delle reti strategiche di trasporto (Ten-T) e lo sviluppo del programma Nadies, che si pone come obiettivo il potenziamento e il rilancio del trasporto fluviale, ha riaperto il dibattito sulla necessità di completare tale opera;

   resta da sottolineare che, a 50 anni dalla grande alluvione del 1965-66, nel tratto veneto del Tagliamento, permangono ancora molte paure legate alla sicurezza idrogeologica del territorio e reali sono ancora le paure dei cittadini;

   proprio i cittadini di San Michele al Tagliamento e del portogruarese potrebbero pagare il prezzo più alto di una politica del «tutti contro tutti» delle amministrazioni del Friuli Venezia Giulia e della mancanza di «capacità contrattuale» di Venezia con Roma;

   una condotta, quest'ultima, che non aiuta i veneti, perché uno dei grandi problemi irrisolti riguarda la mancata realizzazione a monte delle casse di espansione a Pinzano, ciò malgrado i fondi siano da tempo a disposizione nelle casse e nelle disponibilità di spesa della regione Friuli Venezia Giulia –:

   quali istanze la regione Veneto abbia già avanzato ai Ministri interrogati per ottenere i necessari finanziamenti per la messa in sicurezza del tratto Veneto del fiume Tagliamento e per il completamento dell'idrovia Padova-Venezia;

   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga di dover convocare urgentemente una riunione con i responsabili delle regioni e dei comuni interessati al fine di verificare, e se necessario promuovere, tutti gli improcrastinabili interventi per la messa in sicurezza idraulica del basso Tagliamento;

   quali siano gli interventi programmati finanziati dal Governo per il triennio 2016-2018 riguardanti la messa in sicurezza del territorio della regione Veneto.
(4-11740)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla messa in sicurezza idraulica del Basso Tagliamento (VE), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si fa presente che, in relazione alle attività di programmazione di competenza di questo ministero, nel recente periodo è stato avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020. Tale piano è stato definito dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema ReNDiS (repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo).
  Tuttavia, nel corso del 2015, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione, i cui dati sono stati definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 settembre 2015.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, che definisce le procedure, le modalità ed i criteri per il finanziamento degli interventi in modo da garantire la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  In merito alla situazione della regione Veneto, si rappresenta che sono stati assegnati, attraverso la sottoscrizione di apposito accordo di programma, oltre 104 milioni di euro per provvedere alla messa in sicurezza delle zone maggiormente colpite dal problema.
  Con riferimento al citato piano nazionale si fa presente inoltre che la regione ha al momento segnalato nell'ambito del citato database ReNDiS, ai fini di nuove eventuali programmazioni per la rimozione del rischio idrogeologico, n. 103 proposte di intervento validate dalla stessa regione, per un importo totale pari ad euro 849.166.582,89. Tra queste, relativamente al territorio di San Michele al Tagliamento, risultano presenti tre proposte di intervento per un importo richiesto di euro 245.228.267,24.
  Per quanto riguarda la questione inerente le problematiche del Basso Tagliamento, si comunica che nel dicembre 2016 è stato siglato dal Ministero dell'ambiente e dalla regione del Veneto un atto integrativo all'accordo di programma finalizzato alla programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico del 23 dicembre 2010, con il quale il ministero integra le risorse economiche già programmate, con un ulteriore finanziamento per la realizzazione di opere per la difesa idraulica del basso corso del Tagliamento in territorio veneto.
  L'intervento, denominato «Intervento di messa in sicurezza idraulica del basso corso del Fiume Tagliamento — I stralcio – Diaframmatura in destra idrografica finalizzata alla difesa di San Michele al Tagliamento», si avvale di un finanziamento di euro 15.038.000 di fondi propri del Ministero dell'ambiente.
  Il progetto è stato individuato dall'autorità di bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione nell'ambito di uno specifico studio sviluppato per la risoluzione di particolari criticità idrauliche del basso corso del fiume Tagliamento, al fine di individuare interventi da realizzare in tempi brevi e con limitate disponibilità economiche, per la salvaguardia, in particolare, dei centri abitati di San Michele al Tagliamento e di Latisana.
  Le storiche criticità idrauliche del Basso Tagliamento presentano una grande complessità in funzione delle caratteristiche fisiografiche e dell'assetto urbanistico del territorio ed espongono a rischio di alluvione popolazione e beni. Altrettanto complessa è l'attuazione di interventi per la mitigazione del rischio idraulico che richiedono ingenti risorse economiche e tempi di esecuzione non immediati. In tale contesto, la cantierabilità dei lavori in tempi brevi delle opere finanziate consente immediati e significativi benefici attesi. L'intervento, nel garantire l'invarianza idraulica, ovvero di non trasferire a valle le condizioni di pericolosità, si integra con le misure strutturali previste per il riassetto idraulico locale già avviato con il rialzo del ponte ferroviario in corrispondenza di Latisana.

  Con riferimento ai quesiti inerenti al completamento dell'idrovia Padova-Venezia si rappresenta infine che, dalle informazioni acquisite dalla regione Veneto, risulta essere stato redatto, nel corso dell'anno 2012, uno studio di fattibilità che illustra tutte le possibili soluzioni adatte a completare l'esistente canale, utilizzabile sia come via navigabile che come canale scolmatore, nonché come combinazione delle due soluzioni, cioè come via d'acqua con funzione anche di scolmatore del fiume Brenta; quest'ultima è la soluzione scelta per il completamento dell'infrastruttura.
  Tra le proposte di intervento nella regione Veneto presenti nel piano nazionale figurano n. 2 richieste di finanziamento relative all'idrovia Padova-Venezia per un importo di euro 511.600.000, attualmente in fase di validazione da parte della regione.
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente prosegue nella sua azione costante di monitoraggio, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali importanti tematiche.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 18 novembre 2015, in seguito ai fatti di Parigi, si è svolta a Cosenza una riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica per fare il punto sulle misure di prevenzione del terrorismo islamico;

   tra i punti all'ordine del giorno vi era anche il carcere di Rossano, la struttura che ospita ventuno detenuti stranieri accusati di terrorismo, uno dei quali appartenente all'ISIS e uno all'ETA, oltre a diciannove integralisti islamici, tutti condannati con pena definitiva, al fine di analizzare le misure di sicurezza predisposte con riferimento allo stesso;

   si è, inoltre, discusso dell'episodio verificatosi nel carcere di Rossano all'indomani degli attentati di Parigi, quando almeno quattro dei terroristi islamici detenuti nella sezione speciale del penitenziario calabrese, dopo aver appreso la notizia della strage, avrebbero esultato inneggiando alla «liberazione» della Francia dagli «infedeli»;

   lo stesso giorno il segretario generale del SAPPE ha denunciato come nella sezione speciale del carcere di Rossano nella quale sono ristretti i terroristi islamici vi sia «un livello di sicurezza pari a zero» e come l'inadeguatezza della struttura determini un rischio altissimo per la sicurezza;

   la decisione presa nell'ambito del predetto vertice di innalzare il livello di sicurezza del carcere, unico in Italia a ospitare jihadisti, con un pattugliamento armato all'esterno della struttura, non appare all'interrogante sufficiente a garantire la messa in sicurezza della struttura detentiva e dell'intera città, mentre, invece, si dovrebbe provvedere al trasferimento dei terroristi in strutture site in località isolate, lontane dai centri abitati –:

   se siano informati dei fatti di cui in premessa e se non ritengano di disporre con urgenza il trasferimento dei detenuti di cui in premessa al fine di garantire adeguati livelli di sicurezza sia all'interno della struttura carceraria sia al suo esterno.
(4-11228)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo in esame l'interrogante, prendendo spunto dall'episodio, riportato dalla stampa, di manifestazioni di esultanza da parte di alcuni detenuti presso l'istituto penitenziario di Rossano una volta appresa la notizia degli attentati terroristici compiuti a Parigi il 13 novembre 2015, chiede di conoscere quali siano le misure di sicurezza adottate presso la stessa casa di reclusione e se non siano opportuni provvedimenti volti al trasferimento presso altri istituti penitenziari di detenuti accusati di terrorismo internazionale.
  Per quanto riguarda specificamente l'episodio del novembre 2015 e le conseguenti misure adottate nell'immediatezza presso il carcere di Rossano, è stato accertato come all'interno della casa di reclusione di Rossano effettivamente risultassero, in quei giorni, presenti 21 elementi detenuti per terrorismo, di cui 20 di matrice islamica ed uno appartenente al terrorismo spagnolo dell'ETA.
  Tra il 13 ed il 14 novembre 2015, si sono verificati due episodi di esultanza a seguito dell'attentato terroristico a Parigi, con protagonisti alcuni detenuti, identificati, che hanno manifestato esprimendosi in lingua araba.
  Con riguardo alle misure di sicurezza adottate, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha riferito che la prefettura di Cosenza, all'indomani degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 ed in seguito alla diffusione delle riportate notizie, ha richiesto l'intervento del direttore dell'istituto di Rossano in seno al comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica ed all'esito, nel dichiarare la struttura penitenziaria obiettivo sensibile, ha dapprima disposto un servizio di vigilanza armata interforze all'esterno del carcere, successivamente, affidato all'esercito fino al 7 novembre 2016, data a partire dalla quale il servizio è assicurato dalla polizia penitenziaria.
  Già prima dei tragici eventi di Parigi – riferisce l'articolazione ministeriale competente – erano state avviate le procedure per l'adeguamento del sistema di videosorveglianza della struttura e, in generale, per incrementare e rendere maggiormente efficienti i sistemi di sicurezza ed il parco automezzi in dotazione.
  Sul fronte delle risorse umane, inoltre, si deve segnalare che la competente direzione generale ha provveduto ad incrementare le risorse di polizia penitenziaria di 15 unità.
  Premesso che, secondo quanto comunicato dalla autorità giudiziaria competente, non pare vi siano stati seguiti preoccupanti all'episodio, presso l'istituto penitenziario di Rossano, alla data del 15 maggio 2017, erano ospitati un totale di 211 detenuti, dei quali 14 appartenenti al circuito cui sono destinati i soggetti maggiormente pericolosi.
  Ma oltre all'adozione di specifiche misure strutturali di sicurezza e controllo, l'argomento del monitoraggio e della prevenzione dell'estremismo e del contrasto alla sua diffusione è alla costante attenzione del Ministero su tutto il territorio nazionale.
  In linea generale, infatti, le analisi condotte sul fenomeno della radicalizzazione confermano, come dato ormai acquisito, che l'ambiente carcerario rappresenta un terreno potenzialmente fertile per la diffusione della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista. Il carcere, infatti, è luogo ove alto è il rischio di isolamento e di esclusione, condizioni su cui il radicalismo fa leva per alimentare sentimenti di odio e di vendetta.
  Il patrimonio di conoscenze e di esperienze in materia ha portato ad attivare, già da alcuni anni, un piano articolato, volto alla prevenzione ed al monitoraggio del fenomeno.
  Una delle misure adottate attiene alla disposizione interna dei detenuti, quale elemento funzionale a ridurre i rischi di proselitismo o di pericolosi sodalizi con le altre consorterie criminali.
  Per questo motivo, i ristretti per reati di terrorismo internazionale sono inseriti in un circuito penitenziario che prevede la rigorosa separazione dalla restante popolazione detenuta.
  Ma la guardia non va abbassata neppure nei «circuiti» comuni.
  Vi possono essere integralisti di spessore, arrestati per reati minori, che si ritrovano circondati da una larga schiera di soggetti deboli facilmente influenzabili.
  Per tale ragione, il Nucleo investigativo centrale effettua una ricognizione capillare, al fine di rilevare alcuni degli indicatori elaborati a livello europeo per il rischio radicalizzazione: la pratica religiosa, i cambiamenti fisici, la routine quotidiana, l'organizzazione della stanza detentiva, le modalità di relazione sociale ed il commento sugli eventi politici e di attualità.
  I soggetti segnalati dagli istituti penitenziari, per aver mostrato in vario modo adesione o compiacimento per gli attentati, vengono immediatamente sottoposti a monitoraggio e, nei loro confronti, è modificata il tipo di custodia, da «aperta» a «chiusa».
  Le attività di monitoraggio in parola si articolano su tre livelli di intensità progressiva:

   soggetti segnalati: sono i detenuti sui quali occorre effettuare approfondimenti, al fine dell'eventuale inserimento nelle categorie di maggior allarme, ed in tal caso le direzioni degli istituti penitenziari sono tenute ad intensificare l'attività di osservazione e di vigilanza;

   detenuti attenzionati: sono quelli che, all'interno del penitenziario, hanno assunto concreti e ripetuti atteggiamenti che fanno ritenere la loro vicinanza all'ideologia jihadista e la loro inclinazione allo svolgimento di attività di proselitismo e reclutamento;

   soggetti monitorati: sono coloro nei confronti dei quali più stringente è il controllo, per la rilevazione degli elementi di rischio specifico.

  I dati raccolti, debitamente aggregati ed analizzati dal Nucleo investigativo centrale, sono utilizzati al fine di svolgere una puntuale attività di prevenzione.
  I risultati di tali attività sono condivisi, a tal fine, con il comitato di analisi strategica antiterrorismo (C.A.S.A.) e con la direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.
  L'inserimento dei detenuti tra i soggetti monitorati comporta che il loro trattamento rientri nel circuito dell'alta sicurezza, con la conseguente collocazione in apposite sezioni individuate presso le case circondariali di Sassari e di Nuoro e, per l'appunto, presso la casa di reclusione di Rossano. Trattasi di istituti che, nell'offrire adeguate opportunità trattamentali, assicurano
standard di sicurezza penitenziaria più elevati.
  Al fine di evitare possibili azioni di proselitismo nei confronti di detenuti più deboli e meno strutturati psicologicamente, i soggetti inseriti in tali reparti non possono avere alcun contatto con la restante popolazione detenuta e, nel caso di assegnazione temporanea ad altri istituti (per motivi di giustizia, avvicinamento per colloqui con i familiari, ragioni sanitarie, eccetera) che non dispongono di tali sezioni, gli stessi sono allocati in isolamento.
  Le politiche adottate dal Ministero della giustizia di monitoraggio e controllo, per quanto capillari, per risultare efficaci sul piano del contrasto alla radicalizzazione ed al proselitismo di impronta jihadista, devono essere inserite in un panorama di misure tese alla progressiva umanizzazione delle condizioni detentive: quanto più le strutture penitenziarie sono in grado di assicurare la dignità degli individui e i percorsi di sostegno, integrazione e recupero, tanto minori saranno i rischi per i detenuti di avvicinarsi a chi propone modelli fondati su odio, contrapposizione e fanatismo.
  Agli obiettivi del monitoraggio e della risocializzazione, tendono ulteriori misure funzionali alla prevenzione della radicalizzazione. In data 5 novembre 2015 è stato siglato un protocollo d'intesa fra il Ministero della giustizia e l'unione delle comunità ed organizzazione islamiche italiane (U.C.O.I.I.) con l'obiettivo di migliorare il modo di interpretare la fede islamica in carcere, fornendo un valido sostegno religioso e morale ai detenuti attraverso l'accesso negli istituti di persone adeguatamente preparate.
  Il progetto, attualmente in fase di sperimentazione presso otto istituti penitenziari, da un lato ha l'obiettivo di agevolare l'integrazione dei detenuti di fede mussulmana e garantire loro l'esercizio del diritto di culto, dall'altro stabilisce una connessione tra gli operatori volontari e gli organi deputati al contrasto alla radicalizzazione.
  Gli stessi scopi di monitoraggio e risocializzazione sono alla base della previsione di una dotazione organica di 67 unità, per il profilo professionale di mediazione culturale, nell'ambito delle procedure di rideterminazione delle dotazioni organiche del personale del comparto ministeri.
  Lo scorso mese di settembre, inoltre, è stato rivolto al presidente della conferenza dei rettori delle università italiane, alla luce della convenzione appositamente stipulata dal Ministero il 27 gennaio 2016, l'invito ad interpellare gli istituti di arabistica e di scienze islamiche delle università degli Studi della Repubblica per raccogliere la disponibilità di ricercatori e dottorandi di ricerca, ad operare, quali volontari, negli istituti penitenziari al fine di accrescere la comprensione e migliorare le relazioni umane con i ristretti di lingua e cultura araba.
  Allo specifico scopo di garantire la comprensione linguistica nelle attività di monitoraggio e controllo, infine, con circolare del 7 dicembre 2016 è stato stabilito che, non essendo prevista la figura professionale di «traduttore», per provvedere alle traduzioni degli scritti in lingua araba, rinvenuti in spazi comuni e non rientranti nel novero della corrispondenza epistolare, ovvero di scritte riportate sulle pareti delle camere detentive o negli spazi comuni, le direzioni penitenziarie e i provveditorati regionali possono attingere dagli apposti capitoli di spesa per la stipula di convenzioni con gli interpreti accreditati presso tribunali.
  Per consentire agli agenti di polizia penitenziaria di comprendere più a fondo le realtà che devono fronteggiare sono stati istituiti corsi di formazione specifici, indirizzati prioritariamente a quanti prestano servizio presso gli istituti penitenziari a più alto rischio di radicalizzazione.
  Sono stati, inoltre, presentati alla Commissione europea due progetti finalizzati ad ottenere sovvenzioni da destinare alle attività di prevenzione e contrasto della radicalizzazione violenta.
  In particolare, il progetto Rasmorad P&P (
Raising Awareness and Staff Mobility on violent RADicalisation in Prison and Probation Services), già approvato e finanziato dall'Unione, mira alla elaborazione di un protocollo condiviso sulla valutazione del rischio e alla costruzione di percorsi di deradicalizzazione.
  Il progetto T.R.A.
in Training (Transfer radicalisation approaches in training), invece, intende favorire la collaborazione tra tutti i soggetti istituzionali impegnati nelle attività di prevenzione della radicalizzazione violenta. Anche tale ultimo progetto, è notizia di questi giorni, è stato selezionato ed approvato a livello comunitario e sarà finanziato dalla Commissione europea.
  Nel medesimo quadro ricordo anche che il Ministero della giustizia prende parte al Progetto europeo denominato RAN (
Radicalisation Awareness Network), istituito dalla Commissione europea con lo scopo di creare una rete tra esperti e operatori coinvolti nel contrasto al fenomeno della radicalizzazione violenta.
  La sicurezza, infatti, si realizza in presenza di operatori capaci di conoscere i detenuti attraverso l'osservazione costante dei loro comportamenti che è tanto più efficace in quanto vengano riconosciuti ambiti di movimento, di vita di relazione e di libero esercizio dei diritti che permettono di individuare più facilmente specifici elementi di rischio.
  Quanto più le strutture penitenziarie sono capaci di assicurare il rispetto dei diritti, la dignità degli individui e i percorsi di sostegno, recupero ed integrazione, tanto inferiori saranno i rischi per i detenuti di avvicinarsi a chi propone modelli fondati sull'estremismo, sulla contrapposizione e sul fanatismo.

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nella notte di Capodanno 2017 l'artificiere Mario Verri è rimasto gravemente ferito nell'attentato ai danni di una libreria di «Casa Pound» a Firenze;

   nel tentativo di disinnescare l'ordigno piazzato davanti alla libreria l'agente ha purtroppo perso un arto ed è rimasto gravemente ferito ad un occhio;

   lo stesso agente era di fatto nel pieno esercizio delle sue funzioni e con il suo intervento ha probabilmente impedito che il sopra descritto atto criminale causasse ulteriori vittime;

   nel contratto delle forze dell'ordine sembra non essere prevista una polizza assicurativa per danni riportati in servizio e pertanto le lunghe e costosissime cure alle quali l'agente Verri dovrà essere sottoposto saranno totalmente a suo carico –:

   se il Governo sia conoscenza dei fatti esposti in premessa, e come intenda intervenire a tal proposito per fornire sollievo, quantomeno economico, all'agente di polizia.
(4-15180)

  Risposta. — Come riferito nell'atto di sindacato ispettivo indicato in esame durante la notte del 1° gennaio 2017 alcuni operatori della questura di Firenze, nell'ambito dei servizi di prevenzione generale, hanno notato un involucro sospetto incastrato nella serranda della sede dell'associazione «Il Bargello», in via Leonardo da Vinci.
  Constatato che si trattava di un ordigno rudimentale, è immediatamente intervenuto il nucleo artificieri della Polizia di Stato per la messa in sicurezza del manufatto; purtroppo, nel corso delle operazioni di disinnesco, il sovrintendente Mario Vece è stato investito da un'improvvisa esplosione riportando gravi ferite alla mano sinistra e al volto, a causa della quali, come ricordato nell'interrogazione, ha poi subito l'amputazione della mano.
  Alla luce di quanto accaduto, l'interrogante lamenta l'assenza per il personale della polizia di Stato di una polizza assicurativa che copra le spese di cura conseguenti ad eventuali infortuni sul lavoro. Al riguardo, occorre precisare che l'Amministrazione dell'interno — per il tramite del dipartimento della pubblica sicurezza — già applica apposite disposizioni normative a tutela di tutti coloro che vengono a trovarsi in situazioni analoghe a quelle sopra descritte.
  L'articolo 1, comma 555, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) già prevede, infatti, il rimborso delle spese di cura — comprese quelle per ricoveri in istituti sanitari e per protesi — per gli operatori delle Forze di polizia rimasti menomati nella propria integrità fisica a causa di lesioni riportate sul lavoro e riconosciute dipendenti da causa di servizio.
  Inoltre, il decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 29 ottobre 2001 prevede l'avvio, anche d'ufficio, della procedura per il riconoscimento della causa di servizio (articolo 3), del riconoscimento di un equo indennizzo (articolo 2) e di un trattamento pensionistico di privilegio (articolo 17).
  Sulla base di queste disposizioni normative, anche in relazione alla vicenda evidenziata nell'interrogazione sono state intraprese le apposite procedure per il riconoscimento della dipendenza delle lesioni traumatiche da causa violenta, secondo quanto disposto dall'articolo 1880 del codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010. Si informa, al riguardo, che il 25 maggio 2017, la competente Commissione medico ospedaliera (C.M.O.) di La Spezia, in sede di giudizio di idoneità al servizio di pubblica sicurezza, ha ritenuto ascrivibili le lesioni traumatiche da causa violenta subite dal sovrintendente capo Mario Vece ai fini dell'equo indennizzo alla 5a categoria; indennizzo che è stato successivamente liquidato il 31 luglio 2017, con apposito decreto ministeriale.
  Si fa, inoltre, presente che dopo il parere espresso nella seduta dello scorso 11 luglio dalla commissione consultiva di cui all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 738 del 1981, il sovrintendente capo Mario Vece ha ripreso servizio per essere impiegato in «servizi interni e non operativi esterni con le prescrizioni previste dal processo verbale della C.M.O».
  Occorre poi aggiungere che, in favore del predetto dipendente, è prevista anche la liquidazione di una indennità speciale
una tantum ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 738 del 1981; ciò avverrà non appena acquisito il formale provvedimento di parziale utilizzo alle mansioni individuate dalla citata commissione consultiva.
  A completamento di quanto riferito, si rappresenta, inoltre, che l'Amministrazione della pubblica sicurezza ha deciso, con apposito decreto datato 26 maggio 2017, di accogliere l'istanza prodotta dal sovrintendente capo Mario Vece per l'applicazione di protesi transradiale mioelettrica bionica, come da preventivo pervenuto dal centro INAIL di Vigorso di Budrio, in provincia di Bologna.
  Va, infine, segnalato che al dipendente in questione è stata conferita la medaglia d'oro al valore civile e la promozione per merito straordinario a sovrintendente capo.
  

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in data 5 maggio 2017 un violento incendio ha distrutto l'azienda Eco-X di Pomezia: un'azienda di stoccaggio di rifiuti e lavorazione della plastica;

   il rogo ha sprigionato una nube di fumo che ha invaso anche le zone limitrofe (Castelli Romani, litorale e alcuni municipi romani);

   sono più di 150 le aziende presenti nell'area limitrofa all'incendio per le quali è stata emessa ordinanza di divieto alla raccolta di frutta, verdure e ortaggi, con evidenti danni conseguenti (http://www.romatoday.it);

   in queste ultime ore, inoltre, la procura di Velletri ha disposto il sequestro dell'impianto (http://www.castellinotizie.it), confermando la notizia della presenza di amianto nella Eco-X di Pomezia (http://ilquotidianodellazio.it);

   nonostante la gravità del rogo, i dati relativi all'inquinamento e contaminazione dell'aria e delle coltivazioni (PM10, diossina, presenza di amianto, e altro) sono ancora parziali e frammentari –:

   quali iniziative immediate di competenza si intendano mettere in campo per garantire e tutelare la salute pubblica e come si intenda intervenire in termini di prevenzione e controlli, affinché non si ripetano ulteriormente episodi di siffatta gravità.
(4-16533)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente l'incendio sviluppatosi il 5 maggio 2017 presso l'impianto di trattamento di rifiuti della Eco X, sito nel comune di Pomezia, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, evidenziare, in primo luogo, che da subito il Ministero dell'ambiente si è messo in contatto con la regione Lazio che ha fatto presente di aver attivato tempestivamente tutte le strutture preposte alla sicurezza e alla tutela dell'ambiente e della salute della popolazione.
  In particolare, i controlli sui livelli di agenti inquinanti sono stati attivati dai tecnici dell'Asl RM6 e dell'agenzia Arpa Lazio attraverso l'installazione di sistemi di rilevazione ed il prelievo di campioni nei pressi dell'area interessata nonché verifiche sulla qualità dell'aria anche mediante le centraline della rete di monitoraggio. Tali campionamenti sono stati effettuati in modo continuativo per garantire la corretta applicazione di ogni eventuale prescrizione a tutela della salute della popolazione e del territorio.
  Più precisamente, l'Arpa Lazio ha fatto presente che i dati del particolato PM10 hanno evidenziato concentrazioni elevate (130 μg/mc) nel giorno dell'incendio per poi dimezzarsi il giorno successivo (73 μg/mc). Nei giorni seguenti si è evidenziata una graduale diminuzione del PM10, fino a valori inferiori al limite di legge nella giornata del 9 maggio 2017. È stato, peraltro, elaborato un modello di dispersione degli inquinanti per individuare le zone con maggior rischio di ricaduta in un'area di 30 chilometri per 30 chilometri al fine di concentrare i monitoraggi ambientali successivi che riguardano suolo e acque superficiali.
  Sempre secondo quanto riferito dall'Arpa, dai rilevamenti effettuati anche nelle giornate del 6 e 7 maggio scorso, le concentrazioni misurate presso le stazioni di Ciampino, Cinecittà e Fermi e quelle rilevate dal mezzo mobile situato nell'abitato di Albano Laziale hanno fornito valori inferiori ai limiti imposti dal decreto legislativo 155 del 2010 e in linea con quelli rilevati nelle giornate precedenti l'incendio. Al fine di monitorare l'evoluzione della situazione su un'area più ampia, sono stati istallati ulteriori campionatori di aria di cui uno a circa 200 metri in linea d'aria dal luogo dell'incendio e uno nel comune di Pomezia in piazza dell'Indipendenza.
  L'Arpa Lazio ha fatto presente, altresì, che, nelle giornate dal 16 al 21 maggio 2017, le concentrazioni misurate presso le stazioni Ciampino, Cinecittà e Fermi e quelle rilevate dal mezzo mobile situato nell'ambito di Albano Laziale hanno fornito valori inferiori ai limiti imposti dal predetto decreto legislativo n. 155 del 2010 e in linea con quelli rilevati nelle giornate precedenti l'incendio.
  Per quanto riguarda le misurazioni effettuate con campionatori specificamente installati nelle immediate vicinanze dell'incendio, nonché nel plesso degli uffici del comune di Pomezia, in piazza Indipendenza, la predetta agenzia ha raccolto i filtri per la determinazione del PM10 confermando, in entrambe le postazioni mobili installate, valori inferiori al limite imposto per il PM10 ed in linea con quelli misurati dalla rete fissa di monitoraggio nello stesso periodo.
  Nello specifico, con riferimento al campionatore per il PM10 situato nelle immediate vicinanze dell'incendio, sono state completate le analisi per la ricerca di microinquinanti organici sui campioni di PM10 relativi alle giornate del 13 e 14 maggio 2017 che hanno evidenziato una diminuzione della concentrazione di benzo(a)pirene, risultato inferiore al limite medio annuale. Anche le concentrazioni di diossine e furani rilevate nelle vicinanze dell'incendio tra il 9 ed il 14 maggio 2017 confermano il
trend decrescente messo in evidenza nelle precedenti rilevazioni. Le stesse risultanze sono emerse per le concentrazioni di PCB che evidenziano una costante diminuzione.
  Analogamente, sono state determinate le concentrazioni di inquinanti organici sui filtri di PM10 campionati il 13 e 14 maggio 2017 presso il comune di Pomezia, in piazza Indipendenza. La concentrazione di benzo(a)pirene è risultata inferiore al limite medio annuale e le concentrazioni di PCB e diossine sono in linea con quelle normalmente riscontrabili in ambiente urbano e con i valori misurati in precedenti analoghe campagne di monitoraggio.
  Con riferimento alla messa in sicurezza del sito, si segnala che, con l'ordinanza del 10 maggio, il sindaco di Pomezia ha ordinato ai gestori dell'impianto di adottare con urgenza gli interventi di tempestiva rimozione in sicurezza dei materiali ivi presenti e di contestuale bonifica del sito, nel rispetto della normativa vigente a tutela della salute pubblica.
  A seguito di indagini analitiche svolte dalla Asl Roma 6, la stessa ha confermato la presenza di fibre di amianto nelle coperture dei capannoni dello stabilimento, ma dagli accertamenti effettuati non si rileva la presenza di tali fibre aerodisperse. La Asl, comunque, sta proseguendo nelle attività di campionamento e monitoraggio delle aree limitrofe allo stabilimento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continua a monitorare la situazione con la direzione competente e con l'Ispra, che è a disposizione dell'Arpa regionale per ogni necessario supporto tecnico.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   RIZZO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il complesso edilizio della casa circondariale di Caltagirone è di recente costruzione (1992-2002), realizzato con moduli prefabbricati e consta di due sezioni detentive denominate blocco 25 e blocco 50;

   recenti dichiarazioni del segretario nazionale della Uil polizia penitenziaria, Armando Algozzino, denunciano lo stato di totale abbandono che caratterizza la struttura e la totale assenza di interventi di manutenzione ordinaria negli ultimi anni;

   le criticità del fabbricato riguardano soprattutto il block house, privo di riparo dagli agenti atmosferici, un bagno e la porta carraia non dotata di sistemi di aerazione e aspirazione;

   la UILPA polizia penitenziaria sottolinea la carenza di organico presso gli istituti e l'età media molto elevata dei poliziotti penitenziari: 51/52 anni per la casa circondariale di Caltagirone che sembra non essere un caso isolato;

   l'organico previsto a Caltagirone è stato ridotto da 158 a 137 in due anni, ma in realtà sono presenti 78 agenti e sono del tutto insufficienti rispetto alle esigenze operative, così come è esiguo il numero delle unità, 15 in tutto, impiegate presso il nucleo traduzioni e piantonamenti: quest'ultimo dispone di appena 5 mezzi attivi, sebbene in pessimo stato, rispetto ai 25 in dotazione, poiché i restanti sono fuori servizio –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;

   quali interventi urgenti e quali interventi programmatici siano stati già predisposti dall'amministrazione penitenziaria per ripristinare le strutture fatiscenti;

   quali siano gli interventi urgenti e quali quelli in programma per il riassestamento del parco mezzi;

   se sia allo studio del Ministro interrogato la possibilità di aumentare la dotazione organica della casa circondariale di Caltagirone alla luce anche dei lavori di ampliamento in corso.
(4-14657)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo indicato in oggetto, l'interrogante, dopo aver riportato le dichiarazioni dell'esponente di un'associazione sindacale della polizia penitenziaria in merito alle criticità manutentive e strutturali della casa circondariale di Caltagirone nonché in merito alla carenza di mezzi e di personale operante presso il medesimo istituto, richiede quali iniziative siano state assunte o programmate per la risoluzione delle problematiche evidenziate.
  Quanto alle carenze strutturali, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha riferito che l'istituto di Caltagirone, sebbene di realizzazione piuttosto recente, presenta certamente talune problematiche che, tuttavia, non paiono di natura e gravità tali da legittimare l'affermazione di un «totale stato di abbandono».
  Nel corso dei mesi scorsi, sono state eseguite opere di manutenzione straordinaria con interventi di ristrutturazione di vari ambienti. Sono stati, inoltre, finanziati lavori di ristrutturazione ed adeguamento del blocco 10, e sono stati redatti progetti per l'adeguamento e la risoluzione di problematiche dell'impianto idrico.
  Per quanto, poi, riguarda le criticità relative al
«block house» dell'istituto, il provveditorato regionale si è attivato ed è in fase di elaborazione un progetto di completa ristrutturazione.
  Va rappresentato, più in generale, che la casa circondariale di Caltagirone è inserita a pieno titolo nelle iniziative di edilizia penitenziaria in corso di attuazione.
  Con la cessazione anticipata delle attività del commissario del Governo per le infrastrutture carcerarie, la programmazione degli interventi avviene in seno al comitato paritetico interministeriale per l'edilizia penitenziaria cui partecipa il mio Dicastero e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Oltre alle predette attività manutentive realizzate o in corso di progettazione, va rilevato che – come risulta dalla relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del programma di edilizia penitenziaria per l'anno 2016 redatto dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – tra gli interventi in relazione ai quali è prevista l'ultimazione dei lavori nel corso del 2017 è compresa la realizzazione di un nuovo padiglione da 200 posti per la casa circondariale di Caltagirone, con appalto gestito dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Quanto alle denunciate carenze del personale di polizia penitenziaria, il dipartimento predetto ha comunicato dati differenti rispetto a quelli riportati nell'atto ispettivo: infatti, a fronte di 137 unità previste in pianta organica, presso la casa circondariale di Caltagirone risultano attualmente presenti 115 unità, percentuale di presenza che si attesta all'81,75 per cento solo leggermente al di sotto del valore medio regionale che è pari al 83,54 per cento.
  In base ai dati comunicati, la carenza maggiore riguarda i ruoli degli ispettori e dei sovrintendenti.
  Pur nella consapevolezza del quadro di scopertura che caratterizza sull'intero territorio nazionale l'organico della polizia penitenziaria, non può che ribadirsi come anche la situazione dell'istituto di Caltagirone non potrà che essere tenuta nella massima considerazione in occasione delle nuove assegnazioni di personale, ormai imminenti.
  In attesa, infatti, della riattivazione delle procedure concorsuali per l'assunzione di 300 unità maschili e 100 femminili, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 ottobre 2016 l'amministrazione penitenziaria è stata autorizzata ad assumere n. 887 unità di agenti già vincitori di concorso.
  E, nell'ambito di tale quadro, il decreto-legge n. 244 del 30 dicembre 2016 (decreto «milleproroghe»), convertito con la recente legge 27 febbraio 2017, n. 19, ha previsto la proroga, sino al dicembre 2017, della validità delle graduatorie dei concorsi banditi ai sensi dell'articolo 2199 del codice dell'ordinamento militare, pubblicate in data non anteriore al 1° gennaio 2012.
  Tale intervento normativo consentirà, dunque, all'amministrazione di attingere alle predette graduatorie per avviare le procedure finalizzate all'assunzione, nell'anno in corso, di 887 donne e uomini, che andranno a colmare, in parte, il vuoto in organico del corpo di polizia penitenziaria.
  Si tratta di un primo passo, ma molto importante, che dimostra la costante attenzione riservata dal Governo a tale questione e che intende migliorare le condizioni di lavoro negli istituti, garantirne maggior sicurezza ed assicurare un miglior trattamento per le persone detenute.
  Nella medesima direzione vanno, inoltre, gli interventi tendenti a limitare al minimo la possibilità che il personale della polizia penitenziaria sia assegnato ad attività diverse da quelle proprie dell'istituzione. In questo senso, presso il Gabinetto del Ministero della giustizia, sono state organizzate apposite riunioni sul tema con la partecipazione dei vertici di tutte le articolazioni ministeriali interessate.
  Nella prospettiva del miglioramento dei modelli di organizzazione ed in attuazione del nuovo regolamento introdotto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2015, che ha ridisegnato l'intero apparato del Ministero della giustizia, sono in corso di emanazione diversi decreti ministeriali, relativi, tra l'altro, alla rimodulazione della dotazione organica dei ruoli della polizia penitenziaria prevista dall'articolo 44 del decreto legislativo n. 95 del 29 maggio 2017, adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 8, comma 1, lettera
a), della legge 7 agosto 2015, n. 124 per il riordino della carriera delle forze di polizia, nonché per l'adozione delle misure per la definizione dei criteri e delle priorità di assegnazione delle sedi di servizio del personale del corpo di polizia penitenziaria, in attuazione dell'articolo 11, comma 2, lettera m), del decreto del Ministro della giustizia 2 marzo 2016.
  Solo grazie ad un impegno politico intenso e costante, articolato in contestuali interventi di carattere normativo ed organizzativo, di edilizia penitenziaria e di politiche del personale, le complessive condizioni detentive, in ambito locale così come sul piano nazionale, sono destinate a migliorare ulteriormente rispetto al passato.

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   SANTELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con comunicazione scritta in data 4 agosto 2015, inviata al presidente dell'Anas compartimento viabilità Calabria e per conoscenza presidente del Comitato «basta vittime sulla 106», al presidente della Commissione straordinaria antimafia del comune di Badolato e al prefetto di Catanzaro, un cittadino richiamava l'attenzione dei responsabili dei soggetti e degli enti citati sul fatto che il Ponte Vodà ormai inglobato nel territorio urbano, ed assolutamente privo di marciapiede, costituisce un continuo aggravio di pericolo per le numerose persone che abitano nella zona sud di Badolato Marina e che sono spesso costrette ad attraversare il ponte a piedi; in particolare si chiedeva la realizzazione di una pedana metallica per l'attraversamento pedonale sottoponendo la proposta ai dirigenti dell'Anas ma con esito negativo;

   con nota del 21 ottobre 2015 inviata dal vice prefetto vicario dottor Mariani si richiedevano al comune di Badolato notizie a riguardo della segnalazione di situazione di pericolosità della strada statale 106 nel tratto del Ponte Vodà;

   il comune di Badolato in data 9 dicembre 2014 giusto prot. n. 5799 nella persona del responsabile dell'ufficio tecnico architetto Giuseppe Carnuccio comunicava alla prefettura di Catanzaro che in data 5 dicembre 2014 il prefetto aveva convocato i rappresentanti dei comuni i cui territori sono attraversati dalla strada statale 106 alla presenza dei funzionari tecnici dell'Anas, raccogliendo la proposta di realizzazione della menzionata passerella pedonale;

   il comune di Badolato per il tramite del responsabile dell'ufficio tecnico architetto Giuseppe Carnuccio, con nota del 31 maggio 2016 giusto prot. n. 2467 inviata via pec al dipartimento Anas compartimento viabilità Calabria, denunciava una situazione di pericolo nella quale incorrono i pedoni che transitano il Ponte Vodà per raggiungere le proprie abitazioni, e senza aver previsto un piano di sicurezza pedonale, né tantomeno la costruzione di una passerella metallica, nonostante siano stati ultimati i lavori di ristrutturazione del Torrente Vodà –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine di mettere in sicurezza la viabilità pedonale evitando una situazione di pericolo nella quale incorrono numerosi cittadini di Badolato che transitano per raggiungere le proprie abitazioni, nonché al fine di considerare quale soluzione possibile, la realizzazione di una passerella metallica.
(4-13650)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta forniti dalla società Anas e dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero.
  Nel mese di giugno 2016 si è svolto un incontro tra il sindacato del comune di Badolato e la società Anas, nel quale i rappresentanti dell'Anas hanno illustrato le attività avviate per il ponte Vodà e per i restanti ponti situati lungo la statale 106 Jonica.
  Circa la realizzazione della passerella pedonale in affiancamento al Ponte Vodà al chilometro 150+200 della strada statale 106 Jonica la società Anas ha comunicato che recentemente è stato ultimato il progetto preliminare relativo all'intervento.
  Anas informa, altresì, che i relativi elaborati progettuali saranno trasmessi a breve alla competente soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Cosenza per l'emissione del nulla osta necessario per procedere alla realizzazione del passaggio pedonale, in quanto il ponte ad arco su cui si deve intervenire è classificato come bene storico-architettonico ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
  Tuttavia, nelle more la società Anas nel mese di luglio 2016 ha installato un impianto semaforico a chiamata, per la salvaguardia della sicurezza dei pedoni nelle fasi di attraversamento del ponte.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   VENTRICELLI, LAVAGNO, COMINELLI, CRIMÌ, COSCIA, MICHELE BORDO, RIBAUDO, ROTTA, SCHIRÒ, MORANI, MALPEZZI, RICHETTI, COVELLO, PES, ALBANELLA, BORGHI, VICO, VALERIA VALENTE, COCCIA, GIOVANNA SANNA, MOSCATT, CURRÒ, MINNUCCI, TARICCO, D'ARIENZO, MANFREDI, MARCHI, LATTUCA, CULOTTA, CRIVELLARI, CARDINALE, GIUDITTA PINI, PARIS e MASSA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 12 luglio 2017 il primo cittadino di Altamura, Giacinto Forte, è stato arrestato con altre undici persone per un giro di presunte tangenti in cambio di appalti in alcuni comuni della provincia di Bari;

   i finanzieri del nucleo di polizia tributaria Bari e carabinieri del comando provinciale hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare nei confronti di dodici persone, emesse dal Gip del tribunale di Bari su richiesta della procura, e numerose perquisizioni;

   le ordinanze – due in carcere, dieci agli arresti domiciliari ed un obbligo di dimora – costituiscono l'esito di procedure di affidamento dei pubblici appalti che ha riguardato alcuni comuni della provincia di Bari. I provvedimenti restrittivi e le perquisizioni, nell'ambito dell'operazione denominata «Pura defluit» sono scattati a Bari, Roma, Altamura, Acquaviva delle Fonti e Castellana Grotte ed altri comuni del Sud – Barese;

   in data 1o agosto è stata nominata commissario prefettizio del comune di Altamura il viceprefetto Rachele Grandolfo, dopo la cessazione dalle funzioni di vice sindaco in data 31 luglio del dottor Rifino subentrato al sindaco Giacinto Forte attualmente agli arresti domiciliari con l'accusa di corruzione per il quale il tribunale di riesame di Bari ha rigettato la richiesta di revoca della misura cautelare, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari;

   stando alle indagini di Guardia di finanza e carabinieri, coordinate dai pubblici ministeri Claudio Pinto e Marco D'Agostino, l'ex sindaco Forte avrebbe accettato una tangente di 15 mila euro dagli imprenditori Bertin Sallaku titolare della «Besa Costruzioni srl» e dal suo socio Michele Fatigati, per l'appalto dei lavori al depuratore della città;

   il tribunale del riesame ha anche rigettato la richiesta di scarcerazione di un altro indagato, il dirigente dell'ufficio tecnico del comune di Gioia del Colle, Vito Raffaele Lassandro, membro della commissione che aggiudicò il presunto appalto «truccato» relativo ai lavori di ristrutturazione del teatro comunale di Acquaviva delle Fonti;

   le indagini hanno documentato che imprenditori, tecnici e amministratori pubblici di alcuni comuni dell'area metropolitana di Bari avrebbero «truccato» fra il 2015 e il 2017 almeno cinque gare d'appalto bandite dai comuni di Acquaviva, Altamura e Castellana Grotte, e si allargano anche ad un bando da 1,4 milioni per comune di Altamura nell'ambito del progetto «Periferie aperte» della città metropolitana di Bari –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei gravi fatti riportati in premessa e quali siano i loro orientamenti, per quanto di competenza, in merito alla gravissima situazione;

   se non si ritenga urgente e necessario intervenire, anche per il tramite del commissario prefettizio del comune di Altamura e in raccordo con l'Anac, con una verifica mirata di tutti gli appalti affidati nel periodo in cui è stata in carica l'amministrazione, anche al fine dell'individuazione delle responsabilità e per impedire che si perpetuino altri illeciti.
(4-17794)

  Risposta. — Come ricordato nell'interrogazione in esame, nella giornata del 12 luglio 2017, militari della Guardia di finanza – nucleo di polizia tributaria di Bari e del comando compagnia Carabinieri di Gioia del Colle hanno dato esecuzione a due ordinanze di applicazione di misure cautelari emesse dal Gip del tribunale di Bari per condotte di corruzione di pubblici ufficiali ed alterazione delle procedure di affidamento di opere pubbliche nel settore degli appalti, che hanno interessato i comuni di Aquaviva delle Fonti, Altamura e Castellana Grotte.
  In particolare, la prima ordinanza emessa è stata eseguita anche nei confronti di un dirigente dell'ufficio tecnico comunale di Acquaviva delle Fonti, e di un dirigente dell'ufficio tecnico comunale di Gioia del Colle, per il reato di turbata libertà degli incanti, in concorso tra loro e con tre soggetti, la misura applicata è stata quella degli arresti domiciliari.
  La seconda ordinanza è stata, invece, eseguita anche nei confronti del sindaco del comune di Altamura, con applicazione della misura degli arresti domiciliari per il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, in concorso con altri; ed, inoltre, nei confronti del dirigente responsabile del settore lavori pubblici del comune di Castellana Grotte, con applicazione della misura degli arresti domiciliari per il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, in concorso.
  Nella stessa giornata del 12 luglio, il prefetto di Bari, a seguito della comunicazione dell'ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti del primo cittadino di Altamura, ha provveduto a dichiarare la sussistenza delle condizioni per la sospensione di diritto della carica di sindaco e di ogni carica connessa, ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 235 del 2012.
  L'amministrazione comunale di Altamura, pertanto, in base alle disposizioni del testo unico degli enti locali, è stata retta dal vicesindaco al quale, con decreto sindacale, erano stati conferiti poteri vicari sino al 31 luglio di quest'anno.
  Proprio in quest'ultima data, la sezione del riesame del tribunale di Bari ha rigettato l'istanza di riesame presentata dal sindaco di Altamura a seguito dell'esecuzione del provvedimento di custodia cautelare. Pertanto, poiché alla data del 1° agosto, permaneva la causa di sospensione di diritto nei confronti del sindaco, il prefetto di Bari ha proceduto ai sensi dell'articolo 19 del regio decreto n. 383 del 1934, alla nomina di un commissario prefettizio per la provvisoria gestione dell'Ente, a cui sono attribuiti i poteri del sindaco e della giunta.
  Il 7 agosto 2017 si è tenuta una riunione del consiglio comunale di Altamura avente ad oggetto la vicenda in questione, nel corso della quale i consiglieri di maggioranza non hanno dato seguito alla richiesta avanzata dall'opposizione in merito alle loro dimissioni. Nel successivo consiglio comunale del 18 agosto, avente ad oggetto la «mozione di sfiducia nei confronti del Sindaco», i presenti, a causa della mancata partecipazione di tutti i consiglieri di maggioranza hanno occupato ad oltranza la sala consiliare, allo scopo di manifestare contro le mancate dimissioni del sindaco e di sensibilizzare le istituzioni locali e la cittadinanza sui fatti accaduti.
  Con specifico riferimento alla questione della possibile verifica della regolarità degli appalti, l'Anac ha rappresentato di aver ritenuto necessario chiedere alla guardia di finanza, operante presso l'autorità, una preliminare valutazione in merito all'applicabilità delle misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell'ambito della prevenzione della corruzione previste dall'articolo n. 32 del decreto-legge n. 90 del 2014.
  Sempre secondo quanto riferito dalla predetta autorità, i cui adempimenti sono ancora in corso, gli esiti dell'analisi hanno evidenziato l'opportunità di un eventuale «commissariamento» dell'appalto per l'affidamento dei lavori di recupero del teatro comunale di Acquaviva della Fonti. Con specifico riferimento al comune di Altamura, la stessa Anac ha ritenuto opportuno interessare i dirigenti ispettori al fine di verificare quanto affermato nell'interrogazione in merito agli appalti affidati dal predetto comune nel periodo in cui è stata in carica l'amministrazione facente capo al sindaco Giacinto Forte.
  Si rappresenta, infine, che la situazione del comune di Altamura è costantemente monitorata dalla prefettura di Bari, che seguirà con la massima attenzione tutti gli sviluppi delle vicende giudiziarie evidenziate.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il diritto all'educazione e alla formazione permanente in una società che ha necessità di qualificare e riqualificare i cittadini, anche oltre gli anni dell'istruzione obbligatoria, è consentito — oggi — nell'ambito della disponibilità dei Pon 2014/2020;

   i cambiamenti avvenuti nei processi produttivi e l'aumento della disoccupazione, necessitano di nuove e più incisive politiche di investimento nell'istruzione degli adulti;

   l'esigenza è quella di acquisire competenze certificate; frequentare corsi serali diventa quindi una grande opportunità per gli occupati, per chi è nella necessità di riposizionarsi nel mondo del lavoro o per coloro che hanno abbandonato, o mai iniziato, un percorso di studi superiori;

   l'esigenza è anche quella di avere questa opportunità in modo capillare sul territorio affinché la popolazione non sia costretta a raggiungere i capoluoghi per accedere ai corsi per gli adulti e in orari compatibili con una occupazione;

   «non è mai troppo tardi», diceva il maestro Manzi; «gli esami non finiscono mai» sosteneva Eduardo De Filippo; per questo il sistema di istruzione deve porsi l'obiettivo di facilitare il rapporto con il mondo del lavoro, anche grazie a percorsi di orientamento, di certificazione o di aggiornamento delle competenze professionali;

   acquisire alcune informazioni e competenze aiuta anche ad essere cittadini consapevoli, visto che una società complessa presuppone la conoscenza di terminologia tecnica e inglesismi che divengono di uso comune –:

   nel sistema di istruzione per gli adulti, quali e quante siano le realtà che hanno sviluppato le migliori esperienze, che hanno coinvolto il numero maggiore di utenti e che hanno espresso le migliori performance;

   quali canali vengano utilizzati per pubblicizzare questi percorsi, e se l'utenza sia prevalentemente italiana o si tratti di esperienze che coinvolgono anche gli stranieri.
(4-17289)

  Risposta. — Le recenti innovazioni normative nel campo dell'istruzione degli adulti introdotte dal decreto del Presidente della Repubblica n. 263 del 2012 dalle linee guida di cui al decreto del ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze del 12 marzo 2015 rispondono alle esigenze di acquisizione e consolidamento delle competenze di base da parte di adulti scarsamente qualificati, anche come chiave per il loro reinserimento sociale e lavorativo nel contesto dell'apprendimento permanente e all'interno di strategie di coordinamento con le autonomie locali, il mondo del lavoro e delle professioni.
  I centri provinciali per l'istruzione degli adulti (CPIA), introdotti dalla citata normativa, costituiscono una tipologia di istituzione scolastica autonoma, dotata di uno specifico assetto didattico e organizzativo, articolata in reti territoriali di servizio, sono dotate di un proprio organico ed hanno i medesimi organi collegiali delle altre scuole, con gli opportuni adattamenti. Inoltre, sono organizzati in modo da stabilire uno stretto raccordo con le autonomie locali ed il mondo del lavoro.
  I percorsi di istruzione per adulti sono organizzati in percorsi di primo e di secondo livello, per il conseguimento, rispettivamente, del titolo di studio conclusivo del primo ciclo d'istruzione e dei diplomi di istruzione tecnica, professionale e artistica, nonché in percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana, destinati agli adulti stranieri, per un livello non inferiore ad A2.
  Al fine di ampliare l'offerta formativa, i Cpia stipulano accordi con gli enti locali ed altri soggetti pubblici e privati, con particolare riferimento alle strutture formative accreditate dalle Regioni. Tale ampliamento consiste in iniziative coerenti con le finalità del Cpia e che tengono conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali.
  Tutto ciò posto, si rappresenta che l'attuazione del nuovo assetto organizzativo e didattico, secondo quanto previsto dall'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 263 del 2012, è stata graduale.
  Nell'anno scolastico 2013/2014 sono stati realizzati nove progetti assistiti a livello nazionale in aree territoriali individuate da un apposito gruppo tecnico nazionale sulla base dei seguenti indicatori: 1) Neet; 2) cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti; 3) offerta di istruzione per adulti erogata dai Centri territoriali permanenti (CPT) e dai corsi serali e numero dei contatti di rete già stabiliti dai CTP.
  Nel successivo anno 2014/2015 otto regioni, ai sensi di quanto previsto dalla circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 36 del 10 aprile 2014, hanno provveduto a deliberare l'attivazione, nei relativi piani di dimensionamento, l'attivazione di 56 CPIA.
  Dal 31 agosto 2015 tutti i centri territoriali permanenti ed i corsi serali per il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore, di cui al previgente ordinamento, hanno cessato di funzionare. Conseguentemente, a seguito delle relative programmazioni regionali, dal 1 settembre 2015 i CPIA sono stati attivati su tutto il territorio nazionale. Sia nell'anno scolastico 2015/2016 che nel 2016/2017 i CPIA funzionanti sono stati 126.
  I competenti uffici scolastici regionali hanno proceduto alla rilevazione dei dati relativi ai punti di erogazione e ai Patti formativi individuali, elaborati dalle commissioni di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 263 del 2012. Da tale rilevazione è risultato un significativo incremento: nell'anno 2015/2016 si sono rilevati, infatti, 182.863 patti formativi individuali a fronte dei 229.400 dell'anno 2016/2017, mentre i punti di erogazione del servizio sono passati da 1.784 a 1.833.
  Per quanto concerne le operazioni di monitoraggio, ai sensi dell'articolo 10 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 263 e dell'articolo 1, comma 23, della legge n. 107 del 2015, la competente direzione generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione, d'intesa con l'Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (Indire), ha promosso con nota prot. n. 8683 del 13 luglio 2017 un monitoraggio qualitativo relativo alle annualità 2015/2016 e 2016/2017, articolato in tre sezioni (percorsi di istruzione per adulti, ampliamento dell'offerta formativa, applicazione del regolamento), con particolare attenzione all'utenza straniera e a quella degli istituti di prevenzione e pena.
  La struttura del sopra descritto monitoraggio è stata definita dall'Indire tenendo conto anche dell'esperienza maturata nel Piano di attività per l'innovazione dell'istruzione degli adulti (Paideia), per il cui supporto è stato istituito, con decreto direttoriale n. 51 del 27 gennaio del 2015 e successivi aggiornamenti, il Gruppo nazionale Paideia di cui fanno parte rappresentanti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, degli uffici scolastici regionali e dell'Indire.
  Il piano ha visto la costituzione di cinque aggregazioni interregionali, la realizzazione di seminari di produzione di strumenti operativi, flessibili e applicabili nei diversi contesti, di un convegno conclusivo delle attività 2015/2016 tenutosi a Roma il 30 novembre 2016. Con i fondi a disposizione sono stati, inoltre, attivati 17 Cpia quali Centri regionali di ricerca, sperimentazione e sviluppo dell'istruzione per gli adulti, i cui dirigenti scolastici hanno sottoscritto un protocollo di rete il 30 maggio 2017 in occasione di Fierida (1a Fiera nazionale dell'istruzione degli adulti) svoltasi a Napoli — città della scienza dal 29 al 31 maggio 2017.
  Al fine, inoltre, di favorire la più ampia conoscenza della ridefinizione dei percorsi di istruzione degli adulti, un'apposita sezione «Istruzione degli adulti» è presente nel rinnovato sito del MIUR e le modalità di iscrizione ai relativi percorsi sono precisate nella sezione «Come faccio a».
  Relativamente all'utenza straniera, si precisa che a tutti i percorsi di istruzione degli adulti possono comunque iscrivessi adulti sia italiani che stranieri. In particolare, l'articolo 4, comma 1, lettera
c), del più volte citato decreto del Presidente della Repubblica prevede percorsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana destinati agli alunni stranieri e finalizzati al conseguimento di un titolo attestante il raggiungimento di un livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore ad A2 del quadro comune europeo di riferimento per le lingue elaborato dal Consiglio d'Europa, utili anche ai fini di quanto previsto dalle nuove norme di cui al decreto ministeriale 4 giugno 2010 e al decreto del Presidente della Repubblica n. 179 del 2011, a seguito degli Accordi Quadro Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca-Ministero dell'interno 11 novembre 2010 e 7 agosto 2012.
  Dalle citate rilevazioni è risultato che i patti formativi relativi a percorsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana sono passati dai 78.294 dell'anno scolastico 2015/2016 ai 118.640 del 2016/2017. A seguito dei citati Accordi Quadro, inoltre, presso i CPIA si svolgono i
test di conoscenza della lingua italiana, la sessione di formazione civica e di informazione, il test per l'assegnazione dei crediti relativi alla conoscenza della lingua italiana, della cultura civica e della vita civile in Italia.
  Al fine di sostenere l'azione dei Cpia il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – direzione generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione – ha elaborato, di concerto con il Ministero dell'interno, i seguenti strumenti utili a delineare un quadro comune di riferimento per l'integrazione linguistica e sociale degli adulti stranieri: 1)
vademecum recante indicazioni tecnico-operative per la definizione dei contenuti delle prove che compongono il test di cui al decreto ministeriale 4 giugno 2010, durata della prova e criteri di assegnazione del punteggio; 2) linee guida per la progettazione della sessione di formazione civica e di informazione, di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 179 del 2011; 3) linee guida contenenti criteri per lo svolgimento del test di conoscenza della cultura civica e della vita civile in Italia; 4) linee guida contenenti criteri per lo svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana a livello A2 parlato; 5) linee guida contenenti criteri per lo svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana a livello B1.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Valeria Fedeli.


   VIGNALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 107 del 2015 ha introdotto un bonus («carta del docente») di 500 euro, per ogni anno scolastico, per acquisti di natura culturale destinato ai docenti di ruolo della scuola italiana per la formazione continua e l'aggiornamento professionale;

   a partire dal 2016 il bonus, previa iscrizione con codice Spid, è assegnato ad ogni docente attraverso un «borsellino elettronico» e attraverso applicazione web «cartadeldocente.istruzione.it» è possibile ai docenti effettuare acquisti, anche online, presso gli esercenti ed enti accreditati a vendere i beni e i servizi che rientrano nelle categorie previste dalla norma;

   attraverso la piattaforma è possibile agli esercenti accreditati ai sensi della direttiva del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 170 del 2016 registrarsi al servizio e offrire ai docenti la vendita dei beni o servizi previsti dalla normativa;

   la carta consente, tra le varie agevolazioni, «l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale»;

   essa prevede, sempre in funzione del miglioramento delle competenze specifiche del docente, che un insegnante di musica possa utilizzare il bonus o parte di esso per l'acquisto di uno strumento musicale, purché strettamente correlato alle iniziative individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa e del piano nazionale di formazione di cui all'articolo 1, comma 121, della legge n. 107 del 2015;

   tuttavia, nella categoria dei libri, testi e pubblicazioni acquistabili con la carta non sono espressamente previste le edizioni musicali, testi fondamentali per la formazione dei docenti di musica;

   la procedura spettante agli esercenti per ottenere l'accreditamento (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 novembre 2016, articolo 7) autorizza solo i codici Ateco relativi alle librerie. In particolare, per quanto riguarda l'editoria musicale e gli strumenti musicali, risultano attualmente rivenditori accreditati, sulla base del codice Ateco, solo Amazon e La Feltrinelli, mentre sono esclusi tutti i produttori/rivenditori di strumenti e di editoria musicale, creando in tal modo una inaccettabile disparità di trattamento –:

   se non ritenga opportuno assumere iniziative per chiarire che la carta del docente può essere utilizzata anche per l'acquisto delle edizioni musicali;

   se non ritenga opportuno assumere iniziative per autorizzare l'accreditamento di tutti i produttori e rivenditori di strumenti musicali e di editoria musicale, corrispondenti ai codici Ateco 32.20.00 fabbricazione degli strumenti musicali, 47.59.6 commercio al dettaglio di strumenti musicali e spartiti, 95.29.01 riparazione di strumenti musicali e 59.20.20 edizione di musica stampata.
(4-15593)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene richiesto se, tra i beni acquistabili con la cosiddetta «Carta del docente» possano rientrare le edizioni musicali e, di conseguenza, se si intenda autorizzare a tal fine l'accreditamento dei produttori e rivenditori del corrispondente settore commerciale.
  Al riguardo, si ricorda preliminarmente che la carta del docente, come stabilito dall'articolo 1, comma 121 della legge n. 107 del 2015, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e del piano nazionale di formazione di cui al comma 124.
  Ciò posto, si rappresenta che nel decorso anno scolastico 2015/2016 è stato consentito, mediante la Faq n. 16 pubblicata nel sito istituzionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'acquisto di strumenti musicali da parte di insegnanti di musica, purché lo strumento musicale fosse strettamente correlato alle iniziative individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa e del piano nazionale di formazione di cui all'articolo 1, comma 121, della legge n. 107 del 2015. In questo caso infatti l'acquisto dello strumento è finalizzato a migliorare le competenze specifiche del docente in relazione all'indirizzo della scuola e rientra pertanto nelle finalità formative previste dalla norma.
  Come è noto, nel corrente anno gli acquisti avvengono mediante l'applicazione «
cartadeldocente.istruzione.it» appositamente attivata. Dopo una breve vacanza temporale sono stati inseriti nell'applicazione i seguenti codici ATECO: 47.59.6 – commercio al dettaglio di strumenti musicali e spartiti – e 59.20.20 – edizione di musica stampata –. Detti codici abilitano i docenti di musica di acquistare strumenti musicali, utili alla loro formazione ed al loro aggiornamento professionale.
  La medesima applicazione, invece, non contempla codici ATECO che non siano strettamente connessi alla vendita di beni, come quelli denominati 95.29.01 – riparazione di strumenti musicali – e 32.20.00 – fabbricazione degli strumenti musicali – . Tali codici, infatti, non sono stati previsti nell'applicazione in quanto attengono ad esercizi commerciali non abilitati alla vendita, ma solo alla riparazione o fabbricazione degli strumenti.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Valeria Fedeli.


   ZARATTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in data 11 luglio 2003 moriva presso il carcere «Le Sughere» di Livorno all'età di ventinove anni Marcello Lonzi, condannato a 9 mesi di reclusione per tentato furto;

   come più volte riportato dalla stampa nel corso di questi anni, secondo i familiari sul corpo della vittima sarebbero state rinvenute evidenti ferite, fratture e numerose ecchimosi, citate anche nella perizia del medico legale, che farebbero ritenere Lonzi vittima di un brutale pestaggio;

   secondo due successive inchieste giudiziarie per omicidio colposo, del 2004 e del 2010 entrambe archiviate, il decesso di Lonzi sarebbe avvenuto per arresto cardiocircolatorio dovuto ad infarto;

   nel maggio del 2013 la madre della vittima ha sporto querela ai carabinieri di Pisa, città nella quale risiede, contro due medici della casa circondariale e contro il medico legale che eseguì l'autopsia accusandoli di non avere «svolto bene il loro dovere» e chiedendo la riapertura delle indagini sulla morte del giovane;

   lo scorso 27 giugno il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Livorno Beatrice Dani, respingendo una nuova richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero Antonio Di Bugno, ha disposto nuove indagini (sei mesi di tempo) per capire se ci siano state imperizie durante le operazioni di soccorso del detenuto Marcello Lonzi, da parte del personale medico dell'istituto di pena;

   nel corso delle precedenti legislature numerose interrogazioni parlamentari hanno chiesto di chiarire eventuali responsabilità dell'amministrazione carceraria connesse con la morte del detenuto –:

   se il Ministro interrogato non intenda adottare le opportune iniziative affinché sia istituita una commissione ministeriale per chiarire le eventuali responsabilità amministrative connesse con la morte di Marcello Lonzi di cui si è detto in premessa.
(4-06824)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame gli interroganti, dopo aver esposto le notizie acquisite in merito alla morte di Marcello Lonzi, detenuto presso la casa circondariale di Livorno, ed in merito ai relativi accertamenti disposti in sede penale, richiedono se vi sia da parte del Ministero della giustizia l'intendimento di istituire una apposita commissione per il chiarimento della vicenda nonché per la verifica di eventuali responsabilità amministrative connesse alla morte del Lonzi.
  L'argomento, per quanto si va ad esporre di seguito, investe il tema generale dell'assistenza sanitaria ai detenuti che, nel quadro delle riflessioni e delle elaborazioni compiute in seno agli Stati generali dell'esecuzione penale, assume un rilievo prioritario e centrale nel panorama delle politiche, messe in atto nel corso degli ultimi anni dal Dicastero, volte al miglioramento complessivo delle condizioni di vita all'interno degli istituti di detenzione.
  Con il passaggio al servizio sanitario delle competenze in ambito carcerario di diagnosi e cura, l'amministrazione penitenziaria è impegnata nella promozione, sul territorio, della collaborazione tra regioni ed ASL per la realizzazione di presidi sanitari adeguati ai bisogni delle persone detenute, alla luce delle linee guida in materia di modalità di erogazione dell'assistenza sanitaria negli istituti penitenziari per adulti, approvate dalla conferenza unificata in data 22 gennaio 2015, opportunamente diffuse alle articolazioni periferiche ed alla magistratura.
  In particolare, al fine di sperimentare e di implementare il modello di assistenza sanitaria nelle carceri attraverso l'adozione della telemedicina, sono state adottate specifiche iniziative in, attuazione dell'accordo, sottoscritto in data 4 agosto 2016, con federsanità ed Anci, coinvolgendo le diverse istituzioni interessate nella definizione di un modello innovativo di gestione della salute all'interno degli istituti di pena che prevede, tra l'altro, l'adozione di un diario clinico informatizzato e la realizzazione di una piattaforma in grado di dialogare con le strutture del servizio sanitario nazionale onde assicurare completezza e tempestività di comunicazione sulle condizioni di salute dei detenuti.
  Passando al caso specifico, come accennato dagli interroganti e come riferito dalla competente articolazione ministeriale, gli accertamenti disposti dalla autorità giudiziaria si sono sviluppati nell'ambito di tre successivi procedimenti penali.
  Il primo procedimento (n. 9957/03 modello 44) venne aperto, nell'immediatezza del fatto, a carico di ignoti per la fattispecie di omicidio volontario, su denuncia della madre della vittima.
  Tale procedimento si è concluso con provvedimento di archiviazione adottato, in data 10 dicembre 2004, all'esito dell'udienza camerale fissata a seguito di opposizione della denunciante alla richiesta di archiviazione avanzata dalla procura della Repubblica.
  L'accertamento medico legale, disposto nel corso di tale procedimento, ha individuato in cause esclusivamente naturali l'origine del decesso («aritmia maligna in soggetto portatore di ipertrofia ventricolare sinistra e di coronarosclerosi con severa stenosi del ramo discendente della coronaria sinistra»). La medesima consulenza ha affrontato, inoltre, il tema delle lesioni traumatiche rilevate sul viso di Marcello Lonzi ritenendo che le stesse siano state la conseguenza della caduta intervenuta in seguito alla perdita di conoscenza («L'aritmia maligna ha determinato la insufficiente irrorazione cerebrale [...] cui ha fatto seguito una brusca perdita di coscienza del soggetto, che in tal modo è andato ad urtare frontalmente contro lo stipite della porta della cella senza aver avuto il tempo di mettere in atto alcun meccanismo di difesa...»).
  Il secondo procedimento penale (n. 2487/08 R.G.N.R.) è stato iscritto su istanza di riapertura delle indagini presentata da Maria Ciuffi, madre del deceduto, a carico di un compagno di cella del Lonzi per la fattispecie di omicidio preterintenzionale, nonché a carico di due agenti di polizia penitenziaria per il reato di omicidio colposo. Nel corso del procedimento è stata riesumata la salma, sono stati disposti ulteriori accertamenti medico legali ed assunte sommarie informazioni da numerose persone.
  Gli accertamenti compiuti non hanno portato a conclusioni differenti dalle precedenti: il giudice per le indagini preliminari, ritenendo la morte del Lonzi imputabile a cause naturali, in data 19 maggio 2010 ha adottato provvedimento di archiviazione, anche in tal caso all'esito di udienza camerale per intervenuta opposizione della parte offesa alla richiesta del pubblico ministero.
  Un terzo procedimento (n. 6595/13 R.G.N.R.) è stato iscritto, ancora su denuncia di Maria Ciuffi, per il reato di falsa perizia a carico del consulente tecnico nominato dal pubblico ministero nel corso del primo procedimento, nonché a carico di due medici della casa circondariale di Livorno per i reati di omicidio colposo e false dichiarazioni al pubblico ministero.
  In data 3 marzo 2014 la procura della Repubblica ha avanzato anche in tal caso richiesta di archiviazione, avverso la quale la Ciuffi presentava opposizione.
  Nel corso dell'udienza camerale, tenutasi in data 26 giugno 2014, il giudice nel rigettare la richiesta ha disposto un supplemento di indagini, consistente nel sottoporre il parere reso dal consulente tecnico della persona offesa al vaglio dei consulenti nominati dal pubblico ministero nel corso del secondo procedimento.
  Le relazioni dei consulenti, depositate il 17 ottobre 2014 ed il 15 novembre 2014, hanno confermato quanto precedentemente riferito.
  Ne è seguita nuova richiesta di archiviazione del procedimento, cui si è nuovamente opposta la persona offesa e si è tenuta, conseguentemente, l'udienza in camera di consiglio in data 13 gennaio 2016.
  In data 9 agosto 2016 è stata adottata, anche nell'ambito del terzo procedimento, ordinanza di archiviazione.
  Non dissimile da quanto emerso in sede penale è il risultato dell'indagine amministrativa disposta dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e condotta dal provveditorato regionale competente.
  Secondo quanto riferito dalla predetta articolazione ministeriale, Marcello Lonzi è stato rinvenuto dal personale di sorveglianza, alle ore 19.50 del giorno 11 luglio 2003, all'interno della sua cella, riverso a terra mentre il suo compagno si trovava inginocchiato di fronte a lui.
  Il medico dell'istituto penitenziario, prontamente intervenuto, lo ha trovato «riverso bocconi con tracce di sangue intorno alla testa» ed ha notato, ad un primo esame ispettivo, ferite lacerocontuse sulla fronte e sul sopracciglio e labbro sinistri.
  I soccorsi e le manovre di rianimazione poste in essere non hanno dato esito alcuno e non si è potuto che constatare il decesso per arresto cardiocircolatorio del detenuto.
  Sulla base della relazione del provveditorato, anche la competente articolazione
ministeriale perviene alla conclusione secondo cui non si riscontrano elementi che possano far risalire il decesso a cause violente: le ferite lacerocontuse presenti sul viso del detenuto, sono state ricondotte infatti alla dinamica della caduta improvvisa del giovane che, privo di coscienza, avrebbe sbattuto la testa al cancello.
  Dal punto di vista sanitario, come ricordato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, durante la detenzione Marcello Lonzi, soggetto tossicodipendente già seguito dal Ser.T. di Livorno, è stato più volte sottoposto a visite mediche, anche da parte dello psichiatra, presentando condizioni generali e fisiche buone, ad eccezione di alcuni disturbi di ansia ed insonnia per i quali è stata prescritta terapia farmacologica. L'unico episodio ulteriore degno di nota è rappresentato dal ricovero d'urgenza, avvenuto nel maggio 2003, per l'ingestione volontaria di sapone liquido ed in polvere.
  La ricostruzione della vicenda, effettuata nel corso della indagine amministrativa, ha indotto a concludere per l'assenza di elementi di responsabilità disciplinari e amministrative in capo al personale addetto alla sorveglianza, così come in capo al personale sanitario relativamente alla qualità dell'assistenza prestata nell'immediatezza. Data la ricostruzione offerta, alcun elemento induce a ritenere inoltre che la patologia cardiaca fosse prevenibile e prevedibile.
  Date le risultanze emerse in sede penale ed in sede amministrativa, non si prospettano, allo stato, spazi per ulteriori approfondimenti volti ad individuare eventuali responsabilità amministrative.

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la mattina del 5 maggio 2017 un vasto incendio scoppiato nello stabilimento della Società EcoX, impianto di gestione di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, posto in via Pontina vecchia chilometro 33+381, nel comune di Pomezia (Roma), ha generato la dispersione di una densa nube nera in una vasta area a sud della Capitale, provocando la diffusione di pulviscolo ed odore acre nell'atmosfera;

   nel pomeriggio, la sindaca della città metropolitana, Virginia Raggi, ha invitato tramite un'ordinanza su indicazione dell'Asl RM 6, i sindaci di 21 comuni dell'area metropolitana di Roma (Nettuno, Anzio, Pomezia, Ardea, Velletri, Lavinio, Lanuvio, Genzano, Albano Laziale, Ariccia, Nemi, Castel Gandolfo, Marino, Ciampino, Frascati, Grottaferrata, Rocca di Papa, Rocca Priora, Montecompatri, Monte Porzio Catone e Colonna) ad adottare idonei provvedimenti informativi e cautelativi, per limitare l'esposizione della popolazione ai possibili inquinanti aero dispersi; nonostante l'immane ed incessante lavoro delle diverse squadre dei vigili del fuoco impiegate, operanti con l'utilizzo di autobotti e mezzi speciali, per effetto dell'alimentazione del vento dei focolai, dopo 72 ore, l'incendio era ancora attivo e la nube scura investiva il litorale romano e alcuni quartieri a sud della Capitale;

   il 6 maggio l'Arpa Lazio avrebbe reso noto che, durante le operazioni di validazione dei dati della rete di monitoraggio della qualità dell'aria, sono state analizzate con particolare attenzione le concentrazioni misurate presso le stazioni di rilevamento fisse di Ciampino, Cinecittà, Fermi e mobile di Albano Laziale più prossime al sito interessato dall'incendio, anche in considerazione della direzione dei venti prevalenti nella giornata, senza rilevare superamenti dei limiti imposti per la qualità dell'aria ambiente dalla normativa vigente;

   nella stessa giornata del 5 maggio l'Arpa Lazio avrebbe provveduto ad installare dei campionatori attivi e passivi nelle immediate vicinanze del sito, i cui risultati di monitoraggio sarebbero stati resi disponibili a tutte le autorità competenti, non appena completate le determinazioni analitiche di laboratorio;

   secondo quanto dichiarato dal direttore del dipartimento prevenzione della asl Roma 6, sarebbe stata confermata la presenza nelle coperture del tetto dell'edificio investito dall'incendio di amianto incapsulato, la cui combustione potrebbe aver determinato la presenza di fibre aerodisperse nell'atmosfera;

   seppure in assenza di riscontri ancora certi sul tipo di materiale bruciato nell'incendio, si teme l'emissione di diossina nell'aria, causata dalla combustione di materiali plastici da riciclo, con gravissimi conseguenti danni alle vie respiratorie, ma anche ai terreni di colture e allevamenti della zona;

   il Comitato di quartiere Castagnetta Cinque Poderi, il 3 novembre 2016 avrebbe presentato un esposto al sindaco di Pomezia e al comando locale della polizia municipale per chiedere verifiche sugli ingenti quantitativi di rifiuti abbancati presso la EcoX, di cui la popolazione residente lamentava forte preoccupazione;

   successivamente, con nota del 21 dicembre 2016, il comando della locale polizia municipale indirizzava al comando del NOE di Roma e al dipartimento prevenzione – servizio igiene sanità pubblica dell'asl Roma 6, richiesta di un sopralluogo congiunto presso la EcoX in riscontro dell'esposto ricevuto;

   la stessa procura della Repubblica di Velletri avrebbe aperto un'inchiesta sull'incendio della EcoX procedendo con ipotesi di reato per incendio colposo –:

   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati, alla luce della gravità dell'incendio scoppiato nello stabilimento della Società EcoX;

   a quando risalgano gli ultimi controlli sulla gestione dei rifiuti stoccati nel sito e quali siano, allo stato, le risultanze dei monitoraggi ambientali effettuati, le caratteristiche ed i possibili effetti della dispersione degli inquinanti e le immediate iniziative assunte a tutela degli effetti acuti sulla popolazione esposta.
(4-16525)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente l'incendio sviluppatosi il 5 maggio 2017 presso l'impianto di trattamento di rifiuti della Eco X, sito nel comune di Pomezia, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, evidenziare, in primo luogo, che da subito il Ministero dell'ambiente si è messo in contatto con la regione Lazio che ha fatto presente di aver attivato tempestivamente tutte le strutture preposte alla sicurezza e alla tutela dell'ambiente e della salute della popolazione.
  In particolare, i controlli sui livelli di agenti inquinanti sono stati attivati dai tecnici dell'Asl RM6 e dell'agenzia Arpa Lazio attraverso l'installazione di sistemi di rilevazione ed il prelievo di campioni nei pressi dell'area interessata nonché verifiche sulla qualità dell'aria anche mediante le centraline della rete di monitoraggio. Tali campionamenti sono stati effettuati in modo continuativo per garantire la corretta applicazione di ogni eventuale prescrizione a tutela della salute della popolazione e del territorio.
  Più precisamente, Lazio ha fatto presente che i dati del particolato PM10 hanno evidenziato concentrazioni elevate (130 µg/mc) nel giorno dell'incendio per poi dimezzarsi il giorno successivo (73 µg/mc). Nei giorni seguenti si è evidenziata una graduale diminuzione del PM10, fino a valori inferiori al limite di legge nella giornata del 9 maggio. È stato, peraltro, elaborato un modello di dispersione degli inquinanti per individuare le zone con maggior rischio di ricaduta in un'area di 30 chilometri per 30 chilometri al fine di concentrare i monitoraggi ambientali successivi riguardano suolo e acque superficiali.
  Sempre secondo quanto riferito dall'Arpa, dai rilevamenti effettuati anche nelle giornate del 6 e 7 maggio 2017, le concentrazioni misurate presso le stazioni di Ciampino, Cinecittà e Fermi e quelle rilevate dal mezzo mobile situato nell'abitato di Albano Laziale hanno fornito valori inferiori ai limiti imposti dal decreto legislativo 155 del 2010 e in linea con quelli rilevati nelle giornate precedenti l'incendio. Al fine di monitorare l'evoluzione della situazione su un'area più ampia, sono stati istallati ulteriori campionatori di aria di cui uno a circa 200 m in linea d'aria dal luogo dell'incendio e uno nel comune di Pomezia in piazza dell'Indipendenza.
  L'Arpa Lazio ha fatto presente, altresì, che, nelle giornate dal 16 al 21 maggio 2017, le concentrazioni misurate presso le stazioni Ciampino, Cinecittà e Fermi e quelle rilevate dal mezzo mobile situato nell'abitato i Albano Laziale hanno fornito valori inferiori ai limiti imposti dal predetto decreto legislativo n. 155 del 2010 e in linea con quelli rilevati nelle giornate precedenti l'incendio.
  Per quanto riguarda le misurazioni effettuate con campionatori specificamente installati nelle immediate vicinanze dell'incendio, nonché nel plesso degli uffici del comune di Pomezia, in piazza Indipendenza, la predetta agenzia ha raccolto i filtri per la determinazione del PM10 confermando, in entrambe le postazioni mobili installate, valori inferiori al limite imposto per il PM10 ed in linea con quelli misurati dalla rete fissa di monitoraggio nello stesso periodo.
  Nello specifico, con riferimento al campionatore per il PM10 situato nelle immediate vicinanze dell'incendio, sono state completate le analisi per la ricerca di microinquinanti organici sui campioni di PM10 relativi alle giornate del 13 e 14 maggio che hanno evidenziato una diminuzione della concentrazione di benzo(a)pirene, risultato inferiore al limite medio annuale. Anche le concentrazioni di diossine e furani rilevate nelle vicinanze dell'incendio tra il 9 ed il 14 maggio confermano il
trend decrescente messo in evidenza nelle precedenti rilevazioni. Le stesse risultanze sono emerse per le concentrazioni di PCB che evidenziano una costante diminuzione.
  Analogamente, sono state determinate le concentrazioni di inquinanti organici sui filtri di PM10 campionati il 13 e 14 maggio presso il comune di Pomezia, in piazza Indipendenza. La concentrazione di benzo(a)pirene è risultata inferiore al limite medio annuale e le concentrazioni di Pcb di diossine sono in linea con quelle normalmente riscontrabili in ambiente urbano e con i valori misurati in precedenti analoghe campagne di monitoraggio.
  Con riferimento alla messa in sicurezza del sito, si segnala che, con l'ordinanza del 10 maggio, il sindaco di Pomezia ha ordinato ai gestori dell'impianto di adottare con urgenza gli interventi di tempestiva rimozione in sicurezza dei materiali ivi presenti e di contestuale bonifica del sito, nel rispetto della normativa vigente a tutela della salute pubblica.
  A seguito di indagini analitiche svolte dalla Asl Roma 6, la stessa ha confermato la presenza di fibre di amianto nelle coperture dei capannoni dello stabilimento, ma dagli accertamenti effettuati non si rileva la presenza di tali fibre aerodisperse. La Asl, comunque, sta proseguendo nelle attività di campionamento e monitoraggio delle aree limitrofe allo stabilimento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continua a monitorare la situazione con la direzione competente e con che è a disposizione dell'Arpa regionale per ogni necessario supporto tecnico.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il Tar della Puglia, con sentenza del 3 marzo 2016, ha stabilito che «l'approvazione del piano finanziario – ivi incluso il piano tariffario — non può essere oggetto di acritico recepimento da parte dell'organo assembleare del Comune. Il Consiglio Comunale è chiamato, pertanto, a delineare le coordinate programmatiche della fiscalità locale, della quale la TARI costituisce parte preponderante, sulla base di una adeguata ponderazione di elementi valutativi la cui disamina non può essere devoluta in toto al gestore del servizio (di igiene urbana, n.d.r.), pur essendo questo in possesso di cognizioni tecniche», affermando dunque una volta di più non solo il dovere civile, ma l'obbligo legale di esercitare un controllo effettivo sull'operato del gestore del servizio di igiene urbana;

   il recente decreto ministeriale 22 dicembre 2016 sul piano nazionale delle ispezioni negli stabilimenti, intermediari e commercianti, spedizioni di rifiuti e relativo recupero o smaltimento non comprende alcuna forma di controllo sistematico sull'operato quotidiano dei gestori affidatari del servizio di igiene urbana (ad esempio, rispetto del contratto di servizio, controllo sulle pesate, sul numero di viaggi effettuati dai mezzi, sulle ore di presenza del personale e altro) che, a parere degli interroganti, dovrebbe essere compito dei comuni;

   alle Agenzie regionali per la protezione ambientale e al Corpo forestale spetta solo il compito di effettuare controlli sporadici su specifiche e circoscritte questioni riguardanti i rifiuti, ma non quello di vigilare costantemente su un determinato gestore;

   l'assenza di criteri di controllo sull'operato dei gestori del servizio di igiene urbana oggettivi e uniformi su tutto il territorio nazionale ha comportato e sta tuttora comportando una serie di storture nella contabilità dei rifiuti, fra cui una percentuale non veritiera di raccolta differenziata ed una produzione abnorme di rifiuti urbani a scapito dei rifiuti speciali, il cui dato risulterebbe di conseguenza sottostimato nelle regioni a più alto grado di assimilazione: a titolo esemplificativo, si cita il caso dell'Emilia Romagna, dove il calcolo dei dati di produzione dei rifiuti, raccolta, avvio a riciclaggio, smaltimento è interamente delegato ai gestori dei rifiuti, senza che, ad avviso degli interroganti, da parte dei comuni vi sia una adeguata forma di verifica dei dati o di controllo sull'operato del gestore –:

   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto esposto e intenda promuovere, per quanto di competenza, iniziative per la definizione di criteri di controllo sull'operato dei gestori affidatari del servizio di igiene urbana da parte della pubblica amministrazione e nell'interesse dei cittadini e dell'ambiente.
(4-16833)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si evidenzia, in via preliminare, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dato avvio ad una fase di monitoraggio e confronto con tutte le regioni anche al fine di poter svolgere le attività di vigilanza sulla gestione dei rifiuti di cui all'articolo 206-
bis del decreto legislativo n. 152 del 2006. In tale contesto, il Ministero ha riservato particolare attenzione all'organizzazione dei servizi di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti urbani (cosiddetta governance) nonché ai criteri fondamentali di cui le regioni, caso per caso, si sono avvalse per effettuare la perimetrazione degli ambiti territoriali ottimali, ciò al fine di evitare gestioni frammentate e disarticolate. Inoltre, particolare attenzione viene posta all'eventuale disallineamento tra l'ampiezza dei bacini di affidamento e la dimensione ottimale del servizio, il quale si riflette anche sull'assetto industriale del mercato, nonché alla scelta del modello di organizzazione dell'attività di raccolta la quale rileva non solo sul piano delle performance raggiunte in termini di capacità di intercettare i rifiuti in maniera differenziata, ma anche in relazione ai costi che essi generano.
  In sostanza il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha intrapreso iniziative finalizzate anche ad evitare, quanto più possibile, aumento dei costi, criticità concorrenziali nel settore della gestione dei rifiuti e ad incentivare un'economia più circolare in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo.
  Rispetto, poi, al corretto adempimento degli obblighi gravanti sui gestori del servizio di igiene urbana va considerato che tale accertamento va condotto avuto riguardo alle specifiche pattuizioni intercorse tra i soggetti coinvolti.
  Da ultimo, si rappresenta che è attualmente in fase di definizione la redazione del decreto ministeriale di cui all'articolo 195, comma 2, lettera
e), decreto legislativo n. 152 del 2006, volto alla determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani. Il provvedimento concorrerà non solo a dettare criteri omogenei ed uniformi ma avrà una forte rilevanza anche in tema di applicazione dei costi di gestione dei rifiuti, considerato che l'assimilazione dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani impatta anche su tali profili.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare manterrà alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.