Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 25 settembre 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    a più di quindici anni dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, il percorso attuativo del federalismo fiscale appare ancora, come delineato nella terza relazione semestrale della XVII legislatura della Commissione parlamentare dedicata, in una fase di transizione;

    con la modifica dell'articolo 119 della Costituzione, il legislatore si era posto l'obiettivo di introdurre nell'ordinamento un nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali basato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale sottesi al nostro sistema costituzionale;

    in seguito, con la legge delega 5 maggio 2009, n. 42, era stata prevista la creazione di nuovi parametri ai quali ancorare il finanziamento delle spese degli enti territoriali, i «fabbisogni standard» per il finanziamento delle funzioni fondamentali, e la considerazione delle capacità fiscali, per quello delle altre funzioni;

    il nuovo sistema prevedeva tre meccanismi di perequazione: due per le spese correnti e uno per le spese di investimento. Un «fondo perequativo», di ammontare pari alla differenza tra i fabbisogni e le capacità fiscali standard (perequazione integrale e verticale) per coprire interamente il costo dell'esercizio delle funzioni fondamentali; un secondo fondo, con lo scopo di ridurre parzialmente le differenze esistenti tra i comuni in termini di capacità fiscale standard (perequazione parziale e orizzontale) e un ultimo meccanismo perequativo per le spese di investimenti da realizzare in base ad un indicatore di fabbisogno infrastrutturale;

    il fondo perequativo per le funzioni fondamentali è stato attuato prima con il fondo sperimentale di riequilibrio e poi, dal 2013, con il fondo di solidarietà comunale, alimentato esclusivamente dai comuni e non anche dalla fiscalità generale; un fondo a perequazione orizzontale dunque, e non verticale, come era stabilito dalla legge n. 42 del 2009;

    ancora sostanzialmente inattuata risulta la perequazione per le spese di investimento;

    la crisi economica, inoltre, ha imposto ai governi misure di contenimento della spesa pubblica che hanno interessato anche aspetti fondamentali della finanza locale; la stessa Corte dei conti ha rilevato che i tagli ai trasferimenti verso gli enti locali fino al 2014 ne hanno oggettivamente ridotto gli spazi di autonomia gestionale, organizzativa e di entrata;

    in tale quadro di criticità si è tuttavia proceduto all'elaborazione dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali standard, con metodologie innovative e trasparenti e con successive sperimentazioni che ne hanno via via precisato e consolidato la robustezza, anche sulla base delle risposte fornite ad appositi questionari dagli enti locali; questi indicatori sono ormai diventati indispensabili per la disciplina del rapporti finanziari tra Stato ed enti locali e hanno cominciato a costituire uno degli elementi per la distribuzione delle risorse, all'interno di regole più volte introdotte e modificate negli ultimi anni;

    l'applicazione di criteri perequativi è stata avviata nel 2015 con l'accordo del 31 marzo 2015 in Conferenza Stato-città per definire la ripartizione del fondo di solidarietà comunale (FSC), per una quota pari al 20 per cento, secondo i fabbisogni e le capacità fiscali standard; l'articolo 1, comma 449, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017), ha previsto un percorso graduale ma deciso di innalzamento di tale quota che è stata fissata al 55 per cento per il 2018, al 70 per cento nel 2019, all'85 per cento nel 2020 ed infine al 100 per cento a partire dal 2021 sul 50 per cento della dotazione del fondo stesso;

    dai dati diffusi dall'ufficio parlamentare di bilancio risulta che, rispetto alla distribuzione storica, nel 2017 questa nuova distribuzione favorisce le grandi città (+1,1 per cento) e i comuni tra 5 e 50 mila abitanti, mentre «penalizza» maggiormente i piccoli comuni (perdite superiori al 2 per cento delle risorse storiche);

    dal punto di vista territoriale, si registra una riduzione delle risorse rispetto a quelle storiche per i comuni del Nord (-0,9 per cento delle risorse storiche), peggiorando leggermente la posizione del comuni del Nord-ovest e migliorando quella del comuni del Nord-est. I benefici maggiori sono concentrati al centro (+2,1 per cento), incrementati con la revisione operata nel 2017. Sono beneficiati, anche se in misura più limitata, i comuni del Sud (+0,5 per cento rispetto al fondo storico), su cui la revisione 2017 ha comportato un impatto molto limitato;

    tra le grandi città il nuovo sistema garantisce i maggiori benefici a Roma (+6,7 per cento rispetto alla situazione storica). Anche Milano riceve più trasferimenti rispetto alla situazione storica. Firenze, Taranto, Napoli e Genova soffrono una riduzione delle risorse superiore al 3 per cento, e sono generalmente penalizzati nella transizione al 2017. Le grandi città maggiormente beneficiate dalle modifiche introdotte con il fondo 2017 sono Ravenna (+2 per cento rispetto al 2016) e Roma (+1,5 per cento), mentre quelle maggiormente penalizzate sono Verona (-1,8 per cento) e Perugia (-1,6 per cento);

    sempre secondo il documento dell'ufficio parlamentare di bilancio si evidenzia una generale sostenibilità finanziaria degli effetti del nuovo sistema di determinazione dei trasferimenti, che tuttavia risulta caratterizzato da inerzia rispetto all'attribuzione storica delle risorse, non risolvendo le forti disparità territoriali nella fornitura del servizi. Il rafforzamento delle istanze perequative implicherebbe un collegamento tra l'attribuzione delle risorse finanziarie e la fissazione di livelli essenziali delle prestazioni per tutti gli enti sull'intero territorio nazionale, allo scopo di affrancarsi dai divari nei livelli di fornitura dei servizi che ancora caratterizzano la situazione attuale e influiscono sulle stime dei fabbisogni standard;

    se la mancata definizione dei Lep/Lea è figlia di una preoccupazione finanziarla, e cioè del timore da parte dello Stato centrale di fornire legittimità a richieste di trasferimenti aventi dimensioni incompatibili con il mantenimento degli equilibri di finanza pubblica, è utile ricordare che la legge n. 42 del 2009 forniva e fornisce ancora una strada che sarebbe possibile percorrere, così come lo è stata quella del calcolo del fabbisogni e delle capacità fiscali standard, attraverso l'introduzione degli «obiettivi intermedi di servizio», e cioè di percorsi graduali e monitorabili finalizzati nel tempo al raggiungimento degli obiettivi ottimali definiti dai Lep/Lea, anche sulla base del sovraordinati vincoli finanziari;

    tuttavia, nell'odierna imperfetta attuazione del federalismo solidale contenuto nella legge n. 42 del 2009, la componente perequativa che il fondo di solidarietà comunale lega ai fabbisogni standard non può essere modificata senza valutare al contempo gli indicatori di capacità fiscale. Gli enti che, per quanto sottodotati, non riescono ad essere sufficientemente efficienti e non raggiungono lo standard di entrate proprie derivante dalla loro, pur bassa, capacità fiscale, non possono e non devono essere premiati. Simmetricamente, è necessario evitare che vengano penalizzati gli enti a più elevata capacità ed efficienza fiscale, al fine di evitare la conseguenza paradossale di ridurre i livelli di servizio laddove sono stati raggiunti standard più elevati in condizioni di equilibrio e di efficienza;

    inoltre, proprio in considerazione del peso crescente della distribuzione del fondo di solidarietà comunale in base alle capacità fiscali, è necessario evitare anche la penalizzazione implicita per i comuni nel quali sia stato attuato un processo virtuoso di aggiornamento del valori catastali,

impegna il Governo

1) a riconsiderare il percorso attuativo del federalismo fiscale, in coerenza con l'articolo 119 della Costituzione, attraverso iniziative per:

   a) la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, anche utilizzando la previsione legislativa di ancorarne il raggiungimento attraverso obiettivi intermedi di servizio;

   b) la previsione di un apporto di finanziamento statale nell'alimentazione del fondo di solidarietà comunale, legato al raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni e degli obiettivi intermedi di servizio, nel rispetto dei vincoli aggregati di finanza pubblica;

   c) l'attivazione degli opportuni strumenti di ricognizione e di valutazione, così come si è fatto per il calcolo dei fabbisogni e delle capacità fiscali standard, per dare avvio al processo di perequazione infrastrutturale;

   d) il superamento progressivo del «tax gap» tra valori di mercato e valori catastali.
(1-01705) «Marchi, Marantelli, Causi, De Menech, Rubinato, Cinzia Maria Fontana, Giulietti, Guerra, Marchetti, Misiani».


   La Camera,

   premesso che:

    il patriarcato è quel sistema di dominio degli uomini sulle donne che, a tutti i livelli, ed in particolare quello simbolico, ha egemonizzato, rispettivamente, la politica, la cultura, le religioni, nonché le relazioni pubbliche e private;

    tale processo di egemonizzazione ha prodotto l'esercizio di un potere dove il senso originario della sessualità umana è diventata pretesto per la costruzione di supremazie che giustificano ancora oggi il potere maschile e una riconnessa subordinazione femminile;

    il progressivo consolidamento del potere asimmetrico ha prodotto una falsa verità in base alla quale, attraverso leggi, religioni, tradizioni, donne e uomini si sono allontanati dall'origine della differenza, comportandosi come in realtà non sono: figure stereotipate, e per questo filtrate, nella relazione interpersonale e in quella collettiva;

    il patriarcato, pertanto, poggia le sue fondamenta sul falso;

    i fatti accaduti nei mesi scorsi e nelle ultime settimane in Italia hanno messo in luce, con nettezza, quanto sia radicalizzato il patriarcato nella nostra società: la strumentalizzazione del corpo della donna con fini elettorali, la trasformazione di stralci di verbali della polizia di Stato in racconti pornografici che spettacolarizzano eventi drammatici quali lo stupro, le dichiarazioni stereotipate di qualche sindaco a commento di gravissimi fatti di cronaca di violenza nei confronti delle donne;

    alcune parlamentari sono state oggetto di umiliazioni ed insulti per il loro essere donne; la stessa Presidente della Camera dei deputati, onorevole Laura Boldrini, ha peraltro subito tali attacchi ripetutamente;

    la discriminazione e la violenza nei confronti delle donne costituiscono l'origine di tutte le discriminazioni e le violazioni dei diritti umani;

    a fronte di tale considerazione, è necessario mettere a punto un lavoro politico per riconoscere e illuminare a fondo le radici del patriarcato e i suoi effetti;

   le Osservazioni conclusive della CEDAW relative al VII rapporto periodico dell'Italia prevedono: «Il Comitato sottolinea il ruolo cruciale del potere legislativo nell'assicurare la piena attuazione della Convenzione. In linea con il mandato del Comitato, si invitano la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica, ad intraprendere i passi necessari relativi all'attuazione delle Osservazioni Conclusive in esame, da ora al prossimo reporting relativo alla Convenzione in esame»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative concrete ed immediate nell'ambito di una strategia nazionale finalizzata a:

   a) eliminare e modificare attitudini patriarcali e stereotipi di genere, con particolare focus sulle donne appartenenti a gruppi di minoranze, spesso destinatarie di discorsi e atteggiamenti di odio e violenza razziale;

   b) favorire una revisione dei libri di testo e dei curricula scolastici con l'obiettivo di dare il giusto riconoscimento alle donne nella storia e nella contemporaneità;

   c) condurre campagne di informazione rivolte alle donne e agli uomini, per promuovere stili di vita che riconoscano la differenza e il godimento pieno e egualitario dei diritti;

   d) condurre campagne di informazione rivolte ai media e alle agenzie pubblicitarie per evitare l'uso e la strumentalizzazione del corpo delle donne;

2) ad accelerare l'adozione e l'effettiva attuazione di una politica nazionale in materia di genere, assicurando che il gender mainstreaming sia applicato in modo uniforme in fase di formulazione ed attuazione di tutte le leggi, le normative ed i programmi di tutti i Ministeri e le strutture governative decentrate;

3) a mettere a punto iniziative affinché sia rafforzata la rappresentanza delle donne nelle posizioni decisionali della vita politica, comprese le posizioni ministeriali, in magistratura, nei consigli di amministrazione ed in posizioni senior della pubblica amministrazione, incluso il servizio diplomatico;

4) a favorire, per quanto di competenza, l'obiettivo di una parità di genere effettiva rispetto alla rappresentanza politica delle Camere del Parlamento, nella cornice della riforma della legge elettorale;

5) a promuovere campagne di sensibilizzazione per politici, giornalisti, insegnanti ed il pubblico in generale, al fine di accrescere la comprensione che la partecipazione piena, libera e democratica delle donne, in modo eguale agli uomini, nella vita politica e pubblica, è un requisito indispensabile per la piena attuazione dei diritti umani delle donne;

6) a promuovere, per quanto di competenza, la formazione per le donne sulle capacità di leadership, sul fare campagne elettorali e sul costruire un rapporto con l'elettorato, al fine di prepararle come candidate;

7) ad assumere iniziative specifiche, per quanto di competenza, tese al contrasto delle «molestie politiche» e dei relativi attacchi sessisti;

8) nel quadro di un sistema volto alla parità di genere, ad assumere iniziative per la rapida assunzione e nomina di donne in posizioni senior nella pubblica amministrazione;

9) ad adoperarsi affinché, già a partire dal disegno di legge di bilancio 2018:

   a) siano stanziate adeguate risorse per superare le conseguenze della crisi finanziaria e delle misure di austerità, dando priorità alle misure che sostengano la piena uguaglianza di genere in tutti gli ambiti;

   b) siano stanziate adeguate risorse per un'attuazione efficace del sistema antitratta, con particolare riguardo alle donne immigrate, rifugiate e richiedenti asilo;

   c) siano stanziate adeguate risorse per interventi di dissuasione della domanda di sesso a pagamento da parte degli uomini, anche attraverso campagne di sensibilizzazione «on the road» sulla disperazione delle donne che siano costrette a prestare servizi di sesso a pagamento;

   d) siano stanziate adeguate risorse per rafforzare l'assistenza alle donne ed alle ragazze che desiderano abbandonare la prostituzione attraverso la proposta di attività lavorative alternative;

   e) siano stanziate adeguate risorse per la piena realizzazione del diritto alla salute, compresi i diritti sessuali e riproduttivi per tutte le donne e le bambine;

   f) siano stanziate adeguate risorse umane, tecniche e finanziarie per la realizzazione sistematica ed efficace delle misure di contrasto della violenza contro le donne, ivi compresa la valutazione, in coordinamento con le regioni, delle misure introdotte e la costituzione di una banca di dati statistici sulla violenza domestica e sessuale disaggregati per sesso, età, nazionalità e relazione tra vittima e autore del reato;

10) ad assumere iniziative per istituire un'Agenzia per i diritti umani, fornita di dotazioni adeguate ed osservante princìpi relativi allo status delle istituzioni nazionali (princìpi di Parigi, risoluzione UNGA 48/134 del 20 dicembre 1993), che sia incaricata di proteggere e promuovere i diritti delle donne e i diritti umani.
(1-01706) «Martelli, Laforgia, Albini, Bossa, Duranti, Murer, Nicchi, Ricciatti, Rostan, Simoni, Fossati, Ragosta, Formisano, Matarrelli, Melilla, Sannicandro, Zaratti, Ferrara, Franco Bordo, Giorgio Piccolo, Piras, Zappulla, Lacquaniti, Zaccagnini, Fontanelli, Mognato, Folino, Kronbichler».


   La Camera,

   premesso che:

    il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, che ricopre la carica dal 1° novembre 2011 a seguito delle dimissioni di Mario Draghi, è in scadenza il 1° novembre 2017;

    la nomina del Governatore, secondo quanto disposto dall'articolo 19, comma 8, della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari), è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d'Italia;

    il testo unico bancario ed il testo unico della finanza attribuiscono alla Banca d'Italia il potere di regolamentare numerosi aspetti dell'attività degli intermediari bancari e finanziari, per assicurare stabilità, efficienza e competitività al sistema finanziario. Gli atti normativi della Banca d'Italia disciplinano profili essenziali per la sana e prudente gestione degli intermediari, quali l'assetto organizzativo, le modalità di governo dell'impresa, i sistemi per il controllo dei rischi assunti, la trasparenza delle condizioni contrattuali e la correttezza dei comportamenti. Inoltre, l'esercizio dei poteri della Banca d'Italia è in determinati casi complementare a strumenti di vigilanza volti ad esercitare un'azione deterrente nei confronti dei comportamenti contrari alla prudente gestione, alla trasparenza e correttezza nei rapporti con la clientela;

    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, nell'ultimo decennio Banca d'Italia, non solo avrebbe esercitato un controllo carente su determinate gestioni del credito e del risparmio che hanno rivelato — come accertato da indagini giudiziarie — la sussistenza di condotte in violazione della legge, ma avrebbe scelto per il ruolo di commissari, soggetti considerabili «fiduciari», i quali in alcuni casi sarebbero apparsi soliti portare liquidità di piccoli istituti a banche vicine ai suddetti, invece di risanare quelle loro assegnate;

    la sopra citata mala gestione del credito e del risparmio avrebbe contribuito a determinare numerosi casi di crac finanziario (ben 7 negli ultimi 9 anni), che avrebbero a loro volta determinato perdite, per risparmiatori, utenti e lavoratori che — secondo quanto riportato sul sito di informazione online affaritaliani.it del 13 luglio 2017 — ammonterebbero a circa 110 miliardi di euro;

    l'Adusbef (Associazione difesa utenti servizi bancari e finanziari) ha più volte segnalato come la pratica di far pagare gli interessi sugli interessi (anatocismo), illegale dal 1° gennaio 2014 al 30 settembre 2016, sarebbe stata ugualmente praticata ai danni di prenditori di prestiti bancari, come accertato da diverse sentenze dei tribunali, tra le altre la sentenza del tribunale di Venezia in data 13 ottobre 2014 o quella del tribunale di Firenze in data 2 ottobre 2014;

    su tale questione l'Adusbef, il 3 marzo 2017, avrebbe presentato esposti- denunce presso diverse procure della Repubblica, ipotizzando l'omissione di atti d'ufficio da parte della Banca d'Italia, che, pur informata dalle associazioni dei consumatori presenti nel Cncu (Consiglio nazionale consumatori ed utenti), invece di esercitare la potestà prevista dall'articolo 128 del testo unico bancario, per «inibire ai soggetti che prestano le operazioni e i servizi disciplinati dal presente titolo la continuazione dell'attività, anche di singole aree o sedi secondarie, e ordinare la restituzione delle somme indebitamente percepite e altri comportamenti conseguenti», non sarebbe intervenuta, configurando — secondo la stessa Adusbef — oltre all'omissione in atti d'ufficio, eventuali più gravi reati a danno degli utenti dei servizi bancari;

    il pubblico risparmio è garantito dall'articolo 47 della Costituzione, in base al quale «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito»;

    quanto al «controllo» del credito, una corretta applicazione del dettato costituzionale a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo porta a configurare la banca centrale che lo esercita come un organismo indipendente e tutore — senza condizionamenti — dell'interesse collettivo, in tutti i suoi organi, anche e soprattutto, nella figura del Governatore,

impegna il Governo

1) in sede di deliberazione sulla proposta di nomina per la carica di Governatore della Banca d'Italia, valutate le circostanze descritte e le relative responsabilità, ad escludere l'ipotesi di proporre la conferma del Governatore in carica, Ignazio Visco.
(1-01707) «Alberti, Pesco, Sibilia, Villarosa, Fico, Ruocco».

Risoluzione in Commissione:


   La XI Commissione,

   premesso che:

    l'istituto dell’«Ape» sociale nasce con l'intento di consentire l'anticipo pensionistico a coloro che hanno raggiunto determinati requisiti anagrafici e contributivi – 63 anni di età e 30 anni di anzianità contributiva – e che appartengono a categorie di persone che si trovano in una situazione di particolare difficoltà (disoccupati, chi svolge lavori usuranti, chi assiste persone invalide);

    tuttavia, di fatto, la regolamentazione relativa all'accesso all’«Ape» sociale ha determinato gravi discriminazioni nei confronti di persone che, pur appartenendo a categorie deboli, sono rimaste escluse. Al riguardo, si mette in evidenza che i limiti posti per ottenere tale pensione anticipata sono stati determinati da una mera circolare dell'Inps, la n. 100 del 16 giugno 2017, e non risultano individuabili nel testo della legge n. 232 dell'11 dicembre 2016 (legge di bilancio 2017) che istituisce l’«Ape» sociale. Sul punto, dunque, si ritiene che con le disposizioni di attuazione sia stata stravolta la natura dell'istituto in questione;

    in particolare, restano esclusi i lavoratori autonomi, anche se disoccupati e addetti a mansioni gravose, fatta eccezione per i casi in cui si tratti di caregiver o disabili;

    gli autonomi non potranno usufruire dell’«Ape» sociale, in quanto rientrano tra le categorie di lavoratori che non hanno diritto all'indennità di disoccupazione, il cui percepimento è stato previsto come requisito per accedere alla pensione anticipata; pertanto, pur essendo iscritti all'ufficio dell'impiego e in possesso dei requisiti contributivi ed anagrafici necessari stabiliti dalla legge, non avendo usufruito della disoccupazione, non potranno ottenere dall'Inps la pensione anticipata;

    ugualmente, restano esclusi dall’«Ape» sociale coloro che pur non essendo lavoratori autonomi, non hanno comunque potuto accedere all'indennità di disoccupazione per lo scadere dei termini previsti per la presentazione della relativa domanda;

    la circolare dell'Inps predetta, inoltre, ha stabilito che per l'accesso all’«Ape» sociale non possono essere totalizzati i periodi assicurativi italiani con quelli esteri, sicché, secondo l'Inps, non può essere utilizzata la contribuzione estera per il raggiungimento del requisito contributivo necessario per ottenere l'anticipo pensionistico;

    anche tale limite appare di dubbia legittimità, soprattutto considerando quanto lo stesso Istituto previdenziale afferma sulla contribuzione estera con il messaggio n. 1094 del 2016, rispetto all'accesso ad altro istituto per il quale «la contribuzione estera viene presa in considerazione per verificare i requisiti richiesti per il diritto come se fosse contribuzione versata in Italia»; nello specifico, i periodi che si vogliono «sommare» non devono coincidere e la contribuzione deve essere maturata in Paesi «in cui si applicano i Regolamenti comunitari di sicurezza sociale, ovvero in Paesi extracomunitari legati all'Italia da Convenzioni bilaterali di sicurezza sociale che prevedono la totalizzazione internazionale»;

    l'applicazione dell’«Ape» sociale, dunque, non avviene nel rispetto di principi di uguaglianza sociale, sebbene sia un'indennità che nasce anche dall'esigenza di tutelare tutti i disoccupati e, di conseguenza, dovrebbe tenere conto di coloro che si trovano nelle condizioni di disoccupazione reale. Tra l'altro, è assurdo che siano stati esclusi dall'accesso all'indennità proprio coloro che non godono neanche di altre tipologie di ammortizzatori sociali,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative per modificare le condizioni di accesso all’«Ape» sociale ritenute discriminatorie, con l'obiettivo di ampliare la platea dei beneficiari e di comprendere anche le categorie «deboli» ad oggi escluse.
(7-01350) «Rizzetto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   VALLASCAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi, alcuni organi di stampa hanno dato notizia di alcune presunte criticità riscontrate nell'avvio dello Spid (sistema pubblico di identità digitale) sia per quanto riguarda la sicurezza e la tutela dei dati sia per quanto attiene la diffusione del sistema in base ai programmi e agli obiettivi dell'agenda della semplificazione definita dal Governo per il triennio 2015-2017;

   si rileva che, il 13 novembre 2016, il Fatto Quotidiano, con un articolo titolato «Le clamorose falle dello “Spid”, l'identità digitale», avrebbe sollevato perplessità sull'efficacia degli strumenti di sicurezza a garanzia dei dati e dell'identità;

   l'estensore dell'articolo avrebbe illustrato i passaggi attraverso i quali, un soggetto malintenzionato potrebbe acquisire l'identità digitale di qualcun altro;

   secondo l'estensore dell'articolo, sarebbe sufficiente «scaricare da Internet una carta d'identità in bianco o già compilata (è presente, per esempio, in molti curricula di amministratori di società quotate) e l'immagine di una carta dei servizi. Poi con un computer si inseriscono i dati della persona cui si ruba l'identità, si stampa il tutto e ci si appiccica sopra la propria foto»;

   la violazione sarebbe resa possibile dal basso livello di controlli «Perché lo Spid viene rilasciato anche con una procedura via webcam durante la quale l'operatore non pone al cittadino domande chiave. Non controlla se il numero di serie del documento mostrato coincide con quello conservato all'anagrafe [...] L'unica verifica è la corrispondenza tra la faccia dell'autore della video-chiamata e la foto della carta d'identità»;

   la procedura sarebbe stata anche oggetto di un video dimostrativo, pubblicato in Rete, nonché di una prova esemplificativa di un redattore del giornale che, in tale modo, avrebbe avuto accesso al modello 730 di un collega;

   i fatti esposti, se risultassero veritieri, desterebbero una molteplicità di interrogativi e susciterebbero inquietudine considerata la qualità dei dati cui è possibile accedere con l'identità digitale;

   è il caso di rilevare che la finalità dello Spid sarebbe proprio quella di facilitare gli adempimenti online consentendo al cittadino di accedere con un'unica credenziale alle diverse piattaforme digitali delle amministrazioni pubbliche, come Agenzia delle entrate, Inps, anagrafe;

   da quanto esposto acquisterebbero una rilevanza determinante le misure a salvaguardia sia dei dati sia dell'identità del cittadino contro eventuali intrusioni o «furti d'identità» da parte di estranei;

   il 14 novembre 2016, il quotidiano di informazione economico-finanziaria, Il Sole 24 Ore, nel trattare l'argomento dell'identità digitale, si sarebbe soffermato sui ritardi nella diffusione del sistema;

   secondo il giornale, a fronte di un obiettivo atteso di 10 milioni di utenti abilitati entro il 2017, a tutt'oggi, dopo circa otto mesi dall'avvio, si sarebbero registrati appena 161 mila cittadini;

   il giornale riferisce, tra l'altro, che un aumento significativo di iscrizioni si è avuto solo negli ultimi mesi – il 37 per cento del totale, circa 60 mila –, per effetto del bonus cultura di 500 euro riconosciuto ai diciottenni e ottenibile unicamente attraverso l'identità digitale;

   nel complesso, risulterebbe una situazione fortemente critica in merito alla diffusione dello Spid, sia in materia di tutela e salvaguardia dell'identità e dei dati digitali, sia in merito ai tempi di attuazione del sistema –:

   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;

   quali iniziative si intendano adottare per garantire la totale sicurezza dei dati e delle identità digitali dei cittadini che si iscrivono alla piattaforma Spid;

   quali iniziative si intendano adottare per garantire una maggiore diffusione, in sicurezza, della piattaforma Spid.
(3-03260)


   MUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il sistema pubblico di identità digitale (SPID), operativo dal 15 marzo 2016, è un sistema che dovrebbe consentire, attraverso identità digitali garantite e sicure, di accedere ai servizi online della pubblica amministrazione, come ad esempio la dichiarazione dei redditi, l'Isee, i referti, le visite mediche, la situazione previdenziale, le denunce di infortuni all'Inail, l'iscrizione all'asilo nido, i congedi di maternità, il pagamento di tasse e bolli, le proprietà immobiliari, le dichiarazioni di successione e molto altro ancora;

   il sistema si impernia su requisiti di identità digitale, organizzati su tre livelli e rilasciati da soggetti denominati identity provider, che sono soggetti ad una procedura di accreditamento presso la stessa Agenzia per l'Italia digitale (Agid);

   tale procedura di accreditamento (operativo dal 15 dicembre 2015), incentrata su requisiti di sicurezza molto stringenti, è vigilata e controllata dalla medesima Agid;

   ad oggi, accreditati dall'Agid sono quattro operatori: Infocert Spa, Poste Italiane Spa, Sielte Spa, TI Trust Technologies S.r.l.;

   in un recente articolo di stampa viene mostrato un video, nel quale si vede un soggetto esibire un documento di identità cartaceo grossolanamente contraffatto, alla webcam dell'operatore dell’identity provider, al fine di essere riconosciuto ed ottenere credenziali di accesso perfettamente valide;

   il principale problema è dato, quindi, dai meccanismi di identificazione, delegati a soggetti che, in alcuni casi, usano una webcam – strumento facilmente ingannabile – per accertare l'identità del cittadino richiedente il servizio, senza peraltro che il cittadino sia adeguatamente informato e responsabilizzato (anche penalmente) per le dichiarazioni e attestazioni rese al gestore di Spid (come invece previsto nell'ipotesi di illecito di cui all'articolo 495-bis del codice penale, rubricato «Falsa dichiarazione o attestazione al certificatore di firma elettronica sull'identità o su qualità personali proprie o di altri»);

   a ciò si aggiunge il fatto che, in base alle norme che regolano lo Spid, ogni cittadino può astrattamente avere più identità digitali acquisite da identity provider diversi, senza aver modo di conoscere quante identità a suo carico siano state attivate;

   alla luce di quanto narrato, appare dunque necessario migliorare la normativa, nonché la procedura di identificazione dell'identità del richiedente il servizio, magari inserendo controlli incrociati con altre banche dati;

   ciò è necessario per garantire un'assoluta fiducia da parte del cittadino nel sistema Spid, e consentire dunque una maggiore diffusione nell'uso del sistema stesso, a partire dal numero ad oggi esiguo (poco più di 180.000) di identità digitali rilasciate, e da un incremento dei servizi forniti dalle pubbliche amministrazioni attraverso lo Spid –:

   se i fatti esposti corrispondono al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intendano assumere al fine di rendere più sicuro dal punto di vista della sicurezza, il processo di attribuzione dell'identità digitale;

   se il metodo di identificazione attraverso webcam sia consentito dalle regole tecniche di AgID;

   se il Garante per la protezione dei dati personali sia stato preventivamente coinvolte in fase di definizione dei processi di identificazione, prima della loro messa in funzione;

   quanti dei 180 mila accreditamenti già rilasciati abbiano utilizzato il meccanismo di identificazione tramite webcam;

   se, qualora si usi un meccanismo di identificazione dell'utente tramite webcam, si intendano assumere iniziative per integrare la verifica con informazioni derivanti da altre banche dati;

   quante risultino essere le identità non rilasciate o rifiutate dall’identity provider, per problemi nella procedura di registrazione;

   se, al fine di accelerare la crescita nelle credenziali rilasciate, si intendano in futuro assumere iniziative per adottare procedure di identificazione «forte» già in esercizio nel sistema bancario.
(3-03262)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BASILIO, CORDA, FRUSONE, RIZZO e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   nel 1954, il Governo statunitense e quello italiano firmarono un accordo (Status of Forces Agreement) per l'utilizzo congiunto della base di Aviano in Friuli Venezia Giulia, l'ultima regione di confine con l'allora «blocco sovietico» che divenne così una base della Nato;

   attualmente la base Usaf di Aviano ospita il 31st Fighter Wing (31 FW), che forma parte della United States Air Forces in Europe, uno dei maggiori comandi dell'Usaf e, anche la componente aerea dello United States European Command, uno degli Unified Combatant Command del Department of Defense; la missione corrente delle forze Usaf in Aviano è quella di condurre operazioni regionali e di proiezione seguendo ordini della NATO, del Supreme Allied Commander Europe (Saceur) (comandante supremo alleato in Europa), oppure ordini nazionali;

   secondo studi di organizzazioni indipendenti tra cui la Federation of American Scientists nella base di Aviano, sarebbero oggi presenti tra i 25 e i 35 ordigni nucleari B-61, ospitati nei 12 depositi corazzati in corso di ammodernamento;

   il Memorandum d'intesa tra il Ministero della difesa della Repubblica Italiana ed il dipartimento della difesa degli Stati Uniti d'America relativo alle installazioni/infrastrutture concesse in uso alle forze statunitensi in Italia, stipulato a Roma il 2 febbraio 1995, prevede, all'articolo 1, comma 3, che: «le parti concordano di stabilire, a seconda delle esigenze, vari programmi e procedure per migliorare le comunicazioni e la collaborazione tra i comandi militari delle rispettive forze lungo tutta la catena gerarchica dei rispettivi Ministeri della Difesa»;

   la base di Aviano è ritornata alla ribalta delle cronache nell'ultimo mese a causa del grave episodio riguardante un civile di 25 anni, residente a Conegliano, di nazionalità marocchina, che si è introdotto più volte nella struttura militare americana utilizzando un badge falso scaricato dal web;

   è preoccupante sapere che, nella situazione internazionale attuale, un soggetto con una laurea in ingegneria elettronica e numerosi viaggi a Bruxelles e che si definisce esperto in missilistica entra ed esca a piacimento da una delle maggiori e strategicamente importanti basi Usaf sul territorio nazionale, dove sono stipate anche alcune testate nucleari, in una regione, come il Friuli Venezia Giulia, ponte con tutto l'Oriente i Balcani;

   la sicurezza all'entrata delle basi Usaf è affidata a personale militare italiano e americano;

   l'episodio in questione dimostra che esiste la possibilità di appropriarsi di un badge per l'entrata nelle basi anche da una semplice navigazione nel web –:

   una volta accertate le dinamiche verificatesi, quali iniziative il Governo intenda assumere per verificare se la responsabilità dell'accaduto sia da addebitarsi al personale militare italiano ovvero a quello americano, promuovendo, eventualmente, opportune misure disciplinari;

   quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere con la massima urgenza il Governo, anche congiuntamente a quello statunitense, per ovviare al ripetersi di tali situazioni pericolose;

   se sia stata assicurata una informativa ai Governi dei Paesi alleati ospitanti basi Usaf, al fine di evidenziare la problematica in questione che potrebbe ripetersi con gravi rischi per la sicurezza.
(4-17908)


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   stando all'ultimo aggiornamento dell'anagrafe delle opere incompiute del Sistema informatico di monitoraggio delle opere incompiute (Simoi) del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (pubblicato a luglio 2017), alla data del 31 dicembre 2016, si conta un totale di 752 opere incompiute;

   gli investimenti pubblici bloccati sono stimati in oltre 4,338 miliardi di euro, considerati, sull'ultimo quadro economico, riferito all'opera conclusa, mentre i fondi necessari per il completamento delle opere nel 2016 sono quasi 2,5 miliardi di euro;

   la Sicilia è in assoluto la regione col più alto numero di opere incompiute: 159 (per un valore complessivo delle opere pari a 501 milioni di euro) contro le 99 della Sardegna e le 87 della Puglia;

   nell'isola, rispetto all'anno 2015, diversamente dall'andamento generale nel resto del Paese, si registra un aumento sia delle opere incompiute, sia del loro valore complessivo: le incompiute sono passate nel 2016 da 149 a 159, e il loro valore complessivo è cresciuto da 433 milioni a oltre 501 milioni di euro;

   secondo i dati del Simoi relativi alla Sicilia, per ultimare le 159 opere dal valore di oltre mezzo miliardo di euro, servirebbero oltre 250 milioni di euro; tra queste, vi sono, ad esempio, i lavori per il raddoppio della circonvallazione di Palermo, per un valore complessivo di 14,5 milioni di euro, un intervento completo solo al 13,76 per cento, e sono necessari oltre 5 milioni di euro ancora necessari per ultimare l'opera; o i lavori per le fognature di Via Due Vanelle e di Via Palmerino, stimati in 3,64 milioni di euro e compiuti solo per il 5,79 per cento;

   come riportato da un articolo de Linkiesta.it del 4 luglio 2017, risulta anche «clamoroso il caso dei bagni di cura saunistica a Pantelleria, costati mezzo milione e completati al 100 per cento, ma fermi non si sa bene per quale motivo. O, meglio, si sa ma resta una motivazione a dir poco incomprensibile: “I lavori di realizzazione, ultimati, non sono stati collaudati nel termine previsto — recita il report ministeriale – in quanto l'opera non risulta rispondente a tutti i requisiti previsti dal capitolato e dal relativo progetto esecutivo, come accertato nel corso delle operazioni di collaudo”. Solo ora ci si è resi conto che l'opera non è “rispondente”. E i bagni restano lì: ultimati ma mai aperti al pubblico. Altrettanto clamoroso il caso della strada comunale esterna “Costa”: un asse viario ciclabile e pedonale che doveva fungere da collegamento tra i comuni di Castiglione di Sicilia e Linguaglossa, in provincia di Catania. È costata 22 milioni. Mancano lavori per 2 milioni e il collaudo resta un miraggio. Ancora più surreale il caso del Centro polifunzionale per immigrati del comune di Pachino: quanto manca per completare l'opera? A leggere la tabella ministeriale, 2.200 euro»;

   secondo l'interrogante è grave che, come descrive il citato articolo, «non tutte le incompiute d'Italia rientrano nell'anagrafe ministeriale. Per due ragioni: è spesso difficile dare una definizione rigorosa di “incompiuto” e perché, altrettanto spesso, sono gli stessi enti locali a non comunicare tutte le opere mai ultimate presenti sul proprio territorio. Come se, dopo anni e anni, l'abbandono non fosse più solo fisico ma anche mentale» –:

   quali iniziative intenda intraprendere al fine di velocizzare il completamento delle opere incompiute;

   se non intenda verificare in capo a quali soggetti risieda la responsabilità per la mancata realizzazione delle opere di cui in premessa.
(4-17916)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:

   le autorità elettive della comunità autonoma catalana hanno promosso lo svolgimento di un referendum popolare di autodeterminazione, che dovrebbe svolgersi il prossimo 1° ottobre 2017;

   il Governo centrale spagnolo e la Corte costituzionale del Regno hanno dichiarato illegittima la consultazione, chiudendo tutti gli spazi ad ogni possibile mediazione;

   nel prosieguo del confronto è stato impartito a tutte le forze di polizia nazionali e catalane, dalla Guardia Civil ai Mossos d'Esquadra, l'ordine di impedire lo svolgimento dell'iniziativa referendaria, in primo luogo attraverso la ricerca sistematica ed il sequestro delle schede preparate per la consultazione e del relativo materiale propagandistico;

   la procura dello Stato spagnolo ha inoltre ingiunto ai procuratori provinciali territorialmente competenti di notificare agli oltre 700 sindaci catalani aderenti all'Associazione dei municipi per l'indipendenza, favorevoli allo svolgimento del referendum, l'apertura a loro carico di un'indagine, minacciandone l'arresto qualora rifiutino l'ordine di comparizione;

   lo Stato spagnolo ha quindi ripreso il controllo dell'agenzia fiscale catalana e, da ultimo, il 20 settembre 2017 la Guardia Civil è entrata nella sede della Generalitat, provvedendo ad arrestare alcuni elementi di spicco legati al Governo catalano, tra i quali Josep Maria Jové, il più stretto collaboratore del Vicepresidente Oriol Junqueras;

   la circostanza ha determinato l'immediato scoppio di manifestazioni spontanee di protesta a Barcellona ed in tutta la Catalogna;

   tra le ulteriori ritorsioni prospettate dal Governo centrale vi sarebbe anche il ritiro dello statuto di autonomia della Catalogna;

   di contro, l'assemblea parlamentare catalana ha approvato la cosiddetta legge di rottura, che farebbe discendere l'immediata indipendenza dalla eventuale vittoria dei «sì» al referendum del 1° ottobre prossimo, peraltro a sua volta sospesa dalla Corte costituzionale spagnola;

   è evidente come il confronto tra le autorità centrali spagnole e quelle autonome della Catalogna rischi di precipitare un conflitto vero e proprio, con ripercussioni al momento imprevedibili, ma certamente drammatiche per la penisola iberica e, probabilmente, l'Europa intera;

   potrebbero contribuire ad attenuare la tensione eventuali pressioni sulle autorità spagnole da parte dei Paesi partner nell'Unione europea e nell'Alleanza Atlantica, inclusa l'Italia –:

   se il Governo intenda assumere delle iniziative politiche e diplomatiche utili a riportare la calma in Spagna e quali;

   se il Governo, in tale ambito, non ritenga di dover adottare iniziative volte a fermare la progressione della spirale di azioni e reazioni che sta caratterizzando la gestione dell'aspirazione catalana all'autodeterminazione, chiedendo moderazione e soprattutto di por fine agli arresti disposti nei confronti di chi abbia incarichi istituzionali od elettivi nella Comunità autonoma catalana;

   se il Governo non giudichi utile proporre, in ambito europeo, l'eventuale adozione di sanzioni nei confronti della Spagna, qualora insista su quella che agli interpellanti appare la via della repressione penale e poliziesca dell'esercizio di autodeterminazione intrapreso dalle legittime autorità catalane;

   se, nel contesto delle iniziative esercitabili nei confronti della Spagna, il Governo consideri anche il richiamo in patria per consultazioni dell'ambasciatore d'Italia a Madrid, qualora la tensione non si attenui e l'esecutivo centrale spagnolo insista sulla strada intrapresa;

   se e come il Governo ritenga di sostenere politicamente e diplomaticamente l'avvio di un dialogo interno alla Spagna finalizzato alla definizione di tempi e procedure di garanzia che permettano ai catalani di pronunciarsi legalmente sul loro futuro.
(2-01948) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il castello ed il parco storico di Miramare, siti turistici di primo piano per la città di Trieste, sono una delle mete tra le più visitate del Friuli Venezia Giulia;

   ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ed ai sensi della legge 6 luglio 2002, n. 137» il castello ed il parco di Miramare, essendo beni di interesse pubblico, sono soggetti al regime di tutela dei beni culturali;

   con il decreto interministeriale n. 328 del 28 giugno 2016 «Conferimento dell'autonomia speciale agli istituti e luoghi della cultura di rilevante interesse nazionale di cui all'articolo 6 del decreto ministeriale 23 gennaio 2016» il castello ed il parco di Miramare sono stati riconosciuti quali organismi dotati di autonomia speciale;

   il decreto ministeriale 23 dicembre 2014 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha previsto, per i musei dotati di autonomia speciale, una struttura gestionale particolare, attribuita ad un direttore individuato attraverso un bando internazionale, un consiglio di amministrazione ed un comitato scientifico con funzione consultiva. Lo statuto è adottato dal consiglio di amministrazione del museo e approvato con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, su proposta del direttore generale per i musei. Lo statuto è approvato entro sei mesi dal conferimento dell'incarico al direttore del polo museale regionale competente e/o al direttore del museo;

   secondo l'articolo 9, comma 1, del decreto menzionato «sono organi dei musei dotati di autonomia speciale: a) il Direttore; b) il Consiglio di amministrazione; c) il Comitato scientifico; d) il Collegio dei revisori dei conti». Il comma 2 recita che «(...) spetta agli organi di cui al comma 1: a) garantire lo svolgimento della missione del museo; b) verificare l'economicità, l'efficienza, e l'efficacia dell'attività del museo; c) verificare la qualità scientifica dell'offerta culturale e delle pratiche di conservazione, fruizione e valorizzazione dei beni in consegna al museo.» In ultimo, secondo il comma 3 «la composizione degli organi collegiali di cui al comma 1 è determinata nel rispetto della normativa vigente in materia di equilibrio tra i generi»;

   l'articolo 12, invece, prevede specifiche funzioni in relazione al Comitato scientifico. In particolare, il comma 2 riporta che: «il Comitato scientifico è composto dal direttore dell'istituto, che lo presiede, e da un membro designato dal Ministro, un membro designato dal Consiglio superiore “Beni culturali e paesaggistici”, un membro designato dalla Regione e uno dal Comune ove ha sede il museo. I componenti del Comitato sono individuati tra professori universitari di ruolo in settori attinenti all'ambito disciplinare di attività dell'istituto o esperti di particolare e comprovata qualificazione scientifica e professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali» Secondo il comma 3, invece, «(....) i componenti del Comitato Scientifico sono nominati con decreto del Mibact per una durata di cinque anni e possono essere confermati una sola volta (...)»;

   dopo la procedura di selezione internazionale per i direttori dei 10 grandi musei e parchi archeologi italiani, avviata il 27 maggio 2016 dalla seconda fase del decreto-legge n. 83 del 31 maggio 2014, convertito dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, come riportato da Il Piccolo di Trieste del 22 giugno 2017, si è insediata la storica dell'arte e curatrice museale Andreina Contessa, quale nuova direttrice del museo storico e del parco del castello di Miramare;

   ad oggi, non risulta ancora pubblicato il decreto ministeriale di nomina riguardante il conferimento dell'incarico di funzione dirigenziale di direttrice del museo storico e del parco del Castello del Miramare ad Andreina Contessa. Tale situazione rende, di fatto, ancora incompleta la struttura organizzativa prevista, priva sia del consiglio di amministrazione che del comitato scientifico, senza contare che la mancata nomina posticipa ulteriormente i termini di approvazione dello statuto –:

   alla luce dei fatti sopraesposti, quali siano i motivi del ritardo nella pubblicazione del decreto ministeriale relativo alla nomina della nuova direttrice del museo storico e del parco del Castello di Miramare e secondo quali tempistiche si intenda procedere;

   quali siano le tempistiche relative alla costituzione del comitato scientifico.
(4-17909)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'ATTORRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   sul territorio comunale di Fiano Romano insiste la barriera autostradale di Roma nord, sull'autostrada A1, per consentire il transito in entrata ed in uscita dalla Capitale;

   detta barriera viene utilizzata anche dai cittadini fianesi per percorrere l'A1 verso Firenze, in direzione nord e verso Napoli, in direzione sud;

   per recarsi a Roma, invece, essi attraversano un casello distinto, sebbene contiguo alla barriera principale, che rende a pagamento il tratto autostradale compreso tra la barriera Roma nord ed il Grande Raccordo Anulare;

   il passaggio alla barriera di Roma nord, sia in entrata che in uscita, include il pagamento del pedaggio relativo anche al tratto autostradale compreso tra la barriera stessa ed il Grande Raccordo Anulare;

   i cittadini fianesi, non diretti verso Roma o non provenienti da Roma, che attraversano la sola barriera di Roma nord per accedere all'A1, sia verso Firenze che verso Napoli, sostengono anche il costo relativo ad una tratta che non percorrono e cioè quella tra la Barriera Roma nord ed il Grande Raccordo Anulare o viceversa; pagano cioè come se partissero da Roma o fossero diretti verso Roma;

   detto costo aggiuntivo, in quanto non corrisponde ad un servizio effettivamente utilizzato, ammonta ad 1,50 euro per passaggio che, per un pendolare che utilizza solo un breve tratto di A1, ma comunque in direzione Firenze o direzione Napoli (esempio Ponzano Romano-Magliano Sabina-Orte ovvero in direzione sud: Tivoli-Guidonia-Roma Est-Roma Sud) potrebbe ammontare a circa 700 euro annui;

   il Tar Lazio sostiene (pronuncia n. 1573, del 21 febbraio 2011) che detta corresponsione non può considerarsi, per le circostanze sopra esposte, quale corrispettivo di un servizio, ma, ad avviso dell'interrogante, essa rappresenta un vero e proprio «dazio» a carico dell'utenza residente in prossimità della Barriera di Roma nord;

   le fasce di residenti più colpite sono quelle che utilizzano quotidianamente il tratto autostradale per ragioni di lavoro, studio e di cura;

   questo tratto di raccordo autostradale di soli 15 chilometri per le predette finalità è l'unica e viabilità alternativa alla percorrenza delle adiacenti e contigue via Tiberina, Via Flaminia e Via Salaria;

   queste ultime sono tristemente note per numero di incidenti mortali, insicure durante la stagione invernale per allagamenti e d'estate per incendi, non illuminate e note per il loro diffuso degrado (prostituzione e discariche abusive);

   l'utilizzo del citato tratto di autostrada favorisce il decongestionamento veicolare della viabilità circostante con ripercussioni positive anche sulla qualità dell'aria e sulla vivibilità dei centri urbani;

   quanto detto si colloca in palese contrasto con il principio di eguaglianza che deve essere assolutamente ripristinato per le diverse tipologie di utenza;

   si ignora il tema dalla viabilità sostenibile favorendo il maggiore afflusso veicolare con percorrenza nei centri abitati;

   si ignora il tema della tutela dei valori ambientali e culturali nella misura in cui si favorisce il maggiore afflusso veicolare in attraversamenti, soprattutto sulla via Tiberina, interessati da evidenze archeologiche;

   l'attuale congiuntura economica impone di operare delle scelte che vadano incontro alle difficoltà delle famiglie, sgravandole da costi cui non corrispondono effettivi servizi e che non migliorano la qualità della vita;

   i territori interessati non beneficiano di servizio di trasporto pubblico adeguato. Si registra, infatti, l'insufficienza di collegamenti su ferro e di linee bus che, per orari e dislocazione, possano consentire collegamenti normali con Roma;

   nel 2010 in circostanze analoghe, riguardanti l'eventualità di prevedere il pedaggio da e verso Fiumicino, il buon senso impose di evitare detta soluzione illegittima e paradossale –:

   quali iniziative intenda immediatamente adottare al fine di non penalizzare i residenti e i pendolari del comune di Fiano Romano, in modo da evitare che il costo della percorrenza autostradale da e per Roma gravi ulteriormente sulla precaria economia locale.
(4-17910)


   TOFALO, LUIGI GALLO, SIBILIA, SILVIA GIORDANO e MICILLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 26 marzo 2017 un servizio de «Le Iene» intitolato «Il vigile e il privilegio del sindaco» denuncia la pratica dell'ex-sindaco di Salerno, oggi Governatore della Campania, di procedere in contromano per una stradina vicino casa sua che gli permette di ridurre il percorso, dovuto ai sensi di marcia urbani, grazie al cartello «eccetto forze di polizia». Apparentemente nulla giustifica il permesso di transito contromano di un'auto di polizia, specialmente in questa traversa pericolosa e stretta;

   il 17 settembre 2017 il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, con la propria auto blu, è coinvolto in un frontale con un motorino guidato da una ragazza di 22 anni. L'incidente causato dall'auto di servizio di Vincenzo De Luca ha riproposto un dibattito che sembrava essere stato messo a tacere, perché, se è vero e la macchina con a bordo il presidente procedeva contromano, e l'autista sembrerebbe non appartenere alle forze dell'ordine, ma essere semplicemente uno degli staffisti di Palazzo Santa Lucia (articolo «Le Cronache del Salernitano» del 18 settembre 2017), resta vero anche che ai due imbocchi di via Negri è segnalato l'accesso e il transito controsenso consentito alle vetture delle forze dell'ordine;

   il nuovo codice della strada, decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, dispone all'articolo 6, comma 4 che l'ente proprietario della strada può «b) stabilire obblighi, divieti e limitazioni di carattere temporaneo o permanente per ciascuna strada o tratto di essa, o per determinate categorie di utenti, in relazione alle esigenze della circolazione o alle caratteristiche strutturali delle strade». In merito il comma 8 recita che «Le autorità che hanno disposto la sospensione della circolazione di cui ai commi 1 e 4, lettere a) e b), possono accordare, per esigenze gravi e indifferibili o per accertate necessità, deroghe o permessi, subordinati a speciali condizioni e cautele» e specifica che gli accordi per deroghe o permessi sono emessi solo in casi di esigenze gravi e indifferibili;

   nell'esempio di cui in premessa, tuttavia, l'attuale assetto normativo risulta applicato con modalità di dubbia legittimità piuttosto che per agevolare la gestione delle emergenze –:

   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti e se intendano assumere iniziative normative per modificare il codice della strada per disciplinare in modo più stringente eventuali deroghe o permessi in relazione a peculiari esigenze della circolazione stradale.
(4-17913)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGANO e ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da oltre due anni sulle spiagge dell'Agrigentino e su quelle di Linosa e Lampedusa si susseguono sbarchi, documentati anche con foto e video, che, sfuggendo ad ogni stima e controllo, sono stati definiti «fantasma»;

   come noto, si tratterebbe di immigrati che, utilizzando imbarcazioni di pochi metri e in piccoli gruppi, partono dalla Tunisia per raggiungere illegalmente la costa meridionale della Sicilia, ed una volta sbarcati direttamente sulle spiagge, di notte o all'alba o addirittura in pieno giorno, si nascondono tra le dune per cambiarsi i vestiti, per poi dileguarsi e far perdere le loro tracce;

   si stima, non avendo certezza degli arrivi, che solo negli ultimi due mesi siano giunti illegalmente dalla Tunisia circa tremila immigrati, in maggioranza uomini, di cui 1.500-1.800 sulla costa meridionale della Sicilia, mentre il resto sulle isole di Lampedusa e Linosa;

   nelle ultime settimane, ormai in maniera sistematica, si è assistito ad un preoccupante intensificarsi degli sbarchi «fantasma», con decine e decine di immigrati che hanno raggiunto le spiagge dell'Agrigentino, per poi disperdersi senza essere sottoposti ad alcun controllo sanitario e delle forze dell'ordine, tanto da indurre lo stesso procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, a lanciare l'allarme in una sua recente intervista a La Stampa;

   in particolare, il procuratore di Agrigento avrebbe definito il fenomeno in atto «migrazione pericolosa», poiché, per le modalità sopra descritte, è evidente che tra questi immigrati ci «sono persone che non vogliono farsi identificare, gente già espulsa in passato dall'Italia o appena liberata con l'amnistia dalle carceri tunisine o magari che ha preso parte alle rivolte del 2011» ed avrebbe, quindi, espresso il timore che tra gli stessi possano esserci anche persone legate al terrorismo internazionale –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei casi evidenziati in premessa, in particolare riguardo all'esistenza e all'intensificarsi della nuova rotta migratoria illegale dalla Tunisia, o da altri Paesi africani confinanti, verso la Sicilia meridionale; se disponga di elementi che confermino il rischio sopra evidenziato che tra gli immigrati che utilizzano tale rotta vi possano essere persone legate al terrorismo internazionale e quali verifiche siano state effettuate in merito; quali iniziative immediate intenda adottare, o abbia già adottato, al fine di bloccare gli sbarchi di cui in premessa; quali iniziative di competenza intenda assumere in tempi brevi, o abbia già assunto, nei confronti degli immigrati che sono giunti e continuano a giungere illegalmente sulle coste meridionali della Sicilia, al fine di garantirne il rintraccio e l'effettivo e immediato rimpatrio.
(4-17907)


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   in base all'articolo 7 (seduta di seconda convocazione), comma 4, del consiglio comunale di Quartu Sant'Elena, comune della città metropolitana di Cagliari, «Le sedute di seconda convocazione sono valide qualora siano presenti almeno dieci consiglieri. È necessaria la presenza di almeno la metà dei consiglieri assegnati, anche in seduta di seconda convocazione, per deliberare», tra le altre cose, il «rendiconto»;

   secondo quanto riportato da numerosi organi di stampa, il consiglio comunale di Quartu Sant'Elena, si è riunito in seduta di seconda convocazione l'8 settembre 2017, avendo quale primo punto dell'ordine del giorno il «rendiconto della gestione 2016» che è stato approvato dall'assemblea;

   è il caso di rilevare che alla seduta erano presenti 14 su 29 consiglieri comunali, compreso il sindaco che, secondo gli orientamenti giurisprudenziali (sentenza 1301/2004 del Tar della Puglia) è da ricomprendere tra i consiglieri;

   ne consegue che la metà dei consiglieri necessaria alla validazione della seduta e delle deliberazioni assunte avrebbe dovuto essere pari a 14,5 che si arrotonda, secondo anche il Ministero dell'interno (quorum strutturale validità consiglio comunale parere 26 ottobre 2016) a 15 consiglieri;

   anche a seguito delle segnalazioni al prefetto e all'assessorato regionale degli enti locali da parte di alcuni rappresentanti dei cittadini in consiglio comunale, la regione ha provveduto, dopo previa integrazione di informazioni in merito, richiedere una nuova votazione del rendiconto 2016, essendo quella dell'8 settembre 2017 nulla per mancato rispetto del citato articolo 7 del regolamento del consiglio comunale;

   il consiglio comunale è stato così riconvocato, in prima convocazione, il 26 settembre 2017, con al quarto punto dell'ordine del giorno «convalida delibera del consiglio comunale n. 41 del 8 settembre 2017 avente per oggetto: Rendiconto della gestione 2016 – Conto del Bilancio-Relazione illustrativa della Giunta Comunale al Rendiconto della Gestione 2016-Approvazione»;

   è il caso di rilevare che apparirebbe improprio parlare di convalida di una delibera che nei presupporti e negli effetti risulterebbe del tutto nulla, perché invalidata dalla mancanza di numero legale, così come illustrato in premessa e confermato dallo stesso assessorato regionale degli enti locali che ha richiesto, appunto, una nuova votazione;

   risulterebbe del tutto irrituale che il consiglio comunale, tra l'altro, di un'importante realtà della Sardegna che conta oltre 72 mila abitanti, possa deliberare atti di particolare rilevanza, come il rendiconto, senza un preventivo controllo degli organi preposti, a cominciare dal segretario comunale dell'ente;

   tra l'altro, secondo quanto riportato da numerosi organi di stampa, la votazione del 26 settembre 2017 giungerebbe ben oltre i termini di scadenza per l'approvazione del rendiconto 2016;

   questa circostanza, pone l'amministrazione comunale di Quartu Sant'Elena in una situazione molto critica sotto il profilo del rispetto degli adempimenti e delle scadenze di legge sui documenti contabili, con ripercussioni sulla solidità gestionale dell'ente e con effetti che mettono in discussione la prosecuzione stessa del mandato amministrativo –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione al quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza intenda assumere al riguardo, con particolare riferimento al rispetto degli adempimenti e delle scadenze in materia di rendicontazione del bilancio comunale.
(4-17914)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, BRESCIA, GRANDE, SPADONI, CARIELLO e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il 14 dicembre 2016, l'università degli studi di Salerno pubblicava l'avviso per la copertura di un posto di professore di I fascia, settore concorsuale 09/02 (ingegneria dell'energia elettrica), settore scientifico disciplinare Ing Ind 33 (Sistemi elettrici per l'energia). Il 5 maggio 2017 venivano pubblicati i criteri da parte della commissione, che prendeva atto dei nominativi dei candidati dichiarando la insussistenza delle cause di incompatibilità e di assenza di conflitto di interessi. Il 12 maggio 2017 uno dei candidati inviava atto di significazione al rettore, contestando i criteri pubblicati dalla commissione, in quanto non coerenti con i criteri generali enunciati nel bando. Di fatto nuovi criteri non previsti venivano aggiunti arbitrariamente. Il 23 maggio 2017 anche in ragione del dovuto approfondimento dell'atto di significazione di cui sopra viene concessa la proroga di due mesi alla commissione che avrebbe dovuto terminare i lavori il 23 luglio 2017. Il 12 giugno 2017 avveniva la ricezione da parte del responsabile unico del procedimento delle osservazioni della commissione all'atto di significazione, la quale non ravvisava alcuna irregolarità nella stesura dei criteri di selezione. Il 16 giugno 2017 lo stesso candidato che aveva presentato l'atto di significazione consegnava un esposto presso la Procura di Nocera Inferiore, provincia di Salerno, con le medesime motivazioni di illegittimità contenute nell'atto di significazione. Il 28 giugno 2017 avveniva nota di trasmissione alla commissione dell'avvenuto esposto. Il medesimo giorno venivano presentate le dimissioni da parte del presidente della commissione che motivava l'atto sostenendo che «l'apertura dei plichi contenenti la documentazione prodotta dai candidati ha fatto emergere nella maggior parte dei candidati la presenza di pubblicazioni di cui lo stesso risulta coautore e in particolare un candidato ha prodotto 12 pubblicazioni da valutare, tutte in collaborazione con il presidente». Da sottolineare che la commissione conosceva i nomi dei candidati fin dalla formulazione dei criteri di valutazione, dichiarando l'insussistenza delle cause di incompatibilità e di assenza di conflitto di interessi tra di loro e con i candidati stessi. Dalla consultazione dell'archivio della ricerca dell'università di Salerno risultano più di 100 pubblicazioni in comune tra il presidente di commissione dimissionario e uno dei candidati (non il ricorrente). Tra il 1° e il 3 agosto 2017 i fatti vengono ripresi da organi di stampa regionali (cronache.it, mattino.it). Visti i fatti, appare curioso che un presidente di commissione esaminatrice dimentichi di aver co-firmato più di 100 pubblicazioni scientifiche con uno dei candidati del concorso, producendo dei criteri che si pongono, per gli interroganti, in contrasto con le leggi in materia poiché non si attengono a quanto previsto dall'articolo 18 della legge n. 240 del 2010 valorizzando, ai fini della comparazione tra i candidati, elementi che non potevano rivestire tale valenza. I criteri, infatti, sono ricollegabili a specifici moduli di insegnamento di cui risulterebbe docente uno dei candidati seppur non riportati esplicitamente nella declaratoria del profilo richiesto dal bando di concorso. Recenti studi hanno rilevato che con le ultime riforme nel sistema di reclutamento universitario dei docenti si è instaurata una prassi in Italia per cui la sede che bandisce il concorso sceglie il candidato di suo gradimento, in molti casi coincidente con quello che già lavora presso la sede e che non sempre è il migliore –:

   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa, il Ministro interrogato e quali iniziative intenda intraprendere per riconsiderare le metodologie di selezione delle classi docenti universitarie;

   se risultino ulteriori casi di tale prassi di reclutamento del personale docente presso l'Università degli Studi di Salerno e altri atenei nazionali.
(5-12265)


   MARZANA, LUIGI GALLO, DI BENEDETTO, D'UVA, CHIMIENTI, SIMONE VALENTE, VACCA e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   i bandi del concorso scuola 2016 (DD.DD.GG. 105, 106, 107) all'articolo 9, comma 1, prevedono che ai fini della formazione delle graduatorie di merito «La commissione giudicatrice, (...) procede alla compilazione della graduatoria di merito, inserendo i predetti candidati nel limite massimo dei posti messi a bando per ciascuna procedura concorsuale maggiorati del 10 per cento ai sensi dell'articolo 400, comma 15, del Testo Unico come modificato dall'articolo 1, comma 113, lettera g), della Legge»;

   più precisamente, non è stato riconosciuto il diritto di tutti i candidati che hanno superato con successo le varie prove concorsuali a vedersi inseriti nelle graduatorie di merito, pur se in posizione immediatamente utile per essere dichiarati vincitori del concorso;

   di conseguenza, diverse migliaia di candidati che hanno superato tutte le prove previste per le rispettive classi di concorso, stante lo sbarramento del 10 per cento non hanno alcuna possibilità di partecipare alle immissioni in ruolo per i posti eventualmente disponibili;

   detto sbarramento appare agli interroganti illegittimo considerato che le modalità di assunzione del personale docente avvengono secondo quanto disposto dall'articolo 399 del decreto legislativo n. 297 del 1994, ovvero mediante l'assegnazione del 50 per cento dei posti ai docenti inseriti nelle graduatorie di merito e del restante 50 per cento dei posti ai docenti inseriti nelle graduatorie provinciali ad esaurimento (Gae);

   eppure il Consiglio di Stato, nella sentenza n.14/2011, poi seguita dal decreto ministeriale n. 356 del 2014, ha affermato espressamente che «l'idoneo può considerarsi anch'egli un vincitore potenziale del concorso, quindi è “meritevole” di essere inserito in GM» e se non viene assunto immediatamente è solo per la limitatezza dei posti messi a bando, non per la sua incapacità a ricoprire il posto;

   nel settore della docenza scolastica, si ricorda che, nel concorso indetto con DDG n. 82 del 2012, il Ministero è intervenuto con decreto del 23 maggio 2014, n. 356, riconoscenti il diritto all'assunzione a tempo indeterminato in favore dei docenti «idonei» del concorso del 2012;

   tra l'altro, il principio dello scorrimento delle graduatorie di merito viene enunciato a chiare lettere anche nel «decreto D'Alia», convertito dalla legge n. 125 del 2013, che all'articolo 4, dispone come non si possano indire nuove procedure concorsuali se non vengano prima assorbiti gli idonei delle tornate concorsuali precedenti e obbliga le amministrazioni pubbliche a procedere alla loro assunzione, ove intendano coprire nuovi posti in organico nel triennio di vigenza della graduatoria concorsuale;

   è stato fatto un parziale passo avanti con il decreto legislativo n. 59 del 2017 e la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dell'8 giugno 2017, n. 26145, che hanno sanato l'illegittimità del tetto del 10 per cento degli idonei ma solo nei confronti della scuola secondaria, prevedendone il «superamento» nella misura della pubblicazione di elenchi graduati e del relativo scorrimento delle graduatorie in base ai posti disponibili;

   purtroppo, lo stesso provvedimento non è stato disposto anche per la scuola primaria e dell'infanzia palesandosi in tal modo una vera discriminazione. Oltretutto, in alcune regioni gli idonei sono stati collocati in «elenchi aggiuntivi graduati», mentre in altre, come in Sicilia, sono stati addirittura inseriti in semplici elenchi alfabetici –:

   se la Ministra interrogata intenda procedere alla pubblicazione delle graduatorie di merito regionali per ogni ordine e grado, complete con i nominativi, di tutti i candidati che hanno superato le prove concorsuali, includendo gli idonei oltre il 10 per cento;

   se intenda assumere iniziative per superare il tetto del 10 per cento degli idonei della scuola dell'infanzia e primaria e consentire loro di poter ricevere la proposta di stipula di contratto a tempo indeterminato, in virtù del naturale «scorrimento» delle suddette graduatorie;

   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per prolungare la decorrenza della validità delle suddette graduatorie di cui la legge n. 107 del 2015, che al comma 113 dell'articolo 1, ha disposto la validità triennale, sebbene per via di ritardi procedurali e ricorsi in alcuni casi le graduatorie siano state pubblicate solo nel mese di settembre 2017.
(5-12267)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   MINNUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il 21 luglio 2017, circa 200 lavoratori della sede di Roma della nota società Ericsson, a cui si aggiungono altri 61 lavoratori della sede di Genova della stessa società, si sono visti recapitare una lettera di licenziamento al proprio indirizzo di posta elettronica;

   i predetti licenziamenti sarebbero il risultato di una non meglio specificata, e tanto meno giustificata, ristrutturazione di un'azienda che, peraltro, sebbene colpita anch'essa dal periodo di crisi economico generale, ha un fatturato costantemente in attivo;

   fino ad oggi sono stati inutili anche i tentativi, effettuati dai Ministri interrogati, di istituire un tavolo di confronto con la società e i rappresentanti sindacali dei lavoratori al fine proprio di evitare quanto si è verificato in questi giorni;

   Ericsson, infatti, si è limitata a comunicare che la predetta ristrutturazione e gli attuali esuberi dichiarati con la procedura di licenziamento collettivo non hanno permesso di trovare una soluzione, facendo ricorso agli ammortizzatori sociali previsti a legislazione vigente, e che pertanto sarebbe stato inutile qualsiasi confronto in merito;

   le circa 200 lettere di licenziamento recapitate a Roma, peraltro attraverso una metodologia piuttosto discutibile soprattutto con riferimento alla dignità personale di ogni singolo lavoratore, non solo sono un grave episodio occupazionale, ma rappresentano anche un grave colpo al tessuto produttivo di Roma e del Lazio, che vede svanire così ulteriori figure professionali, tra cui molte anche di un elevato livello –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione sopra descritta e quali iniziative intendano intraprendere sia al fine di salvaguardare i lavoratori coinvolti, sia al fine di regolamentare un settore, quale quello delle telecomunicazioni, ormai caratterizzato, da una parte, da un contratto collettivo di lavoro bloccato da ben tre anni e, dall'altra, da un costante utilizzo del sistema dei licenziamenti collettivi.
(3-03261)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   KRONBICHLER. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   con la direttiva europea 128/2009 (attuata con il decreto interministeriale del 22 gennaio 2014 e il decreto legislativo del 14 agosto 2012 n. 150), del 1º luglio 2014 n. 817, la legge della provincia autonoma di Bolzano del 23 ottobre 2014 n. 10 e altre ordinanze emanate e accordi privati successivamente sottoscritti si prevede di sanzionare i comportamenti illeciti per l'irrorazione dei fitofarmaci in agricoltura;

   un esempio emblematico è avvenuto al signor G. U. nella sua qualità di proprietario dell'azienda agricola «Südtiroler Kräuter Gold» a Coldrano/Goldrain nella Val Venosta, che si occupa da ormai 27 anni di agricoltura biologica e da 12 anni di coltivazione di erbe mediche. Nel 2010 per la prima volta gli è stato constatato un residuo di pesticidi provenienti dal frutteto vicino, sui suoi campioni di erbe;

   la confinante cooperativa frutticola, l'associazione dei contadini e i politici locali sono stati avvisati del problema dei residui dei pesticidi e sono stati pregati di provvedere al riguardo;

   nonostante il signor G. non utilizzi prodotti fitosanitari e sia stato danneggiato dai pesticidi provenienti dagli impianti di frutta limitrofi, ha ricevuto una sanzione e gli sono state notificate 3 denunce;

   il signor G., pur avendo annualmente aumentato le misure di protezione del proprio appezzamento, ha comunque perso il suo raccolto;

   quest'anno l'ente marchio qualità Südtirol gli ha inviato un verbale di accertamento d'infrazione amministrativo in merito ad analisi positive a residui di fitofarmaci (ciò nonostante la protezione delle colture di erbe nelle serre predisposte), fitofarmaci che sono efficaci ed utilizzati solo nelle coltivazioni ortofrutticole, con la seguente motivazione: «Nel caso concreto si tratta con ogni probabilità di una contaminazione imprevedibile ed evidentemente inconsapevole e involontaria delle erbe mediche con questo principio attivo individuato nelle analisi, ciò nonostante può rappresentare nella vendita un grave e irreversibile danno per il marchio di qualità Südtirol, visto che Capta rappresenta un fitofarmaco nocivo per la salute. Non viene applicato un ammonimento ma una multa pecuniaria». A parere dell'interrogante non è tollerabile che colui che, a causa della negligenza altrui, subisca un tale danno venga addirittura sanzionato;

   quando il contadino «convenzionale» non è in grado di far rimanere i pesticidi che utilizza sul suo terreno, deve interrompere o cambiare questa modalità di coltivazione;

   il contadino che causa la contaminazione con fitofarmaci che arrivano sulle colture limitrofe con gli agenti atmosferici ne è responsabile e deve risarcire i danni. Se il danno causato non è attribuibile ad un singolo agricoltore, perché più contadini nello stesso periodo hanno usato lo stesso fitofarmaco, dovrà essere la cooperativa ortofrutticola a rispondere per i suoi consorziati –:

   se non intenda adottare un'iniziativa normativa che riveda la disciplina vigente prevedendo l'utilizzo di uomini e mezzi al fine di controllare lo spargimento dei pesticidi e dei nebulizzatori, con facoltà di provvedere all'eventuale inibizione comportamenti di comportamenti errati e all'irrogazione di sanzioni al contadino o alla cooperativa agricola colti in flagrante.
(4-17915)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROBERTA AGOSTINI, AMATO, BECHIS, IORI, LOCATELLI, PATRIZIA MAESTRI, MARZANO, MURER e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nel 1975 la legge n. 405 istituisce i consultori familiari con lo scopo di assicurare obiettivi legati alla salute delle donne e dei componenti il nucleo familiare: dall'assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile, alla somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile, alla divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza, fino all'informazione e all'assistenza sui problemi della sterilità e della infertilità e sulle procedure per l'adozione e l'affidamento familiare;

   negli anni immediatamente successivi all'emanazione della legge nazionale tutte le regioni hanno recepito la norma con proprie leggi regionali;

   la legge n. 194 del 1978 sottolinea il ruolo centrale del consultorio nella promozione della procreazione responsabile, dell'educazione sessuale e della prevenzione dell'aborto;

   la legge n. 119 del 2013 affida ai consultori il compito di «recupero e di accompagnamento dei soggetti responsabili di atti di violenza nelle relazioni affettive, al fine di favorirne il recupero e di limitare i casi di recidiva»;

   per le attività che sono chiamati a svolgere, i consultori rivestono un ruolo sociale oltre che sanitario, con un approccio multidisciplinare che richiede la compresenza e la collaborazione tra figure mediche e figure a competenza sociale e psicologica;

   nel 2008 il Ministero della salute pubblica il primo rapporto nazionale sui consultori familiari pubblici presenti in Italia. Dal rapporto si evince come solo in poche regioni le asl prevedano un capitolo di bilancio ad essi adibiti e che solo nel 4 per cento dei casi l'organico multidisciplinare sia al completo;

   nella relazione del Ministro della salute sull'attuazione della legge n. 194 del 1978 del settembre 2013 si legge che il numero dei consultori familiari pubblici notificato nel 2011 dalle regioni è 2110 (erano 2204 nel 2010), pertanto risultano 0,7 consultori per 20.000 abitanti, e non 1 ogni 20.000 come previsto dalla legge n. 34 del 1996;

   associazioni ed operatori lamentano che l'attuale attività dei consultori e la conseguente modalità di rapportarsi all'utenza non rispondono più alle intenzioni e non permettono di favorire un rapporto di fiducia tra operatori e cittadini. Recentemente la presidente della consulta cittadina permanente dei consultori familiari di Roma, Giuseppina Adorno, ha scritto una lettera di denuncia pubblica sullo snaturamento dei consultori sottolineando i tanti problemi quotidiani (accoglienze limitate in spazi e tempi ridotti, visite ginecologiche ogni 15 minuti come nei poliambulatori, scarsi operatori e altro). Secondo uno studio della Consulta permanente dei consultori familiari di Roma, l'81 per cento dei consultori opera nell'ambito della salute degli adolescenti con corsi di educazione alla sessualità, attività in costante diminuzione a causa della carenza di personale e dei diversi obiettivi aziendali. Pochi giorni fa la presidente del collegio delle ostetriche per le province di Cagliari, Carbonia Iglesias, Medio Campidano, Nuoro, Ogliastra e Oristano, Maria Rosaria Lai, ha espresso pubblicamente il timore che i consultori possano scomparire;

   con la risoluzione conclusiva di dibattito n. 8/00038 la Commissione affari sociali in data 6 marzo 2014 ha impegnato il Governo pro tempore ad assumere iniziative per valorizzare e ridare piena centralità ai consultori familiari, a promuoverne un'equa diffusione sul territorio nazionale e a favorirne l'integrazione con le strutture ospedaliere, rappresentando il consultorio uno strumento essenziale per le politiche di prevenzione e promozione della maternità e della paternità libera e consapevole –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e cosa intenda fare al fine di riorganizzare il sistema dei consultori familiari, in modo da portare il servizio su tutto il territorio nazionale ad un livello di fruibilità e funzionalità adeguato.
(5-12264)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OCCHIUTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la disciplina principale del settore farmaceutico è stata riordinata dalla legge 8 novembre 1991, n. 362;

   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 1994 n. 298, di attuazione dell'articolo 4, comma 9, della citata legge n. 362 del 1991, è intervenuto per disciplinare aspetti relativi al conferimento delle sedi farmaceutiche di nuova istituzione: composizione commissione giudicatrice, criteri per la valutazione dei titoli e l'attribuzione dei punteggi, prove di esame e modalità di svolgimento del concorso di assegnazione; esso ha parzialmente modificato la normativa, intervenendo su alcune disposizioni della legge 2 aprile 1968, n. 475, (Norme concernenti il servizio farmaceutico), attuata dal decreto del Presidente della Repubblica 21 agosto 1971, n. 1275, e del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265;

   l'interpretazione non coordinata della normativa che disciplina il concorso straordinario ha recentemente creato numerosi casi di difficile lettura per l'apertura delle farmacie, specie in relazione alle disposizioni dell'articolo 9 della legge n. 221 del 1968 (provvidenze a favore dei farmacisti rurali), che attribuiscono al farmacista rurale una premialità di punteggio posta «a risarcimento» del proprio disagio vissuto lavorando in zone periferiche di scarso guadagno;

   è accaduto che la premialità assicurata a una siffatta tipologia di professionisti, pari al 6,50 di maggiorazione sul punteggio afferente all'esercizio professionale, è stata ritenuta dai Tar di Trentino Alto Adige e Basilicata come maggiorazione da attribuire ad ogni singolo farmacista componente l'associazione professionale partecipante alle prove del concorso straordinario;

   un'interpretazione, ad avviso dell'interrogante, arbitraria e disomogenea, che può mettere in crisi l'intero settore, rendendo possibili situazioni paradossali, a totale svantaggio di quei farmacisti che, in possesso di più titoli o di un esercizio professionale ultradecennale, risulterebbero emarginati in una graduatoria che vede premiate le associazioni professionali caratterizzate dalla somma numerica di quelle maggiorazioni di punteggio che il legislatore del ’68 aveva inteso attribuire al farmacista rurale che partecipasse per il conferimento della titolarità di una farmacia urbana;

   a causa di una disseminazione di decisioni dei Tar che interpretano, in un modo o in un altro, le norme di riferimento, sconvolgendo le graduatorie e le assegnazioni perfezionate dalle regioni interessate, si rischia la penalizzazione dell'intero settore e si mettono a rischio i capitali investiti dagli originari assegnatari, cui la giurisprudenza potrebbe togliere ciò che il concorso straordinario avrebbe dovuto assicurare;

   si tratta di una dinamica che originerà due gravi lacune: la prima in termini di ricaduta negativa sul livello di assistenza farmaceutica da garantire alla popolazione e la seconda in termini di mancata occupazione di tanti giovani laureati, in contrasto con la ratio legislativa che ha voluto il ricorso al concorso straordinario per facilitare l'ingresso degli stessi nella geografia assistenziale assicurata dalle farmacie;

   le decisioni amministrative potrebbero portare all'annullamento delle sperimentazioni concorsuali, con conseguente perdita ex abrupto tutto ciò che gli originari assegnatari hanno già realizzato, quasi sempre ricorrendo ad onerosi prestiti bancari;

   il concorso straordinario delle farmacie necessita, peraltro, di assoluta vigilanza, dal momento che intorno ad esso pare si siano verificati tentativi di abusi esercitati da coloro i quali, contrariamente alla normativa, provano ad aprire ,ovvero mantengono in esercizio entrambe le farmacie aggiudicatesi in concorsi regionali diversi –:

   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, non intenda adoperarsi, con tutte le iniziative di competenza, per evitare il verificarsi di una pericolosa fattispecie che rischia sia di compromettere l'interesse pubblico e l'adeguata assistenza farmaceutica, sia di penalizzare coloro i quali, soprattutto giovani farmacisti, hanno partecipato ai concorsi de quibus risultando vincitori di sedi farmaceutiche e che rischiano ora di perdere tutto.
(4-17911)


   REALACCI e BRATTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nel 2013, a seguito di alcune ricerche sperimentali eseguite dal Cnr-Irsa su potenziali inquinanti «emergenti» commissionate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è stata segnalata la presenza in alcuni ambiti delle province di Vicenza, Verona e Padova di sostanze perfluoro alchiliche (Pfas), dannose per la salute in acque sotterranee, acque superficiali e acque potabili. L'azienda «Miteni», nel comune di Trissino, è stata individuata come principale fonte di contaminazione;

   l'estensione e la gravità dell'inquinamento da Pfas richiedono oggi da parte delle istituzioni una leale e stretta collaborazione tra le parti per studiare il fenomeno e per prendere le azioni di risanamento conseguenti. Gli studi della regione Veneto hanno evidenziato la presenza di concentrazioni elevate di Pfas, 32 volte superiori al limite massimo, nel sangue dei quattordicenni della zona a più alta contaminazione, oltre a un aumento di patologie della gravidanza (diabete, gestosi, bimbi nati piccoli per l'età gestazionale) ritenute connesse all'azione degli Pfas;

   per tali ragioni la regione Veneto e l'Arpav sono state invitate illo tempore dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ad intraprendere una campagna di determinazione di queste sostanze dannose per l'ambiente e per la salute umana e a svolgere un'attenta analisi della loro diffusione;

   il decreto ministeriale «ambiente-salute» del 6 luglio 2017 ha introdotto «l'attuazione dei Piani di sicurezza sull'intero sistema idro-potabile» ovvero degli standard precauzionali sugli Pfas, affinché ogni singola regione possa adeguare o anche ridurre detti parametri in base alla peculiarità del suo territorio e alla peculiarità degli inquinanti, sebbene si assista ancora all'assenza di un limite nazionale che uniformi la presenza di Pfas nelle acque potabili, così come nelle acque di fognatura;

   secondo quando si apprende da dichiarazioni del Ministro Galletti: «il Ministero dell'Ambiente ha ripreso in esame l'accordo per il bacino del Fratta Gorzone. Dei 90 milioni previsti da un lontano accordo del 2005 — trenta per parte del Governo, Regione e gestori del servizio idrico — risultavano al 2015 spesi solo 7,9 milioni di fondi statali. È proprio di pochi giorni fa il decreto che sblocca gli ulteriori 80 milioni promessi nell'ambito dei Fondi Sviluppo e Coesione, assieme agli altri 23 già disponibili»;

   gli interroganti sul tema hanno già presentato l'atto di sindacato ispettivo n. 5-11431 del 23 maggio 2017, raccogliendo anche appelli alla soluzione del «problema PFas», promossi da associazioni di liberi cittadini, Legambiente e Greenpeace –:

   se e quali iniziative, anche normative, intendano assumere per fissare limiti uniformi su tutto il territorio nazionale in tema di inquinamento da Pfas;

   se intendano, d'intesa con la regione Veneto, fornire un quadro dettagliato degli interventi effettuati e da completare per l'approvvigionamento e la depurazione delle acque nei territori delle province venete colpite;

   quali siano le strategie in atto per mettere in sicurezza e/o bonificare le falde contaminate;

   quali e quante campagne informative i Ministri interrogati abbiano intenzione di effettuare in tempi rapidi.
(4-17912)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FALCONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   un articolo pubblicato il 30 giugno 2017 sul quotidiano Libero, dal titolo «Canne al posto del petrolio, per produrre energia pulita», rileva l'esperienza innovatrice nel settore energetico dell'azienda Biochemtex di Crescentino (Vercelli), all'interno della quale si produce bioetanolo ed energia elettrica da biomasse non alimentari;

   il suesposto articolo evidenzia, al riguardo, come l'era dei combustibili fossili stia volgendo rapidamente al termine, per essere sostituita da nuove fonti di energia cosiddetta «rinnovabile» consentendo pertanto, grazie all'utilizzo delle biomasse, di produrre energia pulita, usando materie prime;

   l'energia ottenuta dalle biomasse non alimentari, prosegue l'articolo firmato da Fabrizio Palenzona, è in grado, a differenza di quella ottenuta dalle biomasse alimentari, di mantenere l'equilibrio ambientale, producendo, al contempo, bioetanolo ed energia pulita di elevata qualità;

   in questo giro d'affari, sostiene Palenzona, l'Italia vanta numerose eccellenze, tra le quali la suddetta l'industria Biochemtex, la quale è stata la prima a livello mondiale nel brevettare un sistema per la produzione di bioetanolo di seconda generazione in modo non solo ecologicamente sostenibile, ma anche economicamente efficiente, utilizzando energia da arundo e piante similari (le cosiddette canne dei fossi);

   l'articolo richiamato evidenzia, altresì, che attualmente si potrebbero seminare con arundo o simili (ad esempio, le canne dei fossi) centinaia di migliaia di ettari oggi incolti, aggiungendo che questa coltivazione potrebbe utilmente interessare l'Africa (il cui continente presenta territori incolti e idonei alla coltivazione di piante adatte a produrre biomasse non alimentari) con benefici generali di tipo ecologico ed economico, favorendo l'occupazione e indirettamente contrastando la spinta all'emigrazione;

   l'interrogante evidenzia, al riguardo, come gli Stati membri del G20, tra i quali l'Italia, si siano impegnati, sotto la presidenza tedesca, nel promuovere il «Compact With Africa», ovvero un piano d'investimenti per favorire la crescita sostenibile nel continente africano attraverso un piano d'investimenti da realizzarsi, tra l'altro, nel business delle fonti alternative –:

   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati in relazione a quanto riportato nell'articolo di cui in premessa e quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano intraprendere, affinché siano promossi la ricerca e lo sviluppo nel settore interessato, che va considerato a giudizio dell'interrogante strategico per l'Italia;

   se, nell'ambito delle rispettive competenze, non ritengano condivisibile e opportuno monitorare, attraverso uno specifico rilevamento, i territori nei quali sarebbe possibile programmare la coltivazione di piante, come l'arundo e simili, al fine d'incentivare la produzione;

   se non ritengano opportuno intervenire in sede europea al fine di promuovere forme di collaborazione con i Paesi africani, nel quadro dello sviluppo armonico di agricoltura e produzione di energia nel settore delle biomasse non alimentari, sfruttando il programma di investimenti per l'Africa denominato «Compact With Africa», di cui al documento preparato dalla Germania per il G20, che mira ad aumentare gli investimenti privati nel continente africano nei settori delle infrastrutture, delle energie alternative, dei trasporti e dell'agroalimentare.
(5-12266)

Apposizione di firme
ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Bruno Bossio e altri n. 2-01946, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Barbanti, Lodolini, Tino Iannuzzi, Dallai, Gribaudo, Melilli, Censore, Carrozza.

Apposizione di una firma
ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n. 5-12184, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 settembre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bonafede.

Ritiro di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:

   interrogazione a risposta in Commissione Giammanco n. 5-10042 del 23 novembre 2016.

Trasformazione di documenti
del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:

   interrogazione a risposta in Commissione Vallascas n. 5-10057 del 25 novembre 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-03260;

   interrogazione a risposta scritta Mucci n. 4-14943 del 6 dicembre 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-03262;

   interrogazione a risposta in Commissione Minnucci n. 5-11989 del 27 luglio 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03261.