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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 19 settembre 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    il territorio dello Yemen, è stato culla di civiltà millenarie e anche per questo custodisce un patrimonio immenso in termini di arte, cultura, storia. Oggi purtroppo, dopo anni di instabilità politica, lo Yemen è diventato uno dei Paesi più poveri del mondo. Stante questa situazione è necessaria e urgente una presa di responsabilità da parte dei paesi e soprattutto delle organizzazioni internazionali;

    lo scontro in atto, una guerra civile che si protrae da più di due anni ma che vede la partecipazione anche di diverse potenze regionali, ha generato un alto numero di vittime (al 30 agosto 2016, secondo fonti ONU, oltre 10.000 persone sono state uccise), delle quali circa un terzo sarebbero civili e 1.540 bambini, con accuse alle parti in conflitto di condotte che configurerebbero crimini di guerra;

    il conflitto è peraltro all'origine di un gravissimo deterioramento delle condizioni umanitarie nello Yemen, classificato come la peggiore crisi del mondo dall'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) che indica in 18,8 milioni le persone bisognose di assistenza umanitaria o di protezione, di queste 10,3 milioni necessitano di assistenza immediata a causa della grave carestia e dell'epidemia di colera che ha già fatto più di 1.500 vittime e che potrebbe diffondersi rapidamente mettendo a rischio la vita di oltre 300 mila persone;

    il conflitto in corso colpisce in particolare donne e bambini; secondo i dati dell'Unicef la crisi yemenita conta più di 1,6 milioni di bambini sfollati che soffrono di malnutrizione acuta, mentre sarebbero addirittura 14,5 milioni i minori in condizioni igienico-sanitarie gravemente precarie tra cui 4,5 milioni privati di accesso all'istruzione e che rischiano di essere reclutati per i combattimenti; più di 2,6 milioni di donne e di bambine sono a rischio di violenze, aumentate peraltro del 65 per cento dall'inizio del conflitto;

    già prima della guerra civile lo Yemen risultava totalmente dipendente dagli aiuti esterni e il 90 per cento dei prodotti alimentari di base del Paese sono importati; il blocco aereo e navale imposto dalle forze della coalizione a guida saudita dal marzo 2015 ha rappresentato una delle principali cause della catastrofe umanitaria, mentre la violenza e la diffusa carenza di carburante hanno reso meno utilizzabili le reti interne di distribuzione dei generi alimentari;

    l'Ocha ha lanciato un appello per fronteggiare la crisi umanitaria nello Yemen per l'anno 2017 stimando una spesa di 2,1 miliardi di dollari, di cui i donatori hanno fino ad ora finanziato soltanto un terzo (688 milioni di dollari);

    l'Italia si è attivata sin dall'inizio della crisi per soccorrere la popolazione civile; in occasione della Conferenza dei donatori di Ginevra del 25 aprile 2017 il Governo italiano ha annunciato un contributo pari a 10 milioni di euro di aiuti umanitari nel biennio 2017-2018; finora sono stati finanziati – per il tramite della cooperazione italiana – progetti di emergenza per un valore di 4 milioni di euro per realizzare interventi nei settori della sicurezza alimentare (PAM), dell'assistenza sanitaria (Croce Rossa Internazionale), della prevenzione della violenza di genere (UNFPA) e dell'istruzione a favore degli sfollati interni (OIM);

    lo Yemen è da un lato vittima e dall'altro causa di un possibile inasprimento delle tensioni regionali con gravi rischi per la stabilità e per la sicurezza internazionale anche per la crescente presenza e il consolidamento delle organizzazioni terroristiche che nel Paese hanno già intensificato il numero e la portata degli attacchi, uccidendo centinaia di persone;

    non si fermano le vendite internazionali di materiali di armamento ai Paesi coinvolti nella guerra civile in Yemen;

    l'amministrazione Usa, nella fase finale della presidenza Obama aveva «espresso alcune preoccupazioni molto significative circa l'alto tasso di vittime civili» nel conflitto yemenita e nel dicembre 2016 aveva deciso di sospendere temporaneamente alcune forniture di munizioni di precisione all'Arabia Saudita, con particolare riguardo alla vendita da parte di Raytheon di circa 16.000 kit di munizioni guidate per un valore di 350 milioni di dollari, avendo valutato che l'aviazione saudita si è più volte mostrata non in grado di individuare correttamente i suoi obiettivi;

    la legge 9 luglio 1990, n. 185, recante «Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento», è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 14 luglio 1990, n. 163 ed è stata poi modificata dal decreto legislativo 22 giugno 2012, n. 105, e seguita dal regolamento di attuazione – decreto ministeriale 7 gennaio 2013, n. 19;

    la legge n. 185 del 1990 prevede un sistema di controllo e di autorizzazione scrupoloso ed articolato in materia di armamenti convenzionali;

    la risoluzione del Parlamento europeo del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2016/2515(RSP)), in particolare contiene l'invito «al VP/AR Federica Mogherini ad avviare un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte dell'UE di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita violerebbe pertanto la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008»;

    un'ulteriore risoluzione del Parlamento europeo del 15 giugno 2017 (2017/2727(RSP)) rinnova gli impegni e le responsabilità dell'Unione per fronteggiare la crisi umanitaria in Yemen e per promuovere un processo di pace negoziato nella consapevolezza che la soluzione della crisi non potrà che avvenire per via negoziata e non per via militare;

    già il Consiglio dei ministri degli esteri dell'Unione europea del 3 aprile 2017 aveva ribadito nelle conclusioni che «non c'è soluzione militare al conflitto in corso in Yemen» e che «la gestione della crisi passa necessariamente attraverso un processo negoziato che coinvolga tutte le parti interessate, cui le donne devono dare un contributo fondamentale e che conduca ad una soluzione politica inclusiva» per ricostruire un clima di fiducia attraverso un «cessate il fuoco» duraturo, un meccanismo monitorato di ritiro delle forze in conflitto, la predisposizione di canali umanitari e commerciali, nonché la liberazione dei prigionieri politici;

    il 13 settembre 2017 il Parlamento europeo ha adottato la relazione approvata dalla Commissione affari esteri già nel mese di luglio 2017 sull’export di armi e sull'implementazione della posizione comune 2008/944/CFSP dove si denuncia la mancanza di un approccio comune in situazioni quali Siria, Iraq e Yemen e si incoraggiano gli stati membri e il Servizio Europeo di Azione Esterna (SEAE) ad «avviare una discussione sull'estensione del criterio 2 per includere gli indicatori di governance democratica, in quanto tali criteri di valutazione potrebbero contribuire a creare ulteriori garanzie contro le conseguenze negative involontarie delle esportazioni»;

    anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che nelle sue risoluzioni 2201/2015 e 2216/2015 ha deplorato le azioni unilaterali degli Houthi, ha attivato meccanismi di monitoraggio della crisi e promosso una serie di iniziative diplomatiche volte a favorire il raggiungimento di una composizione negoziata e inclusiva della controversia;

    dal 10 gennaio 2017 l'Italia è membro non permanente del consiglio di sicurezza dell'Onu, organo che ha la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale; inoltre, nel 2018 l'Italia assumerà la presidenza dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE),

impegna il Governo:

1) a continuare nel monitoraggio della crisi umanitaria in corso in Yemen sensibilizzando gli altri donatori sulla gravità della situazione e sostenendo gli sforzi in corso da parte delle Nazioni Unite, affinché vengano mobilitate le necessarie risorse per finanziare l'azione di soccorso internazionale;

2) a proseguire e a rafforzare le attività di assistenza umanitaria alla popolazione in linea con l'impegno finanziario assunto in occasione della Conferenza dei donatori tenutasi, su iniziativa delle Nazioni Unite, il 25 aprile 2017 a Ginevra;

3) a continuare ad attivarsi presso il Consiglio di sicurezza dell'Onu e negli altri fori internazionali dove è presente il nostro Paese, per promuovere iniziative internazionali volte a fare rispettare il diritto internazionale umanitario e i diritti umani e a favorire le condizioni per una soluzione negoziata del conflitto, per la stabilizzazione del Paese e per la costruzione di una pace duratura e inclusiva di tutte le risorse disponibili, compreso il contributo che le donne possono dare come previsto dalla risoluzione ONU 1325 (2000);

4) a favorire, nell'ambito delle regolari consultazioni dell'Unione europea a Bruxelles, una linea di azione condivisa in materia di esportazioni di materiali di armamento dando sostegno concreto alle iniziative internazionali per la cessazione delle ostilità e adeguandosi immediatamente alle prescrizioni o ai divieti che fossero adottati nell'ambito delle Nazioni Unite o dell'Unione europea.
(1-01695) «Quartapelle Procopio, Alli, Marazziti, Locatelli, Garavini, Tacconi, Carrozza, Tidei, Zampa, Nicoletti, Porta, Andrea Romano, Patriarca, Cova».


   La Camera,

   premesso che:

    le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 2201/2015 e 2216/2015 hanno espresso una chiara condanna delle azioni unilaterali intraprese dagli Houti con il colpo di stato che ha portato allo spodestamento del Governo in carica nello Yemen, all'occupazione abusiva da parte delle milizie armate Houti delle istituzioni yemenite sorte dal processo di transizione politica in corso in quel Paese dal 2011, obbligando il legittimo Presidente e il suo Governo all'esilio;

   la risoluzione delle Nazioni Unite n. 2216 del 2015, ha riaffermato il sostegno alla legittimità del presidente dello Yemen Hadi ed ha reiterato l'appello a tutte le parti ad astenersi dall'assumere azioni che possano minare l'unità, la sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale dello Yemen;

   il presidente Hadi ha chiesto l'aiuto della comunità internazionale a seguito del quale si è formata una coalizione a guida saudita dopo che, con una sua lettera datata 24 marzo 2015, Hadi ha informato il Presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di avere richiesto sostegno immediato, con qualsiasi mezzo e misura, incluso l'intervento militare, al fine di proteggere lo Yemen e il suo popolo dalle continue aggressioni degli Houti, al Consiglio di Cooperazione degli Stati Arabi del Golfo e alla Lega degli Stati Arabi;

   la situazione di caos determinata dal conflitto in alcune aree dello Yemen sta favorendo il radicamento di gruppi di terroristi quali ISIS/Daesh e, segnatamente, Al Qaeda nella Penisola Arabica, che costituiscono una minaccia rilevante per la sicurezza dell'Europa e dell'Occidente e un elemento di destabilizzazione trasversale per tutti gli Stati;

   la comunità internazionale si è attivata per porre fine al conflitto in corso con un'iniziativa di mediazione delle Nazioni Unite attraverso un inviato speciale del Segretario Generale che ha promosso tra il 2015 e il 2016 tre tornate negoziali tra le Parti, senza tuttavia conseguire il risultato di un accordo di pace;

   l'impegno delle Nazioni Unite per la pace in Yemen è tuttora in corso pur dovendo queste far fronte a crescenti difficoltà a riportare le Parti al tavolo negoziale;

   la risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 13 settembre 2017 sull'esportazione di armi, tra le altre cose, invita gli Stati membri e il Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE) «ad aumentare la coerenza dell'attuazione della posizione comune e a rafforzare i meccanismi di scambio di informazioni, rendendo disponibili informazioni migliori dal punto di vista qualitativo e quantitativo per le valutazioni dei rischi correlati al rilascio di licenze di esportazione»;

   la legge italiana sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento è particolarmente severa ed è stata da ultimo modificata nel 2012 con un decreto legislativo che ha recepito la direttiva 2009/43/CE finalizzata ad armonizzare la legislazione in materia in ambito europeo;

   la guerra, che si protrae da più di due anni, ha causato oltre 16 mila vittime, fra i quali molti civili, e ridotto 7 milioni di persone alla fame, fra le quali 2 milioni di bambini, provocando una grave carestia e un'epidemia di colera;

   sono costanti l'attenzione e la preoccupazione dei presentatori del presente atto di indirizzo per il deterioramento della situazione umanitaria, alimentato dalle difficoltà negli approvvigionamenti di derrate alimentari e beni essenziali, dagli ostacoli all'accesso umanitario frapposti da tutte le parti in conflitto e aggravato dal dislocamento dei servizi di base, dovuto agli scontri;

   l'Italia è Presidente di turno dal 1° gennaio 2017 del G7 ed è membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite,

impegna il Governo:

1) a continuare a sostenere, nella qualità di membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, quelle iniziative internazionali finalizzate a conseguire la cessazione delle ostilità e la ripresa dei negoziati di pace, in particolare le attività a tale scopo messe in atto nel quadro delle Nazioni Unite e dell'Unione europea;

2) a mantenere un alto livello di attenzione in tutti i fori internazionali sull'evolversi della situazione, onde poter contribuire attivamente alle proposte internazionali che favoriscano un dialogo tra le Parti in conflitto e una soluzione politica dello scontro in atto, sottolineando la forte preoccupazione per il grave deterioramento della situazione in Yemen, con il riaccendersi del confronto militare dopo il fallimento dell'ultima tornata negoziale a Kuwait City che aveva aperto delle prospettive positive alla soluzione politica della crisi yemenita;

3) a continuare a seguire gli sviluppi della crisi umanitaria in Yemen, partecipando alle iniziative di solidarietà internazionale della comunità dei donatori, sostenendo gli sforzi in corso da parte delle Nazioni Unite ed esercitando una forte pressione sulle Parti in causa, in riferimento alla questione umanitaria, ai diritti delle donne e dei bambini, nonché facendosi promotore di ogni opportuna azione e iniziativa in tutti i fori competenti affinché siano rispettati i fondamentali diritti umani;

4) a svolgere un ruolo propositivo nelle riunioni della fase finale della Presidenza italiana del G7 per fare in modo che la presidenza subentrante raccolga il testimone di un impegno a tenere alta l'attenzione sulla crisi yemenita;

5) a sensibilizzare i Paesi partner e gli alleati circa la minaccia rappresentata dal rafforzamento della presenza di organizzazioni terroristiche estremiste in alcune aree dello Yemen, nella consapevolezza che raggiungere una governance, efficace nel Paese impedisca ad Al-Qaeda di approfittare del vuoto di potere che si è creato;

6) a promuovere un rafforzamento del meccanismo di consultazione periodico dell'Unione europea sul controllo delle esportazioni degli armamenti convenzionali.
(1-01696) «Archi, Carfagna, Fitzgerald Nissoli, Valentini, Occhiuto».


   La Camera,

   premesso che:

    lo Yemen è un paese ricco di storia, che per secoli ha rappresentato un riferimento per l'intera area circostante. Noto ai Romani come Arabia Felix per i suoi interessi commerciali, fu governato da numerose dinastie locali e per ben 53 anni – dal 1084 al 1137 – da una donna che fu definita La signora libera;

    la sua storia lo vuole parte dell'impero ottomano, poi indipendente, infine colonia britannica anche se spesso diviso fra Nord e Sud con destini diversi. Il 1990 sancì la riunificazione del paese ma solo 4 anni dopo la regione meridionale assunse come capitale Aden. Un tentativo di secessione che non ebbe riconoscimento internazionale, ma che avviò un percorso di riforme che portò all'elezione del presidente della repubblica con voto popolare. Nel 2012, la primavera araba, ha messo in discussione questo processo di democratizzazione e nel 2015 si è avuto un colpo di stato per cui le precostituite autorità si sono tutte dimesse consegnando il paese al caos istituzionale;

    le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 2201/2015 e 2216/2015 hanno espresso una chiara condanna delle azioni unilaterali intraprese dagli Houti con il colpo di Stato che ha portato allo spodestamento del Governo in carica nello Yemen e all'occupazione abusiva da parte delle milizie armate Houti delle istituzioni yemenite sorte dal processo di transizione politica in corso in quel Paese dal 2011, obbligando il legittimo Presidente e il suo Governo all'esilio;

    la risoluzione delle Nazioni Unite n. 2216 del 2015 ha riaffermato il sostegno alla legittimità del presidente dello Yemen Hadi e ha reiterato l'appello a tutte le parti ad astenersi dall'assumere azioni che possano minare l'unità, la sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale dello Yemen, nonché la legittimità del Presidente dello Yemen;

    il Presidente Hadi ha chiesto l'aiuto della comunità internazionale a seguito del quale si è formata una coalizione a guida saudita dopo che con una sua lettera, datata 24 marzo 2015, Hadi ha informato il Presidente del Consiglio di sicurezza di avere richiesto sostegno immediato, con qualsiasi mezzo e misura, incluso l'intervento militare, al fine di proteggere lo Yemen e il suo popolo dalle continue aggressioni degli Houti, al Consiglio di cooperazione degli Stati Arabi del Golfo e alla Lega degli Stati Arabi;

    la difficile situazione che si è creata ha reso impossibile il ripristino delle condizioni minime di sicurezza sociale o di stabilità e ha paralizzato l'economia del Paese;

    la situazione umanitaria si è fatta disastrosa mostrando condizioni di vita terribili: sfollati, carenza di viveri e di acqua potabile, impossibilità di assicurare alla popolazione cure mediche e assistenza;

    i bambini, a centinaia fra le vittime, sono stati anche reclutati come soldati;

    le associazioni umanitarie che hanno operato e permangono nel paese hanno subito attacchi e perdite umane;

    un gruppo di esperti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha prodotto un rapporto nel quale si legge che la devastazione provocata dall'intervento militare dell'Arabia Saudita non ha scalfito la volontà degli Houthi-Saleh di proseguire il conflitto. Un conflitto segnato da violazioni del diritto umanitario internazionale da tutte le parti coinvolte;

    nonostante le risoluzioni del Parlamento europeo che invitavano all'embargo sulle armi e alla soluzione politica dei conflitto, ancora oggi la situazione permane di grave disagio e costituisce una minaccia per la sicurezza e la pace a livello internazionale;

    il Governo italiano ha espresso più volte nei consessi internazionali la seria preoccupazione per la situazione fortemente compromessa che si è determinata in Yemen anche a seguito del tentativo (fallito) di negoziazione che si è avuto a Kuwait City ed è costantemente informato delle difficoltà che incontrano le associazioni umanitarie nel portare alla popolazione derrate alimentari e beni essenziali. In occasione della Conferenza dei Donatori tenutasi a Ginevra, ha annunciato un contributo di 10 milioni di euro di aiuti umanitari sul biennio 2017/2018;

    l'aggravarsi della situazione ha creato le condizioni per far crescere la minaccia terroristica, visto che Al Qaeda si è estesa fino a controllare alcune zone del paese in balia di un vuoto di potere;

    l'Italia è impegnata, nel rispetto delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, per trovare una soluzione politica e non militare del conflitto, basato sul dialogo e sulla inclusione di tutti gli attori regionali coinvolti, che tuteli minoranze e porti alla ricomposizione pacifica della controversia e alla sospensione delle ostilità,

impegna il Governo:

1) a continuare a sostenere la mediazione delle Nazioni Unite, finalizzata ad individuare una soluzione politica e a garantire la sospensione delle ostilità;

2) a incoraggiare e favorire l'opera delle organizzazioni umanitarie senza le quali perfino gli impegni economici e gli aiuti promessi non riuscirebbero ad arrivare alle popolazioni stremate;

3) a proseguire i rigorosi controlli sulle richieste di imprese italiane volte a ottenere la licenza di esportazione di armi e a imporre prescrizioni e divieti ove fossero accertate violazioni da parte degli organismi internazionali.
(1-01697) «Vezzali, Francesco Saverio Romano, Merlo, Parisi, Galati, D'Agostino, Faenzi, Marcolin, Abrignani, Rabino, Auci, Borghese, D'Alessandro, Sottanelli, Zanetti».


   La Camera,

   premesso che:

    nessun essere umano, al di là del colore politico, della fede religiosa e del suo livello di istruzione, si esprimerebbe mai a favore della guerra e del ricorso alle armi, alla costituzione di arsenali o al possesso di tecnologia di ultima generazione, ma gli armamenti rappresentano una forma imprescindibile di difesa;

    l'ordine mondiale non può essere organizzato sul principio del disarmo senza se e senza ma, anche perché gli accordi internazionali sono sottoscritti solo da un numero limitato di Paesi, non tutti conoscono la democrazia e non sono paragonabili le diverse condizioni economiche e culturali;

    non si è in grado di «bastare a noi stessi» – lo scambio di informazioni necessarie per contrastare il terrorismo internazionale ne è la prova – e, per assicurare l'incolumità dei cittadini, si ha bisogno di far parte di organizzazioni sovranazionali;

    la storia non si cancella, ha un valore e deve aiutare a migliorare. L'impegno internazionale dell'Italia a favore del mantenimento della pace, nei luoghi che ne sono stati scenario o in Paesi dove sono in atto contrapposizioni fra etnie, religioni o persecuzioni, deve essere motivo di orgoglio. Ricordare le vittime italiane di Nassiria e di tutte le operazioni di pace nelle quali il Paese ha avuto caduti e feriti, è un dovere;

    le donne e gli uomini che si occupano della sicurezza rischiano, come è avvenuto di recente in Francia, di divenire bersaglio di contestatori e di terroristi solo perché sono simbolo dell'unità della nazione, dell'autorità e incarnano lo spirito di servizio;

    negli anni, i Governi hanno fatto scelte basate su princìpi, nel rispetto del dettato costituzionale e a fronte di valutazioni di opportunità. La necessità di assicurare al Paese la sicurezza non è in discussione o da rinegoziare oggi;

    con lo strumento referendario gli italiani si sono espressi contro il nucleare anche per fini civili e oggi l'Italia è un Paese non nucleare;

    è altrettanto vero che l'Italia è membro della Nato ed è legata agli Stati Uniti da accordi politici, economici, culturali, strategici in base ai quali il nostro Paese ha degli impegni da rispettare;

    fra questi quello di fornire le basi e di garantire la riservatezza delle operazioni che si svolgono in quei luoghi. Il Paese ha un sistema di garanzie che vuole che la buona fede si debba sempre presumere, ragione che induce a ritenere che all'interno delle basi si compiano operazioni lecite che non possono minare il livello di fiducia fra alleati, né arrecare danno alle comunità loro prossime e che tutte le misure di sicurezza siano attivate;

    ridurre le spese militari è un controsenso se ad ogni imprevisto si invoca la presenza dello Stato e l'invio di militari o l'innalzamento del livello di sicurezza. La difesa è un sistema complesso che per essere efficiente deve poter contare su investimenti coerenti con i suoi obiettivi, perché è impensabile rispondere ad attacchi nucleari con le baionette;

    l'articolo 1 del Trattato di non proliferazione nucleare (TPN) recita: «Ciascuno degli Stati militarmente nucleari, che sia parte del Trattato, si impegna a non trasferire a chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, ovvero il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente; si impegna inoltre a non assistere, né incoraggiare, né spingere in alcun modo uno Stato militarmente non nucleare a produrre o altrimenti procurarsi armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, ovvero il controllo su tali armi o congegni esplosivi»;

    fintanto che ci saranno armi nucleari nel mondo, la Nato, come ribadito a Lisbona nel 2010, rimarrà un'alleanza nucleare;

    il fatto che i Governi di destra e di sinistra che si sono succeduti abbiano convenuto sulla scelta di non discutere l'alleanza con gli Stati Uniti, conferma che la difesa non può essere oggetto di opportunità elettorali né negoziabile se il contesto internazionale rimane quello attuale;

    le notizie che giungono dalla Corea del Nord e quanto minacciato nel passato dall'Iran, non lasciano presagire che il disarmo sia praticabile;

    l'attuale posizione dell'Italia rispetto alla sua collocazione nel Mediterraneo e all'Europa, consiglierebbe, invece, al Governo di evitare di assumere decisioni che potrebbero rafforzare, all'interno dell'alleanza, altri Paesi a danno del nostro,

impegna il Governo:

1) a far sì che, nel rispetto degli accordi vigenti, l'Italia possa avere garanzia sulla sicurezza dei luoghi e sull'incolumità delle popolazioni residenti nei pressi di basi militari e, ove presente, del personale addetto, secondo quanto affermato dalla Corte internazionale di giustizia;

2) a fare in modo che venga concordata ogni modifica quantitativa o qualitativa del materiale bellico presente nelle basi di Aviano e Ghedi;

3) ad assumere iniziative per garantire che non vengano dismesse aree militari che hanno ospitato o ospitano armi nucleari senza la dovuta bonifica e riqualificazione e a fare in modo che il personale militare che opera in tali contesti sia adeguatamente seguito a livello medico per scongiurare il rischio di malattie da esposizione a materiali radioattivi.
(1-01698) «Vezzali, Francesco Saverio Romano, Merlo, Parisi, Galati, D'Agostino, Faenzi, Marcolin, Abrignani, Rabino, Auci, Borghese, D'Alessandro, Sottanelli, Zanetti».


   La Camera,

   premesso che:

    la comunità internazionale si confronta con nuove e gravi sfide alla pace e alla sicurezza internazionale, incluso il concreto rischio di una ulteriore proliferazione delle armi di distruzione di massa e dei vettori ad esse associati;

    le catastrofi umanitarie e i danni irreversibili che possono essere prodotti dalle armi nucleari le rendono inconciliabili con il diritto internazionale umanitario e hanno indotto la comunità internazionale a rendere prioritari gli obiettivi della non proliferazione e del disarmo generale;

    lo sforzo volto alla riduzione degli armamenti nucleari ha dato buoni frutti negli anni passati, soprattutto attraverso la conclusione di fondamentali trattati internazionali;

    non esiste alternativa praticabile a un approccio progressivo e graduale, di natura inclusiva al disarmo nucleare;

    permane appieno la validità dell'obiettivo di un mondo senza armi nucleari da perseguirsi tenuto conto dell'articolata cornice degli impegni internazionali assunti dall'Italia e considerati gli aspetti umanitari e di sicurezza collegati al tema;

    l'Italia ha convintamente sostenuto la dichiarazione di Hiroshima dei Ministri degli esteri del G7 del 2016, che, con forte valenza simbolica, ha riaffermato l'impegno a creare le condizioni favorevoli a un mondo privo di armi nucleari, in un quadro di stabilità internazionale, e la piena applicazione del Trattato di non proliferazione nucleare in tutte le sue componenti, disarmo incluso;

    appare indispensabile incrementare gli sforzi per salvaguardare e rafforzare il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP) in tutti i suoi aspetti, ovvero non proliferazione, disarmo e promozione degli usi pacifici della tecnologia nucleare, nonché operare per universalizzare il TNP, sollecitando gli Stati ad aderirvi senza indugio e incondizionatamente, e in particolare quelli dotati di armamenti nucleari;

    appaiono fondamentali l'arresto della produzione di materiale fissile destinato ad armi nucleari o ad altri ordigni esplosivi nucleari (e quindi la finalizzazione del relativo Trattato sulla messa al bando del materiale fissile idoneo alla fabbricazione di armi nucleari), nonché la conferma ed universalizzazione in termini giuridici vincolanti della moratoria sugli esperimenti nucleari (e quindi l'entrata in vigore del relativo Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari);

    appare necessario adoperarsi per ulteriori passi avanti in tema di disarmo ai sensi del TNP, nel contesto del «Ciclo di Riesame» attualmente in corso, in vista della Conferenza di revisione del Trattato del 2020;

    il 7 luglio 2017 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite con 122 voti a favore, 1 astenuto e 1 contrario ha approvato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW), che ha l'ambizione di affermarsi come strumento giuridico per una progressiva eliminazione totale delle armi nucleari, rafforzando gli obiettivi della non proliferazione nucleare e del disarmo generale conformemente all'articolo VI del TNP,

impegna il Governo:

1) a continuare a perseguire l'obiettivo di un mondo privo di armi nucleari, attraverso un approccio progressivo e inclusivo al disarmo, che riconosca la centralità del Trattato di non proliferazione nucleare, e attraverso modalità che promuovano la stabilità internazionale, valutando in questo contesto, compatibilmente con l'obiettivo delineato, con gli obblighi assunti in sede di Alleanza atlantica e con l'orientamento degli altri alleati, la possibilità di aderire al trattato giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti alla loro totale eliminazione, approvato a New York il 7 luglio 2017 dall'Assemblea generale dell'Onu appositamente convocata;

2) ad attivarsi, insieme con gli altri partner della comunità internazionale, per favorire l'universalizzazione ed il rafforzamento delle disposizioni del Trattato di non proliferazione nucleare, l'entrata in vigore del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (CTBT), la conclusione di un Trattato sulla messa al bando del materiale fissile idoneo alla fabbricazione di armi nucleari (FMCT), il consolidamento e la creazione di zone libere da armi nucleari, soprattutto in Medio oriente, e altre misure di trasparenza e costruzione della fiducia che possano condurre all'obiettivo del disarmo generale.
(1-01699) «Moscatt, Alli, D'Arienzo, Stella Bianchi, Lodolini, Galperti, Bolognesi, Aiello, Bonomo, Fusilli, Marantelli, Salvatore Piccolo, Valeria Valente, Rostellato, Villecco Calipari, Tacconi, Tidei, Garavini, Gianni Farina, Fedi, La Marca».


   La Camera,

   premesso che:

    secondo la Federation of American Scientists (FAS), l'organizzazione fondata nel 1945 a Washington e che si occupa di analizzare i numeri legati alla presenza di armi nucleari nel mondo, l'Italia custodisce il più alto numero di armi nucleari statunitensi schierati in Europa;

    queste armi nucleari in Europa sarebbero settanta ordigni B-61, su un totale di centottanta distribuite nelle sei basi della Nato in Europa – Belgio (Kleine Brogel AB), Germania (Buchel AB), Paesi Bassi (Volkel AB), e Turchia (Incirlik AB), e per l'appunto Italia (Aviano e Ghedi AB);

    recentemente è stata ufficialmente autorizzata dalla National Nuclear Secutity Administration (NNSA) la B61-12, nuova arma con una testata nucleare della potenza media pari a quella di quattro bombe di Hiroshima;

    una nota congiunta del DOE/NNSA, Department of Energy's National Nuclear Security Administration e dell'Air Force ha rivelato che in data 8 agosto 2017 si è svolto il secondo test di volo delle B61-12 nel Tonopah Test Range, Nevada;

    le bombe B61-12 sono state sganciate da un F-15E proveniente dalla base aerea di Nellis: l'obiettivo era valutare il design, le prestazioni non nucleari del sistema d'arma e le capacità di integrazione con il velivolo; l'Air Force continuerà a testare fino alla fine del 2019 la bomba B-61-12 (la revisione del progetto finale dovrà concludersi nel 2018), prima di avviare la produzione di serie;

    la produzione del primo lotto sarà quasi certamente destinata all'Europa dove sono presenti le versioni più obsolete della bomba B61 e dovrà essere consegnato entro il marzo del 2020. L'intera produzione B61-12 si completerà nel 2025 e coinciderà con il ritiro dal servizio del sistema d'arma all'idrogeno B83 con resa massima di 1,2 megatoni. Le B61-12 LEP (life extension program) resteranno in servizio fino al 2050;

    foto satellitari, pubblicate dalla FAS, mostrano le modifiche già effettuate nelle basi di Aviano e Ghedi-Torre per installarvi le B61-12; le basi italiane di Ghedi ed Aviano dovrebbero ospitare complessivamente dalle 30 alle 50 bombe nucleari B61;

    sono le sei basi della Nato in Europa – Belgio (Kleine Brogel AB), Germania (Buchel AB), Italia (Aviano e Ghedi AB), Paesi Bassi (Volkel AB), e Turchia (Incirlik AB) – che ospitano le circa 180 bombe nucleari americane B61 Mod-3,-4,-7,-10;

    l'Italia, che fa parte del gruppo di pianificazione nucleare della North Atlantic Treaty Organhation (NATO), mette a disposizione non solo il suo territorio per l'installazione di armi nucleari, ma anche piloti italiani che, dimostra la FAS, sono addestrati all'attacco nucleare sotto comando USA con i cacciabombardieri Tornado schierati a Ghedi;

    anche i previsti caccia F-35A destinati all'aeronautica italiana saranno integrati, come annunciato dall’U.S. Air Force, con la B61-12;

    in tal modo si violerebbe il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, firmato nel 1969 e ratificato nel 1975, il quale all'articolo 2 stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, s'impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente»;

    tali nuovi armamenti, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, abbasseranno ulteriormente la soglia nucleare, rendendo più probabile un attacco atomico;

    con la presenza simultanea sul territorio di B61-12, F-35 e della stazione Mobile User Objective System (MUOS), sistema di telecomunicazione satellitari della Marina militare degli Stati Uniti d'America, l'Italia, in un preoccupante quadro di corsa al riarmo atomico e di crescente tensione, come dimostrano le cronache dei nostri giorni, diventa un bersaglio prioritario di un'eventuale rappresaglia nucleare;

    in aggiunta, come recente riportato dalla stampa internazionale, il Pentagono ha deciso di non rivelare più i report delle ispezioni di sicurezza sui suoi armamenti atomici. Ad oggi i report costituivano una delle pochissime fonti di dati sullo stato degli arsenali nucleari e hanno permesso di avere un minimo di controllo sulla gestione dei depositi, anche per capire se venivano rispettate misure di sicurezza rigorose e adeguate;

    il 23 dicembre 2016 l'Assemblea generale dell'Onu ha approvato una risoluzione che ha disposto l'avvio di negoziati per definire un accordo internazionale, al fine della proibizione delle armi nucleari fino alla totale eliminazione. I negoziati per la redazione del testo hanno avuto inizio con una conferenza a New York dal 27 al 31 marzo 2017;

    in seguito a questa prima fase di discussione, il 22 maggio è stato pubblicato un progetto di convenzione per la proibizione delle armi nucleari. La bozza è stata oggetto di discussione nella seconda fase negoziale, che si è aperta il 15 giugno e si è conclusa il 7 luglio, quando l'Assemblea generale dell'ONU ha approvato il Trattato per il bando definitivo delle armi nucleari. A votare a favore sono stati 122 Paesi;

    l'Italia era assente. Pertanto, il passaggio successivo per l'Italia è quello di sottoscrivere dapprima il Trattato e poi ratificarlo;

    nonostante vi sia un numero rilevante di documenti internazionali in cui si sono da sempre sottolineati gli effetti devastanti di queste armi e si è cercato di limitarne la diffusione, per le armi nucleari non esiste un divieto generale e completo. Pertanto, un bando alle armi nucleari, legalmente vincolante, costituirebbe una significativa novità nel quadro del diritto internazionale in materia;

    nel documento, il divieto delle armi nucleari è espresso in termini inequivocabili. La convenzione impone anche il divieto, per gli Stati parte, di autorizzare la presenza di armamenti nucleari o lo svolgimento di test nel proprio territorio. Quest'ultima previsione è particolarmente rilevante per i membri della Nato, come l'Italia, che ospitano nel proprio territorio armi nucleari statunitensi;

    tuttavia, tale divieto vede la contrarietà dei membri della Nato, compresa quindi anche l'Italia. Come affermato in un recente intervento parlamentare, infatti, secondo l'Esecutivo «la convocazione, nel 2017, di una Conferenza delle Nazioni Unite per negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, costituisce un elemento fortemente divisivo che rischia di compromettere i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare. Un nostro sostegno avrebbe, in altre parole, rischiato di erodere la credibilità politica del “progressive approach” e del Trattato di Non Proliferazione. In spirito costruttivo, assieme ai Paesi like-minded, abbiamo ritenuto invece preferibile continuare a promuovere o sostenere una serie di iniziative che prevedono un percorso graduale, realistico e concreto in grado di condurre a un processo di disarmo nucleare irreversibile, trasparente e verificabile». Quello che emerge pertanto è la prudenza da parte dell'Italia, al fine di non indebolire il quadro internazionale esistente,

impegna il Governo:

1) a rispettare il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari e quindi, in linea con quanto in esso contenuto, a porre in essere iniziative finalizzate alla progressiva rimozione da parte degli Stati Uniti d'America delle armi nucleari presenti sul territorio italiano, nonché volte a evitare l'installazione dei nuovi ordigni B61-12 e di qualunque altra arma nucleare;

2) a non procedere all'acquisizione delle componenti hardware e software necessarie per equipaggiare la versione dell'F-35A con le armi nucleari B-61-12;

3) ad adottare, attraverso una nuova strategia diplomatica, iniziative opportune al fine di consentire, nel rispetto degli impegni internazionali già assunti, la sottoscrizione del trattato giuridicamente vincolante sul divieto delle armi nucleari, approvato a New York il 7 luglio 2017 dalla Assemblea generale dell'ONU appositamente convocata, promuovendo le conseguenti procedure di ratifica dello stesso.
(1-01700) «Duranti, Laforgia, Fossati, Carlo Galli, Fava, Speranza, Cimbro, Piras, Ferrara, Rostan, Franco Bordo, Zaccagnini, Fontanelli».


   La Camera,

   premesso che:

    la legge n. 833 del 23 dicembre 1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, ha dato all'Italia la patente di uno dei migliori sistemi di salute pubblica al mondo e nonostante le successive riforme, ivi inclusa la riforma del titolo V della Costituzione, ne abbiano mutato sostanzialmente la struttura, ha consentito al nostro Paese di mantenere saldo il principio dell'universalità, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, ed in tal senso anche l'Organizzazione mondiale della sanità ha considerato che il servizio sanitario nazionale (SSN) del nostro paese è uno dei migliori al mondo, per la correlazione esistente tra lo stato di salute della popolazione e il soddisfacimento dei bisogni assistenziali;

    il nostro sistema sanitario pubblico deve essere tutelato da corrotti e corruttori e deve essere salvaguardato dall'infiltrazione della corruzione e della malavita, non solo per difendere il servizio pubblico ma anche e soprattutto per tutelare il diritto fondamentale alla salute, sancito dall'articolo 32 della carta costituzionale;

    il paradigma che oggi lega la tutela della salute alla sostenibilità economica del nostro sistema sanitario non può prescindere da un efficace lotta alla corruzione, agli sprechi, alle inefficienze e richiede di eliminare tutte quelle storture legislative e gestionali che alimentano tale spreco di risorse, senza in realtà rispondere ai bisogni di salute dei cittadini;

    diffusamente si è detto che lo stato di salute di una popolazione è la cartina al tornasole del livello di civiltà di un paese ed uno Stato che non combatte o non previene la corruzione misura il proprio livello di inciviltà che nell'ambito della salute, come inevitabile conseguenza, determina proprio il peggioramento della condizione di salute della popolazione;

    il contesto politico e socio-economico e le correlate scelte politiche ed economiche hanno una influenza decisiva sulla domanda di salute ed è compito dello Stato compiere scelte coraggiose che incidano in maniera efficace sul contesto e sulle sue storture e la corruzione è la principale stortura del sistema salute o, se vogliamo, dell'intero sistema politico e socio economico italiano;

    l'Ocse nel 2017 ha pubblicato il report «Tackling Wasteful Speding on Health», che affronta il tema della corruzione in sanità facendo una panoramica sui Paesi Ocse, tra cui l'Italia, ed apre tale report affermando: «Una parte significativa della spesa sanitaria è — nella migliore delle ipotesi — spreco, o peggio danneggia la nostra salute»;

    riprendendo proprio tale affermazione dell'Ocse, nel mese di aprile 2017, è stato pubblicato anche il «Report Curiamo la corruzione — percezione rischi e sprechi in sanità», un importante lavoro d'indagine coordinato da Transparency International Italia e in collaborazione con il Censis, Ispe sanità e Rissc (Centro ricerche e studi su sicurezza e criminalità);

    più precisamente il report di Transparency International Italia è il risultato di tre percorsi d'indagine: la percezione dei rischi e delle strategie effettuata dal Censis tra il 2016 e il 2017, la valutazione dei rischi e l'analisi delle contromisure contenute nei piani triennali di prevenzione della corruzione 2016-2018 (PTPC) delle strutture sanitarie, condotta da RiSSC e l'analisi di sprechi e inefficienze che emergono dalla valutazione dei conti economici 2013 delle ASL e delle aziende ospedaliere, tenuto conto delle diverse realtà regionali, elaborata da Ispe sanità;

    le tre indagini condotte e illustrate nel citato report di Transparency hanno fornito dati e a risultati allarmanti:

     in riferimento alla percezione della corruzione in sanità si è rilevato che «nel 25,7 per cento delle aziende sanitarie si sono verificati episodi di corruzione nell'ultimo anno; il 42,6 per cento delle aziende sanitarie ha un indice alto (14,7 per cento) o medio-alto (27,9 per cento) di percezione del rischio; secondo il 63,2 per cento dei responsabili per la prevenzione della corruzione intervistati, la corruzione in sanità rimane stabile; il 64,7 per cento dei responsabili per la prevenzione della corruzione intervistati ritiene che il rischio nella propria azienda sia moderato, solo il 5,9 per cento lo giudica elevato; i settori ritenuti maggiormente a rischio dagli intervistati sono quello degli acquisti e delle forniture, le liste d'attesa e le assunzioni del personale»;

     in riferimento ai rischi di corruzione in sanità si è rilevato che «il 51,7 per cento delle aziende sanitarie non si è adeguatamente dotata di strumenti anticorruzione, come previsto dalla legge 190/2012; i rischi di corruzione più frequenti sono: 1) violazione delle liste d'attesa (45 per cento); 2) segnalazione dei decessi alle imprese funebri private (44 per cento); 3) favoritismi ai pazienti provenienti dalla libera professione (41 per cento); 4) prescrizione di farmaci a seguito di sponsorizzazioni (38 per cento); 5) falsificazione delle condizioni del paziente per aggirare il sistema delle liste d'attesa (37 per cento); i rischi di corruzione più elevati sono: 1) sperimentazione clinica condizionata dagli sponsor (12,9/25); 2) prescrizione di farmaci a seguito di sponsorizzazioni (12,3/25); 3) violazione dei regolamenti di polizia mortuaria (11,7/25); 4) favoritismi ai pazienti provenienti dalla libera professione (11,4/25); 5) segnalazione dei decessi alle imprese funebri private (11,2/25)»;

     in riferimento all'analisi economica degli sprechi in sanità si è rilevato che «la stima della corruzione sommata agli sprechi, misurata con un nuovo indicatore di inefficienza, oscilla intorno al 6 per cento delle spese correnti annue del SSN (dati 2013); l'ammontare delle potenziali inefficienze nell'acquisto di beni e servizi sanitari nel SSN è stimato in circa 13 mld di euro»;

    i dati impietosi sulla corruzione in sanità, innanzi citati, rilevano dunque che gli episodi di corruzione più frequenti riguardano, tra gli altri, proprio l'attività libero professionale intramuraria, le nomine apicali, la prescrizione di farmaci a seguito di sponsorizzazioni e la sperimentazione clinica correlata agli sponsor;

    dall'indagine illustrata nel Report Curiamo la Corruzione 2017 emerge che il valore medio di rischio più alto, nel ventaglio di rischi analizzati, riguarda proprio l'area delle sponsorizzazioni: in particolare la «sperimentazione condizionata» (12,89) e gli «indebiti comportamenti prescrittivi a seguito di sponsorizzazione» (12,28); il rischio di corruzione della sperimentazione condizionata il fenomeno per cui il ricercatore è disposto ad alterare il percorso della sperimentazione in una o più delle sue fasi, ottenendo risultati graditi al donor, al fine di garantire nuovi finanziamenti o vantaggi di altra natura — raggiunge il 18 per cento; tale rischio comprende le condotte in cui il medico manipola la sperimentazione clinica al fine di ottenere particolari vantaggi. La falsificazione della sperimentazione può interessare: la selezione del campione (compreso l'inserimento di pazienti nelle sperimentazioni senza consenso informato), l'esecuzione della sperimentazione, la raccolta o l'analisi dei risultati. Il rischio comprende anche la predisposizione della ricerca clinica a fini commerciali e nell'interesse dei soli sperimentatori, da cui possano conseguire l'alterazione degli esiti e la manipolazione dei fondi;

    con delibera n. 831 del 3 agosto 2016 l'Anac ha adottato il piano nazionale anticorruzione 2016 che, come noto, contiene uno specifico focus sulla sanità, con l'indicazione di specifiche misure «quali possibili soluzioni organizzative per preservare il Servizio Sanitario Nazionale dal rischio di eventi corruttivi (con specifico riferimento al contesto strutturale, sociale ed economico in cui si collocano ed operano le istituzioni medesime) e per innalzare il livello globale di integrità, di competenza e di produttività del sistema sanitario nazionale»;

    gli acquisti nel settore sanitario, come evidenzia l'Anac e come noto a tutti, sono a forte rischio di corruzione sia per varietà e complessità dei beni e servizi e sia per varietà e specificità degli attori coinvolti (clinici, direzione sanitaria, provveditori, ingegneri clinici, epidemiologi, informatici, farmacisti, personale infermieristico e altro) e che si trovano non di rado in una condizione potenziale di conflitto d'interesse poiché sono al tempo stesso coloro che esprimono un fabbisogno e che usufruiscono di un determinato bene o servizio, potendo quindi in tal maniera influenzare ed orientare la domanda (si pensi al caso dei clinici che propongono l'acquisto di protesi);

    nel settore degli acquisti l'auspicata centralizzazione stenta a partire come dovrebbe e di fatto non esclude che gli enti del servizio sanitario nazionale possano procedere, anche attraverso frazionamenti artificiosi, a gare proprie e «personalizzate» e di fatto non c'è alcun tipo di controllo che rilevi, ad esempio, il numero degli affidamenti diretti sul totale degli acquisti, spesso giustificati dall'infunguibilità o esclusività del bene, né viene effettuata una verifica a tappeto del numero di proroghe e rinnovi sul totale degli affidamenti o del ricorso a procedure in deroga, dettate da situazioni di urgenza;

    appare necessario rendere uniforme e tracciabile l'intero processo che va dalla definizione del fabbisogno e dalla programmazione dei beni da acquistare e/o dei servizi da appaltare fino alla logistica e alle giacenze di magazzino; è necessario rendere tracciabile e pubblica l'intera filiera di un bene o servizio, dalla fase dello stoccaggio a quella della somministrazione o consumo;

    è necessario implementare sistemi uniformi di controllo esterno ed informatizzati che consentano di rilevare, sulla base di indici di rilevazione automatizzati, l'esistenza di anomalie negli acquisti tali da rappresentare un allarme di spreco, inefficienza o corruzione; il sistema dovrebbe essere integrato con un programma operativo contabile e patrimoniale, unico per tutte le strutture sanitarie del territorio nazionale, che consenta ai cittadini, attraverso un'interfaccia accessibile a chiunque, di indagare, in tempo reale, l'intera filiera di un centro di costo e di un capitolo di bilancio, attraverso un sistema di ricerca semplificato e diversificato (ad esempio per singolo fornitore, per Centro unico di prenotazione, per Conto identificativo di gara, per singolo bene, per voce di bilancio e altro); in tale modo, ad esempio, si potrebbe rilevare per ciascun fornitore tutti i pagamenti o gli incassi effettuati da una azienda sanitaria o da tutte le aziende sanitarie di una certa Regione, con un collegamento attivo ai titoli che hanno consentito quel pagamento (determine a contrarre, gare effettuate, documentazione di gara, e altro) o quell'incasso;

    il sistema operativo dovrebbe altresì consentire d'indagare e ricercare, sempre in tempo reale, anche lo stato patrimoniale, con la possibilità di rilevare i beni d'inventario e le rimanenze di magazzino nonché la movimentazione delle scorte, con associazione informatizzata ai cicli di terapia applicati a pazienti i cui dati sanitari siano stati opportunamente decodificati, così da garantire la completa tracciabilità di ogni prodotto sanitario o farmaceutico;

    il sistema operativo integrato dovrebbe consentire d'indagare, sempre in tempo reale, tutte le fasi dell'esecuzione del contratto, opportunamente aggiornate dal responsabile o direttore dell'esecuzione del contratto, inclusi i contratti di convenzionamento o accreditamento con le strutture sanitarie private, con evidenza dei verbali ispettivi e delle verifiche condotte con periodicità prestabilita;

    il sistema operativo contabile, pubblico e accessibile a chiunque, dovrebbe consentire l'accesso alla prescritta contabilità separata dell'attività di intramoenia, con la possibilità d'indagare tutti i costi imputabili all'attività intramoenia, ivi incluse le attrezzature o gli spazi interni o esterni utilizzati per lo svolgimento del servizio nonché la relativa autorizzazione e il volume di attività per ciascun professionista;

    il sistema operativo contabile, integrato con il sistema degli acquisti e dei contratti, dovrebbe prevedere un meccanismo tale che il mancato aggiornamento dello stesso non consenta alcuna operazione successiva o cumulativa e comporti una penalizzazione economica nonché una responsabilità disciplinare in capo ai soggetti responsabili del mancato aggiornamento;

    il sistema degli acquisti e tutti i relativi rischi corruttivi sono attigui ai non meno diffusi rischi corruttivi connessi alle attività di ricerca, di sperimentazione clinica e alle correlate sponsorizzazioni, la cui individuazione appare più difficile laddove un eventuale abuso si colloca spesso al limine con l'autonomia professionale dei professionisti della sanità (si pensi ad esempio alla prescrizione dei farmaci). Tale abuso spesso è correlato alle diverse forme di sponsorizzazione, diretta o indiretta, che le industrie dei presidi sanitari elargiscono a vantaggio dei professionisti o degli enti della sanità; al riguardo, particolarmente esposto a rischio di corruzione, è il settore della formazione dei professionisti della sanità soprattutto a quando con l'introduzione del sistema obbligatorio di formazione continua, l'educazione continua in medicina (ECM), si è costruito un complesso sistema in cui i diversi attori della formazione sanitaria sono considerati soggetti appetibili, da parte delle industrie farmaceutiche e dei dispositivi sanitari, al fine di incrementare la produzione e l'acquisto;

    sulle sponsorizzazioni in sanità appare necessario intervenire urgentemente prevedendo che: 1) ogni forma di sponsorizzazione debba essere acquisita nel rispetto dei principi del codice dei contratti pubblici, ovvero nel rispetto della trasparenza, evidenza pubblica, concorrenzialità, rotazione, imparzialità e altro; 2) siano costituiti dei fondi indistinti destinati alla formazione dei professionisti della salute e all'attività di ricerca e il cui utilizzo non sia finalizzato ad una specifica attività formativa o di ricerca, né sia destinato a professionisti specifici, prevedendo che l'utilizzo delle risorse, da parte delle strutture sanitarie pubbliche o private o delle associazioni private, avvenga nel rispetto della rotazione, trasparenza ed imparzialità; 3) si introduca un divieto assoluto per i professionisti della sanità di percepire qualsiasi tipo di vantaggio, diretto o indiretto, da parte delle industrie operanti nella sanità; 4) vi sia un obbligo per tutti i professionisti della salute di rendere pubblica una dichiarazione ove siano evincibili tutte le relazioni d'interesse o finanziarie, anche pregresse, con le industrie operanti nella sanità; 5) si introduca un divieto assoluto di meccanismi premiali correlati alla vendita di prodotti farmaceutici o presidi sanitari, sia per gli informatori scientifici sia gli agenti o i rappresentanti di prodotti destinati alla sanità;

    tra i diversi interventi atti a prevenire la corruzione in sanità il piano nazionale anticorruzione 2016 segnala la necessità di adottare, oltre che misure per la gestione dei conflitti di interessi nei processi di procurement in sanità e per il rafforzamento della trasparenza nel settore degli acquisti nonché un intervento incisivo nelle nomine e negli incarichi dirigenziali in sanità e anche misure specifiche sulle sperimentazioni cliniche;

    in particolare l'Anac evidenzia che «i proventi derivanti alle aziende sanitarie a seguito di sperimentazioni cliniche, specie nel caso di studi clinici randomizzati interventistici con farmaci che devono essere introdotti sul mercato, possono assumere una consistenza molto rilevante (di decine di milioni euro per anno in aziende di grandi dimensioni e di elevato richiamo). Per questo motivo e per le cointeressenze che possono esserci tra le ditte farmaceutiche e gli sperimentatori, si tratta di un'attività a rischio corruttivo. L'azione dei comitati etici (di seguito CE), volta ad accertare la scientificità e l'eticità del protocollo di studio, non fornisce specifiche garanzie al riguardo. Pertanto al fine di gestire, in un'ottica di prevenzione della corruzione, la discrezionalità degli sperimentatori di attribuzione (e “auto-attribuzione”) dei proventi, è opportuno che ogni azienda sanitaria integri il regolamento del comitato etico con un disciplinare che indichi le modalità di ripartizione dei proventi, detratti i costi da sostenersi per la conduzione della sperimentazione e l’overhead dovuto all'azienda per l'impegno degli uffici addetti alle pratiche amministrative ed il coordinamento generale»;

    è inoltre opportuno – così suggerisce l'Anac – adottare un sistema di verifica dei conflitti di interesse dei comitati etici tale da identificare, oltre l'eventuale conflitto di interesse al momento della nomina, anche la sua eventuale sussistenza al momento della presentazione e valutazione della sperimentazione clinica. A monte della stipula del contratto per la sperimentazione, è opportuno individuare con esattezza l'effettivo titolare dell'impresa, soprattutto ove il contratto venga stipulato con soggetti aventi sede in Stati esteri e/o a bassa fiscalità, anche al fine di verificare l'esistenza di indicatori di rischio secondo la normativa antiriciclaggio. Va inoltre richiamata l'attenzione sull'opportunità di prevedere, nei regolamenti aziendali, un congruo lasso di tempo tra il finanziamento per la ricerca e la cessazione di un contratto a titolo oneroso con il soggetto che finanzia la ricerca, o sue imprese controllate;

    l'Anac, con atto di segnalazione al Governo e al Parlamento n. 1388 del 14 dicembre 2016, ha segnalato che le disposizioni sulla trasparenza delle nomine dirigenziali, come introdotte o modificate dalla cosiddetta delega Madia nel 2016, in virtù di un probabile «refuso», non si applicano alla dirigenza sanitaria (direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo, nonché per gli incarichi di responsabile di dipartimento e di strutture semplici e complesse) e tali obblighi di pubblicazione riguardano, tra gli altri, i dati e compensi relativi ad altre cariche, incarichi con oneri a carico della finanza pubblica, dati reddituali e altro;

    nel succitato atto l'Anac ha espresso altresì la necessità che gli obblighi di pubblicazione della dirigenza sanitaria, già previsti per la dirigenza pubblica, dovrebbero includere anche le prestazioni professionali svolte in regime intramurario;

    appare quindi inaccettabile che i dirigenti del Servizio sanitario nazionale, a legislazione vigente, godano di una clamorosa e inaccettabile esenzione dalle regole della trasparenza (funzionali a prevenire la corruzione), nonostante si trovino a gestire ingenti e importanti risorse economiche del paese, destinate alla salute dei cittadini e nonostante siano collocati, per contiguità alla politica e ad interessi politico-elettorali, più di ogni altra dirigenza, in un contesto a forte rischio di corruzione;

    la recente riforma del terzo settore, attraverso l'emanazione di uno specifico codice, introduce importanti e rilevanti novità, con implicazioni anche nelle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie laddove si prevede che le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione, a livello territoriale, degli interventi nelle attività di interesse generale, assicurano il coinvolgimento degli enti del terzo settore mediante forme di co-programmazione e co-progettazione; nell'ambito di tale coinvolgimento non sono stati opportunamente richiamati i principi della concorrenzialità, dell'economicità, dell'efficacia, dell'evidenza pubblica e né è stata richiamata la disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016), laddove applicabile, ed in ogni caso il rispetto dei principi in essa riportati; il nuovo codice del terzo settore amplia la possibilità di fare convenzioni a tutte le attività di interesse generale indicate dal codice medesimo (ad esempio, prestazioni sanitarie inserite nei livelli essenziali di assistenza) rispetto alla situazione previgente che invece limitava tale possibilità solo per gli interventi e servizi sociali;

    la convenzione è uno strumento che consente di derogare alla disciplina generale dei contratti della pubblica amministrazione e, quindi, consente di affidare alle associazioni del Terzo settore l'esecuzione di servizi pubblici, senza dover passare per gare di appalto o altre procedure (ristrette od allargate) di affidamento; anche in relazione ai servizi di trasporto sanitario e di emergenza urgenza il nuovo codice del terzo settore, rispetto alla situazione previgente, prevede l'affidamento diretto, derogando alla disciplina generale dei contratti della pubblica amministrazione e al di fuori dell’house providing;

    in riferimento all'accreditamento e/o convenzionamento per l'erogazione di servizi sanitari e sociali si ricorda che – con atto di segnalazione al Governo e al Parlamento n. 958 del 7 settembre 2016 – l'Anac ritiene necessario intervenire legislativamente anche sulla tracciabilità finanziaria dei servizi sanitari e sociali erogati, in regime di convenzione, da strutture private accreditate;

    le disposizioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari, previste dall'articolo 3 della legge 136 del 2010, hanno la finalità specifica di rendere trasparenti le operazioni finanziarie relative all'utilizzo del corrispettivo dei contratti pubblici, in modo da consentire un controllo a posteriori sui flussi finanziari provenienti dalle amministrazioni pubbliche e intercettare eventuali usi degli stessi da parte di imprese malavitose;

    la tracciabilità dei flussi finanziari è stata introdotta nel 2010 al fine di arginare la penetrazione economica delle organizzazioni mafiose negli appalti pubblici; gli obblighi connessi all'istituto della tracciabilità si articolano, essenzialmente, in tre adempimenti principali: utilizzo di conti correnti dedicati; effettuazione dei movimenti finanziari tracciabili; indicazione, negli strumenti di pagamento relativi a ogni transazione, del codice identificativo di gara (CIG);

    in riferimento ai suddetti obblighi l'Anac esprime quindi l'esigenza di un rafforzamento delle misure di controllo della spesa con finalità di ordine pubblico, anche nel delicato settore dei servizi sanitari e socio-sanitari gestiti dai privati accreditati, «in modo da anticipare, il più a monte possibile, la soglia di prevenzione, creando meccanismi che consentano di intercettare i fenomeni di intrusione criminale nei flussi finanziari provenienti dagli enti pubblici»;

    sia il Report Curiamo la corruzione e sia il Piano nazionale anticorruzione dell'Anac ulteriormente ribadiscono come gli eventi corruttivi si concentrino anche nella libera professione intramuraria e nella gestione delle liste di attesa, questioni già affrontate con la mozione 1/01563 del M5S, approvata alla Camera il 12 aprile 2017, con la quale il Governo si è impegnato ad intervenire per dare attuazione alla determina Anac 28 ottobre 2015, n. 12 e ad assumere iniziative affinché il mancato rispetto delle indicazioni previste per l'attività libero professionale intramuraria determini reali conseguenze penalizzanti per le strutture sanitarie e per i soggetti responsabili delle strutture sanitarie, ivi inclusa la sospensione dell'attività libero-professionale, laddove non sia stata attivata la prescritta infrastruttura di rete, così da controllare che i volumi delle prestazioni libero professionali non abbiano superato quelli eseguiti nell'orario di lavoro e rendere tracciabili tutti i pagamenti connessi all'attività libero professionale, garantendo l'effettiva pubblicità dei criteri di formazione e dei tempi previsti delle liste di attesa;

    la sostenibilità economica del servizio sanitario nazionale non può e non deve significare una compressione del diritto alla salute e non può passare attraverso la riduzione di risorse economiche e umane, né può essere l’escamotage di una privatizzazione di fatto, ma deve essere garantita attraverso un coordinato smantellamento di tutte le diseconomie, gli sprechi e le sacche di opacità e corruzione che non possono essere risolte solo con accordi, protocolli o dichiarazioni d'intenti ma richiedono piuttosto un sistema coordinato di misure e interventi che rappresentino una strategia univoca nella lotta alla corruzione in sanità;

    il rapporto della rete europea contro le frodi e la corruzione in sanità stimava in sei miliardi di euro la quantità di risorse sottratte alla sanità italiana, cifra peraltro non ritenuta esaustiva dal «Libro bianco» dell'Ispe (Istituto per la promozione dell'etica), secondo il quale tali cifre non tengono conto dell'indotto (inefficienza e sprechi) correlato agli eventi corruttivi accertati dalla magistratura, indotto che porta a stimare il costo della corruzione in sanità addirittura in 23,6 miliardi di euro l'anno;

    i dati sulla corruzione in sanità rivelano peraltro la forte sperequazione regionale esistente nel nostro Paese anche in termini di garanzia, qualità, efficacia ed efficienza ed infatti i dati diffusi dal rapporto succitato ripartiscono così i fenomeni corruttivi: 41 per cento al Sud, 30 per cento al Centro, il 23 per cento al Nord e il 6 per cento è costituito da diversi reati compiuti in più luoghi;

    è necessario intervenire sul conflitto d'interesse, prevedendo rigide regole etiche e di comportamento sull'informazione scientifica nonché severe misure disciplinari per chiunque nell'ambito della sanità interferisca illegittimamente nel mercato della farmaceutica e delle prestazioni sanitarie, influenzando sia la domanda che l'offerta o costituendo accordi occulti per vantaggi privati;

    un'efficace lotta alla corruzione deve coinvolgere tutti i cittadini e tutti i funzionari pubblici sollecitando, attraverso tutele ed incentivi specifici, uno spirito di servizio che porti a segnalare ogni forma di illecito e ogni evento corruttivo, tutele specifiche che garantiscano il denunciante attraverso un anonimato inviolabile e incentivi che prevedano forme di premialità su quanto ritorna all'amministrazione in termini di risarcimento per danno erariale e come conseguenza della denuncia o segnalazione fatta; è opportuno escludere qualsiasi possibilità di licenziamento del dipendente che denuncia la struttura sanitaria per illeciti e/o irregolarità riscontrate;

    in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione è opportuno prevedere la revoca o il divieto di rinnovo dell'incarico dirigenziale, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose, per i direttori generali, i direttori amministrativi e i direttori sanitari, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, per i direttori dei servizi socio-sanitari e per tutte le figure dirigenziali delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale;

    è necessario intervenire efficacemente nel settore dei prodotti farmaceutici, dei dispositivi, delle tecnologie nonché nell'attività di ricerca, di sperimentazione clinica e di formazione e sulle correlate sponsorizzazioni, come ambiti particolarmente esposti al rischio di fenomeni corruttivi e di conflitto d'interessi ed in tal senso appare indispensabile rompere il legame esistente tra aziende produttrici di prodotti e servizi della salute e i professionisti che vi operano, vietando ogni legame promozionale diretto da parte di aziende/informatori presso gli operatori pubblici della sanità;

    appare indispensabile introdurre l'obbligo di dichiarazione pubblica affinché siano rese conoscibili tutte le relazioni e/o interessi che possono coinvolgere i professionisti dell'area sanitaria e amministrativa nell'espletamento di attività sia decisionali che esecutive e che siano in relazione a prodotti farmaceutici o parafarmaceutici o comunque a prodotti e/o servizi commercializzabili nell'ambito della salute (ivi inclusi ad esempio i prodotti assicurativi, prodotti e/o attività formative);

    il 27 giugno 2017 il procuratore generale della Corte dei conti, nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato per l'anno 2016, nella sua requisitoria orale ha avuto modo di evidenziare che:

     «il sistema dei controlli» si struttura in una nutrita serie di «sottosistemi», a connessione estremamente debole tra di loro, tanto da correre il rischio di essere un «non sistema», al cui costo complessivo non indifferente, anche nell'ottica della revisione della spesa, non corrisponde una proporzionale utilità. Difatti, proprio per la sua complessità e le sue incongruenze, tale sistema nel complesso non solo risulta scarsamente comprensibile anche agli addetti ai lavori, ma soprattutto è scarsamente efficace per assicurare legalità ed efficienza, e per contrastare quei comportamenti illeciti i cui effetti negativi sulle risorse pubbliche sono, spesso, devastanti;

     è necessario un ripensamento globale e senza pregiudizi di tutti i meccanismi di controllo, per semplificare il quadro normativo, eliminando interferenze e parziali sovrapposizioni, ed innescare quindi tra i rinnovati meccanismi nuove e più proficue sinergie, anche con la previsione di strumenti di raccordo, e con una particolare attenzione ad escludere le pur frequenti situazioni di conflitto di interessi, soprattutto a livello locale. In questo modo sarebbe più facile raggiungere un duplice obiettivo: dare una spinta all'efficienza della spesa, con positivi effetti anche sul mercato, e contribuire ad aumentare concretamente il livello del contrasto a fenomeni di illecito e di corruzione;

     meccanismi di spesa efficienti, trasparenti e tempestivi, oggetto di un monitoraggio continuo svolto anche con finalità diverse, impediscono la creazione di quelle «zone grigie» in cui più facilmente si possono insinuare e trovare terreno fertile conflitti di interesse e illeciti di rilievo anche penale;

     i rilevanti effetti distorsivi che le irregolarità e gli illeciti penali, proprio nei settori in cui più alto è il livello della spesa, come quelli della sanità, della realizzazione di opere pubbliche e della prestazione di servizi richiedono un approccio più sostanziale che, superando talune impostazioni dottrinarie astrattamente fondate, ma assolutamente inadeguate in concreto, affronti il fenomeno della corruzione in una logica sistematica che tenga in adeguata considerazione la diffusività del fenomeno e l'insufficienza delle misure finora apprestate dall'ordinamento,

impegna il Governo:

1) ad affrontare in maniera sistemica e globale il problema della corruzione in sanità attraverso misure coordinate che siano risolutive delle problematiche esposte in premessa;

2) ad intervenire efficacemente nel settore dei prodotti farmaceutici, dei dispositivi, delle tecnologie nonché dell'attività di ricerca, di sperimentazione clinica e di formazione e delle correlate sponsorizzazioni, assumendo iniziative per rescindere ogni legame esistente tra aziende produttrici di prodotti e servizi della salute e i professionisti che vi operano, anche introducendo divieti volti a rimuovere ogni legame promozionale diretto o indiretto, sia all'interno delle strutture sanitarie pubbliche o private accreditate o nei locali ove si erogano prestazioni sanitarie convenzionate, sia durante gli eventi formativi, tra le aziende/informatori e gli operatori/professionisti della sanità, e prevedendo specifiche sanzioni o la risoluzione di ogni convenzionamento/accreditamento per i soggetti coinvolti o responsabili di ogni indebito condizionamento;

3) ad assumere iniziative per introdurre l'obbligo di dichiarazione pubblica, che preveda conseguenze in caso di falso, affinché siano rese conoscibili tutte le relazioni e/o interessi che possono coinvolgere i professionisti dell'area sanitaria e amministrativa nell'espletamento di attività sia decisionali che esecutive e che siano in relazione a prodotti farmaceutici o parafarmaceutici o comunque a prodotti e/o servizi commercializzabili nell'ambito della salute (ivi inclusi, ad esempio, i prodotti assicurativi, prodotti e/o attività formative);

4) ad attivare un efficace monitoraggio nel settore degli acquisti in ambito sanitario al fine di rilevare l'attuazione delle procedure centralizzate d'acquisto, il numero degli affidamenti diretti sul totale degli acquisti, il numero di proroghe e rinnovi sul totale degli affidamenti e il numero delle procedure in deroga, dettate da situazioni di urgenza, anche attraverso iniziative volte all'introduzione di misure volte a rendere uniforme, pubblico e tracciabile l'intero processo dell’e-procurement, dalla definizione del fabbisogno e dalla programmazione dei beni da acquistare e/o dei servizi da appaltare fino alla logistica e alle giacenze di magazzino, al fine di rendere tracciabile e pubblica l'intera filiera di un bene o servizio, dalla fase dello stoccaggio a quella della somministrazione o consumo;

5) ad assumere le iniziative di competenza affinché, in modo uniforme sul territorio nazionale, sia adottato un sistema di controllo esterno ed informatizzato, come descritto in premessa, che consenta ai cittadini di rilevare, in tempo reale e attraverso un'interfaccia accessibile a chiunque, l'esistenza di anomalie negli acquisti, l'intera filiera di un centro di costo e di un capitolo di bilancio, i titoli che hanno consentito qualsiasi pagamento o incasso, lo stato patrimoniale, i beni d'inventario e le rimanenze di magazzino, nonché la movimentazione delle scorte, la completa tracciabilità di ogni prodotto sanitario o farmaceutico, le fasi dell'esecuzione dei contratti, inclusi i contratti di convenzionamento o accreditamento con le strutture sanitarie private, la contabilità separata dell'attività di intramoenia, anche prevedendo che il mancato aggiornamento del sistema operativo integrato non consenta alcuna operazione successiva o cumulativa e comporti una penalizzazione economica, nonché una responsabilità disciplinare in capo ai soggetti responsabili;

6) ad intervenire efficacemente sulle sponsorizzazioni in sanità, così come descritto in premessa, assumendo iniziative per garantire il rispetto dei principi di trasparenza, evidenza pubblica, concorrenzialità, rotazione, imparzialità, contemplando anche la costituzione di fondi indistinti destinati alla formazione dei professionisti della salute e all'attività di ricerca e il divieto assoluto per i professionisti della sanità di percepire qualsiasi tipo di vantaggio, diretto o indiretto, da parte delle industrie operanti nella sanità nonché un divieto di meccanismi premiali correlati alla vendita di prodotti farmaceutici o presidi sanitari;

7) ad assumere iniziative per introdurre tutele ed incentivi per i cittadini utenti e per i funzionari pubblici del servizio sanitario nazionale che segnalino ogni forma di illecito e ogni evento corruttivo, contemplando un anonimato inviolabile e forme di premialità su quanto ritorna all'amministrazione in termini di risarcimento per danno erariale e come conseguenza della denuncia o segnalazione fatta, escludendo altresì qualsiasi possibilità di licenziamento del dipendente che denuncia la struttura sanitaria per illeciti e/o irregolarità riscontrate;

8) a valutare l'opportunità di adottare iniziative per prevedere la revoca dell'incarico dirigenziale in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose, per i direttori generali, i direttori amministrativi e di direttori sanitari, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, per i direttori dei servizi socio-sanitari e per tutte le figure dirigenziali delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale;

9) ad intervenire in maniera organica sulle sperimentazioni cliniche dei farmaci, così come descritto in premessa, adottando iniziative per assicurare in particolare che le persone incaricate e coinvolte a qualsiasi titolo nella sperimentazione clinica non abbiano conflitti di interesse, siano esenti da qualsiasi indebito condizionamento e che non abbiano interessi finanziari o personali, diretti o indiretti, potenzialmente in grado di inficiarne l'imparzialità della ricerca, garantendo a tal fine che dette persone compilino e rendano pubblici, ogni anno, una dichiarazione sui loro interessi finanziari e il curriculum vitae, dal quale sia desumibile ogni carica o incarico, anche gratuito, presso enti o aziende, pubblici e privati;

10) ad intervenire, sempre nell'ambito della sperimentazione clinica, affinché i ricercatori abbiano un ruolo primario sia nel disegno sia nella conduzione degli studi clinici, con integrale autonomia nell'analisi, nella pubblicazione e nella diffusione dei dati, senza alcuna influenza o condizionamento da parte del soggetto finanziatore della ricerca o da vincoli di proprietà di soggetti terzi che possano deciderne la diffusione o meno in funzione dei propri interessi commerciali, anche assumendo iniziative per assicurare che le riviste scientifiche si impegnino a promuovere il rispetto delle regole di trasparenza, anche dando evidenza di eventuali conflitti d'interesse dei membri dei comitati o responsabili editoriali;

11) ad assumere iniziative per introdurre misure che, in conformità al regolamento (UE) n. 536/2014, assicurino che i dati inclusi in un rapporto su uno studio clinico, le principali caratteristiche della sperimentazione e i relativi risultati non siano considerati informazioni commerciali di carattere riservato se l'autorizzazione all'immissione in commercio è già stata concessa, ivi incluse le ragioni dell'interruzione temporanea e della conclusione anticipata, nonché i dati relativi agli eventi e reazioni avverse;

12) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché in ogni azienda sanitaria il regolamento del comitato etico cui è demandata la valutazione di una sperimentazione clinica indichi in maniera trasparente le modalità di ripartizione dei proventi, assicurando che il contratto per la sperimentazione sia effettuato previa individuazione dell'effettivo titolare dell'impresa, anche al fine di verificare l'esistenza di indicatori di rischio secondo la normativa antiriciclaggio e valutando anche l'opportunità di definire, per la costituzione dei comitati etici, un elenco nazionale, di soggetti qualificati e con adeguata esperienza, selezionati con procedure ad evidenza pubblica, sulla base di criteri e requisiti predefiniti;

13) a dare riscontro all'atto di segnalazione dell'Anac n. 1388 del 14 dicembre 2016, anche attraverso iniziative normative d'interpretazione autentica ovvero integrative e correttive, affinché le disposizioni sulla trasparenza di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013, già previste per la dirigenza pubblica, siano da intendersi applicabili anche alla dirigenza sanitaria, includendovi anche le prestazioni professionali svolte in regime intramurario;

14) a dare riscontro all'atto di segnalazione dell'Anac n. 1388 del 14 dicembre 2016, anche attraverso iniziative normative affinché il potere sanzionatorio dell'Anac sia effettivamente applicabile a tutti gli obblighi di pubblicazione previsti nel decreto n. 33 del 2013, individuando nell'Anac il soggetto deputato ad introitare le sanzioni comminate;

15) a dare riscontro all'atto di segnalazione dell'Anac n. 958 del 7 settembre 2016 adottando iniziative affinché le disposizioni sulla tracciabilità dei flussi finanziari, previste dall'articolo 3 della legge n. 136 del 2010, siano applicabili anche ai servizi sanitari e sociali erogati da strutture private accreditate o in regime di convenzionamento, anche ai sensi del codice del terzo settore, anche se non riferibili a contratti di appalto o di concessione;

16) a potenziare le iniziative volte ad assicurare che l'attività libero professionale intramuraria rispetti pienamente le indicazioni di legge, accelerando l'introduzione di un meccanismo sanzionatorio per le strutture sanitarie e per i soggetti responsabili delle strutture medesime, ivi inclusa la sospensione dell'attività libero-professionale, laddove non sia stata attivata la prescritta infrastruttura di rete, secondo i termini e le modalità già previste nella mozione n. 1-01563 approvata alla Camera il 12 aprile 2017.
(1-01701) «Nesci, Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Colonnese, Mantero, Baroni, Colletti, Dall'Osso».


   La Camera,

   premesso che:

    le politiche in tema di immigrazione e asilo hanno rilevanti implicazioni sul contesto sociale e sul governo del territorio e sono strettamente connesse all'interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, la cui tutela è associata alla protezione di altri beni pubblici di rilievo costituzionale;

    dunque, la disciplina in materia di ingresso e permanenza dello straniero nello Stato, a qualsiasi titolo, necessita non solo di una disciplina rigorosa, ma anche di un costante controllo sulla normativa e di un'attenta ponderazione, anche per gli effetti a lungo termine delle politiche adottate;

    secondo gli ultimi dati noti forniti dal Ministero dell'interno, dal 1° gennaio 2017 all'11 settembre 2017, il numero di immigrati che hanno fatto ingresso illegalmente nel territorio italiano, esclusi gli ingressi terrestri, è di 100.304 e, sebbene tale numero risulti inferiore rispetto a quello registrato nello stesso periodo dello scorso anno, le domande di protezione internazionale formalizzate all'8 settembre 2017 invece sono aumentate del 32,41 per cento rispetto a quelle presentate complessivamente nel 2016 alla medesima data;

    dal 2013 al 2016 a fronte di 761.328 immigrati entrati illegalmente in Italia dalla rotta del Mediterraneo sono state presentate 297.646 domande di protezione internazionale, e di quelle esaminate, pari a 222.116, 11.417 hanno ricevuto un diniego da parte della commissione territoriale;

    in particolare, sempre secondo i dati forniti dal Ministero, risulta che il riconoscimento dello status di rifugiato, ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione di Ginevra, è passato dal 13 per cento nel 2013 al 5 per cento nel 2016 e, in generale, il numero delle domande accolte, ossia alle quali è stata riconosciuta una delle tre forme di protezione (status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria) è drasticamente diminuito, passando dal 60,9 per cento nel 2013 al 40 per cento registrato nel 2016, con il 60 per cento di domande di protezione internazionale non accolte; sempre nel 2016 a fronte di 51.170 dinieghi e 3.084 irreperibili i rimpatri effettivi sono stati solo 18.664, di cui 10.218 respingimenti alla frontiera;

    avuto riguardo agli esiti delle decisioni delle commissioni territoriali nell'anno in corso, tali percentuali risultano sostanzialmente confermate, poiché anche a settembre 2017 il 56 per cento delle domande ha avuto un esito negativo, mentre di quelle accolte ben il 25 per cento è rappresentato dal riconoscimento di una forma di protezione non internazionale, ossia quella umanitaria, in aumento rispetto al 19 per cento dello scorso anno;

    nonostante la diminuzione negli anni del numero delle domande accolte, invece, gli immigrati richiedenti protezione internazionale presenti nel sistema di accoglienza sono passati da 22.118 nel 2013 a 177.505 al 18 aprile 2017, unico dato ad oggi disponibile, non essendone stato reso noto dal Ministero uno più aggiornato;

    il numero maggiore di immigrati presenti nel sistema accoglienza è allocato nelle strutture «temporanee», dove, secondo i dati più recenti forniti dal Ministero dell'interno, al 4 luglio 2017 le presenze registrate sono state 157.066, rispetto ai 27.501 dello Sprar, diminuiti ancora a 23.328 al 31 agosto 2017;

    nonostante il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante «Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 46 del 2017, che, nelle intenzioni del Governo, avrebbe dovuto accelerare le procedure di esame delle domande, dal 1° gennaio all'8 settembre 2017 il numero delle decisioni assunte dalle commissioni territoriali invece è diminuito del 15,48 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (da 63.334 a 53.531), comportando perciò un aumento dei tempi di permanenza dei richiedenti asilo nei centri di accoglienza in attesa della comunicazione della convocazione e dell'esito della domanda;

    il costo per l'accoglienza è passato da 1.356 milioni di euro del 2013 (di cui solo 101 quale contributo dall'Unione europea) a 4.227 milioni di euro nel 2016 (di cui 112 dalla Unione europea);

    allo straniero in possesso del permesso di soggiorno provvisorio per richiesta di asilo può essere riconosciuta, come forma di convivenza anagrafica prevista dall'articolo 6, comma 2, del regolamento anagrafico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989, anche la permanenza in un centro di accoglienza, purché sia accertata entro 45 giorni come dimora abituale;

    già secondo la nota del 17 agosto 2016 del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, l'iscrizione all'anagrafe ottenuta con la concessione del permesso di soggiorno sarebbe titolo sufficiente per reclamare anche il rilascio della carta d'identità;

    all'iscrizione anagrafica dello straniero richiedente asilo consegue però anche l'accesso ai servizi sociali erogati dai comuni, in aggiunta, dunque, a quelli già forniti nell'ambito del servizio di accoglienza;

    a seguito dell'incremento delle domande per l'iscrizione anagrafica e alla luce anche del numero degli immigrati presenti nel sistema di accoglienza, le casse dei comuni, già in difficoltà, sono destinate, in breve, al tracollo, soprattutto quelle dei piccoli comuni dove è stato alloggiato dalle prefetture il maggior numero di immigrati nell'ambito dell'accoglienza temporanea;

    appaiono legittime le istanze e le proteste di numerosi sindaci, sui quali di fatto viene scaricato, in ultima analisi, il costo dell'accoglienza, con conseguente danno e riduzione dei servizi erogati alla cittadinanza, anche per i problemi di sicurezza e ordine pubblico legati al rilascio di un documento di identità valido per dieci anni a richiedenti asilo che, nella maggior parte dei casi, saranno destinatari di un provvedimento di diniego da parte delle commissioni territoriali e di cui dovrebbe essere assicurato il più celere rimpatrio nei Paesi di origine,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per modificare la normativa vigente, al fine di evitare il rilascio della carta d'identità ai richiedenti asilo, in attesa dell'esito positivo della procedura per l'esame della richiesta di protezione internazionale;

2) ad assumere le iniziative di competenza affinché gli immigrati accolti nei centri di accoglienza non debbano gravare sul bilancio del comune ove il centro di accoglienza ha sede, in particolare con riguardo ai servizi di welfare offerti dai comuni;

3) ad assumere iniziative per stabilire che gli immigrati accolti nei centri di accoglienza e iscritti all'anagrafe comunale non debbano essere sommati al numero della popolazione storica del comune, al fine di evitare un incremento dell'onere che il comune deve sostenere per i servizi offerti in modo associato in ragione della popolazione residente;

4) ad assumere le iniziative di competenza, in tempi rapidi, affinché non sia consentito il rilascio della carta di identità ai richiedenti protezione internazionale ospitati presso i centri di accoglienza nel corso della procedura per l'accertamento dei requisiti per il riconoscimento della protezione, anche tenendo conto delle competenze riconosciute ai sindaci in materia di tutela dell'ordine pubblico e sicurezza del territorio che amministrano.
(1-01702) «Guidesi, Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzione in Commissione:


   La IV Commissione,

   premesso che:

    con l'operazione «strade sicure» si è dato mandato alle forze armate, con particolare riferimento all'Esercito italiano, di presidiare il territorio nazionale al fine di incrementare il livello di ordine e sicurezza pubblica e aumentarne la percezione nella popolazione;

    l'operazione è iniziata il 4 agosto 2008, in attuazione del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, che ha autorizzato, per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, l'impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate, con la qualifica di agente di pubblica sicurezza, posto a disposizione dei prefetti delle province; ogni anno l'operazione viene rifinanziata con legge di bilancio o per decreto-legge;

    l'operazione ha luogo in 45 province italiane e impiega 7050 unità, permettendo alle Forze armate, insieme alle forze dell'ordine di controllare oltre due milioni di persone di cui poi quasi diecimila denunciate da polizia e Carabinieri che hanno sequestrato anche 661 armi ed oltre 2 tonnellate di stupefacenti;

    lo scacchiere messo in campo per queste attività vede impegnato personale proveniente dalle categorie truppa e graduati a cui viene affidato il compito di pattugliare e sorvegliare gli obiettivi assegnati;

    la legge 29 marzo 2001, n. 86 «Disposizioni in materia di personale delle Forze armate e delle Forze di polizia» all'articolo 3 comma 4, recita: «Il personale può essere impegnato nelle attività di cui al comma 1 fino ad un massimo di centoventi giorni l'anno e per non più di dodici ore giornaliere, salvo il verificarsi di comprovate ed inderogabili esigenze di carattere operativo. Durante lo svolgimento delle predette attività devono essere garantiti al personale il recupero delle energie psicofisiche e comunque la fruizione di adeguati turni di riposo»;

    una recente sentenza della Corte di Cassazione 4509/2012 ha precisato che, durante l'orario di lavoro, può tollerarsi un piccolo break di «pochi minuti», affinché il lavoratore, ed il militare è un lavoratore, possa recuperare le energie psico-fisiche e favorisce un successivo migliore espletamento del servizi;

    le modalità di svolgimento del servizio della operazione «Strade Sicure» avviene con turni di 6 ore continuative, a cui vanno ad aggiungersi gli spostamenti da e per l'obiettivo assegnato, prevista a bordo di mezzi militari su cui l'attenzione e la concentrazione devono restare alti. Un periodo decisamente lungo rispetto ai normali servizi di guardia che si svolgono all'interno delle caserme e che, generalmente, prevedono una durata massima di 2 ore consecutive per non incorrere nel rischio del naturale calo di attenzione che è fisiologico in particolari attività poco dinamiche o ripetitive ma altamente stressanti;

    il personale impiegato, così come sancito dal regolamento diramato dallo Stato Maggiore dell'Esercito, è tenuto all'utilizzo della corretta uniforme di servizio e combattimento, composta da giubba e pantalone mimetico, berretto/basco, maglietta (a collo alto o di cotone se è inverno o estate), oltre agli altri indumenti normalmente utilizzati;

    l'equipaggiamento fornito al personale in servizio è composto generalmente da: giubbetto antiproiettile, pistola, fucile d'assalto, sfollagente, maschera NBC; inoltre, è prevista una dotazione di elmetto, indumento protettivo anti NBC;

    i lunghi turni di servizio, gli spostamenti da e per gli obiettivi assegnati, nonché il consistente equipaggiamento e l'utilizzo dell'uniforme sopradescritte potrebbero inficiare il rendimento del personale impiegato;

    il 24 luglio 2017, il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha autorizzato l'utilizzo della maglietta «polo», per i servizi non dinamici e/o di riserva del personale impegnato con i reparti mobili della polizia di Stato;

    anche nella stagione autunnale ed invernale, i sempre più frequenti eventi atmosferici dannosi che causano disagi per la forte pioggia meritano la giusta considerazione e di conseguenza, vanno assunte le opportune iniziative per permettere al personale militare corrette modalità operative;

    è già previsto che, in alcune situazioni di questo genere, il personale impegnato possa salire a bordo del mezzo di servizio nel numero di uno alla volta, così come l'utilizzo di appositi ripari dalla pioggia tipo «gazebo»;

    sarebbe opportuno estendere tali semplici accorgimenti a tutto il personale impegnato nell'operazione «Strade Sicure» ed in genere ai militari operanti in attività di supporto della popolazione civile, questo tutelerebbe tale personale nel mantenere una attiva ed efficace sorveglianza dell'obiettivo assegnato,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità, degli Stati Maggiori coinvolti, di rivedere le modalità di impiego del personale impegnato nell'operazione «Strade Sicure» o in future operazioni sul territorio nazionale, in deroga al regolamento di disciplina sull'uso delle uniformi al fine di dotare di adeguato vestiario il personale in servizio, e in modo tale da renderne più agevole e reattivo l'impiego anche in funzione dei cambiamenti climatici stagionali, nonché di rivedere la modalità di turnazione e di fruibilità di pause utili al recupero delle energie psico-fisiche, così come di rivedere la dotazione di equipaggiamento da indossare al fine di alleggerirne il carico;

   a rendere disponibili adeguate strutture di protezione dalle condizioni climatiche estreme per il personale militare impegnato in operazioni condotte sul territorio nazionale quali «Strade Sicure» o «Sabina», al fine di tutelarne, per quanto possibile, la salute e favorirne il rendimento durante il servizio così come previsto dalle normative in materia di tutela del personale nei luoghi di lavoro.
(7-01343) «Rizzo, Basilio, Corda, Frusone, Tofalo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   le politiche di austerità, poste in essere per far fronte alla crisi economica, hanno determinato in questi anni tagli ingenti e controriforme continue che hanno finito per soffocare il settore della cultura, motore di sviluppo di ogni Paese, e il campo dell'università, della ricerca e dell'innovazione;

   l'ultimo report dell'Ocse, «Uno sguardo sull'istruzione 2017», ha evidenziato come il nostro Paese registra appena il 18 per cento di laureati, contro il 37 per cento della media nella zona Ocse. Peggio di noi solo il Messico. Nel 2016 solamente il 64 per cento dei laureati compresi tra i 25 e i 34 anni ha trovato un lavoro;

   le iscrizioni all'università sono calate in questi ultimi anni, e secondo il rapporto Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) sullo stato del sistema universitario del 2016, circa il 42 per cento degli studenti abbandona, il 12 per cento in più della media dell'Unione europea;

   queste criticità, inevitabilmente, si acuiscono fortemente nelle regioni del Mezzogiorno;

   questo modo sistematico di disincentivare la formazione dei giovani unita ad una rivendicazione salariale ha spinto il Movimento per la dignità della docenza universitaria a proclamare uno sciopero nel periodo compreso tra il 28 agosto e il 31 ottobre 2017. La richiesta dei professori universitari non è quindi una mera rivendicazione corporativa, ma anche quella di invertire la rotta devastante sulla formazione. Una richiesta che viene da lontano, e deriva anche da anni di contatti e vertenze con il Ministero dell'istruzione per avere riconosciuti gli scatti stipendiali fermi dal 2011: trattative che non hanno portato ad alcun esito, a fronte del fatto che, a partire dal 2015, alle altre categorie del comparto pubblico è stato accordato il riconoscimento a fini giuridici degli anni di blocco;

   sono 5.444 i professori universitari e i ricercatori di 79 università e enti di ricerca italiani, che durante la sessione autunnale dell'anno accademico 2016-2017 hanno deciso di aderire all'astensione dallo svolgimento degli esami di profitto delle università italiane. Il motivo dello sciopero sta, come suesposto, nella volontà di ottenere che le classi e gli scatti stipendiali dei professori e dei ricercatori, aventi pari stato giuridico, bloccati nel quinquennio 2011-2015, vengano sbloccati a partire dal 1° gennaio 2015, anziché, come è attualmente dal 1° gennaio 2016, e che il quadriennio 2011-2014 sia riconosciuto ai fini giuridici, con conseguenti effetti economici solo a partire dallo sblocco delle classi e degli scatti dal 1° gennaio 2015. Si ricorda che, attualmente, un ricercatore universitario con venti anni di anzianità guadagna molto meno di un suo collega di altri Paesi europei, che percepisce invece uno stipendio fino a 5 volte superiore;

   a ciò si aggiunga che i fondi per la ricerca, in molte sedi, sono stati pressoché azzerati, a seguito dei tagli al sistema formativo, praticati con la massima intensità nelle sedi universitarie meridionali, che prosegue ininterrottamente da quasi dieci anni;

   nelle condizioni date, e soprattutto nelle sedi meridionali, fare ricerca di buona qualità (che significa appunto avere accesso a ricerche prodotte in altre sedi, soprattutto internazionali) è di fatto quasi impossibile, data l'assenza di fondi e il blocco degli stipendi.

   l'acquisto di libri, l'abbonamento a riviste, la partecipazione a convegni nazionali e internazionali – cioè tutto ciò che concorre a produrre una buona qualità della ricerca scientifica in ogni ambito disciplinare – va quindi a gravare sullo stipendio, con la conseguenza, pressoché ovvia, che si acquistano meno libri, si leggono meno articoli scientifici, si partecipa a un numero minore di convegni e, dunque, si fa peggiore ricerca;

   quanto suesposto finisce inevitabilmente per ripercuotersi negativamente sulla stessa qualità della didattica e quindi sugli stessi studenti e le loro famiglie, che dovrebbero essere consapevoli che, nelle condizioni date, si studia e si studierà sempre peggio –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo per dare positiva e rapida soluzione alle legittime e giuste rivendicazioni dei professori universitari e dei ricercatori di 79 università ed enti di ricerca, esposte in premessa;

   se intenda prevedere, fin dal prossimo disegno di legge di bilancio, un deciso incremento delle risorse finalizzate a finanziare il sistema d'istruzione e ricerca e consentire il rilancio dell'università pubblica, gravemente penalizzata da troppi anni di tagli;

   se intenda assumere iniziative per avviare un piano di investimenti a favore degli atenei, quale condizione necessaria per consentire una revisione e un superamento degli attuali limiti nell'accesso ai corsi di laurea da parte degli studenti.
(2-01934) «Laforgia, Nicchi, Bossa, Scotto, Cimbro, Roberta Agostini, Albini, Bersani, Franco Bordo, Capodicasa, D'Attorre, Duranti, Epifani, Fava, Ferrara, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Lacquaniti, Leva, Martelli, Matarrelli, Pierdomenico Martino, Melilla, Mognato, Murer, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Rostan, Sannicandro, Simoni, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha emesso il 14 luglio 2016 la sentenza in merito alle cause C-458/14 e C-67/15, laddove ha stabilito: 1) l'articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che preveda la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati;

   nonostante la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, l'Italia ha disposto – attraverso l'articolo 24, comma 3-septies, del decreto-legge convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2016, n. 160 – che: nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l'interesse pubblico all'ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25;

   con determinazione del Consiglio dei ministri del 27 agosto 2015, il prefetto Vulpiani viene nominato commissario del X municipio di Roma;

   la sindaca di Roma, Virginia Raggi, dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie, il 26 ottobre 2016, ha dichiarato: «la commissione straordinaria ha evidenziato che sulle concessioni balneari c'è un'illegalità diffusa, ha effettuato una vera e propria ricognizione di tutte le 71 concessioni, che sono in parte scadute, in parte in scadenza, sulle quali è intervenuta la procura. Mi è stato chiesto in maniera molto precisa se io avessi intenzione di rimetterle a bando, chiaramente la mia risposta è sì, però non può prescindere da un'attività che il Parlamento – composto anche da voi – ha posto in essere, travalicando e travolgendo quella che può essere la mia intenzione. Ricordo, infatti, che per effetto dell'articolo 34-duodecies del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”, le concessioni demaniali in attesa del riordino della materia del demanio marittimo sono state prorogate di diritto fino al 31 dicembre 2020. Voi avete effettuato questa proroga, quindi, sia che “la Raggi” voglia mettere a bando le concessioni, sia che lo voglia tutta la giunta e tutti i consiglieri – e così è – noi abbiamo le mani legate, perché voi le avete prorogate sino al 2020, ben sapendo qual è la situazione delle concessioni sul litorale di Ostia. [..] Stiamo lavorando sul rinnovo delle concessioni illegittime, ma mi preme segnalare che quella proroga vergognosa votata dal Parlamento ci taglia le gambe. Ci tengo a dirlo, presidente, perché poi dopo mi si viene a dire “qual è la sua intenzione?” La mia intenzione è quella di fare tutto ciò che mi consente la legge. Su quelle illegittime stiamo lavorando, sul resto purtroppo non posso fare altro che adeguarmi»;

   il prossimo 5 novembre il X Municipio di Roma tornerà al voto –:

   se il Governo possa fornire elementi circa l'operato della Commissione straordinaria del X Municipio di Roma, con particolare riferimento alla gestione delle concessioni balneari;

   quali effetti abbiano prodotto le disposizioni sopracitate, riguardanti la proroga delle concessioni balneari nell'ambito delle iniziative della Commissione straordinaria per garantire il pieno rispetto della legalità ad Ostia.
(4-17833)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   è notizia de Il Sole 24ore che in pochi giorni sono state raccolte oltre 6.500 firme per chiedere l'adozione del decreto per il rimborso delle spese concernenti le adozioni internazionali dal 2012;

   il Coordinamento Care (Coordinamento delle associazioni familiari adottive e affidatarie in rete) si è infatti rivolto al Presidente del Consiglio Gentiloni chiedendo «di rispettare gli accordi con le famiglie che hanno concluso un'adozione internazionale dal 2012» in poi e invitandolo a firmare il decreto «sblocca fondi»;

   dal sito della Commissione adozioni internazionali (Cai), il 19 maggio 2017 si poteva apprendere che finalmente erano state prese in carico le domande di rimborso relative alle adozioni concluse nell'anno 2011;

   il 12 luglio 2017, sempre il sito della Cai comunicava notizia che erano in corso i rimborsi suindicati e che sarebbero stati integralmente liquidati entro la fine del corrente anno 2017, nel rispetto dei criteri fissati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2011, informando altresì che, successivamente al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2011, non è stato disposto alcun provvedimento analogo che preveda il rimborso delle spese sostenute per le adozioni concluse anche dopo il 31 dicembre 2011; pertanto, a ogni eventuale istanza di rimborso relativa agli anni successivi al 2011 non è dato seguito;

   ciò conferma la mancanza di attenzione alle adozioni internazionali da parte del Governo che giustamente sta suscitando reazioni da parte di famiglie, associazioni ed enti autorizzati;

   non predisporre nessun provvedimento per le migliaia di famiglie – circa quattordicimila – che hanno adottato minori dal 2012 e che hanno affrontato ingenti spese è certamente un disagio e una forte discriminazione rispetto alle coppie che hanno adottato fino al 2011 e che tuttavia hanno dovuto aspettare sei anni per vedersi riconosciuto il pieno diritto al rimborso spettante alle famiglie adottanti dall'estero;

   va ricordato che la scelta di un'adozione internazionale vuol dire restituire la dignità a un bambino e potersi sentire in uno stato sociale che offre i diritti che spettano a tutti i bambini;

   tali decisioni del Governo non fanno altro che far registrare un comune senso di malessere, una perdita di fiducia nelle istituzioni e un distacco dalla scelta dell'adozione internazionale;

   si rammenta che un anno e mezzo fa, la prima firmataria del presente atto ha presentato un'ulteriore interrogazione in merito, al fine di sapere se le risorse previste dal fondo per il sostegno delle adozioni internazionali erano davvero disponibili, ma nessuna risposta è stata data al quesito;

   inoltre, dal sito Cai, si può apprendere che la composizione della Commissione è priva del terzo rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri, di un rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dei componenti dell'ANCI e dell'UPI e di tre esperti rappresentanti delle associazioni familiari a carattere nazionale –:

   considerato che l'adozione è l'unico modo per dare una famiglia a un bambino in stato di abbandono, se non ritenga di dover assumere iniziative per sostenere tutte le coppie che hanno affrontato a oggi il percorso dell'adozione, riconoscendo loro le misure di sostegno e quindi il pieno diritto al rimborso;

   quali siano i motivi che hanno di fatto di fatto impedito i rimborsi delle adozioni internazionali dal 2012;

   quali siano i motivi che hanno portato a dover attendere anni prima di provvedere al rimborso delle spese relative alle adozioni internazionali per le coppie adottanti fino al 2011;

   a quanto ammontino i fondi disponibili per le adozioni e se non ritenga necessario assumere iniziative per provvedere con urgenza alla definizione del decreto che destini una parte di questi fondi in modo specifico ai rimborsi effettuati dal 2012;

   quali siano i motivi che non consentono la nomina dei componenti mancanti della Commissione.
(4-17837)


   BRIGNONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   sui maggiori quotidiani nazionali e sulla stampa on-line è apparsa la notizia che Giuseppa Fattori, di anni novantacinque, nata a Fiastra, provincia di Macerata, vittima del terremoto, è stata sfrattata, a parere degli interroganti per un insostanziale e inesistente abuso edilizio;

   la casa della Fattori era andata distrutta dal terremoto che ha colpito le Marche nel 2016 e all'inizio del 2017, quindi una delle figlie dell'anziana donna, dopo il terremoto, l'aveva portata con sé a Castelfidardo; la donna si era poi trasferita a Civitanova da un'altra figlia;

   la signora Fattori risiede a Fiastra da oltre settantacinque anni e, come tutte le persone anziane è molto attaccata alla propria terra, pertanto pur di rimanere nel suo paese sceglieva di vivere in un container acquistato dopo il terremoto che colpì le Marche nel 1997;

   tale container era privo di ogni necessità: acqua, luce e servizi igienici, pertanto le figlie hanno badato a far costruire una casetta di 70 metri quadri in legno, nel proprio terreno edificabile, prossimo alla casa natia sempre di loro proprietà;

   per procedere alla costruzione della casetta di legno i familiari avevano provveduto a presentare regolare istanza al comune di Fiastra; successivamente alla perizia geologica, gli stessi depositavano il progetto in conformità con le disposizioni contenute nella legge antisismica;

   a fine lavori, nel mese di agosto 2017 è stata chiesta la concessione edilizia al sindaco di Fiastra, Claudio Castelletti, che emetteva un'ordinanza per bloccare il cantiere e richiedeva contestualmente un controllo da parte dei Carabinieri segnalando «l'illecito» alla procura di Macerata;

   il tribunale di Macerata disponeva la demolizione della casetta di legno, concedendo quindici giorni di tempo alla Fattori per trasferirsi altrove, poiché, in caso contrario sarebbero stati apposti i sigilli e successivamente si sarebbe proceduto alla demolizione;

   infatti, in data odierna, i Carabinieri hanno posto i sigilli alla casetta della Fattori provvedendo al sequestro;

   secondo quanto dichiarato dalla regione Marche, per consentire alla Fattori di poter restare nella casetta di legno basterebbe una semplice sanatoria;

   il sindaco di Fiastra invece sostiene che, per concedere l'autorizzazione alla Fattori di poter abitare nella casetta, occorrerebbe che lo Stato intervenisse con un decreto apposito che dichiari sanabili gli abusi come quello suindicato, tenendo conto dello stato di emergenza post terremoto –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;

   se non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, in modo tale da contribuire a trovare una soluzione che possa consentire alla signora Fattori di tornare nel proprio paese e nella casetta costruita su un suo terreno di proprietà al fine di permetterle di vivere gli ultimi anni di vita in mezzo alla sua gente e ai suoi affetti;

   se non ritenga, in particolare, di assumere iniziative normative, al fine di evitare che possano verificarsi altri casi come quelli indicati in premessa e affinché le popolazioni colpite dal terremoto, possano trovare delle soluzioni abitative idonee e conformi alla normativa concernente le autorizzazioni edilizie.
(4-17844)


   MARCON. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la notte del 26 agosto 2017 quattro uomini che sembrerebbero nell'ipotesi più accreditata dalla procura competente che indaga sul caso di origini nord africane, in spiaggia a Miramare (Rimini), hanno stuprato una ragazza polacca, picchiando il suo fidanzato, e avrebbero violentato anche una transessuale peruviana, lasciandola poi ferita in strada;

   in relazione allo stupro avvenuto a Rimini, un autorevole esponente di un gruppo parlamentare di opposizione di destra ha chiamato pesantemente in causa la Presidente della Camera Laura Boldrini, chiedendosi in particolare come sia possibile che la donna che ricopre uno dei più alti incarichi della Repubblica Italiana, non abbia nulla da dire sui gravissimi stupri di Rimini commessi da un branco di «vermi magrebini» ed altresì se, veramente, in nome della difesa ideologica dell'immigrazione di massa, si possa accettare la violenza sessuale come un «male necessario» del multiculturalismo;

   sempre la Presidente della Camera era stata oggetto di ulteriori attacchi; infatti, lunedì 28 agosto 2017 aveva destato scalpore il post del segretario di «Noi con Salvini» di San Giovanni Rotondo (Foggia), Saverio Siorini, che su facebook aveva scritto: «Ma alla Boldrini e alle donne del Pd, quando dovrà succedere?». Una volgarità che il signor Siorini ha accompagnato con un ulteriore «Ovvio che non era mia intenzione augurare il male a nessuno, con questo non cambio idea: auguro una castrazione chimica a tutti gli stupratori e la rabbia del popolo a tutti i complici del Pd»;

   ad avvelenare ulteriormente la situazione vi è stato il commento del mediatore culturale di Rimini, Abid Jee: «Lo stupro è un atto peggio ma solo all'inizio, poi la donna diventa calma ed è un rapporto normale» che è stato prontamente e giustamente rimosso dal suo incarico;

   le frasi scritte e i commenti sopra riportati rappresentano una assoluta degenerazione del dibattito politico dato che di fronte ad atti di violenza come lo stupro, non può esistere alcuna differenziazione di giudizio che parta da chi lo commette; esso rappresenta l'atto più esecrabile che possa essere commesso nei confronti di una donna, la cui condanna da parte degli interroganti è totale;

   certi pareri oltretutto espressi anche da esponenti di rilievo della politica nazionale non fanno altro che rendere il clima insostenibile alimentando: un utilizzo disinvolto del web e dei social network inammissibile e una polemica pretestuosa, anche nei confronti della terza carica dello Stato, che non ha alcun motivo di esistere e che viene alimentata in malafede e in maniera strumentale;

   in tale contesto l'uso disinvolto del web che mira a sostenere tesi farneticanti e strumentali che assumono anche una rilevanza politica non può essere ulteriormente accettato –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza al fine di stroncare l'utilizzo del web e dei social network per sostenere attacchi e accuse volgari che vengono sostenute sia nei confronti dei cittadini che di alte cariche dello Stato ma che non hanno nulla a che vedere con il confronto e il dibattito, anche duro, nel merito delle questioni;

   quali siano gli orientamenti del Governo in merito ai fatti citati in premessa.
(4-17847)


   BUSIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   si apprende da organi di stampa la notizia della proposta di nomina a giudice esterno della Corte dei conti di un attivista e dirigente di partito della principale componente politica del Governo. Il professore docente della Scuola nazionale dell'amministrazione, alla Sapienza e a Pisa, si è distinto per la campagna di delegittimazione dei referendum regionali per l'autonomia della Lombardia e del Veneto, attraverso due ricorsi;

   di recente, l'organo anticorruzione del Consiglio d'Europa è intervenuto raccomandando all'Italia di introdurre leggi che pongano limiti più stringenti per la partecipazione dei magistrati alla politica;

   la legislazione italiana, infatti, contiene ancora diverse lacune e contraddizioni che contribuiscono a sollevare dubbi per quanto concerne la separazione dei poteri e la necessaria indipendenza ed imparzialità dei giudici. L'organismo europeo stigmatizza l'effetto negativo che qualsiasi presunta politicizzazione della professione possa avere sulla percezione che i cittadini hanno dell'indipendenza dell'intera magistratura;

   al fine di evitare che il sentimento dell'antipolitica e di disaffezione da parte dei cittadini verso le istituzioni possa continuare ad alimentarsi, è necessario per l'interrogante che, in merito alle nomine fiduciarie che spettano all'Esecutivo per incarichi istituzionali sulla trasparenza, l'indipendenza e l'autonomia, non si proceda seguendo logiche partitiche fondate sull'appartenenza politica –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di introdurre nel nostro ordinamento disposizioni normative chiare che garantiscano, da un lato, la trasparenza e l'indipendenza degli organi predisposti all'esercizio della giustizia e, dall'altro, che rendano effettiva la separazione dei poteri, principio fondamentale del sistema costituzionale italiano.
(4-17849)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   in località Montedoro (Trieste), in un'area collinare che interessa i comuni di Muggia e di San Dorligo della Valle – Dolina, il sottosuolo cela un sistema di depositi militari di combustibili attualmente dismessi e comprendente una ventina di cisterne, a cui si aggiungono gallerie blindate e condutture interrate e mimetizzate in superficie;

   le aree in questione, inserite tra zone agricole abitualmente coltivate, zone residenziali e commerciali non incluse nel Sin (sito di interesse nazionale) di Trieste, risultavano appartenenti al demanio militare dello Stato;

   il primo firmatario del presente atto si è più volte interessato alla questione, sia con l'atto di sindacato ispettivo n. 5-04303 con il quale ha chiesto al Governo di accertare lo stato di conservazione delle ex strutture militari e di provvedere all'eventuale messa in sicurezza, sia con la presentazione, il 21 febbraio 2015, di un esposto alla procura della Repubblica presso il tribunale di Trieste. Nell'istanza, ha chiesto un intervento urgente per accertare e valutare la situazione delle aree interessate, nonché individuare eventuali responsabilità ed omissioni;

   nell'interrogazione n. 4-08323 il primo firmatario del presente atto ha illustrato, invece, una vicenda analoga, riguardante il complesso militare in disuso di Monte S. Giovanni, nella frazione di Aquilinia (Muggia), composto da cisterne sotterranee adibite a deposito di idrocarburi e collegate da un sistema di gallerie. Ai Ministri destinatari ha chiesto «di promuovere il monitoraggio delle cisterne interrate attivandosi per favorire, in breve tempo, la messa in sicurezza e la bonifica definitiva e non provvisoria della ex struttura militare»;

   infine, nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-14955, il primo firmatario del presente atto ha illustrato la relazione «Schede n. TSB0178 e TSB0213 ex depositi militari carburanti e lubrificanti loc. Montedoro e Aquilinia» trasmessa dalla direzione regionale del Friuli Venezia Giulia dell'Agenzia del demanio a seguito delle risultanze delle indagini ambientali preliminari concluse il 30 dicembre 2015;

   l'attività di indagine, esposta nel documento, è stata diretta a «verificare inizialmente eventuali presenze di potenziali elementi inquinanti nei depositi sotterranei inutilizzati ivi presenti». La ditta specializzata, incaricata di eseguire le ispezioni, ha compiuto le indagini di rischio del sito specificatamente previste per ricercare residui riconducibili ad attività di stoccaggio di idrocarburi;

   infine, dalla relazione è emerso che «al fine di quantificare i fondi necessari da richiedere per le bonifiche, a complemento della relazione del piano preliminare di caratterizzazione dei siti sono state fornite indicazioni preventive di massima dei possibili costi degli interventi di bonifica da attuarsi a seguito delle indicazioni contenute nel piano in aggiunta a quelle che saranno indicate dalla Provincie» e si è previsto di incaricare «professionisti esperti della materia per la progettazione operativa di interventi di bonifica o di messa in sicurezza permanente dei serbatoi, per poter mettere a gara le suddette bonifiche e le pulizie»;

   in risposta agli atti n. 4-08323 e n. 4-14955, il 7 settembre 2017, il Sottosegretario di Stato alla difesa Gioacchino Alfano ha evidenziato che «l'ex deposito lubrificanti “Aquilinia” e l'ex deposito carburanti “Montedoro” di Muggia a causa di una trascrizione errata erano stati intestati catastalmente alla Difesa, ma, di fatto, non erano stati consegnati dall'Amministrazione finanziaria a quella militare che, peraltro, non li ha mai utilizzati. (...) Relativamente ai necessari interventi di bonifica e di messa in sicurezza dei siti, si sottolinea che la Difesa non ha alcuna competenza al riguardo, considerato anche che gli stessi non rientrano nella disponibilità patrimoniale del Dicastero (...)» –:

   alla luce dei fatti esposti in premessa, se intendano chiarire a che punto sia l’iter delle azioni previste per l'ex deposito lubrificanti «Aquilinia» e l'ex deposito carburanti «Montedoro»;

   quali iniziative abbia intenzione di adottare il Governo, per quanto di competenza e di concerto con gli enti locali, per attuare i necessari interventi di bonifica e di messa in sicurezza delle aree in questione.
(4-17831)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   i delegati della rappresentanza militare, fin dal 1978, nello svolgimento del loro mandato vengono tutelati da apposite normative e regolamenti interni;

   l'articolo 1480 del codice dell'ordinamento militare, con riferimento al trasferimento del delegato, prevede che il trasferimento «ad altre sedi di militari di carriera eletti negli organi di rappresentanza, se pregiudicano l'esercizio del mandato, devono essere concordati con l'Organo di Rappresentanza a cui il militare, del quale si chiede il trasferimento, appartiene»;

   l'articolo del 883, comma 5, del regolamento testo unico delle disposizioni in materia di ordinamento militare, inoltre, con riguardo a tali trasferimenti aggiunge che «in caso di discordanza, prevalgono le motivate necessità di impiego dell'Amministrazione militare purché il delegato da trasferire possa essere sostituito nell'organo di rappresentanza»;

   con la delibera 1/2017 del Consiglio di base di rappresentanza n. 12 della direzione marittima di Ravenna, con la delibera 200/2017 del Consiglio intermedio di rappresentanza del Comando generale del corpo della Capitaneria di porto (massimo organismo nazionale della Guardia Costiera) e con la delibera 197/2017 del Consiglio centrale di rappresentanza dei militari dello Stato maggiore della marina si è denunciato il trasferimento di un delegato del Co.Ba.R. della direzione marittima di Ravenna, categoria marescialli, nonostante il parere contrario dei competenti organi della rappresentanza militare;

   i trasferimenti del personale della Guardia costiera non sono disposti dalla direzione del personale per la Marina, ma dal Comando generale delle capitanerie di porto;

   il trasferimento di un delegato della rappresentanza militare, senza le giuste motivazioni e senza neanche informare e coinvolgere, nei modi previsti dalla legge, gli altri membri della rappresentanza militare, potrebbe creare un grave precedente che lederebbe il funzionamento democratico dell'ordinamento, nonché configurarsi come forma di condizionamento del mandato (articolo 1479 del codice dell'ordinamento militare) dei delegati;

   nel caso in questione, non essendovi personale disponibile per la sostituzione del delegato trasferito, si dovrà procedere anche a votazioni straordinarie con un oggettivo costo, tenuto conto del carattere regionale dei consigli di base delle Capitanerie –:

   quali siano le motivazioni che hanno indotto il comando militare competente a dare seguito al trasferimento del militare indicato nelle delibere prodotte dalla rappresentanza militare di cui in premessa e se siano stati formalmente informati sia l'interessato che la stessa rappresentanza ai vari livelli e quali siano i requisiti, esclusivamente in possesso dal suddetto militare che ne hanno determinato il trasferimento in questione;

   quali spese abbia dovuto sostenere l'amministrazione della difesa per dare seguito al trasferimento del maresciallo e quali quelle per trasferire chi lo sostituirà;

   a quanto ammontino le spese per provvedere, per i pochi mesi rimanenti alla conclusione dell'attuale mandato della rappresentanza militare, ad elezioni straordinarie per l'elezione di un nuovo delegato;

   quali siano i profili di competenza del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in merito al caso indicato in premessa e come intenda garantire al personale della Guardia costiera equo trattamento dei propri delegati in seno alle altre forze armate;

   se sia stato rispettato pienamente quanto disposto dal codice dell'ordinamento militare in materia e se non si intendano assumere iniziative volte a perseguire eventuali profili di responsabilità nei confronti di chi ha autorizzato il trasferimento del delegato;

   quanti trasferimenti, col diniego della rappresentanza militare anche delle capitanerie di porto, siano stati autorizzati negli ultimi dieci anni.
(4-17848)


   ANZALDI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, nell'ambito dell'indagine del Consiglio superiore della magistratura sulle fughe di notizie a proposito di telefonate tra l'allora premier Matteo Renzi e il generale della guardia di finanza Michele Adinolfi, in un'audizione ufficiale di fronte al massimo organo di controllo della magistratura, il procuratore di Modena Lucia Musti avrebbe dichiarato di aver subito pressioni da parte degli ufficiali dei carabinieri De Caprio e Scafarto per avviare indagini che avrebbero coinvolto Matteo Renzi;

   la pubblico ministero Musti avrebbe riferito di aver visto gli ufficiali come «spregiudicati» e «presi da un delirio di onnipotenza», dopo essersi presentati con informative di polizia giudiziaria «fatte coi piedi»;

   nell'ambito dell'inchiesta Consip la procura di Roma, titolare dell'inchiesta precedentemente in capo alla procura di Napoli, tra i primi atti delle sue indagini, ha estromesso dalle indagini di polizia giudiziaria il Noe, di cui De Caprio era stato vicecomandante e Scafarto era ancora capitano;

   le indagini della procura di Roma per falso e rivelazione del segreto istruttorio hanno fatto emergere uno scenario di presunti depistaggi, atti di indagine taroccati, intercettazioni falsificate, il tutto apparentemente finalizzato a coinvolgere in ogni modo, e senza alcun elemento concreto, l'allora premier Matteo Renzi;

   le dichiarazioni rese in sede ufficiale dalla pubblico ministero Musti rendono ancora più inquietante e allarmante lo scenario finora emerso, perché a mettere a verbale di fronte ad un organo ufficiale della magistratura certe pesanti accuse è proprio un magistrato;

   se quanto emerso fosse confermato, si sarebbe di fronte ad atteggiamenti di pubblici ufficiali dell'Arma dei carabinieri, anche con incarichi di rilievo, che avrebbero tramato per rovesciare il vertice democratico del Paese, in uno scenario ai limiti del colpo di Stato;

   di fronte alle accuse rese in sede ufficiale dalla pubblico ministero Musti, il comandante De Caprio ha risposto con dichiarazioni alla stampa, invece che nelle sedi preposte, che inquietano ancora di più, con repliche dirette a magistrati, Ministri, parlamentari della Repubblica, mettendo ancor più in imbarazzo l'Arma dei carabinieri –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, di fronte ad uno scenario del genere, nel rispetto del lavoro della magistratura, e considerato che sulla questione stanno indagando sia la procura di Roma sia il Consiglio superiore della magistratura, ora che sono emersi i contenuti gravissimi della deposizione di un giudice di fronte al massimo organo di autogoverno della magistratura quale è appunto il Consiglio superiore della magistratura, valutare se assumere iniziative, per quanto di competenza, in relazione al comportamento dei carabinieri sopracitati, anche per scongiurare il rischio che questa vicenda arrechi un grave vulnus all'immagine dell'Arma dei carabinieri, anche per salvaguardare il fondamentale rapporto dei cittadini italiani con la medesima;

   se le dichiarazioni alla stampa del comandante De Caprio siano state autorizzate o meno dai vertici dell'Arma.
(4-17850)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   da fonti di stampa (Corriere del Mezzogiorno del 14 settembre 2017, dal titolo «Agenzia delle Entrate – A giudizio 33 dirigenti») si apprende dell'ennesimo rinvio a giudizio di 33 persone tra cui molti ex dirigenti dell'Agenzia delle entrate, direzione regionale Campania, tra cui anche l'ex direttore regionale Enrico Sangermano, accusati di corruzione ovvero abuso d'ufficio in riferimento alla gestione del contenzioso tributario e delle cartelle esattoriali, utilizzate come strumenti di pressione e minaccia e per elargire favori personali;

   lo stesso ex direttore era già stato sottoposto a procedimento penale per abusi su nomine dirigenziali decise «a tavolino»;

   anche il Sindacato Dirpubblica, sul proprio sito, ha pubblicizzato la notizia, scagliandosi molto duramente nei confronti della leadership dell'Agenzia delle entrate e annunciando di volersi costituire parte civile nel processo;

   la vicenda segue a numerose indagini e processi già pendenti a carico di dirigenti e funzionari dell'Agenzia. È solo di qualche mese prima la notizia relativa alla vicedirettrice dell'Agenzia delle entrate, dottoressa Alemanno (sorella dell'ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno), indagata per la illecita sospensione di cartelle esattoriali in favore dell'amica Cynthia Orlandi, ai tempi manager dell'Atac; nonché la notizia altrettanto allarmante del dottor Giovanbattista Sabia, direttore regionale di Equitalia Calabria, che, stando all'accusa degli inquirenti, in cambio di una Jaguar aveva permesso a un concessionario auto di ottenere una rateizzazione più favorevole. Per non parlare della vicenda di Walter Pardini a Genova, già capo dell'Audit centrale a Roma, indagato per il reato di corruzione per atti contrari a quelli d'Ufficio;

   l'elenco prosegue: Angelo Gasparro, ex direttore dell'Agenzia delle entrate di Forlì-Cesena, ora assegnatario di altro incarico, accusato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, peculato, rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio e traffico di influenze illecite; Pietro Micheli, ex dirigente del fisco a capo dell'ufficio controlli dell'Ade, condannato a Urbino a 4 anni e 10 mesi di reclusione; Luigi Glovine, ex comandante della guardia di finanza che ha patteggiato la pena e Vito Maulucci, ex direttore dell'Ade di Arzignano, condannato a risarcire l'erario con una somma di oltre 660.000 euro; Saverio Campanella e Albertino Rosso, ex funzionari dell'agenzia delle entrate, condannati per aver percepito mazzette calcolate in percentuale sulle somme «fatte risparmiare» alle aziende di cui si occupavano nel milanese; Pietro Pasquale Leto, insieme ad altri funzionari dell'Agenzia delle entrate di Agrigento, hanno chiesto il rito abbreviato per l'inchiesta «Duty Free» della guardia di finanza; Elio Borrelli, direttore delle entrate di Pesaro immediatamente sospeso dal servizio non appena raggiunto da ordine di custodia cautelare per le vicende di corruzione relative al Mose di Venezia, che coinvolgono tre funzionari dell'Ade e due ufficiali della guardia di finanza; per concludere, con la prescrizione per sei persone, tra funzionari e dipendenti dell'Agenzia del Territorio di Reggio Emilia, in merito ai deprezzamenti dei valori degli immobili;

   in merito al coinvolgimento dell'Agenzia delle entrate nella tangentopoli veneta, il dottor Angelo Risi, presidente del tribunale del riesame di Venezia, ha evidenziato come dalle indagini condotte «si palesa l'esistenza di un articolato e ben organizzato meccanismo clientelare di tipo trasversale che effettivamente vede l'Agenzia delle Entrate di Venezia e i suoi funzionari apicali coinvolti e compromessi ai massimi livelli»;

   sempre dalle fonti di stampa (Il Sole24Ore nell'articolo «Nella Manovra la riforma delle Agenzie fiscali», del 17 settembre 2017) si apprende che sarebbe intenzione del Governo intervenire in materia di riforma delle agenzie fiscali attribuendo alle stesse ampia autonomia nella definizione della contrattazione aziendale di secondo livello e nella regolamentazione del funzionamento e organizzazione della macchina fiscale –:

   quali misure intenda promuovere per contrastare i numerosi fenomeni di corruzione e abusi che con sempre maggiore frequenza continuano a verificarsi in seno alle agenzie fiscali;

   se l'attribuzione di maggiore autonomia regolamentare alle agenzie fiscali non contrasti con una sana ed efficace politica di lotta alle corruttele interne alle agenzie medesime, soprattutto in riferimento all'attribuzione di nomine e incarichi dirigenziali;

   se abbia acquisito elementi in relazione a quanto sostenuto dal presidente del tribunale del riesame nell'ordinanza di cui in premessa in merito al sistema clientelare descritto e quanto risulti diffuso il fenomeno;

   quanti siano i procedimenti penali pendenti per reati di corruzione, abuso d'ufficio, frodi informatiche su cartelle, che vedono coinvolti funzionari o dirigenti delle agenzie fiscali e quanti di tali soggetti siano ancora regolarmente in servizio;

   quanti provvedimenti disciplinari o di licenziamento siano stati adottati nei confronti di funzionari o dirigenti delle agenzie fiscali per condotte contrarie ai doveri di ufficio poste in essere nell'ambito e in occasione del rapporto d'ufficio;

   a quanto ammontino i danni erariali conseguenti a condotte contrarie ai doveri di ufficio poste in essere da funzionari e dirigenti delle agenzie fiscali nell'ambito e in occasione del rapporto d'ufficio;

   quanti procedimenti per danno erariale siano stati avviati nei confronti di dirigenti e funzionari delle agenzie fiscali, per quale valore e quale sia l'ammontare dei danni effettivamente risarciti;

   se non ritenga di favorire, per quanto di competenza, un rapido iter della proposta di legge presentata dal Movimento 5 Stelle, all'esame del Senato, in materia di whistleblower per arginare i fenomeni di corruzione anche all'interno dell'Agenzia delle entrate.
(2-01939) «Pesco, Sibilia, Villarosa, Alberti, Fico, Pisano, Ruocco, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano».

Interrogazioni a risposta immediata:


   ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER, SCHULLIAN, OTTOBRE e MARGUERETTAZ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il 30 settembre 2017 scade la possibilità di cedere oppure assegnare i beni ai soci con agevolazioni previste ai sensi dell'articolo 1, commi da 115 a 120, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016) e prorogate dall'articolo 1, comma 565, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017);

   i commi da 115 a 120 della legge di stabilità per il 2016 hanno introdotto agevolazioni fiscali temporanee per le cessioni o assegnazioni di beni immobili e di beni mobili registrati ai soci da parte delle società, incluse quelle cosiddette non operative, prevedendo che si applichi un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'Irap e l'imposta di registro ridotta; parimenti tali agevolazioni sono previste anche per le relative trasformazioni societarie;

   la legge di bilancio per il 2017 ha poi prorogato le agevolazioni anche alle cessioni, trasformazioni e assegnazioni effettuate entro il 30 settembre 2017;

   l'assegnazione dei beni costituisce, insieme all'attribuzione di denaro, lo strumento con il quale la società effettua la distribuzione di utili o la restituzione di capitale;

   con tali norme in esame viene riproposta una misura già prevista più volte in passato, che ha sempre riscosso un grande successo nei contribuenti –:

   se ritenga possibile adottare iniziative volte ad una nuova proroga del regime agevolato per le cessioni e assegnazioni di beni ai soci, eventualmente prima della scadenza già prevista per il 30 settembre 2017.
(3-03244)


   CASTELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   le circolari Inps di automatico diniego alle proposte di concordato ricevute dall'Inps stessa, oltre a non portare beneficio allo Stato, diventano una perdita di soldi pubblici di circa 3 milioni di euro per la sola Civitavecchia;

   è il caso del comune di Civitavecchia, che detiene il 100 per cento del capitale sociale della Holding Civitavecchia servizi, la quale detiene il 100 per cento del capitale sociale di tre società a responsabilità limitata, Città pulita, Argo e Ippocrate, che svolgono servizi per conto dell'amministrazione;

   il comune di Civitavecchia il 31 marzo 2015 ha presentato innanzi la Corte dei conti il proprio «piano operativo di razionalizzazione» delle società partecipate, con il quale ha evidenziato l'esigenza di adottare piani di risanamento del debito pregresso mediante procedure di concordato preventivo ovvero ad accordi di ristrutturazione del debito ex articolo 182-bis della legge fallimentare ed un sistema di riorganizzazione compatibile con la legge di stabilità;

   pendente al tribunale di Civitavecchia la procedura di concordato preventivo di Holding Civitavecchia servizi, Città pulita, Ippocrate e Argo, con domanda di concordato ammessa. Tale proposta, supportata con 10 milioni di euro di «finanza esterna», garantisce la liquidità necessaria per onorare la proposta di concordato;

   non si comprende la posizione ufficiale comunicata dall'Inps, maggior creditore: in caso di omologa delle procedure di concordato, infatti, l'Inps avrebbe certezza di incassare 1.732.229,09 di euro, mentre nella ipotesi di fallimento non incasserebbe nulla e sarebbe tenuta al pagamento del trattamento di fine rapporto dovuto ai lavoratori per 1.540.241,50 di euro;

   il 12 settembre 2017, a quanto consta all'interrogante, il direttore della filiale di coordinamento Roma nord-ovest, dottor Di Bernardo, ha comunicato per conto dell'Inps che la proposta non può trovare accoglimento in quanto non rispetta i requisiti previsti dal decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 4 agosto del 2009, nonché delle circolari Inps nn. 38 del 2010 e 148 del 2015;

   il comune di Civitavecchia aveva già presentato al presidente dell'Inps, dottor Boeri, una relazione che illustrava i vantaggi economici che inequivocabilmente l'Inps avrebbe avuto in caso di omologa dei piani di concordato –:

   se non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, per interrompere questa nociva reiterazione di quanto disposto dalle circolari citate e dare indirizzo all'Inps e ai suoi funzionari di valutare di volta in volta le ragioni di coloro che presentano piani di concordato e dei benefici sulle casse dell'ente, per evitare di incorrere in inutili sprechi di fondi pubblici.
(3-03245)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MENORELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 2017, n. 121, ha introdotto una disciplina d'urgenza per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca;

   in tale contesto è stato previsto che le poste escluse dal perimetro acquisito da Banca Intesa rimanessero nelle liquidazioni delle due banche, le quali, ai sensi dell'articolo 5 del citato decreto, avrebbero dovuto cedere i crediti deteriorati alla Società di gestione delle attività spa (SGA);

   la relazione della Banca d'Italia in argomento, datata luglio 2017, ha quantificato i crediti deteriorati (anche non performing loans «npl») ceduti in «9,9 miliardi di valore netto contabile, 17,8 di valore lordo»;

   si tratta di una massa creditoria che corrisponde a migliaia di persone, famiglie e imprese debitrici, concentrate soprattutto nel territorio veneto;

   la percentuale di recupero dei npl viene ritenuta dalla Banca d'Italia essenziale per consentire allo Stato di recuperare il «denaro investito» nell'operazione di salvataggio e, allo scopo, nella relazione in commento si precisa che «l'evidenza empirica indica che la percentuale di valore dei crediti deteriorati che può essere recuperata mediante un approccio “paziente” è molto più elevata di quanto possa essere ottenuto cedendo questi attivi pro soluto sul mercato e di quanto stimato (18 per cento in via provvisoria e 22 per cento in via definitiva) nel caso della risoluzione delle quattro banche avvenute nel novembre 2015»;

   la possibilità di «personalizzare» una definizione dei singoli crediti deteriorati è altresì condizione irrinunciabile per non compromettere ulteriormente l'economia veneta, che risulterebbe più danneggiata da una azione di mero recupero dei npl;

   Banca d'Italia afferma che «SGA è attrezzata per attuare tale approccio “paziente”»;

   risulta, invece, che l'attuale maggiore criticità dell'operazione avviata con il decreto-legge n. 99 del 2017 stia proprio nella gestione dei crediti deteriorati veneti intesi come rimodulazione e/o rinegoziazione dei medesimi ai singoli debitori, sotto i più vari profili, quali il quantum ridefinibile del credito o delle rate di esso ovvero dei tempi di moratoria o restituzione dell'ammontare concordato;

   a conferma di ciò, la stampa veneta del 16 settembre 2017 riporta l'appello di Confartigianato, Cna, Confcommercio e Coldiretti al Governo per «trovare una soluzione per i crediti deteriorati delle aziende venete ora gestiti dalla Società di Gestione Attivi», giacché «oggi la classificazione Npl non consente credito bancario e impedisce de facto ogni operatività aziendale»;

   sempre il 16 settembre, nel corso dell'annuale «Npl meeting» svoltosi a Venezia, è stata denunciata «una gestione da puro recupero» dei crediti deteriorati stigmatizzando la situazione di 8 miliardi di euro di crediti incagliati di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza «rimasti nel limbo tra la liquidazione coatta amministrativa e il mancato trasferimento alla SGA»;

   alcune fonti affermano, in particolare, che Sga non avrebbe le necessarie autorizzazioni bancarie per poter effettivamente proporre e disporre la riconfigurazione dei crediti deteriorati ad essa ceduti, potendo attuare una mera azione di recupero dei crediti, così come originariamente contrattualmente configurati, alla stregua di una sorta di ufficio legale;

   tale situazione causa un impatto sensibilmente grave sull'economia veneta e compromette le previsioni di recupero prospettate all'atto di adozione del decreto-legge n. 99 del 2017 –:

   quali elementi intenda fornire il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, in particolare se risulti che i crediti deteriorati delle banche venete siano effettivamente stati trasferiti alla Sga e se la stessa Sga abbia le necessarie autorizzazioni bancarie per rinegoziare i singoli crediti deteriorati, al fine di modularli considerando la specificità di ciascun debitore;

   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere il Governo per garantire quell’«approccio paziente» sui crediti deteriorati ritenuto essenziale per non danneggiare ulteriormente l'economia veneta e, contemporaneamente, ottenere la percentuale di recupero dell'investimento pubblico inizialmente stimata.
(5-12204)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LENZI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   dopo un iter durato oltre due anni dalle indicazioni fornite dal decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 maggio 2914, n. 81, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari si è arrivati, finalmente, alla chiusura degli stessi per dare vita ad un nuovo sistema basato sulle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), strutture più piccole, di massimo 20 persone, distribuite sul territorio;

   all'origine le Rems erano nate come luoghi di cura e reinserimento per accogliere in via residuale coloro per i quali fosse stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto da cui derivi il giudizio di pericolosità sociale;

   si trattava, quindi, di una extrema ratio, per chi fosse stato giudicato in via definitiva;

   inoltre, successivamente, con l'approvazione della legge n. 103 del 2017 sulla riforma della giustizia si è aperta la possibilità di accogliere nelle Rems anche i «detenuti per i quali l'infermità di mente sia sopravvenuta durante l'esecuzione della pena, gli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisorie e tutti coloro per i quali occorra accertare le relative condizioni psichiche, qualora le sezioni degli istituti penitenziari alle quali sono destinati non siano idonee, di fatto a garantire i trattamenti terapeutico-riabilitativi»;

   se è pur vero che, in fase di approvazione della legge sulla riforma della giustizia, è stato accolto dal Governo l'ordine del giorno n. 9/4368/8 a prima firma Marazziti che impegna il Governo medesimo a non sovraccaricare le residenze di detenuti, a soli sei mesi dall'abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari il sistema rischia di scaricare sulle nuove residenze i limiti delle carceri, visto che su 596 ospiti delle Rems, cifra che corrisponde alla loro capienza massima, ben 215 sono provvisori e, su 289 in lista di attesa per entrare, 205 sono però destinatari di misure provvisorie;

   tale situazione, rispetto alle intenzioni originarie delle Rems non solo rischia di farle naufragare per l'invio inappropriato di persone che dovrebbero essere trattate in altro modo, ma reintroduce la logica degli ex ospedali psichiatrici giudiziari –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione assai critica in cui versano le Rems e se non ritengano doveroso intervenire con urgenza affinché su queste non venga scaricato il peso di una organizzazione ancora fragile che vede nei progetti riabilitativi e nei servizi territoriali il punto debole dell'assistenza psichiatrica.
(5-12200)


   DI SALVO, VERINI, AMODDIO, BAZOLI, BERRETTA, CAMPANA, DI LELLO, ERMINI, FERRANTI, GIULIANI, GRECO, GIUSEPPE GUERINI, IORI, MAGORNO, MATTIELLO, MORANI, GIUDITTA PINI, ROSSOMANDO, TARTAGLIONE, VAZIO e ZAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   è di pochi giorni fa la notizia di una bambina di 3 anni rinchiusa nel carcere di Gazzi a Messina con la sua mamma, una donna nigeriana condannata per il reato di immigrazione clandestina; la bambina ha ingerito un topicida, che le ha creato non poche complicazioni. Fortunatamente ora la bimba è fuori pericolo, ma non si hanno ulteriori notizie in merito;

   tale situazione ripropone ancora oggi il problema delle detenute madri e dell'inadeguatezza di molte strutture di reclusione italiane destinate ad accogliere donne con figli in tenera età, nonostante nel tempo siano state approvate norme, si siano espressi organismi internazionali, nonché istituzioni europee volte a contemperare gli interessi dei minori coinvolti;

   in Italia sono circa 60 i bambini sotto i tre anni che vivono in carcere con le loro madri;

   la legge n. 62 del 2001 recante «Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori» dispone all'articolo 1, comma 1: «Quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, non può essere disposta nè mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza»;

   la legge 21 aprile 2011, n. 62, ha introdotto modifiche al codice di procedura penale e alle norme dell'ordinamento penitenziario, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, istituendo gli Icam (Istituti a custodia attenuata per madri) proprio per rendere la detenzione meno dura per i bambini; l'articolo 4 della medesima legge ha affidato ad un decreto del Ministro della giustizia la determinazione delle caratteristiche tipologiche delle casa famiglie protette previste dall'articolo 284 codice di procedura penale e dagli articoli 47-ter e 47-quinquies della legge n. 354 del 1975;

   ad oggi gli Icam presenti sul territorio nazionale sono solo a Milano, Venezia, Torino e Lauro in Campania, mentre per quanto concerne le case protette per le misure alternative, ve ne sono solo due, una a Milano e un'altra a Roma;

   in tema di tutela dei minori, segnatamente in situazioni che li espongano a particolare vulnerabilità, quali la circostanza detentiva di un genitore, la Convenzione Onu sui diritti del bambino rappresenta i principi guida che debbono ispirare le decisioni in tale delicato ambito, stabilendo: all'articolo 3, che l'interesse superiore del bambino vada considerato come preminente; all'articolo 8, che i minori non debbano subire discriminazioni per la condizione dei loro genitori e all'articolo 9, che vada tutelata la relazione genitori-figli –:

   se sia a conoscenza di quanto espresso in premessa e se non intenda, per quanto di competenza, accertare eventuali responsabilità dell'autorità penitenziarie in ordine all'episodio accaduto, nonché l'adeguatezza della struttura penitenziaria ad accogliere bambini;

   se non ritenga opportuno a fronte di tale situazione effettuare maggiori controlli per verificare l'idoneità delle strutture penitenziarie che ospitano figli di detenute, nonché le loro condizioni di salute psico-fisica;

   se non intenda promuovere l'istituzione di ulteriori Icam o case protette sul territorio nazionale;

   se il Governo intenda assumere iniziative normative per escludere che nei confronti di genitori di bambini di età non superiore ai 6 anni possa essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere.
(5-12205)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VILLAROSA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   in data 19 aprile 2017 il sottoscritto ha presentato l'interrogazione n. 4-16336 senza ottenere alcuna risposta. L'atto di sindacato ispettivo in questione riguardava la trasformazione (anche a seguito dell'approvazione dell'ordine del giorno 9/02496-A/001 presentato sempre dall'interrogante) dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto in casa di reclusione;

   dal mese di novembre 2016, la struttura carceraria di Barcellona Pozzo di Gotto è diventata casa circondariale, suddivisa in tre sezioni separate, una relativa alla casa di reclusione, una per la casa circondariale, ed una terza sezione trattamentale speciale per minorati psichici sopravvenuti ed ex internati negli ospedali psichiatrici giudiziari non ancora definitivamente trasferiti altrove;

   nell'interrogazione n. 4-16336, pur dando atto al Governo di aver mantenuto l'impegno previsto dall'ordine del giorno del luglio 2014, si segnalava che l'ampliamento del progetto originario e la conseguente «espansione» in struttura carceraria complessa ha di fatto creato non pochi problemi nella gestione della stessa, in quanto l'ampliamento non ha riguardato anche il personale e gli agenti di polizia penitenziaria attualmente parecchio sottodimensionati, come unità, rispetto alle reali ed attuali necessità;

   la superficie da controllare è vastissima e, ad oggi, gli agenti di polizia penitenziaria, realmente operanti sono solamente circa 60 (da suddividersi nei tre turni previsti al netto di eventuali assenze) e sembrava e sembra ancora oggi opportuno adeguare il personale alle nuove esigenze della struttura carceraria;

   gli agenti di polizia penitenziaria assegnati alla struttura barcellonese sono 118 unità, ma, a causa dell'utilizzo dei permessi della legge n. 104 del 1992 previsti dalla normativa attuale nonché di malattie e permessi vari, gli agenti operanti sono sempre molti meno e, probabilmente anche a causa di ciò, a luglio del 2017 3 detenuti sono facilmente evasi dalla struttura carceraria senza incontrare particolari difficoltà;

   i detenuti sono stati nuovamente catturati, con un costo non indifferente a causa del dispiegamento di parecchie forze sul territorio, nonché di elicotteri in volo per diverse ore al giorno, ed i tre malcapitati che hanno colto al volo l'occasione «ghiotta» hanno peggiorato di molto la loro situazione personale, in quanto stavano scontando un residuo minimo di pena –:

   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   se, nell'ambito delle proprie competenze, intenda promuovere tutte le iniziative necessarie per l'adeguamento della pianta organica della (ormai divenuta) casa circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto, considerando le nuove esigenze, ed i nuovi recenti eventi, che la struttura carceraria complessa necessita;

   se intenda assumere iniziative per accelerare le procedure necessarie per definire l'accordo generale nazionale che predisporrà le varie piante organiche relative ad ogni provveditorato, in particolar modo, per quanto riguarda Messina, tenendo conto del nuovo carcere complesso pienamente operante quanto, ovviamente, assolutamente indispensabile per il territorio;

   se, in attesa di provvedimenti definitivi, intenda promuovere tutte le iniziative necessarie per la dislocazione di 20 agenti di polizia penitenziaria ad integrazione della pianta organica attuale in modo da fronteggiare nell'immediato le emergenze esposte in premessa.
(4-17832)


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto legislativo n. 51 del 1998, riforma del giudice unico in vigore dal 2 giugno 1999, sono state soppresse le preture di Tempio, Olbia e La Maddalena e accorpate al tribunale di Tempio. Già dal 1999 l'allora presidente del tribunale aveva segnalato la grave insufficienza di magistrati e di personale amministrativo. Solo con decreto ministeriale 1° dicembre 2016 è stata aumentata di un'unità e portata complessivamente a 12 giudici;

   il tribunale di Tempio è sezione unica promiscua, ove i giudici devono occuparsi indifferentemente della materia civile, penale, di lavoro e di esecuzioni e con un carico di lavoro pro capite insostenibile la cui media è molto superiore alla media nazionale. Ciò nonostante, si esige dall'ufficio una programmazione di smaltimento dell'arretrato difficilmente applicabile ad un tribunale con così esigue risorse;

   il tribunale di Tempio è competente sul vasto territorio Gallurese e sulla Costa Smeralda, su cui grava un contenzioso dal punto di vista qualitativo che non ha eguali in Sardegna. Il peso specifico delle cause civili, di lavoro e di esecuzioni (stante la presenza sul territorio di numerose società di altissimo volume d'affari, della Meridiana e di numerose attività imprenditoriali e considerato il vasto mercato immobiliare che caratterizza le coste galluresi) richiede particolare impegno ai magistrati galluresi costretti a decidere centinaia di procedimenti di varia natura, a discapito della specializzazione e della celerità delle definizioni. Analogamente, i flussi migratori che interessano soprattutto le coste e l'insediamento di organizzazioni dedite a spaccio di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione, oltre ad una produzione abnorme di abusi edilizi, rendono particolarmente gravoso il carico di lavoro in materia penale, con intuibile rischio di prescrizione;

   nelle ispezioni ministeriali del 2001, del 2006 e del 2014 è emersa l'inadeguatezza della pianta organica in rapporto al carico di lavoro. Lo stesso Consiglio superiore della magistratura nella pratica n. 171/FT/2010 del 31 marzo 2010 ha preso atto del parere espresso dal consiglio giudiziario di Cagliari che ha sottolineato «come l'andamento ciclico che caratterizza la variazione delle pendenze è ricollegabile al ristretto organico dei giudici dell'ufficio ed alle conseguenze della parziale scopertura dello stesso sui diversi settori di attività». Ancor più grave se considerato alla luce della legge n. 89 del 2001, a cui il cittadino può ricorrere per ottenere risarcimento per l'irragionevole durata del processo;

   dalle statistiche civili e penali pubblicate sul sito del Ministero, si evince che il tribunale di Tempio è il terzo in Sardegna per sopravvenienze e ha un tasso di ricambio e indice di produttività pro-capite fra i più alti d'Italia. È evidente la sproporzione esistente fra la pianta organica del tribunale di Tempio e quella di altri uffici della Sardegna di pari dimensioni. Solo con il decreto ministeriale 1° dicembre 2016 la pianta del tribunale di Tempio è stata aumentata di una unità;

   è altresì evidente la sproporzione esistente fra la pianta organica del personale amministrativo del tribunale di Tempio e quella di altri uffici della Sardegna di pari dimensioni. A fronte di un organico del tribunale di Tempio di 41 unità l'organico del tribunale di Nuoro annovera 49 unità e l'organico del tribunale di Oristano annovera 54 unità;

   ad oggi sono in servizio regolare solo 5 magistrati, essendo gli altri appena trasferiti e non ancora sostituiti. Stessa cosa si verifica per la procura, dove attualmente è in servizio solo un pubblico ministero e manca il procuratore capo, essendo appena stato trasferito quello precedente –:

   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro, per quanto di competenza, al fine di ripristinare la corretta pianta organica del tribunale di Tempio sia per i magistrati che per i dipendenti amministrativi.
(4-17838)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:

   il 3 agosto 2017, la Conferenza unificata ha sancito l'intesa sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la revisione delle reti stradali di interesse nazionale e regionale ricadenti nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Toscana e Umbria;

   il citato schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, diramato con la nota prot. n. DAR 12438 P.4.37.2.13 del 3 agosto 2017 a seguito di quanto concordato durante la riunione tecnica tenutasi il 1° agosto 2017, suddivide per regione le strade per le quali si prevede il trasferimento all'Anas, per complessivi 3.523 chilometri;

   il trasferimento delle strade ad Anas spa dovrebbe essere perfezionato una volta completato l’iter del provvedimento, tenuto conto che l'articolo 1-bis, comma 1, del decreto legislativo 29 settembre 1999, n. 461, prevede che alle modifiche della rete autostradale e stradale di interesse nazionale esistente si provvede, su iniziativa dello Stato o delle regioni interessate, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le Commissioni parlamentari competenti per materia;

   l'intesa, per quanto riguarda l'Abruzzo, comporta il trasferimento di circa 453 chilometri di strade provinciali alla competenza statale, che saranno pertanto gestite dall'Anas spa (186,917 chilometri L'Aquila, 169,964 chilometri Chieti e 96 chilometri Pescara), mentre è totalmente esclusa la rete delle strade gestite dalla provincia di Teramo;

   la proposta di convenzione per la riclassificazione delle strade provinciali in statali, che prevedeva la conferibilità allo Stato della sola SP 259 della Vibrata, sulla quale l'amministrazione provinciale di Teramo ha appena investito sei milioni di euro, è stata da essa considerata irricevibile anche per l'esiguità dell'impegno da parte di ANAS (soli 21 chilometri), connesso, peraltro, alla contemporanea restituzione da parte della provincia di Teramo di un tratto di SS 80, di estensione chilometrica quasi uguale;

   è utile ricordare che la provincia di Teramo ha la competenza sul maggior numero di strade di interesse provinciale nella regione Abruzzo, per un totale di 1630 chilometri, una parte dei quali attraversano territori colpiti sia dal maltempo che dal terremoto, in maniera più rilevante rispetto alle altre province abruzzesi, con strade chiuse o interrotte per alcuni tratti a causa di frane e crepe;

   la provincia di Teramo, in data 1° giugno 2017, ha inviato al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al presidente della regione Abruzzo e ad Anas spa, una proposta di riclassificazione di alcune delle arterie ex statali attualmente di competenza provinciale, ed in particolare:

    della strada provinciale n. 553 (ex SS 553) che collega la provincia di Teramo con la provincia di Pescara;

    della strada provinciale 491 (ex SS 491) che collega i comuni di Basciano, Isola del Gran Sasso e Montorio al Vomano;

    della strada provinciale 365 (ex SS 365) che collega alla rete statale l'area industriale della vallata del Fino;

   nel corso della Conferenza unificata del 3 agosto 2017, l'Upi (Unione province italiane), nell'esprimere l'intesa, ha consegnato due documenti di richieste che riguardano, per regione Abruzzo, la provincia di Teramo e, per la regione Liguria, la provincia di Imperia, affinché esse siano oggetto di una verifica più approfondita da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

   nella sede della citata Conferenza unificata, la regione Liguria ha comunicato che nella versione definitiva dello schema di decreto, con i relativi allegati, è stata inserita anche la provincia di Imperia, mentre per quanto riguarda la regione Abruzzo, la provincia di Teramo è rimasta esclusa;

   è indispensabile, pertanto, includere nella riclassificazione anche alcune strade ex statali della provincia di Teramo, viste le condizioni in cui l'intero territorio versa, a causa dei numerosi eventi sismici, delle eccezionali nevicate e delle frequenti alluvioni;

   la provincia di Teramo a causa delle calamità sopra descritte versa in gravi difficoltà economiche e, nel contempo, necessita di collegamenti stradali efficienti che rendano possibile e incentivino il turismo e la ripresa degli insediamenti produttivi;

   ciò di cui necessita il Teramano, infine, è un segnale di equità e incoraggiamento, sostegno e vicinanza, basato sul reale riconoscimento del suo ruolo di primo piano nello sviluppo regionale, al pari delle altre province abruzzesi, dal punto di vista economico produttivo, turistico e culturale –:

   se intenda assumere tutte le iniziative di competenza utili a inserire, nell'attuale proposta di riclassificazione, alcune delle arterie ex statali presenti nella provincia di Teramo, al fine di razionalizzarne la gestione e incrementare l'efficienza della manutenzione e dell'esercizio delle strade medesime.
(2-01935) «Ginoble, Luciano Agostini, Amato, Verini, Arlotti, Palma, Melilla, Pizzolante, Carocci, Morassut, Rocchi, Ferrari, Tullo, Prina, Salvatore Piccolo, Ragosta, Giovanna Sanna, Bosco, Montroni, Minnucci, Lauricella, Zaratti, Ferrara, Burtone, Greco, Berretta, Lacquaniti, Martella, Stumpo, Fioroni, Ginefra, Bossa, Misiani, Epifani, Oliverio, Lattuca, Alfreider, Cuomo, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:

   è diventato clamoroso il caso di via di Portonaccio a Roma, dove, nel maggio 2017, sono state elevate 130.000 multe a causa della riapertura di una «corsia preferenziale-fantasma». Le stime parlano di altrettante contravvenzioni a giugno, per un totale di circa 250.000 verbali, pari ad un valore economico di oltre 23 milioni di euro;

   l'annuncio della riapertura della corsia preferenziale è stato comunicato sul sito del comune di Roma in data 20 aprile 2017, poi corretto in data 2 maggio, ed è stata contestualmente riattivata una telecamera spenta dal 2005;

   a quanto si apprende dalla stampa, i cittadini, riuniti in diversi comitati e sui social network, avrebbero presentato quasi 100.000 ricorsi, basati sul fatto che la segnaletica sarebbe rimasta, per almeno due mesi, invariata e quindi non fosse chiaro per i cittadini in transito il nuovo limite alla circolazione;

   tali comitati sostengono di essere in grado di dimostrare che la segnaletica orizzontale (le strisce bianche e gialle verniciate sulla carreggiata) sia stata realizzata e resa visibile solo il 12 luglio 2017;

   nella relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali del gennaio 2017, vengono riportati i seguenti dati resi noti dalla Corte dei conti nel 2015: i proventi delle multe per infrazione del codice della strada sono stati complessivamente circa 1,6 miliardi di euro, dei quali 563 milioni sono andati ai comuni del Lazio e la gran parte al comune di Roma;

   l'articolo 18, comma 3-bis del decreto-legge n. 50 del 2017, vigente dal 22 giugno 2017, prevede che per gli anni 2017 e 2018, le province e le città metropolitane (quindi anche Roma) possono utilizzare i proventi di tali multe «per il finanziamento degli oneri riguardanti le funzioni di viabilità e di polizia locale con riferimento al miglioramento della sicurezza stradale». Una dizione piuttosto vaga, che amplia le possibilità di utilizzo delle risorse rispetto a quanto previsto dal codice della strada;

   in sede di approvazione del decreto è stato accolto un ordine del giorno (9/4444-A/183, presentato dall'interpellante) con il quale si impegna il Governo «a varare al più presto una regolamentazione stringente sulla rendicontazione annuale da parte di questi enti in relazione ai proventi delle suddette multe e (omissis) ad approntare un meccanismo sanzionatorio adeguato per chi non depositi il rendiconto e non rispetti l'obbligo del miglioramento della sicurezza stradale»;

   le nuove regole sugli autovelox introdotte dalla direttiva sulla sicurezza della circolazione stradale da parte del Ministro dell'interno, Marco Minniti, in data 21 luglio 2017, prevedono strumenti di rilevazione delle infrazioni ben visibili e una chiara segnaletica che avvisi gli automobilisti. Gli elementi della visibilità e della chiarezza della segnaletica stradale sono fondamentali per un corretto rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione e dovrebbero valere in ogni caso di rilevazione di infrazioni con strumenti automatici –:

   se il Ministro interrogato ritenga opportuno assumere iniziative volte a introdurre disposizioni sanzionatorie a carico delle amministrazioni competenti in materia di circolazione stradale, nei casi in cui queste non informino adeguatamente i cittadini o non segnalino adeguatamente le modifiche alla viabilità, ingenerando in tal modo confusione, incertezze applicative e conseguenti oneri a carico della cittadinanza;

   se non ritenga opportuno assumere iniziative per attuare quanto prima il disposto dell'ordine del giorno accolto n. 9/4444-A/183, presentato dall'interpellante;

   quale siano gli orientamenti del Ministro interpellato, per quanto di competenza, rispetto a quanto accaduto, ed esposto in premessa, in relazione alla normativa vigente e al significativo contenzioso in corso.
(2-01938) «Baldelli, Biasotti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DADONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 2015, n. 201, regolamento recante l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale, a norma dell'articolo 698 del codice della navigazione, l'aeroporto di Cuneo Levaldigi è stato inserito tra quelli di interesse nazionale del bacino nord ovest;

   secondo quanto disposto dall'articolo 1, comma 4, del richiamato decreto, gli aeroporti di interesse nazionale devono rispettare alcune condizioni quali la capacità di esercitare un ruolo ben definito all'interno del bacino, con una specializzazione dello scalo e una riconoscibile vocazione dello stesso, funzionale al sistema aeroportuale di bacino da incentivare, e quella di dimostrare, tramite un piano industriale, corredato da un piano economico-finanziario, il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario anche tendenziale e di adeguati indici di solvibilità patrimoniale, almeno su un triennio;

   l'aeroporto di Cuneo Levaldigi è stato oggetto di ripetute crisi e rallentamenti nello svolgimento dei servizi di trasporto che contrastano con quanto emerso dal bilancio 2016 dove è risultato che ogni giorno in media cinque voli sono di velivoli tra le 15 e le 40 tonnellate, quindi di jet privati. Questo dato si combina con quello di incremento registrato nei soggiorni tra Langhe e Roero;

   da ultimo secondo la denuncia apparsa su La Stampa edizione di Cuneo del 15 settembre 2017, nel corso del mese di agosto e, a quanto risulta dagli interroganti, ancora oggi lo scalo aeroportuale a causa di un guasto non offrirebbe alcun servizio igienico ai passeggeri;

   ad oggi non risulta presente alcun piano prospettico per lo scalo di Levaldigi e per il territorio circostante che permetta alla comunità del cuneese di comprendere effettivamente quale sarà il futuro occupazionale, infrastrutturale, commerciale e più in generale produttivo dell'aeroporto;

   sarebbe opportuno e a questo punto imprescindibile avviare un confronto aperto con la comunità e le istituzioni locali, le associazioni di categoria e il Governo per definire il quadro entro cui ripensare lo scalo di Levaldigi secondo le effettive esigenze e potenzialità –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda intraprendere al fine di individuare le effettive esigenze del bacino e le potenzialità dello scalo aeroportuale di cui in premessa.
(5-12198)


   ANZALDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il caos nel trasporto aereo legato alle decisioni assunte da parte della società Ryanair, sta creando pesantissimi disagi e danni economici all'utenza e al Paese;

   per un errore di programmazione sulle ferie dei piloti, infatti, dai giorni scorsi Ryanair ha iniziato a procedere con la cancellazione senza preavviso di decine di voli al giorno;

   solo nell'ultimo week end si sono registrate oltre 150 cancellazioni e secondo quanto dichiarato dal capo azienda O'Leary saranno coinvolti circa 400 mila passeggeri;

   le cancellazioni improvvise hanno interessato gli scali italiani di Bari, Bergamo, Bologna, Pisa, Brindisi, Venezia-Treviso e Palermo;

   in merito alle motivazioni addotte dalla società emergono una serie di interrogativi sulla gestione dei contratti di lavoro e una eccessiva rigidità per una società portata a modello per la flessibilità che ne ha determinato l'affermazione sul mercato nel corso degli anni;

   ci si chiede come mai l'azienda non ha optato per scelte finalizzate a tutelare l'utenza che ha già da tempo prenotato suddetti voli;

   molte delle regioni presso le quali si sono verificati disagi sostengono la compagnia Ryanair con incentivi per gli slot, quindi con danaro pubblico;

   l'annunciato preavviso di soli 3 giorni sui voli annullati rappresenta un disagio inaccettabile che getta nell'incertezza tutte le migliaia di passeggeri che hanno acquistato biglietti Ryanair per i prossimi mesi;

   si è di fronte, per le dimensioni dei disagi che riguardano 400 mila persone, a uno dei peggiori disservizi nella storia dell'aviazione civile –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere tempestivamente, d'intesa con tutti gli organismi competenti, per porre fine ai disagi quotidiani che si registrano, assicurando attraverso l'Enac, che la compagnia provveda alla riprotezione di tutti i passeggeri coinvolti con relativi danni economici;

   quali iniziative si intendano assumere per approfondire la situazione dell'azienda e se l'Enac intenda valutare la comminazione di una sanzione per i disservizi creati negli scali italiani, nonché l'eventuale sospensione del Coa (certificato operatore aereo).
(5-12207)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, FOLINO, MOGNATO, SCOTTO, MELILLA, NICCHI, PIRAS, QUARANTA, DURANTI e SANNICANDRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto risulta agli interroganti, nella programmazione dei voli Alitalia, a partire dal mese di novembre 2017, non compaiono più i collegamenti tra la città di Roma e Ancona;

   la compagnia aerea ha confermato la soppressione di tale tratta;

   tale indirizzo da parte di Alitalia, considerato che la tratta genera un fatturato di 800 milioni di euro, rappresenta un duro colpo per Aerdorica s.p.a. – aeroporto delle Marche –:

   quali iniziative urgenti s'intendano assumere, per quanto di competenza, al fine di garantire la continuità e l'efficacia del trasporto aereo tra la città di Ancona e la città di Roma, anche a tutela di un territorio, come quello delle Marche, che proprio in virtù dei recenti eventi sismici, ha estremo bisogno di garanzie in termini di collegamenti.
(4-17830)


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   agli interroganti pervengono spesso espressioni di malessere da parte di militari della Guardia costiera, in quanto trasferiti dopo diversi anni che si sono stabiliti in una determinata sede o anche a pochi anni dalla pensione. Ciò comporta inoltre una importante spesa per le indennità di trasferimento, che a volte appaiono ingiustificate, creando al contempo forte disagio per i militari con conseguente riflesso sul rendimento in servizio;

   il personale della Guardia costiera, composto all'incirca da soli 11.000 uomini, svolge e assicura l'importante attività di soccorso e l'attività di polizia marittima e di sicurezza della navigazione, oltre che di polizia ambientale e del controllo su tutta la filiera della pesca;

   nonostante il personale risulti sottoorganico, la Guardia costiera italiana rappresenta un'eccellenza italiana nel mondo proprio per le grandi capacità organizzative nelle attività di «Search and Rescue» (SAR) che ha saputo dimostrare di avere negli ultimi anni in cui si è affrontata l'emergenza migranti;

   il Comando generale ha provveduto a stilare un regolamento cosiddetto «PERS 1» che tende a movimentare il personale anche quando non sussistono cause di incompatibilità «ambientale», quando nessuno esprime richiesta di trasferimento ad altra destinazione o quando quella destinazione non è oggetto di richiesta di trasferimenti da parte di nessun militare;

   ciò provoca tensioni e malessere tra il personale coinvolto che potrebbe ambire a rimanere nella stessa destinazione a prescindere dai periodi di permanenza (5 anni per gli uffici locali, 15 anni per gli uffici circondariali marittimi o per particolari comandi, come nella Campania o Puglia);

   altri ordinamenti militari utilizzano graduatorie basate su criteri di meritocrazia e di anzianità del personale che aspira ad essere trasferito, metodologia che potrebbe mitigare il malumore che sorgerebbe per chi, invece, è costretto a dover cambiare sede di servizio a causa dell'applicazione in maniera insindacabile del regolamento «Pers 1» –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere nei confronti del personale della Guardia costiera per limitare al minimo i trasferimenti d'autorità, con conseguente risparmio di spesa per il dicastero delle infrastrutture e dei trasporti approntando le dovute modifiche alla circolare «PERS 1»;

   se si intenda provvedere ad applicare metodologie di utilizzo di apposite graduatorie stilate in base ai meriti e alle anzianità per chi aspira ad essere trasferito nelle sedi richieste favorendo anche le necessità di copertura delle vacanze organiche dell'amministrazione;

   quale sia il numero di appartenenti alla Guardia costiera che è stato trasferito d'ufficio e a quanto ammonti la spesa annuale per tali trasferimenti, divisa per ruoli ufficiali, marescialli, sergenti e graduati negli anni 2015, 2016 e del 2017;

   quali siano i risultati ottenuti attraverso l'utilizzo dell'istituto dell'avvicendamento reciproco.
(4-17834)


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il Ceo della low cost irlandese Ryanair ha informato negli scorsi giorni che, per un errato calcolo nelle ore di riposo dei piloti della compagnia irlandese, sino alla fine di ottobre verranno cancellati circa il 2 per cento dei 2500 collegamenti quotidiani, quindi un numero variabile tra 1680 e 2100 voli totali;

   sempre la compagnia irlandese ha informato che saranno coinvolti nelle cancellazioni circa 400 mila passeggeri, con una richiesta di rimborsi che raggiungerà la cifra di 20 milioni di euro;

   in realtà, i disagi sono ormai presenti da tempo in tutta Europa;

   associazioni di consumatori spagnole, tra le prime, hanno posto la questione chiedendo il rispetto dei diritti dei passeggeri danneggiati e lo stesso Ministero dei trasporti iberico ha aperto un dossier per assicurare che questi diritti siano rispettati dalla compagnia irlandese;

   anche l'Unione europea è intervenuta, dichiarando di aspettarsi che Ryanair rispetti le regole sui diritti dei passeggeri. Se è vero, infatti, che le decisioni operative spettano alle compagnie aeree, queste, operando in ambito europeo, devono rispettarne le norme. Quindi, i passeggeri che vedono cancellati voli hanno diritto al rimborso, alla riprogrammazione su altri voli o al rientro, così come il diritto alla cura ed alle compensazioni;

   è risaputo e dimostrato, a tal proposito, che non sempre questo avvenga, in particolare per quel che riguarda i preavvisi di cancellazione del volo, che non sempre arrivano per mail entro le 48 ore precedenti;

   risulta infatti all'interrogante che pressoché di norma la compagnia Ryanair proceda alla cancellazione dei voli pochi minuti prima del decollo, addirittura con passeggeri già a bordo da diverso tempo, o dopo averne più volte ritardato l'imbarco lasciando gli utenti nel più totale abbandono, come di recente avvenuto all'aeroporto di Trapani dove, dopo una decisa azione di protesta dei passeggeri, l'assistenza è stata garantita grazie al pronto intervento del prefetto, dalle forze dell'ordine e dall'efficienza del personale aeroportuale;

   inoltre, pur non essendovi una norma tassativa europea al riguardo (si parla solo di portare il viaggiatore a destinazione «prima possibile»), diverse compagnie applicano come standard due giorni. Passate le 48 ore il viaggiatore deve raggiungere la meta, altrimenti il vettore si preoccupa di acquistare un volo alternativo a bordo di un'altra compagnia;

   le regole europee, invece, fissano l'obbligo per la compagnia di provvedere gratuitamente all'alloggio e ai pasti dei passeggeri obbligati ad attendere un nuovo volo. Risulta ancora all'interrogante che tutti questi obblighi spesso non verrebbero rispettati da Ryanair;

   non risulta che le autorità competenti e il Governo siano ancora intervenuti per condannare quanto sta accadendo, e che potrebbe, a parere dell'interrogante, configurarsi anche come interruzione di pubblico servizio –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per affrontare una questione che non può essere ignorata dalle autorità italiane, coinvolgendo essa, nei gravi disagi illustrati, migliaia di concittadini.
(4-17836)


   D'UVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con notizia divulgata da numerosi quotidiani tra cui il Giornale di Sicilia, con articolo a firma di Vincenzo Corbino nell'edizione online del 2 settembre 2017, si è annunciato il taglio dell'intercity notturno che collega la Sicilia alla città di Roma;

   il giornalista segnala: «dal nuovo orario invernale di Trenitalia pronta la soppressione dei treni “intercity” che garantiscono il collegamento diretto tra la stazione centrale di Siracusa e Roma e quello che compie il percorso inverso. In base alla nuova riorganizzazione del traffico ferroviario nel periodo invernale la cancellazione riguarderebbe il treno 1956 che parte alle 19,10 da Siracusa per raggiungere la capitale alle 7,13 del giorno seguente. Una decisione che ha sollevato polemiche e proteste.»;

   secondo quanto analizzato dall'articolo Riccardo D'Andrea su un articolo pubblicato in data 4 settembre 2017 sul quotidiano cartaceo La Gazzetta del Sud, a seguito di tale soppressione, resterebbero a disposizione dell'utenza circa 300 posti in meno a quelli garantiti in precedenza;

   questi annunci, frutto di scelte dei vertici di Trenitalia ad avviso dell'interrogante inaccettabili, sono ormai divenuti abituali e ricorrenti, già oggetto di ferme opposizioni da parte politici, sindacati, cittadini e di tutti coloro che ritengono che tali azioni costituiscano serie e preoccupanti minacce alla continuità territoriale ed al diritto alla mobilità dei cittadini del Sud Italia e della Sicilia, dimenticati nelle strategie di trasporto nazionale e fin troppo spesso depauperati delle risorse necessarie che vengono sempre destinate altrove;

   decisione che si porrebbe, finanche, in contrasto con l'accordo siglato con il Ministero in data 19 gennaio 2017, di valenza decennale, con cui si prevedeva un notevole incremento delle risorse finanziarie allo scopo di confermare l'attuale numero degli intercity e nel contempo migliorare attrattività, qualità ed efficacia del servizio;

   sul punto l'interrogante, quale primo firmatario ed unitamente ad altri deputati aveva già avanzato delle istanze al Ministro con l'interrogazione n. 4-07753 del 5 febbraio 2015, chiedendo un intervento urgente «affinché venga impedita la possibile soppressione del servizio treni a lunga percorrenza tra la regione siciliana la penisola italiana, a tutela di un diritto di continuità già fortemente compromesso» proponendo altresì di «predisporre un piano organico di trasporti per l'area dello stretto di Messina, garantendo in via ordinaria un servizio che tuteli il diritto alla continuità territoriale dei cittadini, assicurando, anche in sede di contratto di programma, che il servizio di trasporto veloce non venga sovvenzionato attraverso la soppressione di un servizio altrettanto essenziale qual è il trasporto ferroviario di collegamento tra la Sicilia e il resto del Paese»; ed ancora, con l'interrogazione n. 4-13460, presentata dal deputato Luigi Di Maio ed altri, si è chiesto al Governo «se intenda adoperarsi, nei limiti delle sue competenze, al fine di verificare e, in caso di positivo riscontro, agevolare la fattibilità di interventi strutturali e organizzativi che possano migliorare l'attuale sistema di trasporto ferroviario per i collegamenti tra la Sicilia e la penisola italiana, determinando una sostanziale riduzione dei tempi di traghettamento e di viaggio dei treni a lunga percorrenza, anche attraverso un ammodernamento di convogli utilizzati attraverso l'introduzione di treni di tipo “Frecciabianca”, assicurando standard qualitativi adeguati e, contestualmente, la necessaria continuità territoriale», ad oggi, è stata fornita alcuna risposta –:

   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato, anche alla luce degli annunci di «tagli» al trasporto ferroviario prospettati dai vertici di Ferrovie dello Stato italiane, al fine di garantire il diritto alla mobilità dei cittadini siciliani e la continuità territoriale tra le sponde dello stretto di Messina, considerati gli impegni assunti con l'accordo siglato in data 19 gennaio 2017.
(4-17841)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata:


   FRANCO BORDO, LAFORGIA, MARTELLI, ROBERTA AGOSTINI, BOSSA, CIMBRO, CAPODICASA, DURANTI, FERRARA, FOLINO, FONTANELLI, FORMISANO, FOSSATI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, LACQUANITI, MATARRELLI, MELILLA, MOGNATO, MURER, NICCHI, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, RAGOSTA, RICCIATTI, ROSTAN, SANNICANDRO, SCOTTO, STUMPO, ZACCAGNINI, ZAPPULLA, ZARATTI e ZOGGIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 28 ottobre ricorre l'anniversario della triste marcia su Roma durante la quale, nel 1922, 25.000 camicie nere marciarono verso la capitale, dando il via alla stagione più buia, violenta e dolorosa della storia italiana, ovvero la dittatura fascista, condannata dalla storia e dalla Costituzione;

   Forza Nuova, formazione di estrema destra, il 3 settembre 2017 ha lanciato sulla pagina Facebook l'evento «28 ottobre in marcia», nel quale figura un post ove si specifica: «Bandiere, striscioni, auto, pullman, benzina (...) Compatriota, la macchina organizzativa è in moto ed ha bisogno del tuo sostegno concreto. Il 28 ottobre Roma ospiterà la grande marcia forzanovista contro un Governo illegittimo, per dire definitivamente no allo ius soli e per fermare violenze e stupri da parte degli immigrati che hanno preso d'assalto la nostra Patria»;

   nel post compare anche una richiesta di sostegno nella quale si invitano gli utenti a contribuire «alla marcia con una donazione all'indirizzo PayPal inmarcia@forzanuova.info»;

   negli ambienti del partito, capitanato da Roberto Fiore, a quanto riporta la stampa, c'è riserbo su modalità e dettagli della «marcia dei patrioti», anche se la circostanza che sia stata comunicata sui social network fa supporre che i dirigenti forzanovisti abbiano chiesto un'autorizzazione al comune e alla questura;

   la forza rievocativa del 28 ottobre è un segnale non trascurabile negli ambienti dell'estrema destra e, malgrado la legge condanni i tentativi di ricostituzione del partito fascista, vi è chi, nel nostro Paese, attribuisce connotazioni positive all'esperienza della dittatura fascista, rievocandone persino le date simboliche, modalità e parole d'ordine, facendone, altresì, propaganda;

   a seguito della campagna contro lo ius soli, che ha comportato scontri sotto il Senato della Repubblica il 15 giugno 2017, Forza Nuova continua ad alzare il tiro: si registrano, infatti, numerose iniziative sconcertanti, dal manifesto sui migranti stupratori, ispirato alla Repubblica sociale italiana, alle ronde con pugili e ultras;

   la «legge Scelba» sanziona chiunque «promuova od organizzi sotto qualsiasi forma, la costituzione di un'associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure chiunque pubblicamente esalti esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche» –:

   quali iniziative urgenti intenda promuovere il Ministro interrogato affinché la marcia fascista, convocata per il 28 ottobre 2017 a Roma da Forza Nuova, non venga consentita.
(3-03246)


   MARCON, CIVATI, PALAZZOTTO, ANDREA MAESTRI, AIRAUDO, BRIGNONE, COSTANTINO, DANIELE FARINA, FASSINA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, PAGLIA, PANNARALE, PASTORINO, PELLEGRINO e PLACIDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 22 agosto 2017 la Reuters ha riportato che gruppi armati impedivano ai barconi di migranti di partire da Zawiya, in Libia, da dove improvvisamente sono cessati i traffici di esseri umani che per anni hanno imperversato nella zona;

   quest'area della Libia, come la vicina Sabrata, sono in mano a milizie (anche di Daesh) che controllano e gestiscono ogni tipo di contrabbando: petrolio, armi, esseri umani;

   un'indagine di Middle East eye rivela che l'improvvisa cessazione delle partenze è stata possibile grazie ad accordi economici con i gruppi armati dei trafficanti e contrabbandieri, perché il Governo di Al-Sarraj non ha il controllo dell'area e dei gruppi armati;

   anche il capo della guardia costiera libica del posto, Bija, sarebbe al soldo di alcune milizie e in patente conflitto di interessi, dovendo ora impedire alle navi delle organizzazioni non governative di entrare in acque territoriali libiche, sulla base del codice di condotta varato dall'Italia. La guardia costiera di Zawiya è la stessa sospettata di aver fatto fuoco su una nave di Medici senza frontiere, in acque internazionali, il 17 agosto 2016;

   la stampa e il direttore generale del dipartimento del Ministero dell'interno libico per la lotta alla migrazione illegale hanno riferito che l'accordo economico con le milizie armate che impediscono ai barconi di partire sia stato fatto direttamente dall'Italia, che fornirebbe ai trafficanti soldi e mezzi per fare il lavoro di contenimento richiesto dal Governo italiano;

   con questa accusa rivolta all'Italia a sei colonne, si apriva la prima pagina di Le Monde del 15 settembre 2017;

   secondo un'inchiesta dell’Associated press, due delle milizie coinvolte nel traffico di esseri umani, Al-Ammu e Brigata 48, sarebbero state «integrate» ufficialmente nelle forze di sicurezza del Governo riconosciuto, per garantire all'Italia di lavorare direttamente con forze che almeno formalmente non siano più considerate milizie o trafficanti;

   la tregua così ottenuta dipenderebbe dal continuo sostegno alle milizie. Si parla di 5 milioni di euro per il blocco delle partenze per un mese;

   se tali notizie fossero confermate il «successo» del Governo italiano nasconderebbe un segreto terribile: starebbe facendo accordi con trafficanti, assassini e torturatori, a parere degli interroganti facendo finta di ignorare che le persone ammassate in Libia dagli stessi trafficanti rimangono preda di torture, stupri e sevizie –:

   se corrisponda al vero che l'Italia stia corrispondendo fondi o beni di altra natura a milizie e trafficanti che operano sulle coste libiche e in che misura.
(3-03247)


   GRIBAUDO, FIANO, BARGERO, BONOMO, BORGHI, PAOLA BRAGANTINI, D'OTTAVIO, FIORIO, FREGOLENT, GIORGIS, LAVAGNO, ROSSOMANDO, TARICCO, PIAZZONI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la giunta comunale di San Germano Vercellese (Vercelli) in data 9 agosto 2017 ha adottato la delibera n. 72, avente ad oggetto la «Tutela del territorio sangermanese dall'invasione/immigrazioni delle popolazioni africane e non solo. Provvedimenti», contenente prese d'atto, osservazioni e ricostruzioni dei fatti altamente lesive dell'immagine e della dignità professionale dei soggetti istituzionali e non, in essa citati;

   in particolare, si fa riferimento a frasi quali: «È intollerabile che prefetture, privati organizzazioni (religiose e non), cooperative ed enti in genere facciano business con il sistema dell'accoglienza disinteressandosi (letteralmente fregandosene) dell'amministrazione comunale»; oppure: «Una delocalizzazione avvertita come un'imposizione, che non risponde a progetti di integrazione, ma che invece, favorisce un business di affidamenti e gestioni ad associazioni nate come funghi, senza avere un briciolo di esperienza» o a presunte politiche, definite «scellerate», delle amministrazioni precedenti che avrebbero portato ad una «crisi economica ed a un disagio sociale» e ad un «forte debito per la comunità»;

   a considerazioni secondo le quali l'Italia si sarebbe «trasformata in un campo profughi/clandestini e che ad oggi non si rinvengono soluzioni politiche e normative sia a livello nazionale e sia a livello internazionale» e il Governo, tramite le prefetture o altri organi, attiverebbe direttamente accordi e convenzioni con i privati finalizzati alla gestione e ospitalità dei migranti nei tempi di attesa dell'espletamento delle necessarie procedure e verifiche, «non prevedendo il parere o l'acquiescenza dell'amministrazione comunale»;

   viene deliberata la «non accettazione della proposta di un'accoglienza diffusa sul territorio sangermanese, quale progetto presentato dalla prefettura-utg», nonché l'esclusione della «collocazione ad imperio» di profughi/clandestini, in quanto lederebbe «i principi di autonomia e rappresentatività diretta dei cittadini in seno alle istituzioni locali» –:

   se il Ministro interrogato sia stato informato di tale deliberazione del comune di San Germano Vercellese, a parere degli interroganti altamente lesiva delle politiche e dei soggetti in essa citati, e quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire il rispetto, su tutto il territorio italiano, della sicurezza e della legalità, al fine di tutelare adeguatamente i cittadini italiani, nonché i soggetti immigrati e richiedenti lo status di profugo, e al fine di evitare atti, iniziative e atteggiamenti volti a dividere le comunità residenti sul territorio italiano, favorendo le disuguaglianze e contrastando le politiche di inclusione nazionali, anche attraverso l'annullamento degli effetti della citata delibera comunale che, in alcuni passaggi, a parere degli interroganti indica la volontà del comune di sostituirsi ad altri soggetti istituzionali, competenti da norma di legge all'applicazione della normativa vigente in materia.
(3-03248)


   RAVETTO, BRUNETTA e GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la protezione internazionale è disciplinata nell'ordinamento italiano attraverso tre istituti: il diritto d'asilo, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria. A differenza degli altri due, che trovano riscontro nella gran parte degli ordinamenti, il terzo costituisce nella sostanza una peculiarità italiana, che presenta diversi profili di problematicità, sia giuridici sia applicativi;

   la protezione umanitaria non nasce né da obblighi internazionali, né dalla necessità di dare adempimento a un principio costituzionale. Essa è una scelta autonoma del legislatore ordinario, introdotta dalla «legge Turco-Napolitano» del 1998 (in un contesto totalmente diverso rispetto allo scenario odierno) e prevede che la questura possa rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari tutte le volte in cui le commissioni territoriali, pur non ravvisando gli estremi per la protezione internazionale, rilevino «gravi motivi di carattere umanitario» a carico del richiedente asilo;

   sulla base delle valutazioni delle commissioni territoriali, il questore non ha alcun potere accertativo circa la sussistenza del diritto ed è tenuto obbligatoriamente al rilascio del titolo;

   è di particolare rilevanza, inoltre, il tema del rinnovo di tali permessi alla loro scadenza, con particolare riferimento alle ulteriori valutazioni di merito che andrebbero effettuate nella concessione del rinnovo;

   ci sono buone ragioni per ritenere necessaria l'abrogazione di tale tipo di protezione in Italia. Essa rappresenta il tipo di protezione che riguarda la maggior parte dei richiedenti presenti sul territorio italiano ed è fonte di un aggravamento della situazione sul fronte immigrazione. Dal 2010 al 2016 sono stati rilasciati ben 75.194 permessi di soggiorno per motivi umanitari, che hanno rappresentato in media il 25,8 per cento delle richieste presentate. Gli stessi immigrati accusati per gli ultimi, terribili episodi di violenza di Roma e Rimini erano titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari –:

   se intenda fornire opportuni chiarimenti in merito ai numeri, alle modalità e alle principali motivazioni con le quali vengono rilasciati i permessi di soggiorno per motivi umanitari, nonché alle modalità di rinnovo degli stessi, e se intenda adottare specifiche iniziative, anche normative, volte a limitare il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale ai casi strettamente previsti dal diritto costituzionale italiano e dalla normativa europea e internazionale, istituendo un sistema che preveda il solo il diritto di asilo e la protezione sussidiaria.
(3-03249)


   TAGLIALATELA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'amministrazione comunale di Napoli ha deciso di trasferire nella caserma Boscariello di Miano, quartiere della periferia nord della città, circa trecento rom della comunità di Scampia - Cupa Perillo, prima alloggiati in un campo distrutto da un incendio divampato domenica 27 agosto 2017;

   la caserma avrebbe dovuto ospitare la cittadella dello sport, un progetto per trasformare l'area della caserma in un «presidio di sport e legalità», che prevede la realizzazione di quattro palestre, una ludoteca per bambini di duemila metri quadri, che comprende anche spazi all'aperto, e una bocciofila che possa fungere da punto di ritrovo per gli anziani;

   la scorsa settimana, nell'ambito di un'audizione innanzi alla Commissione d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, il Ministro per lo sport ha incredibilmente sostenuto che adibire l'area della Boscariello a campo nomadi sia compatibile con l'inizio dei lavori per la realizzazione della cittadella dello sport;

   il trasferimento dei nomadi sta suscitando le forti proteste dei cittadini residenti nella zona, che hanno raccolto oltre duemila firme contro l'iniziativa e hanno promosso manifestazioni e cortei, rivendicando, invece, la realizzazione della cittadella dello sport, fattore essenziale per la riqualificazione sociale dell'area –:

   come sia possibile conciliare la presenza di oltre trecento nomadi con l'avvio dei lavori per la realizzazione della cittadella dello sport e se non ritenga di trovare per i medesimi una destinazione diversa, permettendo la tempestiva realizzazione della tanto attesa struttura sportiva.
(3-03250)


   MOTTOLA e VIGNALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'ultimo rapporto Aci rileva che nel 2016 gli introiti delle sanzioni per infrazioni al codice della strada sono aumentate del 45 per cento. Su 100 contravvenzioni, 84 sono emesse dalle polizie locali. Tra l'altro, l'europea Transport safety ha attestato che tra il 2010 ed il 2015 il nostro Paese ha segnato un maggior incremento di sanzioni per eccesso di velocità (più 15 per cento: circa 50 multe ogni 1.000 abitanti);

   si tratta di cifre elevatissime pagate dai cittadini ed utilizzate dai comuni, nella stragrande maggioranza dei casi, per rimpinguare i bilanci più che per garantire la sicurezza, la tutela e la salvaguardia dei conducenti di mezzi e dei pedoni;

   in realtà la maggior parte delle amministrazioni sollecita le forze di polizia locali a sanzionare i conducenti di veicoli sulla base di limiti e divieti per lo meno discutibili, proprio al fine di erogare multe elevate nei confronti dell'utenza con il reale intento di «fare cassa», ovvero di implementare le risorse nei loro bilanci;

   questo atteggiamento denota un uso distorto del potere sanzionatorio che dovrebbe invece tendere alla sicurezza dei cittadini (anche attraverso il miglioramento e la messa in sicurezza delle infrastrutture) e non costituire (attraverso quelli che appaiono agli interroganti in sostanza metodi vessatori), un ulteriore balzello usato per risanare i bilanci comunali;

   infatti, il principio che dovrebbe essere sempre tenuto presente è che le multe costituiscono una misura educativa nei confronti dei cittadini che devono rispettare le regole previste dal codice della strada, per la propria e l'altrui sicurezza;

   in questo contesto, il Governo ha già adottato misure agevolative nei confronti degli utenti, prevedendo che il cittadino sanzionato che paghi la multa entro 5 giorni dalla sua notifica possa ottenere uno sconto del 30 per cento sulla cifra da pagare –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare affinché gli enti locali evitino di far sì che l'erogazione delle multe costituisca una vera e propria tassazione effettuata solo per implementare i bilanci comunali e non come strumento e misura educativa per i cittadini.
(3-03251)

Interrogazione a risposta orale:


   NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la provincia di Sassari rappresenta, dopo la provincia di Cagliari, il secondo bacino demografico della Sardegna, con una popolazione di 333.576 unità;

   il controllo di suddetto territorio, così esteso e così densamente abitato rispetto alla maggior parte della restante isola, è svolto da una dotazione organica totale di 507 unità di vigili del fuoco, a fronte del fabbisogno individuato dal decreto del Ministro dell'interno recante la ripartizione delle dotazioni organiche del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, pubblicato in data 12 aprile 2017, di 591 unità;

   si registra dunque una carenza nella dotazione organica di circa 84 unità;

   alla struttura di cui sopra è assegnato attualmente un solo direttivo, tra l'altro prossimo al pensionamento, rispetto alle 6 unità individuate nel decreto di cui sopra. Nella provincia di Sassari dunque la carenza del personale con ruolo direttivo si attesta attualmente intorno al 83 per cento, rispetto ad una carenza a livello nazionale pari al 14 per cento. Dato, tra l'altro, destinato entro l'anno a raggiungere il 100 per cento qualora non si provvedesse per tempo alla sostituzione di suddetto direttivo;

   relativamente al personale cosiddetto Sati ovvero amministrativo - contabile e tecnico informatico, il comando di Sassari, rispetto alla carenza a livello nazionale che si attesta intorno al 19 per cento, registra un preoccupante 57 per cento destinato, in vista dei prossimi pensionamenti, a raggiungere il 65 per cento entro l'anno;

   secondo quanto dichiarato dalle sigle sindacali tutto il servizio informatico del Comando farebbe capo esclusivamente ad un solo addetto –:

   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di provvedere in tempi celeri alla normalizzazione e quindi all'implementazione della dotazione organica del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco impiegato presso il comando della provincia di Sassari.
(3-03243)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'UVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con interrogazione a risposta scritta n. 4-08755 presentata dal sottoscritto nella seduta n. 407 del 13 aprile 2015 è già stata segnalata la gravissima carenza di organico in forza al comando provinciale dei vigili del fuoco di Messina, ove il sacrificio del personale ivi assegnato, seppur esemplare, non consentiva di garantire il pubblico soccorso e la sicurezza civile, con grave pericolo per l'incolumità dei cittadini, delle abitazioni e delle imprese della provincia di Messina;

   sin dal precedente atto di sindacato ispettivo, si sono, peraltro, segnalate le peculiarità della provincia di Messina che determinano la necessità di un'adeguata organizzazione del servizio di pronto intervento dei vigili del fuoco, trattandosi di una vasta provincia ad altissimo rischio sismico, idrogeologico ed industriale, caratterizzata finanche dalla presenza della raffineria della città di Milazzo;

   con risposta scritta pubblicata il 21 marzo 2016, il sottosegretario di Stato per l'interno Gianpiero Bocci ha premesso che «le ultime manovre finanziarie non hanno reso possibile la sistematica copertura del turn over del personale posto in quiescenza, determinando l'impossibilità non soltanto di completare l'organico teorico, ma anche di coprire i posti resi vacanti dai pensionamenti intervenuti», ma ha altresì fatto presente che, a seguito della riorganizzazione dei comandi provinciali, per quello di Messina è stata prevista una dotazione organica teorica di 298 unità operative, il cui personale effettivo sarebbe stato incrementato nei mesi a venire;

   senonché, a seguito dei noti tragici eventi che hanno caratterizzato il mese di luglio 2017 e continuano ancora oggi ad imperversare nella città e nella provincia di Messina, con incendi vastissimi che hanno portato alla distruzione di centinaia di ettari di territorio boschivo fino a spingersi finanche a ridosso di moltissime abitazioni, con danni incalcolabili, corre l'obbligo di riproporre la gravissima insufficienza di mezzi e personale in cui versa il comando provinciale dei vigili del fuoco di Messina, che nonostante il grandissimo impegno non riesce a fronteggiare adeguatamente le numerose emergenze;

   gli stessi vigili del fuoco, con articolo pubblicato sul quotidiano online www.tempostretto.it in data 11 luglio 2017, hanno denunciato che «la macchina dei soccorsi è al limite», ed in particolare che «a tutt'oggi il parco automezzi risulta insufficiente ed obsoleto, molti mezzi sono fuori uso da tempo per l'usura a cui sono sottoposti. Alcuni mezzi che operano sul territorio sono inidonei alla lotta per incendi boschivi e quindi spesso non risultano adatti alla tipologia di interventi in cui vengono impiegati. Attualmente mancano 6 APS (autopompeserbatoio) che sono in riparazione con tempi medio lunghi per la loro rimessa in servizio, i moduli boschivi sono pochi.»;

   inoltre, sussiste una carenza di organico che non risulta affatto adeguata nonostante gli ultimi impegni assunti dal Governo, laddove il comando provinciale di Messina presenta ancora oggi un rapporto numero vigili del fuoco/abitanti pari ad 1/2125, di gran lunga inferiore rispetto alla maggior parte delle città italiane, o di quelle con numero di abitanti similare;

   ancora, risulta finanche irrisolto il problema delle sedi, laddove nonostante la previsione di una sede provinciale presso la città di Roccalumera, a causa dell'indisponibilità di locali, più personale ivi destinato si trova da diversi mesi ospitato presso il comando provinciale di Messina ad oltre 30 chilometri di distanza –:

   se il Ministro interrogato intenda adoperarsi, anche rivisitando i criteri di assegnazione del personale e dei mezzi ai comandi provinciali dei vigili del fuoco, affinché possano colmarsi le gravi carenze che interessano il comando provinciale di Messina, che non consentono oggi di assicurare il pubblico soccorso e la sicurezza civile in un territorio ad altissimo rischio sismico, idrogeologico ed industriale, né di affrontare gli interventi necessari a tutela del patrimonio boschivo.
(4-17840)


   LIUZZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'emissione della nuova carta d'identità elettronica (Cie) implica il coinvolgimento di una pluralità di attori istituzionali tra cui il Ministero dell'interno che è il soggetto preposto alla gestione del sistema di emissione e rilascio della carta e dell'autenticità dei dati dei cittadini e l'Istituto poligrafico e zecca dello Stato S.p.A., società partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, che è il soggetto responsabile della produzione e della spedizione delle carte;

   Roma Capitale, unitamente ai comuni di Milano e Napoli, realizza la fase sperimentale di rilascio della Cie in attesa della sua estensione all'intero territorio nazionale che dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2018;

   la complessità del sistema, le cui modalità tecniche di realizzazione sono state definite con decreto del Ministero dell'interno del 23 dicembre 2015, ha generato difficoltà sul rilascio della Cie, anche in ragione del collegamento dati, non sempre ottimale, fornito dal Ministero dell'interno;

   il dipartimento innovazione tecnologica direzione Coordinamento servizi delegati di Roma Capitale, con comunicazione del 26 giugno 2017, a quanto consta all'interrogante, ha segnalato agli organi competenti alcune criticità legate al rilascio delle Cie quali: frequenti rallentamenti di collegamento al software di gestione Cie online e al portale Ina Saia; impossibilità di revocare la Cie subito dopo l'emissione in caso di errori materiali commessi dall'ufficiale d'anagrafe; difficoltà nell'inserimento dei dati dei genitori per le carte d'identità elettroniche emesse per i minori, frequenti casistiche di disallineamenti tra le banche dati Ina Saia, Agenzia delle entrate e Sistema gestionale anagrafico comunale; difficoltà ad interagire con il numero verde messo a disposizione dal Ministero dell'interno che non sempre fornisce risposte tempestive per la risoluzione delle anomalie che impediscono l'emissione della Cie;

   nella comunicazione si legge inoltre che la direzione servizi delegati e decentramento, dopo aver interpellato tutti i municipi capitolini, ha rilevato la necessità di ulteriori 48 postazioni per il rilascio della Cie in aggiunta al parco macchine già fornito dal Ministero dell'interno;

   con successiva comunicazione del 4 luglio 2017, il suddetto dipartimento ha anche evidenziato l'esigenza di intensificare la campagna di comunicazione demandata al Ministero dell'interno sulla Cie per informare i cittadini sulle nuove caratteristiche della Cie e, conseguentemente, sulla diversità di rilascio rispetto alla carta d'identità tradizionale;

   i problemi legati all'emissione della Cie che si sono registrati nella città di Roma, sono stati rilevati anche a Milano, con particolare riferimento ai tempi di latenza sul server del Ministero dell'interno che dilatano i tempi di consegna del documento fino a tre mesi;

   se il Ministro interrogato, al fine di incrementare l'uso del documento elettronico e per accelerare il processo di digitalizzazione del nostro Paese, intenda attivarsi per risolvere i problemi di connessione legati al funzionamento dei server, se intenda adottare iniziative atte a soddisfare le richieste di macchine per l'emissione delle Cie che risulterebbero ad oggi insufficienti e se e in quali tempi intenda promuovere una nuova e capillare campagna informativa che renda edotti i cittadini sulle caratteristiche, sui costi e sui tempi di rilascio della Cie.
(4-17843)


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la zona della Bassa Padana risulta, soprattutto negli ultimi anni, purtroppo, protagonista di atti criminosi di varia natura e le ultime notizie di cronaca confermano l'esistenza di un problema legato all'insufficienza numerica del personale addetto alla sicurezza;

   per questo motivo è stato previsto l'arrivo di 13 nuovi ispettori (che termineranno il corso di formazione nel 2018) nel modenese, ma, inspiegabilmente, di queste nuove unità, nessuna è stata assegnata al commissariato di pubblica sicurezza di Mirandola;

   l'organico del commissariato di Mirandola resta quello di prima, nonostante sia apparso palesemente in sottonumero in relazione all'ondata di crimini che colpisce l'area da moltissimo tempo;

   4 ispettori andranno, infatti, alla questura di Modena, 2 a Sassuolo, 2 a Carpi, 1 alla Polstrada Modena Nord, 1 al comando Polstrada, 1 alla Polfer. Sulla base delle ultime comunicazioni del Ministero dell'interno, quindi, nessuno di questi sarà destinato a Mirandola per aumentare l'organico di un commissariato già in forte sofferenza;

   il sindaco di Mirandola, Maino Benatti, ha dichiarato che lo stesso Ministero dell'interno era d'accordo con l'assegnazione di nuove unità al Commissariato e che l'accordo è stato inspiegabilmente disatteso, come comunicato dalla segreteria provinciale del Siulp (Sindacato italiano unitario lavoratori polizia);

   la situazione nell'Area Nord è allarmante: 1.700 furti all'anno, uno ogni 5 ore e, visto l'organico ora in forza a Mirandola, nella bassa modenese mancano, a giudizio dell'interrogante, almeno 8 agenti;

   per i sindacati, invece, al commissariato di Mirandola mancano almeno 10 agenti, circostanza confermata anche dai cittadini residenti nell'area che reclamano più sicurezza e rinforzi immediati;

   gli enti locali, dal canto loro, hanno mantenuto tutti gli impegni presi per quanto riguarda gli investimenti sulla sicurezza, con stanziamenti per telecamere e varchi, controllo di vicinato, assistenti civici e con il progetto della realizzazione della sede del commissariato nell'ex sede del Gil (Gioventù Italiana del littorio) che sta finalmente avanzando –:

   se il Ministro interrogato non intenda fare piena luce sugli ultimi sviluppi relativi al commissariato di pubblica sicurezza di Mirandola, cui non e stato destinato nessun nuovo agente com'era in previsione, secondo precedenti comunicazioni e accordi con l'amministrazione locale;

   se il Ministro interrogato non intenda adottare le iniziative opportune per garantire un livello minimo di sicurezza nell'area della bassa modenese, mantenendo gli impegni presi con l'amministrazione comunale in relazione al potenziamento generale del settore, per far fronte all'aumento degli episodi di criminalità e con le richieste dei cittadini residenti.
(4-17846)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   GINEFRA e VENTRICELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il Cetma è uno dei 9 centri per le tecnologie abilitanti fondamentali (KET) presenti su tutto il territorio nazionale censiti nella piattaforma web lanciata dalla Commissione europea e rivolta a tutte le piccole e medie imprese che intendono commercializzare idee innovative;

   il Cetma da oltre 20 anni rappresenta un asset strategico del sistema economico pugliese nell'ambito dell'attività di ricerca, trasferimento tecnologico e diffusione della conoscenza, con particolare attenzione verso le piccole e medie imprese meridionali;

   costituisce uno degli organismi di ricerca pubblico-privato più importanti del Mezzogiorno ed occupa circa 80 ricercatori;

   oggi a causa dei ritardi da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nella verifica e nella liquidazione dei progetti di ricerca finanziati dal PON ricerca e competitività 2007-2013, versa in una situazione di estremo disagio finanziario;

   dal 3 aprile 2017 è stata attivata la cassa integrazione guadagni ordinaria per tutti gli 80 dipendenti, con riduzione dell'orario lavorativo giornaliero di 2 ore e da marzo non percepiscono né gli stipendi, né le spettanze della cassa integrazione guadagni ordinaria;

   a causa di questa situazione 12 dipendenti si sono dimessi, metà dei quali per «giustificato motivo» per poter accedere all'indennità di disoccupazione (Naspi) quale unico sostegno in attesa di trovare una nuova occupazione;

   tale situazione sta determinando un depotenziamento della struttura con perdita di competenze strategiche, considerata l'esperienza dei ricercatori con ripercussioni negative su tutta l'economia territoriale di pertinenza;

   occorre sostenere tali figure per innescare, attraverso l'innovazione di prodotti e processi, un processo virtuoso di riposizionamento e di incremento della competitività sul mercato –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di velocizzazione tutte le procedure di verifica da parte dell'autorità di gestione del PON REC 2007-2013 necessarie alla certificazione dei contributi da erogare;

   se si intenda valutare l'opportunità di attivarsi per scongiurare il collasso della struttura di ricerca, anche attraverso l'accoglimento della richiesta della regione Puglia di promuovere un fondo di rotazione per anticipare le somme dovute, e se, nell'ambito di un apposito tavolo istituzionale da convocare sul futuro del Cetma, non si intenda assicurare il coinvolgimento anche del Ministero dello sviluppo economico per affrontare le emergenze in questione e per assicurare il prosieguo delle attività in essere, spesso condotte congiuntamente con altri enti di ricerca pubblici a partire da Enea, con l'obiettivo di salvaguardare i livelli occupazionali.
(3-03242)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRATAVIERA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   da recenti notizie di stampa risulta che le università Ca’ Foscari e Iuav con sede a Venezia, nonostante migliorino le loro prestazioni relative all'internazionalizzazione, alle strutture didattiche, al numero degli iscritti, sono penalizzate dalla riduzione delle risorse destinate ai due atenei, che insistono sul Fondo di finanziamento ordinario per il 2017. La riduzione dei finanziamenti ministeriali per Ca’ Foscari è di circa un milione e 270 mila euro, con una diminuzione dei fondi dell'1,71 per cento, mentre per Iuav taglio è di poco meno di 500 mila euro, con un calo dell'1,66 per cento;

   il metodo di distribuzione dei 6,5 miliardi di euro di finanziamenti ministeriali per il 2017-2018 alle università italiane penalizzerebbe quasi tutti gli atenei del Nord, compresi, in Veneto, quelli di Padova e Verona, mentre avvantaggerebbe le università meridionali che, grazie alle nuove regole più flessibili per la ripartizione dei fondi, vedono invece crescere i loro contributi;

   tale diversità di trattamento sarebbe dovuta anche al cambiamento dei parametri di valutazione nel nuovo sistema di ripartizione delle risorse, che ha eliminato i parametri dell'internazionalizzazione e del rendimento studentesco;

   nel 2016 il 7 per cento dei fondi era ripartito in base al parametro dell'internazionalizzazione degli atenei e l'8 per cento in base alle prestazioni degli studenti. L'abolizione di tali parametri penalizza, pertanto, atenei come Ca’ Foscari e Iuav che sull'internazionalizzazione hanno puntato molto e sono in fase di miglioramento;

   per l'internazionalizzazione e la didattica l'università Ca’ Foscari nel 2016 ha ricevuto 5 milioni di euro e ora, col nuovo riparto, si fermerebbe a 3,6 milioni. Anche Iuav, che quest'anno avrà un 13 per cento in più di nuovi iscritti italiani e un 10 per cento in più di stranieri, riceverà meno contributi a causa della variazione dei parametri di valutazione;

   questi nuovi criteri, non tenendo conto dei meriti effettivi e dei miglioramenti ottenuti, rischiano di indebolire, anziché premiare, le università in continuo sviluppo e che si aprono all'esterno, aiutando invece gli atenei meridionali, ai quali è riconosciuto anche un bonus del 40 per cento sui criteri di crescita, negato alle università del Nord –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per modificare il nuovo sistema di riparto dei contributi statali per evitare che i nuovi parametri di valutazione penalizzino proprio le università che sono in continua crescita e risultano per performance tra le migliori del Paese, con evidenti ripercussioni sia sui servizi agli studenti, nonché sugli investimenti in offerta formativa e ricerca.
(5-12199)


   SGAMBATO, MALPEZZI, CAROCCI, ROCCHI, D'OTTAVIO, GHIZZONI, IORI, COCCIA, BLAZINA e DALLAI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da notizie apparse sugli organi di stampa, si apprende che ad Orbassano (Torino) è stata recentemente inaugurata una scuola parentale che esonera le famiglie dall'obbligo di vaccinare i propri figli;

   tale sistema di istruzione consente ai genitori di provvedere da sé, o in gruppi alla loro formazione;

   l'articolo 111 del decreto-legge n. 297 del 1994 e l'articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 76 del 2005 disciplinano tale sistema stabilendo che i genitori, o chi ne fa le veci, che intendano provvedere privatamente o direttamente all'istruzione dei propri figli, ai fini dell'esercizio del diritto-dovere, devono dimostrare di averne la capacità tecnica o economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità, che provvede agli opportuni controlli;

   per la dirigente scolastica non è, dunque, necessario presentare il certificato con le vaccinazioni per iscriversi poiché «siamo un'associazione culturale e non rientriamo nell'ambito di applicazione del decreto Lorenzin»; ad Orbassano, dunque, quasi cento bambini privi di coperture sanitarie si stanno riunendo quotidianamente in un unico luogo, nonostante le raccomandazione di epidemiologi e pediatri, correndo il rischio di contribuire ad un eventuali focolai epidemici;

   infatti, se finora a proteggere quei bambini è stata l’«immunità di gregge», ossia la protezione indiretta assicurata dalla copertura vaccinale di chi sta intorno, è più difficile che ora siano tutelati;

   è molto grave che questo sistema sia utilizzato delle famiglie contrarie alle vaccinazioni come escamotage per iscrivere i propri figli a scuola;

   in tal senso, la regione Piemonte nei giorni scorsi ha chiarito che l'obbligo di vaccinare i bambini è tassativo per quelli con più di sei anni, in età da scuola dell'obbligo e per i più piccoli; possono considerarsi esenti solo i bambini tenuti a casa. Tutti gli altri, che frequentino asili pubblici o privati, micronidi, strutture aziendali, condominiali o parentali, devono rispettare le regole –:

   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo per verificare l'ammissibilità di tale opzione e se sussistano i presupposti per un intervento immediato a tutela dei bambini.
(5-12206)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BINETTI, BUTTIGLIONE, CERA e DE MITA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   sono molte le dichiarazioni e gli altri strumenti adottati da organismi internazionali come la Convenzione dell'Onu sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata in Italia con la legge n. 176 del 1991, sul diritto all'istruzione dei minori. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite, inoltre, ha approvato il 13 dicembre 2006 un testo di convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità, sulla base del principio della «universalità, indivisibilità, interdipendenza e interrelazione di tutti i diritti umani»;

   nel mese di luglio 2017 è entrata in vigore la legge sulla «buona scuola», la n. 107 del 2017, che introduce una serie di novità nel sistema scolastico italiano. Tra tutte, un'attenzione specifica è rivolta ai circa 223 mila studenti disabili, perché, nonostante esista una normativa che esige la piena inclusione scolastica, si assiste oggi alla mancata attuazione di alcuni diritti volti a garantire l'istruzione anche alle persone con disabilità: dalla insufficiente assistenza in classe alle barriere architettoniche, dalla presenza di insegnanti di sostegno poco formati, al servizio di trasporto non sempre garantito;

   d'altra parte, la legge n. 104 del 1992, all'articolo 13, «Integrazione scolastica», parla anche di altre figure specialistiche che completano le attività e le azioni inerenti al processo di integrazione degli alunni disabili, perché l'inserimento e l'integrazione della persona handicappata si realizza anche attraverso interventi e misure che non afferiscono solo all'ambito prettamente scolastico e didattico, ma si estendono anche ai luoghi del sociale e all'ambiente domestico e familiare;

   è interessante richiamare anche un passaggio della sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2010, nella parte in cui si legge che «i disabili non costituiscono un gruppo omogeneo. Vi sono, infatti, forme diverse di disabilità: alcune hanno un carattere lieve ed altre gravi. Per ognuna di esse è necessario pertanto, individuare meccanismi di rimozione degli ostacoli che tengano conto della tipologia di handicap da cui risulti essere affetta in concreto una persona. Ciascun disabile è coinvolto in un processo di riabilitazione finalizzato ad un suo completo inserimento nella società; processo all'interno del quale l'istruzione e l'integrazione scolastica rivestono un ruolo di primo piano, anche se non esclusivo»;

   S. e F. C. sono due ragazzi autistici in età della scuola dell'obbligo. Nei loro confronti l'amministrazione scolastica, quella comunale e sanitaria del comune di Faleria (Viterbo), risultano ad oggi inadempienti, perché ad avvio dell'anno scolastico 2017/2018, non hanno previsto per i due ragazzi un piano che garantisca un'adeguata copertura con insegnanti di sostegno nelle ore di frequenza scolastica;

   l'anno scorso, dopo ripetute insistenze dei genitori, era stato fatto un progetto specifico per loro, ma quest'anno sembra che quel progetto non si possa portare avanti. Tutto il lavoro precedente, con i miglioramenti ottenuti, corre il rischio di vanificarsi con grave danno per i due ragazzi disabili. Manca la continuità e non ci sono neppure proposte alternative. Ovviamente non è così che si realizza la buona scuola;

   per di più, finora nessuna figura autorevole avrebbe dato qualche comunicazione concreta ai genitori circa i cambiamenti che sarebbero intervenuti nel piano riabilitativo e formativo dei figli. A quanto consta agli interroganti, l'insegnante di classe si sarebbe limitata a far presente la sua scarsissima conoscenza delle possibili decisioni dei rispettivi dirigenti per il futuro dei bambini, declinando ogni responsabilità per il progetto complessivo che dovrebbe riguardare i due fratelli –:

   come il Ministro interrogato intenda intervenire al fine di seguire l'inserimento dei bambini disabili fin dall'inizio dell'anno scolastico, dal momento che – non essendo nuovi inserimenti – sono ragazzi già noti alle rispettive autorità scolastiche.
(4-17842)


   D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   con interrogazione numero 3-03184 presentata dall'onorevole Gianluca Vacca ed altri in data 25 luglio 2017, si è portata all'attenzione del Ministro interrogato l'azione di protesta promossa dal «Movimento per la dignità della docenza universitaria» e sottoscritta da oltre 5.000 docenti universitari italiani per «far saltare dal 28 agosto al 31 ottobre prossimi la sessione autunnale degli appelli»;

   la protesta, resa nota da un articolo riportato nell'edizione online del quotidiano Corriere della Sera del 6 luglio 2017, riguarda «professori che insegnano a Milano, Messina, Catanzaro, Roma, Bologna, Padova, guidati dal promotore, il professore Carlo Ferraro del Politecnico di Torino. Che spiega così i motivi dello sciopero: “Il governo Berlusconi bloccò gli scatti per tutto il pubblico impiego dal 2011 al 2014, ma mentre per tutti gli altri pubblici dipendenti, dai magistrati alle forze dell'ordine, il primo gennaio 2015 sono ricominciati non solo gli aumenti ma anche gli effetti giuridici degli scatti persi, per noi questo non è successo: e in più abbiamo avuto una proroga di un anno del blocco”. In altre parole: mentre gli altri pubblici dipendenti, una volta sbloccati gli stipendi, hanno avuto aumenti che tenevano conto anche degli scatti mancati (senza arretrati, ovviamente) per i professori universitari invece, questo periodo di cinque anni non è contato nulla.»;

   con risposta del 26 luglio 2017, il Ministro interrogato ha significato che «Il Ministero sta aggiornando le stime rispetto a differenti possibilità relative al parziale ristoro del blocco dei trattamenti stipendiali del suddetto periodo. Si tratta di importi che necessitano di una copertura che determinerà comunque riflessi sui saldi di bilancio e per la quale è necessario capire quali margini ci possano essere, soprattutto, in vista della legge di bilancio per il 2018. Questo è l'impegno che mi assumo. Concludo sottolineando che, a fronte delle suddette questioni che vanno necessariamente affrontate e risolte, deve essere comunque riservata altrettanta considerazione ai giusti diritti degli studenti universitari, che devono essere messi nelle condizioni di poter svolgere le loro sessioni d'esame.»;

   senonché, alcuna notizia di un componimento tra i professori ed il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha fatto seguito alle dichiarazioni rese e lo sciopero dei docenti è stato confermato, così come riportato dal quotidiano onlinela Repubblica in data 23 agosto 2017, che, con articolo dal titolo «Università Milano, 400 docenti minacciano lo sciopero: a rischio i prossimi esami», spiega che l'invito alla protesta avrebbe riscosso grande successo, al punto che «oltre 5.400 sono i professori — tra ordinari, associati e ricercatori — che hanno aderito. La stragrande maggioranza nelle università pubbliche, che sono appunto quelle interessate dai problemi contrattuali. A Milano, così, i sì alla protesta sono distribuiti tra Politecnico, Statale e Bicocca. E hanno raggiunto livelli record: 382 professori cittadini hanno deciso di firmare, con nome, cognome e ateneo di riferimento, in calce alla lettera. E, quindi, di aderire alla protesta»;

   i docenti firmatari della lettera (provenienti da 79 università in tutta Italia) hanno così proclamato «l'astensione dallo svolgimento degli esami di profitto nelle università italiane durante la prossima sessione autunnale dell'anno accademico 2016/2017, precisamente nel periodo compreso tra il 28 agosto e il 31 ottobre 2017», con la conseguenza che non verranno effettuate le sessioni di esami già previste durante il periodo dello sciopero –:

   quali iniziative intenda, adottare il Ministro interrogato, per quanto di competenza, al fine di porre fine allo sciopero dei docenti universitari e tener fede agli impegni assunti in modo da tutelare le posizioni giuridiche ed economiche di questi ultimi ed impedire che tali mobilitazioni creino nocumento agli studenti, che verrebbero privati di fondamentali sessioni d'esami.
(4-17845)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   le aziende zootecniche in cui si allevano animali delle specie bovina, suina, ovina e caprina, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 317 del 1996 e della circolare n. 11 del Ministero della sanità del 14 agosto 1996, in applicazione della direttiva 92/102/CEE, sono registrate presso i servizi veterinari delle Asl;

   nello specifico, ai fini della disciplina del sostegno accoppiato la circolare dell'Agea prot. n. ACIU.2015.278 del 5 giugno 2015 specifica, con riferimento all'articolo 52 del regolamento (UE) n. 1307/2013, agli articoli 19 e seguenti del decreto ministeriale 18 novembre 2014 n. 6513 e successive modificazioni ed integrazioni e l'articolo 53, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 639/2014, che tra le condizioni di ammissibilità è necessario comprendere l'obbligo di identificazione e registrazione degli animali, ai sensi, rispettivamente, del regolamento (CE) n. 1760/2000 e del regolamento (CE) n. 21/2004. Tale previsione è stata recepita all'articolo 19, comma 3, del decreto ministeriale 18 novembre 2014 n. 6513;

   con la circolare dell'Agea n. 2016.42711 del 4 novembre 2016 che integra e consolida la disciplina di cui sopra, al punto: «2.1.» si evidenzia che: «(...) considerata la tempistica prevista dalla legislazione nazionale per l'identificazione dei capi e la registrazione del capo nella Banca Dati nazionale (7 giorni), ai fini dell'ammissibilità all'aiuto del capo, gli anzidetti adempimenti si considerano correttamente eseguiti se intervengono nel termine massimo di 27 giorni dalla nascita del capo. A tale tempistica si aggiungono ulteriori 5 giorni lavorativi qualora l'allevatore si avvalga di un soggetto delegato per eseguire la registrazione del capo in BDN»;

   ebbene è emerso, in questi giorni – come affermato da Confagricoltura Veneto – che migliaia di capi bovini sono stati esclusi dal premio, poiché le Asl non hanno effettuato le registrazioni all'Anagrafe nazionale della movimentazione dei bovini, per l'anno 2016, nei tempi indicati dalla circolare di cui sopra, ovvero, entro il termine massimo di 5 giorni, nonostante la comunicazione tempestiva e puntuale dell'allevatore (entro 7 giorni);

   l'articolo 7 del regolamento 1760/2000 stabilisce in modo preciso solo i tempi di comunicazione da parte del detentore dell'animale all'autorità competente, senza specificare entro quali termini deve essere effettuata la registrazione. Ne deriva, in mancanza di una disposizione in tal senso cogente per chi deve effettuare la registrazione, che migliaia di allevatori resteranno esclusi dal conseguimento dei premi di cui sopra;

   si rammenta, infine, che la premialità in parola, ai sensi dell'articolo 52 del regolamento 1307/2013, è un sostegno concesso esclusivamente a quei settori o a quelle regioni di uno Stato membro in cui determinati tipi di agricoltura o determinati settori agricoli che rivestono particolare importanza per ragioni economiche, sociali o ambientali, si trovano in difficoltà –:

   se e quali iniziative urgenti il Governo abbia intenzione di assumere per riconoscere, attraverso un idoneo strumento normativo, la validità delle registrazioni effettuate dalle Asl anche oltre il termine di cui sopra, al fine di non penalizzare ulteriormente un settore come quello zootecnico che ha attraversato e tuttora sta attraversando un periodo di profonda crisi e di dare completa attuazione al regolamento 1307/2013.
(2-01936) «Pastorelli, Pisicchio».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   PLACIDO e PELLEGRINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la Corte di Giustizia dell'Unione europea in data 6 settembre 2017 ha risposto a tre questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del tribunale di Udine nell'ambito di un procedimento penale a carico di agricoltori italiani, accusati di avere messo a coltura la varietà di mais geneticamente modificato MON 810, in violazione del decreto interministeriale del 2013 che vietava tale coltivazione;

   la sentenza ha chiarito nuovamente i parametri e l'ambito di applicazione del principio di precauzione ed il rapporto tra questo, le previsioni del regolamento (CE) n. 1829/2003 e le misure di emergenza adottate da uno Stato membro;

   è di tutta evidenza che la sentenza sugli Ogm emessa dalla Corte di giustizia europea si riferisca ad un quadro normativo ormai passato e del tutto superato. L'Italia è infatti tra la maggioranza dei Paesi membri dell'Unione europea che ha scelto di vietare la semina di Ogm sulla base della direttiva dell'Unione europea approvata nel 2015;

   dal 2016 è vigente il decreto legislativo 14 novembre 2016, n. 227, attuativo della direttiva (UE) 2015/412, che concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di Ogm sul loro territorio; quindi, il divieto alla coltivazione in Italia delle varietà di mais Ogm autorizzate nell'Unione europea è vigente e rintracciabile in maniera inequivocabile nelle norme italiane e negli specifici atti indirizzati e accolti dall'Unione europea;

   l'Italia ha definito le procedure per limitare o vietare la coltivazione di tutti gli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale. Sulla base di queste norme il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto gli altri Ministri interessati, ha trasmesso alla Commissione europea le richieste di esclusione dall'ambito geografico delle domande di autorizzazione già concesse o in via di concessione per sei mais geneticamente modificati, tutte accettate;

   oggi la questione centrale non è discutere l'emergenza, con riferimento ad un contesto normativo, italiano e comunitario, evoluto sulla spinta dei Parlamenti nazionali e dei cittadini europei, in particolare gli italiani, che al 71 per cento ritengono il cibo contenente ogm meno salutare, ma si tratta di procedere ulteriormente sulla strada dei divieti di coltivazione delle sementi ogm anche rispetto ad altre specie vegetali coltivate –:

   a che punto siano le procedure per stabilire il divieto di coltivazione di sementi ogm, anche in riferimento ad altre specie vegetali coltivate nelle campagne italiane e a quali sementi si riferiscano.
(5-12209)


   SCHULLIAN, ALFREIDER, PLANGGER, GEBHARD, OTTOBRE e MARGUERETTAZ. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   con decreto ministeriale 5811 del 2015 sono state definite le disposizioni nazionali di attuazione del regolamento (CE) n. 436/2009 della Commissione, inerenti alle dichiarazioni di vendemmia e di produzione vinicola;

   il regolamento prevede che i produttori di uva presentino ogni anno una dichiarazione di vendemmia (articolo 8) e una dichiarazione di produzione (articolo 9). È comunque permessa la presentazione di una sola dichiarazione per azienda;

   infatti, fino al 2015 esisteva un'unica dichiarazione, dalla quale risultavano le uve raccolte (nel quadro C), eventuali acquisti (quadro D), le somme delle eventuali vendite dei prodotti vitivinicoli (quadro E) e infine la vinificazione (quadro G);

   il termine di presentazione delle dichiarazioni, è fissato al 15 gennaio dall'articolo 16 del regolamento, ma gli Stati membri possono modificarlo. Nel 2014 in Italia fu anticipato al 15 dicembre, successivamente con il decreto ministeriale del 2015 le due scadenze sono state ulteriormente anticipate al 15 novembre per quella relativa alla vendemmia, mentre al 15 dicembre per la dichiarazione di produzione;

   l'intervento ministeriale avrebbe dovuto configurarsi come una semplificazione degli oneri burocratici e amministrativi a carico degli operatori del settore; in realtà, la situazione si è rivelata fortemente critica; infatti, per il primo anno di applicazione si decise di prorogare il sistema precedente;

   l'adempimento richiesto, scandito da due differenti scadenze, non risulta affatto una semplificazione, pertanto si auspica una riunificazione delle dichiarazioni con una scadenza unica;

   inoltre, il regolamento prevede l'esenzione per i soci delle cantine sociali dalla dichiarazione vendemmiale, se questa viene fatta dalla cantina (articolo 8.3). Quindi si adempie all'onere delle dichiarazioni attraverso la compilazione del quadro F2 e del quadro R, contenuti nella dichiarazione presentata dalla cantina cooperativa. In Alto Adige anche le cantine private fanno il lavoro per i loro conferitori, ma il regolamento non permette a questa categoria di conferitori di beneficiare di tale esenzione. Risulterebbe necessario intervenire a livello comunitario per modificare in tal senso il regolamento –:

   se il Ministro interrogato non ritenga di porre in essere tutte le iniziative, anche normative, in Italia e in Europa, al fine di riunificare le scadenze delle dichiarazioni di vendemmia e di produzione, o al 15 di gennaio come nel resto d'Europa, o al 15 dicembre, estendendo nel contempo anche alle cantine private la semplificazione attualmente prevista all'articolo 3, comma 4, del decreto ministeriale 5811 del 2015.
(5-12210)


   ZACCAGNINI e STUMPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   gli Nbt, New Breeding Techniques, dovrebbero ricadere nell'ambito di applicazione della direttiva 2001/18/CE sull'emissione deliberata nell'ambiente di ogm e della direttiva 2009/41/CE sull'impiego confinato di microrganismi geneticamente modificati, in quanto le caratteristiche delle piante sono ottenute con modificazioni della sequenza genetica;

   gli Nbt sono da tempo al vaglio giuridico della Commissione europea che, entro il 30 marzo, dovrebbe terminare l'esame e dare la sua valutazione, dunque, ad oggi, non esiste nessuna misura specifica di valutazione, di biosicurezza, di tracciabilità o di etichettatura ai prodotti ottenuti con questi procedimenti;

   evidentemente il Governo ed il CREA ritengono di aver affrontato e risolto tutti gli elementi appena segnalati, decretando che tali prodotti debbano essere considerati come «analoghi» ai prodotti ottenuti con procedimenti di creazione varietale convenzionali e quindi esentati dal rispetto delle normative relative ai prodotti dell'ingegneria genetica;

   deve perciò destare assoluta preoccupazione che, con un finanziamento pubblico importante, si avvii un'attività di sperimentazione e successiva diffusione di prodotti modificati che riguardano le più importanti specie coltivate in Italia, con il rischio della loro eventuale brevettazione e accrescimento dei costi di produzione. D'altra parte, è facile immaginare quale sarebbe l'impatto economico se, ad esempio, la varietà di uva da tavola «Italia» (pg 46/110) coltivata fosse riconosciuta come «Ogm» o se l'introduzione del «magic gene» in varietà di grano duro prodotte nel territorio italiano venissero catalogare come «Ogm»;

   il settore delle sementi è già minacciato dai tentativi di impedire il libero scambio di semi autoprodotti, per la semina e la risemina, tra contadini, considerandolo una «pratica illegale», come a giudizio degli interroganti erroneamente definito dall'allerta di Assosementi sulla granella non certificata uso seme;

   l'Italia, come l'Unione europea, ha ratificato – e poi legiferato in materia – il Trattato internazionale delle risorse genetiche per l'agricoltura e l'alimentazione i cui articoli 6 e 9 riconoscono il diritto degli agricoltori di scambiare e vendere, oltre che seminare e riseminare, le proprie sementi «e altro materiale di moltiplicazione» –:

   di quali strumenti giuridici si sia avvalso il Governo per consentire l'avvio di quelli che appaiono agli interroganti progetti «corsari» di Nbt prima in Italia, prima del vaglio giuridico della Commissione europea e della sentenza della Corte di giustizia in merito e in assenza di analoga decisione anche in campo internazionale, compresa quella degli USA.
(5-12211)


   OLIVERIO, TINO IANNUZZI, CARLONI e PALMA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   sono in fase avanzata le trattative, iniziate nel 2010, per la definizione dell'Accordo sul commercio fra Unione Europea e Cina per la tutela e la valorizzazione reciproca di 100 prodotti del comparto agroalimentare;

   da notizie circostanziate pubblicate sul quotidiano «il Mattino» in data 12 settembre 2017, emerge che fra i cento prodotti europei, che verrebbero tutelati con tale Accordo, vi sono ventisei prodotti italiani, fra i quali tredici vini (12 DOC e 1 IGT), che riguarderebbero tutti produzioni vinicole nelle regioni dell'Italia centrale e settentrionale;

   sono numerosi i vini italiani di grande pregio, caratterizzati da una produzione molto consistente, che provengono dalle regioni meridionali, soprattutto Sicilia, Campania, Calabria e Puglia;

   vi sono, infatti, vini Doc siciliani, calabresi, campani, pugliesi di assoluta eccellenza e che raggiungono dimensioni produttive molto più elevate di alcuni dei vini Doc del Centro-nord che, invece, finirebbero nella lista dei tredici vini italiani da salvaguardare, a differenza dei vini prodotti nel Mezzogiorno;

   tale situazione sarebbe ingiustificata e negativa, oltre che fortemente penalizzante per l'intero comparto della viticoltura nel Mezzogiorno, tanto rilevante per l'agricoltura meridionale ed italiana –:

   quale sia lo stato delle trattative in vista dell'accordo tra Unione europea e Cina, con particolare riguardo alle iniziative che il Governo intende assumere con rapidità per evitare che fra i vini italiani da tutelare e valorizzare con il citato accordo siano, del tutto irragionevolmente esclusi, i tanti vini Doc di pregio che si producono in rilevanti quantitativi nelle regioni meridionali.
(5-12212)


   CATANOSO e RUSSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   successivamente alla conclusione dell'esame dei ricorsi presentati da alcune ditte escluse, in data 27 gennaio 2017, sono stati pubblicati gli elenchi regionali delle domande ammesse ed escluse per la misura 11, operazioni 11.1 e 11.2 agricoltura biologica – bando 2015;

   i ritardi che si sono registrati nei pagamenti sono attribuibili a problematiche manifestatesi nel corso delle verifiche informatiche che Agea e le sue società partner hanno messo in atto per determinare i pagamenti ad istruttoria automatizzata e manuale;

   un solo decreto di pagamento è stato emesso, ad oggi, per la misura 11 del bando 2015. A fronte delle 5.300 domande rilasciate, sono state liquidate solo 908 aziende e per molte aziende sono stati pagati premi più bassi di quelli spettanti;

   inoltre, per la determinazione dei pagamenti automatizzati e manuali, sono emerse altre anomalie che hanno generato un alto numero di domande negative e, quindi, non pagabili direttamente;

   la regione siciliana ha più volte ed in diverse modalità sollecitato gli uffici di Agea al fine di cercare di risolvere le problematiche manifestatesi sui controlli informatici per i pagamenti automatizzati;

   a fronte dello stato di estrema crisi del settore agricolo e biologico nazionale e siciliano, in particolar modo, non è più tollerabile che Agea non sia ancora riuscita ad elevare la percentuale di domande pagabili automaticamente;

   ancor più grave è il fatto che Agea non abbia ancora fornito una data certa per la chiusura dei controlli e sull'effettiva disponibilità degli applicativi informatici, sul portale Sian, per poter gestire le domande in istruttoria manuale non appena Agea procederà ad effettuare un nuovo ricalcolo della procedura automatizzata;

   è necessario porre in essere ogni idonea iniziativa al fine di autorizzare l'erogazione, in via provvisoria ed in attesa dei controlli successivi e delle opportune verifiche, di un anticipo pari al 70/75 per cento dell'importo del beneficio richiesto da ogni singolo agricoltore;

   il saldo verrebbe emesso, in tal modo, a debito o a credito successivamente ai doverosi controlli ed alle opportune verifiche: gli agricoltori italiani non possono essere gli unici a subire tali ritardi a causa della malfunzionante organizzazione della pubblica amministrazione –:

   quali iniziative si intendano adottare affinché Agea risolva le problematiche manifestatesi nei controlli informatici per i pagamenti automatizzati e sia autorizzata l'erogazione dei pagamenti in via provvisoria, in attesa delle opportune verifiche.
(5-12213)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 e relativi allegati si è provveduto all'individuazione dei nuovi Lea – livelli essenziali di assistenza – che il servizio nazionale sanitario è tenuto a garantire;

   l'articolo 17 di tale decreto stabilisce che il Servizio sanitario nazionale garantisce, tra le altre prestazioni, alle persone riconosciute invalide o in attesa di riconoscimento dell'invalidità, le prestazioni sanitarie che comportano l'erogazione di protesi, ortesi ed ausili tecnologici nell'ambito di un piano riabilitativo-assistenziale volto alla prevenzione, alla correzione o alla compensazione di menomazioni o disabilità funzionali conseguenti a patologie o lesioni, al potenziamento delle abilità residue, nonché alla promozione dell'autonomia dell'assistito;

   gli elenchi delle prestazioni e delle tipologie di dispositivi, inclusi i dispositivi provvisori, temporanei e di riserva erogabili dal Servizio sanitario nazionale, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, sono elencati nel nomenclatore allegato, sub 5;

   l'elenco 2A del nomenclatore titolato «ausili di serie che richiedono la messa in opera da parte del tecnico abilitato» alla classe 22 (ausili per comunicazione e informazione) indica gli ausili per l'udito (22.6), suddivisi nelle seguenti macro-tipologie: «apparecchi acustici ad occhiale», «apparecchi acustici retroauricolari», con relativi accessori prescrivibili («accessori per applicazione via aerea» e «accessori per applicazione via ossea»), «apparecchi acustici connessi a dispositivi impiantati»;

   le modalità di erogazione delle prestazioni di assistenza protesica, contenute nell'allegato 12, prevedono che «nelle more dell'istituzione del Repertorio dei dispositivi di serie di cui all'articolo 1, comma 292, della legge 23 dicembre 2005 n. 266, per l'erogazione dei dispositivi di serie inclusi negli elenchi 2A e 2B di cui al nomenclatore allegato 5 al presente decreto, e per la determinazione dei relativi prezzi di acquisto le Regioni e le Aziende Sanitarie Locali stipulano contratti con i fornitori aggiudicatari delle procedure pubbliche di acquisto espletate secondo la normativa vigente. I capitolati di gara prevedono che i soggetti aggiudicatari assicurino, quando prescritto dal medico e in ogni caso per la fornitura di apparecchi acustici, l'adattamento o la personalizzazione dei dispositivi da parte dei professionisti sanitari abilitati all'esercizio della specifica professione o arte sanitaria ausiliaria, nonché la manutenzione, la riparazione o la sostituzione di componenti dei dispositivi stessi»;

   è previsto infine, al comma 3, che «la remunerazione del servizio di messa in uso è fissata nell'ambito delle convenzioni, dei contratti o dei capitolati di gara»;

   l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni operato, modifica sostanzialmente la classificazione dei dispositivi (protesi, ortesi e ausili tecnici) costruiti su misura e di quelli di serie la cui applicazione richiede l'intervento di un tecnico;

   in precedenza le protesi, ortesi e ausili tecnici erano suddivisi in tre distinti elenchi:

   l'elenco n. 1 conteneva i dispositivi costruiti su misura e quelli di serie (tra cui gli apparecchi acustici) la cui applicazione richiedeva «modifiche eseguite da un tecnico abilitato su prescrizione di un medico specialista ed un successivo collaudo da parte dello stesso»; nello stesso elenco erano contenuti, altresì «i dispositivi di fabbricazione continua o di serie finiti che, per essere consegnati ad un determinato paziente, necessitano di essere specificamente individuati e allestiti a misura da un tecnico abilitato, su prescrizione del medico specialista. I dispositivi contenuti nell'elenco n. 1 sono destinati esclusivamente al paziente cui sono prescritti»;

   l'elenco n. 2 del nomenclatore conteneva i dispositivi (ausili tecnici) di serie, la cui applicazione consegna non richiede l'intervento del tecnico abilitato;

   l'elenco n. 3 conteneva gli apparecchi acquistati direttamente dalle Asl ed assegnati in uso con procedure indicate;

   la scelta operata dal Governo, a parere degli interpellanti, non tiene conto del fatto che gli apparecchi acustici sono dispositivi medici ad altissima personalizzazione destinati al paziente al quale sono prescritti, hanno una struttura tecnologicamente complessa e, pertanto, vengono singolarmente individuati, adattati («predisposti») e «personalizzati» per le specifiche problematiche audiologiche e gli stili di vita dell'assistito motivo per cui fino ad oggi non sono stati vincolati ad acquisto tramite gare pubbliche;

   non si è tenuto in conto poi che questo cambiamento provocherebbe gravi danni al sistema, alle imprese e al trattamento dei soggetti che soffrono di sordità;

   lo stesso sistema di fornitura delineato svilisce il ruolo dell'audioprotesista che è invece fondamentale nel percorso terapeutico di scelta e di collaudo dell'apparecchio acustico, laddove l'acquisizione del dispositivo tramite gare pubbliche renderebbe più complessa la sua fornitura ma, soprattutto, non garantirebbe una terapia adatta alle specifiche, uniche e personali, esigenze dell'assistito;

   l'audioprotesista è operatore sanitario in possesso di diploma universitario abilitante che svolge la propria attività nella fornitura, nell'adattamento e nel controllo dei presidi protesici per la prevenzione e correzione dei deficit uditivi, ai sensi della legge n. 42 del 1999, con autonomia professionale distinta da quella dei medici ai quali invece essa è addirittura preclusa;

   non pare che tale scelta permetta di ottenere risparmi evidenti per il Servizio sanitario nazionale; essi infatti non vengono quantificati, con il rischio di incorrere in sprechi di apparecchi non appropriati, acquisiti a mezzo di gare, con l'ulteriore costo per demolirli perché non utilizzati;

   nemmeno appaiono essere stati analizzati gli effetti che le modifiche apportate produrranno sul settore audio-protesico, costituito maggiormente da piccole e medie aziende; circa 2200 sono i centri acustici accreditati, nei quali operano 3400 tecnici audioprotesisti, in un comparto che occupa più di 10000 persone –:

   se il Ministro interpellato non ritenga opportuno assumere iniziative volte a ripristinare il sistema tariffario previgente al posto delle pubbliche procedure previste dal decreto richiamato in premessa, per l'acquisto di dispositivi audio protesici che, per le loro caratteristiche e per le specifiche necessità funzionali dell'utenza, necessitano di un percorso prescrittivo individualizzato e di un appropriato percorso valutativo, condotto da una équipe multidisciplinare, nonché di un adeguato training all'uso, al fine di garantire la massima personalizzazione e aderenza alle esigenze degli utenti e del percorso individualizzato cui devono fare fronte.
(2-01937) «Laboccetta, Brunetta».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, NESCI, CECCONI e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   un'inchiesta condotta dal settimanale «L'Espresso» il 14 settembre 2017 ha riportato all'attenzione dell'opinione pubblica uno dei più grande scandali sanitari della medicina moderna, legato agli effetti, estremamente dannosi per la salute umana, del talidomide, farmaco prodotto nel 1956 dalla multinazionale tedesca Grunenthal, pubblicizzato come antinfluenzale, sedativo e, soprattutto, come antinausea per le donne in gravidanza;

   il farmaco fu bloccato qualche anno dopo per la prima volta negli Stati Uniti, quando una funzionaria della sanità pubblica ipotizzò la correlazione tra l'impiego del talidomide e l'aumento di nascite di neonati con gravissime malformazioni congenite dello sviluppo degli arti, ovvero amelia (assenza degli arti), o vari gradi di focomelia (riduzione delle ossa lunghe degli arti), generalmente più a carico degli arti superiori che quelli inferiori;

   le successive ricerche scientifiche confermarono il legame tra le malformazioni e l'utilizzo del farmaco, che nel 1961 venne ritirato dal commercio, dopo essere stato diffuso in cinquanta Paesi, tra cui l'Italia, sotto ben 40 nomi commerciali diversi;

   nel nostro Paese fino al 2008 l'unico beneficio erogato da parte dello Stato alle vittime del talidomide era l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, ai sensi dell'articolo decreto-legge n. 50/2005, che ha collocato la sindrome talidomide tra le patologie croniche e invalidanti;

   la legge finanziaria del 2008 ha poi riconosciuto l'indennizzo, consistente in un assegno vitalizio mensile da corrispondere per la metà al soggetto danneggiato e per la restante metà ai congiunti che prestano o che abbiano prestato assistenza, demandando ad un successivo decreto delegato il regolamento di esecuzione;

   successivamente l'articolo 31, comma 1-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, ha precisato che l'indennizzo fosse riconosciuto soltanto ai soggetti nati dal 1959 al 1965. A colmare tale lacuna è intervenuto il decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 cosiddetto «decreto enti locali», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, che ha disposto (articolo 21-ter) che l'indennizzo riconosciuto ai soggetti affetti da sindrome da talidomide nelle forme dell'amelia, dell'emimelia, della focomelia e della micromelia, nati tra il 1959 e il 1965, fosse riconosciuto anche ai nati nel 1958 e nel 1966. Ha inoltre esteso l'indennizzo anche ai soggetti che, ancorché nati al di fuori di detti periodi, presentino malformazioni compatibili con la sindrome da talidomide, a seguito dei debiti accertamenti sanitari;

   il «decreto enti locali» ha demandato ad un successivo decreto di natura regolamentare la modifica del regolamento n. 183/2009 per definire i criteri di inclusione e di esclusione delle malformazioni ai fini dell'accertamento del diritto all'indennizzo, che avrebbe dovuto essere emanato entro 6 mesi dalla data di conversione del decreto-legge, ovvero entro febbraio 2017;

   ad oggi, però, non risulta agli interroganti che tale decreto sia stato adottato, per cui si rende necessario un intervento tempestivo in tal senso –:

   quali siano i motivi del ritardo relativo all'adozione del decreto di natura regolamentare per la concreta applicazione di quanto disposto dal cosiddetto «decreto enti-locali» circa la modifica del regolamento n. 163/2009 e, all'uopo, quali iniziative di carattere normativo il Ministro interrogato intenda porre in essere con l'obiettivo di tutelare tutte le vittime del talidomide, il cosiddetto «farmaco-killer».
(5-12203)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   da un sondaggio effettuato da «Linkiesta.it» si calcola che, nel 2020, i pediatri ospedalieri scenderanno del 40 per cento; infatti, si passerà dai circa 13 mila pediatri del 2013 a poco più di 8 mila entro il 2020-2025;

   si tratta di un fenomeno che coinvolge tutto il Paese, dal Nord al Sud; tuttavia negli ospedali pubblici che bandiscono delle posizioni per pediatri, queste rimangono scoperte poiché la libera professione è privilegiata rispetto ai pesanti turni ospedalieri e poiché vi è comunque il blocco del turn over, con il risultato che a ogni pediatra che va in pensione non corrisponde un giovane neoassunto;

   nel 2015 sono andati in pensione 800 pediatri, ma dalle scuole di specializzazione ne sono usciti solo 280 in un anno e secondo la Federazione italiana medici pediatri, con un tetto massimo di 1.000 pazienti per medico, il 15 per cento dei nuovi nati non ha un pediatra assicurato;

   anche la Fondazione poliambulanza di Brescia – una delle eccellenze ospedaliere lombarde – lancia un grido di allarme, dichiarando che mancano i pediatri e soprattutto, quelli specializzati in neonatologia;

   nel mese di luglio 2017, dopo molto tempo, è stato pubblicato il decreto che determina il numero dei posti nelle scuole di specializzazione: 6.105 posti rispetto alla necessità di almeno 8 mila posti calcolati dalle associazioni di categoria e dai sindacati per coprire il fabbisogno degli ospedali;

   alcuni ospedali hanno fatto anche sapere di essere disposti a sostenere il costo degli studi degli specializzandi, circa 25 mila euro l'anno; tuttavia, tale offerta non può essere realizzata a causa del numero ristretto dei posti aggiuntivi finanziabili, quantificato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto narrato in premessa;

   se non ritenga, per risolvere il problema della mancanza di medici e in particolare di pediatri e neonatologi, di assumere iniziative volte a procedere con l'assunzione di tutti i laureati necessari al fabbisogno del Servizio sanitario nazionale, mediante un contratto a tempo determinato finalizzato al completamento del percorso formativo, come avviene nel resto d'Europa;

   se corrisponda al vero che le scuole di specializzazione in cui si formano i nuovi pediatri, finanziate con fondi pubblici, non riescono a soddisfare il fabbisogno dei reparti di pediatria;

   quali siano le motivazioni che inducono il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca a non consentire un numero maggiore di accessi agli specializzandi in pediatria e per quali ragioni non si assumano iniziative per sbloccare tale situazione;

   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro della salute per risolvere la problematica sopradescritta, considerato che per gli interroganti la causa della mancanza di pediatri e neonatologi operanti in ospedali pubblici è anche dovuta al blocco del turn over e ai ritmi massacranti che i medici devono effettuare nei reparti, proprio per via della mancanza di organico interno;

   se non ritengano necessario assumere iniziative per destinare maggiori risorse finanziarie alla formazione, in modo che si possa aumentare il numero delle borse di studio per giovani specializzandi.
(5-12208)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   secondo lo studio Espad 2016 Italia realizzato dall'Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa i giovani italiani sono i maggiori consumatori di psicofarmaci non prescritti, con una media del 10 per cento contro quella europea che si attesta sul 6 per cento;

   dal succitato studio si evince che un adolescente su dieci utilizza gli psicofarmaci senza la ricetta del proprio medico usando ad esempio quelli che trova in casa nell'armadietto dei medicinali di famiglia, oppure li compra on line;

   gli psicofarmaci più utilizzati sono i medicinali che garantiscono concentrazione nello studio, quelli per l'umore e anche per far passare il senso di fame;

   dal recente report dell'Istituto di ricerche farmacologiche «IRCCS Mario Negri» di Milano sono tra i 20 mila e 30 mila i minorenni a cui in Italia vengono somministrati psicofarmaci e antidepressivi;

   dal report dell'IRCCS emerge come farmaci, quali la Paroxetina, che fra gli effetti collaterali nei casi di depressione contemplano anche l'aumento della propensione al suicidio e la cui somministrazione è espressamente vietata dalla legge n. 648 del 1996 ai minori di 18 anni, vengono somministrati quotidianamente a molti adolescenti;

   Palmieri Vincenza, presidente dell'Istituto nazionale di pedagogia familiare (INPEF), in una recente audizione presso la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha dichiarato che oltre il 30 per cento dei pazienti, che intraprende un percorso di sostegno per una eventuale dismissione e riabilitazione dichiara che, oltre al farmaco prescritto, acquista prodotti in farmacie, utilizzando le più svariate tecniche di convincimento, ma riuscendo comunque ad ottenere il prodotto anche senza ricetta. Ciò, come risultato di un eccesso diagnostico già in età prescolare;

   la stessa ha sostenuto altresì: in Italia, 8 anni è l'età a partire dalla quale viene somministrato l'antidepressivo Prozac ai bambini, un'età in cui è possibile attivare invece con successo altri tipi di intervento non farmacologico. Il ricorso allo psicofarmaco viene pertanto utilizzato come prima risposta invece di prevedere prese in carico meno invasive –:

   come, alla luce di quanto espresso in premessa, si intenda intervenire per garantire il pieno rispetto della legge n. 648 del 1996;

   come si intenda monitorare il consumo di psicofarmaci nell'infanzia per evitare che l'inappropriatezza della somministrazione crei nel tempo danni ancora maggiori nello sviluppo dei bambini;

   quali iniziative si intendano assumere per porre un freno al consumo di psicofarmaci senza prescrizione da parte dei minori.
(4-17835)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   i piani per il riassetto della rete ospedaliera campana, licenziati dai commissari ad acta che si sono succeduti negli ultimi anni, oltre a non individuare una visione organica e progressiva, sono discordanti e gli interventi realizzati con la programmazione antecedente sono vanificati da quella più recente. Ciò ha determinato una progressiva azione di destrutturazione dell'assistenza ospedaliera campana;

   l'Ospedale del Mare è stato progettato secondo un modello concettuale innovativo e strategico: un vero e proprio dipartimento dell'emergenza e urgenza dotato pertanto di requisiti di elevata complessità logistica;

   il piano ospedaliero vigente (decreto del Commissario ad acta n. 33 del 2016), assegna all'Ospedale del Mare la pregnante funzione di Hub-Dea di II° livello per due grandi macroaree coincidenti con l'ambito territoriale di Napoli e provincia vesuviana con un bacino di circa due milioni di abitanti. La sua apertura era prevista per dicembre 2016;

   nelle more, numerose strutture ospedaliere dell'area metropolitana di Napoli sono state intempestivamente dismesse, depotenziate o convertite in ragione dell'imminente inaugurazione del Dea, determinando notevoli criticità nell'offerta di assistenza ospedaliera e gravissime carenze nella gestione delle emergenze come accertato dagli ispettori ministeriali in occasione di recenti episodi di cronaca; inoltre, l'ultimo monitoraggio annuale fa registrare il livello più basso di livelli essenziali di assistenza erogati in confronto alle altre regioni e alle proprie performance degli anni precedenti;

   gli effetti delle esposte criticità sono evidenti e documentabili. Ad esempio, i dati riguardanti le morti per parto sono tra i peggiori d'Italia: su circa 50 donne che muoiono ogni anno nel Paese, 13 decessi avvengono in Campania contro i 5 della Toscana. I decessi avvengono nella metà dei casi per emergenze emorragiche. Inoltre, il 60 per cento dei parti avviene col cesareo: il doppio del valore nazionale e il triplo della Toscana. In alcune cliniche private campane la percentuale arriva al 90 per cento per una pratica chirurgica che comporta maggior rischio di mortalità sia per la madre che per il neonato e dovrebbe essere effettuata solo in caso di indicazioni specifiche;

   a fronte di tali criticità, la politica regionale ha realizzato alcuni incomprensibili interventi: a) la chiusura di tre centri nascita nell'Asl Napoli 1 e di tre centri nascita nella Asl Napoli 3 sud giustificata con la previsione di una nuova grande area materno-infantile presso l'Ospedale del Mare; b) la cancellazione del reparto di ostetricia e ginecologia e la terapia intensiva neonatale dall'Ospedale del Mare, prevedendo di soddisfare il fabbisogno di assistenza mediante case di cura private che appaiono prive dei requisiti necessari per la gestione di emergenze spesso indifferibili;

   tutto ciò ha causato il grave ridimensionamento dell'assistenza pediatrica e neonatale;

   nel frattempo, la collocazione della cardiochirurgia negli ambienti progettati per ospitare la soppressa unità operativa di ostetricia e ginecologia richiederà un ulteriore impegno finanziario di circa 2 milioni di euro, che serviranno, tra l'altro, a distruggere l'eccellente allestimento già completato per tutta l'area, mentre ulteriori ingenti risorse dovranno successivamente essere impiegate per allestire presso il Loreto Mare, struttura fatiscente del centro città, il polo materno infantile dell'Asl Napoli 1;

   non è chiaro come a breve si intenda soddisfare il fabbisogno di posti letto di Ostetricia e Terapia intensiva neonatale per il bacino di utenza dell'ambito territoriale (area orientale di Napoli ed area vesuviana);

   non risulta sia stata effettuata una ricognizione dei flussi della domanda di assistenza ostetrica, dopo la citata chiusura di sei centri nascita pubblici –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della gravissima situazione descritta in premessa, quale sia il suo orientamento in merito e come intenda intervenire, per quanto di competenza e alla luce di quanto esposto in premessa, al fine di garantire il rispetto dei livelli essenziali di assistenza.
(4-17839)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in data 15 settembre 2017 Confindustria Basilicata con una nota ha reso noto di aver avuto un incontro con le organizzazioni sindacali di categoria e le rappresentanze sindacali aziendali comunicando il fitto di ramo di azienda per quanto concerne Ferrosud;

   l'organo amministrativo della Ferrosud s.p.a. società con sede in Matera, partita IVA 01068880770, iscritta presso il registro delle imprese di Matera al n. R.E.A. MT - 70192, con decorrenza dal mese di ottobre 2017, affitterà il ramo d'azienda operante nel settore della costruzione e manutenzione di materiale ferroviaro alla società Blue Train s.r.l., con sede in Matera, partita IVA 01328990773, iscritta presso il registro delle imprese di Matera n. R.E.A. 90720;

   per effetto della suddetta operazione, tutti i lavoratori occupati nell'azienda, i cui nominativi saranno indicati in uno specifico allegato con a fianco riportata la data di trasferimento, saranno trasferiti alla Blue Train s.r.l. senza soluzione di continuità;

   il processo di trasferimento del personale dovrebbe concludersi entro il mese di ottobre 2017 e comunque dopo l'esaurimento delle procedure di consultazione previste dalla normativa in materia;

   secondo quanto comunicato l'affitto del ramo d'azienda sarebbe da attribuirsi alla implementazione di un programma di razionalizzazione e riorganizzazione finalizzato a massimizzare le opportunità commerciali, di progettazione e di gestione delle commesse che vengono attualmente richieste dal mercato;

   le organizzazioni sindacali hanno immediatamente comunicato di non aver svolto alcun incontro e di non essere a conoscenza se non a seguito della comunicazione unilaterale di Confindustria, della questione relativa al fitto di ramo di azienda;

   in merito alla vertenza Ferrosud vi è un tavolo aperto presso il Ministero dello sviluppo economico che fino ad ora aveva consentito un corretto svolgimento delle relazioni industriali in una vertenza delicata considerata la rilevanza dell’asset produttivo materano;

   le organizzazioni sindacali risultano essere completamente all'oscuro del soggetto industriale Blue Train;

   si era in attesa di una convocazione ministeriale che risultava doversi tenere prima dell'estate e che non è avvenuta –:

   se il Ministro, in considerazione delle rilevanti e preoccupanti novità, non ritenga opportuno convocare tempestivamente una riunione del tavolo di confronto «Ferrosud» al fine di verificare quanto richiamato in premessa con l'obiettivo di salvaguardare la realtà produttiva e i livelli occupazionali in un quadro di corrette relazioni industriali con pieno coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e con una solida prospettiva di rilancio industriale del sito.
(5-12201)


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   si registrano particolari disservizi nell'ambito della distribuzione della corrispondenza da parte di Poste Italiane presso il comune di Picerno in provincia di Potenza;

   suddetto comune è tra i più importanti dell’hinterland del capoluogo con una popolazione superiore ai 6 mila abitanti;

   tra l'altro, la caratteristica del comune è che la sua popolazione è equamente suddivisa tra centro abitato e frazioni rurali;

   è un comune dove insistono molte imprese agricole a artigianali;

   molti cittadini e titolari di attività economiche si sono lamentati per aver ricevuto con ritardo comunicazioni relative a bollette scadenze su cui sono stati chiamati a pagare anche delle penalità;

   la presenza di un solo operatore per il centro abitato di Picerno è davvero insufficiente –:

   se il Ministro sia a conoscenza di tali disservizi e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere affinché Poste Italiane migliori il servizio di recapito della corrispondenza presso il comune di Picerno, come da previsione del contratto di servizio.
(5-12202)

Apposizione di firme
ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Sgambato n. 5-12188, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 settembre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Manfredi, Carloni, Carocci, Rocchi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fragomeli n. 5-12195, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 settembre 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Senaldi.

Ritiro di documenti
del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interrogazione a risposta orale Franco Bordo n. 3-03214 del 12 settembre 2017;

   interrogazione a risposta orale Marcon n. 3-03219 del 12 settembre 2017.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ALLASIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 29 aprile 2017 ha avuto luogo a Torino la cosiddetta Cannabis Parade, una manifestazione antiproibizionista a sostegno della liberalizzazione della vendita delle droghe leggere;

   nel corso della sfilata, che ha attraversato il capoluogo piemontese, è avvenuto un episodio di dubbio gusto, che ha suscitato forte riprovazione negli ambienti delle forze dell'ordine e la formale protesta dei sindacati di polizia, alcuni dei quali hanno minacciato esposti alla magistratura;

   è stato in effetti allestito da alcuni dimostranti e fatto sfilare in pubblico a mo’ di carro allegorico un furgone con due fantocci vestiti da poliziotti appiccicati sul cofano anteriore, simulandone l'avvenuto investimento;

   il furgone ha seguito ampi tratti del corteo;

   sui fatti, stando agli organi di stampa, la digos avrebbe aperto un'inchiesta –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per garantire in futuro l'onorabilità ed il rispetto nei confronti del personale delle forze dell'ordine, a fronte del rischio di provocazioni come quella vistasi alla Cannabis Parade di Torino.
(4-16562)

  Risposta. — La manifestazione richiamata nell'atto di sindacato ispettivo era stata regolarmente preavvisata dai promotori, che hanno assunto l'impegno scritto di svolgerla nel rigoroso rispetto della legislazione vigente in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope.
  Nel pomeriggio del 29 aprile 2017, dunque, si è svolto un corteo a cui hanno partecipato circa 4 mila persone che hanno percorso alcune vie del centro, secondo l'itinerario prestabilito.
  All'interno del corteo, come previsto, erano presenti diversi automezzi allestiti a tema, fra cui quattro grandi autocarri contenenti strumentazione di amplificazione sonora e allegorie varie.
  Tra gli automezzi utilizzati è stata subito notata la presenza di un furgone che esibiva, nella parte anteriore, due fantocci rappresentanti agenti della polizia di Stato, con un'uniforme del reparto mobile, nella posa di essere investiti dal veicolo.
  Il dirigente del servizio di ordine pubblico, in accordo con il personale della Digos, ha ritenuto opportuno non bloccare il corteo né inibire la partecipazione del veicolo alla manifestazione e identificare, quindi, nell'immediato gli occupanti, procedendo, invece, ai rilievi di polizia scientifica finalizzati alla successiva identificazione delle persone responsabili.
  La manifestazione si è svolta senza alcuna turbativa per l'ordine e la sicurezza pubblica; al termine della medesima, la Digos ha immediatamente riferito sui fatti descritti all'autorità giudiziaria.
  Le indagini per l'identificazione delle persone che avevano in uso il veicolo in questione sono tuttora in corso.
  Su un piano più generale, la vicenda sopra descritta evidenzia che l'attività delle forze di polizia impegnate nei servizi di ordine pubblico presenta profili di ovvia delicatezza, dovendo contemperare la garanzia dei diritti costituzionali di riunione e manifestazione del pensiero con l'esigenza di mantenere l'ordine e la sicurezza pubblica.
  La difficoltà del compito scaturisce anche dal fatto che tali servizi richiedono spesso valutazioni e decisioni tempestive in scenari complessi, connotati da criticità operative.
  In considerazione della necessità di bilanciare con un atteggiamento di fermezza ogni eventuale forma di violenza o di illegalità, l'intervento immediato, finalizzato a incidere sullo svolgimento delle manifestazioni, è limitato ai casi di effettivo rischio per la sicurezza pubblica, anche al fine di evitare di innescare più gravi tensioni, come è avvenuto pure nel caso di specie.
  Eventuali fatti illeciti posti in essere durante le manifestazioni vengono attentamente monitorati da personale di polizia specializzato e le persone individuate come responsabili vengono, poi, deferite all'autorità giudiziaria per le valutazioni di competenza, in ordine alla sussistenza di profili penali.
  Si sottolinea, altresì, che le forze di polizia, prima di ciascuna manifestazione, svolgono una costante attività di prevenzione, attraverso un'accurata raccolta finalizzata a cogliere il minimo segnale di turbativa dell'ordine pubblico e di deviazione dalle regole del diritto e della pacifica convivenza.
  In conclusione, si esprime pieno apprezzamento alle forze dell'ordine per la professionalità, la lucidità e l'equilibrio dimostrati anche in questa circostanza. È anche grazie alla linea di condotta da esse tenuta che – come si è detto – la manifestazione si è conclusa senza problemi di ordine e sicurezza pubblica.
  Quanto all'episodio dei «poliziotti-fantoccio», rimane in ogni caso, al di là delle conclusioni che vorrà trarre l'autorità giudiziaria, un gesto estremamente irriguardoso nei confronti delle forze di polizia e di lavoratori e lavoratrici quotidianamente al servizio delle istituzioni e del bene comune. Gesto che si ritiene doveroso stigmatizzare con nettezza.
  

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   BASILIO, MASSIMILIANO BERNINI, ZOLEZZI, VIGNAROLI, PESCO, FRUSONE, CORDA, TOFALO, BARONI e RIZZO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il compendio immobiliare, appartenente al Fondo FIP, sito in viale Antonio Ciamarra in Roma, per anni ha ospitato gli uffici dell'Agenzia delle entrate e gli uffici del Corpo forestale dello Stato;

   lo stesso compendio, dopo l'assorbimento del Corpo forestale dello Stato da parte dell'Arma dei carabinieri, attualmente ospita gli uffici del comando unità forestale, ambientale e agroalimentare dell'Arma dei carabinieri;

   il compendio è stato interessato da un monitoraggio da parte dell'Agenzia delle entrate volto a rilevare la presenza di amianto nell'edificio;

   tale monitoraggio ha riscontrato la presenza di amianto nella pavimentazione vinilica, così come da lettera dell'Agenzia delle entrate del 10 febbraio 2017 indirizzata all'Arma dei carabinieri, e la presenza di FAV-Fibre artificiali vetrose-H351 nell'intonaco intumescente a protezione delle travi e dei pilastri costituenti la struttura portante della Torre B e nei cavedi delle tubazioni idriche dell'impianto di climatizzazione poste nelle Torri A e C;

   successivi atti dell'Arma dei Carabinieri nei locali da loro utilizzati, sembrerebbero confermare la presenza di amianto nella pavimentazione vinilica nonché nei rivestimenti degli impianti all'interno dei cavedi;

   la presenza di fibre di amianto e di FAV-Fibre artificiali vetrose-H351 costituiscono un grave pericolo per la salute di tutte le persone che nel corso del tempo sono entrate in contatto con tali sostanze;

   i provvedimenti precauzionali adottati fino al momento attuale non risultano essere sufficienti a garantire la più completa tutela della salute del personale dell'Arma dei carabinieri attualmente in servizio nella struttura;

   numerosi atti parlamentari per sollecitare la problematica in oggetto risultano già depositati –:

   se i Ministri interrogati non ritengano necessario e urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per:

    procedere allo sgombero immediato del personale in servizio rimasto nell'edificio;

    disporre urgenti esami sanitari (secondo i protocolli previsti dalle normative) sul personale dell'Arma dei carabinieri attualmente in servizio, sul personale ex-Corpo forestale dello Stato trasferito in altre sedi e su tutto il personale che ha lavorato nello stabile (anche relativo alla Agenzia delle entrate), e, se necessario, intervenire immediatamente a tutela della salute degli stessi;

    disporre urgenti esami sanitari (secondo i protocolli previsti dalle normative) su tutti gli operai che, a seguito dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, potrebbero essere stati esposti a rischi per la salute, e, se necessario, intervenire immediatamente a tutela della salute degli stessi;

    effettuare una verifica sul procedimento di dismissione dell'immobile appartenente al Fondo FIP) che, allo stato, risulta essere «in trattativa», esaminando l'opportunità di sospendere il procedimento in corso;

    effettuare accurati analisi sulla struttura esterna al fine di scongiurare eventuali pericoli per la salute degli abitanti delle zone limitrofe;

    coinvolgere gli enti territoriali competenti e i comitati di quartiere per garantire la massima trasparenza e informazione, e concordare i prossimi passaggi necessari per tutelare la salute pubblica.
(4-16102)


   BASILIO e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il portale t-news di tiscali ha pubblicato l'8 febbraio 2016 una notizia avente ad oggetto le condizioni strutturali in cui verserebbe il compendio immobiliare FIP, sede del nuovo comando dell'Arma dei carabinieri – nucleo forestale – a Roma;

   la predetta struttura, che per anni ha ospitato gli uffici dell'Agenzia del demanio, è sita in Viale Antonio Ciamarra, nella zona di Cinecittà-est, a sud-est della città;

   secondo la menzionata testata giornalistica, il compendio risulterebbe caratterizzato da una presenza notevole di fibre artificiali vetrose (FAV), sostanze altamente nocive per la salute umana e classificate nel 2016 dal Ministero della salute come sostanze con possibili effetti cancerogeni;

   la veridicità delle notizie riportate sarebbe confermata anche da un recente provvedimento – la circolare n. 33/1-1 del 6 febbraio 2017 – con cui il Comando unità forestale, ambientale e agroalimentare dei carabinieri, nella persona del generale Antonio Ricciardi, invita il personale in servizio presso la struttura interessata ad assumere determinati accorgimenti ed, in particolare, ad evitare di causare lesioni di ogni genere nei pavimenti, a non eseguire interventi di foratura, rimozioni, tagli su pareti o soffitti, ad evitare di aprire gli impianti di climatizzazione;

   se le notizie riportate dovessero risultare fondate, sarebbe davvero assurdo che la sede di servizio del nucleo carabinieri preposto alla tutela dell'ambiente sia essa stessa affetta da materiali cancerogeni, tali da mettere in pericolo la salute delle circa cento unità di personale attualmente impiegato nello stabile di Viale Ciamarra –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se essi trovino conferma;

   se risultino, agli atti, precedenti lettere, comunicazioni o studi documentati, relativi alla eventuale presenza di fibre artificiali vetrose (FAV) nella struttura in questione;

   se non ritengano opportuno, accertata l'attendibilità delle notizie, procedere con una rapida ricognizione dello stato di pericolosità dei materiali presenti nella struttura in questione;

   se non ritengano opportuno e necessario, in attesa della rimozione dei materiali recanti sostanze cancerogene, provvedere al rapido trasferimento del personale interessato presso una struttura sicura e maggiormente salubre per la salute.
(4-15597)

  Risposta. — Come noto, l'Arma dei carabinieri ha acquisito, il 1° gennaio 2017, lo stabile di Viale Ciamarra, in Roma, dove avevano sede alcuni uffici del disciolto Corpo Forestale dello Stato e dove, attualmente, sono ospitati alcuni uffici della nuova organizzazione per la tutela ambientale, forestale e agroalimentare.
  Non appena informato della presenza di possibili tracce di sostanze nocive nell'area in argomento, il comandante del comando unità per la tutela forestale ambientale agroalimentare Carabinieri, in data 6 febbraio 2017, ha:

   disposto l'adozione, da subito, delle necessarie misure precauzionali a tutela del personale dipendente e, in attesa di verifiche più approfondite, un'ispezione da parte del medico competente;

   avviato, contestualmente, le procedure per effettuare un'indagine tecnico-strumentale da parte di una ditta specializzata.

  È stato fatto, quindi, un sopralluogo e, successivamente, sono stati installati dei sensori per rilevare, nell'arco delle 24 ore, eventuali presenze di sostanze pericolose.
  Al riguardo, il Comando generale dell'Arma dei carabinieri ha riferito che gli esiti di tale monitoraggio hanno escluso un inquinamento da amianto tale da rendere gli ambienti «fuori norma».

Il Sottosegretario di Stato per la difesa: Domenico Rossi.


   BASILIO, ALBERTI, SORIAL, CORDA, FRUSONE, TRIPIEDI, COMINARDI, ZOLEZZI, DE ROSA e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente è il reparto dell'Arma dei carabinieri specializzato nella tutela dell'ambiente;

   il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente è organizzato in 29 Nuclei operativi ecologici (Noe);

   il Noe, su tutto il territorio nazionale, svolge importanti funzioni di vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente;

   in particolare, un reparto Noe ha sede a Brescia, con competenza su un vasto territorio comprendente le provincie di Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova;

   proprio il territorio della provincia di Brescia è interessato da gravi problematiche legate alla criminalità di tipo ambientale;

   nello specifico, nel territorio bresciano, le investigazioni ambientali intercorse nel corso degli anni hanno evidenziato numerosi episodi di traffico illecito di rifiuti, che fanno considerare questo tipo di illeciti tra i più pericolosi in Italia, con frequenti casi di infiltrazioni di tipo mafioso e reati di traffico organizzato di rifiuti e associazione per delinquere;

   inoltre, sempre nel territorio bresciano, così come nel territorio delle altre provincie di competenza del Noe di Brescia, e sempre grazie alle investigazioni ambientali, sono state accertate la presenza di numerose discariche abusive, con la presenza di decine di milioni di metri cubi di rifiuti tossici, tanto da identificare tutta la zona in questione come la «nuova Terra dei Fuochi»;

   il Noe con sede a Brescia, a fronte della notevole attività a cui è sottoposto, derivante proprio dalle caratteristiche del territorio su cui insiste, si trova, a quanto consta agli interroganti, in una situazione di pesante carenza di organico, che rischia di compromettere l'efficacia dell'azione sul territorio, con eventuali danni sull'ecosistema e quindi sulla popolazione delle zone interessate che risultano già essere a rischio di gravi patologie –:

   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno agire con urgenza per incrementare il numero degli uomini del nucleo del Noe con sede a Brescia, con particolare riguardo e considerando le esigenze operative delle aree di competenza.
(4-15944)

  Risposta. — La Difesa ha già avuto modo di riferire sulla tematica oggetto dell'interrogazione, rispondendo all'atto n. 4-08594.
  Si ribadiscono, pertanto, i contenuti a suo tempo forniti.
  In particolare, riguardo all'opportunità d'incrementare l'organico del Nucleo operativo ecologico (N.O.E.) di Brescia, si sottolinea che l'attività svolta dal reparto non ha manifestato alcuna flessione in termini sia ispettivi che investigativi, rispondendo appieno ai compiti d'istituto.
  Per ciò che attiene all'alimentazione di tali reparti speciali, essa è garantita attraverso specifiche «interpellanze» per la frequenza di un corso della durata di otto settimane, al termine del quale il personale idoneo è assegnato alle sedi deficitarie.
  I corsi di formazione sono pianificati solo a seguito dello stanziamento di appositi fondi da parte del Ministero dell'ambiente, dal quale dipende funzionalmente il comparto di specialità.
  Eventuali carenze di personale vengono, inoltre, ripianate dall'Arma dei carabinieri tramite il trasferimento, quando possibile, delle unità già specializzate, in modo da bilanciare, senza ricadute sul piano operativo, le consistenze organiche nell'ambito degli stessi nuclei attivi sul territorio nazionale.
  Con particolare riguardo al N.O.E. di Brescia, si segnala che gli aspetti concernenti l'attività ordinativa e strutturale del reparto sono all'attenzione del comando generale.
  Ad integrazione di quanto già comunicato, l'Arma dei carabinieri ha riferito che i dati relativi ai controlli effettuati dal N.O.E. di Brescia presso obiettivi vari, risultano in linea con quelli dei paritetici reparti presenti in ambito provinciale, rapportati alla forza effettiva e alla giurisdizione territoriale.

Il Sottosegretario di Stato per la difesa: Domenico Rossi.


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   da più di 20 anni la dismissione del patrimonio immobiliare pubblico costituisce una delle modalità, indicate dai vari Governi, per il taglio del debito pubblico e il rientro del deficit;

   nonostante le valutazioni e le dichiarazioni fatte nel corso degli anni, le procedure di vendita e le vendite finali sono state caratterizzate da estrema lentezza e da scarsi risultati in termini finanziari;

   tali problematiche hanno causato minori introiti per lo Stato rispetto a quelli preventivati, con continui e duri richiami anche da parte della Commissione dell'Unione europea riguardo la riduzione del debito;

   tali difficoltà sono riscontrabili anche relativamente al settore della dismissione del patrimonio immobiliare della Difesa;

   anche in questo settore, infatti, i bandi pubblici emanati nel corso degli anni hanno prodotto scarsi risultati, con aste andate deserte e con immobili venduti a prezzo di gran lunga inferiore rispetto alla valutazione di base;

   una delle maggiori cause nel fallimento della vendita del patrimonio immobiliare pubblico risulta essere la carenza di informazione e di trasparenza verso l'esterno, con gravi difficoltà da parte della cittadinanza e dei soggetti comunque interessati nel venire a conoscenza della messa in vendita degli immobili;

   è riscontrabile, infatti, tra le altre cose, una notevole frammentazione nell'informazione verso l'esterno, con un proliferare di siti web dove compaiono gli immobili oggetto di dismissione;

   tale frammentazione produce l'impossibilità di una visione complessiva rispetto agli immobili, alle condizioni di vendita, alle caratteristiche di ogni singola dismissione, ai soggetti competenti per la procedura di vendita;

   risulta, quindi, opportuno e necessario un cambiamento di impostazione per semplificare e facilitare l'accesso alle informazioni relative alla vendita di immobili della Difesa;

   tale semplificazione, oltre a ricondursi a un doveroso procedimento di trasparenza verso la cittadinanza, provocherebbe una positiva ricaduta nell'aumento di interesse da parte degli investitori, con sicuri aumenti di introiti per le casse dello Stato –:

   se il Ministro della difesa non ritenga opportuno procedere alla creazione di un portale unico web di informazione e orientamento relativamente alla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico di sua competenza che, con informazioni facili e accessibili, indirizzi l'utente ai vari soggetti incaricati della vendita.
(4-15959)

  Risposta. — La Difesa ha avviato da tempo un programma di razionalizzazione delle infrastrutture che ha portato all'individuazione di un bacino di circa 1800 immobili da poter destinare, di concerto con l'Agenzia del demanio, al soddisfacimento di altre finalità (riduzione debito pubblico, recupero risorse finanziarie per la Difesa, riduzione locazioni passive, soddisfacimento esigenze di altre articolazioni dello Stato).
  Al fine di velocizzare i processi di razionalizzazione del parco infrastrutturale della Difesa e di valorizzazione e dismissione dei beni ritenuti non più necessari alle Forze armate, il Ministro della difesa, con decreto del 14 aprile 2014, ha istituito una apposita
task force la cui attività, svolta di concerto con l'Agenzia del demanio, ha consentito di ridurre in modo significativo il numero delle infrastrutture militari ritenute necessarie, rendendo disponibili circa 760 infrastrutture.
  Da aprile dello stesso anno, allo scopo di agevolare le attività di razionalizzazione, valorizzazione e dismissione degli immobili militari non residenziali, la difesa, unitamente all'Agenzia del demanio, ha sottoscritto 26 Protocolli d'intesa con i comuni e con altri enti interessati.
  La dismissione degli immobili residenziali, poi, è stata sistematicamente portata all'attenzione della cittadinanza e dei soggetti interessati, compresi i dipendenti civili e militari della Difesa, anche attraverso un'intensa campagna di comunicazione, prevista già dal 2015, con annunci su quotidiani nazionali e locali, nonché creando sulla «
home page» del sito ufficiale della Difesa un'apposita sezione dedicata alle dismissioni immobiliari.
  L'importante ed articolato lavoro sin qui svolto, tuttora in atto, hanno fatto emergere ed avvertire l'esigenza di semplificare e facilitare l'accesso alle informazioni relative allo specifico settore immobiliare della difesa, proprio allo scopo di mettere a disposizione dei singoli cittadini, degli operatori specialistici e delle istituzioni uno strumento semplice e trasparente in grado di agevolare la conoscenza nella particolare materia. A tale scopo, sfruttando le potenzialità offerte dalla rete, il Ministero della difesa sta finalizzando la realizzazione di un portale dedicato denominato «Immobiliare Difesa».
  L'obiettivo, infatti, è quello di promuovere e favorire lo sviluppo di proposte, pubbliche e private, tese ad una migliore utilizzazione dei beni «militari» considerati non più necessari ai fini istituzionali del Ministero della difesa.
  Il predetto portale, strutturato in macro-categorie che si riferiscono sia alla tipologia di immobile sia alla modalità di vendita, permetterà di effettuare ricerche sul patrimonio residenziale (alloggi di servizio) e non residenziale (caserme, depositi, aree addestrative e altro) nonché di visionare i bandi relativi alle aste in corso.
  Inoltre, consentirà di effettuare ricerche per aree geografiche, di accedere facilmente alle informazioni di dettaglio e di condividere rapidamente le informazioni acquisite tramite i
social network.
  Una sezione specifica, infine, aggiornerà l'utente sulle varie attività in cantiere.

Il Sottosegretario di Stato per la difesa: Gioacchino Alfano.


   BASILIO, CORDA, RIZZO, FRUSONE, TOFALO, DURANTI, CARLO GALLI, ARTINI, DALL'OSSO, BUSINAROLO, PISANO, BARONI, LOREFICE, CAUSIN, SBERNA, MANTERO, COMINARDI, MICILLO, SILVIA GIORDANO, LUIGI GALLO e DI VITA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la vicenda del signor Francesco Raiola rappresenta un evidente caso di malagiustizia, a cui è seguita una tragica penalizzazione dal punto di vista professionale, con gravi negative ricadute dal punto psicologico ed economico, anche per i famigliari;

   riassumendo sinteticamente i fatti, il signor R. il 21 settembre 2011 alle ore 4 del mattino è stato arrestato nella caserma militare di Barletta, dove prestata servizio come militare e tradotto al carcere militare di Santa Maria Capua Vetere per poi essere condotto in cella di isolamento per i successivi quattro giorni;

   i reati ipotizzati, a seguito di intercettazioni telefoniche, erano relativi al traffico e ricettazione di sostanze stupefacenti;

   l'11 ottobre 2011 viene accolta l'istanza dallo stesso giudice che aveva firmato l'arresto, con la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari;

   l'11 novembre 2011 il Ministero della difesa emana la graduatoria dove risulta vincitore di concorso, collocato al n. 153 su 946 concorrenti;

   il 21 novembre 2011 L'Esercito italiano dispone la sospensione della nomina di vincitore di concorso per aver perso i requisiti morali;

   il 19 gennaio 2012 L'Esercito italiano lo colloca in congedo illimitato per aver perso i diritti morali;

   il 17 febbraio 2012 viene presentata seconda istanza di riesame per la revoca degli arresti domiciliari allo stesso tribunale, l'appello viene accolto con l'immediata liberazione;

   il 30 maggio 2012 viene presentato ricorso al T.A.R. del Lazio per il reintegro in servizio;

   il 19 giugno 2012 viene respinto il ricorso al T.A.R.;

   il 30 aprile 2015 il G.U.P. ha pronunciato la sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste, la stessa è rinvenuta cosa giudicata;

   il 20 aprile 2016 viene anche riconosciuto l'indennizzo dell'ingiusta detenzione dalla Corte di appello di Salerno;

   il 29 settembre 2016 l'on. Rossi, Sottosegretario di Stato al Ministero della difesa, rispondendo ad apposita interrogazione presentata al Senato, affermava, tra le altre cose: «i profili esposti....rendono comunque opportuno esaminare eventuali ulteriori prospettazioni anche per valutazioni più complessive di tali fattispecie compatibili con l'ordinamento militare»;

   nel febbraio 2017 viene presentata istanza al Presidente della Repubblica;

   il signor Francesco Raiola versa in condizioni di estrema fragilità emotiva e psicologica, unitamente a tutti i suoi famigliari e, inoltre, la grave ingiustizia subita ha causato ingenti danni economici e morali, ancora più gravi in quanto padre di due bambini;

   nel marzo 2017 veniva presentata dal promotore Salvatore Rullo, presidente dell'associazione As.So.Di.Pro, apposita petizione online sul sito specializzato «Change.org», che ha raggiunto alla data odierna 33.000 sostenitori circa –:

   per quali motivi non sia stato dato seguito a quanto prospettato dal sottosegretario on. Rossi riguardo ad eventuali soluzioni che prevedano fattispecie compatibili con l'ordinamento militare;

   quali urgenti provvedimenti si intendono adottare per il reintegro nell'Esercito italiano del signor Francesco Raiola anche prevedendo provvedimenti straordinari e, ove possibile, considerando l'anzianità di servizio negata dalla nota vicenda, per porre fine a una situazione di gravissima ingiustizia che perdura ormai da diversi anni e restituire dignità a un uomo che si è sempre impegnato con abnegazione e grande senso del dovere al servizio delle istituzioni.
(4-16175)

  Risposta. — La vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto il signor F.R. menzionato nell'atto ha trovato positiva soluzione attraverso la previsione dell'articolo 2204-bis del decreto legislativo n. 66 del 2010, novellato dall'articolo 9, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 94 recante «Disposizioni in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate, ai sensi dell'articolo 1, comma 5, secondo periodo, della legge 31 dicembre 2012, n. 244».
  Tale articolo, infatti, espressamente prevede che «i volontari in ferma prefissata quadriennale ovvero in ferma biennale, che siano stati esclusi dalle procedure di immissione nei ruoli dei volontari in servizio permanente emanate negli anni dal 2010 al 2016 compreso in quanto sottoposti a procedimento penale, nei casi in cui successivamente sia stata disposta l'archiviazione o il procedimento penale si sia concluso con sentenza irrevocabile che dichiari che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, possono presentare la domanda di riammissione (...) entro centottanta giorni a decorrere dalla data di pubblicazione del relativo avviso sul sito istituzionale del Ministero della Difesa (...)».

Il Sottosegretario di Stato per la difesa: Domenico Rossi.


   BASSO, CAROCCI, GIACOBBE e TULLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   l'Istituto idrografico della Marina offre da oltre 150 anni un servizio di eccellenza alla città di Genova, al Ministero della difesa e a tutto il Mediterraneo, contribuendo a garantire la sicurezza della navigazione, la salvaguardia della vita in mare e dell'ambiente marino. All'interno dell'Istituto lavorano e collaborano, in un buon clima di sinergia, personale sia militare, che peraltro rappresenta anche la dirigenza dell'Ente, sia civile, con una veste più specificamente tecnica o amministrativa;

   negli ultimi due anni l'Istituto idrografico della Marina ha subito un taglio di personale civile, che con la sua permanenza all'interno dell'Ente per tutta la durata della carriera lavorativa, garantisce la continuità della produzione e la memoria storica. Il personale civile è sceso a 122 dipendenti più quattro professori universitari, contro un organico di 182 persone e cinque professori, e il timore è che il nuovo decreto possa prevedere ulteriori riduzioni, a fronte di un alto numero di pensionamenti;

   inoltre, l'Ente non ha ancora ottenuto il cambio di sede a Calata Gadda. La sede attuale, lo storico Forte San Giorgio, presenta notevoli criticità e necessita quindi di continui interventi di manutenzione con aggravi nella gestione delle normali attività;

   in ultimo, dal 21 dicembre 2016 l'ente è stato riconfigurato in distaccamento amministrativo alle dipendenze di Maricommi, il commissariato della Marina Militare di La Spezia –:

   se il Governo stia valutando un piano strategico per l'immissione di nuovo personale a compensazione delle carenze attuali e dei pensionamenti futuri, attraverso uno sblocco della mobilità intercompartimentale, ovvero la possibilità di acquisire personale da altri enti esterni al Ministero della difesa, che consentirebbe di tamponare l'emorragia di personale nell'immediato e, nel rispetto dei tempi tecnici, l'indizione e l'espletamento di un concorso per l'immissione di nuovo personale, come a suo tempo ipotizzato;

   se e quali siano gli impatti sullo svolgimento dell'attività amministrativa;

   se intenda assumere iniziative per lo sblocco della situazione relativa al ricollocamento dell'ente nella nuova sede di Calata Gadda (edificio ex Selom).
(4-16376)

  Risposta. — L'auspicato trasferimento dell'Istituto idrografico della Marina militare di Genova presso l'edificio denominato «ex-Lavanderia – fabbricato Selom» è stato rallentato da alcune azioni legali intraprese dalle ditte che avevano l'immobile in concessione e dal rinnovo alle stesse delle concessioni portuali fino alla data del 31 dicembre 2016, accordato dall'ex presidente dell'autorità portuale.
  Ad oggi, l'articolato processo di trasferimento non è ancora iniziato. Tuttavia, a seguito di un rinnovato impulso da parte del Ministro della difesa nei confronti degli enti interessati, militari e non, si ha notizia che a breve si potrà giungere alla consegna temporanea di una porzione del
fabbricato Selom dall'autorità di sistema portuale del Mar Ligure occidentale di Genova alla Marina militare.
  Ciò permetterà di addivenire, attraverso le verifiche sismiche e la progettazione, ad un cronoprogramma che definisca tempi e costi del trasferimento dell'Istituto Idrografico sulla base di attendibili elementi tecnicoprogettuali, pur nella consapevolezza che rimangono pendenti i ricorsi al TAR Liguria da parte delle ditte concessionarie che, attualmente, ancora operano all'interno dell'edificio ex-Lavanderia.
  Per quanto riguarda, invece, la carenza di personale segnalata nell'atto, si rende noto che, pur nel presente quadro normativo vincolato, le esigenze del Maridrografico sono state inserite in un programma di assunzioni, di cui si attende la necessaria autorizzazione da parte dei competenti dicasteri ai sensi della normativa vigente.
  Nel periodo transitorio, la Marina militare e l'Amministrazione hanno comunque già posto in essere un piano di azioni, tra cui il ricorso all'istituto dell'assegnazione temporanea in posizione di comando da altre amministrazioni pubbliche che ha già consentito l'ingresso di un'aliquota di personale, promuovendo altresì la possibilità di ulteriori assegnazioni temporanee, anche con l'obiettivo di rinforzare lo specifico settore cartografico.
  Si sottolinea, ad ogni buon conto, che le problematiche segnalate dagli interroganti sono alla costante attenzione della Difesa, in considerazione dell'indiscusso prestigio di cui gode l'Istituto genovese, unico organo cartografico dello Stato per gli aspetti marittimi e costieri che, come riconosciuto dallo stesso interrogante, concorre alla sicurezza della navigazione, sia militare che civile, e alla salvaguardia della vita umana in mare, attraverso la produzione ed il continuo aggiornamento della documentazione nautica ufficiale.

Il Sottosegretario di Stato per la difesa: Gioacchino Alfano.


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 10 dicembre 2016 il Movimento Forza Nuova, organizzazione neofascista, ha organizzato una manifestazione nel centro della cittadina di Casalpusterlengo, in provincia di Lodi;

   i militanti e simpatizzanti forzanovisti, circa una quindicina, hanno occupato lo spazio antistante il Teatro Carlo Rossi in piazza del Popolo, e con striscioni, bandiere e megafono, hanno ben scandito i loro slogan contro Europa e profughi;

   l'interrogante ritiene comunque grave che un Movimento come Forza Nuova, che sta organizzando manifestazioni in tutta la provincia di Lodi e che si richiama dichiaratamente a valori e simboli riconducibili al neofascismo, possa manifestare nella piazza principale di una qualsiasi città italiana;

   il permesso di organizzare il presidio di fronte al Teatro Carlo Rossi è stato concesso dalla questura e comunicato all'amministrazione comunale soltanto quattro ore prima dell'evento;

   limitrofa a piazza del Popolo in quelle ore, si teneva un'assemblea molto partecipata di una associazione locale e l'amministrazione comunale aveva concesso gli spazi per dei regolari banchetti ad altre associazioni e commercianti nell'adiacente via Garibaldi;

   al fine di garantire la sicurezza e il regolare svolgimento della manifestazione di Forza nuova, la questura ha dispiegato uomini delle forze dell'ordine in divisa ed in borghese, in numero superiore ai manifestanti;

   l'amministrazione comunale è contrariata dal fatto che la questura abbia concesso il permesso alla manifestazione di Forza Nuova senza prima consultare la stessa amministrazione che, soprattutto in periodo natalizio, svolge anche la funzione di coordinamento della concessione degli spazi a commercianti ed associazioni, e valuta in modo assai negativo il dispiegamento di forze dell'ordine che dovrebbero garantire la sicurezza delle città, anziché essere costrette ad occuparsi di una dozzina di simpatizzanti di Forza Nuova;

   l'amministrazione comunale rivendica la titolarità a decidere dove dovrebbero essere concessi spazi e sostiene che avrebbe concesso a Forza Nuova il permesso per un banchetto nei pressi della stazione ferroviaria. È altresì doveroso sottolineare che negli uffici comunali di Casalpusterlengo non sarebbe mai giunta alcuna richiesta da parte di Forza Nuova per l'ottenimento di qualsivoglia permesso –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro affinché casi di questo tipo – in cui le questure concedono spazi e permessi ad organizzazioni e movimenti politici, oltretutto di stampo neofascista, con modalità che appaiono all'interrogante arbitrarie, senza che le amministrazioni comunali nemmeno ne siano a conoscenza – non abbiano più a verificarsi.
(4-15017)

  Risposta. — Il 15 novembre 2016 il coordinatore provinciale di Forza Nuova, Ettore Sanzanni, ha presentato una domanda di occupazione temporanea di suolo pubblico al comune di Casalpusterlengo, al fine di effettuare un presidio di propaganda politica nel pomeriggio di sabato 26 novembre in piazza Brembiolo.
  Il 22 novembre successivo, il sindaco di Casalpusterlengo ha disposto il diniego al rilascio della predetta autorizzazione, indicando quale spazio idoneo quello antistante la locale stazione ferroviaria, in piazza G. Marconi.
  Il signor Sanzanni, preso atto delle determinazioni assunte dal sindaco, il 29 novembre ha presentato formale preavviso presso la questura di Lodi, finalizzato a effettuare un presidio statico, con contestuale volantinaggio, in piazza del Popolo a Casalpusterlengo, dalle ore 15 alle ore 18 di sabato 10 dicembre 2016, con la prevista partecipazione di almeno trenta militanti provenienti soprattutto dalle province limitrofe.
  Si precisa che tale «preavviso di pubblica manifestazione» è una semplice informativa trasmessa all'autorità di pubblica sicurezza, affinché quest'ultima possa predisporre un servizio di ordine pubblico per la prevenzione di possibili turbative o incidenti, alla quale non segue il rilascio di alcuna autorizzazione da parte del questore.
  Dopo aver ricevuto il preavviso, le forze di polizia si sono immediatamente attivate per accertare se in piazza del Popolo fossero state autorizzate dal comune manifestazioni concomitanti, organizzate dall'area ideologicamente contrapposta.
  Inoltre, il 5 dicembre seguente, il capo di gabinetto della questura ha informato telefonicamente il Sindaco di Casalpusterlengo della preavvisata manifestazione, rappresentandogli anche che – a quel che era dato sapere – gli organizzatori non avrebbero richiesto il rilascio dell'autorizzazione comunale all'occupazione di spazio pubblico, perché avevano intenzione di presenziare in maniera statica nella piazza e di distribuire volantini, senza allestire alcun gazebo.
  Nel corso di tutta la settimana, non potendosi escludere che il presidio potesse costituire l'occasione per turbative dell'ordine pubblico, la questura ha costantemente monitorato gli ambienti dell'area antagonista.
  Il 9 dicembre 2016, con apposita ordinanza inviata anche all'indirizzo
e-mail del comando della polizia locale di Casalpusterlengo, il questore ha disciplinato il servizio di ordine pubblico per il presidio di Forza Nuova del 10 dicembre.
  Durante la manifestazione, che si è svolta nel giorno e nel luogo previsto, con la partecipazione di circa 35 militanti di Forza Nuova, non è stata riscontrata alcuna violazione della cosiddetta legge Scelba (legge n. 645 del 1952) o della cosiddetta legge Mancino (legge n. 205 del 1993) né, più in generale alcun problema sotto i profili dell'ordine e della sicurezza pubblica.
  Per completezza, si informa che non si sono tenute neanche manifestazioni di protesta da parte dei movimenti di aree ideologicamente contrapposte.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   BRUNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   sul sito www.autostradadelmediterraneo.it si legge testualmente: «Il 22 dicembre 2016 l'Anas, presieduta da Gianni Vittorio Armani, ha aperto al traffico, con oltre un anno di anticipo sulla data di consegna dei lavori, la Galleria Larìa. Era l'ultimo grande cantiere: la A3-Salerno Reggio Calabria è finita»;

   è stata appena presentato il volume «Autostrada del Mediterraneo – Guida per viaggiare con gusto 2017» realizzato da « La Repubblica», in collaborazione con Anas, in edicola da mercoledì 28 giugno 2017 per pubblicizzare il turismo enogastronomico lungo la tratta;

   il 22 dicembre 2016 l'inaugurazione aveva visto la presenza del premier Paolo Gentiloni e dello stesso Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e in un post dell’ex premier Matteo Renzi si leggeva: «dieci mesi fa i giornalisti della stampa estera si misero a ridere. Avevo appena annunciato, che la Salerno-Reggio Calabria sarebbe stata inaugurata il 22 dicembre 2016. Grazie al lavoro del Ministero, dell'Anas, dei tecnici e degli straordinari lavoratori questo impegno domani diventerà realtà...»;

   ad oggi questi annunci sembrano alquanto improvvidi, sfiorando l'offensività per chi, come avviene in queste ore, resta incolonnato per molto tempo a oltre 40 gradi in lamiere arroventate lungo l'Autostrada del Mediterraneo;

   il 25 giugno 2017 si è verificato un incidente mortale, in cui ha perso la vita anche un bambino di 8 anni, proprio lungo l'autostrada in un tratto a corsia unica parrebbe per lavori in corso tra Laino Borgo e Mormanno;

   sembra che perfino il Codacons abbia presentato una denuncia alla magistratura chiedendo di verificare tutte le eventuali responsabilità e capire come sia stata collaudata quell'opera, per larghi tratti già sotto sequestro;

   ogni giorno, da quattro mesi, tra gli svincoli di Altilia e Cosenza Sud (e oltre) per i lavori di rifacimento del manto stradale e di alcuni giunti, gli automobilisti sono costretti a viaggiare per lunghi tratti su una sola corsia, con enormi disagi e, a tal proposito, i sindaci dell'area del Savuto hanno inviato una missiva ai vertici dell'Anas per segnalarne il problema e avere rassicurazioni in merito;

   in vista della stagione estiva e quindi dell'aumento del flusso dei viaggiatori la situazione rischia solo di peggiorare;

   la tanto pubblicizzata «Autostrada del Mediterraneo» in poche parole non è sicura, non è terminata perché ci sono cantieri ovunque e, in molti punti, dove non ci sono cantieri, il manto stradale è sconnesso e pericoloso, non è l'autostrada del futuro come ci raccontano gli spot di questi giorni e nonostante lo Stato abbia investito ben oltre 8 miliardi di euro nel corso degli anni rimane una grande opera incompiuta –:

   come il Ministro interrogato intenda rispondere alle istanze del territorio e se non ritenga di assumere iniziative affinché l'Anas garantisca almeno gli standard minimi di sicurezza.
(4-17166)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società Anas.
  Il 22 dicembre 2016 è stato aperto al traffico il macrolotto 3 Parte 2a tra Laino Borgo e Campotenese dell'Autostrada Salerno-Reggio Calabria, ciò ha dato un nuovo aspetto all'autostrada, che oggi si presenta più moderna, con opere di alto valore ingegneristico e con un tracciato plano-altimetrico più lineare, caratterizzato da tre corsie per senso di marcia tra Salerno e Sicignano e da due corsie da Sicignano in poi.
  In tale contesto, anche nell'ottica di rilanciare la vocazione turistica e culturale dell'arteria in questione, che va intesa non solo come strada di passaggio, ma anche come infrastruttura attraverso la quale accedere e riscoprire i territori dell'Italia meridionale, si è deciso di procedere alla ridenominazione dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria in A2 «Autostrada del Mediterraneo».
  Anas evidenzia che il cambio di nome è stato
in primis un'operazione per valorizzare la vocazione turistica e culturale di questa grande autostrada, proiettata verso il Mar Mediterraneo, per specificare il suo ruolo trasportistico europeo: l'A2 come naturale prosecuzione dell'itinerario Nord-Sud che nasce a Milano con la A1.
  La nuova denominazione di «Autostrada del Mediterraneo» serve, anche, a superare lo stereotipo di valenza fortemente negativa, che identificava l'autostrada Sa-Rc come l'eterna incompiuta d'Italia ovvero l'emblema del sud che non funziona.
  Oggi l'attuale autostrada può, invece, rappresentare il riscatto del Mezzogiorno d'Italia: una grande infrastruttura nuova, moderna e sicura con opere di alto valore ingegneristico. Un cambio di percezione da parte degli utenti è sostenuto prevalentemente da tre azioni concrete:

   il piano di manutenzione;

   una campagna di valorizzazione turistica;

   l'investimento sull'innovazione con le tecnologie smart-road.

  Purtroppo, sull'arteria in questione il 25 giugno 2017, come ricordato anche dall'interrogante, si verificato un grave incidente all'interno della galleria Jannello, tra Laino Borgo e Canpotenese, che ha visto coinvolte due autovetture, in cui hanno perso la vita quattro persone. Al momento della disgrazia, il traffico risultava canalizzato su una corsia per senso di marcia in direzione sud, per consentire l'esecuzione delle attività di regolamentazione degli impianti tecnologici della galleria.
  Dai rilievi effettuati da ANAS la dinamica dell'incidente non sembrerebbe riconducibile a questioni legate alla struttura della galleria, in quanto si ritiene possa trattarsi di un'invasione di corsia da parte di un autoveicolo scontratosi frontalmente con un'altra automobile che procedeva in direzione opposta. La competente procura della Repubblica di Castrovillari ha aperto un'indagine giudiziaria sull'accaduto.
  In ordine, poi, alle limitazioni disposte alla circolazione lungo il tratto dell'arteria autostradale in questione, Anas ha comunicato che sono stati adottati e regolarmente segnalati i necessari provvedimenti previsti dal codice della strada e dal relativo regolamento di esecuzione. Difatti era stato imposto il limite di velocità di 60 chilometri orari il divieto di sorpasso a tutti gli autoveicoli.
  Dette prescrizioni al transito veicolare risultavano peraltro, di carattere assolutamente temporaneo, in quanto circoscritte al tempo strettamente necessario al completamento delle attività di regolamentazione degli impianti in galleria.
  Con riferimento, invece al tratto tra Cosenza e Altilia, Anas ha rappresentato che i lavori di manutenzione straordinaria, in fase di esecuzione, rientrano nel piano di investimenti adottato dalla società per conservare e implementare ulteriormente gli standard di comfort e sicurezza dell'A/2, con l'obiettivo di trasformarla nella prima «
smart road» italiana percorribile da auto senza il pilota.
  Il piano di investimenti pari a circa 1 miliardo di euro, interamente avviato e finanziato, prevede l'esecuzione di una pluralità di interventi, su complessivi 58 chilometri all'interno delle province di Cosenza e Vibo Valentia, volti a ottenere un maggior livello di sicurezza per la circolazione, quali, tra l'altro, il risanamento del corpo stradale, l'adeguamento delle opere presenti e degli impianti.
  In particolare, Anas comunica che per il tratto tra Cosenza e Altilia è prevista l'esecuzione di una serie di interventi sul corpo stradale con rifacimento della segnaletica e della pavimentazione, anche individuando azioni di messa in sicurezza delle opere autostradali, senza escludere varianti localizzate, al fine di superare eventuali elementi di criticità.
  Anas informa che è stata avviata la prima fase del piano attraverso una serie di accordi quadro per i quali risultano già in corso i relativi appalti, che riguardano sostanzialmente l'esecuzione di interventi sul corpo stradale, sulle opere d'arte minori, sugli impianti e sulla segnaletica.
  Inoltre. allo scopo di contenere al massimo l'impatto sulla viabilità per l'attuazione del piano, Anas sta procedendo attraverso singoli interventi, limitati nel tempo di realizzazione, eseguibili mediante l'istituzione di restringimenti della carreggiata autostradale o del doppio senso di circolazione sulla carreggiata libera dai lavori.
  
Infine, la società Anas ha segnalato che dal 20 luglio 2017, in previsione dell'esodo estivo, ha rimosso tutti i cantieri di manutenzione dall'autostrada, avviando a servizio dell'utenza una serie di attività finalizzate alla qualità e sicurezza del viaggio, quali il monitoraggio e la vigilanza del traffico 24 ore su 24 sia attraverso le 20 sale operative presenti sul territorio, unitamente alla sala operativa nazionale e al personale su strada, un servizio di informazione in tempo reale attraverso il sito aziendale www.stradeanas.it e il numero verde gratuito «Pronto Anas».
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 19 maggio 2017 si sono verificati due incidenti a distanza di un'ora, sulla strada statale 626 Caltanissetta-Gela, strada molto trafficata da quando è chiuso il viadotto San Giuliano sulla strada statale 640;

   come riporta il sito dell'Anas, nel 2015 furono stanziati circa 3 milioni di euro vincolati alla ricostruzione della campata crollata del ponte Petrulla attraverso l'utilizzo di nuove travi a cavi scorrevoli interni ed esterni e alla riparazione degli impalcati esistenti per un miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti. Inoltre, è prevista la sostituzione dei giunti esistenti e il rifacimento della pavimentazione e dell'impermeabilizzazione dell'impalcato. Con un termine previsto per l'esecuzione dei lavori di 240 giorni consecutivi, a partire dalla data del verbale di consegna;

   la strada statale 626, chiusa da luglio del 2014 da quando – a causa di un cedimento strutturale il ponte sul viadotto Petrulla – si spezzò in due rischiando di far morire alcuni automobilisti in transito, non sarà riaperta a maggio come previsto, causando continui disagi per gli automobilisti che devono spostarsi da Licata verso l'entroterra siciliano e viceversa;

   da quando il viadotto Petrulla è crollato, l'unica strada che collega Licata con Campobello di Licata, Ravanusa e Canicattì ma anche con alcuni centri del nisseno, è la vecchia statale 123 che passa da contrada Sant'Oliva e che poi, grazie ad una serie di tornanti, si inerpica fino a raggiungere la zona collinare. Strada che allunga di molto i tempi di percorrenza tra le città collegate e per lo più è molto scomoda;

   la mancanza di questo importante collegamento, che consente ai cittadini dell'entroterra di raggiungere il mare e le spiagge di Licata, sta danneggiando gli operatori turistici che, in particolare nella stagione scorsa, hanno subito un grave danno in termini economici e li continueranno a subire se non si dovesse intervenire;

   la viabilità siciliana è indispensabile per la crescita turistica, quindi economica dell'isola. Non si può ancora permettere ritardi alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade in Sicilia –:

   se il Ministro interrogato non intenda verificare che i 3 milioni di euro stanziati siano stati utilizzati per gli interventi sopraelencati;

   se il Ministro non intenda appurare eventuali responsabilità da parte dell'Anas e quali iniziative intenda assumere per esercitare un controllo puntuale in relazione all'esecuzione delle opere, assicurando la conclusione in tempi brevi delle stesse e chiarendo il motivo dei cambiamenti e dei ritardi nel completamento dei lavori sulla strada statale 626.
(4-16722)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società Anas.
  Il viadotto «Petrulla», situato sulla strada statale 626/dir, è una struttura realizzata negli anni ‘80, nel 2014 è stata interessata dal crollo di una campata a causa della rottura dei cavi di precompressione «post-tesi» di alcune travi.
  I lavori di ricostruzione dell'arcata crollata e quelli di riparazione degli impalcati del ponte sono stati inseriti da Anas nel piano di interventi previsti dalla legge n. 190 del 23 dicembre 2014, (legge di stabilità 2015), con «priorità 2», per un importo complessivo di 3.5 milioni di euro.
  Anas informa che per completare i lavori necessari al consolidamento e alla ristrutturazione del viadotto Petrulla occorre procedere alla ricostruzione delle campate 10, 11 e 12 sostituendo gli impalcati danneggiati con travi in acciaio.
  Evidenzia, altresì, che il tratto chiuso al traffico dal 7 luglio 2014. necessita di ulteriori interventi di ripristino sia della pavimentazione che dei giunti di dilatazione dei viadotti.
  I lavori di completamento degli interventi sono stati consegnati da Anas alla ditta esecutrice il 1° giugno 2017 e la riapertura del tratto è fissata entro la fine del mese di ottobre 2017.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CARIELLO e L'ABBATE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   le fonti di stampa hanno recentemente e ripetutamente posto in gran risalto che nel territorio nazionale – nell'ambito del servizio di trasporto passeggeri su gomma a media e lunga percorrenza – opera una società italiana, la Flixbus Italia S.r.l., interamente controllata dal socio unico tedesco «FlixMobility GmbH», cui si contesta di operare in «regime di concorrenza sleale» per il fatto di mettere in atto una politica tariffaria e un modello di business insostenibili per qualunque altra impresa del settore;

   l'azienda tedesca, infatti, sta «destabilizzando un mercato non in crescita», praticando prezzi sottocosto pagati da autisti e imprese partner locali, su cui ricade interamente il rischio d'impresa. Ciò sarebbe reso possibile in quanto Flixbus non è «un operatore», bensì semplicemente «una software house, un portale», cui pertanto non andrebbero accordate neppure le autorizzazioni ministeriali necessarie per esercitare il servizio di autotrasporto;

   la società, invero, non possiede autobus e non ha autisti alle proprie dipendenze, ma si limita a offrire una biglietteria online unificata a un sempre più vasto network di aziende di trasporto locali, le quali investono nell'acquisto degli autobus in cambio della pianificazione delle linee, dei servizi di marketing, della visibilità e del servizio di vendita garantiti dall'azienda madre;

   dai bilanci di esercizio depositati e pubblicati dalla Flixbus Italia s.r.l. non risulta alcuna posta attiva da sottoporre a tassazione nonostante:

   a) il bilancio abbreviato d'esercizio chiuso al 31 dicembre 2015 evidenzi un finanziamento da parte del socio controllante pari a 2.975.000 euro, a fronte di perdite di esercizio per 2.446.536 euro, nonché disponibilità liquide di 1.065.000 euro (non sussisterebbero invece investimenti per immobilizzazioni materiali di proprietà e di start up);

   b) alle aziende partner, a quanto risulta agli interroganti, venga riconosciuto un corrispettivo pari al 70 per cento del ricavo netto generato dalla vendita dei biglietti da parte della FlixMobility GmbH, con un minimo garantito di 0,65 euro per chilometro notevolmente inferiore a quello medio di mercato (pari a 1,50 euro per chilometro);

   l'accertata esistenza di finanziamenti all'impresa da parte del titolare o dei soci sono spesso sintomo di condotte evasive e/o elusive, se non sorretti da adeguate ragioni economiche, in quanto potrebbero trarre origine da corrispettivi non contabilizzati (cfr. circolari n. 1/2008 del Comando generale della Guardia di finanza; n. 175/E/99; n. 289/E-11A-680; n. 246/E/11-4-217559);

   come risulta dai titoli di viaggio, il prezzo del biglietto on-line viene versato direttamente su conti correnti intestati alla società tedesca (la controllante FlixMobility GmbH). Detta circostanza, unitamente all'utilizzo da parte di Flixbus del particolare sistema della piattaforma digitale, non consente, ad avviso degli interroganti, di avere contezza della «gestione» operata dall'azienda italiana, né delle certificazioni fiscali eventualmente emesse ed idonee, secondo la normativa di settore, a documentare i corrispettivi della prestazione di servizio resa (decreto ministeriale 30 giugno 1992; articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 696 del 1996; decreto ministeriale del 24 gennaio 2004) –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto e quali iniziative normative intenda avviare al riguardo, promuovendo altresì verifiche da parte delle diverse autorità competenti (Agenzia delle Entrate, Guardia di finanza, perché questa situazione non abbia a perpetuarsi, comportando essa una grave violazione della par condicio delle imprese esercenti tale pubblico servizio, con conseguente eventuale perdita di migliaia di posti di lavoro.
(4-17084)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per il trasporto stradale e per l'intermodalità di questo Ministero.
  La società Flixbus opera in Italia, nell'ambito dei servizi di trasporto passeggeri con autobus di linea di competenza statale, in piena conformità a quanto previsto dalla normativa di settore (decreto legislativo n. 285 del 2005).
  Quanto sopra è testimoniato, tra l'altro, dal fatto che diversi ricorsi, presentati da imprese concorrenti contro i provvedimenti autorizzativi di questa Amministrazione non hanno avuto esito favorevole, con conferma delle autorizzazioni rilasciate.
  Nello stesso tempo va considerato che la liberalizzazione del settore delle autolinee di competenza statale introdotta con il decreto legislativo n. 285 del 2005, ad oltre 10 anni dalla sua attuazione necessita di una revisione e di un riordino anche per semplificare i procedimenti.
  A tale riguardo, si segnala che nell'ambito della legge di conversione del decreto-legge 20 giugno 2017 n. 91 cosiddetto decreto Mezzogiorno, recentemente approvata anche dalla Camera dei deputati e in attesa di pubblicazione, l'articolo 16-
quinquies, prevede proprio l'attivazione di un tavolo per il riordino della disciplina di tali servizi con il coinvolgimento di tutti i principali soggetti interessati.
  Inoltre, in merito all'opportunità di promuovere verifiche e controlli da parte delle diverse autorità competenti, il Ministero dell'economia e delle finanze, interessato al riguardo, ha comunicato che la Società Flixbus Italia è interamente controllata dalla società tedesca FlixMobility GmbH; detta società controllante appartiene all'Unione europea e pertanto, con riferimento alla stessa vige il principio di libertà di stabilimento (articolo n. 54 Trattato sul finanziamento dell'Unione europea).
  La libertà di stabilimento va comunque esercitata in conformità a quanto previsto nelle direttive comunitarie e, in particolare, in conformità alle disposizioni anti-abuso di cui alla direttiva ATAD 2016/1164 del 12 luglio 2016, di recepimento a livello comunitario dei recenti orientamenti emersi in sede OCSE, nell'ambito del progetto in materia di
Base erosion and profit shifting (cosiddetto BEPS).
  In ogni caso, l'ordinamento tributario interno prevede specifiche discipline a presidio della corretta imposizione dei redditi riconducibili ai soggetti residenti nel territorio dello Stato, anche di recepimento delle predette direttive.
  Il Ministero dell'economia e delle finanze ha altresì evidenziato che i dati e le informazioni contenuti nell'interrogazione in esame, ivi compreso il finanziamento da parte dei soci esteri, sono ordinariamente presi in considerazione ai fini dell'analisi di rischio, della selezione e dell'espletamento dei controlli fiscali e che, qualora in esito alle attività di controllo che saranno eventualmente poste in essere fossero riscontrate irregolarità, si applicherà il trattamento tributario e sanzionatorio previsto per le specifiche violazioni e eventualmente contestate/accertate.
  In ogni caso, qualsiasi iniziativa di controllo non può essere oggetto di divulgazione in quanto coperta da obbligo di riservatezza.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riporta il quarto comma dell'articolo 175 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, «le variazioni di bilancio possono essere adottate dall'organo esecutivo in via d'urgenza opportunamente motivata, salvo ratifica, a pena di decadenza, da parte dell'organo consiliare entro i sessanta giorni seguenti e comunque entro il 31 dicembre dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine»;

   il consiglio comunale di Ragusa, con la delibera n. 76 del 16 dicembre 2016, non ha ratificato i diversi provvedimenti di giunta municipale che adottavano le variazioni di bilancio, determinandone la irrimediabile decadenza;

   a dispetto di quanto dispone la normativa vigente, normativa di carattere ordinario, taluni consiglieri comunali hanno deciso di riproporre la deliberazione, presupponendo la loro competenza in ordine a tale determinazione, a giudizio dell'interrogante in palese contrasto con i termini perentori previsti dalla legge allo scopo di attribuire certezza ai risultati d'esercizio approvando la delibera n. 78 del 30 dicembre 2016;

   la giunta comunale, oltre alle variazioni al piano esecutivo di gestione, può legittimamente approvare, con un proprio provvedimento, soltanto le variazioni al bilancio che si presentano come prive di discrezionalità amministrativa, in quanto attuative di decisioni consiliari;

   secondo l'articolo 42 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, le variazioni di bilancio possono essere adottate dall'organo esecutivo in via d'urgenza, (motivandone l'urgenza) purché siano ratificate, a pena di decadenza, da parte dell'organo consiliare entro e non oltre i sessanta giorni seguenti e comunque entro il 31 dicembre dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine;

   ne discende che il deliberato successivo del consiglio comunale di Ragusa, proposto da alcuni consiglieri comunali per sanare la prima «bocciatura» della variazione di bilancio, è in contrasto con la normativa vigente;

   i profili di legittimità sono stati evidenziati da numerosi consiglieri comunali, dapprima con una nota scritta, successivamente illustrati in sede di seduta di consiglio comunale e, da ultimo, a quanto risulta all'interrogante precisati al collegio dei revisori;

   in diritto amministrativo, l'istituto della decadenza assicura la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici, alla luce del maggior vigore che informa la sua disciplina, che è caratterizzata da termini brevi di cui non è ammessa l'interruzione né la sospensione, tranne che in casi eccezionali;

   le variazioni di bilancio deliberate dalla giunta e non approvate dal consiglio comunale in quanto decadute, secondo l'interrogante, vanno considerate nulle ai fini di un'ulteriore deliberazione di ratifica e tale nullità non può che dispiegare effetti vizianti di analoga natura sulla deliberazione stessa e assume l'inequivocabile carattere della insanabilità in ogni stato del procedimento approvativo –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare al riguardo e se, in particolare, si intenda promuovere una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica presso il comune di Ragusa, anche al fine di scongiurare pregiudizi erariali a seguito della delibera n. 78 del 30 dicembre 2016.
(4-15458)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame con la quale, nel segnalare alcune problematiche conseguenti alla mancata ratifica, da parte del Consiglio comunale di Ragusa, delle delibere con le quali la giunta comunale ha disposto variazioni al bilancio di previsione dell'esercizio 2016, si chiede l'intervento di una verifica dei Servizi ispettivi di finanza pubblica, finalizzata a scongiurare eventuali pregiudizi erariali.
  Al riguardo, si precisa, preliminarmente, che il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, recato dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplina dettagliatamente la competenza degli organi, in relazione alla tipologia di variazione apportata al documento di bilancio.
  Per quanto attiene specificamente alla situazione descritta nell'interrogazione, si evidenzia che il predetto Testo unico, in caso di mancata ratifica delle delibere di variazione di bilancio, impone all'Organo consiliare di adottare, nei successivi trenta giorni, e comunque sempre entro il 31 dicembre dell'esercizio in corso, i provvedimenti ritenuti necessari in relazione ai rapporti eventualmente sorti sulla base della deliberazione non ratificata.
  In merito poi alla richiesta di attivare una verifica amministrativo-contabile presso il comune di Ragusa, si ritiene opportuno precisare che, a norma dell'articolo 14 della legge del 31 dicembre 2009, n. 196, recante le norme di contabilità e finanza pubblica, «in relazione alle esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica...» il dipartimento della ragioneria generale dello Stato, tramite i servizi ispettivi, effettua periodiche verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile delle Amministrazioni pubbliche, complessivamente sulla base di una programmazione annuale.
  Tale programmazione viene elaborata, valutando, di volta in volta, le tematiche da approfondire, secondo l'incidenza delle stesse sulla finanza pubblica e sulla base degli obiettivi fissati dalla direttiva ministeriale annuale sull'azione amministrativa, cui la programmazione stessa si deve ispirare.
  Ciò si effettua selezionando gli enti, sulla base di parametri oggettivi, estrapolati dalle banche dati utilizzate dal dipartimento della ragioneria generale dello Stato.
  In tale ottica generale, che prende in considerazione, pertanto, una ampia e complessa gamma di fattispecie, è quindi doveroso considerare che i fatti segnalati attengano ad una fattispecie molto specifica e circoscritta.
  Ciò non toglie che, per corrispondere comunque alle richieste dell'interrogante, nelle descritte programmazioni verranno valutate le problematiche segnalate, al fine di un eventuale inserimento nei piani ispettivi.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Pier Paolo Baretta.


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la convenzione STCW (Standards of training, certification and watchkeeping), adottata nel 1978 in sede IMO (Organizzazione marittima internazionale), è lo strumento normativo internazionale che fissa gli standard di competenza professionale propri di ogni figura professionale marittima e ne disciplina la relativa attività di certificazione;

   una revisione generale della Convenzione, iniziata nel gennaio 2006, è culminata nella Conferenza di Manila del giugno 2010, in occasione della quale sono state apportate significative modifiche alla citata Convenzione e al relativo codice, soprattutto in materia di standard di competenza richiesti, con l'introduzione, peraltro, di nuovi requisiti per l'addestramento e la certificazione dei marittimi;

   la STCW stabilisce, infatti, i requisiti fondamentali affinché un lavoratore marittimo, attraverso corsi specifici, periodi di navigazione o attività alternative ma in linea con le proprie mansioni, sia abile ad esercitare la propria professione;

   la stessa Convenzione obbliga i Paesi firmatari ad emettere un certificato (detto IMO) che traduce la qualifica di ogni marittimo in termini internazionali, in modo che lo stesso abbia la possibilità di lavorare su navi o entità straniere;

   prima dell'entrata in vigore degli emendamenti alla Convenzione, approvati nella Conferenza di Manila ed entrati in vigore nel gennaio 2012, veniva approvato il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 136, recante «Attuazione della direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare»;

   suddetto decreto legislativo non risulta, pertanto, conforme alla STCW e, in sede di rinnovo del certificato IMO, l'Italia adotta la disciplina di cui allegato IV del decreto medesimo che risulta essere molto diversa da quanto stabilito dalla sez. A-I/11 della STCW come emendata;

   gli emendamenti di Manila sono oggetto di una nuova direttiva europea 2012/35/UE al cui recepimento sembra che il Ministero stia lavorando;

   a ciò si aggiunga il fatto che, sia la circolare «Titolo gente di mare» serie XIII n. 27 del 25 novembre 2013, emanata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sia la circolare ministeriale n. 2696 del 19 febbraio 2014, quanto al rinnovo dei certificati adeguati, impongono ai marittimi il rinnovo entro i 3 mesi precedenti o successivi alla data di scadenza, senza che questa disciplina discenda da alcuna norma nazionale o comunitaria;

   nonostante ciò, le capitanerie di porto rigettano le richieste di rinnovo dei suddetti certificati se le domande sono effettuate dopo 3 mesi dalla data di scadenza, poiché applicano quanto previsto dal decreto legislativo n. 136 del 2011, allegato IV, articolo 2, comma 1, lettera c), ai sensi del quale «L'autorità marittima di iscrizione, che ha rilasciato il certificato adeguato, provvede al rinnovo dello stesso se il marittimo è in possesso dei requisiti di idoneità fisica, degli addestramenti specifici richiesti dalle funzioni del certificato stesso in corso di validità, e ha soddisfatto, alternativamente, uno dei seguenti requisiti: c) abbia superato, con esito favorevole, un esame sui programmi di cui al decreto dirigenziale 17 dicembre 2007 (supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale – Parte prima – n. 13 del 16 gennaio 2008), atto a dimostrare di possedere la competenza professionale necessaria per l'assolvimento delle funzioni relative al certificato posseduto»;

   a giudizio dell'interrogante, prevedere, come spesso avviene, norme più restrittive rispetto a quanto previsto in sede comunitaria e internazionale danneggia i nostri marittimi e ne limita fortemente le possibilità di occupazione;

   stando alle procedure adottate dalle capitanerie sarà impossibile rinnovare tutti i certificati dei lavoratori in scadenza per il 1° gennaio 2017: basti pensare che l’iter burocratico per il rinnovo di ogni certificato richiede circa un mese e ogni marittimo ha in media 4/5 o, in alcuni casi, fino a 7 certificati da rinnovare;

   nel giugno 2014 è stata pubblicata l'ulteriore circolare applicativa n. 8563 che dispone la frequenza obbligatoria di corsi di formazione per l'accesso alla prossima sessione invernale di esami per ottenere i titoli STCW: chi volesse accedere alla carica direttiva deve ripetere tre volte gli stessi argomenti per sostenere tre esami simili (maturità, corso formazione, esame titolo in CDP) che vertono sulle stesse materie, limitativo per la cultura e la formazione dei nostri ufficiali;

   si tratta ad avviso dell'interrogante di un vero e proprio «business dei corsi di addestramento», ovviamente a carico dei giovani ufficiali e delle loro famiglie, che devono sostenere una spesa di circa 6.000 euro per ripetere argomenti già studiati sia per la maturità che per l'accesso alla professione marittima come ufficiale;

   si consideri, poi, che i ragazzi con famiglia, per seguire queste lezioni, devono rimanere senza lavoro per sei mesi, iscrivendosi alle liste di disoccupazione con aggravio di costi per lo Stato;

   questa è solo una parte dei problemi che affliggono la categoria, tutti problemi burocratici e di mancata armonizzazione normativa del settore –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno modificare, con urgenza e con la previsione di applicazione retroattiva, le indicazioni temporali per il rinnovo del certificato IMO contenute nelle circolari, allineando la normativa nazionale a quella degli altri Paesi europei e ripristinando una situazione di parità tra i nostri lavoratori marittimi e quelli provenienti da Paesi stranieri;

   quali siano le motivazioni della discordanza tra la normativa nazionale e le circolari ministeriali;

   se non ritenga di dover accelerare il recepimento della direttiva 2012/35/UE;

   se non ritenga, altresì, opportuno modificare il decreto ministeriale del 4 dicembre 2013, n. 1365, che ha istituito dei corsi obbligatori di formazione presso istituti autorizzati con frequenza obbligatoria ed esame finale (300 ore per gli ufficiali di coperta, 570 per quelli di macchina), anche attraverso la convocazione di un tavolo di lavoro con le associazioni di settore.
(4-09365)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali ed il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne di questo Ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Per quanto concerne il recepimento della direttiva 2012/35/CE si comunica che la stessa è stata attuata con il decreto legislativo 12 maggio 2015, n. 71 che abroga, tra l'altro il decreto legislativo 7 luglio 2011, n. 136, ivi incluso il suo allegato IV, e rinvia a decreti di questo Ministero l'implementazione delle procedure di rinnovo dei certificati.
  Il relativo decreto ministeriale, del 1° marzo 2016, è stato preceduto da una riunione con tutte le parti sociali interessate e da una consultazione con le stesse che hanno inviato i loro contributi scritti.
  Per quanto concerne la modifica delle indicazioni temporali per il rinnovo del certificato IMO, si specifica che la Convenzione STCW'78, nella sua versione aggiornata, richiede che a ogni comandante, ufficiale e radio operatore, che possieda un certificato di competenza (certificato IMO) emesso ai sensi della Convenzione, ad eccezione del capitolo VI della stessa, imbarcato o che intenda ritornare a bordo dopo un periodo a terra, per continuare a qualificarsi per il servizio a bordo, dovrà, ad intervalli che non superiori a cinque anni, possedere i prescritti requisiti medici nonché dimostrare mantenimento delle competenze professionali.
  Come sopra detto, la Convenzione impone il rinnovo entro cinque anni, considerato che sul certificato è indicata la data di scadenza, il certificato deve essere rinnovato entro tale data.
  Con il decreto legislativo n. 136 del 2011 sopracitato, il legislatore aveva individuato tra l'altro la possibilità di rinnovo anche se la data di scadenza si fosse verificata durante l'imbarco, concedendo al marittimo la possibilità di ottenere una proroga fino allo sbarco.
  Tale procedura, però, è stata ritenuta non conforme dalla Commissione europea così come notificato con l'apertura del caso Eu-Pilot n. 8443/2016.
  Il citato decreto ministeriale 1° marzo 2016 prevede che il certificato di competenza può essere rinnovato entro 4 anni dalla data di scadenza e, con la circolare titolo gente di mare, serie XIII, n. 37, del 2 agosto 2016 si è provveduto a diramare le procedure di rinnovo nel caso in cui il certificato scada durante l'imbarco.
  Per quanto concerne, infine, la modifica del decreto ministeriale 4 dicembre 2013, n. 1365, trattandosi di un decreto dirigenziale a firma del comandante del Corpo delle capitanerie di porto, sono stati richiesti chiarimenti al comando generale del Corpo delle capitanerie di porto che riferisce quanto segue.
  Con il decreto dirigenziale a firma del comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto del 4 dicembre 2013 n. 1365 «Disciplina del corso di formazione per il conseguimento delle competenze di livello direttivo per gli ufficiali di coperta e di macchina» venivano definiti i programmi per l'acquisizione delle competenze direttive come previste dalla Regola II/2 e III/2 della Convenzione STCW nella sua versione aggiornata.
  La Commissione europea riteneva quindi soddisfacente, per quanto attiene il
gap di formazione, l'emanazione del decreto sopra citato, entrato in vigore in Italia in data 14 gennaio 2014; da tale data tutti gli ufficiali di navigazione e di macchina accedono al «corso» al line di conseguire l'abilitazione di livello direttivo e, quindi, essere arruolati con la qualifica di primo ufficiale (coperta e macchina).
  Successivamente, alla luce di una rilevata incertezza circa l'obbligatorietà della frequenza ed al fine di dare compiuta risposta ai quesiti posti dalle associazioni sindacali e dal
cluster marittimo, il comando generale formulava specifico quesito alla Commissione europea che, in data 6 marzo 2017, comunicava che: 1) la non conformità evidenziata dall'agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) si riferisce al rilascio della certificazione di competenza di livello direttivo senza che i candidati avessero completato il relativo programma di formazione (quindi il periodo di imbarco non può sostituire la formazione); 2) né l'EMSA né la Commissione hanno raccomandato un'applicazione retroattiva per il conseguimento dei requisiti del livello direttivo (il termine «retroattiva» è inteso come applicazione prima dell'entrata in vigore degli emendamenti 95 alla Convenzione STCW); 3) i marittimi provenienti da altri Stati membri sono stati sottoposti ai requisiti di formazione e certificazione rilevanti molti anni fa (a far data infatti dalla data di entrata in vigore degli emendamenti 95 alla Convenzione STCW); 4) i marittimi europei subiscono uno svantaggio concorrenziale sleale rispetto ai loro colleghi italiani.
  Alla luce di quanto affermato dalla Commissione appare quindi chiaro che la formazione del personale marittimo con ruoli direttivi e di comando avrebbe dovuto coinvolgere gli stessi non indipendentemente dalla data di acquisizione del titolo ma solo dalla entrata in vigore degli emendamenti ’95 (entrati in vigore a livello internazionale nel 1997. L'Italia. invece, avvalendosi della regola transitoria I/15 della Convenzione STCW/95, ha posticipato l'entrata in vigore dei citati emendamenti al 2 febbraio 2002.).
  Pertanto, con la circolare titolo: personale marittimo – serie formazione n. 33 del 2 maggio 2017 del Comando generale – condivisa anche attraverso un tavolo di lavoro istituito presso questo Ministero - non si è estesa l'applicazione in modo retroattivo ma si è ridotto il periodo temporale di applicazione precedentemente previsto dalla direzione generale e si è colmata la mancata formazione dei marittimi che hanno conseguito il titolo tra il 2 febbraio 2002 (data a partire dalla quale tutti i marittimi avrebbero dovuto conformarsi agli emendamenti STCW del ’95) e fino alla piena implementazione del citato decreto dirigenziale n. 1365/2013 (sessione estiva di esami dell'anno 2014).

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   il 30 maggio 2015 il comune di Omignano approvava il bilancio consuntivo 2014, uno strumento fondamentale nella vita amministrativa dell'ente, che certifica le entrate e le spese effettivamente sostenute dallo stesso;

   secondo quanto denunciato dai consiglieri di opposizione, gravi irregolarità avrebbero compromesso la corretta rappresentazione della situazione economica dell'ente, che, avendo sforato il patto di stabilità nel 2013, era tenuto a rispettare una serie di obblighi e divieti imposti dalla normativa nazionale e, in particolare, dal decreto legislativo n. 149 del 2011;

   in particolare, numerose sarebbero le anomalie presenti nella documentazione contabile del comune, su cui peraltro sono stati chiesti chiarimenti al responsabile dell'area finanziaria, senza tuttavia ricevere risposta esaustiva: dalle questioni riguardanti il costo del personale, alle assunzioni, anche in staff al sindaco, non in linea con le previsioni normative, fino alla irregolare contabilizzazione delle varie poste;

   a parere dell'interrogante, l'assoluta trasparenza e il rispetto delle regole da parte delle amministrazioni comunali devono essere garantiti nel primario interesse dei cittadini –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative di competenza ritengano opportuno adottare per accertare eventuali irregolarità nella predisposizione e nell'approvazione del bilancio consuntivo 2014 del comune di Omignano, segnalando tali profili, ove ne sussistano i presupposti, alla competente magistratura contabile;

   se intendano disporre un'ispezione per la verifica delle irregolarità evidenziate.
(4-14147)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale, nel segnalare talune irregolarità contabili denunciate dai consiglieri di opposizione del comune di Omignano in merito all'approvazione del consuntivo 2014, che avrebbero compromesso la corretta situazione finanziaria dell'ente, si chiede se si intenda disporre un'ispezione per la verifica delle anomalie evidenziate, anche ai fini di una possibile segnalazione alla competente magistratura contabile.
  Ciò anche nella considerazione che il comune avrebbe sforato i vincoli del patto di stabilità interno per il 2013.
  Al riguardo, la Ragioneria generale dello Stato, rappresenta, preliminarmente ed in linea generale, che, ai sensi dell'articolo 239 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, spetti all'organo di revisione la vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione relativamente all'acquisizione delle entrate, all'effettuazione delle spese, all'attività contrattuale, all'amministrazione dei beni, alla completezza della documentazione, agli adempimenti fiscali ed alla tenuta della contabilità.
  L'organo di revisione svolge tali funzioni anche con tecniche motivate di campionamento e riferisce all'organo consiliare su gravi irregolarità di gestione, con contestuale denuncia ai competenti organi giurisdizionali ove si configurino ipotesi di responsabilità.
  Più specificamente, l'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ai commi 166 e 167, stabilisce, poi, che gli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali siano tenuti a trasmettere alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti una relazione sul bilancio di previsione dell'esercizio di competenza e sul relativo rendiconto e che, qualora accertino comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità, adottino una specifica pronuncia e vigilino sull'adozione, da parte dell'ente locale, delle necessarie misure correttive.
  La Corte dei conti, dal canto suo, definisce unitariamente criteri e linee guida cui debbono attenersi gli organi di revisione degli enti locali nella predisposizione delle pertinenti relazioni che, in ogni caso, devono dare conto del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell'osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento e di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alle quali l'amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate dall'organo di revisione.
  Nell'ambito della verifica della sussistenza degli equilibri di bilancio, si rammenta ulteriormente che, ai sensi del comma 1 dell'articolo 148 del predetto decreto legislativo n. 267 del 2000, le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, con cadenza annuale, nell'ottica del controllo di legittimità e regolarità delle gestioni, verificano ii funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto delle regole contabilità e dell'equilibrio di bilancio di ciascun ente locale.
  Si evidenzia, inoltre, che detta normativa prevede che le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti possano attivare apposite visite ispettive per la verifica della regolarità della gestione amministrativo-contabile.
  La Ragioneria generale dello Stato, che comunica di non essere a conoscenza, ad oggi, dei fatti segnalati, al fine di corrispondere, comunque, alle richieste avanzate nell'interrogazione, valuterà, in sede di programmazione annuale, le problematiche descritte al fine di un eventuale inserimento nei programmi ispettivi, compatibilmente con gli obiettivi fissati dalle direttive ministeriali sull'azione amministrativa, cui le programmazioni annuali stesse si ispirano.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Pier Paolo Baretta.


   CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il nostro Paese ha da sempre sostenuto una politica di particolare vicinanza e apertura nei confronti dei cittadini tibetani costretti alla fuga dal proprio Paese a causa dell'occupazione cinese;

   questo approccio di apertura e vicinanza si è concretizzato, nel caso dei profughi ospitati in India, nel riconoscimento della libera circolazione di coloro che si trovassero in possesso del cosiddetto «Identity Certificate», un documento rilasciato dal Governo indiano e riconosciuto come documento di viaggio valido a numerosi paesi dell'area Schengen, Stati Uniti, Canada, Australia e altri Paesi asiatici;

   tale politica di apertura ha permesso ai protagonisti della diaspora tibetana, monaci e laici, di incontrare i buddhisti del nostro Paese e di altri Paesi, per conferenze e incontri religiosi, ma anche semplicemente per ragioni famigliari e affettive;

   delle possibilità connesse al possesso dell’« Identity Certificate» ha beneficiato, tra gli altri, il Dalai Lama, insignito del premio Nobel per la pace nel 1989, e cittadino onorario di numerose e importanti città italiane (tra cui Roma, Milano, Palermo, Padova, Torino, Firenze, Venezia), il quale è protagonista di un instancabile sforzo di diffusione della cultura della nonviolenza e del metodo del dialogo per la risoluzione dei conflitti;

   mediamente circa 200 cittadini tibetani ogni anno beneficiano di tale possibilità facendo ingresso nel nostro Paese, distinguendosi sempre per comportamenti coerenti con l'insegnamento buddista;

   la comunità tibetana in Italia, insieme alla «Associazione donne tibetane», alla «Associazione Italia-Tibet», alla «Unione Buddhista Italiana», a numerose altre associazioni e istituti, ha denunciato con un comunicato stampa in data 20 luglio 2017 un cambiamento nella politica dei visti nei confronti dei cittadini tibetani che, come confermato dall'ambasciata di Delhi e dal consolato di Mumbai, non riconosce più l’identity Certificate quale documento di viaggio valido;

   il cambiamento nella politica italiana non sembra essere in alcun modo legato a fatti gravi e urgenti –:

   per quali motivi il Governo abbia deciso di non riconoscere più validità all’Identity Certificate, nonostante l'universalmente accertata condizione di persone perseguitate che contraddistingue profughi tibetani;

   se siano avvenuti cambiamenti nelle relazioni internazionali tra il nostro Paese e, in particolare, Cina e India e, nel caso, di quale natura;

   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per garantire a persone alle quali l'Italia, ad avviso degli interroganti, potrebbe molto probabilmente riconoscere lo status di rifugiato la possibilità di domandare asilo nel nostro Paese in maniera sicura.
(4-17450)

  Risposta. — Si tiene in via preliminare a sottolineare che non vi sono stati cambiamenti sul piano normativo, da oltre dieci anni, nella posizione relativa ai visti in favore di tibetani muniti di «Identity certificate» rilasciato dalle autorità indiane.
  Ai sensi dell'allegato X al «Manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati», basato sulle decisioni della commissione C(2010) 1620 del 19 marzo 2010, C(2011) 5501 del 4 agosto 2011 e C(2014) 2727 del 29 aprile 2014, insieme con alcuni Paesi europei (tra essi, l'Estonia, la Grecia, l'Ungheria, Malta, il Portogallo, la Polonia, l'Islanda e la Slovenia) l'Italia non ha infatti riconosciuto l’«
Identity certificate» rilasciato dalle autorità indiane alle persone provenienti dal Tibet.
  Si conferma che, al pari delle analoghe situazioni, in cui il diretto interessato non sia titolare di un documento di viaggio validamente riconosciuto dall'Italia, l'unica possibilità per concedere l'ingresso nel nostro Paese alle persone titolari del predetto «
Identity Certificate» è il rilascio di un visto a validità territoriale limitata (VTL), ossia valido solo per l'Italia, apposto su un apposito lasciapassare generato dall'applicativo informatico per la gestione dei visti d'ingresso L-VIS, utilizzando l’«Identity certificate» ai soli fini dell'identificazione dell'interessato. Si tratta della fattispecie indicata dall'articolo 25(3) del codice europeo dei visti (regolamento (CE) n. 810 del 2009).
  I casi di mancato rilascio di visti VTL verificatisi nel corrente anno sono stati dovuti alla carenza di documentazione presentata a corredo della domanda e non rispondono a modifiche nell'interpretazione della norma.
  Le domande di visto d'ingresso a favore di tibetani su invito motivato di università, istituti di ricerca, centri culturali e religiosi, continueranno ad essere valutate con la dovuta flessibilità e il necessario pragmatismo alla luce della normativa in vigore, attraverso una adeguata considerazione dei motivi che giustifichino l'emissione di visti a territorialità limitata, tra i quali non rientra il turismo. È in particolare opportuno che, per facilitare il rilascio del visto, che i richiedenti siano muniti di un permesso di reingresso in India sin dal momento della richiesta del visto.
  L'avviso comparso sul sito della società di
outsourcing VFS, incaricata della gestione degli appuntamenti allo sportello e del primo esame della completezza della documentazione, relativo alla non accettazione delle domande di visto da parte di titolari di Identity certificate, è stato rimosso in quanto non corretto.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Benedetto Della Vedova.


   CURRÒ. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   si stima che circa 50.000 lavoratori marittimi e aviatori italiani a bordo di navi o aeromobili con regolare contratto di lavoro, in navigazione in acque internazionali, territoriali straniere o all'attracco in porti esteri, si trovino in condizioni di impossibilità all'esercizio del diritto di voto nonostante i mezzi battenti bandiera italiana risultino a tutti gli effetti territorio italiano secondo il codice della navigazione;

   la legge vigente prevede infatti per tale categoria di lavoratori la possibilità di esprimere il voto nei soli comuni italiani e nei soli casi di elezioni politiche e regionali e con procedure farraginose che rendono peraltro difficile e oneroso l'esercizio concreto di tale diritto;

   l'articolo 50 del testo unico 30 marzo 1957, n. 361, prevede la facoltà per i naviganti di votare in occasione delle sole elezioni politiche nel comune in cui si trovano, purché risultino soddisfatti alcuni passaggi burocratici quali ad esempio la presentazione della domanda scritta alla segreteria del comune, la comunicazione e l'invio di dati al comune nelle cui liste elettorali il marittimo risulta iscritto, il rilascio di apposito certificato da parte del comandante che attesta i motivi dell'imbarco;

   nel caso di elezioni regionali, ai sensi dell'articolo 1, lettera f), del decreto-legge 3 maggio 1976, n. 161, convertito dalla legge 14 maggio 1976, n. 240, i naviganti sono ammessi al voto in qualsiasi sezione del comune ove si trovino per motivi di imbarco;

   il precedente Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/3A/5 nella seduta n. 187 dell'11 marzo 2014 con il quale si è impegnato a garantire «ai lavoratori marittimi italiani residenti in Italia, iscritti alle liste elettorali, ma all'estero per ragioni di lavoro al momento delle elezioni, di esercitare il loro diritto-dovere alla partecipazione e all'espressione del voto» –:

   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere al fine di consentire ai lavoratori marittimi e aviatori imbarcati di esercitare in concreto il diritto di voto alle prossime elezioni amministrative che si svolgeranno in 1.022 comuni italiani, di cui 129 nella sola Sicilia, regione ad elevata vocazione marittima, e più in generale, il diritto di voto ai suddetti lavoratori in riferimento a qualunque consultazione elettorale.
(4-16381)

  Risposta. — Si premette che, da tempo, la legge prevede, per diverse categorie di elettori, la possibilità di votare in Italia in un seggio diverso da quello di iscrizione nel comune di residenza.
  Possono esercitare il diritto di voto i militari delle Forze armate, appartenenti a corpi militarmente organizzati, alle forze di Polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, naviganti ed aviatori che si trovino fuori residenza per motivi di imbarco, componenti del seggio, rappresentanti dei partiti o dei comitati promotori (in caso di
referendum), degenti in case di cura, detenuti e, solo in occasione del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, anche i cittadini «sfollati» dai comuni colpiti da eventi sismici, ai sensi dell'articolo 10 del decreto-legge n. 205 del 2016.
  Peraltro, per ciò che concerne gli elettori temporaneamente all'estero, è intervenuto l'articolo 2, comma 37, lettera
a) della legge 6 maggio 2015, n. 52, che, dando seguito all'ordine del giorno citato nell'interrogazione, ha riconosciuto il diritto di voto per corrispondenza non solo ai lavoratori impegnati in missioni internazionali, ma anche a tutti gli elettori che per ragioni di lavoro, studio o cure mediche si trovino temporaneamente fuori del territorio nazionale per un periodo di almeno tre mesi, nel quale ricade la data di svolgimento della consultazione, nonché ai loro familiari conviventi.
  Tali elettori possono esercitare il diritto di opzione richiedendo ai comuni di residenza l'iscrizione nell'elenco degli aventi diritto a votare per corrispondenza ed indicando un domicilio all'estero per il recapito postale del plico con le schede. Le suddette richieste sono considerate valide se pervenute entro il trentaduesimo giorno antecedente la votazione.
  Per quanto riguarda i marittimi impossibilitati ad indicare un domicilio all'estero perché imbarcati in tutto il periodo delle consultazioni, il voto a bordo risulta di complessa praticabilità.
  Appare, difatti, difficilmente quantificabile – con l'anticipo necessario all'eventuale formazione dell'elenco elettori nonché per la predisposizione e consegna del plico elettorale – la «platea» dei destinatari, atteso che numerosi contratti di imbarco vengono stipulati poco prima della partenza delle navi.
  Sembrerebbero emergere dubbi anche sulla possibilità di individuare autorità nazionali che possano comunicare ufficialmente l'elenco di tutti i marittimi imbarcati all'estero, e, in secondo luogo, autorità italiane che possano garantire, all'interno di ciascuna imbarcazione, il rispetto dei principi di libertà, personalità e segretezza del voto costituzionalmente tutelati, così come fanno i comandanti dei reparti militari e di polizia ed i titolari degli uffici diplomatici e consolari italiani, ai sensi delle disposizioni di legge emanate per gli elettori temporaneamente all'estero per servizio o missioni internazionali.
  Ove vi fossero autorità italiane solo in alcune imbarcazioni e si ritenesse di escludere da tale sistema di voto i marittimi su imbarcazioni prive di autorità italiane, si potrebbe creare una disparità di trattamento all'interno della medesima categoria di marittimi.
  Rimangono, poi, da considerare le notevoli difficoltà tecniche relative sia al tempestivo recapito nelle imbarcazioni delle schede, in modo che possa votare ciascun elettore imbarcato, sia al successivo recapito delle schede votate in Italia in tempo utile per lo scrutinio contemporaneo con tutte le altre.
  Per ciò che concerne, infine, il voto «a bordo» per le elezioni comunali, alle predette problematiche deve aggiungersi la rilevante difficoltà di recapitare all'estero ad ogni singolo elettore imbarcato il plico con la scheda del suo comune di residenza.
  Comunque, si assicura che, in considerazione della peculiarità del caso, la questione segnalata sarà oggetto di ulteriori approfondimenti di carattere tecnico.
  Si ricorda, infine, che la disciplina giuridica delle elezioni comunali in Sicilia è costituzionalmente attribuita alla competenza di quella regione.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   DELL'ORCO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il mese di luglio 2015 è stato caratterizzato da un drastico peggioramento della Capitale che ha prodotto gravi disagi per gli utenti del servizio anche sull'ordine pubblico;

   i predetti disagi si sono manifestati attraverso la soppressione di numerosi treni, il conseguente rallentamento del servizio, le lunghe attese dei passeggeri sulle banchine dunque oggetto di sovraffollamento, il mancato funzionamento dei servizi di condizionamento all'interno dei convogli, con particolare riferimento alle linee A e B della metropolitana di Roma, sulla Ferrovia Roma – Lido, sulla linea Roma – Viterbo;

   gli effetti di suddetti disagi sono stati acuiti dalle elevate temperature e dall'aumento della domanda di mobilità dovuta al consistente afflusso di turisti nella capitale, costringendo gli utenti a muoversi con grandi difficoltà in condizioni indecorose, ai limiti della sopportazione umana così come testimoniato anche dai numerosi casi di malori che hanno richiesto l'intervento degli operatori del 118;

   ad avviso dell'Azienda di trasporto pubblico romano, Atac spa, la causa di tali disservizi andrebbe ascritta a responsabilità individuali da parte dei macchinisti a seguito dell'avvio del sistema automatico di rilevazione delle presenze e all'incremento delle ore di guida decise dall'azienda;

   analoghe responsabilità sarebbero state individuate anche dal sindaco di Roma, Ignazio Marino, che ha denunciato lo sciopero bianco messo in atto dai macchinisti e la volontà da parte del 40 per cento di questi ultimi di non timbrare il cartellino, chiedendo ad Atac di avviare un'indagine interna per accertare responsabilità individuali;

   di contro, i dipendenti Atac, in una lettera alla cittadinanza, accusano il sindaco Marino e i dirigenti della società di essere fautori di processi sommari contro i macchinisti, asserendo che la causa dei disservizi è da rinvenire non in scioperi bianchi o in proteste in atto, bensì nella decisione unilaterale di riorganizzare il servizio rendendo pressoché impossibile la copertura dello stesso se non tramite il ricorso a straordinari, anche alla luce della carenza di organico soprattutto ai livelli operativi;

   sempre nella lettera firmata dai lavoratori Atac della Roma Lido si legge che: «malgrado il cambio di giunta comunale, molti dei personaggi che risultano indagati o rinviati a giudizio a causa dello scandalo, rimangono al posto che occupavano anche con Alemanno. A questo bisogna aggiungere il pessimo stato dei treni in servizio sulla nostra ferrovia, materiali già usurati da decenni di servizio su altre linee o addirittura mai utilizzati vista la loro inaffidabilità e ulteriormente messi alla prova da una manutenzione ritenuta secondaria rispetto alla metro B. Questi fattori, uniti alla scarsità di ricambi e alla carenza d'organico anche nei reparti manutentivi fanno sì che col passare del tempo, la flotta della Lido diventi sempre più inaffidabile e che la responsabilità della sicurezza venga affidata solo al personale di bordo. Il peggioramento del servizio, giunto in questi ultimi giorni quasi al blocco totale, è frutto quindi del pessimo stato dei materiali rotabili e dell'impossibilità di coprire i turni oltre l'ordinario ... La pessima gestione dei mezzi e delle risorse, lo scandalo degli stipendi d'oro, gli appalti truccati, la bigliettazione fasulla non possono essere addebitati ai macchinisti, capotreni, capistazione, agenti di stazione, operai e dirigenti locali...»;

   a latere delle posizioni delle parti, i dati relativi al disservizio sono di oggettiva gravità. Rispetto al mese precedente, nel solo mese di luglio, durante le manovre di manovre di prova, sarebbero stati dichiarati guasti da parte dei macchinisti, e dunque scartati per malfunzionamenti, il triplo dei convogli. Rispetto ai dati di luglio 2014 il dato è ancora più significativo visto che il numero di convogli rimandati in rimessa e dunque di corse soppresse risulta quadruplicato;

   a riprova della gravità della situazione e delle condizioni inaccettabili cui sono costretti i viaggiatori, Atac spa ha inteso introdurre il divieto di effettuare riprese o scattare foto lungo le banchine e a bordo dei convogli, quasi a riprova della volontà dell'azienda di nascondere quanto sta avvenendo e impedire la realizzazione di una documentazione sembrerebbe nel vago tentativo di impedire il costituirsi di una memoria storica e di una prova visiva della drammatica situazione;

   in data 30 giugno 2015 l'amministratore delegato di Atac spa ha dichiarato che nel 2014 l'azienda ha chiuso con una perdita pari a 141 milioni di euro, confermando il fallimentare piano industriale e la necessità di ottenere ulteriori finanziamenti da parte del comune di Roma che però non risulterebbero, ad oggi, essere stati inseriti nel bilancio comunale;

   non risulta agli interroganti essere stato predisposto da parte dell'azienda un piano industriale che miri a garantire l'economicità e l'efficienza nella gestione oltre che un risanamento. Il piano presentato per il 2015 prospetta una perdita tendenziale di ulteriori 100 milioni di euro;

   in occasione del Giubileo straordinario indetto dal Papa, la città sarà chiamata, a partire dal mese di dicembre, fino a novembre 2016, ad accogliere e quindi garantire una, dignitosa mobilità a milioni di pellegrini provenienti da tutto il mondo che ovviamente utilizzeranno principalmente i servizi di trasporto pubblici –:

   se il Governo, stante quanto in premessa, e nell'ambito delle proprie competenze, non reputi assolutamente necessario procedere ad approfondite verifiche in ordine alle cause che hanno determinato il grave disservizio che ha interessato la mobilità capitolina, al fine di evitare il ripetersi di analoghi fenomeni, oltre che procedere ad una verifica della situazione economica dell'Atac, anche in vista del prossimo giubileo e in considerazione degli ingenti trasferimenti da parte dello Stato a Roma Capitale in favore, anche, del trasporto pubblico locale.
(4-09937)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Si premette che la competenza in materia di programmazione e gestione dei servizi di trasporto in argomento fa capo alla regione Lazio ed al comune di Roma.
  Infatti, la Direzione generale per i sistemi di trasporto ad impianti fissi e il trasporto pubblico locale presso questo Ministero riferisce che Atac S.p.a., con socio unico il comune di Roma, ha in essere un contratto di servizio con la regione Lazio per le linee regionali, ed un contratto con il comune medesimo per i servizi di trasporto di superficie e sulle linee metropolitane.
  Pertanto, i suddetti enti risultano essere i soggetti deputati al monitoraggio della qualità del servizio, nel rispetto dei relativi contratti e dei programmi di esercizio previsti.
  In ogni caso, al fine di fornire una risposta circa le criticità segnalate sono stati chiesti elementi all'Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito Autorità).
  In merito alle iniziative del Governo in ordine ai disagi per gli utenti del servizio di trasporto pubblico romano e all'indebitamento della società Atac, l'Autorità rappresenta di aver affrontato la questione tanto nell'esercizio delle sue competenze in materia di tutela del consumatore, quanto in esercizio dei suoi poteri di segnalazione in materia di concorrenza.
  L'Autorità ha, in particolare, avviato d'ufficio il 30 novembre 2016 un procedimento istruttorio in materia di pratiche commerciali scorrette nei confronti di Atac S.p.a., relativamente allo stato in cui versa la gestione dei servizi di trasporto pubblico locale nell'area metropolitana di Roma. Le contestazioni mosse alla società riguardano la sistematica e persistente soppressione delle corse programmate sulle linee ferroviarie Roma-Lido di Ostia, Roma-Giardinetti-Pantano e Roma-Civita Castellana-Viterbo, soprattutto nell'ultimo biennio, avvenuta in larga misura non per cause esogene e occasionali, ma per motivi che parrebbero riconducibili alla gestione e organizzazione del servizio da parte della stessa Atac S.p.a.
  In particolare, la mancata effettuazione delle corse programmate in base al contratto di servizio con la regione Lazio, come risultanti dall'orario diffuso presso le stazioni e attraverso il sito
internet www.atac.roma.it, è suscettibile di aver ingannato i consumatori in merito all'effettiva disponibilità del servizio, alterandone le scelte sul mezzo di trasporto da utilizzare e gravandoli dei disagi derivanti dalla soppressione delle corse. In tale contesto la società Atac non risulterebbe aver preventivamente e tempestivamente informato i consumatori riguardo all'impossibilità di effettuare parte delle corse programmate, pur essendo a conoscenza delle ragioni sistematiche che avrebbero potuto causare la soppressione delle stesse.
  Pertanto, l'Autorità ha contestato nell'avvio del procedimento che l'azienda sarebbe venuta meno al rispetto degli
standard di diligenza professionale esigibili da un concessionario di un servizio pubblico nella gestione di linee essenziali di trasporto pubblico per la mobilità cittadina, in violazione dell'articolo 20 del codice del consumo, e che le sue condotte ingannevoli ed omissive potrebbero integrare gli estremi di una violazione degli articoli 21 e 22 del codice del consumo.
  Inoltre, contestualmente all'avvio del procedimento in materia di tutela del consumatore, l'agenzia riferisce di aver inviata una segnalazione alla Regione Lazio ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 287/90. in cui l'Autorità stessa ha sottolineato come l'ente locale non abbia mai esercitato i propri poteri di intervento e sanzione, pur previsti dal contratto di servizio con Atac S.p.a., persistendo piuttosto in una proroga della vigenza del rapporto di gestione in spregio a modalità trasparenti di selezione dei gestori del servizio di trasporto pubblico.
  Da ultimo, nella riunione del 14 febbraio 2017, l'Autorità ha deliberato di adottare un parere motivato ai sensi dell'articolo 21
-bis della legge n. 287 del 1990 avverso la delibera della Giunta regionale della regione Lazio n. 840 del 30 dicembre 2016, con la quale era stato disposto l'affidamento diretto alla società Atac S.p.a. per il triennio 2017-2019 dei servizi di trasporto pubblico ferroviario sulle tratte Roma-Lido, Roma-Viterbo e Roma-Giardinetti. Nel parere, in particolare, venivano rilevati l'insussistenza dei requisiti normativi richiamati dalla regione per tale affidamento e la ricorrenza di possibili pregiudizi alla concorrenza.
  A seguito del ricevimento della comunicazione con la quale la regione Lazio ha rappresentato di aver proceduto all'annullamento in autotutela della delibera n. 840 del 2016, l'Autorità ha disposto l'archiviazione del procedimento ritenendo che le circostanze comunicate fossero suscettibili di far venir meno i presupposti per l'ulteriore esercizio dei poteri di cui all'articolo 21-
bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   DELL'ORCO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   in sede di conversione del decreto-legge n. 50 del 24 aprile 2017, è stata introdotta una disposizione che abroga il regio decreto n. 148 del 1931, riferimento legislativo importante che disciplina il rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri insieme alla contrattazione collettiva;

   la disposizione in questione entra in una discussione già avviata con la «riforma Madia» della pubblica amministrazione di cui alla legge n. 124 del 2015, e con il decreto attuativo sui servizi pubblici locali di interesse economico generale. Sebbene infatti negli ultimi anni la contrattazione collettiva abbia progressivamente acquisito rilevanza lasciando al regio decreto minore spazio di applicabilità (ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 12 luglio 1988, n. 270, che ha definitivamente sancito la derogabilità del decreto ad opera della contrattazione collettiva prevedendo che «le disposizioni contenute nel regolamento allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148, ivi comprese le norme di legge modificative, sostitutive ed aggiuntive a tale regolamento, possono essere derogate dalla contrattazione nazionale di categoria ed i regolamenti d'azienda non possono derogare ai contratti collettivi»), tuttavia come era già stato rilevato dalle organizzazioni sindacali in sede di discussione parlamentare dello schema di decreto sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, il decreto rappresenta ancora oggi l'unica regolamentazione per un'ampia serie di aspetti che riguardano la vita degli autoferrotranvieri; proporre dunque un rinnovo dei contratti collettivi nazionali in funzione dell'abolizione del suddetto regio decreto significa aprire ad una stagione di turbolenze considerando che la realtà italiana del rinnovo dei contratti collettivi è assai travagliata e che l'ultimo contratto collettivo nazionale del lavoro degli autoferrotranvieri ha atteso otto anni prima di trovare un accordo;

   l'abolizione del decreto regio inoltre significa scardinare completamente la concezione pubblicistica dei servizi pubblici attraverso la possibilità di applicare ai rapporti di lavoro degli autoferrotranvieri la più flessibile disciplina del rapporto di lavoro subordinato come disciplinato nelle recenti riforme. Il suddetto allegato A, in tema di licenziamento, riconosceva inoltre al datore di lavoro il potere di «procedere ai necessari esoneri di agenti nelle qualifiche in cui risultino le eccedenze», nell'ipotesi di «riduzione di posti per limitazione, semplificazione o soppressione di servizi, debitamente dichiarata dall'autorità governativa», con obbligo di répéchage anche per mansioni inferiori; ciò significa che in tali settori troverà invece applicazione la nuova formulazione della disciplina sui licenziamenti illegittimi come modificato dalla recente riforma del Jobs Act, quella sul contratto di lavoro a tempo indeterminato e sulla nuova forma di previdenza ed assistenza sociale;

   le nuove norme vanno lette inoltre anche all'interno di quel processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali che punta ad una libera concorrenza nel mercato europeo. In questo scenario però il provvedimento sui servizi pubblici locali di interesse economico vorrebbe introdurre una normativa molto più rigida rispetto alla normativa europea sulla gestione diretta, lasciandola solo come ipotesi residuale. Una privatizzazione totale come quella che sembra promuovere il Governo potrebbe non dare la garanzia di continuità di quei servizi; la politica del trasporto pubblico locale del Governo sembrerebbe dunque focalizzata maggiormente sulla tutela della concorrenza e degli aspetti aziendali perdendo così di vista la tutela della mobilità che dovrebbe essere garantita per ogni cittadino –:

   se siano stati stimati dal Governo gli effetti dell'abrogazione del regio decreto n. 148 del 1931 in termini di garanzia di continuità e qualità del servizio di trasporto pubblico locale nonché in termini di garanzia dei lavoratori del settore e quali iniziative di competenza intendano assumere per evitare una stagione di facili licenziamenti con pesanti ricadute sul welfare pubblico.
(4-17053)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 20 luglio 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in IX commissione Camera, circa la disposizione di cui all'articolo 27, comma 12-
quinquies, del decreto-legge 27 aprile 2017 n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017 n. 96, si evidenzia quanto segue.
  L'efficacia abrogativa della previsione non è immediata ma subordinata al rinnovo del Ccnl di settore o, in mancanza di questo, al trascorrere di un anno dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto. In altri termini, il regio decreto n. 148 del 1931 è ancora in vigore e lo sarà fino al momento in cui sarà rinnovato il predetto contratto.
  Nell'ipotesi in cui entro un anno non si addivenisse alla stipula del nuovo contratto, questo Ministero – in virtù di specifico accordo con le organizzazioni sindacali Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uil trasporti, Faisa Cisal e Ugl Fna sottoscritto in data 12 giugno 2017 – si è impegnato a promuovere la proroga del termine di cui al citato articolo 27, comma 12-
quinquies, al fine di evitare un eventuale vuoto normativo e garantire, dunque, la vigenza del regio decreto fino a quando non sarà disciplinato il nuovo Ccnl di settore.
  Inoltre, nel corso del dibattito parlamentare concernente la conversione del decreto legge 20 giugno 2017, n. 91, (così detto decreto Mezzogiorno) sono state presentate iniziative emendative volte a garantire la vigenza
sine die del regio decreto a prescindere dalla conclusione del nuovo Ccnl di settore. Tali iniziative, infatti, prevedono l'abrogazione del citato articolo 27, comma 12-quinquies, in maniera tale da eliminare qualsiasi incertezza sulla perdurante vigenza della norma.
  In definitiva, nell'ipotesi cui dovesse essere approvato l'emendamento che prevede l'abrogazione del suddetto comma 12-
quinquies non vi sarebbe alcun incertezza sul quadro normativo applicabile dal momento che il regio decreto n. 148 del 1931 resterebbe in vigore a prescindere dalla conclusione del nuovo Ccnl di settore.
  Diversamente, nell'ipotesi in cui il medesimo comma rimanesse inalterato, le parti sociali hanno comunque a disposizione un anno, decorrente dall'entrata in vigore della legge di conversione, per stipulare un nuovo Ccnl di settore in vigenza del regio decreto n. 148 del 1931.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   DI GIOIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la nuova programmazione estiva di Trenitalia si prefigura come una nuova penalizzazione per la provincia di Foggia e per tutta la Capitanata;

   è stato programmato di utilizzare il by pass, situato a 1.660 metri dalla stazione di Foggia, per il treno veloce Bari-Roma, privando ulteriormente di un collegamento essenziale una provincia già fin troppo penalizzata in termini di trasporti e di infrastrutture;

   oltretutto, Trenitalia si era impegnata ad utilizzare tale by pass solo ed esclusivamente per i treni merci;

   in tal modo, si penalizzano tutti i potenziali utenti facendo prevalere interessi particolari a tutto discapito dell'impegno a sostenere servizi pubblici e penalizzando un'intera provincia che, proprio nel periodo estivo, raccoglie, oltre agli abitanti del luogo, migliaia di turisti proprio per le sue bellezze naturali;

   su tale questione si è già verificato un incontro tra gli amministratori locali e quelli della regione Puglia, ma appare del tutto evidente che anche il Governo debba intervenire, per quanto di competenza, al fine di sollecitare Trenitalia affinché abbia un ripensamento rispetto alla decisione presa che, in zone sprovviste di un sistema di viabilità degno di tale nome, potrebbero privare Foggia e la provincia di un indispensabile servizio di mobilità durante la stagione estiva, con gravi ripercussioni economiche per l'intero territorio;

   più volte, in passato, vi è stato il tentativo, da parte di Trenitalia, di annullare il ruolo strategico della provincia di Foggia e della Capitanata nella mobilità ferroviaria dell'Italia meridionale e tutto ciò appare del tutto incomprensibile in un territorio che già soffre per la mancanza di un efficiente sistema infrastrutturale –:

   se non si ritenga necessario, per quanto di competenza, attivarsi per promuovere un apposito tavolo di confronto con Trenitalia spa, affinché vi sia un ripensamento rispetto alla decisione presa in merito alla questione di cui in premessa, alla luce anche degli impegni precedentemente sottoscritti con le parti sociali, e non si tolga a Foggia, alla sua provincia e alla Capitanata un importante collegamento ferroviario in vista della prossima stagione estiva.
(4-16805)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie e dalla società Ferrovie dello Stato, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Occorre premettere che le funzioni e i compiti di amministrazione e programmazione in materia di servizi ferroviari regionali sono conferiti alla legione in applicazione del decreto legislativo n. 422 del 1997.
  I servizi ferroviari denominati «Frecce» («
Frecciarossa», «Frecciargento» e «Frecciabianca») sono effettuati in regime di mercato e, non essendo oggetto di alcun corrispettivo pubblico, si sostengono esclusivamente con i ricavi da traffico; la programmazione di tali servizi si basa, pertanto, su valutazioni di carattere commerciale, finalizzate a garantirne la sostenibilità economica.
  Sulla relazione Roma-Foggia (e viceversa) sono attualmente programmate tre coppie giornaliere di treni «
Frecciargento» (con proseguimento su Bari-Lecce).
  Ferrovie dello Stato riferisce che dal 4 settembre prossimo, verrà attivato un nuovo collegamento «
Frecciargento» che partirà dal capoluogo dauno alle 5.00 del mattino, raggiungendo Roma alle 7.42, dopo aver effettuato le fermate di Benevento e Caserta. In direzione sud, la partenza da Roma è stata prevista alle 16.55, con arrivo a Foggia alle ore 19.45.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   MARCO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'Enac, Ente nazionale aviazione civile, definisce i limiti dell'esercizio delle proprie funzioni in relazione alle attribuzioni esercitate tramite un contratto di programma triennale con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

   l'Enac da oltre quarant'anni gestisce il cerimoniale di Stato presso l'aeroporto di Fiumicino tramite propri funzionari che, negli anni, hanno ricevuto innumerevoli attestati di stima da parte di ambasciate, ministeri e organismi internazionali;

   il cerimoniale di Stato è l'ufficio governativo presso il quale vengono accolte le più alte cariche dello Stato, i rappresentanti governativi dei Paesi esteri e delle principali organizzazioni internazionali con sede in Italia ed i loro delegati in arrivo, partenza o transito;

   il 5 agosto 2016 l'Enac ha pubblicato sul suo sito istituzionale un bando di gara europeo della durata di tre anni per un costo totale di euro 678.150,00 + IVA ai sensi del decreto legislativo n. 50 del 2016 per l'affidamento della gestione delle attività poste in essere presso l'ufficio cerimoniale di Stato nell'aeroporto di Fiumicino;

   il bando prevede anche l'assunzione di dieci unità e ne delinea le caratteristiche selettive, a quanto risulta all'interrogante, senza prevedere, stante anche la delicatezza delle attività che i lavoratori andranno a svolgere, la richiesta del certificato relativo ai carichi pendenti o equipollente per i cittadini degli stati esteri;

   il personale assunto, poi dovrà essere formato dall'Enac non avendo nessuna esperienza in merito –:

   se sia opportuno, anche in relazione all'aumento delle misure di sicurezza in tutti gli aeroporti internazionali, al trasferimento dei voli di Stato del nuovo A340 in dotazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri presso l'aeroporto di Fiumicino e al conseguente utilizzo, da parte delle autorità e delle relative delegazioni, che presso il cerimoniale di Stato possa operare personale di una società privata e/o europea che verrebbe così a conoscenza di dati sensibili, con evidenti problemi di sicurezza e riservatezza.
(4-14249)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni comunicate dall'Ente nazionale per l'aviazione civile e dal Ministero dell'interno.
  Il bando per l'appalto del servizio di cerimoniale di Stato presso l'aeroporto Leonardo da Vinci di Roma Fiumicino, pubblicato il 5 agosto scorso, ha dato attuazione alla delibera n. 18 del 2015 – tuttora valida – con cui il consiglio di amministrazione si era espresso, tra le altre cose, anche sulla gara in argomento.
  L'oggetto del bando di gara, come da capitolato, riguarda segnatamente l'attività di gestione delle attività poste in essere presso l'ufficio medesimo, il quale accoglie le più alte cariche dello Stato, i rappresentanti governativi dei paesi esteri e delle principali organizzazioni internazionali con sede in Italia e di loro delegati in arrivo, partenza o transito.
  La responsabilità dell'ufficio del cerimoniale è affidata a un dirigente dell'Enac l'attività verrà svolta sotto la supervisione di funzionari Enac di comprovata e pluriennale esperienza nella gestione dei servizi di cerimoniale i quali, in turnazione, attenderanno alle funzioni operative e di supervisione in veste di responsabili del servizio.
  Per quanto attiene agli aspetti relativi all'attività di verifica e controllo del personale che sarà assunto il Ministero dell'interno ha comunicato quanto segue.
  Il soggetto vincitore dell'appalto dovrà avviare i dipendenti selezionati, dopo un'accurata verifica delle posizioni giuridiche personali (così detto
background-check) alla frequenza dei corsi propedeutici tenuti dall'Ente nazionale per l'aviazione civile, anche mediante affidamento e training on the job.
  L'appaltatore ed il personale dipendente dovranno sottoscrivere il codice di comportamento dell'Enac, per accettazione e assunzione degli obblighi di condotta da esso derivanti (assoluto riservo in merito ad atti, documenti e materiale, comunque inerenti all'attività del cerimoniale di Stato).
  Inoltre, il Ministero dell'interno segnala che l'assunzione di nuovo personale in ambito aeroportuale – e, in particolare, di coloro che espletano attività in area sterile – è subordinata al rispetto degli adempimenti previsti dalla normativa vigente (regolamento dell'Unione europea 1998 del 2015 e programma nazionale di sicurezza dell'aviazione civile) con specifico riferimento al capitolo I relativo al controllo dei precedenti personali da parte dell'ufficio di polizia di frontiera presso lo scalo aereo di Fiumicino ed al Capitolo 11, inerente alla selezione e alla limitazione del personale che opera in ambito aeroportuale.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la concessione della scorta rappresenta un fatto che, ad avviso dell'interrogante, deve essere giustificato da gravi e cogenti minacce, dato l'esborso che esso comporta per la finanza pubblica –:

   quali siano i criteri specifici per l'attribuzione delle scorte e se risponda a verità che, a oggi, sia stata disposta la scorta al dottor Clemente Mimun e, in caso affermativo quali siano le motivazioni per cui egli tuttora la conservi.
(4-15885)

  Risposta. — In relazione a quanto evidenziato con l'interrogazione in esame, occorre premettere che i criteri per la protezione delle persone esposte a rischio in relazione alle funzioni esercitate, o per altri comprovati motivi, sono indicati nel decreto-legge 6 maggio 2002 n. 83, convertito nella legge 2 luglio 2002, n. 133, nonché dal decreto ministeriale del 28 maggio 2003.
  Alla luce delle menzionate normative, le misure tutorie debbono essere adottate a seguito di un'approfondita valutazione del concreto livello della minaccia, garantendo il costante monitoraggio del profilo di rischio dei soggetti protetti.
  Detta valutazione si svolge ad un duplice livello: in sede periferica, presso le prefetture – uffici territoriali del Governo ed, in sede centrale, presso l'ufficio centrale interforze per la sicurezza personale (Ucis) del dipartimento della pubblica sicurezza.
  Al riguardo, l'Ucis ha il compito di raccogliere ed analizzare le informazioni sulle situazioni a rischio comunicate dai prefetti, nonché quelle direttamente fornite dagli organismi di informazione e sicurezza e dagli uffici e reparti delle varie forze di polizia.
  Completata l'attività istruttoria e valutativa, l'UCIS, sussistendone i presupposti sulla base del livello di rischio accertato, adotta in via esclusiva ed in forma coordinata le misure di protezione e vigilanza, ovvero modifica o revoca quelle già adottate.
  Le misure di protezione e vigilanza disposte comportano, comunque, all'atto della cessazione di incarichi istituzionali, valutazioni collegiali a livello provinciale e centrale, tese a verificare l'attualità o meno dell'esposizione a rischio del soggetto tutelato e, conseguentemente, l'opportunità di procedere al mantenimento, alla rimodulazione, o alla revoca della misura tutoria
  Venendo al caso specifico citato nell'interrogazione, si informa che, in applicazione delle disposizioni normative sopra citate, il giornalista Clemente Mimun è attualmente destinatario di un dispositivo tutorio assicurato sull'intero territorio nazionale, commisurato al livello di esposizione al rischio riscontrato nei suoi confronti. Il dispositivo è stato oggetto di rimodulazione il 31 gennaio 2017, su proposta del prefetto di Roma.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nella giornata del 22 dicembre 2016 il Ministro delle interrogato partecipava all'inaugurazione dell'Autostrada A2 del Mediterraneo, volendo rispettare in tal modo un impegno formulato il 26 luglio 2016 dal Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Matteo Renzi in cui egli garantiva che «il 22 dicembre la Salerno-Reggio Calabria sarà terminata come avevamo promesso, perché l'Italia mantiene i propri impegni e nessuno può ridere dell'Italia»;

   i fatti dimostrerebbero che, al di là dei pubblici proclami, l'ex A3 sarebbe ancora lungi dall'essere completata;

   tra i tratti che sono interessati da lavori e interruzioni, senza considerare i rischi dell'infrastruttura che hanno portato al sequestro disposto dalla magistratura nel tratto Mileto-Rosarno in seguito a una serie di incidenti mortali, c'è sistematicamente quello tra Cosenza-Altilia, che è ridotto a essere, specie nella stagione estiva, un percorso a unica corsia;

   oltre a quelli sopra citati va annoverato il viadotto Cannavino trascurato per anni e ora sottoposto a una lenta opera di messa in sicurezza;

   in una regione come la Calabria, in cui il turismo rappresenta una delle entrate maggiori dell'intera economia territoriale, i danni derivanti dalle problematiche che continuano a emergere sull'autostrada A2, nonché sulla strada statale n. 406 e sull'intero sistema infrastrutturale dei trasporti, se si prendono in considerazione la rete viaria locale, le ferrovie della linea ionica e il sistema aeroportuale, sono tali da dover condurre a interventi definitivi che vadano oltre ai meri annunci di natura propagandistica –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare per pervenire ad un effettivo completamento dell'autostrada A2.
(4-17178)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla Società Anas.
  Con l'apertura al traffico del Macrolotto 3, parte 2a tra Laino Borgo e Campotenese, l'ultimo dei grandi cantieri, avvenuta lo scorso 22 dicembre, l'autostrada in esame ha assunto una nuova fisionomia complessiva, presentandosi oggi più moderna, con opere di alto valore ingegneristico e con un tracciato plano-altimetrico più lineare, caratterizzato da tre corsie per senso di marcia da Salerno a Sicignano e due corsie per senso di marcia da Sicignano in poi.

  Tale risultato ha permesso il rilancio dell'autostrada all'interno del panorama viario sia nazionale che europeo, incentivando il suo ruolo di prosecuzione dell'itinerario che collega il nord e il sud Italia, raccordandosi con la A1 (Milano-Napoli), la A3 (Napoli-Salerno), la A30 (Caserta-Salerno) e il raccordo autostradale Salerno—Avellino RA02.
  In questo contesto. Anas ha avviato un'operazione di valorizzazione dell'autostrada, anche nell'ottica di sottolinearne la vocazione turistica e culturale, attuata, in primo luogo, attraverso la ridenominazione dell'arteria in A2 «Autostrada del Mediterraneo».
  L'obiettivo di tale iniziativa. che comprende anche una campagna di comunicazione istituzionale con il coinvolgimento di enti e istituzioni locali. è quello di sviluppare le potenzialità dell'A2 quale strumento di conoscenza e di fruizione del territorio e del suo patrimonio di beni culturali e di risorse paesaggistiche, con connessi riflessi sul contesto socio-economico di riferimento.
  L'A2, pertanto, non potrà che diventare l'occasione di un'ulteriore valorizzazione turistica del territorio, fungendo da «autostrada-itinerario» attraverso la quale accedere e riscoprire le zone attraversate con i relativi aspetti culturale, spirituale, artistico ed enogastronomico.
  In tale quadro generale, vanno anche considerati i lavori in corso di esecuzione, lungo l'asse autostradale. che riguardano interventi specifici di manutenzione straordinaria rientranti all'interno del piano di investimenti adottato da Anas, per conservare e implementare ulteriormente gli
standard di comfort e sicurezza dell'autostrada, tali da trasformare l'A2 nella prima smart road europea.
  Detto piano, del valore pari a 1 miliardo di euro, prevede l'esecuzione di una pluralità di interventi, sui 58 chilometri compresi tra le province di Cosenza e Vibo Valentia, volti ad ottenere un maggior livello di sicurezza per la circolazione, quali, ad esempio, il risanamento del corpo stradale, l'adeguamento delle opere presenti e degli impianti. senza escludere varianti localizzate nel tratto tra Cosenza e Altilia.
  Infine, Anas segnala che dal 20 luglio scorso, in previsione dell'esodo estivo, ha rimosso tutti i cantieri di manutenzione dall'autostrada, avviando, inoltre, a servizio dell'utenza, una serie di attività finalizzate alla qualità e sicurezza del viaggio, quali il monitoraggio e la vigilanza del traffico 24 ore su 24 sia attraverso le 20 sale operative presenti sul territorio, unitamente alla sala operativa nazionale e al personale su strada, un servizio di informazione in tempo reale attraverso il sito aziendale
www.stradeanas.it e il numero verde gratuito «Pronto Anas».
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con delibera della giunta regionale del Veneto n. 88 del 29 ottobre 2015 è stato confermato il proseguimento delle procedure tecnico-amministrative per l'approvazione, da parte del CIPE, del progetto preliminare dell'itinerario della Valsugana Valbrenta-Bassano superstrada a pedaggio, nonostante alla data odierna il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non abbia dato seguito alla procedura di cui agli articoli 165 e 168 del decreto legislativo n. 163 del 2006: in particolare, non si è giunti all'indizione della conferenza di servizi presso il CIPE per l'approvazione del progetto preliminare;

   il progetto, prefigurando una nuova infrastruttura a pagamento, non affronta e non risolve i problemi viari della Valbrenta in quanto la esistente strada statale 47 rimarrà l'unica alternativa gratuita alla quale si sovrapporrà, per un tratto a nord di Pian dei Zocchi, il nuovo asse stradale;

   da diversi mesi la strada statale 47 della Valsugana versa in evidenti condizioni di dissesto, in particolare nel tratto fra Primolano e Carpanè dove il manto stradale si presenta – in entrambi i sensi di marcia – deformato, irregolare, con diverse buche di dimensioni pericolose, con diffusi ammaloramenti e distacco di parti di conglomerato bituminoso;

   la strada statale 47 in Veneto è di competenza di ANAS fino al confine regionale, superato il quale la competenza passa in capo alla provincia Autonoma di Trento;

   in aprile 2015 una cittadina segnalava le criticità sulla strada statale – tratto Veneto tra Arsiè e Grigno a Veneto Strade, società della regione Veneta incaricata della manutenzione della viabilità provinciale e regionale. Veneto Strade a maggio rispondeva (prot. urp. n. 522/15) di non avere competenza sulla strada statale 47 e di aver girato la richiesta ad ANAS, che però non ha mai risposto;

   a maggio 2015 il primo firmatario del presente atto inoltrava un'ulteriore segnalazione sui problemi della strada statale 47 via pec ad ANAS, al Ministro per le infrastrutture, al governatore del Veneto Luca Zaia e a Veneto Strade, non ottenendo alcun riscontro;

   la mancanza di collegamenti ferroviari diretti e comodi dal territorio montano della provincia di Belluno a Trento, costringe tutti coloro, che per motivi di lavoro devono effettuare questa tratta, con frequenza settimanale o giornaliera, a percorrere, con i propri mezzi, un tratto di strada estremamente pericoloso, formato da un tracciato stretto e tortuoso, percorso da camion e automobili, con presenza di dislivelli dell'asfalto, che non permettono una perfetta aderenza dei pneumatici al manto stradale, con evidenti rischi per la propria incolumità e per la pubblica sicurezza;

   la pericolosità della strada statale 47 è ben nota anche ad ANAS che recentemente, per limitare i problemi causati dalla mancata asfaltatura, si è vista costretta ad emettere un'ordinanza di limitazione della velocità (da 90 km/h a 70 km/h) per garantirne la sicurezza, ed a posizionare nei tratti più pericolosi dei jersey in calcestruzzo che separano le corsie di marcia per evitare collisioni fra gli automezzi;

   le ultime asfaltature degne di nota che hanno interessato il tratto più pericoloso della strada statale 47 Valsugana sono state eseguite nel 2004 e da allora l'Anas ha eseguito per lo più rattoppi o sistemato brevi tratti del manto stradale;

   la scorsa primavera, dopo innumerevoli solleciti, anche sulla base delle decine di incidenti con danni alle vetture in transito, era arrivata la promessa che la strada sarebbe stata sistemata e che i lavori si sarebbero dovuti concludere entro lo scorso autunno, cosa che non è avvenuta;

   il malcontento è ulteriormente lievitato constatando che nel limitrofo territorio trentino la manutenzione viene fatta regolarmente, al contrario del lato vicentino in questione dove la manutenzione viene svolta con gravi ritardi rispetto alle richieste e alle necessità d'intervento;

   undici anni di relativo abbandono appaiono decisamente troppi per una strada trafficata ed importante come la Valsugana;

   non è più procrastinabile un intervento di rifacimento consistente e definitivo del manto stradale, e non sono più accettabili soluzioni provvisorie con rattoppi e raffazzonamenti temporanei lungo la sede viaria;

   è necessaria una complessiva riqualificazione del sistema infrastrutturale esistente, realizzando maggiori standard di sicurezza e di fluidificazione del traffico, risolvendo prioritariamente alcune strozzature e criticità localizzate nel comune di San Nazario (nel centro di Carpanè e nella zona Merlo), e mitigando gli impatti esistenti nei confronti degli elementi di sensibilità (aree abitate, aree di interesse turistico o di vulnerabilità ambientale);

   la popolazione e le istituzioni locali chiedono a gran voce interventi tempestivi ed urgenti, affinché sia salvaguardata la sicurezza di tutti gli automobilisti che transitano lungo l'arteria stradale –:

   se sia a conoscenza del problema, come intenda procedere e con quali tempistiche affinché l'ANAS provveda alla messa in sicurezza della strada statale 47 Valsugana, in modo da garantire gli standard di sicurezza stradale, e proceda ad un piano periodico di manutenzioni del manto stradale, oltre a risolvere, per quanto di competenza, le criticità localizzate nel comune di San Nazario (nel centro di Carpanè e nella zona Merlo).
(4-11856)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società Anas.
  In merito alla manutenzione del tronco della strada statale 47 «della Valsugana» in gestione diretta Anas, compreso tra Cittadella e il confine con il Trentino-Alto Adige, si segnala che, nel tratto compreso tra Carpenè e Primolano, durante i mesi di marzo e aprile 2015, sono stati eseguiti lavori di asfaltatura per il ripristino del piano viabile, per un importo complessivo lordo pari a circa 246 mila euro.
  Anas ha comunicato, altresì, che nel corso del 2016 sono stati effettuati i seguenti interventi manutentori:

   pavimentazioni, in tratti saltuari, tra le progressive chilometriche 30+200 e 63+750 per un importo di 250.000,00 euro;

   interventi di ripristino e rafforzamento della sovrastruttura stradale ammalorata in tratti saltuari, tra il chilometro 30+450 (località Cittadella) e il chilometro 73+000 (località Primolano) affidati in regime di accordo quadro (articolo 59, comma 4 del decreto legislativo n. 163 del 2006 per un importo di circa 872.000,00 euro;

   interventi di rappezzatura, in tratti saltuari, per la messa in sicurezza dei piani viabili tra il chilometro 33+000 (Tezze sul Brenta) e il chilometro 36+000 (Rosà) per un importo complessivo di circa 120.000,00 euro;

   lavori di disgaggio delle pareti rocciose da massi pericolanti, nel tratto compreso tra i chilometri 68+950 e chilometri 69+000 per un importo di 50.000,00 euro;

   servizio di pronto intervento della manutenzione del verde per procedere all'abbattimento delle alberature pericolose e alla potatura delle stesse, per un importo di circa 70.000.00 euro;

   lavori di protezione del piano stradale mediante la messa in sicurezza delle scarpate e delle pendici rocciose, in tratti saltuari, per un importo di circa 65.000,00 euro.

  Inoltre, la predetta società ha comunicato che per garantire la sicurezza e fluidità della circolazione stradale provvede a tutte quelle lavorazioni di manutenzione ordinaria che comprendono:

   sgombero neve e trattamenti antighiaccio;

   pronto intervento e ripristino incidenti ed emergenze;

   ripasso della segnaletica orizzontale e sostituzione della segnaletica verticale obsoleta e/o danneggiata;

   manutenzione del verde;

   ripristino delle barriere di sicurezza, manutenzione delle opere d'arte e idrauliche;

  Anas segnala, infine che per l'anno in corso lungo la statale in argomento sono previsti i seguenti interventi manutentori riferiti al contratto di programma 2016:

   lavori di rappezzature, in tratti saltuari, tra il chilometro 30+000 e il chilometro 64+000, (in corso di attivazione) per un importo di circa 68.000,00 euro;

   lavori di ripristino statico di opere d'arte, sostituzioni appoggi e giunti, rifacimento cordoli e protezioni laterali per un importo di circa 3.500.000,00 di euro.

  Per gli interventi manutentori riferiti al contratto di programma 2017 è previsto:

   intervento di ripristino e rafforzamento della sovrastruttura stradale ammalorata, in tratti saltuari, tra il chilometro 30+450 (Cittadella) e il chilometro 73+000 (Primolano) affidati in regime di accordo quadro per un importo di circa 2.150.000,00 di euro.
Il Vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   FANTINATI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   Il 3 febbraio 2017, il quotidiano online «Verona Sera» riferiva di «un'interdittiva antimafia del prefetto di Verona Salvatore Mulas. Ad essere colpita è stata la ditta di trasporti Verotransport di Nogarole Rocca (provincia di Verona), che già nell'estate scorsa aveva ricevuto un simile provvedimento, insieme ad altre aziende»;

   all'epoca, scrive il giornale, la prefettura aveva, infatti, accertato il legame familiare e imprenditoriale tra chi amministrava la ditta e i tre fratelli Franco, condannati per mafia in quanto appartenenti alla ‘ndrina dei «Pesce», una delle più potenti della ‘ndrangheta, con sede nella provincia di Reggio Calabria;

   le indagini avevano fatto emergere la contiguità tra la Verotransport e i fratelli Franco: alla prima confluivano mezzi, dipendenti e sedi, appartenuti alle ditte di quest'ultimi;

   per proseguire l'attività, continuando a guidare l'azienda seppur colpito dalla prima interdittiva, il titolare aveva utilizzato come copertura un dipendente veronese, incensurato;

   i dati diffusi, ad aprile, dall'Osservatorio civico per la legalità Verona e raccolti nel rapporto 2015 intitolato «Mafie e illegalità. Uno sguardo sulla città e la provincia di Verona» e le dichiarazioni del prefetto, così come di altre importanti cariche istituzionali suggeriscono di non sottovalutare il fenomeno delle infiltrazioni mafiose a Verona, in particolare quelle della ‘ndrangheta, la mafia calabrese;

   lo stesso prefetto, alla fine del 2015, aveva messo in guardia sull'operato delle organizzazioni criminali che «usano la nostra città come cassaforte. I veronesi sono bravissimi a creare ricchezza ma devono stare attenti che questa ricchezza non venga aggredita» –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare per rendere più capillare e incisiva l'azione di prevenzione contro l'infiltrazione della criminalità organizzata in Veneto, rafforzando, inoltre, le azioni di contrasto per la tutela della legalità.
(4-15508)

  Risposta. — La collocazione del Veneto in prossimità di aree di confine – con importanti snodi quali il porto di Venezia-Marghera, gli aeroporti internazionali di Venezia-Tessera e Marco Polo, nonché un tessuto economico e imprenditoriale caratterizzato da un'alta presenza di piccole e medie imprese – ha prodotto, nel tempo, una ricchezza diffusa. La regione è divenuta quindi un «polo» di interesse sia per la criminalità proveniente dalle regioni ad alta incidenza mafiosa sia per gruppi criminali di origine straniera.
  Sebbene non risulti, allo stato, una presenza «strutturata» della criminalità organizzata di stampo mafioso, è stata documentata l'operatività nel territorio di soggetti riconducibili a organizzazioni criminali campane, calabresi e siciliane, la cui progressiva infiltrazione nel tessuto economico regionale si concretizza, prevalentemente, nell'acquisizione di attività imprenditoriali in difficoltà.
  Le attività di tali soggetti sono capillarmente monitorate, al fine di prevenire eventuali condotte criminali, e – più in generale – le Forze di polizia svolgono una costante azione di contrasto delle infiltrazioni della criminalità organizzata, come dimostrato dalle numerose operazioni di polizia condotte e dalle misure patrimoniali applicate nel corso dell'ultimo triennio.
  In particolare, il 13 febbraio 2017 scorso, la Direzione investigativa antimafia, insieme alla Polizia di Stato, all'Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza, ha eseguito, nelle città di Padova, Venezia, Verona, Vicenza e altre numerose province italiane, un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di tre persone responsabili di associazione di stampo mafioso, estorsione, rapina, usura e frode fiscale. Con la medesima ordinanza sono state eseguite 14 perquisizioni utili ad acquisire documentazione contabile ed extra-contabile.
  Nel corso dell'attività investigativa tesa a verificare eventuali infiltrazioni mafiose di origine calabrese in Valpolicella (tra le province di Vicenza e Verona), sono state individuate 36 persone, tutte indagate per i medesimi reati. Tra queste figura un soggetto contiguo a personaggi affiliati alle cosche crotonesi che operano nel settore edile.
  Ulteriori attività investigative hanno portato, inoltre, al sequestro di numerose società finanziarie e ingenti capitali, per svariati milioni di euro, e alla confisca di numerosi beni mobili e immobili.
  Per quanto riguarda, in particolare, la provincia di Verona – citata nell'interrogazione –, si fa presente che la contrazione della produzione, del commercio locale, delle esportazioni e dell'occupazione, si è tradotta in una riduzione delle potenzialità imprenditoriali e, spesso, nella decozione e nel fallimento di imprese anche di consistenti dimensioni. Ciò ha determinato un terreno favorevole alla possibile infiltrazione di capitali e interessi illeciti.
  In tale contesto, secondo le linee concordate in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, particolare attenzione viene dedicata alle attività produttive e commerciali che si insediano nella provincia, nonché al settore degli appalti pubblici, attraverso la verifica da parte degli organi di polizia dell'esistenza di eventuali connessioni dei titolari delle imprese interessate con la criminalità organizzata o di eventuali forme di riciclaggio di capitali illeciti.
  La prefettura di Verona ha impresso, quindi, particolare impulso agli accertamenti di possibili forme di infiltrazioni mafiose nelle società, attraverso le verifiche espletate in occasione delle richieste di rilascio di certificazioni antimafia nell'ambito dei contratti pubblici.
  Analoga attenzione è stata dedicata al monitoraggio delle imprese e delle società che richiedono l'iscrizione nella cosiddetta
white list, cioè nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa operanti nei settori sensibili.
  Al termine delle relative istruttorie, la prefettura di Verona, nel 2015, ha emesso 778 informazioni antimafia e 2.750 comunicazioni antimafia, mentre ha iscritto 135 imprese nella
white list; nel 2016, ha emesso 870 informazioni antimafia e 3.970 comunicazioni antimafia, mentre ha iscritto 218 imprese nella white list.
  Inoltre, l'attività di prevenzione e contrasto svolta tra il 2015 e i primi mesi del 2017 dalla predetta prefettura ha portato all'adozione, nell'arco di un anno e mezzo, di nove interdittive antimafia nei confronti di altrettante imprese, tra cui anche la Verotransport srl, citata nell'interrogazione. Questi provvedimenti si aggiungono alle sette interdittive antimafia emesse negli anni precedenti.
  Nell'ambito di tale attività, sono stati esercitati i poteri di accesso e di accertamento nei cantieri delle imprese interessate all'esecuzione di lavori pubblici, in base alle previsioni del codice antimafia.
  Al momento, sono in corso mirati accertamenti che potrebbero portare all'emissione di nuovi provvedimenti interdittivi e sono programmati ulteriori accessi ai cantieri operativi per la realizzazione di lavori pubblici, nonché presso sedi di società attenzionate.
  Per quanto riguarda, più in generale, il territorio regionale, è sempre assicurato l'impegno corale dei Prefetti, attraverso una continua e costante azione di coordinamento, svolta nei territori provinciali, con una forte cooperazione della Magistratura, che si esplica anche attraverso la partecipazione dei procuratori alle riunioni dei comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica. Ciò allo scopo di costituire, nel rispetto delle precipue competenze, un fronte comune e unitario per il contrasto alla criminalità mafiosa.
  In tale contesto, sono molteplici i protocolli di legalità e le iniziative avviate dalla prefettura di Venezia e dalle altre prefetture del Veneto proprio al fine di tutelare la legalità e prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico e sociale della regione.
  L'11 febbraio 2011, le prefetture del Veneto hanno sottoscritto insieme al Presidente di Confindustria un «Protocollo di legalità» finalizzato a prevenire i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici, servizi e forniture. Tale accordo, a tutt'oggi valido, persegue lo scopo di accrescere ulteriormente la collaborazione tra imprese e pubbliche autorità.
  Il successivo 10 giugno 2011, le stesse prefetture, con la Commissione regionale dell'Abi, gli istituti di credito e i confidi presenti in Veneto, hanno siglato un Protocollo regionale antiusura. L'accordo prevede, tra l'altro, la promozione di iniziative mirate a rafforzare l'attività di prevenzione, basata sull'informazione e l'educazione all'uso responsabile del denaro, anche attraverso l'individuazione di percorsi tesi a facilitare l'accesso al credito legale.
  Il 9 gennaio 2012, su iniziativa della prefettura di Venezia, alla presenza del Ministro dell'interno, del presidente della regione Veneto, dei prefetti delle province venete, del presidente dell'Upi e del presidente dell'Anci Veneto, è stato sottoscritto un «Protocollo di legalità ai fini della prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture». L'accordo è stato rinnovato e aggiornato nel 2015, alla luce della nuova normativa anticorruzione.
  Le prefetture venete, il 22 ottobre 2013, hanno sottoscritto un accordo con Enel spa, per prevenire i tentativi di infiltrazione mafiosa nel settore degli appalti della predetta società.
  Un protocollo di legalità è stato siglato anche con il presidente di Autovie Venete spa nel 2016, per prevenire i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei contratti pubblici relativi ai lavori per la realizzazione della terza corsia dell'autostrada A4 Venezia-Trieste. L'accordo costituisce un importante strumento per conciliare le esigenze di sicurezza, trasparenza ed efficacia dei controlli antimafia e anticorruzione con quelle di semplificazione e di minor aggravio per le imprese in termini di gestione, tempi e costi degli interventi.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   FAUTTILLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il sistema aeroportuale romano Fiumicino-Ciampino rappresenta il principale polo aeroportuale italiano, con valenza oramai consolidata sul traffico nazionale, internazionale, europeo e delle linee low cost;

   gli aeroporti di Fiumicino e di Ciampino da anni presentano criticità legate all'eccessivo aumento del traffico e dell'inadeguatezza infrastrutturale;

   in particolare, l'aeroporto di Ciampino è passato da circa 1 milione di passeggeri l'anno per il periodo 1961-2011, a circa 5 milioni e mezzo annui, registrati tra il 2015 e il 2016 ed è prossimo alla saturazione;

   per questo, il succitato aeroporto di Ciampino è oggetto di forti contestazioni da parte di comitati spontanei nati nei comuni di Ciampino, ma anche di Roma e Marino, per i continui disagi causati dalla critica situazione sopra ricordata. Si fa presente, inoltre, che l'aeroporto di Ciampino per la sua collocazione e conformazione, ben difficilmente potrebbe essere oggetto di interventi correttivi;

   non migliore la situazione dello scalo principale romano, Fiumicino, che nel solo 2016 ha fatto registrare un traffico pari a 41,7 milioni di passeggeri, ed è già sottoposto a importanti lavori di adeguamento per fare fronte al sempre maggior traffico che si trova ad affrontare;

   appare, quindi, evidente che i due maggiori scali del Lazio non possano da soli affrontare un traffico in sempre maggiore aumento, visto anche lo sviluppo delle linee low cost;

   è quindi auspicabile che si giunga in tempi rapidi alla decisione, già più volte annunciata, della localizzazione di un terzo scalo aeroportuale regionale, che possa alleviare le condizioni critiche dei due attualmente esistenti;

   si ricorda in particolare che già nel 2007 una risoluzione della IX Commissione della Camera dei deputati aveva chiesto al Governo di attuare gli interventi di sua competenza per decongestionare il traffico che grava in particolare su Ciampino, definendo anche la fattibilità della realizzazione di un ulteriore scalo tra gli altri esistenti nel Lazio;

   nella regione Lazio, al momento, esistono sei aeroporti «minori», tra i quali si potrebbe indicare quello adatto al ruolo di terzo polo aeroportuale regionale;

   a parere dell'interrogante sarebbe auspicabile una scelta rapida per risolvere quanto prima la situazione sopra esposta;

   al riguardo, è, sempre a parere dell'interrogante, auspicabile che si proceda con la scelta dell'aeroporto «Comani» di Latina, che appare il meglio attrezzato sia per la contiguità con la linea ferroviaria Roma-Napoli, sia per la mancanza di vincoli ambientali ed archeologici, sia per la centralità geografica, trovandosi, infatti, vicino a Roma ed a Napoli, e che richiederebbe minori interventi, e quindi minori spese, per gli adeguamenti necessari;

   inoltre, i benefici per la provincia di Latina sarebbero certamente importanti, anche dal punto di vista dell'occupazione per un territorio troppo spesso sottovalutato e negletto –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per affrontare concretamente il problema della congestione del sistema aeroportuale romano illustrato in premessa, attuando, tra l'altro, quanto già previsto dalla risoluzione della IX Commissione approvata ormai 10 anni fa.
(4-16087)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni fornite dai competenti uffici di questo Dicastero e dall'Enac.
  Il decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 2015, n. 20, ha individuato gli aeroporti di interesse nazionale ai sensi dell'articolo 698 del Codice della navigazione e in coerenza con le previsioni del piano nazionale degli aeroporti, quale atto presupposto del medesimo decreto del Presidente della Repubblica, di pianificazione dell'intera rete aeroportuale italiana.
  Tale piano ha fissato le direttrici su cui fondare lo sviluppo integrato del settore aeroportuale, così definite:

   creazione di una visione di sistema e di sviluppo della rete nazionale di trasporto nel suo complesso per renderla sostenibile e competitiva, nell'ambito dei nuovi orientamenti delle reti transeuropee di trasporto, tenendo conto della vocazione dei territori, delle potenzialità di crescita della capacità degli aeroporti stessi di intercettare la domanda di traffico;

   incentivazione alla costituzione di reti o sistemi aeroportuali, per superare situazioni di inefficienza, ridurre i costi e consentire una crescita integrata degli aeroporti, con possibili specializzazioni degli stessi, anche al fine di superare la conflittualità tra aeroporti situati a distanze minimali nell'ambito dello stesso bacino territoriale;

   promozione dell'accessibilità dei territori caratterizzati da carenze di modalità di trasporto;

   focalizzazione efficace degli investimenti sia in termini di capacità aeroportuale che di accessibilità agli aeroporti stessi;

   razionalizzazione della spesa e dei servizi in un'ottica di efficientamento;

   realizzazione di un disegno industriale «in itinere» suscettibile di un aggiornamento periodico delle politiche tese al governo del sistema aeroportuale.

  In tale prospettiva e in conformità agli indirizzi dell'Unione europea in materia, nel piano si è previsto che la creazione di nuovi aeroporti o il potenziamento di infrastrutture esistenti deve rispondere a criteri di necessita di soddisfacimento della domanda di trasporto nei territori interessati, tenuto anche conto, quindi, dell'eventuale capacità non utilizzata di altri scali situati nei relativi bacini di utenza, e di efficienza sotto il profilo della spesa, evitando distorsioni di concorrenza e la proliferazione di scali economicamente non redditizi.
  Al riguardo, si evidenzia che, in particolare negli orientamenti in materia di aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree di cui alla comunicazione della commissione Ue 2014/C 99/03, tra le condizioni affinché gli aiuti agli investimenti siano considerati compatibili con la disciplina comunitaria è incluso il «contributo al raggiungimento di un obiettivo comune». «Tuttavia il moltiplicarsi di aeroporti non redditizi o la creazione di ulteriore capacità inutilizzata non contribuisce a un obiettivo di interesse comune. Se un progetto di investimento è destinato principalmente a creare nuova capacità aeroportuale, la nuova infrastruttura deve, a medio termine, soddisfare la domanda attesa delle compagnie aeree, dei passeggeri e degli spedizionieri nel bacino di utenza dell'aeroporto. Ogni investimento, che non abbia soddisfacenti prospettive di utilizzo a medio termine o che riduca le prospettive a medio termine dell'infrastruttura esistente nel bacino d'utenza non può essere considerato utile ai fini di un obiettivo di interesse comune».
  Peraltro, si precisa che la specifica programmazione delle infrastrutture aeroportuali nel nostro Paese è soggetta alle previsioni dei Master Plan e dei contratti di programma oggetto di revisione periodica e approvati, rispettivamente, dal competente Enac e dai Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze.
  Ciò premesso, si fa presente che il decreto del Presidente della Repubblica n. 201 del 2015 in linea con quanto previsto nel richiamato Piano nazionale degli aeroporti, ha individuato, in relazione al bacino del centro Italia, quali aeroporti di interesse nazionale, gli scali di Roma Fiumicino, Roma Ciampino, Perugia e Pescara, riconoscendo all'aeroporto di Roma Fiumicino un ruolo di particolare rilevanza strategica nel medesimo bacino, nonché di
gate intercontinentale e di primario hub nazionale.
  Inoltre, con specifico riferimento al sistema aeroportuale della Capitale, si sottolinea che lo stesso è stato oggetto di regolazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2012 di approvazione dell'atto unico costituito dalla Convenzione per la gestione totale e dal contratto di programma «in deroga» stipulato tra l'Enac e la società Aeroporti di Roma, successivamente integrato con l'atto aggiuntivo del 27 dicembre 2012. Con gli atti regolatori suindicati è stato previsto il potenziamento della capacità infrastrutturale di Fiumicino. con conseguente trasferimento di voli commerciali da Ciampino a Fiumicino al fine di ridurre l'impatto ambientale del traffico su Ciampino.
  In conformità ai predetti atti regolatori la pianificazione aeroportuale dello scalo di Roma Ciampino è stata impostata prevedendo una considerevole riduzione del numero dei movimenti e quindi dei passeggeri, in considerazione anche delle istanze avanzate dai comitati locali dei cittadini, mentre quella dello scalo di Roma Fiumicino prevede nel lungo periodo il potenziamento delle infrastrutture di volo e dei
terminal, in modo da intercettare il trend di crescita del traffico passeggeri. assicurando al contempo gli attesi livelli di servizio all'utenza.
  I vigenti atti di regolamentazione, pianificazione e programmazione in materia quindi non contemplano nel medio periodo ulteriori scali nel bacino di riferimento e sembrano essere in grado di intercettare i volumi di traffico previsti. È evidente che qualora vi fossero segnali diversi di mancanza di capacità aeroportuale verranno fatte le opportune valutazioni per rendere il sistema aeroportuale della capitale in grado di soddisfare la domanda di traffico futuro.
  La gestione del sistema aeroportuale della capitale è stata definitivamente regolata attraverso l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2012, che ha approvato l'atto unico costituito dalla Convenzione per la gestione totale ed il contratto di programma in deroga stipulato tra Enac e la società aeroporti di Roma successivamente integrato con l'Atto aggiuntivo del 27 dicembre 2012.
  Il posizionamento del Sistema aeroportuale romano all'interno della rete di trasporto aereo nazionale era stato in principio valutato da Enac attraverso lo «Studio sullo sviluppo degli aeroporti italiani» pubblicato nel settembre 2010, con un assetto che prevedeva l’
Hub principale rappresentato da Fiumicino, un city airport su Ciampino e uno scalo per il traffico low cost su Viterbo. La versione definitiva del piano nazionale degli Aeroporti, pubblicata come allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 201 del 2015, rivede tale assetto, prevedendo oltre allo scalo di Fiumicino, un unico secondary airport su Ciampino, cancellando la previsione del terzo aeroporto del Sistema.
  Comunque, già le modifiche apportate al contratto di programma Enac-AdR avvenute attraverso il citato atto aggiuntivo, escludeva la valorizzazione dell'aeroporto di Viterbo in favore di un trasferimento di voli commerciali da Ciampino a Fiumicino.
  In tutti i casi dal 2012 ad oggi la pianificazione aeroportuale dello scalo di Roma Ciampino è stata impostata prevedendo una considerevole riduzione del numero dei movimenti – e quindi dei passeggeri – fissando il limite dei 65 movimenti/giorno. Tale previsione tiene anche conto delle istanze avanzate dai comitati locali dei cittadini.
  Conseguentemente la società di gestione ha consegnato un piano di sviluppo aeroportuale al 2044 che prevede la riconversione dello scalo di Roma Ciampino in un
secondary airport con operatività sullo scalo solo per alcune destinazioni legate ad un traffico minore, prevalentemente leisure incoming, con un bacino di traffico contenuto integrativo e complementare rispetto a quello del principale scalo del sistema della capitale. Il piano attualmente in procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prevede infatti 3,5 milioni di passeggeri/anno (costanti dal 2021 in poi) e 65 movimenti/giorno.
  Infine, in merito alla carenza infrastrutturale, Enac fa presente di aver approvato in linea tecnica il piano di sviluppo aeroportuale dello scalo di Roma Fiumicino al fine di prevedere nel lungo periodo il potenziamento delle infrastrutture di volo e dei terminal, in modo da intercettare il trend di crescita del traffico passeggeri previsto, assicurando al contempo gli attesi livelli di servizio all'utenza. Anche il suddetto piano è attualmente in procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   FEDRIGA, MOLTENI e GIANLUCA PINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nell'ottobre 2016 il dirigente del compartimento della polizia ferroviaria dell'Emilia Romagna, dottor Grazioso Fusco, ha ufficialmente reso noto il progetto di Trenitalia concernente il ricollocamento del personale in servizio alla polizia ferroviaria di Bologna presso una nuova caserma nello scalo ferroviario di San Donato, la cui ristrutturazione è terminata a gennaio;

   il trasferimento di tutti gli alloggiati nella caserma San Donato con il contestuale abbandono della caserma Casarini dovrebbe essere ormai imminente;

   la decisione di basare un presidio di polizia nella zona di via Casarini a Bologna fu determinata dieci anni fa dalla situazione di illegalità e degrado in cui era sprofondata l'area e venne assunta subito dopo lo sgombero degli occupanti abusivi dello stabile prescelto. La caserma delle forze dell'ordine avrebbe contribuito a riqualificare il quartiere e aumentare il livello di sicurezza;

   per una serie di scelte, l'onere economico dell'affitto dello stabile finì in capo all'ente ferroviario, e nacque la caserma della polizia ferroviaria;

   per dieci anni il quartiere ha ospitato un presidio di polizia con cinquanta uomini e donne in divisa, con evidente vantaggio per la sicurezza dei residenti;

   sulla base di motivi apparentemente economici, si pensa adesso di impedire ai poliziotti di continuare ad utilizzare lo stabile di via Casarini, trasferendoli nell'estrema periferia della città, all'interno di uno scalo ferroviario chiuso al pubblico, in uno stabile che si trova a diversi chilometri dalle strade più trafficate e da fermate di mezzi pubblici;

   dal 1956, per legge, le Ferrovie dello Stato hanno l'onere di provvedere d'intesa con il Ministero dell'interno all'accasermamento del personale assegnato ai servizi di polizia ferroviaria;

    alcune organizzazioni sindacali della polizia, in particolare il Sap, contestano l'opportunità della decisione di ricollocamento, in quanto comporterebbe un netto deterioramento delle condizioni di vita dei poliziotti;

   anche le autorità locali sembrano convenire sull'inopportunità dello spostamento dei poliziotti dalla caserma Casarini, come risulta anche dall'impegno del prefetto a convocare un tavolo tecnico allo scopo di evitarlo –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere per risolvere la questione evidenziata in premessa, considerando il fatto che, a quanto consta agli interroganti, a Bologna esistono diversi luoghi nella disponibilità di Trenitalia idonei ad ospitare i poliziotti e tenendo conto, dell'interesse a tutelare il benessere degli appartamenti alla polizia di Stato.
(4-15798)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dal gruppo Ferrovie dello Stato (Fsi) e dal Ministero dell'interno (Mint), si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Nel merito del progetto di riallocazione della caserma Polfer di Bologna il Gruppo Fsi riferisce quanto segue.
  La società Ludis nel 2005 acquista l'immobile di via Casarini 23, subentrando – in qualità di locatore – nel contratto di locazione già esistente per le esigenze alloggiative della Polfer; la manutenzione straordinaria del suddetto immobile è a carico della proprietà, mentre quella ordinaria è a carico delle società del gruppo Fsi.
  Negli ultimi anni del rapporto locativo, si sono registrati fenomeni di infiltrazioni di acqua piovana e addirittura nel 2016 un rilevante problema alla funzionalità dell'impianto di condizionamento di riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria con perdite di gas che ha reso necessario l'intervento dei Vigili del fuoco.
  La Direzione territoriale produzione di Bologna di Rete ferroviaria italiana (Rfi) non ha potuto prendere in carico nel tempo, la manutenzione ordinaria di impianti poiché la società Ludis non aveva rilasciato le certificazioni di conformità previste dalla normativa vigente. Con diversi solleciti rappresentata alla società Ludis l'urgente necessita di procedere con gli interventi di manutenzione straordinaria richiesti da Polfer; la situazione sopra descritta ha ovviamente determinato gravi carenze manutentive dell'immobile in questione.
  Il combinato disposto della grave situazione manutentiva dell'immobile e della contestuale disponibilità del Ferrotel sito nello scalo merci di Bologna San Donato, precedentemente in uso al personale di Trenitalia, ha conseguentemente indotto Rete ferroviaria italiana ad avviare senza indugio, muovendo comunque dal parere positivo espresso dal Ministero dell'interno, la ricollocazione della caserma Polfer di Bologna al fine di offrire una decorosa situazione alloggiativa al personale Polfer.
  Il Ministero dell'interno precisa al riguardo, che nel mese di gennaio del 2016 i vertici del citato gruppo Fsi, in considerazione. come sopra evidenziato, delle numerose problematiche di natura strutturale ed impiantistica dell'immobile per le quali hanno rappresentato difficoltà ad ottenere interventi tempestivi da parte della società proprietaria, hanno proposto alla Direzione centrale per la polizia stradale e ferroviaria, una ricollocazione del personale Polfer presso la struttura del Ferrotel, sito nello scalo merci di Bologna San Donato.
  Il Gruppo Fsi, ha nel contempo preannunciato a seguito di un processo di razionalizzazione dei costi, avrebbe proceduto alla risoluzione del contratto di locazione dell'immobile di via Casarini, decisione che di fatto è stata ufficialmente comunicata nel successivo mese di giugno.
  Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti evidenzia che tenuto conto della problematica correlata alla titolarità degli interventi manutentivi e di messa a norma della caserma e constatata l'assenza di valide alternative, il servizio di polizia ferroviaria, su conforme avviso del dirigente del compartimento interessato e a seguito di specifico sopralluogo, ha espresso parere favorevole al trasferimento degli alloggi collettivi presso la struttura di San Donato, che grazie ad alcuni lavori di adeguamento consentirà di alloggiare in stanze singole 60 operatori. Tale valutazione è stata effettuata anche alla luce del fatto che detta ricollocazione non si ritiene possa pregiudicare in qualche modo l'operatività del personale e, quindi, l'efficienza del dispositivo di vigilanza.
  Inoltre, il ministero delle infrastrutture e dei trasporti fa presente che il dirigente del compartimento ha manifestato la propria disponibilità ad adottare soluzioni volte a limitare il disagio del personale dovuto alla maggiore distanza dal luogo di lavoro, attivandosi sia nel senso di verificare la possibilità per il personale Polfer di fruire della mensa di servizio presso la nuova struttura, sia richiedendo agli organi comunali competenti l'individuazione di una fermata dei mezzi di trasporto pubblico in area prossima allo scalo in questione, cercando, altresì, di acquisire un mezzo di trasporto idoneo ad effettuare un servizio navetta tra la caserma e la stazione ferroviaria.
  Il gruppo Fsi, riferisce che tale progetto, che ha visto la riqualificazione del Ferrotel si avvia a conclusione con la imminente consegna dei 60 alloggi previsti.
  Per completezza d'informazione, per gli aspetti riguardanti la sicurezza, il Mint riferisce che presso il settore operativo di Bologna centrale, ove è già presente una stanza adibita ai controlli di polizia, adiacente alle celle di sicurezza, è stato individuato anche un ulteriore locale nella zona
hall del settore alta velocità (Av), che consentirà di svolgere i predetti controlli anche nel livello sotterraneo della stazione.
  Inoltre il ministero delle infrastrutture e dei trasporti informa che il compartimento polizia ferroviaria per l'Emilia Romagna ha in dotazione 45
metal detector portatili per l'attività di controllo, di cui sei assegnati al settore operativo di Bologna centrale.
  Altresì, per il personale in servizio presso il settore operativo di Bologna centrale, la dotazione di giubbotti antiproiettile (Gap), ridotta nel 2014 a 10 unità, è stata integrata, per cui, attualmente, il compartimento per l'Emilia Romagna ha in dotazione 32 giubbotti antiproiettile.
  Inoltre, sempre con riferimento gli aspetti riguardanti i controlli e la sicurezza in stazione, il gruppo Fsi fa osservare quanti, segue.
  È in fase di studio un progetto tale da consentire a tutte le forze dell'ordine un collegamento radio con i binari sottostanti.
  Peraltro, nell'ambito del piano industriale del gruppo Fs è prevista la progressiva adozione di tornelli nelle stazioni della rete. Il modello di accesso all'hub ferroviario della stazione di Bologna è stato sviluppato sulla base di soluzioni progettuali già adottate per le altre grandi stazioni di «testa» quali Roma, Milano e Firenze, ed adattate in considerazione del peculiare
lay-out di Bologna che vede l'affiancarsi della nuova stazione Av al complesso storico già ivi presente.
  Il gruppo Fsi, nel sottolineare che l'obiettivo di elevare il livello di sicurezza delle stazioni ferroviarie, con particolare attenzione ai principali
hub rimane elemento fondante, della propria strategia di sviluppo, comunica che sono in fase di approfondimento nuovi modelli di gestione e controllo dei flussi delle stazioni «passanti», mediante l'utilizzo di un mirato set di tecnologie tra loro opportunamente integrate; una volta individuata la soluzione il medesimo gruppo procederà a valutarne le opportunità da un punto di vista dell'efficacia operativa e dei costi-benefici.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   FEDRIGA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   ben 228 dipendenti dell'ufficio Maridist (distaccamento della Marina militare) di via Acton a Napoli risultano ormai indagati per assenteismo nell'ambito di una inchiesta denominata «Fantasma»;

   nei confronti dei 228 dipendenti di Maridist sono stati emessi dal pubblico ministero Filippo Beatrice, della sezione reati contro la pubblica amministrazione della procura di Napoli, altrettanti avvisi di conclusione delle indagini preliminari;

   il reato ipotizzato dal pubblico ministero Beatrice è di truffa ai danni dello Stato;

   stando a quanto si è appreso, gli indagati – la quasi totalità del personale civile dell'ufficio secondo gli accertamenti svolti dai carabinieri, firmavano i registri delle presenze e poi si allontanavano dall'ufficio, spesso dopo appena pochi minuti, senza farvi più ritorno;

   i fatti contestati si riferiscono al periodo marzo-aprile 2007;

   risulta che i carabinieri, attraverso appostamenti durati due mesi, abbiano ripreso con videocamere nascoste, le immagini dei dipendenti che si allontanavano dalla sede del distaccamento;

   all'assenteismo si sarebbero aggiunti altri illeciti amministrativi di varia natura –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per evitare in futuro il ripetersi di episodi simili a quello generalizzato in premessa e per recuperare il danno erariale subito.
(4-16083)

  Risposta. — In relazione alla vicenda menzionata dall'interrogante rendo noto che, dei 228 impiegati civili di Maridist indagati per assenteismo nel febbraio 2009:

   208 sono stati assolti, in particolare 206 con formula piena («Perché il fatto non sussiste»);

   9 (il 3 per cento del personale civile in forza ai comandi marittimi di Napoli) sono stati condannati al termine di procedimenti con rito alternativo (patteggiamento);

   dei rimanenti 11 non vi è riscontro da parte dell'Amministrazione della difesa, in quanto cessati dal servizio tra il 2007 e il 2009;

  Ai 9 dipendenti condannati l'Amministrazione della difesa ha irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da 11 giorni a 6 mesi; ai 2 assolti «perché il fatto non costituisce reato» sono stati comminati un rimprovero scritto e una multa.
  Il danno erariale sofferto è stato recuperato nei confronti delle 9 persone condannate mediante trattenute sullo stipendio delle stesse.
  Faccio presente che, quale misura immediata, l'Amministrazione della difesa aveva a suo tempo proceduto a disporre due inchieste – una sommaria e una amministrativa – mettendo contestualmente in mora, a titolo precauzionale, tutto il personale civile coinvolto.
  In merito alle iniziative adottate per scongiurare eventuali ulteriori casi analoghi, già dal 2010 si è passati dal sistema di rilevazione autografa delle presenze – in vigore all'epoca dei fatti – a un sistema automatizzato.

Il Sottosegretario di Stato per la difesa: Domenico Rossi.


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   dopo l'aggressione avvenuta la settimana scorsa nella stazione milanese di Villapizzone nella quale un ferroviere ha rischiato di perdere un braccio a causa di un colpo di machete, il sindacato dei ferrovieri esprime il proprio stato d'animo e la paura di dover lavorare nelle attuali condizioni;

   i sindacati di polizia (comunicato COISP del 17 giugno 2015) convocati dal Ministero dell'interno in data 18 giugno 2015, fanno sapere che riguardo alla convenzione già stipulata con Trenitalia per la quale la stessa può usufruire di agenti per la scorta sui treni da disporre come ritiene più opportuno, gli agenti non siano più disposti ad ulteriori concessioni e denunciano l'utilizzo non ottimale del servizio, effettuato con logiche più mirate al risparmio che all'interesse di tutti i viaggiatori;

   in seguito all'episodio di Milano si era paventata l'ipotesi di soppressione, a partire dal 26 giugno 2015, di alcuni treni che percorrono tratte troppo pericolose se non si fosse decisa la presenza delle forze d'ordine a bordo. Era stata così stilata una «lista nera» di 15 convogli pericolosi, tra i quali anche i regionali Firenze-Arezzo delle 7:08 e Firenze-Viareggio delle ore 7:53, che interessano la regione di appartenenza dell'interrogante;

   in data 19 giugno, a seguito del suddetto incontro con i sindacati, il Ministero dell'interno ha scongiurato le soppressioni e comunicato che i 15 treni pericolosi saranno scortati, dal prossimo 26 giugno, dalla polizia ferroviaria;

   la polizia di Stato, come tutti i settori della pubblica amministrazione, patisce una carenza di organico di circa 18.000 unità e un riordino del settore si rende sempre più necessario;

   il Vice Ministro dell'interno, in risposta all'interrogazione della sottoscritta n. 4-03703 sul piano di razionalizzazione delle risorse della polizia, ha dichiarato che lo stesso piano, sottoposto ad inizio 2014 al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, non è ancora definito, in quanto ha dovuto lasciare il passo al disegno di legge governativo sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza. Il disegno di legge, attualmente all'esame del Parlamento, tornerà poi sul tavolo del Governo per la definizione del piano di razionalizzazione;

   il piano strategico dovrebbe tener conto di «indicatori di contesto» tali da affrontare i fenomeni delittuosi con approccio più territoriale, compensare e distribuire diversamente il personale delle due forze a competenza generale sul presidio del territorio, razionalizzare i presidi delle quattro specialità di base della polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera);

   nel frattempo, tuttavia, rimangono in essere i tagli alla Polfer già effettuati, i sindacati dei ferrovieri confermano la loro preoccupazione per i recenti casi di aggressioni, ed i sindacati delle forze di polizia rimangono contrari ad ulteriori concessioni a Trenitalia che, comunque, grazie alla convenzione, ha potuto risparmiare quasi 40 milioni di euro sulla spesa della vigilanza privata, salvo poi gestire il servizio in maniera, a giudizio dell'interrogante, discutibile;

   intanto, l'ultimo dei decreti del capo del dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, datato 21 maggio 2015, sancisce le chiusure di altre 13 sottosezioni Polfer in Italia: Golfo Aranci in Sardegna, San Giovanni Valdarno e Livorno San Marco in Toscana, Mortara in Lombardia, Catania Aquicella, Palermo Brancaccio, Vittoria e Castel Vetrano in Sicilia, Roma smistamento e Roma Trastevere nel Lazio, Villa Opicina in Friuli Venezia Giulia, Verona Porta Vescovo e S. Candido a Verona ed in Trentino Alto Adige –:

   cosa intenda fare il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, per gestire questa fase di transizione nell'attesa del nuovo piano di razionalizzazione, in modo da evitare che l'acutizzarsi della problematica della sicurezza sui treni e nelle stazioni ferroviarie, si ripercuota sul personale ferroviario o sui pendolari.
(4-09602)

  Risposta. — L'episodio segnalato nell'interrogazione è avvenuto a bordo di un treno regionale di Trenord sulla tratta Rho-Milano Rogoredo e, a seguito di indagini esperite da personale della squadra mobile della locale questura, si è concluso con l'arresto di quattro cittadini sudamericani, autori dell'aggressione ad un capo treno ed a un suo collega libero dal servizio.
  In proposito l'interrogante chiede maggior sicurezza nelle stazioni ferroviarie e sui treni e un incremento delle risorse umane da destinare alle attività di prevenzione e repressione dei reati, al fine di contrastare il compimento di atti vandalici e danneggiamenti nonché il fenomeno delle aggressioni o rapine a bordo dei treni.
  L'argomento evidenziato attiene a un settore basilare per la mobilità nel Paese, caratterizzato da imponenti volumi di traffico. Su base giornaliera, sono più di 3 milioni e mezzo le persone che transitano nelle oltre 2.500 stazioni italiane e più di 8.000 i convogli circolanti sulla linea ferroviaria nazionale.
  La sicurezza di queste persone viene garantita dalle 4.400 unità della polizia ferroviaria attraverso assidui e mirati controlli, in coordinamento con le altre forze di polizia territorialmente presenti.
  Si informa, al riguardo, che la sicurezza di queste persone viene garantita dalle 4.400 unità della polizia ferroviaria attraverso assidui e mirati controlli, in coordinamento con le altre forze di polizia territorialmente presenti.
  Nel corso del 2016 sono stati effettuati 205.000 servizi di vigilanza presso le stazioni ferroviarie, 44.000 servizi di scorta a bordo treno con 96.000 treni scortati, 17.000 servizi antiborseggio in abiti civili, oltre 26.000 pattugliamenti lungo le linee ferroviarie e poco meno di 2.000 servizi straordinari di controllo del territorio.
  Sono stati inoltre assicurati servizi quotidiani a bordo dei convogli notturni ed è stata intensificata la vigilanza su quei convogli e in quelle tratte ove si sono rilevate maggiori criticità.
  Si sottolinea che, durante i servizi descritti, sono state controllate 941.000 persone, di cui 1.245 arrestate e 11.360 deferite in stato di libertà all'autorità giudiziaria. Sono state altresì elevate 14.000 contravvenzioni. Grazie alle misure messe in campo, nel 2016 si è registrata una riduzione degli episodi di criminalità predatoria, con un calo dei furti del 27 per cento rispetto al 2015.
  Anche gli altri indici di delittuosità fanno emergere una diminuzione della quasi totalità dei fenomeni: con una diminuzione delle rapine del 37 per cento, dei danneggiamenti del 9 per cento, dei furti di rame del 47 per cento, del lancio di oggetti contro i treni del 24 per cento, con un aumento delle sole frodi ai danni delle imprese ferroviarie.
  Si è registrato, infine, un calo delle aggressioni, tanto di quelle al personale delle imprese ferroviarie, con una diminuzione del 5 per cento, quanto di quelle ai viaggiatori, con una diminuzione del 13 per cento. Riguardo a quest'ultimo aspetto - cioè le aggressioni - vi è un altro dato che si ritiene rassicurante: nel 67 per cento dei casi, i responsabili di condotte criminose sono stati tratti in arresto e deferiti all'autorità giudiziaria.
  Nel contesto appena delineato, risultano essenziali le sinergie informative ed operative instaurate con le diverse imprese ferroviarie. Al riguardo, si segnala che, con cadenza mensile o all'insorgere di problematicità, la polizia ferroviaria individua, congiuntamente alle predette imprese, i treni ritenuti critici sulla base dell'indice di delittuosità e dell'esposizione degli stessi a potenziale rischio di aggressioni.
  In relazione agli elementi di conoscenza così acquisiti, vengono effettuate scorte mirate sui convogli segnalati, nonché servizi negli scali ferroviari interessati dal transito dei convogli medesimi, realizzando in tal modo un efficace dispositivo di filtraggio già all'atto della partenza. Inoltre, dal 2008 è attivo il numero telefonico di emergenza 1600 per il collegamento terra-treno, che consente al personale ferroviario di mettersi in contatto diretto con la sala operativa della polizia ferroviaria più vicina per garantire un intervento immediato delle pattuglie.
  D'altra parte, nel settore svolgono un ruolo importante anche le tecnologie a disposizione. È sempre maggiore infatti il numero delle stazioni ferroviarie e dei treni dotati di dispositivi di videosorveglianza. Si tratta di una tendenza senz'altro da consolidare, trattandosi di impianti basilari, tanto come fattore deterrente quanto per l'individuazione di eventuali responsabili di atti illeciti.
  Si ritiene che il quadro delle misure e dei risultati appena illustrati testimoni l'attenzione che l'Amministrazione dell'interno rivolge alla sicurezza lungo la rete ferroviaria nazionale. L'obiettivo è quello di raggiungere
standard sempre più elevati, sia facendo leva sul consolidamento della collaborazione con le imprese ferroviarie sia attraverso la riorganizzazione della polizia ferroviaria.
  Sotto quest'ultimo profilo, si rappresenta che il capo della polizia - direttore generale della pubblica sicurezza, avvalendosi delle prerogative riconosciutegli dall'articolo 9, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 2001, n. 208 («Regolamento per il riordino della struttura organizzativa delle articolazioni centrali e periferiche dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza»), sta realizzando un primo adeguamento organizzativo della polizia ferroviaria alle mutate esigenze operative, tenuto conto che in alcuni scali ferroviari, interessati da un sensibile decremento del flusso di convogli e di passeggeri, la permanenza di presidi fissi non corrisponde a criteri di efficienza e di efficacia. In tali scali la vigilanza e la sicurezza possono essere assicurate nell'ambito degli ordinari piani coordinati di controllo del territorio, con il concorso di limitrofi uffici della polizia ferroviaria.
  Il futuro assetto della specialità ferroviaria è oggetto di approfondimento anche nell'ambito di una progettualità più generale volto a ottimizzare la dislocazione e la funzionalità dei presidi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri su tutto il territorio nazionale, alla luce dei criteri direttivi dettati dalla cosiddetta legge Madia. Tale progettualità sarà poi trasposta in un decreto ministeriale, da emanarsi ai sensi della legge n. 121 del 1981.
  La polizia ferroviaria è coinvolta in tale riordino di valenza strategica, essendo evidente la necessità di adeguarne l'operatività alle notevoli trasformazioni registratesi nella sicurezza dei traffici ferroviari, in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, diventate, da semplici luoghi di transito, punti di incontro e di allocazione di attività commerciali.
  Per giungere a una compiuta definizione del progetto in questione, sono in fase di elaborazione, da parte di appositi gruppi interforze istituiti presso l'Ufficio coordinamento e pianificazione delle forze di polizia del dipartimento della pubblica sicurezza, i criteri volti a rimodulare la "rete dei presidi" in rapporto alle specifiche realtà dei territori, secondo una logica che consenta di coniugare efficienza ed efficacia evitando diseconomie di scala.
  I gruppi di lavoro non hanno ancora terminato la loro attività, ma si assicura fin d'ora che ogni possibile opzione sarà oggetto di attenta valutazione, la quale non potrà mai andare a scapito della sicurezza dei viaggiatori e del personale ferroviario.
  Si informa inoltre che, al fine di fronteggiare, in particolare, il fenomeno dell'evasione, delle vendite abusive e dei furti a danno dei viaggiatori e dei reati a danno del personale ferroviario, Rete ferroviaria italiana ha avviato un progetto di istituzione di appositi varchi di accesso nelle principali stazioni.
  I predetti varchi, ubicati in prossimità dei binari, vengono monitorati da personale di sicurezza del gruppo ferrovie e, consentendo un maggior controllo nella zona di arrivo/partenza dei treni, contribuiscono a ridurre in maniera determinante i fenomeni illeciti in stazione e a bordo treno.
  Considerato che circa il 90 per cento delle aggressioni si verifica a bordo in conseguenza della mancanza di titolo di viaggio, Trenitalia ha anche costituito uno specifico "
pool antievasione", composto da personale debitamente formato che, muovendosi su tutto il territorio e coadiuvato all'occorrenza dalla polizia ferroviaria, offre supporto al personale di front-line sia a terra che a bordo treno, intervenendo in modo particolare sui convogli ritenuti maggiormente a rischio. Questa attività contribuisce in maniera significativa alla prevenzione delle aggressioni ai clienti e al personale ferroviario.
Il Vice Ministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   GAGNARLI e GALLINELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   i lavori infrastrutturali alla galleria dell'interconnessione pari di Orte sud, direzione nord, comporteranno alcune variazioni di orario per il periodo estivo, alcune soppressioni e, in alcuni casi, raddoppio dei tempi di percorrenza, su tutte le stazioni umbre e toscane della tratta Roma-Firenze;

   ad esempio, il treno IC 598 in partenza da Roma alle ore 18,16 sarà anticipato di 50 minuti, alle ore, 17,25, determinando un evidente disagio per i pendolari della tratta Terontola-Roma che lavorano nella capitale, i quali si vedrebbero costretti ad anticipare l'orario di uscita da lavoro, non sempre possibile, oppure a partire da Roma Termini alle ore 19,25, con arrivo a Terontola alle ore 22 circa, dopo oltre 16 ore fuori casa;

   anche la percorrenza prevista per il periodo estivo (1 ora e 56 minuti per Orvieto; 2,19 per Chiusi; 2,37 per Terontola-Cortona) scoraggia i pendolari e, nel complesso, questa situazione risulta difficilmente compatibile con le esigenze lavorative e di vita di qualsiasi persona;

   in data 25 luglio 2017 gli interroganti hanno chiesto spiegazioni di tali variazioni anche ai vertici di Trenitalia dai quali si attendono risposte –:

   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Ministro interrogato non ritenga opportuno, per il periodo interessato dai lavori, promuovere l'individuazione da parte di Trenitalia di una soluzione che non penalizzi così tanto i pendolari dei territori maggiormente coinvolti, come la Valdichiana.
(4-17494)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie di questo Dicastero e da Ferrovie dello Stato italiane (Fsi), si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In premessa, occorre evidenziare che il nuovo contratto di servizio a media e lunga percorrenza 2017-2026, relativo ai servizi di trasporto ferroviario passeggeri rientranti nel perimetro del servizio universale, assicura il rinnovo del materiale rotabile, l'aumento dell'offerta e l'introduzione di nuovi servizi a bordo treno, oltre il mantenimento di collegamenti anche in situazioni di problemi infrastrutturali.
  Per quanto concerne i disagi segnalati, relativi ai collegamenti ferroviari ad Orte conseguenti a lavori infrastrutturali, si fa presente che trattasi prevalentemente di trasporto ferroviario regionale. Com'è noto, secondo la normativa vigente (decreto legislativo n. 422 del 1997) la programmazione e gestione dei servizi ferroviari regionali, che assicurano principalmente la mobilità la clientela pendolare, è di competenza delle singole regioni i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da specifici contratti di servizio.
  In merito. poi, ai collegamenti effettuati in regime di mercato, in quanto non oggetto di alcun corrispettivo pubblico, si ricorda che questa amministrazione non può effettuare alcun cambiamento o stabilire alcuna modifica a questo tipo di servizi, in quanto gli stessi sono svolti in autonomia commerciale da parte delle imprese ferroviarie sostenendosi esclusivamente con i ricavi da traffico.
  Per quanto concerne invece i collegamenti rientranti nell'ambito del contratto di servizio MIT-MEF-FSI, considerato che i lavori infrastrutturali erano programmati da tempo, si era già proceduto ad una richiesta di tracce proprio per mantenere in servizio i collegamenti
intercity rientranti nella competenza statale.
  Pertanto, per poter mantenere in essere il servizio, il collegamento IC 598 ha dovuto cambiare orario nell'unica traccia oraria disponibile messa a disposizione da Rete ferroviaria italiana, gestore dell'infrastruttura; in alternativa, l'unica possibilità era quella di sopprimere il collegamento per mancanza di tracce disponibili.
  In aggiunta, FSI precisa che dal 29 luglio al 3 settembre, per i lavori in argomento sul binario pari dell'interconnessione di Orte con la linea ad alta velocità, il gestore dell'infrastruttura per tutti i treni che viaggiano in direzione sud-nord – compresi i regionali – ha previsto, alternativamente:

  l'istradamento sulla linea storica fino a Orte con fermata in quest'ultima stazione e tempi di percorrenza incrementati, nel caso degli intercity Roma/Ancona/Perugia/Firenze/Trieste si tratta di un anticipo di partenza per recuperare da Orte l'orario originario;
  l'istradamento sulla linea AV con la perdita della fermata di Orte.

  In vista delle variazioni al programma di circolazione, Trenitalia aveva richiesto che i due intercity Napoli-Milano, i due intercity Roma-Trieste e l’intercity Roma-Firenze fossero istradati sulla linea direttissima Roma-Firenze con la perdita della fermata di Orte; ciò proprio per evitare un anticipo di partenza eccessivo, conseguente all'istradamento sulla linea storica.
  In particolare, per l’
intercity 598 Roma-Firenze tale richiesta era motivata dal target di clientela maggiormente interessato (pendolari), Purtroppo, per interferenze sulla circolazione della linea direttissima, il gestore dell'infrastruttura ha potuto accogliere la richiesta solo per tre dei cinque intercity interesssati e cioè: l’intercity 590 Napoli-Milano, l’intercity 592/3 Roma - Trieste e l’intercity 596 Napoli-Milano.
  Per i treni
intercity quindi, sono state adottate, complessivamente, le seguenti modifiche:

  IC 534 ed IC 540 Roma-Ancona: partenza anticipata di 35 e 37 minuti;
  IC 546 Roma-Perugia: partenza anticipata di 48 minuti;
  IC 598 Roma-Firenze: partenza anticipata di 51 minuti;
  IC 588/9 Roma-Trieste: partenza anticipata di 30 minuti;
  IC 590 e 596 Napoli-Milano istradati sulla linea direttissima con perdita della fermata di Orte;
  IC 592/3 Roma-Trieste istradato sulla linea direttissima con perdita della fermata di Orte.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   risulta agli interroganti che, nel comune di Corciano, sono state riscontrate delle irregolarità in merito alla costituzione di un fondo premi di produttività di parte variabile, previsto dal regolamento comunale e costituito sulla base dei requisiti e delle regole dettate dai vari contratti collettivi nazionali di lavoro: dalla verifica dei bilanci comunali, infatti, sembrerebbe che il recupero dell'evasione tributaria sia stato inserito, anno per anno, tra gli obiettivi prestabiliti al fine di legittimare l'erogazione di questi emolumenti premianti;

   in particolare, la situazione patrimoniale del comune, relativa al recupero dell'evasione Ici (e Imu) risulta poco chiara: nonostante tra il recupero stimato e quello reale ci sia sempre stato uno scarto elevato (non superando mai il 2 per cento), la quota destinata al fondo di produttività suddetto si è mantenuta, in percentuale, costante nonché molto al di sopra di quanto previsto nel succitato regolamento (inizialmente, nel 2005, la quota era fissata al 2 per cento, successivamente, dopo il 2010 al 10 per cento dei recuperi reali effettuati);

   si può anzi affermare che il fondo premi di produttività sia cresciuto progressivamente;

   anche nel 2010, quando il Governo ha voluto porre un tetto agli stipendi accessori all'interno del programma di revisione della spesa previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, della legge n. 122 del 2010, il comune di Corciano ha stabilito la quota di parte valibile del fondo di produttività a circa 70.000 euro, pur non essendo stato rispettato il patto di stabilità nel 2006 (condicio sine qua non per poter procedere all'incremento del fondo – articolo 4, comma 1, del Contratto collettivo nazionale di lavoro enti locali che stabilisce che tra i requisiti per l'integrazione delle risorse destinate al finanziamento della contrattazione decentrata integrativa debba esserci il rispetto del patto di stabilità interno per il triennio 2005-2008);

   nel 2016 con la determina n. 367 del 15 aprile 2016, nel comune di Corciano non è stata costituita per la prima volta la parte variabile del Fondo, perché non si ritenevano soddisfatti i requisiti richiesti dall'articolo 4 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 2008-2009, ma successivamente, con la determina n. 983 del 22 settembre 2016 lo stesso si costituisce per la cifra di 88.000 euro; cifra inserita nel bilancio durante l'esercizio, dopo l'approvazione del bilancio di previsione, con l'assenso dei revisori dei conti (protocollo comunale n. 30439 del 22 settembre 2016);

   secondo quanto richiamato dalla deliberazione n. 263/2016 della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Veneto, gli adempimenti a cui le amministrazioni locali devono attenersi in sede di appostamento delle risorse del Fondo, soprattutto nell'ambito della determinazione della quota variabile, sono molto rigidi, avendo quest'ultima parte un «carattere occasionale o essendo soggette a variazioni anno per anno»: la parte variabile non può quindi consolidarsi nei fondi, ma trovare applicazione «solo nell'anno in cui sono state discrezionalmente previste e alle rigide condizioni, da riscontrarsi anni per anno, indicate nel CCNL di riferimento» –:

   se i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, non ritengano di assumere iniziative per approfondire i fatti esposti in premessa, eventualmente promuovendo una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato e dell'ispettorato per la funzione pubblica presso il comune di Corciano per escludere ogni dubbio circa il pieno rispetto della normativa vigente.
(4-14789)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale, nel segnalare alcune questioni relative alle spese di personale del comune di Corciano, in provincia di Perugia, viene richiesto anche l'intervento dei, servizi ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato per una verifica sul pieno rispetto della normativa vigente in materia.
  Nell'interrogazione si fa uno specifico riferimento:
  a) all'appostamento di una quota di parte variabile del fondo di produttività nell'anno 2010 pari a circa 70.000 euro «pur non essendo stato rispettato il patto di stabilità nel 2006»;
  b) al fatto che, nel 2016, la parte variabile del fondo «si costituisce per la cifra di 88.000 euro... cifra inserita nel bilancio durante l'esercizio, dopo l'approvazione del bilancio di previsione, con l'assenso dei revisori dei conti».
  Al riguardo si rammenta, preliminarmente, che la facoltà di utilizzare risorse aggiuntive, finalizzate alla contrattazione integrativa, è disciplinata dall'articolo 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che, al comma 3-
quinquies, prevede che «...gli enti locali possono destinare risorse aggiuntive alla contrattazione integrativa nei limiti stabiliti dalla contrattazione nazionale e nei limiti dei parametri di virtuosità fissati per la spesa di personale dalle vigenti disposizioni, in ogni caso nel rispetto dei vincoli di bilancio e del patto di stabilità e di analoghi strumenti del contenimento della spesa».
  In più occasioni la Corte dei conti ha individuato il rispetto del patto di stabilità quale condizione indispensabile per l'appostamento delle risorse aggiuntive alla contrattazione integrativa (vedasi sezione Veneto delibera n. 37/2010/PAR; sezione Lombardia delibera n. 972/2010/PAR; sezione Piemonte delibera n. 29/2012/PAR: sezione Lombardia delibera n. 36012012/PRSE).
  Tuttavia, con riferimento all'arco temporale degli effetti di tale mancato rispetto, esso viene considerato, al più, con riferimento "all'esercizio finanziario venturo o in corso" (cfr. in particolare deliberazione sezione regionale di controllo della regione Lombardia 250/2013/PAR).
  La violazione del patto di stabilità in uno specifico anno – il 2006 nel caso in esame – non precluderebbe, quindi, la possibilità dell'utilizzo di risorse aggiuntive per il periodo segnalato dall'interrogazione.
  Ciò premesso – e più specificamente con riferimento al punto a) sopra descritto — si ritiene ulteriormente opportuno precisare che la normativa richiamata dall'interrogazione, puntualmente identificabile nell'articolo 9, comma 2-
bis del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, pone precisi limiti alla crescita dei fondi per la contrattazione integrativa «a decorrere dal 1° gennaio 2011». Si tratterebbe, quindi, di una previsione ricadente in tempi successivi e quindi non rilevante in relazione ai fatti esposti, con riferimento al fondo del 2010.
  Anche la quantificazione richiamata con riferimento agli atti del 2016, secondo quanto esposto nell'interrogazione non può, di per se, essere indicata quale violazione di legge, in quanto l'appostamento di euro 88.000, quale quota di parte variabile del fondo, rientra nelle facoltà dell'amministrazione, purché effettuato nel rispetto delle regole previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro nonché delle disposizioni normative vigenti di contenimento della spesa di personale.
  Per tutto quanto sopra esposto, con riferimento, infine, ad un eventuale approfondimento dei fatti richiamati nell'interrogazione, anche prevedendo una mirata verifica ispettiva, si ritiene doveroso precisare che i Servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato, a norma dell'articolo 14 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante le norme di contabilità e finanza pubblica, «in relazione alle esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica», effettuano periodiche verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile delle Amministrazioni pubbliche, sulla base di una complessiva programmazione annuale.
  Tale programmazione viene redatta valutando sia le tematiche da approfondire secondo l'incidenza della stesse sulla finanza pubblica, sia selezionando gli atti con parametri oggettivi, estrapolati dalle banche dati utilizzate dal dipartimento della ragioneria generale dello Stato.
  Al fine di corrispondere, quindi, alle richieste dell'interrogante, nelle descritte programmazioni verranno valutate le problematiche segnalate, al fine di un eventuale inserimento nei piani ispettivi.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze: Pier Paolo Baretta.


   GARAVINI, GIANNI FARINA, FEDI, LA MARCA e PORTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   sono circa 800.000 i connazionali, civili e militari, che dopo l'armistizio di Cassibile furono arrestati e deportati in Germania o nei territori occupati dalla Wehrmacht; concedendo loro una «medaglia d'onore», la Repubblica italiana ha voluto riconoscere il sacrificio dei propri cittadini che durante la seconda guerra mondiale rifiutarono il nazi-fascismo e si impegnarono per difendere i valori della Resistenza;

   la legge 27 dicembre 2006, n. 296, prevede che il riconoscimento e la consegna della medaglia sia estesa anche ai familiari dei deceduti; è stabilito, inoltre, che le domande di riconoscimento dello status di lavoratore coatto, eventualmente già presentate dagli interessati alla Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), sono riconosciute valide a tutti gli effetti della presente legge; a tal fine si prevede che l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, tramite la sua missione di Roma trasmetta al comitato istituito dalla legge presso la Presidenza del Consiglio le istanze di riconoscimento sinora pervenute insieme alla documentazione eventualmente allegata;

   quattro anni dopo l'istituzione della medaglia, la trasmissione dei dati dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni al Comitato di cui al comma 1274 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, non aveva ancora trovato attuazione; in risposta all'interrogazione n. 5-05715 (XVI legislatura) il Sottosegretario di Stato agli affari esteri pro tempore, dettagliando gli ostacoli che si erano fino ad allora presentati nella trasmissione dei dati, assicurava la massima collaborazione per fare in modo che le circa 115.000 istanze presentate a suo tempo all'Organizzazione internazionale per le migrazioni, potessero essere quanto prima esaminate dal Comitato;

   gli aventi diritto risultano raramente informati dell'istituzione di tale riconoscimento; al fine del raggiungimento dello scopo della legge, è dunque essenziale che le istanze a suo tempo presentate all'Organizzazione internazionale per le migrazioni siano integralmente trasmesse al Comitato presso la Presidenza del Consiglio, sul quale deve poi gravare l'onere di informare gli aventi diritto della facoltà di ritirare la medaglia;

   come dimostra la recente consegna della medaglia al Ministro della cultura francese Aurélie Filippetti, il cui nonno italiano fu deportato in un campo di concentramento nazista tra gli aventi diritto al riconoscimento si contano anche numerosi connazionali residenti all'estero, che si sacrificarono per i valori della Resistenza, e per i quali occorre assicurare il massimo impegno, affinché vengano effettivamente messi al corrente della possibilità di ottenere la medaglia;

   l'onere complessivo derivante dall'istituzione della medaglia d'onore ai cittadini deportati nei campi nazisti, inizialmente previsto nell'importo di 250.000 euro, non è mai stato integrato con nuovi stanziamenti –:

   se le istanze di riconoscimento presentate in passato all'Organizzazione internazionale per le migrazioni siano state integralmente trasmesse al Comitato per l'individuazione degli aventi diritto e se, conseguentemente questi ultimi siano stati individualmente informati della facoltà di ottenere la medaglia;

   se gli stanziamenti fino ad ora effettuati risultino sufficienti per coprire le spese di gestione dei dati eventualmente trasmessi dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni e i costi necessari per informare individualmente gli aventi diritto;

   se sia stato assicurato il massimo sforzo per attivare i canali d'informazione degli emigrati italiani in Europa, affinché anche i connazionali all'estero siano messi al corrente dell'istituzione della medaglia d'onore.
(4-16202)

  Risposta. — La Farnesina si è adoperata, nell'ambito delle proprie competenze, fin da subito per l'applicazione dall'articolo 1, comma 1274, della legge finanziaria 2007, che ha istituito il «comitato per le medaglie d'Onore» presso la Presidenza del Consiglio (PDC).
  Il comitato, costituito nel marzo del 2007, è coadiuvato dal dipartimento per il coordinamento amministrativo (DICA) della Presidenza del Consiglio per l'istruttoria delle domande di concessione del riconoscimento agli aventi diritto, ex internati nei campi di lavoro in Germania nella seconda guerra mondiale, della medaglia d'onore.
  Secondo quanto comunicato dalla Presidenza del Consiglio, ad oggi sono state istruite circa 22.200 domande. Nel 2012 l'organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), tramite il Ministero degli affari esteri e della Cooperazione internazionale, ha trasmesso al Comitato gli elenchi contenenti i nomi degli internati sia italiani che stranieri.
  Prima di tale data, da parte dell'amministrazione degli esteri è stato necessario un lungo e complesso processo di contatti avuti con la OIM e le competenti autorità tedesche per ottenere il trasferimento dell'archivio delle domande di indennizzo a suo tempo raccolte dalla OIM per conto della fondazione tedesca «memoria, responsabilità, futuro». Tramite l'ambasciata d'Italia a Berlino, la predetta fondazione ha fatto pervenire un documento con le indicazioni procedurali per accedere alla documentazione relativa alle varie istanze già presentate da ex-internati italiani. Secondo tali indicazioni, l'acquisizione da parte di terzi di copia della documentazione in parola (custodita su supporto informatico presso l'archivio federale di Coblenza) è ammessa a condizione che la persona a cui la documentazione stessa è riferita abbia dato il suo preventivo assenso e che la visione sia nell'esclusivo interesse della medesima. In tale fattispecie, si fa rientrare anche il caso di ricerca di elementi di supporto per l'assegnazione alla stessa persona di un emolumento/onorificenza. È peraltro richiesto che il diretto interessato abbia presentato richiesta e dato il proprio assenso per l'emolumento/onorificenza in parola, nel rispetto delle disposizioni della legge tedesca sulla tutela della «
privacy». Si può capire quindi che il gran numero di istanze e gli anni trascorsi non hanno reso agevole la verifica dei requisiti richiesti ai fini della concessione della medaglia.
  A seguito del ricevimento degli elenchi sono stati individuati circa 3000 nominativi di soli cittadini italiani aventi diritto. Il comitato ha quindi potuto procedere all'assegnazione del riconoscimento attribuendo oltre 800 medaglie di anno in anno. Si precisa che lo stanziamento iniziale di euro 250.000 previsto dalla citata legge è stato totalmente utilizzato, pertanto gli oneri sono sostenuti con fondi di pertinenza della Presidenza del Consiglio.
  Per quanto riguarda, infine, l'ultimo punto la pubblicizzazione della normativa sulla concessione della medaglia d'onore, è stata effettuata sulla rete internet da soggetti istituzionali, patronati e associazioni. Anche la Farnesina ha provveduto a divulgare la procedura di concessione delle medaglie d'onore, tanto che molti connazionali residenti all'estero hanno ricevuto o sono in procinto di ricevere il riconoscimento direttamente dalle sedi diplomatiche e consolari.
  Sul sito
web della Presidenza del Consiglio-DICA sono pubblicate una nota esplicativa delle prescrizioni normative, le modalità di presentazione delle domande con annessa modulistica e i decreti del Presidente della Repubblica di concessione del riconoscimento, recante l'elenco dei beneficiari.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Vincenzo Amendola.


   LOREFICE, MANTERO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, COLONNESE, NESCI e BARONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Ministero dell'interno ha attivato nel 2014 uno specifico numero verde (43002) per contrastare il bullismo e la droga nelle scuole italiane;

   il sopra citato numero è presente anche nella pagine istituzionali del Ministero;

   questo numero consentiva, attraverso un sistema di smistamento, il coordinamento delle prefetture e il coinvolgimento dei commissariati e dei comandi territoriali dei carabinieri, per permettere alle forze dell'ordine interventi tempestivi;

   si trattava di un'iniziativa che, nel rispetto del principio di sussidiarietà, tentava di supportare i ragazzi e le famiglie nella prevenzione e nel contrasto del fenomeno del bullismo e della piaga della droga;

   da alcune segnalazioni ricevute da parte di ragazzi e di associazioni giovanili emerge che a questo numero verde non risponde più nessuno da settembre 2016, ovvero dall'apertura dell'anno scolastico in corso;

   è stato altresì riscontrato che inviando un sms al presunto numero verde, contrariamente a quanto proposto dal Ministero all'atto del lancio del servizio nel 2014, il numero non è verde, in quanto il costo dell'sms viene addebitato all'utente che lo invia;

   il problema della disattivazione del servizio è stato sollevato da oltre un mese al Ministero, ma nulla è cambiato al riguardo;

   da una telefonata effettuata alla questura di Torino è emerso che il servizio sia stato effettivamente sospeso –:

   se tale servizio sia stato o meno disattivato e quali siano eventualmente le ragioni che hanno dettato questa scelta;

   quale fosse la spesa preventivata per l'erogazione del servizio oggi disattivato;

   quali siano le prossime iniziative concrete e durature in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo che il Ministero intende attuare per aiutare i ragazzi e le loro famiglie e se siano previsti incrementi di spesa in materia.
(4-15020)

  Risposta. — Il Ministero dell'interno dedica da tempo la massima attenzione alle attività di prevenzione e sensibilizzazione sui temi del bullismo, del cyberbullismo e della sicurezza in rete, tramite numerose iniziative rivolte a studenti, genitori e insegnanti su tutto il territorio nazionale.
  Per quanto riguarda, in particolare, l'iniziativa citata nell'interrogazione, si precisa che il servizio denominato «Progetto SMS», attivato dal dipartimento della pubblica sicurezza in occasione dell'inizio dell'anno scolastico 2014/2015, consisteva nella possibilità di inviare tramite SMS segnalazioni inerenti agli episodi di bullismo e allo spaccio di sostanze stupefacenti in ambito scolastico.
  Il servizio era completamente gratuito per l'utente e i costi sostenuti a tal fine dall'amministrazione sono stati pari a 30.420 euro annui, più iva.
  I dati relativi alle segnalazioni pervenute da parte degli utenti, nonché i risultati degli interventi operati dalle forze di polizia in esito a tali segnalazioni, sono stati forniti dalle questure alle prefetture, che hanno provveduto a elaborarli.
  L'analisi del traffico complessivo ha rivelato un impiego marginale e secondario di tale strumento, sia con riferimento all'elemento quantitativo (numero delle segnalazioni) sia qualitativo (risultati operativi conseguiti).
  Pertanto, l'approssimarsi dell'anno scolastico 2016/2017 ha imposto una riflessione sull'opportunità di prosecuzione del progetto, in esito alla quale, l'8 settembre dello scorso anno, è stata richiesta alla società contraente la cessazione del servizio.
  Contestualmente e in alternativa al predetto progetto, al fine di fornire un servizio più efficace e verosimilmente più gradito ai giovani, è stata progettata una nuova applicazione utilizzabile sia per
smartphone che per tablet.
  Detta applicazione consentirà al singolo utente di comunicare alla questura di riferimento eventuali informazioni inerenti a episodi di spaccio di sostanze stupefacenti e casi di bullismo, utilizzando campi testuali (titolo, note e segnalazioni) e campi multimediali (foto, video).
  Le segnalazioni potranno essere inviate mediante l'uso delle seguenti funzionalità: registrazione utente; autenticazione utente tramite
user e password oppure social login; gestione della segnalazione utente; possibilità di visualizzare su mappa la posizione dell'utente che apre una segnalazione; gestione canale chat per inviare messaggi agli utenti; pannello invio messaggi push con possibilità di configurare testo, immagini e canale.
  Tale progettualità è attualmente in fase di realizzazione.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   MARCON. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   l'Italia veniva visitata in media, ogni anni, da circa 200 tibetani della diaspora, monaci e laici, che venivano per visitare i buddhisti del nostro Paese, per partecipare a conferenze e incontri interreligiosi o semplicemente per trovare i loro parenti che lavorano qui;

   si tratta dei tibetani che, dopo l'invasione cinese del 1949, vivono in esilio in India e hanno come «capitale» Dharamsala, dove vive anche il Dalai Lama;

   queste persone viaggiano con un documento rilasciato dal Governo indiano che è riconosciuto come passaporto valido dalla maggioranza dei Paesi dell'area Schengen, dal Canada, dagli Usa e dall'Australia, oltre che da molti Paesi asiatici;

   fino a poche settimane fa tale documento veniva accettato senza problemi anche dall'Italia per il rilascio dei visti temporanei delle persone in visita nel nostro Paese;

   ora, improvvisamente e senza motivazioni contingenti, l'Italia ha deciso di non riconoscere più questo documento, lo stesso con cui viaggia in tutto il mondo il Dalai Lama;

   quindi l'ambasciata italiana a Delhi e il consolato di Mumbai non rilasciano più visti ai tibetani residenti in India. Germania, Francia, Spagna, Austria, Olanda e gli altri paesi dell'area Schengen continuano ad accettare come valido, invece, il loro documento di viaggio;

   uno dei paradossi della situazione che si è venuta a creare è che l'Italia riconosce il buddismo come religione, tanto che nel 2015 più di 70 mila contribuenti hanno scelto l'Unione buddhista italiana per la destinazione dell'8 per mille, ma allo stesso tempo impedisce ai suoi maestri di venire a parlarne in Italia –:

   per quali ragioni non venga più concesso il visto ai tibetani della diaspora in India;

   come si intenda assicurare ai tibetani della diaspora il rilascio del visto per entrare nel nostro Paese.
(4-17449)

  Risposta. — Si tiene in via preliminare a sottolineare che non vi sono stati cambiamenti sul piano normativo, da oltre dieci anni, nella posizione relativa ai visti in favore di tibetani muniti di «Identity certificate» rilasciato dalle autorità indiane.
  Ai sensi dell'allegato X al «Manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati», basato sulle decisioni della commissione C(2010) 1620 del 19.3.2010, C(2011) 5501 del 4.8.2011 e C(2014) 2727 del 29.4.2014, insieme con alcuni paesi europei (tra essi, l'Estonia, la Grecia, l'Ungheria, Malta, il Portogallo, la Polonia, l'Islanda e la Slovenia) l'Italia non ha infatti riconosciuto l’«
Identity certificate» rilasciato dalle autorità indiane alle persone provenienti dal Tibet.
  Si conferma che, al pari delle analoghe situazioni, in cui il diretto interessato non sia titolare di un documento di viaggio validamente riconosciuto dall'Italia, l'unica possibilità per concedere l'ingresso nel nostro Paese alle persone titolari del predetto «
Identity certificate» è il rilascio di un visto a validità territoriale limitata (VTL), ossia valido solo per l'Italia, apposto su un apposito lasciapassare generato dall'applicativo informatico per la gestione dei visti d'ingresso L-VIS, utilizzando l’«Identity certificate» ai soli fini dell'identificazione dell'interessato. Si tratta della fattispecie indicata dall'articolo 25(3) del codice europeo dei visti (regolamento (CE) N. 810/2009).
  I casi di mancato rilascio di visti VTL verificatisi nel corrente anno sono stati dovuti alla carenza di documentazione presentata a corredo della domanda e non rispondono a modifiche nell'interpretazione della norma.
  Le domande di visto d'ingresso a favore di tibetani su invito motivato di università, istituti di ricerca, centri culturali e religiosi, continueranno ad essere valutate con la dovuta flessibilità e il necessario pragmatismo alla luce della normativa in vigore, attraverso una adeguata considerazione dei motivi che giustifichino l'emissione di visti a territorialità limitata, tra i quali non rientra il turismo. È in particolare opportuno che, per facilitare il rilascio del visto, che i richiedenti siano muniti di un permesso di reingresso in India sin dal momento della richiesta del visto.
  L'avviso comparso sul sito della società di outsourcing VFS, incaricata della gestione degli appuntamenti allo sportello e del primo esame della completezza della documentazione, relativo alla non accettazione delle domande di visto da parte di titolari di
Identity certificate, è stato rimosso in quanto non corretto.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Benedetto della Vedova.


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la campagna elettorale per il rinnovo dell'amministrazione comunale di Mira fa registrare una escalation di tensione con episodi che non vanno minimizzati;

   in particolare le cronache riportano che, mercoledì 17 maggio 2017, poco prima di un incontro organizzato a sostegno del candidato del centrosinistra, Marco Dori, presso la località Dogaletto, alcuni vandali hanno buttato dei chiodi lungo la strada che porta alla frazione;

   l'episodio è stato denunciato alle forze dell'ordine, in quanto è risultato evidente che si trattasse di una azione di boicottaggio dell'iniziativa pubblica che comunque si è tenuta regolarmente dopo che il candidato sindaco con i residenti hanno pulito la strada raccogliendo i chiodi che erano stati sparsi;

   tale gesto avrebbe potuto provocare incidenti e mettere a rischio l'incolumità di automobilisti e passanti –:

   se, in considerazione di quanto riportato in premessa, il Ministro non intenda, tramite gli uffici territoriali competenti, rafforzare le misure di controllo in occasione di eventi pubblici legati alla campagna elettorale amministrativa al fine di garantirne la massima sicurezza.
(4-17246)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede se il Ministro dell'interno non intenda, tramite gli uffici territoriali competenti, rafforzare le misure di controllo in occasione di eventi pubblici legati alla campagna elettorale per le elezioni amministrative.
  La richiesta prende spunto da un episodio accaduto il 17 maggio scorso, in località Dogaletto, nel comune di Mira, dove, in vista della imminente tornata elettorale, era programmato un comizio del partito democratico allo scopo di permettere al proprio candidato alla carica di sindaco di incontrare la cittadinanza.
  Nell'occasione, ignoti hanno gettato dei chiodi sulla strada che conduce alla citata località; atto questo che avrebbe potuto arrecare seri problemi alla circolazione se non addirittura mettere in pericolo la stessa incolumità degli automobilisti.
  In merito a tale fatto, non risultano siano state presentate denunce né che le Forze di polizia abbiano ricevuto richieste di intervento.
  Inoltre, si informa che, nel prosieguo, la campagna elettorale per il rinnovo dell'Amministrazione comunale di Mira si è svolta senza problematiche per l'ordine e la sicurezza pubblica e senza che si siano registrati fatti penalmente rilevanti.
  Su un piano più in generale, si segnala che, come avviene di consueto in vista dello svolgimento delle consultazioni elettorali, il capo della polizia ha interessato le autorità provinciali di pubblica sicurezza, raccomandando la massima sensibilizzazione delle misure a tutela dell'ordine pubblico e a garanzia del regolare svolgimento delle manifestazioni elettorali e dei comizi.
  Inoltre, non potendosi escludere che frange estremiste potessero porre in essere iniziative improntate all'illegalità, il capo della polizia ha disposto, da un lato, di conferire il massimo impulso all'attività di prevenzione a carattere generale anche attraverso una mirata azione di controllo del territorio, dall'altro, di implementare i dispositivi di sicurezza a protezione delle personalità e degli obiettivi ritenuti a rischio per la circostanza, con particolare riferimento alle sedi di partito e di movimenti politici.
  In attuazione di tale direttiva nazionale, il questore di Venezia ha predisposto accurati servizi di controllo e ordine pubblico, finalizzati a garantire il regolare svolgimento delle manifestazioni a carattere politico propagandistico e ad evitare situazioni di criticità nei nove comuni della provincia interessati dalla tornata elettorale, tra i quali quello di Mira.

Il Vice Ministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   MELILLA, SCOTTO, FRANCO BORDO, QUARANTA, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la Federconsumatori d'Abruzzo ha giustamente rilevato dai nuovi orari ferroviari che entreranno in vigore l'11 dicembre 2016, ulteriori criticità per il già malandato sistema ferroviario abruzzese;

   in particolare, sulla Pescara-Roma non ci sono più treni dopo le ore 9,23, cosa che esclude tutta la fascia della prima parte della giornata, mentre da Roma il primo treno che collega la Capitale a Pescara parte alle ore 14,30, il secondo alle 16,45, il terzo alle 18,45 e poi più niente;

   praticamente da Roma non c'è più nessun collegamento mattutino per Pescara;

   è vero che col nuovo orario ferroviario il tempo di percorrenza è ridotto a 3 ore e 22 minuti, ma è bene ricordare che nel 1970 il rapido Pescara-Roma impiegava 3 ore;

   il punto più preoccupante è che i treni sulla tratta Pescara-Roma e viceversa ora sono 6, mentre con il nuovo orario ferroviario scendono a 3;

   dunque si è in presenza di un netto peggioramento dell'offerta di treni che si tradurrà in un enorme «regalo» al trasporto privato su gomma via autostrada;

   è veramente grave la scelta di Trenitalia che continua a considerare di «serie B» i cittadini abruzzesi, come se non meritassero una offerta accettabile di treni sia quantitativamente che qualitativamente;

   in queste condizioni è facile intuire che prima o poi si porrà il problema della stessa permanenza della relazione ferroviaria Pescara-Roma allo stesso modo in cui anni fa fu soppressa la relazione Pescara-Napoli e con essa i collegamenti anche locali tra Sulmona e Carpinone con un grave danno per le popolazioni montane interessate e per lo sviluppo turistico del bacino sciistico dell'Altopiano delle cinque miglia e dei 2 parchi nazionali della Majella e d'Abruzzo attraversati da quel meraviglioso treno chiamato la Transiberiana d'Abruzzo;

   Trenitalia lavora costantemente, ad avviso degli interroganti, per indebolire la relazione Pescara-Roma, lasciando in prospettiva le tratte Avezzano-Roma da un lato e Sulmona-Pescara dall'altro, e chiudendo la tratta centrale Sulmona-Avezzano, oggettivamente la più problematica;

   sembra agli interroganti che si intenda quasi dimostrare che c'è una scarsa utenza tra Pescara e Roma, scegliendo orari irrazionali, treni vecchi e lenti, con una diminuzione dell'offerta di treni, di fatto scoraggiando gli utenti che così faranno la scelta della macchina o dell'autobus –:

   quali iniziative intenda assumere per richiamare Trenitalia ad un comportamento corretto nei confronti degli utenti abruzzesi e laziali della relazione ferroviaria Pescara-Roma.
(4-14855)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie di questo Ministero e dalla società Ferrovie dello Stato.
  In applicazione del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, la programmazione dei servizi di trasporto ferroviario regionale. è di competenza delle singole regioni i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da appositi contratti di servizio, nell'ambito dei quali vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche che ciascuna regione destina al trasporto ferroviario nel proprio territorio.
  L'impresa ferroviaria comunica che rispetto alla programmazione in vigore fino al 10 dicembre 2016 sulla relazione Pescara-Roma, scelta operata dalla regione Abruzzo con il nuovo orario è stata quella di creare collegamenti di qualità con tempi di percorrenza più ridotti e nelle ore di maggiore interesse per il flusso dei viaggiatori diretti verso la Capitale.
  Il tempo di percorrenza di 3 ore e 22’, infatti, favorisce la mobilità non solo da Pescara in direzione Roma (con arrivo a Roma Termini anziché Tiburtina), ma lo spostamento di tanti pendolari con fermate intermedie a Chieti, Sulmona, Avezzano. Tagliacozzo e Carsoli.
  Inoltre, Ferrovie dello Stato evidenzia che la programmazione attuale prevede collegamenti diretti con la Capitale con partenze da Pescara nelle ore di maggior traffico pendolari (h. 5.23, 7.30, 9.23) e collegamenti con rottura di carico a Sulmona e Avezzano nelle fasce intermedie (h. 11.15, 12.15. 15.10. 17.15), che consentono, comunque. di rafforzare le interconnessioni tra Sulmona ed Avezzano.
  Infine, l'impresa ferroviaria fa presente che per la tratta centrale Sulmona — Avezzano, sono previsti ulteriori sette collegamenti che si sommano ai tre regionali veloci diretti a Roma, rendendo quindi l'offerta capillare in tutto l'arco della giornata e saturando l'intera capacità della linea.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PAGLIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la legge di bilancio 2017 è intervenuta sul Fondo nazionale del trasporto, restringendone di fatto la capacità;

   questo starebbe producendo conseguenze sulla possibilità di contribuzione delle regioni ai sistemi di trasporto locale, come si evince chiaramente in Lombardia, dove trasferimenti dallo Stato passerebbero da 854 a 831 milioni di euro;

   per esemplificare ulteriormente, e sulla base di notizie di stampa, in un'area come quella di Cremona e Mantova, ciò significherebbe perdere almeno 1 milione di euro, a fronte dei 24,5 disponibili per il 2016;

   si deve considerare anche che una regione ricca come la Lombardia aveva potuto sopperire con risorse proprie su tagli degli anni precedenti, ma non è scontato che questo possa avvenire fino in fondo anche per l'anno in corso;

   le possibilità finanziarie della Lombardia non possono d'altronde essere ritenute esemplificative di quelle di altre regioni italiane;

   complessivamente, utilizzando sempre come riferimento l'area Cremona-Mantova, la riduzione complessiva delle risorse disponibili per il trasporto pubblico locale potrebbe arrivare a 2,5 milioni di euro, ovvero il 10 per cento di quanto stanziato per il 2016;

   tale compressione non potrebbe che avere un effetto diretto sulla qualità del servizio e in particolare sulla quantità di corse giornaliere disponibili, oltre a costringere i soggetti gestori a rivedere i propri business plan, rimettendo in discussione i contratti di servizio –:

   se la situazione descritta relativamente al comprensorio Cremona-Mantova sia rappresentativa di un quadro nazionale;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per reperire le risorse necessarie, per garantire il rilancio di un servizio essenziale come il trasporto pubblico locale, indispensabile soprattutto per le fasce più deboli della popolazione e pilastro di un diverso, ecologico modello di mobilità.
(4-15755)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per i sistemi di trasporto ad impianti fissi e per il trasporto pubblico locale di questo Dicastero, si forniscono i seguenti clementi di risposta.
  Come già evidenziato in altri atti di sindacato ispettivo, la qualità del trasporto pubblico locale e una mobilità urbana efficiente rappresentano una vera e propria priorità nazionale. È per questo motivo, nonché per l'esigenza di semplificare e rendere più efficiente il settore, che è stato avviato un processo di riforma orientato dal principio della centralità del cittadino-utente.
  Nella riforma si introdurranno, tra l'altro, misure a tutela dell'utenza in caso di disservizi e misure di lotta all'evasione tariffaria, sempre nel perseguimento dell'efficienza nell'erogazione dei servizi.
  Inoltre, l'acquisizione in tempi rapidi di materiale rotabile su gomma e su ferro consentirà la sostituzione dei mezzi obsoleti e più inquinanti, affinché la qualità del servizio possa raggiungere in tempi rapidi gli
standard europei in termini di comfort, efficienza energetica ed emissioni inquinanti.
  Si prevede, altresì, la definizione di un apposito piano strategico nazionale della mobilità sostenibile finalizzato alla complessiva riorganizzazione della mobilità su gomma. ispirata a principi di efficienza e sostenibilità, da attuare attraverso un programma di interventi per il rinnovo degli autobus accompagnato alla ricerca e allo sviluppo di modalità di alimentazione alternativa anche con la realizzazione delle necessarie infrastrutture.
  Inoltre, occorrerà definire la dinamica delle risorse statali destinate al settore distribuendole con più equità — superando il criterio della spesa storica — tenendo conto in modo premiante dei ricavi da traffico, dei costi
standard e dei livelli adeguati dei servizi, senza tralasciare le agevolazioni fiscali a favore dell'utenza per incentivare l'uso dei mezzi pubblici e ridurre quello dei mezzi privati, così da decongestionare il traffico anche con benefìci di carattere ambientale.
  In tale quadro è stato approvato il decreto-legge n. 50 del 2017, convertito dalla legge n. 96 del 21 giugno 2017, con il quale si prevede la stabilizzazione del fondo destinato al finanziamento del trasporto pubblico locale con 4.789.506.000 euro per l'anno 2017 e 4.932.554.000 euro per gli anni dal 2018 in poi.
  Infine, per quanto riguarda il presunto minore importo erogato alla regione Lombardia per l'esercizio 2017 è necessario rilevare che a seguito delle penalità previste, a carico delle regioni che non raggiungono gli obiettivi di efficientamento fissati, tale minore importo potrebbe essere integrato parzialmente o totalmente dai recuperi derivanti dall'applicazione di tali penalità.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno ha recentemente riproposto, durante alcuni incontri con le organizzazioni sindacali di categoria, il piano di chiusura di 251 presidi della polizia di Stato, piano già formulato la scorsa primavera;

   i tagli in questione, fortemente contestati dai sindacati di polizia, che stanno conducendo una campagna di sensibilizzazione in tutto il Paese, sono fortemente penalizzanti soprattutto per gli uffici della polizia postale e delle comunicazioni, in quanto è prevista la chiusura di una settantina di presidi che porterà un serissimo nocumento nella lotta ai reati pedopornografici on line e alle truffe informatiche;

   i tagli e le chiusure interessano in maniera determinante anche la polizia ferroviaria e la polizia stradale, azzerando anche le squadre nautiche e alcuni uffici di frontiera marittima strategici, come quello di Gioia Tauro;

   la soppressione potrebbe interessare anche numerosi commissariati cittadini di pubblica sicurezza, nell'ottica di una spending review che non riduce sprechi e inefficienze ma colpisce invece l'apparato della sicurezza, tentando di colmare la carenza di organico, che ammonta a circa 18.000 unità, tagliando semplicemente i presidi e facendo ricadere sugli utenti le conseguenze altamente negative che una minor presenza di presidi di polizia sul territorio comportano;

   il Ministro interrogato, atteso nella giornata del 14 gennaio 2015, in Commissione affari costituzionali per rispondere ai numerosi quesiti riguardanti il piano di riordino della Polizia, ha preferito esprimersi in una trasmissione radiofonica «Radio anch'io» su Radiouno Rai – dichiarando che sul personale e gli uffici di polizia «non abbiamo chiuso niente: da quando ci sono io al Viminale fin qui il segno è stato più»;

   nella medesima trasmissione radiofonica, il Ministro ha dichiarato: «Attraverso la collaborazione con i colossi del web dobbiamo costruire insieme un “contromessaggio” di valori positivi rispetto alla retorica terroristica» –:

   se il Governo intenda sospendere il prospettato e ad avviso dell'interrogato «feroce» progetto di chiusura selvaggia degli Uffici di polizia e procedere, invece, ad una riforma seria che conduca ad una razionalizzazione ragionevole e concordata del sistema della sicurezza italiana;

   come intenda coniugare la campagna del Dipartimento della pubblica sicurezza «Vita da social», contro il cyberbullismo e i reati informatici, con la chiusura di 73 uffici della polizia postale e delle comunicazioni in tutta Italia;

   se non ritenga invece utile incrementare i presidi di polizia postale, considerate le sue stesse dichiarazioni su come i terroristi utilizzino il web per pianificare attentati, finanziarsi e colpire gli obiettivi.
(4-17247)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si richiama l'attenzione del Governo sulla ventilata chiusura di una serie di presìdi della polizia di Stato sul territorio nazionale, con particolare riferimento alle sezioni della polizia postale e delle comunicazioni.
  La questione della chiusura di alcuni presìdi della polizia di Stato sul territorio nazionale e, quindi anche di alcune sezioni della polizia postale e delle comunicazioni, è legata all'attuazione di un piano di razionalizzazione sottoposto al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza nei primi mesi del 2014.
  Il piano è ancora in attesa di definizione, anche a causa dell'approvazione della legge n. 124 del 2015, con cui il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare importanti misure di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.
  Per quanto attiene in particolare al riordino del sistema della pubblica sicurezza, il legislatore ha chiarito che il nuovo assetto organizzativo dovrà essere volto ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive nell'esercizio delle funzioni di polizia, nonché favorire la gestione associata dei servizi strumentali in adesione ai princìpi di efficienza della spesa pubblica.
  Tali princìpi sono stati recepiti nell'articolo 3 del decreto legislativo n. 177 del 2016, con cui è stato stabilito che la razionalizzazione della dislocazione delle forze di polizia sul territorio sarà determinata con decreto del Ministro dell'interno, privilegiando l'impiego della polizia di Stato nei comuni capoluogo e dell'Arma dei carabinieri nel restante territorio, fatte salve specifiche deroghe per particolari esigenze di ordine e sicurezza pubblica.
  Per giungere alla compiuta definizione di tale disegno di valenza strategica, sono stati istituiti, presso il dipartimento della pubblica sicurezza, appositi gruppi interforze che non hanno ancora terminato la loro attività.
  Si rappresenta che anche la polizia postale e delle comunicazioni è coinvolta nel riordino in questione, essendo evidente la necessità di adeguarne l'organizzazione alle notevoli trasformazioni registratesi nel settore.
  Infatti, alle tradizionali mansioni di scorta e tutela di beni e servizi postali se ne sono affiancate e sostituite altre del tutto differenti, caratterizzate da spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica e orientate al contrasto del crimine informatico nelle sue forme più variegate.
  Muovendo da tale constatazione, il piano di razionalizzazione punta a concentrare le più spiccate e qualificate risorse professionali nei compartimenti dei capoluoghi regionali e nelle sezioni provinciali in cui operano procure distrettuali con ampia competenza in tema di reati informatici.
  Si assicura, comunque, che le professionalità attualmente in servizio presso le sezioni continueranno a operare sul territorio, prevedendo tale rimodulazione un loro impiego nei reparti investigativi delle locali questure.
  Il nuovo assetto organizzativo della polizia postale e delle comunicazioni sarà ispirato ad esclusive esigenze di efficientamento e di adeguamento alla trasformazione tecnologica del Paese, senza che ne venga a soffrire la qualità del «prodotto» sicurezza né la prossimità con i luoghi di residenza dei nostri cittadini.
  È impensabile, d'altra parte, che il Ministero dell'interno possa depauperare un servizio, quello della polizia postale e delle comunicazioni appunto, deputato a presidiare un ambito di interesse strategico per il Paese.
  L'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico, e il contrasto di tali sodalizi su
internet richiede, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, l'adeguamento costante delle tecnologie in uso, oltreché - ovviamente - dei livelli di professionalità delle risorse umane in dotazione.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il porto di Taranto, fra i primi in Italia per traffico di merci, è localizzato sulla costa settentrionale dell'omonimo golfo e riveste un ruolo importante sia da un punto di vista commerciale che strategico;

   le installazioni del porto mercantile ed industriale sono distribuite lungo il settore nord occidentale del Mar Grande, ed immediatamente al di fuori di esso in direzione ovest. È provvisto di tre accessi di cui due operativi, la sua gestione è affidata all'autorità portuale la cui sede è all'interno del porto stesso;

   da un articolo della rubrica «le inchieste» del giornale on-line « La Repubblica.it», dal titolo I porti d'oro del sistema incalza pubblicato in data 21 aprile 2015, si apprende del coinvolgimento del porto di Taranto nel cosiddetto «Sistema Incalza» legato agli appalti sulle grandi opere, che ha visto coinvolto l’ex top manager del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti Ercole Incalza;

   secondo i carabinieri del Ros (raggruppamento operativo speciale) «l'ex-ministro Claudio Signorile e suo figlio Jacopo, per vicende riguardanti appalti pubblici, erano in rapporti, sia con Incalza sia con Stefano Perotti», figlio di Massimo Perotti ex direttore generale di ANAS ed ex presidente della Cassa per il Mezzogiorno, arrestato negli anni ‘80;

   i carabinieri del Ros e i pubblici ministeri di Firenze stanno cercando di approfondire le modalità di assegnazione del maxi appalto della piastra logistica di Taranto e soprattutto sulla composizione dell'ATI che dal 2002 guida i lavori;

   l'opera vale circa 219,1 milioni di euro, naturalmente lievitati rispetto ai 156,1 milioni previsti dalla prima delibera CIPE del 2003, stanziati per migliorare la dotazione infrastrutturale del porto e realizzare una piattaforma logistica integrata per lo scambio delle merci tra le navi e la rete ferroviaria;

   nella compagine delle imprese un piccolo ma decisivo ruolo è svolto dalla Logsystem International. La società ha una sede principale a Roma (in via XX settembre) e un bilancio dai numeri contenuti (179 mila euro i ricavi nel 2013 e 989 euro gli utili alla fine dell'anno). La sua composizione azionaria non passa inosservata: il 50 per cento è controllato dalla Proter srl, società partecipata al 75 per cento da Jacopo Signorile (figlio dell'ex-ministro Claudio) e al 25 per cento da Felice Borgoglio, ex parlamentare dei socialisti italiani. Il 5 per cento di Logsystem è poi in mano ad Eurolog srl (altra società dove figurano ancora Jacopo Signorile e Borgoglio), mentre il restante 45 per cento è detenuto dalla Argo Finanziaria, azienda del gruppo Gavio, presieduta da Beniamino Gavio. Nel CDA della Logsystem siede l'ex ministro del Psi Claudio Signorile, l'uomo che negli anni ‘80 portò con sé Ercole Incalza al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

   all'interno dell'informativa i Ros dei carabinieri annotano anche una cena al ristorante «Pani e pesci» di Roma tra l'ex supermanager delle infrastrutture e dei trasporti e i due Signorile, padre e figlio. Per i soggetti seduti intorno al tavolo, la piastra di Taranto è un'opera decisiva anche in virtù delle imprese e degli amici presenti in ATI. La famiglia Gavio, prima di tutto, la stessa che attraverso l'Argo Finanziaria almeno fino al 2010 ha pagato incarichi di consulenza al genero di Incalza, Alberto Donati –:

   se il Ministro interrogato sia informato su quanto descritto in premessa, se intenda verificare, per quanto di competenza, la correttezza degli appalti concessi per la costruzione della piastra logistica di Taranto, e quali iniziative intenda adottare per garantire maggiore trasparenza nelle gare d'appalto di opere pubbliche.
(4-11354)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali e il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si evidenzia quanto segue.
  L'autorità di sistema portuale del Mar Jonio riferisce che con delibera Cipe n. 74 del 2003, in data 29 marzo 2003 è stato approvato il progetto preliminare dell'infrastruttura strategica piastra portuale di Taranto per un importo complessivo dell'investimento pari a 156,149 milioni di euro, di cui di 37,544 milioni di euro a carico del privato concessionario, proposto, in
project financing, dal promotore Grassetto Lavori s.p.a (mandataria), Grandi Lavori Fincosit s.p.a. e Logsystem s.r.l. (mandanti).
  La proposta di intervento prevedeva la realizzazione in quattro lotti funzionali, ovvero: 1) piattaforma logistica: 2) strada dei Moli: 3ampliamento IV sporgente: 4) darsena ad ovest del IV sporgente e la gestione, per complessivi anni 30, della piattaforma logistica.
  Il progetto proposto è stato posto a base di gara pubblica in ambito comunitario (con pubblicazione del bando in Guce 29 ottobre 2004, in Guri e, per estratto, su quattro quotidiani) a seguito della quale, con il contratto sottoscritto il 9 marzo 2006, l'autorità portuale di Taranto ha affidato in concessione al R.T.I Grassetto Lavori s.p.a (capogruppo e mandataria) – Grandi Lavori Fincosit s.p.a. – Logsystem s.r.l. - Logsystem International s.r.l. – Sina s.p.a. – Magazzini Generali Lombardi s.r.l.(mandanti), la progettazione definitiva ed esecutiva, le esecuzioni dei lavori di realizzazione del nodo infrastrutturale del Porto di Taranto – Piastra logistica integrata al sistema transeuropeo intermodale del «corridoio adriatico e la gestione funzionale ed economica della piattaforma logistica».
  Con atto rep. n. 347, in data 11 luglio 2007 la società di progetto, denominata Taranto logistica s.p.a., subentrava, nel rapporto afferente la convenzione citata, al R.T.I. aggiudicatario.
  Il concessionario, sulla base del progetto preliminare approvato, delle indagini e studi, oltre che del puntuale rilievo delle interferenze, ha redatto il progetto definitivo dell'opera strategica (quattro interventi) inviando lo stesso alle amministrazioni ed enti interessati, ai sensi dell'articolo 166, comma 3, del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, ai fini dell'acquisizione dei pareri sede di conferenza di servizi istruttoria convocata presso questo Dicastero per il giorno 20 dicembre 2007.
  Il complesso ed articolato
iter istruttorio procedimemtale esperito in sede di conferenza di servizi precitata, fino all'approvazione del progetto definitivo a cura del Cipe, ha comportato la necessità di adeguare il progetto stesso, sulla base dei pareri e delle prescrizioni indicate, tra gli altri, dal Ministero dell'ambiente e del territorio e del mare per la valutazione di impatto ambientale, dal Ministero dei beni ed attività culturali per l'espressione del parere paesaggistico, dalle società ed amministrazioni interferite per la risoluzione delle interferenze.
  In data 18 novembre 2010 il Cipe, con delibera n. 104, ha approvato il progetto definitivo della piastra portuale di Taranto, sensi del citato articolo 166, del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, con prescrizioni e raccomandazioni, da recepire in sede di redazione del successivo livello di progettazione esecutiva e/o prima dell'inizio dei lavori.
  Si aggiunge poi che la predetta delibera n. 104 del 2010, per le motivazioni ivi riportate, ha approvato l'intervento piastra portuale di Taranto per un importo complessivo pari a 219,1 milioni di euro.
  L'importo di 219,1 milioni di euro è ripartito segue:

   189,7 milioni di euro per le opere attinenti la piastra portuale, inclusivi di 33,6 milioni di euro derivanti dal costo delle prescrizioni (17,5 milioni di euro) e dall'adeguamento prezzi al 2008 (16,1 milioni di euro);

   29,4 milioni di euro per la vasca colmata, di cui 20,0 milioni di euro per i lavori di realizzazione e 9,4 milioni di euro per i lavori di sistemazione finale a verde e formazione di dune con trasporto in discarica del materiale in esubero, realizzabili solo dopo il completamento della colmata in vasca con materiali provenienti dal dranaggio.

  Il contratto aggiuntivo, stipulato il 25 agosto 2011 tra l'autorità portuale ed il concessionario, ha tenuto conto di quanto approvato in definitivo con la citata delibera n. 104 del 2010.
  A seguito della redazione ed approvazione del Progetto esecutivo si è provveduto a consegnare i lavori al concessionario con verbale sottoscritto in data 30 agosto 2013.
  Ad oggi i lavori sono in corso d'esecuzione nel sostanziale rispetto del cronoprogramma approvato e dell'apposito «Protocollo di legalità ai fini della prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata relativamente alla realizzazione “della Piastra portuale” di Taranto e delle opere connesse» sottoscritto dall'Autorità portuale di Taranto e dalla prefettura di Taranto in ottemperanza alle disposizioni della delibera Cipe n. 104 del 2010 di approvazione della progettazione definitiva.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi mesi, a Modena e provincia, vi è stato un incremento dell'attività predatoria che ha creato un clima di allarmismo e tensione, soprattutto nelle fasce di popolazione più deboli ed esposte come a esempio gli anziani;

   numerose sono state le iniziative, sia di privati che di associazioni, per stigmatizzare questo pericoloso trend negativo come serate informative, fiaccolate, raccolte di firme che, in particolare nei mesi di novembre e dicembre 2016, hanno occupato gran parte della cronaca dei mass media locali;

   anche a causai delle circostanze sopra generalizzate, nella consueta classifica annuale del Sole 24 ore del 12 dicembre 2016, Modena si è piazzata all'83o posto su 110 città italiane, mentre in una recente ricerca della locale ConfCommercio, è emerso che sono sempre meno numerose le persone che denunciano i reati di cui sono vittime;

   i sindacati della polizia di Stato hanno puntato il dito contro la mancanza di uomini e di mezzi a più riprese, sia per la Questura di Modena che per i Commissariati di P.S. di Carpi, Sassuolo e Mirandola;

   in risposta a ciò, il capo della polizia, prefetto Gabrielli, durante la sua visita a Modena nel novembre 2016 ha minimizzato i problemi, affermando che non vi è nessuna emergenza e che l'organico è leggermente superiore a quello previsto dalla pianta organica;

   in contraddizione con il capo della polizia, il questore di Modena Paolo Fassari, in un'intervista pubblicata il 14 dicembre 2016 dalla Gazzetta di Modena, ha affermato che sarebbero necessari 10 agenti supplementari per avere una volante in più in città, la quale però «non smuoverà il problema» (dei furti n.d.r.), e che «le volanti sono in coda fra un sopralluogo di furto e un altro», ammettendo quindi esplicitamente che esiste un problema di sicurezza, oltre ad una carenza d'organico;

   nella stessa intervista, il questore di Modena ha affermato che alcuni reati sono «scippetti o rapinette», sminuendo gravemente il problema e offendendo platealmente ed inutilmente le vittime di tali reati;

   in un incontro in questura con un nutrito gruppo di liceali a proposito di mafie, il questore di Modena, rispondendo alla domanda «I modenesi non erano abituati al radicamento della criminalità organizzata?» ha affermato, come riportato dalla Gazzetta di Modena del 14 dicembre 2016, che «se ne faranno una ragione» rivolto agli stessi ragazzi che ascoltavano;

   da un articolo della Gazzetta di Modena del 17 dicembre 2016, si è appreso che il sindacato della polizia di Stato Siulp e il sindacato della polizia municipale Sulpl hanno criticato la decisione del questore di Modena di vietare i servizi congiunti già programmati a Sassuolo e a Carpi, nonostante gli ottimi risultati conseguiti negli anni in tema di polizia giudiziaria e ordine e sicurezza pubblica –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di garantire le adeguate risorse di uomini e di mezzi per combattere nel modenese la dilagante piaga dei reati predatori e contrastare efficacemente il radicamento delle mafie;

   quali iniziative il Governo ritenga opportuno adottare nei confronti del questore di Modena, Paolo Fassari, in relazione alle dichiarazioni pubbliche relative alla necessità di agenti supplementari, che contraddicono quelle del capo della polizia Prefetto Gabrieli per il quale non se ne vedrebbe la necessità e in relazione a quelle che per l'interrogante costituiscono affermazioni gravi ed offensive, sia nei confronti delle vittime dei reati, sia per quanto concerne il radicamento della criminalità organizzata;

   quali iniziative il Governo intenda altresì adottare sempre nei confronti del questore di Modena, in ragione delle sue dichiarazioni che lo porrebbero, per l'interrogante, in apparente contrasto con lo stesso Ministro interrogato, che nel corso della più recente riunione del Comitato di analisi strategica antiterrorismo, ha enfatizzato l'importanza del coinvolgimento pieno degli amministratori locali e dei corpi di polizia municipale nella prevenzione del terrorismo.
(4-15114)

  Risposta. — Con riferimento ai temi trattati nell'interrogazione in esame, si premette che la prefettura di Modena ha messo in atto numerose iniziative in tema di sicurezza e prevenzione dei reati, che sono state condivise anche in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
  Tra queste si segnala in particolare il rinnovo, in data 29 luglio 2016, del Patto per Modena Sicura, avente durata triennale, che prevede, tra gli impegni salienti: il contrasto dei reati predatori, il potenziamento del monitoraggio delle principali forme di illegalità, un maggior impulso alla polizia di prossimità, un sistema di interscambio informativo a supporto del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica e l'implementazione dei sistemi di controllo tecnologico del territorio.
  In attuazione del patto, si sta operando costantemente per la razionalizzazione dei servizi e delle risorse disponibili, per il rafforzamento del regime di interazione e cooperazione tra le diverse componenti, statali e locali, deputate alla tutela della sicurezza e, inoltre, per lo sviluppo di strategie di prossimità, sussidiarietà e complementarietà nel quadro della «sicurezza partecipata» che, proprio a Modena, nel 1998, trovò la prima applicazione a livello nazionale.
  In tal senso, in seno al comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, sono stati favorevolmente valutati – sia per Modena sia per le altre amministrazioni comunali – l'impiego del volontariato in ausilio alla polizia locale e forme di «controllo di vicinato» che si svolgono in un quadro di legalità e costruttiva collaborazione con le forze di polizia.
  Si sta, inoltre, procedendo all'attualizzazione e alla rivitalizzazione del protocollo «Mille occhi sulla città», siglato nel 2012, che prevede il coinvolgimento delle componenti non istituzionali della vigilanza a sussidio dell'attività delle forze di polizia. Il documento, siglato a suo tempo nella città di Modena, verrà aperto all'adesione degli altri comuni della provincia.
  Anche l'installazione di sistemi di videosorveglianza rientra fra le risposte delle Amministrazioni comunali all'esigenza di maggior controllo e il citato comitato provinciale ha proceduto al tempestivo esame dei progetti presentati e alla loro approvazione.
  Un cenno particolare merita l'adozione nella città di Modena, fra le prime in Italia, del «Sistema centralizzato nazionale controllo targhe e transiti», collegato con il sistema di videosorveglianza cittadino, ora in fase di implementazione e di imminente applicazione.
  Sul fronte del contrasto del terrorismo, è stato istituito un tavolo tecnico permanente presso la questura, con la partecipazione di tutte le forze di polizia, insieme alle polizie municipali. Tale modulo cooperativo è stato sperimentato favorevolmente durante le iniziative promosse per le festività di fine anno ed è poi stato replicato ed esteso ad altre situazioni di interesse.
  Anche sul tema del contrasto all'immigrazione clandestina, con riferimento agli indirizzi del Ministro dell'interno e alle direttive impartite dal capo della Polizia, si è dato corso con buoni risultati a un programma d'azione col concorso delle forze di polizia, in stretta relazione con le polizie municipali.
  Rimanendo in tema di interazione tra le forze di polizia e le polizie municipali, sono state gettate le basi per un rafforzamento di sempre più costruttive relazioni ed efficaci modalità di cooperazione, compresa l'effettuazione di operazioni di prevenzione e contrasto congiunte in specifiche aree cittadine, individuate sulla base di priorità condivise nel comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
  L'attenzione e l'impegno delle autorità provinciali di pubblica sicurezza e delle forze di polizia sono al massimo livello anche per quanto riguarda il contrasto della criminalità organizzata. In questo specifico ambito, per quanto riguarda le azioni di carattere amministrativo, la Prefettura attua mirati controlli nel campo degli accertamenti antimafia, anche attraverso l'attuazione del sistema delle cosiddette
white list.
  L'efficacia delle predette iniziative è confermata dai dati relativi all'andamento della delittuosità a Modena e provincia. Nel confronto tra l'anno 2015 e il 2016, infatti, si è registrata una significativa diminuzione dei delitti censiti, con una flessione dell'8,3 per cento in ambito provinciale e dell'8,7 per cento nel capoluogo.
  Con particolare riferimento ai reati a carattere predatorio, nello stesso periodo, in ambito provinciale, il numero delle rapine è calato del 9 per cento, mentre quello dei furti è calato del 5,7 per cento. Indicatori statistici sostanzialmente analoghi si sono registrati per il capoluogo.
  Per quanto riguarda le dichiarazioni pubbliche relative all'organico della Questura, che gli organi di stampa hanno attribuito al questore di Modena, si precisa che sono state ufficialmente smentite con appositi comunicati stampa, diffusi il 17 e il 21 dicembre 2016. Al riguardo, sono state fornite le seguenti precisazioni.
  Il 13 dicembre 2016, presso la questura di Modena, si è svolto il convegno
Malavita organizzata al Nord e in Emilia. Specificità e caratteristiche, organizzato dal sindacato Silp Cgil. In un clima di assoluta cordialità e condivisione, si è affrontato il tema della sicurezza sul territorio e del fondamentale contributo dei cittadini quali attori compartecipi.
  A margine del convegno, il questore di Modena ha risposto alla domanda di un giornalista in merito al potenziamento dell'organico per combattere i reati predatori, dichiarando:
«Dobbiamo però renderci conto che anche quando in una città come questa fosse possibile porre in campo una volante in più, che tradotto in termini numerici sono dieci uomini in più, difficilmente reati come il furto in appartamento avrebbero una reale flessione se non in presenza di una sicurezza partecipata che veda l'intervento di tutte le componenti».
  Tale dichiarazione si riallacciava a incontri avuti con i comitati di cittadini, che avevano già manifestato l'intenzione di riappropriarsi del territorio e collaborare con le forze di polizia.
  Nei giorni seguenti, tuttavia, gli organi di stampa hanno estrapolato solo alcuni passaggi della sua risposta, stravolgendone il senso, ed aggiunto frasi mai pronunciate dal questore.
  Nei predetti comunicati, è stato precisato, inoltre, che i rapporti tra Polizia di Stato e polizia locale sono improntati alla massima collaborazione, nel rispetto delle reciproche competenze.
  In ordine alla situazione effettiva degli organici delle forze di polizia, si informa che nella provincia di Modena sono impiegate 1.297 unità: 515 della polizia di Stato, 526 dell'Arma dei carabinieri e 256 della Guardia di finanza. Ciò a fronte di una previsione tabellare di 1.457 unità, con carenze che risultano sostanzialmente in linea con le medie nazionali.
  Comunque, tali carenze non riguardano la questura e i commissariati dipendenti, dove si registra una situazione particolarmente favorevole rispetto alla carenza media del comparto di riferimento (+1,1 per cento rispetto a -14,5 per cento).
  In merito alle dotazioni strumentali, nell'ambito di un contratto appena concluso, sono stati assegnati 56
personal computer alla questura e altri 35 ai commissariati di Carpi, Mirandola e Sassuolo. Inoltre, 11 computer e 2 scanner sono stati destinati all'ufficio denunce della questura, mentre altri 3 computer sono stati assegnati ai commissariati dipendenti.
  Per quanto attiene alla dotazione veicolare, la questura di Modena e i commissariati dipendenti dispongono attualmente di un adeguato numero di automezzi e cioè:

   22 autovetture allestite per il controllo del territorio, in linea con la dotazione prevista dal decreto del Capo della Polizia del 30 settembre 2002;

   14 autovetture in colore di istituto, a fronte delle 18 spettanti secondo il predetto decreto;

   32 autovetture in colore di serie a fronte delle 21 spettanti.

  In occasione dell'immissione in servizio, nel corso del corrente anno, di un congruo numero di ulteriori vetture, approvvigionate con fondi della programmazione finanziaria 2016 e 2017, sarà esaminata la possibilità di assegnare alla questura di Modena ulteriori di mezzi preposti al controllo del territorio, tenendo conto delle esigenze operative di tutti gli uffici e reparti dislocati sul territorio nazionale.
  Infine, per quanto riguarda l'equipaggiamento delle forze di polizia, si precisa che non risultano particolari carenze e che eventuali situazioni di criticità potranno essere evidenziate attraverso le consuete procedure di richiesta materiali.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI, CAON e MARCOLIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 25 novembre 2015, ANAS s.p.a. alla presenza del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha presentato il «piano pluriennale 2015-2019» per la sistemazione e la messa in sicurezza della rete stradale ed autostradale nazionale;

   dal comunicato stampa prodotto da ANAS e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in occasione della suddetta presentazione si apprende che con questo provvedimento vengono stanziati «oltre 20,2 miliardi di euro per più di 3.600 km di strade, di cui 8,8 miliardi di euro per il completamento di itinerari, 8,2 miliardi di euro destinati alla manutenzione straordinaria, e 3,2 miliardi per nuove opere»; e che «tra gli itinerari per i quali sono stati programmati interventi di riqualificazione o di manutenzione straordinaria» vi è anche la «E45/E55 Orte-Mestre», per la quale è stata destinata la cifra di «1,671 miliardi di euro»;

   con riferimento a questo dato complessivo si deve rilevare che, mentre per il tratto che interessa la regione Emilia Romagna, il piano pluriennale prevede nel dettaglio le opere di riqualificazione e messa in sicurezza, per il tratto, cosiddetto terzo lotto, che interessa la regione Veneto non si rinvengono specifiche di sorta;

   il rilievo sta destando una forte preoccupazione, in quanto il tratto veneto, che si estende per ben 71 chilometri (che interessano i comuni di tre province, ovvero Padova, Rovigo e Venezia) su 156 complessivi della E55, cioè la famigerata strada statale 309 «Romea», è una strada pericolosissima;

   si ricorda, a tal proposito che la strada in questione, la cui gestione è in capo alla società ANAS spa, è stata classificata, come riportato dai rilevamenti statistici dell'Aci e dell'Istat, come una delle strade più pericolose d'Italia, secondo i parametri relativi al numero di incidenti stradali per chilometro e al numero di decessi per incidente;

   ancora, «La Romea è una delle strade più pericolose d'Italia, ci sono cinque incidenti al giorno – si legge su Change.org – e ha un indice di mortalità più che doppio rispetto alle altre statali. Ma non è solo fatalità – continua il testo, che punta l'indice contro le condizioni delle strade – la E45 è stata pensata negli anni ‘60, quando le automobili, erano molto più piccole rispetto a quelle di oggi, ed è larga in media da 13 a massimo 18 metri, molti meno dei 25 che la legge prevede»;

   è opportuno ricordare che, il 13 gennaio 2016, in risposta all'interrogazione n. 5-06949 in Commissione IX, il Ministro, in merito a tale questione, ha affermato: «Quanto ai prossimi investimenti per la sicurezza, segnalo che la strada statale 309 Romea, facente parte dell'itinerario internazionale SGC E45/E55 (Strada di Grande Comunicazione), è inserita nello Schema di Piano Pluriennale 2015-2019, recentemente sottoscritto con il MIT. In detto schema, per l'itinerario in questione è programmato, nel quinquennio 2015-2019, un investimento pari a 1.600 milioni di euro che garantirà il miglioramento delle condizioni di sicurezza mediante l'adeguamento della piattaforma stradale, la realizzazione di rotatorie e l'eliminazione di curve pericolose. Altri interventi sui piani viabili, di minore entità, sono previsti nei prossimi piani di manutenzione straordinaria e potranno concretizzarsi sulla base delle risorse che si renderanno disponibili. Più in generale, circa i programmi di messa in sicurezza della rete viaria statale nazionale, si evidenzia che, nel predetto Schema di Piano Pluriennale 2015-2019, sono previsti interventi di manutenzione straordinaria per un importo pari a 8,2 miliardi, nei quali sono compresi anche gli interventi sulla strada statale 309 Romea»;

   il problema dunque è la poca chiarezza e la mancanza di informazioni certe per quanto riguarda la messa in sicurezza di questo tratto stradale e anche, in generale, per quanto riguarda la viabilità e la messa in sicurezza delle principali arterie di collegamento della regione Veneto –:

   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di definire un programma di interventi urgenti per la messa in sicurezza del tracciato dell'attuale strada statale 309 Romea e della superstrada E-45 finalizzato alla riqualificazione e al potenziamento delle infrastrutture esistenti, al fine di migliorare la viabilità e la sicurezza su queste arterie.
(4-12979)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni assunte presso la direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e la società Anas.
  L'itinerario della E55 da Cesena a Mestre è costituito nel tratto Veneto dalla strada statale 309 Romea. con una lunghezza di circa 71 chilometri su un totale di 127.
  Le caratteristiche dimensionali e di tracciato, condizionate dai vincoli ambientali delle aree attraversate, risalgono agli anni ’50 e non hanno subito modifiche adeguate nonostante il continuo incremento dei volumi di traffico, ciò ha reso indifferibile un intervento di messa in sicurezza complessivo dell'intera strada.
  Anas informa di avere predisposto un piano di potenziamento e di riqualificazione dell'intero itinerario E45/E55 (Orte-Mestre), per un importo complessivo di circa 1.600 milioni di euro, di cui circa 540 milioni destinati alla E55.
  Detto piano prevede, per il tratto veneto della E55, sia interventi manutentivi che riqualificativi immediatamente eseguibili con un impatto minimo sul territorio nonché interventi più rilevanti che richiedono un maggiore approfondimento progettuale e specifici processi autorizzativi.
  In attesa di poter disporre delle risorse finanziarie previste nel citato piano, Anas ha anticipato le somme necessarie per attivare un primo appalto per il tratto descritto, mediante accordo quadro, del valore di 13 milioni di euro, la cui conclusione della procedura di gara è prevista per la fine del corrente mese di luglio e la stipula del contratto entro settembre 2017. L'appalto riguarda interventi più urgenti di manutenzione del corpo stradale.
  Sono, previsti, per il suddetto tratto, nelle appaltabilità 2016-2017, interventi per circa 80 milioni di euro che riguardano principalmente il ripristino di pavimentazioni, l'adeguamento delle barriere di sicurezza, l'inserimento di piazzole di sosta, la manutenzione straordinaria e il ripristino statico dei ponti e viadotti e rifacimento dei giunti di dilatazione delle opere.
  Anas informa, altresì, che sono in corso studi sugli interventi di messa in sicurezza delle intersezioni a raso tramite la realizzazione di rotatorie e di varianti al tracciato in corrispondenza dei centri abitati di Volto e Rosolina.
  Per queste ultime attività è in fase di redazione uno studio di fattibilità comprendente valutazioni di carattere trasportistico, di impatto sul territorio, di fattibilità tecnica e di analisi costi benefici per la validazione, modifica o integrazione degli interventi previsti. Tale studio sarà propedeutico alla relativa progettazione nel rispetto delle annualità di appaltabilità previste.
  Anas segnala, inoltre, che sulla base delle priorità emerse da specifiche campagne di indagine provvederà ad attuare adeguati interventi di mitigazione ambientale e di riduzione del rischio acustico.
  Per quanto riguarda gli interventi relativi all'itinerario E45 Anas ha comunicato che per le annualità 2016 - 2017 - 2018 saranno attivati tutti gli interventi per il risanamento dell'infrastruttura esistente e per il miglioramento delle condizioni di sicurezza. È prevista la stesa di nuova pavimentazione sulla quasi totalità dell'itinerario, la sostituzione e l'adeguamento delle barriere di sicurezza (
guard-rail), l'adeguamento alle norme trans europee delle gallerie, una nuova segnaletica, il ripristino statico e l'adeguamento sismico dei viadotti oltre all'installazione di un completo sistema tecnologico per il controllo e la gestione del traffico sulla strada in modo dinamico.
  Mentre, per le annualità 2019-2020 sono allo studio interventi per il miglioramento, il potenziamento e la risoluzione di nodi critici anche mediante la realizzazioni di varianti al tracciato.
  Per detti interventi sono in fase di attuazione gli studi di fattibilità avanzati per la verifica di sostenibilità in relazione al loro rapporto costi benefici. Appena saranno individuati gli interventi prioritari si procederà alla progettazione e all'appalto delle opere.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PRATAVIERA, TANCREDI, MATTEO BRAGANTINI, CAON, CIRACÌ e PIZZOLANTE. — Al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   si conclude domani 31 maggio, a Ginevra (Svizzera), l'annuale Assemblea mondiale della sanità — AMS — dalla quale il Governo cinese ha imposto l'esclusione di Taiwan dichiarando pubblicamente, per bocca del suo Ministro della sanità, che il motivo di tale pretesa è l'ostilità politica nei confronti del Governo taiwanese in carica a seguito delle democratiche elezioni svoltesi nell'isola lo scorso anno;

   Taiwan ha una popolazione di 23 milioni di abitanti che vivono in pace e libertà; essi sono cittadini di un Paese – tra i più avanzati e moderni nei diritti civili, politici, religiosi e sindacali – che rappresenta, secondo le statistiche internazionali, la 18o economia mondiale e il cui interscambio con l'Unione è europea è di 45 miliardi di euro annui dei quali oltre 4 miliardi con l'Italia;

   la esclusione di Taiwan dall'AMS rappresenta un evento inaudito, grave e inaccettabile, anzitutto perché totalmente contrario a quanto stabilito nell'atto costitutivo dell'AMS e dell'Organizzazione mondiale della sanità — OMS — che da essa dipende, nel quale atto è categoricamente stabilito l'esclusiva finalità della prevenzione, della tutela e della cura della salute dell'umanità intera, escludendo qualunque discriminazione di carattere politico, razziale, religioso ed economico;

   la motivazione politica dell'assurdo ostracismo nei confronti di Taiwan è altresì evidenziata dal fatto che per otto anni, dal 2009 al 2016, Cina e Taiwan, – quest'ultima con lo status di «Osservatore» – hanno convissuto senza problemi nell'ambito della AMS;

   a Ginevra si è ugualmente recato il Ministro della sanità taiwanese il quale, fuori dalla sede della AMS, ha avuto incontri bilaterali con colleghi Ministri di 31 Paesi e con responsabili di 28 organizzazioni internazionali che operano nel campo della salute e della cooperazione sanitaria;

   molti interventi, durante i lavori dell'Assemblea, si sono espressi a difesa della doverosa apoliticità della assemblea stessa e della OMS, ed hanno sostenuto il diritto di Taiwan di continuare a farne parte; tra queste voci, particolarmente significative quelle dei Ministri della sanità degli Stati Uniti, di Australia, Germania, Canada, nonché di numerosi altri Paesi asiatici, africani e latino-americani;

   l'autorevole agenzia di notizie AsiaNews, organo del Pontificio istituto missioni estere, in un articolo del 22 maggio 2017, dedicato alla esclusione di Taiwan dall'AMS, ha riportato quanto rivelato dall’Associated Press in merito alle polemiche scoppiate sulle sconcertanti spese per viaggi e soggiorni di funzionari dell'OMS, a cominciare dal direttore generale, guarda caso cinese, che ne è stato al vertice, per 11 anni, fino alla scorsa settimana quando l'AMS ha eletto il suo successore, l'ex Ministro della sanità dell'Etiopia. Secondo l’Associated Press nel 2016 sono stati spesi 201 milioni di euro in biglietti aerei e alloggi a fronte di 71 milioni per la lotta all'Aids e all'epatite e 61 contro la malaria –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali orientamenti intendano esprimere al riguardo;

   se non ritengano di manifestare in tutte le appropriate sedi, qualora non l'avessero già fatto, una chiara posizione a difesa della apoliticità della Ams/Oms e di sostegno al diritto del popolo taiwanese, e dei suoi legittimi e democratici rappresentanti, di continuare a partecipare all'Ams e alle attività della Oms;

   se non ritengano di dover fermamente adoperarsi, anche di concerto con gli altri Paesi della Unione europea, affinché vi siano tanto il categorico rispetto dello statuto dell'Ams/Oms quanto una maggiore sobrietà e trasparenza nell'utilizzo dei fondi, anche italiani ed europei, destinati a tali organizzazioni.
(4-16794)

  Risposta. — La partecipazione di Taiwan in qualità di osservatore all'annuale assemblea mondiale della sanità ha avuto luogo, dal 2009 al 2016, in virtù di un meccanismo di intesa tra la Repubblica popolare cinese e il segretariato dell'Organizzazione mondiale della sanità, in linea con il principio della «One-China Policy» e con le risoluzioni n. 2758 dell'Assemblea Generale delle Nazioni unite e n. 25.1 dell'Assemblea mondiale della Sanità.
  Per quanto concerne la 70a Assemblea, riunitasi dal 22 al 31 maggio 2017, la mancata partecipazione taiwanese è riconducibile alla presente contingenza dei rapporti tra le due sponde dello Stretto di Taiwan a seguito del voto a Taipei nel 2016. La netta vittoria riportata dal Partito democratico progressista ha infatti accentuato la sensibilità di Pechino, anche in relazione alla circostanza che il Partito democratico progressista non ha mai formalmente aderito, a differenza del Partito Nazionalista, al cosiddetto consenso del 1992 basato sulla formula «una Cina, due interpretazioni». Ne è derivato un irrigidimento delle relazioni tra i due lati dello Stretto, in contrasto con la prolungata fase di distensione culminata nell'incontro al vertice del novembre 2015 a Singapore tra il presidente Xi ed il leader nazionalista Ma.
  L'Italia e l'Unione europea si adoperano da sempre affinché l'organizzazione mantenga un'agenda apolitica, come dimostrato dagli sforzi compiuti anche nel corso dell'ultima assemblea al fine di adottare per
consensus una decisione sulle condizioni sanitarie nei territori palestinesi occupati, e sono consce dell'utilità della partecipazione dell'isola all'assemblea mondiale della sanità per il rafforzamento del sistema sanitario globale. Allo stesso tempo vi è la consapevolezza che il segretariato dell'organizzazione mondiale della sanità non è in condizione di procedere autonomamente all'invito nei confronti di Taiwan, dal momento che tale eventualità dipende dal suddetto meccanismo di intesa con la Repubblica popolare cinese. Pertanto, l'uscita dall'attuale fase di impasse nel dialogo tra le sponde dello Stretto potrebbe costituire la premessa per il superamento delle circostanze che quest'anno hanno impedito la partecipazione dell'isola di Taiwan all'Assemblea mondiale della sanità.
  Da parte nostra auspichiamo il ristabilimento di quel clima di fiducia necessario per lo sviluppo di rapporti di costruttiva collaborazione nei vari ambiti settoriali e continueremo a mantenere l'attenzione sulla questione, in considerazione della sua rilevanza non solo nell'ambito regionale ma anche per le potenziali implicazioni per il sistema sanitario globale.
  In particolare, il Governo, anche a seguito dell'approvazione di una mozione unitaria in materia al Senato, si impegna a considerare attivamente, insieme ai partner dell'Unione europea, modalità compatibili con la «One-China Policy» per consentire la partecipazione come osservatore di Taiwan nei contesti multilaterali (tra cui l'Assemblea mondiale della sanità), nei quali la sua presenza corrisponda all'interesse della popolazione taiwanese e della comunità internazionale.
  Si rappresenta infine che nel quadro delle periodiche riunioni sulle questioni di bilancio dell'organizzazione, il nostro Governo è impegnato, a fianco dei partner europei, a monitorare che da parte di quest'ultima vi sia un'integrale trasparenza nella gestione dei fondi. Tale impegno verrà mantenuto e rafforzato con il nuovo direttore generale dell'organizzazione.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Benedetto Della Vedova.


   PRODANI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   nella frazione Aquilinia in comune di Muggia (Trieste) sorge una collina denominata Monte San Giovanni. Sulla sommità del rilievo e delimitato da un lato dalla via Raffineria, si trova un complesso militare interrato realizzato durante la seconda guerra mondiale ed utilizzato fino al 1957;

   il manufatto bellico è composto da diverse cisterne sotterranee adibite a deposito di idrocarburi e collegate da un sistema di corridoi. Esistono tre vie di accesso di cui la principale è protetta da una cupola paraschegge in cemento armato. Una condotta interrata della lunghezza di un chilometro circa collegava il sito con la raffineria di oli combustibili Aquila, operante fino al 1987; detta condotta non appare mappata nelle cartografie né presa in carico o monitorata dagli enti preposti e le sue condizioni di servizio, integrità, reale sviluppo e tracciato sul territorio sono dunque sconosciute;

   il volume indicativo del complesso è di 430 metri cubi e nel libro «I sotterranei di Trieste» di Paolo Guglia ed Enrico Halupca (ed. Italo Svevo) realizzato dalla Società Adriatica di Speleologia – sezione di speleologia urbana di Trieste sono state pubblicate diverse fotografie dell'interno delle gallerie e degli accessi oltre alla pianta e alle sezioni del sito;

   l'area appartiene al demanio dello Stato – Ramo Guerra, anche se dal 2014 risulta essere in corso un'istruttoria d'intavolazione a favore di un soggetto privato. Desta preoccupazione tale operazione in quanto un qualunque soggetto privato non pare assolutamente in grado di fornire alla collettività le necessarie garanzie d'intervento in caso di sinistro e la solidità finanziaria per farsi carico della successiva messa in sicurezza definitiva (ovvero inertizzazione e riempimento) del complesso militare di cui in oggetto;

   all'interrogante giungono reiterate segnalazioni sulla potenziale pericolosità del sito, che sembrerebbe non essere mai stato sottoposto a verifiche dagli enti preposti e a una messa in sicurezza con successiva bonifica ed inertizzazione definitive;

   l'ubicazione stessa dell'installazione – ricavata in cima alla collina e ricoperta da materiale di riporto – rappresenta una fonte di preoccupazione in quanto l'eventuale collasso di qualche cisterna potrebbe rendere instabile il versante con rischio evidente di discesa verso la zona abitata; ciò vale anche per eventuali necessarie operazioni di inertizzazione ovvero di riempimento delle cisterne bonificate con inerti il cui peso potrebbe innescare cedimenti su strutture di tale vetustà con le temute imprevedibili conseguenze statiche in assenza di preventive verifiche;

   anche l'eventuale fuoriuscita di idrocarburi dalle cisterne sotterranee potrebbe avere delle ripercussioni qualora dovessero raggiungere le vicine falde acquifere. Rischio quest'ultimo che potrebbe essersi già verificato visto lo stato di abbandono dei serbatoi;

   l'area in oggetto, esterna al perimetro del SIN (sito di interesse nazionale) di Trieste, ovvero in quanto tale mai prima appunto caratterizzata, è situata in un territorio classificato dal piano regolatore del comune di Muggia come zona S5A – verde di connettivo –:

   se i Ministri interrogati, in accordo con gli enti locali, intendano promuovere il dovuto monitoraggio delle cisterne interrate a Monte San Giovanni, attivandosi per favorire, nel minor tempo possibile, la messa in sicurezza e la bonifica definitiva e non provvisoria della struttura militare dismessa;

   se non si ritenga opportuno provvedere alle necessarie operazioni di bonifica e di messa in sicurezza, prima della cessione di un sito del demanio militare ad un soggetto privato.
(4-08323)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   le alture di Montedoro, a qualche chilometro di distanza da Trieste, separano i comuni di Muggia e di San Dorligo della Vane – Dolina, digradando dal confine con la Slovenia al mare Adriatico;

   nel sottosuolo queste nascondono un sistema di depositi militari per combustibili realizzato nel 1941, attualmente in stato di abbandono, che comprende una ventina di cisterne, a cui si aggiungono gallerie blindate e condutture interrate e mimetizzate in superficie;

   le aree in questione, inserite tra zone agricole abitualmente coltivate e zone residenziali e commerciali e non incluse nel S.I.N (sito di interesse nazionale) di Trieste, risultano appartenenti al demanio militare dello Stato;

   nell'atto n. 5-04303 del 17 dicembre 2014, il primo firmatario del presente atto ha illustrato la situazione di abbandono dei depositi militari di Montedoro ed ha chiesto, al Governo di accertare lo stato di conservazione delle ex strutture militari e di provvedere all'eventuale messa in sicurezza;

   il 21 febbraio 2015, il primo firmatario del presente atto ha inoltrato un esposto alla procura della Repubblica presso il tribunale di Trieste per segnalare la pericolosità dovuta agli ex depositi sia per l'intersecazione con la rete dell'acquedotto sia per la prolungata assenza di manutenzione. Nell'istanza ha chiesto un intervento urgente per accertare e valutare la situazione delle aree interessate, nonché individuare eventuali responsabilità ed omissioni;

   nell'atto n. 4-08323 del 9 marzo 2015 il primo firmatario del presente atto ha illustrato una vicenda simile, riguardante il complesso militare in disuso di Monte S. Giovanni, nella frazione di Aquilinia (Muggia), composto da cisterne sotterranee adibite a deposito di idrocarburi e collegate da un sistema di corridoi. Ai Ministri destinatari ha chiesto «di promuovere il monitoraggio delle cisterne interrate attivandosi per favorire, in breve tempo, la messa in sicurezza e la bonifica definitiva e non provvisoria della struttura militare dismessa»;

   il 29 gennaio 2016, la direzione regionale del Friuli Venezia Giulia dell'Agenzia del demanio, ha trasmesso la relazione «Schede n. TSB0178 e TSB0213 Ex Depositi militari carburanti e lubrificanti loc. Montedoro e Aquilinia» a seguito delle risultanze delle indagini ambientali preliminari concluse il 30 dicembre 2015;

   dal documento si evince che l'attività di indagine è stata diretta inizialmente a verificare eventuali presenze di potenziali elementi inquinanti nei depositi sotterranei inutilizzati ivi presenti;

   alla ditta specializzata, incaricata di eseguire le ispezioni, è stata anche commissionata «la completa interdizione del compendio TSB0178, ripristinando la recinzione lungo la strada pubblica e la sigillatura dei chiusini dei boccaporti a dei serbatoi per evitare sia problemi di sicurezza, sia che entri acqua piovana nei medesimi»; l'11 dicembre 2015 è stato consegnato alla ditta il servizio di indagini per l'analisi di rischio sito specifica per la caratterizzazione dei cespiti citati;

   l'impresa incaricata ha compiuto le indagini di rischio del sito specificatamente previste per ricercare residui riconducibili ad attività di stoccaggio di idrocarburi; «le ispezioni, però, non hanno riguardato solo i depositi interrati compresi in entrambi i compendi demaniali, ma sono stati effettuati anche i sopralluoghi dei rimanenti manufatti ivi insistenti, incluso l'esame dei soprassuoli della boscaglia all'interno dei siti per ricercare altre possibili fonti o tracce di inquinanti (...)»;

   infine, dalla relazione è emerso che «al fine di quantificare i fondi necessari da richiedere per le bonifiche, a complemento della relazione del piano preliminare di caratterizzazione dei siti sono state fornite indicazioni preventive di massima dei possibili costi degli interventi di bonifica da attuarsi a seguito delle indicazioni contenute nel piano in aggiunta a quelle che saranno indicate dalla Province» e si è previsto di incaricare «professionisti esperti della materia per la progettazione operativa d'interventi di bonifica o di messa in sicurezza permanente dei serbatoi, per poter mettere a gara le suddette bonifiche e le pulizie» –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   se intendano spiegare con chiarezza e secondo quali modalità saranno articolati gli interventi previsti dalla relazione dell'Agenzia del Demanio;

   quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza e di concerto con gli enti locali, per attuare i necessari interventi di bonifica e di messa in sicurezza degli ex depositi militari.
(4-14955)

  Risposta. — L'ex deposito lubrificanti «Aquilinia» e l'ex deposito carburanti «Montedoro» di Muggia – oggetto dell'interrogazione – a causa di una trascrizione errata erano stati intestati catastalmente alla difesa, ma, di fatto, non erano stati consegnati dall'Amministrazione finanziaria a quella militare che, peraltro, non li ha mai utilizzati.
  In considerazione di tali evidenze, la difesa ha chiesto all'agenzia del demanio della regione Friuli Venezia Giulia di sollecitare l'ufficio interessato affinché provvedesse al cambio d'iscrizione delle infrastrutture in questione.
  Si specifica, al riguardo, che il tribunale di Trieste – ufficio tavolare, con decreto in data 8 settembre 2015, ha disposto di «Annotare» a nome dello Stato Italiano – e non più della Difesa – gli immobili in questione.
  Relativamente ai necessari interventi di bonifica e di messa in sicurezza dei siti, si sottolinea che la difesa non ha alcuna competenza al riguardo, considerato anche che gli stessi non rientrano nella disponibilità patrimoniale del Dicastero.
  Si rende noto, tuttavia, che sulla base delle notizie acquisite dall'Agenzia del demanio regionale (Friuli Venezia Giulia), per tali beni non sono stati rilevati residui d'inquinamento ambientale.

Il Sottosegretario di Stato per la difesa: Gioacchino Alfano.


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   sono stati nuovamente bloccati i lavori del terzo macrolotto della strada statale n. 106 Ionica, un lavoro da oltre un miliardo di euro di costo complessivo che interessa i trentotto chilometri di percorso compresi tra l'innesto della strada statale n. 534 sino a Roseto Capo Spulico;

   il terzo macrolotto ricade nell'ambito di applicazione della legge n. 443 del 2001, recante «Delega al Governo in materia di infrastrutture e insediamenti produttivi di interesse nazionale», la cosiddetta legge obiettivo, ed era un intervento inserito nel primo programma delle infrastrutture strategiche di cui alla delibera CIPE n. 121 del 2001;

   la realizzazione dell'opera infrastrutturale era stata prevista anche dall'accordo di programma per il sistema delle infrastrutture di trasporti nella regione Calabria, stipulato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con la regione Calabria in data 16 maggio 2002, e fu poi inserita nel piano dell'Anas per il periodo 2003-2012, e nel piano degli investimenti Anas per il quadriennio 2007-2011;

   nel dicembre 2008 l'Anas ha emesso il bando con una base d'asta di poco più di 960 milioni di euro, alla quale ha fatto seguito l'aggiudicazione provvisoria dei lavori in capo alle società Astaldi e Impregilo per 791 milioni di euro nel dicembre 2010, poi rimasta bloccata per un anno a causa di una clausola della delibera del Cipe n. 103 del 2007 relativa alla effettiva disponibilità dei fondi previsti;

   nel dicembre 2011 una nuova delibera del Cipe ha disposto la cancellazione di tale clausola, consentendo all'Anas di aggiudicare definitivamente l'appalto, cosa poi avvenuta nel febbraio 2012 in favore delle società Astaldi, capogruppo, con il sessanta per cento, e Impregilo con una partecipazione minoritaria del quaranta per cento;

   nell'agosto del 2016, dopo ben quindici anni dall'avvio dell’iter burocratico per la realizzazione del tratto stradale, il Cipe ha approvato la prima parte, relativa una spesa di 276 milioni di euro, del progetto definitivo del macrolotto, «con l'impegno all'approvazione in tempi brevi della seconda tratta» e dei relativi finanziamenti, pari a 842 milioni di euro;

   il 1o marzo 2017 la Corte dei conti ha rinviato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la parte di progetto che aveva già ritenuto finanziabile, formulando alcuni rilievi e chiedendo chiarimenti entro i successivi venti giorni, ma il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha ritenuto di ritirare la delibera, riportando tutto l’iter del progetto indietro di un intero anno;

   la strada statale Jonica è una delle strade con il più alto tasso di incidenti mortali di tutta l'Italia, e ogni intervento di ammodernamento e messa in sicurezza dovrebbe essere considerata di interesse prioritario per tutti gli organismi coinvolti nella fase decisionale e di erogazione dei finanziamenti;

   il ritiro della delibera senza alcun tentativo di rispondere ai rilievi formulati dalla Corte dei conti lascia supporre che l'atto fosse davvero inadeguato, e ha fatto nascere il sospetto, pubblicamente espresso da parte dell'associazione «Basta Vittime Sulla Strada Statale 106», che «la presentazione della delibera Cipe ad agosto 2016 è stata semplicemente una manovra politica di bassa lega che costoro hanno intentato ai danni della popolazione calabrese in vista del referendum costituzionale di dicembre» –:

   quali urgenti iniziative intenda assumere per consentire la realizzazione del terzo macrolotto della strada statale n. 106.
(4-15904)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In merito alle ragioni che hanno rallentato l'implementazione del progetto dei lavori di costruzione del 3° megalotto della strada statale (SS) 106 Jonica dall'innesto con la strada statale 534 (chilometri 365+150) a Roseto Capo Spulico (chilometri 400+000), Anas riferisce che la durata temporale di due mesi tra l'approvazione del progetto definitivo a parte della stessa società (27 novembre 2013) e l'invio degli elaborati (inizio febbraio 2014) a tutti i soggetti interessati all'opera, che sono oltre 30, è motivata dal tempo necessario per la predisposizione delle copie dei documenti progettuali, per il versamento degli oneri istruttori e la pubblicazione degli avvisi al pubblico sui quotidiani a tiratura nazionale.
  Inoltre, Anas segnala di aver presentato, in data 10 febbraio 2014, ai sensi degli articoli 165, 166, 167, 183 e 185 del decreto legislativo n. 163 del 2006, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm), al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) e alla regione Calabria, la richiesta di compatibilità ambientale del progetto definitivo per la parte in variante (articoli 167, comma 5, e 183 dello stesso decreto) attivando, contestualmente, il procedimento per l'approvazione del progetto, con l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e la dichiarazione di pubblica utilità sulle aree interessate dai lavori.
  Nell'ambito della verifica di ottemperanza del progetto alle prescrizioni contenute nella delibera Cipe del 2007 n. 103 – che prevedeva uno stanziamento di 154 milioni di euro sui fondi della legge n. 443 del 2001 e subordinava l'intervento al reperimento della totale copertura finanziaria dell'opera – e nel corso della conferenza di servizi convocata presso questo Ministero, ai sensi dell'articolo 166 sempre del medesimo decreto legislativo, emergeva la necessità da parte del proponente di fornire ulteriori chiarimenti nonché la documentazione di approfondimento sul progetto definitivo e sullo studio di impatto ambientale, atti trasmessi alle amministrazioni competenti con nota del 6 febbraio 2014 e successiva pubblicazione dell'avviso sui principali quotidiani il 10 febbraio.
  È utile, altresì, far presente che il Mattm - commissione Via, presso il quale era stata attivata il 14 febbraio 2014 la procedura, richiedeva ad Anas il 5 aprile 2014, la documentazione integrativa del progetto sotto il profilo ambientale. Il proponente provvedeva, quindi, a trasmettere a tutte le amministrazioni interessate le integrazioni richieste dandone avviso sui quotidiani a tiratura nazionale in data 21 maggio 2014.
  Successivamente, nell'ambito degli incontri svolti presso i ministeri competenti al rilascio delle autorizzazioni ambientali e paesaggistiche oltre che nel corso della conferenza di servizi, emergeva la necessità di fornire ulteriori documenti che venivano depositati nei mesi di luglio e agosto 2014 presso le autorità ambientali competenti.
  Anche per tale documentazione Anas ha effettuato la comunicazione agli enti interessati mediante avviso pubblicato sui quotidiani in data 9 agosto 2014.
  Tutto ciò premesso, appare evidente che l’
iter autorizzativo sia risultato particolarmente complesso in ragione della rinnovata valutazione d'impatto ambientale condotta dai Ministeri competenti (Mattm e Mibact) per la parte in variante del progetto definitivo rispetto a quella dell'elaborato preliminare, anche in considerazione delle numerose osservazioni presentate dai cittadini e dalle associazioni interessate all'intervento.
  Le determinazioni conclusive del procedimento Via e della conferenza di servizi hanno comportato un consistente aumento dei costi dell'intervento, che sono risultati superiori al limite di spesa indicato nella delibera Cipe di approvazione del progetto preliminare.
  Ai fini del perfezionamento dell'istruttoria presso questa Amministrazione per l'elaborazione della proposta di approvazione al Cipe è stato, quindi, acquisito il parere n. 40 del 15 luglio 2016 del consiglio superiore dei lavori pubblici (massimo organo tecnico consuntivo dello Stato incardinato presso questo ministero) ai sensi del nuovo codice appalti: in tale parere venivano formulate delle osservazioni in particolare sul secondo tratto del megalotto 3, mirate a una revisione dell'elaborato progettuale sulla base dei pareri espressi dalle numerose amministrazioni coinvolte nel procedimento, non sempre tra loro congruenti, e alle disponibilità finanziarie destinate all'intervento.
  Il 10 agosto 2016 questo Dicastero ha sottoposto, quindi all'approvazione del Cipe la sola prima tratta, il cui progetto definitivo – pur recependo le prescrizioni impartite dallo stesso Cipe e quelle del Mattm e Mibact – è rimasto sostanzialmente inalterato rispetto al preliminare approvato nel 2007; contestualmente è stato chiesto al Cipe il rinvio a nuova istruttoria per il progetto della tratta 2, da eseguirsi nel rispetto delle prescrizioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
  Tuttavia, la Corte dei conti ha mosso rilievo in ordine alla delibera Cipe del 2016, n. 41, di approvazione della sola prima tratta; lo stesso Cipe, d'intesa con questo Ministero, ha ritirato la citata delibera al fine di effettuare i necessari approfondimenti.
  Nel merito sono stati chiesti chiarimenti al consiglio superiore dei lavori pubblici.
  Di conseguenza, solo a seguito della disamina dell'esito di detti chiarimenti, si potrà valutare l’
iter procedurale più idoneo da adottare nella ferma convinzione da parte di questo Ministero che l'opera debba essere realizzata, come si è avuto modo di assicurare anche nel corso di un recente incontro con i sindaci dei comuni interessati.
  Con l'approvazione del Cipe si concluderà l’
iter procedurale autorizzativo tale da consentire ad Anas lo sviluppo dei progetto esecutivo e l'avvio dei lavori.
  Infine, per completezza di informazione, si riporta la situazione delle risorse finanziarie ad oggi destinate al 3° megalotto della strada statale 106 Jonica per i lavori di costruzione dall'innesto con la strada statale 534 (chilometri 365+150) a Roseto Capo Spulico (chilometri 400+000): l'intervento in fase di progettazione è finanziato per 969,4 milioni di euro, mentre il completamento è inserito nella proposta di contratto di programma 2016-2020 ed è finanziato per 150 milioni di euro a valere sulle risorse del fondo unico Anas
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Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da più di una settimana risultano interrotti e/o sospesi i lavori di manutenzione sul ponte posto in località Cannavino in provincia di Cosenza sulla strada statale 107 Silana-crotonese, in gestione all'Anas spa;

   la suddetta strada statale rappresenta l'unica arteria di collegamento a scorrimento veloce tra le provincie di Crotone e Cosenza;

   la chiusura di detta arteria rischia di apportare un danno economico irreparabile a tutti i territori interessati, vista l'imminente stagione estiva e considerata la vocazione turistica degli stessi territori;

   le popolazioni interessate stanno subendo dei pesantissimi disagi dovuti all'aumento dei tempi di percorrenza tra le diverse località, atteso che l'inesistenza di percorsi alternativi impone l'attraversamento dei centri abitati con rischi a cose e persone –:

   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di risolvere le descritte problematiche.
(4-17155)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società Anas.
  Anas informa che il viadotto Cannavino, presente sulla strada statale 107 «Silana Crotonese», al chilometro 43,000, nel territorio comunale di Celico, in provincia di Cosenza, è attualmente interessato da lavori di manutenzione straordinaria.
  Inoltre, ha comunicato che le attività di risanamento del cordolo, della rimozione della vecchia pavimentazione, dell'installazione di nuove barriere di sicurezza, dell'installazione della rete di protezione e della rimozione dei vecchi giunti proseguono senza interruzioni.
  Sempre Anas, infine, segnala che il comitato operativo viabilità (COV), istituito presso la prefettura di Cosenza, ha individuato i percorsi alternativi che nelle more delle attività manutentive potranno ridurre al minimo i disagi per l'utenza.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   RAMPI, COMINELLI e MANZI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   da diverse fonti si apprende che il Governo italiano avrebbe negato l'ingresso di personalità e monaci buddisti tibetani che devono recarsi in Italia per assemblee ed eventi religiosi che tradizionalmente si svolgono in questo periodo dell'anno al Monastero Buddista di Pomaia;

   la motivazione, a quanto consta agli interroganti, sarebbe la facilità con la quale i titoli di viaggio che abilitano i monaci buddisti a viaggiare in Europa potrebbero essere facilmente contraffatti –:

   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;

   quali ne siano le motivazioni;

   come questa decisione nazionale sia compatibile con le norme europee e con le convenzioni internazionali sul riconoscimento di passaporti e lasciapassare, tenuto conto della difficile posizione della piccola comunità tibetana i cui membri vivono da molti anni o sono nati in India, ma dispongono solo di una sorta di passaporto per rifugiati valido solo per l'India e del fatto che le autorità di tale Paese non concedono altro documento riconosciuto da tutti i Paesi europei, compresa l'Italia, come valido per ottenere regolari visti Schenghen per l'Europa;

   come sia compatibile tale decisione con la tutela dei diritti fondamentali riguardanti la libertà di culto, di associazione e di espressione e la parità di trattamento che deve essere assicurata a tutte le confessioni religiose.
(4-17408)

  Risposta. — Si tiene in via preliminare a sottolineare che non vi sono stati cambiamenti sul piano normativo, da oltre dieci anni, nella posizione relativa ai visti in favore di tibetani muniti di «Identity certificate» rilasciato dalle autorità indiane.
  Ai sensi dell'allegato X al «Manuale per il trattamento delle domande di visto e la modifica dei visti già rilasciati», basato sulle Decisioni della Commissione C(2010) 1620 del 19 marzo del 2010, C(2011) 5501 del 4 agosto del 2011 e C(2014) 2727 del 29 aprile del 2014, insieme con alcuni Paesi europei (tra essi, l'Estonia, la Grecia, l'Ungheria, Malta, il Portogallo, la Polonia, l'Islanda e la Slovenia) l'Italia non ha infatti riconosciuto l’«Identity certificate» rilasciato dalle autorità indiane alle persone provenienti dal Tibet.
  Si conferma che, al pari delle analoghe situazioni, in cui il diretto interessato non sia titolare di un documento di viaggio validamente riconosciuto dall'Italia, l'unica possibilità per concedere l'ingresso nel nostro Paese alle persone titolari del predetto «Identity Certificate» è il rilascio di un visto a validità territoriale limitata (VTL), ossia valido solo per l'Italia, apposto su un apposito lasciapassare generato dall'applicativo informatico per la gestione dei visti d'ingresso L-VIS, utilizzando l’«Identity certificate» ai soli fini dell'identificazione dell'interessato. Si tratta della fattispecie indicata dall'articolo 25(3) del codice europeo dei visti (Regolamento (CE) N. 810/2009).
  I casi di mancato rilascio di visti V IL verificatisi nel corrente anno sono stati dovuti alla carenza di documentazione presentata a corredo della domanda e non rispondono a modifiche nell'interpretazione della norma.
  Le domande di visto d'ingresso a favore di tibetani su invito motivato di università, istituti di ricerca, centri culturali e religiosi, continueranno ad essere valutate con la dovuta flessibilità e il necessario pragmatismo alla luce della normativa in vigore, attraverso una adeguata considerazione dei motivi che giustifichino l'emissione di visti a territorialità limitata, tra i quali non rientra il turismo. È in particolare opportuno che, per facilitare il rilascio del visto, i richiedenti siano muniti di un permesso di reingresso in India sin dal momento della richiesta del visto.
  L'avviso comparso sul sito della società di
outsourcing VFS, incaricata della gestione degli appuntamenti allo sportello e del primo esame della completezza della documentazione, relativo alla non accettazione delle domande di visto da parte di titolari di Identity Certificate, è stato rimosso in quanto non corretto.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Benedetto Della Vedova.


   RIZZO, CORDA, BASILIO, ARTINI, PAOLO BERNINI, TOFALO e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante il codice dell'ordinamento militare, regolamenta agli articoli 279 e seguenti la disciplina in tema di alloggi di servizio, fra cui spiccano gli alloggi di servizio connessi all'incarico, cosiddetti alloggi ASI, che a mente del successivo articolo 281, primo comma, sono assegnati al personale dipendente cui sono affidati incarichi che richiedono l'obbligo di abitare presso la località di servizio;

   l'articolo 343, punto c), del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, prevede che gli incarichi che danno diritto all'assegnazione di un alloggio ASI sono individuati dallo Stato maggiore della Difesa, dal Segretariato generale della Difesa o dagli Stati maggiori di Forza armata e inseriti in appositi elenchi;

   per quanto riguarda l'area di competenza dello Stato maggiore della Difesa, nel maggio 2008 venne emanato un elenco degli incarichi che danno titolo all'alloggio ASI, in base alla disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 2004, n. 88, abrogato con l'entrata in vigore del testo unificato citato. Tale elenco non risulta essere stato aggiornato abrogato e pertanto è da ritenere in vigore anche in base alla disciplina di cui allo stesso testo unificato;

   dall'esame del ridetto elenco si evince come l'attribuzione di tali alloggi sia riconosciuta non solo a personale militare, previa ripartizione tra ufficiali e sottufficiali, a loro volta distinti in tre distinte fasce di precedenza, ma vieppiù anche a una quota di personale civile tra cui emergono professionalità per le quali sussistono ampi dubbi sul mantenimento di tale diritto;

   in particolare, risulta che l'alloggio di servizio connesso all'incarico sia anzitutto riconosciuto, come soggetti di prima fascia a pagina 25 del ridetto elenco, ai funzionari dell'ex ruolo dei cancellieri militari che prestano servizio negli uffici giudiziari militari già oggetto di propositi di razionalizzazione alla luce del ridotto carico di lavoro (ordini del giorno nn. 9/01015/002 e 9/01682-A/028, accolti dal Governo il 9 e 24 ottobre 2013, nonché risposta del 19 dicembre 2013 all'interrogazione in Commissione n. 5/01121), di talché risulta dubbia la permanenza di tale previsione alloggiativa di servizio;

   alla suddetta categoria di dipendenti civili della Difesa si aggiungono poi ulteriori professionalità, inserite in seconda e terza fascia, addette ad uffici del tutto specifici per i quali dovrebbe quantomeno essere attentamente valutata l'opportunità del mantenimento di tale diritto alloggiativo di servizio (tra questi incarichi che non paiono agli interroganti giustificare l'alloggio di servizio, vi sono a pagina 25 del citato elenco: «capo ufficio demanio e servitù militari di reparto infrastrutture»; «capo ufficio amministrazione di reparto infrastrutture»; «vice direttore di polo mantenimento»; idraulico con patentino di abilitazione di 2o grado per la conduzione di impianti termici dell'Arsenale esercito di Napoli; «operatore dei servizi di supporto non vedente presso il Policlinico Militare e Centro ospedaliero»; «centralinista non vedente presso lo Spolettificio di Torre Annunziata»; «elettrotecnico del Policlinico Militare di Roma»; «operatore edile (idraulico) del Policlinico Militare di Roma») –:

   se, anche in relazione ai profondi mutamenti intervenuti nella struttura della Difesa, non ritenga di assumere iniziative per rivedere gli incarichi del personale militare e civile per i quali cui è riconosciuto il diritto all'attribuzione dell'alloggio di servizio connessi all'incarico (cosiddetto alloggi ASI), sia nel caso dei funzionari degli uffici giudiziari militari, che di ulteriori professionalità in servizio presso altri uffici centrali e periferici del Ministero della difesa;

   se, in relazione a quanto previsto dalla normativa in vigore, non ritenga inoltre, per evidenti ragioni di trasparenza e correttezza dell'azione amministrativa, di dover fornire gli elenchi di tutti gli incarichi, militari e civili, che danno titolo ad alloggio di servizio, compresi gli alloggi ASIR, e per le medesime ragioni di pubblicarli anche sul proprio sito internet istituzionale.
(4-04189)

  Risposta. — Con decreto ministeriale 7 maggio 2014, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 12 luglio 2014, è stato definito il piano annuale di gestione del patrimonio abitativo in dotazione alla difesa con indicazione:

   del numero complessivo degli alloggi;

   del numero degli alloggi non più ritenuti utili alle esigenze istituzionali della difesa;

   degli alloggi alienabili;

  dei parametri di reddito per il mantenimento degli alloggi in conduzione da parte del personale ritenuto meritevole di tutela.

  Tanto premesso, in merito alle questioni evidenziate nell'atto, si precisa che l'articolo 343, comma 2, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, prevede che le variazioni degli incarichi destinatari di alloggi di servizio connessi all'incarico (ASI) siano proposte allo Stato maggiore della difesa per le valutazioni e l'eventuale approvazione da parte degli Stati maggiori di Forza armata per l'area tecnico – operativa e dal segretariato generale della difesa (segredifesa) per quanto riguarda l'area tecnico – amministrativa.
  Con riferimento, invece, alle criticità espresse sull'attribuzione di alloggi di servizio anche ad «una quota di personale civile tra cui emergono professionalità per le quali sussistono ampi dubbi sul mantenimento di tale diritto», si precisa che, tra le tipologie di incarichi citati nell'atto di sindacato ispettivo, due riguardano l'area tecnico-amministrativa interforze, mentre sette riguardano quella tecnico-operativa dell'Esercito. Per quanto riguarda la prima area, per l'incarico di «Funzionario dell'ex ruolo dei cancellieri militari» è, tuttora, prevista l'assegnazione di alloggio ASI; mentre per l'incarico di «Centralinista non vedente presso lo Spolettificio di Torre Annunziata», lo stesso non risulta ricompreso nell'aggiornamento emanato dallo Stato maggiore della difesa nel luglio 2013. Per quanto concerne la seconda area, lo Stato maggiore dell'Esercito ha rappresentato che l'elenco emanato nel 2008, a seguito delle mutate esigenze operative e funzionali, è recentemente stato oggetto di aggiornamenti e varianti.
  Ad ogni buon conto, nell'ambito della revisione periodica delle assegnazioni, gli Stati maggiori di Forza armata e Segredifesa provvederanno a verificare le posizioni dei singoli assegnatari.
  Con riferimento, invece, ai richiamati aspetti di trasparenza, ogni dipendente della difesa può accedere agli elenchi delle titolarità facendone richiesta al comando di appartenenza.
  Si rende noto, infine, che nel disegno di legge di stabilità per il 2015, attualmente all'esame del Senato in seconda lettura, sono contenuti alcuni provvedimenti relativi agli alloggi di servizio con annessi locali di rappresentanza (ASIR), che, qualora approvati, passeranno dagli attuali 55 a 6 A.S. 1698 articolo 2, comma 114), mentre altre disposizioni sulla riduzione della magistratura militare, presenti nel testo originario del provvedimento A.C. 2679, articolo 31, commi 8, 9, 10, sono state stralciate per estraneità di materia.

La Ministra della difesa: Roberta Pinotti.


   ELVIRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   i brogli negano la volontà popolare ed alimentano, in netto contrasto con l'evoluzione democratica e l'assoluta trasparenza del sistema, la sfiduci dei cittadini verso la classe politica, le istituzioni e verso lo strumento più alto dell'espressione della sovranità popolare, quale è appunto il diritto di voto;

   le accuse di brogli caratterizzano ormai il post elezioni del nostro Paese, sia che si tratti delle consultazioni referendarie, delle elezioni politiche nazionali ed e europee, ovvero delle elezioni amministrative;

   la «storia elettorale» italiana è sempre stata caratterizzata dal sospetto di brogli, a partire dalla stessa unità del Regno d'Italia e dal plebiscito del 1860 per l'annessione del Regno di Napoli al Regno d'Italia;

   soggetto alle stesse accuse fu, da parte dei monarchici, il referendum per la repubblica del 1946;

   più recentemente, tra i casi di presunti brogli più eclatanti si possono ricordare, a titolo esemplificativo, le elezioni europee 2009, svolte alla presenza degli osservatori internazionali dell'Ocse, le elezioni regionali in Piemonte nel 2010 e i vari casi denunciati in Campania, Calabria e Sicilia nel 2010, le primarie del partito democratico a Napoli nel gennaio 2011 e così via;

   è innegabile dunque che la manipolazione della volontà popolare rappresenti un rischio concreto ed attuale;

   lo stesso legislatore ha implicitamente dato conferma dell'esistenza del fenomeno, intervenendo in materia di reati elettorali e ampliando la fattispecie del reato di scambio elettorale politico-mafioso;

   occorrerebbero in realtà semplici accorgimenti per eliminare definitivamente ogni sospetto di inquinamento elettorale e garantire una effettiva libertà e segretezza del voto;

   nei Paesi dell'Unione europea le urne per la raccolta dei voti sono differenti; in alcuni di essi sono utilizzate urne trasparenti, in altri si ricorre a urne opache; in alcuni casi esse vengono chiuse ermeticamente, mentre in altre circostanze gli scrutatori hanno la facoltà di aprirle in qualsiasi momento;

   si rende necessario definire pertanto uno standard di sicurezza più simile ai sistemi vigenti comunitari in grado di garantire che la scheda consegnata all'elettore sia la stessa che viene effettivamente restituita;

   a tal proposito, sarebbe sufficiente rendere l'elettore visibile, seppur di spalle, rispetto della riservatezza e segretezza del voto;

   senza l'adozione di stringenti logiche «anti-broglio», i tentativi deviazione dei risultati elettorali continueranno a condizionare la vita democratica del nostro Paese;

   costruire un sistema «anti-broglio» significa intervenire con vincoli e controlli sia sul processo di voto che di spoglio elettorale;

   a prescindere da un eventuale scioglimento anticipato delle Camere, il nostro Paese, a giudizio dell'interrogante, si sta avviando verso una nuova importantissima tornata elettorale –:

   se il Governo non ritenga opportuno assumere tempestive iniziative normative volte a prevenire e scongiurare il rischio di possibili brogli elettorali e di inquinamento della volontà popolare, sul modello dei sistemi attualmente vigenti in alcuni Paesi dell'Unione europea.
(4-15459)

  Risposta. — La materia oggetto dell'interrogazione - iniziative normative volte a prevenire il rischio di possibili brogli elettorali e di inquinamento della volontà popolare - è attualmente all'attenzione del Parlamento. Infatti, come è noto, nello scorso mese di febbraio la Camera dei deputati ha approvato la proposta di legge A.C. 3113-A, che reca modifiche ai testi unici di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 e 16 maggio 1960, n. 570. Il provvedimento è ora all'esame della commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica.
  Il disegno di legge introduce alcune misure dirette ad assicurare maggiore trasparenza nello svolgimento delle operazioni elettorali e impedire eventuali distorsioni del voto. A tal fine, vengono modificate diverse disposizioni relative a urne e cabine elettorali, alla composizione degli uffici elettorali di sezione, alla trasmissione dei plichi e al numero di elettori per seggio.
  In particolare, si prevede che le urne siano in materiale semitrasparente, così da rendere possibile la verifica della sola presenza di schede elettorali al loro interno.
  Per le cabine, la proposta prevede che esse siano chiuse su tre lati, che il lato aperto sia rivolto verso il muro e che la loro altezza sia diminuita, riparando solo il busto dell'elettore.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Gianpiero Bocci.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 20 giugno 2017 ricorreva la celebrazione della giornata mondiale del rifugiato e per l'occasione l'associazione Amnesty international insieme ad altre organizzazioni e reti che si occupano di tutela dei diritti umani organizzavano un flash mob in piazza del Pantheon a Roma;

   nel corso dell'iniziativa prendevano parola diversi attivisti, avvocati e rappresentanti delle organizzazioni;

   in particolare, al termine dell'intervento di un avvocato che aveva preso la parola per spiegare gli effetti del decreto cosiddetto «Orlando-Minniti» esprimendo il suo parere contrario, lo stesso veniva avvicinato e poi fermato per l'identificazione da agenti della polizia di Stato lì presenti in piazza;

   come si evince dal video pubblicato dalla testata giornalistica Fanpage.it, la stessa sorte toccava agli altri attivisti lì presenti che chiedevano spiegazioni rispetto a quanto stesse accadendo;

   inoltre, sempre dal video pubblicato da Fanpage si vede il funzionario di polizia che sorprendentemente chiede a un attivista di Amnesty se intenda dissociarsi dalle parole pronunciate dall'avvocato durante il suo intervento;

   ad opinione dell'interrogante quanto accaduto rappresenta un fatto gravissimo e un pericoloso precedente; ci si chiede da quando esprimere un'opinione comporta l'identificazione da parte delle forze di polizia posto che non costituisce reato criticare i provvedimenti adottati dal Governo e dal Parlamento in Italia nè è vietato citare pubblicamente il nome dei ministri della Repubblica; soprattutto non ci si spiega come sia stato possibile che le forze dell'ordine abbiano chiesto pubblicamente se intendessero dissociarsi a persone partecipanti all'evento su parole pronunciate da altri nel corso di iniziative pubbliche;

   sembrerebbe, quindi, che a Roma il 20 giugno 2017 sia andata in scena quella che appare all'interrogante una brutta pagina di oscurantismo e di sospensione di fatto dei diritti costituzionali garantiti dalla Repubblica, inaccettabile per un Paese democratico –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, quale sia il suo orientamento al riguardo e come intenda procedere su quanto accaduto;

   quali iniziative urgenti intenda intraprendere per evitare che simili gravi episodi si ripetano in futuro.
(4-17054)

  Risposta. — Come riferito nell'interrogazione, nella serata del 20 giugno 2017, in piazza della Rotonda, a Roma, si è svolta una manifestazione patrocinata dall'associazione Amnesty International, per sensibilizzare la cittadinanza in occasione della giornata mondiale del rifugiato.
  Al termine dell'iniziativa, una persona, utilizzando l'impianto stereofonico amplificato, ha incitato la folla, pronunciando parole offensive e ingiuriose nei confronti delle istituzioni e, in particolare, della polizia di Stato.
  Nella circostanza, poiché nessuno degli organizzatori era in grado di fornire notizie sulla sua identità, il personale in servizio di ordine pubblico ha provveduto all'identificazione della persona, Gianluca Di Candia, deferendola all'autorità giudiziaria per i reati di cui agli articoli 290 (vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate) e 336 (violenza o minaccia a pubblico ufficiale) del codice penale.
  Nel frangente, altre quattro persone, che avevano cercato di ostacolare le attività di identificazione degli operatori di polizia, circondandoli e inveendo nei loro confronti con ingiurie e minacce, sono state deferite all'autorità giudiziaria per il reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale.
  Su un piano più generale, si assicura che la gestione dei servizi di ordine pubblico predisposti dalle autorità di pubblica sicurezza, in occasione di manifestazioni pubbliche, è costantemente ispirata a criteri di equilibrio e di prudenza, in modo da contemperare i diritti costituzionalmente garantiti di riunione e di libera espressione del pensiero con le esigenze di tutela della sicurezza e della pubblica e privata incolumità.
  Eventuali fatti illeciti posti in essere durante tali eventi vengono attentamente monitorati dal personale di polizia in servizio di ordine pubblico e le persone individuate sono tempestivamente deferite all'Autorità giudiziaria per la valutazione di eventuali profili di rilevanza penale, come avvenuto nel caso di specie.

Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.


   VITO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la disciplina dell'attività certificativa dei medici del ruolo professionale dei sanitari della polizia di Stato, nonché dei medici militari in servizio permanente ed in attività di servizio, per il rilascio ovvero il rinnovo della licenza di porto d'armi è stata oggetto di diversi atti normativi caratterizzati da indirizzi e volontà eterogenei;

   con decreto del Ministro della sanità del 14 settembre 1994 la citata competenza certificatoria è stata estesa anche ai medici di tale categoria operanti individualmente ed al di fuori delle strutture pubbliche di appartenenza. Con il successivo decreto del Ministro della sanità del 28 aprile 1998 viene, al contrario, eliminato il riferimento ai «singoli medici appartenenti alla polizia di Stato», sostituendolo con le sole «strutture sanitarie militari e della polizia di Stato»;

   a seguito di sospensione del decreto del 1998 da parte del TAR Veneto, sono state emanate diverse circolari ministeriali e note dell'ispettorato generale della sanità militare del Ministero della difesa che, nell'ambito di un'attività interpretativa e specificativa delle disposizioni di riferimento, hanno contribuito al consolidamento di un regime di incertezza in ordine all'attività di erogazione dei certificati di idoneità psico-fisica strumentali all'ottenimento della licenza di porto d'armi per i singoli medici operanti in qualità di libero professionisti;

   da ultimo, sono stati respinti, da recenti pronunce del TAR Lazio, alcuni ricorsi presentati da ufficiali medici, finalizzati all'annullamento del decreto del 1998, nonché di alcuni provvedimenti dell'ispettorato generale della sanità militare, volti all'ottenimento di un riconoscimento definitivo del loro diritto allo svolgimento dell'attività libero-professionale in relazione al rilascio di certificazioni di idoneità al porto d'armi, sulla base della considerazione dell'esistenza di un grave rischio per la sicurezza pubblica che deriverebbe dall'affidamento al singolo medico operante come libero professionista di un'attività complessa e delicata quale quella in questione;

   la sistematica incertezza nell'interpretazione delle citate norme e negli orientamenti espressi da parte dei vari soggetti istituzionali coinvolti causa notevoli difficoltà –:

   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per fornire un indirizzo chiaro ed univoco sulla complessa materia, anche attraverso l'adozione di un decreto interministeriale, specificando e disciplinando definitivamente la competenza (o meno) delle sopracitate categorie di medici all'emissione di certificati di idoneità finalizzati al rilascio ovvero al rinnovo del porto d'armi in regime di libera professione, al fine di favorire un'uniforme applicazione della normativa in ossequio ai principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento.
(4-15435)

  Risposta. — Nel merito delle questioni poste con l'interrogazione in esame, sentito anche il Ministero dell'interno, si rappresenta che i criteri tecnici per l'accertamento dei requisiti psicofisici minimi per il rilascio e il rinnovo delle diverse licenze relative al porto d'armi sono stati disciplinati col decreto del Ministero della salute del 14 settembre 1994, recante «Requisiti psicofisici minimi per il rilascio ed il rinnovo dell'autorizzazione al porto di fucile per uso di caccia e al porto d'armi per difesa personale».
  Il citato decreto individua, nell'articolo 3, le categorie di sanitari abilitati a valutare la sussistenza dei requisiti psicofisici descritti negli articoli precedenti, stabilendo che l'emissione delle relative certificazioni è compiuta dagli uffici medico-legali e dai distretti sanitari delle unità sanitarie locali o dalle strutture sanitarie militari o della polizia di Stato o dai singoli medici del ruolo professionale dei sanitari della Polizia di Stato o da medici militari in servizio permanente e in attività di servizio.
  Con il successivo decreto del 28 aprile 1998, il Ministero della salute ha rivisto la propria posizione in merito ad alcuni aspetti, tra i quali, l'individuazione dei sanitari abilitati all'accertamento e alla certificazione della sussistenza dei requisiti psicofisici richiesti.
  In particolare, all'articolo 3 del decreto del 1998 si stabilisce che «l'accertamento dei requisiti psicofisici è effettuato dagli uffici medico-legali o dai distretti sanitari delle unità sanitarie locali o dalle strutture sanitarie militari e della Polizia di Stato».
  Rispetto al decreto del 1994, quindi, la competenza certificatoria è stata attribuita alle strutture – militari o della Polizia di Stato – e non più ai singoli medici delle citate amministrazioni. Ciò, in linea con quanto effettuato rispetto agli uffici medico-legali e alle Usl, richiamate nella medesima norma.
  La
ratio di tali disposizioni è quella di attribuire potere certificatorio alla struttura sanitaria pubblica e non a singole categorie di sanitari che, in tal caso, potrebbero operare anche extra moenia rispetto all'ambito sanitario pubblico nel quale operano.
  L'articolo 3 del citato decreto del 1998 è stato impugnato dinanzi al Tar del Veneto, che ha accolto la richiesta di emissione di un provvedimento cautelare di sospensione degli effetti, con conseguente reviviscenza – limitatamente alla disposizione oggetto d'impugnativa – dell'articolo 3 del decreto del 1994.
  Successivamente, con sentenza n. 5654 del 2016, il Tar del Lazio ha respinto il ricorso, ripristinando la completa efficacia del decreto ministeriale del 28 aprile 1998.
  Al riguardo, il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, in data 14 giugno 2016, ha emanato una circolare in cui è stato ribadito che «l'attività certificativa
de qua dovrà essere svolta dai medici della Polizia di Stato solo presso l'ufficio sanitario di appartenenza».
  Si rappresenta, infine, relativamente all'intervento normativo auspicato nell'atto, che l'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo del 26 ottobre 2010, n. 204, ha previsto l'emanazione di un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministero dell'interno, con il quale dovranno essere disciplinate le modalità di accertamento dei requisiti psico-fisici per l'idoneità all'acquisizione, alla detenzione e al conseguimento di qualunque licenza di porto delle armi, nonché al rilascio del nulla osta all'acquisto di armi.

Il Sottosegretario di Stato per la difesa: Domenico Rossi.