Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 18 settembre 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 32 della Costituzione italiana afferma che: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può esser obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». In questo modo si mette in carico allo stato il dovere di curare, mentre si lascia al soggetto la possibilità di rifiutare le cure, ma l'effetto che ne deriva è una potenziale conflittualità con il medico. Da un lato, infatti, spetta a lui, una volta abilitato all'esercizio della professione, l'obbligo di curare, dall'altro gli si rende difficile esercitare questo dovere davanti ad un eventuale rifiuto del paziente. Proprio per questo però il nuovo codice di deontologia medica, mentre garantisce il principio di autodeterminazione del paziente, dedica molti dei suoi articoli a garantire contestualmente la libertà del medico, recentemente messa in discussione sia dagli sviluppi della medicina difensiva che da altri provvedimenti normativi;

    la legge «Gelli» sulla responsabilità del medico – legge n. 24 dell'8 marzo 2017 – all'articolo 1 afferma: «La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell'interesse dell'individuo e della collettività». In questo modo la sicurezza delle cure è diventata parte costitutiva del diritto alla salute, assumendo un vero e proprio valore costituzionale ai sensi dell'articolo 32 della Costituzione. Di conseguenza, la responsabilità del medico ha assunto un carattere ancor più perentorio e si è accentuata la consapevolezza che la sua libertà nelle scelte diagnostico-terapeutiche è determinante per potersi assumere la piena responsabilità ad operare;

    il codice di deontologia medica, all'articolo 3, laddove parla dei doveri generali e competenze del medico, afferma: «Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. Al fine di tutelare la salute individuale e collettiva, il medico esercita attività basate sulle competenze, specifiche ed esclusive, previste negli obiettivi formativi degli Ordinamenti didattici dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi dentaria, integrate e ampliate dallo sviluppo delle conoscenze in medicina, delle abilità tecniche e non tecniche connesse alla pratica professionale, delle innovazioni organizzative e gestionali in sanità, dell'insegnamento e della ricerca. La diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità». Ed è proprio sulla esclusività di questa competenza di diagnosi e cura, non delegabile a nessuno, che si fonda la specificità dell'agire medico, con i suoi doveri, ma anche con il suo diritto inalienabile ad agire sempre in scienza e coscienza;

    il codice di deontologia medica, infatti, subito dopo, all'articolo 4, afferma: «L'esercizio professionale del medico è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità». In questo modo chiarisce come il medico, nell'esercizio della professione, debba sempre ispirarsi «alle regole della deontologia professionale senza sottostare a interessi, imposizioni o condizionamenti di qualsiasi natura»;

    poco più avanti, all'articolo 6, dove si parla di qualità professionale e gestionale, il codice sottolinea che «Il medico fonda l'esercizio delle proprie competenze tecnico-professionali sui principi di efficacia e di appropriatezza, aggiornandoli alle conoscenze scientifiche disponibili e mediante una costante verifica e revisione dei propri atti. Il medico, in ogni ambito operativo, persegue l'uso ottimale delle risorse pubbliche e private salvaguardando l'efficacia, la sicurezza e l'umanizzazione dei servizi sanitari, contrastando ogni forma di discriminazione nell'accesso alle cure». L'insistenza di questi primi articoli è tutta concentrata sullo stretto binomio che lega il diritto-dovere del medico a esercitare la sua professione in spirito di libertà, ma con la massima competenza possibile;

    in coerenza con questi princìpi l'articolo 17 del codice afferma in modo perentorio che «il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte» e all'articolo 22, afferma che: «Il medico può rifiutare la propria opera professionale quando vengano richieste prestazioni in contrasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico-scientifici(...)»;

    il tutto nel clima di una relazione di cura, come quella descritta all'articolo 20, laddove si dice che: «La relazione tra medico e paziente è costituita sulla libertà di scelta e sull'individuazione e condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità. Il medico nella relazione persegue l'alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un'informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura». Una relazione quindi basata sul rispetto reciproco della propria libertà, della propria autonomia e della propria responsabilità. Superato il vetero-paternalismo medico, non si dà atto a nessun capovolgimento di prospettive e al medico si chiede di fare il medico in scienza e coscienza, esercitando contestualmente la sua libertà e la sua responsabilità;

    la Corte di Cassazione, nella sentenza 23 novembre 2010, n. 8254, così come riportato da Massimario.it — 13/2011, stabilisce: «Nel praticare la professione medica il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato, utilizzando i presìdi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge ed alle conseguenti relative responsabilità»;

    il Tar della Puglia, nella sentenza n. 1600 del 2016 ritiene: è riconosciuta la «discrezionalità del medico nella scelta del farmaco più indicato per il proprio paziente», affermando che il medico «non può essere obbligato a indicare nella prescrizione esclusivamente il nome del principio attivo e quindi non può essere rimessa al farmacista la scelta concreta del farmaco da somministrare», in quanto quest'ultimo «non ha infatti né la competenza tecnica, né la conoscenza del quadro clinico dell'assistito» e sottolineando, quindi, che «anche il risparmio della spesa farmaceutica trova il limite del rispetto e della garanzia della libertà prescrittiva del medico quale libertà che si estrinseca proprio nella individuazione del farmaco sulla base del nome commerciale dello stesso»;

    il Tar del Piemonte, nella sentenza n. 382 del 2017 afferma che per le terapie già in corso è consigliato il mantenimento del trattamento farmacologico in essere andando ad annullare la deliberazione del giunta sugli obiettivi economici dei direttori generali che, di fatto, ingenerava nei destinatari una propensione a far indirettamente prevalere logiche di risparmio a discapito del parametro dell'appropriatezza della cura;

    la sentenza del Consiglio di Stato del 15 giugno 2011 afferma la libertà prescrittiva del medico, pur precisando: «gli atti impugnati fanno esplicitamente salva la possibilità che il medico prescriva un prodotto diverso (e più costoso) di quello aggiudicatario, restando la spesa a totale carico del servizio pubblico, sempreché il prescrittore giustifichi la sua scelta con una relazione motivata»;

    a fronte delle univoche disposizioni normative qui citate e dei principi giurisprudenziali cui si è fatto riferimento, talune regioni sembrano ancora voler condizionare e restringere l'autonomia prescrittiva del medico e la sua possibilità di prescrivere in scienza e coscienza il medicinale biologico più appropriato alle esigenze del paziente (in questo senso, si veda la deliberazione della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia 21 aprile 2017, n. 736, la quale prevede che «i prescrittori prescrivano per principio attivo e il farmacista gestisca scelta e approvvigionamento del prodotto»), con conseguente limitazione all'accesso a specifici farmaci e potenziale pregiudizio per i livelli essenziali di assistenza;

    la legge 11 dicembre 2016, n. 232, all'articolo 1, comma 407, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 297 il 21 dicembre 2016, prevedendo il divieto si sostituibilità automatica tra farmaco biologico di riferimento e un suo biosimilare, così come tra biosimilari, ribadisce l'autonomia del medico nella scelta terapeutica, affermando il diritto di prescrivere «il farmaco ritenuto idoneo» alla continuità terapeutica;

    la legge di bilancio citata conferma la posizione dell'Aifa che, all'interno del secondo Concept Paper del 15 giugno 2016, chiarisce: «i medicinali biologici e biosimilari non possono essere considerati sic et simpliciter alla stregua dei prodotti equivalenti, escludendone quindi la sostituibilità automatica», sottolineando che per i pazienti già in cura «l'opportunità di sostituzione resta affidata al giudizio clinico»;

    il dottor Saffi Ettore Giustini, responsabile farmacologia della Società italiana di medicina generale, dichiara: «spetta al medico decidere che cosa utilizzare dopo aver valutato il paziente. Con due avvertenze: se il farmaco funziona la continuità terapeutica non va intaccata; se il paziente non è mai stato trattato non presenta ragioni particolari per essere trattato con biologici originali»,

impegna il Governo:

1) a ribadire la libertà di scelta terapeutica, dal punto di vista etico e legale, da parte del medico, per garantire le migliori modalità di trattamento per il singolo paziente, basandosi su valutazioni di tipo clinico e non meramente economico, senza condizionamenti indebiti ad opera di soggetti non medici;

2) ad assumere iniziative concrete per garantire l'omogeneità dell'applicazione di tale principio, anche al fine di assicurare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e di scongiurare il continuo ricorso alla magistratura competente;

3) ad assumere iniziative per garantire la continuità terapeutica per i pazienti già in trattamento, vietando da parte del farmacista la sostituzione automatica di un farmaco con un altro, fosse pure un biosimilare, in assenza di motivazioni cliniche e qualora la scelta risulti dettata meramente da motivi economici.
(1-01694) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII e IX Commissione,

   premesso che:

    il trasporto marittimo è una rilevante e crescente fonte di emissioni di gas serra e rappresenta attualmente il 4 per cento di tutte le emissioni di gas a effetto serra all'interno dell'Unione europea: come stimato dall'Agenzia europea per l'ambiente, l'industria dei trasporti navali genera ogni anno circa un miliardo di tonnellate di CO2, destinate a diventare, secondo le previsioni, 1,6 miliardi di tonnellate nel 2050;

    i dati più recenti dell'Organizzazione marittima internazionale (Imo) mostrano che, se non verranno adottati dei provvedimenti urgenti per contrastare questa tendenza, le emissioni di gas serra prodotte dal trasporto marittimo aumenteranno del 250 per cento entro il 2050 e arriveranno a rappresentare il 17 per cento delle emissioni globali;

    il settore del trasporto marittimo dipende in larga misura dai combustibili fossili per l'alimentazione dei motori, in particolare dall'olio combustibile, una miscela di oli meno raffinata, più inquinante e più economica che include gasolio, olio combustibile pesante e gas naturale liquefatto. La combustione di questi oli rilascia anidride solforosa e ossidi di azoto, inquinanti altamente pericolosi per la salute umana e per gli ecosistemi;

   in particolare, le navi da crociera, definitivamente assimilate da recentissima giurisprudenza alle navi di linea adibite al trasporto passeggeri – in navigazione – utilizzano olio combustibile pesante ATZ al 3,50 per cento di zolfo, un valore 3.500 volte maggiore di quello del gasolio per autotrazione;

   la maggioranza delle navi da crociera, inoltre, non utilizza alcuna tecnologia di abbattimento delle emissioni (polveri sottili, ossidi di azoto, e nero di carbonio), la cui concentrazione è causa di severe patologie a carico dell'organismo umano – come il cancro, l'asma o malattie cardiovascolari – e che danneggiano gli ecosistemi, contribuendo all'acidificazione e all'eutrofizzazione del suolo, delle acque e delle zone costiere e alla solfatazione dei materiali lapidei che è particolarmente grave nelle città d'arte;

   mentre le emissioni delle navi in navigazione penetrano fino a 400 chilometri nella terraferma, per effetto dei venti, sono soprattutto i motori dalle navi da crociera ormeggiate nei porti, mantenuti accesi a causa del costante fabbisogno energetico alberghiero, ad innalzare i valori di zolfo, ossido di azoto, polveri sottili e fuliggine diesel cancerogena;

   per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica, il regolamento (UE) n. 2015/757 – conosciuto come regolamento EU MRV ed entrato in vigore il 1º luglio 2015 – ha stabilito le norme per il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di CO2, in relazione alle navi che arrivano, circolano o partono da porti sotto la giurisdizione di uno Stato membro, al fine di promuovere in modo efficace la riduzione delle emissioni di derivanti dal trasporto marittimo. Tali disposizioni si applicano alle navi di stazza lorda superiore a 5.000 tonnellate per le emissioni di CO2 rilasciate durante le tratte effettuate da un porto all'altro, ovvero all'interno dei porti;

   l'Unione europea ha inoltre definito una serie di obiettivi per ridurre le emissioni di gas serra (GHG) fino al 2050 attraverso il pacchetto clima-energia 2020 e il quadro clima-energia 2030: per l'anno 2030 le emissioni di gas serra devono essere ridotte per almeno il 40 per cento rispetto al 1990;

   per quanto riguarda, invece, il solo tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo, in ambito comunitario rileva la direttiva 2005/33/CE di modifica della direttiva 1999/32/CE, recepita nell'ordinamento interno dal decreto legislativo n. 205 del 2007, che ha introdotto modifiche alla parte V — titolo III – del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto Testo unico in materia ambientale) articoli 291 e seguenti;

   ai sensi della normativa internazionale, comunitaria e nazionale di riferimento, è vietato, in alto mare, nelle acque territoriali, nelle zona economiche esclusive (Zee) e nelle zone di protezione ecologica (Zpe) dei paesi dell'Unione europea l'utilizzo di combustibili marini con tenore di zolfo superiore al 3,50 per cento in massa da parte di tutte le navi, mentre in futuro, dal 1º gennaio 2020, il limite massimo si ridurrà allo 0,50 per cento in massa;

   per la navigazione all'interno delle aree S.E.C.A. (Sulphur Emission Control Area), nell'ambito dell'Unione europea (Mar Baltico e il Mare del Nord) è vietato l'utilizzo di combustibile con un contenuto di zolfo superiore a 0,10 per cento in massa (regola 14 annesso VI Marpol). Tale limitazione è ribadita, per le navi italiane, dall'articolo 295, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, come emendato dal decreto legislativo n. 112 del 2014;

   per le navi passeggeri battenti bandiera italiana che effettuano un servizio di linea proveniente da o diretto ad un porto di un Paese dell'Unione europea, è vietato, nelle acque territoriali, nelle zone economiche esclusive e nelle zone di protezione ecologica, appartenenti all'Italia, l'utilizzo di combustibili per uso marittimo aventi tenore di zolfo maggiore a 1,5 per cento in massa (fino all'entrata in vigore dei limiti più restrittivi);

   infine, per tutte le navi all'ormeggio nei porti, l'articolo 295, comma 8, del Testo unico ambientale prevede – in aderenza alla normativa comunitaria – l'obbligo, per le navi ormeggiate nei porti, di utilizzare combustibili per uso marittimo (gasoli) con tenore di zolfo non superiore allo 0,10 per cento in massa;

   il 13 luglio 2017 è stato siglato un importante protocollo di intesa tra la capitaneria di porto di Genova e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, che definisce le procedure di controllo e verifica della quantità di zolfo contenuta nei combustibili per uso marittimo delle navi che transitano dal porto di Genova;

   grazie a questa intesa, si velocizzano le operazioni di verifica sul corretto impiego dei carburanti impiegati dalle navi che stazionano nel porto di Genova e sul rispetto dei limiti quantitativi di zolfo previsti dalla normativa vigente: i campioni prelevati a bordo delle navi dal personale militare ispettivo della capitaneria di porto di Genova verranno infatti direttamente esaminati presso laboratori specializzati dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli;

   tali analisi saranno fondamentali per verificare che i combustibili per uso marittimo rispettino effettivamente le quantità massime di tenore di zolfo ammesse dalle leggi nazionali e comunitarie che impongono, ad esempio, per le navi all'ormeggio, un quantitativo di zolfo non superiore allo 0,10 per cento in massa;

   tale convenzione scaturisce da un accordo quadro stipulato a livello centrale tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli e si inserisce nel novero delle iniziative volte alla salvaguardia della salute dei cittadini e di tutela ambientale delle città e delle coste;

   d'altra parte, già da alcuni anni, le operazioni di cui al citato protocollo di intesa vengono effettuate dalla capitaneria di porto di Venezia, con la collaborazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli,

impegnano il Governo

ad assumere tutte le opportune iniziative di competenza per promuovere, a livello centrale, analoghe convenzioni volte ad agevolare le operazioni di verifica sul rispetto dei limiti quantitativi di zolfo impiegati dalle navi che stazionano nei porti, al fine di estendere i contenuti del protocollo di intesa siglato con la capitaneria di porto di Genova a tutti i porti italiani, a tutela della legalità, della salute pubblica e dell'ambiente.
(7-01341) «Spessotto, De Rosa, Zolezzi».


   La VI Commissione,

   premesso che:

    con il decreto-legge n. 99 del 2017, come modificato dalla legge di conversione 31 luglio 2017, n. 121, il Governo ha dettato regole e modalità di esecuzione della liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza;

    in particolare, questo processo ha significato l'acquisizione da parte di Intesa Sanpaolo spa degli asset dei due istituti, ad esclusione di quelli deteriorati, destinati a Gsa e di alcune società ritenute non appetibili da Intesa, rimaste in capo al liquidatore;

    fra gli obiettivi dichiarati dal Governo c'era la salvaguardia dei lavoratori impegnati nelle banche venete, per la quale sono stati impegnati 1,25 miliardi di euro di risorse pubbliche, finalizzate a gestire gli esuberi del gruppo consolidato, impegno confermato dallo stesso cessionario, Banca Intesa, che in diverse sedi ha assicurato che, a seguito del trasferimento del personale delle banche in liquidazione, non si darà luogo a licenziamenti e si farà ricorso, su base volontaria, agli incentivi al prepensionamento previsti nell'ambito del fondo di solidarietà del settore del credito, nonché ad ulteriori misure volte a salvaguardare i livelli occupazionali;

    il suddetto piano degli esuberi coinvolge circa 4.000 dipendenti, che potranno chiedere per la loro uscita anticipata uno «scivolo» fino a sette anni, dei quali poco meno di 1.100 provenienti dalle due banche in liquidazione, mentre i restanti, circa 2.900, da Banca Intesa;

    secondo fonti sindacali (Fisac Cgil, First Cisl) l'accordo raggiunto da Banca Intesa, nell'ambito dell'operazione di integrazione delle due banche in liquidazione, avrebbe esteso l'uso del suddetto fondo di solidarietà fino a 84 mesi per la prima tranche da 1.000 esuberi ed a 60 mesi per le successive 3.000 uscite, tutte, come sottolineato dall'amministratore delegato dell'istituto cessionario Carlo Messina, rigorosamente «volontarie»;

    deve essere rimarcato, quindi, che con l'operazione, pur in modo indolore, il Governo non ha scelto di affrontare la questione occupazionale nel suo complesso, essendosi limitato a destinare 1,25 miliardi di euro alla banca cessionaria perché gestisca in proprio gli esuberi, strategia che comporterà nell'immediato una significativa contrazione occupazionale;

    infatti, secondo quanto si apprende dalle medesime fonti sindacali e giornalistiche, permarrebbero due problemi: il primo è quello relativo alla sorte dei lavoratori delle società non ricomprese nel perimetro della fusione con Intesa Sanpaolo, cioè circa 700 persone, attualmente non contemplate negli accordi, che potrebbero anche avere le condizioni soggettive utili a godere dell'uscita anticipata garantita dai fondi pubblici; il secondo riguarderebbe i 200 giovani lavoratori precari dei due istituti ai quali non è stata prospettata alcuna soluzione diversa dalla mancata riconferma del contratto, e per i quali la fusione coincide quindi con il licenziamento;

    con riferimento ai dipendenti delle 14 società delle due banche in liquidazione ma non rilevate dal cessionario, l'allarme arriva dagli stessi sindacati che, nel sottolineare in particolare il caso della Bim, forniscono un elenco dettagliato, riferito ai dati relativi al bilancio 2016, secondo cui tali società comprendono 684 lavoratori ai quali aggiungere i 319 lavoratori già impiegati nelle controllate estere. Sempre secondo il sindacato, la componente maggiore è costituita dai 481 dipendenti di Bim Banca Immobiliare (Veneto Banca) e delle sue controllate italiane Symphonia Sgr, Bim Fiduciaria e Bim Insurance Brokers. Secondo lo stesso sindacato, non risultano transitate da Veneto Banca a Banca Intesa neppure Apulia Prontoprestito (con 41 dipendenti), Claris Leasing (con 29 dipendenti), Claris Factor (con 26 dipendenti), Apulia Previdenza (con 25 dipendenti) ed Immobiliare Italo Romena (con 7 dipendenti); così come non hanno trovato approdo dalla banca popolare di Vicenza in Banca Intesa le società Immobiliare Stampa (con i suoi 32 dipendenti), Farbanca (28 dipendenti), PrestiNuova, Nem Sgr e BpVi Multicredito (con 15 dipendenti complessivi);

    qualora i suddetti numeri fossero confermati dal Governo, l'intera operazione di liquidazione oltre a determinare una ingiusta ed odiosa discriminazione tra lavoratori, come evidenziato dal primo ordine di problemi, sembrerebbe ancora una volta scaricare l'intero costo di gestioni dissennate e di scelte politiche tardive e pasticciate sui più giovani;

    tra l'altro il decreto-legge n. 99 del 2017 non prevede alcuna esplicita disposizione a garanzia di quanto affermato dal cessionario con riferimento al piano degli esuberi, né tantomeno per quei dipendenti delle società partecipate dalle due banche venete che, non essendo stati acquisiti dal cessionario, rientreranno, insieme ai crediti deteriorati, nel perimetro della «bad bank» Sga;

    i dipendenti delle banche in questi anni hanno già pagato con pesanti sacrifici il prezzo delle difficoltà delle loro aziende e adesso per loro è arrivato il tempo di avere certezze e sicurezze occupazionali per il futuro,

impegna il Governo:

   a vigilare, per quanto di competenza, affinché nell'ambito delle procedure di trasferimento del personale e della trattativa sugli esuberi vengano coinvolti e garantiti, con priorità, tutti i lavoratori, compresi quelli che, pur lavorando per le società partecipate dalle due banche cedute, sono stati esclusi dal decreto-legge n. 99 del 2017 dal perimetro della fusione;

   ad adottare iniziative per definire una norma che chiarisca, all'interno del decreto-legge n. 99 del 2017, che, nell'ambito della procedura di liquidazione, rientrano anche tutti quei lavoratori delle società partecipate dalle due banche cedute e che, secondo quanto dallo stesso stabilito, non sarebbero attualmente ricompresi nel perimetro della fusione con Banca Intesa;

   ad assumere ogni iniziative di competenza perché Banca Intesa si faccia carico degli oltre 200 lavoratori precari delle due ex banche venete, che non devono essere gli unici a non vedere garantita la propria continuità occupazionale.
(7-01342) «Paglia, Marcon, Airaudo, Fratoianni».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   MARCON e PANNARALE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   la legge 31 dicembre 2012, n. 233, ha introdotto l'equo compenso nel settore giornalistico, al fine di garantire la corresponsione di una remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto dai giornalisti che non siano titolari di un rapporto di lavoro subordinato;

   nonostante la legge sia formalmente in vigore da quasi un lustro, è rimasta inapplicata perché Tar e Consiglio di Stato hanno annullato la delibera della commissione per l'equo compenso (sentenza 1076 del 2016, terza sezione), in quanto essa contraddice lo spirito e la lettera della legge n. 233, laddove proclama di dare attuazione all'articolo 36 della Costituzione che garantisce al lavoratore «una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa»;

   di conseguenza, le condizioni applicate dagli editori e dai direttori ai giornalisti free lance, o comunque non titolari di un contratto di lavoro subordinato, sono rimaste le stesse o sono peggiorate;

   la prassi è che articoli, anche da prima pagina, siano pagati pochi euro. Una delle condizioni peggiori che si possa raccontare è quella dei giornalisti che si recano nelle zone di guerre, che in proprio sopportano spese di viaggio, di interpretariato, di assicurazione sulla vita e per quanto altro sia necessario allo svolgimento dell'attività. C'è anche chi rinuncia ad assicurarsi per i costi;

   tale situazione, che esiste solo in Italia, non può essere giustificata con la crisi che vive il mondo dell'editoria, perché i giornali e l'informazione sul web si fanno con gli articoli scritti dai free lance, che costituiscono ormai oltre il 60 per cento della categoria;

   la Commissione istituita per stabilire l'equo compenso aveva adottato il 29 gennaio 2014 una delibera che correttamente Tar e Consiglio di Stato (sent. 1076 del 2016, terza sezione) hanno annullato, in quanto contraddiceva lo spirito e la lettera della legge n. 233. La recente legge sull'editoria (legge 26 ottobre 2016, n. 198) ha prorogato le funzioni della Commissione fino all'approvazione della nuova delibera che definisca l'equo compenso, ma occorre che ciò avvenga presto e in maniera coerente con il dettato normativo per impedire che il giornalismo in Italia muoia e con esso il diritto alla libertà di informazione e all'informazione corretta;

   attraverso la tutela dei giornalisti è possibile garantirsi un argine contro le «bufale» e l'informazione artefatta, il cui numero e peso sono in costante crescita;

   occorre che nel concetto di «remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto dai giornalisti», la Commissione includa anche la copertura di tutte le spese necessarie per la scrittura di articoli e reportage, in «coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato», come si esprime la legge –:

   quali iniziative intenda assumere per garantire che la Commissione per la valutazione dell'equo compenso nel lavoro giornalistico concluda positivamente i suoi lavori in tempi rapidi e quali altre iniziative ritenga necessario promuovere per garantire che il lavoro dei giornalisti free lance sia retribuito in maniera equa e proporzionata, in attuazione dell'articolo 36 della Costituzione.
(3-03238)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   lo Stato italiano è proprietario di un immobile nella città di Salonicco, in Grecia, denominato «Villa Olga»;

   negli anni l'immobile è stato sede del consolato italiano in quella città, ma da tempo è ormai inutilizzato per attività istituzionali;

   il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, proprio in considerazione del perdurante inutilizzo, anche al fine di ottemperare agli obblighi finanziari imposti dalle recenti leggi di bilancio, ha incluso l'immobile nel piano di dismissioni e ne ha quindi decretato l'alienazione o la permuta;

   a quanto consta all'interrogante vi sarebbero espressioni di interesse all'acquisto da parte di imprenditori ed istituzioni locali che avrebbero presentato offerte in linea con i prezzi di mercato e con lo stato di manutenzione dell'edificio, che, comprensibilmente, dopo anni di abbandono e di incuria, necessità di importanti lavori di ristrutturazione e ripristino, che apparentemente l'amministrazione non avrebbe intenzione di effettuare avendone decretato la dismissione;

   il perdurare di tale stato di incuria, tuttavia, rischia di compromettere ulteriormente lo stato e il decoro dell'edificio con conseguente possibile diminuzione del suo valore commerciale;

   parallelamente si ha notizia che la scuola italiana di Atene, a cui guardano con crescente interesse anche ambienti privati ed istituzionali greci, occupa un edificio in locazione annuale, proprietà della Santa Sede, anch'esso bisognoso di importanti interventi di manutenzione straordinaria, e che, inoltre, i locali della cancelleria consolare, oltre che carenti dal punto di vista della sicurezza, sono del tutto inadeguati ad una decorosa situazione lavorativa del personale e all'offerta dei servizi richiesti dall'utenza –:

   se, tenuto conto del mercato immobiliare greco, non si ritenga di dover valutare quanto prima le manifestazioni d'interesse all'acquisto fin qui pervenute per finalizzare la vendita nel più breve tempo possibile;

   se non si ritenga, di assumere iniziative volte a utilizzare i proventi della vendita per riadattare i locali della cancelleria consolare e per garantire, eventualmente in un edificio di nuova acquisizione in permuta, la piena agibilità dei locali della scuola italiana di Atene e la sicurezza degli alunni e degli insegnanti.
(3-03239)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPARINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   a causa dalla metodologia di ripartizione del fondo di solidarietà comunale (Fsc) che, come noto, si basa sulla capacità fiscale, anche per l'anno 2018, la distribuzione di tale fondo si rivelerà svantaggiosa per i piccoli comuni;

   la capacità fiscale, infatti, in questi centri, risulta gonfiata dal gettito potenziale di Imu e Tasi, determinata da un patrimonio immobiliare spesso abbandonato, ma considerato ancora potenzialmente produttivo di reddito da parte del fisco;

   tale problematica è stata nuovamente sollevata, in sede di audizione presso la Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, dalla direttrice generale del dipartimento delle finanze Fabrizia Lapecorella che ha spiegato come nei piccolissimi comuni (sotto i 500 abitanti) la capacità fiscale pro capite per il 2018 raggiungerà quota 629 euro. Nella classe demografica che va da 500 e mille abitanti, invece, si scende a 491 euro pro capite, ma si tratta sempre di cifre che, se appaiono realistiche per un comune di grandi dimensioni (483 euro è infatti la capacità fiscale pro capite degli enti tra 60 mila e 100 mila abitanti) risultano abnormi per un mini-ente;

   ciò è possibile, perché l'ingente patrimonio immobiliare presente in questi piccoli comuni, costituito spesso da seconde case non più abitate, spalmato su una popolazione esigua, porta inevitabilmente la capacità fiscale pro capite a livelli pari a quelli delle metropoli (695 euro è il valore di riferimento per le città sopra i 250.000 abitanti);

   dunque, nel 2017, essendo la ripartizione della quota perequativa del Fsc basata sulla capacità fiscale, il 40 per cento di tale quota è stato attribuito sulla base della differenza tra capacità fiscale e fabbisogni standard e in futuro il peso dei due parametri è destinato a crescere progressivamente visto che la fetta di risorse distribuite sulla base delle capacità fiscali e dei fabbisogni salirà al 55 per cento nel 2018, al 70 per cento nel 2019, all'85 per cento nel 2020 e al 100 per cento a decorrere dal 2021;

   i piccoli comuni sono quindi penalizzati, perché il loro alto valore di capacità fiscale, che non viene compensato da elevati fabbisogni come nel caso delle grandi città, rischia di portare inevitabilmente a una penalizzazione nella distribuzione delle risorse;

   durante la stessa audizione, la direttrice delle Finanze ha sottolineato come nel 2018 si ripresenterà il medesimo problema, nonostante il valore complessivo della capacità fiscale si attesterà a quota 25,2 miliardi di euro (3,4 miliardi in meno rispetto al 2017). Il calo, ha spiegato Lapecorella, è ascrivibile soprattutto alla riduzione della componente Imu-Tasi (-1 miliardo), a sua volta determinata dalla variazione della base dati di riferimento (il gettito effettivo 2015 in luogo di quello 2012) e dalla sterilizzazione del gettito dell'Imu degli immobili di proprietà comunale. La riduzione della capacità fiscale porterà a una riduzione della quota perequativa del fondo di solidarietà comunale 2018, fermo restando che il totale delle risorse a disposizione dei comuni resterà invariato;

   si tenga infine presente che la stessa criticità si presenta anche per i comuni ad alta vocazione turistica –:

   quali iniziative il Ministro intenda immediatamente adottare al fine di non penalizzare, come esposto in premessa, i «mini enti», così come pure i comuni a vocazione turistica, in modo da evitare che l'elevata capacità fiscale prodotta da questi non causi una sproporzionata riduzione della quota perequativa del fondo di solidarietà comunale per il prossimo anno;

   se il Ministro non intenda adottare ulteriori iniziative per ristorare i «mini enti», almeno per il passato biennio 2016-2017 delle mancate risorse non ricevute a causa dell'iniqua distribuzione del Fsc, in considerazione della posizione di svantaggio derivante della qualità di comuni piccoli, spesso montani e quasi del tutto spopolati.
(4-17828)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRANCO BORDO, MOGNATO e FOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il gruppo Ferrovie dello Stato Italiane ha acquisito la piena proprietà di Trainose, il principale operatore ferroviario in Grecia, per un controvalore di 45 milioni di euro. Il closing dell'operazione è avvenuto, nell'ambito del vertice bilaterale Italia-Grecia, Svoltosi a Corfù;

   nelle stesse ore, nel gruppo a partecipazione pubblica, è avvenuto un importante cambio ai vertici gestionali dell'azienda, sul quale, a giudizio degli interroganti, è opportuno fare luce;

   Barbara Morgante ha infatti lasciato dopo due anni di attività l'incarico di amministratore delegato della società più importante del gruppo, Trenitalia. Al suo posto, il consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato italiane ha designato i componenti del nuovo consiglio di amministrazione di Trenitalia. Il nuovo Consiglio di amministrazione, che sarà nominato dalla prossima assemblea di Trenitalia, sarà composto da Tiziano Onesti – riconfermato presidente – Orazio Iacono con l'incarico di amministratore delegato e direttore generale, Paolo Colombo;

   come emerso sulla stampa, tale avvicendamento sarebbe stato in realtà un «siluramento» che l'Amministratore delegato del Gruppo, Renato Mazzoncini, avrebbe operato nei confronti della Morgante, perché si sarebbe manifestamente opposta al progetto di spin-off e successiva offerta pubblica iniziale del 40 per cento di Trenitalia in Borsa;

   come noto, Trenitalia, all'interno del perimetro del gruppo, rappresenta la società che maggiori margini – avendo in pancia tutta l'Alta Velocità – e dunque garantirebbe maggiori dividendi agli azionisti, depauperando il tessuto del trasporto ferroviario pubblico –:

   se il Ministro interrogato intenda fornire elementi circa l'avvicendamento alla carica di amministratore delegato, nonché circa gli indirizzi governativi inerenti a possibili ipotesi legate alla quotazione in borsa di società appartenenti al perimetro del gruppo Ferrovie dello Stato.
(5-12196)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   come è noto il 13 novembre 2013, a seguito del cosiddetto «Ciclone Cleopatra», il ponte di Oloè, ubicato sulla strada provinciale 46 Oliena-Dorgali, ha subito danni gravissimi, con la conseguenza della tragica morte dell'agente di polizia Luca Tanzi;

   il ponte, infatti, è stato oggetto di importanti interventi di manutenzione e di parziale ricostruzione, affidati ad Anas, con un intervento complessivo pari a 2,9 milioni di euro; al termine di una prima fase di lavori il ponte è stato riaperto parzialmente, dopo una chiusura di oltre otto mesi;

   a seguito di ulteriori eventi meteorologici avversi il ponte è stato successivamente soggetto a nuova chiusura temporanea, e a successiva riapertura al traffico;

   la provincia di Nuoro ha incaricato un tecnico specializzato di verificare la sicurezza del ponte, consentendo nel giugno 2016 la transitabilità solo con mezzi di carico complessivo massimo di 440kN per corsia, con distanza minima di 70 metri tra i mezzi, e a condizione di frequenti ispezioni, in particolare dopo eventi climatici eccezionali;

   nel gennaio 2017 il ponte ha presentato nuove criticità, dovute ancora una volta ad eventi meteorologici che ci si ostina a considerare eccezionali, ma che ormai non possono più essere considerati tali;

   il 19 febbraio 2017 la procura di Nuoro ha disposto il sequestro preventivo del ponte, dopo che i periti nominati dalla procura hanno stabilito la pericolosità del ponte stesso. Custode e responsabile del ponte veniva nominato il sindaco di Oliena;

   nel giugno 2017, però la procura è stata costretta a revocare la custodia al sindaco perché venivano segnalati sia la rimozione delle opere finalizzate alla chiusura del ponte, sia degli stessi segnali di divieto di transito, mai ripristinati;

   la procura ha affidato sino al 19 luglio 2017 il compito di custodia al Genio militare che in tempi rapidi ha predisposto il necessario per evitare nuovi episodi come quelli ricordati;

   in recenti riunioni tenutesi presso la prefettura di Nuoro si è ventilata la possibilità di una parziale riapertura del ponte, anche con la costruzione di un «ponte militare» provvisorio in attesa di un rapido finanziamento di un nuovo ponte;

   di fatto ad oggi il ponte continua a rimanere chiuso, isolando cittadine, imprese e mezzi di soccorso;

   sarebbe nel frattempo auspicabile una soluzione temporanea, quale, ad esempio, la costruzione di un ponte militare. Si tratterebbe di un intervento che non richiederebbe molti giorni e che potrebbe essere coperto anche con la compartecipazione degli enti locali interessati e della stessa regione Sardegna;

   come segnalato dal Governo all'interrogante, esiste uno schema di protocollo tra regione Sardegna e Anas per l'attuazione da parte di quest'ultima di alcuni interventi relativi alla viabilità provinciale, tra cui quelli per il ponte di Oloè;

   secondo quanto comunicato dal Governo medesimo, Anas avrebbe proceduto entro il settembre 2017 all'affidamento ai servizi tecnici per gli interventi necessari al fine di giungere nel minor tempo possibile, alla redazione di uno studio di fattibilità tecnico ed economico della nuova opera condiviso con gli enti interessati, anche al fine di qualificare l'impegno finanziario necessario;

   si tratta di un primo passo importante ma che non fornisce tempi certi per la realizzazione dell'opera in questione –:

   se il Ministro interrogato non intenda precisare, per quanto di competenza, i tempi per la concreta realizzazione della nuova opera, in modo da dare certezze ai cittadini che da troppo tempo vivono una situazione assurda e che richiede una risposta concreta e non solo lodevoli impegni.
(4-17826)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   CORSARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la notte fra il 29 e il 30 agosto 2017, all'interno del quartiere romano Tiburtino III, si sono verificati momenti di tensione fra residenti della zona e ospiti del centro di accoglienza di via del Frantoio che insiste sul territorio del IV Municipio;

   quando alcuni adolescenti hanno riferito di essere stati infastiditi da un ospite della struttura, che avrebbe lanciato loro dei sassi, la madre di uno dei ragazzi si è recata all'interno del centro con il figlio chiedendo spiegazioni ma riportando, a sua volta, lesioni su tutto il corpo, poiché gli stranieri ospiti del centro l'avrebbero trascinata in terra. Alcuni residenti del quartiere sono intervenuti in difesa della donna e del minore rimasti chiusi nel centro. A seguito degli scontri fra i due gruppi un immigrato è rimasto ferito alla schiena e trasferito in ospedale;

   il centro di accoglienza in questione, affidato dal dipartimento dei servizi sociali di Roma al Comitato provinciale di Roma della Croce rossa italiana per ospitare i cosiddetti «transitanti» è stato allestito dall'ottobre del 2015 immediatamente accanto alla scuola elementare «Fabio Filzi» che, da allora, ha progressivamente registrato un vertiginoso calo delle iscrizioni a causa dei timori dei genitori degli alunni per la vicinanza con il centro e per l'insicurezza in cui verserebbe, come denunciato dalla preside;

   il 6 settembre 2017, una delegazione del Movimento Casapound Italia si è recata presso gli organi elettivi del municipio per un incontro con i consiglieri, chiedendo loro di convocare un consiglio straordinario sui fatti di cui in premessa;

   tale consiglio straordinario, fissato per la giornata del 13 settembre 2017, è stato violentemente interrotto da un gruppo di facinorosi, privi di autorizzazione a manifestare in loco (presumibilmente appartenenti all'estrema sinistra romana), che, all'apertura della sessione di lavoro, hanno assaltato la struttura con oggetti contundenti (fra cui un martello) e con il lancio di oggetti vari, ferendo alcuni residenti del Tiburtino III presenti sul posto insieme ad una delegazione di Casapound, essendo tanto gli uni quanto gli altri autorizzati ad assistere ai lavori;

   il tutto è documentato da numerosi video pubblicati in rete;

   dai medesimi video, diffusi da alcune testate giornalistiche nazionali, si evincerebbe che le forze dell'ordine presenti sul posto non sarebbero riuscite ad evitare in alcun modo il contatto fra le due parti: gli antagonisti sarebbero riusciti ad avvicinarsi, senza problemi e sotto gli occhi di chi avrebbe dovuto garantire l'ordine pubblico, fino ad assaltare la struttura; soltanto in un secondo momento le forze di polizia avrebbero respinto il gruppo e separato le parti. Il bilancio parla di diversi feriti fra i residenti;

   il IV municipio, insieme al VI, risulterebbero le aree della città di Roma maggiormente interessate per numero di centri di accoglienza. Tali strutture sono state allestite in quartieri periferici e densamente popolosi, dove sorgono alloggi popolari e dove si registrano elevati tassi di microcriminalità –:

   se il Ministro interrogato, anche alla luce dei recenti disordini di agosto 2017 fra forze dell'ordine, immigrati e centri sociali, in occasione dello sgombero dell'edificio in piazza Indipendenza a Roma, intenda garantire, anche tramite il dispiegamento di forze di polizia, lo svolgimento in sicurezza dei prossimi consigli municipali sul centro di accoglienza di via del Frantoio, allo scopo di tutelare i residenti del quartiere e assicurare il libero svolgimento dell'assemblea;

   se non ritenga opportuno convocare un tavolo di confronto sull'ordine pubblico, alla presenza delle istituzioni locali e delle rappresentanze politiche del territorio, per affrontare anche il problema dei centri di accoglienza che insistono in quartieri periferici già interessati da un evidente disagio sociale.
(3-03240)


   CIMBRO, ZOGGIA, RICCIATTI, LAFORGIA, SPERANZA, SCOTTO, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, BERSANI, FRANCO BORDO, BOSSA, CAPODICASA, D'ATTORRE, DURANTI, EPIFANI, FAVA, FERRARA, FOLINO, FONTANELLI, FORMISANO, FOSSATI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, LEVA, MARTELLI, MELILLA, MURER, NICCHI, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, QUARANTA, RAGOSTA, SANNICANDRO, STUMPO, ZACCAGNINI, ZAPPULLA e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il prefetto di Venezia Carlo Boffi ha firmato un'ordinanza «per l'immediata rimozione di ogni riferimento al fascismo contenuto in cartelli, manifesti e scritte» presenti all'interno dello stabilimento balneare Punta Canna a Chioggia. L'atto è stato notificato al gestore dello stabilimento balneare, Gianni Scarpa. Nell'ordinanza è ordinato a Scarpa «di astenersi dall'ulteriore diffusione di messaggi contro la democrazia». L'ordinanza è arrivata dopo la «visita» della Digos e dei vigili urbani, in seguito alle polemiche per la spiaggia nostalgica del Ventennio mussoliniano;

   non vi è alcun dubbio che nelle intenzioni del gestore dello stabilimento balneare che inneggia al fascismo di Chioggia e che intrattiene i bagnanti in discorsi stile Duce, in un ambiente pieno di cartelli con immagini di Mussolini e saluti romani, non ci sia solo «il desiderio di suscitare un sorriso». Anche a giudicare dalle dichiarazioni rilasciate dal gestore a Repubblica: «la democrazia mi fa schifo, qui valgono, le mie regole, i tossici li sterminerei...»;

   non sono mancate l'indignazione e la rabbia di cittadini e amministratori, che hanno esortato a revocare la concessione balneare dello stabilimento, definito dal suo titolare «zona antidemocratica e a regime», con tanto di esortazione ad avere un atteggiamento quanto meno remissivo (Non rompete i c...). Lo stabilimento ha ricevuto la visita della Digos di Venezia, «per accertamenti», e domani anche la Polizia locale effettuerà le verifiche del caso: «Se ci saranno infrazioni alla normativa per quanto ci riguarda, profili penalmente rilevanti o irregolarità nella struttura – ha chiarito il vicesindaco Marco Veronese – il Comune interverrà immediatamente. La notizia di reato è già all'attenzione dell'autorità giudiziaria e quindi l’iter farà il suo corso»;

   quella ostentazione di memorabilia del ventennio – tra gadget fascisti, poster del Duce, il tutto condito dai giudizi sprezzanti del titolare dello stabilimento – ha dunque acceso le ire di tanti. Su tutti l'Anpi di Chioggia, che ha «stigmatizzato il comportamento provocatorio e pericoloso del gestore» e chiesto «l'immediata revoca della concessione balneare e l'applicazione delle sanzioni previste dalle leggi». «Chioggia antifascista non c'entra niente con questo ciarpame: il tizio è miranese, i clienti sono turisti che vengono da altre parti del Veneto», afferma l'Anpi. «Al personaggio ricordiamo che Punta Canna non è “casa sua”, come ama asserire: in quanto concessione demaniale sul suolo italiano, egli è tenuto a rispettare le leggi dello Stato, congruenti con la Costituzione nata dalla Resistenza antifascista» –:

   se non ritenga necessario intervenire, attraverso la prefettura e la questura di Venezia, al fine di verificare tutte le iniziative possibili per evitare il protrarsi di una situazione che vede propagandare i princìpi e simboli del fascismo e che genera grave danno alla memoria e ai valori della Costituzione;

   se non ritenga urgente e doveroso assumere iniziative, per quanto di competenza, per avviare un approfondimento sulla questione;

   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di impedire che situazioni analoghe possano verificarsi in futuro.
(3-03241)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco costituisce una delle realtà più importanti per la sicurezza dei cittadini, svolgendo quotidianamente attività di prevenzione, vigilanza e soccorso a sostegno di soggetti pubblici e privati grazie al proficuo impegno del proprio personale;

   con la costituzione delle colonne mobili per le emergenze di protezione civile, il personale a disposizione dei vari comandi regionali dei vigili del fuoco può essere chiamato ad intervenire in altre regioni colpite da gravi calamità;

   gli interventi sopra citati sono formati dal contratto collettivo nazionale di lavoro dei vigili del fuoco (articolo 35 e articolo 37) e dalla circolare EM 01/2011;

   con circolare EM 05/2013 è stato stabilito che i mezzi e le attrezzature sono risorse strumentali di uso corrente nelle attività di soccorso tecnico e corrispondono all'insieme delle risorse di due sezioni operative di colonna mobile versione sisma, ciascuna delle quali è costituita da tre mezzi (1 ACT recante sul pianale un container ISO 13 S, 1 AF/Combi e 1 CA/PU);

   la tabella delle dotazioni regionali (aggiornata al 2013) prevede per la direzione regionale Abruzzo, tre sezioni operative, versione alluvione e due sezioni operative versione sisma;

   con nota prot. n. 4952 del 4 giugno 2014 della direzione regionale Abruzzo si conferma che il comando di Chieti ha una versione Sisma ed una versione Alluvione;

   in seguito alle emergenze sismiche di Umbria, Lazio, Marche e Abruzzo del 24 agosto 2016, alle successive del 26 e 30 ottobre ed alle scosse di gennaio 2017, il contingente del Comando di Chieti, su disposizione del centro operativo nazionale, si è regolarmente recato nei territori emergenziali;

   al termine della prima fase emergenziale, da sezione operativa è stata fatta rientrare in sede poiché priva dei mezzi e delle attrezzature non rispondenti al sistema di risposta e di totale interoperabilità fra le sezioni operative versione sisma;

   dal 2 novembre 2016 fino al giugno 2017 una sezione operativa di Chieti, alternandosi ogni otto giorni, è stato impegnato presso il Comando operativo avanzato di L'Aquila per le opere di messa in sicurezza dei fabbricati rimasti colpiti dalle varie scosse telluriche;

   nonostante l'impegno gravoso volto a realizzare le opere provvisionali, al personale del comando di Chieti non sono stati assegnati gli attrezzi e mezzi adeguati più volte auspicati per far fronte alle situazioni emergenziali cui sono chiamati a rispondere, malgrado le varie richieste, di adeguamento ed integrazione, sollecitate dal comando provinciale di Chieti alla direzione regionale Abruzzo –:

   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto riportato in premessa, non intenda destinare con urgenza i mezzi e le attrezzature idonee, tra cui l'autocarro ACT ed il relativo container ISO 13 S, per garantire la sicurezza dei cittadini della provincia di Chieti.
(4-17822)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il consiglio comunale di Bettona, con atto n. 8 del 10 marzo 2011, ha deliberato di affidare in concessione a soggetti esterni la gestione dell'impianto da calcio Stadio, via Ponte di Ferro e a tal fine, nella stessa delibera, ha adottato le linee di indirizzo che l'area tecnica del comune avrebbe dovuto seguire nel redigere il bando di gara per la suddetta concessione;

   nelle linee di indirizzo della delibera citata era chiara la volontà dell'amministrazione di produrre, attraverso la concessione, un risparmio economico e anzi ottenere un servizio per la comunità da parte di chi avesse vinto la gara;

   con la determinazione n. 39 del 21 giugno 2011, l'area tecnica del comune di Bettona ha indetto un'asta pubblica con procedura aperta per l'affidamento della concessione di gestione degli impianti sportivi, approvando il bando di gara, nonché il capitolato speciale di appalto;

   la determina suddetta, di fatto, ha dato vita ad una vera e propria gara di appalto – in cui l'onere del servizio ricade sostanzialmente in capo all'amministrazione, e non di concessione – in cui il rischio di gestione è in capo al concessionario, stabilendo anche una base d'asta con contributo annuo di 36 mila euro per venti anni (circa 720 mila euro);

   inoltre, sempre la stessa determina, mette in gara la gestione anche di un altro impianto sportivo sito in via Topino, non solo dello stadio previsto dalla delibera del consiglio comunale citata;

   tale bando di gara è stato pubblicato solo sul sito web istituzionale del comune di Bettona e non sull'albo pretorio, così come stabilito dal codice dei contratti delle concessioni dei lavori pubblici, trattandosi di una gara aperta e, tra l'altro, con una base d'asta molto alta;

   la gara è stata vinta dall'unica società concorrente con un'offerta al ribasso del 10 per cento sulla cifra stabilita dal bando, la convenzione è stata stipulata l'11 gennaio 2012 ed è attualmente in corso di esecuzione, con regolari pagamenti da parte del comune alla società aggiudicataria di oltre 30 mila euro annui;

   le incongruenze di tale procedura sono emerse da subito, anche attraverso diverse segnalazioni di cittadini, tanto che lo stesso comune di Bettona, con diverse delibere, ha richiesto sia un parere legale sulla legittimità della procedura, sia una relazione all'area tecnica responsabile, nonché al segretario comunale, in qualità di responsabile per la prevenzione della corruzione previsto dalla legge n. 190 del 2012;

   mentre il responsabile dell'area tecnica si è di fatto dichiarato non a conoscenza delle incongruenze dei due provvedimenti comunali, affermando di aver solo verificato la documentazione relativa all'aggiudicazione della gara; sia il legale incaricato dal comune che il segretario comunale hanno rilevato l'illegittimità del procedimento adottato, innanzitutto perché la determina dell'area tecnica non rispondeva affatto alla delibera comunale approvata (violazione dell'articolo 42 del Tuel);

   in particolare, il legale incaricato del parere, alla fine ha rilevato la concreta possibilità di ricorrere, da parte del comune, per un concreto e preciso interesse pubblico, all'annullamento in autotutela della concessione;

   nonostante tali rilevanti pareri, il comune di Bettona, pur nella consapevolezza della segnalata illegittimità della procedura, a quanto consta agli interroganti, non risulta aver mai dato seguito alla possibilità del ricorso in autotutela e, dal 2011, continua a pagare oltre 30 mila euro l'anno – una cifra ingente per un comune così piccolo – alla società che gestisce gli impianti sportivi –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non si intenda promuovere una verifica amministrativo-contabile da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato alla luce delle anomalie sopra evidenziate;

   se e quali iniziative normative intenda assumere il Governo al fine di garantire un maggiore e più efficace controllo sugli atti di rilevanza economica degli enti locali al fine di prevenire il rischio di possibili danni erariali, le cui conseguenze penalizzerebbero l'intera collettività amministrata.
(4-17829)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il 4 luglio 2017, nel corso di una conferenza stampa, la Ministra interrogata ha annunciato come «(...) quest'anno saranno 52.000 i posti disponibili per le assunzioni, compresi i 15.100 in più previsti dalla Legge di Bilancio grazie alla trasformazione di una parte dell'organico di fatto in organico di diritto.». La Ministra ha assicurato che «le procedure per le assunzioni si concluderanno entro il 14 agosto, con decorrenza dei contratti dal primo settembre. Lo scorso anno si chiusero il 15 settembre»;

   inoltre, «grazie all'intesa siglata con le organizzazioni sindacali il 21 giugno scorso, le assegnazioni provvisorie si concluderanno entro il 31 agosto»;

   la Ministra ha evidenziato infine «tempi più rapidi anche per l'assegnazione delle supplenze annuali: verranno effettuate entro la metà di settembre, in corrispondenza dell'inizio delle lezioni, garantendo alle ragazze e ai ragazzi continuità didattica e rispetto del diritto allo studio. L'anno scorso le procedure si conclusero ad ottobre. In più, grazie alle nuove assunzioni, il numero delle supplenti e dei supplenti si ridurrà di almeno 15.000 unità»;

   con il decreto ministeriale n. 522 del 26 luglio 2017, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha autorizzato i contingenti delle assunzioni docenti 2017/2018. Nello specifico, il provvedimento prevede «la copertura di 51.773 posti di lavoro nella scuola. Le assunzioni per insegnanti saranno effettuate a valere sulle graduatorie dei concorsi per docenti, per titoli ed esami, attualmente vigenti, e sulle graduatorie ad esaurimento (GAE). Gli inserimenti del personale docente saranno effettuati a tempo indeterminato per il prossimo anno scolastico»;

   come riportato da Il Sole 24 Ore il 27 luglio 2017, «il DM emanato con quasi un mese di anticipo, grazie anche alla rapidità con cui si sono svolte le procedure di mobilità, metterà gli uffici scolastici territoriali e le segreterie nelle condizioni di accelerare. Questi inserimenti saranno resi possibili grazie all'intesa raggiunta, lo scorso 9 maggio, dal Miur con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, per attuare la Legge di Bilancio. Lo scopo è quello di garantire un avvio ordinato del prossimo anno scolastico, affinché studentesse e studenti possano avere i docenti in cattedra fin da subito (...)»;

   in merito alla riapertura del nuovo anno scolastico in Friuli Venezia Giulia, Il Piccolo di Trieste nell'articolo del 10 settembre 2017 ha informato che «(...) 23.950 studenti triestini tra i 3 ai 18 anni faranno il loro ingresso in classe.» Tuttavia, secondo i sindacati, il mondo della scuola a Trieste presenta ancora criticità evidenti. Donato Lamorte, segretario generale della Cisl scuola Friuli Venezia Giulia, ha spiegato come «nella scuola primaria manchino ormai da tempo docenti di sostegno specializzato. Non ce ne sono a sufficienza e molti posti andranno a chi non ha i requisiti richiesti. Purtroppo il Ministero non ha ancora attivato nuovi percorsi formativi adeguati, pur essendo forte l'esigenza.»;

   Lamorte ha sottolineato che «sono stati concessi in deroga sul sostegno in Regione più di 590 posti, ma mancano gli insegnanti. Ciò significa che alcuni bambini con difficoltà saranno seguiti da persone che si attiveranno al meglio per fornire un supporto concreto, pur non avendo una specializzazione in quel determinato campo»; inoltre, «risulta assente il personale Amministrativo, Tecnico e Ausiliario statale (Ata). Le scuole hanno difficoltà a coprire tutte le esigenze di un determinato istituto, in termini di collaboratori scolastici e assistenti amministrativi, servono, dunque, posti aggiuntivi oltre a quelli concessi. Gli istituti scolastici sono in sofferenza.»;

   in ultimo, si rilevano criticità anche nelle scuole pubbliche di secondo grado. Clementina Frescura, preside dell'istituto tecnico statale Alessandro Volta di Trieste, ha spiegato come sia «arrivata tardi la conferma dell'organico e, di conseguenza, l'indicazione del numero di insegnanti e delle classi autorizzate. Grazie al grande lavoro di questi giorni partiremo comunque anche se, come accade ormai 7 da anni, manca ancora qualche docente. Ormai siamo abituati a situazioni simili e riusciremo a gestirle anche quest'anno» –:

   se il Ministro interrogato ritenga di dover assumere iniziative al fine di verificare le criticità riportate in premessa;

   se e quali iniziative intenda assumere per garantire agli alunni disabili della scuola primaria il diritto ad un percorso educativo adeguato attraverso la presenza di docenti di sostegno specializzati;

   quali iniziative intenda assumere affinché sia incrementato il corpo docenti ed il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, necessari a garantire la corretta gestione degli istituti;

   se intenda fornire chiarimenti sul ritardo della conferma dell'organico 2017/2018 previsto per gli istituti superiori di secondo grado.
(4-17827)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIORIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la sentenza della Corte costituzionale n. 139 del 14 giugno 2017 ha sancito che, per l'attuazione dei piani di controllo di cui all'articolo 19 della legge n. 157 del 1992, le «guardie venatorie dipendenti delle Amministrazioni provinciali» si possono avvalere «tassativamente» soltanto delle figure riportate nel medesimo articolo e conseguentemente: i proprietari dei fondi su cui si attua l'intervento, le guardie forestali e quelle comunali;

   tal sentenza ha ritenuto illegittime alcune disposizioni della legge della regione Liguria n. 29 del 2015, che prevedeva di avvalersi anche di coadiutori appositamente abilitati;

   il notevole incremento della fauna selvatica e la diminuzione esponenziale dei cacciatori ha reso necessario negli ultimi anni un ricorso sempre più frequente, da parte delle regioni, ai piani di controllo ed agli abbattimenti selettivi per far fronte agli ingenti danni provocati dagli animali alle produzioni agricole e perfino agli insediamenti urbani, anche nei territori preclusi all'esercizio venatorio;

   i soli soggetti ricompresi nell'articolo 19 della legge n. 157 del 1992 non sono quindi attualmente in numero sufficiente per risolvere le gravi problematiche che il proliferare della fauna selvatica crea alle imprese agricole ed alla popolazione civile;

   molte regioni sono già ricorse all'ausilio di operatori abilitati, appositamente armati, per contenere i danni della fauna selvatica;

   la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato in questo contesto un ordine del giorno, in data 22 giugno del 2017, per introdurre modifiche alla normativa vigente in materia al fine di permettere alle regioni di poter continuare a ricorrere ad altre figure abilitate, oltre a quelle esplicitamente indicate dall'articolo 19 della legge n. 157 del 1992;

   le associazioni venatorie hanno auspicato una rapida soluzione di questa problematica chiedendo l'approvazione di una norma per contenere la fauna selvatica, compatibilmente con la legislazione nazionale e comunitaria, le indicazioni del mondo scientifico, le esigenze della tutela animale e dell'ambiente, la sicurezza della popolazione e la salvaguardia delle imprese agricole –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle criticità esposte in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine si sostenere le regioni nel contenimento della fauna selvatica, nel corretto adempimento delle norme di cui all'articolo 19 della legge n. 157 del 1992.
(5-12197)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO, PALAZZOTTO, SCOTTO, RAGOSTA, GIANCARLO GIORDANO e AIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere — premesso che:

   gli agricoltori, allevatori di bufale e componenti della filiera agricola di base dell'allevamento bufalino dell'area di produzione della mozzarella di bufala campana DOP, sono stremati e continuano a denunciare, purtroppo senza esiti positivi di riscontro, la gravissima situazione di emergenza che si è determinata nel comparto a danno essenzialmente del settore primario;

   a parere degli interroganti appare inquietante quanto gli allevatori di bufale stanno subendo e denunciando alle istituzioni e alle autorità competenti in merito a disdette contrattuali repentine e, talvolta, senza preavviso per le quali il loro latte viene lasciato negli allevamenti, seppure, come noto, il latte di bufala prodotto in Italia, e destinato alla trasformazione di mozzarella di bufala campana DOP, sia nettamente inferiore ai quantitativi di mozzarella di bufala, sia DOP e sia non DOP, commercializzata dai caseifici;

   con decreto ministeriale del 14 gennaio 2010 il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, aveva istituito un «Comitato di garanzia avente il compito di coordinare e supervisionare l'attività di tutela, promozione, valorizzazione e informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla mozzarella DOP di bufala campana», commissariando di fatto il citato consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP;

   il comitato di Garanzia, coordinato dal colonnello Marco Paolo Mantile del nucleo antifrodi dei carabinieri, NAC, accertava che, in dispregio alle norme di tutela buona parte della mozzarella di bufala campana DOP veniva prodotta anche con il concentrato di latte di bufala o cagliata congelata di latte di bufala o latte di bufala in polvere o ricostruito, così come evidenziato con una puntuale attività di controllo e di verifica durata 6 mesi, dal 21 gennaio al 14 giugno 2010, conclusa con un'articolata relazione consegnata il 7 luglio 2010 al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali pro tempore e alla direzione distrettuale antimafia della procura Napoli;

   in data 30 giugno 2011 presso la «Commissione Parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale», nel corso dell'audizione il colonnello Marco Paolo Mantile, esponeva, dettagliatamente, le attività ispettive espletate che si concludevano con 31 ispezioni e 31 sequestri di cui 21 per violazioni amministrative e 10 per violazioni penali, con il conseguente sequestro di circa 12.000 tonnellate di latte concentrato e cagliata di latte di bufala, essenzialmente di provenienza estera, per un valore complessivo di 17 milioni di euro;

   su tali sequestri, a seguito di ricorsi opposti dagli inquisiti, sia il Tar Campania che il Consiglio di Stato hanno dato pienamente ragione agli operatori della giustizia. Non solo, anche in sede penale, si è arrivati fino al ricorso in Corte di Cassazione da parte della controparte, ma l'attività ispettiva è stata considerata legittima e, quindi, non ci sono state osservazioni di sorta. Anzi, la direzione distrettuale antimafia di Napoli ha chiesto ed ottenuto copia dell'intera relazione al colonnello Marco Paolo Mantile;

   il rapporto del «comitato di garanzia», coordinato dal colonnello Marco Paolo Mantile, è stato recentemente riconsegnato al Ministro interrogato, la quale dichiarava di non conoscere le conclusioni dell'indagine effettuata sul consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP dando l'impressione di non sapere di come la cagliata congelata e/o il latte di bufala fresco, concentrato o ricostruito venissero acquistati sui mercati nazionali e internazionali a prezzi irrisori, ossia con un costo della pasta congelata di circa 2 euro al chilogrammo;

   tale vicenda è stata altresì resa pubblica nella puntata del 20 giugno 2013 dal programma televisivo «Servizio Pubblico Più – Una Vera Bufala» andato in rete su You Tube. La registrazione, fatta nel maggio 2013 presso la «Fiera internazionale Tutto Food» di Milano, ha messo in evidenza le modalità, i tempi e il prezzo della presunta frode commerciale unitamente alla «turbativa di mercato ed al reato di sistema» che, purtroppo, perdura da molti anni e, nonostante la gravità dei fatti, i reati consumati rimangono a tutt'oggi impuniti;

   di recente, i mezzi d'informazione hanno divulgato ampi stralci degli esiti dell'indagine durata due anni a seguito della quale la procura della Repubblica di Napoli ha chiesto l'arresto di un «gruppo criminale» che per anni avrebbe violato il disciplinare tecnico di produzione, grazie a un accordo fraudolento tra controllori e controllati. In tale indagine emergono numerose telefonate in cui gli indagati discutono delle loro trasgressioni al disciplinare tecnico di produzione, dell'uso di materia prima proveniente dalla Lituania, dall'Estonia e dalla Polonia (si accenna, in alcuni casi, persino a latte in polvere proveniente dall'India) e della necessità di utilizzare decine di migliaia di quintali di latte congelato e stoccato nei depositi, del valore di milioni di euro, senza il quale, «lamentano», i costi si moltiplicherebbero e il fatturato si dimezzerebbe;

   a seguito di tale vicenda, la procura della Repubblica di Napoli ha chiesto l'arresto in carcere di 38 persone di cui gran parte titolari di caseifici ed il sequestro di una trentina di strutture casearie, il giudice per le indagini preliminari, ad ogni modo, ha negato le misure cautelari;

   a tal proposito il settimanale l'Espresso del 29 ottobre 2012 pubblicava uno sconcertante articolo che riportava tratti dell'ordinanza del tribunale di Napoli che ha chiarito come quasi nessuno ottemperava alle regole scritte che venivano continuamente violate. E, allora, la preoccupazione di tutti, di fronte ai controlli sempre più stringenti dei NAS, sembra essere quella di «uscire dall'illegalità». Non certo, però, cominciando finalmente a utilizzare solo latte fresco prodotto nell'area DOP: «...bisogna modificare il disciplinare e consentire ai caseifici di utilizzare una percentuale di latte congelato o cagliata congelata – si legge in un'intercettazione – sono 20 anni che lo facciamo tutti quanti. Questa è la posizione. E la stessa posizione l'avrà Assolatte, l'avrà l'Unione industriali, l'avranno tutti quanti...». In un'altra conversazione si legge che: «...siamo in difficoltà, questi qua ci fanno chiudere: noi facciamo tutti quanti delle frodi...»; ed ancora: «... se non utilizziamo il latte congelato il fatturato scende del 50 per cento». «Il problema è che negli anni tutti hanno ammassato enormi quantità di latte congelato». Il titolare di un caseificio, ammette di avere «...10 mila quintali stoccati...» con valore di mercato di 1,3 milioni di euro, un altro ancora parla di «...un milione e 750 mila litri nelle celle...»;

   al riguardo è alquanto singolare, come recentemente in sede di audizioni parlamentari presso la XIII Commissione agricoltura della Camera dei deputati, che il «Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP» e l'unione industriale «Assolatte», abbiano rappresentato la necessità di modificare il disciplinare tecnico di produzione della mozzarella di bufala DOP, come già aveva proposto il predetto Consorzio di tutela con una delibera approvata il 27 giugno 2012, approvando una procedura per la modifica del disciplinare tecnico volta a consentire l'utilizzo dei meccanismi della concertazione agricola del «tavolo verde» presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali al fine di ottenere il decreto di approvazione di modifica del disciplinare tecnico;

   nel caso in cui una tale modifica fosse assentita, gli effetti che genererebbe sarebbero distruttivi per il settore della mozzarella di bufala DOP campana. A tal riguardo, gli allevatori bufalini si stanno opponendo con decisione alla manomissione del disciplinare tecnico a fronte del fatto, ulteriore, che il prezzo del latte pagato alle stalle è irrisorio e in tali frangenti si aggiunge il timore che precipiti ancora di più;

   bisogna ricordare che per poter utilizzare la denominazione d'origine protetta, la mozzarella di bufala campana deve essere prodotta solo con latte fresco proveniente dalle province di Caserta e Salerno e di altri comuni ricompresi tra le province di Napoli, Benevento, Isernia, Frosinone, Latina, Foggia, Roma. Ci sono delle prescrizioni tecnico-qualitative che regolamentano in maniera dettagliata il processo di trasformazione del latte di bufala, ossia: il latte deve essere trasformato entro le 60 ore dalla mungitura, acidificato con siero naturale e coagulato con caglio di vitello;

   appare sconcertante, altresì, la notizia del 21 settembre 2013, riguardante il sequestro di mozzarella di bufala campana in cui sono state rinvenute tracce di furosina (indicatore-rivelatore che conferma la presenza di polvere di latte di bufala per la trasformazione in mozzarelle);

   i casi di adulterazione della mozzarella di bufala campana DOP, assurti alla massima visibilità nazionale ed internazionale, richiedono un immediato e deciso intervento del Governo che riaffermi la volontà delle istituzioni preposte di tutelare un patrimonio alimentare nazionale d'indubbio valore culturale e identitario del territorio, oltreché l'apprezzamento delle proprietà organolettiche che rendono la mozzarella di bufala campana DOP un prodotto invidiato in tutto il mondo;

   va ricordato che in passato, al fine di incrementare l'azione di controllo e di tutela sulla mozzarella di bufala campana DOP, e stato attivato uno specifico percorso normativo parlamentare che ha condotto all'approvazione della legge del 30 dicembre 2008, n. 205, che ha convertito il decreto-legge del 3 novembre 2008, n. 171, recante «Misure urgenti per il lancio competitivo del settore agroalimentare». Nella legge e contenuta una disposizione specifica (articolo 4-quinquiesdecies), recante «Disposizioni per la produzione della mozzarella di bufala campana DOP» che prevede che «a decorrere dal 1o gennaio 2013 la produzione della mozzarella di bufala campana, registrata come denominazione di origine protetta (DOP) ai sensi del regolamento CE n. 1107/96 della Commissione del 12 giugno 1996, deve essere effettuata in stabilimenti separati da quelli in cui ha luogo la produzione di altri tipi di formaggi o preparati alimentari», imponendo così nuovi principi per la gestione dei controlli e prevedendo una maggiore tutela dei diritti dei consumatori;

   le problematiche della filiera, nonostante provvedimenti legislativi come il summenzionato, sono ancora enormi e di vario tipo ed è indispensabile, pertanto, che il Ministro si attivi il prima possibile al fine di dare attuazione agli obiettivi previsti dalla legge del 30 dicembre 2008, n. 205, e, specificatamente, da quanto previsto dall'articolo 4-quinquiesdecies;

   per contrastare le sofisticazioni e le problematiche connesse e consequenziali a esse, sono necessarie da parte delle Asl e dei nuclei antisofisticazione dei carabinieri – fornendo, ovviamente tutti gli strumenti necessari per consentire controlli costanti e a tappeto – azioni permanenti di controllo della filiera della mozzarella di bufala DOP e del sistema di produzione e di commercializzazione dei latticini di latte di bufala non DOP, confrontando, per esempio, il latte munto alla stalla con i volumi di formaggi prodotti, in quanto, come denunciato, si rileva l'immissione sul mercato a prezzi irrisori di mozzarella di bufala in imballaggi recanti la denominazione DOP, seppur viene fatturata come latticino generico e ciò in ragione dell'ipotizzato, ma si potrebbe tranquillamente dire accertato, utilizzo di materie prime a basso costo, di latte liquido e di latte concentrato di bufala importati, oppure di cagliata congelata nazionale o estera;

   appare inderogabile tracciare tutta la filiera di latte di bufala prodotto in Italia, unitamente a quello proveniente dall'estero, verificando con opportuni controlli incrociati i volumi di produzione di latte alla stalla e la conseguente trasformazione in mozzarella di bufala DOP e non DOP, così come viene realizzata nei caseifici autorizzati;

   i controlli dovrebbero essere eseguiti in maniera costante e all'improvviso, in modo da tutelare sia i produttori di latte, sia i caseifici che hanno lavorato e continuano a lavorare onestamente, ma principalmente per garantire al consumatore la sicurezza e la qualità di ciò che acquista, all'allevatore e al trasformatore onesto, il giusto ritorno della redditività delle loro imprese e ai lavoratori del settore di vedersi tutelato il posto di lavoro all'interno di un comporto di filiera che se bonificato radicalmente, potrebbe creare ulteriori posti di lavoro –:

   se non si ritenga urgente avviare una immediata tracciatura di tutto il latte di bufala prodotto in Italia, nonché il latte fresco di bufala importato, il concentrato di latte e le cagliate di latte di bufala congelato proveniente da Paesi esteri;

   se corrisponda al vero la notizia secondo cui gli uffici preposti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali starebbero valutando l'approvazione della modifica del disciplinare tecnico della mozzarella di bufala campana DOP nella direzione di ammettere la pratica del congelamento del latte o della cagliata congelata di latte di bufala, al fine di permetterne il relativo uso differito nella produzione della mozzarella DOP e, in caso affermativo, se al verificarsi di tali assurde circostanze non si intenda fermamente rigettare una tale richiesta a giudizio degli interroganti irresponsabile o qualunque altra istanza che avesse come fine la modifica, peggiorativa, del disciplinare tecnico di produzione della mozzarella di bufala campana DOP;

   se il Ministro intenda provvedere all'attuazione senza proroghe della normativa relativa alla separazione dei luoghi di produzione della mozzarella di bufala campana DOP e della mozzarella non DOP, il cui termine è slittato di oltre due anni da quanto previsto dalla legge richiamata;

   se non si ritenga necessario emanare un'iniziativa urgente che preveda in capo al «Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana DOP» e agli altri enti interessati l'attività obbligatoria di controllo e di verifica mensile incrociata tra la produzione di latte, di ciascuno allevamento bufalino dell'area DOP, e l'effettiva trasformazione e resa quantitativa nei caseifici che ritirano per la produzione di mozzarella di bufala campana DOP e la mozzarella di bufala italiana non DOP, definendo, inoltre, misure dissuasive, integrative e aggiuntive, a quelle ordinarie già previste a carico delle strutture casearie che violano i vincoli normativi di riferimento, al fine di scoraggiare le frodi commerciali;

   se non sia utile e necessario adottare iniziative in favore degli allevatori di bufale dell'area DOP della mozzarella di bufala campana, volte a permettere una più ampia e diffusa applicazione della tecnica della destagionalizzazione dei parti delle bufale.
(4-17824)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   CORDA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con un bando di quasi 86 milioni di euro, è in corso la procedura per l'affidamento del servizio di elisoccorso in regione Sardegna. Tre sono le aziende private che si contenderanno la vittoria della gara, due aziende italiane e una belga;

   sulla base di una convenzione stipulata con la regione Sardegna, la gestione dell'elisoccorso è ad oggi affidata al Corpo nazionale dei vigili del fuoco che garantiscono la natura tura pubblica del servizio;

   tale servizio è svolto ininterrottamente da 17 anni dai vigili del fuoco che con instancabile spirito di abnegazione, hanno anche sempre garantito in aggiunta, il supporto tecnico specialistico speleo alpino fluviale imbarcando il personale saf e i sommozzatori per gli eventi a mare, ampliando quindi lo spettro operativo del semplice standard HEMS oggi a bando; un servizio altamente qualificato, svolto da operatori di comprovata competenza e consolidata esperienza per il corretto svolgimento dell'attività a cui incomprensibilmente si rinuncerebbe. Paradossalmente, domani, per un soccorso a mare potrebbero intervenire due elicotteri, quello dei vigili del fuoco o della capitaneria per un recupero e quello del 118 per l'intervento sanitario, mentre oggi tutto coincide in un solo operatore tecnico-sanitario;

   l'esercizio del servizio di elisoccorso verrà sottratto al Corpo dei vigili del fuoco in virtù di un bando milionario e con lo stanziamento di ingenti risorse che, con scelta ragionevole, potrebbero essere investite per efficientare il servizio stesso e per la costruzione delle elisuperfici diurne e notturne o comunque per sostenere il servizio sanitario regionale. Si tratta di una irragionevole stortura quella di cedere un servizio del tutto pubblico in favore di privati anche in ragione del piano di rientro e della riorganizzazione cui è sottoposta regione Sardegna. È doveroso ricordare il virtuoso esempio della regione Liguria che mantiene l'elisoccorso in opera attraverso identica convenzione con i vigili del fuoco con positivi riscontri degli enti di controllo, rapporto qualità-efficienza-costi lodato dalla Corte dei conti e rispetto del pubblico interesse, sentenziato dal Consiglio di Stato; proprio perché il servizio non ha il naturale fine di lucro che è alla base dell'attività imprenditoriale, la collettività ne ha un risparmio netto;

   a parità di efficienza e qualità, è una scelta incomprensibile rinunciare a risparmi milionari alla luce dell'attuale insostenibilità del bilancio del servizio sanitario regionale che divora metà del bilancio generale. Investire ed estendere la convenzione in corso con i vigili del fuoco comporterebbe risparmi per 30 milioni di euro negli 8 anni dell'affidamento a gara, in considerazione del fatto che una postazione h12 diurna costa oggi un milione e 380 mila euro, a fronte dei 2 milioni e 293 mila che costerà con il privato, essendone state previste tre, una delle quali estesa alle ore notturne;

   gli standard operativi del dipartimento dei vigili del fuoco sono superiori alle prescrizioni imposte agli operatori civili, sia in relazione al numero dei componenti degli equipaggi presenti nel trasporto che in relazione alle rispettive professionalità;

   le obiezioni alle ragioni di qualità, efficienza, efficacia e sostenibilità, ad avviso dell'interrogante non hanno mai trovato nessuna fondata e solida argomentazione da parte dell'assessore alla sanità sarda Arru –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, con particolare riferimento alle motivazioni per le quali si è deciso di non mantenere l'affidamento ai vigili del fuoco del servizio di elisoccorso, e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per favorire una soluzione che consenta l'espletamento del servizio da parte di un soggetto pubblico, quale il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che risulta di provata esperienza e professionalità e che permetterebbe una riduzione dei costi.
(4-17823)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, EPIFANI, FERRARA, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PIRAS, QUARANTA, FOLINO e SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   i dati dell'Istat relativi al secondo trimestre 2017 rilevano un complessivo aumento dell’export del +1,8 per cento per le regioni del Centro-Italia;

   nei primi sei mesi del 2017, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, nonostante il trend generale positivo, si segnala in senso negativo il dato della regione Marche, che fornisce un contributo negativo del -1,2 per cento;

   nello specifico, l'analisi regionale per mercati di sbocco rivela per la regione un consistente calo delle vendite verso il Belgio che segna un report negativo del 17,8 per cento e la Germania, con un -16,7 per cento;

   quanto ai settori maggiormente interessati si segnala il dato della vendita degli apparecchi elettrici, che nelle Marche segnano una variazione negativa del 12,9 per cento e degli articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici, che registrano complessivamente un -21,1 per cento;

   per quanto riguarda le province che nel primo semestre del 2017 forniscono un contributo negativo alle esportazioni nazionali, il dato regionale peggiore è quello di Ascoli Piceno, terza provincia italiana per dato negativo, con il -14,2 per cento –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per sostenere l’export della regione Marche.
(5-12194)


   FRAGOMELI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   la legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017), al comma 453, reca una norma relativa al pagamento dei canoni concessori del servizio di distribuzione del gas in merito alle concessioni scadute, e prevede che «l'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, si interpreta nel senso che il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone di concessione previsto dal contratto. Le risorse derivanti dall'applicazione della presente disposizione concorrono al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti locali»;

   si tratta di una norma interpretativa finalizzata a chiarire che nelle ipotesi previste dal citato articolo 14, comma 7, del decreto-legge 23 maggio 2000, n. 164 (quella in cui il gestore uscente resta comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio, limitatamente all'ordinaria amministrazione, fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento), il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone di concessione previsto dal contratto;

   tale intervento normativo si è reso necessario per risolvere i numerosi contenziosi in essere tra i concessionari delle reti del gas e le amministrazioni comunali, problematica già oggetto di atti di sindacato ispettivo nel corso del 2016 e del 2017;

   già nel rispondere all'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-09116, il 7 luglio 2016, il Governo aveva dichiarato che il Ministero dello sviluppo economico, non ritenendo di fare una circolare esplicativa sul tema, riteneva più opportuno inviare a tutti i soggetti interessati (associazioni e operatori del settore della distribuzione gas, Anci, all'Autorità per l'energia l'elettrica, il gas e il servizio idrico), una nota che ribadiva quanto già espresso, dal legislatore nell'articolo 14 del decreto legislativo n. 164 del 2000 ovvero che «il distributore è tenuto a proseguire nella ordinaria gestione del servizio anche dopo la scadenza (ex lege o naturale) della concessione e fino al nuovo affidamento e che dovendo, pertanto, proseguire nella gestione esso continuerà a percepire la tariffa per il servizio svolto e dovrà altresì continuare a pagare il canone concessorio precedentemente stabilito»;

   la norma della legge di stabilità 2017 sopra citata possiede efficacia retroattiva, essendo «norma di interpretazione autentica», e comporta quindi l'obbligo di pagamento per canoni precedenti alla sua entrata in vigore e ovviamente per quelli futuri sino alla gara d'ambito, ma nonostante ciò il problema risulterebbe essere ancora molto esteso in quanto, a partire dal 2015, in molte realtà i concessionari hanno smesso di pagare i tributi ai comuni, creando notevoli problemi alle casse degli enti locali; si tratta di una situazione che è proseguita anche nel 2016 e che si è resa ancora più problematica anche alla luce di tre sentenze emesse da tre tribunali ordinari italiani che di fatto hanno azzerato i canoni concessori da riconoscere all'ente concedente, in controtendenza quindi rispetto alle indicazione date dal Ministero dello sviluppo economico e dall’Authority per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico; per risolvere tali problematiche il legislatore ha adottato il comma 453 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2017 –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di come stia evolvendo la problematica esposta in premessa e se e quali iniziative di competenza intenda porre in essere per prevedere eventuali sanzioni verso i gestori uscenti che non rispettano la legge.
(5-12195)

Interrogazione a risposta scritta:


   MAROTTA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   da alcune settimane nell'ufficio postale di Centola-Palinuro il personale è ridotto a due soli impiegati, obbligando i cittadini a code defatiganti;

   il comune non ha ricevuto notizia di riduzione del numero dei dipendenti dell'ufficio postale: si teme che il personale a sportello sia stato ridotto per decisioni autonoma di Poste Italiane spa. Giova ricordare che l'articolo 5, comma 1, della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), n. 342/14/CONS, ha previsto l'obbligo di notifica preventiva delle modifiche agli assetti organizzativi ai sindaci dei comuni interessati, almeno 60 giorni prima della data prevista di attuazione dell'intervento;

   Poste italiane è una società per azioni a partecipazione pubblica e i diritti dell'azionista sono esercitati dal Ministero dell'economia e delle finanze. Il piano industriale 2015-2019 di Poste italiane ha previsto un notevole ridimensionamento del servizio, da sostituire con tecnologie telematiche non sempre utilizzabili nelle aree marginali del Paese o dalle fasce anziane della popolazione. Il servizio postale universale è affidato a Poste italiane spa fino al 30 aprile 2026;

   il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive, all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta annualmente all'Agcom l'elenco degli uffici postali che non garantiscono condizioni di equilibrio economico;

   Centola-Palinuro è un comune di circa 5.200 abitanti, un numero tale da garantire le suddette «condizioni di equilibrio economico» in qualsiasi periodo dell'anno; Centola Palinuro, in qualità di comune turistico noto in tutto il mondo, nel periodo estivo vede aumentare la sua popolazione fino a 70.000 abitanti;

   i trend turistici del Cilento per i prossimi anni presentano due aspetti positivi: da un lato, si prevede l'incremento delle presenze, con percentuali decisamente superiori a quelle nazionali (+13 per cento, rispetto al +5 per cento nazionale nel 2016); dall'altro, la regione e gli enti locali stanno perseguendo una politica di destagionalizzazione (collegamenti aerei tramite l'aeroporto di Salerno, migliori trasporti ferroviari e marittimi – Metro del mare, offerte su accoglienza, creazione di itinerari naturalistici, ciclistici, culturali ed enogastronomici) che sta creando una presenza turistica anche al di fuori dei mesi estivi centrali. A Pasqua del 2017 si è verificato in Cilento un boom di presenze trainato soprattutto dai turisti stranieri (+2,8 per cento);

   tutto ciò premesso, appare assolutamente necessario che un servizio essenziale come quello postale (che oggi incorpora anche taluni servizi finanziari) debba essere assicurato in termini di assoluta efficienza nel Cilento e nel comune di Centola Palinuro in particolare, sia perché è un atto dovuto da parte di Poste italiane, sia perché l'inefficienza di questo servizio si riflette sull'immagine pubblica dei comuni a cui tale servizio è sottratto o ridotto;

   tale impostazione è confermata dal fatto che nella fase di definizione del contratto di programma tra Ministero e Poste, si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la precedente prospettiva, incentrata sulla «razionalizzazione», sulla base dell'assunto che la capillarità della presenza di Poste italiane non debba essere considerata più un onere bensì un asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura o riduzione di presenza, per quanto giustificata dall'equilibrio economico, impoverirebbe un asset della società; in particolare, all'articolo 5, comma 5, del citato contratto, Poste italiane si è impegnata a ricercare ogni possibilità di potenziamento dei servizi, anche mediante accordi con le regioni e gli enti locali –:

   di quali iniziative il Governo intenda farsi promotore, per quanto di competenza, con riferimento alla vicenda esposta in premessa, al fine di alleviare il disagio e il danno che produce il susseguirsi di misure di ridimensionamento dei servizi da parte di Poste Italiane.
(4-17825)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Burtone n. 3-03178, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 luglio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Schirò.

  l'interrogazione a risposta orale Albanella e Berretta n. 3-03179, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 luglio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Schirò.

Ritiro di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Bechis n. 4-17616 del 12 settembre 2017.

Trasformazione di documenti
del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:

   interrogazione a risposta orale Franco Bordo e altri n. 3-00471 del 26 novembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-17824;

   interrogazione a risposta orale Marotta n. 3-03057 del 30 maggio 2017 in interrogazione a risposta scritta n. 4-17825;

   interrogazione a risposta in Commissione Tacconi n. 5-11561 del 14 giugno 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03239;

   interrogazione a risposta scritta Cimbro e altri n. 4-17257 dell'11 luglio 2017 in interrogazione a risposta orale n. 3-03241.