Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 2 agosto 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il 4 e 5 maggio 2017 si è svolta a Roma, presso la Camera dei deputati, la Conferenza internazionale delle e dei parlamentari del G7 e del G20 « The challenges of a world on the move: migration and gender equality, women's agency and sustainable developmenn»;
    alla Conferenza hanno partecipato 89 parlamentari di 57 Paesi, tra cui deputate e senatrici italiane del gruppo di lavoro parlamentare «Salute globale e diritti delle donne». Tra i compiti del gruppo vi è il monitoraggio dell'attuazione degli impegni internazionali assunti dal Governo italiano in materia di salute globale e diritti delle donne. A livello europeo, il gruppo opera in collaborazione con lo European Parliamentary Forum on Population and Development (EPF), a livello nazionale con l'Associazione italiana donne per lo sviluppo – Onlus (AIDOS) con i quali ha promosso e organizzato l'iniziativa;
    la Conferenza internazionale di Roma aveva lo scopo di rappresentare ai Paesi del G7, che si sono riuniti a Taormina il 25 e 26 maggio 2017, e ai Paesi del G20, che si sono riuniti ad Amburgo (Germania) il 7 e 8 luglio 2017, le raccomandazioni e le richieste volte a rinnovare l'impegno per la cooperazione internazionale e la salute globale, tenendo conto degli impegni assunti in precedenza dai Governi dei Paesi G7 e G20 sulla gender equality e sulla salute e sui diritti sessuali e riproduttivi, anche alla luce degli obiettivi di sviluppo sostenibile della nuova Agenda 2030 e delle priorità della Presidenza italiana. Un'attenzione particolare è stata dedicata al fenomeno migratorio in corso e all'importanza di investire sul protagonismo delle donne e delle ragazze per liberarne le potenzialità facendo leva sui loro empowerment e agency;
    a conclusione della Conferenza è stato adottato l'appello di Roma, che contiene pregnanti richieste rivolte ai Governi G7 e G20, consegnato alla Sottosegretaria on. Maria Elena Boschi in rappresentanza della Presidenza italiana del G7;
    oltre 250 milioni di persone vivono in Paesi diversi da quelli in cui sono nate, la più grande crisi umanitaria che il mondo abbia visto, con un numero senza precedenti di migranti, di profughi e di sfollati interni. Di queste, 70 milioni sono profughi, la metà dei quali donne e ragazze, soggetti particolarmente vulnerabili quando costretti a spostamenti forzati;
    il Governo italiano opera in un quadro di riferimento internazionale in cui sono centrali i diritti delle donne, lo sviluppo sostenibile e le migrazioni; si fa riferimento, in particolare, a: l'Agenda globale 2030 adottata dalle Nazioni Unite nel 2015 che sottolinea «contributo positivo dei migranti alla crescita inclusiva», rilevandone il carattere «multidimensionale» e invocando «una migrazione ordinata, sicura, regolare e responsabile e la mobilità delle persone, anche mediante l'attuazione di politiche migratorie pianificate e opportunamente gestite» (target 10.7); il programma d'azione della conferenza internazionale su popolazione e sviluppo del 1994 e la Dichiarazione e Piattaforma d'azione di Pechino del 1995 e successive revisioni; la Strategia globale per la salute delle donne, dei bambini e degli adolescenti (2016-2030); la Convenzione dell'Onu sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei loro familiari; la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW); la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo; il protocollo contro la tratta di persone, specie donne e bambini; la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU 1325 su «Donne, Pace e Sicurezza» e gli altri documenti pertinenti in materia; l'Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici adottato nel 2015 in occasione della COP21, quale impulso decisivo e senza precedenti all'azione nell'ambito delle migrazioni e del clima e che esorta al rispetto e alla promozione dei diritti dei/delle migranti;
    la Presidenza tedesca del G20 ha recentemente adottato il Compact with Africa fondamentale iniziativa della G20 Africa Partnership volta ad incrementare gli investimenti considerati la pre-condizione per una crescita forte, bilanciata e sostenibile,

impegna il Governo:

   in occasione dei prossimi appuntamenti internazionali:
1) a promuovere politiche nazionali e internazionali che considerino la migrazione un vettore fondamentale per lo sviluppo sociale ed economico nei Paesi di origine e di destinazione e un importante mezzo di sviluppo umano dei e delle migranti e delle loro famiglie facendo leva in particolare sull’empowerment dei e delle giovani;
2) a promuovere misure per un accesso adeguato ai servizi per la salute e i diritti sessuali e riproduttivi di qualità, culturalmente sensibili e adeguati all'età, alle donne e alle ragazze sfollate particolarmente esposte a gravidanze ad alto rischio e non pianificate, ad aborti spontanei, complicazioni perinatali, aborti e parti non sicuri con conseguenze negative per la salute, a volte fino alla morte; a mettere a disposizione informazioni per prevenire infezioni sessualmente trasmissibili quali l'HIV/AIDS e ad attuare iniziative per contrastare ed eliminare la violenza di genere, incluse le pratiche dannose quali i matrimoni precoci e forzati e la mutilazione/escissione dei genitali femminili;
3) a favorire l'impiego produttivo delle persone nei Paesi di origine e in quelli di accoglienza e un flusso migratorio circolare piuttosto che un'emigrazione a senso unico;
4) a promuovere una politica estera impegnata nella risoluzione di conflitti interni ed esterni spesso all'origine dei processi migratori;
5) ad adottare politiche coerenti finalizzate allo sviluppo nei Paesi di origine, e che allo stesso tempo enfatizzino la corresponsabilità dei Paesi dell'Unione europea e di quelli che accolgono un numero elevato di migranti, politiche che tengano conto del contributo della migrazione al tessuto politico, economico, sociale e culturale dei Paesi di origine e di destinazione, così come alla comunità globale, costruendo sistemi migliori tesi a monitorare i benefici della migrazione allo sviluppo;
6) a promuovere, proteggere e rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti e tutte i/le migranti, indipendentemente dal loro status migratorio, soprattutto di donne e bambini, integrando una prospettiva di genere e un approccio fondato sui diritti umani nelle politiche, rafforzando le leggi, le istituzioni e i programmi nazionali allo scopo di prevenire e combattere la violenza di genere e sessuale, in particolare rafforzando la cooperazione per combattere la tratta di esseri umani e sostenere le vittime, specie donne e ragazze, proteggendole da ogni tipo di violenza sessuale;
7) a facilitare il riconoscimento dei titoli di studio già conseguiti dalle donne migranti e delle precedenti carriere professionali nei Paesi di origine, sia per favorire il proseguimento degli studi sia per agevolare la fase di ricerca di occupazione nel Paese di destinazione;
8) a promuovere la formazione e le forme organizzative delle donne migranti nei Paesi di destinazione e di origine per rafforzare la loro indipendenza economica, mediante, ad esempio, attività tese a incoraggiare una gestione indipendente e informata delle rimesse e dei risparmi;
9) a promuovere la cooperazione e la collaborazione in tutti i settori della migrazione al fine di elaborare politiche e procedure (quali memorandum di intesa sulle lavoratrici migranti, codici etici di reclutamento e altro), anche coinvolgendo e sostenendo le reti delle diaspore o incoraggiando il rientro di conoscenze e competenze nei Paesi di origine;
10) a riconoscere le organizzazioni e i movimenti delle donne quali attori chiave per promuovere il rispetto dei diritti delle donne e il raggiungimento della giustizia di genere, includendole nei processi di governance e promuovendo la piena partecipazione della società civile;
11) ad avviare un sistema permanente di raccolta di informazioni su rifugiati e rifugiate (dati disaggregati per status migratorio, genere ed età) necessario per la definizione e la valutazione delle politiche, per individuare adeguati livelli e strumenti di finanziamento pubblico internazionali, incluso l'aiuto pubblico allo sviluppo (APS), e per catalizzare la mobilitazione di ulteriori risorse provenienti da altre fonti, sia pubbliche sia private;
12) a promuovere l'attuazione della G7 Roadmap for a Gender-Responsive Economic Environment adottata nel vertice di Taormina e della gender task force assicurando il carattere di inclusività di quest'ultima; a partecipare alla G20 Initiative #eSkills4Girls e alla Women's Entrepreneurship Facility, attraverso il coinvolgimento di vari attori istituzionali, di enti e associazioni, nonché di soggetti privati della realtà italiana che condividano gli obiettivi indicati;
13) ad assumere iniziative per destinare risorse finanziarie sia per la cooperazione internazionale sia per le politiche interne volte ad attuare gli impegni contenuti in questa mozione e approvati dalle e dai parlamentari partecipanti alla conferenza internazionale di Roma del 4 e 5 maggio 2017.
(1-01681) «Locatelli, Zampa, Iori, Stella Bianchi, Garavini, Paola Boldrini, Cimbro, Schirò, Roberta Agostini, Marzano».


   La Camera,
   premesso che:
    il 17 luglio, Padre Alex Zanotelli ha rivolto un appello alle giornaliste e ai giornalisti italiani e alla Federazione nazionale della stampa, per impegnarli alla diffusione di una corretta e competente informazione sul tema delle migrazioni, anche facendosi promotori di una richiesta, scritta e ufficiale ai mass-media, «forzando» in questo modo i potenti gruppi economico-finanziari proprietari a permetterla. Di fronte ad un'informazione sempre più stereotipata, superficiale e provinciale, il missionario comboniano invita i giornalisti a rompere l'omertà del silenzio mediatico sulla situazione di tanti Paesi africani, per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli stanno vivendo;
    il silenzio dei mass-media sulle drammatiche situazioni presenti in Africa è inaccettabile, con particolare riguardo:
   alla dittatura, di al-Bashir in Sudan che fa strage di persone e diritti umani o sul regime militare di Afewerki in Eritrea, tra i più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l'Europa;
   alle guerre civili che sembrano non finire mai in Somalia, nel Centrafrica e nel Sud Sudan con centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi;
   al grave rischio della zona saheliana dal Ciad al Mali, dove i potenti gruppi jihadisti stanno tentando di costituire un nuovo Califfato e ai caotici scontri in Libia e all'impossibilità di stabilizzare politicamente tale regione dopo la fine dell'era Gheddafi;
   al saccheggio di miniere di pietre e metalli preziosi e lo sfruttamento di lavoratori e di minori, in nazioni come il Congo, per scambi commerciali illegali, con aziende e multinazionali estere compiacenti, oltreché al legame tra risorse naturali e conflitti, presente in 33 casi in Africa e in circa il 20 per cento dei conflitti nel mondo (http://chiamafrica.it);
   alla vendita italiana di armi pesanti e leggere (nel 2016 per un valore superiore ai 14 miliardi di euro) ai Paesi africani, che incrementano conflitti già esistenti, costringendo alla fuga milioni di profughi;
   ai 30 milioni di persone che soffrono la fame in Etiopia, Somalia, Sud Sudan, Kenya, Lago Ciad, che secondo l'Onu vivono la peggiore crisi alimentare degli ultimi 50 anni;
   ai cambiamenti climatici e sull'inarrestabile desertificazione dell'Africa che, a fine secolo, si prevede avrà tre quarti del suo territorio non abitabile;
    la necessità di un appello così sentito e urgente potrebbe apparire superflua nei confronti dell'informazione legata alla Radiotelevisione pubblica italiana (Rai), se potessero considerarsi tutti validi e attuati i contenuti di tanta normativa prodotta – nell'arco di quasi settanta anni con l'entrata in vigore nel 1948 della Costituzione italiana – diretta a tutelare e garantire l'obiettività, la completezza, la lealtà e l'imparzialità dell'informazione nel sistema radiotelevisivo per lo sviluppo sociale e culturale del Paese;
   eppure, anche nell'informazione pubblica si omettono informazioni essenziali a comprendere i fenomeni delle migrazione dall'Africa verso i Paesi occidentali, trascurando approfondimenti che mitigherebbero il clima rancoroso e contrario alla presenza degli stranieri, che teme il furto di diritti acquisiti dai cittadini italiani con la nascita. Inspiegabilmente, lo Stato italiano e conseguentemente i Governi che si sono succeduti, non considerano informative e formative le narrazioni sulle reali motivazioni che spingono intere popolazioni ad abbandonare Paesi e famiglie, per la propria salvezza e libertà: un'adeguata e completa comunicazione porterebbe senz'altro i cittadini italiani a un approccio più tollerante e solidale, che impedirebbe il dilagare di formazioni e ideologie xenofobe e razziste;
    anche Papa Francesco, in una breve intervista del 7 aprile 2017, rilasciata a «Libertà Civili», rivista bimestrale del Ministero delle interno italiano, dedicata all'approfondimento delle migrazioni, sostenendo che «la buona informazione può abbattere i muri della paura e dell'indifferenza» si è appellato ai media che troppo spesso, nel trattare una tematica così carica di implicazioni umane, sociali e politiche, tendono ad utilizzare stereotipi negativi e indicano migranti e rifugiati con il termine scorretto di clandestini, spingendo l'opinione pubblica a elaborare un giudizio negativo e preconcetti nei riguardi degli stranieri. A queste considerazioni si aggiungono anche quelle legate alle notizie relative a fatti di delinquenza nei quali sono coinvolte anche persone di origine africana, nelle quali si sottolinea soltanto la loro nazionalità: un sensazionalismo a cui puntano i mass media che vogliono fare scalpore a discapito della corretta informazione alla quale il giornalismo dovrebbe invece ambire;
    il 23 maggio 2017 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 aprile 2017, per l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con annesso l'approvato schema di convenzione fra il Ministero dello sviluppo economico e la RAI per la concessione per il servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale;
    lo schema di convenzione, contiene al suo interno linee comportamentali che potrebbe essere sufficienti, da sole, al rispetto di quanto auspicato da padre Alex Zanotelli:
   all'articolo 1, «Oggetto della concessione e definizione della missione di servizio pubblico radiofonico televisivo e multimediale», comma 1, si stabilisce che il servizio svolto deve intendersi «come servizio di interesse generale», di attività di produzione e diffusione di contenuti audiovisivi e multimediali, diretti, tra l'altro, «a garantire un'informazione completa e imparziale nonché a favorire l'istruzione, la crescita civile, il progresso e la coesione sociale (...)»;
   all'articolo 1, comma 6, viene sottolineato che la Rai deve garantire la qualità dell'informazione, nel rispetto della «completezza, obiettività, indipendenza, imparzialità e pluralismo, (...) assicurando il rigoroso rispetto della dignità della persona, nonché della deontologia professionale dei giornalisti»;
   all'articolo 1, comma 7, si precisa che l'informazione deve garantire che i fatti e gli avvenimenti siano presentati in modo veritiero, in modo da favorire e rendere possibile la «libera formazione delle opinioni»;
   all'articolo 3, «Obblighi del concessionario del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale e modalità di esercizio», comma 1, lettera h), si stabilisce che la Rai deve garantire, tra l'altro, la trasmissione gratuiti di messaggi di interesse pubblico e di utilità sociale, richiesti dalla Presidenza del Consiglio – quali potrebbero essere quelli diretti alla corretta e completa informazione sul fenomeno delle migrazioni;
    la concessione del servizio pubblico radiotelevisivo è regolata dal decreto legislativo n. 177 del 2005, «Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici», che, all'articolo 3, comma 1, nell'enunciare principi fondamentali del sistema radiotelevisivo, riconosce «la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere, l'obiettività, la completezza, la lealtà e l'imparzialità dell'informazione, l'apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose e la salvaguardia delle diversità etniche, (...) a livello nazionale e locale, nel rispetto delle libertà e dei diritti, in particolare della dignità della persona, della promozione e tutela del benessere, della salute e dell'armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, garantiti dalla Costituzione, dal diritto comunitario, dalle norme internazionali vigenti nell'ordinamento italiano e dalle leggi statali e regionali»;
    il medesimo Testo unico, all'articolo 32, comma 5, prevede che:
   «5. I servizi di media audiovisivi prestati dai fornitori di servizi di media soggetti alla giurisdizione italiana rispettano la dignità umana e non contengono alcun incitamento all'odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità»;
    l'esercizio dell'attività radiotelevisiva, fin dai suoi esordi, è stata prerogativa dello Stato che ne aveva percepito le fortissime potenzialità comunicative e se ne è assicurato il controllo;
    il carattere di monopolio naturale del settore ne imponeva l'avocazione da parte dello Stato, unico soggetto in grado di assicurare il rispetto del principio di libertà d'espressione e di pluralismo informativo, sancito dall'articolo 21 della Costituzione. In seguito, con la sentenza n. 225 del 10 luglio 1974, la Corte confermava la legittimità costituzionale del monopolio radiotelevisivo statale come «servizio pubblico essenziale (...) che deve essere inteso e configurato come necessario strumento di allargamento dell'area di effettiva manifestazione della pluralità delle voci presenti nella nostra società. (...) La radiotelevisione adempie a fondamentali compiti di informazione, concorre alla formazione culturale del paese, diffonde programmi che in vario modo incidono sulla pubblica opinione e perciò è necessario che essa non divenga strumento di parte: solo l'avocazione allo Stato può e deve impedirlo»;
    sempre la Corte costituzionale nella sentenza 284 del 2002, ha rilevato, inoltre, che «l'esistenza di un servizio pubblico radiotelevisivo, promosso e organizzato dallo Stato [...] si giustifica però solo in quanto chi esercita tale servizio sia tenuto ad operare non come uno qualsiasi dei soggetti del limitato pluralismo di emittenti, nel rispetto da tutti dovuto, dei principi generali del sistema, bensì svolgendo una funzione specifica per il miglior soddisfacimento del diritto dei cittadini all'informazione e per la diffusione della cultura, col fine di ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese»,

impegna il Governo:

1) ad accogliere l'appello lanciato da Padre Alex Zanotelli di interrompere il silenzio mediatico che grava sull'Africa, promuovendo ogni iniziativa di competenza diretta a far conoscere all'opinione pubblica italiana, la realtà e la complessità dei processi migratori;
2) ad assumere le iniziative di competenza, nel quadro del vigente contratto di servizio, affinché la Rai, in qualità di concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, intervenga in ogni sede per garantire la diffusione di notizie, informazioni e approfondimenti caratterizzati da obiettività, completezza, lealtà e imparzialità;
3) ad assumere le iniziative di competenza per assicurare che il servizio pubblico radiotelevisivo, concesso in monopolio alla Rai, recuperi la sua originaria missione educativa, contrastando le pericolose derive xenofobe e razziste della società italiana e concorrendo invece allo sviluppo sociale e alla formazione culturale del Paese.
(1-01682) «Andrea Maestri, Civati, Brignone, Pastorino, Marcon, Airaudo, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Gregori, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Placido».


   La Camera,
   premesso che:
    il 28 luglio 2017 la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, recante disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale;
    l'esame parlamentare del decreto-legge è stato accompagnato da un dibattito molto acceso nell'opinione pubblica, contraddistinto da un erroneo pregiudizio di fondo ossia che il decreto tracciasse una linea di demarcazione tra chi è contrario o meno ai vaccini, compromettendo in tal modo un sereno e aperto dibattito che ha finito per dividere il Paese ed allarmare i genitori e le famiglie;
    il decreto-legge si caratterizza invece come un mero atto di politica sanitaria con rilevanti conseguenze per le famiglie, le strutture sanitarie e le istituzioni scolastiche del Paese, atto che appare segnare un'inversione di tendenza nell'ambito delle ormai consolidate politiche sanitarie del paese che in oltre 70 anni di studi, dibattiti e ricerche hanno bandito l'idea di una sanità verticalizzata dove il medico era al centro del processo e il cittadino era inteso solo come «paziente» da curare e hanno ridimensionato l'idea che la prevenzione sia la mera assenza di malattia e non già un benessere psico-fisico, consapevole e partecipato;
    la salute, oggi, è un processo promosso, partecipato, informato e democratico, proprio grazie all'evolversi della scienza e anche grazie alla crescita culturale dei popoli. La promozione della salute è in concetto centrale che oggi contraddistingue ogni politica sanitaria che voglia definirsi civile ed evoluta ed è in questo diverso paradigma che la prevenzione vaccinale avrebbe dovuto sussumere un approccio basato sulla raccomandazione e non già sull'obbligatorietà, in armonia proprio con il trend, ormai consolidato, delle diverse politiche vaccinali che nel mondo e soprattutto in Europa – come evidenzia anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato nell'indagine sui vaccini del 2016 – hanno implementato «politiche vaccinali basate su di un approccio incentrato sulla combinazione tra offerta pubblica di vaccini ritenuti essenziali per la salute pubblica e un convincimento informato dei soggetti decisori rispetto ai trattamenti vaccinali»;
    la tendenza alla raccomandazione dei vaccini, più che alla loro obbligatorietà, è stabilita a livello globale e il quadro di vaccinazione europeo relativo ai programmi vaccinali nazionali, infatti, comprende sia vaccinazioni obbligatorie sia raccomandate: dei 30 Paesi (i 28 dell'Unione Europea più Islanda e Norvegia), 15 hanno almeno una vaccinazione obbligatoria all'interno del proprio programma vaccinale, mentre gli altri 15 non hanno alcuna vaccinazione obbligatoria. Pertanto, se da un lato l'obbligatorietà delle vaccinazioni sono considerate una strategia per migliorare l'adesione ai programmi di immunizzazione, dall'altro appare chiaro che molti dei programmi europei risultano efficaci anche se non prevedono alcun obbligo;
    i Paesi che non hanno adottato obblighi per alcun vaccino, sono: Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Irlanda, Islanda, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito. Il Belgio adotta l'obbligatorietà solo per un vaccino, la Francia per tre vaccini, Grecia, Italia e Malta per quattro vaccini (tutti riservano l'approccio raccomandato per i rimanenti vaccini); i Paesi che, ad oggi, adottano un programma vaccinale nazionale con un numero di vaccini obbligatori, maggiore di quattro, sono: Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia;
    l'articolo 32 della Costituzione rappresenta non solo la massima tutela del diritto alla salute ma anche la massima espressione di libertà e consapevolezza che si realizza attraverso il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico ed espresso, nel caso di minori, dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dai tutori;
    il consenso informato si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'articolo 2 della Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli articoli 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che «la libertà personale è inviolabile» e che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge»;
    il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione quale sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative e dei rischi connessi; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all'articolo 32, secondo comma, della Costituzione;
    la Corte costituzionale si è pronunciata diffusamente sui limiti e le condizioni di compatibilità dei trattamenti sanitari obbligatori con il precetto costituzionale del diritto alla salute dell'articolo 32, ribadendo sempre il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo – anche nel suo contenuto negativo di non assoggettabilità a trattamenti sanitari non richiesti o accettati – con il coesistente e reciproco diritto di ciascun individuo (sentenza 1994 n. 218) e con la salute della collettività (sentenza 1990 n. 307); è proprio il bilanciamento dei due diritti sottesi che ha portato il giudice delle leggi, con la sentenza n. 258 del 1994, a ritenere che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'articolo 32 della Costituzione solo se siano rispettate talune condizioni, tra le quali «la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili;
    la Corte costituzionale nella medesima sentenza aggiunge che «proprio per la necessità di realizzare un corretto bilanciamento tra la tutela della salute del singolo e la concorrente tutela della salute collettiva, entrambe costituzionalmente garantite, si renderebbe necessario porre in essere una complessa e articolata normativa di carattere tecnico – a livello primario attesa la riserva relativa di legge, ed eventualmente a livello secondario integrativo – che, alla luce delle conoscenze scientifiche acquisite, individuasse con la maggiore precisione possibile le complicanze potenzialmente derivabili dalla vaccinazione, e determinasse se e quali strumenti diagnostici idonei a prevederne la concreta verificabilità fossero praticabili su un piano di effettiva fattibilità»;
    la necessità e urgenza alla base del ricorso al decreto-legge è stato giustificato dal Governo con il calo delle coperture vaccinali e la recrudescenza ritenuta anomala e straordinaria del morbillo (oltre 3 mila casi). Questa motivazione in realtà è apparsa debole o contraddittoria poiché, proprio in riferimento al morbillo, come evincibile dal sito del Ministero della salute e dell'ISS, nell'anno 2016, c’è stato un aumento della copertura vaccinale di ben due punti percentuali passando dall'85,2 per cento all'87,3 per cento (mentre la relazione al decreto-legge parla di inesorabile trend decrescente anche per l'anno 2016 !) e il calo rispetto al 2013 è in realtà di un solo punto percentuale passando dall'88,3 per cento al 87,3 per cento. Senza dubbio c’è un picco epidemico che come spiega il medesimo Ministero della salute sul suo sito istituzionale è caratteristico di tale malattia e si presenta ogni due/tre anni. Nel 2008 con una copertura vaccinale al 90,1 per cento i casi di morbillo furono 5.312. Nel 2011 con una copertura vaccinale al 90 per cento i casi di morbillo sono stati 4.671. Nel 2015, con una copertura vaccinale dell'85,2 per cento, i casi di morbillo sono stati 254;
    in riferimento alla diffusione del morbillo, il tasso di mortalità si colloca intorno allo 0,2 per cento, valore questo che, tuttavia, si eleva fino al 10-20 per cento nel caso di soggetti affetti da malnutrizione. Ciò posto, considerata la rilevante incidenza della povertà assoluta e relativa sul totale delle famiglie italiane, accentuata dal prolungato periodo di crisi economica, si evidenzia pertanto la necessità di affrontare il tema della prevenzione e della promozione vaccinale ragionando sul più vasto contesto degli aspetti socio-sanitari, all'uopo implementando le risorse finanziarie destinate al miglioramento generale delle condizioni igienico-sanitarie della popolazione ed intervenendo con autorevolezza sui relativi centri di costo, come dimostra la positiva esperienza condotta nella regione Veneto;
    ogni vaccino è una prestazione sanitaria a sé, contraddistinta da una peculiare correlazione costo-beneficio rischio che non appare compatibile con un indistinto regime di obbligatorietà. I vaccini non sono prodotti identici e non sono un'unica e indistinta prestazione sanitaria ma sono distinte prestazioni sanitarie, ciascuna correlata ad una specifica malattia;
    in caso di emergenze sanitarie il nostro ordinamento già prevede l'intervento in casi di urgenza e, non a caso, anche il provvedimento all'esame fa salva l'adozione di interventi di urgenza ai sensi dell'articolo 117 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 che prevede che «in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali.»;
    il decreto legislativo richiamato nel decreto-legge attua il riparto delle competenze tra Stato, regioni ed enti locali, come contemplato dagli articoli 5, 117, 118 e 128 della Costituzione ed in relazione alle emergenze sanitarie o di igiene pubblica, correlate inevitabilmente al territorio, attribuisce alle autorità territoriali il potere necessario per intervenire in situazioni di necessità ed urgenza;
    l'intervento indifferenziato da parte dello Stato, motivato da necessità e urgenza, senza che siano tenute in considerazione le differenze territoriali con riferimento alla copertura vaccinale o in riferimento ad eventuali epidemie, peraltro opportunamente rilevate, anche a livello territoriale, dal medesimo ministero della Salute e dall'Istituto Superiore di sanità, oltre che configurarsi come lesivo delle competenze dei diversi livelli di autonomia rischia concretamente di compromettere l'attività di prevenzione sanitaria che le regioni, nell'ambito della loro autonomia, hanno posto in essere fino ad oggi;
    il decreto-legge consente al Ministero della salute di avvalersi di un contingente fino a 20 unità di personale di altri dicasteri in posizione di comando, al fine di definire le procedure intese al ristoro dei soggetti danneggiati da trasfusioni con sangue infetto, da somministrazione di emoderivati infetti o da vaccinazioni obbligatorie. Ai fini della copertura degli oneri finanziari derivanti dall'impiego del contingente anzidetto, quantificati in 359.000 euro per l'anno 2017 e 1.076.000 euro per l'anno 2018, viene ridotta in misura corrispondente l'autorizzazione di spesa per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie;
    il decreto-legge ridefinisce l'ambito di applicazione della legge sugli indennizzi (legge 210 del 1992) prevedendo che sia applicabile a tutti i soggetti che, a causa delle vaccinazioni indicate nell'articolo 1 del medesimo decreto, abbiano riportato lesioni o infermità dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, escludendo in tal modo dagli indennizzi le ulteriori vaccinazioni raccomandate che non sono incluse all'articolo 1 del provvedimento all'esame, come ad esempio l'Hpv per le femmine e per i maschi, l’Herpes Zoster o l'epatite A, ma che sono inserite nel Piano nazionale vaccini e fortemente raccomandate;
    l'esclusione di alcuni vaccini raccomandati dell'ambito di applicazione della legge n. 210 del 1992 si pone in aperto contrasto con i diversi enunciati della Corte costituzionale che hanno dichiarato incostituzionale la legge 25 febbraio 1992, n. 210 nella parte i cui gli indennizzi non sono riferibili anche ai vaccini raccomandati;
    solo per quattro vaccini obbligatori (MPRV) è prevista la possibilità di revisione triennale del regime dell'obbligatorietà, a seconda dello stato epidemiologico e delle reazioni avverse, mentre per gli altri sei vaccini l'obbligatorietà sarà sine die; ed inoltre, i quattro vaccini per i quali le regioni devono assicurare un'offerta attiva e gratuita non sono soggetti ad alcuna possibilità di revisione triennale e saranno tali fino a quando non intervenga il legislatore con un altro provvedimento di rango primario;
    durante l'esame parlamentare del decreto-legge è stata introdotta la possibilità di usufruire dei vaccini monovalenti, quanto meno per i soggetti già immunizzati per talune malattie, ma questa miglioria richiesta dalle opposizioni è stata però riformulata dal Governo in maniera assolutamente insufficiente e inefficace: in primis si fa riferimento ai soli soggetti immunizzati ma non anche, ad esempio, a soggetti che per svariate ragioni e condizioni cliniche hanno controindicazioni specifiche per un solo antigene fornito nel vaccino combinato o polivalente; inoltre con la dicitura «di norma e comunque nei limiti delle disponibilità del SSN» chiaramente non è assicurata la disponibilità del vaccino monovalente (creando disparità e disuguaglianza tra minori che a scuola potranno anche, essere cambiati di classe perché, loro malgrado, lo Stato non garantisce loro il vaccino monovalente);
    nella relazione tecnica al decreto-legge, infatti, la Ragioneria generale dello Stato riporta «che tale disposizione non riveste carattere precettivo, bensì introduce una mera indicazione tendenziale e, pertanto, derogabile. Essa non radica un diritto assoluto in capo al soggetto cui è indirizzato l'obbligo vaccinale ma si limita a prevedere che sia preferibile la somministrazione del soggetto già immunizzato»;
    peraltro, al di là della natura chiaramente non precettiva della disposizione concernente i vaccini monovalenti, è chiaro che i tempi per effettuare le gare e le procedure centralizzate d'acquisto sono molto più lunghi dell'obbligatorietà immediata dei vaccini ed il decreto-legge non tiene in debito conto il fatto che diverse regioni hanno già effettuato gare per un diverso fabbisogno di vaccini, non contemplando il prodotto monovalente;
    nel testo della seconda relazione intermedia della Commissione parlamentare d'inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli impoverito effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni (cosiddetta Commissione «Uranio»), da pagina 18 si affronta il tema dei possibili danni da vaccini negli adulti che svolgono professioni militari, con una serie di segnalazioni di casi importanti e, nelle conclusioni del capitolo, si legge:
  «È infine assolutamente necessario rimarcare che gli esiti del progetto SIGNUM, nonché le risultanze dello studio effettuato dal Prof. Nobile sui militari della Brigata Folgore, portano ad affermare un significativo incremento della frequenza di alterazioni ossidative del DNA e di cellule micronucleate, a fronte di soggetti sottoposti a vaccinazioni in numero superiore a cinque o con vaccini viventi attenuati o con prevalente attività outdoor. Tale limite numerico, come sottolineato anche dal Gen. TOMAO, deve diventare prescrittivo nella somministrazione dei vaccini e adottato nelle linee guida come specifica prescrizione. Anche in questo caso se né chiede l'inserimento nella futura revisione.»;
    dai lavori della Commissione «Uranio» e dalla documentazione raccolta è emersa inoltre «la necessità di svolgere esami pre-vaccinali prima della somministrazione dei vaccini, sia al fine della valutazione d'immunità già acquisite, sia al fine dell'accertamento di stati di immunodepressione che sconsiglino di somministrare il vaccino in quello specifico momento; ulteriore problema è poi quello dei tempi di somministrazione del vaccino, indicati dalle case produttrici nelle stesse schede tecniche a corredo del farmaco, posto che il vaccino richiede un tempo di attesa per generare l'immunizzazione, in dipendenza anche delle condizioni fisiche del vaccinando»;
    in conclusione la Commissione «Uranio» ritiene che «l'utilizzo di farmaci vaccinali forniti in soluzione monovalente e monodose (ovvero un vaccino per singola malattia, fornito in una singola dose), ridurrebbe notevolmente l'esposizione al rischio dovuto alla profilassi vaccinale, in quanto il militare – in età adulta – potrebbe risultare già immunizzato ad alcuni antigeni contenuti nei vaccini multipli assunti nell'infanzia o immunizzato naturalmente per aver contratto la relativa patologia»;
    nel prevedere l'esonero dell'obbligo nel caso di avvenuta immunizzazione il decreto-legge n. 73 contempla la possibilità di effettuare l'analisi sierologica volta a provare l'avvenuta immunizzazione ma non chiarisce se debba essere effettuata a spese dell'interessato o se sia garantita dal Servizio sanitario nazionale; a parere di firmatari del presente atto la risposta fornita a riguardo dal Ministro della salute Beatrice Lorenzin non è apparsa convincente laddove, pur confermando che gli oneri saranno a carico delle famiglie, ha riferito che tale onere corrisponde ad un importo che varia da 5 euro ad 11 euro, contrariamente a quando invece risulta da sommarie informazioni acquisite a riguardo secondo le quali il costo si aggira tra i quaranta e i cinquanta euro per malattia, al quale potrebbero aggiungersi anche gli oneri connessi alla prestazione dello specialista infettivologo che dovrà prescrivere tali analisi e che, in base ai nuovi criteri di appropriatezza prescrittiva inseriti nei LEA, non potrà essere il medico di medicina generale;
    quantunque le sanzioni siano state sensibilmente ridotte passando, nel massimo, da 7500 a 500 euro rimane il divieto di accesso o la decadenza dell'iscrizione ai servizi per l'infanzia per i bambini di 0-6 anni, in contrasto peraltro con la cosiddetta «buona scuola» tanto voluta dal Governo precedente e sostenuta dall'attuale e che aveva l'auspicio di eliminare il distinguo tra la formazione fino a sei anni e i gradi successivi d'istruzione;
    il decreto-legge n. 73 del 2017 pone in carico ai genitori l'onere di comprovare presso le istituzioni scolastiche l'avvenuto assolvimento dell'obbligo vaccinale presentando idonea documentazione, relativa all'effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie (o all'esonero, omissione o differimento delle stesse). È chiaro che la presentazione della documentazione, oltre ad oberare le scuole già prive di personale, si pone in contrasto con le leggi introdotte dalla cosiddetta «riforma Bassanini» che hanno imposto alle amministrazioni di non onerare i cittadini di eccessive burocrazie. Oggi, infatti, il cittadino può autocertificare qualsiasi stato, fatto e qualità personale e la pubblica amministrazione non può pretendere alcuna documentazione comprovante che sia in possesso di altra pubblica amministrazione;
    il decreto-legge contempla un trasferimento di informazioni e dati sanitari di minori e famiglie alle scuole senza che sia stato previsto un preliminare atto di natura regolamentare che disciplinasse il trattamento e la tutela di dati sensibili e sanitari e senza che sia stato previsto un parere del Garante della privacy, con grave nocumento dei più elementari diritti dei cittadini, com’è appunto il diritto alla riservatezza di dati idonei a rivelare lo stato di salute;
    il servizio bilancio del Senato ha espresso diffuse perplessità sulle coperture economiche del provvedimento, perplessità che non appaiono risolte con le modifiche intervenute durante l'esame parlamentare; pertanto si rinnovano le perplessità sulle coperture economiche del decreto-legge come peraltro già espresse in occasione dell'approvazione dei LEA, tenuto conto che le stime e le risorse allora approvate erano riferite ad un approccio basato sulla raccomandazione e ad una graduale attuazione, da parte delle regioni, del Nuovo piano nazionale vaccinale, con una copertura vaccinale progressiva nel triennio considerato che ovviamente, con il decreto-legge in questione, stante l'immediata obbligatorietà, non è più applicabile;
    da più parti è stata espressa l'esigenza di recuperare il rapporto di fiducia con i genitori e le famiglie, anche approfondendo le motivazioni che hanno indotto alcuni genitori a non sottoporre i bambini ai richiami dopo la somministrazione della prima dose di vaccino; al riguardo infatti si è fatto presente che spesso i genitori sono lasciati soli a fronteggiare la manifestazione, anche blanda, delle reazioni avverse e il centro vaccinale sia per carenza di personale, sia per non adeguata attività formativa, non è in grado di implementare un servizio pre e post-vaccinale che attraverso il counselling, l'informazione e la rassicurazione sia in grado di assicurare le famiglie sia prima che dopo la somministrazione della prima dose; per superare tali ostacoli sarebbero necessari interventi mirati alla formazione degli operatori e all'adeguamento delle strutture, interventi che richiedono adeguate risorse finanziarie;
    sarebbe stato più opportuno affrontare il problema della copertura vaccinale ai primi segnali del calo delle adesioni, per giungere a una soluzione condivisa, senza la necessità di porre obblighi e sanzioni; invece il decreto, proprio riguardo alle iniziative di comunicazione e informazione sulle vaccinazioni, è praticamente inattuabile nell'ambito delle vigenti disponibilità di bilancio, laddove non prevede risorse aggiuntive;
    in riferimento alla necessità di affidarsi senza riserve alle istituzioni sanitarie, come da più parti detto, si ricorda a titolo esemplificativo il caso del farmaco Tamiflu che ha consentito alla società Gilead enormi profitti in relazione alle supposte pandemie delle influenze suina e aviaria. A riguardo, fonti autorevoli, a partire dal British Medical Journal, hanno dimostrato la scarsa trasparenza degli studi clinici e gli scarsi effetti del farmaco che pure fu acquistato in grandi quantità dall'Italia. In questo quadro, appaiono ai firmatari del presente atto totalmente insufficienti, se non inesistenti, gli interventi del Governo sulla necessità di garantire la massima trasparenza rispetto a tutte le sponsorizzazioni erogate da tali industrie nei confronti delle organizzazioni e dei professionisti della sanità nonché rispetto all’iter prodromico all'immissione in commercio di un farmaco ossia la fase della valutazione e della conduzione di una sperimentazione clinica;
   le audizioni del Senato, e tanto meno l'esame alla Camera, non hanno permesso di chiarire peraltro tutte le implicazioni che il provvedimento all'esame ha sul mercato e sulla concorrenza, tenuto conto che anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), nell'indagine conoscitiva relativa ai vaccini per uso mano, pubblicata nel 2016, ha rilevato numerose criticità proprio in riferimento al sistema concorrenziale dei prodotti vaccinali, soprattutto quando questi hanno «una sorta di garanzia d'acquisto da parte del SSN»;
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato infatti, neanche immaginando il decreto-legge, ma in riferimento all'inserimento dei vaccini nei livelli essenziali di assistenza, ha evidenziato che «rispetto all'esercizio della selezione dei prodotti ai fini dell'inclusione nei piani nazionali di prevenzione e più ancora in generale in strumenti di garanzia di somministrazione, quali in Italia i LEA, è il caso infine di considerare pure come vadano garantite nella maniera più rigorosa, da un lato, l'indipendenza di giudizio dei soggetti decisori, dall'altro la rappresentanza degli enti che si troveranno a dover sostenere in concreto gli effetti economici delle scelte così effettuate»;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato raccomanda che «le istituzioni competenti – quali, in primo luogo, il Ministero della salute (...) provvedano a chiarire l'evoluzione della profilassi in tal senso avvenuta nei confronti dei soggetti a cui l'offerta vaccinale viene destinata, al fine di determinare una miglior consapevolezza da parte dei consumatori finali dei prodotti vaccinali e sostenere le loro facoltà di scelta» e raccomanda altresì che «le decisioni di inclusione di un prodotto vaccinale in un programma pubblico di prevenzione e/o la sua qualifica in termini di essenzialità avvengano sempre con le massime garanzie di scientificità, trasparenza e indipendenza, facendo altresì ricorso in maniera espressa e verificabile agli strumenti ormai già ampiamente disponibili di analisi tecnico-economica, in particolare per i profili di costo-efficacia dei diversi prodotti vaccinali, alla luce delle indicazioni e migliori pratiche esistenti a livello internazionale» poiché «rispetto all'offerta, l'inclusione e il successivo mantenimento di un vaccino nell'elenco di quelli essenziali ai sensi dei PNPV/LEA comportano un notevole vantaggio competitivo, in molti casi corrispondente a una sorta di garanzia d'acquisto da parte del SSN tenuto conto dei condizionamenti della domanda e dell'impatto economico-commerciale che ne conseguono»;
    diversi studi e ricerche evidenziano che, nel 2014, il fatturato mondiale della vendita dei vaccini ammontava a 23 miliardi di euro e prospettano che nel 2020 detto fatturato dovrebbe attestarsi a 35 miliardi di euro e che l'80 per cento di tale fatturato è prodotto dalle società Merck & Co. Inc, Sanofi Pasteur, GlaxoSmithKline Plc e Pfizer Inc.; il settore dunque è contraddistinto da un regime di oligopolio, in cui appaiono essere assenti efficaci regole di trasparenza ed indipendenza;
    nel nostro Paese la negoziazione del prezzo dei farmaci, che il decreto-legge richiama come misura obbligatoria per l'acquisto dei vaccini previsti nel decreto medesimo, è governata da clausole di riservatezza che impediscono ai cittadini di conoscere il costo effettivo della singola dose di vaccino, con l'inevitabile e susseguente riduzione della concorrenza su tali prodotti; sulla base dei pochi dati disponibili emerge peraltro che la stessa dose di vaccino in Italia risulta avere un prezzo superiore rispetto ad altri Paesi, come ad esempio la Germania e la Francia. L'Antitrust ha inoltre segnalato che non esistono farmaci equivalenti in ambito vaccinale, a differenza di quanto previsto per i farmaci generici;
    è necessario, se non addirittura doveroso, che la negoziazione dei vaccini obbligatori non debba essere coperta da vincolo di confidenzialità e riservatezza e che il fascicolo di prezzo e rimborso dei vaccini sia pubblico;
    i dati relativi agli studi clinici condotti per i vaccini obbligatori non dovrebbero essere considerate informazioni commerciali di carattere riservato se l'autorizzazione all'immissione in commercio è già stata concessa, se la procedura per la concessione dell'autorizzazione all'immissione in commercio si è già conclusa oppure se una domanda di autorizzazione all'immissione in commercio è stata ritirata, né sono considerate di carattere riservato le principali caratteristiche della sperimentazione clinica, la conclusione sulla parte I della relazione di valutazione per l'autorizzazione di una sperimentazione clinica, la decisione riguardante l'autorizzazione a una sperimentazione clinica, la modifica sostanziale di quest'ultima e i relativi risultati, ivi incluse le ragioni dell'interruzione temporanea e della conclusione anticipata nonché i dati relativi agli eventi e reazioni avverse;
    anche durante l'esame parlamentare del decreto-legge non sono stati sufficientemente esplicitati e chiariti quali siano gli obblighi assunti e le strategie concordate a livello europeo e internazionale e gli obiettivi comuni fissati nell'area geografica europea cui il provvedimento in questione tanto nel preambolo quanto nell'articolato;
    appare necessario chiarire se ci sia qualche correlazione con obbligazioni di tipo finanziario e in particolare con l'Alleanza Globale per le Vaccinazioni (GAVI), progetto che l'Italia sostiene dal 2006, finanziando i suoi principali strumenti finanziari (Advanced Market Commitments, International Finance Facility for Immunisation e GAVI Matching Fund);
    il 27 gennaio del 2015, durante «Reach Every Child», la conferenza dei donatori del GAVI per il periodo 2016-2020, ospitata dal governo tedesco a Berlino, il nostro Paese si è impegnato a versare contributi diretti pari a 120 milioni di dollari, in aggiunta a quanto già impegnato su un periodo ventennale;
    l'Alleanza Globale per le Vaccinazioni (GAVI) è una fondazione giuridica privata e nasce come forma di partenariato globale fra pubblico e privato che ha lo scopo di migliorare l'accesso all'immunizzazione per la popolazione dei Paesi in via di sviluppo, intervenendo a sostegno dei Paesi che non hanno accesso a le cure o alla risorse necessarie. Riunisce Governi di Paesi in via di sviluppo e di Paesi donatori, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia (UNICEF), la Banca Mondiale, l'industria dei vaccini, varie organizzazioni della società civile, la Fondazione Bill & Melinda Gates e altri filantropi; nello specifico, l'Alleanza GAVI promuove dodici vaccini: il vaccino pentavalente (difterite, tetano, pertosse, epatite B e Haemophilus influenzae tipo B) e i vaccini contro lo pneumococco, il rotavirus, la polio, il morbillo, la rosolia e il papilloma virus (HPV);
    l'obbligatorietà dei vaccini introdotta con il decreto-legge in esame potrebbe peraltro paradossalmente ridurre il tasso di compliance nelle vaccinazioni da parte delle famiglie italiane, circostanza questa che potrebbe destare reali preoccupazioni, in riferimento a talune patologie; come evidenziato dagli studi condotti da autorevoli enti internazionali, come l’European Center for Disease Prevention and Control, è proprio una corretta informazione, basata su elementi di carattere scientifico, lo strumento più consono ad assicurare elevati tassi di adesione spontanea ai piani vaccinali;
    il decreto-legge sulla prevenzione vaccinale presenta numerose criticità tecniche o incongruenze che richiedono una urgente soluzione;
    durante il dibattito alla Camera dei deputati è stata posta la fiducia al provvedimento ed ogni intervento migliorativo, pur ritenuto necessario dal medesimo Governo, è stato respinto ed è stata prospettata la possibilità di rinviare a future circolari applicative la risoluzione dei dubbi interpretativi di molte sue disposizioni;
    è fondato il timore che tutte le incongruenze e i dubbi possano determinare un rilevante contenzioso, anche a livello di giustizia amministrativa, oltreché un diffuso disorientamento nelle famiglie e nelle istituzioni scolastiche e sanitarie,

impegna il Governo:

1) ad emanare con urgenza una circolare che consenta ai genitori che debbano effettuare le analisi sierologiche, contemplate dal decreto-legge n. 73 del 2017 e volte a comprovare l'avvenuta immunizzazione, di rivolgersi gratuitamente al servizio sanitario nazionale;
2) a introdurre, in occasione del nuovo aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, tutti gli esami sierologi o diagnostici che consentano, alla luce delle conoscenze scientifiche acquisite, d'individuare con la maggiore precisione possibile le complicanze potenzialmente derivabili dalla vaccinazione, implementando, se necessario, un gruppo di ricerca deputato a determinare se e quali strumenti diagnosi possano essere idonei a prevedere la concreta verificabilità degli eventi avversi alle vaccinazioni;
3) ad adottare un provvedimento anche di natura regolamentare che disciplini la possibilità di esprimere il dissenso informato e motivato alla somministrazione della profilassi vaccinale, che il genitore o il tutore intendano firmare al fine di interrompere la profilassi;
4) a monitorare gli effetti applicativi del decreto-legge n. 73 del 2017, come convertito in legge, prevedendo una relazione semestrale da pubblicare sul sito internet del Ministero della salute, anche al fine di adottare iniziative normative necessarie ad escludere l'obbligatorietà delle vaccinazioni e al fine di recuperare la piena tutela e protezione del principio di autodeterminazione della persona e della libertà del singolo nel rispetto dei princìpi costituzionali del nostro ordinamento giuridico, prevedendo altresì che, in caso di eradicazione delle malattie oggetto di vaccinazione di cui al decreto-legge n. 73 del 2017 o di efficaci copertura vaccinali, possa essere sospeso l'obbligo vaccinale, anche con il potere di ordinanza contemplato nel nostro ordinamento giuridico;
5) a ridurre gli oneri burocratici delle famiglie, prevedendo che siano le amministrazioni pubbliche interessate dal decreto-legge n. 73 del 2017 a trasmettere la documentazione comprovante l'avvenuta vaccinazione;
6) a rivedere, anche attraverso nuove iniziative legislative, il divieto di accesso dei bambini ai servizi educativi per l'infanzia e alle scuole dell'infanzia, in caso di mancata presentazione della documentazione comprovante le avvenute vaccinazioni, al fine di poter comunque garantire a tutti l'ingresso ai servizi socio educativi e alle materne, e quindi il loro diritto alla socializzazione e all'apprendimento;
7) ad assumere iniziative per reperire risorse aggiuntive – anche in fase di approvazione della prossima legge di bilancio – e di adottare misure necessarie all'ampliamento dell'organico amministrativo delle scuole e all'implementazione di procedure informatizzate, affinché le scuole possano sostenere gli oneri burocratici e amministrativi susseguenti all'entrata in vigore del decreto-legge n. 73 del 2017, come modificato a seguito della conversione in legge;
8) ad assumere iniziative per prevedere maggiori risorse al Servizio sanitario nazionale al fine di garantire la piena disponibilità sul territorio nazionale di vaccini monovalenti, affinché il soggetto immunizzato sia posto nella condizione di poter adempiere all'obbligo vaccinale, escludendo qualsiasi possibilità di effettuare la vaccinazione in soggetti già immunizzati e prevedendo altresì che la produzione monovalente dei vaccini obbligatori sia affidata allo stabilimento chimico farmaceutico nazionale;
9) ad implementare ricerche e studi concernenti i potenziali effetti collaterali e complicanze da vaccini multivalenti, tenendo conto di quanto rilevato dalla Commissione «Uranio», nella relazione intermedia citata in premessa;
10) a emanare linee guida specifiche affinché i centri vaccinali forniscano ai genitori, tutori o affidatari informazioni puntuali sulle modalità di effettuazione e la via di somministrazione dei vaccini, sul grado di efficacia e sugli eventi avversi, sulle probabilità del loro verificarsi e sul loro trattamento nonché sulle possibili conseguenze sanitarie derivanti dalla mancata vaccinazione, sulle condizioni cliniche che costituiscono una controindicazione alla vaccinazione nonché precise indicazioni, per sanitari e genitori, sulle procedure da attivare per la comunicazione di segnalazioni avverse;
11) ad assumere iniziative per prevedere che le risorse derivanti dalla comminazione delle sanzioni rimangano nella disponibilità delle regioni, siano rese pubbliche nel loro ammontare e siano destinate ai Consultori familiari affinché siano in grado di attivare un'informazione capillare ed esaustiva alle famiglie e affinché siano in grado di attivare un farmacovigilanza attiva attraverso un calendario di visite periodiche, anche post-vaccinali;
12) a rafforzare gli standard organizzativi e strutturali dei centri e servizi preposti alle vaccinazioni, implementandone gli organici e forme di collaborazione attiva con la rete dei pediatri di famiglia;
13) ad assumere iniziative normative per prevedere che il Ministero della salute, in relazione gli indennizzi e i risarcimenti conseguenti ai danni procurati dai vaccini di cui al decreto-legge n. 73 del 2017, debba rivalersi sulla casa farmaceutica di produzione;
14) ad assumere iniziative di carattere normativo, affinché le risorse necessarie ad assicurare al Ministero della salute un contingente fino a 20 unità di personale dedicate alla definizione delle procedure intese al ristoro dei soggetti danneggiati da trasfusioni con sangue infetto, da somministrazione di emoderivati infetti o da vaccinazioni obbligatorie, non siano sottratte dall'autorizzazione di spesa per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie;
15) a fornire con sollecitudine, un'interpretazione autentica della disposizione, contenuta nel decreto-legge 73 del 2017, che circoscrive l'ambito di applicazione della legge 210 del 1992 ai soli vaccini 9 indicati nel decreto medesimo, chiarendo che la legge sugli indennizzi (legge n. 210 del 1992), in conformità alla sentenza della Corte costituzionale n. 107 del 2012, si applica invece a tutte le persone vaccinate in adempimento del Piano nazionale vaccinale vigente, ove sono incluse altre vaccinazioni fortemente raccomandate, come ad esempio l'HPV per femmine e maschi o lo zolster;
16) a prevedere efficaci iniziative, anche legislative, che favoriscano la ricerca pubblica e indipendente in ambito farmacologico e garantiscano l'assenza di conflitti di interesse, anche potenziali, tra i soggetti coinvolti nella sperimentazione clinica dei vaccini e le aziende farmaceutiche, soprattutto quando quest'ultima riguardi prodotti farmaceutici, come per l'appunto i vaccini, che godono di una sorta di «garanzia d'acquisto dal parte del Servizio Sanitario Nazionale» poiché inseriti nei LEA o poiché resi obbligatori con legge dello Stato;
17) ad attivarsi, anche con circolari esplicative, affinché la negoziazione dei vaccini obbligatori non sia coperta da vincolo di confidenzialità e riservatezza e il fascicolo di prezzo e rimborso dei vaccini sia pubblico nonché a rendere pubblici i dati relativi agli studi clinici condotti per i vaccini indicati nel decreto-legge n. 73/2017, in conformità al Regolamento (UE) n. 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014;
18) ad attivarsi, per quanto di competenza, per quanto di competenza, affinché le persone incaricate e coinvolte nella sperimentazione clinica non abbiano conflitti di interesse, siano indipendenti dal finanziatore e siano esenti da qualsiasi indebito condizionamento e che non abbiano interessi finanziari in grado di inficiare l'imparzialità della ricerca, prevedendo quindi che tutti i soggetti coinvolti nella ricerca rendano pubblici, ogni anno, gli interessi finanziari e il curriculum vitae dal quale sia desumibile ogni carica o incarico, anche gratuito, presso enti o aziende, pubblici e privati;
19) ad assumere le iniziative di competenza per tutelare l'indipendenza dei ricercatori assicurando loro la massima autonomia nella pubblicazione e diffusione dei dati, senza alcuna influenza dei finanziatori o dei vincoli di proprietà di soggetti terzi che possano deciderne la diffusione o meno in funzione dei propri interessi commerciali;
20) ad attivarsi affinché le riviste scientifiche siano realmente trasparenti anche attraverso l'introduzione di appositi divieti volti a non considerare validi, nei concorsi pubblici, punteggi che siano correlati a pubblicazioni scientifiche non supportate da una comprovata indipendenza sia delle ricerche condotte e sia delle riviste scientifiche i cui membri dei comitati o responsabili editoriali non abbiano fornito congrua informativa sull'assenza di conflitti d'interesse;
21) ad assicurare, per quanto di competenza, il preliminare intervento del Garante della privacy sull'imponente trattamento di dati sensibili e sanitari previsto nel decreto-legge n. 73 del 2017, assicurando che sia garantita la massima tutela del diritto alla riservatezza di quei dati che siano idonei a rivelare lo stato di salute dei cittadini;
22) ad attivarsi affinché sia resa pubblica, anche attraverso una relazione alle Camere da parte dei Ministri competenti, l'esposizione finanziaria dell'Italia in relazione al GAVI, indicando esattamente se e quali debiti l'Italia abbia contratto, chiarendo se e in quale misura eventuali obbligazioni finanziarie del GAVI siano correlate al decreto-legge n. 73 del 2017, indicando con chiarezza se il decreto-legge citato assolva o meno ad impegni di tifo finanziario assunti dall'Italia con questa Fondazione avente natura giuridica privata.
(1-01683) «Colonnese, Nesci, Grillo, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero, Baroni, Cecconi, Dall'Osso».

Risoluzioni in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    tra i servizi pubblici più importanti per la collettività vi sono quelli di emergenza e, tra questi, il ruolo svolto dai vigili del fuoco a presidio del cittadino è essenziale, specie per ciò che riguarda il primo intervento, la prevenzione e il ripristino delle condizioni di sicurezza in caso di calamità, rischi derivanti da incendi e altre svariate tipologie di incidenti;
    secondo dati forniti dal Governo il solo Corpo nazionale, dal 15 giugno fino al 18 di luglio 2017, la fase più acuta dell'emergenza legata agli incendi boschivi, ha effettuato circa 27.500 interventi a terra, più di 2.900 ore di volo, a fronte delle 733 dell'anno precedente, e più di 15.800 lanci d'acqua a fronte dei circa 3.600 dello stesso periodo del 2016;
    purtroppo, ad oggi, tale rilevanza non ha trovato riscontro nell'attenzione che viene ad essi dedicata nella ripartizione delle risorse disponibili, nel riconoscimento del loro status e di un adeguato trattamento economico;
    ciò che è più urgente, nello specifico, è però la necessità di dotare il Corpo delle risorse umane necessarie ad un'adeguata operatività, specie nei mesi estivi e in considerazione dei nuovi compiti relativi al contrasto agli incedi boschivi derivanti a seguito dell'approvazione della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dei successivi decreti legislativi attuativi;
    la competenza primaria in materia di lotta attiva a questa minaccia spetta alle regioni, ma è riservato allo Stato il concorso nell'attività di spegnimento, dato che il Corpo nazionale, su richiesta delle regioni, può concorrere alle attività di lotta attiva agli incendi boschivi, sulla base di specifici accordi stipulati con le regioni medesime;
    come rilevato in svariati atti, tra cui da ultimo nell'interpellanza n. 2-01850 del primo firmatario del presente atto e nell'interpellanza urgente Luigi Gallo ed altri n. 2-01895, veniva ribadito che la carenza di più di 3 mila pompieri mette in crisi l'intero sistema di spegnimento tanto a livello aereo, quanto a terra, dal momento che l'Italia registra un vigile ogni 15 mila abitanti, rapporto molto al di sotto degli standard di un vigile ogni 1000 abitanti previsto dagli standard europei;
    inoltre, nonostante a partire dal 2016 il turnover del personale sia stato ripristinato integralmente e sia stato incrementato l'organico teorico, l'età media degli appartenenti al Corpo si aggira attorno ai 50 anni e non sembra vi siano prospettive immediate di un consistente abbassamento della stessa derivante dalle misure messe in atto dal Governo;
    tale carenza rischia di aggravarsi, da un lato, alla luce delle previsioni di un consistente numero di pensionamenti attesi nei prossimi anni e, dall'altro, alla luce dell'acquisizione delle nuove competenze in materia di incendi boschivi, trasferite a seguito del decreto legislativo n. 177 del 2016 che ha soppresso il Corpo forestale dello Stato;
    nell'ambito dell'operazione di assorbimento del Corpo forestale dello Stato, sono state soltanto 390 le unità del relativo personale transitate nei ruoli dei vigili del fuoco per l'assolvimento dei compiti in materia di spegnimento degli incendi boschivi, peraltro senza valorizzarne adeguatamente le competenze, a fronte degli 8000 componenti del Corpo forestale dello Stato che precedentemente assolveva a questa funzione;
    nell'ambito del finanziamento delle assunzioni di personale a tempo indeterminato di tutte le amministrazioni dello Stato previsto dalla legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio per l'anno 2017 pari a 70 milioni di euro per l'anno in corso e 180 milioni di euro annui per il periodo 2018-2030, da ripartire tra le forze di polizia, al Corpo nazionale era stato garantito in svariate sedi dal Governo un riconoscimento specifico per le assunzioni, corrispondenti a circa 23 milioni di euro per il 2017 e circa 80 milioni dal 2018 che, viste le evidenziate carenze, devono essere confermati e che invece sembrano di recente essere stato messo in discussione e ridimensionato a 16 milioni di euro;
   è inoltre urgente dare adeguate risposte tanto ai 4120 idonei della graduatoria del concorso pubblico bandito nel 2008 (Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 90 del 18 novembre 2008) per il reclutamento di 814 vigili del fuoco, quanto al personale richiamato in servizio per le esigenze dei comandi provinciali, alla luce di quanto previsto dalla risoluzione conclusiva di dibattito in commissione Plangger n. 8-00217 e dal decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 97,

impegna il Governo:

   ad adottare opportune iniziative al fine di confermare l'impegno finanziario di 23 milioni di euro per il 2017 e 80 milioni dal 2018 da destinare all'assunzione di almeno 569 nuove unità per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per non compromettere l'assolvimento dei compiti da esso svolti;
   ad assumere tutte le iniziative atte ad identificare nuove risorse per rafforzare ulteriormente l'organico dei vigili del fuoco, incrementandole a partire dal prossimo disegno di legge di bilancio;
   a procedere alle nuove assunzioni, nel rispetto degli impegni previsti nella citata risoluzione in commissione n. 8-00217, completando entro il 30 novembre 2017 i due elenchi di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 97, nonché a programmare il progressivo esaurimento della graduatoria di candidati idonei del concorso pubblico per 814 vigili del fuoco di cui al bando indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4a serie speciale, n. 90, del 18 novembre 2008;
   ad assumere iniziative per favorire, attraverso i concorsi che verranno banditi, al di fuori delle quote riservate, l'assunzione all'interno del Corpo dei vigili del fuoco di personale provvisto di diploma di scuola secondaria di secondo grado;
   a monitorare, attraverso la raccolta di dati statistici, le criticità derivanti dalla prima applicazione della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dal successivo decreto legislativo n. 177 del 2016, con specifico riferimento alla soppressione del Corpo forestale dello Stato e agli effetti prodotti dai nuovi assetti organizzativi sulla capacità di contrasto agli incendi boschivi, fornendone una relazione al Parlamento;
   ad adottare le iniziative di competenza per favorire il riconoscimento all'interno del Corpo nazionale dei vigili del fuoco delle competenze maturate dal personale proveniente dal Corpo forestale dello Stato, inquadrandolo in uno specifico comparto di specialità con compiti che includano quello di direzione delle operazioni di spegnimento nel servizio antincendio boschivo;
   ad assumere iniziative volte ad individuare nuove risorse per il rafforzamento dei mezzi in dotazione del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
(7-01333) «Cozzolino, Dadone, Dieni, Cecconi, Toninelli, D'Ambrosio, Rizzo, Corda, Basilio, D'Uva, Frusone, Massimiliano Bernini, Gallinella».


   La V Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, contiene varie disposizioni finalizzate a dare concreta attuazione alla legge di bilancio per il 2017 e agli accordi assunti dal Governo con gli enti locali;
    le questioni più rilevanti tra queste disposizioni interessano il comparto delle province e delle città metropolitane e consentono di gestire una fase finanziaria provvisoria e delicata, rispetto alla quale appare inevitabile una riflessione sul ruolo e sulle funzioni delle province delle regioni a statuto ordinario alla luce del risultato del referendum del 4 dicembre 2016, fermi restando i punti di forza della riforma adottata nel 2014;
    in tale contesto, per il 2017 e il 2018 e stato aumentato il finanziamento per l'esercizio delle funzioni fondamentali delle province fino a 180 milioni di euro e confermato quello di 80 milioni di euro a decorrere dal 2019. Per la medesima finalità sono stati attribuiti 12 milioni di euro alle città metropolitane per ciascuno degli anni 2017 e 2018, tenendo conto che dal 2019 non sarà più dovuto il contributo di 516,7 milioni di euro annui di riduzione della spesa corrente richiesto, anche per gli anni 2017 e 2018, ai sensi dell'articolo 47, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89;
    inoltre, per l'anno 2017, sono stati autorizzati contributi di 170 milioni di euro per l'attività di manutenzione straordinaria delle strade provinciali e 79 milioni di euro finalizzati agli interventi sull'edilizia scolastica di province e città metropolitane;
    un contributo di 10 milioni di euro è stato attribuito per il 2017 alle province che hanno dichiarato il dissesto entro il 31 dicembre 2015 e che non sono state escluse dal contributo al risanamento della finanza pubblica;
    con riguardo alla finalità di favorire l'approvazione dei bilanci da parte delle province e delle città metropolitane, è stata prevista l'estensione al 2017 di talune misure, operanti in deroga alla disciplina contabile, già introdotte in precedenti esercizi finanziari tra cui consentire di predisporre il bilancio di previsione per la sola annualità 2017 e di applicarvi al medesimo bilancio di previsione l'avanzo libero e destinato. È stata introdotta, inoltre, la possibilità di utilizzare i proventi delle contravvenzioni per finanziare oneri relativi alle funzioni di viabilità e polizia locale per migliorare la sicurezza stradale;
    sono state eliminate le sanzioni a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario, nonché della regione siciliana e della regione Sardegna che non hanno rispettato il vincolo del saldo non negativo tra le entrate e le spese finali nell'anno 2016;
    infine, il decreto-legge n. 91 del 2017 (decreto-legge «Mezzogiorno») ha stanziato per le province e le città metropolitane delle regioni a statuto ordinario, un contributo complessivo di 100 milioni di euro per l'anno 2017, di cui 72 milioni di euro a favore delle province e 28 milioni di euro a favore delle città metropolitane;
    il provvedimento, pur non risolvendo tutti i problemi aperti su questo versante, segnala la volontà di dare risposte che consentano alle province di vivere questa fase di transizione, in vista di un nuovo assetto, sia dal punto di vista istituzionale che dal punto di vista delle possibilità e delle competenze finanziarie, più stabile e definito;
    ciò era richiesto anche dall'Upi nazionale e dall'accordo che è intervenuto nella Conferenza Stato-città, nella cui sintesi si invitavano le province a «certificare» lo squilibrio al 30 giugno (data ultima per l'approvazione dei bilanci) con l'intento da parte del Ministero di finanziare in modo puntuale le province in disequilibrio;
    con decreto del presidente della provincia di Pistoia si è accertato uno squilibrio della situazione corrente annuale 2017 della Provincia di euro 7.042.527,50,

impegna il Governo

a proseguire nello sforzo intrapreso al fine di garantire le risorse necessarie in particolare alle provincie che, come quella di Pistoia, presentano un disavanzo previsionale della situazione corrente 2017.
(7-01335) «Fanucci, Bini».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, recante «Riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le Autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, in attuazione dell'articolo 8, comma 1, lettera f), della legge 7 agosto 2015, n. 124», ha previsto la sostituzione delle 24 autorità portuali precedentemente presenti sul territorio con 15 autorità di sistema portuale (AdSP) che accorpano 57 porti italiani;
    l'articolo 9 della legge n. 84 del 1994, come modificato dal decreto legislativo suddetto, prevede che il comitato di gestione, organo dell'autorità di sistema portuale ai sensi dell'articolo 7, sia composto:
   a) dal presidente dell'AdSP, che lo presiede e il cui voto prevale in caso di parità dei voti espressi;
   b) da un componente designato dalla regione o da ciascuna regione il cui territorio è incluso, anche parzialmente, nel sistema portuale;
   c) da un componente designato dal sindaco di ciascuna delle città metropolitane, ove presente, il cui territorio è incluso, anche parzialmente, nel sistema portuale;
   d) da un componente designato dal sindaco di ciascuno dei comuni ex sede di autorità portuale inclusi nell'AdSP, esclusi i comuni capoluogo delle città metropolitane;
   e) da un rappresentante dell'autorità marittima, designato dalle direzioni marittime competenti per territorio, con diritto di voto nelle materie di competenza, prevedendo la partecipazione di comandanti di porti diversi da quello sede dell'AdSP, nel caso in cui siano affrontate questioni relative a tali porti;
    il suddetto decreto legislativo ha accorpato le autorità sarde di Cagliari e del nord Sardegna istituendo l'Autorità di sistema portuale del mare di Sardegna che comprende i porti di Cagliari, Foxi-Sarroch, Olbia, Porto Torres, Golfo Aranci, Oristano, Portoscuso-Portovesme e Santa Teresa di Gallura;
    con il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 17 luglio 2017, n. 369, è stato nominato il professor Massimo Deiana presidente dell'autorità di sistema portuale del mare di Sardegna;
    Porto Torres, secondo scalo della Sardegna in ordine di passeggeri e primo per quantità di merci, non essendo già sede di autorità portuale perderà la rappresentanza in seno al comitato di gestione e non avrà un ufficio territoriale portuale con conseguenti disparità tra i maggiori porti dell'isola;
    al fine di evitare tali disparità sarebbe auspicabile, infatti, che un rappresentante designato dal sindaco del comune di Porto Torres, che è anche il porto di riferimento della seconda area più popolata della Sardegna, sia presente all'interno del comitato di gestione e partecipi pertanto alle scelte strategiche dell'autorità di sistema portuale del mare di Sardegna,

impegna il Governo

ad adottare iniziative normative al fine di includere nel comitato di gestione delle autorità di sistema portuale anche componenti designati dai comuni non già sede di autorità portuale ma che rivestono un ruolo di fondamentale importanza per il territorio in cui si collocano, come ad esempio Porto Torres, scalo di notevole rilevanza economica per la Sardegna.
(7-01332) «Nicola Bianchi».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    il decreto del Ministero della sanità 14 settembre 1994, n. 739, ha individuato la figura professionale dell'infermiere: egli è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale, è responsabile dell'assistenza generale infermieristica. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l'assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l'educazione sanitaria e svolge una assistenze infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa di natura tecnica, relazione ed educativa;
    il legame tra requisiti previdenziali e aspettativa di vita, così come misurata dall'Istat, è stato introdotto originariamente da una disposizione del 2009 e una successiva disposizione del 2010 ha fissato una cadenza triennale per l'adeguamento, secondo le rilevazioni effettuate dall'Istat. La normativa in questione è stata interessata, in un breve lasso di tempo, da molti interventi normativi, fra i quali il decreto-legge n. 98 del 2011, che ha anticipato al 2013 il meccanismo di aggiornamento. Successivamente, il decreto-legge «Monti-Fornero», oltre a prevedere un generale aumento dei requisiti pensionistici, ha anche stabilito che ai requisiti anagrafici per l'accesso alla pensione di vecchiaia, nonché al requisito dell'anzianità contributiva per la pensione anticipata, siano applicati incrementi derivanti dal meccanismo di adeguamento all'aspettativa di vita. La medesima disposizione normativa ha stabilito che, successivamente all'adeguamento effettuato nel 2019, l'aggiornamento dei requisiti avverrà con cadenza biennale anziché triennale;
    l'innalzamento dell'età pensionabile in base al suddetto meccanismo ha interessato tutti i lavoratori – ad eccezioni di alcune tipologie –, ma in particolar modo è apparso iniquo per alcune professioni e mestieri che risultano particolarmente «pesanti» e logoranti, pur rivestendo un ruolo fondamentale nella società;
    tra questi vi sono sicuramente gli infermieri: essi sono professionisti della salute responsabili dell'assistenza infermieristica e che in autonomia pianificano l'assistenza, sono chiamati a svolgere funzioni che comportano responsabilità importanti e spesso turni lavorativi notturni fronteggiando situazioni fonte di forte stress;
    l'infermiere infatti, per il lavoro che svolge, è soggetto ad una serie di rischi per la salute, pericoli e patologie: a) il dramma delle diffusissime patologie del rachide che limitano i movimenti nell'assistenza; b) lo stress psico-fisico lavoro correlato essendo richiesto di fornire prestazioni superiori alla media sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo; c) l'alta esposizione ad agenti biologici dovuta al contatto ravvicinato con i pazienti; d) l'esposizione ad agenti cancerogeni di diversa natura: chimici, da radiazioni, biologici, fisici e ai quali deve essere sommato ciò che di dannoso può derivare da condizioni ambientali o turni di lavoro non adeguati; e) l'alta incidenza di infortuni sul lavoro dovuti a cadute accidentali, perdita di controllo o rottura di attrezzature o macchinari; f) movimenti sotto sforzo fisico e aggressioni o violenze da parte di estranei; g) il burn-out da elevato impegno emotivo e organizzativo tipico delle professioni che si prendono cura di altre persone; h) le molestie sessuali, il disequilibrio lavoro-vita privata per orari di lavoro ostili con inattesi raddoppi di turni o improvvisi turni di notte, che relegano sempre la famiglia e il coniuge al secondo posto e sono spesso alla base delle ormai frequentissime crisi coniugali; secondo un rapporto del Bureau International du Travail (Bit)/Organizzazione mondiale della sanità sulle condizioni di lavoro, il lavoro notturno e il sistema dei turni sono tra i fattori che causano i problemi più gravi in tutti i servizi infermieristici del mondo. Da decenni, la scienza studia ed analizza gli effetti dei turni di lavoro sulla vita degli uomini, che alterano i ritmi dettati dalla natura (circadian rhithm), individuando patologie e disturbi, che, a lungo andare, danneggiano la salute e rendono l'attività lavorativa più pesante e pericolosa. Chi lavora di notte, alterando il bioritmo luce-buio, impedirebbe al cervello di produrre l'ormone della melatonina nel modo giusto e, per questo motivo, si ammalerebbe più facilmente. Inoltre dormire poco e male, andare a letto quando il sole sorge e svegliarsi quando tramonta indebolirebbe le difese immunitarie e renderebbe il fisico più vulnerabile rispetto a fenomeni cancerogeni. Secondo gli studiosi, nelle lavoratrici che hanno lavorato a lungo di notte (ad esempio, oltre sei anni) il rischio aumenta, arrivando al 70 per cento in più rispetto alle colleghe occupate nelle ore diurne; i) il doppio lavoro (casa e ospedale) per una professione sbilanciata all'80 per cento sul ruolo femminile;
    a ciò si aggiunga che l'allungamento dell'età lavorativa pone seri problemi per una categoria che è sottoposta a carichi di lavoro assistenziale sempre più pesanti e complessi, la cui rilevanza ha diretto impatto su un bene costituzionalmente tutelato come la salute;
    la categoria professionale degli infermieri, dunque, sicuramente potrebbe rientrare tra le professioni usuranti per lo stress cui sono sottoposti, non solo per i turni di lavoro (spesso notturni) che sono chiamati ad affrontare ma anche per la delicatezza ed importanza del ruolo che svolgono e delle responsabilità connesse, nonché per tutti gli altri rischi e gli effetti sopra elencati che gravano sull'infermiere;
    tuttavia, l'articolo 1, lettera a) e b), del decreto legislativo n. 67 del 2011 annovera tra le attività considerate usuranti i lavori indicati nel decreto del Ministero del lavoro del 19 maggio 1999, nonché determinate categorie di lavoratori notturni a turni elencati nella lettera b) del decreto n. 67 del 2011: tra di essi non vi rientrano gli infermieri;
    il beneficio per i lavoratori che svolgono lavori usuranti consiste nella possibilità di andare in pensione con il vecchio sistema delle quote – se più favorevole rispetto alle regole di pensionamento introdotte con la «riforma Fornero». Nello specifico coloro che svolgono lavori usuranti possono andare in pensione, dal 1o gennaio 2016, con una anzianità contributiva minima di 35 anni, una età minima pari a 61 anni e 7 mesi ed il contestuale perfezionamento della quota 97,6;
    recentemente, il legislatore con la legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017), evidentemente preso atto della peculiarità del lavoro svolto dagli infermieri, ha inserito il «personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzati in turni» nella nuova categoria dei lavoratori impegnati in mansioni definite gravose: «attività lavorative per le quali è richiesto un impegno tale da rendere particolarmente difficoltoso e rischioso il loro svolgimento in modo continuativo»; ad essi viene consentito l'accesso all'anticipo pensionistico sociale (cosiddetta «APE social») ma solo a determinate condizioni previste dai commi 185 e 186 dell'articolo 1 della medesima legge;
    nonostante la categoria eserciti un'attività di fatto altamente usurante, viene concessa agli infermieri solo una residuale limitata deroga;
    dunque, per tale categoria di lavoratori rimane forte l'iniquità prodotta sia dall'introduzione del parametro dell'aspettativa di vita che ne ha innalzato l'età pensionabile che dal mancato pieno riconoscimento della qualifica di lavoro usurante che così discrimina gli infermieri a fronte delle attività che svolgono, dei rischi, dei sacrifici e dei pericoli cui sono esposti durante la vita lavorativa,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per prevedere l'estensione della qualifica di lavoratori impegnati in attività di lavoro usurante, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67 all'intera categoria degli infermieri, attribuendo agli stessi tutte le garanzie e le tutele previste;
   ad assumere iniziative per prevedere la costituzione di un Osservatorio permanente volto alla individuazione e al monitoraggio di tutte le attività classificabili gravose e/o usuranti e di lavoratori interessati dalle stesse, al fine di una estensione delle tutele e garanzie previste per tali tipologie di lavoro.
(7-01334) «Ciprini, Tripiedi, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il 24 agosto del 2016 un fenomeno sismico, definito sequenza sismica Amatrice-Norcia-Visso, devastava una ampia area dell'Italia centrale, causando centinaia di morti e la distruzione di interi centri abitati;
   tra le località che hanno subito maggiori danni, sia in termini di vite umane, sia di crolli, si annoverano Amatrice, Accumoli, Norcia, Visso, Arquata del Tronto, e moltissimi altri paesi della valle del Tronto (in totale 131 comuni in 4 regioni);
   una prima stima del Governo, sicuramente in difetto, ha valutato in oltre 4 miliardi di euro i danni al patrimonio immobiliare, storico ed artistico. L'ultima relazione inviata all'Unione europea, anche a seguito di ulteriori scosse registrate, parla di oltre 23 miliardi di euro;
   il 26 ottobre 2016, il 30 ottobre 2016, e il 18 gennaio 2017, si sono registrate ulteriori scosse di terremoto nelle stesse aree geografiche;
   il 22 luglio 2017 altre scosse hanno interessato in particolare Amatrice e Campotosto;
   l'attività sismica, pur con entità ridotta rispetto all'evento del 24 agosto 2016, continua ad interessare le aree dell'Italia centrale già fortemente danneggiate;
   a distanza di circa un anno dal primo evento risulta all'interpellante che tutte le azioni dirette alla messa in sicurezza del aree interessate, a partire dalla rimozione delle macerie (meno del 10 per cento rimosso), alla realizzazione dei quartieri SAE (soluzioni abitative di emergenza), e, soprattutto alla ripresa delle normali attività economiche e sociali, registrano un notevole ritardo;
   in particolare, solo una piccola percentuale di casette (SAE) sono state assegnate; nessuna azione risulta essere stata intrapresa per programmare in tempi brevi, e certi, la ricostruzione dei centri abitati, atteso che:
    le casette (SAE), soprattutto in relazione alla loro dimensione, al materiale con cui sono realizzate, al loro posizionamento direttamente sul terreno, al contesto geografico, particolarmente esposto nella stagione invernale a condizioni meteorologiche estreme, non risultano idonee ad una permanenza stabile e duratura nel tempo;
    la loro allocazione in un contesto in cui permane la presenza delle macerie, in assenza di attività commerciali, e di servizi, non facilita la ripresa di una vita relazionale, sociale ed economica delle popolazioni –:
   se abbia assunto o intenda assumere iniziative per un accurato accertamento mirato a conoscere lo stato di avanzamento delle azioni previste, e garantite dal Governo, nell'immediatezza del primo evento sismico, con una puntuale verifica di ciò che è stato fatto e ciò che resta da realizzare, individuando le ragioni dei ritardi accumulati, per rimuovere ogni ulteriore causa ostativa;
   quali risorse siano disponibili, e quali altre si intenda mettere a disposizione per assicurare alle popolazioni, in tempi brevi e certi, ogni strumento necessario a facilitare la ricostruzione dei centri abitati, e con essi, delle comunità.
(2-01910) «Chiarelli».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori ritenuti strategici e di interesse nazionale, con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, sono stati disciplinati i poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in ambiti strategici nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
   condizioni e procedure sono state successivamente definite con il decreto del Presidente della Repubblica 19 febbraio 2014, n. 35, e con il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 86, mentre la specifica individuazione degli attivi di rilevanza strategica con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 giugno 2014, n. 108 e con il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85;
   in materia di comunicazioni, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 86 del 2014, l'impresa che opera nei settori di rilevanza strategica per l'interesse nazionale è tenuta a notificare alla Presidenza del Consiglio dei ministri un'informativa completa sulla delibera o sull'atto da adottare ai fini dell'eventuale esercizio del potere di veto la cui proposta, preceduta da istruttoria, è affidata al Ministero dello sviluppo economico;
   titolare dell'unica rete telefonica capillare attiva su tutto il territorio nazionale, alla quale accedono altri operatori che ne sono privi, è Tim spa, attiva nella costruzione e nella fornitura di infrastrutture di telecomunicazioni, nonché nell'offerta di servizi (telefonia fissa, mobile e satellitare, trasmissione dati e accesso a Internet, connettività, rete e accesso a infrastrutture, commercio elettronico, creazione di siti web, offerta di soluzioni Internet/Intranet/Extranet alle aziende, vendita di spazi pubblicitari on-line, audiovisivo);
   TI Sparkle, controllata da Tim spa, è proprietaria di un backbone IP che copre l'Europa, il bacino del Mediterraneo e le Americhe, oltre che di una rete di cavi sottomarini che, connettendo l'Europa con il Sud-Est dell'Asia, consente di offrire un portafoglio globale di servizi;
   nel 2016, il fatturato complessivo realizzato a livello mondiale dal gruppo Telecom è stato di circa 19 miliardi di euro, di cui circa 15 miliardi derivanti da vendite in Italia;
   il 30 maggio 2017, la Commissione europea ha autorizzato l'acquisizione del controllo di Vivendi SA su TIM spa, per il 23,9 per cento del capitale, condizionandola all'impegno di Vivendi a cedere le quote detenute da Telecom Italia in Persidera;
   il 18 aprile 2017, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni aveva accertato la violazione dell'articolo 43, comma 11, del decreto legislativo n. 177 del 2005, (Testo unico della radiotelevisione) da parte di Vivendi, in ragione della sua contemporanea partecipazione nel capitale di TIM spa e di Mediaset spa (per una quota pari al 29,9 dei diritti di voto), ordinando la rimozione di tale posizione vietata;
   successivamente, il 4 luglio 2017, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato un procedimento nei confronti di TIM s.p.a. per possibili violazioni della concorrenza ai sensi dell'articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, tra cui l'aver ostacolato le procedure di gara indette da Infratel Italia per la copertura con reti FTTH delle aree bianche, mentre il 19 luglio 2017, la Consob ha avviato una verifica ispettiva per accertare l'influenza di Vivendi nella gestione di Telecom;
   il 27 luglio, il Consiglio di amministrazione di TIM spa ha ratificato la nuova organizzazione esecutiva e l'inizio delle attività di «direzione e coordinamento», ai sensi degli articoli 2497 e seguenti del codice civile, da parte di Vivendi;
   l'ordinamento italiano, contrariamente a quello francese, prevede, in simili modelli di governance di gruppo, il consolidamento dei debiti della controllata da parte della capogruppo e l'obbligo di offerta pubblica di acquisto totalitaria, per non arrecare un danno ingiusto agli azionisti di minoranza;
   l'impegno di cedere le quote detenute da Telecom in Persidera e l'intenzione di creare una media company finanziata in quota maggioritaria da Tim spa determinerebbero lo spostamento di importanti risorse dal piano industriale di Tim verso le strategie industriali di Vivendi;
   inoltre, la ventilata joint venture tra Tim e Canal plus (emittente del gruppo Vivendi) presenta aspetti delicatissimi dal punto di vista del conflitto di interessi e del potenziale nocumento agli altri soci in Tim ed in Mediaset in un settore regolato e strategico come quello della comunicazione televisiva –:
   se, ai sensi della normativa citata in premessa, Vivendi SA abbia notificato al Governo la definitiva acquisizione formale del controllo e delle attività di direzione e coordinamento sulla società Tim spa e quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere il Ministro interpellato, per quanto di competenza, per accertare che l'assunzione in capo a Vivendi SA delle attività di direzione e coordinamento non comporti minacce di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti.
(2-01911) «Orfini».

Interrogazioni a risposta orale:


   ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le «Marcite» di Norcia, un'area di 150 ettari a ridosso delle antiche mura della città di Norcia (PG) inclusa nel parco nazionale dei Monti Sibillini, rappresentano un territorio unico in tutto l'Appennino centro meridionale per le sue eccezionali caratteristiche naturalistiche e ambientali ma anche storiche e culturali;
   la peculiarità di questo territorio costituito da vaste praterie perennemente irrigui, dove la temperatura delle acque affioranti si mantiene attorno agli 11 gradi, è quello di un delicato ecosistema strettamente connesso a fenomeni idrogeologici sotterranei;
   l'origine di tali prati marcitoi si fa risalire al V-VI sec. d.C., ai monaci dell'Ordine di S. Benedetto che, secondo le testimonianze, hanno definito i primi sistemi per la realizzazione della rete dei canali e di chiuse per imbrigliare l'acqua e per consentire l'allagamento dei prati, ancora oggi, esempio tipico di agricoltura intensiva;
   le «Marcite» sono tra le aree individuate già negli anni Settanta come uno dei biotopi più particolari d'Italia e la Unione europea le ha introdotte tra i 92 siti di interesse comunitario della rete Natura 2000; il 30 giugno 2017 è stato inaugurato il primo di quattro padiglioni di un centro polivalente per la valorizzazione economico culturale del territorio nursino, realizzato con i fondi raccolti dall'iniziativa «Un Aiuto Subito» promossa dal Corriere della Sera e TG La7, a seguito del grave evento sismico che ha colpito la città di Norcia il 30 ottobre 2016; la nuova costruzione realizzata nel breve spazio fra le «Marcite» e le antiche mura della città di Norcia, in un'area vincolata, modificherebbe in modo sostanziale l'assetto paesaggistico del territorio, a giudizio dell'interrogante compromettendo il ricco suolo agrario con una vasta area prativa ora ricoperta da ghiaia –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra descritti, se il centro polivalente per la valorizzazione economico-culturale del territorio nursino, realizzato con i fondi raccolti dall'iniziativa «Un Aiuto Subito» promossa dal Corriere della Sera e TG La7 nell'area adiacente le antiche mura della città di Norcia, rientri tra le opere emergenziali di cui alle ordinanze emesse dal dipartimento di Protezione civile e se siano stati rilasciati i relativi nulla osta per la realizzazione del centro polivalente da parte dell'Ente parco nazionale dei Monti Sibillini e della competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici. (3-03202)


   TERZONI, AGOSTINELLI, CECCONI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'indennità una tantum di 5.000 euro per sospensione di attività lavorativa a seguito degli eventi sismici del 2016 è prevista dall'articolo 45, comma 4, del decreto-legge n. 189 del 2016;
   dal sito della regione Marche si legge: «Si segnala che in esito ad apposito quesito presentato dalla Regione Abruzzo d'intesa con la Regione Marche, il Ministero del Lavoro ha ritenuto che l'indennità una tantum prevista dall'articolo 45, comma 4, DL 189/2016, in caso di sospensione di attività, possa essere concessa non solo al titolare di impresa individuale, ma altresì ai soci lavoratori di società di persone, Società semplice, Società in nome collettivo, Società in accomandita semplice, in quanto soggetti contitolari dell'attività d'impresa iscritti ad una delle forme obbligatorie di previdenza e assistenza, come, ad esempio, gli iscritti alla Gestione commercianti e artigiani; di converso è da escludere in favore dei soci lavoratori delle società di capitali, S.p.A., la S.a.p.a., la S.r.l., la S.r.l.s. in quanto in tal caso titolare dell'impresa è la società.»;
   pertanto gli interessati che si trovano nelle condizioni sopra specificate, possono presentare al sistema telematico COMarche una o più domande ad integrazione di quelle già presentate. Questo significa che, grazie a questo accordo fra regione Marche, regione Abruzzo e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si è allargata notevolmente la fetta delle persone che possono accedere a predetto fondo;
   in varie testate giornalistiche locali, quali Resto del Carlino e Corriere Adriatico, è emerso che tale contributo è stato elargito a moltissimi professionisti, fra cui anche nomi noti di politici locali, soci di attività che non avrebbero avuto danni a seguito degli eventi sismici;
   le anomalie più evidenti si sono registrate nei comuni dentro il cratere colpiti in modo marginale dagli eventi sismici per i quali non era necessario collegare la sospensione dell'attività con l'inagibilità dei locali dove si svolgevano le attività professionali;
   secondo le sopracitate fonti giornalistiche sia la procura della Repubblica sia la Guardia di finanza si starebbero occupando della vicenda ma con interpretazioni su questa attività completamente divergenti;
   sulla questione si è registrata una ferma presa di posizione da parte dell'Ordine dei commercialisti e dei revisori contabili della provincia di Ascoli Piceno che reputa intollerabile «assecondare il drenaggio di risorse pubbliche verso scaltri e speculatori»; lo stesso Ordine ha raccomandato ai propri iscritti «di tenere particolarmente alto il profilo etico» –:
   a quanto ammonti il totale delle erogazioni effettuate e se il fondo abbia ancora disponibilità di risorse;
   se non si ritenga opportuno rivedere l'accordo tra regione Marche e Ministero del lavoro e delle politiche sociali e se si intendano modificare il campo di applicazione dell'istituto in maniera che i fondi rimanenti siano destinati a coloro che hanno effettivamente subito un danno a seguito del sisma;
   se ci siano risorse sufficienti per concedere gli aiuti a tutte le società, a prescindere dal numero dei soci lavoratori delle società stesse;
   se intendano fornire elementi circa i controlli effettuati, per quanto di competenza, sui fondi già erogati e se si ritenga opportuno monitorare gli studi commerciali che hanno elaborato le domande per i loro clienti e il tariffario dagli stessi applicato per ogni singola richiesta;
   quali siano i risultati dell'attività di monitoraggio che l'Inps, come previsto dalla normativa vigente, dovrebbe fornire al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze. (3-03204)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERROSI, MAZZOLI, BENI, TENTORI, SCUVERA, INCERTI e MALISANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con delibera del Cipe n. 3 del 26 luglio 2016 sono stati stanziati 1.000 milioni di euro, ripartiti nelle annualità dal 2016 al 2022, a valere sul fondo di sviluppo e di coesione 2014-2020, per l'attuazione del cosiddetto «Piano stralcio Cultura e Turismo» ai sensi dell'articolo 1, comma 703, lettera d), della legge n. 190 del 2014;
   tra gli interventi proposti nel piano stralcio è ricompreso un «insieme di interventi di completamento particolarmente significativi e di nuovi interventi a cui è destinata una riserva di importo pari a 170 milioni di euro, tutti da individuare con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Nell'ambito di tale riserva, 150 milioni di euro sono assegnati a favore di interventi, non superiori a 10 milioni di euro, afferenti al progetto di recupero di luoghi culturali dimenticati, denominato «Bellezz@-Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati» con le modalità di cui ai successivi punti 2.2. e 2.3, e 20 milioni di euro a favore di interventi di particolare strategicità»;
   nelle modalità di attuazione contenute nel piano stralcio si legge che «Gli interventi di cui al progetto «Bellezz@-Recuperiamo i luoghi culturali dimenticati» saranno individuati sulla base delle segnalazioni pervenute dal territorio. Laddove queste ultime comportino finanziamenti in misura superiore alle risorse rese disponibili con la presente delibera, gli interventi saranno selezionati da una Commissione, composta da due rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui uno con funzioni di presidente, da un rappresentante del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, da un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze e da un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e trasporti, che sarà costituita con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri»;
   si legge ancora nel piano stralcio allegato alla delibera del Cipe n. 3/2016 che «gli interventi selezionati dovranno privilegiare, per quanto possibile, la diffusività territoriale. Pertanto, l'accesso al finanziamento potrà essere circoscritto ad un solo intervento per Comune richiedente. Gli interventi dovranno in ogni caso, i) riguardare la tutela, valorizzazione, recupero, di patrimonio culturale ai sensi del Capo 1 del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42; ovvero consistere nella realizzazione di un progetto di interesse culturale; ii) essere suscettibili di un immediato avvio dei lavori; iii) essere attuati da un ente pubblico. Il decreto istitutivo della Commissione selezionatrice potrà definire ulteriori specifici criteri di selezione» –:
   quale sia la tempistica prevista per la definizione della graduatoria dei progetti finanziabili e per la erogazione dei finanziamenti. (5-12027)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 31 luglio 2017 nel porto di S. Antioco si sono svolte operazioni di scarico e carico di esplosivo che l'interrogante ha documentato in diretta sul proprio profilo facebook;
   tali operazioni sono iniziate alle ore 7,30 e si sono concluse dopo le ore 17,00;
   nella fase del carico e scarico erano presenti una pattuglia dei carabinieri e una squadra di vigili del fuoco;
   al momento dell'arrivo dell'interrogante sull'area del carico e scarico un anonimo a bordo di un auto civile si recava a velocità sostenuta verso la pattuglia dei carabinieri per segnalare la presenza del sottoscritto;
   i carabinieri assumevano l'informazione e con velocità altrettanto sostenuta come dimostrano le immagini raggiungevano il sottoscritto al quale chiedevano di identificarsi con documenti personali e dell'auto, identificazione che avveniva sempre durante la diretta;
   nessun rilievo è stato fatto al sottoscritto che invitava i carabinieri ad accertare le identità di coloro che stavano operando in un trasporto e scarico a parere dell'interrogante illecito, di armi della società Rwm;
   la società RWM così come confermato dagli stessi carabinieri stava svolgendo il carico di bombe provenienti dallo stabilimento di Domusnovas;
   tale carico e scarico avveniva, in un porto marginale e sostanzialmente in disuso, con un fare a giudizio dell'interrogante furtivo, visto l'utilizzo di auto private nell'area portuale da parte delle stesse guardie giurate, e dell'assenza di elementi obbligatori di riconoscibilità del carico dei mezzi di trasporto e della stessa nave utilizzata per il carico;
   le norme prevedono la segnalazione arancione dei veicoli che trasportano merci pericolose e che essi devono recare due pannelli di colore arancione retroriflettenti fissati anteriormente e posteriormente, perpendicolarmente all'asse longitudinale. La misura di questi pannelli è di 40 centimetri (base) x 30 centimetri (altezza) con un bordo nero di 15 millimetri;
   solo in casi eccezionali, se le dimensioni o la struttura del veicolo non permettono di utilizzare pannelli di dimensioni normali, sono consentiti pannelli ridotti a 30 centimetri (base) x 12 centimetri (altezza) con un bordo nero di 10 millemetri. Il colore arancione e le caratteristiche di riflessione sono definite nella sez. 5.3.2.2 degli allegati all'ADR;
   i pannelli devono essere esposti esclusivamente quando il veicolo trasporta merci pericolose;
   si trattava di un carico di esplosivi proprio per la presenza dei vigili del fuoco e dei carabinieri a presidio del carico e scarico;
   nessuno dei mezzi disponeva di tali obbligatorie segnalazioni;
   la stessa nave Naja era sprovvista di qualsiasi segnalazione di trasporto di materiale esplosivo;
   tali evidenti violazioni sono avvenute alla presenza di forze dell'ordine –:
   se non ritenga di dover segnalare alle autorità competenti tali violazioni e se qualche organo dello Stato abbia valutato e riscontrato tali gravi violazioni;
   se e chi abbia autorizzato tale trasporto;
   dove fossero destinati quei carichi e se siano state osservate le norme nazionali e internazionali in materia di trasporto di bombe e materiali esplodenti. (5-12067)


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Franco Gaetano Caminiti, con le sue 63 denunce, ha consentito alle autorità di arrestare e condannare decine di malavitosi appartenenti alla ‘ndrangheta;
   qualche anno fa, attraverso una petizione su change.org indirizzata alle più alte cariche dello Stato, l'associazione Cittadini contro la mafia ha chiesto che lo Stato riconoscesse a Caminiti lo status di testimone di giustizia;
   nel corso degli anni, innumerevoli sono stati gli episodi intimidatori messi in atto dalla criminalità organizzata nei confronti di Caminiti, tutti denunciati alle autorità;
   per salvaguardare Caminiti e famiglia, veniva loro assegnato un servizio di tutela (dispositivo di 4o livello, «tutela su auto non protetta»);
   nel 2014 gli fu revocato il servizio di tutela, ma il TAR del Lazio, in seguito al ricorso presentato dal Caminiti, sospese tale provvedimento di revoca, riconoscendogli il diritto al ripristino del servizio;
   in forza di tale provvedimento contrassegnato con il n. 01460/2014 REG.PROV.CAU. (ricorso n. 10643/2013 REG.RIC., oggi ancora pendente) era stato ripristinato il servizio di scorta, il che aveva consentito al Caminiti di poter svolgere attività lavorativa e continuare a rendersi anche utile alla giustizia nelle diverse sedi in cui è stato chiamato a deporre;
   nel 2016, a quanto consta all'interrogante, Caminiti è stato raggiunto da provvedimento n. 159/2016/NC del 5 agosto 2016 emanato dalla questura di Reggio Calabria – ufficio di gabinetto, ed avente ad oggetto «Revoca di dispositivo di protezione nei confronti del signor Caminiti Gaetano, nato a Delianuova (RC) il 13.01.1957», con la seguente motivazione: «La revoca del predetto dispositivo di tutela è motivata dalla mancanza di elementi concreti ed attuali in ordine all'esposizione a rischio dell'interessato»;
   inoltre, è stato anche colpito, dalla revoca della licenza (Punto Snai), ex articolo 10-bis legge n. 241 del 1990, inviatagli dalla questura di Reggio Calabria;
   il Caminiti, a causa delle precarie condizioni economiche, non è potuto ricorrere al TAR;
   le denunce e le dichiarazioni del Caminiti sono state fondamentali non soltanto per assicurare alla giustizia i responsabili del tentativo di estorsione aggravata di cui è rimasto vittima (processo «Azzardo»), ma anche per dare avvio ad altre importanti operazioni («Gambling 2015», ed altre) nell'ambiente delle scommesse illegali;
   a mero titolo esemplificativo, si riportano i tre episodi intimidatori di cui è stato vittima nel dicembre 2016: il 6 dicembre ha ricevuto una missiva proveniente da Malta con minacce di morte; il 15 dicembre ha trovato delle cartucce di fucile accanto alla sua autovettura e nella buca delle lettere, nonché delle croci dipinte con la vernice sui finestrini dell'auto; il 29 dicembre, all'interno del cortile condominiale dove abita, ignoti hanno esploso numerosi colpi d'arma da fuoco contro il Caminiti, che è riuscito a salvarsi gettandosi dall'auto e grazie al fatto che è sopraggiunta un'altra vettura che ha messo in fuga gli attentatori (videoregistrazioni della questura di Reggio Calabria) –:
   se il Governo non ritenga necessario assumere le opportune iniziative di competenza affinché la situazione personale del Caminiti e della sua famiglia siano garantite sia sotto il profilo del reinserimento che sotto il profilo della sicurezza;
   se si intenda intervenire per ripristinare immediatamente il servizio di tutela e scongiurare eventi irreparabili ai danni del Caminiti e dei suoi familiari;
   se il Governo non consideri necessaria ed urgente un'effettiva attivazione delle strutture preposte per la protezione del Caminiti, che scegliendo di stare dalla parte della giustizia, rischia ogni giorno la vita per denunciare la criminalità organizzata, verificando la sussistenza dei presupposti per inserirlo tra i testimoni di giustizia. (5-12068)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo la relazione annuale della Corte dei conti al Parlamento, l'impiego di personale di Sogesid direttamente presso le strutture del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può prestarsi ad essere utilizzato come mezzo elusivo dei vincoli all'assunzione di personale e delle limitazioni e delle condizioni per il conferimento di incarichi per prestazioni di servizi. Parte molto elevata del valore della produzione è costituito dall'assistenza tecnica alle direzioni generali del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che consiste in una collaborazione di personale che presta attività direttamente presso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   secondo la Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla legittimità degli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, nel testo della deliberazione 16 aprile 2014, n. 7, nei casi in cui vi sia una reiterazione temporale dell'oggetto dell'incarico (in questo caso anche dello stesso soggetto), viene dedotta la violazione dell'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, nella parte in cui prescrive la temporaneità degli incarichi esterni;
   le consulenze fornite dalla Sogesid, a quanto consta agli interroganti, contano un numero di personale applicato all'interno del Ministero superiore a quello del personale di ruolo, il cui operato non e sembra corrispondere ad un reale piano di fabbisogno per lo svolgimento delle competenze del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che viene, inoltre, portato avanti in mancanza di una mappatura delle professionalità interne, nonché in assenza di una trasparente programmazione e successiva valutazione degli obiettivi che le singole direzioni generali dovrebbero perseguire;
   in data 22 giugno 2017, in risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-11625, il Governo ha affermato che «il Ministero dell'ambiente attualmente sconta una forte carenza di personale di ruolo in quanto presenta una dotazione organica ampiamente sottodimensionata (33 dirigenti di II fascia e 559 dipendenti di ruolo). Ciò anche in considerazione del fatto che a partire dalla legge istitutiva del Ministero dell'ambiente (legge 8 luglio 1986, n. 349) non sono state mai compiutamente definite le modalità di reclutamento di personale specializzato, necessario in ragione delle complesse e trasversali competenze spettanti al Ministero. Le funzioni del Ministero si sono accresciute in misura inversamente proporzionale alle risorse umane che erano necessarie. Questo ha portato negli anni, attraverso il ricorso allo strumento delle convenzione, all'avvalimento della Sogesid S.p.A., al fine di poter adempiere alle specifiche funzioni tecniche previste dall'ordinamento. (...) Per superare le criticità gestionali e organizzative derivanti dalla situazione appena descritta, tenuto conto della necessità di personale tecnico-specialistico – caratterizzato da una professionalità adeguata e di un know how idoneo – il Ministero sta lavorando affinché possa essere definita tale situazione attraverso uno specifico intervento normativo. Contemporaneamente è stata avviata una revisione del rapporto convenzionale con Sogesid affinché il supporto da questa fornito sia sempre più focalizzato sulle competenze tecnico-specialistiche. In particolare, si sta pensando ad un rafforzamento della struttura organizzativa ministeriale attraverso un incremento della dotazione organica, prevedendo ulteriori unità di personale con idonea copertura finanziaria» –:
   se, in ragione delle carenze di organico del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dei rilievi effettuati dalla Corte dei conti, non si ritenga di avviare con urgenza una rivalutazione del piano di fabbisogno organico del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche in considerazione della crescente centralità del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'elaborazione di piani e strategie di sviluppo di lungo periodo;
   con quali modalità e tempistiche si intendano promuovere, sul piano normativo, iniziative per porre rimedio all'eccessivo utilizzo di personale esterno al Ministero e potenziare la dotazione organica dello stesso;
   come l'utilizzo costante di personale Sogesid per l'assolvimento di funzioni strategiche e di indirizzo si concili con il rispetto delle prerogative di controllo degli organi politici rappresentativi. (4-17574)


   LUIGI DI MAIO, VACCA, COLLETTI, SIMONE VALENTE, CECCONI, D'UVA, CHIMIENTI, LUIGI GALLO, DI BENEDETTO, BRESCIA e DEL GROSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 1o agosto 2017 in occasione dell'audizione dei dirigenti scolastici delle zone colpite dai terremoti in centro Italia nell'agosto 2016 e gennaio 2017, tenutasi presso la VII Commissione della Camera dei deputati, è emerso che molte scuole non sono sicure, tant’è che l'indice di vulnerabilità di diversi plessi scolastici è molto basso;
   la criticità della situazione era già emersa nei giorni scorsi sugli organi di stampa quando sono stati resi pubblici gli indici di vulnerabilità delle scuole della città di Teramo. Infatti, è risultato che almeno 6 plessi scolastici registrano un indice inferiore a 0,2; pertanto, sono estremamente vulnerabili ai terremoti. Il pericolo concreto per l'incolumità degli studenti e degli operatori scolastici è evidente;
   allo stato attuale, quindi, molte scuole potrebbero essere a rischio di riapertura nel mese di settembre, in quanto è acclarata la scarsa disponibilità di spazi in cui trasferire, eventualmente, le attività didattiche delle scuole ad alta vulnerabilità sismica;
   sia i proprietari degli edifici scolastici, spesso comuni e province, che il dirigente scolastico, in quanto datore di lavoro, ma anche i prefetti in quanto figure dotate di speciali competenze e poteri sul territorio, potrebbero disporre la chiusura degli edifici a rischio. Tale decisione, tuttavia, non può essere lasciata alla assoluta discrezionalità del sindaco, del dirigente o del prefetto di turno che, in assenza di luoghi idonei alternativi per l'avvio dell'anno scolastico 2017/2018, potrebbero risultare riluttanti ad emettere provvedimenti di chiusura;
   è ipotizzabile, quindi, un «rimpallo» di responsabilità tipico della amministrazione italiana anche a causa di una scarsa chiarezza delle norme che non impone l'immediata chiusura degli edifici pubblici con indici di vulnerabilità sotto una determinata soglia;
   a giudizio degli interroganti è ormai urgente un intervento del Governo che chiarisca quale sia l'autorità che deve garantire l'incolumità degli studenti, degli alunni e del personale scolastico e, nel contempo, l'avvio delle attività didattiche;
   a giudizio degli interroganti, non è più procrastinabile un atto urgente, che:
    indichi in modo specifico le responsabilità degli enti e dei soggetti preposti alla sicurezza delle scuole e, soprattutto, i requisiti minimi indispensabili per l'apertura o meno di una scuola, come ad esempio l'indice di vulnerabilità sismico minimo;
    nel caso in cui il plesso scolastico non potrà essere riaperto, quali sono le linee guida sulle procedure da seguire per garantire il regolare svolgimento delle attività scolastiche e le relative risorse disponibili –:
   se il Governo ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per l'emanazione immediata di direttive chiare rivolte a sindaci, prefetti e dirigenti scolastici con lo scopo di assicurare l'incolumità degli studenti e del personale scolastico e, nel contempo, garantire l'avvio delle attività didattiche 2017/2018.
(4-17577)


   POLVERINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da diverse fonti giornalistiche, ad oggi sarebbe impossibile percorrere la strada provinciale 209 Valnerina che, all'altezza del chilometro 62, presenta un'ostruzione nel passaggio. In particolare, l'episodio risale al mese di settembre 2016 quando, a causa degli eventi sismici, alcuni massi e rocce, dopo essersi staccati dalla parete che sovrasta la citata strada provinciale, si sono riversati sull'asfalto, causando diversi danni ad alcuni mezzi pesanti parcheggiati nei pressi ma, soprattutto, provocando un'ostruzione alla viabilità che ha costretto i vigili del fuoco di Visso ad evacuare temporaneamente alcuni residenti e recuperare gli animali domestici;
   da allora, non sembra che la situazione sia cambiata e la citata strada provinciale 209 Valnerina risulta attualmente non percorribile: com’è noto, tuttavia, essa rappresenta un collegamento strategico, poiché collega i comuni della Valnerina della provincia di Macerata e Perugia a Terni e, in ultima analisi, alla città di Roma. Essa rappresenta, inoltre, un passaggio fondamentale per il commercio ed il turismo di quei luoghi, oltre ad essere un importante viatico per le numerose opere di ricostruzione a seguito del grave sisma che ha colpito quelle zone;
   inoltre, è necessario considerare che una frana caduta circa dieci mesi fa e non ancora rimossa, non solo costringe coloro i quali volessero raggiungere i comuni di Visso, Castelsantangelo sul Nera ed Ussita ad affrontare una vera e propria odissea chilometrica, attraverso una viabilità alternativa, che quasi decuplica la percorrenza, ma sta imponendo di fatto alle popolazioni residenti in quei luoghi, nonché ai commercianti ed ai rappresentanti delle attività produttive, già duramente provati dal violento sisma, un isolamento insensato, collegato a molteplici disagi pratici che sembrano aver spostato le lancette del tempo indietro di alcuni secoli –:
   di quali elementi disponga il Governo circa i motivi per i quali non si è ancora provveduto ad una celere riapertura della citata strada e se intenda intraprendere le iniziative, per quanto di competenza, al fine di favorire una pronta risoluzione della questione, anche attraverso interventi volti ad ottenere almeno una viabilità provvisoria, mediante l'eventuale ausilio del Genio dell'Esercito, come accaduto nei casi di Amatrice e Norcia, così da consentire alle popolazioni di uscire dall'isolamento nel quale la frana sembra averli ingiustamente condannati e che potrebbe compromettere definitivamente le loro attività, già pesantemente segnate dal sisma. (4-17578)


   SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto n. 27 del 19 febbraio 2016 del commissario straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto, dottoressa Vera Corbelli, in virtù dell'esito delle procedure comparative finalizzate alla selezione di giuristi esterni cui conferire incarichi individuali, è stata autorizzata la stipula del contratto per il conferimento dell'incarico individuale all'avvocato Maria Stefania Camerlengo con scadenza al 7 luglio 2016, successivamente rinnovato con decreto n. 213 del 29 agosto 2016;
   il contratto aveva ad oggetto «attività di studio e consulenza a supporto delle azioni a cura del Commissario Straordinario relativamente agli interventi in corso ed a quelli da programmare sull'area di crisi ambientale, con particolare riguardo ai provvedimenti e procedimenti in materia civilistica e penalistica» per un importo di euro 30.720,00 al netto dell'Iva e della rivalsa contributiva, esclusi i rimborsi delle spese per le trasferte pre-autorizzate dal Commissario;
   l'avvocato Camerlengo è associata dello studio legale Del Basso De Caro che ha sede a Benevento, come risulta dal sito on line www.studiodelbassodecaro.it;
   altro avvocato associato è Umberto Del Basso De Caro, attualmente deputato della Repubblica Italiana e sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti –:
   se il Governo non ritenga che si sia in presenza di un potenziale conflitto di interessi e, in caso affermativo, quali iniziative, per quanto di competenza, intenda porre in essere in relazione alla vicenda. (4-17582)


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 12 agosto 2015 un'alluvione di spaventosa intensità si è abbattuta sulla città di Rossano cagionando danni per milioni di euro all'intera comunità. All'indomani della violenta precipitazione i torrenti versavano in gravissime condizioni in quanto completamente ricolmi di detriti e in alcuni casi con argini distrutti. Al fine di tutelare l'incolumità pubblica furono stanziati 2.762.714,25 di euro per l'effettuazione di lavori in somma urgenza. Detta somma fu interamente spesa senza, tuttavia, realizzare una vera e propria opera di messa in sicurezza del territorio. In particolare, il torrente Acqua del Fico, che secondo la delibera della giunta comunale n. 297 del 2015 (poi confermata dalla delibera n. 5 del 2016 del commissario straordinario), avrebbe dovuto essere oggetto di lavori di ricostruzione dell'argine destro e sinistro e svuotamento dell'alveo fino alla foce per un importo complessivo pari a 294.488,42 euro in realtà, fu ripulito unicamente alla sua foce, lasciando completamente intasata tutta la parte a monte;
   a parte l'evidente spreco di denaro per un intervento inutile che non ha risolto il problema dal momento che, alla successiva precipitazione, sono stati portati a valle tutti i detriti rimasti a monte, preme sottolineare come non si sia provveduto alla pulizia del torrente in corrispondenza di alcune abitazioni lasciando le persone soggette al rischio di una catastrofe. Il letto del torrente è talmente ricolmo di detriti che non solo ha raggiunto il livello della stradina di accesso (adesso infatti non è più distinguibile il letto dalla strada che in principio era posta su muraglioni di pietra imbrigliati di altezza di circa 3 metri), ma lo ha addirittura superato in altezza, facendo mutare il naturale declivio delle acque che adesso scorrono verso le abitazioni e proprietà;
   dallo schema di convenzione per l'esecuzione del piano degli interventi contenuto nell'ordinanza del capo dipartimento della protezione civile n. 285/15 — 412/16, si riscontra il mancato inserimento, tra i lavori di rimozione dei detriti, della pulizia del torrente Acqua del Fico relativo alla zona a monte (da contrada Ceradonna alla strada statale 106). La predetta richiamata ordinanza prevede un intervento di pulizia dell'Acqua del Fico, ma solo in corrispondenza della ferrovia Crotone-Taranto per un importo complessivo pari a euro 300.000. L'ultima pulizia dell'alveo risale all'indomani dell'alluvione del 2000 (quindi 17 anni);
   qualora dovesse essere confermata siffatta tipologia di intervento, non verrebbe in alcun modo salvaguardata l'incolumità di tutte quelle abitazioni e di quei terreni ubicati a sud (lato montagna) in corrispondenza dell'intersezione col torrente Gelso (anch'esso ricolmo di detriti). Si effettuerebbe vale a dire, lo stesso errore commesso all'indomani dell'alluvione del 2015 –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere affinché venga messa in sicurezza una parte del territorio del comune di Rossano dalla minaccia reale e concreta di un disastro annunciato causato da quella che appare all'interrogante una incuria delle autorità competenti nella gestione e nella risoluzione del rischio idrogeologico. (4-17593)


   MORANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa si apprende della richiesta di misura cautelare, presentata dal pubblico ministero del tribunale di Torino per un ragazzo immortalato, mentre su un pullman del servizio pubblico si masturbava in pieno giorno accanto a una ragazza seduta vicino al finestrino;
   in un filmato si vedrebbe l'uomo masturbarsi vicino ad una giovane passeggera, che guarda, seduta, fuori dal finestrino; la ragazza si accorgerebbe di avere gli abiti sporchi quando l'uomo è già sceso;
   per il giudice ad ogni modo non si tratta di violenza sessuale per via della mancanza di contatto fisico. «Nel racconto della donna – si legge nell'ordinanza – non sono presenti elementi per confermare che lo sfregamento ipotizzato sia stato effettuato in appoggio alla gamba della donna». Quindi, continua la giudice, «appare difficile qualificare il gesto come violenza sessuale e non piuttosto come mero atto osceno»;
   «Nel racconto della donna — si legge nell'ordinanza — non sono presenti elementi per confermare che lo sfregamento masturbatorio ipotizzato sia stato effettuato in appoggio alla gamba della donna»;
   «La vittima riferisce di aver sentito del calore sulla coscia sinistra» dopo che lui è sceso dal tram. «Se l'avesse toccata per masturbarsi certamente avrebbe avvertito sensazioni ben diverse dal mero calore». «Appare difficile perciò quantificare il gesto come violenza sessuale e non piuttosto come atto osceno» scrive il giudice. Il fatto è stato registrato a novembre dalle telecamere installate sui bus per contrastare il fenomeno dei furti sui mezzi pubblici;
   la violenza contro le donne definita dalle Nazioni Unite come una «violenza che è diretta contro una donna perché è una donna o che colpisce una donna in modo sproporzionato. Essa comprende atti che infliggono danno o sofferenza fisica, psicologica o sessuale, minacce di tali atti, coercizione e altre privazioni di libertà.» o che, ancora, la Dichiarazione di Beijing definisce come «ogni atto di violenza di genere che causa o è suscettibile di causare danno o sofferenza fisica, sessuale o psicologica alle donne, compreso minacce di tali atti, coercizione o arbitraria privazione di libertà sia nella vita pubblica che privata, e che “violenza contro le donne” è una manifestazione dei rapporti di potere storicamente ineguali tra uomini e donne che hanno prodotto da parte degli uomini dominazione e discriminazione delle donne e impedito la loro piena realizzazione» –:
   se il Governo non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze e nell'asso o rispetto delle autonome decisioni della magistratura, di dovere compiere i passi necessari affinché il contrasto al fenomeno della violenza contro le donne non subisca pericolose battute di arresto, ancora prima che sul piano meramente repressivo, sul fronte culturale. (4-17595)


   MANZI, PICCOLI NARDELLI, GHIZZONI e NARDUOLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 4 luglio 2017 il consiglio regionale della Puglia ha approvato, ad ampia maggioranza, una mozione in cui si chiede di «indicare il 13 febbraio come giornata ufficiale in cui si possano commemorare i meridionali che perirono in occasione dell'unità, nonché i relativi paesi rasi al suolo»;
   tale data è stata scelta in memoria del 13 febbraio 1861, giorno in cui ebbe fine l'assedio di Gaeta, ultimo baluardo borbonico, da parte delle truppe sabaude e Francesco II di Borbone fu costretto alla resa;
   la mozione, nelle intenzioni dei proponenti, intende riannodare i fili della memoria e fare luce su una pagina controversa della storia italiana, che vide protagonisti da un lato chi si immolò per difendere il territorio e un ideale di libertà e, dall'altro, chi perse la vita in nome dell'unità d'Italia;
   questo approccio, secondo molti studiosi, finisce con il riproporre una visione dicotomica del Risorgimento: di «buoni» contro «cattivi», di «vittime» contro «carnefici»;
   la Società italiana per lo studio della storia contemporanea ritiene, in particolare, che la mozione si ponga in continuità con un filone culturale di interpretazione del Risorgimento, che negli ultimi anni ha proposto un uso pubblico della storia fortemente strumentale, basandosi su una lettura del momento dell'unificazione nazionale, in termini di «conquista piemontese» delle regioni meridionali, di rapina delle loro ricchezze e di distruzione dei presunti primati borbonici;
   la stessa Società fa notare, inoltre, come l'iniziativa del consiglio regionale della Puglia sia stata adottata nella totale esclusione delle istituzioni formative e culturali, in primo luogo universitarie e di ricerca scientifica, impedendo così loro di contribuire alla costruzione della memoria collettiva, e rischiando di dare una lettura dei fatti alterata e non veritiera;
   l'esempio della Puglia è stato seguito anche da altre regioni meridionali, e rischia dunque di validare a livello istituzionale una forma di delegittimazione degli studi storici –:
   se, alla luce dei fatti sopra esposti, il Governo non ritenga opportuno attivare un tavolo istituzionale permanente che coinvolga attivamente la Società italiana per lo studio della storia contemporanea, gli atenei e gli enti di ricerca di riferimento, per un confronto aperto e metodologicamente fondato sui temi della storia nazionale. (4-17597)


   CASTIELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il programma «PIU Europa» nella città di Casoria, destinatario di fondi europei, ha avuto un percorso anomalo sin dal suo inizio;
   negli interventi approvati è stato inserito un progetto per nuove attrezzature atte ad ospitare funzioni della città di Casoria capaci di restituire una peculiarità chiara al luogo «parco delle arti», il cui costo complessivo ha impiegato il 50 per cento delle risorse assegnate al comune di Casoria con una previsione di spesa di 9.638.854 euro;
   la gara indetta per realizzare il parco delle arti veniva aggiudicata, in maniera definitiva, con determina 1095/2015 senza tener conto dei numerosi rilievi rappresentati sia in merito alla scelta della variante al piano urbanistico comunale, compiuta dalla città metropolitana, sia in relazione al sistema di gara su un progetto definitivo e non esecutivo;
   la stampa quotidiana e periodica ha più volte messo in risalto l'inutilità dell'opera, il costo esorbitante, l'anomalia di interventi su aree private, l'irritualità del procedimento, l'irregolarità degli atti;
   la gara per la realizzazione del parco delle arti nella città di Casoria è stata oggetto di attenzione da parte degli organi inquirenti e della direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica di Napoli che hanno emesso diverse misure cautelari tra cui emerge quella relativa al dirigente del comune di Casoria nella persona del dottor Setaro;
   tra l'altro la nomina del dottor Setaro a dirigente del comune di Casoria è risultata oggetto di un'inchiesta da parte della procura della Corte dei conti;
   sulla vicenda del programma «PIU Europa» la procura regionale della Corte dei conti ha attivato una vertenza che porta il n. 644/2015;
   il presidente dell'Anac è stato investito della questione ed è stato anche interessato sulle modalità delle gare, sulle varianti in corso d'opera e sulla nomina dei progettisti sempre in relazione al programma «PIU Europa»;
   tra i destinatari delle misure cautelari della direzione distrettuale antimafia della procura di Napoli risulta anche l'architetto la Regina che è il progettista della piazza principale della città di Casoria che è uno un'opera devastante e che determina lamentele e proteste tra i cittadini ed è costata ben 2 milioni di euro –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, se intenda promuovere, per quanto di competenza, una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato in relazione alle anomalie amministrative-contabili sopra evidenziate e all'eventuale danno che si è determinato sul piano economico e finanziario. (4-17598)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle dogane e dei monopoli è un ente pubblico non economico che esercita, a garanzia della piena osservanza della normativa comunitaria, attività di controllo, accertamento e verifica relative alla circolazione delle merci e alla fiscalità interna connessa agli scambi internazionali, garantendo peraltro dal comparto la riscossione di circa 15,2 miliardi di euro. Dal 1o dicembre 2012 in applicazione del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge n. 135 del 7 agosto 2012, l'Agenzia delle dogane ha incorporato l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato assumendo la nuova denominazione di Agenzia delle dogane e dei monopoli aumentando di fatto le competenze del direttore dell'Agenzia;
   la nomina del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli avviene, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto del Presidente della Repubblica;
   l'attuale direttore dottore Giuseppe Peleggi terminerà il proprio mandato il 13 agosto 2017 come da decreto di nomina del Presidente della Repubblica del 16 febbraio 2017;
   secondo quanto riportato da fonti di stampa nelle ultime ore, il vertice dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli potrebbe essere affidato dal Consiglio dei ministri a Giovanni Kessler;
   Giovanni Kessler è un magistrato, ha ricoperto l'incarico di sostituto procuratore presso il Tribunale di Trento dal 1986 al 1995 e, dopo due anni in Sicilia, ha avuto lo stesso ruolo a Bolzano fino al 2001. Nello stesso anno entra in politica e viene eletto deputato nel gruppo DS-L'Ulivo, ruolo che ricopre per una sola legislatura. Il suo impegno prosegue nella formazione del Partito democratico, tanto che nel 2006 fonda l'Associazione per il Partito democratico a Trento e nell'ottobre del 2007 viene eletto membro dell'Assemblea costituente del Partito democratico;
   la carriera politica prosegue a livello regionale nel novembre del 2008 quando viene eletto consigliere della provincia autonoma di Trento nelle fila del Partito democratico e diventa poi, nel dicembre dello stesso anno, Presidente del Consiglio della suddetta provincia autonoma;
   nel febbraio del 2011 viene nominato direttore generale dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), carica che lo porta ad essere indagato dalla giustizia belga con l'accusa di aver disposto intercettazioni illegali durante un'indagine OLAF del 2012. In seguito all'azione delle autorità belghe, la Commissione europea ha deciso di togliergli l'immunità;
   a giudizio dell'interrogante può essere quantomeno inopportuna la nomina a direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli di un personaggio legato fortemente alla politica ed in particolare al partito di maggioranza dell'attuale Governo italiano –:
   se le notizie di stampa che indicano come prossimo direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli siano fondate;
   se il Governo ritenga opportuno, eventualmente, promuovere la nomina a capo di un ente come l'Agenzia delle dogane e dei monopoli di una figura che, ad avviso dell'interrogante, non può avere le caratteristiche di uomo al di sopra delle parti, in quanto nominato dalla sua stessa parte politica, che egli stesso ha contributo a creare;
   se il Governo abbia valutato le conseguenze derivanti dall'indagine dell'autorità giudiziaria del Belgio in relazione a una eventuale nomina come direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. (4-17599)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   ZARATTI, DURANTI, KRONBICHLER, RICCIATTI, NICCHI, SANNICANDRO, MATARRELLI, FONTANELLI, MELILLA, LACQUANITI, FOLINO e PIRAS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende anche dal comunicato della Fiom-Cgil Ilva del 7 luglio 2017, in data 6 luglio 2017 una cappa di fumo ha ricoperto l'intera area industriale della acciaieria, oltre che buona parte della città capoluogo jonico;
   la nube — evidentemente causata da una fuoriuscita non controllata di emissioni non convogliate, ovvero diffuse e fuggitive — sarebbe la risultanza della prosecuzione della produzione industriale in contrasto con le normative vigenti e ciò risulterebbe — ad avviso degli interroganti — inaccettabile, specialmente ove sia considerato il regime di commissariamento straordinario cui è sottoposto il polo industriale;
   nonostante le richieste delle organizzazioni sindacali — indirizzate nello specifico al direttore dello stabilimento e ai commissari straordinari — non vi è stata risposta circa le reali cause che hanno portato alla diffusione della cappa di fumo fra il 5 ed il 6 luglio 2017 e gli eventuali rischi per la salute di lavoratori e cittadini;
   a giudizio degli interroganti sarebbe utile e necessario che l'Arpa Puglia informi quanto prima circa i dati rilevati il giorno degli eventi dalle centraline posizionate sia all'interno che all'esterno dello stabilimento, con particolare riferimento ad eventuali superamenti –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda — per quanto di competenza — attivarsi immediatamente per riscontrare le cause che hanno prodotto il diffondersi della nube ed il suo impatto sulla città.
(5-12054)


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 6 giugno 2017 il Ministro dello sviluppo economico ha firmato il decreto che autorizza i commissari straordinari dell'Ilva a procedere all'aggiudicazione degli asset del gruppo Ilva ad Am Investco (cordata formata da ArcelorMittal e la Maragaglia), facendo leva su di un piano industriale competitivo, un piano ambientale composto da più sottoelementi, da un impiego di risorse pubbliche per investimenti ambientali nei limiti consentiti dalla normativa nazionale e comunitarie e da un canone d'affitto e prezzo di acquisto favorevole;
   la Am Investco avrebbe garantito un investimento complessivo di 2,4 miliardi di euro per rilanciare la produttività, divisi: in 1,5 miliardi di euro per il risanamento ambientale della fabbrica, fra cui 300 milioni per la copertura dei parchi minerari, e 1,25 miliardi di euro di investimenti per le nuove tecnologie per ammodernare gli impianti ed il conseguente sviluppo industriale degli stessi;
   con il «decreto Ilva», varato a fine anno 2016, si è previsto che l'azione dell'amministrazione straordinaria proseguirà anche nei prossimi anni, occupandosi degli investimenti relativi al risanamento ambientale al di fuori dell'area perimetrale dello stabilimento e, per effetto della cessione ed in base al piano ambientale della cordata vincitrice, l'attività dei commissari proseguirà fino al 2023;
   nello specifico, il piano di decontaminazione dovrebbe consistere in una serie di interventi ambientali (bonifiche, smaltimento rifiuti, discariche, demolizioni e altro) al fine d prevenire i danni sia all'ambiente che alle risorse naturali presenti sul sito dello stabilimento dell'Ilva, a salvaguardia della salute pubblica, e dovrebbe concludersi dunque nel 2023 –:
   se il Governo, nelle more dell'attuazione del piano ambientale e per accelerare le attività di prevenzione a tutela della salute pubblica e dell'ambiente, intenda chiarire quali siano le nuove tecnologie e le metodologie di ammodernamento per gli impianti dell'Ilva di Taranto e fornire garanzie circa i tempi e i modi previsti per gli interventi finalizzati alla copertura dei parchi minerari. (5-12055)


   PASTORELLI e MUCCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 6 del decreto ministeriale del 28 dicembre 2012, il GSE, partecipato dal Ministero dell'economia e delle finanze, e competente per l'attribuzione dei TEE o certificati bianchi ai titolari di progetti che consentono risparmi energetici;
   il GSE valuta i risparmi conseguibili attraverso i progetti di efficienza energetica sulla base di tre metodi di valutazione: standardizzato, analitico, a consuntivo. Nei primi due casi la determinazione dei risparmi energetici avviene mediante un meccanismo predefinito, applicati e ai progetti per i quali sono disponibili apposite schede tecniche predisposte dall'Enea;
   numerose aziende agricole florovivaistiche hanno eseguito investimenti su forme alternative di produzione energetica (caldaie a biomassa), interventi spesso svolti in funzione di quanto indicato dalla «scheda standard 40e» relativa all'installazione di impianti di riscaldamento alimentati a biomassa legnosa e sulla base del metodo di valutazione del progetto «standardizzato» (articolo 4 Linee guida dell'autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico) che consente di valutare il risparmio specifico lordo annuo senza misurazioni dirette;
   la «scheda 40e» è stata revocata con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 22 dicembre 2015;
   dall'entrata del vigore del decreto sino ad inizio 2015 circa, è noto che il GSE abbia regolarmente applicato quanto previsto da decreto e linee guida, riconoscendo il 100 per cento dei TEE così come previsto dalle indicazioni della scheda standard 40E;
   a partire dal secondo semestre 2015, il GSE, a giudizio degli interroganti in maniera arbitraria e peraltro in piena e manifesta disparità di trattamento con gli altri precedenti progetti pienamente accolti, ha utilizzato per la valutazione il calcolo «analitico e consuntivo», non previsto dal decreto per le schede standard (articolo 12 del decreto ministeriale 28 dicembre 2012, articolo 4.3 della linea guida dell'Aeeg);
   questo rovesciamento arbitrario dell'intero meccanismo normativo di calcolo dei risparmi ha portato allo stravolgimento dell'investimento già effettuato dalle aziende, e a respingere in toto o a ridurre oltre i 2/3 il riconoscimento di TEE richiesti;
   il comportamento del GSE, ad avviso degli interroganti, ha aggravato di fatto l'esposizione debitoria delle aziende, compromettendo il rapporto di fiducia tra Esco e cliente finale, contribuendo a minare la fiducia del cittadino nei confronti delle istituzioni –:
   se il Ministro non ritenga di assumere iniziative affinché aumentino le politiche atte a ridurre le emissioni di CO2 nell'ambiente, obiettivo che non sembra avvantaggiato da decisioni, a giudizio degli interroganti arbitrarie, come quelle sopra riportate del Gse, riconoscendo agli aventi diritto quanto previsto dalla normativa vigente e attivando nei confronti dello stesso gestore apposite procedure di controllo, in considerazione del fatto che aumentano segnalazioni di anomalie e discrepanze nell'analisi sia dei modelli standardizzati sia delle valutazioni analitiche e a consuntivo. (5-12056)


   BRAGA, BORGHI e MARIANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 55 della legge 28 dicembre 2015 n. 221 (cosiddetto collegato ambientale) ha istituito, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il «Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico», al fine di consentire la predisposizione del piano nazionale contro il dissesto idrogeologico, di favorire l'efficace avanzamento delle attività progettuali degli interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico nel territorio nazionale e di provvedere a renderli immediatamente cantierabili;
   si prevede che nel fondo affluiscano le risorse assegnate per le medesime finalità con la delibera del CIPE del 20 febbraio 2015, n. 32, nonché le risorse imputate agli oneri di progettazioni nei quadri economici dei progetti definitivi approvati, ove la progettazione sia stata finanziata a valere sul fondo;
   il citato articolo 55 della legge n. 221 del 2015 prevede che il funzionamento del fondo sia disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la delibera del CIPE n. 32 del 2015, con l'obiettivo di stimolare l'avanzamento delle attività progettuali delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico da inserire nel piano nazionale contro il dissesto 2015-2020, ha assegnato 100 milioni di euro del fondo sviluppo e coesione 2014-2020 al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 55 della legge n. 221 del 2015 è stato emanato il 14 luglio 2016 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 settembre 2016: all'articolo 1 si prevede che, a valere sulle risorse assegnate dalla delibera del CIPE del 20 febbraio 2015, n. 32, confluiscano al fondo 24 milioni di euro nell'anno finanziario 2016, 50 milioni di euro nell'anno finanziario 2017 e 26 milioni di euro nell'anno finanziario 2018 –:
   quale sia lo stato di attuazione dell'articolo 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 luglio 2016, recante modalità di funzionamento del «Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico», di cui all'articolo 55 della legge 28 dicembre 2015, n. 221. (5-12057)


   MICILLO, DAGA, BUSTO, DE ROSA, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con delibera della giunta della regione Campania n. 3812015 si è inteso conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea 16072015, approvando un documento di indirizzo per l'aggiornamento del piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani;
   «tale aggiornamento si basa sull'incremento della raccolta differenziata fino al 65 per cento entro il 2019 e molte città in Campania, sono lontane dall'obiettivo»;
   il piano prevede l'implementazione di due filiere di trattamento: «la seconda di queste due filiere di trattamento sarà volta alla produzione di css in due impianti, da realizzarsi, rispettivamente, nell'area dello stir di Caivano ed in un'area da identificare nelle zone limitrofe ai siti di stoccaggio principali per una potenzialità complessiva di circa 2.000.000 di tonnellate»;
   il documento prevede «il recupero energetico in impianti di trattamento termico sul territorio nazionale o comunitario» e, tenendo conto che il recupero/smaltimento fuori regione sia difficilmente perseguibile, si arriverà alla costruzione di nuovi impianti per lo smaltimento del combustibile solido secondario da rifiuti;
   inoltre, si legge: «è prevista l'identificazione di aree da riqualificare morfologicamente al fine di realizzare siti di smaltimento della frazione residua non destinabile a recupero di materia o a valorizzazione energetica proveniente dai processi di lavorazione delle balle»; «il trattamento di rifiuti in balle finalizzato alla produzione di css sarà attuato anche all'interno di un'area da identificare tra quelle limitrofe ai siti di stoccaggio di maggiori dimensioni»; «Stime preliminari consentono di ritenere ragionevole che il trattamento del rifiuto in balle consenta di destinare a recupero una quantità pari a circa il 25-35% in peso del rifiuto trattato»; la restante aliquota del rifiuto è destinata a discarica e rappresenta circa il 65-75 per cento;
   infine, calcolando che su 1.600.000 tonnellate solo 420.000 tonnellate potrebbero essere recuperate, 1.180.000 tonnellate sono già destinate a discariche da individuarsi nel territorio di Giugliano o limitrofo –:
   se, alla luce della previsione di nuovi impianti di trattamento del rifiuto organico nell'area della «Terra dei fuochi», di un nuovo impianto di trattamento termico dei rifiuti e dello smaltimento, tramite trattamento termico, del combustibile solido secondario in impianti già esistenti sul territorio regionale, il Governo non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, anche normativa, per evitare qualsiasi intervento di trattamento termico del combustibile solido secondario in tali zone e per raggiungere i livelli di raccolta differenziata prescritti. (5-12058)


   PELLEGRINO e PLACIDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento ex Mythen, sito nella zona industriale di Ferrandina (Matera), produceva olio di soia epossidato (ESO) e biodiesel;
   a seguito del fallimento dell'azienda, dichiarato con sentenza del 18 marzo 2014, esso veniva rilevato dalla Greenswitch s.r.l. che ne prevede la riattivazione a seguito di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di bonifica del sito;
   il progetto di riattivazione, candidato ad un finanziamento regionale, ottiene un cospicuo contributo in conto capitale, di oltre 5 milioni di euro, pur prevedendo interventi di bonifica assai esigui, di fatto limitati alla rimozione dell'amianto presente all'interno dei capannoni;
   la valutazione del progetto, a giudizio degli interroganti, ignora evidentemente la situazione ambientale pregressa, dando per acquisita la bonifica, mai avvenuta, del sito produttivo;
   l'area ex Mythen, di proprietà privata, è inclusa nel sito di interesse nazionale Val Basento, per il quale la delibera del Cipe n. 87 del 2021 disponeva interventi di bonifica per un importo superiore a 23 milioni di euro;
   non appare congrua l'erogazione di un finanziamento pubblico prima ancora che i necessari interventi di bonifica siano stati effettuati;
   nemmeno è accettabile, ad avviso degli interroganti, che venga rilasciata un'autorizzazione unica ambientale da parte della provincia di Matera in assenza di valutazione di impatto ambientale ed autorizzazione integrata ambientale che impongano precise e rigorose prescrizioni e tappe di monitoraggio, in linea con i rilievi puntuali già elencati nella nota Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 2 dicembre 2011;
   non appare, infine, sufficiente che l'Arpab possa limitarsi, come risulta dal verbale della conferenza di servizi del 9 maggio 2017, ad una pronuncia «notarile» circa le emissioni in atmosfera, a fronte delle verifiche puntualmente richieste dalla citata nota ministeriale in ordine al tema assai più complesso dell'inquinamento da piombo rilevato nelle acque di falda –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere con riguardo a quanto esposto in premessa, sulla base anche degli ulteriori elementi di conoscenza a sua disposizione. (5-12059)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VIGNAROLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 stabilisce un quadro giuridico per il trattamento dei rifiuti nell'Unione europea, introducendo adeguate misure volte a proteggere l'ambiente e la salute umana. Tale direttiva, oltre a segnare l'importanza di specifiche tecniche di gestione, riutilizzo e riciclo dei rifiuti, ha, dunque, stabilito che la corretta gestione dei rifiuti deve rispettare una precisa gerarchia di azioni, che segue un ordine dettato dal livello di priorità e sostenibilità ambientale. La gerarchia dei rifiuti, nell'ordine, deve prevedere la prevenzione, il riutilizzo, il riciclo, il recupero e da ultimo lo smaltimento;
   in linea con quanto previsto dalla citata direttiva, l'articolo 179 del decreto legislativo n. 152 del 2006, Norme in materia ambientale, ha stabilito che la gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo; e) smaltimento. Tale gerarchia stabilisce, in generale, un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale, prediligendo quelle azioni che minimizzano:
    a) la quantità di materia destinata allo smaltimento;
    b) le attività di gestione dei rifiuti;
    c) l'impatto ambientale correlato.
   il 2 dicembre 2015 la Commissione europea ha adottato un importante pacchetto di misure sull'economia circolare volte a sostenere le imprese e i consumatori europei ad effettuare la transizione verso un'economia, dove le risorse vengono adoperate nel modo più sostenibile, attraverso un maggior ricorso al riciclo e al riutilizzo. In particolare, il citato pacchetto ha posto, tra l'altro, l'obiettivo comune in termini di riciclo del 75 per cento dei rifiuti di imballaggio entro il 2030;
   Trenitalia s.p.a, società partecipata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato italiane, espleta un servizio di cortesia per i passeggeri delle categorie «prima classe» e «premium», ai quali vengono offerti bevande e snack. Da qualche mese Trenitalia, a quanto consta agli interroganti, ha modificato la modalità di tale servizio prevedendo, in particolare, che il fazzoletto umidificato e lo snack siano avvolti in un sacchetto di carta insieme ad un bicchiere di cartone aggiuntivo, a sua volta avvolto in un sacchetto di cellophane. Completa il servizio, l'offerta di una bottiglietta di plastica (laddove, in precedenza, si serviva un bicchiere d'acqua);
   benché la riduzione rappresenti il primo, e quindi il più importante, obiettivo della gerarchia dei rifiuti, le nuove modalità servizio predisposte da Trenitalia comportano, secondo gli interroganti, un aumento assurdo e oltremodo ingiustificato del cosiddetto packaging;
   inoltre, all'interno della stazione di Roma Termini esiste un unico centro di raccolta che dovrebbe occuparsi di smistare correttamente i rifiuti, ma la situazione che emerge è, purtroppo, allarmante. Come risulta da un video, mandato in onda dalla trasmissione Tagadà di La7, nella stazione di Roma Termini, nonostante ci siano i cestini per la raccolta differenziata (plastica, carta e indifferenziato), i rifiuti vengono gettati sempre nello stesso compattatore. L'impresa di pulizia che si occupa della raccolta dei rifiuti, la IBM Scarl di Roma, ha dichiarato che ben l'80 per cento della raccolta dei rifiuti finisce ogni giorno nella raccolta dell'indifferenziato. Dunque, si tratta un unico compattatore per tutti i tipi di raccolta differenziata;
   occorre precisare che i contenitori per la raccolta differenziata situati all'interno della stazione di Roma Termini sono strutturalmente inadeguati a contenere i tre sacchi grandi differenziati, difatti vi è applicata un'unica busta che raccoglie le tre tipologie di differenziazione vanificando, in tal modo, l'apparente separazione;
   Grandi Stazioni Rail s.p.a. è la società partecipata del gruppo Ferrovie dello Stato italiane che gestisce la stazione di Roma Termini –:
   se il Governo non intenda verificare quanto sopra esposto e assumere iniziative, per quanto di competenza per monitorare ed esaminare, ai sensi dell'articolo 179 del decreto legislativo n. 152 del 2006, l'impatto sulla riduzione dei rifiuti delle nuove modalità di servizio di snack e bevande espletate da Trenitalia s.p.a. sui convogli dei treni ad alta velocità;
   se il Governo sia conoscenza di quanto avviene all'interno della stazione di Roma Termini e quali iniziative di competenza nell'immediato intenda intraprendere, affinché le quantità di rifiuti prodotti ogni giorno dalla stazione medesima siano raccolte e smistate correttamente.
(5-12038)


   PELLEGRINO, GIANCARLO GIORDANO, FRATOIANNI, CIVATI, MARCON, AIRAUDO, BRIGNONE, COSTANTINO, FASSINA, DANIELE FARINA, GREGORI, ANDREA MAESTRI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PASTORINO e PLACIDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   gli incendi da giorni stanno devastando il parco nazionale del Vesuvio e numerose altre riserve naturali nella regione Campania, con il rischio che gli incendi raggiungano le aree utilizzate in passato come discariche e il relativo avvelenamento dell'area;
   da più parti si paventa l'ipotesi che dietro gli incendi si nasconda una volontà criminale che punta a distruggere i materiali presenti in numerose discariche presenti sul territorio del parco nazionale del Vesuvio allo scopo di creare nuovi siti dove stoccare i rifiuti e lucrare sulle conseguenti bonifiche delle stesse discariche ubicate nel parco nazionale del Vesuvio;
   sussistono pochi dubbi sul fatto che gli incendi che hanno interessato il parco nazionale del Vesuvio siano di natura dolosa, ma spetta alla magistratura verificare se gli incendi disastrosi di questi giorni siano opera di un'unica regia da parte della criminalità organizzata come non escluso da Alessandro Pennasilico, procuratore capo di Torre Annunziata;
   il camorrista pentito Ciro Gaudino con le sue deposizioni in relazione ai rifiuti tossici interrati alle falde del Vesuvio fece scoprire ai carabinieri del NOE una mega discarica di 400.000 metri cubi che aveva prodotto per la camorra enormi profitti;
   solo ad aprile 2017 l'Arpac aveva reso noti dati che evidenziano nelle discariche presenti sul Vesuvio la presenza di una serie di metalli pericolosi con il possibile inquinamento dei terreni e falde acquifere;
   agli interroganti risulta che nel parco nazionale del Vesuvio siano state chiuse 2 discariche ufficiali: la Formisano a San Sebastiano e Sari a Terzigno, mentre sono state censite più di 300 discariche abusive;
   si tratta di una situazione gravissima che deve vedere un'attenta e immediata azione di bonifica delle discariche e una efficace azione di prevenzione che impedisca la creazione di nuovi siti sotto il controllo della criminalità organizzata, attività che devono avvenire senza che da queste derivino ulteriori affari per la criminalità –:
   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, affinché nell'area del parco nazionale del Vesuvio si proceda alle improcrastinabili opere di bonifica delle discariche abusive ivi presenti e al rafforzamento delle attività di prevenzione che evitino la realizzazione di nuove discariche, escludendo che da tali attività derivino forme di lucro da parte della criminalità organizzata. (5-12039)


   TRIPIEDI, PESCO, DALL'OSSO, CHIMIENTI, COZZOLINO, BUSTO, CANCELLERI, MASSIMILIANO BERNINI, CIPRINI, PARENTELA, TONINELLI, BASILIO e CORDA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 agosto 2015, dal primo firmatario del presente atto è stato depositato l'atto di sindacato ispettivo n. 5-06264, a cui non è ancora stata data risposta. In detto atto veniva indicato l'impegno dei rappresentanti del M5S del comune di Casatenovo (Lecco) nel chiedere all'amministrazione comunale l'abbattimento e la bonifica dell'area dove sono tuttora presenti le ex fabbriche Vismara e Vister in stato di assoluto degrado e ricoperte in gran parte da amianto non trattato;
   l'area di circa 100.000 metri quadrati sita in centro paese in una zona ad alta densità abitativa, posizionata nelle vicinanze di un piccolo parco con panchine e giochi per bambini molto frequentati dai passanti, piccoli orti coltivati, marciapiedi e strade, ha diversi tetti in amianto, molti dei quali completamente divelti e quindi liberi di disperdere particelle tossiche nell'ambiente;
   gli ultimi rilevamenti disponibili effettuati il 12 giugno 2006 dall'allora Asl di Lecco, indicavano nell'area considerata la presenza accertata di 900 chilogrammi di amianto friabile e di 13.000 metri quadrati di amianto non friabile;
   in data 31 maggio 2017, la Ats di Lecco forniva una tabella dove venivano indicati altri immobili, diversi dall'area ex Vismara, coperti da amianto e quindi ad alta pericolosità potenziale, ubicati in zone periferiche e meno popolose del comune di Casatenovo;
   in data 16 maggio 2016 veniva presentata in consiglio comunale dal gruppo M5S una mozione che chiedeva un'ordinanza di bonifica dell'area ex Vismara, poi non approvata perché ritenuta dall'amministrazione comunale oltre che strumento inappropriato, anche non rientrante nelle situazioni da considerarsi urgenti;
   in data 24 maggio 2017, sempre in consiglio comunale, veniva approvata all'unanimità una mozione presentata dal gruppo M5S, che sollecitava le tre proprietà dell'area in questione a fornire, entro 30 giorni dall'approvazione, il nuovo modulo NA/1 certificante lo stato di deperimento dell'amianto. Al momento, questo modulo non è ancora stato fornito. A tal proposito, l'amministrazione comunale di Casatenovo ritiene di aver fatto tutto quanto di sua pertinenza e che, di conseguenza, le responsabilità dell'iniziativa per ottenere il modulo NA/1 risultano essere dell'Ats di Lecco;
   come previsto dalla legge regionale n. 14 del 31 luglio 2012 e della delibera della giunta della regione Lombardia n. IX/4777 del 30 gennaio 2013, il modulo NA/1 avrebbe dovuto essere fornito da parte dei proprietari dell'area ex Vismara all'Ats entro il 31 gennaio 2013. I proprietari delle aree con presenza di amianto hanno l'obbligo di avere documentazione aggiornata sugli indici di degrado e, in caso di esposto o richiesta del comune, a consegnarlo redatto da un certificatore abilitato. Nel caso specifico dell'ex Vismara, risulta che l'ultimo documento notificato dai proprietari dell'area risale al giugno 2006 –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, con particolare riferimento allo stato dell'amianto che avrebbe dovuto risultare dal modulo NA/1 ancora non presentato;
   se i Ministri interrogati non ritengano, per quanto di competenza, di promuovere accurate ispezioni coordinate dal comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente nella sopracitata area sita in Casatenovo, al fine di stabilire quali siano, ad oggi, i livelli di inquinamento e la pericolosità dell'area medesima per la popolazione circostante e per quella che si avvicina con frequenza alla stessa al fine di adottare, nell'eventualità siano rilevati elevati livelli di inquinamento, le adeguate precauzioni al riguardo. (5-12041)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in queste settimane il Paese è stato attraversato da una vera e propria emergenza di incendi boschivi;
   l'emergenza ha interessato, purtroppo, anche territori ricadenti nei parchi nazionali;
   il 3 luglio 2017 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha pubblicato un documento dal titolo «Prevenzione incendi boschivi nelle aree protette statali»;
   dallo stesso risulta che, per ciò che concerne l'adozione dei piani antincendio boschivo, due parchi hanno il piano «AIB» recentemente scaduto e ancora in fase di predisposizione, 6 enti parco hanno il Piano «AIB» predisposto ma con iter non concluso (due per integrazioni dei parchi stessi, due per pareri dei vigili del fuoco e del comando tutela ambientale e forestale dell'Arma dei carabinieri e due per intese regionali), per un parco, precisamente quello del Circeo, con sede a Sabaudia, in provincia di Latina, il nuovo piano «AIB» è stato appena predisposto con una impostazione avente carattere pilota, affinché sia un concreto esempio, per i parchi nazionali, di applicazione del nuovo schema di riferimento ed a breve sarà approvato dall'ente parco;
   per ciò che riguarda invece le 67 riserve naturali statali aventi l'obbligo di predisporre il piano «AIB», sempre dal documento citato, risulta che sette hanno il piano con iter concluso con prossima pubblicazione del relativo decreto ministeriale, 50 hanno il nuovo piano 2017-2021 già predisposto ma con iter non concluso (precisamente per i piani di n. 44 riserve si è in attesa dell'intesa regionale da parte di n. 11 regioni), una ha il piano scaduto e il nuovo in corso di predisposizione –:
   quale sia la situazione dettagliata ed aggiornata dei piani «AIB» dei parchi nazionali e delle riserve naturali statali. (4-17569)


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'allegato D della parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (TUA), nella sua versione attuale che recepisce diverse modifiche normative intervenute negli ultimi anni, stabilisce che «La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014»;
   prima dell'ultima modifica intervenuta in data 20 giugno 2017, ad opera dell'articolo 9 del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, la classificazione dei rifiuti era effettuata sì dal produttore che auto-assegnava il competente code CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE, oggi sostituita dalla decisione 2014/955/UE, ma erano previste diverse altre limitazioni. Ad esempio, se i componenti di un rifiuto erano rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non erano perciò noti i composti specifici che lo costituivano, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto dovevano essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione. Quando le caratteristiche di pericolo non potevano essere determinate, il rifiuto si classificava come pericoloso. La classificazione, in ogni caso, era espressamente previsto avvenisse prima che il rifiuto fosse allontanato dal luogo di produzione;
   nel caso di impianti di abbattimento e depurazione dei fumi derivanti da impianti di incenerimento di rifiuti pericolosi e non pericolosi, come ad esempio l'impianto integrato di smaltimento rifiuti di San Zeno (Arezzo), l'auto-assegnazione del codice CER da parte del produttore, è fatta in funzione delle risultanze delle determinazioni analitiche del rifiuto stesso, eseguite da laboratori specializzati;
   le ceneri leggere prodotte dal trattamento di depurazione dei fumi di combustione della linea di incenerimento sono abitualmente classificate con il codice CER 19 01 05, rifiuto pericoloso. Tuttavia, l'autoassegnazione del codice CER a questa tipologia di rifiuto, può essere, secondo l'interrogante, una pratica opinabile, se il produttore del rifiuto esegue in maniera impropria il campionamento, comportando di conseguenza anche un diverso tipo di destinazione e stoccaggio del rifiuto stesso –:
   di quali certificazioni dispongano i laboratori specializzati presso i quali i produttori di ceneri leggere prodotte dal trattamento di depurazione dei fumi di combustione, consegnano i loro campioni da sottoporre alle analisi che ne determineranno l'assegnazione del codice CER;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per una modifica della modalità di classificazione di questi rifiuti che preveda controlli incrociati o contro-analisi su campionamenti eseguiti da terzi, a garanzia di una corretta individuazione della destinazione finale. (4-17585)


   AIRAUDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la direzione generale per il mercato elettrico, le rinnovabili, l'efficienza energetica, il nucleare del Ministero dello sviluppo economico e la direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, hanno comunicano l'avvio della consultazione per la procedura di valutazione ambientale strategica del Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi (Gazzetta Ufficiale n. 164 del 15 luglio 2017);
   il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi è stato elaborato ai sensi del decreto legislativo n. 45 del 2014 di recepimento della direttiva 2011/70/EURATOM che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi;
   ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni entro il termine di sessanta giorni dalla data di pubblicazione dell'avviso, chiunque abbia interesse può prendere visione della proposta di programma, del relativo rapporto ambientale e della sintesi non tecnica e presentare in forma scritta proprie osservazioni, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi;
   c’è tuttavia almeno un passaggio del punto 5.3. della bozza del programma che avrebbe bisogno di chiarimenti rapidi da parte dei Ministeri interrogati;
   tale punto richiama la direttiva del Ministro dello sviluppo economico del 10 agosto 2008 sul rientro in Italia dei rifiuti radioattivi riprocessati in Gran Bretagna a Sellafield;
   il testo recita: «In particolare, questa direttiva ha incaricato la SoginS.p.a. di definire un accordo con la NDA (Nuclear Decommissioning Authority) per la sostituzione dei rifiuti di bassa e media attività con un minor volume di rifiuti, radiologicamente equivalenti, di alta attività»;
   non è chiaro se l'accordo miri a riprendere rifiuti ad alta attività (anche inglesi) pur di lasciare a loro quelli a bassa/media;
   la questione è di un certo rilievo, poiché riguarda i volumi del deposito nazionale che, nel caso l'opzione fosse quella di lasciare nel Regno Unito i rifiuti italiani ad alta attività con l'aggiunta a quelli nazionali di «equivalente radiologico» di rifiuti a bassa/media attività inglesi, devono essere molto più grandi del previsto;
   di converso, se invece fosse il contrario, c’è da chiedersi perché il programma nazionale preveda che il deposito nazionale debba essere strutturato per raccogliere sostanzialmente solo rifiuti a bassa/media attività, riservando alla alta solo un'allocazione temporanea –:
   se l'accordo con la Nuclear Decommissioning Authority sia già stato definito o, in caso contrario, a che punto sia il negoziato;
   se l'accordo miri a riprendere in Italia rifiuti ad alta attività (anche inglesi), pur di lasciare nel Regno Unito quelli a bassa/media attività;
   se tale «sostituzione/scambio» riguardi solo i rifiuti inglesi di Sellafield o anche quelli francesi di La Hague, eventualmente sulla base di una ulteriore direttiva e quali elementi si intendano fornire al riguardo. (4-17588)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   FANTINATI, CANCELLERI, VALLASCAS, CRIPPA, DELLA VALLE e DA VILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il turismo in Italia è un settore che è sempre stato fonte di ricchezza e, recentemente, sono stati registrati risultati molto positivi per quanto riguarda la stagione estiva. Questo incremento di presenze, tuttavia, secondo gli interroganti non è tanto l'esito di politiche di sviluppo chiare ed esplicite, quanto l'effetto di fattori esogeni che hanno portato molti italiani a preferire il Belpaese e hanno dirottato sulle coste nazionali molti viaggiatori che hanno disertato altre destinazioni del Mediterraneo ritenute pericolose per terrorismo e guerre;
   non serve convincere nessuno del fatto che l'Italia sia incapace di valorizzare il proprio potenziale in questo settore, perdendo un'occasione di crescita difficilmente replicabile in altri contesti; secondo alcune stime, sarebbe possibile incrementare il prodotto interno lordo di circa 30 miliardi di euro l'occupazione di 500 mila nuovi posti di lavoro; pensando ai giovani, sarebbe ovvio considerare questi obiettivi come una priorità, rimboccarsi le maniche e unire gli sforzi;
   invece, sono anni che si parla di questo tema, ma pochissimo è stato fatto. L'assenza di politiche industriali rivolte al turismo rende l'Italia meno competitiva di altri Paesi, impedisce il recupero della quota di mercato persa, pone l'attenzione sul numero di arrivi piuttosto che sul contributo al prodotto interno lordo, consente spesso un impiego non efficiente delle risorse dedicate allo sviluppo del settore;
   il turismo e la tecnologia stanno diventando strettamente interconnessi. Secondo Google, ogni viaggiatore visita mediamente 22 siti web prima di prenotare una vacanza e la percentuale di coloro che utilizzano le tecnologie mobili per registrarsi in aereo o in hotel sta avvicinandosi al 70 per cento. Gli stessi cambiamenti che stanno modificando altri settori dell'economia e della società hanno iniziato a influenzare profondamente i comportamenti dei turisti e richiedono un'evoluzione delle strutture e delle capacità dell'offerta;
   quindi, l'Italia avrebbe bisogno di un piano turistico e di misure che sfruttino le opportunità che la rivoluzione digitale attualmente in corso potrebbe offrire al settore turistico italiano;
   la dimensione medie delle imprese italiane rende non indifferente un intervento di politica industriale, in quanto le tecnologie avanzate sono spesso di più facile adozione da parte delle grandi imprese, anche nel settore turistico –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, quali immediate iniziative, anche normative, intenda adottare al fine di sviluppare e sostenere un piano cosiddetto di turismo 4.0 che rappresenta un'opportunità da non perdere per l'Italia. (5-12060)


   GALGANO e ALFREIDER. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a distanza di quasi un anno dagli eventi sismici che hanno colpito il Centro Italia, il comparto del turismo risente ancora dell'onda mediatica negativa che ha fatto apparire le regioni come interamente terremotate;
   nella sola Umbria, Federalberghi ha ufficializzato un'analisi dei flussi turistici dalla quale emerge, per la stagione estiva, un calo di turisti superiore al 20 per cento rispetto alla primavera-estate dello scorso anno. Particolari difficoltà vengono rilevate nelle città che vivono soprattutto di turismo organizzato come Assisi, Perugia e Orvieto;
   l'associazione rileva che i problemi sono legati al terremoto e sono frutto dell'effetto panico e di una comunicazione distorta tali da incidere sui viaggi organizzati, dal turismo religioso alle gite scolastiche, che ad esempio in Umbria sono azzerate;
   il calo estivo si somma ad una stagione invernale «nera» per il turismo. Nella sola Umbria, ad esempio, si sono registrati tra il 40 per cento e il 50 per cento in meno di presenze con ripercussioni gravi anche sul commercio, sull'artigianato e sul comparto dell'enogastromia;
   per il biennio 2016-2017, infatti, le oltre 63mila attività economiche delle aree interessate dagli eventi sismici stimano una minore attività del 52 per cento con un calo di fatturato, per il solo 2017, di 7,6 miliardi di euro al netto del settore primario;
   ad oggi sono state messe in atto, sia dalle regioni che dal Ministero, diverse campagne di comunicazione e promozione per rimettere in moto il settore che, tuttavia, non hanno invertito questa tendenza al ribasso;
   nel decreto-legge n. 8 del 2017 sono stati previsti 46 milioni di euro da destinare al «danno indiretto» per ovviare proprio a quell'onda mediatica che ha comportato gravi conseguenze negative anche nelle zone che, dal terremoto, non sono state toccate;
   nel testo si dispone, inoltre, la realizzazione di un piano per la promozione e il rilancio del turismo che il commissario straordinario deve predispone in accordo con Enit –:
   quali iniziative si stiano attuando per favorire la ripresa del settore del turismo nelle regioni del Centro Italia colpite dagli eventi sismici e cosa il Governo intenda fare per velocizzare l’iter per l'erogazione delle risorse stanziate per il danno indiretto e per la definizione del piano di promozione e rilancio del turismo previsto dal decreto-legge n. 8 del 2017. (5-12061)


   RICCIATTI, EPIFANI, FERRARA, SIMONI, NICCHI, BOSSA, SCOTTO, MURER, FOSSATI, MARTELLI, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, PIRAS, QUARANTA, DURANTI e MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il patrimonio turistico-culturale italiano rappresenta un asset strategico di primaria importanza che va implementato attraverso la creazione di una filiera industriale innovativa, in grado di creare sviluppo e crescita;
   l'Agenzia per la coesione territoriale attiva presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha diffuso il 24 luglio 2017 la sua relazione annuale, che analizza i flussi di spesa 2015-16 del settore pubblico allargato, disaggregandoli per aree geografiche e per settori;
   dalla relazione emergono dati allarmanti proprio sul settore turistico-culturale. Come si legge nella relazione, «nel settore cultura, nonostante alcuni recenti interventi volti ad affermare la centralità della cultura come motore per il rilancio socio-economico dei territori, gli effetti sui livelli di spesa continuano ad essere inesistenti», anzi «la spesa pro capite complessiva rimane invariata con tendenza al decremento», e nulla indica che «qualcosa è cambiato». «Quello in cultura rimane il più grande disinvestimento settoriale che si sia avuto in Italia negli anni 2000, certamente influenzato dalle politiche di contrazione della spesa pubblica, che tuttavia nella cultura hanno pesato più che in tutti gli altri comparti». Nel contesto europeo, «il confronto internazionale risulta impietoso: la spesa primaria per attività culturali e ricreative in rapporto al Pil risulta in Italia — nonostante lo straordinario patrimonio artistico e la ricchissima eredità culturale — decisamente inferiore a quella media dei Paesi Ue»;
   appare pertanto opportuno improntare iniziative volte a rafforzare il tessuto industriale e produttivo della filiera turistico-culturale, attraverso forme di investimento sulla digitalizzazione e sulle sinergie con il programma nazionale Industria 4.0 –:
   quali iniziative urgenti, anche normative, s'intendano assumere per rafforzare le sinergie tra la filiera turistico-culturale e gli ambiti dell'innovazione digitale e dello sviluppo tecnologico, in particolare al fine di rafforzare il perimetro degli investimenti sia pubblici, che privati, adeguandoli alla media dei Paesi europei. (5-12062)


   BENAMATI e CAMANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge di bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016, articolo 1, commi 2 e 4-7) ha prorogato e modificato il credito d'imposta di cui all'articolo 10 del decreto cosiddetto « Art Bonus» (decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, e successive modificazioni), estendendolo ai periodi d'imposta 2017 e 2018 e aumentandolo dal 30 al 65 per cento, per le spese sostenute dalle strutture ricettive turistico-alberghiere e dalle strutture agrituristiche, a condizione che gli interventi abbiano anche finalità di ristrutturazione edilizia, di riqualificazione antisismica o energetica e acquisto mobili;
   la legge ha a tal fine disposto uno stanziamento di 60 milioni di euro nell'anno 2018, 120 milioni nel 2019 e 60 milioni nel 2020 (per un totale, quindi, di 240 milioni per interventi realizzati nel biennio 2017-2018);
   ha, inoltre, previsto che il credito d'imposta sia riconosciuto a ciascuna impresa alberghiera entro i limiti del regolamento (UE) 1407/2013, cosiddetto « de minimis», e comunque fino all'importo massimo di duecentomila euro nel triennio di riferimento, e che l'ammissione al beneficio avvenga secondo l'ordine di presentazione delle relative domande;
   tale intervento, come accennato, fa seguito a quello realizzato in attuazione del decreto-legge n. 83 del 2014 per il triennio 2014-2016, che ha prodotto importanti risultati in termini di riqualificazione del patrimonio edilizio delle imprese alberghiere;
   in particolare: per il tax credit relativo alla riqualificazione 2015 risultano pervenute più di 4.700 istanze per una richiesta superiore a 90 milioni di euro; per il tax credit relativo al 2016 più di 3.000 istanze per una richiesta superiore a 90 milioni di euro e per il tax credit relativo al 2017 più di 3.500 istanze per una richiesta superiore ai 100 milioni di euro –:
   attesa, dunque, la rilevanza dell'intervento, quale sia lo stato di avanzamento del decreto interministeriale di attuazione. (5-12063)


   VIGNALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto cosiddetto «Sblocca Italia» (decreto-legge n. 133 del 2014, convertito dalla legge n. 164 del 2014), all'articolo 31, ha previsto la possibilità per gli esercizi alberghieri di convertirsi in «condhotel», intendendosi per tali esercizi alberghieri aperti al pubblico, a gestione unitaria, composti da una o più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità abitative a destinazione residenziale;
   ciò al fine di diversificare l'offerta turistica e favorire gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti;
   l'attuazione della disposizione è stata rimessa ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da adottare previa intesa in sede di Conferenza unificata, con il quale devono altresì essere stabiliti i criteri e le modalità per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri;
   risulta che la Conferenza unificata, dopo ampio confronto tra regioni ed amministrazioni centrali, abbia di recente dato l'intesa sullo schema di provvedimento;
   va considerata la rilevanza dell'intervento richiamato, che potrebbe contribuire in maniera decisiva alla diversificazione dell'offerta turistica e alla riqualificazione degli esercizi alberghieri, con notevoli effetti positivi sul comparto turistico –:
   quale sia lo stato di avanzamento del decreto in questione e quali siano le innovazioni in materia di rimozione del vincolo di destinazione alberghiera e i tempi presumibili di entrata in vigore del provvedimento. (5-12064)

COESIONE TERRITORIALE E MEZZOGIORNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, CARIELLO, CHIMIENTI, VACCA, D'UVA e NESCI. — Al Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 luglio 2017, l'Agenzia per la coesione territoriale ha pubblicato sul proprio sito istituzionale, la «Relazione annuale CTP (conti pubblici territoriali) 2017, politiche nazionali e politiche di sviluppo a livello territoriale», contenente l'aggiornamento dei flussi finanziari pubblici regionali con i dati riferiti al 2015 e le prime anticipazioni del 2016;
   tale documento analizza vari macro settori, tra cui quello dedicato alla «conoscenza, cultura e ricerca» delle regioni Italiane, dal quale emerge un quadro desolante non solo in relazione all'intera Penisola rispetto alle medie europee, ma ancor di più confrontando le percentuali riferite al Centro-nord Italia rispetto al Sud;
   secondo quanto riportato, «la spesa in cultura vede un crollo comune in tutte le Regioni ma nel Centro-nord si passa da 65 euro pro capite a 24, mentre nel Sud si passa da 43 a 18», così come già denunciato anche dal noto storico d'arte, professor Salvatore Settis, in un articolo pubblicato in data 30 luglio dal quotidiano consultabile online, « Il Fatto Quotidiano»;
   il Governo, dunque, a giudizio degli interroganti, ha dichiarato già da tempo la sua «resa», o peggio, ancora il suo disinteresse più totale nel riequilibrare le varie aree del Paese, tanto che si potrebbe parlare di «un'emergenza cultura». Tale considerazione è confermata dalla analisi di altre macro aree, complementari alla crescita del settore cultura come la disoccupazione giovanile che in Calabria ha raggiunto il record del 58,7 per cento oppure le carenze infrastrutturali e dei trasporti che vede al Sud solo il 5,6 per cento di riammodernamento della rete ferroviaria ad alta velocità;
   la «sete» di finanziamenti da parte delle regioni si evince, infine, dalla relazione annuale 2016 della Corte dei conti, «Rapporti finanziari con l'Unione europea e l'utilizzazione dei fondi comunitari», laddove, in riferimento ai programmi delle regioni meno sviluppate (POR), si prevede un Fondo FESR (Fondo europeo di sviluppo regionale) programmato per la Campania di 4.113.545.843 euro, e un programma nazionale (PON) cultura e sviluppo con Fondo FESR di 490.933.334 euro, ma con pagamenti programmati del solo 3,47 per cento –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per fronteggiare le criticità di cui in premessa, nel prossimo disegno di legge di bilancio, aumentando le percentuali di spesa pubblica per il comparto cultura.
(5-12028)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZO e GRILLO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società Riscossione Sicilia spa svolge le medesime funzioni espletate a livello nazionale da Equitalia spa quale istituzione organizzativa deputata al settore delle politiche fiscali e del sistema tributario della regione siciliana;
   i lavoratori italiani delle basi militari Usa sul territorio nazionale operano per il settore della difesa del Governo italiano in virtù di accordi bilaterali Italia-Usa e sono assunti direttamente dalle Forze armate Usa. A differenza di altri Paesi europei come la Spagna, Grecia e Germania, dove i lavoratori locali sono assunti dal Governo di quel Paese e prestati all'amministrazione degli Usa, in Italia ogni installazione militare Usa opera con una propria figura giuridica;
   gli interroganti hanno già provveduto ad interrogare il Governo in merito a presunte violazioni della normativa italiana riguardanti l'atipicità del contratto di lavoro in essere tra amministrazione americana e lavoratori italiani; in particolare con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-11496 si è posta l'attenzione sulla mancata collaborazione da parte della Us Navy a rispettare una sentenza di condanna della Corte di cassazione che ha sancito il reintegro di un lavoratore italiano, presso la base navale di Sigonella, ingiustamente licenziato;
   con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-05335 si evidenziava invece come i lavoratori italiani presso le basi americane non godano di diritti di rappresentanza sindacale all'interno del luogo di lavoro;
   attualmente il Governo non ha provveduto a rispondere a tali leciti quesiti;
   con l'articolo dal titolo «Sigonella ha evaso 12 milioni: ma gli USA non aprono al fisco», due giornalisti di « IlFattoQuotidiano» portano all'attenzione dell'opinione pubblica quanto sostenuto dal presidente di Riscossione Sicilia, dottor Fiumefreddo, il quale sostiene di aver verificato che la base aerea di Sigonella risulta morosa nei confronti del fisco per cartelle esattoriali del valore complessivo di 12.687.000 euro, riferibili a contributi previdenziali di dipendenti civili italiani assunti presso la Us Navy;
   secondo quanto riportato dalla stampa, in particolare, dalla verifica incrociata dei dati Inps, il personale di Riscossione Sicilia ha potuto verificare che, oltre a Sigonella, anche la base di Napoli risulta morosa nei confronti del fisco per mancato versamento dei contributi ai lavoratori civili della Us Navy;
   sempre dalle indiscrezioni giornalistiche riportanti notizie riferibili all'amministratore di Riscossione Sicilia, anche la base di comunicazioni concessa ad uso esclusivo alla Us Navy, presso Niscemi e che ospita l'impianto Muos, risulterebbe completamente inesistente al fisco italiano –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle rilevazioni della società Riscossione Sicilia riportate dalla stampa;
   quali iniziative siano intenzionati ad avviare nei confronti dell'amministrazione americana, affinché si possa giungere al versamento delle somme dovute a Riscossione Sicilia;
   se si intenda accertare se il sito di Niscemi, servitù militare ad uso esclusivo degli Usa sia in regola con il rispetto delle normative fiscali italiane. (5-12065)

Interrogazione a risposta scritta:


   MORASSUT. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni articoli di giornale e da rappresentanti dei comitati dei cittadini, si apprende che a Roma, nel parco di Centocelle, ed esattamente alle spalle degli autodemolitori siti in viale Palmiro Togliatti, sia stato pianificato un progetto denominato «pentagono» che prevede – tra gli altri interventi – il restyling del parco e la realizzazione di una servitù di passaggio ad uso dei militari su di un'area pubblica destinata a verde e soggetta a vincoli archeologici e paesaggistici ben noti;
   si tratterebbe di una strada che, tagliando il parco, collegherebbe il lato di via Papiria a via Casilina all'altezza della fermata della linea C «Parco di Centocelle», che sarebbe realizzata in cambio di un presidio fisso della Guardia forestale con scuola di botanica e alberature, oltre al recupero della Villa Ad Duas Lauros, metà della quale è ancora dentro il confine della base militare, e alla sua futura apertura ai cittadini;
   la strada, da quanto si apprende, consentirebbe un «collegamento privilegiato» dei dipendenti della base alla metro C, che attraverserebbero così l'interno del parco con un'apposita navetta elettrica;
   da quanto saputo, e confermato da incontri informali dei comitati dei cittadini con il presidente del municipio V di Roma, il progetto si estenderebbe su di un'area ancora privata, quella dell'ex Agip, interessata da un progetto compatibile con il piano particolareggiato. Un progetto ecosostenibile e ad elevato impatto sociale proposto dai cittadini che stanno manutenendo l'area da più di un anno e che auspicano da sempre il coinvolgimento delle istituzioni e l'adesione di altre associazioni, comitati, e cittadini;
   i cittadini chiedono garanzie sul fatto che la strada non impatti sull'area a verde limitrofa al distributore di benzina sul «Canalone est», (retrostante i rottamatori della via Togliatti), caratterizzati da alberi di pregio, tra cui eucalipti, specie globulus, e altre essenze come cedri del Libano, pioppi e olmi, e che sia localizzata al posto dei rottamatori, i cui terreni sono già fortemente compromessi dall'inquinamento e le cui attività sarebbero destinate comunque ad essere delocalizzate, in quanto incompatibili con il parco e il piano particolareggiato adottato dal comune di Roma con decreto n. 69 del 2003 e approvato dalla regione Lazio con delibera n. 676 del 2006;
   se fosse confermato quanto sopra, si sarebbe dunque di fronte a un progetto militare pianificato senza alcuna condivisione con i cittadini del quadrante di Roma est, su cui il parco insiste. Un progetto che non terrebbe conto delle specificità architettoniche, urbanistiche, e naturalistiche del parco –:
   quali siano gli interventi effettivamente previsti sull'area del parco di Centocelle e se il Ministro interrogato sia disponibile ad aprire un tavolo di lavoro in merito, coinvolgendo le realtà territoriali. (4-17568)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'INCÀ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il numero delle segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio segnalate alla Banca d'Italia in Italia è in costante crescita, segnatamente nel nord Italia; dette operazioni costituiscono un buon indicatore «termometro» dell'entità reale del riciclaggio che è indice a sua volta della presenza radicata della criminalità finanziaria, ovvero di quella organizzata;
   effettuando una comparazione indicativa delle operazioni sospette (Sos) di riciclaggio segnalate si legge nel rapporto annuale Uif del 2009 la cifra di 1244 operazioni laddove per il 2016, nell'analogo rapporto Uif, si legge la cifra di 7841 – con una variazione +21 per cento rispetto al 2015;
   crescite simili si palesano pure nelle regioni circumvicine Emilia-Romagna e Lombardia: in Emilia Romagna si registrano 1422 «operazioni SOS» nel 2009 e 6979 «operazioni SOS» nel 2016, mentre in Lombardia si contano 5556 «operazioni SOS» nel 2009 e 25.373 «operazioni SOS» nel 2016, con una variazione del +50 per cento rispetto al 2015 –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione citata in premessa nel nord Italia e, specificamente, in Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia, che evidenzia purtroppo di anno in anno una preoccupante progressione, e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per arginare detti inquietanti fenomeni, anche nella prospettiva di un'adeguata risposta alla criminalità.
(5-12032)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei confronti dei soggetti esercenti attività cosiddetta «finanziaria», generalmente individuati mediante il rinvio agli «altri soggetti finanziari indicati nell'articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87», trovano applicazione peculiari criteri per la determinazione del reddito imponibile ai fini dell'I.Re.S. e del valore della produzione netta ai fini dell'I.R.A.P., nonché talune maggiorazioni delle aliquote d'imposta applicabili, contenuti nella disciplina dettata al comma 3 dell'articolo 106 del Testo unico delle imposte sui redditi, ai commi 5 e 5-bis dell'articolo 96 del Testo unico delle imposte sui redditi, all'articolo 1, comma 65, della legge n. 208 del 2015, nonché gli articoli 6 e 16, comma 1-bis, lettera b), del decreto legislativo n. 46 del 1997;
   al fine attuare la direttiva n. 2013/34/UE, l'articolo 48 del decreto legislativo n. 136 del 2015, ha disposto che «Il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo». Ne deriva che, a decorrere dal 16 settembre 2015, i soggetti operanti nel settore dell'intermediazione finanziaria sono ora ripartiti in tre categorie: a) soggetti autorizzati a erogare finanziamenti nei confronti del pubblico; b) confidi minori e operatori del micro-credito di cui agli articoli 111 e 112 del Testo unico bancario; c) altri soggetti, quali le società holding «finanziarie», gli intermediari finanziari che non operano nei confronti del pubblico e gli altri operatori finanziari che non sono iscritti in alcun albo o elenco;
   l'assetto normativo risultante dalle citate novità non sembrerebbe più consentire di considerare, ai fini degli obblighi di bilancio, gli enti e le società sub c) come soggetti aventi natura finanziaria, diversamente da quanto normativamente previsto fino all'esercizio 2015, nonostante l'attività svolta da questi soggetti continui ad avere una connotazione di tipo «finanziario»;
   l'abrogazione del decreto legislativo n. 87 del 1992 ha determinato per i soggetti sub c) l'insorgenza di talune questioni interpretative connesse alla corretta modalità di determinazione dell'I.Re.S. e dell'I.R.A.P. dovute a decorrere dal periodo d'imposta 2016, dal momento che le summenzionate disposizioni tributarie continuano a far riferimento all'oramai abrogato decreto legislativo n. 87 del 1992 –:
   se il Ministro interrogato, rispetto alla vicenda esposta in premessa, intenda assumere iniziative per chiarire, in primo luogo, la possibilità che il rinvio contenuto nelle citate disposizioni tributarie agli «altri soggetti finanziari indicati nell'articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87», sia inteso nel senso che tra tali soggetti possano continuare a essere ricompresi anche i soggetti sub c), specificando altresì se, a prescindere dagli schemi di bilancio e dai principi contabili adottati, essi debbano continuare a essere ricompresi all'interno della categoria di cui sopra e, conseguentemente, proseguire con l'applicazione delle specifiche disposizioni tributarie loro destinate;
   se, in secondo luogo, intenda assumere iniziative per chiarire se la nozione di «banca», contenuta nella disposizione di cui all'articolo 1, comma 550, lettera d), della legge n. 232 del 2016 (che, ai fini della disciplina agevolativa «ACE», specifica che «Per i soggetti diversi dalle banche e dalle imprese di assicurazione la variazione in aumento del capitale proprio non ha effetto fino a concorrenza dell'incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all'esercizio in corso al 31 dicembre 2010») possa essere intesa come comprensiva anche degli «altri soggetti finanziari indicati nell'articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87» e, quindi, se anche per tali soggetti possa ritenersi non operante la citata causa di sterilizzazione automatica ai fini della disciplina agevolativa «ACE». (4-17575)


   MARAZZITI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, il business del gioco d'azzardo legalizzato è estremamente sviluppato nel nostro Paese;
   sino a poco tempo fa, però, mancavano dati precisi sui flussi delle giocate e l'importo totale delle spese;
   recentemente il piccolo comune di Dello, in provincia di Brescia, nel quale vivono circa 5.000 persone, è riuscito ad ottenere dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli, che controlla i flussi, i dati sulla regolarità del gioco d'azzardo legalizzato, scomposti per tipologia di azzardo e importo totale delle somme spese dai cittadini per il 2015 e 2016;
   nel dettaglio, nel 2015 sono stati spesi ben 5 milioni e 971 mila euro. Si può dire che ognuno dei 5.720 abitanti del piccolo comune di Dello, compresi neonati e anziani, ha speso 1.043,88 euro a testa in gioco d'azzardo;
   per il 2016, la popolazione è leggermente calata e così anche quantità di denaro spese: 5.661 abitanti, 5.813.000 euro spesi, 1.028 pro capite;
   si è di fronte, a dati impressionanti, a parere dell'interrogante, che mettono in evidenza una diffusione preoccupante del gioco d'azzardo, con gli evidenti rischi di ulteriore diffusione della ludopatia, che è ormai una vera malattia sociale;
   il tutto mentre Banca d'Italia, tramite l'Unità di investigazione finanziaria (UIF), ha lanciato un allarme nel suo rapporto annuale, dove si ricorda che le sale da gioco siano fortemente diffuse nel territorio italiano, in particolare nelle cerniere periferiche dei grandi centri urbani e nei piccoli comuni, e che proprio queste sale siano particolarmente vulnerabili al riciclaggio di denaro –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative, per quanto di sua competenza, affinché l'Agenzia delle dogane e dei monopoli pubblichi integralmente i dati in suo possesso per quel che riguarda la diffusione e la tipologia del gioco d'azzardo legalizzato;
   quali iniziative intenda intraprendere per limitare un fenomeno sempre più patologico che non può essere accettato quale fonte di introito da parte dello Stato. (4-17596)


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Matteo Del Fante è amministratore delegato di Poste Italiane dal 18 marzo 2017, dopo la nomina da parte del Governo Gentiloni, il giorno in cui ha lasciato la carica di amministratore delegato di Terna, ricoperta dal maggio del 2014 e fortemente voluta dall'ex Presidente del Consiglio Renzi e dal suo esecutivo;
   come riportato dagli organi di stampa Del Fante aveva prospettato al consiglio di amministrazione della società di portare l'insieme dei propri compensi, nei tre anni di mandato, a undici milioni di euro complessivamente; circa il 20 per cento in più del suo predecessore Francesco Caio;
   il collegio sindacale ha richiesto anticipatamente che sia quantificato il corrispettivo alla scadenza del contratto da direttore generale di Del Fante, il quale, avendo spostato la remunerazione maggiormente proprio sul ruolo di direttore generale, beneficerebbe, al termine dell'incarico ed in assenza di cifra pattuita prima, di tutte le indennità di legge e di politica di remunerazione interna;
   ciò, tradotto in soldoni e considerate anche le somme spettanti al momento della risoluzione del contratto da direttore generale, significherebbe una cifra totale vicino agli 11 milioni di euro per Del Fante, una sorta di «buona entrata uscita» che appare completamente slegata dal rendimento dell'azienda;
   la richiesta sarebbe bloccata dal consiglio di amministrazione;
   si tratta, a giudizio dell'interrogante, di un'azione immotivata e completamente sganciata dai risultati ottenuti dall'azienda. Una gestione non particolarmente apprezzata quella del nuovo direttore generale/amministratore delegato fortemente sponsorizzato da Renzi e Gentiloni;
   tra le scelte poco condivisibili, a giudizio dell'interrogante, secondo altri organi di stampa, c’è l'investitura dell'ex maresciallo della Guardia di finanza, Giuseppe Lasco, presente oramai in tutti gli snodi cruciali dell'azienda, nonché l'ultimo riassetto che ha visto appunto Del Fante attribuirsi anche il ruolo cruciale di amministratore delegato di «Poste Vita», la società assicurativa che costituisce una delle principali fonti di crescita del gruppo, un comparto che necessita di una forte specializzazione e per il quale sarebbe stato meglio rivolgersi ad una figura specializzata –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche con riferimento agli orientamenti assunti dal consiglio di amministrazione;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno verificare, per quanto di competenza, l'operato, la gestione e l'adeguatezza di cariche, organigramma e nomine in Poste Italiane da parte del direttore generale/amministratore delegato Matteo Del Fante e quali siano gli orientamenti del Governo circa le richieste di aumento di stipendio dello stesso, soprattutto ove parametrate con il rendimento dell'azienda. (4-17603)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO e LACQUANITI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul quotidiano on-line Il Tirreno edizione Cecina-Rosignano del 22 luglio è apparsa la notizia dell'erogazione di una sanzione di 3.333 euro a testa per cinque turisti «naturisti» perché facevano il bagno completamente nudi. Si legge infatti che «Cinque turisti del nord Italia (quattro uomini e una donna) sono stati sanzionati dalla polizia con un verbale di 3.333 euro ciascuno. Facevano i nudisti nella zona della Fossa Camilla, nel comune di Castagneto Carducci, una spiaggia tradizionalmente frequentata dagli appassionati di naturismo, il cui via libera dall'amministrazione comunale, però, non è mai arrivato»;
   «I cinque turisti – tutti italiani, sono stati invitati a rivestirsi immediatamente ed è stata contestata loro la violazione all'articolo 726 del codice penale (Atti contrari alla pubblica decenza) con una multa totale di 16.666 euro (3.333 per ogni multa)»;
   per diversi anni l'articolo 726 è stato utilizzato per sanzionare la pratica del naturismo, anche se la Corte di cassazione ha affermato (con sentenza n. 3557 del 2000) che il naturismo non sia assolutamente da considerare indecente, se praticato in luoghi adatti;
   nella risposta all'interrogazione n. 4-12552, il Ministro interrogato, aveva riconosciuto le ragioni dei naturisti e aveva appunto rimarcato come nei decreti attuativi del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, la sanzione era stata determinata nella misura più lieve tra quelle introdotte dalla depenalizzazione;
   in quella sede aveva anche sottolineato la possibilità, da parte del Governo, di emanare entro 18 mesi uno o più decreti correttivi e integrativi al fine di apporre eventuali correttivi ritenuti necessari –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative normative per salvaguardare la pratica naturista, escludendola da quelle sanzionabili ai sensi dell'articolo 726 codice penale. (5-12024)


   DADONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a decorrere dal settembre 2013, come disposto dal piano di razionalizzazione del sistema giudiziario, i tribunali di Mondovì e Saluzzo sono stati soppressi e accorpati a quello di Cuneo. La disponibilità dei locali dei medesimi tribunali soppressi è stata concessa fino alla data del 13 marzo 2017 con decreto ministeriale 8 agosto 2013, trasformando di fatto le sedi giudiziarie in articolazioni territoriali del tribunale di Cuneo;
   con legge 23 dicembre 2014, n. 190 (articolo 1, comma 526) si è disposta con decorrenza dal 1o gennaio 2015 l'abrogazione degli articoli 2, 3, 4 e 5 la legge 24 aprile 1941, n. 392. In particolare, all'articolo 2 si prevedeva che lo Stato erogasse ai comuni un contributo annuo per le spese sostenute per il mantenimento dei locali ad uso degli uffici giudiziari. Allo stesso tempo, a fronte di tale abrogazione, si è operato una modifica all'articolo 1 della medesima legge disponendo che dal 1o settembre 2015 le spese per la gestione degli uffici giudiziari «sono trasferite dai comuni al Ministero della giustizia e non sono dovuti ai comuni canoni in caso di locazione o comunque utilizzo di immobili di proprietà comunale, destinati a sedi di uffici giudiziari». Al tempo stesso l'intervento normativo prevede che tale trasferimento «non scioglie i rapporti in corso e di cui è parte il comune per le spese [...], né modifica la titolarità delle posizioni di debito e di credito sussistenti al momento del trasferimento stesso»;
   secondo quanto riportato da La Stampa, edizione Cuneo, del 29 luglio 2017, il sindaco di Saluzzo, in occasione della seduta del consiglio comunale avrebbe annunciato la decisione di ricorrere al Tar del Lazio avverso «la decisione del Governo di non rimborsare per intero le spese arretrate dell'ex Palazzo di giustizia. Si tratta di circa 415 mila euro, per manutenzioni ordinarie al Tribunale, dal 2010 al 2015, soldi messi dal municipio di Saluzzo per conto dello Stato»;
   secondo quanto dichiarato dall'amministrazione comunale negli ultimi anni il comune non ha più ricevuto trasferimenti di denaro dallo Stato e ha proseguito in questi anni nel sostegno alle spese necessarie al mantenimento dei locali e dell'operatività dei locali del tribunale, onde garantire la funzionalità dell'amministrazione della giustizia;
   risulta peraltro che, nel corso dei primi mesi del 2017, il Ministero della giustizia, rispondendo ad una richiesta in merito ai contributi dovuti per l'anno 2015 al comune di Saluzzo, avrebbe risposto che tale importo non risultava ancora determinabile;
   le problematiche relative agli oneri di gestione degli immobili di tribunali soppressi ma ancora utilizzati come uffici giudiziari sono comuni in tutto il resto del Paese;
   l'amministrazione giudiziaria e le amministrazioni comunali versano in gravi condizioni che il mero accorpamento operato da qualche anno a questa parte non ha affatto risolto se non addirittura peggiorato;
   le finanze degli enti locali sono duramente colpite ormai da anni dalle politiche di Governo. I ritardi o la mancata piena restituzione delle spese rendicontate hanno ridotto gli enti locali a ridurre la disponibilità di risorse che invece avrebbero potuto essere impegnate a favore dei servizi pubblici ai cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa con riferimento al comune di Saluzzo e in generale ai comuni già sedi di tribunali soppressi nella provincia di Cuneo;
   se il Ministro interrogato non intenda adottare urgenti iniziative, anche di carattere normativo, per rimborsare complessivamente gli oneri già anticipati dagli enti locali. (5-12035)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ARLOTTI e GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   già più volte gli interroganti hanno presentato interrogazioni sulla situazione della casa circondariale «Casetti» di Rimini e, in particolare, sulla necessità di adeguare l'organico della polizia penitenziaria;
   nella giornata del 28 luglio 2017 hanno effettuato una visita all'interno della casa circondariale di Rimini insieme a Ilaria Pruccoli, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del comune di Rimini, e al vicesindaco di Rimini Gloria Lisi;
   l'istituto comprende in totale 6 sezioni situate all'interno e altre collocate esternamente le mura di cinta (sezione Andromeda, sezione a custodia attenuata per il recupero dei detenuti con problemi di alcol o tossicodipendenza e sezione dei semiliberi);
   al momento della visita, i detenuti presenti erano 170 (di cui circa la metà stranieri e più di 50 tossicodipendenti), su una capienza massimo di 120, quindi in regime di sovraffollamento;
   delle sei sezioni interne, le criticità a livello strutturale sono state individuate soprattutto: nella sezione sesta «Vega», dove vengono ospitati detenuti transessuali (attualmente 2 a fronte di una capienza di 5), che presenta caratteristiche di fatiscenza e dove l'area esterna è molto limitata;
   nella sezione quinta vi sono stanze detentive con finestre piccole e inadeguate all'illuminazione naturale e bagni con muffa alle pareti;
   nella sezione nuovi giunti i detenuti lamentano inadeguatezza dei cuscini e dei materassi utilizzati per dormire;
   meglio conservate a livello di locali interni sono le sezioni prima e seconda, ove sono reclusi i detenuti condannati in via definitiva;
   tra questi, alcuni hanno presentato istanza per la misura alternativa dell'affidamento in prova, attestando un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma a distanza di quasi sei mesi non hanno ancora ricevuto risposta da parte del magistrato di sorveglianza competente, o non è ancora pervenuto loro il responso circa l'istanza di richiesta di giorni di liberazione anticipata nelle tempistiche individuate dall'ordinamento penitenziario;
   manca inoltre da tempo la possibilità di far pervenire ai detenuti cibo dall'esterno, a causa della carenza di personale di sorveglianza e della mancanza di una stanza idonea all'ispezione dei cibi;
   permane infatti la carenza di personale di polizia penitenziaria già segnalata dagli interroganti nei precedenti atti di sindacato ispettivo: l'organico amministrato alla data della visita è infatti di 108 unità contro le 144 previste dal decreto ministeriale del 22 marzo 2013;
   l'organico del personale del reparto ministeri della casa circondariale (funzionari, assistenti, ausiliari) è inoltre di 9 unità contro le 20 previste;
   si evidenziano, infine, l'assenza di un funzionario in grado di supportare l'attuale comandante del reparto e l'assenza da 3 anni di un direttore effettivo ed assegnato in pianta stabile alla struttura riminese –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle condizioni strutturali della casa circondariale «Casetti» di Rimini e quali iniziative intenda intraprendere per adeguare tutte le sezioni e rispettare la dignità di chi vi si trova recluso;
   se sia a conoscenza dei problemi che sarebbero sorti nelle tempistiche di risposta del magistrato di sorveglianza competente che, a giudizio degli interroganti, ledono i diritti dei detenuti e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere al riguardo;
   quali iniziative intenda intraprendere per adeguare l'organico di polizia penitenziaria della casa circondariale di Rimini e garantire le risorse necessarie affinché il personale di sorveglianza possa svolgere il lavoro con serenità. (4-17581)


   LOSACCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della giustizia, dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, attraverso i provveditorati regionali, ha indetto su tutto il territorio nazionale suddiviso in lotti la «Gara per la conclusione dell'Accordo Quadro relativo all'affidamento del servizio di mantenimento dei detenuti e internati attraverso l'approvvigionamento di derrate alimentari derivanti da processi di produzione a ridotto impatto ambientale per il confezionamento di pasti giornalieri completi (colazione, pranzo e cena) ai ristretti degli istituti penitenziari, con assicurazione del servizio di sopravvitto», mediante procedura aperta con criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con scadenza il prossimo 5 settembre;
   il servizio consiste nella fornitura quotidiana in esclusiva, da parte dell'appaltatore, di tutti i generi alimentari a crudo necessari per il confezionamento (a cura degli stessi detenuti) di colazione, pranzo e cena (vitto) secondo le quantità e le qualità giornaliere indicate nel decreto del Ministero della giustizia 9 maggio 2017;
   rispetto alla formulazione dei bandi precedenti (2004, 2010, 2013) il bando, in questione contiene delle rilevanti novità;
   viene modificata la platea dei soggetti legittimati a partecipare, prima limitata ai soggetti con esperienza professionale specifica, in possesso del nulla osta di sicurezza ex articolo 42 della legge 3 agosto 2007, n. 124, recante «Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto», o aventi i requisiti per il rilascio del nulla osta. Con il presente bando, mediante ricorso, per la prima volta, a procedura aperta con criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la platea si estende a tutti i soggetti che genericamente «operino nel settore del commercio delle derrate alimentari» (cfr. sez. III punto 1.1 del bando). In concreto anche operatori meno qualificati potrebbero partecipare alla gara;
   viene introdotto per la prima volta il requisito della fornitura obbligatoria di derrate alimentari derivanti da processi di produzione «a ridotto impatto ambientale» e nel rispetto dei criteri ambientali minimi (CAM) di cui al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 25 luglio 2011 (resi obbligatori con legge n. 221 del 2015);
   la gara, per ciascun lotto, viene aggiudicata all'offerta che consegue il maggiore punteggio complessivo, sommando il punteggio dell'offerta tecnica (cioè la quantità di biologico offerta eccedente la quota minima prevista dal bando) a cui vengono riservati massimo 70 punti, al punteggio ottenuto dall'offerta economica (al ribasso) a cui vengono riservati i restanti 30 punti;
   tuttavia, permangono una serie di perplessità circa il rischio legato allo svolgimento di attività con personale che potrebbe non avere adeguato profilo rispetto alla specificità di lavorare con detenuti così come rispetto ai soggetti fornitori per la peculiarità delle forniture per strutture carcerarie;
   altro aspetto da valutare con molta attenzione è l'obbligo a fornire un'aliquota di prodotti biologici e a marchio Igp nella misura non inferiore a quella stabilita dal decreto ministeriale 25 luglio 2011; questo può comportare una impennata dei costi a fronte di un prezzo di euro 3,90, comprensivo degli oneri per la sicurezza, che è fermo dal 2010 e quindi riferito solo a menù con derrate convenzionali –:
   se sia stata operata dal Governo una preliminare verifica di congruità del prezzo rispetto alle innovazioni apportate nel bando e come si intenda superare il rischio della diversificazione dei trattamenti alimentari tra i diversi istituti penitenziari, considerata la suddivisione in lotti prevista;
   se sia stata fatta un'attenta valutazione del rischio che un prezzo troppo basso possa richiamare pratiche di economia sommersa che pregiudicherebbero gli obiettivi del Ministero e se non ritenga quindi di valutare l'opportunità di assumere iniziative per sospendere la gara e procedere alla indizione di una nuova, proprio in ragione delle criticità evidenziate in premessa. (4-17589)


   SGAMBATO, MANFREDI, SCHIRÒ, CARLONI e ROCCHI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sugli organi di stampa, si apprende che nel carcere minorile di Airola alcuni detenuti – colpevoli di gravi reati – hanno utilizzato per un lungo periodo telefoni cellulari all'interno dell'istituto collegandosi anche ad internet attraverso schede telefoniche anonime, non intestate a nessuno ma attive;
   la scorsa settimana, durante l'ora di socialità, si è verificato un pestaggio ai danni di un ragazzo che è stato costretto a ricorrere alle cure ospedaliere;
   da molti mesi gli agenti della polizia penitenziaria denunciano la situazione drammatica e rischiosa che si sta vivendo nell'istituto di pena minorile che, già a settembre, è stato teatro di una rivolta;
   purtroppo, nonostante i controlli della polizia penitenziaria, in una struttura dove i ragazzi reclusi dovrebbero avere la possibilità di poter riflettere sui propri errori e recuperare per reinserirsi nella società una volta scontata la pena, vige tra le celle e i corridoi la stessa legge che regola la loro vita all'esterno delle mura dell'istituto;
   ogni anno migliaia di ragazzi tra i 15 e i 25 anni transitano negli istituti penitenziari minorili, tale consistenza deve indurre ad un'attenta riflessione per comprendere quali strategie attuare al fine di contrastare il fenomeno e quali risposte attivare per intercettare i ragazzi e orientarli verso percorsi alternativi di vita;
   sarebbe opportuno impedire, per esempio, che ragazzi giovani, con alle spalle esperienze delinquenziali di non rilevante entità, finiscano per essere integrati nel circuito della devianza attraverso la commistione con ragazzi più volte entrati ed usciti dal carcere e con crimini molto seri alle spalle;
   inoltre, si dovrebbe impedire di trasformare l'esperienza detentiva in una sorta di «palestra» del crimine invece che in un momento di riflessione e crescita dal punto di vista umano e conseguentemente sociale;
   in tal senso, appare necessario potenziare le iniziative per il recupero dei ragazzi che deve iniziare proprio dall'esperienza detentiva e che dovrebbe concludersi con il reinserimento sociale –:
   quali misure intenda mettere in campo per impedire che nel carcere minorile di Airola si verifichino altri episodi come quelli indicati in premessa;
   quali iniziative intenda realizzare per potenziare i progetti che consentano il recupero sociale dei giovani coinvolti nella devianza. (4-17601)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   CASTIELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   poco più di un mese fa è stata inaugurata, alla presenza anche del Presidente del Consiglio Gentiloni e del Ministro interrogato, per la quinta volta, la stazione di alta velocità di Afragola (Napoli), il cui progetto risale al 2003 e la cui realizzazione finale era prevista nel 2008;
   l'opera, progettata dall'architetta di fama internazionale Zaha Hadid è costata circa 70 milioni di euro, fungendo da stazione di appoggio per Napoli centrale e accoglie quotidianamente 36 treni diretti verso nord e sud: 18 Frecce di Trenitalia e 18 treni Italo di Ntv;
   sono stati sollevati da più parti dubbi relativi alle dimensioni della stazione, che sono considerate eccessive rispetto al traffico previsto (come segnalato anche dalla Corte dei conti della Campania in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario che l'ha definita «un investimento eccessivo»); tali dubbi si sommano alle altre perplessità legate al fatto che la stazione risulta quasi del tutto scollegata dal restante traffico ferroviario della regione. Infatti, non risulta attivo nessun collegamento su ferro programmato con la variante Cancello – Napoli e con il possibile prolungamento delle linee della circumvesuviana e della metropolitana di Napoli sulla stazione;
   il prolungamento della linea alta velocità-alta capacità fino a Bari, con una spesa prevista di 6 miliardi e 200 milioni di euro, nonché l'ammodernamento della linea ferroviaria sino a Reggio Calabria darebbero, in prospettiva futura, un notevole sviluppo alla stazione Napoli-Afragola;
   pochi giorni fa, un'operazione dei carabinieri e della forestale ha portato al sequestro del parcheggio dell'area ovest della stazione, un'area di circa 15 mila metri quadrati, che sembra sia stato costruito su terreni non bonificati e con rifiuti nocivi interrati e dove lavorano, per di più, operai sprovvisti di regolare contratto;
   sebbene il Presidente del Consiglio abbia fastosamente celebrato la definitiva apertura della stazione, permangono molti problemi: il bar è chiuso, le scale mobili funzionano a singhiozzo, gli impianti di aria condizionata sono fermi, i sistemi anti incendio risultano mancanti, si rilevano infiltrazioni di acqua. La stazione è tuttora un cantiere aperto;
   appaiono notevolmente carenti tutte le infrastrutture di collegamento alla stazione, a causa della posizione dell'attuale amministrazione comunale, del tutto inerte a parere dell'interrogante, che non ha implementato l'intesa istituzionale sottoscritta con la regione Campania nell'autunno del 2012 in «accordo di programma» con la perdita di 50 milioni di euro di fondi comunitari e con la sospensione della realizzazione dei previsti svincoli dall'autostrada A1 e dall'asse mediano –:
   quali siano, nel dettaglio, le motivazioni che hanno portato a un dispendio così cospicuo di risorse pubbliche per la realizzazione di un'opera inaugurata con dieci anni di ritardo e che, ad oggi, in realtà, non è ancora del tutto operativa e, per alcuni aspetti, presenta profili tali da far ipotizzare situazioni di dubbia legittimità e danni patrimoniali;
   se non ritenga necessario istituire un tavolo operativo con regione e comune per recuperare la programmazione in precedenza avviata e i relativi finanziamenti, onde permettere la realizzazione delle indispensabili opere infrastrutturali citate che consentirebbero, in futuro, una fruizione piena e funzionale della stazione;
   se il Governo non intenda approfondire, per quanto di competenza cause e responsabilità di tale situazione posto che a parere dell'interrogante si sarebbe dovuto vigilare sulla correttezza dei lavori eseguiti e realizzare le opere complementari previste dall'accordo procedimentale sottoscritto con Rete ferroviaria italiana nel giugno del 2012 (impianti di illuminazione stradale sull'anello viario esterno, adeguamento degli impianti di sollevamento nei sottopassi). (3-03205)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PATRIZIA MAESTRI, ROMANINI, ARLOTTI, BARUFFI, GHIZZONI, MONTRONI, LENZI, MARCHI, IORI, MARCO DI MAIO, GIUDITTA PINI, PATRIARCA, INCERTI, FABBRI e PAGANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 della legge 9 gennaio 1989, n. 13, ha stabilito che «per la realizzazione di opere direttamente finalizzate al superamento e all'eliminazione di barriere architettoniche in edifici già esistenti, anche se adibiti a centri o istituti residenziali per l'assistenza [...] sono concessi contributi a fondo perduto»;
   allo scopo, ai sensi del successivo articolo 10, è stato istituito presso l'ex Ministero dei lavori pubblici un «Fondo speciale per l'eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati», annualmente ripartito tra le regioni richiedenti con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro per gli affari sociali, in proporzione al fabbisogno indicato dalle regioni che a loro volta ripartiscono le somme assegnate tra i comuni richiedenti in quanto è al sindaco del comune in cui è sito l'immobile che gli interessati devono presentare l'istanza di contributo;
   sulla base delle informazioni raccolte emergerebbe che il fondo nazionale non sarebbe più stato finanziato sin dal 2004, determinando, oltre all'interruzione dell'erogazione dei contributi per il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati, anche l'allungarsi delle graduatorie istituite presso i comuni ai quali non sarebbe stata fornita alcuna indicazione circa le modalità di gestione delle istanze comunque presentate;
   la regione Emilia Romagna, al fine di evitare un eccessivo allungamento delle graduatorie e dei tempi di attesa, è intervenuta istituendo il fondo regionale per l'abbattimento delle barriere architettoniche e introducendo criteri per la formazione delle graduatorie comunali che tenessero conto anche della situazione economica del nucleo familiare, rinviando per quanto non espressamente previsto alla disciplina del fondo nazionale. Ad oggi il fondo ha erogato oltre 40 milioni di euro di contributi;
   allo scopo di promuovere l'abbattimento delle barriere architettoniche, la maggior parte delle regioni ha stanziato risorse nel quadro di specifiche leggi regionali, ma nonostante la complementarietà dei finanziamenti locali, anche in ragione dei differenti criteri di corresponsione e del mancato rifinanziamento della legge n. 13 del 1989, numerosi interventi realizzati dai privati sono ancora in attesa del contributo pubblico;
   nelle scorse settimane Auser Emilia Romagna, associazione solidale di volontariato e promozione sociale che opera con la finalità di migliorare la qualità della vita in particolare delle persone anziane e fragili, ha lanciato la campagna «L'ascensore è libertà» con l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza dell'ascensore quale strumento essenziale al fine di consentire alle persone anziane o con disabilità (permanente o temporanea) di muoversi in autonomia e coltivare relazioni di comunità;
   la campagna, realizzata in collaborazione con le principali realtà associative che si occupano delle persone anziane e/o disabili, è meritevole di attenzione anche da parte delle istituzioni pubbliche le quali hanno il dovere di compiere ogni sforzo per favorire la rimozione di ogni forma di ostacolo alla socialità delle persone, prevenendo forme di marginalità sociale, ma anche per favorire quegli investimenti privati che fungono da stimolo alla ripresa economica e all'occupazione –:
   se il Governo non intenda farsi promotore del rifinanziamento del «Fondo speciale per l'eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati» e di una ricognizione normativa che consenta di coordinare la legislazione nazionale con quella regionale e di rispondere positivamente alle istanze di contributo già presentate e giacenti e a quelle in divenire. (5-12040)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FASSINA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Reggio Calabria, oggi città metropolitana, la ex Cassa per il Mezzogiorno ha realizzato tre dighe: Metramo, Menta e Lordo;
   quella sul Menta, completata nel 1998, a quota di 900 metri sul livello del mare, volume d'invaso di 18 milioni di metri cubi, è destinata all'approvvigionamento idropotabile della città di Reggio Calabria e del suo hinterland;
   quella sul Metramo, completata nel 1998, volume d'invaso di oltre 25 milioni di metri cubi, utilizzata per usi plurimi, è la seconda in Europa per altezza (900 metri sul livello del mare) tra le dighe in «materiali sciolti»;
   quella sul torrente Lordo, a quota di 50 metri sul livello del mare, completata nel 1993, volume d'invaso di 10 milioni di metri cubi, è realizzata per soddisfare le esigenze irrigue della fascia costiera della Locride, costata centocinquanta miliardi di lire;
   le necessità idropotabili dell'area metropolitana di Reggio Calabria dovrebbero essere integrate anche attraverso il prelievo dall'invaso della diga Alaco, in provincia di Vibo, a quota di 900 metri sul livello del mare, con un volume d'invaso di 16 milioni di metri cubi, per usi esclusivamente potabili, completata nel 2001;
   nonostante lo sforzo finanziario sostenuto dallo Stato la situazione degli invasi ad oggi è la seguente:
    il Menta non può essere utilizzato, perché manca il collegato alle condotte adduttrici;
    per il Metramo esiste solo la galleria di derivazione, ma mancano le condotte di adduzione;
    l'Alaco è completo di impianto di potabilizzazione e di adduttori, ma ad oggi non è stato possibile invasarlo;
   l'unico invaso che è stato possibile utilizzare, anche se in forma parziale e per un certo periodo, è stato quello del Lordo. Il collaudo tecnico-amministrativo è stato effettuato nel 1997, mentre il collaudo statico risulta essere in corso;
   nelle more del collaudo statico la diga ha funzionato in esercizio provvisorio e ha assicurato l'irrigazione di una notevole estensione di terreni, assolvendo così alla sua funzione, oltre a migliorare indirettamente l'approvvigionamento potabile;
   l'esercizio provvisorio, per problemi tecnici, è stato sospeso nel 2013 e a tutt'oggi l'invaso non è utilizzato, con notevoli danni per la già debole agricoltura;
   per un utilizzo anche minimo, con invaso parziale, occorrerebbero circa 800.000,00 euro per mettere in sicurezza provvisoria il pozzo dove alloggiano le paratoie di scarico ed il loro sistema di controllo;
   occorrerebbe chiarire per quale motivo, con un accumulo di acqua a 900 metri sul livello del mare che consentirebbe di servire a gravità tutti i centri abitati, che in Calabria si trovano ad una quota massima di 300 metri, i calabresi sono gravati dal dover pagare l'acqua potabile, con un onere annuo aggiuntivo di circa 20/25 milioni di euro per il consumo di energia elettrica necessaria al sollevamento della risorsa dalle falde freatiche delle fiumare fino al punto di utilizzo –:
   per quali motivi, in presenza di una siccità storica a livello nazionale, ci sia quello che appare all'interrogante un disinteresse totale sull'utilizzo di un patrimonio di risorse idriche che non ha eguali in Europa;
   quali siano, in prospettiva, i programmi di utilizzo, ed entro quale data si preveda possano essere realizzati, consentendo, tra l'altro, che i cittadini di Reggio Calabria (città metropolitana) non bevano più acqua salmastra;
   quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, per l'immediato parziale utilizzo dell'invaso sul torrente Lordo, posto che ulteriori ritardi, oltre a problemi per l'agricoltura, possono comportare anche criticità per il corpo della diga, essendo l'opera realizzata in «materiali sciolti»;
   considerato che l'acqua invasata a quota 900 metri sul livello del mare ed utilizzata a quota 300 rende disponibile per la produzione di energia elettrica un salto di metri 600, quali siano le ragioni che hanno portato al grave danno rappresentato dal non aver prodotto energia elettrica dal 2001 (ultimazione della diga Alaco) ad oggi e quali iniziative di competenza si intendano assumere al riguardo. (4-17563)


   MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 febbraio 2013, a causa di continui smottamenti sui binari, viene chiusa la tratta ferroviaria Trapani-Alcamo, via Milo; nel 2003 erano stati stanziati 300 milioni di euro per l'ammodernamento e la velocizzazione della ferrovia Palermo-Trapani e, a distanza di dodici anni circa, tale opera viene inserita nel decreto-legge «Sblocca Italia» per un importo di 491 milioni di euro e risorse finanziarie pari a 2 milioni soltanto;
   con riferimento alla summenzionata tratta ferroviaria, in data 7 luglio 2017 il Vice Ministro Riccardo Nencini – in risposta alla interrogazione a risposta scritta 4-13925, presentata dalla sottoscritta in data 26 luglio 2016 – ha avuto modo di evidenziare che «RFI ha redatto una progettazione preliminare degli interventi necessari per la riattivazione dell'esercizio ferroviario, il cui costo complessivo è stato quantificato in circa 104 milioni di Euro, finanziato per circa 75 milioni di Euro, che comprende essenzialmente gli interventi al corpo stradale e all'armamento, nonché gli impianti di comando e controllo in stazione, il sistema di controllo della marcia dei treni e l'adeguamento alla sicurezza per la galleria di Barbaro»;
   come si evince chiaramente dalla risposta del Governo, i finanziamenti per la realizzazione degli interventi necessari per la riattivazione della tratta in questione non sono sufficienti e, per di più, nessuna informazione è stata fornita in ordine alle tempistiche, anche solo meramente indicative, per l'avvio dei lavori previsti dalla summenzionata progettazione preliminare;
   a tal proposito, si rammenta, in questa sede, che la chiusura di questa arteria ferroviaria ed il suo mancato ripristino stanno creando un grave danno alla mobilità dell'utenza pendolare che si trova costretta a raggiungere Trapani in bus sostitutivi – servizio bus che, peraltro, appare piuttosto carente e ad oggi del tutto inidoneo a garantire un sufficiente nonché adeguato livello di efficienza negli spostamenti – dalla diramazione di Alcamo o via Castelvetrano, allungando la percorrenza di circa 70 chilometri/treno e di oltre 35 minuti;
   si evidenzia che oltre il 20 per cento della rete (equivalente a circa 300 chilometri) risulta interrotto e che, complessivamente, sono 28 le linee ferroviarie presenti sul territorio siciliano rispetto alle quali emergono particolari criticità e che sono chiuse al traffico o, addirittura, incompiute;
   infine, occorre sottolineare come il risanamento ed il potenziamento delle linee ferroviarie esistenti sul territorio del nostro Paese sia strettamente correlato anche al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell'inquinamento e di mobilità sostenibile fissati dalla Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici (Cop21); in tal senso, il reindirizzamento degli investimenti dal trasporto su gomma a quello su ferro non può che costituire una efficace leva per il concreto perseguimento degli impegni legati al dimezzamento delle emissioni di CO2 entro il 2030, tenuto conto, in particolare, del fatto che la progressiva elettrificazione delle linee ferroviarie sta generando ottimi risultati in ordine alla complessiva diminuzione dell'impatto ambientale –:
   quali siano i tempi previsti per l'avvio dei lavori per la realizzazione degli interventi per la riattivazione della tratta ferroviaria Trapani-Alcamo, via Milo, richiamati nelle premesse e quale sia, altresì, la durata stimata per l'esecuzione ed il completamento degli stessi;
   se non ritenga opportuno – nell'ottica di assicurare maggiore efficienza alla rete ferroviaria della regione siciliana, di favorire un adeguato sviluppo dell'intermodalità strada-rotaia e mare-rotaia nonché di perseguire gli obiettivi sulla riduzione dell'inquinamento – assumere le iniziative di competenza per provvedere, di concerto con la regione e con Rete ferroviaria italiana, ad una accelerazione dei tempi di completamento delle tratte ferroviarie che attualmente risultano dismesse, smantellate o incompiute. (4-17567)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il 12 luglio 2017 il primo cittadino di Altamura, Giacinto Forte, è stato arrestato con altre undici persone per un giro di presunte tangenti in cambio di appalti in alcuni comuni della provincia di Bari;
   i finanzieri del nucleo di polizia tributaria Bari e carabinieri del comando provinciale hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare nei confronti di dodici persone, emesse dal Gip del tribunale di Bari su richiesta della procura, e numerose perquisizioni;
   le ordinanze – due in carcere, dieci agli arresti domiciliari ed un obbligo di dimora – costituiscono l'esito di procedure di affidamento dei pubblici appalti che ha riguardato alcuni comuni della provincia di Bari. I provvedimenti restrittivi e le perquisizioni, nell'ambito dell'operazione denominata «Pura defluit» sono scattati a Bari, Roma, Altamura, Acquaviva delle Fonti e Castellana Grotte ed altri comuni del Sud – Barese;
   in data 1o agosto è stata nominata commissario prefettizio del comune di Altamura il viceprefetto Rachele Grandolfo, dopo la cessazione dalle funzioni di vice sindaco in data 31 luglio del dottor Rifino subentrato al sindaco Giacinto Forte attualmente agli arresti domiciliari con l'accusa di corruzione per il quale il tribunale di riesame di Bari ha rigettato la richiesta di revoca della misura cautelare, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari;
   stando alle indagini di Guardia di finanza e carabinieri, coordinate dai pubblici ministeri Claudio Pinto e Marco D'Agostino, l'ex sindaco Forte avrebbe accettato una tangente di 15 mila euro dagli imprenditori Bertin Sallaku titolare della «Besa Costruzioni srl» e dal suo socio Michele Fatigati, per l'appalto dei lavori al depuratore della città;
   il tribunale del riesame ha anche rigettato la richiesta di scarcerazione di un altro indagato, il dirigente dell'ufficio tecnico del comune di Gioia del Colle, Vito Raffaele Lassandro, membro della commissione che aggiudicò il presunto appalto «truccato» relativo ai lavori di ristrutturazione del teatro comunale di Acquaviva delle Fonti;
   le indagini hanno documentato che imprenditori, tecnici e amministratori pubblici di alcuni comuni dell'area metropolitana di Bari avrebbero «truccato» fra il 2015 e il 2017 almeno cinque gare d'appalto bandite dai comuni di Acquaviva, Altamura e Castellana Grotte, e si allargano anche ad un bando da 1,4 milioni per comune di Altamura nell'ambito del progetto «Periferie aperte» della città metropolitana di Bari –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza dei gravi fatti riportati in premessa e quali siano i loro orientamenti, per quanto di competenza, in merito alla gravissima situazione in merito alla gravissima situazione;
   se non si ritenga urgente e necessario intervenire, anche per il tramite del commissario prefettizio del comune di Altamura e in raccordo con l'Anac, con una verifica mirata di tutti gli appalti affidati nel periodo in cui è stata in carica l'amministrazione, anche al fine dell'individuazione delle responsabilità e per impedire che si perpetuino altri illeciti.
(2-01913) «Ventricelli, Lavagno, Cominelli, Crimì, Coscia, Michele Bordo, Ribaudo, Rotta, Schirò, Morani, Malpezzi, Richetti, Covello, Pes, Albanella, Borghi, Vico, Valeria Valente, Coccia, Giovanna Sanna, Moscatt, Currò, Minnucci, Taricco, D'Arienzo, Manfredi, Marchi, Lattuca, Culotta, Crivellari, Cardinale, Giuditta Pini, Paris, Massa».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   nel corso della presente legislatura sono stati presentati molteplici atti di sindacato ispettivo per portare all'attenzione del Governo le rilevanti criticità in ordine all'applicazione della normativa per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione e negli enti locali della provincia autonoma di Trento e per sollecitare misure e interventi ai sensi della legge n. 190 del 2012 e del decreto legislativo n. 33 del 2013 e successive modificazioni e integrazioni;
   le interrogazioni 4-11927, 4-13281, 5-10485, 4-17424, 4-17425, 4-17533 e 4-17536, tuttora senza risposta, hanno messo in evidenza una consistente serie di inadempienze che vanno dalla mancata pubblicazione di documenti obbligatori, alla mera e acritica riproduzione dell'analisi del contesto esterno nei piani triennali per la prevenzione della corruzione di analoghi provvedimenti adottati da altre amministrazioni, fino alla lacunosa attività di vigilanza esercitata dalle autorità locali. Alcune situazioni, le meno recenti, sono state peraltro menzionate nella relazione annuale dell'Anac per l'anno 2016 o sono oggetto di procedimenti penali in via di svolgimento;
   il rapporto METRic «Monitoraggio dell'Economia Trentina contro il Rischio Criminalità» a cura di Francesco Calderoni (2013, Transcrime) – a giudizio dell'interpellante inspiegabilmente non menzionato nelle analisi del contesto esterno dei piani triennali per la prevenzione della corruzione degli enti locali della provincia – ha concluso che, anche in Trentino, si riscontrano vulnerabilità legate alla carenza di controlli sulla corretta applicazione della legge, rischi di infiltrazione della criminalità organizzata negli ambiti economici affini al settore pubblico e carenze nei meccanismi di analisi del contesto esterno e di valutazione del rischio criminalità;
   in occasione della visita della delegazione bicamerale dell'antimafia ai commissari del Governo delle province autonome di Trento e di Bolzano, la presidente della commissione Rosy Bindi, – confermando i rilievi della «Relazione sull'attività delle forze di polizia, sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata» relativamente all'anno 2015 – ha ribadito che il Trentino non è esente da attenzioni mafiose e che non bisogna abbassare la guardia in ragione di alcune sacche di fragilità potenzialmente a rischio come, per esempio, il settore dell'estrazione del porfido e gli ambiti del traffico di stupefacenti e del riciclaggio;
   in considerazione delle analisi elaborate nei suddetti atti parlamentari, si è appalesato che – in antitesi a quanto auspicato il 25 maggio 207 dal presidente dell'Anac al terzo incontro nazionale dei responsabili per la prevenzione della corruzione e a trasparenza (RPCT) – il ruolo dei responsabili della prevenzione della corruzione e della trasparenza nel contesto trentino, nonostante le vulnerabilità messe in evidenza dai rapporti di Transcrime, da Anac, dalla Commissione parlamentare antimafia e dalle puntuali relazioni annuali della Corte dei conti, non è stato ben compreso e continua ad essere «snobbato» dagli organi di indirizzo politico degli enti locali e delle istituzioni provinciali, i quali, con rare eccezioni, non sono coinvolti nell'attività di prevenzione della corruzione o, peggio, si sottraggono ai compiti assegnati dalla legge;
   le analisi del contesto esterno dei piani triennali per la prevenzione della corruzione degli enti locali trentini, in contrasto con le indicazioni dell'aggiornamento del piano nazionale anticorruzione 2015, sono per la quasi totalità il risultato di una mera compilazione acritica di informazioni e dati riprodotti sulla base di un documento standard predisposto dal consorzio dei comuni trentini, nel quale non sono selezionate le informazioni più rilevanti ai fini della identificazione e dell'analisi dei rischi e conseguentemente della individuazione e programmazione di misure di prevenzione specifiche. Pare quindi evidente che non sia stato nemmeno compreso il valore strategico della funzione di prevenzione dei piani triennali per la prevenzione della corruzione quale strumento di comunicazione istituzionale, non solo per prevenire le attività illecite ma per promuovere la bontà delle attività delle amministrazioni –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere, per quanto di competenza, per assicurare l'applicazione della legge n. 190 del 2012 negli enti pubblici e parapubblici della provincia di Trento e per attivare percorsi virtuosi verso l'efficienza dei processi di prevenzione della corruzione e della trasparenza e l'ottimizzazione dei meccanismi di analisi del contesto interno/esterno e di valutazione del rischio criminalità al fine di soddisfare le finalità pubbliche del buon governo.
(2-01912) «Fraccaro».

Interrogazione a risposta orale:


   PELLEGRINO, PALAZZOTTO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i richiedenti asilo che, alla data del 24 ottobre 2016, si trovavano a Gorizia nelle strutture governative di prima accoglienza, nelle strutture temporanee e nello Sprar, hanno consentito all'amministrazione comunale di ricevere 145.500 euro dal fondo «Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti, programma Flussi migratori e coesione sociale»;
   una nota esplicativa del Ministero dell'interno dispone che l'erogazione avviene quale concorso agli oneri sostenuti dai comuni che accolgono richiedenti protezione internazionale e senza vincoli di destinazione;
   il comune di Gorizia ha destinato i fondi statali per l'accoglienza all'erogazione di 30 borse lavoro per disoccupati goriziani;
   a Gorizia, sede di commissione territoriale, operano due strutture di accoglienza, per 250 persone che usufruiscono dell'assistenza prevista dalle convenzioni; inoltre, la Caritas diocesana accoglie per il solo pernottamento 51 persone nel dormitorio Faidutti;
   al 30 luglio 2017 nella ex provincia di Gorizia risultavano presenti 1037 richiedenti asilo, dei quali 937 in convenzione;
   a Gorizia, fino al 31 luglio, un centinaio di persone prive di convenzione, stazionavano da settimane in un parco cittadino, senza acqua corrente e servizi igienici, con il solo parziale supporto fornito dal volontariato locale;
   l'amministrazione comunale da quella data ha allontanato i profughi dal parco pubblico e comunicato ai richiedenti asilo che non possono dormire per terra o sulle panchine in nessun luogo della città, senza individuare alcuna alternativa e prevedendo pesanti sanzioni;
   la prefettura ha comunicato che non sono previsti trasferimenti di richiedenti asilo in altre sedi, nonostante le frequenti sollecitazioni al Ministero dell'interno;
   il comune di Gorizia, a quanto risulta agli interroganti, rifiuta di attivare lo Sprar, ha reagito con ordinanze antibivacco agli accampamenti di profughi lungo il fiume senza partecipare in alcun modo all'accoglienza, non ha mai risposto alle richieste di mettere a disposizione locali di sua proprietà, nemmeno in condizioni di assoluta emergenza, mette sistematicamente in atto iniziative che ostacolano ulteriormente la già misera vita dei richiedenti asilo, alimentando una forte tensione e contrapposizione sociale, al punto che dalla prefettura è giunta la raccomandazione, riportata dalla stampa il 30 luglio, di evitare azioni di forza;
   nell'inverno 2015, Medici senza Frontiere ha ritenuto così grave la situazione goriziana, dal punto di vista umanitario, da aprire un campo di accoglienza con una capacità di 100 posti in un sito messo a disposizione dalla Curia;
   la stampa nazionale si è ripetutamente occupata delle condizioni in cui vivono i richiedenti asilo a Gorizia e dello sforzo del volontariato e della Caritas diocesana per sopperire alle carenze istituzionali;
   gli interroganti ritengono vi sia una differenza sostanziale tra gli obiettivi e le ragioni per cui sono stati erogati e distribuiti i fondi nazionali ai comuni e le scelte politiche dell'amministrazione di Gorizia;
   il contributo dello Stato di cui al decreto-legge n. 193 del 2016, è destinato a sostenere gli oneri dei comuni che accolgono richiedenti asilo e che hanno attuato interventi necessari nell'ambito dell'accoglienza e dell'integrazione;
   andrebbe chiarita la precisazione ministeriale «le somme potranno essere liberamente impegnate per progetti di miglioramento dei servizi o delle infrastrutture utili e attesi da tutta la comunità locale», se sia cioè da riferirsi agli enti che hanno gestito responsabilmente l'accoglienza o anche a quelli che l'hanno impedita in ogni modo –:
   se, per evitare di «premiare» enti locali che da anni coltivano politiche di «non accoglienza» e rifiutano qualsiasi integrazione dei richiedenti asilo, non intenda assumere iniziative per chiarire che le somme vanno erogate solo ai comuni che possano rendicontare una gestione responsabile dell'accoglienza;
   quali iniziative di competenza intenda assumere, in relazione alla posizione assunta dal comune di Gorizia, al fine di risolvere la locale crisi umanitaria e garantire una gestione efficace dei flussi migratori e l'attuazione delle politiche di asilo. (3-03201)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   D'ATTORRE, ROBERTA AGOSTINI, MORASSUT e QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 1950 viene inaugurata a Roma, su via Tiburtina, in zona San Basilio, una fabbrica di penicillina da Sir Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina, come il più grande polo di produzione in Europa, per coprire il fabbisogno nazionale e permetterne l'esportazione su vasta scala;
   nel 1971 la casa farmaceutica «Leo» cede lo stabilimento alla I.S.F. S.p.a. L'impianto rimane operativo fino alla metà degli anni Novanta, quando la I.S.F. cessa la sua attività e l'edificio viene abbandonato;
   ancora oggi la situazione è la stessa. Un immenso edificio, svuotato in gran parte delle sue attrezzature, immerso nella spazzatura e nel degrado;
   il 17 gennaio 2014, in seguito ad un sopralluogo da parte del comune e delle forze dell'ordine, l'area viene sottoposta a sequestro penale da parte del comando dei carabinieri;
   nonostante il sequestro, l'edificio viene occupato dai senza dimora. Qualche settimana fa ha avuto luogo l'ennesimo sgombero da parte delle forze dell'ordine che ha visto l'allontanamento di 70 persone, per lo più cittadini africani e di etnia rom. Nel novembre 2016 è stato teatro di uno stupro ai danni di una giovane donna;
   ovviamente c’è anche un problema ambientale: residui chimici e rifiuti speciali abbandonati nella fabbrica;
   questa enorme struttura abbandonata non trova da anni una credibile ricollocazione. Si è parlato nel tempo, di farla diventare un albergo e della possibilità di utilizzare l'area ad uso abitativo e sportivo. Ma la situazione è sempre la stessa e gli abitanti della zona chiedono con forza un intervento per riqualificare l'area –:
   quali iniziative, di concerto con il comune di Roma, si intendano adottare al fine di garantire la sicurezza pubblica nell'area di cui in premessa. (5-12042)


   PLANGGER, NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   presso il Ministero dell'interno è stato istituito il fondo di solidarietà per le vittime del racket e dell'usura, unificato nel 2011 con il fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso;
   l'accesso alle risorse del fondo è gestito dal Comitato di solidarietà vittime dell'estorsione e dell'usura, presieduto dal commissario straordinario del Governo, composto da un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico, un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, tre membri designati dal Cnel ogni due anni, tre membri delle associazioni antiracket e antiusura, anch'essi in carica per due anni e un rappresentante della Consap senza diritto di voto;
   secondo quanto riportato nell'ultima relazione del Ministero dell'interno sull'attività del commissario straordinario, con dati aggiornati ai primi 5 mesi del 2016, sono state deliberate erogazioni per un totale di 9.646.840,54 euro, di cui 6.473.829,52 per estorsione e 3.173.011,02 per usura;
   si ritiene che la trasparenza e la pubblicità di questo Comitato, anche in virtù dell'elevato ammontare delle somme erogate, non sia sufficiente e che si renda necessaria la massima pubblicità dei lavori di questo organo e dei beneficiari delle erogazioni deliberate, anche per rendere noti eventuali conflitti di interessi tra membri del Comitato e richiedenti l'accesso alle risorse del fondo;
   la legge n. 44 del 1999, articolo 19, comma 1, lettera d), stabilisce che il Comitato di solidarietà vittime dell'estorsione e dell'usura è composto, tra gli altri, anche «da tre membri delle associazioni od organizzazioni iscritte nell'elenco di cui all'articolo 13, comma 2. I membri sono nominati ogni due anni con decreto del Ministro dell'interno su designazione degli organismi nazionali associativi maggiormente rappresentativi. Il Ministro, su proposta del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura, determina con proprio decreto i criteri per l'individuazione della maggiore rappresentatività» –:
   se il Ministro interrogato possa chiarire se dal momento dell'istituzione del Comitato sia sempre stato rispettato il principio della rotazione e della maggiore rappresentatività di cui alla legge n. 44 del 1999, articolo 19, comma 1, lettera d), rendendo nota la lista dei componenti per la parte relativa ad enti antiracket ed antiusura sin dall'istituzione del Comitato medesimo e assumendo iniziative per assicurare trasparenza ed assenza di conflitti di interessi dello stesso Comitato.
(5-12043)


   TONINELLI, COZZOLINO, DIENI, CECCONI, DADONE e D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i comuni di Mirano e Santa Maria di Sala contano insieme più di 46 mila abitanti e il territorio ricompreso tra questi comuni costituisce la più grande zona industriale in provincia di Venezia dopo quella di Porto Marghera;
   il controllo di un territorio così esteso e fortemente popolato è oggi assicurata da una stazione dei carabinieri che dispone di circa 15 effettivi, ai quali attengono i compiti di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica;
   l'attuale presidio delle forze dell'ordine appare assolutamente insufficiente a garantire la sicurezza del territorio ed appare del tutto sproporzionato se confrontato con altre realtà;
   nel passato era stata avanzata l'ipotesi di elevare l'attuale stazione dei carabinieri in tenenza, ma ad oggi nulla è stato realizzato –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al fine di garantire una maggiore presenza delle forze dell'ordine nel territorio dei comuni di Mirano e Santa Maria di Sala. (5-12044)


   COSTANTINO e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel centro di accoglienza di Cona (Venezia), a gennaio 2017, è morta Sandrine Bakayoko, ragazza ivoriana di 25 anni, ospitata nella struttura, in attesa del permesso di soggiorno per asilo politico;
   nonostante l'agibilità data dalla Asl per 540 persone, nella struttura vi erano ospitati in condizioni inumane 1.300 migranti, che in seguito al drammatico episodio il Ministro dell'interno ridusse di appena 100 unità. Attualmente, il centro ospita 1.422 migranti e presenta tensioni tra le diverse etnie;
   a marzo 2017 la prefettura di Venezia ha indetto una procedura aperta per l'affidamento da giugno a dicembre 2017, per 2.509 posti, del servizio di accoglienza per richiedenti la protezione internazionale;
   scopo prioritario della procedura è la riduzione o lo svuotamento del centro di Cona e la distribuzione equa dei migranti in tutti i comuni della provincia;
   considerato il numero insufficiente di offerte, a luglio 2017 la prefettura con avviso pubblico esplorativo «ha disposto di avviare una procedura per la manifestazione di interesse alla stipula di apposite convenzioni, con operatori del privato sociale e del settore alberghiero, per l'affidamento diretto dei servizi di accoglienza (...) presso strutture temporanee da istituire nella provincia»;
   non avendo reperito almeno cinque operatori, si è ricorso all'affidamento diretto dei servizi di accoglienza, a operatori resisi disponibili, nelle more dell'avvio di altra procedura di gara. Per questo motivo, preventivamente viene chiesto il parere dei sindaci interessati, in merito all'idoneità delle strutture temporanee proposte in riferimento al contesto abitativo e sociale e il possesso dei necessari requisiti;
   a Portogruaro da luglio 2017 alcuni cittadini protestano per ostacolare l'arrivo di massimo 144 richiedenti asilo, provenienti dal centro di Cona, che saranno ospitati in palazzine di proprietà del demanio, gestite da una cooperativa locale;
   a giudizio degli interroganti le proteste hanno un obiettivo propagandistico, dato che la sindaca, leghista ed eletta col sostegno di tutta la destra, ha incontrato il prefetto che l'ha informata della questione e considerato che vi sono delle ricadute positive, economiche e occupazionali, per il territorio inclusa l'assegnazione del «bonus accoglienza» di 500 euro spettante ai comuni per ogni profugo o minore non accompagnato ospitato –:
   in che tempi il Governo intenda ripristinare il numero dei migranti ospitati nel centro di Cona entro il limite massimo di capienza stabilito dalla asl territoriale, indicando anche quali comuni della provincia di Venezia si siano resi disponibili a ospitare i richiedenti asilo, attraverso l'affidamento diretto dei servizi di accoglienza. (5-12045)


   SISTO e LABOCCETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Bruno Contrada, poliziotto in prima linea contro la mafia a Palermo, è stato arrestato il 24 dicembre 1992 e condannato in via definitiva nel 2007 a dieci anni di carcere con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa;
   il 6 luglio 2017, la Corte di cassazione ha revocato la condanna a 10 anni per Contrada accogliendo il ricorso con cui è stato impugnato il provvedimento attraverso il quale la Corte d'appello di Palermo aveva dichiarato inammissibile la sua richiesta di incidente di esecuzione;
   con sentenza del 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha accertato, all'unanimità, la violazione del principio di legalità dei delitti e delle pene sancito dall'articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ritenendo che Contrada non dovesse essere né processato né condannato poiché all'epoca dei fatti a lui contestati il reato di concorso in associazione mafiosa non era «chiaro, né prevedibile»;
   Bruno Contrada dopo aver scontato una condanna a dieci anni di reclusione per un reato frutto di una mera «fabbricazione» giurisprudenziale, ha ottenuto, dopo un'ordalia durata oltre 25 anni, l'annullamento della sentenza in quanto ha così dichiarato «ineseguibile e improduttiva di effetti penali la sentenza di condanna»;
   Contrada dopo essere stato scagionato dalla Cassazione, malato, all'età di 86 anni, di cui dieci passati in carcere ha subito nel mese di luglio, a distanza di pochi giorni, ben due irruzioni in casa da parte della polizia giudiziaria di Reggio Calabria, senza alcun decreto di perquisizione, un invito a comparire e di qualsiasi delega del magistrato ad assumere sommarie informazioni testimoniali;
   le modalità della perquisizione, avvenuta fuori dal tempo ordinariamente imposto dal codice di rito, nell'abitazione di un personaggio ben noto, ad avviso degli interroganti, sembra rispondere solo al bisogno di intimidire un uomo già provato dai dieci anni di carcere, dimostrando che la polizia giudiziaria sarebbe andata ben oltre una normale verifica o un semplice approfondimento –:
   di quali elementi disponga il Governo sui fatti citati in premessa, se i comportamenti posti in essere dalle autorità di polizia coinvolte siano compatibili con il quadro ordinamentale e, e in caso negativo, quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (5-12046)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alla data del 18 aprile 2017, secondo gli ultimi dati disponibili, nel sistema di accoglienza per richiedenti protezione internazionale erano registrate 177.505 presenze, distribuite nei diversi centri istituiti per far fronte al massiccio afflusso di immigrati che continuano a giungere nel territorio dello Stato varcandone illegalmente i confini, in particolare marittimi;
   nella regione Lombardia sono allocati il 13 per cento di tutti i richiedenti asilo, nonché dei titolari di protezione internazionale o umanitaria presenti complessivamente nelle strutture di accoglienza, ossia 23.796, di cui ben 22.269 si trovano in strutture cosiddette «temporanee»;
   secondo quanto comunicato dalla prefettura alla direzione centrale del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, al 4 luglio 2017 nelle strutture temporanee di accoglienza in provincia di Lodi risultano presenti 938 immigrati, alloggiati in 46 diverse strutture;
   sempre secondo i medesimi dati, pare che la capienza nelle strutture temporanee in provincia di Lodi sia di 938 immigrati, lo stesso numero di quelli già accolti, e che pertanto non vi sarebbe disponibilità di ulteriori posti per l'accoglienza di altri richiedenti protezione internazionale;
   dai dati forniti dal Ministero dell'interno non è dato, però, sapere ulteriori e più precise informazioni al riguardo, in particolare ove tali strutture siano ubicate, chi siano i gestori delle stesse e i proprietari degli immobili destinati a centri di accoglienza –:
   se trovi conferma il dato riportato in premessa e, in caso contrario, quale sia il numero esatto di stranieri presenti nei centri di accoglienza in provincia di Lodi, in particolare nelle strutture temporanee, in quali comuni siano ubicati tali centri;
   se intenda indicare per ogni centro di accoglienza chi sia l'ente gestore e il proprietario dell'immobile e la procedura adottata per l'affidamento del servizio di accoglienza ed i relativi importi. (4-17564)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi a Cava de’ Tirreni, in provincia di Salerno, la gioielleria Adinolfi di via Andrea Sorrentino ha subito un furto con scasso;
   secondo quanto riportato da fonti di stampa, i ladri hanno ricavato nella saracinesca dell'ingresso un quadrato da dove hanno sfondato il vetro della vetrina e hanno portato via oggetti di valore;
   ad agire, sarebbero state quattro persone, sul cui identikit stanno lavorando i carabinieri del reparto territoriale di Nocera Inferiore intervenuti sul posto, a causa dell'impossibilità di intervento di quelli del reparto cittadino;
   nella stessa notte, sono stati messi a segno altri due colpi: un furto in appartamento a via Marconi e un tentativo di svaligiare un'abitazione nella frazione di Dupino, dove vive una coppia di anziani;
   solo qualche giorno prima, c'era stato l'arresto in via Veneto di un ladro del napoletano che, insieme ad altri due malviventi, era entrato in un appartamento di un noto medico cavese;
   si tratta, a parere dell'interrogante, di episodi molto gravi e preoccupanti che stanno minando la tranquillità della comunità metelliana –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare per fronteggiare l'emergenza sicurezza nella città di Cava de’ Tirreni, potenziando gli organici delle forze dell'ordine, spesso impossibilitate a coprire un territorio così vasto;
   se sia stato riunito il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. (4-17570)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi un giovane ivoriano, richiedente asilo, è stato arrestato per aver palpeggiato una donna sulla spiaggia di Santa Teresa, in pieno giorno, a Salerno;
   l'uomo era seduto in acqua quasi a riva quando ha allungato una mano sul posteriore di una giovane salernitana che si era chinata per giocare con il figlio;
   la ragazza ha reagito dando uno schiaffo sulla mano dello straniero, allontanandosi dal bagnasciuga in modo da evitare ulteriori conseguenze e chiedendo aiuto ai bagnanti;
   l'uomo è stato arrestato per violenza sessuale e in un primo momento sottoposto agli arresti domiciliari presso un centro d'accoglienza della provincia di Avellino dove era ospite;
   il giudice del tribunale di Salerno non ha successivamente convalidato l'arresto per mancanza di flagranza di reato, disponendo solo l'obbligo di firma;
   si tratta, a parere dell'interrogante, di un episodio molto grave, purtroppo l'ultimo di una lunga serie –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, e considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti, se del caso normative, intenda assumere per fronteggiare questi fenomeni e garantire sicurezza ai territori, anche prevedendo espulsioni immediate per chi commette simili violenze. (4-17571)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi gli immigrati ospiti nel centro di accoglienza di Sicignano degli Alburni, in provincia di Salerno, sono tornati di nuovo a protestare;
   a distanza di un anno, circa una trentina quasi tutti del Gambia, hanno bloccato la strada statale 19 con materassi e masserizie prelevati dalla struttura, che poco prima avevano messo a soqquadro, e tronchi d'albero;
   il motivo della protesta è rappresentato dal cibo che viene loro distribuito, non di gradimento, oltre che dall'isolamento del centro che si trova in via Galdo, nella periferia della cittadina;
   già lo scorso anno la posizione della struttura era stata motivo di protesta; in quell'occasione 67 migranti, provenienti principalmente da Niger, Senegal e Pakistan, avevano chiuso i cancelli dell'edificio e affisso un cartello con la scritta «Campo is not good»;
   nel centro di accoglienza di Sicignano degli Alburni il clima si surriscalda spesso;
   si tratta, a parere dell'interrogante, di una situazione molto delicata e allarmante, su cui bisogna intervenire per evitare altri episodi gravi come questi e soprattutto per restituire tranquillità ai cittadini esasperati da quanto accade ormai sempre più di frequente –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda adottare per garantire sicurezza alla comunità di Sicignano degli Alburni;
   se i migranti protagonisti della protesta siano stati segnalati alle autorità competenti per blocco stradale. (4-17572)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 16 luglio 2017 un'anziana donna è stata rapinata in casa nella periferia di Eboli, in provincia di Salerno;
   secondo quanto si apprende da fonti giornalistiche, due malviventi, di nazionalità africana, avrebbero fatto irruzione nell'abitazione; prima hanno spaventato la donna, poi l'hanno minacciata, fino ad aggredirla fisicamente con colpi in testa violenti;
   l'anziana, alla quale è stato portato via un bottino di circa 15 mila euro in gioielli e oggetti preziosi, ha chiamato i carabinieri e successivamente anche il 118, che non ha riscontrato alcun problema fisico;
   una settimana dopo, però, la donna ha iniziato ad avvertire fastidi alla testa ed è stata ricoverata in ospedale; il personale medico le ha riscontrato una grave emorragia celebrale e ora lotta tra la vita e la morte;
   sono numerosi gli episodi di furti negli appartamenti e ad attività commerciali; sono tanti gli scippi e le situazioni di degrado ambientale e socio-sanitario su cui, a parere dell'interrogante, occorrerebbe intervenire –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere per fronteggiare tali fenomeni di criminalità, anche attraverso il potenziamento dei presidi delle forze dell'ordine nell'intera Piana del Sele. (4-17573)


   NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il PON (programma operativo nazionale) Legalità per la programmazione 2014-2020 è stato adottato nell'ottobre 2015, e la dotazione finanziaria complessiva ammonta a 377.666.667 euro, di cui il 75 per cento, pari a 283.250.000 euro, provenienti dall'Unione europea e il restante 25 per cento, pari a 94.416.667 euro, a titolo di cofinanziamento nazionale, è gestito dal Ministero dell'Interno ed indirizzato a 5 regioni meridionali: Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia, Campania;
   i fondi sono suddivisi in 5 ambiti di intervento, definiti «assi»: asse I: tecnologie ed intelligence per le forze di polizia e le prefetture, 91.000.000 euro; asse II: tecnologie per il controllo di aree ad alta vocazione produttiva, 98.000.000 euro; asse III: ristrutturazione beni confiscati, 56.000.000 euro; asse IV: gestione beni confiscati, contrasto al racket, contrasto alla devianza, 47.000.000 euro; asse V: formazione per le forze di polizia e le prefetture, 70.000.000 euro; oltre ad assistenza tecnica e comunicazione per 15.000.000 euro;
   la pagina web sul sito del Ministero dell'interno relativa ai fondi del PON Sicurezza, risulta essere vuota, mentre i due siti esterni che si possono ritrovare sempre sul sito del Ministero dell'interno, (http://sicurezzasud.interno.gov.it/ e http://www.sicurezzasud.it/), non sono funzionanti –:
   per quali ragioni i siti web relativi ai fondi PON Sicurezza non sono funzionanti;
   chi abbia realizzato i siti web di cui sopra, con quali modalità è stato affidato tale servizio, per quale importo e con quali tempistiche;
   dove siano pubblicizzate le iniziative e la documentazione relativa alla nuova programmazione 2014-2020. (4-17580)


   CICCHITTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 7 luglio 2017 la Corte di cassazione ha revocato la condanna a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa a Bruno Contrada ex capo della squadra mobile di Palermo o poi alto dirigente dei servizi segreti, stabilendo che la condanna comminata a Contrada è «ineseguibile e improduttiva di effetti penali»;
   Bruno Contrada aveva terminato di scontare la sua pena nel 2012;
   la Corte di cassazione si è espressa su un processo già chiuso in seguito ad una sentenza della Corte europea che ha condannato per ben due volte l'Italia proprio sulla vicenda giudiziaria che vedeva coinvolto Bruno Contrada;
   Contrada, accusato ingiustamente, fu arrestato nel 1992 e rinchiuso nel carcere militare di massima sicurezza di Santa Maria Capua Vetere;
   subito dopo la revoca della sentenza da parte della Corte di cassazione, la polizia giudiziaria che indaga sugli attentati ad alcuni carabinieri avvenuti nel 1994 in Calabria, si è presentata, alle 4 del mattino del 26 luglio nell'abitazione di Bruno Contrada per effettuare una perquisizione;
   il 29 luglio la polizia giudiziaria si è ripresentata nell'abitazione dell'ex funzionario dei servizi per effettuare nuovamente una perquisizione. In questo caso l'avvocato di Bruno Contrada ha chiesto ed ottenuto, solo dopo aver chiamato i carabinieri, che la polizia giudiziaria si allontanasse dalla casa dello stesso. La polizia di Reggio Calabria aveva provato, infatti, a sentire come testimone Contrada senza che a questi fosse stato notificato l'invito a comparire e senza delega scritta da parte dell'autorità giudiziaria;
   destano stupefazione le ragioni che hanno portato alle due perquisizioni dell'abitazione di Bruno Contrada per la tempistica, per le modalità (con innegabili violazioni di principi di diritto) e per le motivazioni con le quali sono avvenute: in un assurdo quadro nel quale sembrano prevalere, ad avviso dell'interrogante, irragionevoli e preoccupanti sintomi di una vera e propria persecuzione;
   Bruno Contrada, la cui vita è stata distrutta, ha ottantasei anni, non gode di buona salute, vive con la moglie gravemente malata –:
   se il Governo abbia già assunto o intenda assumere tutte le informazioni necessarie a chiarire le ragioni che hanno portato la polizia giudiziaria di Reggio Calabria ad effettuare due perquisizioni, alle quattro del mattino del 26 ed alle otto del 29 luglio 2017, per una non ben precisata «verifica», misure motivate in modo assai confuso dal questore di Reggio Calabria Raffaele Grassi e sulla utilità e regolarità delle quali (particolarmente per la seconda) è, secondo l'interrogante, lecito esprimere forti perplessità;
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati su quanto avvenuto nelle circostanze indicate, circostanze che, ad avviso dell'interrogante, sembrerebbero configurare, anche solo per la successione temporale degli eventi, una sorta di atteggiamento vendicativo e di rivalsa a seguito della sentenza liberatoria intervenuta dopo quella che appare una persecuzione giudiziaria a cui Bruno Contrada è stato sottoposto per molti anni. (4-17583)


   ZOLEZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 maggio 2017 la settima sottocommissione elettorale di Mantova ha accettato la candidatura alle elezioni comunali di Sermide e Felonica (Mantova), della lista «Fasci italiani del lavoro», avente come contrassegno: «cerchio a sfondo bianco con all'interno una ruota dentata di colore rame sovrapposta da un fascio repubblicano rosso, nella parte inferiore e centrale della circonferenza interna ove vi è posto il tricolore italiano e la scritta, che va da sinistra a destra “FASCI ITALIANI DEL LAVORO”»;
   in questo comune di poco più di 7 mila abitanti, è stata ammessa quindi una lista dichiaratamente neofascista nei contenuti e nei simboli;
   la lista in data 11 giugno 2017 è riuscita a raccogliere ben 334 voti, pari al 10,41 per cento, vedendo l'elezione di un consigliere comunale;
   il prefetto di Mantova, Carla Cincarilli, con provvedimento d'urgenza, dopo essersi consultata con il Ministero dell'interno, ha revocato le designazioni dei funzionari componenti la settima sottocommissione elettorale circondariale responsabile per il comune di Sermide e Felonica;
   erano state presentate altre interrogazioni parlamentari sulla vicenda, nonché interventi di alti vertici istituzionali;
   in data 11 luglio 2017 è stato presentato da due cittadini elettori nel comune di Sermide e Felonica ricorso al TAR di Brescia contro il comune di Sermide e Felonica, in persona del sindaco pro tempore, e contro i tre capigruppo eletti per l'annullamento ovvero la dichiarazione di nullità e/o inefficacia dell'atto di proclamazione degli eletti alla carica di consigliere comunale del comune di Sermide e Felonica di cui al verbale del 12 giugno 2017, dell'adunanza dei presidenti delle sezioni degli uffici elettorali del comune di Sermide e Felonica, se del caso, anche in relazione alla sola eletta della lista «Fasci italiani del lavoro», dell'atto di ammissione alla competizione elettorale della lista «Fasci Italiani del Lavoro» di cui al verbale n. 30/2017 della sottocommissione elettorale circondariale di Mantova del 13 maggio 2017;
   in data 25 luglio 2017 è stata data notizia di un'indagine della Procura di Mantova per violazione della «legge Scelba» e della dodicesima disposizione finale della Costituzione che vieta la ricostituzione del partito fascista con l'iscrizione nel registro degli indagati di 9 persone fra cui alcuni esponenti della lista citata;
   se il Ministro interrogato intenda valutare se sia possibile intervenire «ad adiuvandum» nel ricorso citato e se abbia intrapreso ulteriori iniziative per limitare fenomeni analoghi. (4-17584)


   VARGIU. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Cagliari ha da tempo disposto la chiusura temporanea per lavori della più importante arteria di deflusso del traffico automobilistico (la via Mazzini) del quartiere storico di Castello;
   tale quartiere cagliaritano, è arroccato sul colle più alto della città, è cinto da antiche mura pisane, è sostanzialmente privo di accessibilità alternativa a quella pedonale e automobilistica e ha una viabilità interna problematica a causa della angusta rete viaria;
   la chiusura viaria temporanea della unica via di deflusso del traffico veicolare ha creato infiniti disagi alla residua popolazione residente del quartiere che ha ripetutamente chiesto il ripristino della precedente viabilità, al completamento dei lavori in corso;
   per tutta risposta, nei giorni scorsi, l'assessore competente del comune di Cagliari ha ribadito in consiglio l'intenzione di rendere definitiva tale chiusura, motivandola con ragioni di sicurezza, sulla base di circolari ministeriali, per «impedire fatti di sangue e di terrorismo come quelli del lungomare di Nizza;
   il giorno successivo alle comunicazioni in aula, i media locali hanno dedicato titoli a tutta pagina alla rivelazione: «Rischio attentati in via Mazzini. C’è il pericolo di un bus sulla folla come a Nizza !»;
   tale clamorosa comunicazione ha creato grande allarme in città e ha indotto inquietudine nella popolazione residente e tra i turisti, anche in relazione al fatto che i luoghi di incontro e di concentrazione antropica dell'estate cagliaritana sono davvero molti ed è quanto meno bizzarro ipotizzare misure di sicurezza, che comportino chiusure al traffico generalizzate;
   l'azione dell'amministrazione comunale, se anche fosse stata dettata da quello che appare all'interrogante un maldestro tentativo di giustificare la propria traballante politica di pedonalizzazione della città, ha però procurato un grave allarme sociale, potenzialmente in grado di danneggiare l'immagine della città e la percezione della sua sicurezza da parte dei residenti e dei turisti –:
   se non ritenga di dover assumere immediatamente iniziative al fine di smentire ufficialmente l'esistenza di uno specifico rischio per la sicurezza concernente la città di Cagliari, così restituendo all'ambito delle scelte politiche dell'amministrazione le attività di pedonalizzazione che suscitano il dissenso della popolazione.
(4-17591)


   ZAPPULLA, CAPODICASA, SPERANZA e FAVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 17 febbraio 2017 è stato appiccato un incendio natura dolosa a 4 autoarticolati parcheggiati all'interno dell'area del Consorzio CAAIR (Consorzio autotrasportatori artigiani iblei riuniti), contiguo al mercato ortofrutticolo di Vittoria, il più grande per volume d'affari del Mezzogiorno;
   all'interno della cabina di uno degli autoarticolati vi era l'autista che ha riportato gravissime ustioni;
   l'offensiva mafiosa, presente da decenni nel territorio, si è concentrata attorno al mercato ortofrutticolo che ha dovuto respingere ripetutamente i diversi assalti che venivano scatenati da gruppi criminali che hanno visto nelle campagne e nel mercato di Vittoria, nel sistema dei mercati siciliani e meridionali, sino al mercato di Fondi e oltre, i luoghi del denaro e della ricchezza, dove potersi arricchire facilmente e fondare proficui sodalizi mafiosi;
   la presenza di diverse organizzazioni criminali nel territorio, veicolata da un consolidato sistema dei trasporti, la cui origine risale a differenti regioni italiane, ha scatenato il proliferare in tutti i passaggi della filiera di pratiche illegali diffuse, dall'usura all'aggiotaggio, alla contraffazione di merci, all'imposizione di provvigioni illegali, di ticket e altre forme di pizzo e ha dato origine, per stare ai fatti più recenti, a diversi e inquietanti episodi di stampo mafioso: incendi di 10 box, arresto di casalesi operanti al mercato, omicidio di Brandimarte, arresti di fornitori di imballaggi in regime di monopolio, incendi di mezzi di autotrasporto;
   il mercato di Vittoria, inoltre, appare terreno fertile sia per pratiche illegali esercitate da «operatori commerciali» che operano impunemente nella doppia attività di commissionario-commerciante, acquistando per sé stessi i prodotti ricevuti in conto commissione, imponendo il prezzo, in clamoroso conflitto di interessi, sia per attività fraudolente e la contraffazione di prodotti ortofrutticoli esercitate da titolari di box denunciati;
   in rapporto alla gravità dei fenomeni mafiosi che, interconnessi, si sviluppano dentro e fuori il mercato e in relazione alla natura pubblica della struttura mercatale, il «Tavolo Verde Sicilia: agricoltura, pesca, identità territoriali» ha formalmente chiesto al prefetto di Ragusa, in data 7 marzo 2017, l'accesso, ai sensi della normativa antimafia, al mercato di Vittoria, richiesta condivisa anche da Cgil, Cna, Libera, Centro Pio La Torre e Coldiretti;
   il 4o Rapporto sulle agromafie, l'operazione « Truck Express» della direzione distrettuale antimafia di Catania e le dichiarazioni rese dal procuratore di Catania Zuccaro alla Commissione antimafia confermano come il mercato di Vittoria sia diventato ormai snodo strategico del controllo mafioso dell'intera filiera ortofrutticola;
   né gli organi di gestione del mercato, né lo Stato, nel corso degli anni, sono stati capaci di garantire, all'interno e all'esterno della struttura mercatale, gli spazi necessari di legalità, trasparenza delle attività economiche e libera concorrenza –:
   se il Ministro interrogato non intenda valutare urgentemente, superando eventuali incertezze o sottovalutazioni, se sussistano i presupposti per promuovere l'accesso, ai sensi dell'articolo 143 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, in relazione alla situazione del mercato di Vittoria, struttura mercatale diventata pubblica da anni all'interno dell'intera filiera ortofrutticola, snodo strategico delle attività delle mafie, nell'ottica di consentire allo Stato di ripristinare funzionalità, trasparenza e legalità nelle procedure di commercializzazione e di formazione dei prezzi, nelle pratiche di vendita e nei comportamenti sociali di tutti i soggetti della filiera, a salvaguardia dei produttori e di tutte le forze sane che operano al mercato e nei servizi connessi alla produzione agricola, dall'autotrasporto agli imballaggi;
   se siano state assunte o si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per il ristoro dei gravissimi danni subiti dal Consorzio Caair a seguito dell'attentato di cui in premessa. (4-17592)


   REALACCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   due «articoli-inchiesta» di Antonio Maria Mira e Floriana Bulfon, pubblicati il 2 agosto 2017 rispettivamente su L'Avvenire e su l'Espresso, descrivono un'ulteriore declinazione della piaga del caporalato nel nostro Paese, in particolare nella provincia di Latina;
   secondo quanto riportato molti migranti ospitati al «CAS» – Centro di accoglienza straordinaria di Latina – gestito dalla cooperativa Eriches 29 vengono attualmente reclutati dai caporali per lavorare irregolarmente nei campi per raccogliere cocomeri e meloni a pochi euro l'ora;
   malgrado la Eriches 29, come si legge sul sito ufficiale della sopraddetta cooperativa onlus, nel novembre 2016 abbia ottenuto tre stelle di «Rating di legalità» dall'Autorità della concorrenza e del mercato i suoi ospiti finiscono nelle mani degli sfruttatori;
   quanto descritto, come racconta anche Marco Omizzolo, responsabile scientifico della cooperativa InMigrazione, parrebbe essere una prima risposta alla crescente sindacalizzazione della comunità indiana dei Sikh, presente da anni nel Pontino, ed è solo la punta dell’iceberg di una grave situazione di sfruttamento dell'immigrazione da parte di imprese senza scrupoli che per l'assunzione di manodopera scelgono la strada del lavoro nero e delle sottopaghe, sfruttando la disperazione di migliaia di persone che arrivano nel nostro Paese con il miraggio di una vita migliore;
   il 18 ottobre 2016 la Camera dei deputati ha approvato definitivamente il disegno di legge contro il caporalato che, tra le altre cose, contiene specifiche misure per i lavoratori stagionali in agricoltura ed estende responsabilità e sanzioni per i «caporali» e gli imprenditori che fanno ricorso alla loro intermediazione (legge n. 199 del 2016) –:
   quali strumenti i Ministri interrogati intendano mettere in atto per intensificare i controlli in questo settore e limitare questa allarmante situazione in cui si ravvisano gravissimi illeciti a danno dei diritti dei lavoratori e del diritto d'asilo, nei casi previsti, oltre che contro la dignità umana e contro articoli fondamentali della Costituzione italiana. (4-17594)


   CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 giugno 2016 l'allora Ministro dell'interno denunciò l'arresto e l'estradizione dal Sudan di Mered Yehdego Medhane – cittadino eritreo che risultava vivere a Tripoli – definito, dal comunicato stampa diffuso dal Viminale, «boss 35enne eritreo della tratta di migranti (...) Mered è ritenuto uno dei più attivi trafficanti di esseri umani operanti sulla rotta libica-subsahariana, destinatario di un provvedimento cautelare emesso nell'aprile del 2015 dall'Autorità giudiziaria palermitana. Ha diretto non solo le attività nel continente africano, ma ha anche mantenuto costantemente aggiornati i fiancheggiatori operanti in Italia sugli arrivi dei natanti, al fine di far proseguire i migranti nel viaggio per le destinazioni finali». Secondo la medesima fonte, Mered, soprannominato «Generale», «ricopriva un ruolo apicale nel traffico di esseri umani in seno al network criminale ramificato su più continenti»;
   nelle ore immediatamente successive all'arresto diversi autorevoli media britannici denunciavano un possibile scambio di persona, dato che persone qualificatesi come conoscenti e parenti dell'uomo arrestato — le cui fotografie erano state diffuse dalle autorità italiane – dichiaravano che questo rispondesse al nome di «Medhanie Tesfamariam Berhe», un eritreo di 29 anni che non era mai stato in Libia, e non di «Mered Yehdego Medhane»; le stesse ipotesi sono state avanzate dalla giornalista eritrea che vive in Svezia Meron Estefanos, basandosi su testimonianze rilasciate da persone vittime del trafficante;
   ulteriori elementi raccolti dalla stampa britannica, e divulgati da IlPost.it, rafforzano gli argomenti che fanno ritenere fondata l'ipotesi di uno scambio di persona. Tra questi rientrano i seguenti: a) «i documenti di Berhe forniti dalla sua famiglia» [...]; b) «ci sono delle fotografie che sembrano mostrare Medhane Yehdego Mered alla celebrazione del matrimonio di suo nipote nell'ottobre 2015. [...] L'uomo nelle fotografie appare effettivamente diverso dall'uomo estradato in Italia [...]; c) «i procuratori italiani, nel giorno del rinvio a giudizio, non hanno presentato alcun testimone contro l'uomo attualmente a processo»; d) «la perizia fonica condotta da esperti scelti dall'accusa non ha prodotto risultati rilevanti, non è stato cioè possibile dire se la voce di Berhe corrispondesse a quella di un uomo che diceva di essere Mered ascoltata nelle intercettazioni telefoniche del 2014» [...]; e) «le immagini cruente presenti sul telefono di Berhe, che i pubblici ministeri avevano sostenuto essere fotografie dei suoi clienti morti, erano in realtà state scaricate da un sito asiatico»;
   una recente inchiesta del New Yorker, diffusa da IlPost.it, riporta uno stralcio del primo interrogatorio cui è stato sottoposta la persona arrestata, condotto dai magistrati italiani, che reciterebbe: – «Perché mi dite che sono Medhanie Yehdego ?», rispose lui. – «Capisce le accuse che le sono rivolte ?», ripeté Lo Voi. – «Sì», disse, «ma perché mi dite che sono Medhanie Yehdego ?» «Va bene, a parte il nome...»;
   in un successivo interrogatorio fu chiesto all'indagato di fornire le proprie generalità e lui scrisse su un foglio, nella lingua tigrina eritrea: «Mi chiamo Medhanie Tesfamariam Berhe, sono nato ad Asmara il 12 maggio 1987»;
   lo stesso Governo eritreo ha confermato nel dicembre 2016 l'identità di Berhe in una lettera al suo avvocato;
   la persona oggetto della ricostruzione risulta privata della propria libertà personale da oltre un anno –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa;
   quali iniziative siano state intraprese per verificare l'identità della persona oggetto della ricostruzione effettuata in premessa e, nel caso, quali ne siano stati i risultati;
   se non si ritenga urgente e non procrastinabile disporre ulteriori verifiche per l'accertamento dell'identità della persona in questione;
   se si intendano promuovere verifiche, per quanto di competenza, in ordine a eventuali profili di responsabilità degli attori coinvolti nella vicenda. (4-17600)


   RAMPI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2017 è stato previsto lo svolgimento presso il Senato della Repubblica, e specificamente presso la sala Caduti di Nassiriya a Palazzo Madama, una conferenza stampa da tenersi il 26 luglio alle ore 12 sul tema «SOS Stato di Diritto: emergenza Uighuri» a cui era prevista la partecipazione di Dolkun Isa, vice-presidente dell'UNPO, Organizzazione delle nazioni e dei popoli non rappresentati, e segretario generale del Congresso mondiale Uighuro;
   il 25 luglio alle 13,55 Dolkun Isa — cittadino della Repubblica di Germania – atterra a Fiumicino proveniente da Monaco di Baviera con il volo Lufthansa 1844, si reca direttamente nell'albergo prenotato in zona Pantheon a suo nome dove effettua il check-in. Trascorre il pomeriggio e la sera a Roma;
   il 26 luglio alle ore 10,00 Dolkun Isa lascia l'albergo e si reca nella sede del Partito radicale a via di Torre Argentina 76;
   alle ore 11,30 Dolkun Isa, l'Onorevole Maurizio Turco, Laura Harth e Matteo Angioli del Partito radicale e Lucia Parrucci dell'UNPO lasciano la sede del Partito radicale per raggiungere a piedi piazza Capranica; a metà di vico della spada di Orlando, tra via dei Pastini a piazza Capranica, il gruppo è seguito da cinque agenti di polizia, mentre alla fine del vicolo c’è in attesa un gruppo di cinque agenti e nella piazza sono in attesi una decina di agenti. Con la massima gentilezza si presenta e si qualifica il dottor Messina della digos di Roma che chiede a Dolkun Isa – di cui possiede una foto – se è lui la persona che sta cercando e di fornire un documento d'identità e Dolkun Isa esibisce la sua carta di identità tedesca. Il dottore Messina chiede quindi a Dolkun Isa di seguirlo presso i propri uffici per un controllo di identità con una vettura di servizio si recano in via San Vitale essendoci a suo carico una segnalazione dell'Interpol. Dolkun Isa conferma che è stato messo a suo agio e la polizia è stata gentilissima e che durante le tre ore gli sono state prese le impronte digitali e scattata una foto –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale fatto e quale sia il suo orientamento al riguardo considerato che di fatto si è ottenuto l'esito di impedire la libera espressione delle proprie opinioni da parte del leader di una minoranza presso una sede istituzionale dello Stato italiano;
   se pendeva una segnalazione dell'Interpol e si riteneva che Dolkun Isa potesse essere effettivamente un terrorista, per quali ragioni non sia stato fermato all'imbarco a Monaco o allo sbarco a Roma, all'entrata o all'uscita dell'albergo e perché lo si sia lasciato libero per 24 ore e lo si sia fermato solo in Piazza Capranica; 
   quali iniziative si intendano intraprendere per accertare le ragioni di quanto avvenuto e delle descritte tempistiche, nonché per evitare che fatti analoghi si ripetano. (4-17604)


   GINEFRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i consiglieri comunali del gruppo del PD del comune di Modugno (Bari), venuti a conoscenza di presunti abusi edilizi a carico di alcune proprietà del sindaco di Modugno (Bari) dottor Nicola Magrone e della sua famiglia penetrati anche in zone di particolare pregio ambientale e paesaggistico, con nota del 12 luglio 2017, presa in carico in pari data al n. 36689 di protocollo, indirizzata agli organi politici e amministrativi del comune di Modugno, presentavano una interrogazione per avere notizie in ordine ai suddetti presunti abusi edilizi da discutere nel corso di una seduta di consiglio comunale;
   con nota protocollo 38653 del 20 luglio 2017 a firma congiunta del segretario generale dottoressa Monica Calzetta e del presidente del consiglio comunale dottoressa Valentina Longo, veniva comunicato ai citati consiglieri del PD che, testualmente: «l'istanza da Voi formulata non può ritenersi riconducibile alla ipotesi disciplinata dall'articolo 26 del regolamento e, pertanto, essere inserita all'ordine del giorno delle sedute di Consiglio comunale»;
   in data 27 luglio 2017, il giornale online « Il Quotidiano italiano» pubblicava un articolo a firma del suo direttore Antonio Loconte, dal titolo «Modugno, presunti abusi edilizi dei Magrone: respinta interrogazione PD. Sindaco in difficoltà»;
   sul sito del giornale, oltre alla pubblicazione delle immagini relative ai presunti abusi, veniva pubblicata una nota del servizio 4 – assetto del territorio del comune di Modugno, avente protocollo n. 10108 del 23 febbraio 2017, in cui il funzionario incaricato ha riferito circa gli esiti degli accertamenti svolti sugli atti interni a quell'ufficio in ordine alle presunte violazioni segnalate, da cui si evincono numerose difformità tra lo stato dei luoghi e i dati storici, nonché le planimetrie catastali in possesso dello stesso servizio;
   in considerazione di quanto riportato in premessa, a quanto consta all'interrogante i consiglieri comunali del PD si sarebbero rivolti al prefetto di Bari per verificare l'esistenza di titoli edilizi che legittimassero l'esistenza degli immobili segnalati, con particolare riferimento alla costruzione esistente in località Balsignano nonché per accertare la sussistenza di possibili omissioni in ordine alla mancata comunicazione alle autorità competenti di circostanze costituenti violazione alle norme in materia edilizia e ambientale ovvero della mancata emissione della conseguente ingiunzione di demolizione –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato circa i fatti di cui in premessa e, ove risultino confermati, se non ritenga di valutare se sussistano i presupposti per avviare iniziative ai sensi dell'articolo 142 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali;
   quali risposte siano state date o si intendano dare in relazione alle anomalie segnalate al prefetto e dai consiglieri comunali di cui sopra. (4-17605)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il coordinamento regionale dei docenti di strumento musicale e di musica della Sardegna ha sottoposto all'interpellante la questione dell'istituzione di corsi ad indirizzo musicale in Sardegna;
   le richieste di istituzione di nuovi indirizzi musicali nelle scuole secondarie di 1o grado della Sardegna coinvolgono, ogni anno, migliaia di alunni e le loro famiglie;
   per lo scorso anno scolastico, in controtendenza rispetto a quanto accaduto in altre regioni, non è stato attivato alcun indirizzo musicale nelle scuole secondarie di 1o grado della Sardegna;
   si è ripetutamente annunciata una efficace azione indirizzata al potenziamento della lotta alla dispersione scolastica attraverso l'apertura pomeridiana delle scuole con proposte educative e didattiche innovative e di grande rilevanza culturale, artistica e sociale;
   in una realtà culturale come quella della Sardegna, costituita da diverse centinaia di piccoli centri, raggiungibili per mezzo di una rete viaria spesso obsoleta e ad alto rischio, le scuole secondarie di primo grado ad indirizzo musicale hanno ormai assunto il ruolo di «motori culturali» e la funzione socio-aggregativa del territorio, favorendo una concreta azione di antidispersione scolastica e garantendo un significativo ampliamento dell'offerta formativa nei confronti della comunità scolastica;
   la continuità scolastica con i conservatori di musica e i licei musicali della Sardegna, unitamente a progetti di formazione musicale attuati sulla base del decreto ministeriale n. 8 del 2011 o in autonomia da alcune scuole primarie, ha prodotto un interessantissimo fenomeno di «curricolo verticale» fondato proprio sugli indirizzi-musicali da diffondere in modo capillare;
   lo strumento musicale, in sinergia con l'educazione musicale diffusa sta contribuendo in modo assai significativo alla prevenzione dei fenomeni dell'abbandono scolastico, della devianza giovanile, della microcriminalità e del consumo di alcool e sostanze stupefacenti, con importantissime ricadute sul tessuto sociale;
   sono all'ordine del giorno i casi di studenti «recuperati» grazie alla pratica musicale (vocale, corale, strumentale, e altro), ormai equipollente a quella sportiva, e i gruppi corali, strumentali e gli ensembles esistenti in numerose comunità costituiscono un formidabile mezzo di aggregazione sociale;
   in passato, in termini occupazionali, l'istituzione di nuovi indirizzi musicali ha creato un circolo virtuoso studio-lavoro, tra il biennio formazione docenti dei conservatori di musica di Sassari e Cagliari e la crescita delle cattedre di strumento nella scuola media;
   le «agenzie educative» dell'isola, come scuole civiche di musica, bande musicali, cori polifonici, cori parrocchiali e cori sardi attingono oggi dal «serbatoio» dei nuovi abilitati, rendendo pertanto l'indirizzo musicale fulcro di questa «filiera della cultura musicale»;
   in merito alle scuole ad indirizzo musicale e alle relative possibilità di impiego dei docenti specializzati nella classe di concorso A077 (ora A056 per le scuole medie e A055 per i licei musicali) vi è una totale incongruenza, ad avviso dell'interpellante, fra l'attuale situazione della regione Sardegna e quanto programmato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con lo specifico decreto ministeriale n. 192 del 29 novembre 2012;
   l'istituzione di un corso strumentale non richiede, da parte dell'ente locale, l'organizzazione dei servizi di mensa scolastica o di trasporto alunni, come è invece previsto per il tempo pieno e/o il tempo prolungato, per cui anche in realtà economicamente svantaggiate risulta possibile proporre un'offerta formativa di alta qualità senza oneri, oggi insostenibili, per le amministrazioni comunali;
   la scuola sarda cede 173 posti di lavoro a favore di altre regioni, mentre il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ad avviso dell'interpellante, non si attiva per la piena realizzazione del diritto allo studio degli alunni della Sardegna;
   l'ufficio scolastico regionale della Sardegna dovrebbe tenere in debita considerazione le istanze di alunni, famiglie, docenti e dirigenti scolastici e attivarsi per rispondere alle esigenze della popolazione scolastica;
   da Cagliari a Sassari, da Nuoro ad Oristano trionferebbe il «colonialismo scolastico» che sta mettendo in pericolo il diritto costituzionale all'istruzione per le nuove generazioni di cittadini della regione autonoma della Sardegna –:
   se non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza per l'urgente istituzione (ai sensi del decreto ministeriale n. 201 del 1999) e delle normative vigenti in materia, incluso il decreto legislativo n. 60 del 13 aprile 2017) dei corsi ad indirizzo musicale richiesti dalle diverse scuole della Sardegna a partire dall'anno scolastico 2017/2018;
   se non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza per evitare la soppressione per ridotta popolazione scolastica (si veda il caso della scuola media ad indirizzo musicale Samassi) di scuole ad indirizzo musicale esistenti in Sardegna, anche nel rispetto del principio di salvaguardia dello stato di insularità;
   se non ritenga di dover promuovere, attuando quanto previsto dal decreto ministeriale (anche per garantire continuità educativa in ambito musicale e il curricolo verticale nell'ambito della pratica strumentale), percorsi formativi nelle scuole primarie presenti nei territori in cui sono operanti le scuole medie ad indirizzo musicale (smim) mettendo a disposizione i docenti abilitati e con competenze specifiche sia tramite utilizzazioni che attingendo dalle graduatorie ad esaurimento e di istituto della Sardegna.
(2-01909) «Pili».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VII Commissione:


   BORGHESI e GUIDESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 19 febbraio 2013, n. 115, ha sostituito la previgente normativa ministeriale istituente mondo agevolazioni ricerca (FAR), prevedendo una apposita disciplina della fase transitoria di applicazione delle nuove disposizioni del FIRST (inclusiva del FAR). Inoltre, prevedeva che, per il completamento degli adempimenti connessi alla realizzazione dei progetti presentati in vigenza di recedenti disposizioni restassero vigenti i criteri e le modalità procedurali stabilite dal decreto ministeriale n. 593 del 2000;
   il Parco tecnologico padano s.r.l., polo di eccellenza della Lombardia nel settore della ricerca, alla data del 15 ottobre 2016 risultava insolvente sul piano di ammortamento relativo ad un progetto presentato ai sensi dell'articolo 10 del decreto ministeriale n. 953 del 200;
   tale circostanza costituisce motivo di decadenza dalle agevolazioni. Se il predetto Parco tecnologico padano non avesse fatto recapitare – adempimento al quale ha dato puntuale esecuzione – alla direzione generale per il coordinamento, la promozione e la valorizzazione della ricerca – ufficio II, le sue controdeduzioni, questa avrebbe provveduto alla revoca delle agevolazioni concesse;
   il Parco tecnologico padano, in una nota inviata a Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 15 dicembre 2016, fa notare come questi sia stato sempre rispettoso dei termini di rimborso avvalendosi, con riferimento alle sole ultime due rate della compensazione del proprio debito residuo, con il maggior credito maturato nei confronti del Ministero – richiesta inoltrata fin dal febbraio 2015 – per ulteriori progetti ammessi alle agevolazioni a valere sul FAR;
   il 26 gennaio 2017 il Parco tecnologico padano, su richiesta, ha inoltrato una scheda riepilogativa dei progetti in corso e degli importi a credito e a debito calcolati in base ai costi rendicontati e al netto delle anticipazioni già erogate;
   allo stato attuale, risulta agli interroganti, che non siano ancora state messe in liquidazione le somme di cui sopra verso le quali il Parco tecnologico padano vanta un credito e questo ritardo nell'erogazione della differenza dovuta sta provocando al Parco uno stato di grave tensione finanziaria, che potrebbe irrimediabilmente compromettere le sorti dello stesso;
   il Parco è sempre stato puntuale e rispettoso delle obbligazioni poste a suo carico, sembra, quindi, doveroso procedere ad una compensazione crediti/debiti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali siano i tempi e modi con i quali verranno poste in pagamento le somme verso cui il Parco tecnologico padano è creditore. (5-12047)


   PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 62 del 2000 ha sancito che il sistema nazionale di istruzione è un sistema integrato cui partecipano anche le scuole paritarie le quali, per essere legittimate a farne parte, devono rispettare il complesso dei doveri che le norme in materia definiscono;
   le stesse norme prevedono anche diritti per le scuole paritarie che svolgono un servizio pubblico e contribuiscono alla realizzazione delle finalità di istruzione che la Costituzione attribuisce al sistema scolastico;
   ciò nonostante si assiste in più a disparità di trattamento nei confronti delle scuole paritarie tra le quali si annoverano le condizioni alle quali queste ultime possono, partecipare al piano per la scuola digitale previsto dalla legge n. 107 del 2015, per l'attuazione del quale si destinano risorse esclusivamente alle scuole statali;
   le risorse destinate all'attuazione del piano nazionale per la scuola digitale sono vincolate ad essere destinate in favore delle istituzioni scolastiche statali, in quanto provenienti dal fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche rivolto in via esclusiva a queste ultime;
   le scuole paritarie possono partecipare a progetti attuativi del piano per la scuola digitale, ma non possono essere scuola capofila della rete né beneficiare di finanziamenti diretti, assumendo in tal modo un ruolo passivo nei confronti della definizione di contenuti e modalità organizzative dei progetti stessi;
   il piano per la scuola digitale, che dovrebbe costituire il passo fondamentale per dare agli studenti e agli insegnanti le competenze necessarie per studiare e lavorare nell'era digitale, escludendo la partecipazione attiva di studenti e docenti delle scuole paritarie, nel concreto estromette oltre un milione di alunni e i loro docenti, nonostante il sapere digitale rappresenti un tema di bene comune –:
   se il Ministro non ritenga necessario assumere nel breve termine iniziative per ridefinire la normativa in materia al fine di prevedere una fonte di finanziamento che permetta alle scuole paritarie di partecipare al piano nazionale per la scuola digitale a parità di condizioni e in maniera autonoma rispetto alle istituzioni scolastiche statali. (5-12048)


   COSCIA, CAROCCI, ROCCHI, MALPEZZI, GHIZZONI, SGAMBATO, ASCANI, BLAZINA, D'OTTAVIO, MALISANI, PES, RAMPI, MANZI, DALLAI, BONACCORSI, CRIMÌ, NARDUOLO, COCCIA e VENTRICELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   vi è grande preoccupazione per la tempistica relativa alla pubblicazione del bando per il nuovo concorso per dirigenti scolastici;
   infatti, il prossimo anno scolastico si prevede all'insegna dell'emergenza con circa 1600 reggenze e oltre 3000 scuole con un dirigente costretto a gestire due istituti;
   si ricorda che, in origine, la pubblicazione del bando era stata prevista per dicembre 2014, data – in seguito – più volte rinviata. A ciò si aggiunge che i tempi per lo svolgimento di tutte le prove è di circa 12 mesi, cui bisognerà aggiungere 4 mesi di corso e 2 di tirocinio;
   tuttavia, ad oggi – nonostante una vasta produzione legislativa – non è ancora stata stabilita alcune data certa per l'emanazione del bando e per lo svolgimento delle prove concorsuali;
   appare evidente come un ulteriore rinvio renderebbe ancora più complessa la gestione della scuole: si ribadisce, infatti, che è indispensabile l'emanazione del bando del nuovo concorso per scongiurare il rischio che anche nell'anno scolastico 2018/2019 una parte consistente delle scuole sia diretta da un dirigente impegnato anche in un altro istituto;
   la pubblicazione del bando è legata all'approvazione del regolamento che, dopo le modifiche apportate su indicazione del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione e del Ministero dell'economia e delle finanze, ha ripreso il suo iter che prevede il vaglio del Consiglio superiore della pubblica istruzione, del Consiglio di Stato e del Dipartimento della funzione pubblica;
   è, dunque, necessario che tali adempimenti si svolgano tempestivamente per procedere all'avvio del concorso che servirà ad assumere il numero necessario di dirigenti scolastici –:
   quale sia la tempistica delle procedure di cui in premessa, dai tempi previsti per la pubblicazione del bando fino a quelli necessari all'espletamento delle prove, al fine di consentire il conferimento dell'incarico a decorrere dall'anno scolastico 2018/2019. (5-12049)


   NESI e PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è regione insulare ultraperiferica priva di qualsivoglia forma di adeguata continuità territoriale con il resto del territorio italiano;
   da ottobre 2016, secondo quanto comunicato da Enac, cesserà anche il regime di continuità territoriale aerea con l'aeroporto di Fiumicino isolando ulteriormente la Sardegna e i sardi;
   i docenti sardi sono, quindi, sottoposti ad una gravissima discriminazione, in quanto l'aggravio economico, logistico e familiare sarebbe devastante rispetto al modesto stipendio percepito;
   numerosissimi docenti sardi di diverse classi di concorso il prossimo anno scolastico saranno costretti ad emigrare, lasciando famiglie e affetti, in seguito al mancato rinnovo dell'accordo sulla regionalizzazione dell'insegnamento sul sostegno;
   i casi macroscopici riguardano numerose classi concorso tra un gruppo di docenti sardi della scuola secondaria di I grado della classe di concorso A060 – tecnologia e numerosi docenti sardi che insegnano la lingua tedesca nelle scuole italiane (AD 24);
   con lo stipendio di 1.400 euro in previsione di forzato trasferimento, questi docenti dovranno far fronte a spese gravose (in particolare per pagare l'affitto di un appartamento), nonché alla disgregazione del nucleo familiare di ciascuno;
   con l'ordinanza n. 180 del 23 gennaio 2017, il tribunale di Reggio Emilia ha ritenuto illegittima la prassi utilizzata a Crotone, statuendo che «dopo aver verificato l'inesistenza di personale specializzato, il MIUR è tenuto a iniziare le operazioni di copertura con i docenti comuni che abbiano fatto domanda di assegnazione provvisoria e siano dunque inseriti nella specifica graduatoria, e tanto certamente prima di dar corso ad ogni altra assunzione a tempo determinato. Ancora prima che giuridicamente legittimo — ha affermato il Tribunale emiliano — questo meccanismo è anche logico, dal momento che non si comprende perché mai, in linea generale, il Ministero dovrebbe utilizzare personale precario quando sia disponibile personale in ruolo» –:
   se non ritenga di dover applicare, previa intesa con la regione Sardegna e considerata la condizione insulare con gravissime problematiche legate alla mancanza di una vera continuità territoriale, il principio affermatosi di garantire assegnazioni provvisorie, al personale docente titolare di posto comune e non in possesso del titolo di specializzazione su sostegno, anche sui posti di sostegno disponibili residuati dopo le operazioni di utilizzazione e assegnazione provvisoria in favore del personale titolare su sostegno e titolare su posto comune in possesso del titolo di specializzazione su sostegno, così come avvenuto per l'anno scolastico 2016/2017. (5-12050)


   PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, PELLEGRINO e MARCON. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 49 del 2016, che ha formato le classi di concorso nella scuola secondaria, con riferimento alle discipline caratterizzanti dei licei musicali, è stata rinviata al 1o settembre 2017. Di conseguenza, lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con decreto n. 669 del 2016, con il quale sono stati determinati i contingenti nazionali rispetto ai quali disporre le assunzioni, non ha incluso tra l'organico di diritto relativo al passato anno scolastico 2016/2017 alcuna cattedra per le classi di concorso del suddetto indirizzo, rendendo così impossibili – per tutti i docenti interessati – le immissioni in ruolo;
   in sede di sottoscrizione del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al prossimo anno scolastico è stata avanzata la proposta di prevedere, in sede di «mobilità professionale», una percentuale di posti riservati ai passaggi di ruolo e di cattedra per le classi di concorso A055 (strumento musicale), A053 (storia della musica), A063 (Tecnologie musicali), A064 (teoria, analisi, composizione) pari al 50 per cento dei posti vacanti più il posto dispari, rispetto al 10 per cento stabilito nell'intesa del 30 dicembre 2016 per tutte le altre classi di concorso, una previsione che sembra salvaguardare solo la mobilità provinciale dei docenti precedentemente utilizzati, al fine di far maturare loro ulteriore servizio specifico in vista di eventuali passaggi di ruolo;
   tale situazione ha fino ad oggi impedito ai vincitori delle suddette classi di concorso di ottenere un posto ben definito. Tali vincitori, circa 300 docenti già abilitati attraverso percorsi selettivi ed in molti casi da anni impiegati come precari, da tempo chiedono chiarimenti in merito alle modalità ed ai tempi con i quali verranno effettuate le loro assunzioni, in quanto vittime di una situazione paradossale: nonostante siano i primi e gli unici ad aver vinto un concorso per l'insegnamento delle discipline caratterizzanti dei licei musicali, non solo non possono ancora essere assunti a causa della mancata autorizzazione delle cattedre in organico di diritto, ma nemmeno riescono ad accedere alle supplenze su quei ruoli stante il perdurare di regole per l'assegnazione degli incarichi annuali ormai obsolete, e che trovavano la loro giustificazione giuridica e amministrativa nell'assenza di graduatorie specifiche –:
   se non ritenga di dover assumere urgentemente iniziative per definire le modalità di immissione in ruolo dei suddetti vincitori di concorso, al fine di garantirne l'assunzione in tempi certi e rapidi, coniugando le relative procedure con la necessità di valorizzare anche le esperienze e le professionalità maturate nel frattempo. (5-12051)


   VACCA, LUIGI DI MAIO, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, D'UVA, MARZANA, BRESCIA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o agosto 2017, in occasione dell'audizione dei dirigenti scolastici delle zone colpite dai terremoti in centro Italia nell'agosto 2016 e gennaio 2017, tenutasi presso la VII Commissione della Camera dei deputati, è emerso che molte scuole non sono sicure, tant’è che l'indice di vulnerabilità di diversi plessi scolastici è molto basso;
   tale condizione era già emersa recentemente sugli organi di stampa, dopo che gli indici di vulnerabilità delle scuole della città di Teramo sono stati resi pubblici, registrando per almeno 6 plessi scolastici un indice inferiore a 0,2, i quali risultano, pertanto, estremamente vulnerabili ai terremoti;
   allo stato attuale molte scuole potrebbero non riaprire nel mese di settembre, essendo accertata la scarsa disponibilità di spazi in cui trasferire, eventualmente, le attività didattiche delle scuole ad alta vulnerabilità sismica;
   i proprietari degli edifici scolastici, il dirigente scolastico, in qualità di datore di lavoro, nonché prefetti, in quanto figure dotate di speciali competenze e poteri sul territorio, potrebbero disporre la chiusura degli edifici a rischio;
   tuttavia, in assenza di luoghi idonei alternativi per l'avvio dell'anno scolastico 2017/2018, le autorità competenti potrebbero risultare riluttanti all'emissione di provvedimenti di chiusura, disponendo l'apertura degli istituti anche in condizioni di non totale sicurezza;
   considerata la scarsa chiarezza delle norme attuali, che non impongono l'immediata chiusura degli edifici pubblici con bassi indici di vulnerabilità, è assolutamente necessario scongiurare condizioni di criticità e di pericolo per la sicurezza degli alunni, attraverso l'adozione tempestiva di direttive chiare che garantiscano l'incolumità e, contestualmente, l'avvio delle attività didattiche;
   tale indeterminatezza, inoltre, può condurre a situazioni di incertezza circa le responsabilità dei soggetti chiamati ad assicurare sia la sicurezza delle nostre scuole, sia il loro regolare funzionamento;
   con riferimento ai casi di chiusura dei plessi scolastici, infine, non sono note le eventuali procedure da seguire per garantire il regolare svolgimento delle attività scolastiche e le relative risorse disponibili –:
   se il Governo non intenda provvedere, di concerto con tutte le istituzioni competenti, alla predisposizione urgente di un piano che contenga direttive chiare ai dirigenti scolastici al fine di assicurare l'incolumità degli studenti e del personale scolastico e, nel contempo, garantire l'avvio delle attività didattiche 2017/2018.
(5-12052)


   NICCHI, SCOTTO e BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 2015 ha previsto lo « school bonus», che consiste nell'agevolazione fiscale per le donazioni alle scuole, sia pubbliche sia private;
   nella legge n. 232 del 2016 è stato consentito di fare queste donazioni direttamente alle scuole private, senza passare per il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che poi avrebbe dovuto — nel quadro legislativo originario — trattenere il 10 per cento per altre scuole e riassegnare gli importi donati alle scuole indicate dai donatori –:
   a quanto ammonti il totale delle donazioni finora fatte alle scuole paritarie. (5-12053)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la scuola Svizzera con sede in via Appiani a Milano è una delle diciotto scuole elvetiche che hanno una sede all'estero e tra i 360 alunni frequentanti la scuola ci sono uno studente autistico e uno discalculico;
   il 16 maggio 2017, il Consiglio della scuola ha approvato un nuovo regolamento e al capitolo 2.5 del regolamento, disturbi dell'apprendimento o comportamentali, handicap motori, si è stabilito che «(...) essendo la Scuola Svizzera impegnativa e multilingue, non è ottimale per studenti affetti da disturbi dell'apprendimento, quali: dislessia, discalculia, Adhs, Sindrome di Asperger, autismo e disturbi comportamentali»;
   dalla stampa si legge che il presidente dell'istituto elvetico si difende dalle accuse pervenute per l'introduzione di suddetta norma dichiarando che è stata inserita non per escludere ma per avvisare le famiglie di quali siano le difficoltà della scuola, informando che si tratta di un percorso non semplice, poiché i percorsi scolastici sono molto impegnativi;
   inoltre, il presidente dichiarava «siamo comunque una scuola privata, non pubblica. Non possiamo metterci sulle spalle i problemi delle famiglie, e ci teniamo ad avvisare che i ragazzi con problemi di apprendimento qui farebbero una fatica terrificante»;
   tale disposizione, secondo gli interroganti, appare discriminatoria e costituisce una palese norma avversa agli studenti affetti da disturbi dell'apprendimento e disabili;
   di fatto, una struttura scolastica deve – al contrario di quanto dichiarato dal presidente della scuola –, essere in grado di accogliere e di risolvere le eventuali problematiche al fine di conformare le proprie strutture all'accesso e alla frequentazione degli studenti disabili e di soggetti con difficoltà di sviluppo, di apprendimento o di adattamento, poiché devono essere considerati come avviene per i normodotati, protagonisti della propria crescita;
   il Ministro interrogato, dopo aver appreso la notizia, ha dichiarato alla stampa che quanto disposto dal regolamento del consiglio della scuola è inaccettabile e che valuterà gli estremi per eventuali azioni legali nei confronti della scuola svizzera con sede a Milano –:
   se la norma indicata in premessa sia una iniziativa circoscritta alla sola scuola svizzera di Milano;
   se intenda assumere tempestive iniziative affinché le scuole paritarie e non paritarie presenti sul territorio italiano attuino e rispettino le normative vigenti nazionali in materia scolastica;
   considerato che la scuola deve contribuire in modo decisivo al superamento di ogni situazione di emarginazione umana culturale e sociale, quali iniziative di competenza intenda mettere in campo in relazione a quanto accaduto presso la scuola svizzera suindicata;
   considerato che legge italiana ha introdotto l'inclusione scolastica superando le classi differenziate con la legge n. 517 del 1977 e che la funzione della scuola è quella di favorire e sviluppare le potenzialità di ogni studente sotto il profilo culturale, sociale e civile, se non intenda valutare l'opportunità di promuovere una campagna di informazione e sensibilizzazione con l'obiettivo di evidenziare l'azione educativa della scuola al fine di superare – come nel caso della scuola svizzera di Milano – le condizioni di emarginazione alle quali altrimenti sarebbero destinati gli studenti affetti da disabilità fisica o psichica. (4-17562)


   SILVIA GIORDANO, MANTERO, GRILLO, COLONNESE e NESCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   tutti gli alunni in situazione di handicap, anche grave, hanno diritto all'integrazione scolastica dal nido all'università, regolata da apposite leggi e costituzionalmente garantita;
   una scuola che integra dovrebbe offrire agli studenti un sostegno adeguato al reale bisogno, in ogni ordine e grado, così come espresso più volte anche dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in vari comunicati pubblicati sul sito istituzionale relativamente ai ragazzi autistici;
   succede, però, che la cronaca porti alla luce realtà di esclusione di soggetti disabili che si impegnano in prima persona unitamente alle famiglie per raggiungere titoli di studio, migliorare la propria autostima ed il grado di autonomia;
   è emblematico il caso di Giacomo, studente universitario affetto da disturbo dello spettro autistico, che si è visto negare la laurea, prevedendo per lui l'università un «diplomino», simbolico e senza valore, al raggiungimento dei 180 crediti formativi –:
   quali iniziative concrete il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché la frequentazione dell'Università ed il relativo conseguimento del titolo siano un diritto anche per le persone affette da disturbo dello spettro autistico;
   in che modo e con quali strumenti sia monitorata la situazione dei disabili nelle scuole. (4-17587)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella seduta del 20 luglio della Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera (XI) il Sottosegretario Massimo Cassano ha risposto all'interrogazione 5-11739 Gnecchi in merito alle circolari applicative delle disposizioni della legge di bilancio per il 2017 in materia di «APE» sociale e di salvaguardia rispetto all'applicazione dei requisiti di accesso al pensionamento di cui al decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
   il Sottosegretario ha in particolare affermato che «L'APE sociale non è un trattamento pensionistico ma una prestazione assistenziale, e presenta elementi di novità e di peculiarità che non consentono di catalogarla tra le prestazioni classiche di sicurezza sociale. In virtù della particolare natura della prestazione, la stessa è da considerarsi fuori dal campo di applicazione dei regolamenti dell'Unione europea e, a maggior ragione, delle convenzioni internazionali, le quali hanno un campo di applicazione più limitato che, di regola, non si estende alle prestazioni assistenziali. In base a queste considerazioni, l'Inps ha adottato la circolare n. 100 del 2017 con la quale ha precisato che il requisito dell'anzianità contributiva minima (dei 30/36 anni) richiesta per l'accesso al beneficio non può essere perfezionato totalizzando i periodi assicurativi italiani con quelli esteri, maturati in Paesi dell'Unione europea, Svizzera, Spazio economico europeo o extracomunitari convenzionati con l'Italia»;
   ciò pare essere all'interrogante in contrasto con i regolamenti comunitari ed in particolare quanto indicato all'articolo 70 del regolamento (CE) 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale; il regolamento, in base all'articolo 3, si applica a tutte le legislazioni relative ai settori di sicurezza sociale riguardanti le prestazioni di malattia, di maternità e di paternità assimilate, d'invalidità, di vecchiaia, per i superstiti, per infortunio sul lavoro e malattie professionali, gli assegni in caso di morte, le prestazioni di disoccupazione, di pensionamento anticipato, le prestazioni familiari;
   il regolamento si applica ai regimi di sicurezza sociale generali e speciali, contributivi o non contributivi, nonché ai regimi relativi agli obblighi del datore di lavoro o dell'armatore, e alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo di cui all'articolo 70;
   l'articolo 70 si applica alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo previste dalla legislazione la quale, a causa del suo ambito di applicazione ratione personae, dei suoi obiettivi e/o delle condizioni di ammissibilità, ha caratteristiche tanto della legislazione in materia di sicurezza sociale di cui all'articolo 3, paragrafo 1, del regolamento quanto di quella relativa all'assistenza sociale;
   se l’«APE» sociale non è un trattamento pensionistico, allora pare debba essere qualificata come «prestazione speciale in denaro di carattere non contributivo» di cui al succitato articolo 70 del regolamento (CE) 883/2004;
   il dispositivo della sentenza della Corte di giustizia europea del 21 giugno 2017, nelle note riguardanti le questioni pregiudiziali (paragrafo 20, 21 e 22), sancisce che «la distinzione fra prestazioni escluse dall'ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 e prestazioni che vi rientrano è basata essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, in particolare sulle sue finalità e sui presupposti per la sua attribuzione, e non sul fatto che essa sia o no qualificata come prestazione di sicurezza sociale da una normativa nazionale», e quindi in sostanza che non spetta all'Inps stabilire quali prestazioni siano da includere tra i settori di sicurezza sociale elencati all'articolo 3 del regolamento (CE) 83/2004, e quali da escludere –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire se l’«APE» sociale, in quanto prestazione assistenziale, rientri nella fattispecie delle prestazioni speciali di denaro di carattere contributivo e quindi ricada nell'ambito di cui all'articolo 70 del regolamento (CE) 883/2004. (5-12025)


   PATRIZIA MAESTRI, GNECCHI, CASELLATO, GIACOBBE e ROSTELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 1, comma 284, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è stata introdotta l'opportunità per i lavoratori dipendenti del settore privato iscritti all'assicurazione generale obbligatoria e alle forme sostitutive ed esclusive della medesima con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato che maturino entro il 31 dicembre 2018 il diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia, la possibilità, d'intesa con il datore di lavoro, di ridurre l'orario del rapporto di lavoro in misura compresa tra il 40 per cento e il 60 per cento, ottenendo mensilmente dal datore di lavoro l'importo corrispondente alla contribuzione previdenziale relativa alla prestazione lavorativa non effettuata. Per i periodi di riduzione della prestazione lavorativa è riconosciuta la contribuzione figurativa;
   la riduzione dell'orario di lavoro può essere richiesta per un periodo non superiore a quello intercorrente tra la data di accesso al beneficio e la data di maturazione del requisito anagrafico, prevista dal citato articolo 24, comma 6, del predetto decreto-legge n. 201 del 2011;
   a copertura finanziaria della previsione è stato disposto uno stanziamento di 60 milioni di euro per l'anno 2016, 120 milioni di euro per l'anno 2017 e 60 milioni di euro per l'anno 2018;
   l'articolo 1, comma 234, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, ha ridotto l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 284, quinto periodo, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, di 100 milioni di euro per l'anno 2017 e di 50 milioni di euro per l'anno 2018 –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno e necessario fornire elementi sullo stato di attuazione del cosiddetto « part time agevolato», con particolare riferimento al numero delle istanze presentate e accolte e all'ammontare delle risorse impiegate per far fronte agli oneri conseguenti alla sua applicazione;
   se, nel limite delle risorse eventualmente ancora disponibili, non si ritenga di valutare di assumere iniziative per la proroga della misura al 31 dicembre 2019, estendendola anche ai lavoratori del settore privato in procinto di maturare il diritto al trattamento pensionistico anticipato. (5-12029)


   MUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il riscatto del corso di laurea è un istituto che permette di valorizzare ai fini pensionistici il periodo del proprio corso di studi;
   questo istituto consente agli assicurati di integrare la propria posizione previdenziale convertendo, a pagamento, gli anni del corso legale degli studi in contributi utili al conseguimento di una prestazione previdenziale;
   il riscatto del corso di laurea è stato previsto per la prima volta dall'articolo 2-novies del decreto-legge 2 marzo 1974, n. 30, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 aprile 1974, n. 114;
   nel 1997 la materia è stata ridisciplinata dal decreto legislativo n. 184 del 1997, Capo II «Disposizioni in materia di riscatto». L'articolo 2 di tale decreto legislativo si riferisce in maniera specifica ai corsi universitari di studio e prevede la possibilità di conseguire il riscatto della laurea soltanto a seguito del pagamento di un onere di riscatto;
   si possono riscattare gli anni di laurea se si è conseguito il titolo di studio e negli stessi anni non si percepiva un reddito da lavoro con versamento dei contributi. Non possono essere riscattati invece i periodi di iscrizione fuori corso;
   il costo del riscatto è proporzionato al proprio reddito. Per quanto riguarda gli anni di laurea prima del 1995, anno in cui si è riformato il sistema pensionistico, il costo del riscatto è calcolato secondo la cosiddetta «riserva matematica», in rapporto a fattori variabili quali l'età, il periodo da riscattare, il sesso e le retribuzioni percepite negli ultimi anni. Per gli anni di laurea post 1995, invece, il riscatto si calcola con l'aliquota contributiva in vigore alla data di presentazione della domanda di riscatto applicata al reddito lavoro conseguito;
   il sito dell'Inps fornisce anche degli esempi dei costi da sostenere qualora si decida di riscattare la laurea. Una donna di 27 anni, con un anno di anzianità contributiva e laurea conseguita successivamente al 31 dicembre 1995, dovrebbe pagare circa 28.000 euro;
   a causa del costo molto elevato di tale operazione molte persone rinunciano all'applicazione di questo istituto, rinunciando allo stesso tempo alla possibilità di anticipare l'età della pensione –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per rendere possibile e gratuito, compatibilmente con le risorse finanziarie dello Stato, il riscatto della laurea per tutti, senza distinzione di età e senza distinzione di reddito. (5-12031)


   CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10 del decreto legislativo n. 151 del 2015 ha modificato l'articolo 13 della legge n. 68 del 1999, prevedendo – per le assunzioni delle persone con disabilità effettuate a partire dal 1o gennaio 2016 – un nuovo incentivo che varia, rispetto a quanto precedentemente previsto, sia in entità che per le modalità di richiesta;
   più specificamente, al fine di realizzare una concreta promozione dell'inserimento e dell'integrazione lavorativa delle persone con disabilità nel mondo del lavoro, la nuova formulazione dell'articolo 13 prevede, a favore dei datori di lavoro, un incentivo di tipo economico, rapportato alla retribuzione lorda imponibile ai fini previdenziali, che varia in funzione del grado e della tipologia di riduzione della capacità lavorativa del soggetto assunto;
   ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 151 del 2015, l'incentivo può essere fruito per l'assunzione delle seguenti categorie di lavoratori: 1) lavoratori disabili che abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79 per cento o minorazioni ascritte dalla prima alla terza categoria di cui alle tabelle annesse al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978; 2) lavoratori disabili che abbiano una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67 per cento e il 79 per cento o minorazioni ascritte dalla quarta alla sesta categoria di cui alle tabelle annesse al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1978; 3) lavoratori con disabilità intellettiva e psichica che comporti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento;
   l'incentivo in questione è riconosciuto a tutti i datori di lavoro privati e la domanda di fruizione dell'incentivo deve essere trasmessa, mediante apposite procedure telematiche, all'Inps;
   esso consiste in un importo che arriva al 70 per cento della retribuzione mensile del lavoratore che il datore di lavoro potrà inserire a conguaglio con i contributi da versare all'Inps ed è riconosciuto nei limiti di risorse stanziate, presenti nel fondo per il diritto al lavoro dei disabili di cui al comma 4 dell'articolo 13 della legge n. 68 del 1999 e definite con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze;
   recentemente il decreto-legge n. 50 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 96 del 2017, ha disposto (con l'articolo 55-bis, comma 1) che «Lo stanziamento del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili, di cui all'articolo 13, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68, è incrementato di 58 milioni di euro nell'anno 2017. Al relativo onere, pari a 58 milioni di euro per l'anno 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 16, comma 7, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22»;
   tuttavia, secondo quanto risulta agli interroganti, l'Inps nega l'accesso agli incentivi adducendo l'esaurimento dei fondi per l'anno 2017;
   sono tantissimi i disabili in Italia in attesa di un posto di lavoro che, a causa dell'esaurimento dei fondi, si vedono negata la possibilità di essere assunti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta e se trovi conferma quanto esposto;
   se intendano assumere iniziative per stanziare nuove risorse a beneficio dei destinatari degli incentivi, al fine di garantire alle persone con disabilità il pieno diritto al lavoro, così come previsto dalla legislazione vigente, dalla convenzione per i diritti dei disabili e dalle direttive europee. (5-12037)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   TONINELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa (si veda l'articolo «L'Apa commissariata» su La Provincia di Cremona del 21 luglio 2017) il 20 aprile 2017 l'Associazione provinciale allevatori (Apa) di Cremona è stata commissariata dall'Associazione italiana allevatori (Aia), con la formale comunicazione dell'azzeramento degli organi sociali con decorrenza immediata e la contestuale fissazione del termine di tre mesi per convocare l'assemblea per l'elezione dei nuovi vertici, nonostante il rinnovo degli stessi, in base alla procedura ordinaria, avrebbe dovuto svolgersi di lì a breve, ovvero il successivo 12 maggio;
   il lavoro dell'Associazione in questione rappresenta una risorsa essenziale per la filiera produttiva territoriale dato che svolge tra gli altri il delicato compito di gestione dei libri genealogici di razza e le associazioni interessate dal commissariamento denunciano la natura puramente «politica» di questo intervento e l'assenza di particolari e specifici interessi di tipo organizzativo e economico a sua giustificazione; pur trattandosi di vicende interne di una associazione privata, l'Apa e l'Aia rivestono una sicura valenza pubblica non solo per il rilevante ruolo nell'industria territoriale del settore, ma anche in quanto l'attività della stessa è finanziata con fondi pubblici assegnati in applicazione della legge n. 280 del 1999, del decreto legislativo n. 143 del 1997, del decreto legislativo n. 112 del 1998, così come modificato dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 443 del 1999 e tali tipi di associazioni sono già soggette alla specifica vigilanza da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   considerato, infine, che il commissariamento in questione si sta protraendo oltre i tre mesi indicati dalla stessa Associazione per il rinnovo degli organi statutari, si chiede di valutare un intervento di verifica straordinaria dei presupposti della procedura in questione e della sua adeguatezza e compatibilità rispetto alle funzioni dell'associazione soggette al controllo pubblicistico e alla vigilanza ministeriale –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare i presupposti del commissariamento di cui in premessa e la sua adeguatezza e compatibilità rispetto alle funzioni dell'Associazione italiana allevatori e all'Associazione provinciale allevatori di Cremona, soggette al controllo pubblicistico e alla vigilanza ministeriale. (4-17566)


   PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante in data 27 giugno 2017 ha presentato, alla Biomasse Italia s.p.a., richiesta di visione e/o copia di opportuna, dettagliata ed aggiornata documentazione circa l'approvvigionamento di biomasse che alimentano la centrale di Strongoli (Crotone), con particolare riguardo all'elenco nominativo dei fornitori impiegati, alla quantità di biomassa acquistata, ai volumi acquistati ripartiti per provenienza e tipologia di specie arboree;
   la Biomasse Italia s.p.a. in data 20 luglio 2017 ha risposto di essere impossibilitata a «fornire l'elenco dei nominativi dei fornitori contrattualizzati per evidenti motivi di interesse aziendale, riservatezza e tutela dei dati personali», mentre per la quantità di biomassa acquistata e volumi acquistati ripartiti per provenienza e tipologia di specie arboree è stato precisato che «si tratta di informazioni costantemente trasmesse» al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali al quale l'interrogante è stato reindirizzato –:
   se il Governo non ritenga di fornire i dati relativi al consumo di biomasse della centrale di Strongoli (Crotone), così come anche per tutte le altre centrali calabresi, e se disponga dell'elenco dei fornitori impiegati e possa renderlo disponibile. (4-17602)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   CRIVELLARI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del 2016, nel territorio della provincia di Rovigo, si sono registrati due decessi dovuti al contagio dal virus «West Nile»;
   da giugno a novembre dello stesso anno, in tutta Italia, sono stati trovati positivi 71 pazienti, 34 dei quali hanno manifestato sintomi neuro-invasivi;
   in questi ultimi giorni, la rete di monitoraggio allestita dall'Ulss 5 del Polesine ha intercettato due nuovi «ceppi» di zanzare infette, rispettivamente a Buso, frazione del comune di Rovigo, e a Porto Viro;
   la nota recentemente diramata dalla Ulss 5 sottolinea «l'importanza di programmare ed effettuare interventi larvicidi atti a ridurre i focolai di sviluppo larvale. Il virus viene trasmesso dalla puntura di zanzara all'uomo e, normalmente, in persone sane, può risultare del tutto asintomatico o presentare i sintomi di una piccola influenza. Il problema si pone invece per persone anziane, ammalate, con sistema immunitario compromesso, nelle quali si può manifestare patologia neurologica grave, che può anche condurre alla morte» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della particolare situazione del territorio polesano e quali iniziative, più in generale, intenda mettere in atto per garantire un adeguato monitoraggio e un contrasto efficace nei confronti del virus «West Nile». (3-03203)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, MANTERO, NESCI e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge 18 agosto 2015, n. 134, in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie, all'articolo 3, ha previsto «l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, con l'inserimento, per quanto attiene ai disturbi dello spettro autistico, delle prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l'impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche disponibili»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 sui nuovi livelli essenziali di assistenza, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 marzo 2017, all'articolo 60, riprende il contenuto della legge n. 134 del 2015, rinviando in particolare all'articolo 4 della stessa legge che dispone «entro centoventi giorni dall'adozione dello schema in esame, l'aggiornamento delle Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nei disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS), con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico, di cui all'Accordo in sede di Conferenza unificata del 22 novembre 2012. Le linee di indirizzo, adottate con decreto del Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza unificata, dovranno essere aggiornate con cadenza triennale»;
   da notizie di stampa, e come anche evidenziato dalle associazioni che approfondiscono il tema e formate da familiari di persone affette dal disturbo dello spettro autistico, i 120 giorni previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per l'aggiornamento delle «linee di indirizzo» sono scaduti, ma nulla è stato ancora approvato –:
   in quali tempi intenda adottare il decreto di aggiornamento delle linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nei disturbi pervasivi dello sviluppo (Dps) affinché venga garantita tutela e cura di tutti i soggetti affetti da disturbo dello spettro autistico e delle loro famiglie, che ogni giorno vivono il dramma di questa malattia neuropsichiatrica e che non si sentono supportati dallo Stato, in maniera concreta ed uniforme sul territorio nazionale. (5-12026)


   LOREFICE, MANTERO, GRILLO, SILVIA GIORDANO, NESCI e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dei soggetti emodanneggiati, le vittime che hanno contratto le malattie non si riducono, purtroppo, solo a chi ha ricevuto materialmente la trasfusione. Accade, infatti, che prima di essere consapevoli di essere stati infettati da virus, quali epatite ed HIV, trascorra un determinato lasso di tempo, e da qui nasce la qualificazione giuridica sancita anche dalla Corte di Cassazione di «danni lungolatenti»;
   in questo spazio temporale, l'emodanneggiato non è consapevole né cosciente dell'infezione contratta e, pertanto, modella la propria sfera affettiva all'interno del nucleo familiare, inteso in senso ampio, senza alcuna preoccupazione;
   risulta così naturale continuare ad esprimere, da parte dell'emodanneggiato inconsapevole, la propria affettività al coniuge o al partner attraverso dinamiche di fatti e fenomeni emotivi che caratterizzano le reazioni psichiche dell'individuo. Da ciò può ovviamente derivare il contagio inconsapevole del partner;
   accade tuttavia che congiunti di soggetti emotrasfusi si vedano negato, dal Ministero della salute, il diritto ad un indennizzo –:
   se, nell'ambito della procedura transattiva e dell'equa riparazione, risultino inclusi come beneficiari delle relative provvidenze i soggetti che sono stati inconsapevolmente contagiati in ambito familiare-affettivo. (5-12034)


   CAPEZZONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 27 giugno il consiglio regionale Marche ha approvato il piano regionale sul diritto allo studio per il 2017/2019 al paragrafo 5.3.1, è stata approvata, su richiesta del gruppo MoVimento 5 Stelle, una disposizione la quale prevede: «Particolare attenzione è rivolta alla qualità dei prodotti, cercando di prediligere prodotti non contenenti olio di palma»;
   l'Istituto superiore di sanità, su richiesta del Ministero della salute, ha pubblicato il 25 febbraio 2016 un parere sull'olio di palma che sottolinea come «la letteratura scientifica non riporta l'esistenza di componenti specifiche dell'olio di palma capaci di determinare effetti negativi sulla salute» e che «Non ci sono evidenze dirette nella letteratura scientifica che l'olio di palma, come fonte di acidi grassi saturi, abbia un effetto diverso sul rischio cardiovascolare rispetto agli altri grassi con simile composizione percentuale di grassi saturi e mono/poli-insaturi, quali, ad esempio, il burro»;
   uno studio della Nutrition Foundation of Italy, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica International Journal of Food Sciences and Nutrition, ha concluso che «Non vi sono dati epidemiologici diretti sulla possibile relazione tra consumo di olio di palma e rischio cancro. Le evidenze indirette indicano che, con ogni probabilità, l'assunzione di olio di palma con alimenti preconfezionati, nell'ambito di un'alimentazione equilibrata, non ha un ruolo rilevante sul rischio (né sulla protezione) oncologico. In conclusione, alla luce dei possibili effetti di salute e dei dati di consumo stimabili sulla base delle evidenze disponibili, il consumo alimentare di olio di palma non sembra una delle priorità sanitarie in Italia»;
   nessun ente o autorità pubblica internazionale o nazionale, compreso il Ministero della salute, ha mai consigliato di adottare né ha formulato provvedimenti per sostituire o eliminare l'olio di palma. Non si è mai ritenuto necessario applicare il «principio di precauzione» previsto dal regolamento 178/02 della Commissione europea, in linea con la risposta del Sottosegretario Faraone a un'interrogazione sull'uso dell'olio di palma (ove lo stesso affermava: «si ritiene che, allo stato attuale, le azioni assunte a livello di Unione europea non rendano necessaria l'assunzione di ulteriori azioni in ambito nazionale»);
   secondo uno studio di Campagne Liberali, quando l'olio di palma è stato sostituito con altri ingredienti, non si è verificato automaticamente un miglioramento del profilo nutrizionale dei medesimi in termini di grassi saturi. In diversi casi, infatti, i prodotti con olio di palma contengono meno grassi sia in totale sia saturi;
   il provvedimento di cui sopra risulta, a giudizio dell'interrogante, lesivo del principio di libera concorrenza e discriminatorio verso alcuni prodotti. Questa impostazione, secondo l'interrogante, è confermata dalle dichiarazioni del Consigliere Giovanni Maggi del MoVimento 5 Stelle che ha presentato l'emendamento al piano triennale, chiedendo l'esclusione dell'olio di palma dalle mense universitarie. In un comunicato si legge che il Consigliere Maggi nel 2016 aveva presentato una mozione «per privilegiare le ditte fornitrici di prodotti senza olio di palma nelle gare di appalto delle mense nelle scuole, ospedali e aziende pubbliche»;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, nei limiti delle iniziative già svolte nell'ambito della sicurezza alimentare e tenendo conto delle linee guida alimentari nazionali e internazionali, evitare che le decisioni ministeriali relative a gare d'appalto, bandi pubblici, linee guida e pareri sulla sicurezza alimentare e sulla corretta alimentazione, vengano declinate in termini ingiustificatamente discriminatori verso un solo ingrediente e tali da impedire il corretto svolgimento di procedure ad evidenza pubblica per le forniture delle mense scolastiche in contrasto con il regime di libera concorrenza stabilito a livello europeo dalle direttive dell'Unione europea nn. 23, 24 e 25 del 2014, attuate a livello nazionale dal decreto legislativo n. 50 del 2016. (5-12036)


   LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la resistenza antimicrobica rappresenta a livello mondiale un pesante onere sociale ed economico. Si stima infatti che ad essa siano riconducibili 25.000 decessi l'anno in Europa e 700.000 decessi l'anno in tutto il mondo;
   nella sola Unione europea si stima che la resistenza antimicrobica costi 1,5 miliardi di euro l'anno in termini di costi sanitari e perdita di produttività;
   la Banca mondiale ha segnalato che, entro il 2050, le infezioni farmaco-resistenti potrebbero causare un danno economico globale pari a quello causato dalla crisi finanziaria del 2008;
   nel 2011 la Commissione europea ha stilato un piano d'azione caratterizzato dall'approccio « One Health», principio che riconosce che la salute umana e animale sono interconnesse, che le malattie sono trasmesse dall'uomo agli animali e viceversa e che esse devono quindi essere contrastate negli uni e negli altri. La Commissione europea intende altresì: sostenere la ricerca sullo sviluppo di nuovi strumenti diagnostici, in particolare test in loco da effettuarsi nell'uomo e negli animali, al fine di guidare i medici curanti nell'uso degli antimicrobici; sostenere l'uso di soluzioni informatiche nell'elaborazione di strumenti per la diagnosi delle infezioni nell'uomo e negli animali; incoraggiare la diffusione delle diagnostiche nella pratica medica e veterinaria, ad esempio attraverso gli appalti per l'innovazione;
   tecniche diagnostiche nuove, rapide e affidabili sono fondamentali per discriminare tra infezioni batteriche e virali e individuare la resistenza antimicrobica, al fine di somministrare, tempestivamente la cura più appropriata. Adattando la cura alla natura dell'agente patogeno infettivo e al suo pattern di resistenza, le diagnostiche contribuiscono a ridurre il ricorso superfluo agli antimicrobici nell'uomo e negli animali;
   la Camera dei deputati ha approvato, nel 2016, 12 mozioni sul tema impegnando il Governo pro tempore tra le altre cose: a promuovere incentivi finanziari per lo sviluppo di nuovi test diagnostici che possano evitare la somministrazione inutile di antibiotici e dotare gli ospedali di servizi di microbiologia permanente; a sostenere la formazione del personale sanitario e a rilanciare la ricerca e lo sviluppo di nuovi antimicrobici; ad accelerare le procedure per la redazione del piano nazionale contro l'antibiotico resistenza e per l'obbligatorietà della ricetta elettronica del farmaco veterinario per effettuare controlli e monitoraggi sul consumo di antibiotici –:
   quando sia prevista l'approvazione del piano nazionale di antimicrobico resistenza e se il piano nazionale, in particolare per quanto riguarda le tecniche diagnostiche, sia in linea con quanto previsto dal piano europeo. (5-12066)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'accordo di programma sulla Ferriera di Servola del 30 gennaio 2014, siglato dal Governo con la regione Friuli Venezia Giulia, nonché la provincia e il comune di Trieste all'articolo 9, comma 1 viene prevista «la pavimentazione, il confinamento e la copertura delle aree di messa a parco», propedeutica al rinnovo del autorizzazione integrata ambientale;
   l'autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla regione Friuli Venezia Giulia con decreto 96/2016 il 27 gennaio 2016 a Siderurgica Triestina, ha stabilito al punto 6.1.1. la presentazione, entro 9 mesi, del «progetto di confinamento e copertura delle aree a parco, corredato da un cronoprogramma di attuazione dello stesso»;
   la conferenza di servizi, convocata il 26 gennaio 2017 per la valutazione e l'approvazione del progetto, ha stabilito che il documento presentato non abbia i requisiti sufficienti per soddisfare la prescrizione;
   la direzione centrale ambiente Friuli Venezia Giulia ha evidenziato come la relazione non contenga elaborati grafici, né soprattutto il cronoprogramma e il quadro economico degli interventi da effettuare. E, in particolare, che l'azienda ha sottolineato che «la copertura, seppur astrattamente possibile, non sarebbe tecnicamente realizzabile»;
   in data 7 marzo 2017, la regione Friuli Venezia Giulia ha formalmente diffidato l'Acciaieria Arvedi s.p.a. «a presentare entro 4 mesi il progetto di confinamento e copertura delle aree a parco. Nella diffida sono indicati i contenuti minimi del progetto. La regione ha inoltre disposto che nelle more della realizzazione del progetto di copertura dei parchi, la Società adotti ulteriori misure di mitigazione dello spolveramento utili per il contenimento delle emissioni diffuse»;
   secondo Trieste Prima, nell'articolo del 4 luglio 2017, «il Gruppo Arvedi ha presentato il progetto di copertura dei parchi minerari della Ferriera di Servola e ha comunicato di aver ridotto la produzione di ghisa dell'impianto». «Facendo seguito alla diffida della regione del 28 giugno 2017, l'azienda ha comunicato di aver ridotto la marcia dell'altoforno entro il limite prescritto di 34.000 tonnellate mensili di ghisa, con la contestuale limitazione a 290 colate al mese. (...) L'azienda ha inoltre presentato alla regione il progetto di fattibilità tecnica ed economica della copertura dei parchi minerari dell'impianto, la cui realizzazione rientra tra le migliorie all'impianto previste dall'accordo di programma quadro e dall'AIA», che, secondo l'Azienda richiederebbe un iter autorizzativo di almeno due anni e mezzo prima della fase edificatoria;
   il 6 luglio 2017, l'azienda ha informato che «in accordo con Arpa Fvg è in fase di attuazione la nuova modalità operativa di irrorazione e filmatura dei materiali in fase di stoccaggio per la gestione del parco fossile e del parco minerali al fine di evitare spolveramenti»;
   in seguito ai pericolosi fenomeni di sollevamento delle polveri dei parchi minerali della Ferriera che hanno interessato vaste aree della città, verificatisi il 25 giugno, il 15 luglio, ben due il 24 luglio e infine il 25 luglio 2017, la regione Friuli Venezia Giulia ha dichiarato che «alla luce dell'intensificarsi della frequenza con cui si producono tali eventi, appare sempre più urgente la realizzazione della copertura dei parchi stessi, quale unica soluzione in grado di evitare il ripetersi di questi eventi» –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere, alla luce dei pericoli sanitari, sopra evidenziati, a tutela della salute pubblica;
   se il Governo non intenda convocare i soggetti firmatari degli accordi di programma in relazione all'efficacia, a tutela della salute, degli interventi previsti;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, di concerto con le istituzioni locali, al fine di agevolare la realizzazione della copertura delle aree a parco della Ferriera, come previsto nel citato accordo di programma, ed evitare il ripetersi degli eventi citati in premessa. (4-17565)


   MUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 luglio 2017 il Governo, nel rispondere alla interrogazione presentata dalla sottoscritta n. 5-11807 che chiedeva conto del mancato inserimento nei livelli essenziali di assistenza della Pgd (diagnosi genetica preimpianto), omissione che crea un discrimine in base alle possibilità economiche nell'accesso alle cure e alle diagnosi per coloro che non potranno pagare il costo di una indagine che ha costi molti elevati, a giudizio dell'interrogante ha trascurato il principio che le sentenze della Corte costituzionale si applicano, non si interpretano e hanno valore di legge;
   il Ministro ha estrapolato un passaggio della sentenza n. 96/15, in cui il giudice costituzionale evidenzia quanto il Parlamento non abbia fatto nulla per evitare la violazione dell'articolo 3 e 32 della Costituzione, che risultano violati per l'impossibilità della coppia fertile portatrice di patologia genetica di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e di accedere alle indagini diagnostiche sull'embrione prima del trasferimento in utero, perché priva del requisito di infertilità. La sentenza dichiara incostituzionale tale divieto di accesso per le coppie fertili con patologie, individuando come requisito per l'accesso alla procreazione medicalmente assistita la tutela della salute della donna, che potrebbe essere esposta, avendo i requisiti, a dover ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza;
   nel rispondere a detta interrogazione, il Ministro ha dichiarato che: «Nello specifico, ritengo doveroso rammentare che nei nuovi LEA la diagnosi pre impianto è stata inclusa per la diagnosi delle malattie che rientrano nei parametri di erogabilità previsti nel decreto medesimo. Tali indagini genetiche, nel rispetto delle condizioni di erogabilità, possono essere effettuate nell'ambito del SSN anche in fase pre concezionale, per la diagnosi su cellule embrionali in corso di PMA o per la diagnosi prenatale»;
   da una attenta lettura effettuata dagli esperti in tema di livelli essenziali di assistenza pubblicati in Gazzetta Ufficiale in data 18 marzo 2017, invece, risulta che il Ministro elenca la serie di indagini genetiche che sono in nomenclatore e che possono essere fatte sul sangue del paziente o sul feto tramite amniocentesi o villi coriali, ma nell'elenco non si parla di diagnosi preimpianto da nessuna parte;
   alla pagina 73 dell'allegato 4, al codice 69.92.5 viene indicato il trasferimento di embrioni comprensivo di valutazione embrionaria pre-transfer;
   non è specificato se tale valutazione è solo osservazionale o se può includere anche diagnosi genetica preimpianto (Pgd)/screening genetico preimpianto (Pgs) ai sensi delle sentenze della Corte costituzionale in materia;
   sempre restando nell'ambito della crioconservazione, la legge n. 40 e le successive sentenze prevedono che essa possa essere applicata anche agli embrioni laddove necessario;
   non esiste però voce specifica nei livelli essenziali di assistenza per questa metodica;
   l'articolo 59, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 dispone: «In funzione preconcezionale, oltre alle prestazioni di cui all'Allegato 10A, sono escluse dalla partecipazione al costo le prestazioni specialistiche ambulatoriali necessarie per accertare eventuali rischi procreativi correlati ad una condizione patologica o un rischio genetico di uno o entrambi i genitori, evidenziati dall'anamnesi riproduttiva o familiare della coppia e prescritte dallo specialista»;
   tuttavia, né l'allegato 10o né l'allegato 4 prevedono l'applicazione di test genetici alle tecniche di diagnosi preimpianto;
   mentre all'allegato 4 esistono voci specifiche per il prelievo di campioni di villi coriali e di liquido amniotico o la funicolocentesi a fini di diagnosi prenatale, non sono previste analoghe voci per il prelievo di campioni embrionali a fini di diagnosi genetica preimpianto;
   allo stesso modo, a pagina 144 dell'Allegato 4, alle voci da G2.01 a G9.01 è prevista una serie di analisi genetiche e citogenetiche pre-natali e post-natali, ma non è prevista l'applicazione di questi medesimi test in ottica di diagnosi preimpianto –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare concrete iniziative volte all'inserimento della diagnosi genetica preimpianto nei livelli essenziali di assistenza. (4-17576)


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in relazione all'organizzazione delle aziende sanitarie, in base all'articolo 17-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, «il direttore di dipartimento è nominato dal direttore generale fra i dirigenti con incarico di direzione delle strutture complesse aggregate nel dipartimento; il direttore di dipartimento rimane titolare della struttura complessa cui è preposto. La preposizione ai dipartimenti strutturali, sia ospedalieri che territoriali e di prevenzione, comporta l'attribuzione sia di responsabilità professionali in materia clinico-organizzativa e della prevenzione sia di responsabilità di tipo gestionale in ordine alla razionale e corretta programmazione e gestione della risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti»;
   questa norma consente che alla guida di dipartimenti dedicati a una specifica branca della medicina vengano nominati dirigenti medici sì afferenti ad essi come responsabili delle strutture complesse in esso aggregate, ma allo stesso tempo specializzati in settori della ricerca e della scienza che non hanno a che fare con l'oggetto dell'attività clinica e operativa dei dipartimenti stessi;
   già nella passata legislatura, con l'interrogazione n. 4/11063 rivolta al Ministro della salute pro-tempore, l'interrogante aveva posto la questione in relazione alla guida delle unità operative di medicina della riproduzione;
   come sopra riportato, tra le responsabilità indicate dal decreto legislativo n. 502 del 1992 in capo ai direttori di dipartimento vi sono anche quelle relative alla materia clinico-organizzativa e della prevenzione; un elemento, questo, che a parere dell'interrogante — fermi restando l'autonomia organizzativa delle Aziende sanitarie e il rispetto della normativa in vigore — dovrebbe far riflettere –:
   se il Ministro interrogato ritenga di assumere iniziative, anche di carattere normativo, in relazione a quanto esposto in premessa, nell'ottica di garantire anche in capo alle figure dirigenziali, per quanto di fatto molto spesso preposte essenzialmente a funzioni di carattere gestionale-organizzativo, le necessarie competenze mediche in relazione alle attività effettivamente svolte nei rispettivi dipartimenti delle aziende sanitarie;
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle sue competenze e al fine di delineare un quadro compiuto circa le modalità di attuazione dell'417-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, ritenga opportuno promuovere una ricognizione sulla corrispondenza tra le materie afferenti ai singoli dipartimenti delle aziende ospedaliere italiane e quelle su cui hanno diretta competenza professionale i rispettivi direttori in carica. (4-17579)


   CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, l'utilizzo della cannabis e dei suoi componenti a fini terapeutici è una pratica legale, la cui efficacia è stata riconosciuta per la prima volta con un decreto ministeriale del 2007, con l'inserimento di due farmaci analoghi di origine sintetica nella «tabella dei medicinali»;
   nel 2013, con un ulteriore decreto, è stata riconosciuta la liceità dell'uso farmacologico dell'intera pianta della cannabis, con il parere favorevole dell'Istituto superiore della sanità, del Consiglio superiore di sanità e del dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   nel 2015 vennero introdotti vincoli e restrizioni all'uso della cannabis a fini terapeutici, con conseguenze negative sulle cure dei pazienti;
   nel giugno del 2017, un ulteriore decreto del Ministro interrogato stabiliva un prezzo imposto per la cannabis terapeutica pari a 9 euro al grammo;
   in Italia, decine di migliaia malati utilizzano la cannabis e i suoi componenti per trattare numerose patologie, tra le quali figurano gravi malattie neurologiche, tumori, nausea e vomito da chemioterapia, aids; dal 2014 al 2016 il consumo di cannabis a fini terapeutici è aumentato da venti chilogrammo all'anno a oltre cento, secondo le stime più conservative;
   con l'intento di attuare un approccio industriale al settore, così da costruire un apparato produttivo capace di abbattere i costi di importazione, dal gennaio 2017 è possibile acquistare la cannabis «Fm2», prodotta nello stabilimento militare di Firenze, autorizzato dal Governo alla coltivazione;
   nelle prima settimane in cui i pazienti hanno cominciato a fare uso di «Fm2» si sono concentrare numerose critiche sugli effetti terapeutici di detta qualità; il colonnello Antonio Medica, direttore dello stabilimento di Firenze, ha da subito precisato che «da un punto di vista clinico, è l'interazione di tutti gli elementi, e non solo l'azione di thc e cannabidiolo (cbd), a conferire alla cannabis la sua efficacia terapeutica complessiva. Ed è proprio questa complessità quella che porta a una differente ricezione da parte di ogni singolo paziente. Inoltre, l'effetto finale non è dato solo dalla coltivazione, ma anche dal tipo di preparazione galenica fatta nei laboratori delle farmacie. Nessuno di noi ha mai detto che saremmo usciti sul mercato con un prodotto impeccabile, per questo le critiche che riceviamo ci aiutano»;
   come denunciato da Il Fatto Quotidiano, con la fissazione del prezzo della cannabis terapeutica a 9 euro al grammo, molte farmacie hanno smesso di vendere tale farmaco, a causa dei costi di approvvigionamento troppo elevati, che quindi non rendono remunerativo l'investimento;
   lo stesso quotidiano denuncia le enormi difficoltà di approvvigionamento sia per quanto riguarda la cannabis «italiana» «Fm2» sia per la cannabis di importazione;
   l'efficacia terapeutica della cannabis varia da paziente a paziente e da qualità a qualità, rendendo perciò assolutamente determinante la possibilità di scelta tra differenti qualità per ottenere il miglior effetto terapeutico possibile;
   numerose persone che soffrono per malattie i cui sintomi sono trattabili con i cannabinoidi, stanno denunciando le estreme difficoltà nel reperire tali farmaci, nonostante siano stati regolarmente prescritti –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se non ritenga urgente promuovere una riforma del settore riguardante la cannabis terapeutica, facendo in modo che venga distribuita con le medesime modalità degli altri farmaci per i quali è prevista l'erogazione attraverso il sistema sanitario nazionale;
   se non ritenga opportuno, per rendere effettiva la possibilità di scelta tra differenti qualità di cannabis, assumere iniziative per liberalizzare l'importazione di quei farmaci a base di cannabinoidi in possesso dei requisiti farmacologici di sicurezza richiesti;
   in che modo si preveda di garantire la continuità terapeutica alle persone che utilizzano farmaci a base di cannabinoidi. (4-17590)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERROSI e MAZZOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel 1993 Enel venne autorizzata alla costruzione e all'esercizio nel comune di Latera (Viterbo) di una centrale geotermoelettrica da 45 megawatt;
   l'attività iniziata nel giugno 1999 venne interrotta poco dopo. I gas incondensabili non più reimmessi nel sottosuolo ma liberati in aria, come da variante di progetto realizzata in corso di costruzione, ricchi principalmente in acido solfidrico, furono causa di nocumento agli abitanti di Latera e dei comuni limitrofi come testimoniano le molte lettere dei sindaci del comprensorio, i certificati medici presentati, le numerose perizie e i pareri prodotti;
   Enel spa, società in quel momento titolare della concessione mineraria, decise di interrompere l'attività della centrale abbandonandola e con essa gli impianti serricoli e le vasche per la itticoltura che avrebbero dovuto essere riscaldati con il calore cogenerato e che avrebbero dovuto garantire numerosi posti di lavoro;
   sembrerebbe che, con istanza alla regione Lazio del 31 agosto 2004, Enel spa abbia rinunciato al titolo di concessione di coltivazione dei fluidi geotermici per scopi energetici nel territorio del comune di Latera;
   nel 2007 Enel produzione spa, alla quale i titoli minerari erano stati trasferiti nel 2005, dovrebbe aver presentato allo stesso Comune di Latera, istanza per procedere alla chiusura dei pozzi geotermici ed alla conseguente dismissione degli impianti oltre al ripristino dei siti;
   nel 2011 Enel Green Power spa, alla quale furono trasferiti i titoli minerari nel 2009, ha richiesto l'allineamento temporale della concessione mineraria denominata «Valentano» fino all'anno 2024, ai sensi dell'articolo 7 e dell'articolo 16 comma 10, del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22 e successive modificazioni e integrazioni e con determina del dipartimento programmazione economica e sociale n. B8497 dell'11 novembre 2011 è stata accolta l'istanza di cui sopra altresì attestando che «la Società Enel Green Power S.p.A. in attesa del perfezionamento dell'iter amministrativo relativo al rinnovo della Concessione mineraria di cui trattasi è tenuta a manutendere il bene minerario e le sue pertinenze secondo il principio del buon padre di famiglia»;
   la centrale geotermica e gli impianti, a quanto consta agli interroganti, sono rimasti da allora, e permangono ancora, nel più totale abbandono e degrado, senza che vi sia stata né la dismissione degli impianti né il ripristino dei siti né la corresponsione di alcun risarcimento eventualmente stabilito tra le parti. Sicuramente senza che si sia provveduto alla benché minima opera di manutenzione del bene minerario e delle sue pertinenze secondo il principio del buon padre di famiglia;
   Enel Green Power spa, ha inoltre presentato nel 2016 istanza per la riperimetrazione dell'area della Concessione mineraria denominata «Valentano», ottenendo una riduzione dell'area in concessione da 111,15 chilometri quadrati a 74,14 chilometri quadrati;
   la società Latera Sviluppo ha presentato al Ministero dello sviluppo economico istanza per la realizzazione di un impianto pilota geotermico nella porzione di concessione ceduta da EGP, accettata con riserva per saturazione, ad oggi, della quantità di megawatt disponibili per questa tipologia di impianto;
   la provincia di Viterbo attualmente è potenzialmente interessata da due progetti geotermici pilota, e da tre progetti ad autorizzazione regionale –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, affinché la società titolare della concessione proceda al ripristino dei luoghi come previsto all'atto del prolungamento della concessione stessa, nonché alla corresponsione del giusto risarcimento che tenga conto del danno ambientale, paesaggistico, economico, causato al territorio, prima di eventualmente procedere con nuovi insediamenti;
   se si intenda mettere in atto ogni iniziativa utile, per quanto di competenza, affinché il territorio mantenga la propria vocazione improntata alla valorizzazione delle eccellenze agricole, ambientali, paesaggistiche e culturali, scongiurando la potenziale installazione di ben sei centrali per lo sfruttamento geotermico. (5-12030)


   BOCCUZZI e MICCOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come ampiamente riportato dagli organi di informazione nazionali e locali, nelle ultime settimane, la società Fincantieri ha proceduto al richiamo al lavoro di una decina di ex operai, già in pensione dal 2013;
   tali maestranze erano state poste in quiescenza anticipata, beneficiando delle disposizioni previdenziali previste a favore dei lavoratori esposti all'amianto;
   la direzione aziendale ha motivato tale soluzione organizzativa con la necessità di gestire un eccezionale picco di lavoro che si dovrebbe protrarre fino ai primi mesi del 2018. Tale esigenza ha coinciso con gli inizi di luglio e l'avvio della costruzione della Carnival Cruise, una città galleggiante da 325 metri di lunghezza e oltre 1.900 cabine passeggeri. Si tratta della terza mega nave da crociera che viene commissionata a Fincantieri nel giro di pochi mesi;
   secondo quanto si apprende dagli stessi dati forniti dalla società Fincantieri, i risultati gestionali confermano gli obiettivi del piano industriale 2016-2020 per quanto concerne i ricavi e il carico di lavoro complessivo, con ordini e accordi firmati nei primi mesi del 2017 relativi ad un totale di 19 navi da crociera;
   anche tenuto conto di tali dati e delle prospettive del gruppo, nonché dell'alto tasso di disoccupazione che si registra nella sola provincia di Venezia, con circa 27.000 lavoratori in cerca di occupazione, le rappresentanze sindacali aziendali aderenti alla Fiom-Cgil e alla Fim-Cisl hanno stigmatizzato il ricorso a personale già in pensione, evidenziando, a loro dire, l'incapacità aziendale di affrontare commesse crescenti con una razionale programmazione delle assunzioni dei tanti giovani in cerca di occupazione presenti nel territorio veneziano;
   del resto, a parere degli interroganti, le stesse caratteristiche della produzione cantieristica di grandi navi da crociera, mal si concilia con l'idea di imprevisti ed immediati picchi lavorativi, altrimenti non gestibili se non con il ricorso a personale in pensione;
   per di più, desta non pochi dubbi di opportunità intergenerazionale l'idea di richiamare in servizio del personale che ha potuto beneficiare di misure di prepensionamento, soprattutto se ad adottare tali soluzioni organizzative è un'impresa il cui capitale sociale è interamente detenuto da Cassa depositi e prestiti –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione a quanto sommariamente indicato in premessa e quali iniziative di competenza intendano adottare, pur nel rispetto delle prerogative imprenditoriali, al fine di verificare se vi siano le condizioni per attuare una politica di gestione del personale volta alla valorizzazione ed al riconoscimento delle professionalità esistenti ed all'incremento della base occupazionale, anche attraverso la re-internalizzazione di lavorazioni date in appalto. (5-12033)

Interrogazione a risposta scritta:


   AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Comital s.r.l. di Volpiano, di proprietà della francese Aedi, specializzata nella lavorazione dell'alluminio per l'industria farmaceutica e alimentare, ha annunciato in maniera inattesa il 28 luglio 2017 la chiusura dello stabilimento e il licenziamento collettivo dei 138 dipendenti, mentre il 1o agosto ha annunciato la messa in liquidazione volontaria della società;
   l'azienda ha motivato la chiusura spiegando che essa «versa ormai da tempo in una difficile situazione sotto il profilo economico, patrimoniale e finanziario. In particolare si evidenzia che, negli esercizi 2015 e 2016 la società ha chiuso il bilancio con rilevanti perdite di esercizio. A fronte di tali perdite la proprietà ha più volte rifinanziato la società per far fronte alla difficile situazione economico/finanziaria, nella prospettiva di avviare un piano industriale di rilancio delle attività. Nonostante gli sforzi profusi per ricercare una soluzione per il rilancio aziendale, costituiti da investimenti economici posti in essere per acquisto di macchinari supplementari e assunzione di nuove risorse professionali, i dati intermedi dell'esercizio in corso, relativi ai primi sei mesi dell'anno, denotano un aggravamento della perdita, con nessuna previsione di inversione di tendenza per quanto attiene al futuro»;
   la Comital, in realtà, non è un'azienda in crisi: ha 3-4 milioni di euro di rosso, ma un fatturato 20 volte più grande e un capitale sociale di 10 milioni. Nella prima metà di luglio tutti i lavoratori avevano già scioperato per tre giorni per sollecitare l'azienda a presentare un credibile piano industriale in grado di rilanciare l'attività produttiva, ma questo non era mai arrivato;
   l'incertezza era emersa anche al tavolo avviato dalla regionale Piemonte tra la dirigenza dello stabilimento, dei sindacati e dell'amministrazione comunale, per avere chiarezza sul piano industriale e comprendere le prospettive future dello stabilimento piemontese, ma al tavolo la proprietà era rimasta assente;
   condividendo le dichiarazioni dei rappresentanti della Fiom di Torino, è inaccettabile che siano licenziati tutti i lavoratori da parte di un'azienda che ha prodotti e mercato, facendo pagare a chi lavora l'incapacità di chi ha gestito l'impresa in questi anni;
   il comportamento della proprietà francese, che non ha mai mostrato in alcun modo di voler salvare la Comital, è di assoluta novità. La proprietà della Comital fino a due anni fa era di Corrado Ariaudo, che ha ceduto alla Aedi il ramo di attività della laminazione, conservando però la proprietà degli immobili industriali del sito di Volpiano e dei marchi Cuki, Domopack, Arifles, Fts. La vendita del ramo d'impresa e ora la chiusura, all'interrogante appaiono come un tentativo dell'imprenditore di massimizzare il profitto con la vendita «spacchettata» dell'azienda e la volontà della nuova proprietà di trasferire in Francia o altrove la produzione a tutto danno e detrimento dell'economia italiana, del territorio di Volpiano e della distruzione dei posti di lavoro, delle competenze professionali e delle capacità produttive in un territorio che ha già pagato duramente la crisi di questi anni;
   i lavoratori Comital, riuniti in assemblea il 31 luglio, hanno deciso il presidio permanente dell'azienda per opporsi alla cessazione dell'attività e al licenziamento;
   la regione Piemonte già a giugno 2017 aveva dichiarato la propria disponibilità a mettere in campo gli strumenti a propria disposizione per salvaguardare i posti di lavoro e la produzione sul territorio, ma va revocata la decisione di chiudere l'azienda –:
   quali iniziative e strumenti di competenza intendano attivare i Ministri interrogati per impedire la chiusura della Comital s.r.l., salvaguardando la produzione sul territorio di Volpiano e i posti di lavoro e impedendo il danneggiamento dell'economia italiana. (4-17586)

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Zaccagnini n. 7-01274, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lacquaniti.

  La risoluzione in Commissione Fabbri e altri n. 7-01313, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Iacono, Ventricelli.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Narduolo e altri n. 4-17515, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 luglio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Malisani.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Daga e altri n. 5-12007, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 luglio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Spessotto.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Roberta Agostini n. 4-17077 del 27 giugno 2017;
   interrogazione a risposta scritta Andrea Maestri n. 4-17335 del 14 luglio 2017;
   interrogazione a risposta scritta Placido n. 4-17404 del 20 luglio 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Fantinati n. 5-12015 del 1o agosto 2017.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BASILIO, ALBERTI, COMINARDI, SORIAL, SEGONI, DE ROSA e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   Brescia risulta essere una delle città più inquinate d'Europa;
   i bacini fluviali vengono deliberatamente utilizzati come canali per sversamenti di sostanze chimiche e tossiche utilizzate dalle aziende nei loro cicli produttivi;
   il comune di Lumezzane in provincia di Brescia è attraversato da un piccolo torrente, il Gobbia, oggetto di monitoraggio da parte dell'ARPA per la scarsa qualità delle sue acque. L'affluente del fiume Mella risulta da decenni altamente inquinato, sia per la mancanza di un depuratore per le acque reflue urbane, sia per gli sversamenti illegali che alcune aziende locali commettono;
   dal rapporto annuale 2012 – «stato delle acque superficiali della provincia di Brescia» di ARPA Lombardia, il Gobbia viene classificato come «stato ecologico scarso» e come «stato chimico non buono»;
   i valori degli agenti inquinanti nel fiume Mella mostrano un peggioramento rilevante dopo la confluenza del Gobbia nello stesso;
   le numerose aziende galvaniche lumezzanesi determinano un impatto ambientale evidente;
   il 18 ottobre 2010 è stata rilevata nel torrente una concentrazione di nichel pari a 990 μg/l;
   pur evidenziando un trend in diminuzione, le concentrazioni misurate superano costantemente i 20 μg/l (concentrazione limite come media annuale);
   il cromo esavalente presente nelle acque del Gobbia è costantemente superiore a 5 μg/l concentrazione massima ammissibile;
   il Fuori scala del 13 aprile 2011 ha evidenziato una concentrazione di 364 μg/l;
   il cromo esavalente «sulla base di evidenze sperimentali ed epidemiologiche è stato classificato dalla IARC come cancerogeno per l'uomo (classe I)» (Fact sheet: «Cromo esavalente», Ispesl, dipartimento di medicina del lavoro, Centro ricerche Parma CERT);
   diversi studi hanno dimostrato che è molto tossico se ingerito o se i fumi vengono respirati –:
   di quali elementi dispongano in merito alla situazione descritta in premessa e se intendano disporre un'ispezione per il tramite del comando dei carabinieri per al tutela dell'ambiente anche al fine di comprendere le fonti del citato inquinamento;
   se intendano promuovere per il tramite dell'Istituto superiore di sanità un'approfondita indagine epidemiologica per valutare e qualificare gli effetti dell'inquinamento del torrente sulla salute dei cittadini. (4-04536)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dai competenti enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, la regione Lombardia fa presente che lo stato qualitativo dei corsi d'acqua Gobbia e Mella è monitorato con continuità da Arpa all'interno del programma di monitoraggio previsto in attuazione della direttiva quadro acque (2000/60/Ce) e secondo quanto definito nel piano di gestione del distretto idrografico del Po. Tale programma è attivo dal 2009.
  Dopo i primi 6 anni di monitoraggio (2009/14) si è proceduto alla classificazione dei corpi idrici identificati con il piano suddetto, che ha dato i risultati che seguono.
  Per quanto riguarda il torrente Gobbia, la regione segnala che lo stesso affluisce nella parte alta del terzo corpo idrico del Mella. Il Gobbia è stato classificato in stato ecologico scarso e stato chimico non buono. I parametri che fanno scadere lo stato ecologico scarso sono le diatomee (unico parametro biologico monitorato) e il LIMeco. Tra gli inquinanti chimici a sostegno della classificazione ecologica si sono individuati tre componenti con valori superiori agli Standard di Qualità Ambientale (SQA): ampa, glifosate e cromo. Tra gli inquinanti chimici che concorrono a determinare lo stato chimico non buono si ritrovano nichel e piombo, con valori superiori agli SQA (media annua). In effetti, la qualità del terzo corpo idrico in cui è articolato il Mella sembra risentire proprio degli apporti del Gobbia: infatti il LIMeco passa da elevato (nel primo e nel secondo corpo idrico) a scarso nel terzo corpo idrico, quello successivo all'affluenza del Gobbia. Inoltre, si ritrovano alcune sostanze, presenti nel Gobbia, sopra gli SQA anche in questo terzo corpo idrico, sia per quanto riguarda gli elementi chimici a sostegno dello stato ecologico (ampa, glifosate e cromo), sia per quanto riguarda gli elementi chimici che determinano lo stato chimico (nichel).
  Per quanto concerne l'organizzazione del servizio idrico integrato nell'agglomerato di Lumezzane, la stessa regione Lombardia segnala che lo stesso è compreso nella procedura di infrazione comunitaria n. 2014/2059, per l'assenza delle infrastrutture di fognatura, collettamento e depurazione. È tale carenza a costituire la causa prevalente delle criticità dei corpi idrici che attraversano l'area.
  Al fine di porre rimedio alla situazione sopra descritta, con deliberazione del consiglio provinciale di Brescia n. 12 del 30 marzo 2015 e con la successiva deliberazione n. 33 del 28 ottobre 2016, che ha approvato il Piano d'ambito, è stata programmata la realizzazione dei seguenti interventi:
   1) intervento «IC01709601001A» di «Realizzazione del collettore Sarezzo-Lumezzane (stralcio A)» per un importo di 2.540.065,90 euro (concluso il 18 settembre 2015);
   2) intervento «IC01709601001B» di «Realizzazione del collettore Sarezzo-Lumezzane (stralcio B)» per un importo di 2.493.640,87 euro (data inizio lavori prevista: 31 maggio 2017. Data fine lavori prevista: 31 maggio 2018);
   3) intervento «IC01709601001C» di «Realizzazione del collettore Sarezzo-Lumezzane (stralcio C)» per un importo di 2.532.856,10 euro (data inizio lavori prevista: 30 giugno 2018. Data fine lavori prevista: 30 giugno 2019);
   4) intervento «IC01709601001D» di «Realizzazione del collettore Sarezzo-Lumezzane (stralcio D)» per un importo di 187.944,75 euro (data inizio lavori prevista: 31 gennaio 2020. Data fine lavori prevista: 31 maggio 2020);
   5) intervento «IC01709601002» di «Collettamento dei terminali fognari in ambiente (n. 163) dell'agglomerato verso l'impianto di depurazione della Valle Trompia» per un importo di 42.650.000,00 euro (data inizio lavori prevista: 30 settembre 2022. Data fine lavori prevista: 30 settembre 2030);
   6) intervento «ID01706101001A» di «Costruzione dell'impianto di depurazione della Valle Trompia (1o lotto)» (a Concesio) per un importo di 26.761.575,74 euro (data inizio lavori prevista: 1o marzo 2018. Data fine lavori prevista: 31 dicembre 2019);
   7) intervento «ID01706101001B» di «Costruzione dell'impianto di depurazione della Valle Trompia (2o lotto)» (a Concesio) per un importo di 6.861.575,26 euro (data inizio lavori prevista: 30 gennaio 2025. Data fine lavori prevista: 30 settembre 2025).

  Gli interventi 1), 2), 3) e 4) si riferiscono alla realizzazione del collettore per collegare la rete fognaria di Lumezzane al futuro depuratore della Valle Trompia (a Concesio). L'intervento 5) si riferisce alla realizzazione completa della rete fognaria del territorio di Lumezzane. Gli interventi 6) e 7) alla realizzazione del depuratore di Valle Trompia (a Concesio).
  Secondo quanto riferito dalla regione, la pianificazione vigente prevede, infatti, che la depurazione dei reflui fognari sia effettuata in «loco» attraverso un impianto di depurazione da costruirsi in Valle Trompia e più precisamente a Concesio. Il sistema di collettamento sarà a servizio dei Comuni di Bovegno, Pezzaze, Tavernole sul Mella, Marmentino, Lodrino, Marcheno, Gardone Val Trompia, Sarezzo, Lumezzane, Polaveno, Villa Carcina e Concesio (in parte), mentre la parte restante di Concesio confluirà al depuratore di «Brescia-Verziano» attraverso il sistema fognario di Brescia. Gli abitanti equivalenti che saranno trattati dal nuovo impianto sono 88.353 civili e 49.755 industriali per un totale di 138.108 A.E.
  La regione ha fatto, altresì, presente che le previsioni sopra riportate relative alle tempistiche di realizzazione degli interventi sono state ipotizzate tenuto conto delle disponibilità economiche costruite impiegando gli incrementi di tariffa massimi consentiti dall'autorità di regolazione, tenuto conto che nell'Ato di Brescia sono numerosi gli agglomerati oggi compresi nella procedura di infrazione.
  Inoltre, la stessa ha segnalato che, oltre a vincoli di natura economico/finanziaria, vanno tenuti presenti anche vincoli di natura tecnico/realizzativa: gli interventi (dovendo agire in un territorio già significativamente urbanizzato) devono svilupparsi infatti secondo un criterio di consequenzialità e di compatibilità con esigenze di mobilità intracomunale.
  Secondo quanto riferito da Arpa Lombardia, nell'ambito dell'attività di monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee svolto dall'Agenzia e finalizzato alla classificazione dello stati di qualità ecologico e chimico delle acque ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, la stessa monitora il torrente Gobbia presso la stazione di Sarezzo (BS), appartenente alla rete regionale di monitoraggio dei corsi d'acqua. A valle dell'immissione nel fiume Mella viene monitorata la stazione di Villa Carcina (BS). I campionamenti sono effettuati con frequenza mensile o trimestrale, sulla base del parametro d'interesse, secondo un programma di monitoraggio triennale e/o sessennale relativo all'intero territorio regionale, come previsto dalle norme di settore.
  Le stazioni predette sono state sottoposte nel sessennio 2009-2014 ad un monitoraggio operativo ai sensi del decreto ministeriale n. 260 del 2010, per la classificazione dello stato ecologico e dello stato chimico. Per la definizione dello stato ecologico concorrono i dati relativi a: elementi di qualità biologica; elementi chimico-fisici a sostegno degli elementi biologici; elementi chimici a sostegno degli elementi biologici, costituiti da inquinanti chimici specifici per i quali viene definito uno standard di qualità ambientale.
  Lo stato chimico di un corpo idrico, invece, è definito dalla presenza di sostanze appartenenti all'elenco di priorità che include sostanze pericolose prioritarie, sostanze prioritarie e altre sostanze, per le quali sono stabiliti standard di qualità ambientale rispetto ai quali si confrontano i dati del monitoraggio.
  Nel novembre 2011, inoltre, l'Arpa ha avviato la sperimentazione di un sistema di monitoraggio in continuo dell'inquinamento del torrente Gobbia e dei suoi immissari in Lumezzane, basato su quattro centraline mobili dotate di sensori wireless. Le centraline, posizionate in punti nevralgici, rilevano in tempo reale le alterazioni della conducibilità elettrica e della temperatura del corpo idrico e segnalano l'evento ad un operatore che coordina un intervento in loco tempestivo al fine di inseguire a monte la coda dell'alterazione ed individuarne la causa. Partecipano al progetto il comune e le guardie ecologiche di Valle Trompia. Nel 2016, una linea di monitoraggio è venuta meno ed è stata sostituita dal comune con una nuova linea, dotata anche di sensori ottici.
  Arpa segnala, infine, che dalle analisi effettuate dal 2010 al 2016, è stata riscontrata un'oggettiva diminuzione della concentrazione media annua del cromo totale nel torrente Gobbia, nel suo tratto terminale in Sarezzo.
  L'Agenzia di tutela della salute (ATS) di Brescia fa presente che il cromo esavalente è un cancerogeno certo per l'uomo attraverso la via inalatoria (esposizione di tipo prevalentemente professionale), mentre non vi sono evidenze conclusive sulla possibile cancerogenesi del cromo esavalente per via orale. Vi sono anche effetti non cancerogeni in relazione alla via di esposizione che sono a carico, soprattutto, dell'apparato respiratorio (irritazione delle mucose) e gastro-intestinale (nausea, vomito, diarrea, dolore addominale, ulcere), oltre a disturbi di tipo allergico (allergie, asma, dermatite, eczema).
  L'Agenzia evidenzia, inoltre, che l'esecuzione di uno studio epidemiologico, che valuti le conseguenze sulla salute umana del suddetto inquinamento, appare assai problematico per le seguenti ragioni:
   il torrente Gobbia è recettore di 163 scarichi non depurati sui 163 decadenti dalle attività produttive e dagli abitanti del comune di Lumezzane. Questo dato è ben noto a tutti gli enti e agli amministratori che, a titolo diverso, si sono occupati delle acque reflue della Valle Trompia. Inoltre, l'Ats, ormai da molti anni, conoscendo il problema dell'assenza di depuratori non solo a Lumezzane ma in tutta la media e bassa Valle Trompia, controlla la qualità delle acque destinate al consumo umano, effettuando monitoraggi per cromo esavalente e solventi nei punti rete degli acquedotti comunali, garantendo la qualità delle acque che bevono i cittadini residenti nell'area di interesse. Pertanto, nonostante il predetto inquinamento, la potabilità delle acque è stata ed è garantita. Sono stati, altresì, chiusi i pozzi con concentrazioni superiori alla norma e, quindi, uno studio epidemiologico sulla popolazione per mostrare gli effetti sulla salute dell'assunzione di acqua con concentrazione di cromo esavalente nei limiti di legge, non appare efficace;
   le richieste di limiti più stringenti per i livelli di cromo esavalente nell'acqua potabile non si basano su studi epidemiologici di popolazione, ma su modelli sperimentali di attribuzione del rischio in cui il fattore di precauzione gioca un ruolo chiave.

  Infine, l'agenzia ritiene che la realizzazione del depuratore della Valle Trompia, precedentemente segnalata, rappresenti lo strumento per la risoluzione del problema dell'inquinamento da cromo esavalente del torrente Gobbia e del fiume Mella.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, tenendo alto il livello di attenzione sulla questione, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'8 febbraio 2017, durante un incontro con i cittadini di Città Giardino, frazione di Melilli (Siracusa), la prima firmataria del presente atto ha raccolto le preoccupazioni dei genitori della locale scuola primaria di recente costruzione;
   i genitori sono preoccupati per la presenza di cantieri esterni all'edificio scolastico, per lo stato della struttura interna che presenterebbe criticità riguardanti la sicurezza dei bambini e per la mancanza delle porte dei bagni, cosa, quest'ultima, che avrebbe creato riluttanza da parte di alcuni studenti a recarsi a lezione, poiché i più fragili tra loro, non potendo usufruire del bagno, sono stati incapaci di trattenere la minzione per tutto il periodo di lezione con conseguente imbarazzo;
   sul sito ilponteweb.it è presente un filmato che mostra immagini dello stato in cui versa la struttura scolastica di cui sopra;
   in Sicilia si registra il dato più di alto abbandono scolastico del Paese;
   quasi 1 giovane siciliano su 4 tra i 18 e i 24 anni (24,3 per cento) interrompe gli studi precocemente fermandosi alla licenza media inferiore, a fronte e una media nazionale del 14,7 per cento;
   circa un alunno quindicenne siciliano su 3 non raggiunge le competenze minime in matematica e in lettura e più di un bambino o ragazzo su 2 (tra 6 e 17 anni) non legge neanche un libro all'anno;
   non è solo personale opinione degli interroganti che l'ambiente sociale, politico e ambientale sia il primo fattore da tenere in considerazione per abbattere questi numeri, che pesano come dei macigni sul futuro dei siciliani e degli italiani tutti;
   se si vuole far amare lo studio ai ragazzi, occorre dare agli stessi un ambiente dignitoso in cui crescere, studiare e formarsi come cittadini –:
   se i Ministri interrogati ritengano opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per inviare gli ispettori ministeriali presso la scuola primaria di Città Giardino, frazione di Melilli (Siracusa), ai fini dell'adozione di ogni iniziativa di competenza in merito ai fatti di cui sopra. (4-15556)

  Risposta. — Sulla questione rappresentata dall'interrogante, concernente alcune criticità inerenti lo stato di sicurezza delle alunne e degli alunni della scuola primaria di Città Giardino, frazione di Melilli (Siracusa), sono stati acquisiti, per il tramite dell'Ufficio scolastico regionale per la Sicilia, i seguenti elementi informativi forniti dal XII istituto comprensivo «V. Brancati» di Siracusa, da cui dipende il plesso di Città Giardino.
  In particolare, si evidenzia che il plesso della scuola primaria di Città Giardino, fin dal 27 novembre 2016, data dell'inaugurazione, non ha mai presentato cantieri nell'area circostante l'edificio scolastico. Alcune porzioni di terreno delle zone laterali e la parte retrostante a sud non sono in uso poiché il comune di Melilli, ente locale proprietario, non ha completato il posizionamento delle aree a verde previste dal progetto; comunque, tali zone sono delimitate e non costituiscono pericolo per le alunne e per gli alunni.
  La scuola confina ad est con il cortile del plesso della scuola dell'infanzia «L. Annino» e ad ovest con un'area in cui è prevista la realizzazione di un parcheggio che, a sua volta, confina con la parrocchia di San Bartolomeo. A nord il cancello di ingresso si apre su via Pirandello, ampia strada comunale sulla quale si affacciano numerose villette ed il centro anziani comunale. In nessuno di questi luoghi, si sottolinea, vi sono cantieri in corso.
  Inoltre, i servizi igienici, maschili e femminili, sono dotati di porte esterne di accesso e le alunne e gli alunni usufruiscono con molta tranquillità di tali servizi; peraltro, alle alunne e agli alunni con particolari esigenze viene garantito l'utilizzo dei servizi destinati ai docenti.
  Infine, si informa che nel plesso della scuola primaria di Città Giardino, la frequenza delle alunne e degli alunni è assidua e non si sono registrati casi di dispersione scolastica.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   BENEDETTI, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, TOFALO, VACCA, ROSTELLATO, SPESSOTTO, DA VILLA, L'ABBATE, GAGNARLI, D'AMBROSIO, COLLETTI, MUCCI, FERRARESI, SARTI, TURCO, D'INCÀ, SORIAL, PISANO, VILLAROSA, BARBANTI, ALBERTI, PAOLO BERNINI, RIZZO, FRUSONE e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 12 settembre a Vasto (Chieti) si sono spiaggiati 7 capodogli, di cui 3 morti e 4 salvati grazie ai cittadini e alla marineria vastese; la presenza di gas nel sangue dei mammiferi fa supporre che la causa siano le ricerche di idrocarburi nell'Adriatico, la cui tecnica di ispezione air-gun provoca esplosioni che danneggiano i mammiferi;
   con atto n. 4-03492 dell'11 febbraio 2014 si interrogavano i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e degli affari esteri relativamente alle scansioni avviate dal Governo croato in Adriatico, elencando gli studi che dimostrano come le tecniche di prospezione danneggino gli «abitanti del mare» e chiedendo garanzie a difesa del patrimonio marino;
   si prevede che, per valorizzare i non trascurabili giacimenti di idrocarburi presenti sul territorio nazionale, vengano sbloccati investimenti, ipotizzabili in 15 miliardi di euro, vengano semplificate le procedure di rilascio dei titoli minerari, e tolto agli enti locali il potere di veto sulle trivellazioni;
   si tratta di un giro di affari che attirerà gli interessi economici di un considerevole numero di imprese già operanti e di tutte quelle nuove compagnie che faranno presto a essere qualificate come «petrolifere»;
   le nuove procedure di semplificazione che si prospettano potrebbero comportare il diffondersi rapidamente di trivelle in mare che dall'Alto Adriatico (dove ne sono già previste 19) proseguirebbero lungo tutta la dorsale, fino alla Sicilia. In tutto potrebbero essere sbloccate 44 istanze per permesso di ricerca e 9 istanze di coltivazione depositate dalle compagnie, che si andrebbero ad aggiungere alle 105 piattaforme e ai 366 pozzi attivi oggi nell’offshore italiano. Solo nell'Adriatico centro meridionale sono oltre 12.290 i chilometri quadrati interessati da permessi di ricerca, istanze di coltivazione o per nuove attività di esplorazione di petrolio che si aggiungono alle 8 piattaforme già attive e da cui nel 2013 sono state estratte 422.758 tonnellate di greggio;
   il rischio per il nostro Paese è il moltiplicarsi incontrollato di nuove piattaforme e nuovi giacimenti, che preoccupa esperti e associazioni ambientaliste. Gli operatori economici, dai proprietari di alberghi ai viticoltori, sono inoltre preoccupati dell'impatto economico negativo su produzioni di qualità e turismo che garantiscono il sostentamento per centinaia di migliaia di lavoratori;
   negli ultimi due anni sono scesi in piazza diocesi, enti locali, regioni, associazioni di categoria dei commercianti ed esercenti, per difendere settori economici che saranno gravemente impattati con conseguenti perdite di posti di lavoro, sacrificati sull'economia del passato che, peraltro, è a bassissima intensità di lavoro;
   è dimostrato infatti che le trivellazioni, per ogni milione di euro investito, portano 0,5-0,8 posti di lavoro, mentre l'agricoltura, il commercio e il turismo hanno moltiplicatori economici 10 volte maggiori; a dimostrazione di ciò si porta l'esempio della Basilicata che dal 1998 è stata trasformata in un distretto petrolifero e a 16 anni da questa scelta gli indicatori economici sono tra i peggiori d'Italia, con un'emigrazione costante di migliaia di persone che evidentemente non traggono beneficio dai pozzi di petrolio e dalle centrali di raffinazione che invece scoraggiano la nascita del turismo e danneggiano le produzioni agricole di qualità;
   il recente rapporto annuale della World Meteorological Organization indica che il 2013 è stato l'anno più inquinato degli ultimi trent'anni facendo registrare un nuovo record nella presenza di anidride carbonica e altri gas effetto serra nell'atmosfera terrestre; si starebbe inoltre verificando un'acidificazione senza precedenti degli oceani e quindi della loro capacità di assorbire la stessa CO2;
   il volume di anidride carbonica, il principale gas a effetto serra emesso dalle attività umane, presente nell'atmosfera terrestre, nel 2013 è stato pari a 396 parti per milione (Ppm), 2,9 Ppm in più rispetto al 2012. Si tratta del più grande aumento dal 1984, ovvero da quando la situazione mondiale è monitorata in maniera affidabile. Il secondo gas serra più importante, il metano (meno diffuso, ma molto più potente) ha continuato a crescere ad un ritmo simile a quello degli ultimi cinque anni, raggiungendo una media mondiale di 1.824 parti per miliardo (Ppb). L'altro principale gas dannoso, il protossido di azoto, ha raggiunto 325,9 Ppb, ma la sua crescita è rimasta stabile e nella media negli ultimi dieci anni;
   il segretario generale del WMO, Michel Jarraud, a proposito del rapporto annuale Greenhouse Gas, ha dichiarato che «senza alcun dubbio il nostro clima sta cambiando, sta diventando sempre più estremo e la causa sono le attività umane, come la combustione di carbone fossile. Le emissioni di CO2 del passato, quelle di oggi e del futuro si accumuleranno e avranno un impatto globale sia sul surriscaldamento che sull'acidificazione degli oceani. Le leggi della fisica non sono negoziabili, sta scadendo il tempo –:
   se alla luce degli studi scientifici, degli obiettivi del «Piano 20-20-20» approvato nel marzo 2007 dai Governi europei e della recente denuncia del WMO, non ritengano in totale controtendenza, anacronistica e antieconomica la direzione intrapresa dal Governo verso lo sfruttamento delle energie fossili, e quali misure intendano adottare a difesa dell'intero ecosistema marino. (4-06086)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Relativamente alla tecnica dell’air gun si evidenzia che la medesima è utilizzata da decenni e consiste nell'emissione di aria compressa in mare per analizzare la struttura del sottosuolo tramite la tecnica della sismica a riflessione.
  Tale tecnica non rientra nell'elenco dei casi noti di attività antropiche sismogeniche che è possibile rinvenire nel rapporto redatto al riguardo da ISPRA nel 2014. Inoltre, nel dibattito che è seguito all'introduzione della norma che ne vietava l'utilizzo, poi rimossa, si ricorda che la comunità scientifica nazionale si è schierata compatta contro il divieto, manifestando la propria disponibilità a collaborare con il Governo per l'adozione di linee guida avanzate in considerazione della peculiare sensibilità del Mar Mediterraneo. Sul punto rimane la questione delle popolazioni dei cetacei e al riguardo già in precedenza è stata considerata la necessità di assicurare il pieno rispetto delle linee guida ACCOBAMS e JNCC adottate in materia.
  Relativamente alle problematiche attinenti le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi in Italia, si premette che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha ripristinato il limite delle 12 miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere in mare. La disposizione stabilisce che i titoli abilitativi già rilasciati siano fatti salvi dall'estensione del limite alle 12 miglia per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. La norma ha vietato nuove attività di trivellazione entro le 12 miglia (20 chilometri) salvaguardando così le vocazioni proprie delle coste italiane e non vanificando gli investimenti messi in atto da soggetti pubblici e privati, a volte molto consistenti, per lo sviluppo e la promozione del turismo.
  Con riferimento alla predetta normativa, il 17 aprile 2017 si è tenuto il referendum per decidere se abrogare o meno la parte della disposizione che permette a chi ha già ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa, di poter rinnovare la concessione fino all'esaurimento del giacimento, che ha avuto esito negativo per il mancato raggiungimento del quorum.
  In ordine alle questioni relative all'impatto ambientale dei progetti e alle possibili criticità segnalate dagli interroganti, si evidenzia preliminarmente che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Si evidenzia altresì che i provvedimenti di compatibilità ambientale relativi alle attività di prospezione geofisica di determinate aree in mare sono preliminari rispetto ad eventuali attività di ricerca e produzione di idrocarburi, che potranno essere realizzate in futuro previe ulteriori e distinte valutazioni di impatto ambientale.
  Nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico, il Ministero dello sviluppo economico coordina la sua attività con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che valuta la compatibilità ambientale di progetti di estrazione degli idrocarburi.
  La verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Si precisa che ai fini autorizzativi è comunque prevista l'intesa con la regione o le regioni interessate. Difatti, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'ambito della procedura di VIA sono valutate e considerate tutte le osservazioni pervenute sia da parte dei privati cittadini che da parte delle amministrazioni coinvolte: tale valutazione è debitamente riportata nei provvedimenti di compatibilità ambientale del Ministero con le eventuali controdeduzioni e prescrizioni.
  Si evidenzia, infine, che dopo l'incidente del 2010 nel Golfo del Messico, gli Stati membri della Comunità europea hanno dato avvio a una revisione delle politiche dell'Unione europea volte a garantire la sicurezza delle operazioni relative al settore degli idrocarburi.
  Con l'emanazione della direttiva 2013/30/UE è stato avviato un processo per ridurre per quanto possibile il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e di limitarne le conseguenze, aumentando così la protezione dell'ambiente marino e delle economie costiere dall'inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, limitando possibili interruzioni della produzione energetica interna dell'Unione e migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente.
  Riducendo il rischio di inquinamento marino, la direttiva assicurerà la protezione dell'ambiente marino e in particolare il raggiungimento o il mantenimento di un buono stato ecologico al più tardi entro il 2020, obiettivo stabilito nella direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino).
  Al riguardo, peraltro, si segnala che, come recentemente statuito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (sentenza 11 febbraio 2015 nella causa C-531/13), la decisione sul se le trivellazioni esplorative debbano essere sottoposte o meno a VIA spetta ai singoli Stati membri, che possono a tal fine fissare soglie e criteri applicativi oppure decidere di valutare singolarmente i vari progetti. Tanto a comprova del fatto che la normativa italiana sia più restrittiva di quella comunitaria secondo la quale la trivellazione finalizzata ad estrarre gas e petrolio per poter determinare la convenienza commerciale del giacimento, non rientra tra i progetti per i quali è sempre obbligatoria la valutazione d'impatto ambientale.
  Questo dicastero è peraltro attento al processo di transizione energetica verso la decarbonizzazione. L'Italia vanta già il 17 per cento di produzione di energie rinnovabili collocandosi tra i primi paesi al mondo, con punte di eccellenza nel fotovoltaico.
  Proprio il 4 maggio 2017 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ospitato i lavori del Coordinamento Free, realtà che riunisce molte associazioni impegnate in campo ambientale, sul terreno delle rinnovabili e dell'efficienza energetica. Si è parlato di veicoli elettrici, bike e car-sharing per ridurre traffico e inquinamento, così come di autosufficienza energetica attraverso le fonti alternative. Per questo motivo il ministero, nel solco del percorso tracciato con la legge 28 dicembre 2015, n. 221 (cosiddetta «Collegato ambientale»), vuole essere catalizzatore di un confronto tra livelli istituzionali, per individuare quelle sperimentazioni che possono creare nuove opportunità e insieme rappresentare un modello esportabile a livello nazionale.
  Inoltre, il nostro è tra i Paesi più virtuosi in termini di riduzione delle emissioni: grazie alle politiche e alle misure messe in atto per il periodo 2013-2020, l'Italia si colloca tra i Paesi con emissioni pro capite più basse in Europa, tra i Paesi più efficienti a livello globale, e tra i Paesi con una maggiore percentuale di produzione di energia da fonti rinnovabili in Europa.
  L'accordo di Parigi del dicembre 2015 sui cambiamenti climatici ha costituito un decisivo passo avanti nel percorso della lotta al surriscaldamento globale.
  Il nostro paese, sin dalla conferenza di Lima del 2014 dove l'Italia ha guidato la delegazione europea, e poi a Parigi nel dicembre 2015, ha dato un contributo convinto ed efficace per il raggiungimento di un accordo che si aspettava da anni e che serve a tutelare il pianeta e l'umanità che lo abita.
  Si segnala quanto i tempi di ratifica dell'accordo di Parigi siano stati molto più veloci rispetto a quanto avvenuto in passato per analoghi accordi internazionali: basti pensare che il protocollo di Kyoto è entrato in vigore dopo 8 anni dalla stipula, mentre per quello di Parigi sono stati sufficienti 8 mesi. Tutti i Paesi del mondo si sono mostrati consapevoli dell'urgenza del momento e dell'importanza degli impegni assunti.
  È del resto la prima volta che un accordo multilaterale di tale portata diventa efficace in così breve tempo, grazie al deposito delle ratifiche di così tanti Paesi. Dopo lo storico consenso raggiunto a Parigi per un accordo globale e vincolante, tale impegno senza precedenti per la sua rapida entrata in vigore dimostra la profonda consapevolezza della comunità internazionale della prioritaria emergenza posta dal cambiamento climatico e dalle sfide che solo con un impegno collettivo possono essere efficacemente affrontate per limitare il riscaldamento globale e garantire lo sviluppo sostenibile di tutto il pianeta.
  Si segnala altresì che, adottando una procedura straordinaria, oltre ai singoli paesi, anche l'Unione europea ha ratificato l'accordo di Parigi, con una soluzione inedita, ma fortemente voluta dall'Italia.
  Tale procedura «irrituale», vale a dire il deposito non congiunto di Ue e Stati membri, si è resa necessaria per permettere all'Unione di partecipare alla successiva 22a Conferenza delle parti della convenzione quadro dell'ONU sulla lotta ai cambiamenti climatici (UNFCCC) tenutasi a Marrakech dal 7 al 18 novembre, come attore principale e non come spettatore. Ciò dimostra la forte volontà comune dell'Unione europea di mantenere il ruolo di driver nell'attuazione dell'accordo e di rinnovare il suo più saldo impegno nell'onorare gli impegni presi.
  A Parigi è stato possibile chiudere il primo vero accordo globale legalmente vincolante finalizzato a rafforzare la risposta alla minaccia dei cambiamenti climatici. L'approvazione dell'accordo identifica un momento storico, in cui sono state poste le basi per rendere universale e irreversibile la transizione verso un mondo resiliente ai cambiamenti climatici e neutrale dal punto di vista delle emissioni.
  Sono diversi gli elementi nuovi e rilevanti che sono stati affrontati e regolati con questo nuovo accordo. Tra i più importanti occorre sottolineare la fissazione dell'obiettivo di lungo termine di contenere il riscaldamento entro 2oC rispetto ai livelli pre-industriali, con l'impegno ad operare attivamente per un ulteriore abbassamento della soglia a 1,5oC.
  Il raggiungimento di questo obiettivo non potrà prescindere da una continua verifica delle azioni messe in campo e dai risultati raggiunti dai governi. A tale scopo si è lavorato intensamente perché si stabilisse un unico sistema che assicurasse la trasparenza del nuovo regime e richiedesse a ciascun paese di riportare i rispettivi progressi nella realizzazione dei piani di mitigazione, valutandone regolarmente con cadenza quinquennale la portata collettiva alla luce dell'obiettivo di rimanere al di sotto dei 2oC.
  L'Unione europea, e l'Italia in seno ad essa, sono in una posizione speciale in qualità di pionieri della lotta ai cambiamenti climatici e possiedono tutti gli strumenti e la necessaria ambizione per guidare tale sforzo anche nel prossimo futuro.
  A tale proposito, il contributo nazionale portato dentro l'accordo di Parigi è stato quello sottoscritto dai Paesi europei in occasione del Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014, sotto la presidenza italiana, l'INDC (contributo previsto stabilito a livello nazionale) per i successivi negoziati sul clima, con l'impegno da parte dei Paesi europei a ridurre le proprie emissioni di Co2 entro il 2030 di almeno il 40 per cento; al tempo stesso, in quella sede sono stati imposti target sia sul raggiungimento del livello di consumo di energie rinnovabili sia sul miglioramento dell'efficienza energetica, pari in entrambi i casi a valori obiettivo del 27 per cento.
  Peraltro, è da notare che il target di riduzione di almeno il 40 per cento di Co2 è suddiviso in due sotto-obiettivi: il 43 per cento a livello europeo che per i settori soggetti ad emission trading (ETS) che comprende il comparto di produzione elettrica e i settori più energivori; e un 30 per cento per i settori cosiddetti non ETS (quali trasporti, civile, agricoltura, piccola industria) che viene suddiviso tra gli Stati membri.
  Anche gli impegni finanziari richiamati nel testo dell'accordo erano già stati adottati con gli accordi di Copenhagen, vale a dire il raggiungimento dell'obiettivo di 100 miliardi di dollari annui al 2020, con l'impegno a rivedere al rialzo tale impegno nel 2025, anche con diverse modalità di partecipazione, quindi non soltanto a carico dei Paesi attualmente impegnati. L'obiettivo della mobilitazione di queste risorse è aiutare i Paesi più poveri a fronteggiare il cambiamento climatico, richiedendo la definizione di una chiara road map per raggiungere tale obiettivo.
  Alla luce del cruciale ruolo svolto dal nostro Paese in seno all'Unione europea nell'ambito del più complessivo negoziato globale, è risultato particolarmente importante che l'iter di ratifica dell'accordo di Parigi collegato alla convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, adottato a Parigi il 12 dicembre 2015, si sia concluso in tempi brevissimi, con la legge 4 novembre 2016 n. 204, ovvero prima dell'inizio della 22a Conferenza delle parti della convenzione quadro dell'ONU sulla lotta ai cambiamenti climatici (UNFCCC) tenutasi a Marrakech dal 7 al 18 novembre.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e impulso.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BENEDETTI, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, BUSTO, COZZOLINO, DA VILLA, FANTINATI, SPESSOTTO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2009/128/CE, articolo 7, afferma: «Gli Stati membri adottano misure volte a informare la popolazione e a promuovere e agevolare i programmi di informazione e di sensibilizzazione e la disponibilità di un'informazione accurata ed equilibrata sui pesticidi per la popolazione, in particolare sui rischi e i potenziali effetti acuti e cronici che comporta il loro impiego sulla salute umana, gli organismi non bersaglio e l'ambiente, e sull'utilizzo di alternative non chimiche»;
   l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), nel rapporto 208/2014, certifica che le falde acquifere superficiali sono inquinate da prodotti fitosanitari, principalmente erbicidi (glifosate ed il suo metabolita AMPA), fungicidi ed insetticidi e che la contaminazione è più diffusa nelle aree della pianura padano-veneta;
   la monografia IARC, Volume n. 112, classifica il glyphosate «probabile cancerogeno per l'uomo» e lo inserisce nel gruppo 2A;
   l'Organizzazione mondiale della sanità scrive che il glyphosate può provocare il linfoma non Hodgkin e il cancro ai polmoni;
   l'associazione dei Medici per l'Ambiente (ISDE), nella pubblicazione «Position Paper» elenca problemi per la salute e l'ambiente derivanti dall'uso di fitosanitari in agricoltura;
   tra gli obiettivi del PAN (Piano d'azione nazionale per l'uso sostenibile dei fitosanitari) ci sono: ridurre i rischi e gli impatti dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità; proteggere gli utilizzatori dei prodotto fitosanitari e la popolazione interessata; tutelare i consumatori;
   il «principio di precauzione» del Trattato UE: TITOLO XIX – AMBIENTE, è stato introdotto dall'articolo 174 è stato recepito nel decreto legislativo n. 152 del 2006 articolo 301, comma 1 e nel decreto legislativo n. 150 del 2012 articolo 2, comma 2, e confermato in molte sentenze della Corte Europea, es. (Trib. CE, Seconda Sezione ampliata, 26 novembre 2002, T-74/00 Artegodan): «il principio di precauzione è il principio generale del diritto comunitario che fa obbligo alle autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali interessi sugli interessi economici» e del Consiglio di Stato, es. sentenza n. 01281/2013, dove afferma: «L'applicazione del principio di precauzione postula l'esistenza di un rischio potenziale per la salute e per l'ambiente, ma non richiede l'esistenza di evidenze scientifiche consolidate sulla correlazione tra la causa, oggetto di divieto o limitazione, e gli effetti negativi che ci si prefigge di eliminare o ridurre»;
   il Ministero della salute, dal 2012 al 2014 ha autorizzato 176 fitosanitari in deroga (articolo 53 CE/1107/2009); anche con principi attivi non ancora autorizzati dalla UE, vedere risoluzione in Commissione 7/00435;
   la regione Veneto, con protocollo n. 106112 dell'11 marzo 2015, a fronte di una richiesta fatta in data 5 marzo 2015 da Confcooperative Veneto, approva in deroga e autorizza l'utilizzo dei seguenti principi attivi: Mancozeb, Fluopyram, Tebuconazole, Glufosinate Ammonio; con classi di rischio aventi effetti cronici per la salute:
   a) R63 Possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati;
   b) R60 Può ridurre la fertilità;
   c) R40 possibilità di effetti cancerogeni – prove insufficienti;
   la regione Veneto aveva già autorizzato questi 4 principi attivi nelle Linee tecniche difesa integrata 2015, come normale utilizzo nei vari settori agricoli;
   la regione Veneto, già nell'anno 2014, aveva autorizzato in deroga n. 30 tra prodotti fitosanitari e principi attivi, dei quali n. 8 con effetti cronici per la salute e n. 6 con classe di rischio tossica e molto tossica (T/T+). Inoltre ha autorizzato in deroga principio attivo 1,3 Dicloropropene, non approvato dall'Unione europea –:
   se i Ministri interrogati sono a conoscenza dei gravi fatti illustrati in premessa;
   se tali fatti si verifichino, oltre che in Veneto, anche in altre regioni del Paese;
   quali iniziative, anche di natura normativa, siano in atto per informare i cittadini dei pericoli per la salute derivanti dall'utilizzo di questi principi attivi in agricoltura e nell'ambiente urbano;
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda assumere per ridurre l'utilizzo degli erbicidi chimici inquinanti le falde acquifere superficiali e sotterranee;
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda assumere per vietare l'utilizzo dei fitosanitari con effetti cronici sulla salute, prevedendone il divieto di utilizzo, oltre che nel PAN A.5.6.1 anche per il PAN A.5.6.2. per la maggior tutela della salute dei nascituri e degli abitanti;
   quali metodi e procedure i Ministri interrogati, nell'ambito delle loro specifiche competenze, intendano attivare per applicare il «principio di precauzione» così come espresso in premessa.
(4-09008)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo ministero, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che, riguardo alla presenza di pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee, la normativa nazionale relativa al monitoraggio e al controllo della presenza di sostanze inquinanti nelle acque ha recepito le disposizioni della vigente normativa comunitaria in materia, ossia la direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, la direttiva 2008/105/CE e la direttiva 2006/118/CE.
  Le citate norme comunitarie e le norme nazionali di recepimento definiscono i criteri per la progettazione e l'attuazione dei programmi di monitoraggio dei corpi idrici, individuano le autorità competenti per le attività di monitoraggio, definiscono i requisiti minimi di prestazione dei metodi di analisi e il controllo di qualità, stabiliscono la lista delle sostanze inquinanti nei corpi idrici superficiali e sotterranei, i relativi standard di qualità, i valori soglia e le metodiche di analisi.
  Inoltre, nel gennaio del 2014, è stato adottato il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, in attuazione della direttiva 2009/128/CE. Tale direttiva riguarda solo i prodotti fitosanitari, mentre per i biocidi, la Commissione europea sta predisponendo un atto specifico.
  Il predetto piano nazionale prevede una serie di azioni, la cui attuazione è demandata in parte alle regioni e in parte alle amministrazioni centrali competenti (Ministeri dell'ambiente, delle politiche agricole e della salute).
  Le regioni e le province autonome, individuate come autorità competenti dalla normativa nazionale, realizzano il monitoraggio nell'ambito dei programmi di rilevazione previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e sottopongono a monitoraggio nei corpi idrici superficiali le sostanze prioritarie e le altre sostanze che non consentono il conseguimento del buono stato entro le date fissate trasmettendo i risultati all'Ispra che li elabora e li valuta.
  Si sottolinea che, qualora le attività di monitoraggio evidenzino che gli standard di qualità o i valori soglia stabiliti rispettivamente per le acque superficiali e sotterranee non vengano rispettati, è necessario attuare le misure di ripristino che devono far parte dei cosiddetti «programmi di misure» dei piani di gestione dei bacini idrografici di cui alla direttiva 2000/60/CE.
  Allo scopo di valutare l'efficacia delle azioni previste dal piano di azione nazionale, sono stati definiti con decreto del 15 luglio 2015 alcuni indicatori per valutare il grado di attuazione e l'efficacia delle misure previste. Tali indicatori si basano sui dati di monitoraggio forniti dalle regioni ed elaborati annualmente dall'Ispra.
  L'Ispra realizza il rapporto nazionale pesticidi nelle acque nel rispetto dei compiti stabiliti dal Piano. Il rapporto contiene i risultati del monitoraggio delle acque interne superficiali e sotterranee, le cui finalità sono quelle di rilevare eventuali effetti derivanti dall'uso dei pesticidi non previsti nella fase di autorizzazione e non adeguatamente controllati nella fase di utilizzo. L'istituto fornisce, altresì, gli indirizzi tecnico-scientifici per la programmazione e l'esecuzione del monitoraggio.
  Per quanto riguarda le sostanze da considerare nel monitoraggio, la normativa acque indica, come criterio generale, quello di esplorare tutte le potenziali fonti di contaminazione presenti sul territorio che potrebbero avere un impatto sulle acque. Nei fatti, però, la normativa esplicita solo un certo numero di pesticidi. Pertanto, per avere un quadro completo della possibile contaminazione da pesticidi, l'Ispra è impegnata nell'attività di indirizzo, in particolare per fornire criteri ed elenchi di sostanze prioritarie da inserire nel monitoraggio. I documenti di indirizzo prodotti sono sul sito web dell'istituto (http://www.isprambiente.gov.it/it/temi/rischio-ed-emergenze-ambientali/rischio-sostanze-chimiche-reach-prodotti-fitosanitari/rapporto-nazionale-pesticidi-nelle-acque).
  L'Ispra è altresì impegnata da anni a fornire tutte le informazioni necessarie alla messa in atto di un monitoraggio rappresentativo dei pesticidi, anche attraverso l'armonizzazione delle attività regionali, fornendo in tal modo un'informazione adeguata ai cittadini sullo stato della contaminazione ambientale da pesticidi, ma anche alle autorità competenti in materia per l'assunzione, quando necessario, di decisioni in materia di gestione del rischio.
  Al riguardo, tuttavia, si riscontrano ritardi in particolare in alcune regioni del sud Italia. Anche grazie all'azione di coordinamento di Ministero dell'ambiente e alla collaborazione di Ispra con le agenzie regionali di protezione dell'ambiente, si stanno recuperando i ritardi.
  Con riferimento all'aggiornamento dei parametri, delle metodologie e dei valori utilizzati per il controllo e il monitoraggio delle acque, a livello nazionale si opera coerentemente alle norme vigenti a livello comunitario. Le stesse norme comunitarie, prevedono, infatti, un riesame e adeguamento periodico dei parametri e delle metodologie, ove necessario.
  La direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE, ad esempio, prevede un riesame e una eventuale revisione e integrazione della lista delle sostanze di priorità ogni quattro anni.
  L'Italia, oltre a partecipare a tale attività, secondo i meccanismi puntualmente definiti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, assicura il proprio contributo, anche attraverso gli istituti di ricerca nazionali, ai tavoli di lavoro comunitari che preparano, a livello tecnico, le attività di riesame e revisione, quali, ad esempio, il gruppo di lavoro «sostanze chimiche» che opera nell'ambito della strategia comune di attuazione della direttiva quadro sulle acque.
  Anche riguardo alle acque sotterranee, la direttiva 2006/118/CE prevede un riesame periodico e un'integrazione dei parametri sottoposti a controllo. In proposito, il Ministero dell'ambiente ha proceduto a predisporre la proposta di recepimento della direttiva 2014/80/UE che, tra l'altro, introduce un nuovo parametro da sottoporre a monitoraggio. Nel provvedimento di recepimento, il Ministero dell'ambiente ha proposto l'introduzione di valori soglia nelle acque sotterranee per 5 composti perfluoroalchilici, sulla base della constatata diffusione a livello nazionale di tale sostanza nelle acque.
  Le autorità competenti, cui la normativa assegna i compiti di monitoraggio e controllo dei corpi idrici, dispongono pertanto degli strumenti normativi e tecnici per la diagnosi dello stato dei corpi idrici, secondo i criteri e i metodi definiti dalla normativa europea.
  Peraltro, per quanto riguarda le azioni di tutela dell'ambiente acquatico, con decreto ministeriale del 10 marzo 2015, sono state stabilite linee guida per la tutela dell'ambiente acquatico e dell'acqua potabile. Tali linee guida prevedono diciotto possibili misure di mitigazione del rischio, che possono essere adottate in relazione a diversi obiettivi di protezione e la cui scelta è demandata alle regioni e alle province autonome. I risultati derivanti dall'applicazione di tali misure in termini di minore impatto ambientale potrebbero essere valutati e apprezzati già a partire dal monitoraggio del 2017.
  Infine, si segnala che sulla questione sono interessate altre amministrazioni e pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi utili, si provvederà ad un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio anche nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli orsi appartengono alla fauna particolarmente protetta dallo Stato e come tali sono patrimonio indisponibile;
   ad oggi, gli orsi morti (accertati) del progetto Life Ursus sono 19 di cui 10 uccisi dall'uomo e, tra questi, 5 per mano della provincia di Trento e della Forestale in operazioni di cattura, 17 quelli non rilevati geneticamente, 2 emigrati e 2 ricatturati e costretti a vivere in cattività;
   ci sono evidenze che mostrano come altri orsi del Trentino del Life Ursus siano spariti/uccisi, con grave danno causato alla biodiversità e al patrimonio indisponibile dello Stato e di questi esemplari, nonostante le reiterate richieste, la provincia di Trento non ha fornito dettagli rilevanti;
   l'Orsa KJ2, detta Minnie, è figlia di Joze e di Kirka, orsi della prima generazione tra i reintrodotti. È un'altra madre prolifica e che vive da circa 12 anni nel medesimo areale in cui viveva Daniza, zona interessata dalla speculazione per la creazione di infrastrutture turistiche dalla ditta Pinzolo Funivie;
   esattamente come nel caso dell'orsa Daniza non esistono prove evidenti e certificate che il signor Molinari sia stato realmente aggredito nel giugno 2015 (non esiste una perizia medico veterinaria forense sulle presunte lesioni come nel caso del presunto aggredito da Daniza il signor Maturi) e per di più non è comprensibile come sia possibile stabilire che si tratti esattamente questo esemplare KJ2; esistono solo dichiarazioni e nessuna prova. Ci si chiede semplicemente come sia possibile determinare, qualora lo fosse, che a compiere questa presunta «aggressione» sia stata esattamente questa orsa, anche in considerazione del fatto che l'orsa non era dotata di alcun radiocollare e non esistono testimonianze, né ulteriori evidenze;
   il giorno 15 ottobre 2015 l'orsa KJ2, accompagnata dai suoi tre cuccioli, è stata catturata e sottoposta all'applicazione del radiocollare, in prossimità del periodo di letargo ad opera della provincia di Trento;
   le ordinanze di cattura e costrizione alla cattività, per esempio nel caso dell'orsa denominata Daniza, sono state disposte dal vice presidente della provincia di Trento. È noto che il carattere di contingibilità e di urgenza, trattando quindi argomenti in tema di pubblica sicurezza, in tal caso, sono materia in capo al questore (e quindi allo Stato) e nemmeno al presidente della provincia. Difatti, come si evince dallo statuto della provincia autonoma di Trento all'articolo 8, 9 e 20, tale competenza non può essere avocata a se né dal vice presidente, né dal presidente della provincia, ma sono competenze che restano in capo allo Stato nella figura del questore; inoltre, il Pacobace che viene citato più volte nella premessa dell'ordinanza di cui sopra e di altre ordinanze similari è meramente un atto amministrativo e certamente non giuridicamente sovraordinato –:
   quali sia l'orientamento dei Ministri interrogati in relazione a quanto esposto in premessa, posto che, ad avviso dell'interrogante, la materia trattata nelle ordinanze di cui in premessa è da ritenersi di competenza dello Stato;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, abbiano accuratamente acquisito e verificato tutti i dati raccolti sugli spostamenti degli esemplari incriminati e ritenuti responsabili delle aggressioni, tramite i radiocollari e quale tipologia di radiocollare sia stato utilizzato se di gps o di semplice vhf;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dovere acquisire tutte le informazioni relative agli orsi trovati morti, mancanti e facenti parte del progetto Life Ursus;
   se i Ministri interrogati non rilevino non solo che siano stati considerati «pericolosi» tutti gli orsi che si sono naturalizzati e ben adattati nell'ambiente in cui sono stati deliberatamente reintrodotti dall'uomo, a fronte di ingenti fondi, ma anche che la maggioranza degli orsi considerati «problematici» e da «rimuovere» siano proprio gli esemplari femmina e i più prolifici;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano che gli atti a cui gli interroganti hanno avuto accesso, relativamente al decesso e alla necroscopia dell'orsa Daniza, prodotti dal veterinario forense dottor Rosario Fico dell'Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana e le indagini sul caso del servizio investigativo della Cites del Corpo Forestale dello Stato, possano essere ritenuti rilevanti e diano chiare indicazioni su quanto sia accaduto nel caso della cattura e conseguente decesso dell'orsa Daniza;
   se siano a conoscenza del fatto che per quanto sopra riportato, il servizio investigativo della Cites del Corpo Forestale dello Stato abbia depositato presso la procura di Trento una notizia di reato, relativamente all'uccisione dell'Orsa Daniza con i relativi approfondimenti circa le cause che hanno determinato tale drammatica circostanza. (4-11975)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si ritiene opportuno sottolineare, in via preliminare, che il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, segue con estrema attenzione e costanza il tema della gestione dell'orso bruno, nei limiti delle competenze che l'ordinamento ed il piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso nelle Alpi centro-orientali (Pacobace) attribuiscono ai vari soggetti pubblici interessati.
  La conservazione e gestione degli orsi è altresì oggetto di costante contatto e confronto del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare con la provincia, la quale, pur nel rispetto dell'ampia autonomia operativa riconosciutale anche nell'ambito del Pacobace, invia costantemente al Ministero dettagliati rapporti tecnici sulle situazioni di potenziale pericolo e, in generale, sui fatti rilevanti che interessano la popolazione ursina. In particolare, con riferimento ai criteri e alle procedure d'azione nei confronti degli orsi problematici e d'intervento in situazioni critiche, il Pacobace prevede tra l'altro forme di collaborazione tra amministrazioni – quale ad esempio quella finalizzata all'attivazione di un programma coordinato di monitoraggio dell'orso bruno – e la redazione di resoconti annuali sugli interventi effettuati da ogni singola Amministrazione.
  Si segnala, altresì, che la provincia autonoma di Trento redige ogni anno un dettagliato documento denominato «rapporto orso», pubblicato sul proprio sito web, che consente la diffusione di tutte le informazioni sullo stato degli orsi bruni, compresi gli eventuali ritrovamenti di esemplari morti (paragrafo «orsi mancanti»), e le attività di gestione ad essi collegate. Il Rapporto ha lo scopo di fornire informazioni dettagliate ed aggiornate sulla vita dell'orso, prevedendone tra l'altro il monitoraggio sistematico e l'osservazione a distanza, anche con radiocollari GPS, nonché la gestione delle emergenze. I dati registrati vengono poi utilizzati periodicamente dagli addetti ai lavori.
  Si ritiene inoltre opportuno sottolineare come la competente direzione generale del Ministero dell'Ambiente ha seguito con estrema attenzione e costanza la vicenda «Daniza», tramite la acquisizione di informazioni, fornite dalla Provincia autonoma di Trento e vagliate con il supporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e del corpo forestale dello Stato (CFS), nonché con incontri con gli enti preposti ed esperti internazionali di settore, nei limiti delle competenze che l'ordinamento ed il Pacobace attribuiscono ai vari soggetti pubblici interessati.
  L'ordinanza contingibile ed urgente concernente l'orsa Daniza è stata emessa dalla provincia autonoma di Trento il 16 agosto 2014. Il successivo 19 agosto l'Ispra, su richiesta del Ministero dell'ambiente di pari data, ha emesso un parere concernente il comportamento dell'orso, le possibili misure di intervento ed il possibile destino dei due cuccioli. L'Ispra ha definito il comportamento di Daniza non anomalo, in quanto realizzato a difesa dei cuccioli. Ha tuttavia concluso che la cattura per captivazione permanente dell'esemplare dovesse ritenersi tra le azioni previste dal Pacobace in risposta al comportamento registrato, a maggior ragione per il fatto che Daniza era già in precedenza entrata in contatto con esseri umani rendendosi protagonista di c.d. «falsi attacchi» sempre in difesa dei propri piccoli, seppur senza conseguenze gravi. L'Ispra ha inoltre precisato che l'eventuale rimozione di Daniza, considerata la consistenza della popolazione di orso nelle Alpi centrali, non avrebbe reso indispensabile un rilascio sostitutivo. In merito ai cuccioli, l'Ispra ha invece sottolineato che ne andava evitata la cattura. In caso di captivazione permanente della madre, tuttavia, occorreva un attento monitoraggio degli stessi anche con tecniche radiotelemetriche, al fine di assicurare la tempestiva registrazione di eventuali comportamenti anomali o di condizioni di denutrizione.
  La competente direzione generale del Ministero ha prontamente chiesto alla provincia autonoma di Trento, con nota del 20 agosto 2014, una dettagliata relazione e trasmesso le indicazioni dell'Ispra sui cuccioli. Nella lettera, sono stati sottolineati i risultati del Progetto di ripopolamento e conservazione dell'orso, ed è stato richiesto di effettuare una specifica considerazione sul destino dei cuccioli, al fine di salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza.
  In ogni contatto avuto con la provincia di Trento, il Ministero ha sempre rappresentato la necessità di prestare particolare attenzione alla condizione dei cuccioli in caso di cattura della madre, facendo proprie le indicazioni dell'Ispra e comunicando all'ente provinciale le note di valutazione del Cfs.
  La provincia di Trento ha inviato la relazione il 1o settembre 2014, confermando la permanenza dei presupposti e delle condizioni per l'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente. L'ente provinciale ha concluso le operazioni di cattura con l'esito che conosciamo in data 10 settembre 2014.
  Vista la conclusione delle operazioni, l'11 settembre 2014 il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha chiesto alla provincia di Trento una dettagliata relazione sull'operato della squadra che ha effettuato l'intervento di telenarcosi, anche al fine di valutare il protocollo adottato dagli operatori. Tale relazione è stata acquisita il 16 settembre 2014 e posta al vaglio tecnico di Ispra, che non ha sollevato rilievi di sorta. Con nota del 15 settembre 2014, il CFS ha informato il Ministero circa le attività svolte dal Servizio Cites (Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione) nell'immediatezza del decesso dell'orsa Daniza, comunicando contestualmente la propria intenzione di non collaborare alla cattura con telenarcosi di altri esemplari di orso in attesa di approfondimenti sulla sicurezza dei protocolli di anestesia. Nell'ambito del procedimento penale aperto a seguito dell'uccisione dell'orsa Daniza, la procura della repubblica di Trento ha disposto due autopsie, la prima presso l'istituto zooprofilattico sperimentale (IZS) delle Venezie a Legnaro (PD), la seconda presso l'IZS di Grosseto, in quanto centro di referenza nazionale per la medicina forense veterinaria. La vicenda giudiziaria si è conclusa con provvedimento di archiviazione del procuratore della Repubblica n. 312/2015 R.G. Mod. 45 DD. dell'8 maggio 2015. Il giudice ha accolto la richiesta di oblazione da parte del veterinario, che ha pagato un'ammenda di 2.000 euro, con la quale si estingue il reato.
  L'esito della telenarcosi, inoltre, ha indotto il Ministero a sospendere temporaneamente l'autorizzazione alla cattura di orsi in Veneto e in altre Regioni in attesa di verifiche ulteriori sui protocolli di cattura.
  Con riferimento ai due cuccioli di Daniza, sin dal 16 agosto 2014, giorno dell'ordinanza contingibile e urgente della provincia di Trento, è stata posta grande attenzione al destino dei piccoli e sono stati tenuti nel debito conto i pareri dell'Ispra e del CFS. La scelta di lasciarli in libertà, attentamente monitorati, è stata frutto di attenta valutazione della letteratura scientifica esistente ed ha trovato ampio supporto nei numerosi esperti scientifici internazionali sentiti da Ispra e che da anni seguono con interesse l'intero processo di ritorno degli orsi sulle Alpi, evento quest'ultimo riconosciuto come un enorme successo di conservazione da parte delle autorità italiane. Dal mese di settembre 2014, i cuccioli di Daniza, completamente autonomi, sono stati oggetto di monitoraggio sul campo da parte della Provincia di Trento, dapprima e fino alla fine di ottobre 2014, con tecniche radiotelemetriche, successivamente, con metodi indiretti. Sono state inoltre intraprese diverse altre iniziative tese a salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza (tra cui, confronti e tavoli tecnici con i massimi esperti europei del settore, redazione di linee guida per la gestione dei cuccioli di orso privi della madre, diffusione di dépliant informativi, predisposizione di apposita segnaletica stradale luminosa per ridurre i rischi di investimento). Premesso che gli animali non hanno radiocollari e quindi non è possibile avere informazioni continue, si evidenzia che la provincia autonoma di Trento conduce un costante monitoraggio del territorio e una raccolta di campioni per esami genetici.
  Tanto premesso, in merito ai quesiti relativi all'accertamento delle vicende che hanno condotto al decesso dell'orsa Daniza, alle misure concernenti la salvezza dei due cuccioli, alla salvaguardia della popolazione di orsi in Trentino, come già menzionato, si evidenzia che la competente direzione generale del Ministero ha chiesto alla provincia autonoma di Trento, l'11 settembre 2014, immediatamente a ridosso della morte dell'animale, una dettagliata relazione sull'operato della squadra che ha effettuato le operazioni di telenarcosi. La relazione è stata acquisita il 16 settembre 2014 e non ha dato luogo a rilievi tecnici da parte dell'Ispra rispetto al protocollo adottato dagli operatori.
  Con riferimento al ruolo ricoperto dal Ministero dell'ambiente nelle decisioni prese dalla Provincia di Trento, oltre a quanto già evidenziato, si segnala innanzitutto che il dicastero, nel corso dei contatti con l'Ente ha esplicitato il problema del destino dei due cuccioli ed indicata come preferibile l'opzione di lasciarli liberi, sebbene monitorati attentamente, per valutare il loro comportamento e le probabilità di sopravvivenza, anche tenuto conto delle valutazioni dell'Ispra e delle valutazioni del Cfs.
  Tuttavia, occorre richiamare i limiti posti dal nostro ordinamento alle competenze delle Amministrazioni interessate.
  Sull'argomento con pronunce del Tar e del Consiglio di Stato è stato affermato che la sussistenza di una situazione di pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica vale a giustificare l'adozione di uno specifico provvedimento
extra ordinem contingibile ed urgente da parte della Provincia. In situazioni di questo tipo, dunque, non è prevista alcuna autorizzazione ministeriale, né alcun parere dell'Ispra.
  L'ordinanza contingibile ed urgente con la quale è stata adottata la scelta di catturare l'orsa, inoltre, si colloca tra le previsioni del Pacobace (piano d'azione sottoscritto dal Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, province di Trento e di Bolzano, Regioni Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Veneto, Ispra) concernenti le azioni energiche non programmabili in caso di orsi problematici e situazioni critiche (paragrafo 3.4.2., misure i e j); infatti, «le decisioni per l'attuazione dei provvedimenti previsti per gli orsi problematici e nelle situazioni critiche, sono assunte dall'amministrazione competente per territorio e materia attraverso la propria struttura preposta alla gestione delle specie selvatiche, che viene così a rivestire il ruolo di Soggetto decisore».
  Con riferimento al Pacobace ed alla popolazione di orsi del Trentino, Veneto, Lombardia e Friuli, va sottolineato che il progetto di reintroduzione dell'orso, estremamente ambizioso, si è dimostrato un successo che ha avuto i massimi riconoscimenti in tutto il contesto internazionale, registrando un incremento della popolazione di orso ben superiore alle previsioni.
  Prima della vicenda Daniza, nessuna modifica unilaterale del Pacobace è mai stata adottata e nemmeno richiesta. Nel corso degli ultimi anni si è verificato un notevole incremento demografico della popolazione dell'orso nelle Alpi centro-orientali, con conseguente aumento delle situazioni problematiche, sia in termini di danni diretti causati dai plantigradi, sia di pericolosità, legata all'aumento della frequenza di incontri ravvicinati tra uomo e orso. Ciò ha reso necessaria, anche ai fini di una migliore accettazione sociale della specie, una gestione più rapida ed efficace di quei singoli individui cosiddetti «problematici», responsabili di una rilevante quota dei danni economici e delle situazioni di pericolo più significative.
  Le Amministrazioni responsabili dell'attuazione del Pacobace, su iniziativa della Provincia di Trento, hanno quindi concordato con il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ispra una modifica del capitolo 3 del piano d'azione, che definisce l’«orso problematico» in maniera più precisa, prevedendo inoltre, nell'ambito della definizione del grado di problematicità dei possibili comportamenti di un orso e relative azioni possibili (tabella 3.1), l'inclusione della categoria «orso che provoca danni ripetuti a patrimoni per i quali l'attivazione di misure di prevenzione e/o di dissuasione risulta inattuabile o inefficace» tra quelle per le quali può essere consentita l'attivazione di azioni energiche comprese la cattura per captivazione permanente e l'abbattimento. Ferme restando tutte le azioni di dissuasione che dovranno essere poste in essere secondo la normativa vigente, è mantenuta invariata l'obbligatorietà della richiesta di autorizzazione al Ministero per ogni intervento di rimozione. Tale modifica, formalmente approvata dalle Amministrazioni coinvolte, è stata resa esecutiva con decreto direttoriale prot. 0015137 PNM del 30 luglio 2015.
  Con riferimento all'applicazione a casi reali dell'aggiornamento del Pacobace, adottato il 30 luglio 2015, rispetto alle problematiche relative alla maggiore mortalità riscontrata nel corso delle catture in Trentino in confronto ad altri contesti territoriali, nonché alle sospensioni temporanee all'autorizzazione alla cattura di altri orsi sul territorio nazionale, si rappresenta che, ad oggi, non si sono verificati casi per i quali si sia resa necessaria l'applicazione di quanto predisposto nell'aggiornamento del Pacobace.
  In merito alle condizioni degli orsi in captivazione permanente ed ai luoghi di detenzione si evidenzia che le condizioni di salute degli orsi in captivazione sono seguite con estrema attenzione; in proposito, tuttavia, va evidenziata l'elevata difficoltà di rilasciare in natura un esemplare di orso tenuto in condizioni di cattività. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, infine, valuta costantemente il rispetto, da parte delle singole strutture ospitanti gli animali, delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 73 del 2005.
  Con riferimento alle modalità di prosecuzione del programma nazionale di conservazione dell'orso bruno evitando nel contempo situazioni analoghe a quello dell'orsa Daniza, si fa presente che nelle province autonome e nelle regioni alpine interessate dalla presenza dell'orso, anche allo scopo di evitare che in futuro accadano di nuovo episodi analoghi a quello di Daniza, sono operative e sono state recentemente rafforzate apposite squadre di emergenza, che hanno il compito di intervenire, seguendo le indicazioni fornite nel Pacobace, in tutti i casi in cui il comportamento dell'orso possa essere ritenuto pericoloso o dannoso.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, continua ad esercitare la sua azione di monitoraggio, mantenendo alto il livello di attenzione sulla tematica in argomento.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è stato rinvenuto un altro lupo ucciso, in questo caso, decapitato presso Pitigliano (Grosseto) e presso l'Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana è stata effettuata la necroscopia dello stesso;
   ad oggi il lupo appartiene ad una specie particolarmente protetta come sancito da normative nazionali ed internazionali e con esso tutti gli altri canidi, inclusi gli ibridi fino alle IV generazione, ancorché ibridati con domestici, come previsto dal regolamento (UE) n. 338/1997 così detta normativa Cites. Pertanto i lupi (e le altre specie incluse nella lista) sono da considerarsi protetti e quindi non catturabili, non detenibili in cattività, cacciabili e altro. I lupi quanto gli esemplari che esitano dall'accoppiamento di cani e lupi (i quali appartengono alla stessa specie), definiti ibridi, sono tutelati dalla predetta normativa, senza alcuna possibilità di diversa interpretazione normativa/ecologica;
   appare invece evidente che nel nostro Paese non si è stati in grado di far rispettare tale regolamento e tutte le normative di tutela, inclusa la direttiva «Habitat» in considerazione dei dati relativi alle uccisioni dei lupi: essi sono tutelati solo sulla carta, mentre il bracconaggio viene fomentato, a giudizio dell'interrogante, da inutili quanto costosissimi progetti e da politici, persone che ricoprono ruoli istituzionali e che, in primis, dovrebbero pretendere il rispetto delle normative vigenti;
   le uccisioni dei lupi e dei canidi registrate negli ultimi 4 anni sono moltissime e soprattutto rappresentano la minima parte, presumibilmente, dei lupi realmente uccisi, come riporta con dovizia di particolari e informazioni scientifiche il dossier di La Repubblica;
   a seguito di presunti piani di ricerca sono stati catturati numerosi esemplari di lupo e di ibrido, anche in tana e non si comprende, ancora una volta, con quale possibile autorizzazione in considerazione delle già citate normative vigenti;
   addirittura si parla di cattura di cuccioli in tana e ben prima dei 60 giorni sulla base di considerazioni fenotipiche –:
   se sia stato redatto un documento organico con l'indicazione del numero dei lupi o canidi uccisi per mano dell'uomo negli ultimi cinque anni, grazie alle perizie e alle indagini necroscopiche effettuate da medici veterinari forensi, esperti nel settore specifico;
   come i Ministri ritengano di assicurare il rispetto dei fondamentali valori etici, morali e di tutela contenuti nel principio cardine per cui la fauna selvatica appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato e pertanto è patrimonio di tutti e ogni singolo cittadino ne deve poter godere nel rispetto dell'ambiente e di tutta la biodiversità animale e vegetale;
   se i Ministri interrogati siano consapevoli del grave e potenziale conflitto generatosi per effetto di quella che l'interrogante giudica una inaccettabile gestione del problema che peggiorerà di certo se sarà approvato il «piano lupo», posto che potrebbe generarsi, anche un problema di ordine pubblico;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanti esemplari di lupi e ibridi siano stati catturati e costretti alla cattività e con quali metodi, in quali luoghi siano attualmente, con quali autorizzazioni, come siano avvenute queste operazioni e chi li mantenga economicamente ancora in condizioni di cattività, considerato che il tutto appare all'interrogante in evidente contrasto con quanto previsto dal regolamento (Ue) n. 338/1997 e dalle normative vigenti. (4-16582)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si ricorda come sia tutt'ora in discussione in sede di Conferenza Stato-Regioni un piano d'azione, frutto di quasi 2 anni di preparazione e concertazione.
  È noto che la conservazione e gestione del lupo polarizza il dibattito su posizioni opposte e difficilmente conciliabili, pertanto, l'impegno del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è volto alla definizione di un atto di indirizzo che possa contemperare le esigenze della conservazione con quelle del comparto zootecnico.
  Si ricorda, inoltre, che il piano in questione è composto di 22 azioni, che hanno ricevuto la piena condivisione di tutte le parti, e di un ultimo aspetto relativo alla possibilità di ricorrere a deroghe, secondo quanto previsto dalla direttiva Habitat.
  In particolare, tra le altre, si segnalano misure per la prevenzione dei danni da predazione, il nucleo antibracconaggio composto dai carabinieri forestali e dalle polizie locali, l'addestramento di cani al rilievo di bocconi avvelenati, le vaccinazioni dei cani randagi per ridurre l'ibridazione con i lupi e le predazioni, altrimenti, spesso attribuite a quest'ultimi, oltre ad una più stretta regolamentazione dello strumento delle deroghe al divieto generale di rimozione già previsto dalla legislazione vigente.
  Il piano, a fronte di una serie di strumenti, che sono quelli delineati nelle 22 azioni, non preclude in via assoluta la possibilità del ricorso ad una deroga, che in particolari situazioni critiche potrebbe rappresentare l'unico strumento risolutivo, a condizione che siano stati soddisfatti tutti i prerequisiti previsti.
  Tali prerequisiti consistono nella richiesta di deroga avanzata dall'amministrazione regionale, che quindi ha il pieno controllo sull'attivazione del processo; la documentazione prodotta dalla regione che attesti lo stato favorevole della popolazione del lupo e la non incidenza della deroga sulla conservazione della popolazione stessa; la documentazione prodotta dalla regione che attesti la messa in opera delle più idonee misure di prevenzione e di controllo del randagismo canino; la documentazione prodotta dalla regione che attesti l'assenza di altre soluzioni valide; la documentazione prodotta dalla regione sull'attuazione delle misure di competenza previste dal piano.
  Sulla base di quanto detto, ISPRA è chiamata ad una valutazione caso per caso e deve accertare la sussistenza di tali requisiti e la piena rispondenza delle condizioni fissate dalla normativa vigente per questo tipo di deroga.
  Solo a seguito del parere di ISPRA, il ministero può autorizzare la rimozione di singoli individui, in un contesto che deve mantenere un carattere di eccezionalità.
  Pertanto, i passaggi sopra rappresentati evidenziano che si tratta di un procedimento amministrativo molto elaborato, che è sottoposto ad un parere dell'ISPRA e che non costituisce un automatico riconoscimento della deroga.
  Il piano per il lupo tutela la specie, la difende dai rischi, bilancia il rapporto spesso difficile con le attività umane ed è ritenuto uno strumento di elevato valore scientifico.
  Con riferimento al bracconaggio, si segnala che, come già evidenziato in precedenza, il suddetto piano contiene azioni orientate a contrastare tale fenomeno.
  Con riferimento alla presenza di ibridi, ulteriore minaccia alla conservazione del lupo insieme al bracconaggio, si fa presente che vi sono diversi progetti finalizzati ad affrontare la questione. Tra le altre, si segnalano iniziative finalizzate alla cattura degli esemplari ibridi; catture eseguite, comunque, nel rispetto rigoroso della normativa in materia di conservazione della specie e in materia di benessere dell'animale.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a operare senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione sul tema.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BORGHESI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale firmato in attuazione del cosiddetto «sblocca Italia» ha destinato 50 dei 100 milioni di euro disponibili provveditorati interregionali alle opere pubbliche «per interventi di completamento di beni demaniali di loro competenza e per l'attuazione di interventi urgenti in materia di dissesto idrogeologico, di difesa e messa in sicurezza di beni pubblici, di completamento di opere in corso di esecuzione nonché di miglioramento infrastrutturale»;
   ammontano a 6 milioni di euro i fondi destinati complessivamente alla regione Lombardia, in particolare per la provincia di Brescia sono stati destinati 1,8 milioni di euro per interventi alle caserme dei carabinieri di Sarezzo, Pontoglio e Flero;
   i lavori per la realizzazione della caserma dei carabinieri di Sarezzo risultano essere in stato avanzato, l'opera è in costruzione ormai da diversi anni;
   il completamento consentirebbe il celere avvio dell'operatività della stessa con notevoli effetti positivi per la popolazione –:
   se il Governo intenda confermare la priorità della realizzazione di questa infrastruttura e se intenda chiarire quale sia ad oggi lo stato di avanzamento dei lavori, al fine di dare al territorio interessato prospettive certe nei modi e nei tempi di completamento dell'opera. (4-08458)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 13 luglio 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in VIII Commissione Camera, il provveditorato interregionale per la Lombardia e l'Emilia Romagna ha confermato che per la caserma dei carabinieri di Sarezzo sono stati stanziati sul programma poliennale cosiddetto Sblocca Italia euro 600.000, che sono disponibili per la continuazione dei lavori, ma insufficienti per la sua ultimazione.
  Infatti, durante l'aggiornamento della progettazione è emersa la necessità di apportare ai progetti ulteriori adeguamenti per rispondere alle nuove normative nel frattempo entrate in vigore, in particolare in materia di risparmio energetico e antisismica, nonché il nuovo codice dei contratti pubblici.
  È dunque indispensabile ultimare la fase di progettazione per conoscere le ulteriori risorse necessarie, che presumibilmente verranno reperite con una variazione di programma all'interno del capitolo di spesa di riferimento per gli esercizi dal 2017 in poi.
  Per completezza di informazione, si segnala che le caserme di Fiero e Pontoglio dispongono già di risorse superiori e la loro progettazione è in fase avanzata; l'avvio delle relative procedure di gara è previsto per la fine del 2017.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   BURTONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni, nei pressi del bosco della Manferrara di proprietà comunale in territorio di Pomarico si segnalano abbattimenti di alberi di alto fusto;
   si tratta di querce secolari tagliate nel pieno della primavera, cosa che determina un grande sconvolgimento all'intero ecosistema;
   si tratterebbe di tagli programmati, ma è evidente che il periodo dell'anno scelto non è il più adatto e soprattutto quello che colpisce è il profilo delle piante scelte per l'abbattimento;
   alcune associazioni e cittadini hanno avvertito le autorità competenti, quali Corpo forestale dello Stato, Carabinieri e vigili urbani determinando uno stop temporaneo;
   l'attività di taglio è ripresa ad inizio della settimana dell'11 maggio 2015;
   il bosco in questione rappresenta un polmone verde unico nell'ambito della collina materana ed è oggetto soprattutto nei periodi estivi di attacchi piromani e necessiterebbe di una maggiore e più adeguata tutela –:
   se il Governo non intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di verificare quanto sta accadendo nei pressi del suddetto bosco e se in tale circostanza vi siano i presupposti per l'applicazione della disciplina di cui alla legge n. 10 del 2013 e del relativo regolamento attuativo. (4-09147)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Le piante oggetto dell'interrogazione in parola erano radicate all'interno di un comprensorio boscato sottoposto a vincolo paesaggistico ambientale ed a vincolo idrogeologico di cui al Regio decreto-legge n. 3267 del 1923.
  In merito al taglio boschivo nel comprensorio boscato ubicato alla località Manferrara, in agro e nella proprietà del comune di Pornarico (Matera) risulta che all'interno degli areali boscati, meglio individuati in catasto al Foglio I particelle 160 e 276, nell'anno 2015 era in atto l'esecuzione di un progetto di taglio boschivo del IV lotto autorizzato con il provvedimento n. 67 del 21 gennaio 2013 dalla autorità amministrativa delegata Area di Programma «BRADANICA MEDIO BASENTO» con sede in Tricarico (Matera). Nel provvedimento era autorizzato il taglio di n. 470 piante di alto fusto di essenze quercine e altre latifoglie con diametro pari o superiore a 18 centimetri di n. 68 piante o fusti con diametro inferiore a 18 centimetri, con una corrispondente massa legnosa derivante dal taglio quantificata in progetto in circa 374 metri cubi su una superficie di ettari 15.75.00. La predetta autorizzazione scadeva il 21 gennaio 2015.
  In data 30 gennaio 2015 con il provvedimento n. 167 l'autorità amministrativa delegata rilasciava proroga di taglio per un ulteriore anno e sino al 30 gennaio 2016.
  Il personale del comando stazione forestale di Montescaglioso e Grottole (Carabinieri forestale Basilicata – gruppo di Matera) è intervenuto più volte nell'area oggetto di taglio a seguito di varie segnalazioni.
  Gli accertamenti eseguiti all'interno del bosco denominato «Manferrara» hanno evidenziato violazioni degli articoli 493, 110, 734 e 635, comma 5, del codice penale e il comando stazione di Montescaglioso ha provveduto ad informare la procura della Repubblica di Matera con apposita comunicazione di notizia di reato n. 12 del 2015 del 28 agosto 2015.
  Della vicenda sono comunque interessati diversi soggetti istituzionali, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori e utili elementi informativi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la discarica di Alice Castello, in provincia di Vercelli, indicata col nome di «Alice 2», è stata inaugurata nel 1991 tra le polemiche degli esperti e della popolazione, in quanto l'area coinciderebbe, a detta della stessa regione Piemonte, con le zone di ricarica degli acquiferi profondi;
   nel 2006 la provincia, avendo rilevato perdite di percolato causate da una impermeabilizzazione non ottimale delle vasche della discarica, ne affidò la gestione all'azienda Daneco poi passata ad Alice Ambiente srl del gruppo Waste Italia SpA. Tale bonifica non sembrerebbe riportare avanzamenti significativi tanto da essere oggetto di un'inchiesta da parte della procura di Vercelli;
   diversi sospetti di inquinamento della falda acquifera hanno condotto i sindaci di Alice Castello, Tronzano e Santhià ad affidare, a fine 2015, l'esecuzione di due studi epidemiologici al dottor Christian Salerno;
   nel 2015 Alice Ambiente srl è stata ceduta da Waste Italia alla società Waste to water. Quest'ultima è un'azienda controllata da una holding inglese che di nuovo fa capo a Waste Italia;
   il Ministro interrogato, con risposta scritta pubblicata l'11 marzo 2016 nell'allegato B della seduta n. 588 all'interrogazione 4-05083 presentata da Busto Mirko, rende pubblico che «nella Conferenza dei servizi svoltasi, in data 30 maggio 2015, è stato approvato il nuovo progetto di messa in sicurezza» della discarica. Il Governo ha comunicato, inoltre, nella stessa risposta, il suo impegno a «garantire il costante aggiornamento informativo sulla descritta situazione»;
   diversi sono gli illeciti riscontrati a carico della Waste Italia: sul sito web della stessa azienda è stata pubblicata, in data 31 agosto 2016, la relazione mensile che Consob le ha imposto dopo aver messo il gruppo nella «lista nera», con debiti (271 milioni di euro) verso fornitori e obbligazionisti, banche, previdenza e fisco;
    Waste sembrerebbe non aver pagato la cedola semestrale degli interessi dei 200 milioni di obbligazioni 2014-2019 e l'eco-tassa alla regione Liguria per la discarica di Bossarino, tanto che la provincia di Savona sembrerebbe minacciare una revoca dell'autorizzazione per la gestione;
   il MoVimento 5 Stelle ha depositato un esposto presso la procura di Vercelli sulla mancata bonifica della discarica Alice 2;
   a fine ottobre 2016, il MoVimento 5 Stelle ha denunciato un'irregolarità circa le garanzie fideiussorie per alcuni milioni di euro presentate da «Alice Ambiente Srl» per la messa in sicurezza della suddetta discarica, in quanto accettate dalla regione Piemonte nonostante queste siano state emesse dalla Gable Insurance AG, un'agenzia assicurativa con sede a Vaduz nel Liechtenstein (e sede fiscale alle Cayman) posta sotto amministrazione straordinaria dall'autorità di Vigilanza del Liechtenstein per la precisione il 10 ottobre 2016;
   a fine 2016, dopo un ordine del giorno a firma del consigliere Gianpaolo Andrissi, approvato dal consiglio regionale piemontese, la giunta regionale dovrà individuare vincoli e misure di tutela per la protezione delle acque destinate al consumo umano come previsto dallo stesso piano di tutela acque regionale attenendosi al principio di precauzione –:
   se il Ministro interrogato disponga, per quanto di competenza, di nuovi elementi in relazione alla situazione della falda acquifera di cui in premessa, acquisiti dopo la pubblicazione del già citato rapporto dell'11 marzo 2016 e, considerato lo stato dei luoghi e le più recenti vicende sopra esposte;
   se il Ministro ritenga di disporre eventuali controlli da parte del personale appartenente al comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente (C.C.T.A.), in relazione all'oggettivo pericolo che si sia verificato o che si verifichi un danno ambientale, ai sensi dell'articolo 197, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. (4-14975)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla discarica «Alice Castello» in provincia di Vercelli, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Secondo quanto riferito dalla direzione ambiente, Governo e tutela del territorio della regione Piemonte, si segnala che, in ottemperanza alla direttiva quadro acque, viene effettuato semestralmente il monitoraggio sui punti della rete regionale delle acque sotterranee, attiva ormai dal 2000; i dati rilevati sono trasmessi annualmente al Ministero dell'ambiente tramite la piattaforma Wise-Sintai.
  Con riferimento alla contaminazione delle acque sotterranee nell'area della discarica di Alice Castello, sulla base dei dati disponibili nella piattaforma Sintai, gestita dall'Ispra si segnalano, in particolare, i dati di monitoraggio delle concentrazioni delle sostanze chimiche ferro, nichel, manganese e ammoniaca. I dati analizzati sono gli ultimi disponibili, relativi sia al reporting della direttiva quadro acque 2009-2015 che al reporting SoE-Eionet (2015).
  Il corpo idrico sotterraneo in questione è identificato con il codice IT01GWB-S1 ed è denominato «Pianura Novarese-Biellese-Vercellese» (Distretto idrografico Itb). Nel corpo idrico sono presenti due stazioni di campionamento delle acque sotterranee nelle quali viene effettuato il programma di monitoraggio operativo con due campionamenti all'anno, poiché il corpo idrico è classificato come a rischio di non raggiungimento degli obiettivi ambientali (stato buono) ai sensi della direttiva quadro acque.
  Per quanto riguarda le sostanze contaminanti di cui sopra, si riportano le seguenti valutazioni sui dati SoE-Eionet (2015):
   Ferro: in base ai dati di monitoraggio trasmessi, il valore di concentrazione dello standard di qualità ambientale (SQA, tabella 2, allegato 5, parte IV decreto legislativo n. 152 del 2006) pari a 200 μg/l non viene superato in nessuna stazione della rete di monitoraggio; i valori di concentrazione dei due campionamenti sono risultati inferiori al 30 per cento del Sqa, valore che ai sensi del decreto legislativo n. 219 del 2010 non deve essere superato dal limite di quantificazione (Loq, Limit of quantification) del metodo utilizzato, pari a 50 μg/l;
   Manganese: anche in questo caso, come per il ferro, il valore di concentrazione dello Sqa (tabella 2, allegato 5, parte IV decreto legislativo n. 152 del 2006) di 50 μg/l non viene superato in nessuna stazione; i valori di concentrazione dei due campionamenti sono risultati inferiori al 30 per cento del Sqa, valore che ai sensi del decreto legislativo n. 21 del 2010 non deve essere superato dal Loq del metodo utilizzato pari a 5 μg/l;
   Ammoniaca: il valore di concentrazione dello Sqa pari a 500 μg/l (tabella 3, lettera B, parte A dell'allegato I del decreto legislativo n. 152 del 2006), non viene superato in nessuna stazione di campionamento; i valori di concentrazione dei due campionamenti sono risultati inferiori al 30 per cento del Sqa, valore che ai sensi del decreto legislativo n. 219 del 2010 non deve essere superato dal Loq del metodo utilizzato pari a 40 μg/l;
   Nichel: per questo elemento sono stati rilevati superamenti del Sqa nelle acque sotterranee in una delle due stazioni di monitoraggio. Infatti, a fronte del valore del Sqa di 20 μg/l (tabella 3, lettera B, parte A dell'allegato I del decreto legislativo n. 152 del 2006), sono stati misurati valori di concentrazione pari a 47 e 43 μg/l. Nella seconda stazione di monitoraggio i valori di concentrazione sono risultati inferiori al Sqa e pari, nelle due campagne di monitoraggio, a 15 e 12 μg/l, con un Loq pari a 2 μg/l.

  Si fa presente, inoltre, che, in base ai dati di reporting trasmessi con l'ultimo ciclo di gestione di distretto idrografico sulla piattaforma Wise-Sintai, lo stato chimico del corpo idrico sotterraneo IT01GWB-S1 è stato classificato, in base ai dati del 2014, come «non buono» a causa del superamento dei valori soglia di concentrazione per il nichel. Il livello di confidenza di tale classificazione, in base agli stessi dati di reporting, è alto, il che indica una buona affidabilità della classificazione effettuata.
  Peraltro, sulla base del Piano di gestione di distretto idrografico padano (Itb) la data di raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale ai fini della direttiva quadro acque per lo specifico corpo idrico sotterraneo, è fissata per il ciclo di gestione 2022-2027.
  Secondo quanto riferito dalla regione Piemonte, nell'ambito delle ordinarie attività di controllo dei siti di discarica in esercizio e dei siti oggetto di bonifica, vengono effettuati periodici monitoraggi da parte di Arpa Piemonte i cui dati sono disponibili su un servizio web gis dedicato.
  È, inoltre, in fase di redazione, da parte di Arpa Piemonte, uno studio particolareggiato sull'area di interesse con l'obiettivo di approfondire il carico antropico complessivo sulle diverse matrici ambientali.
  Ad ogni modo, della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, laddove dovessero pervenire nuovi e utili informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAUSIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2000/60/CE del 23 ottobre 2000 in materia di acque all'articolo 2, punto 33, definisce come inquinamento: «l'introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana di sostanze che possano nuocere alla salute umana o alla qualità degli ecosistemi acquatici perturbando, deturpando o deteriorando i valori ricreativi o altri legittimi usi dell'ambiente» e, al punto 35, definisce come standard di qualità ambientale: «la concentrazione di un particolare inquinante o gruppo di inquinanti nelle acque, nei sedimenti e nel biota che non deve essere superata per tutelare la salute umana e l'ambiente»;
   la medesima direttiva 2000/60/CE, in particolare, prevede quali obiettivi quanto di seguito esposto: all'articolo 1a) è previsto di impedire un ulteriore deterioramento, proteggere e migliorare lo stato degli ecosistemi acquatici e degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico; all'articolo 1c) è previsto di mirare alla protezione rafforzata e al miglioramento dell'ambiente acquatico, anche attraverso misure specifiche per la graduale riduzione degli scarichi, delle immissioni e delle perdite di sostanze prioritarie e l'arresto o la graduale eliminazione degli scarichi, delle emissioni e delle perdite di sostanze pericolose prioritarie;
   la problematica dell'inquinamento da «mercurio e suoi composti» dei sedimenti e del biota della laguna di Grado e Marano, è nota per i suoi effetti ormai da anni (sentenza di danno ambientale all'ambiente lagunare nelle sue diverse matrici emessa dalla Corte di appello di Trieste, contro la Saici di Torviscosa, oggi Caffaro, passata in giudicato già nel 1968);
   il decreto ministeriale n. 367 del 2003 (emanato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute, relativo al «Regolamento concernente la fissazione di standard di qualità nell'ambiente acquatico per le sostanze pericolose») ha fissato un opportuno valore di concentrazione di mercurio quale standard di qualità ambientale per i sedimenti delle lagune, mentre il decreto ministeriale n. 56 del 2009 ha fissato i «criteri tecnici per il monitoraggio dei corpi idrici» e infine il decreto ministeriale n. 260 del 2010 ha sostituito, adeguandolo al decreto legislativo n. 152 del 2006, il decreto ministeriale n. 367 del 2003, si evidenzia che il valore dello standard di qualità ambientale come sopra definito per il mercurio, ancora oggi previsto, è stato mantenuto di 0,3 mg/kg;
   nel «Manuale per la sedimentazione dei sedimenti marini» edito da Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e redatto a cura di Icram e Apat (2007), ove al punto «criteri di classificazione qualità» per il parametro mercurio è riportato, oltre il livello chimico di base (0,2-0,4 mg/kg), il livello chimico limite che è indicato pari a 0,8 mg/kg, con una possibilità di scostamento del 20 per cento che porta tale valore a un massimo di circa 1,0 mg/kg, per cui per sedimenti con concentrazioni superiori a tale valore non sono previste soluzioni gestionali del loro spostamento tal quali;
   la valenza sanitaria di tale fenomeno di inquinamento da «mercurio e suoi composti» della laguna di Grado e Marano è emersa dalla documentazione esistente, prodotta, in particolare nel maggio 2012 da ISS ove si suggerisce «l'utilizzazione di un range di valori di riferimento per i sedimenti a tutela della salute umana ...», si afferma «in relazione alle specie ittiche, in considerazione dell'elevata capacità di biomagnificazione del mercurio...» e si indica «di adottare un valore di 0,8 mg/kg (strato superficiale-primi 5 cm)»;
   la problematica ambientale di tale fenomeno di inquinamento da «mercurio e suoi composti» da quanto affermato da Arpa del Friuli Venezia Giulia, nei periodici rapporti sullo stato dell'ambiente (2002, 2005, 2012), sino a quanto da ultimo affermato, e di seguito riportato, nella relazione agenziale di caratterizzazione ambientale del settembre 2012 afferma che «...una delle maggiori problematiche attuali è l'impossibilità di traslocare il materiale dragato ai lati dei canali in ottemperanza alla legislazione nazionale», allegata alla delibera di giunta regionale n. 1737 di richiesta di de-perimetrazione dell'area lagunare del sito di interesse nazionale laguna di Grado e Marano da parte della regione Friuli Venezia Giulia al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e alla base del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 12 dicembre 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2013;
   la problematica ambientale di tale fenomeno di inquinamento in laguna di Grado e Marano da «mercurio e suoi composti» è stata confermata nel 2012 dall'Ispra che ha testualmente affermato al riguardo che si identifica «uno stato di criticità ambientale diffusa», con percentuale presente solo del 30 per cento, nella forma di mercurio più stabile e meno solubile, «mentre il rimanente risulta di origine diversa, con possibilità più elevate di essere rimesso in circolazione da fenomeni di risospensione e trasferito così alla matrice biotica»;
   dalla medesima citata relazione di caratterizzazione ambientale dell'Arpa del Friuli Venezia Giulia di settembre 2012 per quanto attiene la concentrazione del mercurio in alcune specie alieutiche, tipicamente lagunari, con riguardo al limite previsto per la commercializzazione di 0,5 mg/kg, i valori medi (0,41 mg/kg) del latterino sono risultati leggermente al di sotto e, nel caso delle orate (0,67 mg/kg), essi sono risultati al di sopra di tale limite per oltre il 20 per cento; al riguardo la deviazione standard ottenuta rispettivamente di +/-0,22 e di +/- di 0,27, ha confermato la significativa presenza di campioni oltre il citato limite nella popolazione analizzata;
   a fronte del valore di SQA indicato per il biota dalla direttiva 2008/105/CE, per il mercurio pari a 20 ug/kg, i valori medi di concentrazione di mercurio sono risultati, nei latterini e nelle orate rispettivamente di 410 ug/kg e di 670 ug/kg, sono superiori nella misura di oltre 20 e 33 volte;
   tra l'altro, a seguito del citato decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 12 dicembre 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2013, che ha previsto, all'articolo 2, che sono di competenza della regione Friuli Venezia Giulia «le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica della porzione di territorio già compreso nella perimetrazione del sito «laguna di Grado e Marano» non più incluso nella nuova perimetrazione; tali operazioni non risultano formalizzate se non anche realizzate, con conseguente mancata restituzione agli usi legittimi di ampie porzioni areali della laguna, in questi anni in molti punti oggetto di dragaggio dei canali con spostamento di sedimenti inquinati da mercurio tal quali;
   la comunicazione del 10 gennaio 2013 del direttore generale della direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, affermava che «si ritiene evidente che una valutazione dello stato chimico per una sostanza idrofoba come il mercurio, effettuata solo sulla base della qualità dell'acqua, non risulta appropriata a causa della spiccata affinità della sostanza per il sedimento, come testimoniato dalla diffusa contaminazione ampiamente documentata da dati storici e sperimentali;
   d'altra parte la stessa direttiva 2008/105/CE sulle sostanze prioritarie introduce il principio secondo cui il monitoraggio dei sedimenti e del biota contribuisce a migliorare la conoscenza dei dati disponibili sulle sostanze prioritarie e sui modi in cui si verifica l'inquinamento... Detto principio recepito nella normativa nazionale, viene ulteriormente recepito nella proposta di direttiva recante modifica della direttiva 2000/60/CE, stabilendo SQA solo per il biota per alcune sostanze estremamente idrofobe, tra cui il mercurio, che si accumulano nel biota e nei sedimenti e difficilmente vengono rilevate nell'acqua, anche utilizzando le tecniche analitiche più all'avanguardia»;
   la direttiva 2013/39/CE del 12 agosto 2013 che, formalizzando i contenuti di quanto sopra asserito, dal rappresentante ministeriale, afferma che «le conoscenze scientifiche sul destino e sugli effetti degli inquinanti nelle acque hanno subito una profonda evoluzione. Sono disponibili maggiori informazioni sul comparto dell'ambiente acquatico (acqua, sedimenti o biota, di seguito «matrice») in cui è probabile che si trovi una sostanza, e quindi dove si hanno maggiori probabilità di poterne misurare la concentrazione. Alcune sostanze estremamente idrofobe si accumulano nel biota e difficilmente sono rilevabili nell'acqua, anche utilizzando le tecniche analitiche più all'avanguardia. Per tali sostanze è necessario fissare SQA per il biota»;
   la commissione italo-slovena sulla idro-economia dell'Isonzo», nell'ottobre 2014, ha confermato che «l'inquinamento da mercurio» della laguna di Grado e Marano è uno dei maggiori al mondo (come già certificato dalle Nazioni Unite in un documento del 2013), con un intrappolamento di almeno 250 tonnellate di mercurio provenienti dalla località di Idria in Slovenia, cui vanno aggiunte anche le 186 tonnellate scaricate dall'impianto Cloro-Soda di Torviscosa, come riaffermato nel 2012, da Arpa del Friuli Venezia Giulia nel suo rapporto sullo stato ambiente regionale, per un totale di oltre 400 tonnellate complessive scaricate e nella quasi totalità pervenute nella laguna di Grado e Marano;
   non è dato conoscere quali iniziative operative formali di interesse transfrontaliero, oltre le attività ordinarie della commissione italo-slovena sull'idro-economia dell'Isonzo, siano state condotte dal Governo italiano e dalla regione Friuli Venezia Giulia per contenere, ridurre ed eliminare, l'inquinamento da mercurio dei sedimenti dal fiume Isonzo provenienti in Italia dalla Repubblica di Slovenia e causa di inquinamento della laguna di Marano e Grado, avendo ravvisato evidentemente insufficiente, per il raggiungimento degli obiettivi indicati dalla direttiva 2000/60/CE, il solo monitoraggio degli effetti peraltro preoccupanti sulla matrice biota, come in realtà avviene;
   riguardo l'attuazione in Italia della direttiva 2000/60/CE, nella recente richiesta Eu Pilot 7304/15/ENVI, del 22 gennaio 2015 in materia di «incompleto monitoraggio ed incompleta valutazione dello stato di qualità delle acque» sono state evidenziate le seguenti carenze in particolare: «metodo fauna ittica non ancora elaborato e non intercalibrato», «monitoraggio carente e mancata valutazione degli inquinanti specifici», «insufficiente monitoraggio delle sostanze prioritarie», «SQA per il mercurio» e, inoltre, riguarda, «SQA per il mercurio» per le acque:
    «la procedura con la quale è stato comparato il livello di protezione dello SQA delle acque pari a 0,03 μg/l con il SQA del biota definito dalla Direttiva è discutibile; la metodologia utilizzata per convertire il mercurio totale in metilmercurio nella colonna d'acqua sembra ignorare il processo ben documentato, di metilazione che avviene nell'ambiente. Inoltre il presunto rapporto percentuale di 0,5-5 per cento metilmercurio sul mercurio totale nella colonna d'acqua è pari a metà di quello riportato nella scheda tecnica del 2005 (1-10 per cento) sulla base del quale è fissato lo standard UE»;
    «il fattore di bioconcentrazione usato è il più basso del largo range che appare nella scheda tecnica del 2005 (rif: pag. 15 della scheda tecnica del 2005 ...»;
    «quanto sopra riportato rende estremamente discutibile la scelta di tale standard di Qualità Ambientale delle acque per il mercurio ...»;
   riguardo ai fenomeni di inquinamento da «mercurio e sua composti» in essere nel Friuli Venezia Giulia, dove nella laguna di Grado e Marano si sommano due fonti puntuali di origine antropica, di cui una transfrontaliera, non paiono essere esaminati analiticamente i processi, oltreché di tossicità acuta, anche di cronicità degli effetti;
   proprio per il grave stato di inquinamento da «mercurio e suoi composti» riscontrato in tale laguna era stata perimetrata al suo interno una ampia area come Sin laguna di Grado e Marano, già nel 2003, e che tale area è stata riconfermata (nel 2011) all'interno del piano dei siti inquinati della regione Friuli Venezia Giulia, ancora oggi vigente, con obbligo di risanamento dei sedimenti lagunari inquinati, cui invece ad oggi non è stato dato alcun seguito;
   la sentenza della Corte costituzionale n. 84 del 15 maggio 2015 indica quale riferimento in materia di dragaggi il citato documento del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «Manuale per la movimentazione dei sedimenti marini», definita «unica fonte statale recante la disciplina del semplice spostamento di sedimenti in ambiente sommerso», ribadendo, così e anche in più punti, il ruolo dello Stato e dei suoi organismi tecnici di riferimento riguardo la competenza esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente»;
   tali norme tecniche contenute nel citato manuale si propongono di «sintetizzare le azioni da intraprendersi per una gestione ecosostenibile della materia relativa alla movimentazione di materiale sedimentario in ambito costiero», tenuto conto della «diffusa presenza di contaminanti contenuti nei sedimenti dei fondali» che impone «una approfondita conoscenza della natura e dell'origine dei sedimenti e un'attenta analisi delle loro caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche»; esse acconsentono inoltre allo spostamento dei sedimenti tal quali solo in presenza di determinati valori di concentrazione dell'inquinante, che, nel caso dei sedimenti oggetto dei dragaggi condotti recentemente nella laguna di Grado e Marano, per il parametro mercurio, risultano largamente superati;
   nella laguna di Grado e Marano sono in corso, da oltre due anni, dragaggi di sedimenti inquinati da mercurio con loro spostamento tal quali all'interno della stessa laguna, in applicazione dell'articolo 185, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 non acconsentiti ai sensi del citato manuale per le alte concentrazioni presenti di «mercurio e suoi composti»;
   tali interventi di dragaggio sono per l'interrogante in palese contrasto a quanto previsto, oltreché dal già citato manuale per la movimentazione dei sedimenti marini del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche dal piano dei siti inquinati del Friuli Venezia Giulia ad oggi vigente e che, a giustificazione dell'operare in difformità a un tanto richiamato fatto della «non pericolosità» di tali sedimenti, nulla rileva, a quanto consta all'interrogante, riguardo le indicazioni tecniche di riferimento e le, cogenti, norme di attuazione del piano di settore, sopra citati;
   i documentati valori di concentrazione di «mercurio e suoi composti» nel biota, sono stati rilevati oltre il limite previsto per la commercializzazione per alcune specie di pescato;
   è stato affermato dal Sottosegretario di Stato all'ambiente, il 9 giugno 2015 nella sua risposta scritta alle interrogazioni degli onorevoli Pellegrino e onorevole Causin, ultime di diverse interrogazioni parlamentari sul tema, che si riteneva necessario impegnarsi al riguardo a «valutare con le proprie strutture tecniche, con l'ausilio di ISPRA, la correttezza della gestione dei sedimenti dragati in relazione sia agli interventi realizzati che a quelli in programma di realizzazione»;
   il decreto legislativo n. 172 del 2015 di recepimento della direttiva 2013/39/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque, ha previsto all'articolo 1 la modifica dell'articolo 78 del decreto legislativo n. 152 del 2006 che riguarda gli standard di qualità ambientale, per le acque superficiali che si applicano come indicato alla tabella 1/A per la colonna d'acqua e il biota, e alla tabella 2/A per i sedimenti, standards per i quali per la sostanza «mercurio e suoi composti» sono indicati rispettivamente i valori di 0,07 μg/l, di 20 ug/kg e di 0,3 mg/kg s.s;
   al riguardo in particolare il citato valore 0,3 mg/kg s.s. di standard di qualità ambientale previsto per i sedimenti riguardo la concentrazione dell'inquinante «mercurio e suoi composti» si perpetua immutabilmente nella normativa nazionale, come derivato da quella comunitaria, da ormai oltre 10 anni;
   anche la legge n. 221 del 2015 («Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali») e, in particolare, l'articolo 78 (Modifica all'articolo 5-bis della legge 28 gennaio 1994, n. 84, in materia di dragaggio), dove anche per sedimenti non pericolosi è previsto il «refluimento all'interno di casse di colmata, di vasche di raccolta, o comunque in strutture di contenimento o di conterminazione realizzate con l'applicazione delle migliori tecniche disponibili in linea con i criteri di progettazione formulati da accreditati standard tecnici internazionali adottati negli Stati membri dell'Unione europea e con caratteristiche tali da garantire, tenuto conto degli obiettivi e dei limiti fissati dalle direttive europee, l'assenza di rischi per la salute e per l'ambiente»;
   ancora ad oggi non è stato licenziato lo schema di decreto recante «modalità per il rilascio dell'autorizzazione all'immersione in mare dei materiali di escavo di fondali marini o salmastri ai sensi dell'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»;
   l'interrogante rileva la oggettiva debolezza scientifica e amministrativa dei pareri redatti dall'Agenzia per l'ambiente del Friuli Venezia Giulia, in questo ultimo triennio, riguardo il dragaggio dei sedimenti inquinati in laguna di Grado e Marano, espressi, per l'interrogante, ignorando la abbondante documentazione scientifica disponibile in materia con riguardo specifico ai luoghi della laguna di Grado e Marano, come anche le norme giuridiche e finanche la sopra citata sentenza n. 84 della Corte costituzionale;
   a giudizio dell'interrogante la suddetta agenzia opera un'interpretazione burocratica del suo ruolo, sembrando più impegnata a garantire l'effettuazione rapida degli interventi di dragaggio che gli effetti sull'ambiente e la salute causati dalla rimovimentazione tal quali in loco o a breve distanza di sedimenti inquinati dar mercurio; si rileva, in particolare, l'unico richiamo di tali pareri all'articolo 183, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, evidentemente difforme al corpo normativo vigente se non palesemente errato e certamente non allineato ai recenti princìpi in materia di green economy come di economia circolare di recente emanazione a livello comunitario come nazionale;
   la sentenza n. 84/2015 della Corte costituzionale nemmeno cita l'articolo 183, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 di cui sopra, assumendo come unico riferimento «le norme tecniche contenute nel citato Manuale per la movimentazione dei sedimenti marini redatto per conto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare», che non si ritiene possano essere ancora ignorate, con il rischio concreto, per l'interrogante che gli interventi di dragaggio citati siano stati causa di danno ambientale agli ambiti della laguna di Grado e Marano, in gran parte protetti da norme internazionali e comunitarie di alta valenza ambientale;
   in conclusione, il complesso delle normative nazionali e comunitarie di valenza ambientale e sanitaria, vigenti in materia di dragaggi e qualità delle acque, e in particolare la legge n. 68 del 22 maggio 2015, all'articolo 1, comma 1, all'articolo 452-quater e all'articolo 452-quinquies, si riferiscono a «disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente», con particolare, riferimento ai delitti di inquinamento ambientale, quali disastro, compromissione e alterazione dello stesso ambiente, in generale; nel caso particolare, tali norme possono essere applicate con riferimento alla situazione della laguna di Grado e Marano –:
   se, alla luce dei documenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (2007) dell'Istituto superiore di sanità (2012) dell'Ispra (2012) e dell'Arpa del Friuli Venezia Giulia (2012) e della normativa vigente, e, in particolare, agli obiettivi della direttiva 2000/60/CE, e successive modificazioni e integrazioni che appaiono all'interrogante reiteratamente non considerati, gli interventi di dragaggio condotti da quasi tre anni in laguna di Grado e Marano, previsti con spostamento di sedimenti tal quali in diverse aree della stessa, come recentemente eseguiti e in atto, come assicurato dalla Sottosegretario di Stato all'ambiente siano stati valutati dalle strutture tecniche del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in quali forme tempi e metodi, e quale esito e iniziative ne siano sortite, anche in relazione alla citata recente sentenza n. 84 della Corte costituzionale.
(4-16508)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste, sulla base degli elementi acquisiti, si fa presente, in via preliminare, che nel 2012 il sito di interesse nazionale di Grado e Marano è stato sottoposto a riperimetrazione, in seguito alla quale lo stesso è stato notevolmente ristretto ad alcune aree a terra. Risultano quindi esclusi dal sito di interesse nazionale tutti i corpi idrici lagunari. Di conseguenza, lo strumento pianificatorio attualmente previsto per la gestione della laguna è il piano regionale di tutela delle acque.
  La predetta esclusione dal sito di interesse nazionale è stata effettuata a seguito delle indagini ambientali e studi eseguiti, su richiesta della regione Friuli Venezia Giulia, sulla base di apposita relazione dell'Arpa. Occorre, a tal proposito, precisare che, dall'istituzione del sito di interesse nazionale ad oggi, le conoscenze tecnico-scientifiche relative ai fenomeni ambientali che coinvolgono la laguna sono molto progredite, così come la normativa in tale materia. In particolare la classificazione dei corpi idrici superficiali effettuata da Arpa ai sensi della direttiva europea acque (2000/60/CE), come recepita dalla normativa italiana, e utilizzata quale base per la redazione del piano di tutela delle acque, ha mostrato che le condizioni di criticità sono indipendenti dalla concentrazione di mercurio nei sedimenti, essendo legate in alcune aree ai nitrati di origine agricola, in altre alla scarsa ossigenazione dovuta alla difficoltosa circolazione delle acque, anche a causa di opere realizzate dall'uomo nel passato. Anche Ispra, nel parere rilasciato nel corso del 2012, ha fatto presente che «la valutazione della qualità dei sedimenti non si può basare solo su un unico valore tabellare quanto piuttosto sull'analisi integrata delle caratteristiche fisiche, chimiche ed ecotossicologiche del sedimento. Quest'ultimo aspetto, in particolare, fornisce importanti elementi di valutazione circa la risposta che gli organismi acquatici hanno rispetto alle concentrazioni dei contaminanti presenti nei sedimenti».
  Sul punto, anche l'Istituto superiore di sanità si è espresso con proprio parere del 2012 e, secondo quanto evidenziato dall'Arpa, i limiti suggeriti nel predetto parere dell'istituto risultano essere cautelativi per la salute umana ed hanno un carattere provvisorio. Inoltre, il parere mette in evidenza che «anche in aree interne al sito di interesse nazionale adibite a molluschicoltura, le vongole hanno concentrazioni conformi ai limiti sanitari, nonostante siano presenti valori dei sedimenti ampiamente superiori allo standard di qualità ambientale. Di conseguenza si ritiene che il criterio principale e più sicuro per definire e valutare il rischio per la salute umana rimane quello del controllo diretto del mercurio totale negli organismi acquatici edibili e la sua conformità con i valori soglia della normativa».
  Sulla base dei predetti pareri, il Ministero dell'ambiente ha accolto l'istanza e ha approvato la nuova perimetrazione con decreto del 2012. Per cui sono ora di competenza della regione le operazioni di verifica ed eventuale bonifica delle aree escluse dal sito di interesse nazionale. A tal proposito, al fine di dare coerenza e attuazione a quanto previsto dall'attuale normativa nazionale, risulta essere in corso di elaborazione un nuovo piano di bonifica, già inserito nel piano strategico della regione, redatto secondo quanto previsto dai nuovi criteri dati dalla normativa di settore e, in particolare, dagli articoli 199 e 251 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Per quanto concerne le attività di dragaggio effettuate dalla regione a seguito della revoca dello stato di emergenza, si fa presente che i progetti di dragaggio eseguiti negli ultimi anni trovano fondamento normativo nell'articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Con intesa sottoscritta il 4 settembre 2012 tra il Ministero dell'ambiente e la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, sono state definite le modalità operative per la gestione dei fanghi di dragaggio. Al riguardo, è prevista l'esclusione dal regime generale dei rifiuti, con conseguente ricollocazione all'interno del medesimo specchio d'acqua dal quale sono dragati, qualora trattasi di fanghi non pericolosi e la ricollocazione non violi altre norme comunitarie. In alternativa, ove le caratteristiche dei fanghi non consentano tale soluzione, si deve ricorrere al ripascimento, sversamento a mare, conferimento in cassa di colmata o discarica previo trattamento. Sempre secondo quanto riferito dall'Arpa, una volta escluso l'assoggettamento alla normativa sui rifiuti dei sedimenti dragati, l'opzione gestionale di mantenere i sedimenti all'interno della laguna appare tanto più opportuna ove si consideri che, secondo le stime disponibili, la laguna ha una costante tendenza a perdere sedimento: il mantenimento dei sedimenti in laguna consentirà quindi di ovviare a questo fenomeno preservando quindi la laguna stessa.
  In relazione agli interventi finora effettuati, la regione ha confermato di avere sempre seguito il rigoroso procedimento autorizzatorio, acquisendo tutte le prescritte e preventive autorizzazioni. Allo stesso modo l'amministrazione regionale ha evidenziato che, dal punto di vista operativo, il servizio infrastrutture di trasporto e comunicazione della regione verifica la sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge ed acquisisce i pareri degli enti competenti atti a verificare il rispetto delle condizioni predette. Inoltre, a titolo cautelativo, viene verificata anche la compatibilità fisica e chimica dei sedimenti dragati con il sito di destinazione.
  Con riguardo ad ogni fase della realizzazione dei singoli progetti di dragaggio, l'Arpa ha fatto presente che viene predisposto un monitoraggio ante-operam, durante le operazioni di dragaggio e refluimento e post-operam sui molluschi, sulla colonna d'acqua, sugli eventuali effetti ecotossicologici legati all'esecuzione dell'intervento e sulla struttura della comunità macrobentonica. Per alcuni di questi interventi, i piani di monitoraggio eseguiti da Arpa al fine di verificare l'impatto delle attività sui corpi idrici lagunari sono già conclusi ed hanno evidenziato l'assenza di effetti significativi sulla colonna d'acqua, sulla comunità macrobentonica e in area prossime alle zone assentite alla molluschicoltura, anche sul biota.
  Si segnala, infine, che la disciplina dei dragaggi è stata recentemente modificata con decreto ministeriale del 15 luglio 2016 n. 173 recante «Modalità e criteri tecnici per l'autorizzazione all'immersione in mare dei materiali di escavo di fondali marini», in attuazione dell'articolo 109, del decreto legislativo n. 152 del 2006. Il citato decreto ministeriale è corredato da uno specifico allegato tecnico che ne costituisce parte integrante, predisposto dai tre enti di ricerca nazionali ISS, CNR e ISPRA, che dispone una nuova metodologia di campionamento, analisi e gestione dei sedimenti marini, adeguata alle migliori conoscenze scientifiche attualmente disponibili, ciò al fine di garantire la massima tutela ambientale.
  Per quanto concerne le questioni trasfrontaliere tra Italia e Slovenia in relazione alle misure per la prevenzione e riduzione dell'inquinamento dei corpi idrici necessarie al raggiungimento degli obiettivi ambientali, esse sono contenute nel «Programma di misure» dei Piani di gestione delle acque predisposti da Italia e Slovenia, ciascuna per i territori di rispettiva competenza nel caso dei bacini internazionali, quali quello dell'Isonzo. Per il territorio italiano, l'aggiornamento al piano di gestione del distretto idrografico delle Alpi Orientali, elaborato con il coordinamento dell'autorità di bacino nazionale dei fiumi dell'alto Adriatico e con la collaborazione delle regioni del distretto, è stato adottato dal comitato istituzionale dell'autorità di bacino del fiume Adige e dei fiumi dell'Alto Adriatico nel dicembre 2015 ed approvato nel marzo 2016 dal medesimo comitato istituzionale. Detto piano aggiornato è stato infine approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2016.
  Si fa presente, infine, che il 10 ottobre 2013, è stata aperta alla firma dei governi la Convenzione di Minamata sul mercurio, che ha come obiettivo la protezione della salute umana e dell'ambiente dagli effetti negativi del mercurio e dei suoi composti. Ad oggi, i paesi firmatari sono complessivamente 128, tra cui l'Italia, mentre 43 Paesi hanno già provveduto alla ratifica della convenzione. Tale ratifica genererà effetti positivi sia per quanto riguarda la tutela dell'ambiente sia per la tutela della salute umana, grazie alla riduzione e/o eliminazione degli usi del mercurio e al maggiore controllo delle emissioni e dei rilasci di mercurio nei comparti ambientali. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta inoltre seguendo il negoziato relativo al nuovo regolamento europeo sul mercurio, attualmente in fase di adozione da parte del Parlamento europeo, che abroga il regolamento n. 1102 del 2008. È inoltre attualmente in corso l'esame dello schema del disegno di legge per la ratifica della Convenzione di Minamata, che tiene conto dell’iter in corso in sede europea.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà comunque a tenersi informato ed a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, DE ROSA e GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Umbria, il cuore verde d'Italia, dopo trent'anni di loschi silenzi, scopre all'improvviso di avere la sua «terra dei fuochi»;
   il dato preoccupante è che la terra dei fuochi dell'Umbria non è in un'area circoscritta attorno a un'unica zona, ma è diffusa sul territorio che risulta, così, profondamente sfigurato;
   si tratta, in particolare, della zona della valle del Nestore, ma anche di altre realtà del nostro Paese, che negli anni ’80 e ’90, è stata interessata dal traffico delle ceneri da impianti a carbone verso destinazioni sparse sul territorio nazionale, anche quando autorizzato, a fini di smaltimento o recupero; esso rappresenta un allarme ambientale di dimensioni tutt'altro che trascurabili tale da indurre, come nel caso esposto, a forti preoccupazioni nella popolazione in ordine al possibile verificarsi di un danno ambientale o almeno al rischio di esso dovuto alla ritenuta presenza di materiale pericoloso in rifiuti classificati non pericolosi oppure all'assenza di analisi preventive;
   recentemente, si è attivata anche la Procura della repubblica di Perugia che ha aperto una indagine a carico di ignoti con l'ipotesi di reato di disastro ambientale e altre fattispecie contro la salute pubblica;
   i carabinieri del Noe hanno posto i sigilli su un'area di 255 ettari tra i comuni di Panicale e Piegaro: campi coltivati, pozzi, laghetti sono stati isolati e prosegue la ricerca di prove per l'ipotizzato danno all'ambiente e alla salute dei cittadini. Il decreto di sequestro ha raggiunto i anche la società Valnestore Sviluppo, la Comunità Montana, il Consorzio Consenergia Green, l'Enel e svariati privati i cui possedimenti ricadono nella zona interessata;
   secondo quanto pubblicato dal Corriere dell'Umbria del 17 giugno 2016: «I pm ritengono infatti che gli accertamenti effettuati da quando è esplosa l'inchiesta “Valle dei Fuochi” abbiano rilevato la contaminazione delle acque di falda e accertato l'affioramento di rifiuti (solidi urbani e ceneri di varia provenienza) dimostrando “il venir meno anche di quelle prescrizioni minimali” impartite con le autorizzazioni rilasciate negli anni ’80. E gli esiti analitici dei campionamenti effettuati evidenziano anomalie. Sul primo dei tre pozzi controllati (impianti sportivi di Tavernelle) risulta il superamento delle concentrazioni di arsenico (19,8 su limite di 10 microgrammi per litro), ferro (6432 su 200 di limite), manganese (903 su 50 di limite). Il pozzo della vecchia centrale Enel evidenzia il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) per solfati (403 su limite 250) e manganese (565 su 50) e c’è poi il pozzo di un privato sul quale verranno effettuati ulteriori accertamenti per i valori di radioattività misurati. I laghi “Forest”, “Nero”, e “Enel piccolo” evidenziano valori anomali di solfati, boro e manganese. Passando alle ceneri, in località Poderaccio emerge il superamento delle Csc (concentrazioni soglia di contaminazione) per selenio (3,4 su 3), vanadio (98 su 90) e floruri (2,6 su 1,5). Situazione più complessa in località Macereto dove sono più significativi i superamenti dei valori per selenio e vanadio (249 su 90)»;
   aspetto non trascurabile è poi quello relativo all'aumento di tumori e altre gravi patologie registratosi negli ultimi anni nella regione Umbria, altamente imputabile alla presenza di tali sostanze tossiche sul territorio: nella mappa interattiva del Registro tumori umbro di popolazione (Rtup), nel periodo compreso tra il 2004 e il 2011, il territorio compreso tra le frazioni di Pietrafitta e Tavernelle (Panicale) e la città di Piegaro, per i nuovi casi di tumore, si tinge di rosso;
   si tratta di un dato per il quale è al momento impossibile stabilire una correlazione legata a fattori ambientali, ma comunque difficile da smentire, perché parla chiaro e forte e si fa largo tra i tantissimi cittadini che, giustamente preoccupati, chiedono certezze per la loro salute;
   Carlo Romagnoli, referente Isde (acronimo inglese che sta per associazione internazionale dei medici per l'ambiente) dell'Umbria, il 25 febbraio 2016 ha relazionato davanti alla Commissione bicamerale di inchiesta sugli ecoreati: il suo intervento che tocca preliminarmente alcuni casi (si veda Papigno) si incentra sul nesso causale tra fattore ambientale e patologie. Nel suo discorso, pur non facendo riferimento a fattispecie particolari ma che interessa il caso Valnestore, dove c’è un'incidenza di tumori sopra la media regionale, il dottor Romagnoli ha spiegato – secondo quanto pubblicato dal Corriere dell'Umbria che riporta uno stralcio della relazione – che «Relativamente agli effetti sulla salute si tratta di ricordare che è dimostrato in letteratura scientifica che i residenti nei dintorni di siti inquinati hanno una maggiore incidenza di malattie e anche una maggiore probabilità di trasmettere alla prole una suscettibilità a sviluppare malattie in età adulta. Per l'attività che svolgiamo – Isde fa advocacy degli esposti – abbiamo contatti con cittadini e comitati, che ci segnalano una situazione diffusa di esposizione involontaria a sostanze il cui effetto è noto e che dovrebbero, avendo un effetto noto, non essere disperse nell'ambiente. Questo crea una condizione di emergenza. Non dobbiamo aspettare che si determinino le malattie»;
   questo è quanto evidenziato dalla Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti che, poco tempo fa, ha fatto tappa nella regione, prima a Terni, poi a Perugia e Orvieto, per fare il punto sulle indagini scattate sulla gestione dei rifiuti in Umbria;
   dunque, da quanto emerge dalla indagine della procura di Perugia e dai primi rilievi, si sarebbe sicuramente di fronte a chiari indizi di come questo territorio sia stato sottoposto a fortissimi rischi ambientali, senza un definitivo riassetto dei luoghi al termine di quelle attività, con potenziali pericolosi effetti sulla salute umana –:
   quali iniziative intendano mettere in campo i Ministri interrogati, per quanto di competenza, anche in accordo con le istituzioni locali, per tutelare i cittadini dalle possibili ripercussioni sulla salute, causate dalla contaminazione dei terreni e delle falde acquifere ovvero da altre fonti inquinanti o nocive presenti nei territori della Valnestore;
   quali iniziative intendano promuovere i Ministri interrogati, per quanto di competenza, a tutela del territorio e dell'ambiente della Valnestore, affinché l'area interessata riacquisti la bellezza originaria e ai residenti venga garantita la sicurezza rispetto alla salubrità del territorio;
   quali iniziative intenda adottare il Governo per informare la cittadinanza in particolare della Valnestore circa la situazione ambientale descritta in premessa. (4-13569)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla regione Umbria, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, come noto, la centrale termoelettrica Enel di Pietrafitta (anche detta Franco Rasetti), è nata nel 1958 come una centrale termoelettrica a bocca di miniera, cioè alimentata dalla lignite estratta in zona, che ha funzionato fino al 2001. In realtà, stante la scarsa qualità della lignite del sito di Pietra fitta (molto torbosa), sin dall'inizio degli anni ’90 la centrale ha sfruttato solo in parte la lignite locale, utilizzando anche quella proveniente dalla miniera di lignite di Bastardo integrata con carbone di provenienza extra-regione.
  Inoltre, negli anni 1978-1980, a seguito dell'emanazione del decreto del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 29 dicembre 1977, sono stati costruiti i gruppi 3 e 4 (denominati PF3-PF4) e la loro entrata in esercizio è avvenuta rispettivamente nel febbraio e nel gennaio 1980. Invece, il nuovo gruppo a ciclo combinato PF5 è stato autorizzato con decreto VIA/2542 del 9 agosto 1996 e successivo decreto del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 6 settembre 1996.
  L'impianto è stato, altresì, autorizzato con AIA nazionale dal 2011, con scadenza al 2019.
  Dalla autorizzazione integrata ambientale del 28 marzo 2011 risulta che l'impianto termoelettrico di Pietrafitta era costituito da:
   2 gruppi turbogas (ciascuno della potenza 88 MW; potenza termica associata a ciascun turbogas pari a 310 MW) in ciclo aperto alimentati a gasolio e denominati PF3 e PF4 costruiti ed entrati in funzione tra il 1978 e il 1980;
   1 gruppo turbogas in ciclo combinato con 2 turbine a vapore (della potenza elettrica complessiva di 362 MW; potenza termica associata al turbogas pari a 680 MW) alimentato a gas naturale e denominato PF5, in esercizio commerciale nell'anno 2003, che svolgeva prevalentemente il servizio di copertura delle punte giornaliere di richiesta di energia elettrica con frequenti fermate.

  A seguito delle mutate esigenze del mercato dell'energia elettrica, Enel ha chiesto ed ottenuto dal Ministero dello sviluppo economico l'autorizzazione a porre in sicurezza e a cessare l'esercizio dei gruppi turbogas PF3-PF4 della centrale a far data dal 10 marzo 2014.
  Con riferimento alle discariche di rifiuti site in località Pietrafitta, a seguito dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982 n. 915, con decreto del Presidente della giunta regionale n. 776 del 14 novembre 1983, è stata rilasciata l'autorizzazione provvisoria alla prosecuzione ed alla gestione di queste alla ditta R.G. s.a.s. di Pericoli Eugenia fino al 31 dicembre 1985. Tale autorizzazione prevedeva la prosecuzione di una attività già in essere prima dell'entrata in vigore della specifica norma di settore rappresentata dal decreto del Presidente della Repubblica 915/82, per l'esercizio di una discarica controllata per rifiuti solidi urbani e rifiuti speciali.
  La discarica in oggetto, come richiamato al punto b) del citato decreto del Presidente della giunta regionale, stabiliva la possibilità del conferimento dei «rifiuti urbani» e dei «rifiuti speciali» come definiti dal decreto del Presidente della repubblica 915/82, ad esclusione di quelli tossici e nocivi. I rifiuti urbani erano quelli provenienti dal territorio del comune di Piegaro per una quantità massima di 5.400 quintali/anno e i rifiuti speciali (ceneri) erano quelli provenienti dalla centrale Enel di Pietrafitta per una quantità massima di 120.000 tonnellate/anno.
  Successivamente, con decreto del Presidente della giunta regionale n. 421 del 30 luglio 1985, è stato autorizzato il conferimento in discarica delle ceneri provenienti dalle ceneri delle centrali Enel di Vado Ligure e La Spezia per un quantitativo massimo di 50.000 mc e, con decreto del Presidente della giunta regionale n. 238 del 22 aprile 1986, è stata concessa la proroga dell'autorizzazione provvisoria per la gestione della discarica fino al 30 giugno 1986 per lo smaltimento dei soli rifiuti speciali (ceneri) provenienti dalla sola centrale Enel di Pietrafitta.
  Il comune di Piegaro, che utilizzava per lo smaltimento dei propri rifiuti solidi urbani la discarica esistente della società R.G. s.a.s. di Pericoli Eugenia, in data 26 novembre 1985, ha chiesto alla Regione Umbria l'autorizzazione alla realizzazione e gestione di una nuova discarica per lo smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani in località Trebbiano con capacità di 6.200 metri cubi. Con decreto del Presidente della Giunta regionale del 14 aprile 1986, n. 221, il comune di Piegaro è stato, quindi, autorizzato alla realizzazione e alla gestione della discarica di 1a categoria per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, speciali assimilabili agli urbani e fanghi di impianti di depurazione di reflui civili nonché fanghi con caratteristiche analoghe per un quantitativo massimo di 6.200 metri cubi.
  Il 1o piano regionale per la organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti, approvato con L.R. del 24 agosto 1987, n. 44, al capitolo 10, ha fornito la situazione delle discariche controllate di 1o categoria ubicate nel territorio regionale. Nel comune di Piegaro, alla data del 1o luglio 1986, risultavano presenti due discariche: la prima esaurita e attiva fino al 31 dicembre 1985, la seconda con una capacità residua di 15.000 tonnellate.
  Successivamente, su istanza del comune di Piegaro del 19 maggio 1987 è stato approvato, con D.G.R. 23 febbraio 1988, n. 1151, il progetto di adeguamento e potenziamento della discarica comunale di 1a categoria sita in località Trebbiano che, in base alle previsioni del Piano regionale, era posta al servizio dei comuni di Piegaro, Panicale e Paciano. Le modalità tecniche e i criteri di realizzazione e gestione delle discariche e dell'attività di smaltimento dei rifiuti sono state disciplinate dagli atti autorizzativi, sulla base di quanto stabilito dal vigente decreto del Presidente della Repubblica 915/82 e dalla delibera del comitato interministeriale del 27 luglio 1984.
  Con l'entrata in vigore del decreto ministeriale ambiente 5 febbraio 1998, di attuazione del decreto legislativo 22/97 (decreto Ronchi), l'operazione di recupero delle ceneri provenienti da combustione di carbone e lignite, è stata individuata alla tipologia 13.1 «ceneri dalla combustione di carbone e lignite, anche additivati con calcare e da combustione con esclusione dei rifiuti urbani ed assimilati tal quali (100102)». Tale rifiuto è «generalmente composto dall'80 per cento circa di ceneri volanti e dal 20 per cento circa di ceneri pesanti; costituito da silicati complessi di alluminio, calcio e ferro, sostanza carboniosa incombusta (2-10 per cento; PCDD in concentrazione non superiore a 2,5 ppb; PCB, PCT <25 ppm».
  Successivamente all'entrata in vigore di tale decreto ministeriale, la Società Enel s.p.a. a seguito della comunicazione effettuata ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 22/97 (abrogati dagli articoli 214 e 216 del decreto legislativo 152/06) è stata iscritta nel Registro delle imprese che effettuano attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi al n. 183/98 per il sito ubicato in località Pietrafitta del Comune di Piegaro, per la tipologia 13.1 del decreto ministeriale ambiente 5/2/98, attività di recupero R13 «Messa in riserva di rifiuti» per poi destinarli all'effettivo recupero, per un quantitativo massimo di 10.000 tonnellate/anno. La società Enel s.p.a. ha comunicato la cessazione dell'attività di cui all'iscrizione n. 183/98 in data 14 dicembre 2000.
  Con riferimento alle procedure di bonifica del sito della ex centrale di Pietrafitta, ricadente nell'area della Val Nestore, la regione Umbria fa presente che lo stesso risulta inserito nella Lista A5 (Siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale), ai sensi dell'articolo 252-bis del decreto legislativo 152/06, del vigente piano regionale per la bonifica delle aree inquinate approvato con deliberazione del C.R. n. 301/2009.
  Arpa Umbria, con nota del 26 aprile 2016, ha segnalato il superamento delle Concentrazioni Soglia Contaminazione (CSC) riguardante le acque sotterranee per il parametro arsenico presso il pozzo ubicato nell'area degli impianti sportivi in località Tavernelle, ai fini dell'adozione dei necessari provvedimenti precauzionali da parte degli Enti competenti in materia di igiene e sanità pubblica. Inoltre, con nota del 14 giugno 2016, ha segnalato ai sensi dell'articolo 244, comma 1 del decreto legislativo 152/06, nell'ambito delle attività di vigilanza su delega dell'autorità giudiziaria, il superamento delle CSC nelle acque sotterranee presso n. 2 pozzi di seguito descritti:
   Pozzo ubicato nell'area degli impianti sportivi in località Tavernelle, nel comune di Panicale, relativamente ai parametri Arsenico, Ferro e Manganese;
   Pozzo ubicato nell'ex centrale di Pietrafitta, nel comune di Piegaro, relativamente ai parametri Solfati e Manganese.

  La stessa Agenzia, con la nota medesima, ha richiesto alla regione Umbria un contributo di euro 50.000,00 finalizzato ad implementare un piano di indagine finalizzato a comprendere le cause e l'estensione della contaminazione accertata nell'area in argomento.
  La regione Umbria, in ragione di quanto segnalato da Arpa Umbria, ha invitato la provincia di Perugia a comunicare i risultati delle attività poste in essere ai sensi dell'articolo 244, comma 2 del decreto legislativo 152/06, anche ai fini dell'attivazione delle procedure previste dall'articolo 250 dello stesso decreto legislativo che prevede il potere sostitutivo del comune interessato dalla contaminazione. Ha concesso, inoltre, con D.G.R, del 15 settembre 2016, un contributo di euro 50.000,00 ad Arpa Umbria finalizzato all'implementazione del piano di indagine riguardante le acque sotterranee nei territori comunali di Piegaro e Panicale.
  Arpa Umbria, il 22 agosto 2016, ha segnalato, ai sensi dell'articolo 244, comma 1 del decreto legislativo 152/06, nell'ambito delle attività di vigilanza su delega dell'autorità giudiziaria, il superamento delle CSC nelle acque sotterranee di n. 14 pozzi privati su n. 46 pozzi campionati a seguito del monitoraggio espletato nei mesi di giugno e luglio, relativamente ai parametri Manganese, Ferro, Tetracloroetilene, Dicloro propano, Solfati, Mtbe ed il superamento dei limiti di potabilità stabiliti dal decreto legislativo n. 31/2001 in 1 pozzo per il parametro Nitrati.
  Alla luce di ciò, la regione Umbria, con decreto della giunta regionale del 19 dicembre 2016, ha inserito, con sigla PG137, il sito in località «Area limitrofa ex centrale di Pietrafitta», ubicato nei comuni di Panicale e Piegaro, nell'anagrafe regionale dei siti oggetto di procedimento di bonifica del piano regionale per la bonifica delle aree inquinate.
  Successivamente, Arpa Umbria, il 27 dicembre 2016, ha segnalato, ex articolo 244, comma 1, del decreto legislativo 152/06, il superamento delle CSC nelle acque sotterranee di n. 16 pozzi privati in aggiunta a quelli già oggetto di precedenti comunicazioni, relativamente ai parametri Manganese, Ferro, Alifatici Clorurati, Arsenico, Alluminio, evidenziando, al contempo, che alcuni pozzi ove è stato riscontrato il superamento delle CSC per gli Alifatici Clorurati sono già oggetto di attività di bonifica ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La regione Umbria, in ragione di quanto segnalato da Arpa Umbria, ha invitato la provincia di Perugia a comunicare i risultati delle attività poste in essere ai sensi dell'articolo 244, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 anche ai fini dell'attivazione delle procedure previste dall'articolo 250 dello stesso decreto legislativo che prevede il potere sostitutivo del comune interessato dalla contaminazione.
  Il comune di Piegaro, con nota del 24 gennaio 2017, sulla base delle segnalazioni della ASL Umbria 1 e del monitoraggio espletato da Arpa Umbria ha trasmesso l'invito a non utilizzare a scopo potabile le acque contaminate da manganese in 2 pozzi privati.
  Arpa Umbria, il 10 febbraio 2017, ha, altresì, segnalato ai sensi dell'articolo 244, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, il superamento in località Poderone delle CSC riguardanti la matrice suolo per i parametri Policlotobifenili, Selenio, Idrocarburi, Piombo, ritenendo al contempo che la contaminazione rilevata sia imputabile all'uso e/o stazionamento delle macchine di miniera di proprietà Enel s.p.a..
  La provincia di Perugia, sulla base della suddetta comunicazione Arpau, con nota del 10 marzo 2017, ha diffidato la Società Enel s.p.a., quale soggetto obbligato responsabile della contaminazione, a mettere in opera le misure di messa in sicurezza previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e, con nota del 14 marzo 2017, ha trasmesso l'ordinanza con la quale ha ordinato alla Società Enel s.p.a. di presentare, entro gg. 30 dal ricevimento della stessa, il piano di caratterizzazione previsto dalla normativa vigente (allegato 2 — Parte IV, Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006).
  Arpa Umbria, il 16 marzo 2017, ha segnalato ai sensi dell'articolo 244, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, il superamento delle CSC nelle acque sotterranee di 5 pozzi privati in aggiunta a quelli già oggetto di precedenti comunicazioni, relativamente ai parametri Solfati, Boro, Selenio, Manganese, Ferro, Fluoruri, Alluminio.
  La Società Enel s.p.a., con nota del 23 marzo 2017, ed in riscontro alle predette Diffida e Ordinanza emesse dalla Provincia di Perugia, ha comunicato che le aree ove sono situate le macchine escavatrici sono sottoposte a sequestro penale e che la stessa società ha avanzato richiesta di autorizzazione alla competente procura della Repubblica per lo svolgimento delle operazioni riguardanti la messa in sicurezza del sito. Nella stessa nota, l'ENEL S.p.A. ha segnalato che è in corso la predisposizione del Piano di caratterizzazione e che lo stesso documento sarà trasmesso entro i termini imposti.
  La regione Umbria, sulla base delle segnalazioni inoltrate da Arpa Umbria, ha invitato la provincia di Perugia a comunicare i risultati delle attività poste in essere ai sensi dell'articolo 244, comma 2 del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche ai fini dell'attivazione delle procedure previste dall'articolo 250 dello stesso decreto legislativo che prevede il potere sostitutivo del comune interessato dalla contaminazione.
  Alla luce dell'esito delle ulteriori indagini in corso da parte di Arpa Umbria finalizzate a perimetrare l'area interessata da tale contaminazione, nonché delle indagini da parte della provincia di Perugia per l'individuazione del soggetto/soggetti responsabili della contaminazione, dovranno essere adottate dal soggetto/i obbligato/i le procedure amministrative dettate dall'articolo 242, comma 3 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La regione comunica, infine, che ha provveduto a chiedere ulteriori contributi informativi all'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente — Arpa Umbria, la quale ha comunicato che sta effettuando indagini su tale problematica a seguito di delega dell'autorità giudiziaria e pertanto differisce l'accesso ai dati/informazioni richiesti, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 329 del codice di procedura penale, precisando, in ogni caso, che si potrà richiedere apposito nulla osta alla competente autorità giudiziaria. Fanno eccezione le informazioni già inviate all'amministrazione regionale e già sopra esposte, relativamente alla contaminazione di acque sotterranee, per le quali l'autorità giudiziaria ha autorizzato Arpa alle dovute comunicazioni.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato e a mantenere alto il livello di attenzione sulla questione, anche al fine di un eventuale confronto di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CORDA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società Fluorsid s.p.a., società chimica sarda controllata da FluorsidGroup e sita nella zona industriale di Macchiareddu e Assemini, nei pressi di Cagliari, leader mondiale nella produzione di fluoroderivati inorganici, per l'industria dell'alluminio, nonché di anidride e di gesso granulare, è al centro di una vicenda giudiziaria che, oltre a vedere indagati e sottoposti a misure cautelari custodiali i suoi vertici, coinvolge, altresì, altri soggetti, quali dirigenti e dipendenti di società d'appalto esterne;
   le fattispecie di reato contestate, a vario titolo, parrebbero essere l'associazione a delinquere, ex articolo 416 del codice penale e il disastro ambientale, ex articolo 452-quater del codice penale, riconducibili all'inquinamento ambientale derivante dall'attività della società in questione;
   la società è stata compartecipata dalla regione Sardegna e non sono chiari i rapporti tra la regione Sardegna e la società in questione, e i vantaggi per la regione e per i sardi derivanti dalla partecipazione al capitale azionario del Fluorsid s.p.a.;
   nel 1996 la regione Sardegna cedeva la gestione della società all'Ente minerario sardo (EMSA) che acquisiva la quasi totalità dei titoli azionari; tuttavia, l'ente, essendo prossimo alla liquidazione, cedeva, nel 2002, alla regione Sardegna, che acquistava il cento per cento del capitale azionario, la gestione della società;
   nel 2006, a causa di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea che contestava aiuti di Stato alla società di cui si discorre, la stessa veniva messa in liquidazione. Nel 2007 nasceva la società Fluorite di Silius s.p.a., il cui intento era quello di renderla concessionaria dei giacimenti di fluorite. Allo stato, risulta, anch'essa, in liquidazione già da diversi anni;
   l'indagine in corso nasce dalla presentazione di un esposto alla guardia forestale da parte dei veterinari del servizio sanitario nazionale insospettiti dalle morti del bestiame che pascolava non lontano da un sito di lavorazione e produzione del fluoro e derivati della Fluorsid s.p.a.;
   già in precedenza la sezione civile del tribunale di Cagliari aveva condannato la società in questione a risarcire i danni sofferti da alcuni allevatori per la perdita di diversi capi di bestiame ritenendo sussistente il nesso eziologico tra il sorgere della malattia negli animali e le attività della società;
   nell'ordinanza con la quale il giudice delle indagini preliminari (Gip) di Cagliari, dottoressa Cristina Ornano, ha disposto l'applicazione delle misure cautelari, scrive: «a quasi 20 anni dalla condanna nulla è mutato»; a pagina 24 dell'ordinanza di custodia cautelare il Gip scrive: «L'obiettivo perseguito dalla Fluorsid era quello di massimizzare il profitto. E per raggiungere tale risultato i suoi vertici aziendali e i suoi dirigenti, nonché il responsabile delle ditte esterne [...] hanno posto in atto delle modalità dolosamente rivolte ad ottimizzare la produzione a discapito dell'osservanza delle più elementari regole cautelari» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e se abbia adottato, o intenda adottare, iniziative, per quanto di competenza, per verificare e approfondire l'entità del danno ambientale, anche promuovendo l'avvio di un tavolo di confronto tra tutte le istituzioni interessate a livello nazionale, regionale e locale, al fine di valutare quali interventi approntare a tutela del patrimonio ambientale e del diritto alla salute dei cittadini residenti. (4-16859)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'inquinamento prodotto dalla società Fluorsid s.p.a., società chimica sarda controllata da FluorsidGroup e sita nella zona industriale di Macchiareddu e Assemini, nei pressi di Cagliari, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Secondo quanto riferito dalla regione Sardegna, l'area in questione è da tempo interessata da una attività di monitoraggio delle matrici ambientali, prevista dal piano di gestione delle acque e svolta a cura dell'agenzia regionale del distretto idrografico della Sardegna, con il supporto dell'ARPAS. Inoltre l'area di Assemini rientra nella rete di monitoraggio atmosferico regionale, come previsto dalla zonizzazione del territorio e classificazione di zone e agglomerati, mentre l'area dello stagno di Santa Gilla è interessata da attività di controllo da parte delle autorità sanitarie locali per la produzione e commercializzazione dei molluschi bivalvi vivi.
  Si evidenzia, peraltro, che l'area si trova all'interno del sito di bonifica di interesse nazionale del Sulcis Iglesiente Guspinese, per le cui attività di bonifica, imposte al soggetto obbligato, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si avvale dell'ARPAS e dell'ISPRA.
  La predetta attività di monitoraggio ha evidenziato diverse violazioni e criticità, in particolare con riferimento alla gestione dei depositi di rifiuti e degli stoccaggi di materie prime; alla significativa polverosità dello stabilimento pur in presenza di operazioni di bagnatura dei cumuli, evidentemente non sufficienti; agli omessi monitoraggi di emissioni in atmosfera; all'omesso utilizzo dei metodi di riferimento per gli autocontrolli in aria, acqua e acque sotterranee.
  Per quanto riguarda lo stato qualitativo dei suoli, i risultati della caratterizzazione realizzata nel 2012 e 2013 hanno evidenziato, per la matrice suolo e top soil, la conformità alle concentrazioni soglia di contaminazione. Pertanto, la conferenza di servizi decisoria del 22 febbraio 2017, vista la relazione di validazione delle analisi di ARPA Sardegna, ha chiuso il procedimento per la matrice suolo (articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006).
  Con riferimento, invece, allo stato qualitativo della falda, i risultati della caratterizzazione hanno evidenziato superamenti dei limiti per metalli, triclorometano, fluoruri e solfati. Il Piezometro PPZ1 della falda profonda ha mostrato superamenti per Fe, Mn e Tetracloroetilene. Conseguentemente, su richiesta della conferenza di servizi, l'azienda ha attivato le misure di messa in sicurezza d'emergenza della falda, avviando l'emungimento su 4 piezometri. Le attività di controllo delle misure vengono svolte da ARPAS e provincia.
  La conferenza di servizi del 25 ottobre 2016 ha chiesto inoltre, vista la presenza di clorurati nelle acque di falda, di procedere all'elaborazione di un'analisi di rischio sanitaria al fine dell'adozione delle misure di prevenzione per i fruitori dell'area. Sempre su richiesta della predetta conferenza di servizi, in data 13 gennaio 2017 si è svolto un tavolo tecnico dal quale è emerso che «i dati in possesso degli Enti mostrano uno stato qualitativo della falda superficiale (contaminazione per solfati e fluoruri) diverso e non coincidente con quello riscontrato nella falda profonda (clorurati), si può ragionevolmente ritenere che relativamente a processi di migrazione di contaminanti, i due acquiferi alla scala di stabilimento siano due sistemi isolati». Al fine di verificare tale ipotesi, è stato richiesto alla società l'invio dei risultati analitici della faida profonda relativi agli ultimi anni e un monitoraggio della falda, che comprendesse anche i pozzi profondi utilizzati per i processi industriali. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto, inoltre, alla società di elaborare il necessario progetto di messa in sicurezza operativa della falda. La validazione in campo da parte di ARPAS è prevista entro il mese di giugno 2017.
  In data 22 maggio 2017, la società ha trasmesso una richiesta di proroga dei termini di presentazione del progetto di ulteriori 90 giorni. Il Ministero ha comunicato il diniego a detta richiesta, diffidando l'azienda a trasmettere il progetto. È stata inoltre richiesta la trasmissione, entro 30 giorni dalla notifica della comunicazione, delle risultanze della caratterizzazione dell'area deposito ricadente nel territorio di Assemini località Terrasili, occupata dall'abbancamento di gesso anidro e fanghi fluoritici. La predetta area è stata, peraltro, posta sotto sequestro preventivo dal giudice per le indagini preliminari con ordinanza del 9 maggio 2017 unitamente ai cumuli di materiali di produzione industriale stoccati all'aperto nella parte nord dello stabilimento Fluorsid, in località Macchiareddu.
  Giova, inoltre, segnalare che, secondo quanto riferito dalla regione, è stato costituito un tavolo tecnico permanente composto dall'ARPAS e da tutte le articolazioni tecniche regionali competenti in materia ambientale e di tutela della salute pubblica. Il predetto tavolo tecnico si è riunito il 24 maggio 2017 presso l'assessorato ambientale della regione Sardegna ed ha determinato di iniziare immediatamente un più ampio monitoraggio delle matrici ambientali nei territori coinvolti dalle attività della Fluorsid.
  Si fa presente, altresì, che nel rispetto del principio «chi inquina paga» gli interventi di messa in sicurezza e bonifica sono stati posti a carico della società Fluorsid.
  Occorre, peraltro, evidenziare che gli elementi acquisiti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, unitamente agli esiti degli accertamenti tecnici condotti in ambito giudiziario, verranno trasmessi ad ISPRA per le valutazioni tecniche inerenti il danno ambientale.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si segnala che il Ministero ha già avviato un'interlocuzione con la regione Sardegna per verificare gli approfondimenti tecnici da attivare sul caso e manterrà alta l'attenzione sulla questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   COSTANTINO, RICCIATTI e DURANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dal 2011 le coste calabresi sono sprovviste del servizio di «pulizia e recupero delle acque marine superficiali costiere»;
   il servizio era stato effettuato ogni anno, per più di quindici anni, attraverso la dislocazione di una flotta, in altrettanti porti della regione, di quattordici battelli dotati di attrezzature in grado di ripulire l'acqua marina di fronte alle coste di competenza di altrettanti porti della Calabria;
   nel 2012 l'annuale gara è andata deserta e da quel momento niente più si è fatto per garantire un servizio pensato per sopperire alle croniche inefficienze della depurazione terrestre delle acque reflue e alle conseguenze degli scarichi abusivi, ma anche per contrastare situazioni eccezionali e difficilmente controllabili e gestibili da terra come ad esempio fenomeni più o meno naturali come la presenza di alghe e mucillagini o inquinamento proveniente da altri territori o derivante dalle mareggiate invernali;
   anche per quanto riguarda la flotta nazionale, di competenza ministeriale, vi è stata una penalizzazione per la Calabria essendo scomparso da qualche anno il natante di stanza nel porto di Roccella Jonica, lasciando completamente sguarnito uno dei tratti più a rischio inquinamento non solo di provenienza terrestre. Inquinamento che, oltre a pregiudicare la salute pubblica e quella degli organismi marini, è concausa dell'abbassamento della qualità dell'offerta turistica che vede nella balneazione una delle principali fonti d'attrazione della regione;
   la nave «Punta Izzo» era stata individuata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di presidiare la costa Jonica della Locride e era volta quindi alla tutela del mare e dell'ambiente marino in generale, ciò dopo il disastro verificatosi nella stagione estiva 2010, che aveva causato enormi danni al turismo locale;
   l'urgenza va sottolineata oggi, all'indomani della chiusura del primo filone di indagini per inquinamento ambientale che vede coinvolto il sistema depurativo dei comuni di Bovalino, Benestare e Casignana, in provincia di Reggio Calabria, il cui conclamato inquinamento delle coste era stato segnalato dalla Guardia costiera e dai rilievi e dalle diffide alla balneazione da parte dell'Arpacal, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente in Calabria;
   stessa attenzione è stata dedicata al depuratore per le acque reflue del comune di Staiti, in provincia di Reggio Calabria, a cui sono stati posti i sigilli, per mancata manutenzione e cattivo funzionamento;
   i 700 chilometri di coste calabresi, oltre ai monitoraggi ambientali dovuti dagli enti locali avrebbero bisogno di una flotta che sia non del tutto sostitutiva, ma quantomeno complementare, anche se l'intero sistema di depurazione terrestre fosse efficiente;
   molte organizzazioni hanno sollecitato il dipartimento ambiente della regione, ma il servizio di flotta regionale non è stato ancora ripristinato, nonostante per più di un decennio la spesa sostenuta per la presenza della flotta navale di controllo sia stata relativamente irrisoria e finanziata con fondi europei, con un ottimo ritorno in materia di qualità della vita e di turismo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere per garantire una capillare flotta in Calabria, anche alla luce della mancanza di una flotta regionale, e avendo il Ministero la competenza a inviare navi, si intenda assumere iniziative per far ritornare anche a Roccella Jonica il provvidenziale natante della flotta d'intervento nazionale in modo da garantire ritorni inestimabili sia in termini di salute pubblica che di qualità ambientale, con tutto ciò che ne può derivare a livello di redditività sociale e turistica. (4-13181)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  È necessario premettere che la depurazione si inserisce nel processo verticale del servizio idrico integrato (S.I.I.) composto appunto da acquedotto, fognatura e depurazione. La corretta gestione del servizio idrico integrato, secondo le norme vigenti, prevede una struttura decisionale locale che fa capo agli enti di governo d'ambito a cui spetta – in sede di predisposizione e aggiornamento del piano d'ambito – la scelta del modello organizzativo del servizio, la ricognizione delle infrastrutture, la pianificazione degli interventi necessari a fornire un servizio di qualità, la redazione del piano economico e finanziario della gestione e affidamento del servizio ad un gestore unico, oltre che il controllo e la vigilanza sulla gestione.
  La regione Calabria è tra le regioni che ad oggi non hanno ancora provveduto a dare piena attuazione al Servizio idrico integrato. Tale mancata attuazione comporta resistenza delle criticità organizzative, gestionali ed infrastrutturali segnalate dagli Interroganti, con grave pregiudizio al territorio di riferimento e ai cittadini calabresi.
  Particolarmente grave appare la situazione in 13 dei 141 agglomerati interessati da contenzioso comunitario per mancata conformità dei sistemi fognari e depurativi ai requisiti fissati dalla direttiva 91/271/Cee sul trattamento delle acque reflue urbane.
  Al momento, la regione, sottoposta a monitoraggio continuo da parte degli uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico, in quanto diffidata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 maggio 2015 poiché, alla data del 31 dicembre 2014, non aveva ancora provveduto ad individuare l'ente di governo d'ambito, sta provvedendo a dare attuazione agli obblighi di cui alla suddetta diffida. In particolare, con delibera del 12 giugno 2015, ha identificato l'Autorità idrica della Calabria (A.I.C.) e, contestualmente, proposto al consiglio regionale il disegno di legge regionale recante «istituzione dell'ente di governo d'ambito per il servizio idrico integrato “autorità idrica della Calabria”»; con delibera del 27 luglio 2015 ha disciplinato il funzionamento dell'Ente d'Ambito e con decreto dirigenziale del 14 ottobre 2015 sono state avviate le azioni propedeutiche all'affidamento del servizio idrico integrato, ancora in corso.
  Per accelerare gli interventi di adeguamento degli agglomerati ai requisiti stabiliti dalla direttiva «acque reflue urbane», il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha adottato una serie di iniziative, di carattere sia economico che legislativo, tra cui la delibera Cipe n. 60 del 30 aprile 2012 con la quale sono stati assegnati oltre un miliardo e 643 milioni di euro per finanziare 183 interventi nel settore idrico e volti a risolvere le situazioni di maggiore criticità nel sud del Paese.
  In particolare, per la regione Calabria sono stati assegnati circa 160 milioni di euro per 16 interventi finalizzati a risolvere le criticità in 15 agglomerati – 13 dei quali interessati dalla citata procedura d'infrazione – e nei comuni della fascia costiera vibonese. Sulla base di quanto recentemente comunicato dalla regione Calabria, i 13 agglomerati oggetto della procedura d'infrazione dovrebbero raggiungere la conformità ai requisiti della direttiva 91/271/Cee entro il 2018/2019.
  È opportuno, altresì, evidenziare che, al fine di accelerare la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione in ordine all'applicazione della direttiva 91/271/Ce, la Presidenza del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell'ambiente, ha attivato, per la regione Calabria, la procedura di commissariamento relativamente a 5 interventi a servizio di 11 agglomerati, per un importo pari a euro 27,3 milioni. A tale scopo, con il decreto-legge n. 243 del 29 dicembre 2016 è stata prevista la nomina, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti i Presidenti delle regioni interessate, di un unico commissario straordinario del Governo, al quale sono attribuiti compiti di coordinamento e realizzazione degli interventi funzionali a garantire l'adeguamento, nel minor tempo possibile, alle sentenze di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea. Ciò al fine di evitare l'aggravamento delle procedure di infrazione in essere, mediante gli interventi sui sistemi di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue necessari in relazione agli agglomerati oggetto delle predette condanne non ancora dichiarati conformi, ivi inclusa la gestione degli impianti per un periodo non inferiore a due anni dal collaudo definitivo delle opere, nonché il trasferimento degli stessi agli enti di governo d'ambito.
  Si segnala, inoltre, che l'articolo 22 del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, al fine di garantire la dotazione finanziaria necessaria per la realizzazione degli interventi attuativi della sentenza di condanna della corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014 relativa alla procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2007, ha disposto che tutte le risorse finanziarie statali destinate, a qualsiasi titolo, alla messa a norma delle discariche abusive oggetto della sentenza di condanna, e non impegnate alla data di entrata in vigore del citato decreto, ancorché già trasferite alle amministrazioni locali e regionali o a contabilità speciali, sono revocate e assegnate al commissario straordinario nominato ai sensi del comma 2-bis dell'articolo 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, su specifico conto di contabilità speciale.
  Lo stesso articolo 22 ha poi previsto che i commissari straordinari di cui al comma 7 dell'articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, dovranno assicurare la realizzazione degli interventi con le risorse destinate dalla delibera Cipe n. 60/2012 alla depurazione delle acque, e procedere senza indugio al loro impegno con le procedure ad evidenza pubblica, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, prescindendo comunque dall'effettiva disponibilità di cassa, informando dell'esito delle stesse il competente dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'ambiente, e l'Agenzia per la coesione territoriale.
  Con riferimento alle aree di balneazione, si segnala che, a partire dalla stagione balneare 2010, il monitoraggio della qualità delle acque di balneazione viene effettuata dalle Agenzie regionali per la protezione ambientale (A.R.P.A.), unici enti abilitati ad eseguire il controllo sulle acque di balneazione, secondo quanto dettato dalla direttiva 2006/7/CE.
  La terza campagna nazionale di tutela ambientale sviluppata dal reparto ambientale marino del comando generale e svolta nel 2015 dal corpo delle capitanerie di porto – guardia costiera, si è chiusa con numeri importanti: 1043 persone denunciate, 774 sequestri per un valore di oltre due milioni di euro, 320.000 metti quadri di aree demaniali e non sottoposte a sequestro, per un totale di 1754 notizie di reato. Sulle novecento navi ispezionate sotto i profili anti-inquinamento, in 211 erano state riscontrate deficienze. Le sanzioni amministrative sono state 1230, per un totale di 4,5 milioni di euro. Ad essere sequestrate sono state anche 4,5 tonnellate di rifiuti.
  La campagna portata a termine nel 2015 si era articolata su cinque aree di intervento: la tutela delle zone marino-costiere, finalizzata alla repressione degli abusivismi demaniali e delle violazioni nelle aree marine protette; la vigilanza sui rifiuti; il contrasto all'inquinamento provocato da navi; la salvaguardia della fauna e della flora marina; la vigilanza sugli scarichi a mare. E sarà proprio quest'ultimo, su indirizzo del Ministro, l'obiettivo prioritario della campagna 2016, per la sua incidenza sul delicato equilibrio eco-sistemico del bacino del mar Mediterraneo e per il raggiungimento di uno standard di qualità ambientale delle acque marine che rappresenta uno dei principali target della Marine Strategy.
  Il corpo delle capitanerie di corpo — guardia costiera, quale diretta espressione funzionale e operativa del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in materia di vigilanza e tutela dell'ecosistema marino, metterà dunque in campo ancora una volta le sue diverse componenti operative: da quella aerea a quella navale e subacquea, dai laboratori ambientali mobili agli ispettori specializzati nella sicurezza della navigazione.
  Inoltre, l'ultima campagna estiva condotta dai carabinieri del comando per la tutela dell'ambiente, in coordinamento con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ed incentrata sulla tutela delle acque, si è rivolta alla verifica del corretto funzionamento dei depuratori comunali e degli impianti di trattamento acque reflue industriali, degli stabilimenti balneari, dei villaggi turistici e dei cantieri navali. In questo caso, a fronte di 563 controlli, si sono verificati 105 casi di non conformità, con 188 persone segnalate in ambito penale con 77 sanzioni. Sono stati 26 i sequestri per oltre 26 milioni e 600 mila euro. Le 21 sanzioni amministrative elevate a 14 soggetti sono state invece di un valore complessivo di oltre 174 mila euro.
  Sulla base delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a conoscenza delle criticità segnalate, monitora costantemente e con la massima attenzione la situazione ed è impegnato ad intraprendere e portare avanti tutte le azioni di competenza volte alla risoluzione delle problematiche e a sollecitare gli enti territoriali per far sì che gli stessi pongano in essere tutto quanto necessario per il superamento delle criticità e per il raggiungimento del pieno rispetto della normativa comunitaria e nazionale.
  Ad ogni modo, poiché della questione sono interessate anche altre amministrazioni, e si è in attesa di ricevere ulteriori elementi. Questo Ministero continuerà comunque a tenersi informato per quanto di competenza, anche al fine di valutare un'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CRIPPA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 settembre 2013 sono partiti i lavori sulla strada statale 33 per il prolungamento dell'imbocco sud della galleria di «Paglino» al chilometro 142+800;
   come infatti si può leggere dal comunicato di ANAS spa pubblicato sul quotidiano Il Corriere della Sera in data 13 giugno 2013, i lavori sopracitati sono stati affidati tramite gara d'appalto all'impresa GFA srl con sede in Battipaglia (SA);
   tale impresa risulterebbe avere vinto la gara sopracitata con un'offerta al ribasso del 24,531 per cento;
   i lavori in oggetto sarebbero dovuti terminare entro il mese di novembre 2014;
   su richiesta di GFA srl pervenuta ad ANAS spa in data 30 settembre 2013, il termine dei lavori risulta essere stato prorogato all'11 febbraio 2015;
   ad oggi, come si può leggere nella sezione dell'opera presente sul sito di ANAS spa, i lavori risultano essere fermi al 16,66 per cento della loro totalità;
   secondo l'articolo pubblicato in data 1° ottobre 2014 sulla testata giornalistica ECOrisveglio: «I lavori sulla statale 33 del Sempione, a pochi chilometri dal confine con la Svizzera, sono fermi dal 5 luglio quando i responsabili della ditta GFA srl di Battipaglia hanno comunicato per iscritto all'Anas che la «galleria paramassi così come prevista dal progetto non si può realizzare e che necessita di una variante urgente»;
   nello stesso articolo, GFA srl dichiara alla testata che «Se ci sarà un inverno come quello dello scorso anno con un metro e mezzo di neve (...) difficilmente potremo finire per quella data (11 febbraio 2015)»;
   l'importo totale stanziato per l'opera risulta ammontare a 1.414.185,75 euro;
   da visura camerale (fonte CERVED) si può notare come GFA srl risulti, al 31 dicembre 2013 avere un capitale sociale di soli 20.000 euro, un patrimonio netto di 69.000 euro e 4 addetti totali;
   secondo l'articolo 89, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, per idoneità tecnico-professionale si intende «possesso di capacità organizzative, nonché disponibilità di forza lavoro, di macchine e di attrezzature, in riferimento ai lavori da realizzare»;
   all'interno dell'Allegato XVII al decreto legislativo n. 81 del 2008 è specificato come le imprese vincitrici di gare d'appalto, al fine di poter verificare la loro idoneità tecnico-professionale, debbano trasmettere i nominativi dei soggetti della propria impresa, con le specifiche mansioni;
   suscita quantomeno perplessità la scelta di affidare i lavori di prolungamento e adeguamento di un'importate asse viario di raccordo tra Italia e Svizzera quale quello in oggetto, oltre alla concessione dell'idoneità tecnico-professionale, ad una società con capitale sociale e organico così esigui –:
   se Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione;
   quali siano stati i criteri seguiti da ANAS spa secondo cui GFA srl sarebbe risultata idonea dal punto di vista tecnico-professionale, viste le esigue risorse dichiarate dalla stessa impresa;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della variante al progetto citata da GFA srl nell'articolo giornalistico in premessa;
   se possano comunicare il cronoprogramma dell'opera in oggetto, anche fornendo la relativa documentazione;
   se tale cronoprogramnna, con scadenza in data 11 febbraio 2015, sarà rispettato e, in caso di risposta negativa, a quando sarà prorogata tale scadenza.
(4-06283)


   CRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione in Commissione n. 5-05722, a cui l'interrogante non ha mai ricevuto risposta, si chiedevano chiarimenti riguardanti i lavori sulla strada statale 33 per il prolungamento dell'imbocco sud della galleria di «Paglino» al chilometro 142+800 iniziati in data 5 settembre 2013;
   dopo quasi 3 anni dall'inizio dei lavori, come si può leggere in un articolo pubblicato sul sito www.ossolanews.it, ANAS comunica che «[..] si sono concluse le attività di collaudo al fine di verificare la regolarità di esecuzione di alcune opere realizzate. Le verifiche effettuate hanno confermato gravi inadempimenti dell'impresa appaltatrice alla quale è stato rescisso il contratto d'appalto. A causa delle inadempienze causate dall'impresa, non si è potuto procedere con l'affidamento diretto del lavoro ad altra impresa in graduatoria e si renderà necessario predisporre idoneo progetto di completamento, già in corso. A seguito di tale attività sarà possibile appaltare i restanti lavori»;
   di fatto quindi Anas annuncia che dovrà rifare la gara d'appalto per prolungamento dell'imbocco sud della galleria di Paglino –:
   se ci siano eventuali fideiussioni che possano coprire l'onere di nuove progettazioni e nuove gare d'appalto;
   se le risorse per gli stati di avanzamento lavori erogate all'impresa possano derivare somme percepite per lavori poi definiti non conformi;
   entro quando sarà pronto il bando di gara per l'assegnazione dei lavori sopracitati;
   se si prevedano criteri più stringenti che impediscano a imprese come quelle già coinvolte in passato nei lavori di vedersi assegnati gli stessi;
   se, una volta chiusa la nuova gara d'appalto, i Ministri interrogati possano fornire un cronoprogramma vincolante tramite cui si possa capire in quali tempi potranno finire i lavori della galleria Paglino. (4-13431)

  Risposta. — Con riferimento agli atti di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde congiuntamente in quanto trattano di analogo argomento, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società ANAS.
  La gara relativa ai lavori di prolungamento della galleria «Paglino» (imbocco sud), situata al chilometro 142+800 della strada statale 33 «del Sempione», era stata aggiudicata, in via definitiva, all'impresa GFA s.r.l. in data 15 maggio 2013.
  L'ANAS il 1o giugno 2015 ha inoltrato segnalazione all'ANAC di inadempimento contrattuale dell'impresa GFA s.r.l. richiedendo l'iscrizione nel casellario informatico (articolo 8, comma 2 lettera p) del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, ora articolo 213, comma 10 decreto legislativo n. 50 del 2016) prevista dalla normativa vigente. Tale registrazione consente a tutte le stazioni appaltanti (ANAS inclusa) di acquisire per mezzo della banca dati dell'ANAC, notizie sulle ditte che partecipano a gare operanti nel mercato degli appalti pubblici e di accertare eventuali interdittive.
  A seguito di tali accertamenti, l'ANAS ha rescisso, in data 21 maggio 2015, il contratto con la GFA s.r.l., richiedendo l'escussione della polizza fideiussoria (cauzione definitiva), stipulata dall'impresa appaltatrice, contestualmente all'affidamento dei lavori, per un importo pari a euro 191.403.00. Detta polizza copre totalmente gli oneri di nuova progettazione per il completamento dell'opera e le relative spese di pubblicazione del bando di gara.
  Anas ha comunicato che ad oggi è ancora in corso l'istruttoria per l'escussione della suddetta polizza.
  Anas ha segnalato, altresì, che gli importi degli stati d'avanzamento liquidati all'impresa, non comprendono somme relative a lavori risultati non conformi a seguito degli accertamenti eseguiti dalla direzione lavori, dai collaudatori e a di verifiche di laboratorio: nell'importo dello stato di avanzamento lavori eseguito alla data della risoluzione contrattuale, sono comprese anche le detrazioni applicate per lavori o attività da eseguire in conseguenza della risoluzione contrattuale. Tale importo è pari a euro 278.253.70.
  Relativamente ai lavori in questione, ANAS specifica che l’iter per la richiesta dei fondi necessari per poter effettuare gli interventi di completamento come da nuovo progetto, si è concluso a fine marzo 2017, con il rilascio del parere positivo da parte di questo Ministero all'anticipazione dei fondi nel cdp 2016-2020.
  Allo stato attuale è stato anche validato il progetto e, non appena i fondi saranno effettivamente messi a disposizione di Anas spa – coordinamento territoriale nord ovest – area compartimentale Piemonte, sarà possibile bandire il bando di gara.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la regione Puglia ha approvato di recente il piano dei rifiuti, il quale prevede la realizzazione di un centro di selezione e di una linea di biostabilizzazione con annessa discarica di servizio/soccorso nel Comune di Spinazzola (BT), località Grottelline;
   in data 14 ottobre 2013, il consiglio comunale di Spinazzola ha approvato una deliberazione che evidenzia le ricadute negative che avrebbe sul territorio la realizzazione di tale discarica e l'impatto sia sull'agricoltura che sull'attività zootecnica, sostanzialmente in linea con il parere sfavorevole espresso in precedenza dal comune di Poggiorsini;
   nell'area della Lama Grottelline nidificano diverse specie di interesse comunitario;
   l'area è zona ad interesse archeologico, storico e culturale, così come sostiene la stessa regione Puglia nel piano paesaggistico territoriale regionale;
   la lama di cui trattasi intercetta una fitta rete di alvei fluviali, i quali creano grandi accumuli idrici all'interno della stessa, con pericolo di inquinamento delle falde sottostanti e conseguenti danni ambientali;
   l'Autorità di bacino della Basilicata non esclude che l'area di che trattasi sia interessata da fenomeni di instabilità idrogeologica ed idraulica –:
   quali iniziative si intendano porre in essere, per quanto di competenza, a tutela della Lama ubicata in località Grottelline a Spinazzola (BT), inspiegabilmente individuati quale sito ove realizzare un centro di selezione e una linea di biostabilizzazione con annessa discarica di servizio/soccorso. (4-02503)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla gestione dei rifiuti nel comune di Spinazzola (Barletta-Andria-Trani) in Puglia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si ritiene opportuno delineare il quadro della situazione attuale e le connesse criticità, partendo dalle problematiche che interessano la gestione dei rifiuti nella regione Puglia.
  La produzione dei rifiuti in Puglia ammonta per il 2014 a 1.909.748 tonnellate, 466.9 kg/abitante per anno. La produzione dei rifiuti in Puglia è andata progressivamente diminuendo dal 2010 al 2014: l'andamento riflette quello della produzione a livello nazionale, che è correlato al trend degli indicatori socio-economici ed al consumo delle famiglie. La raccolta differenziata nella regione Puglia nel 2014 ammonta a 493.741 tonnellate. Tale quantità rappresenta solo il 25,9 per cento del totale dei rifiuti prodotti. L'obbligo di legge, come noto, è attualmente il 65 per cento. Di queste quantità raccolte in maniera differenziata la quota principale è rappresentata dall'organico (176.389 tonnellate), seguito dalla carta (145.744 tonnellate). L'analisi dei dati per provincia evidenzia il raggiungimento della percentuale di raccolta più elevata nella provincia di Brindisi (47,7 per cento), mentre le percentuali più basse si registrano a Lecce (19,9 per cento), Taranto (18,8 per cento) e Foggia (18,2 per cento).
  Le informazioni pubblicate sul sito della regione Puglia, ancora in fase di validazione da parte della regione, evidenziano a luglio 2016 un livello della raccolta differenziata pari a 33,99 per cento, in significativo aumento ma ancora insufficiente rispetto agli obiettivi di legge. Il livello della raccolta differenziata è ancora modesto. La valorizzazione energetica appare esigua, mentre il ricorso alla discarica risulta predominante.
  Dal 12 luglio 2016, per un periodo non superiore a 60 giorni, i rifiuti urbani indifferenziati provenienti dalla provincia di Brindisi, stimati complessivamente in circa 20.000 tonnellate, vengono conferiti agli impianti di recupero energetico (R1) di Ferrara e Granarolo (BO) gestiti da Hera ambiente s.p.a., nella misura di 12.000 tonnellate per l'impianto di Ferrara e di 8.000 tonnellate per quello di Granarolo (BO), per un quantitativo massimo di circa 400 tonnellate al giorno. Tali conferimenti sono stati disposti con delibera di giunta regionale dell'Emilia-Romagna n. 1075 dell'11 luglio 2016.
  La regione Puglia presenta diversi impianti per la gestione dei rifiuti urbani.
  I dati ufficiali Ispra, riferiti all'anno 2014, evidenziano:
   n. 9 impianti di compostaggio (con un quantitativo autorizzato di 479.550 tonnellate per anno ed uno trattato di 268.623 tonnellate per anno);
   n. 1 impianto di digestione anaerobica (con un quantitativo autorizzato di 87.000 tonnellate per anno ed uno trattato di 44.341 tonnellate per anno);
   n. 13 impianti di trattamento meccanico biologico (con un quantitativo autorizzato di 1.613.064 tonnellate per anno ed uno trattato di 1.409.020 tonnellate per anno);
   n. 1 impianto di incenerimento (con un quantitativo autorizzato di 76.811 tonnellate per anno ed uno trattato di 76.811 tonnellate per anno);
   n. 14 discariche in esercizio (per un quantitativo di RU conferiti di 1.418.800).

  La regione Puglia, al fine di superare le criticità riscontrate nella organizzazione del sistema integrato di gestione dei rifiuti, ha modificato di recente, con la legge regionale n. 20 del 4 agosto 2016, la preesistente legge del 2012. In particolare, il nuovo assetto normativo regionale prevede:
   l'istituzione di un solo Ambito territoriale ottimale (Ato), coincidente con l'intero territorio regionale, e l'individuazione di aree omogenee per l'erogazione dei servizi di spazzamento e raccolta;
   la perimetrazione delle aree omogenee nonché la definizione della forma associativa dei comuni appartenenti alla medesima area omogenea mediante una successiva delibera di giunta regionale (in sede di prima attuazione vige la perimetrazione già disposta con la delibera di giunta regionale n. 2147 del 2012 che prevedeva 38 Aro);
   l'istituzione di un'agenzia territoriale per il servizio di gestione dei rifiuti (agenzia) partecipata dalla regione, dai comuni pugliesi e dalla città metropolitana, che va a sostituire i preesistenti organi di governo d'ambito provinciali (l'agenzia ha personalità giuridica di diritto pubblico ed autonomia tecnica, giuridica, amministrativa e contabile e si finanzia con i contributi dei partecipanti; il contributo a carico di ciascun comune è determinato in rapporto alla popolazione residente);
   che all'Agenzia spetti il compito di attuare il piano regionale dei rifiuti (l'agenzia, inoltre, determina le tariffe, i livelli generali del servizio e gli standard di qualità, predispone lo schema-tipo dei bandi di selezione pubblica e i contratti di servizio; disciplina i flussi di rifiuti indifferenziati da avviare a smaltimento e dei rifiuti da avviare a recupero, e predispone le linee guida della carta dei servizi. Può espletare, su delega delle aree omogenee, le procedure di affidamento del servizio unitario di raccolta, spazzamento e trasporto dei rifiuti solidi urbani; può espletare attività di centralizzazione delle committenze; subentra nei contratti stipulati dal commissario delegato per l'emergenza ambientale in Puglia, aventi a oggetto la realizzazione e la gestione degli impianti dei rifiuti urbani; nonché effettua la ricognizione della disponibilità impiantistica sul territorio);
    in capo ai comuni facenti parte dell'area omogenea, il compito di affidare in forma unitaria i servizi di spazzamento, raccolta e trasporto nel rispetto della normativa in materia di appalti pubblici. I comuni associati possono avvalersi dell'agenzia, in qualità di stazione unica appaltante per l'espletamento delle procedure di affidamento;
   che le procedure Via ed Aia relative agli impianti per i rifiuti urbani siano in capo alla regione, fatte salve quelle pendenti dinanzi alle province e alla città metropolitana;
   l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte della regione mediante la nomina di un Commissario ad acta (ai sensi dell'articolo 200, comma 4, del codice dell'ambiente).

  Alla luce delle modifiche apportate con la nuova legge regionale, si renderà necessario procedere ad un adeguamento del vigente piano regionale di gestione dei rifiuti, approvato con delibera del consiglio regionale n. 204 dell'8 ottobre 2013.
  Sull'argomento, si segnala altresì che il presidente della giunta regionale ha disposto il commissariamento dei sei organi di governo d'ambito per le funzioni previste dalla legge regionale n. 24 del 2012 e per le funzioni autorizzative connesse al ciclo dei rifiuti. Sono stati nominati i sei sub-commissari per la durata di sei mesi.
  Sulla organizzazione e sulle competenze della struttura commissariale, si fa presente che il decreto del Presidente della giunta regionale n. 282 del 3 maggio 2016, riguardante «Organizzazione della struttura commissariale gestione ciclo dei rifiuti regione Puglia. Delega ai sub commissari», ha individuato le competenze territoriali di ciascun sub-commissario. Con determinazione dirigenziale n. 263 del 22 aprile 2016, la Sezione personale e organizzazione della regione ha indetto l'avviso pubblico di selezione per il conferimento di 13 incarichi di prestazione professionale per l'organizzazione della struttura tecnica commissariale degli organi di governo d'ambito. Con successiva determinazione dirigenziale n. 4 del 9 maggio 2016 sono state meglio ridefinite le competenze dei sub-commissari. La competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota del giugno 2016, ha chiesto alla regione Puglia di essere costantemente informata circa l'evoluzione del processo di implementazione del ciclo della gestione integrata dei rifiuti e circa le iniziative intraprese e le azioni adottate dalla struttura commissariale.
  La gestione dei rifiuti nella regione Puglia si contraddistingue per il ricorso, da parte di regione e comuni, alle ordinanze contingibili e urgenti ex articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Sulla questione, visto anche l'approssimarsi della scadenza dell'ordinanza regionale n. 4 del 2016, la direzione generale Rin del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto alla regione Puglia di relazionare sulle iniziative intraprese per il superamento delle situazioni di eccezionalità e il ripristino della gestione ordinaria.
  La maggior parte dei comuni, invece, ha emesso le ordinanze ex articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per prorogare extra ordinem l'affidamento del servizio di raccolta e spazzamento dei rifiuti urbani.
  Sulla questione è intervenuto il Ministero che con propria circolare del 22 aprile 2016, recante chiarimenti interpretativi relativi alla disciplina delle ordinanze contingibili e urgenti, ha ribadito il divieto di proroga degli affidamenti dei servizi mediante ordinanza.
  Da ultimo, si segnala che la regione Puglia risulta destinataria di n. 2 procedure di infrazione, quella relativa alle discariche abusive (causa C196/13) e quella relativa a discariche preesistenti (PI 2011/2215).
  Nella prima procedura rientrano 8 discariche rispetto alle 10 iniziali, poiché per la discarica di Peschici il 31 maggio 2016 è stata inoltrata alla Commissione europea la certificazione di chiusura del procedimento ambientale e si è in attesa di determinazioni in merito; per la discarica di Scorrano, nel luglio del 2016, è pervenuta la certificazione di conclusione del procedimento ambientale che verrà trasmessa entro il 2 dicembre 2016.
  I comuni e la regione sono stati destinatari, nel dicembre 2015, di un atto di diffida ad adempiere alle attività per la risoluzione della procedura di infrazione in parola. Tuttavia, i termini sono trascorsi infruttuosamente ed è stata avanzata la proposta di commissariamento.
  Relativamente alla procedura «Discariche preesistenti» PI 2011/2215 le discariche coinvolte nella vicenda sono 5; di queste, 4 hanno già concluso i lavori di adeguamento e resta da acquisire la certificazione di chiusura e per una è pervenuto il cronoprogramma dei lavori di chiusura.
  Con specifico riferimento, infine, alla gestione dei rifiuti nel comune di Spinazzola (Barletta-Andria-Trani) in Puglia, si è in attesa di acquisire ulteriori elementi informativi da parte dei competenti enti territoriali, pertanto, dovessero pervenire nuovi ed utili informazioni, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informati e a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei competenti enti territoriali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DE LORENZIS, COZZOLINO, LOREFICE, NICOLA BIANCHI, AGOSTINELLI, BUSINAROLO, SILVIA GIORDANO, CRISTIAN IANNUZZI, CECCONI, LIUZZI, D'INCÀ, MUCCI e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da documentazione pervenuta alla conferenza stampa del 22 luglio 2013 del Comitato «Cittadini e lavoratori Liberi e Pensanti» di Taranto, comitato formato da lavoratori Ilva e cittadini di Taranto e provincia, si viene a sapere che in merito alla visita dei Senatori delle Commissioni ambiente e industria effettuata nello stabilimento Ilva di Taranto della medesima giornata, da giorni un documento distribuito dall'Ilva ai propri dipendenti, impone ai lavoratori e ai capi-area di non usare, durante la visita della commissione, mezzi, sollevatori, camion e si prevede di fermare gli impianti, per poi riprendere dopo la visita delle commissioni parlamentari;
   il comitato sopracitato afferma anche che la visita dei senatori all'interno dell'Ilva non sarà effettuata nei luoghi e nei reparti dove saranno previsti i lavori per l'ottemperanza dell'AIA e per questo si dicono disponibili ad accompagnare i parlamentari della Repubblica nelle aree dove le prescrizioni dell'AIA dovrebbero essere effettuate e nei quali tra l'altro non sono ancora stati rilevati i lavori in merito contravvenendo alle prescrizioni stesse;
   lo stabilimento Ilva spa di Taranto è uno stabilimento di interesse strategico nazionale commissariato dallo Stato a seguito del decreto-legge n. 61 del 2013;
   la notte tra il 21 e il 22 luglio 2013 nel quartiere Tamburi di Taranto si è avvertito un forte boato tale da indurre gli abitanti del quartiere sopracitato che fosse esplosa un ordigno di grosse dimensioni, creando sconcerto e preoccupazione negli abitanti e da quanto riferito da fonti di Taranto e da operai dell'Ilva, il boato è si è creato con la messa in funzione dei Fog-Cannon all'interno dello stabilimento Ilva spa –:
   se e quando il Ministro interrogato intende riferire al Parlamento dello stato di attuazione dell'ottemperanza delle prescrizioni dell'AIA, ricordando che avrebbe dovuto già riferire entro fine giugno 2013 come stabilito dall'articolo 1, il comma 5 della legge 231 del 2012;
   se corrisponda al vero la sospensione delle attività sopracitate in occasione della visita dei senatori allo stabilimento Ilva;
   se il Ministro sia disponibile a svolgere un sopralluogo insieme ai parlamentari della Repubblica o a consentire ai parlamentari della Repubblica di visitare lo stabilimento Ilva di Taranto, commissariato dallo Stato Italiano in quanto stabilimento d'interesse strategico nazionale, accompagnati dagli operai del Comitato dei «Cittadini e lavoratori liberi e pensanti» di Taranto che cortesemente si sono offerti di mostrare le incongruenze in merito alle prescrizioni AIA;
   se le apparecchiature Fog-Cannon in dotazione all'Ilva di Taranto siano a norma di legge e se il forte boato non corrisponda ad un'anomalia di funzionamento e se il Ministro interrogato ritenga opportuno consentire l'accensione di queste macchine, anche nel caso in cui non fossero a norma e che il boato corrispondesse ad un'attività regolare delle macchine in oggetto, provocando sconcerto e preoccupazione negli abitanti del quartiere
Tamburi quando azionate nel cuore della notte.   (4-01470)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che già con note del 22 dicembre 2013, è stata trasmessa, rispettivamente al Presidente del Senato ed al Presidente della Camera, la relazione prevista dall'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 3 dicembre 2012, così come convertito dalla legge 22 dicembre 2012 n. 231.
  Con riferimento alle attività di risanamento ambientale, occorre innanzitutto evidenziare che l'esercizio dello stabilimento siderurgico ILVA s.p.a. di Taranto è disciplinato dal decreto AIA dell'agosto 2011, che è stato parzialmente riesaminato ad ottobre 2012 per le emissioni in atmosfera delle aree di produzione e dei parchi di materie prime, ovvero le aree sequestrate dalla magistratura ad agosto 2012. Le prescrizioni dell'AIA del 2011 e del 2012 sono state ulteriormente integrate e modificate con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014, che approva il piano delle misure e delle attività per la tutela ambientale e sanitaria (cosiddetto piano ambientale), il quale contiene anche ulteriori prescrizioni per il rispetto della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e sulla prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti.
  Oltre l'AIA e il piano ambientale, l'esercizio dello stabilimento siderurgico (alcune aree del quale sono a tutt'oggi sotto sequestro con facoltà d'uso) è disciplinato dalla normativa speciale che dal dicembre 2012 ad oggi consta di ben 8 decreti legge, a loro volta oggetto di conversione.
  Le scadenze temporali previste dal piano ambientale per l'attuazione di interventi ambientali, fermo restando il rispetto dei limiti emissivi stabiliti dall'AIA, sono state procrastinate una prima volta ai sensi dell'articolo 2, comma 3-ter, del decreto-legge del 4 giugno 2013, n. 61, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2013, n. 89. Tale disposizione – oggetto di modifica ad opera del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 4 marzo 2015, n. 20 – prevedeva per tutte le prescrizioni del piano esclusivamente due scadenze: il 31 luglio 2015 per l'attuazione dell'80 per cento del numero delle prescrizioni in scadenza a quella data, e il 4 agosto 2016 per tutte le rimanenti.
  Successivamente, con decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 (convertito con legge 6 febbraio 2014, n. 6) sono stati rafforzati gli obiettivi ambientali dell'AIA dell'ILVA di Taranto, anche per mezzo dell'introduzione di strumenti per garantire una durata certa e limitata alla progressiva attuazione delle misure di adeguamento in essa previste, tramite l'approvazione del nuovo piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria.
  Si fa presente, altresì, che con decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con legge 11 agosto 2014, n. 116, sono stati introdotti nuovi strumenti e procedure per il reperimento dei fondi necessari all'adeguamento ambientale e per rafforzare l'attività commissariale nell'attuazione degli interventi previsti dal piano ambientale, considerati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità.
  Con il decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191 (ed in particolare con il suo articolo 1, comma 7), convertito con modificazioni dalla legge 1o febbraio 2016, n. 13, il termine ultimo per l'attuazione di tutte le restanti prescrizioni dell'AIA 2012 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014 è stato fissato al 30 giugno 2017.
  Ad ogni modo, nel luglio 2015 ILVA s.p.a. in A.S. ha comunque provveduto a garantire il rispetto della soglia prevista dell'80 per cento del numero di prescrizioni del piano ambientale, come certificato da ISPRA a valle dell'ispezione che ha avuto luogo a luglio 2015 e dai vigili del fuoco per le prescrizioni di pertinenza.
  Con riferimento allo stato di attuazione delle rimanenti prescrizioni, si segnala che il 7 settembre è stato registrato il decreto interministeriale di stanziamento di 300 milioni all'amministrazione dell'Ilva per la continuazione della realizzazione del piano ambientale.
  Si evidenzia, altresì, che nell'anno 2016, a seguito del piano ambientale e delle intervenute innovazioni normative, gli ispettori ambientali ISPRA, con la collaborazione di ARPA Puglia, hanno effettuato tre ispezioni ordinarie nei giorni 27-28 gennaio, 20-27 aprile e 19-21 luglio nonché due ispezioni straordinarie in data 10 marzo e 12 maggio. La valutazione sull'esito del controllo dell'ultima ispezione di luglio 2016 è al momento in corso.
  Durante questi controlli sono state riscontrate talune criticità per le quali si stanno svolgendo ulteriori approfondimenti in relazione agli specifici atti autorizzativi.
  Si evidenzia, in proposito, che le prescrizioni non ancora completamente attuate non riguardano il rispetto dei valori limite di emissione prescritti dall'AIA, ma la conclusione di interventi per i quali il termine ultimo è stato fissato per legge al 30 giugno 2017, «prorogabile su istanza dell'aggiudicatario della procedura di cessione per un periodo non superiore a 18 mesi» (31 dicembre 2018).
  Dal 2012 al 2016 sono stati inoltre autorizzati dal Ministero interventi importanti che discendono dall'AIA e dal piano ambientale, quali gli interventi per la copertura del parco minerali e dal parco fossile, nonché interventi di regimazione delle acque meteoriche nelle aree discariche e parco calcare.
  Sono inoltre attualmente in corso i lavori istruttori della Commissione AIA-IPPC per il riesame delle prescrizioni dell'AIA riguardanti le aree di stabilimento che non erano oggetto del riesame del 2012 (sostanzialmente le emissioni in atmosfera delle aree delle lavorazioni), nonché le prescrizioni riguardanti gli scarichi di sostanze pericolose degli impianti produttivi dell'intero stabilimento e l'efficienza energetica e i lavori istruttori da parte di ISPRA per il riesame del piano di monitoraggio e controllo (PMC).
  Tanto premesso, si riporta di seguito lo stato di attuazione degli interventi relativi alla procedura di bonifica effettuati ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006:
   a) piano di caratterizzazione: approvato in sede di conferenza di servizi decisoria del 17 dicembre 2003;
   b) risultati della caratterizzazione: discussi in sede di conferenza di servizi del 19 ottobre 2006;
   c) analisi di rischio (area di stabilimento): richiesta dalla conferenza di servizi del 19 ottobre 2006 e non ancora trasmessa;
   d) piano di caratterizzazione integrativo (area Parchi): approvato in sede di conferenza di servizi decisoria del 18 dicembre 2013;
   e) risultati delle indagini integrative (area parchi) ed Analisi di rischio (area di stabilimento): in fase di istruttoria per la conferenza di servizi del 16 marzo 2016.

  Per quanto riguarda le emissioni nocive in atmosfera si segnala quanto segue.
  ARPA Puglia (con nota del 26 febbraio 2014 n. 12878, pervenuta il 29 febbraio 2016), comunicava tra gli altri al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, sulla base di documentazione ricevuta nelle vie brevi da ILVA, «nella tabella contenente i risultati delle determinazioni deposimetriche di diossine si riscontrano valori altissimi nella centralina di Via Orsini, quindi fuori dai confini dello stabilimento ILVA, per i mesi di novembre 2014 e febbraio 2015, rispetto ai valori di riferimento della letteratura».
  Contestualmente perveniva al Ministero, da parte del presidente della regione Puglia, la nota prot. n. 933 indirizzata all'ARPA Puglia e alla ASL di Taranto, con la quale si leggeva quanto segue: «In data odierna mi è stato consegnato per le vie brevi dalla direzione di ARPA Puglia il documento “Ilva-stabilimento di Taranto-attività di monitoraggio ambientale relativo alle analisi dei risultati delle misure di deposizione di PCDD/F a firma del Prof. Ing. Maurizio Onofrio” comunicando che dall'analisi del medesimo documento risultavano “valori deposimetrici di ordini di grandezza pericolosamente superiori ai limiti normalmente considerati come valori soglia sul suolo”».
  In conclusione la nota chiedeva ad ARPA e ISPRA rispettivamente di:
   «ad ARPA Puglia di procedere ad una indagine diretta in sito, precisamente nelle aree esterne del quartiere Tamburi prossime al punto campionato dal Politecnico di Torino per conto di ILVA, effettuando campionamenti sul suolo e relative analisi di micro inquinanti organici (PCDD/F, PCB, Dioxin like);
   ad ARPA Puglia di produrre i dati più recenti relativi ai monitoraggi e controlli delle emissioni in atmosfera (SME, Rapporti di prova relativi alle indagini a camino, Monitoraggi ambientali);
   al Dipartimento di Prevenzione ed allo SPESAL dell'ASL di Taranto di verificare le condizioni di igiene e sicurezza in ambienti di lavoro, di attuare idonee campagne di monitoraggio e controllo avvalendosi di ARPA Puglia, tese ad accertare il livello di micro inquinanti organici (PCDD/F, PCB, Dioxin like) e di Benzo(a)pirene;
   al Dipartimento di prevenzione dell'ASL di Taranto di accertare la eventuale presenza di aziende produttrici di generi alimentari e, nel caso, di procedere al campionamento e successive analisi presso i laboratori competenti».

  Alla luce delle citate note, il Ministero tempestivamente procedeva a sollecitare l'invio da parte di ILVA della documentazione citata dal presidente della regione Puglia, documentazione che veniva trasmessa nella medesima data del 29 febbraio da ILVA alla competente direzione e ad ISPRA.
  Acquisiti gli atti, la direzione per le valutazioni e autorizzazioni ambientali provvedeva, nella medesima giornata del 29 febbraio, a richiedere formalmente ad ISPRA, con l'urgenza che il caso richiedeva e richiede, un approfondimento specifico sulla questione ed in particolare sulla possibile relazione tra i dati rilevati e le attività industriali dell'aria.
  Delle note di ARPA Puglia e dell'ILVA, il giorno stesso del ricevimento è stata data compiuta pubblicità nel sito del Ministero.
  Infine, si evidenzia che della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è stato bandito un «Concorso Pubblico, per titoli ed esami, a 250 posti per l'assunzione a tempo indeterminato di personale altamente qualificato per l'esercizio di funzioni di carattere specialistico, appartenente al profilo professionale di funzionario amministrativo, area funzionale terza, posizione economica F1, del ruolo del personale dell'amministrazione civile dell'interno, da destinare esclusivamente alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale ed alla Commissione nazionale per il diritto d'asilo», indetto con decreto ministeriale 26 aprile 2017, pubblicato nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana 4° serie speciale «Concorsi ed esami», numero 33 del 2 maggio 2017;
   nel bando di concorso si sottolinea che lo stesso è volto ad accertare la specifica conoscenza delle materie afferenti alle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale nonché la conoscenza della lingua inglese;
   nella prova preselettiva del concorso sono previsti quiz in lingua inglese, una delle due prove scritte previste è incentrata solo sull'accertamento della conoscenza della lingua inglese con lettura e uso della lingua, componimento, comprensione e svolgimento di esercizi e, all'interno della prova orale, è previsto un colloquio finalizzato all'accertamento della conoscenza della lingua inglese dei candidati attraverso il commento e lettura di un articolo di stampa su argomenti attinenti la protezione internazionale;
   la conoscenza delle lingue comporta il possesso di specifiche competenze linguistiche e non solo, come si può verificare dagli obiettivi formativi, ad esempio, della classe delle lauree nelle scienze della mediazione linguistica comprendenti discipline economiche, giuridiche, sociologiche che si trovano nei titoli di studio ammessi;
   a quanto consta all'interrogante, la laurea in lingue non solo non è prevista, ma non è neanche compresa nel bando tra i titoli di studio ammissibili per partecipare al concorso. Nella sostanza si tratta di un bando per un lavoro da svolgere con competenze linguistiche a cui i laureati in lingue non possono concorrere. Ciò vale per molte altre lauree escluse quali quelle ad indirizzo economico;
   per alcuni dei titoli ammessi, sembra non esserci un rapporto coerente tra l'attività richiesta e titoli posseduti dai candidati e non sono stati inseriti nel bando titoli di studio adeguati e pertinenti al lavoro da svolgere come quelli citati sopra, dei quali non vi è traccia tra quelli indicati nel bando di partecipazione;
   la conoscenza delle lingue appare necessaria allo svolgimento dei compiti peculiari relativi al riconoscimento della protezione internazionale e al diritto d'asilo, che sono la ragione primaria ed esclusiva del bando suddetto;
   non ammettere candidati in possesso di titoli di studio assolutamente pertinenti all'attività da svolgere, significa non solo non contribuire a selezionare professionalità migliori e adeguate al lavoro richiesto, come d'obbligo in particolare per le pubbliche amministrazioni, ma anche operare discriminazioni per numerosi laureati che hanno speso anni per conseguire titoli di studio e poi si ritrovano a non potersi candidare a lavori che riguardano le loro competenze specifiche –:
   come siano stati scelti dall'amministrazione dell'interno i titoli di studio riportati all'articolo 2 «Requisiti per l'ammissione», punto g) del bando di cui sopra, per partecipare al concorso sopraindicato e quali siano state le motivazioni per le quali è stata effettuata questa scelta e sono stati esclusi titoli pertinenti e oggetto di prove ed esami specifici nel bando, come quelli linguistici ed economici;
   se il Ministro interrogato non ritenga sia doveroso assumere iniziative per una rettifica del bando di cui sopra con l'inserimento dei titoli di studio mancanti e pertinenti al lavoro da svolgere e, in particolare, quelli linguistici ed economici, anche al fine di evitare che detto bando possa essere dichiarato illegittimo.
(4-16842)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante ha manifestato perplessità sui titoli di studio individuati come requisiti di ammissione al concorso pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 33 del 2 maggio 2017, per l'assunzione di personale da destinare esclusivamente alle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e alla commissione nazionale per il diritto di asilo.
  Come evidenziato anche nel testo dell'interrogazione, il concorso in argomento è stato bandito per il reclutamento di personale altamente qualificato per l'esercizio di funzioni di carattere specialistico in seno alle citate commissioni, da assumere a tempo indeterminato con la qualifica di funzionario amministrativo, area funzionale terza, posizione economica F1, dell'Amministrazione civile dell'interno.
  I titoli di studio di cui all'articolo 2, comma 1, lettera g), del bando di concorso, ricompresi tra i requisiti per l'ammissione alla procedura concorsuale di cui trattasi, sono quelli previsti dal contratto collettivo integrativo del personale dell'Amministrazione civile dell'interno, sottoscritto il 20 settembre 2010, per l'accesso al profilo di funzionario amministrativo.
  La laurea in lingue costituisce, invece, ai sensi del medesimo contratto collettivo, requisito per l'accesso al differente profilo professionale di funzionario linguistico, nell'ambito della medesima area funzionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FANTINATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   La Rocca Vecchia, situato nel comune di Garda, in provincia di Verona, è un rilievo collinare roccioso proteso verso il lago, la cui massa risulta in equilibrio instabile in caso di terremoto o eventi atmosferici avversi;
   le aree maggiormente a rischio sono ai piedi della Rocca, lungo la strada Gardesana (arteria regionale), dove si trovano una spiaggia e un campeggio ma, soprattutto, la passeggiata lungolago, frequentata quotidianamente da migliaia di persone;
   le criticità dell'area erano rilevate dall'Autorità di bacino del Po che aveva provveduto ad inserirlo nella cartografia Pai (Piano stralcio per l'assetto idrogeologico), con il grado più alto, frana attiva (Fa) con divieto assoluto di edificazione;
   l'articolo 18 del Pai, fissando gli indirizzi alla pianificazione urbanistica, prevede che siano le regioni ad emanare disposizioni concernenti l'attuazione del Piano nel settore urbanistico conseguenti alle condizioni di dissesto delimitate nell’«Atlante dei rischi idraulici e idrogeologici – Inventario dei centri abitati montani esposti a pericolo» e alle corrispondenti limitazioni d'uso del suolo;
   il medesimo articolo stabilisce che siano i comuni, in sede di formazione e adozione degli strumenti urbanistici o di loro varianti, a conformare le loro previsioni alle delimitazioni e alle relative disposizioni del Pai, effettuando, inoltre, una verifica della compatibilità idraulica e idrogeologica delle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti con le condizioni di dissesto presenti o potenziali rilevate dalla cartografia del Pai;
   in un'area della Rocca, classificata «zona frana attiva» dal Pai, l'amministrazione comunale aveva adottato, con una variante e di concerto con la regione Veneto, un programma integrato di riqualificazione urbanistica ed ambientale (Piruea), consentendo alla proprietà dell'area la realizzazione del 30 per cento della cubatura esistente;
   approvando il Piruea, la regione Veneto, nel 2005, aveva accolto anche la richiesta del declassamento dell'area interessata che era passata da zona attiva (Fa) a Frana stabilizzata (Fs), a condizione di predisporre un monitoraggio annuale della zona;
   il 6 febbraio del 2009, nell'area del Purea, con i lavori di scavo per la costruzione di immobili già avanzati, si è verificato un evento franoso con conseguente ordinanza di evacuazione della popolazione residente, la chiusura prolungata nel tempo del passaggio sulla Gardesana e dell'accesso pedonale alla spiaggia;
   a seguito del distacco del masso dalla sommità della Rocca, la messa in sicurezza di quest'ultima era stata inserita nella classifica ministeriale al nono posto tra le dieci località italiane più a rischio;
   ripristinata la situazione precedente la frana, la proprietà aveva chiesto di riprendere i lavori e, senza tener conto della certificata pericolosità dell'area, la richiesta veniva accolta dal comune che concedeva due proroghe al piano casa originario –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, si ritengano sufficienti le opere di mitigazione e di messa in sicurezza previste per ridurre la vulnerabilità del territorio e se queste siano state sottoposte all'esame e all'approvazione dell'Autorità di bacino del Po;
   quali iniziative di competenza s'intenda adottare al fine di verificare la conformità degli interventi di edificazione rispetto agli strumenti di pianificazione del bacino. (4-16086)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa a criticità relativo al rilievo collinare roccioso «La Rocca Vecchia» nel comune di Garda (VE), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Secondo quanto riferito dal segretario generale della soppressa Autorità di bacino (AdB) del Po, per il tramite della competente direzione generale, è stato fatto presente che l'articolo 18 delle Norme di attuazione del piano di assetto idrogeologico (PAI) dell'AdB Po stabilisce che siano le regioni ad emanare le disposizioni concernenti l'attuazione del Pai nel settore urbanistico ed i comuni in sede di formazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici sono tenuti a conformarsi alle disposizioni dettate dalla regione. Il comune deve eseguire la verifica di compatibilità idraulica ed idrogeologica delle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti con le condizioni di dissesto rilevate nel Pai. Quindi all'atto di approvazione degli strumenti urbanistici o delle loro varianti dovrà essere riportata la verifica di compatibilità idraulica e idrogeologica che eventualmente aggiornerà le prescrizioni del piano.
  Pertanto, secondo quanto riferito dal predetto Segretario generale dell'AdB del Po, l'accertamento relativo alla conformità tra gli interventi di edificazione e gli strumenti di pianificazione di bacino, nonché la valutazione dell'adeguatezza delle opere di mitigazione previste nell'ambito dello strumento urbanistico, non ricadono nelle competenze dell'Autorità di Bacino.
  La regione Veneto ha fatto presente altresì che la direzione difesa del suolo della regione stessa ha, a suo tempo, espresso un parere in relazione alla compatibilità idrogeologica, effettuando una propria istruttoria, su specifica richiesta dell'Unità periferica genio civile di Verona. Inoltre, ha rilevato che la modifica della pericolosità geologica, da frana attiva (Fa) a frana stabilizzata (Fs), così come approvata nel Programma di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale (Piruea), non si è concretizzata. A tal riguardo la pericolosità geologica (frana attiva – Fa) di quell'area risulta confermata nel piano di assetto del territorio (Pat) approvato con Dgrv n. 253 del 2013.
  La stessa regione segnala che l'amministrazione comunale, a seguito di interventi già eseguiti o in fase di progettazione, intende sottoporre all'amministrazione regionale una richiesta di revisione della pericolosità geologica ai sensi dell'articolo 18 delle norme di attuazione del Pai. A tal proposito, gli uffici regionali stanno mettendo a punto un documento, da sottoporre all'Autorità di bacino del fiume Po, con l'obiettivo di fornire una procedura per la riclassificazione della pericolosità geologica a seguito di progettazione o realizzazione di opere, che dovranno essere collaudate, monitorate e sottoposte a regolare manutenzione.
  In relazione alla verifica di conformità degli interventi l'autorità regionale precisa, altresì, che, all'interno della procedura di approvazione dello strumento urbanistico comunale (Pat), il parere fornito dagli uffici regionali riguarda la valutazione tecnica delle condizioni di pericolosità geologica del territorio esaminato, mentre le conseguenti valutazioni di congruità urbanistica vengono effettuate dalle amministrazioni provinciali (legge n. 11 del 2004).
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato e a mantenere alto il livello di attenzione sulla questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FANTINATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'entrata in vigore della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente in Europa, e del decreto legislativo di recepimento n. 155 del 2010, la regione Veneto ha avviato il processo di aggiornamento del vigente piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera, approvato dal consiglio regionale veneto con deliberazione n. 57 dell'11 novembre 2004;
   la direttiva afferma, tra le premesse, che, ai fini della tutela della salute umana e dell'ambiente nel suo complesso, è particolarmente importante combattere alla fonte l'emissione di inquinanti nonché individuare e attuare le più efficaci misure di riduzione delle emissioni a livello locale, nazionale e comunitario;
   il decreto legislativo n. 155 del 13 agosto 2010 è finalizzato ad individuare obiettivi di qualità dell'aria ambiente volti a evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente nel suo complesso;
   per violazione della direttiva 2008/50/CE (mancato rispetto dei valori limite del particolato PM10) sono in corso due procedura di infrazione – n. 2015/2043 e n. 2014/2147 – e con nota del 28 maggio 2015, la Commissione ha inviato all'Italia una lettera di costituzione in mora che vede direttamente coinvolta anche la regione Veneto;
   con deliberazione del consiglio regionale n. 90 del 19 aprile 2016 è stato approvato l'aggiornamento del piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera (P.R.T.R.A.), il quale nell'intento di rispettare gli obiettivi di qualità dell'aria posti dalle direttive europee e dalla normativa nazionale, individua misure strutturali e permanenti da attuare su aree vaste;
   nei mesi scorsi, la qualità dell'aria in provincia di Verona è finita sotto osservazione, nell'ambito di una campagna di monitoraggio realizzata da Legambiente Verona;
   a San Martino Buon Albergo, comune veronese di circa 15 mila abitanti, la centralina installata sulla facciata del municipio ha rilevato il superamento del limite giornaliero di 50 microgrammi per metro cubo dei livelli di polveri sottili PM10 nei sei giorni in cui è stata condotta l'indagine, dal 28 gennaio al 2 febbraio 2017;
   la presidente di Legambiente Verona, Chiara Martinelli, ha evidenziato che i risultati «hanno confermato l'allarme generalizzato che riguarda tutto il Veneto. Nel 2016 la provincia di Verona si è aggiudicata il diciannovesimo posto nella classifica delle città italiane con la peggiore qualità dell'aria. Non ci sono più dubbi, questo tema deve diventare una priorità da un punto di vista amministrativo. Le responsabilità non possono più essere banalmente ricondotte a sfavorevoli condizioni climatiche» –:
   di quali elementi disponga il Governo circa le misure per il mantenimento e il risanamento della qualità dell'aria adottate nella regione Veneto nel corso dell'ultima consiliatura, considerato il frequente superamento dei limiti di più inquinanti in molti comuni della provincia;
   se non si ritenga d'intervenire, per quanto di competenza, al fine di limitare il superamento dei valori limite scongiurando, così, l'apertura di procedure d'infrazione dell'Europa a carico del nostro Paese. (4-16329)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La legislazione comunitaria in materia di qualità dell'aria (direttiva 2008/50/CE e direttiva 2004/107/CE) prevede che gli Stati debbano assicurare, entro specifiche date, il rispetto di determinati obiettivi di qualità dell'aria per una serie d'inquinanti, grazie alla pianificazione di misure ed interventi di risanamento.
  Per la normativa nazionale (decreto legislativo n. 155 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni) le regioni e le province autonome sono le autorità competenti in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria. A queste compete quindi il monitoraggio degli inquinanti atmosferici, la predisposizione dei piani per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria (compresa l'individuazione dei soggetti deputati all'attuazione di tali piani quali ad esempio la regione stessa o i sindaci), nonché la trasmissione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle relative informazioni per l'invio alla Commissione europea.
  Nel nostro Paese, il mancato rispetto dei limiti imposti dalle norme comunitarie, in particolare relativamente al materiale particolato PM10 ed al biossido di azoto NO2, riguarda ampie aree del territorio nazionale, situate presso la maggior parte delle regioni.
  Tale situazione è però differenziata sul territorio nazionale: infatti, mentre per le regioni del centro-sud il mancato rispetto dei valori limite è localizzato in piccole aree, appartenenti per lo più ai principali centri urbani, nel bacino padano i superamenti, anche a causa di condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli, sono diffusi su tutto il territorio.
  Si fa presente che tale situazione non è specifica per l'Italia, in quanto risulta che siano state aperte procedure di infrazione per almeno 16 Stati membri in merito ai superamenti dei valori limite del PM10 e per 10 Stati a causa dei superamenti del biossido di azoto NO2.
  In merito ai dati ed alle informazioni in possesso del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare relative alla valutazione della qualità dell'aria dell'intero territorio italiano, si fa presente che, ai sensi dell'articolo 27 della direttiva 2008/50/CE e dell'articolo 5 della direttiva 2004/107/CE, gli Stati membri sono tenuti a svolgere specifici adempimenti di comunicazione alla Commissione europea in merito alla valutazione della qualità dell'aria svolta annualmente sul proprio territorio. Nello specifico, le regioni hanno provveduto regolarmente a comunicare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i dati e le informazioni relative alla valutazione della qualità dell'aria fino all'anno 2015 e tali dati sono consultabili sul sito del Ministero e sui siti delle varie agenzie ambientali regionali (ARPA) e provinciali (APPA) e pubblicati su quello dell'agenzia europea dell'ambiente.

  L'analisi dei dati di qualità dell'aria sull'intero territorio italiano evidenzia come negli ultimi anni i livelli degli inquinanti si siano ridotti, per quanto tale miglioramento non abbia permesso di garantire il rispetto dei limiti di qualità dell'aria. In particolare tra il 2002 ed il 2015 si registra un trend di riduzione del numero di zone di superamento del valore limite annuale degli inquinanti PM10 e NO2. Per il PM10 si ha una riduzione delle zone di superamento che va dal 48 per cento circa del 2002 del totale delle zone presenti sul territorio nazionale al 14 per cento circa del 2015. Per l'NO2 si passa dal 44 per cento circa nel 2002 al 30 per cento circa nel 2015.
  La regione Veneto, per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico, con deliberazione del consiglio regionale n. 57 dell'11 novembre 2004, ha approvato il piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera che definisce le prime misure atte a ridurre l'inquinamento atmosferico nel Veneto per gli inquinanti considerati critici, tra i quali anche il PM10.

  Inoltre, la regione da anni, assieme alle altre regioni del bacino padano, promuove attività comuni volte al raggiungimento degli obiettivi di qualità dell'aria imposti dalle direttive comunitarie e dalle norme nazionali di riferimento.
  A seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 155 del 2010, la regione ha quindi provveduto a definire un secondo piano di risanamento e di tutela della qualità dell'aria, tenendo in particolare considerazione le misure definite a livello di bacino padano. Tale piano è stato approvato con deliberazione n. 34 del 15 aprile 2014 e include un set di misure che mirano alla riduzione dei principali inquinanti atmosferici, tra cui il PM10, con un orizzonte temporale fino al 2020.
  Per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico, si segnala che a livello nazionale, stante la competenza primaria delle regioni in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato da tempo una strategia condivisa con gli altri ministeri aventi competenza su settori emissivi quali trasporti, energia, inclusi gli usi civili, attività produttive ed agricoltura, per l'individuazione di misure da attuare congiuntamente nel territorio nazionale al fine di contrastare i reiterati superamenti delle concentrazioni limite di materiale particolato PM10 e di biossido di azoto NO2 registrati in ampie zone del territorio nazionale.
  In tale contesto, il 18 dicembre 2013, è stato sottoscritto un accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole alimentari e forestali e della salute e le regioni e province autonome del bacino padano (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta, provincia autonoma di Trento e provincia autonoma di Bolzano), finalizzato all'individuazione e attuazione di misure coordinate e congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano. In particolare tale accordo ha previsto l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile, risparmio energetico, industria e agricoltura) e di individuare, per ogni settore, specifiche misure di intervento analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socio economici. Inoltre si evidenzia, per l'adozione delle misure individuate, l'impegno delle regioni nell'ambito del citato accordo ad adeguare i propri vigenti piani regionali di qualità dell'aria.

  Su questi impegni sono state investite risorse e il giusto sforzo di coesione istituzionale perché c’è la consapevolezza che lo smog non si combatte da un giorno all'altro, ma solo con misure strutturali e coordinate sul territorio, misure che a lungo purtroppo sono mancate. Non c’è un intervento che risolve, ma una serie di azioni da fare in maniera coordinata tra le regioni interessate.
  Nel bacino padano, il lavoro con le quattro regioni interessate sta dando risultati: quest'anno sono stati approvati per la prima volta i 4 piani qualità dell'aria delle regioni della pianura padana, che contengono sia le misure sia i tempi di rientro nei limiti previsti dalla normativa europea entro il 2020.
  Infine si segnala che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente, la conferenza delle regioni e province autonome e l'associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane. In particolare tale protocollo prevede tra le misure urgenti, da attivare dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola 7 giorni) le seguenti: abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Tale protocollo prevede importanti misure di sostegno agli interventi regionali e locali di risanamento, come la destinazione di circa 12 milioni di euro al finanziamento di misure dirette ad incentivare il trasporto pubblico locale e la mobilità alternativa al trasporto privato. Il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di indirizzo circa la destinazione e l'utilizzo delle risorse, così come quello direttoriale di fissazione della regolamentazione del programma sono stati già pubblicati sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (decreto ministeriale DEC-2016-316 del novembre 2016 e decreto direttoriale RIN-DEC-2016-0000125 del 22 novembre 2016).
  Nel protocollo si prevede inoltre un impegno a precisare le attività da finanziare con strumenti di incentivazione esistenti (fondo per la mobilità sostenibile, fondo per la realizzazione di reti di ricarica elettrica, fondo per la riqualificazione energetica delle scuole e degli edifici pubblici), per un importo totale di circa 350 milioni di euro. In tale ambito sono già stati attivati 6 milioni di euro per il finanziamento di interventi di mobilità sostenibile ed efficienza energetica nelle città di Bologna, Roma, Milano e Torino, nonché 35 milioni di euro destinati al programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro al fine di finanziare progetti predisposti da uno o più enti locali e riferiti a un ambito territoriale con popolazione superiore a 100.000 abitanti, diretti a incentivare iniziative di mobilità urbana alternative all'automobile privata.
  Un ulteriore contributo, infine, è atteso dall'attuazione della nuova direttiva sui tetti alle emissioni.
  Il 14 dicembre 2016 è stata adottata infatti la direttiva 2016/2284/UE, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, la cosiddetta direttiva NEC (National Emission Ceilings). Tale direttiva stabilisce obiettivi di riduzione delle emissioni nazionali per gli inquinanti biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili non metanici (COVNM), ammoniaca (NH3) e polveri PM2,5 da raggiungere entro il 2020 e il 2030.
  Tali obiettivi sono individuati come percentuali di riduzione delle emissioni dei singoli inquinanti rispetto ai valori registrati nel 2005 e mirano a garantire una riduzione generalizzata dell'inquinamento atmosferico sul territorio dell'Unione europea.
  La riduzione delle emissioni, necessaria a raggiungere gli obiettivi, deve essere perseguita tramite la predisposizione, l'adozione e l'attuazione di specifici «programmi di controllo» nazionali. Il programma dovrà, in particolare, definire le priorità politiche ed il loro rapporto con le priorità stabilite in altri settori d'intervento pertinenti, compresi i cambiamenti climatici, l'agricoltura, l'industria e i trasporti; dovranno, infine, essere chiarite le responsabilità attribuite alle diverse autorità (nazionali, regionali e locali).
  Tale rilevante programma, di carattere nazionale e che dovrà essere elaborato in collaborazione con tutti i Ministeri aventi competenza su settori emissivi (trasporti, industria ed agricoltura) costituirà un ulteriore tassello, rispetto a quanto già sopra citato, dell'azione portata avanti a livello centrale per la lotta all'inquinamento atmosferico. Tenuto conto che il recepimento della direttiva NEC dovrà avvenire entro la metà dell'anno 2018, un primo programma dovrà essere adottato entro la metà del 2019, da aggiornare, secondo quanto previsto dalla direttiva, ogni 4 anni.
  Al riguardo, si segnala che il 21 febbraio 2017 si è svolto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, promotore dell'iniziativa, un confronto tra i Ministeri a vario titolo coinvolti (trasporti, sviluppo economico, politiche agricole alimentari e forestali) per un punto della situazione sulle misure messe in campo di contrasto allo smog.
  L'obiettivo dei ministeri è accelerare il percorso di attuazione della direttiva europea Nec, che come detto prevede la definizione di un programma di misure nazionali per la qualità dell'aria e, allo stesso tempo, arrivare alla chiusura dei tavoli tecnici istituiti per nuove misure di contrasto allo smog nell'area del bacino padano.
  Con le regioni padane un accordo che sarà implementato con nuovi interventi concordati e coordinati e siglato in giugno in occasione del G7 ambiente a Bologna.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, anche attraverso il costante e fondamentale supporto alle amministrazioni locali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il progetto «Parco Navale di Trieste» si inquadra nell'ottica generale di sviluppo e rivalutazione dei fondali marini e la sua messa in opera, oltre che rappresentare un unicum in Italia, avrebbe conseguenze positive per quanto concerne l'ambito turistico, specie per il turismo naturalistico e scientifico, per la valorizzazione del patrimonio naturalistico sottomarino, nonché a beneficio della piccola pesca costiera;
   al fine di accogliere il crescente flusso di utilizzatori passivi (eco-turismo) e attivi (pescatori) delle risorse marine, quindi, il progetto comprende l'individuazione e bonifica di navi aventi valore storico, per poterle utilizzare come struttura di reef artificiale e per implementare l'offerta turistica in un'area già presente sulla mappa dei subacquei italiani; tale progetto punta ad essere sviluppato nella fascia di mare confinante con la «Zona B» della Riserva naturale marina di Miramare;
   un relitto, essendo una struttura sommersa adagiata sul substrato marino, rientra a tutti gli effetti nella definizione di reef artificiale (artificial reef-AF), secondo la European Artificial Reef Research Network (Baine 2001);
   studi scientifici hanno dimostrato che, sebbene le evidenti differenze tra le comunità marine sviluppatesi attorno ai reef artificiali rispetto ai reef naturali adiacenti, e nonostante le comunità del reef artificiale siano soggette a cambiamenti nel tempo, esse non si formano a scapito delle comunità presenti sul reef naturale. Le strutture artificiali vanno, invece, ad arricchire la produzione primaria locale, e a fornire nuovi rifugi atti all'aumento e non al trasferimento di biomassa marina (Carr & Hixon 1997, Grossman et al. 1997);
   come evidenziato nella valutazione di impatto ambientale del progetto Parco navale di Trieste «Basandosi sugli studi citati sopra, si ipotizza che l'affondamento di navi nella “Zona B” della Riserva Marina di Miramare causerà: 1- Un cambiamento circoscritto della meiofauna (organismi che occupano il fondale sabbioso), entro un raggio di 50 metri dal relitto, (...). 2- Una colonizzazione del relitto da parte di organismi bentonici con struttura ecologica differente da quella del reef naturale della riserva naturale marina di Miramare, (...). Questo comporta un ipotizzato aumento della biomassa e biodiversità locale, piuttosto che un trasferimento di organismi dal reef naturale a quello artificiale. (...) 4- Un aumento di presenza di specie ittiche ad alto valore commerciale, con possibilità di aumento dalla pesca locale. 5- Un aumento del flusso turistico nell'area circostante il Parco Navale con benefici economici per le strutture di ristorazione e alberghiere locali. In particolare, l'offerta di un sito per immersioni alternativo alla Riserva Naturale Marina di Miramare, può portare l'utilizzatore a passare più giorni sul territorio. 6- Un aumento dei progetti di ricerca sia nell'ambito della biologia marina che in ambito di economia, sociologia e gestione del territorio»;
   il predetto progetto ha avuto il via libera nel 2002 sia dello Stato maggiore della marina militare del WWF, oltre che il più completo appoggio della Federalberghi di Trieste ed il patrocinio della Confcommercio di Trieste nel 2004;
   ciononostante, il progetto si è arenato per un'interpretazione di legge, a parere dell'interrogante, impropria da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che considera l'affondamento di navi appartenenti alla Marina e la colonizzazione dei relitti come abbandono di rifiuti in acqua –:
   per quali motivi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare interpreti le operazioni di colonizzazione dei relitti come forme di inquinamento marino e abbandono di rifiuti in acqua, con ciò ponendosi, secondo l'interrogante, in controtendenza rispetto ad altri Paesi europei, come la Croazia o Malta;
   se, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda assumere iniziative per permettere la realizzazione dell'importante progetto del «Parco navale di Trieste» di cui in premessa ed entro quali tempi;
   quali accordi in tale ambito si intendano avviare con la Marina militare per la cessione di eventuali relitti. (4-16708)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al progetto riguardante il «Parco Navale di Trieste», sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente, si rappresenta quanto segue.
  La Convenzione di Londra sull'immersione dei materiali in mare del 1975, adottata in ambito Organizzazione marittima internazionale (IMO), e il suo protocollo del 2006, ratificato dall'Italia con la legge n. 87 del 13 febbraio del medesimo anno, pur prevedendo la possibilità di poter procedere all'affondamento di unità navali, subordinatamente ad una autorizzazione rilasciata dalle competenti autorità nazionali, nelle specifiche linee guida considera questa possibilità solo qualora non risultino praticabili soluzioni alternative quali il riutilizzo della nave o di parti di essa o il riciclo dei materiali e non come scelta per la valorizzazione della pesca e del turismo.
  Si rappresenta inoltre che l'Italia, nel quadro degli obblighi derivanti dalla Convenzione di Barcellona, ha firmato e successivamente ratificato, con legge n. 175 del 27 maggio 1999, il nuovo testo della Convenzione medesima, incluso il «Protocollo per la prevenzione e l'eliminazione dell'inquinamento del Mare Mediterraneo dall'immersione di rifiuti provenienti da navi e aerei o dall'incenerimento in mare», non ancora in vigore. Tale protocollo prevede espressamente il divieto di immersione in mare di navi, che ha avuto una deroga nell'ambito di un regime autorizzativo transitorio, terminata il 31 dicembre 2000. Pertanto, a partire da tale data, è vietata a tutti gli effetti l'immersione di navi in mare alle parti contraenti del protocollo e della convenzione in parola. Pur non essendo ancora entrato in vigore, il protocollo emendato, a seguito della ratifica da parte dello Stato italiano, con cui lo stesso ha manifestato il proprio consenso ad attenersi ed uniformarsi a quanto previsto, produce per esso l'obbligo di comportarsi in buona fede, per non porre nel nulla la sua futura entrata in vigore (ex articoli 24.4 e 18 della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati).
  Si rappresenta, inoltre, che l'Italia ha firmato l'atto finale della Convenzione «Ships Recyding» dell'Organizzazione marittima internazionale, per la quale il riciclo dei materiali costituisce la migliore opzione per le navi che hanno raggiunto la fine del loro ciclo di vita.
  Si rappresenta, altresì, che l'affondamento di unità navali non rientra in alcun modo tra le tipologie di materiali autorizzabili all'immersione deliberata in mare, secondo quanto previsto all'articolo 184, comma 3, lettera l), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, laddove i «veicoli a motore, rimorchi e simili, fuori uso e loro parti», sono classificati come rifiuti speciali. Tali veicoli vanno pertanto conferiti ad un centro di raccolta «per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione» articolo 231). All'articolo 109, lettera b) del medesimo decreto, inoltre, è prevista la possibilità di immersione in mare solo di materiali inerti (quali tetrapodi in calcestruzzo o similari), materiali geologici inorganici e di manufatti al solo fine di utilizzo e solo ove ne sia dimostrata la compatibilità e l'innocuità ambientale.
  In considerazione alla zona di realizzazione del progetto, si evidenzia che nell'AMP di Miramare non è presente una zona b, ma solamente una zona a e non è dunque chiaro quali siano le aree destinate dal progetto al parco navale. Esiste invece una zona buffer di rispetto, e ad essa forse si fa riferimento nell'interrogazione in esame, istituita dalla capitaneria di porto di Trieste, per una estensione di 400 metri dai limiti della stessa zona a dell'AMP, (ordinanza 28/98 della capitaneria di porto Trieste), dove è vietata la pesca ed è fatto obbligo ai natanti in transito di navigare a distanza di sicurezza dai segnalamenti marittimi, presso i quali è interdetto l'accosto, l'ancoraggio e l'ormeggio.
  All'interno dell'AMP ricade per intero il SIC IT3340007 denominato «Area marina di Miramare», le cui misure di conservazione, così come indicato nella delibera regionale n. 546 del 28 marzo 2013, sono rimandate a più specifiche misure riguardanti gli ambienti marini, che risultano contenute nel regolamento di esecuzione e organizzazione dell'AMP di cui al decreto ministeriale del 26 maggio 2009, recante le misure di protezione riferite alle numerose specie e agli habitat prioritari sottoposti a tutela riportati nel formulario approvato dalla regione Friuli Venezia Giulia, e pubblicato sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (inoltre l'AMP di Miramare è stata riconosciuta come area ASPIM, per le misure di salvaguardia destinate alla tutela delle specie minacciate e degli habitat).
  Pertanto l'eventuale presenza di un reef artificiale quale quello proposto, benché esterno all'AMP ma in quanto vicino, potrebbe creare un impatto sui fondali e sulle biocenosi circostanti, ponendosi in contrasto con quanto disposto agli articoli 3 e 4 del decreto ministeriale istitutivo dell'AMP Miramare del 12 novembre 1986, e presupponendo in ogni caso l'espletamento di una necessaria valutazione di incidenza, considerata l'immediata adiacenza all'AMP e quindi al SIC.
  Occorre, inoltre, evidenziare che l'effettiva e completa bonifica di scafi, che dovrebbe comunque avvenire in base ad uno specifico piano di esecuzione lavori ad opera dell'ISPRA, è da considerarsi, a tutt'oggi, come un'operazione non solo complessa ed estremamente costosa, ma dagli esiti incerti dal punto di vista ambientale. Si aggiunga che, sulla base delle conoscenze attuali non è possibile determinare se, e in che termini quali quantitativi, tali affondamenti possano comportare, anche nel tempo, un rilascio incontrollato di inquinanti che potrebbero compromettere lo stato di salute delle biocenosi preesistenti.
  Per quanto riguarda, infine, le finalità perseguite dal progetto in questione si osserva che la previsione di incentivare un'attività economica nel settore del turismo, non è di per se sufficiente a motivare una introduzione di mezzi navali nell'ambiente marino, considerato il fondato motivo che tale introduzione reca una significativa alterazione di quest'ultimo. Si evidenzia, inoltre, che il processo di colonizzazione dei relitti da parte di specie tipiche di substrati duri modifica i complessi equilibri ecologici in essere, in un ambiente caratterizzato da fondi mobili, con effetti difficilmente prevedibili, non per forza «benefici», sulla piccola pesca costiera. Da ultimo, si richiama la convenzione UNESCO sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo del 2001 (ratificata dall'Italia con legge n. 157 del 23 ottobre 2009), che definisce «Patrimonio culturale subacqueo» «qualsiasi traccia di vita umana avente carattere culturale, storico o archeologico che sia stata sott'acqua parzialmente o completamente, periodicamente o continuativamente, per almeno 100 anni».
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GAGNARLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la diga di Montedoglio, ritenuta la più importante infrastruttura del suo genere nel centro Italia, è un'opera fondamentale per la sua funzione in ambito irriguo su tutta la Valtiberina umbro-toscana e sulla Valdichiana per lo sviluppo del territorio e per garantire una laminazione delle acque ciel fiume Tevere, consentendo di prevenire le frequenti alluvioni delle zone più a rischio;
   nella notte del 29 dicembre 2010 una porzione del muro scolmatore della diga di Montedoglio è crollata, riversando un'imponente massa d'acqua sulla vallata sottostante – secondo le stime oltre 600 metri cubi al secondo – e provocando comprensibili timori nella popolazione. L'acqua, accolta dal letto del Tevere, ha ingrossato il corso del fiume, causando la chiusura precauzionale di tutti i ponti da Sansep olcro fino ai comuni dell'alta Umbria;
   dal dicembre 2010 ad oggi si sono susseguiti, ad intervalli regolari, solenni annunci di ricostruzione, oltre che promesse di un ruolo decisionale per la Valtiberina assicurato dalla presenza di un membro nel Consiglio di amministrazione dell'Ente acque umbro toscano (EAUT), mai assegnato;
   a seguito del crollo, negli ultimi 5 anni sono partite diverse indagini che hanno rilevato l'utilizzo di materiali scadenti ed evidenti errori strutturali;
   nel giugno 2016 il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, a Sansepolcro ha annunciato ancora una volta che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, avrebbe avviato i lavori di ripristino della parte dell'invaso crollata entro luglio 2016, sia per garantire la piena sicurezza che per consentire di ripristinare la massima capacità dell'invaso;
   il 17 febbraio 2017, si è svolta la riunione della Consulta Montedoglio-Sovrana nella sede dell'Ente acque umbre toscane ad Arezzo (EAUT), alla presenza degli assessori all'agricoltura di Umbria e Toscana, oltre che di rappresentanti dei comuni ricadenti nel territorio di operatività della diga di Montedoglio, durante la quale si è parlato anche del progetto di ricostruzione dello scarico di superficie, crollato nel dicembre 2010 –:
   quale sia il ruolo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella realizzazione dei lavori di messa in sicurezza del muro scolmatore della diga di Montedoglio e se e di quali elementi disponga il Governo, per quanto di competenza, circa i motivi del ritardo dell'inizio dei lavori e le reali tempistiche e modalità previste per l'affidamento degli stessi.
(4-15752)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  La diga di Montedoglio rientra per altezza e volume tra le grandi dighe soggette alla vigilanza sulla sicurezza dello Stato. L'ente concessionario di derivazione d'acqua e l'ente acque umbre toscane (EAUT), cui competete la gestione dello sbarramento e dell'invaso e l'attuazione delle iniziative atte a garantirne la sicurezza, ivi comprese la progettazione e l'esecuzione degli interventi di ripristino dello scarico di superficie danneggiato dall'evento del 2010.
  La suddetta direzione generale comunica che a seguito del crollo dei tre conci dello sfioratore nel corso dell'evento del 29 dicembre 2010, ha disposto studi specialistici ed indagini tecniche in ordine all'incidente occorso, alle sue cause e allo stato di sicurezza della diga e delle sponde del serbatoio. Il gruppo di lavoro incaricato ha concluso le proprie attività nel giugno 2012, mentre parallelamente si sono attivate le attività di indagine e di progettazione conseguenti da parte delle autorità preposte e dell'ente concessionario.
  Per quanto concerne nello specifico l’iter di approvazione del progetto di ricostruzione dello scarico di superficie, interessato dal parziale collasso del 29 dicembre 2010, il concessionario ente acque umbre-toscane ha presentato nel giugno 2013 un primo progetto definitivo che, a seguito di osservazioni istruttorie e interlocuzioni tecniche con i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dei risultati delle campagne di indagini condotte sulle strutture di calcestruzzo, è stato in due riprese aggiornato e riproposto (gennaio 2014 e aprile-giugno 2014).
  La suddetta direzione si è espressa su tale revisione progettuale con una propria relazione istruttoria e ha inoltrato il progetto al Consiglio superiore dei lavori pubblici per il parere ex articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1363 del 1959 (nota n. 22962 del 19 novembre 2014).
  La II Sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici ha espresso parere con voto n. 78/14 emesso in data 3 luglio 2015.
  La direzione generale ha approvato in linea tecnica il citato progetto definitivo in data 4 agosto 2015, subordinatamente al recepimento, nel prosieguo della progettazione, delle prescrizioni e delle raccomandazioni espresse nel parere del consiglio superiore dei lavori pubblici e nella relazione istruttoria della direzione stessa.
  Ai fini della verifica di ottemperanza a tali prescrizioni e raccomandazioni il concessionario, con nota in data 31 maggio 2016, ha presentato il progetto esecutivo «Interventi per il ripristino delle strutture cementizie dello scarico di superficie – aprile 2016». Nel corso dell'esame tecnico da parte dei competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è emersa, ai fini dell'ottemperanza alle prescrizioni emesse, la necessità di approfondimenti in merito ad alcune scelte progettuali inerenti in particolare l'adeguamento o il miglioramento della sicurezza delle opere contro terra non interessate da dissesti. Su tali aspetti la suddetta direzione generale in data 5 agosto 2016 ha indirizzato al concessionario la nota n. 16638 recante l'istruttoria tecnica e alla regione Toscana la nota n. 16639 in ordine anche agli aspetti di finanziamento.
  Detti approfondimenti progettuali, illustrati in una riunione preliminare in data 28 febbraio 2017, risultano in corso da parte dell'Ente concessionario. Allo stato attuale si è quindi in attesa di ricevere la richiesta revisione del progetto esecutivo da parte dell'Ente acque umbre-toscane, per concludere la verifica di ottemperanza alle prescrizioni anche del consiglio superiore dei lavori pubblici e procedere alla conseguente approvazione tecnica del progetto esecutivo.
  Concludendo, si rappresenta che questo Ministero non ha alcuna competenza per appaltare o avviare i lavori, attività che ricadono, per disposizione regolamentare, tra i compiti del concessionario Eaut, una volta conseguite dal medesimo le autorizzazioni e le approvazioni previste dalle vigenti norme.
  Nel transitorio la Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche, tenuto conto degli esiti favorevoli dell'attività di vigilanza svolta, ha autorizzato, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 1363 del 1959, i richiesti incrementi temporanei del livello di invaso sperimentale del serbatoio, per garantire le utilizzazioni nei limiti di compatibilità con le esigenze di sicurezza, in rapporto all'attuale assetto provvisorio e parzialmente danneggiato dello scarico di superficie.
  Inoltre, si rappresenta che, in esito alla seduta Cipe del 1o dicembre 2016, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 88 in data 14 aprile 2017, con la quale il Cipe ha approvato il piano operativo infrastrutture Fsc 2014-2020 di competenza di questo Ministero, la diga di Montedoglio, è stata inclusa tra quelle beneficianti di apposito finanziamento (2 milioni di euro) nell'ambito del «piano dighe» per interventi di incremento della sicurezza, nel caso specifico integrativi rispetto a al finanziamento per le opere in progetto già nella disponibilità del Concessionario su fondi esulanti dalle competenze questo Ministero.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione Umbria è suddivisa in quattro ambiti territoriali integrati (ATI) delegati alla gestione di sanità, politiche sociali, rifiuti, ciclo idrico integrato e turismo, che fanno riferimento alle quattro ASL della regione;
   nei primi di gennaio del 2013 all'interno dell'ATI 2 si è rischiata una grave emergenza relativamente alla gestione dei rifiuti; una comunicazione ufficiale dell'azienda che gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti nell'ambito territoriale 2 annunciava, infatti, che «in mancanza di provvedimenti normativi che permettano lo smaltimento di rifiuti, ad oggi non siamo in grado di garantire il ritiro dei rifiuti indifferenziati, pertanto si invitano tutti i cittadini a non esporre i bidoncini grigi a ciò destinati, fino a nuova comunicazione»;
   nell'ambito del cosiddetto ATI 2 si trova la discarica di Borgogiglione, che, nata nel 1995 per 200.000 metri cubi, ha raggiunto oggi i 600.000 metri cubi, e raccoglie anche rifiuti con elevato potere calorifico; 
   il blocco del conferimento di rifiuti con elevato potere calorifico, previsto dal decreto legislativo 36 del 2003, che avrebbe dovuto essere in vigore dal 1° gennaio 2007, è stato infatti derogato di anno in anno;
   nel 2013, in forza del decreto suddetto, è avvenuto il blocco temporaneo dell'attività nella discarica di Borgogiglione, che ha però ripreso quasi immediatamente l'attività grazie ad una delibera urgente del presidente della regione Umbria;
   è importante sottolineare che l'ATI 2, il 12 ottobre 2012, ha siglato un accordo «di solidarietà» che prevedeva lo smaltimento dei rifiuti dell'ATI 3 nella discarica di Borgogiglione. Tale accordo avrebbe dovuto essere temporaneo, ma ne è già stata richiesta la proroga fino al 30 giugno del 2014 a causa dei ritardi dei lavori nella discarica di Sant'Orsola di Spoleto;
   l'ATI 2 ha siglato, inoltre, un analogo accordo «di solidarietà» anche con l'ATI 1 in quanto anche la discarica di Belladanza è afflitta da cronici problemi strutturali;
   nel 2012 le tonnellate di rifiuti conferita Borgogiglione sono state 79.520 (comprese 17.775 tonnellate di rifiuti speciali), circa il 10 per cento in meno rispetto al 2011;
   per il 2013 sono previste in arrivo 188mila tonnellate (cfr. informativa sulla gestione dei conferimenti, ATI 2 giugno 2013), di cui 19mila di rifiuti speciali;
   è evidente che la situazione della discarica di Borgogiglione (di sicuro non l'unico caso in Italia) sta oltrepassando i livelli minimi di sostenibilità, sia da un punto di vista di impatto e gestione ambientale, sia di vivibilità degli abitanti della zona, che, oltre alla difficoltà di smaltire i propri rifiuti, lamentano anche grossi problemi di viabilità a causa del via vai dei camion provenienti da altri ambiti territoriali;
   bisogna infine considerare che con la nuova legge regionale 17 maggio 2013, n. 11 Norme di organizzazione territoriale del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti, che sopprime gli ATI riunendo la gestione dei rifiuti sotto un unico organismo denominato AURI, la regione tenta, di fatto, di porre rimedio ad una situazione di gestione dei rifiuti inaccettabile, contravvenendo, a parere degli interroganti, al principio di prossimità stabilito dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e dalla direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti, e senza tener conto delle diverse realtà territoriali (comuni o interi ambiti territoriali che si sono dimostrati virtuosi ed efficienti);
   l'11 settembre 2013, nel corso dell'audizione sulle procedure di infrazione in materia-ambientale presso l'VIII commissione della Camera, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha citato – tra le numerose procedure avviate nei confronti dell'Italia – la procedura n. 2011/2215 con cui la Commissione europea contesta il mancato rispetto degli obblighi di cui alla direttiva 1999/31/CE in materia di discariche di rifiuti –:
   se il Governo intenda avviare le necessarie iniziative di competenza per evitare il possibile avvio di ulteriori procedure di infrazione. (4-01958)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Secondo quanto riferito dalla regione Umbria e dalla provincia di Perugia, l'entrata in vigore del divieto di conferimento in discarica dei rifiuti con potere calorifico inferiore (PCI) maggiore di 13.000 kJ/kg di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, aveva indotto i gestori del servizio nella regione Umbria, non solo dell'ATI 2, a segnalare il rischio di una possibile difficoltà per lo smaltimento in discarica dei rifiuti provenienti dagli impianti di trattamento (TMB) dei rifiuti indifferenziati, costituiti prevalentemente da «frazioni secche» aventi elevato potere calorifero.
  La carenza, di impianti di valorizzazione termica di detti rifiuti ha indotto la regione Umbria, con ordinanza presidenziale n. 1 dell'8 gennaio 2013, a consentire per alcuni giorni il conferimento in discarica di detti, rifiuti, per evitare possibili disservizi e a tutela della salute pubblica e dell'ambiente. Tale criticità ha riguardato tutto il territorio italiano tanto che il Governo è intervenuto con il decreto-legge n. 1 del 14 novembre 2013, che ha prorogato il divieto di conferimento in discarica dei rifiuti con alto PCI.
  In relazione all'organizzazione dei servizi di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti urbani (cosiddetta governance), il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ed in particolare l'articolo 200 dispone che la gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali delimitati dal piano regionale e deve ispirarsi, tra gli altri, ai seguenti criteri: superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti; conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative; ricognizione di impianti di gestione dei rifiuti già realizzati e funzionanti.
  Pertanto, la principale finalità della legislazione nazionale di settore è il superamento della frammentazione gestionale, da conseguire attraverso una gestione unitaria che abbia riguardo a fattori fisici, demografici, tecnici e di ripartizione politico-amministrativa e che si concili con l'autosufficienza nello smaltimento, da realizzare almeno su scala regionale.
  Al riguardo, si segnala che ai sensi del comma 3 del citato articolo 200 sono le regioni, nell'ambito delle attività di programmazione e di pianificazione di loro competenza, a dover provvedere alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e all'eventuale sub-articolazione.
  Conseguentemente, sono le regioni, esercitando le competenze attribuite dal legislatore, a determinare, secondo i criteri elencati al comma 1 dell'articolo 200, le dimensioni degli ambiti territoriali ottimali per l'affidamento dei servizi di gestione dei rifiuti.
  Si fa presente, inoltre, che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha individuato una serie di proposte migliorative che impattano sulla tematica delle dimensioni dei bacini per l'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti nonché sulla durata temporale e sulla governance dei predetti affidamenti.
  A fronte del sistema normativo vigente, è auspicabile che, in primo luogo, siano le regioni a considerare le proposte migliorative suggerite dall'AGCM durante l'esercizio delle competenze attribuite loro dal legislatore.
  Occorre evidenziare altresì che il Ministero dell'ambiente ha dato avvio ad una fase di confronto con tutte le regioni al fine di poter svolgere, in materia di gestione dei rifiuti, le attività di cui all'articolo 206-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  In tale contesto, il Ministero, tenendo conto di quanto stabilito dalla legislazione di settore e dalle caratteristiche tecnico produttive del ciclo dei rifiuti, ha riservato particolare attenzione all'organizzazione dei servizi di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti urbani nonché ai criteri fondamentali di cui le regioni, caso per caso, si sono avvalse per effettuare la perimetrazione degli ambiti territoriali ottimali fornendo ove necessario indicazioni per evitare il ricorso alle forme di gestione frammentate.
  Inoltre, particolare attenzione viene posta all'eventuale disallineamento tra l'ampiezza dei bacini di affidamento e la dimensione ottimale del servizio il quale si riflette anche sull'assetto industriale del mercato nonché alla scelta del modello di organizzazione dell'attività di raccolta la quale rileva non solo sul piano delle performance raggiunte in termini di capacità di intercettare i rifiuti in maniera differenziata, ma anche in relazione ai costi che essi generano, e conseguentemente in relazione all'entità delle tariffe attraverso le quali deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio.
  Si evidenzia tra l'altro che il Ministero ha intrapreso iniziative finalizzate anche ad evitare, quanto più possibile, criticità concorrenziali nel settore della gestione dei rifiuti e ad incentivare un'economia circolare in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo. Infatti, si è consapevoli che la gestione dei rifiuti riveste un ruolo preminente nell'economia circolare, la quale concorre a dare impulso alla competitività del paese contribuendo a creare sia nuove opportunità commerciali sia modalità di produzione e consumo innovativi e più efficienti.
  I dati sulla gestione dei rifiuti, presentati lo scorso dicembre dall'Ispra e relativi all'anno 2015, offrono una fotografia dell'Italia in cui la percentuale di raccolta differenziata cresce di 2,3 punti rispetto all'anno 2014, raggiungendo il 47,5 per cento dato che, in valore assoluto, vuol dire che la raccolta differenziata supera i 14 milioni di tonnellate, con una crescita di 619 mila tonnellate rispetto al 2014 (+4,6 per cento). Si osserva, però, ancora un'Italia in cui i risultati raggiunti sono disomogenei sul territorio nazionale.
  La vera sfida del prossimo anno è di allineare gli standard di efficienza della gestione dei rifiuti delle diverse aree del territorio per raggiungere il comune obiettivo del 65 per cento di raccolta differenziata, ovvero del 50 per cento di avvio a riciclo.
  Se da un lato quindi è richiesto alle regioni e ai comuni di creare le condizioni per un efficiente rete di raccolta dei rifiuti, perché questa possa davvero diventare funzionale al sistema paese e creare nuove opportunità economiche, è necessario che vi sia un'adeguata dotazione infrastrutturale tale da permettere la valorizzazione dei rifiuti. Con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2016 e del 10 agosto 2016, adottati in attuazione del decreto-legge 11 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto decreto «Sblocca Italia»), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, il Ministero ha condotto una ricognizione sul fabbisogno nazionale di termovalorizzazione e di compostaggio individuando dotazioni impiantistiche necessarie e i fabbisogni residui da soddisfare, al fine di garantire la corretta chiusura del ciclo dei rifiuti. Come è noto, infatti, l'articolo 35 dello «Sblocca Italia» ha previsto che, su proposta del Ministero, si provveda alla adozione di due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri aventi ad oggetto:
   la ricognizione degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani esistenti o autorizzati a livello nazionale, la determinazione della capacità impiantistica necessaria a soddisfare il fabbisogno residuo di incenerimento, nonché l'individuazione degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati necessari per coprire il relativo fabbisogno residuo (comma 1);
   la ricognizione della capacità impiantistica di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata e la determinazione della capacità necessaria a soddisfare il fabbisogno residuo di trattamento (comma 2).

  Il ciclo integrato dei rifiuti si compone di diversi elementi che devono necessariamente essere realizzati tutti: la mancanza di un solo anello determinerebbe l'impossibilità di chiudere il ciclo e la conseguente necessità di far ricorso allo smaltimento in discarica. Le capacità di incenerimento individuate, lungi dal sostituirsi ad altre forme di gestione più virtuose, sono necessarie alle predette finalità.
  Tra le varie attività che ha visto impegnato il Ministero si segnala quella per il corretto trattamento della frazione organica dei rifiuti.
  La frazione maggiormente raccolta in modo differenziato è infatti proprio la frazione organica che costituisce circa il 43,31 per cento del totale raccolto. Secondo il rapporto rifiuti urbani 2016, nel 2015 la frazione organica registra tra il 2014 e il 2015, un incremento di circa 350 mila tonnellate e si attesta a quasi 6,1 milioni di tonnellate di cui 3,4 milioni di tonnellate raccolte nelle regioni settentrionali, 1,2 milioni di tonnellate nel centro e quasi 1,5 milioni di tonnellate nel sud.
  In ordine alla quantificazione del fabbisogno impiantistico per il riciclo della frazione organica il Ministero dell'ambiente ha emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2016, in attuazione dell'articolo 35.
  Il fabbisogno teorico di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani è stimato sulla base dell'ipotesi di estendere la raccolta differenziata di tale frazione a tutti i comuni e di intercettare la maggior parte della frazione organica presente nel rifiuto prodotto.
  La ricognizione degli impianti presenti è stata fatta considerando l'offerta impiantistica atta a dare continuità e solidità al sistema. Dalle analisi condotte emerge una situazione di grave deficit per l'area geografica meridionale.
  In tema di riciclaggio della frazione organica, inoltre, è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale (serie generale n. 45 del 23 febbraio 2017) il decreto ministeriale 29 dicembre 2016, n. 266 recante «i criteri operativi e le procedure autorizzative semplificate per il compostaggio di comunità di rifiuti organici» che introduce una tipologia di impianto di piccola taglia con la peculiarità di essere gestito collettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche, in qualità di utenze conferenti nell'apparecchiatura, al fine dell'ottenimento del compost da utilizzare tra le medesime.
  L'obiettivo perseguito è quello di ridurre gli impatti derivanti dalla gestione della frazione organica dei rifiuti urbani contribuendo al raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio, ai sensi dell'articolo 11 della direttiva 2008/98/CE, e di riduzione del conferimento dei rifiuti biodegradabili in discarica, ai sensi dell'articolo 5 della direttiva 1999/31/CE.
  L'attività di compostaggio di comunità, in quanto attività di riciclaggio partecipa al raggiungimento dell'obiettivo di riciclaggio del 50 per cento dei rifiuti urbani e dell'obiettivo di riduzione del conferimento dei rifiuti biodegradabili in discarica.
  La corretta gestione della frazione organica dei rifiuti urbani concorre alla diminuzione delle emissioni di gas serra, all'incremento della fertilità dei suoli ed al contrasto dell'erosione e della desertificazione oltre che alla tutela dei corpi idrici.
  Inoltre, in conformità alla gerarchia dei rifiuti è pienamente rispondente ai principi di autosufficienza e prossimità della gestione dei rifiuti biodegradabili urbani, costituendo uno strumento alternativo e integrativo della gestione dei rifiuti organici dei comuni in considerazione delle conformazioni territoriali, della gestione attuata, della disponibilità di impianti a e della distanza degli stessi, con il beneficio di non gravare nella gestione e nei relativi costi del servizio di igiene urbana, in quanto il conferimento di tale frazione da parte dell'utenza conferente è autonomo ed evita l'intervento della società di gestione.
  Infine, l'attività di compostaggio di comunità, al pari del compostaggio domestico, contribuisce, attraverso l'impegno diretto del cittadino nella gestione dei rifiuti, all'incremento della sensibilità ambientale collettiva nonché alla comprensione dei processi di trattamento biologico dei rifiuti tanto dei piccoli come dei grandi impianti.
  Pertanto, si evidenzia che il Ministero ha intrapreso iniziative finalizzate anche ad evitare, quanto più possibile, criticità concorrenziali nel settore della gestione dei rifiuti e ad incentivare un'economia circolare in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo. Infatti, si è consapevoli che la gestione dei rifiuti riveste un ruolo preminente nell'economia circolare, la quale concorre a dare impulso alla competitività del Paese contribuendo a creare sia nuove opportunità commerciali sia modalità di produzione e consumo innovativi e più efficienti.
  A riguardo si segnala che la Commissione europea, attraverso la sua comunicazione di gennaio 2017 sul ruolo del «waste-to-energy» (recupero di energia da rifiuti) nell'economia circolare, ha espresso una valutazione estremamente positiva sulle strategie di gestione del rifiuto attuate dall'Italia. La Commissione ha in particolare elogiato la gestione dei rifiuti organici della città di Milano portandola come esempio del potenziale del processo di gestione anaerobica nel trattamento dei rifiuti biodegradabili, confermando l'eccellenza italiana in questo settore.
  Questa valutazione dimostra la qualità delle politiche italiane sulla valorizzazione del rifiuto. Bisogna pertanto proseguire sulla strada degli incentivi per il passaggio da un'economia lineare ad una circolare: in quest'ottica è centrale il ruolo del rifiuto che da problema diventa una risorsa, oltre che un'opportunità per creare nuovi posti di lavoro.
  Con riferimento alla gestione del contenzioso con l'Unione europea il ministero svolge un costante e continuo ruolo di collegamento con il dipartimento delle politiche europee e con gli organi della Commissione europea, anche attraverso la rappresentanza permanente a Bruxelles.
  Grazie all'impegno dedicato, il Ministero si è distinto per il crescente impegno e rendimento che ha consentito, in tre anni, di ridurre di quasi il 60 per cento le procedure di infrazione e gli EU-Pilot, riportando sotto controllo una situazione inizialmente critica.
  La gestione delle procedure di infrazione e dei casi EU-Pilot, è infatti contraddistinta, nell'ultimo triennio, da un trend estremamente positivo dovuto all'attento lavoro svolto dal personale preposto.
  In ogni caso, nell'ambito delle proprie competenze, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati, e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti stampa, nonché da comunicazioni ufficiali di Trenitalia spa, si apprende che a partire dal 24 gennaio 2017 sono entrate in vigore delle modifiche significative relative alla carta «TuttoTreno» Umbria di seconda classe, una sorta di abbonamento agevolato, da abbinare a quello regionale, utile ai pendolari che si muovono tra l'Umbria e le altre regioni limitrofe per studio o lavoro;
   le modifiche derivano da un accordo tra Trenitalia e regione Umbria e prevedono l'aumento di 100 euro del costo della carta (250 euro per distanze fino a 100 chilometri e 450 per distanze superiori), l'impossibilità di acquistare la carta semestralmente – cosa che genera non poche difficoltà per chi farebbe fatica a sostenere l'intero costo di un abbonamento annuale in un'unica soluzione – e la limitazione di validità ai soli Intercity, e non permette l'utilizzo anche ai Frecciabianca; inoltre, la carta «TuttoTreno» non sarà più valida per la prima classe;
   il divieto di utilizzo della coppia di Freccia Bianca Roma/Ravenna/Roma è quello che maggiormente espone i pendolari ai disagi, in quanto dopo la soppressione di diversi treni veloci tra la Capitale e l'Umbria, le alternative per rientrare in Umbria dopo il lavoro sono davvero poche e con questa modifica si correrà il rischio di congestionare i pochissimi treni interregionali in partenza da Roma nella fascia oraria pendolari, già di per sé con grande afflusso di viaggiatori;
   la carta «TuttoTreno» dell'Umbria, inoltre, secondo quanto si apprende anche da un documento del Comitato pendolari Roma-Firenze, è a tutt'oggi una delle più care d'Italia a fronte di un servizio offerto da Trenitalia che nel corso degli anni è tutt'altro che migliorato: solo per fare un esempio la carta «TuttoTreno» della Toscana, che ha una rete ferroviaria ben più vasta di quella umbra, ha costi di 150 euro entro i 100 chilometri e 250 oltre i 100 chilometri –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa e nel rispetto delle competenze regionali in materia di trasporto pubblico locale, non ritenga di assumere ogni iniziativa utile nei confronti di Trenitalia per affrontare tale situazione penalizzante per i pendolari umbri, che da anni affrontano i disagi dei collegamenti verso la Capitale e vedono leso il loro diritto alla mobilità. (4-15374)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Va premesso che le problematiche sollevate dagli interroganti fanno riferimento ad accordi (carta TuttoTreno) per servizi ferroviari di interesse locale, la cui programmazione e gestione rientra nelle competenze della regione Umbria: infatti, detti servizi sono disciplinati dal contratto di servizio stipulato dalla Regione stessa con Trenitalia s.p.a.
  In ogni caso, al fine di fornire una risposta circa le criticità segnalate sono stati chiesti chiarimenti a Ferrovie dello Stato italiane, che ha riferito quanto segue.
  Gli abbonati al servizio ferroviario regionale dell'Umbria (residenti nella Regione) possono accedere anche ai treni di media-lunga percorrenza della medesima tratta di abbonamento acquistando la carta TuttoTreno Umbria.
  La suddetta carta è regolata da una convenzione tra la regione Umbria e Trenitalia, per effetto della quale la regione definisce tipologia e prezzo per gli utenti e si fa carico della differenza di costo tra gli abbonamenti dei diversi livelli di servizio.
  Il prezzo della carta, la durata di validità, la classe di viaggio e i servizi che possono essere utilizzati sono stabiliti – quindi – dalla regione Umbria, anche in relazione all'entità dell'apposito stanziamento disposto regione stessa.
  L'accordo sottoscritto a gennaio 2017 aveva modificato le condizioni di acquisto e di utilizzo della carta TuttoTreno Umbria.
  Successivamente, al fine di venire incontro alle esigenze manifestate dai pendolari, la regione Umbria ha rivisto le condizioni di utilizzo stabilite a partire dal 2017 e, dal 28 marzo 2017:
   i prezzi sono stati ridotti, garantendo il rimborso della differenza per quanti avevano già acquistato la carta;
   è stata ripristinata la carta con validità semestrale;
   è stato previsto l'accesso anche ai treni «Frecciabianca» (oltre che agli Intercity);
   è stata data la possibilità di utilizzare la carta anche con l'abbonamento mensile (e non solo con quello annuale).
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante segnala come da diversi mesi, il viadotto Akragas (Morandi) di Agrigento, sia chiuso al traffico, nonostante le rassicurazioni da parte dell'Anas, sui tempi della riapertura della viabilità, secondo i quali i lavori si sarebbero conclusi in tempi celeri;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia che la decisione di avviare i lavori di consolidamento del viadotto Morandi sulla strada statale 115 a causa dello stato di estremo degrado è stata presa a seguito delle denunce da parte di un'associazione ambientalista, che hanno indotto la magistratura di Agrigento ad avviare un'indagine al fine di stabilire se il viadotto costituisca effettivamente un pericolo per la pubblica incolumità;
   le conseguenze negative e penalizzanti derivanti, oltre che dal divieto di circolazione, dalla chiusura del viadotto e dalla deviazione del traffico su percorsi alternativi costituiti dalla viabilità locale tra gli svincoli di Villaseta e quello per via Dante o in alternativa, dalla strada statale 115 e dalla strada statale 640 sino allo svincolo di San Leone, per proseguire sulla strada statale 118 fino al centro abitato di Agrigento, incidono pesantemente sulla mobilità delle comunità locali, che già subiscono (da troppi anni) ritardi cronici in termini di gap di efficienza infrastrutturale negli spostamenti;
   a giudizio dell'interrogante, accelerare i tempi d'intervento, per il ripristino della sicurezza della viabilità del ponte Morandi di Agrigento, risulta urgente e indispensabile, in considerazione del fatto che il viadotto costituisce un'arteria stradale di rilevanza strategica negli spostamenti da parte degli agrigentini e i turisti, i quali in prossimità dell'avvio della stagione estiva, aumenteranno in maniera inevitabile, rischiando di essere fortemente e ingiustamente sfavoriti dai ritardi nei lavori di riapertura della viabilità del ponte, i cui livelli di sicurezza peraltro erano stati da tempo garantiti dall'Anas –:
   quale sia attualmente lo Stato dei lavori relativi agli interventi di manutenzione già programmati da parte dell'Anas;
   se sia a conoscenza dei tempi per la riapertura del viadotto Morandi di Agrigento, la cui infrastruttura rappresenta un'opera stradale importante e fondamentale per i collegamenti del territorio agrigentino e siciliano;
   quali iniziative urgenti e necessarie il Ministro interrogato intenda intraprendere, nei confronti dell'Anas, al fine di accelerare i lavori che risultano fortemente in ritardo, posto che i disagi della viabilità sono fortemente avvertiti dalla popolazione agrigentina, anche a causa dell'incertezza delle dichiarazioni da parte dell'ente responsabile sui tempi della riapertura definitiva, oltre che sullo stato del ponte interessato. (4-16502)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società ANAS, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  ANAS ha svolto accurate verifiche statiche sui viadotti «Akragas I» e «Akragas II», situati lungo la strada statale 115-quater «sud occidentale sicula», all'esito delle quali ha provveduto a ripristinare il transito veicolare su entrambe le infrastrutture, vietando, tuttavia, l'accesso ai soli veicoli di massa superiore alle 3,5 tonnellate e consentendo il transito su un'unica corsia per senso di marcia.
  La medesima società ha predisposto un progetto di risanamento complessivo dei suddetti viadotti che, sulla base delle risorse finanziarie disponibili, prevede due stralci, autonomamente funzionali, ovvero:
   stralcio I – la progettazione dei lavori di risanamento delle travi dei viadotti «Akragas» è stata inserita nel contratto di programma Anas 2015, per un importo di circa 480 mila euro. I lavori sono stati aggiudicati e consegnati alla ditta esecutrice il 26 aprile 2017 l'ultimazione dei lavori è prevista per il 2 ottobre 2017.
   stralcio II – è in corso di redazione il progetto esecutivo dei lavori di completamento per il risanamento strutturale dei viadotti in questione, per un investimento di circa 25 milioni di euro. L'intervento è stato inserito nel piano-pluriennale Anas 2016-2020 e nel piano sud per la Sicilia. La durata dei lavori prevista è di circa 630 giorni.

  ANAS informa, infine, che a seguito del degrado corticale delle pile e di più approfondite indagini, ha predisposto un progetto di risanamento, attualmente in fase di redazione, delle pile e delle fondazioni ammalorate.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da circa 2 mesi i territori di Montoro e Solofra, situati in una zona di cerniera tra le province di Avellino e Salerno, nell'Alta Valle dell'Irno, sono interessati da una grave emergenza socio-ambientale. L'alta presenza di TCE (tetracloroetilene) nell'acqua per uso domestico, in pubbliche fontane, proveniente da pozzi di proprietà dell'Alto calore servizi, ha innescato un'emergenza che è solo agli inizi. Infatti, i successivi e diversi controlli effettuati ai pozzi che servono le industrie conciarie, hanno portato alla chiusura di ben dieci opifici per la stessa presenza di sostanze riconducibili al suddetto pericoloso composto chimico. Il tetracloroetilene è un organoclorurato che se versato sul suolo penetra il terreno fino ad interessare la falda, provocando per la sua pesantezza e densità contaminazione di lunga durata;
   da questo preoccupante scenario di natura ambientale e sanitaria deriva anche la ricaduta di gravi problemi nell'ambito socio-economico della zona con ripercussioni sull'apparato produttivo di quel distretto industriale ed i livelli occupazionali già fortemente provati dal perdurare della crisi dei mercati;
   già nel 2004 l'apposita Commissione parlamentare di inchiesta accertò gravi inadempienze nel sistema di depurazione delle acque che la stessa Arpac certificò nel 2007 (se ne può prendere visione grazie allo studio svolto dall'autorità di bacino del Sarno nell'ambito del «Progetto Integrato Parco Regionale dei Monti Picentini»);
   l'opera di risanamento del fiume Sarno, iniziata dall'allora commissario generale Roberto Jucci, proponeva, tra l'altro, il potenziamento e l'ammodernamento degli impianti di depurazione di Solofra (Co.Di.So) e di Mercato San Severino. In maniera inopinata e fuori da ogni logica di sana amministrazione proprio gli ultimi riparti, nel giugno del 2013, destinati alla bonifica del fiume Sarno e alla ridefinizione di un moderno sistema di depurazione integrato, hanno escluso definitivamente il torrente Solofrana ed il distretto della concia di Solofra, che risulta ancora oggi al primo posto per importanza tra quelli manifatturieri del Mezzogiorno;
   nel mentre si è pensato bene di finanziare nel comprensorio montorese, a monte ed a valle del distretto industriale, progetti per 13 milioni di euro derivanti dal piano di sviluppo rurale 2007/2013 recentemente approvati dalla Unione europea, per la costruzione di due mega-vasche di laminazione e per far fronte ad un eventuale quanto improbabile rischio di natura alluvionale, considerato anche il progressivo depauperamento del letto fluviale dei corsi d'acqua in questione;
   l'area interessata da questi interventi insiste su di una superficie di circa 16 ettari, dei quali ben 10 ettari impegnati ad uso agricolo per prodotti tipici e di pregio come il «Carciofo preturese» e la «Cipolla ramata di Montoro», che ha recentemente presentato documentazione per il riconoscimento del marchio IGP;
   questi enormi invasi alla fine rischiano di riempirsi di ogni sorta di rifiuto civile ed industriale ma soprattutto di trasformarsi in appetibili siti incustoditi di scarichi abusivi provenienti dal distretto conciario, quindi altamente tossici, nonché dalle attività illecite della criminalità organizzata;
   occorrerebbe affrontare in termini di urgenza i problemi innanzi esposti rispondendo a tutta questa inerzia e a questo scempio con gli unici gesti riparatori e al momento possibili nei confronti della cittadinanza, ulteriormente preoccupata per l'incremento di malattie tumorali anche in età adolescenziale, con poche ma urgenti misure anche per ridare un minimo di tranquillità e di normalità nell'esercizio dell'approvvigionamento idrico e per intraprendere un percorso che vada verso un serio e duraturo risanamento ambientale dell'area e non alla sua ulteriore e dannosa urbanizzazione;
   sarebbe opportuno recuperare ed armonizzare i finanziamenti regionali ed europei per la bonifica del bacino idrico e fluviale montorese-solofrano soprattutto per la creazione di un moderno sistema di depurazione delle acque che contempli il riciclo delle stesse e un considerevole risparmio in termini di costi e di energia, superando le logiche campanilistiche utilizzate finora per la canalizzazione dei fondi stanziati in maniera distorta ed avulsa dal contesto per i quali erano stati programmati –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito ai risultati delle analisi fisico-chimiche operate negli ultimi 5 anni che, a diverso titolo, sono state realizzate in quest'area;
   se non si intenda promuovere una verifica da parte del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente nell'area in questione. (4-03636)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  L'ARPAC dipartimento di Avellino, interpellata anche dalla prefettura di Avellino, fa presente, in via preliminare, che, sin dalla sua istituzione, ha effettuato il monitoraggio delle acque del torrente Solofrana al fine di definire lo stato ambientale e fornire dati necessari all'adozione di provvedimenti e misure tecniche finalizzate alla riduzione degli impatti antropici derivanti prevalentemente dall'industria conciaria nei territori dei comuni di Solofra e Montoro.
  Per quanto concerne il torrente Solofra, segnala che, a seguito dei numerosi interventi effettuati sia nell'ambito del monitoraggio che del supporto alle forze dell'ordine, da tempo è stato acclarato che la contaminazione delle acque superficiali è essenzialmente connessa alla presenza di cromo in concentrazioni superiori ai limiti normati, riconducibile ai frequenti scarichi anomali di reflui conciari. Il torrente in questione, infatti, non è interessato da scarichi di depuratori di reflui urbani, che vengono trattati nell'impianto consortile di Mercato Sanseverino ove, da qualche anno, confluisce anche lo scarico del depuratore dell'area ASI di Solofra.
  Inoltre, al fine di aggiornare lo stato delle attività svolte dall'ARPAC, da quest'anno la stazione di monitoraggio sul corso d'acqua è in contrada Sala del comune di Montoro, dove il torrente ha una costante presenza di acqua in alveo. Lo spostamento del punto di monitoraggio si è reso necessario in quanto, in località Ponte San Pietro, l'alveo del corso d'acqua è frequentemente asciutto. I dati del monitoraggio chimico fisico sulla qualità delle acque superficiali, per gli anni 2013-2015 per gruppi di inquinanti (metalli, composti organici volatili e idrocarburi policiclici aromatici), attestano quanto precedentemente descritto, ovvero che l'inquinamento del corso d'acqua ha natura industriale con ricadute sull'ecosistema acquatico, monitorato anch'esso nel 2015. Lo stato ecologico riscontrato è stato scarso.
  Gli impatti negativi derivanti dalle fonti di pressione citate sono stati riscontrati anche in un significativo fenomeno di inquinamento da tetracloroetilene, rilevato durante campionamenti di pozzi ad uso industriale e potabile effettuati dall'ARPAC; inquinamento non riscontrato nella stazione ACC 7, unico punto di prelievo della rete di monitoraggio istituzionale, affidato al dipartimento di Avellino, localizzato a monte dell'area industriale.
  L'ARPAC, infine, segnala che, in attesa dell'avvio delle attività di caratterizzazione, si è programmato di estendere l'attività di controllo sulla qualità delle acque sotterranee ad ulteriori tre pozzi nel territorio del polo conciario, in vista dell'incremento dei punti di monitoraggio nella rete regionale da parte della direzione tecnica ARPAC.
  A tal proposito, secondo quanto riferito dalla regione Campania, con D.D. n. 474 del 10 luglio 2015, è stato approvato il piano di caratterizzazione per l'area Solofrano-Montorese, ricompresa nei comuni di Solofra e Montoro (Avellino), con il quale è stato disposto l'invio degli esiti della caratterizzazione entro il termine di sei mesi dalla data di rilascio del decreto; trascorso detto termine, la U.O.D. 14 – autorizzazioni ambientali e rifiuti di Avellino – con nota del 7 ottobre 2016, ha invitato l'ATO 1 a trasmettere gli esiti della caratterizzazione e quest'ultimo, il 17 ottobre 2016, ha comunicato che, per carenza di finanziamento dell'intervento, non è stato possibile procedere alla stipula del contratto per l'attuazione del piano di caratterizzazione. Pertanto, la direzione generale per l'ambiente e l'ecosistema ha reso nota la proposta di programmazione del finanziamento della caratterizzazione a valere sulle risorse del POR FESR Campania 2014/2020.
  La U.O.D. 14 – autorizzazioni ambientali e rifiuti di Avellino – ha sollecitato l'Ato1, in data 2 febbraio 2017, ad inviare gli esiti della caratterizzazione.
  Da ultimo, sulla base delle informazioni rese dalla prefettura UTG di Avellino, si segnala che il commissario straordinario dell'AATO 1, con delibera n. 2 del 15 febbraio 2017, ha preso atto del nuovo decreto di finanziamento della regione Campania n. 23 del 2 febbraio 2017, e il RUP ha adottato la determina n. 76 dell'11 marzo 2017 inerente le attività propedeutiche alle attività di appalto e di gara.
  Inoltre, il 20 marzo 2017 si è costituita con convenzione l'area di sviluppo Alto Sarno-Valle dell'Irno tra comuni di Solofra (capofila), Baronissi, Bracigliano, Calvanico, Fisciano, Forino, Montoro, MS. Severino, Pellezzano, che ha approfondito detta tematica anche con il supporto del partenariato dell'autorità Campania centrale, al fine di un intervento omogeneo e di ampio raggio sui territori interessati, nonché della corretta individuazione delle risorse economiche e degli enti competenti per la gestione, la manutenzione e il costante controllo della funzionalità delle opere di regimentazione idraulica che si andranno a realizzare.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, tenendo alto il livello di attenzione sulla questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GREGORI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile del 2007 viene inaugurato nel porto di Civitavecchia il cantiere navale della Privilege Yard spa, per la realizzazione di un complesso completo di uffici, capannoni ed attrezzature, per la costruzione di navi di lusso, al di sotto dei 36 passeggeri: la prima opera riguarda un mega-yacht «superlusso», di cui non risulta noto, all'interrogante, il committente, nella cui realizzazione sono coinvolte imprese e mano d'opera locali;
   attraverso varie istanze di ampliamento, nel tempo, la Privilege che, da notizie di stampa, per questo ambizioso progetto incassa la fiducia delle più grandi banche italiane (Banca Etruria, Unicredit, MPS e altre), di manager ed istituzioni, giunge ad ottenere la disponibilità di un'area portuale pari a 102.200 metri quadrati circa;
   i lavori, dopo varie fasi di rallentamento, subiscono un blocco definitivo ed il mega-yacht non conoscerà mai il varo, previsto da ultimo per novembre 2013, lasciando sull'area portuale, circondato da allestimenti e capannoni, un gigantesco scheletro di ferro;
   a marzo del 2014, i lavoratori occupano il cantiere, barricandosi sulla cima della struttura, dove rimarranno per settimane, risultando prive di attendibilità e comunque disattese, le rassicurazioni della società circa un rifinanziamento dell'opera da parte di grandi soggetti finanziatori;
   a giugno 2015 viene dichiarato il fallimento della società;
   a luglio 2016, in relazione al fallimento della Privilege Yard spa, i finanzieri del comando provinciale di Roma arrestano Mario La Via e Antonio Battista, accusati a vario titolo per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale, reati tributari, violazione di specifica fattispecie contemplata dalla normativa antimafia: da informazioni di stampa, inoltre, si apprende che i progetti relativi ai mega yacht, rinvenuti negli uffici della fallita società, si sono rivelati privi di valore economico;
   il cantiere posto all'asta vede le prime tre aste risultare senza esito: il 21 luglio 2017 sarà svolta la quarta asta;
   quanto esposto delinea il danno che l'operazione Privilege Yard ha prodotto ai lavoratori ed allo sviluppo del territorio nel suo complesso, con l'ulteriore rischio che l'area demaniale rimanga ipotecata dall'occupazione del grande relitto, finché le vicende amministrative e giudiziarie non giungeranno a compimento, come conferma il disinteresse finora suscitato nei confronti delle aste già espletate;
   l'investimento posto al pubblico incanto, tra l'altro, considerata l'entità dell'impegno economico e la già triste esperienza della Privilege, rischia di lasciare aperta la strada a progetti privi delle sufficienti garanzie di ricadute sul territorio. Il reimpiego del cantiere Privilege Yard, infatti, per la sua complessità, non può essere solo oggetto di una burocratica operazione di procedura fallimentare, ma deve sviluppare una progettualità in grado di offrire certezze di lavoro e sviluppo per un territorio già offeso, turlupinato e privato delle proprie risorse naturali –:
   se nel rilascio e nel mantenimento della concessione alla Privilege spa fino al suo fallimento, in relazione ai progetti ed ai piani industriali presentati, siano state rispettate tutte le procedure e le condizioni di norma previste, a tutela di beni di interesse pubblico, quali sono le aree demaniali, dei lavoratori e delle imprese coinvolte nei lavori, nonché del tessuto sociale dell'intero territorio;
   in considerazione del grave nocumento già arrecato al tessuto sociale ed economico del territorio, se si ritenga di prendere in considerazione, per quanto di competenza, un intervento straordinario, anche attraverso apposita iniziativa normativa, atto alla definizione di un progetto di recupero che, con la garanzia ed il coinvolgimento delle istituzioni che insistono sul territorio, affidi direttamente ai lavoratori ed imprese locali, nelle forme e nei modi da individuare, quelle aree che si è consentito venissero danneggiate da investitori inattendibili. (4-17112)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali ed il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne di questo Ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 6 luglio 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in IX Commissione Camera, si premette che questo Ministero non ha competenza diretta in ordine alla gestione del demanio marittimo rientrante nella circoscrizione territoriale delle Autorità di sistema portuale (AdSP) del mare Tirreno centro-settentrionale.
  Infatti, l'articolo 6, comma 4, lettera e) della legge n. 84 del 1994, come modificata dal decreto legislativo n. 169 del 2016, prevede che l'amministrazione delle aree e dei beni del demanio marittimo ricompresi appunto nella circoscrizione territoriale delle suddette AdSP spetta in via esclusiva al medesimo ente.
  Nello specifico, con sentenza n. 19 del 22 giugno 2015 il tribunale di Civitavecchia ha dichiarato il fallimento della società Privilege Yard, indicando al contempo il curatore e il giudice delegato che stanno, a tutt'oggi, seguendo le vicende connesse alla vendita del complesso azienda. Il curatore fallimentare è pertanto subentrato in tutti i rapporti concessori in essere con l'AdSP.
  Il suddetto curatore ha in prima battuta proceduto alla vendita dell'intera società senza alcun esito e successivamente ha avviato le procedure di vendita per singoli lotti; tali procedure sono ancora in corso.
  Pertanto è necessario attenderne l'esito per poter conoscere a chi l'area demaniale in questione è stata rilasciata in concessione.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la centrale termoelettrica a lignite di Pietrafitta fu costruita nel 1958 e ha funzionato fino al 1985 alimentata a lignite locale;
   dal 1985 fino circa al 2001 la centrale, in seguito all'esaurimento del banco di lignite principale, ha funzionato con l'integrazione di altri combustibili;
   le scorie della centrale venivano stoccate nelle discariche dove continuavano ad ardere a contatto con l'aria e con altri rifiuti solidi urbani;
   dal 1985 nel territorio della Valnestore sono state interrate con procedure irregolari in discariche non autorizzate e insieme a rifiuti solidi urbani anche scorie di carbone proveniente dalle centrali termoelettriche di Vado Ligure, Savona e La Spezia;
   in seguito a questa vicenda da anni si registra nella Valnestore una vera e propria emergenza ambientale che si è ulteriormente acuita negli ultimi anni e che ha portato ad indicare quel territorio come Valle dei Fuochi in evidente richiamo alla vicenda degli interramenti abusivi di rifiuti pericolosi della cosiddetta Terra dei Fuochi;
   risulta all'interrogante che in seguito ai sondaggi e alle analisi effettuati negli ultimi anni su terreni e falde acquifere, volte a definire la pericolosità di queste discariche abusive, i confini della zona inquinata siano stati allargati anche al territorio di Città della Pieve, più precisamente alle zone di Ponticelli e Po’ Bandino;
   non esiste alcuna documentazione precisa in merito alla distribuzione di questo materiale sul quale, oggi, si trovano terreni coltivati, vegetazione, abitazioni o altri servizi nonostante il presidio multizonale si fosse espresso in merito alla necessità di adottare molte cautele nelle pratiche di stoccaggio e di interramento delle ceneri;
   il perimetro della zona colpita sarebbe piuttosto ampio e si allarga via via che vengono effettuati controlli sulla qualità del terreno;
   nella zona di Fabro sono stati rilevati in alcuni punti tassi di radioattività superiori alla media e anche dove l'Arpa dichiara non esserci pericolosità allo stato attuale dei fatti, non viene esclusa la possibilità di una futura contaminazione nel caso di cambiamento delle condizioni di utilizzo dei siti o di interventi su di essi;
   nel territorio si registra un'alta percentuale di patologie oncologiche che riporta all'anomalo rinvenimento di rifiuti solidi urbani e ceneri da combustione nella zona –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga di dover attivare urgentemente tutte le necessarie procedure volte a raccogliere ed elaborare i dati relativi ai monitoraggi ambientali effettuati e a quelli in corso;
   se il Ministro della salute intenda avviare la raccolta di dati epidemiologici relativi all'incidenza delle patologie oncologiche negli ultimi quindici anni nell'area di cui in premessa in cui sono state interrate le scorie;
   quali urgenti iniziative di competenza, i Ministri interrogati intendano assumere al fine di limitare i danni ambientali, i danni alla salute delle persone e al fine di tutelare il territorio indicato in premessa. (4-15909)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla regione Umbria, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, come noto, la centrale termoelettrica ENEL di Pietrafitta (anche detta Franco Rasetti), è nata nel 1958 come una centrale termoelettrica a bocca di miniera, cioè alimentata dalla lignite estratta in zona, che ha funzionato fino al 2001. In realtà, stante la scarsa qualità della lignite del sito di Pietrafitta (molto torbosa), sin dall'inizio degli anni ’90 la centrale ha sfruttato solo in parte la lignite locale, utilizzando anche quella proveniente dalla miniera di lignite di Bastardo integrata con carbone di provenienza extra-regione.
  Inoltre, negli anni 1978-1980, a seguito dell'emanazione del decreto del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 29 dicembre 1977, sono stati costruiti i gruppi 3 e 4 (denominati PF3-PF4) e la loro entrata in esercizio è avvenuta rispettivamente nel febbraio e nel gennaio 1980. Invece, il nuovo gruppo a ciclo combinato PF5 è stato autorizzato con decreto VIA/2542 del 9 agosto 1996 e successivo decreto del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato del 6 settembre 1996.
  L'impianto è stato, altresì, autorizzato con Autorizzazione integrata ambientale nazionale dal 2011, con scadenza al 2019.
  Dalla autorizzazione integrata ambientale del 28 marzo 2011 risulta che l'impianto termoelettrico di Pietrafitta era costituito da:
   2 gruppi turbogas (ciascuno della potenza 88MW; potenza termica associata a ciascun turbogas pari a 310 MW) in ciclo aperto alimentati a gasolio e denominati PF3 e PF4 costruiti ed entrati in funzione tra il 1978 e il 1980;
   1 gruppo turbogas in ciclo combinato con 2 turbine a vapore (della potenza elettrica complessiva di 362 MW; potenza termica associata al turbogas pari a 680 MW) alimentato a gas naturale e denominato PF5, in esercizio commerciale nell'anno 2003, che svolgeva prevalentemente il servizio di copertura delle punte giornaliere di richiesta di energia elettrica con frequenti fermate.

  A seguito delle mutate esigenze del mercato dell'energia elettrica, Enel ha chiesto ed ottenuto dal Ministero dello sviluppo economico l'autorizzazione a porre in sicurezza e a cessare l'esercizio dei gruppi turbogas PF3 – PF4 della centrale a far data dal 10 marzo 2014.
  Con riferimento alle discariche di rifiuti site in località Pietrafitta, a seguito dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982 n. 915, concreto del Presidente della giunta regionale n. 776 del 14 novembre 1983, è stata rilasciata l'autorizzazione provvisoria alla prosecuzione ed alla gestione di queste alla ditta R.G. s.a.s. di Pericoli Eugenia fino al 31 dicembre 1985. Tale autorizzazione prevedeva la prosecuzione di una attività già in essere prima dell'entrata in vigore della specifica norma di settore rappresentata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982, per l'esercizio di una discarica controllata per rifiuti solidi urbani e rifiuti speciali.
  La discarica in oggetto, come richiamato al punto b) del citato decreto del Presidente della Giunta regionale, stabiliva la possibilità del conferimento dei «rifiuti urbani» e dei «rifiuti speciali» come definiti dal decreto del Presidente della Repubblica, n. 915 del 1982, ad esclusione di quelli tossici e nocivi. I rifiuti urbani erano quelli provenienti dal territorio del comune di Piegaro per una quantità massima di 5.400 quintali/anno e i rifiuti speciali (ceneri) erano quelli provenienti dalla centrale ENEL di Pietrafitta per una quantità massima di 120.000 tonnellate/anno.
  Successivamente, con decreto del Presidente della giunta regionale n. 421 del 30 luglio 1985, è stato autorizzato il conferimento in discarica delle ceneri provenienti dalle ceneri delle centrali Enel di Vado Ligure e La Spezia per un quantitativo massimo di 50.000 me e, con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 238 del 22 aprile 1986, è stata concessa la proroga dell'autorizzazione provvisoria per la gestione della discarica fino al 30 giugno 1986 per lo smaltimento dei soli rifiuti speciali (ceneri) provenienti dalla sola centrale Enel di Pietrafitta.
  Il comune di Piegaro, che utilizzava per lo smaltimento dei propri rifiuti solidi urbani la discarica esistente della società R.G. s.a.s. di Pericoli Eugenia, in data 26 novembre 1985, ha chiesto alla regione Umbria l'autorizzazione alla realizzazione e gestione di una nuova discarica per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani in località Trebbiano con capacità di 6.200 mc. Con decreto del Presidente della Giunta regionale del 14 aprile 1986, n. 221, il comune di Piegaro è stato, quindi, autorizzato alla realizzazione e alla gestione della discarica di 1o categoria per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, speciali assimilabili agli urbani e fanghi di impianti di depurazione di reflui civili nonché fanghi con caratteristiche analoghe per un quantitativo massimo di 6.200 metri cubi.
  Il 1o piano regionale per la organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti, approvato con legge regionale del 24 agosto 1987, n. 44, al capitolo 10, ha fornito la situazione delle discariche controllate di 1o categoria ubicate nel territorio regionale. Nel comune di Piegaro, alla data del 1o luglio 1986, risultavano presenti due discariche: la prima esaurita e attiva fino al 31 dicembre 1985, la seconda con una capacità residua di 15.000 tonnellate.
  Successivamente, su istanza del comune di Piegaro del 19 maggio 1987 è stato approvato, con decreto della Giunta regionale 23 febbraio 1988, n. 1151, il progetto di adeguamento e potenziamento della discarica comunale di 1a categoria sita in località Trebbiano che, in base alle previsioni del piano regionale, era posta al servizio dei comuni di Piegaro, Panicale e Paciano. Le modalità tecniche e i criteri di realizzazione e gestione delle discariche e dell'attività di smaltimento dei rifiuti sono state disciplinate dagli atti autorizzativi, sulla base di quanto stabilito dal vigente del decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982 e dalla delibera del comitato interministeriale del 27 luglio 1984.
  Con l'entrata in vigore del decreto ministeriale ambiente 5 febbraio 1998, di attuazione del decreto legislativo n. 22 del 1997 (decreto Ronchi), l'operazione di recupero delle ceneri provenienti da combustione di carbone e lignite, è stata individuata alla tipologia 13.1 «ceneri dalla combustione di carbone e lignite, anche additivati con calcare e da combustione con esclusione dei rifiuti urbani ed assimilati tal quali (100102)». Tale rifiuto è «generalmente composto dall'80 per cento circa di ceneri volanti e dal 20 per cento circa di ceneri pesanti; costituito da silicati complessi di alluminio, calcio e ferro, sostanza carboniosa incombusta (2-10 per cento); PCDD in concentrazione non superiore a 2,5 ppb; PCB, PCT <25 ppm».
  Successivamente all'entrata in vigore di tale decreto ministeriale, la società ENEL S.p.A. a seguito della comunicazione effettuata ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (abrogati dagli articoli 214 e 216 del decreto legislativo n. 152 del 2006) è stata iscritta nel registro delle imprese che effettuano attività di recupero speciali non pericolosi al n. 183 del 1998 per il sito ubicato in località Pietrafitta del comune di Piegaro, per la tipologia 13.1 del decreto ministeriale Ambiente 5 febbraio 1998, attività di recupero R13 «Messa in riserva di rifiuti» per poi destinarli all'effettivo recupero, per un quantitativo massimo di 10.000 tonnellate/anno. La società ENEL s.p.a ha comunicato la cessazione dell'attività di cui all'iscrizione n. 183 del 1998 in data 14 dicembre 2000.
  Con riferimento alle procedure di bonifica del sito della ex centrale di Pietrafitta, ricadente nell'area della val Nestore, la regione Umbria fa presente che lo stesso risulta inserito nella lista A5 (Siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale), ai sensi dell'articolo 252-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, del vigente piano regionale per la bonifica delle aree inquinate approvato con deliberazione del C.R. N. 301 del 2009.
  ARPA Umbria, con nota del 26 aprile 2016, ha segnalato il superamento delle concentrazioni soglia contaminazione (CSC) riguardante le acque sotterranee per il parametro arsenico presso il pozzo ubicato nell'area degli impianti sportivi in località Tavernelle, ai fini dell'adozione dei necessari provvedimenti precauzionali da parte degli enti competenti in materia di igiene e sanità pubblica. Inoltre con nota del 14 giugno 2016, ha segnalato ai sensi dell'articolo 244, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'ambito delle attività di vigilanza su delega dell'Autorità Giudiziaria, il superamento delle CSC nelle acque sotterranee presso n. 2 pozzi di seguito descritti:
   Pozzo ubicato nell'area degli impianti sportivi in località Tavernelle, nel comune di Panicale, relativamente ai parametri Arsenico, Ferro e Manganese;
   Pozzo ubicato nell'ex centrale di Pietrafitta, nel comune di Piegaro, relativamente ai parametri solfati e manganese;

  La stessa agenzia, con la nota medesima, ha richiesto alla regione Umbria un contributo di euro 50.000,00 finalizzato ad implementare un piano di indagine finalizzato a comprendere le cause e l'estensione della contaminazione accertata nell'area in argomento.
  La regione Umbria, in ragione di quanto segnalato da ARPA Umbria, ha invitato la provincia di Perugia a comunicare i risultati delle attività poste in essere ai sensi dell'articolo 244, comma 2 del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche ai fini dell'attivazione delle procedure previste dall'articolo 250 dello stesso decreto legislativo che prevede il potere sostitutivo del comune interessato dalla contaminazione. Ha concesso, inoltre, con decreto della Giunta regionale del 15 settembre 2016, un contributo di euro 50.000,00 ad ARPA Umbria finalizzato all'implementazione del piano di indagine riguardante le acque sotterranee nei territori comunali di Piegaro e Panicale.
  ARPA Umbria, il 22 agosto 2016, ha segnalato, ai sensi dell'articolo 244, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'ambito delle attività di vigilanza su delega dell'autorità giudiziaria, il superamento delle CSC nelle acque sotterranee di n. 14 pozzi privati su n. 46 pozzi campionati a seguito del monitoraggio espletato nei mesi di giugno e luglio, relativamente ai parametri manganese, ferro, tetracloroetilene, dicloropropano, solfati, MTBE ed il superamento dei limiti di potabilità stabiliti dal decreto legislativo n. 31 del 2001 in un pozzo per il parametro Nitrati.
  Alla luce di ciò, la regione Umbria, con decreto della Giunta regionale del 19 dicembre 2016, ha inserito, con sigla PG137, il sito in località «Area limitrofa ex centrale di Pietrafitta», ubicato nei comuni di Panicale e Piegaro, nell'anagrafe regionale dei siti oggetto di procedimento di bonifica del piano regionale per la bonifica delle aree inquinate.
  Successivamente, ARPA Umbria, il 27 dicembre 2016, ha segnalato, ex articolo 244, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, il superamento delle CSC nelle acque sotterranee di n. 16 pozzi privati in aggiunta a quelli già oggetto di precedenti comunicazioni, relativamente ai parametri manganese, ferro, alifatici, clorurati, arsenico, alluminio, evidenziando, al contempo, che alcuni pozzi ove è stato riscontrato il superamento delle CSC per gli alifatici clorurati sono già oggetto di attività di bonifica ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La regione Umbria, in ragione di quanto segnalato da ARPA Umbria, ha invitato la provincia di Perugia a comunicare i risultati delle attività poste in essere ai sensi dell'articolo 244, comma 2 del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche ai fini dell'attivazione delle procedure previste dall'articolo 250 dello stesso decreto legislativo che prevede il potere sostitutivo del comune interessato dalla contaminazione.
  IL comune di Piegaro, con nota del 24 gennaio 2017, sulla base delle segnalazioni della ASL Umbria 1 e del monitoraggio espletato da ARPA Umbria ha trasmesso l'invito a non utilizzare a scopo potabile le acque contaminate da manganese in 2 pozzi privati.
  ARPA Umbria, il 10 febbraio 2017, ha, altresì, segnalato ai sensi dell'articolo 244, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il superamento in località Poderone delle CSC riguardanti la matrice suolo per i parametri policoclorobifenili, selenio, idrocarburi, piombo, ritengo al contempo che la contaminazione rilevata sia imputabile all'uso e/o stazionamento delle macchine di miniera di proprietà ENEL s.p.a.
  La provincia di Perugia, sulla base della suddetta comunicazione ARPAU, con nota del 10 marzo 2017, ha diffidato la società ENEL s.p.a. quale soggetto obbligato responsabile della contaminazione, a mettere in opera le misure di messa in sicurezza previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006, con nota del 14 marzo 2017, ha trasmesso l'ordinanza con la quale ha ordinato alla Società ENEL s.p.a. di presentare, entro giorni 30 dal ricevimento della stessa, il piano di caratterizzazione previsto dalla normativa vigente (allegato 2 — Parte IV, titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006).
  ARPA Umbria, il 16 marzo 2017, ha segnalato ai sensi dell'articolo 244, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il superamento delle CSC nelle acque sotterranee di 5 pozzi privati in aggiunta a quelli già oggetto di precedenti comunicazioni, relativamente ai parametri solfati, boro, selenio, manganese, ferro, fluoruri, alluminio.
  La Società ENEL s.p.a. con nota del 23 marzo 2017, ed in riscontro alle predette diffida e ordinanza emesse dalla provincia di Perugia, ha comunicato che le aree ove sono situate le macchine escavatrici sono sottoposte a sequestro penale e che la stessa società ha avanzato richiesta di autorizzazione alla competente procura della Repubblica per lo svolgimento delle operazioni riguardanti la messa in sicurezza del sito. Nella stessa nota, l'ENEL s.p.a. ha segnalato che è in corso la predisposizione del piano di caratterizzazione e che lo stesso documento sarà trasmesso entro i termini imposti.
  La regione Umbria, sulla base delle segnalazioni inoltrate da ARPA Umbria, ha invitato la provincia di Perugia a comunicare i risultati delle attività poste in essere ai sensi dell'articolo 244, comma 2 dal decreto legislativo n. 152 del 2006, anche ai fini dell'attivazione delle procedure previste dall'articolo 250 dello stesso decreto legislativo che prevede il potere sostitutivo del comune interessato dalla contaminazione.
  Alla luce dell'esito delle ulteriori indagini in corso da parte di ARPA Umbria finalizzate a perimetrare l'area interessata da tale contaminazione, nonché delle indagini da parte della provincia di Perugia per l'individuazione del soggetto/soggetti responsabili della contaminazione, dovranno essere adottate dal soggetto/i obbligato/i le procedure amministrative dettate dall'articolo 242, comma 3 e ss del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La regione comunica, infine, che ha provveduto a chiedere ulteriori contributi informativi all'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente – ARPA Umbria, la quale ha comunicato che sta effettuando indagini su tale problematica a seguito di delega dell'autorità giudiziaria e pertanto differisce l'accesso ai dati/informazioni richiesti, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 329 del codice di procedura penale, precisando, in ogni caso, che si potrà richiedere apposito nulla osta alla competente autorità giudiziaria. Fanno eccezione le informazioni già inviate all'amministrazione regionale è già sopra esposte, relativamente alla contaminazione di acque sotterranee, per le quali l'autorità giudiziaria ha autorizzato ARPA alle dovute comunicazioni.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato e a mantenere alto il livello di attenzione sulla questione, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MATTIELLO e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il progetto – in fase di approvazione – presentato alla provincia di Bergamo dalla Quarzifera Bergamasca spa, proprietaria del terreno, prevede il recupero ambientale di una ex cava – situata nel Monte Castra nei comuni di Strozza e Almenno San Salvatore – con l'utilizzo di rifiuti speciali non pericolosi;
   nel progetto della società si stima che per riportare allo stato originario la montagna sono necessari un milione e 600 mila metri cubi di rifiuti;
   sono molte le tipologie di rifiuti speciali che potrebbero essere riciclati in questa zona, tra i quali terreni contaminati di altri siti;
   la zona interessata si sviluppa al di sopra dei centri abitati della Valle Imagna e nei paraggi del torrente Imagna;
   la zona è stata interessata, nel recente passato, da frane e il contesto idrogeologico potrebbe non garantire la sicurezza dal punto di vista ambientale;
   lo stesso progetto ammette implicitamente che la zona non si presta per l'aspetto morfologico alla realizzazione di una discarica, tanto da prevedere un muro di contenimento di 150 metri. La discarica verrebbe realizzata in un contesto nel quale, per ammissione della stessa impresa richiedente, è presente fauna rara tutelata dalle direttive comunitarie e dalle convenzioni internazionali;
   nel tempo un comitato spontaneo di cittadini della Valle ha raccolto 8000 firme per interrompere il progetto e tutti i comuni della zona hanno approvato ordini del giorno per evitare l'insediamento della discarica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se eventualmente non rilevi, per quanto di competenza, rischi per la fauna protetta dalla normativa europea.
(4-05008)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ad un progetto per la realizzazione di un deposito controllato di rifiuti non pericolosi in località Monte Castra, nei comuni di Strozza (Bergamo) e Almenno San Salvatore (Bergamo) presso un sito precedentemente destinato a cava di quarzite, per quanto di competenza, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In merito ai possibili rischi per la fauna protetta dalla normativa europea, relativamente all'area in questione si fa presente che, da verifiche effettuate sul geoportale nazionale è stato rilevato che i siti Natura 2000 più prossimi all'area di intervento distano rispettivamente circa 3 e 7 km, mentre i confini delle aree protette EUAP1183 «Monumento Naturale Valle Brumone» ed EUAP0192 «Parco Naturale dei Colli di Bergamo», sono ubicate a circa 4,5 chilometri e 3 chilometri dall'area ex cava.
  Si segnala, inoltre, che il progetto in esame, presentato dalla società Quarzifera Bergamasca s.r.l. è stato sottoposto a procedura di VIA provinciale (codice: VIA06-BG) avviata in data 7 agosto 2013. Tale procedura, come risulta dal Sistema informativo lombardo per le valutazioni d'impatto ambientale (SILVIA), ad oggi è ancora in corso.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   9 delle 44 concessioni, oggetto del referendum del 17 aprile 2016 erano già scadute a fine 2015, alcune anche da vari mesi, altre da anni (una addirittura dal 2009). Ciononostante le compagnie petrolifere continuavano ad operare come se niente fosse. Queste piattaforme sono nel mare di 4 regioni adriatiche: Abruzzo, Marche, Veneto ed Emilia Romagna. La legge di stabilità del 2016 ha sanato queste irregolarità come si evince dal Bollettino degli idrocarburi del MISE in data 31 dicembre 2015. Si è cioè sanato a posteriori la situazione di non conformità alla legge, attraverso la modifica della disciplina della normativa sulla durata delle concessioni legandola alla vite utile del giacimento con effetto retroattivo con un grosso beneficio per le compagnie petrolifere;
   le concessioni produttive scadute e beneficiarie della modifica apportata dalla legge di stabilità sono in Italia 9, per le acque abruzzesi è stata rilasciata la B.C 5-AS scaduta il 12 novembre 2014: 5 piattaforme e 4 pozzi in un'area vicina alla costa nord di Pescara. La società concessionaria è la ADRIATICA IDROCARBURI (100 per cento ENI);
   il fondato dubbio, a giudizio dell'interrogante, è che si sia voluta scongiurare l'ipotesi di un imminente smantellamento delle piattaforme, a costi elevati per le compagnie, come ben evidenzia l'inchiesta giornalistica del Fatto quotidiano;
   inoltre, vi è il capitolo oscuro delle concessioni non più produttive con scadenze lontane nel tempo e le piattaforme mai smantellate. In Abruzzo la B.C 1 LF della Edison è scaduta il 27 agosto 2015;
   di fronte a istanze di proroga delle concessioni presentate con largo anticipo sulle scadenze originarie il Mise secondo l'interrogante non ha effettuato le verifiche necessarie ed è stato inadempiente non bloccando la produzione di idrocarburi oltre la scadenza prevista;
   il fatto che sia arrivata la sanatoria dal 1° gennaio 2016, con la legge di stabilità, rende secondo l'interrogante ancora più evidente la opacità del comportamento del Mise e dei suoi uffici preposti all'esame tempestivo delle autorizzazioni alle concessioni e proroghe alle compagnie petrolifere –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere in relazione ai gravi fatti sopra denunciati e se intenda adottare le iniziative di competenza per rimuovere dagli incarichi i responsabili di questa situazione al fine di fare chiarezza e affermare l'interesse generale al risanamento ambientale e alla libera concorrenza del mercato. (4-12906)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante sostiene che, in materia di proroghe di concessioni di coltivazione di idrocarburi in mare entro le 12 miglia dalla costa, il Ministero dello sviluppo economico avrebbe manifestato una «opacità di comportamento», consentendo l'esercizio abusivo delle attività di coltivazione in concessioni scadute, non effettuando le necessarie verifiche e non bloccando la produzione alla scadenza delle concessioni.
  Tanto premesso, in ordine a quanto sopra evidenziato, si evidenzia che i dati sullo stato dei procedimenti, le istanze per il conferimento dei titoli o per le proroghe, nonché le relative scadenze sono integralmente pubblicati sul sito indirizzo ministeriale all'indirizzo: http://unmig.mise.gov.it/unmig/coltivazione/titolicoltivazione.asp. da cui, si ritiene che, lo stesso interrogante abbia potuto rilevare i dati riportati nell'interrogazione in parola, in quanto liberamente accessibili.
  La disponibilità e accessibilità delle informazioni fornisce concreta testimonianza di quanto sia forte l'attenzione del Ministero dello sviluppo economico per la tematica della trasparenza.
  Nello specifico, con riferimento alle concessioni oggetto dell'interrogazione (B.C1.LF, B.C5.AS, B.C11.AS, B.C12.AS, ecc.) si precisa che, allo stato, sono stati emanati i relativi decreti di proroga di vigenza, come direttamente rilevabile dal sito internet sopra richiamato. In particolare si evidenzia che l'emanazione dei relativi decreti di proroga è avvenuto nel pieno rispetto dell'intervenuta modifica del decreto legislativo n. 152 del 2006 operata dall'articolo 1, comma 239, della legge di stabilità 2016.
  Il completamento dell'iter istruttorio finalizzato all'emanazione dei decreti di proroga è stato condotto non solo nell'attento rispetto della condizione imposta dalla norma sopracitata, ma anche in un'ottica di razionalizzazione dell'area coperta dal titolo minerario, in modo da assicurare il prosieguo della vigenza per la sola vita utile del giacimento, ma anche la piena conformità della prosecuzione delle attività su aree conformi a quanto stabilito dall'articolo 9, comma 3, della legge n. 9 del 1991.
  Tale comma prevede che «l'area della concessione deve essere tale da consentire il razionale sviluppo del giacimento» riducendo, ove necessario, l'area della concessione prorogata a quella strettamente necessaria per la prosecuzione delle attività di coltivazione.
  Si precisa, ad ogni modo, che gli uffici competenti del Ministero dello sviluppo economico provvedono al rilascio delle proroghe di vigenza delle concessioni di coltivazione esistenti, sulla base di attenti approfondimenti di natura tecnico-economica.
  Tali riscontri sono stati finalizzati ad accertare la sussistenza dei requisiti che garantiscono i presupposti giuridici per accordare la richiesta proroga della concessione. In particolare, qualora sulla base della stima del potenziale residuo del campo insistente in una concessione di coltivazione, venga confermato l'esaurimento dello stesso, è immediatamente fatto obbligo alle Società titolari di programmare tempestivamente le chiusure minerarie dei pozzi esistenti e le attività di decommissioning delle infrastrutture esistenti.
  In merito alle attività previste nei titoli concessori, si rappresenta che le stesse sono svolte sotto il controllo continuo degli uffici centrali e periferici della Direzione generale per la sicurezza anche ambientale delle attività minerarie ed energetiche ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero dello sviluppo economico.
  In particolare i suddetti uffici effettuano verifiche in materia di sicurezza e buon governo dei giacimenti, nell'ambito dell'ordinaria attività di vigilanza e, in particolare, in occasione dei procedimenti di proroga anche al fine di accertare la sussistenza delle condizioni per assentire alla proroga richiesta.
  Negli anni 2015 e 2016 i citati uffici di vigilanza hanno effettuato oltre 5.000 controlli e verifiche, la maggior parte dei quali sulle installazioni in mare.
  Tali attività di vigilanza hanno contribuito a determinare risultati in termini di sicurezza in linea con Paesi a grande tradizione mineraria, quali Norvegia e Regno Unito (nel 2015 si sono registrati 0,45 infortuni seri ogni milione di ore lavorate nell’upstream italiano in linea con le performance di sicurezza della Norvegia (0,53) e del Regno Unito (0,24) e nettamente superiori sia a quelli raggiunti in altri settori.
  Le misure di controllo vengono eseguite in modo più specifico in occasione del rinnovo dei titoli, comportando sovente il superamento della scadenza naturale della concessione, con conseguente ritardo nel completamento dell'istruttoria relativa alla proroga medesima.
  Altre cause ricorrenti che comportano, per l'istruttoria, il superamento dei termini di scadenza sono:
   la presentazione di programmi di studio di nuove tecnologie o comunque di programmi complessi, che richiedono l'esame degli uffici tecnici dell'amministrazione stessa, della commissione consultiva CIRM (commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie) e l'eventuale consulenza di istituti di ricerca nazionali;
   l'esigenza di effettuare specifiche prove e verifiche tecniche.

  Relativamente ad altre concessioni attualmente non in produzione e ormai scadute, si segnala che le tre concessioni contraddistinte con le sigle «A.C. 9.AG», «A.C 14.AS», «A.C. 16.AG», scadute tra il 2009 e il 2015, ricadono nell'alto Adriatico, in un'area in cui sono in corso accertamenti circa il potenziale rischio di subsidenza e, pertanto, attualmente non possono produrre, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge n. 112 del 2008. Tale norma difatti prevede che in tale area la produzione sia sospesa fino all'accertamento, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e di ISPRA, della mancanza di rischi di subsidenza sulle coste.
  Il Ministero dello sviluppo economico, in base al principio di precauzione, non ha pertanto avviato i procedimenti di proroga in attesa dei risultati degli approfondimenti richiesti dalla normativa.
  Inoltre per la concessione «D.C. 3.AG» la società Eni ha presentato istanza di rinuncia, in quanto ha ritenuto conclusa la vita utile del giacimento. Il Ministero dello sviluppo economico ha valutato i dati tecnici ed economici presentati da Eni e, anche alla luce della situazione dei mercati internazionali, ha ritenuto corretta la valutazione della società, alla quale ha prescritto di effettuare tutte le attività di chiusura mineraria dei pozzi e di rimozione degli impianti; tali operazioni sono state concluse recentemente e a breve verrà emanato il provvedimento definitivo di cessazione della concessione.
  Si evidenzia, pertanto, che le attività di coltivazione nelle concessioni rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico appaiono essersi svolte nella piena regolarità amministrativa, sulla base delle concessioni e delle autorizzazioni previste.
  Nelle concessioni scadute, per le quali risultano presentate regolarmente le istanze di proroga, la coltivazione prosegue oltre il termine di scadenza in forza del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (articolo 34, comma 19). Esso prevede infatti che, al fine di garantire l'attuazione dei programmi di sviluppo e la sicurezza dei sistemi energetici, gli impianti in funzione, compresi quelli esistenti nell'ambito dei titoli minerari di ricerca e coltivazione di idrocarburi, possano continuare «ad essere eserciti fino al completamento delle procedure autorizzative in corso previste sulla base dell'originario titolo abilitativo». Non vi è stata, pertanto, nessuna sanatoria a posteriori effettuata in seguito alla legge di stabilità 2016.
  In conclusione si conferma, sulla base di quanto sopra descritto, che le azioni amministrative adottate dal Ministero risultano essere regolari, in linea con gli indirizzi di Governo e con i principi di buona amministrazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Campania la qualità dell'aria è monitorata dall'Arpac;
   i dati sulla qualità dell'aria all'interno della città di Napoli e della provincia sono allarmanti, non solo per quanto concerne gli sforamenti ma anche per la scarsa documentazione degli inquinanti presenti nell'aria;
   come risulta dalle interrogazioni del consigliere della regione Campania Marì Muscarà (prot. 52 del 7 marzo 2017, prot. 80 del 14 giugno 2016 nonché prot. 119 dell'8 novembre 2016) numerosi sono i punti critici nel monitoraggio della qualità dell'aria;
   tra i vari problemi risulta che le rilevazioni non forniscono indicazioni sulla composizione chimica e granulometrica del particolato PM 10 e PM 2,5, impedendo una chiara identificazione dell'origine del problema e dunque l'attuazione di interventi limitati e correttivi;
   a differenza di altre Arpa regionali, in Campania non risultano monitorati i livelli di inquinanti quali metalli pesanti, Ipa e in particolare benzo(a)pirene, pericolosi per la salute umana;
   il sito internet dell'Arpac non riporta tutte le informazioni necessarie a garantire la tempestività dell'informazione alle amministrazioni ed al pubblico, nonché l'attuazione di interventi in tempi brevi;
   alla data dell'8 settembre 2016 non risultavano indicati i livelli degli inquinanti nelle «aree limitrofe agli impianti di trattamento dei rifiuti» cosiddetta area STIR dal giorno 11 agosto 2016;
   sono riportati nei bollettini giornalieri dati «n.v.» (non validabili) per PM 10, PM 2,5, benzene e altri fattori ad esempio, per le zone di San Felice a Cancello, Pomigliano e San Vitaliano;
   al monitoraggio effettuato non corrispondono interventi correttivi, in particolare per l'area STIR, a fronte di un 60 per cento (media del mese di ottobre) di dati non disponibili, non si rivengono interventi di manutenzione delle centraline;
   nel territorio della «Terra dei fuochi» l'inquinamento dell'aria è sentito più che altrove. Ad inquinare maggiormente sono pneumatici, piombo e metalli, scarti tessili dell'industria della moda, acidi, materiale plastico, e persino scorie radioattive. Tali sostanze contaminano il terreno, le acque e soprattutto l'aria, a causa delle discariche abusive e dei roghi provocati per occultare lo sversamento dei prodotti tossici;
   in tale territorio, oltre ai tumori, è stata registrata un'alta percentuale di malformazioni congenite, soprattutto in prossimità delle discariche illegali (http://www.informazioneambiente.it/terra-dei-fuochi/);
   il decreto legislativo n. 155 del 2010 prevede un numero minimo di stazioni senza tuttavia impedire l'istallazione di punti di misura aggiuntivi, nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, al fine di limitare al minimo le porzioni di territorio prive di punti misura;
   il decreto non esclude il mantenimento e l'adeguamento delle stazioni di misura da traffico unitamente a quelle di controllo su inquinanti specifici laddove necessario per ottenere il monitoraggio di tutti gli inquinanti previsti;
   un territorio come quello della «Terra dei fuochi» abbisogna di maggior attenzione sotto questo punto di vista –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati, anche con l'ausilio dell'Ispra, intendano intraprendere al fine di risolvere le problematiche di cui sopra;
   se i Ministri non ritengano necessario assumere, con urgenza, iniziative volte a monitorare in maniera maggiormente efficace, anche con l'intervento del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, dell'Ispra e dell'Istituto superiore della sanità, i rischi ambientali e sanitari del territorio della «Terra dei fuochi» rilevando la criticità della situazione. (4-16302)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Per la normativa nazionale (decreto legislativo n. 155 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni) le regioni e le province autonome sono le autorità competenti in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria. A queste compete quindi il monitoraggio degli inquinanti atmosferici, la predisposizione dei piani per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria (compresa l'individuazione dei soggetti deputati all'attuazione di tali piani quali ad esempio la regione stessa o i sindaci), nonché la trasmissione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle relative informazioni per l'invio alla Commissione europea.
  Nel nostro Paese, il mancato rispetto dei limiti imposti dalle norme comunitarie, in particolare relativamente al materiale particolato PM10 ed al biossido di azoto N02, riguarda ampie aree del territorio nazionale, situate presso la maggior parte delle regioni.
  Tale situazione è però differenziata sul territorio nazionale: infatti, mentre per le regioni del centro – sud il mancato rispetto dei valori limite è localizzato in piccole aree, appartenenti per lo più ai principali centri urbani, nel bacino padano i superamenti, anche a causa di condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli, sono diffusi su tutto il territorio.
  Con riferimento alla regione Campania, sulla base dei dati acquisiti dall'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente in Campania (ARPAC) si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente si evidenzia che, a seguito della zonizzazione del territorio della regione ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto legislativo n. 155 del 2010, a partire dal 2015 il territorio campano, ai fini della qualità dell'aria, è ripartito in tre grandi macroaree:
   agglomerato Napoli-Caserta;
   zona costiero-collinare;
   zona montuosa.

  La prima macroarea è l'agglomerato Napoli-Caserta, comprendente l'intera provincia di Napoli e la porzione meridionale pianeggiante della provincia di Caserta, confinante con l'hinterland napoletano. L'agglomerato NA-CE è caratterizzato dalla presenza di un esteso territorio pianeggiante delimitato ai margini dai rilievi della catena appenninica che ostacolano il ricambio delle masse d'aria quando si verificano condizioni di alta pressione e bassa quota del Pbl (Platenary boundary layer-strato di rimescolamento atmosferico della massa d'aria). In quest'area ricade la maggior parte del territorio della «Terra dei Fuochi», alcuni comuni sono invece ricompresi nella zona costiero-collinare e in parte montana. La parte ricadente nella zona montana è di dimensioni limitate e comprende i territori a quote superiori a 600 m.
  Per tali zone il monitoraggio è svolto tramite stazioni fisse ubicate in base ai criteri tecnici definiti dal decreto legislativo n. 155 del 2010 secondo il progetto di adeguamento della rete regionale di monitoraggio della qualità dell'aria della Campania approvato con D.G.R.C. n. 683 del 2014.
  Complessivamente la nuova rete, operativa progressivamente dal 2015, comprende 42 stazioni di misura, di cui 32 per le fonti diffuse e 10 per le fonti puntuali incluse 6 stazioni gestite da privati. In particolare nell'agglomerato di Napoli-Caserta sono previste 23 stazioni di misura.
  Inoltre a seguito di un progetto promosso dal commissariato rifiuti della PCM, sono presenti 10 stazioni presso gli Stir e altre aree limitrofe ad impianti di rifiuti.
  La maggior parte del territorio della «Terra dei Fuochi» è ubicata a distanze inferiori a 10 km da una stazione di monitoraggio della qualità dell'aria. In particolare tutta la zona Acerrana è ubicata a distanze inferiori a 5 km da una stazione di monitoraggio. Questa densità, ben più elevata di quella minima richiesta ai sensi del decreto legislativo n. 155 del 2010 consente di valutare approfonditamente le concentrazioni di polveri sottili. Al riguardo, sulla base dei dati acquisiti si osserva una elevata correlazione fra le concentrazioni misurate nei vari siti, pertanto l'inquinamento è abbastanza omogeneo su una vasta area.
  I dati acquisiti dalle stazioni di monitoraggio sono quotidianamente esaminati e validati dal personale preposto dell'agenzia. I dati elaborati sono diffusi quotidianamente via internet, e forniti alle autorità competenti e a tutti gli enti che utilizzano informazioni sullo stato della qualità dell'aria ambiente per lo svolgimento dei compiti attribuiti dalla normativa vigente. In particolare, i dati acquisiti sono diffusi al pubblico e agli enti preposti con le seguenti modalità: bollettini giornalieri in formato pdf, pubblicati nei giorni feriali sul sito www.arpacampania.it con cadenza quotidiana per i bollettini della rete regionale, che costituiscono il riferimento ufficiale per i provvedimenti di tutela della popolazione dall'inquinamento, e con cadenza periodica, di norma bisettimanale, e comunque entro 30 giorni per i bollettini della rete Stiv fino al marzo 2017, attualmente con cadenza quotidiana. I bollettini della rete regionale sono trasmessi quotidianamente anche via pec alle autorità competenti. Dall'agosto 2016 sono inoltre pubblicati sul sito internet dell'agenzia i dati orari della rete regionale acquisiti in automatico. Il formato delle tabelle di dati è il .csv, come richiesto dalle norme tecniche vigenti, tali tabelle sono leggibili da tutti i tipi di software. Per garantire la tempestività dell'informazione, l'aggiornamento dei dati avviene a cadenza oraria sette giorni su sette. Inoltre gli esiti delle campagne di monitoraggio effettuati tramite laboratori mobili sono riportati con relazioni e tabelle nella sezione documentazione dell'area tematica aria del sito internet dell'agenzia.
  È tuttora in corso l'aggiornamento delle pagine del sito internet dedicate alla qualità dell'aria: è prevista una modalità di visualizzazione dei dati più fruibile, in analogia con quanto elaborato da altre Arpa, con una mappa sensibile ed una tabella dei valori misurati, ripartita per singolo inquinante, entro il primo semestre 2017, è previsto il completo aggiornamento del sito. Per informare la popolazione e valutare l'andamento della qualità dell'aria, l'Arpac gestisce anche il Cemec, centro meteo clima regionale che, tramite il modello Chimere e gli output del modello Cosmo-Lami, pubblica sul sito www.meteoarpac.it.mappe di stima delle concentrazioni dei principali inquinanti e diffonde bollettini di previsione sull'inquinamento da polveri sottili e ozono.
  Nel dettaglio, per l'informazione al pubblico in merito alla qualità dell'aria, sul sito istituzionale dell'Arpac www.arpacampania.it sono riportati:
   tabella dati orari acquisiti dalle centraline, con frequenza di aggiornamento oraria 7 giorni su 7;
   dati grezzi del giorno precedente con aggiornamento giornaliero alle ore 9.00 7 giorni su 7;
   bollettini giornalieri dati rete regionale con aggiornamento giornaliero nei giorni feriali;
   bollettini giornalieri rete Stir con frequenza di aggiornamento giornaliero nei giorni feriali dal marzo 2017, tranne casi eccezionali;
   tabella dati orari validati giornalieri, con frequenza di aggiornamento di 3 giorni;
   tabelle dati orari annuali validati con frequenza di aggiornamento annuale;
   tabelle con risultati campagne di misura di composizione chimica PM10 e PM2.5 con particolare riferimento ai metalli, agli Ipa e agli anioni e cationi per la speciazione del PM2.5;
   relazioni e tabelle sulle campagne di monitoraggio effettuate con laboratorio mobile.

  In merito ai bollettini STIR si fa presente che il monitoraggio della qualità dell'aria presso le aree limitrofe agli impianti di trattamento dei rifiuti è effettuato quotidianamente tramite sistemi automatici di misura e trasmissione dati. Ai sensi della normativi vigente per tale tipologia di dato non sussiste un obbligo di pubblicazione giornaliero, l'Arpac fino al marzo 2017 ha pubblicato il bollettino con i dati ambientali validati appena elaborato e comunque entro il termine ordinario di 30 giorni, non essendo stato fissato un termine diverso con apposito regolamento. Si conferma quindi che il monitoraggio è effettuato quotidianamente e che i bollettini sono pubblicati dopo la validazione dei dati, in tempi congrui con la normativa vigente.
  Relativamente ai dati sulla composizione del PM10 e PM 2.5 non possono essere acquisiti da strumentazione di misura in continuo, ma sono elaborati a partire da campionamenti su filtro e successive determinazioni analitiche in laboratorio. Pertanto non possono essere inseriti nei bollettini giornalieri, sono invece pubblicati come tabelle sul sito internet dell'Arpac. Per quanto riguarda il monitoraggio di metalli pesanti, IPA e in particolare benzo(a)pirene nel 2015 e 2016 sono state effettuate campagne di misura degli inquinanti tramite campionamenti su filtro e successive determinazioni analitiche in laboratorio. Nel corrente anno è stata attivata la rete di misura regionale, in quanto negli anni precedenti non erano ancora disponibili le strumentazioni per il campionamento e le determinazioni analitiche per le quali, viste le bassissime concentrazioni da misurare, comprese fra microgrammi e nanogrammi per metro cubo, è necessario disporre di strumenti specifici e mettere a punto metodiche di laboratorio opportune.
  Per individuare le cause dell'inquinamento sono effettuate costantemente anche elaborazioni modellistiche e sono state svolte campagne di misura con laboratori mobili i cui risultati sono pubblicati sul sito internet dell'Arpac.
  Le criticità ambientali per quanto riguarda la qualità dell'aria sono relative soprattutto alle polveri sottili, con particolare riferimento al 2015. Per gli altri inquinanti non si osservano superamenti dei limiti di legge giornalieri e annuali, ad eccezione della concentrazione di ozono e di N02 in alcune stazioni di tipo traffico.
  L'anno con maggiore criticità è il 2015 in quanto nel periodo autunnale ed invernale si è verificato un periodo di siccità di più mesi con scarso rimescolamento atmosferico da ottobre a dicembre e superamenti in numerosi giorni consecutivi.
  Per quanto riguarda la distribuzione areale dell'inquinamento da polveri sottili misurato, i risultati delle elaborazioni modellistiche, utilizzate anche per la zonizzazione del territorio, mostrano una rapida diminuzione delle concentrazioni di PM10 dall'interno verso la costa e dalle zone pianeggianti depresse verso le zone collinari. In particolare nella «Terra dei Fuochi» la criticità è crescente nella parte centrale corrispondente alla zona Acerrana e minore nella fascia costiera e settentrionale.
  Al riguardo si segnala che la recente approvazione della legge 28 giugno 2016 n. 132 istituisce un sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, finalizzato ad armonizzare da un punto di vista qualitativo e quantitativo le attività delle agenzie sul territorio, nonché a realizzare un sistema integrato di controlli coordinati dall'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
  Attraverso un Sistema nazionale a rete in cui un ruolo strategico è attribuito a Ispra, e con i cosiddetti «Lepta», ovvero i livelli essenziali delle prestazioni ambientali cui dovranno adeguarsi le agenzie, si attua un vero e proprio ripensamento dell'attuale sistema, fino ad oggi scandito da una diversità di approcci da regione a regione e da una grande frammentarietà che indeboliva di fatto la protezione dell'ambiente.
  Con riferimento alle problematiche ambientali connesse alla cosiddetta Terra dei fuochi si evidenzia che esse rappresentano una priorità per questo Ministero. Le iniziative di contrasto e di prevenzione di un fenomeno così pluri-fattoriale richiedono un lavoro di raccordo complesso, nel quadro delle attività promosse dal patto per la Terra dei fuochi, e coordinate presso la cabina di regia inter istituzionale con le prefetture, la regione Campania e gli enti locali.
  Tra le numerose misure adottate si evidenziano, in particolare, il potenziamento dei controlli delle forze dell'ordine (138 fermi di persone sospette; sono stati censiti e segnalati 1809 siti, di abbandono di rifiuti; sono stati effettuati interventi su 356 luoghi di incendio in atto; 756 controlli sui rivenditori di pneumatici, 477 su opifici tessili, 459 in agricoltura, 1660 su cantieri edili; hanno inoltre elevato 4020 contravvenzioni per violazioni amministrative e 1329 denunce per violazioni ambientali; hanno eseguito 108 arresti, di cui 75 per il reato di incendio di rifiuti, 564 sequestri di aree interessate da scarico abusivo e combustione di rifiuti, 340 sequestri di veicoli impiegati per il trasporto; hanno infine comminato quasi 500.000 euro di sanzioni amministrative).
  Sul versante roghi, l'anno 2016 ha confermato la tendenza in costante diminuzione degli incendi dolosi di rifiuti nelle aree delle province di Napoli e di Caserta. Con esclusivo riferimento ai comuni della cosiddetta Terra dei fuochi, si registrano punte di oltre il 70 per cento in meno rispetto allo scorso anno. Tale risultato è stato possibile anche grazie al controllo ad ampio raggio da parte delle forze dell'ordine, delle polizie locali e degli ispettorati del lavoro, dell'Inps e dell'Inail, mirate sulle aziende che trattano le categorie merceologiche connesse agli abbandoni e ai roghi sulle aree nelle quali sono insediate.
  Si segnala, inoltre, che il protocollo Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – incaricato del Governo-Ecopneus ha consentito ai comuni aderenti di rimuovere gratuitamente oltre 16.000 Tonnellate di gomme abbandonate su strade e aree pubbliche.
  L'individuazione ed il potenziamento delle opportune azioni dirette a fronteggiare dette emergenze ambientali, rappresentano una priorità per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che presiede il Comitato interministeriale istituito con decreto-legge n. 136 del 2013 (convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6) con il compito di «determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale, monitoraggio, anche di radiazioni nucleari, tutela e bonifica nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della regione Campania».
  Nell'ambito del citato comitato è stata istituita apposita commissione quale organo tecnico operativo, la quale ha avviato un approfondito esame delle diverse e complesse questioni poste all'attenzione dalle linee di indirizzo fornite dal comitato interministeriale, giungendo nel maggio 2016 all'adozione di un programma degli interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori della cosiddetta Terra dei fuochi.
  Nello specifico, il piano elaborato dalla commissione, caratterizzato da interventi di ampio respiro, mira a coniugare il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole, con quello delle iniziative di screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà che attengono allo smaltimento abusivo dei rifiuti.
  Il documento è stato oggetto di esame ed approvato dal comitato interministeriale, che si è riunito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 2 agosto 2016, il quale ha altresì deliberato la sua trasmissione alla cabina di regia per la programmazione del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, ai fini del successivo esame da parte del Cipe.
  Per quanto concerne le linee finanziarie strumentali agli interventi indicati nel programma della commissione, si fa presente che il fabbisogno economico complessivo per le misure previste è pari a 103,425 milioni di euro.
  Si segnala, inoltre, che in attuazione delle disposizioni urgenti previste dal predetto decreto-legge n. 136 del 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha intrapreso un'approfondita istruttoria, previa consultazione degli istituti di ricerca interessati, al fine di elaborare lo schema di regolamento concernente i parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica condiviso con gli altri Ministeri concertanti.
  Si fa presente, infine, che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un fondo con una dotazione di 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, per l'effettuazione di interventi di carattere economico, sociale ed ambientale nei territori della Campania noti come «Terra dei fuochi».
  Nel novembre 2016 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha predisposto la bozza di decreto nel quale sono stati individuati gli interventi e le amministrazioni competenti cui destinare le rimanenti risorse patì a 297 milioni di euro, inviata al Ministro dell'economia e delle finanze per condivisione e per le valutazioni di competenza ai fini della successiva firma da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Si rassicura comunque che, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio e supporto, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016 contiene una norma che, prevede che, al fine di garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia, che consenta la riduzione dei disagi derivanti dalla condizione di insularità della stessa Isola, siano stanziati 20 milioni di euro per l'anno 2016;
   la norma citata che favorisce il diritto alla mobilità anche ai passeggeri non residenti costituisce un elemento fondamentale per sviluppare il sistema del trasporto aereo per la Sicilia e ha, inoltre, importanti ricadute positive dal punto di vista economico-sociale per l'intera regione. Si pensi in particolare allo sviluppo del turismo della Sicilia che potrà avere effetti positivi una volta attuata la norma citata;
   ad oggi, è da riscontrare, che non si hanno notizie circa l'attuazione della disposizione contenuta nella legge di stabilità con forti ripercussioni negative sullo sviluppo dell'economia della Sicilia su cui già grava una forte crisi economica e sociale –:
   quali siano le ragioni della mancata attuazione della norma sulla continuità territoriale della Sicilia di cui alla legge di stabilità per il 2016;
   quali iniziative di competenza intenda assumere con urgenza, per garantire l'effettiva disponibilità dei 20 milioni di euro per la continuità territoriale dell'Isola, anche al fine di favorire il tessuto economico e produttivo della regione.
(4-13124)


   MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016 contiene una norma che, prevede che, al fine di garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia che consenta la riduzione dei disagi derivanti dalla condizione di insularità della stessa isola, siano stanziati 20 milioni di euro per l'anno 2016;
   la norma citata, che favorisce il diritto alla mobilità anche ai passeggeri non residenti, costituisce un elemento fondamentale per sviluppare il sistema del trasporto aereo per la Sicilia e ha, inoltre, importanti ricadute positive dal punto di vista economico-sociale per l'intera regione. Si pensi, in particolare, allo sviluppo del turismo della Sicilia che potrà beneficiare di effetti positivi una volta attuata la norma citata;
   tale norma non ha nulla a che vedere con la richiesta dell'Enac di utilizzare questi fondi (20 milioni di euro) per Lampedusa e Pantelleria; questi sono collegamenti interni alla Sicilia, per cui l'utilizzo di questi fondi in modo diverso da ciò che prevede la norma darebbe luogo, a giudizio dell'interrogante, a una distrazione di fondi;
   ad oggi, è da riscontrare, non si hanno notizie circa gli adempimenti per chiudere l’iter procedurale con il conseguente bando di gara al fine di attuare la disposizione contenuta nella legge di stabilità;
   peraltro, sono stati consumati importanti passaggi tecnici, per il riconoscimento della continuità territoriale, con i funzionari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti attraverso l'individuazione e la determinazione delle rotte sociali, passo fondamentale per il riconoscimento della continuità territoriale;
   non si capisce perché, ad oggi, la regione non ha ancora convocato la conferenza di servizi, ultimo passo prima del bando;
   si continua a penalizzare la Sicilia e i siciliani attentando allo sviluppo dell'economia isolana su cui già grava una forte crisi economica e sociale –:
   quali siano le ragioni della mancata attuazione della norma sulla continuità territoriale della Sicilia di cui alla legge di stabilità per il 2016 ad oltre sei mesi dalla sua approvazione;
   se non sia necessario assumere, per quanto di competenza, iniziative urgenti al fine di garantire l'effettivo stanziamento di 20 milioni di euro per la continuità territoriale dell'isola, agevolando i necessari adempimenti procedurali e avviando immediatamente quanto da tempo è reclamato dai siciliani. (4-13426)


   MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016 aveva previsto risorse economiche per la continuità territoriale della regione Sicilia. È da sottolineare come lo stanziamento di 20 milioni di euro previsto dalla citata legge, ad avviso dell'interrogante, non sia stato utilizzato in modo congruo e corretto dalla regione siciliana;
   ad oggi pertanto appare indispensabile fornire un chiarimento da parte della stessa regione su una vicenda che ricade negativamente sui fruitori di un servizio essenziale per la continuità territoriale dell'isola. Ciò, infatti, dimostra la scarsa attenzione su un tema fondamentale che potrebbe implementare il turismo e, in generale, la crescita socio-economica della Sicilia;
   la Conferenza Stato-regioni intervenuta sulla tematica ha previsto che una parte dello stanziamento di cui alla legge di stabilità citata (15 milioni) sia riservata agli aeroporti minori tra cui Comiso. Tra l'altro, questa decisione non sembra congrua in relazione all'esatta «portata» della norma che aveva effetti più ampi e ricomprendeva in generale tutti gli aeroporti della regione;
   è quindi, fondamentale in un periodo in cui sono notevoli i rincari dei biglietti aerei (per e da) la Sicilia ripristinare il contributo vista l'insularità e la condizione di svantaggio in cui trova l'isola. Si ricorda al proposito che analoghi vantaggi sono previsti per la regione Sardegna –:
   quali iniziative intenda adottare per ripristinare il contributo previsto dalla legge di stabilità 2016 per la regione Sicilia che consentirebbe un'implementazione dei traffici e un aumento considerevole del turismo, nonché innegabili vantaggi per l'economia dell'isola, considerato tra l'altro, come ricordato in premessa, gli stanziamenti sono stati erogati con modalità che all'interrogante appaiono non confacenti alla norma introdotta con la citata legge di stabilità. (4-15271)

  Risposta. — Con riferimento agli atti di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde congiuntamente in quanto trattano di analogo argomento, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per gli aeroporti ed il trasporto aereo di questo Ministero e dall'ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC).
  L'attenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le esigenze della Sicilia e la volontà di garantirne l'auspicata continuità territoriale si è tradotta nell'imposizione di oneri di servizio pubblico su 4 rotte di collegamento con le isole di Pantelleria e Lampedusa, per le quali si sono assicurate modalità esecutive altrimenti non esercitabili in condizioni di libero mercato.
  Infatti, per il periodo 1o luglio 2017 – 30 giugno 2018 è stata esperita una gara europea aggiudicata alla società Mistral Air.
  Lo scorso 17 maggio si è svolta una conferenza di servizi con lo scopo di individuare il contenuto degli oneri di servizio pubblico da imporre sui collegamenti aerei da e per le isole di Lampedusa e Pantelleria successivamente alla data del 30 giugno 2018 e su quelli da e per gli scali di Trapani e Comiso. In tale sede è stato stabilito che l'entità delle risorse ammontano a un importo complessivo di circa euro 74.000.000 di cui euro 18.300.000 provenienti dai fondi residui dell'articolo 1, comma 486 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), euro 10.965.855 derivanti dal residuo delle disponibilità dei fondi Enac, euro 14.700.000 circa dai fondi della regione siciliana ed euro 30.000.000 da attingersi dalla delibera Cipe n. 54 del 2016.
  Si evidenzia che le somme destinate dalla suddetta legge di stabilità sono proprio finalizzate a garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia che consenta la riduzione dei disagi derivanti dalla condizione di insularità e assicuri la continuità del diritto alla mobilità anche ai passeggeri non residenti; in tal senso anche la delibera Cipe nella quale si è precisato che l'intervento consentirà di operare servizi aerei di linea continui, regolari e a ridotta tariffazione su particolari rotte di interesse strategico per i collegamenti dell'Isola che, in ragione delle loro intrinseche modalità esecutive non sono esercitabili in condizioni di libero mercato.
  Ed infatti sempre la conferenza ha previsto anche, a partire dal 1o luglio 2018, tariffe distinte tra residenti e non, gratuità e sconti per talune categorie di passeggeri quali malati oncologici, malati con gravi disabilità studenti e sportivi.
  Per quanto riguarda, poi, la possibilità di estendere la continuità territoriale agli scali di Trapani e Comiso, i partecipanti alla predetta conferenza hanno convenuto sulla necessità di dare precedenza nella conclusione dei lavori alla definizione della tematica del rinnovo del bando per le tratte di Lampedusa e Pantelleria, fermo restando l'impegno al prosieguo della trattazione delle istanze degli aeroporti di Comiso e Trapani in successivi tavoli tecnici.
  Infine per quanto riguarda le rotte aeree da/per la Sicilia non a carattere di continuità territoriale, ricordo che queste sono soggette al libero mercato e, pertanto, non è possibile incidere sul regime tariffario scelto dal vettore nell'osservanza della normativa del regolamento europeo n. 1008 del 2008.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dall'inizio dell'anno scolastico in corso una situazione di forte disagio è vissuta da bambini, genitori e maestre nella scuola pubblica dell'infanzia «Principe di Piemonte» di Lezzeno (Como), a causa dell'incertezza organizzativa derivante dall'applicazione della legge cosiddetta «buona scuola»;
   le prime settimane dell'anno sono state caratterizzate dai classici ritardi nelle nomine, con l'inevitabile conseguenza di dover tamponare con svariate supplenze, per giungere ad una situazione a regime di 74 alunni divisi in tre sezioni con 2 insegnanti a sezione, che ha comportato il verificarsi di casi in cui un'insegnante si è trovata a gestire da sola più di venti bambini ed altri nei quali i bambini di una sezione, in mancanza della maestra, sono stati smistati nelle restanti due;
   ad aggravare tale cronica carenza è il fatto che sono state nominate quali insegnanti di ruolo alcune docenti provenienti dal Sud Italia, che per vari motivi (maternità, malattie, problematiche familiari ed altro) nel corso dell'anno scolastico hanno preso continui periodi di congedo coperti – come di consueto – ricorrendo ad ulteriori supplenze effettuate, peraltro, da insegnanti che vivono e risiedono a Lezzeno, rendendo ancora più paradossale tutta la situazione;
   la preoccupazione dei genitori è dovuta non solo alle ricadute che tale disorganizzazione può avere sul programma scolastico da portare a termine entro i prossimi mesi, ma anche per i possibili disagi psicologici in bambini continuamente «sballottati» da una maestra all'altra senza avere mai un vero e proprio punto di riferimento, fondamentale in questa fase evolutiva;
   il problema è stato già evidenziato all'ufficio scolastico regionale della Lombardia-Como;
   ancor più timore detta il recente nulla osta del Ministero alla mobilità che significa, per Como e provincia, più di 500 insegnanti interessati a un trasferimento, considerando le 304 immissioni sul sostegno, le 150 nelle primarie e una ventina nell'infanzia, con evidente rischio per la continuità didattica;
   i nuovi assunti, infatti, avrebbero dovuto – da contratto – restare nella sede di assegnazione per almeno tre anni, ma l'intesa con i sindacati ha invece aperto alle richieste di trasferimento, con l'effetto che il prossimo anno i docenti interessati potranno indicare fino a un massimo di 15 province nelle quali insegnare, nel tentativo di un ricongiungimento familiare o comunque di un avvicinamento al proprio territorio;
   a parere dell'interrogante, affrontare e risolvere prima dell'inizio del nuovo anno scolastico le problematiche in premessa, peraltro interessanti non solo la scuola materna di Lezzeno, è un obbligo nei confronti in primis dei bambini e dei loro genitori, ma anche di tutti i docenti trattati come «riserve» da utilizzare solo nelle emergenze –:
   se e quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare in merito a quanto esposto in premessa, a garanzia della copertura di tutte le cattedre dall'inizio del prossimo anno scolastico per la scuola materna di Lezzeno, e non solo per essa. (4-15975)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, vertente sull'avvicendamento delle nomine di docenti presso le scuole dell'infanzia statale «Principe di Piemonte» di Lezzeno (Como), sulla base degli elementi informativi forniti dal competente ufficio scolastico regionale per la Lombardia.
  Il citato ufficio, nel precisare che nessuna segnalazione è pervenuta all'Ufficio di ambito territoriale di Como, ha precisato che la scuola in argomento è composta da 3 sezioni per un totale di 74 alunni e 6 docenti di cui 2 (una in continuità a tempo indeterminato e l'altra nominata per chiamata diretta con contratto triennale) sono in servizio fin dal 1o settembre 2016 e non si sono mai assentate.
  Nella prima settimana dell'anno scolastico il servizio è stato garantito con la disponibilità dei docenti della scuola primaria, in attesa che venissero completate le nomine. Il disagio si è verificato successivamente, in particolare nella sezione B per l'intersecarsi di assenze delle docenti di quella sezione. A tale situazione si è fatto fronte con nomine di supplenti rispettando le procedure previste dalla normativa in materia.
  Solo raramente, nel periodo di massima assenza degli alunni per influenza verificatosi nel mese di gennaio, si è reso necessario procedere allo smistamento delle bambine e dei bambini su due sezioni, senza mai superare il numero totale normativamente stabilito.
  Si rappresenta che la situazione determinatasi non può attribuirsi all'applicazione della legge n. 107/2015, che ha cercato anzi di introdurre elementi di stabilità, ma a situazioni di carattere contingente in merito alle quali il dirigente scolastico ha tenuto contatti costanti con la referente del plesso per individuare le possibili strategie atte a risolvere e alleviare le criticità.
  È stato, altresì, precisato che per le restanti sezioni tutto si è svolto regolarmente, in modo operoso e in un clima sereno.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Motta Sant'Anastasia, provincia di Catania, in contrada «Valanghe d'Inverno» risulta attualmente attiva e operativa una discarica di rifiuti non pericolosi. Nella vicina contrada «Tiritì» insiste un impianto di selezione e trattamento di rifiuti indifferenziati;
   il conferimento nella discarica di «Valanghe d'inverno», che doveva essere chiusa e bonificata per effetto del D.D.G. n. 1143 del luglio 2014, è reso possibile in virtù di proroghe concesse tramite ordinanza emergenziale;
   la discarica di «Valanghe d'inverno» – così come il sito di contrada Tiritì, non operativo ma non sottoposto a bonifiche –, sorge in prossimità del centro densamente abitato di Misterbianco (Catania) e di quello di Motta Sant'Anastasia;
   da tempo i cittadini e gli amministratori dei due comune chiedono la chiusura e la bonifica dei siti;
   anche a seguito delle pressioni esercitate da popolazione e amministrazioni si è provveduto ad un'esame in merito alla qualità dell'aria nelle aree dei comuni di Misterbianco e Motta Sant'Anastasia. Tale analisi è stata svolta tra il 6 luglio 2016 e il 25 luglio 2016 da parte della struttura locale dell'Arpa Sicilia;
   l'esito delle rilevazioni effettuate dall'Arpa Sicilia ha confermato significative modificazioni della composizione qualitativa e quantitativa dell'aria, accompagnate dalla contestuale percezione di odori sgradevoli;
   ancora più preoccupanti sono i dati rilevati relativamente alle sostanze presenti nell'aria durante il periodo di monitoraggi. L'incremento di concentrazione di metano risulta da 2,5 a 10 volte la concentrazione media del fondo naturale. Tale incremento è accompagnato da incrementi di concentrazione di alcuni mercaptani;
   di particolare gravità appare la presenza di benzene nell'aria registrata durante il monitoraggio. Accompagnato dalla presenza di altri solventi tossici quali etilbenzene, xyleni e toluene;
   la relazione tecnica alla fine descrive il significato dei dati raccolti: sebbene nel corso del mese di luglio la media giornaliera non superi mai il valore di mg/m3, purtuttavia si sono verificate delle situazioni in cui in un ristretto arco di tempo sono stati rilevati valori significativi di benzene. Va altresì sottolineato che la presenza di benzene era sempre associata alla presenza di altri solventi;
   alla luce delle rilevazioni effettuate appare evidente l'impatto della discarica di «Valanghe d'inverno» e del sito di Trinitì sulla salute e la qualità dell'aria nell'area dei comuni di Misterbianco e Motta Sant'Anastasia –:
   se il Ministro, per quanto di propria competenza, non ritenga di particolare gravità la situazione registrata nelle aree urbane di Motta Sant'Anastasia e Misterbianco e quali iniziative intenda intraprendere, in particolare promuovendo una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente volte ad accertare la situazione attuale nei territori coinvolti. (4-14794)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si evidenzia, in via preliminare, che le questioni poste non rientrano nelle specifiche competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, considerato che il tema delle autorizzazioni e della gestione delle discariche spetta alla regione.
  Ad ogni modo, si segnala che la gestione dello smaltimento dei rifiuti nella regione siciliana è stata caratterizzata, in questi anni, da uno stato emergenziale che presenta ancora oggi un deficit strutturale.
  In tale contesto, assume particolare rilievo il recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 agosto 2016 (pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 233 del 5 ottobre 2016) adottato dal Governo in merito all'individuazione degli impianti da realizzare per soddisfare il fabbisogno residuo di incenerimento dei rifiuti urbani ed assimilati, in attuazione dell'articolo n. 35, comma 1 del cosiddetto «Sblocca Italia». In particolare per la Sicilia è stato definito un fabbisogno pari a 600.000 tonnellate annue da soddisfare mediante la realizzazione di due impianti. A tal proposito, si ricorda che la realizzazione degli impianti non è in contrasto con l'aumento di altre forme virtuose di gestione dei rifiuti. Difatti, la capacità di incenerimento risulta indispensabile a recuperare energeticamente i rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento meccanico biologico che altrimenti dovrebbero essere conferiti in discarica. Non realizzare un sistema industriale di gestione dei rifiuti nel Sud Italia significherebbe non colmare il deficit socioeconomico del territorio.
  Per quanto riguarda, invece, le specifiche problematiche in esame, si evidenzia che, con riferimento alla discarica di Tiritì, la stessa è stata chiusa nel 2013 ed i lavori di bonifica non sono ancora iniziati. Per quanto concerne, invece, la discarica «Valanghe d'Inverno» il Ministero dell'ambiente, anche a seguito dell'intesa concessa, ai sensi dell'articolo 191, comma 4 del decreto legislativo n. 156 del 2006, con prescrizioni prima sull'ordinanza n. 5 del 7 giugno 2016 del Presidente della Regione siciliana e poi sull'ordinanza n. 26 del 1o dicembre 2016, monitora le attività poste in essere dalla regione in materia di gestione dei rifiuti. In particolare l'articolo 3 dell'ordinanza n. 26 prevede, al comma 3 «... nella discarica sita nel Comune di Motta Sant'Anastasia dovrà essere conferita esclusivamente la frazione secca di sopravaglio dei rifiuti urbani indifferenziati sottoposti a tritovagliatura presso altri impianti di smaltimento, nelle more che il soggetto gestore OIKOS S.p.A. provveda autonomamente avviando un progetto di inertizzazione della frazione organica dei rifiuti e di tritovagliatura in altro sito idoneo».
  Tale misura si è resa necessaria anche alla luce dell'incontro tenutosi nel mese di ottobre con il sindaco del comune di Misterbianco avente ad oggetto le criticità appena richiamate, e ad esito del quale si è ritenuto di dover adottare specifiche misure per ridurre le emissioni odorigene e l'impatto sul territorio.
  Inoltre, si precisa, che si è in attesa di conoscere gli esiti del contenzioso ancora in corso innanzi al TAR di Catania relativo anche alla chiusura della discarica «Valanghe d'Inverno».
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a monitorare lo stato di avanzamento delle attività e si interesserà presso la regione sulla situazione relativa alla discarica in oggetto al fine di scongiurare ogni rischio per la salute umana e per l'ambiente.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PALESE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da circa 6 anni è attivo a Lecce l'istituto di nanoscienze del Cnr, come sede distaccata di Pisa, nel quale operano circa 30 persone tra ricercatori, studenti, dottorandi, assegnisti e professori che con le loro ricerche e pubblicazioni hanno contributo ad importanti scoperte in campo scientifico;
   si apprende dalla stampa e dalle preoccupazioni degli stessi ricercatori che ad agosto 2016, senza preavviso e senza motivo, il Cnr ha comunicato di voler chiudere detto istituto precisando che si tratterebbe di motivazioni né scientifiche né economiche, ma «strategiche»;
   in seguito a ciò molti di coloro che lavorano in questo istituto, seppur giovani e validi professionisti, sono stati messi dinanzi alla necessità di doversi anche trasferire a Pisa;
   sempre dalla stampa si apprende che la strategia del Cnr, in linea con il piano nazionale di ricerca, sarebbe quella di accorpare nella sede di Pisa nanotecnologie e nanoscienze di Lecce garantendo professionalità e posti di lavoro –:
   quali siano i motivi che hanno indotto il Cnr a decidere di sopprimere l'istituto di nanoscienze di Lecce;
   se corrisponda, al vero che l'istituto verrà unificato a quello di nanotecnologie e, in caso affermativo, se il Ministro interrogato non ritenga preferibile che sia mantenuta l'autonomia tra i due istituti a garanzia delle professionalità delle persone che vi lavorano;
   quali siano le previsioni di investimenti del piano nazionale della ricerca per il Mezzogiorno e per la Puglia e quali le strategie per combattere la cosiddetta «fuga di cervelli» che tanto sta depauperando questo territorio. (4-14453)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame si rappresenta, sentiti anche gli organi direttivi del Consiglio nazionale delle ricerche, che la comunità scientifica raccolta intorno alle nanotecnologie a Lecce è attiva sul campo almeno dal 2001 quando l'Istituto nazionale di fisica della materia (INFM) fondava il National nanotechnology laboratory (NNL), uno dei propri nuovi dieci centri di ricerca e sviluppo distribuiti nel territorio a livello nazionale.
  Nel 2005, quando l'INFM e stato soppresso e fatto confluire all'interno del CNR, in NNL operavano un centinaio di unità, tra ricercatori INFM, ricercatori dell'Università degli studi del Salento, contrattisti PhD, etc., e nel 2010 questa comunità scientifica è stata fatta confluire nella sede secondaria leccese del nuovo Istituto di Nanoscienze (NANO), la cui sede principale è stata collocata a Pisa.
  La comunità impegnata nelle nanotecnologie a Lecce opera, quindi, nel proprio campo di riferimento non da 6, ma da ben 15 anni.
  Nel 2015 il CNR, attuando un programma già intrapreso dall'ex INFM, ed intervenendo con il proprio progetto di potenziamento infrastruttura le « materials and processes beyond the nanoscale» (Beyond-Nano) finanziato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, porta a compimento l'opera infrastrutturale che, su una superficie di circa diecimila metri quadri equipaggiata con facilities state-of-the-art, è destinata ad ospitare l'intera comunità leccese attiva nel campo delle nanotecnologie.
  In concomitanza a questo evento, riconoscendo a quella comunità la notevole visibilità scientifica a livello nazionale e internazionale nel settore di riferimento, il CNR si adopera per istituire a Lecce la sede principale del nuovo Istituto di nanotecnologie, nel quale confluisce, appunto, la quasi totalità (circa l'80 per cento) del personale della sede secondaria leccese dell'Istituto di nanoscienze (NANOTEC).
  All'Istituto di nanoscienze, che si orienta in modo più deciso allo sviluppo di nuovi materiali, processi e dispositivi per applicazioni nanotecnologiche nei settori dell'energia, dell’health care, della sicurezza, delle telecomunicazioni, aderiscono anche tutta una serie di altri laboratori avanzati distribuiti nel territorio nazionale, da Arcavate di Rende (l'ex laboratorio regionale Licryl di INFM), all'Università degli studi Roma «La Sapienza» (con gran parte del proprio ex laboratorio regionale Soft ancora di INFM), all'ex Istituto di metodologie inorganiche dei plasmi di Bari.
  Dunque, come detto, solo una piccolissima componente dell'intera comunità scientifica impegnata nelle nanotecnologie a Lecce decide di rimanere presso la sede secondaria leccese dell'Istituto di nanoscienze. Proprio, però, perché i due gruppi (quello maggioritario confluito in NANOTEC c quello minoritario rimasto nella sede leccese di NANO) hanno condiviso per tutta la loro esistenza le stesse identiche esperienze progettuali, essendo nati come parte di una medesima realtà organizzativa (il centro NNL dell'ex INFM), e per razionalizzare i programmi di sviluppo del settore (stimolando le sinergie all'interno della stessa comunità scientifica) mettendo meglio a sistema competenze e facility (quelle all'interno del polo infrastrutturale di recente realizzazione), si è operata la scelta di sopprimere la sede secondaria di Lecce dell'Istituto di nanoscienze offrendo l'opportunità a quei ricercatori di riconfluire nell'ambito di una medesima realtà organizzativa (della quale, peraltro, facevano già parte), sempre più orientata allo sviluppo del polo di Lecce nel campo delle nanotecnologie.
  Da quanto sopra si evince, dunque, che non ha avuto luogo alcuna azione che abbia messo i pochi ricercatori della sede secondaria di Lecce dell'Istituto di nanoscienze nella necessità di doversi trasferire a Pisa, potendo gli stessi, molto più semplicemente, rientrare a far parte della medesima realtà organizzativa (prima NNL, adesso Istituto NANOTEC) con sede principale proprio a Lecce.
  Si informa, infine, che il CNR, con la nuova presidenza, sta elaborando un piano complessivo di razionalizzazione delle proprie infrastrutture di ricerca su tutto il territorio nazionale (non solo a Lecce). Lo schema di razionalizzazione si basa, prima di tutto, sull'identificazione delle aree progettuali strategiche (non solo le nanotecnologie), ritenute importanti per lo sviluppo della conoscenza e l'avanzamento tecnologico del Paese e del CNR.
  In quest'ottica i processi di aggregazione tra le diverse realtà scientifiche nel territorio nazionale che operano nei medesimi settori sono, in linea di principio, elementi che vanno nella direzione di accrescere la massa critica, la visibilità internazionale e la capacità di organizzare programmi di ricerca su larga scala e ad ampio respiro. Al momento non è stato compiuto alcun atto formale che riguarda, nello specifico, l'unificazione a livello nazionale dei due Istituti NANO e NANOTEC.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   PALMIZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cooperativa Unieco, operante principalmente nel settore edilizio, delle costruzioni, immobiliare, ferroviario, ambiente e laterizi, ha risentito della crisi del settore degli ultimi 10 anni, durante i quali circa 66.000 imprese hanno dovuto chiedere i battenti;
   i revisori di Legacoop, già nel 2013, a crisi ampiamente in corso, scrivevano: «Occorre rendere l'azienda meno frammentata, più snella, reattiva alle nuove esigenze del mercato, più flessibile, pronta a reagire ai nuovi posizionamenti e proiettata al rispetto ferreo del piano di risanamento 2014/2016»;
   l'allerta aveva messo in moto per Unieco l'istanza di ammissione al concordato preventivo, primo passo verso la ristrutturazione dei debiti;
   il 29 marzo 2017, però, un'assemblea dei soci e dei lavoratori della cooperativa, al circolo Pigal di Reggio Emilia, annunciava la rinuncia ufficiale alla procedura di concordato preventivo con le banche, nonostante le dichiarazioni succedutesi fino a pochi mesi prima e rilasciate attraverso i comunicati ufficiali dal consiglio di amministrazione;
   la cooperativa edilizia, dopo 113 anni, è avviata verso la liquidazione coatta amministrativa, avendo accumulato più di 600 milioni di euro di debiti e avendo visto fallire i tentativi di ripianamento;
   la procedura di liquidazione, una volta autorizzata, si traduce nel licenziamento immediato di 170 dipendenti, cui si aggiungono altri 170 ex dipendenti, licenziati a febbraio 2017;
   il commissario liquidatore avrà il compito di limitare i danni, provando a spacchettare e vendere i pochi rami d'azienda in attivo, ricollocare quanti più lavoratori possibili e tentare di salvare il prestito sociale (le quote che i soci lavoratori ed ex lavoratori hanno investito in Unieco) che ammonta a circa 10 milioni di euro, risparmiati dai in decenni e che rischiano di sparire;
   si tratta di un tracollo iniziato molti anni fa, per una delle cooperative «rosse» edili più importanti d'Italia, dopo aver raggiunto l'apice a metà degli anni 2000 (quando Unieco poteva costruire e sostenere i costi per una sua palazzina da 12 milioni di euro a due passi dal casello autostradale di Reggio Emilia, con i suoi oltre 1000 dipendenti a pieno regime), con un fatturato che superava regolarmente i 500 milioni di euro fino all'arrivo della crisi del settore;
   ogni tentativo di ripresa si è rivelato inefficace (quando non deleterio). La relazione degli ispettori di Legacoop si è tradotta in una richiesta di liquidazione coatta, per cui si attende solamente il via libera dal Ministero dello sviluppo economico;
   si tratta per l'interrogante di un altro caso di incapacità amministrativa delle grandi cooperative «rosse» dell'edilizia (parallelo a quello della «sorella emiliana» Coopsette), che ha condotto questo colosso, pian piano, al tracollo;
   al dramma economico si unisce il dramma sociale, con migliaia di soci e lavoratori, fornitori delle cooperative, artigiani e piccole imprese che ora vedono svaniti i loro risparmi e le loro speranze di recuperare i crediti che vantano nei confronti di Unieco;
   il sistema di gestione delle cooperative, per anni sventolato come pilastro dell'economia di Reggio Emilia e dintorni è drammaticamente saltato;
   il territorio ed i lavoratori ne escono distrutti –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati circa le cause della crisi a giudizio dell'interrogante imputabili alle amministrazioni recenti e passate che hanno sconsideratamente portato al tracollo del colosso edilizio Unieco;
   di quali elementi dispongano circa la situazione della cooperativa, con particolare riguardo all’iter che ha visto il consiglio di amministrazione di Unieco muoversi prima nella direzione del concordato preventivo con le banche e poi rinunciarvi una volta che questo aveva ottenuto l'autorizzazione dal tribunale di Reggio Emilia, decisione che condurrà verosimilmente alla liquidazione coatta della cooperativa;
   se i Ministri interrogati intendano adottare il prima possibile iniziative, volte ad individuare soluzioni di ricollocamento e/o riassunzione delle centinaia di disoccupati che il sistema di gestione cooperativo ha creato. (4-16429)

  Risposta. — Si risponde rappresentando quanto segue.
  Come noto, la crisi del settore edilizio dell'ultimo decennio ha coinvolto drammaticamente dal punto di vista economico e sociale anche grandi e storiche realtà del mondo cooperativo reggiano, come la Unieco.
  Nello specifico della situazione di crisi della citata cooperativa, si informa che la procedura di liquidazione coatta amministrativa (da ora anche LCA) è stata aperta sul finire del dicembre 2016, su richiesta della Lega Coop in esito alle risultanze della revisione ordinaria svolta dalla medesima associazione nei confronti della cooperativa.
  La Unieco, avuta comunicazione dell'avvio di tale procedimento, ne ha formalmente richiesto ed ottenuto la sospensione dal Ministero dello sviluppo economico nella sua qualità di amministrazione vigilante.
  In attesa della conclusione dell'accordo di ristrutturazione del debito ex articolo 182-bis 1. fall., che, peraltro, non si realizzerà a causa di una tempistica delle trattative incompatibile con quella dello stato di crisi della cooperativa stessa, in data 10 gennaio 2017 è stato depositato il ricorso per concordato preventivo con riserva presso il tribunale di Reggio Emilia.
  Fallita nel frattempo anche l'ipotesi del concordato, in data 24 marzo 2017, l'ente ha comunicato al Ministero dello sviluppo economico di aver presentato al tribunale di Reggio Emilia formale rinuncia alla suddetta istanza concordataria, in ragione della impraticabilità di una ipotesi di piano concordatario senza un investitore terzo.
  Con la medesima nota la Unieco ha chiesto, altresì, di voler riavviare il procedimento di liquidazione coatta amministrativa che era stato, come su detto, sospeso. Conseguentemente, in data 7 aprile 2017, il Ministero dello sviluppo economico, essendocene i requisiti, ha ammesso la Unieco alla riferita procedura concorsuale e nominando commissario liquidatore il dottor Corrado Baldini (decreto ministeriale del 17 aprile 2017, pubblicato in gazzetta ufficiale il 3 giugno 2017).
  Essendo trascorsi solo due mesi dall'apertura della liquidazione coatta amministrativa e dunque dall'insediamento del commissario liquidatore, sono allo stato attuale ancora in corso le attività di verifica ed approfondimento della situazione della società, con particolare riferimento all'attività caratteristica di costruzione, all'attività di gestione del patrimonio immobiliare, all'attività di gestione delle partecipazioni, e soprattutto l'analisi delle cause che hanno portato la società allo stato di crisi insanabile.
  È inoltre ancora in corso l'attività di verifica dei creditori propedeutica alla predisposizione dello stato passivo della procedura. Su tale ultimo punto, che forma oggetto specifico delle richieste contenute nell'atto ispettivo che si riscontra, si fa pertanto riserva di una successiva rispondenza, non senza segnalare, tuttavia che, l'accertamento delle cause dell'insolvenza e delle relative responsabilità, costituisce un preciso onere a carico del commissario liquidatore, anche ai fini dell'adozione delle opportune iniziative recuperatorie e risarcitorie previste dalla normativa concorsuale.
  In merito all'attività svolta dall'insediamento, da quanto riferito dal commissario liquidatore, l'attività iniziale si è concentrata su due principali direttrici: il personale, da un lato, e lo stato dei cantieri in corso, dall'altro. L'obiettivo era di verificare la possibilità di proseguire l'attività caratteristica, anche eventualmente con riferimento ad alcuni cantieri, sia nell'interesse dell'occupazione sia nell'interesse della procedura.
  Da una prima approfondita analisi, si è fin da subito constatata la difficoltà per la procedura di proseguire le attività sui cantieri, a causa della carenza delle disponibilità finanziarie necessarie per soddisfare gli impegni assunti e della ridotta marginalità media stimata sugli stessi.
  A tal proposito, gli uffici del Ministero dello sviluppo economico, hanno inteso sottolineare che, l'eventuale prosecuzione nelle condizioni di incertezza, avrebbe comportato per la procedura e pertanto con potenziale danno per tutti, l'assunzione di debiti da pagare in prededuzione senza avere la ragionevole certezza di conseguire ricavi a copertura degli impegni assunti.
  La procedura ha preso immediatamente contatto con tutti i soggetti coinvolti sui singoli cantieri al fine di evitare la loro interruzione con potenziali danni sia per la procedura medesima sia per l'intero sistema.
  Allo stato attuale stanno proseguendo le interlocuzioni con i committenti e con gli altri operatori coinvolti sui singoli cantieri per gestire al meglio la prosecuzione degli stessi senza che vengano pregiudicate le ragioni e gli interessi di Unieco.
  Inoltre, per quei cantieri che occupavano personale diretto, al subentro di altro operatore è stata incentivata l'assunzione di detto personale.
  Si conferma che la tutela occupazionale ha rappresentato fin da subito una priorità da parte del commissario liquidatore per gli importanti e significativi effetti sociali per l'intero territorio.
  Alla data di apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa risultavano ancora in forza n. 285 dipendenti (n. 225 tra impiegati, quadri e dirigenti e n. 60 operai). Nel corso del mese di aprile e maggio 2017, hanno rassegnato le dimissioni volontarie n. 15 dipendenti.
  Inoltre, nel medesimo periodo sono usciti 68 dipendenti a seguito dell'accordo di mobilità volontaria sottoscritto nel mese di febbraio 2017.
  Pertanto, alla data del 16 maggio 2017 risultavano ancora in forza n. 202 dipendenti (n. 154 impiegati, quadri, dirigenti e n. 48 operai).
  Il commissario liquidatore ha avviato le opportune interlocuzioni con le organizzazioni sindacali al fine di costruire un percorso per la riduzione del personale in esubero con l'obiettivo di minimizzare gli effetti sociali ad esso conseguenti, nel rispetto delle disposizioni previste dalla normativa fallimentare.
  Si è quindi trovato un punto di contatto con le organizzazioni sindacali che ha portato all'apertura di una procedura di licenziamento collettivo non oppositivo incentivato su base volontaria, con l'accordo delle organizzazioni sindacali, per tutte le categorie di dipendenti. Tale accordo – autorizzato dal Ministero dello sviluppo economico – prevedeva l'adesione volontaria al licenziamento da parte dei singoli lavoratori con riconoscimento di un incentivo, variabile a seconda della scelta da parte del lavoratore dipendente.
  L'adesione si è conclusa il 25 maggio 2017 ed è stata molto elevata, riguardando n. 161 dipendenti così suddivisi: n. 42 operai e n. 119 tra impiegati, quadri e dirigenti.
  Dalle informazioni disponibili in via informate risulta che allo stato attuale circa il 50 per cento dei dipendenti ha trovato una nuova occupazione.
  Per i dipendenti risultanti ancora in esubero rispetto alle esigenze della procedura, è stata intrapresa la procedura di licenziamento collettivo cosiddetto obbligatorio per n. 13 dipendenti (n. 4 impiegati, quadri, dirigenti e n. 5 operai) che si è conclusa con il mancato accordo con le organizzazioni sindacali.
  Risulta che siano state già state sottoscritte da parte del commissario liquidatore le lettere di licenziamento per detti dipendenti, con la eccezione di 4 dipendenti che si trovano in maternità.
  Allo stato attuale resteranno in forza alla procedura a tempo indeterminato per esperire le attività necessarie alla stessa n. 24 dipendenti (n. 23 impiegati, quadri, dirigenti e n. 1 operaio), e a tempo determinato n. 16 dipendenti.
  Il Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito delle proprie competenze e con i propri uffici, continuerà a vigilare sull'attività del commissario, ai fini dell'ottimale perseguimento delle finalità della procedura.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a 125 chilometri dal confine italo-sloveno, nella direzione da cui il vento dominante in zona (Bora) soffia sul Friuli-Venezia Giulia, è attiva dal 1982 la centrale nucleare di Kr Ewko, la cui attività è stata recentemente estesa al 2043;
   da alcuni anni, l'ente elettrico/energetico sloveno (GEN) ha inoltre allo studio la costruzione nella medesima località di una nuova centrale, di potenza tripla dell'attuale;
   il 31 marzo 2013 il quotidiano Il Piccolo di Trieste pubblicava uno scoop del giornalista Mauro Manzin, che dava notizia di un clamoroso rapporto dell'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare, IRSN (coinvolto nella progettazione di Kr Ewko-2). Vi si leggeva che l'istituzione pubblica francese IRSN aveva giudicato il sito di Kr Ewko inadatto alla costruzione del nuovo impianto a causa del rischio sismico. La notizia è clamorosa perché, ovviamente, getta un'ombra preoccupante anche sulla sicurezza della centrale in funzione;
   come risulta ufficialmente, l'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare aveva addirittura scritto ufficialmente all'ente elettrico/energetico sloveno in questi termini: «questa nuova e grave scoperta [di una faglia attiva vicina all'impianto; ndr] non permette di concludere in modo favorevole sull'adeguatezza dei due siti per la costruzione di una nuova centrale nucleare»; «andrebbe ricordato che la valutazione dei fenomeni di spostamento permanente del terreno di fondazione è un tema altamente impegnativo, data l'insufficiente esperienza internazionale attualmente disponibile nonché la mancanza di metodi e strumenti consolidati [di analisi]». «Questo Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare considera che è di estrema [utmost] importanza che le possibili implicazioni di questa capacità di faglia [rottura della faglia Libna] sulla sicurezza dell'impianto esistente, così come la sua potenziale relazione strutturale con altre faglie vicine, sia affrontata senza ritardo. Io [scrive il direttore francese Repussard] ho capito che GEN si è sentita preoccupata su questo argomento ed era sicuramente intenzionata ad informare su questa scoperta l'esercente dell'impianto Kr Ewko-1 (Nuklearna Elektrarna Kr Ewko – NEK) così come l'Agenzia slovena per la sicurezza nucleare (NSA). Io sarei molto grato se voi poteste confermare che ciò è stato effettivamente fatto, dal momento che io ravviso importante richiamare l'attenzione della NSA su questo argomento, in considerazione delle potenziali implicazioni di sicurezza che esso può avere a livello nazionale ed internazionale»;
   come si vede, una lettera molto forte, che pare voler superare reticenze slovene, ventilando problemi di sicurezza per lo meno anche italiani;
   si noti che gli insanabili dissidi tecnici sulla valutazione del rischio sismico/di Kr Ewko tra l'ente elettrico/energetico sloveno (GEN) e l'Agenzia, slovena per la sicurezza nucleare (NSA), da una parte, e l'IRSN pubblico francese – dall'altra – portavano i francesi ad abbandonare il consorzio tecnico-scientifica franco-slovena per lo studio di Kr Ewko-2 e inducevano il Governo sloveno a scioglierla;
   al 33° Congresso europeo di sismologia, a Mosca (General Assembly of the European Seismological Commission ESC 2012, 19-24 agosto 2012, simposio NIS-3, p. 350) era stato per altro già presentato uno studio italiano in cui si calcolava per la zona di Kr Ewko un terremoto massimo di magnitudo Richter M=7,2 (oltre 30 volte più forte del terremoto dell'Emilia del 2012). Autori di questo rapporto erano due ricercatori dell'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, OGS, e due docenti dell'università di Trieste; fra i quali lo stesso coordinatore della sessione del congresso dedicata alla valutazione delle faglie capaci di produrre i massimi terremoti da considerare nella progettazione dei grandi impianti ed il segretario dell'Associazione internazionale di sismologia e di fisica dell'interno della terra (che riunisce i massimi esperti mondiali);
   recentemente, gli stessi autori hanno pubblicato su una rivista scientifica con verifica internazionale («peer review») un articolo sulla pericolosità sismica dell'area della centrale in questione (vedi: Sirovich L., Suhadolc P., Costa G. and F. Pettenati 2013. A review of the seismotectonics and some considerations on the seismic hazard of the Kr Ewko NPP area; SE Slovenia. Boll. Geof. Teor. e Appl., 55, 1, 175-195, DOI 10.4430/bgta0103.). In esso viene spiegato il calcolo della magnitudo di 7,2 e vengono proposte valutazioni sulla pericolosità delle faglie nel sottosuolo della zona, la cui presenza – si badi bene – era ignota ai progettisti dell'impianto alla fine degli anni settanta del Novecento;
   lo stesso articolo si sofferma anche sui risultati dei cosiddetti «Stress Tests» della centrale (calcoli di verifica dei margini di sicurezza) distribuiti dal Ministero per l'ambiente della Repubblica di Slovenia. In particolare, i quattro studiosi italiani scrivono: a) che l'unico parametro adottato per le verifiche (scuotimento massimo del suolo espresso come accelerazione con una certa probabilità di occorrenza) è insufficiente per consentire, anche a un’équipe di esperti, di trarre conclusioni attendibili; b) gli stessi (così criticabili) stress test ammettono tuttavia che la centrale potrebbe subire incidenti e danni assai rilevanti per scuotimenti del terreno compatibili con la situazione sismologica della zona (ad esempio, danni ai sistemi di raffreddamento e perfino al nocciolo);
   i quattro esperti citati ricordano, fra l'altro che, in poco più di un secolo, la regione di Kr Ewko è stata sede di un terremoto nel 1880 (magnitudo Richter circa 6,3; 60 chilometri a est di Kr Ewko) e di un altro nel 1917 (magnitudo Richter 5,7-6,2 nelle immediate vicinanze dell'impianto);
   in un articolo divulgativo, apparso sulla rivista mensile Konrad (http://www.konradnews.org/centrale-nucleare-krsko-rischio-sismico-troppo-alto/), gli stessi quattro esperti scrivono di avere sentito la necessità di presentare la situazione alla presidente del Friuli-Venezia Giulia, Serracchiani, trasmettendole anche un appunto con bibliografia ed illustrazioni. In esso, i quattro esperti in questione scrivevano che «in un momento non prevedibile, la centrale potrebbe venire colpita da un terremoto in grado forse di causare gravi conseguenze [...] secondo questi Stress test, danni gravi – comprese lesioni alla piscina delle barre e blocco dei sistemi di raffreddamento –, potrebbero venire causati da un terremoto di magnitudo M compatibile con la situazione sismologica della zona, oggi nota, se l'evento si verificasse vicino all'impianto, com’è purtroppo possibile». «A nostro avviso,» – era la conclusione – «sarebbe auspicabile una sensibilizzazione del Governo italiano sull'argomento da parte del Presidente, affinché si giunga ad una verifica della situazione, anche con la partecipazione di esperti italiani»;
   l'attuale centrale Kr Ewko-1 (e, tanto più, un secondo impianto più potente), presente a ridosso del territorio nazionale, costituisce oggettivamente un pericolo per l'Italia, della cui entità il nostro Paese deve essere consapevole. La situazione sismica della regione di Kr Ewko – un'area sismica riconosciuta senza possibilità di dubbio – sembra rendere indispensabile un serio approfondimento di studio, anche in coordinamento per lo meno con il Governo sloveno e l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA) di Vienna –:
   se, e come, il Governo si voglia attivare per rendere l'Italia consapevole della pericolosità sismica dell'area in questione e dei livelli di rischio connessi, verificando che tali livelli rispettino i limiti imposti dalle più avanzate normative internazionali;
   se non si intenda – anche l'ausilio di esperti di fiducia – interpellare il Servizio geologico francese (BRGM) e l'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare (IRSN), facenti parte – fino al suo scioglimento – della Commissione tecnico-scientifica franco-slovena per lo studio di Kr Ewko-2, per conoscere le valutazioni tecniche di rischio elaborate dalle due istituzioni francesi, anche al fine di verificare se i livelli di pericolosità sismica dell'area in questione rispettino i limiti imposti dalle più avanzate normative internazionali, e se non si intenda attivarsi per l'istituzione di una sede di coordinamento tecnico permanente almeno fra i due Governi e la IAEA, al fine di prevedere l'inserimento di esperti italiani nelle commissioni di studio coinvolte nelle valutazioni su Kr Ewko-1 e su Kr Ewko-2.
(4-06863)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base di specifici elementi acquisiti dal competente Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che tali elementi risultano dalla partecipazione dell'Ispra, tramite il Centro nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, alle funzioni di autorità nazionale di regolamentazione competente in materia, nonché alle correlate attività internazionali nell'ambito dell'Unione europea, in particolare del gruppo Ensreg (European nuclear safety regulators group), dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Iaea) delle Nazioni unite, del Wenra (Western european nuclear safety association) – l'associazione delle autorità di sicurezza nucleare dei Paesi dell'Unione europea più la Svizzera e l'Ucraina, nella quale l'Italia è rappresentata sin dalla sua istituzione dall'Ispra –, nonché alle attività concernenti un accordo di cooperazione da tempo in atto tra l'istituto, quale Autorità di regolamentazione competente per la sicurezza nucleare e la radioprotezione e l'omologa Autorità di sicurezza nucleare slovena (Snsa – Slovenian nuclear safety administration). Essi derivano altresì dalle attività di supporto che l'istituto fornisce all'Autorità di protezione civile per la pianificazione e la risposta alle emergenze nucleari e radiologiche.
  La Slovenia, dove è installata la centrale di Krško, ha ratificato da anni la Convenzione sulla sicurezza nucleare e recepito nella sua legislazione la direttiva del Consiglio dell'Unione europea n. 70/2009/Euratom che stabilisce un quadro comunitario sulla sicurezza delle installazioni nucleari. La Snsa è altresì un membro del Wenra (Western european nuclear regulators association) ed ha partecipato alle attività di elaborazione di livelli di riferimento per la sicurezza nucleare per gli impianti nucleari in esercizio nei paesi europei, assumendo l'impegno a darne attuazione per la centrale di Krško.
  Ciò premesso, si riportano le seguenti informazioni sugli aspetti di sicurezza della centrale di Krško,, con particolare riferimento alla problematica sismica.
  La centrale nucleare di Krško è del tipo ad acqua leggera pressurizzata costruita nel 1974 come un progetto congiunto degli operatori elettrici della Slovenia e della Croazia, sulla base delle normative e degli standard statunitensi. L'esercizio della centrale fu avviato nell'agosto 1982. Nel corso degli anni sono stati attuati continui miglioramenti dell'impianto, secondo gli avanzamenti tecnologici, gli standard internazionali e le prassi derivanti dagli enti di controllo per la sicurezza nucleare.
  La problematica della sicurezza della centrale a fronte di eventi sismici è sempre stata oggetto di valutazioni e di indagini fin dalla costruzione dell'impianto, e molti degli interventi ingegneristici di miglioramento sono stati attuati per incrementare i margini di sicurezza a fronte di tali eventi.
  Nel 1994 fu condotta la prima revisione periodica sulla sicurezza dell'impianto (Periodic safety review – Psr), aggiornata poi ogni dieci anni. Tale revisione portò, tra l'altro, a rivalutare i parametri di riferimento per la caratterizzazione sismica dell'area. In particolare, il valore di Pga (Peak ground acceleration) assunto pari a 0,3 g quale riferimento di progetto all'epoca della costruzione della centrale, fu rivalutato a 0,42 g. Nel 2004, a seguito della successiva Psr, tale valore fu aggiornato a 0,56 g. Su tale base sono stati effettuati interventi di miglioramento delle caratteristiche di resistenza sismica dell'impianto.
  Inoltre, nel 2011, dopo l'incidente nucleare di Fukushima, il Consiglio dell'Unione europea invitò gli stati membri a svolgere una revisione di sicurezza straordinaria, denominata «Stress Test», dei propri impianti, analizzando le capacità di risposta dell'impianto a fronte di eventi naturali estremi quali sisma ed allagamento. Le conseguenze da analizzare per tali scenari riguardavano la perdita delle alimentazioni elettriche e dei sistemi di raffreddamento necessari per evitare gravi scenari incidentali come il danneggiamento del reattore. Tale revisione, svolta sulla base di specifiche elaborate dai regolatori europei per la sicurezza nucleare, ha portato alla redazione, da parte di ciascun Paese, di un rapporto nazionale sullo stato degli impianti installati sul proprio territorio.
  Successivamente, nel 2012 tali rapporti sono stati revisionati da gruppi di esperti provenienti dalle varie autorità di regolamentazione competenti di tutti gli Stati membri dell'Unione europea con lo scopo di valutare i margini di sicurezza esistenti e gli interventi migliorativi individuati da ciascuno Stato per i propri impianti. L'attuazione di tali interventi, mediante specifici Piani di azione nazionali, è oggetto di verifica da parte del gruppo di regolatori europei (Ensreg).
  Le valutazioni effettuate nell'ambito della prima fase degli «Stress Test» hanno confermato la scelta, già operata dalle autorità slovene, di aggiornare i riferimenti per la caratterizzazione sismica dell'area. È stato altresì valutato che l'impianto può far fronte al nuovo valore della sollecitazione sismica pari a 0,6 g. Dalle analisi condotte risulta che un tale sisma non causerebbe rotture del circuito primario e secondario e pertanto l'evoluzione incidentale può essere mitigata con opportuni sistemi di raffreddamento e spegnimento del reattore in grado di resistere alle sollecitazioni indotte dal sisma. Nell'ambito delle valutazioni sui margini esistenti è stato poi evidenziato che un incidente severo comportante il danneggiamento del reattore potrebbe verificarsi a seguito di un sisma solo nel caso in cui comportasse una Pga (Peak ground acceleration) di almeno 0.8 g, evento caratterizzato da un tempo di ritorno atteso dell'ordine di 50.000 anni.
  A seguito del processo di revisione degli «Stress Test» è stato raccomandato alle autorità slovene di aggiornare, per le modifiche d'impianto previste dal piano d'azione, le basi di progetto relative al sisma secondo i nuovi riferimenti e conseguentemente il modello dell'associato studio probabilistico sismico di sicurezza. Negli ultimi due anni sono stati poi svolti ulteriori importanti studi sulle caratteristiche geologiche e sismiche dell'area, in particolare in relazione al programma di realizzazione nel sito di un nuovo impianto, per determinare le potenzialità delle faglie vicine (in particolare la faglia di Libna). L'autorità di sicurezza nucleare slovena ritiene che tali studi abbiano confermato le conclusioni già raggiunte nel 2004.
  Le valutazioni del rischio sismico ed i conseguenti adeguamenti dell'impianto sono parte essenziale del National action pian sloveno, che si fonda su di un preciso programma di interventi di miglioramenti della sicurezza (Safety upgrading programme-Sup), approvato dall'Autorità slovena nel 2009 e successivamente via via aggiornato, anche a seguito dell'incidente di Fukushima e degli «Stress Test». Il programma prevede una serie di modifiche molto significative, in larga parte già attuate, con una previsione di completamento per un'ulteriore parte nel 2018 e per la parte restante nel 2021.
  Con le misure del «Safety upgrading programme» la Slovenia prevede di fronteggiare scenari ben al di là di quelli assunti a riferimento per le basi di progetto dell'impianto. Scenari ulteriormente degradati potranno invece essere fronteggiati grazie alla disponibilità di un insieme di componenti ed attrezzature portatili gestiti secondo opportune procedure di emergenza.
  Va poi evidenziato che durante un incontro svoltosi sulla base dell'accordo bilaterale tra l'Ispra e l'Snsa il 18 ottobre 2006, ospitato dalla Prefettura di Trieste, l'Autorità slovena ha ribadito, in merito alle analisi sismologiche condotte, l'assenza di una posizione unanime da parte del mondo scientifico in merito al rischio sismico associato all'impianto di Krško e che a tale riguardo l'autorità slovena è anche in attesa della pubblicazione del rapporto conclusivo del workshop internazionale «Fact finding workshop on the attive tectonics of the Krško region» organizzato dal Ministero dell'Ambiente austriaco tenutosi il 7 aprile 2016. In merito l'Ispra ha contattato il Ministero dell'Ambiente austriaco che ha assicurato di inviare all'istituto gli atti del workshop, non appena disponibili.
  Ulteriori studi sulle caratteristiche geologiche e sismiche dell'area verranno svolti nei prossimi due anni ed un aggiornamento dei parametri di caratterizzazione del rischio sismico dell'area verrà pertanto considerato una volta acquisiti gli esiti di detti studi. L'ISPRA ha già concordato con l'Autorità di sicurezza slovena un successivo incontro per acquisire le risultanze di detti approfondimenti.
  Ciò detto, va inoltre precisato che, trattandosi di una problematica che investe un impianto sito in un Paese estero, occorre tener presenti i principi sanciti negli strumenti di diritto internazionale applicabili, quali la Convenzione sulla sicurezza nucleare e le direttive comunitarie in materia. Ci si riferisce in particolare al fatto che la sicurezza delle installazioni nucleari ricade in primo luogo sotto la responsabilità dei singoli Stati, più specificatamente dell'esercente, con il controllo e la supervisione dell'autorità di regolamentazione competente nazionale e nel rispetto degli obblighi posti dai succitati strumenti. Peraltro, in relazione alle possibili implicazioni di natura transfrontaliera di eventuali incidenti, gli stessi strumenti di diritto internazionale sanciscono specifici obblighi per i singoli paesi in relazione ai livelli di sicurezza da garantire, ivi incluso l'obbligo di sottoporre il proprio sistema di regolamentazione e controllo e gli impianti a processi di peer review internazionale. Risulta al riguardo che la Slovenia si sottopone da anni a tali processi, e, a tale riguardo, durante il VII Review meeting svoltosi dal 27 marzo al 7 aprile scorso, la Slovenia ha confermato che in maggio ospiterà sull'impianto di Krško, sulla base di una propria richiesta, la quarta missione Osart (Operational safety review team) della Agenzia internazionale per l'energia atomica, formata da esperti internazionali che condurranno ispezioni sull'impianto per verificare la sicurezza operativa dell'impianto in diverse aree inerenti la gestione in sicurezza dell'impianto nel suo complesso e nel caso di eventuali incidenti.
  Ad ogni modo, i livelli di protezione a fronte di eventuali situazioni incidentali si basano sull'approccio della difesa in profondità, caratterizzato da numerose barriere e predisposizioni atte a prevenire rilasci significativi di radioattività all'ambiente, nonché sulle predisposizioni di risposta all'emergenza, attraverso apposite pianificazioni, nel caso si dovesse verificare un incidente. In tale ambito, il sistema italiano di risposta ad un eventuale incidente nucleare che dovesse verificarsi in una centrale nucleare straniera tra quelle più vicine ai confini nazionali, quale l'impianto nucleare di Krško in Slovenia, è disciplinato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 marzo 2010 «Piano nazionale delle misure protettive contro le emergente radiologiche». Il Piano, prendendo a riferimento eventi incidentali anche molto gravi (come quello di Fukushima), individua le misure necessarie per fronteggiare le conseguenze di tali incidenti, che richiedono azioni di intervento coordinate a livello nazionale. A tale scopo, esso definisce le procedure operative per la gestione del flusso delle informazioni tra i diversi soggetti coinvolti, l'attivazione e il coordinamento delle principali componenti del Servizio nazionale della protezione civile, e descrive il modello organizzativo per la gestione dell'emergenza con l'indicazione degli interventi prioritari da disporre a livello nazionale ai fini della massima riduzione degli effetti indotti sulla popolazione italiana e sull'ambiente dall'emergenza radiologica.
  L'attivazione del Piano può avvenire con le diverse modalità operative previste dal sistema nazionale di allertamento. In particolare, ai sensi delle Convenzioni internazionali in materia, nonché, per i paesi comunitari, in linea con quanto stabilito dalla Unione europea, il paese in cui dovesse verificarsi un incidente nucleare ha l'obbligo di notificare tempestivamente ai paesi limitrofi ed alla comunità internazionale la situazione di emergenza. In tale contesto, l'Ispra è Punto di contatto nazionale e Autorità competente per la ricezione delle notifiche di incidente e per lo scambio rapido delle informazioni nel corso di una emergenza nucleare. Inoltre, sono in essere accordi bilaterali con i paesi confinanti presso i quali sono in esercizio impianti nucleari di potenza (Francia, Svizzera e Slovenia), nel cui ambito sono previsti sistemi di allertamento immediato tra le Autorità di sicurezza nucleare (l'Ispra per l'Italia) in caso di eventi incidentali che possano portare al rilascio di radioattività all'ambiente.
  Quale elemento di ridondanza, anche in caso di un fallimento dei sistemi di pronta notifica, sono in funzione su tutto il territorio nazionale, ed in particolare nelle regioni più esposte al rischio di un incidente nucleare oltre frontiera, le reti automatiche di monitoraggio della radioattività ambientale ai fini del pronto-allarme, la cui strumentazione è in grado di segnalare automaticamente e tempestivamente la presenza di radioattività nell'ambiente. Tra queste si segnalano quelle di livello nazionale dell'Ispra e del Ministero dell'interno, gestita dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché le reti che a livello regionale sono gestite dalle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente.
  Il piano prevede una attivazione con due livelli di gravità: il livello di «pre-allarme», nel caso di un incidente nucleare che si verifichi in uno degli impianti che operano entro una distanza di 200 km dai confini italiani; il livello di «allarme», in caso di aggravamento dello scenario precedente con interessamento del territorio nazionale ed eventuale attivazione delle misure protettive previste dal Piano stesso.
  Al riguardo, in caso di piena attivazione del Piano, sulla base delle previsioni di diffusione della nube radioattiva sul territorio nazionale elaborate dal Centro emergenze nucleari dell'Ispra, ovvero in base ai dati delle reti di monitoraggio, nonché delle informazioni disponibili sullo stato dell'impianto nucleare, il Comitato operativo della protezione civile può decidere di invitare la popolazione residente nelle aree interessate dal passaggio della nube radioattiva, a restare in luoghi chiusi, come pure di attivare le procedure per la distribuzione di compresse di iodio stabile agli individui della popolazione maggiormente radiosensibili (bambini e ragazzi di età inferiore a 18 anni, donne in gravidanza o in allattamento). La distribuzione di ioduro di potassio a scopo di profilassi viene assicurata dal Servizio sanitario regionale, secondo una pianificazione concordata tra la regione interessata, il Dipartimento della protezione civile e il Ministero della salute.
  È inoltre prevista l'attuazione di misure finalizzate ad evitare l'assunzione di acqua e di alimenti contaminati da parte della popolazione e degli animali destinati alla produzione di alimenti.
  Al fine di caratterizzare l'impatto conseguente l'eventuale ricaduta radioattiva, il Piano prevede l'attivazione di un vasto programma di monitoraggio radiologico dell'ambiente e degli alimenti che deve estendersi nel tempo e coprire le aree interessate. Al riguardo, tutte le reti di monitoraggio che operano sul territorio nazionale devono far confluire le misure al «Centro di elaborazione e valutazione dati», CEVaD, di cui all'articolo 123 del decreto legislativo n. 230 del 1995. Il CEVaD, composto da esperti di diverse amministrazioni competenti in materia, è attivato presso il Centro emergenze nucleari dell'Ispra che ne coordina le attività.
  Tra i suoi compiti, il CEVaD, valutati i livelli di radioattività nell'ambiente, ne stima l'impatto sulla popolazione indicando alle autorità di protezione civile le opportune misure protettive da adottare, e fornendo gli elementi di base alle autorità competenti per l'informazione alla popolazione.
  Per quanto attiene all'informazione alla popolazione nel corso di una emergenza nucleare nazionale, l'autorità competente è il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Da ultimo, va evidenziato che, in relazione alla centrale di Krško, è da tempo in atto tra l'Ispra e l'Arpa Friuli Venezia Giulia una collaborazione finalizzata allo scambio di informazioni e delle correlate valutazioni, in particolare per eventuali situazioni anomale o incidentali.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli Interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio, tenendosi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento (UE) n. 660/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 recante «Modifica del regolamento (CE) n. 1013/2006 relativo alle spedizioni di rifiuti» e, in particolare, l'articolo 1, paragrafo 3, lettera b), prevede l'obbligo per gli Stati membri di elaborare uno o più piani di ispezione;
   il Ministero dell'ambiente ha emanato il decreto 22 dicembre 2016, recante «Adozione del piano nazionale delle ispezioni di stabilimenti, imprese, intermediari e commercianti, in conformità dell'articolo 34 della direttiva 2008/98/CE, nonché delle spedizioni di rifiuti e relativo recupero o smaltimento», pubblicato in Gazzetta Ufficiale (n. 7 del 10 gennaio 2017);
   l'introduzione del piano recita testualmente: «La problematica dei controlli sulle spedizioni di rifiuti è considerata una priorità nell'ambito del Regolamento (CE) n. 1013/2006 sulle spedizioni di rifiuti, al fine di individuare e prevenire il problema delle spedizioni illegali. Tali spedizioni di rifiuti, infatti, sono causa di considerevoli danni alla salute umana e all'ambiente soprattutto nel caso in cui i rifiuti non vengano recuperati o smaltiti in maniera ambientalmente corretta nei paesi di destinazione»;
   il provvedimento citato contiene l'allegato I, recante: «Flussi di rifiuti prioritari in uscita dal territorio italiano» nel quale non risultano menzionati i materiali con codici CER 150102 (relativo agli imballaggi in plastica) e 020104 (rifiuti plastici e a base di polietilene), nonostante siano stati evidenziati numerosi traffici, soprattutto illeciti, verso la Cina, altri Paesi europei ed extraeuropei;
   è impressionante la quantità di imballaggi e di rifiuti plastici che vengono inviati illegalmente all'estero per essere riciclati e poi rientrare in Italia sotto forme diverse, riducendo in maniera sensibile il materiale a disposizione delle imprese nazionali del riciclo;
   l'assenza di tali codici comporta la mancanza delle ispezioni minime previste presso stabilimenti, imprese, intermediari e commercianti di rifiuti plastici, da parte degli organi di controllo;
   il regolamento (CE) n. 1013/2006 distingue due procedure per la spedizione dei rifiuti: sono soggetti alla procedura preventiva di notifica e autorizzazione scritta (disciplinata al capo I, articolo 4 e seguenti) i rifiuti di cui all'articolo 3, paragrafo 1, lettere a) e b), del regolamento (elenco ambra nell'allegato IV), mentre i rifiuti di cui all'articolo 3, paragrafi 2 e 4 (elenco verde nell'allegato III), sono soggetti solo a obblighi generali di informazione (con procedura disciplinata al capo II, articolo 18, del regolamento). Per il loro trasporto è sufficiente che i rifiuti siano accompagnati dal modulo contenuto nell'allegato VII e gestiti in impianti autorizzati;
   con il citato provvedimento viene istituito un sistema informatico, gestito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di raccolta dati relativi alle spedizioni di rifiuti vista la necessità di garantire una cooperazione effettiva, nonché un coordinamento tra le diverse autorità coinvolte. Si fa, quindi, riferimento alle spedizioni soggette alla «procedura di notifica ed autorizzazione preventiva scritta» riservate ai rifiuti presenti nella «lista ambra»;
   il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dedica il capo 5 ai «Criteri procedurali delle ispezioni» il cui testo recita: «Sulla base delle informazioni inserite nel sistema informatico da parte delle Autorità Competenti, nonché dei notificatori/destinatari, gli Organi di Controllo pianificano le ispezioni tenendo conto delle priorità risultanti dalla valutazione dei rischi e riportate nell'Allegato I del presente Piano» –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario adottare iniziative al fine di modificare il decreto ministeriale, prevedendo l'inserimento di disposizioni per i materiali con codici CER 150102 e 020104 e impedendo che vengano inviati all'estero, spesso illegalmente, rifiuti plastici e imballaggi;
   come verranno pianificate le ispezioni concernenti le spedizioni dei rifiuti inseriti nella «lista verde» e soggetti ai soli «obblighi generali di informazione».
(4-15619)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Il regolamento (UE) n. 660 del 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 è stato adottato, tra le altre cose, al fine di armonizzare le modalità con cui gli Stati membri garantiscono l'effettiva applicazione dell'articolo 50 del regolamento (CE) n. 1013 del 2006 sulle spedizioni di rifiuti, in modo da assicurare una pianificazione regolare e coerente delle ispezioni su stabilimenti, imprese, intermediari e commercianti in conformità all'articolo 34 della direttiva 2008/98/CE, nonché sulle spedizioni di rifiuti e del relativo recupero o smaltimento.
  In particolare, l'articolo 1, paragrafo 3, lettera b) del regolamento (UE) n. 660 del 2014 prevedeva, entro il 1o gennaio 2017, l'adozione da parte degli stati membri di uno o più piani d'ispezione.
  Al riguardo, la scelta operata da questo Ministero, nell'ambito peraltro di un percorso condiviso con i rappresentanti dei competenti organi di controllo, è stata quella di elaborare un solo piano delle ispezioni, anziché delegare alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, quali autorità competenti di spedizione/destinazione ai sensi dell'articolo 194, comma 6 del decreto legislativo 152 del 2006, la predisposizione dei rispettivi piani. Tale ultima opzione, infatti, avrebbe comportato un'eccessiva frammentazione del sistema delle ispezioni ed un'attuazione del regolamento non omogenea sul territorio nazionale.
  Il piano nazionale delle ispezioni, quindi, adottato con decreto del Ministero dell'ambiente il 22 dicembre 2016, si basa su una valutazione dei rischi inerente a flussi specifici di rifiuti e contiene una serie di informazioni fondamentali, quali obiettivi, priorità, zona geografica coperta, numero minimo di ispezioni da eseguire, compiti assegnati alle autorità coinvolte nelle ispezioni, accordi relativi alla cooperazione fra tali autorità, informazioni sulla formazione degli ispettori, nonché sulle risorse umane, finanziarie e di altro genere impegnate per l'attuazione del piano stesso.
  Il piano, inoltre, prevede come misura di attuazione fondamentale l'istituzione di un sistema informatico di raccolta dati sulle spedizioni transfrontaliere di rifiuti autorizzate con procedura di notifica ed autorizzazione preventiva scritta dalle autorità competenti di spedizione/destinazione e transito (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) di cui all'articolo 194, comma 6 del decreto legislativo 152 del 2006.
  Il sistema sarà installato presso un server del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e sarà accessibile ai diversi utenti coinvolti (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, organi di controllo, autorità competenti di spedizione/destinazione, notificatori, impianti di destinazione) con profili dedicati e funzioni differenziate.
  In particolare, le autorità competenti di spedizione/destinazione saranno tenute ad accedere al sistema, registrandosi con apposite credenziali rilasciate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ad inserire al suo interno alcune rilevanti informazioni riguardanti le autorizzazioni rilasciate alle notifiche delle spedizioni di rifiuti in uscita/entrata dal/nel territorio nazionale. Allo stesso modo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, quale autorità competente di transito, provvederà all'inserimento delle informazioni relative alle autorizzazioni rilasciate alle spedizioni di rifiuti in transito sul territorio italiano.
  Le Forze di polizia e gli organi di controllo che svolgono attività ispettive nell'ambito del territorio nazionale e presso le frontiere dell'Unione europea avranno pieno accesso al sistema e ai dati inseriti dalle autorità competenti di spedizione/destinazione, al fine di disporre di informazioni costantemente aggiornate sulle autorizzazioni rilasciate e poter programmare le rispettive ispezioni.
  Alla luce di quanto sopra esposto e ai fini del funzionamento del sistema informatico, appare evidente che l'analisi dei rischi elaborata da questa amministrazione non poteva che basarsi sui dati disponibili relativi alle spedizioni di rifiuti autorizzate con procedura di notifica ed autorizzazione preventiva scritta che le autorità competenti di spedizione/destinazione comunicano annualmente al Ministero dell'ambiente ai sensi dell'articolo 194, comma 7 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Tali dati consentono di tracciare le suddette spedizioni sia dal punto di vista degli itinerari seguiti sia da quello dei flussi di rifiuti trasportati (codici CER, codici della convenzione di Basilea e codici OCSE).
  Sono stati, quindi, individuati specifici flussi di rifiuti in uscita/entrata dal/nel territorio italiano ritenuti di particolare interesse in base a criteri legati principalmente alla classificazione e alla pericolosità del rifiuto, al rischio di contaminazione, alle quantità movimentate e a rischi legati a particolari destinazioni o provenienze. Tale selezione, riportata nell'allegato I al piano nazionale delle ispezioni, individua gli ambiti prioritari per l'effettuazione del numero minimo di ispezioni previste dal piano ma, allo stesso tempo, non esclude la possibilità per gli organi di controllo coinvolti di svolgere attività ispettive anche su altri flussi di rifiuti, nonché su altri stabilimenti, imprese, intermediari e commercianti.
  Per quanto riguarda, invece, le spedizioni relative alla tipologia di rifiuti rientranti nella cosiddetta «lista verde», quali quelli indicati dall'Interrogante (CER 150102 – imballaggi in plastica e CER 020104 – rifiuti plastici e a base di polietilene), queste sono soggette solo agli obblighi generali di informazione di cui all'articolo 18 del regolamento (CE) n. 1013 del 2006 a meno che non siano dirette verso quei Paesi, ai quali non si applica la decisione OCSE C(2001)107/FINAL, che richiedano espressamente l'applicazione della procedura di notifica e autorizzazione preventiva scritta.
  Generalmente, il soggetto che organizza tali spedizioni è tenuto solo ad assicurare che le stesse siano accompagnate dal documento di cui all'allegato VII del regolamento, senza necessità di richiedere specifiche autorizzazioni alle Autorità competenti interessate, che ne consentirebbero la tracciabilità. Per questo motivo, non è stato possibile inserire i flussi di rifiuti oggetto di spedizioni di cui alla procedura prevista dall'articolo 18 del regolamento (CE) n. 1013 del 2006 tra quelli individuati come prioritari nel piano delle ispezioni.
  Questo Ministero, tuttavia, è pienamente consapevole delle criticità legate a tali spedizioni di rifiuti e del rischio che si possano verificare traffici illeciti di rifiuti.
  Pertanto, a tale questione ed alla valutazione delle possibilità di inserimento delle spedizioni di rifiuti della cosiddetta «lista verde» nel piano delle ispezioni, nonché nel sistema ispettivo creato con il sistema informatico di raccolta dati, sarà dedicata particolare attenzione nel processo di revisione del piano che, come previsto dal regolamento (UE) 660 del 2014, si svolgerà almeno una volta ogni tre anni.
  In ogni caso, nell'ambito delle proprie competenze, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'Interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 22 aprile 2014 alle ore 10:58 a Trieste è stata avvertita una forte scossa di terremoto (magnitudo 4,6 Richter) il cui epicentro è stato localizzato in Slovenia, nell'area del Monte Nevoso a tre chilometri a Nord di Knezak, a una profondità di circa 16 chilometri;
   la zona è da tempo conosciuta come sismica, come testimoniato dal terremoto avvenuto il 1951, di magnitudo 5,1 Richter;
   Knezak dista circa 150 chilometri dalla centrale nucleare di Kr Ewko, di cui la Repubblica di Slovenia e la Repubblica di Croazia sono comproprietarie, e ad oggi non sono disponibili informazioni sugli eventuali danni che l'impianto avrebbe potuto subire a seguito del sisma;
   le problematiche della struttura di Kr Ewko, a 130 chilometri dal territorio italiano, sono state oggetto da parte dell'interrogante di tre interrogazioni a risposta scritta – 4-02329, 4-01177, 4-00417 – cui l'Esecutivo non ha ancora dato seguito;
   nei precedenti atti di sindacato ispettivo si è chiesto al Governo di intervenire presso le autorità dei Governi sloveno e croato in merito alle condizioni operative della centrale esistente, ormai obsoleta, ed allo stato dell'opera del progetto di costruzione di un secondo reattore nucleare «Kr Ewko 2» per il quale lo studio relativo al rischio sismico – condotto dall'istituto francese sulla sicurezza nucleare IRSN per conto della società di gestione della dell'impianto Gen Energija – avrebbe indicato delle criticità;
   secondo alcune indiscrezioni lo studio francese, rimasto riservato, avrebbe sconsigliato l'ampliamento dell'impianto nucleare vista la sua esistenza in un'area soggetta a movimenti tellurici per le conseguenze disastrose che si sarebbero potute verificare;
   lo stato dell'impianto desta preoccupazione anche per l'incidente riportato il 25 ottobre 2013 da un articolo del quotidiano Il Piccolo di Trieste intitolato «Barra nucleare trovata spezzata a Kr Ewko», che ha rilevato come, durante gli ordinari lavori di manutenzione nella centrale, siano stati rilevati danni di natura meccanica alla struttura;
   in particolare, alcune barre di carburante nucleare contenute nei tre elementi di combustibile del reattore si sarebbero incrinate e addirittura spezzate. La parte rotta di una di esse, lunga mezzo metro, sarebbe stata rinvenuta sul fondo del bacino di raffreddamento del reattore durante le ispezioni dell'Agenzia slovena per la sicurezza nucleare (Ursjv);
   l'Italia con due referendum abrogativi, svolti nel 1987 e nel 2011, ha deciso di non costruire reattori nucleari sul proprio territorio;
   le centrali di altri Paesi presenti a ridosso o lungo il territorio di confine possono costituire un serio pericolo per la cittadinanza, soprattutto come nel caso della centrale di Kr Ewko, costruita in un'area sismica riconosciuta –:
   se il Governo intenda chiedere immediatamente informazioni dettagliate alla Repubblica di Slovenia sullo stato attuale della centrale nucleare di Kr Ewko a seguito dell'evento sismico summenzionato, attivandosi con la regione Friuli Venezia Giulia e gli enti preposti per un monitoraggio del livello di radiazioni presenti sul territorio giuliano. (4-04652)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base di specifici elementi acquisiti dal competente Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che tali elementi risultano dalla partecipazione dell'Ispra, tramite il Centro nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, alle funzioni di autorità nazionale di regolamentazione competente in materia, nonché alle correlate attività internazionali nell'ambito dell'Unione europea, in particolare del gruppo Ensereg (European nuclear safety regulators group), dell'Agenzia internazionale per l'Energia atomica (Iaea) delle Nazioni unite, del Wenra (Western european nuclear safety association) – l'associazione delle autorità di sicurezza nucleare dei Paesi dell'Unione europea più la Svizzera e l'Ucraina, nella quale l'Italia è rappresentata sin dalla sua istituzione dall'Ispra –, nonché alle attività concernenti un accordo di cooperazione da tempo in atto tra l'istituto, quale Autorità di regolamentazione competente per la sicurezza nucleare e la radioprotezione e l'omologa Autorità di sicurezza nucleare slovena (Snsa – Slovenian nuclear safety administration). Essi derivano altresì dalle attività di supporto che l'istituto fornisce all'Autorità di protezione civile per la pianificazione e la risposta alle emergenze nucleari e radiologiche.
  La Slovenia, dove è installata la centrale di Krško, ha ratificato da anni la Convenzione sulla sicurezza nucleare e recepito nella sua legislazione la direttiva del Consiglio dell'Unione europea n. 70/2009/Euratom che stabilisce un quadro comunitario sulla sicurezza delle installazioni nucleari. La Snsa è altresì un membro del Wenra (Western european nuclear regulators association) ed ha partecipato alle attività di elaborazione di livelli di riferimento per la sicurezza nucleare per gli impianti nucleari in esercizio nei paesi europei, assumendo l'impegno a darne attuazione per la centrale di Krško.
  Ciò premesso, si riportano le seguenti informazioni sugli aspetti di sicurezza della centrale di Krško, con particolare riferimento alla problematica sismica.
  La centrale nucleare di Krško è del tipo ad acqua leggera pressurizzata costruita nel 1974 come un progetto congiunto degli operatori elettrici della Slovenia e della Croazia, sulla base delle normative e degli standard statunitensi. L'esercizio della centrale fu avviato nell'agosto 1982. Nel corso degli anni sono stati attuati continui miglioramenti dell'impianto, secondo gli avanzamenti tecnologici, gli standard internazionali e le prassi derivanti dagli enti di controllo per la sicurezza nucleare.
  La problematica della sicurezza della centrale a fronte di eventi sismici è sempre stata oggetto di valutazioni e di indagini fin dalla costruzione dell'impianto, e molti degli interventi ingegneristici di miglioramento sono stati attuati per incrementare i margini di sicurezza a fronte di tali eventi.
  Nel 1994 fu condotta la prima revisione periodica sulla sicurezza dell'impianto (Periodic safety review – PSR), aggiornata poi ogni dieci anni. Tale revisione portò, tra l'altro, a rivalutare i parametri di riferimento per la caratterizzazione sismica dell'area. In particolare, il valore di Pga (Peak ground acceleration) assunto pari a 0,3 g quale riferimento di progetto all'epoca della costruzione della centrale, fu rivalutato a 0,42 g. Nel 2004, a seguito della successiva Psr, tale valore fu aggiornato a 0,56 g. Su tale base sono stati effettuati interventi di miglioramento delle caratteristiche di resistenza sismica dell'impianto.
  Inoltre, nel 2011, dopo l'incidente nucleare di Fukushima, il Consiglio dell'Unione europea invitò gli stati membri a svolgere una revisione di sicurezza straordinaria, denominata «Stress Test», dei propri impianti, analizzando le capacità di risposta dell'impianto a fronte di eventi naturali estremi quali sisma ed allagamento. Le conseguenze da analizzare per tali scenari riguardavano la perdita delle alimentazioni elettriche e dei sistemi di raffreddamento necessari per evitare gravi scenari incidentali come il danneggiamento del reattore. Tale revisione, svolta sulla base di specifiche elaborate dai regolatori europei per la sicurezza nucleare, ha portato alla redazione, da parte di ciascun Paese, di un rapporto nazionale sullo stato degli impianti installati sul proprio territorio.
  Successivamente, nel 2012 tali rapporti sono stati revisionati da gruppi di esperti provenienti dalle varie autorità di regolamentazione competenti di tutti gli Stati membri dell'Unione europea con lo scopo di valutare i margini di sicurezza esistenti e gli interventi migliorativi individuati da ciascuno Stato per i propri impianti. L'attuazione di tali interventi, mediante specifici piani di azione nazionali, è oggetto di verifica da parte del gruppo di regolatori europei (Ensreg).
  Le valutazioni effettuate nell'ambito della prima fase degli «Stress Test» hanno confermato la scelta, già operata dalle autorità slovene, di aggiornare i riferimenti per la caratterizzazione sismica dell'area. È stato altresì valutato che l'impianto può far fronte al nuovo valore della sollecitazione sismica pari a 0,6 g. Dalle analisi condotte risulta che un tale sisma non causerebbe rotture del circuito primario e secondario e pertanto l'evoluzione incidentale può essere mitigata con opportuni sistemi di raffreddamento e spegnimento del reattore in grado di resistere alle sollecitazioni indotte dal sisma. Nell'ambito delle valutazioni sui margini esistenti è stato poi evidenziato che un incidente severo comportante il danneggiamento del Reattore potrebbe verificarsi a seguito di un sisma solo nel caso in cui comportasse una Pga (Peak ground acceleration) di almeno 0.8 g, evento caratterizzato da un tempo di ritorno atteso dell'ordine di 50.000 anni.
  A seguito del processo di revisione degli «Stress Test» è stato raccomandato alle autorità slovene di aggiornare, per le modifiche d'impianto previste dal piano d'azione, le basi di progetto relative al sisma secondo i nuovi riferimenti e conseguentemente il modello dell'associato studio probabilistico sismico di sicurezza. Negli ultimi due anni sono stati poi svolti ulteriori importanti studi sulle caratteristiche geologiche e sismiche dell'area, in particolare in relazione al programma di realizzazione nel sito di un nuovo impianto, per determinare le potenzialità delle faglie vicine (in particolare la faglia di Libna). L'autorità di sicurezza nucleare slovena ritiene che tali studi abbiano confermato le conclusioni già raggiunte nel 2004.
  Le valutazioni del rischio sismico ed i conseguenti adeguamenti dell'impianto sono parte essenziale del National action plan sloveno, che si fonda su di un preciso programma di interventi di miglioramenti della sicurezza (Safety upgrading programme-Sup), approvato dall'Autorità Slovena nel 2009 e successivamente via via aggiornato, anche a seguito dell'incidente di Fukushima e degli «Stress Test». Il programma prevede una serie di modifiche molto significative, in larga parte già attuate, con una previsione di completamento per un'ulteriore parte nel 2018 e per la parte restante nel 2021.
  Con le misure del «Safety upgrading programme» la Slovenia prevede di fronteggiare scenari ben al di là di quelli assunti a riferimento per le basi di progetto dell'impianto. Scenari ulteriormente degradati potranno invece essere fronteggiati grazie alla disponibilità di un insieme di componenti ed attrezzature portatili gestiti secondo opportune procedure di emergenza.
  Va poi evidenziato che durante un incontro svoltosi sulla base dell'accordo bilaterale tra l'Ispra e l'Snsa il 18 ottobre 2006, ospitato dalla Prefettura di Trieste, l'Autorità slovena ha ribadito, in merito alle analisi sismologiche condotte, l'assenza di una posizione unanime da parte del mondo scientifico in merito al rischio sismico associato all'impianto di Krško e che a tale riguardo l'autorità slovena è anche in attesa della pubblicazione del rapporto conclusivo del workshop internazionale «Fact finding workshop on the active tectonics of the Krško region» organizzato dal Ministero dell'ambiente austriaco tenutosi il 7 aprile 2016. In merito l'Ispra ha contattato il Ministero dell'Ambiente austriaco che ha assicurato di inviare all'istituto gli atti del workshop, non appena disponibili.
  Ulteriori studi sulle caratteristiche geologiche e sismiche dell'area verranno svolti nei prossimi due anni ed un aggiornamento dei parametri di caratterizzazione del rischio sismico dell'area verrà pertanto considerato una volta acquisiti gli esiti di detti studi. L'Ispra ha già concordato con l'Autorità di sicurezza slovena un successivo incontro per acquisire le risultanze di detti approfondimenti.
  Ciò detto, va inoltre precisato che, trattandosi di una problematica che investe un impianto sito in un Paese estero, occorre tener presenti i principi sanciti negli strumenti di diritto internazionale applicabili, quali la Convenzione sulla sicurezza nucleare e le direttive comunitarie in materia. Ci si riferisce in particolare al fatto che la sicurezza delle installazioni nucleari ricade in primo luogo sotto la responsabilità dei singoli Stati, più specificatamente dell'esercente, con il controllo e la supervisione dell'autorità di regolamentazione competente nazionale e nel rispetto degli obblighi posti dai succitati strumenti. Peraltro, in relazione alle possibili implicazioni di natura transfrontaliera di eventuali incidenti, gli stessi strumenti di diritto internazionale sanciscono specifici obblighi per i singoli paesi in relazione ai livelli di sicurezza da garantire, ivi incluso l'obbligo di sottoporre il proprio sistema di regolamentazione e controllo e gli impianti a processi di peer review internazionale. Risulta al riguardo che la Slovenia si sottopone da anni a tali processi, e, a tale riguardo, durante il VII Review meeting svoltosi dal 27 marzo al 7 aprile 2017, la Slovenia ha confermato che in maggio ospiterà sull'impianto di Krško, sulla base di una propria richiesta, la quarta missione Osart (Operational safety review team) della Agenzia internazionale per l'energia atomica, formata da esperti internazionali che condurranno ispezioni sull'impianto per verificare la sicurezza operativa dell'impianto in diverse aree inerenti la gestione in sicurezza dell'impianto nel suo complesso e nel caso di eventuali incidenti.
  Ad ogni modo, i livelli di protezione a fronte di eventuali situazioni incidentali si basano sull'approccio della difesa in profondità, caratterizzato da numerose barriere e predisposizioni atte a prevenire rilasci significativi di radioattività all'ambiente, nonché sulle predisposizioni di risposta all'emergenza, attraverso apposite pianificazioni, nel caso si dovesse verificare un incidente. In tale ambito, il sistema italiano di risposta ad un eventuale incidente nucleare che dovesse verificarsi in una centrale nucleare straniera tra quelle più vicine ai confini nazionali, quale l'impianto nucleare di Krsko in Slovenia, è disciplinato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 marzo 2010 «Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche». Il Piano, prendendo a riferimento eventi incidentali anche molto gravi (come quello di Fukushima), individua le misure necessarie per fronteggiare le conseguenze di tali incidenti, che richiedono azioni di intervento coordinate a livello nazionale. A tale scopo, esso definisce le procedure operative per la gestione del flusso delle informazioni tra i diversi soggetti coinvolti, l'attivazione e il coordinamento delle principali componenti del Servizio nazionale della protezione civile, e descrive il modello organizzativo per la gestione dell'emergenza con l'indicazione degli interventi prioritari da disporre a livello nazionale ai fini della massima riduzione degli effetti indotti sulla popolazione italiana e sull'ambiente dall'emergenza radiologica.
  L'attivazione del Piano può avvenire con le diverse modalità operative previste dal sistema nazionale di allertamento. In particolare, ai sensi delle Convenzioni internazionali in materia, nonché, per i paesi comunitari, in linea con quanto stabilito dalla Unione europea, il paese in cui dovesse verificarsi un incidente nucleare ha l'obbligo di notificare tempestivamente ai paesi limitrofi ed alla comunità internazionale la situazione di emergenza. In tale contesto, l'Ispra è Punto di contatto nazionale e Autorità competente per la ricezione delle notifiche di incidente e per lo scambio rapido delle informazioni nel corso di una emergenza nucleare. Inoltre, sono in essere accordi bilaterali con i paesi confinanti presso i quali sono in esercizio impianti nucleari di potenza (Francia, Svizzera e Slovenia), nel cui ambito sono previsti sistemi di allertamento immediato tra le Autorità di sicurezza nucleare (l'Ispra per l'Italia) in caso di eventi incidentali che possano portare al rilascio di radioattività all'ambiente.
  Quale elemento di ridondanza, anche in caso di un fallimento dei sistemi di pronta notifica, sono in funzione su tutto il territorio nazionale, ed in particolare nelle regioni più esposte al rischio di un incidente nucleare oltre frontiera, le reti automatiche di monitoraggio della radioattività ambientale ai fini del pronto-allarme, la cui strumentazione è in grado di segnalare automaticamente e tempestivamente la presenza di radioattività nell'ambiente. Tra queste si segnalano quelle di livello nazionale dell'Ispra e del Ministero dell'interno, gestita dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché le reti che a livello regionale sono gestite dalle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente.
  Il Piano prevede una attivazione con due livelli di gravità: il livello di «pre-allarme», nel caso di un incidente nucleare che si verifichi in uno degli impianti che operano entro una distanza di 200 km dai confini italiani; il livello di «allarme», in caso di aggravamento dello scenario precedente con interessamento del territorio nazionale ed eventuale attivazione delle misure protettive previste dal Piano stesso.
  Al riguardo, in caso di piena attivazione del Piano, sulla base delle previsioni di diffusione della nube radioattiva sul territorio nazionale elaborate dal Centro emergenze nucleari dell'Ispra, ovvero in base ai dati delle reti di monitoraggio, nonché delle informazioni disponibili sullo stato dell'impianto nucleare, il Comitato operativo della protezione civile può decidere di invitare la popolazione residente nelle aree interessate dal passaggio della nube radioattiva, a restare in luoghi chiusi, come pure di attivare le procedure per la distribuzione di compresse di iodio stabile agli individui della popolazione maggiormente radiosensibili (bambini e ragazzi di età inferiore a 18 anni, donne in gravidanza o in allattamento). La distribuzione di ioduro di potassio a scopo di profilassi viene assicurata dal Servizio sanitario regionale, secondo una pianificazione concordata tra la regione interessata, il Dipartimento della protezione civile e il Ministero della salute.
  È inoltre prevista l'attuazione di misure finalizzate ad evitare l'assunzione di acqua e di alimenti contaminati da parte della popolazione e degli animali destinati alla produzione di alimenti.
  Al fine di caratterizzare l'impatto conseguente l'eventuale ricaduta radioattiva, il Piano prevede l'attivazione di un vasto programma di monitoraggio radiologico dell'ambiente e degli alimenti che deve estendersi nel tempo e coprire le aree interessate. Al riguardo, tutte le reti di monitoraggio che operano sul territorio nazionale devono far confluire le misure al «Centro di elaborazione e valutazione dati», CEVaD, di cui all'articolo 123 del decreto legislativo n. 230 del 1995. Il CEVaD, composto da esperti di diverse amministrazioni competenti in materia, è attivato presso il Centro emergenze nucleari dell'Ispra che ne coordina le attività.
  Tra i suoi compiti, il CEVaD, valutati i livelli di radioattività nell'ambiente, ne stima l'impatto sulla popolazione indicando alle autorità di protezione civile le opportune misure protettive da adottare, e fornendo gli elementi di base alle autorità competenti per l'informazione alla popolazione.
  Per quanto attiene all'informazione alla popolazione nel corso di una emergenza nucleare nazionale, l'autorità competente è il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Da ultimo, va evidenziato che, in relazione alla centrale di Krško, è da tempo in atto tra l'Ispra e l'Arpa Friuli Venezia Giulia una collaborazione finalizzata allo scambio di informazioni e delle correlate valutazioni, in particolare per eventuali situazioni anomale o incidentali. L'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Friuli Venezia Giulia, tramite il proprio «Centro regionale per la radioprotezione (Crr)», competente su tutto il territorio regionale, è sempre attiva ed in grado di monitorare costantemente la situazione in caso di incidente; la struttura è in grado di effettuare le opportune misure allo scopo di fornire, ad autorità e popolazione, dati precisi riguardanti un'eventuale contaminazione da radionuclidi del territorio regionale.
  La strumentazione in dotazione ad Arpa fa parte della rete di allarme nazionale per il controllo della radioattività ambientale con una precisa modalità di attivazione del centro per le prime misure che verrebbero effettuate in caso di segnalazione di incidente radiologico.
  Per quanto riguarda specificatamente la centrale di Krško, si evidenzia che nel corso del 2015 e 2016 sono state intraprese numerose attività, utilizzando tutte le informazioni possibili, allo scopo di ottimizzare il proprio sistema di monitoraggio della radioattività ambientale, anche con riferimento ad un eventuale incidente alla centrale di Krško: tra queste, nei primi mesi del 2015, si evidenzia una visita dei tecnici Arpa FVG ai laboratori «Radiological measurement systems and radioactivity measurements» dello Joef Stefan Institute di Lubiana, responsabile del controllo della radioattività ambientale in Slovenia. In seguito, nel marzo del 2016, gli stessi tecnici del Centro regionale per la radioprotezione, hanno partecipato all'esercitazione internazionale con la partecipazione di Italia, Slovenia, Austria, Croazia ed Ungheria che aveva, come scenario un incidente occorso alla centrale nucleare di Kniko. Nell'ottobre 2016, durante l'incontro di lavoro a Trieste, nell'ambito dell'accordo bilaterale esistente tra le autorità di sicurezza nucleare italiana e slovena (Ispra e Snsa), con la partecipazione per la prima volta di Arpa FVG, sono stati presi accordi per la partecipazione dell'Italia alle esercitazioni che vengono organizzate dall'Snsa nell'ambito dei programmi di sicurezza nucleare relativi alla centrale. In particolare, è stato stabilito un regolare calendario di incontri, il cui scopo è il costante aggiornamento sugli avanzamenti nei sistemi di sicurezza e radioprotezione sia italiani che sloveni e il confronto per la più ottimale gestione degli stessi. Arpa FVG continuerà a partecipare agli incontri, così come alle esercitazioni che verranno programmate sia a livello internazionale che italiano o sloveno.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio, tenendosi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dopo l'incidente di Chernobyl, nel 1987 in Italia fu indetto un referendum avente come oggetto la localizzazione delle centrali sul territorio nazionale. Nel 1988, il nuovo «Piano energetico nazionale» stabilì la moratoria dell'utilizzo del nucleare da fissione quale fonte energetica. Nel 1990, l'ENEL, ha provveduto a disattivare le proprie centrali e ad attuare la procedura dello smantellamento degli impianti nucleari. La discussione sull'eventuale possibile ritorno alla tecnologia nucleare nella produzione, che è stata aperta negli anni tra il 2005 ed il 2008, si è conclusa con il referendum abrogativo del 2011;
   la centrale nucleare di Krško, in Slovenia, è situata a circa 120 chilometri dal confine con il Friuli Venezia Giulia, in direzione del vento di Bora;
   il rapporto di Greenpeace del 2013 ha focalizzato l'attenzione su alcune centrali nucleari europee estremamente problematiche, descrivendo questi impianti come «una fonte di rischio, non solo per i cittadini del Paese che le ospita, ma anche per quelli degli Stati confinanti. Lo stabilimento di Krško minaccia oltre l'Italia, ovviamente la Slovenia, ma anche Croazia, Ungheria e Austria. Il punto più critico è che la centrale è costruita in un'area sismicamente attiva»;
   durante il convegno di sismologia tenutosi a Mosca nell'agosto 2012, gli esperti dell'Istituto di oceanografia e geofisica sperimentale hanno presentato uno studio in cui si è calcolato, per la zona di Krško, la probabilità di scosse fino ad una di magnitudo 7,2.;
   l'11 ottobre 2016, nel corso dell'audizione avente come tema la pericolosità sismica di Krško, sono intervenuti il dottor Sirovich, il professore Suhadolc e il dottor Decker;
   i tre esperti hanno ricordato come il «sito sia stato epicentro di diversi terremoti: magnitudo Richter tra 5 e 5,5 nel 1628 e nel 1924, magnitudo 6 nel 1917, magnitudo 4,2 nel 2015 ed, in particolare, nel 1989 una scossa di magnitudo 3,9 ha impresso alla centrale una accelerazione già superiore a quella di progetto»; hanno, poi, sottolineato come «(...) a Krško possano ripresentarsi terremoti forti almeno quanto quello già verificatosi nel 1917, ma probabilmente anche ben più forti, e potrebbero avere conseguenze gravissime (...). Non esiste comunque un'autorità scientifica super partes, che controlli i progetti; quindi essi rimangono affidati quasi esclusivamente ai consulenti che, ovviamente, tendono ad assecondare la committenza»;
   secondo gli studiosi, «i Paesi aderenti all'Unione europea possono sottoporre i propri eventuali dubbi in fatto di normative nucleari, siti specifici, stress test e altro alla conferenza europea ENSREG. In tale sede, l'Italia è rappresentata dall'ISPRA che ha il compito di veicolare anche le eventuali osservazioni dei cosiddetti portatori di interessi o di competenze (...)»;
   l'8 marzo 2017, il programma televisivo Tagadà ha trasmesso un servizio di Caroselli dedicato a Krško nel quale, oltre ad analizzare le criticità della centrale, sono stati intervistati alcuni esperti;
   Andrej Stritar, direttore dell'Agenzia per la sicurezza nucleare della Slovenia, ha ricordato il guasto della centrale avvenuto nel 2008, il terremoto di magnitudo 4,4 accaduto nel 2014 e il malfunzionamento registrato il 16 febbraio 2017;
   infine, ribadendo la costante attività sismica dell'area, nel rispondere alla domanda di Caroselli su cosa potrebbe accadere all'impianto nel caso in cui si verificasse una scossa di magnitudo 7, ha dichiarato che occorrerebbe «toccare ferro»;
   il giornalista de il Piccolo Manzin, contattato dalla redazione di La7, ha riferito, in aggiunta, che secondo l'Agenzia nucleare francese «ci sono delle possibilità di rischi sismici molto importanti, proprio nell'area dove è collocata la centrale di Krško, e ai quali la stessa centrale non riuscirebbe a fare fronte»;
   in ultimo, Concettina Giovani di Arpa Friuli Venezia Giulia ha dichiarato che «in caso di Bora, proveniente da Krško fino alla città di Trieste, o venti forti, le radiazioni provenienti dalla centrale, nel giro di poche ore, potrebbero arrivare nel territorio italiano» –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere, di concerto con le autorità slovene, per chiarire definitivamente la pericolosità sismica dell'area e indicare le possibili misure di prevenzione e di tutela;
   quali interventi intenda porre in essere, d'accordo con le autorità slovene e l'Unione Europea, ai fini di assicurare l'adeguamento sismico della centrale di Krško;
   quali iniziative di competenza intenda adottare in ordine al rispetto dei parametri relativi alla valutazione dell'impatto ambientale, nonché per attivare tutti gli strumenti necessari finalizzati a tutelare la salute dei cittadini. (4-16289)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base di specifici elementi acquisiti dal competente Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che tali elementi risultano dalla partecipazione dell'ISPRA, tramite il Centro nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, alle funzioni di autorità nazionale di regolamentazione competente in materia, nonché alle correlate attività internazionali nell'ambito dell'Unione europea, in particolare del gruppo Ensreg (European Nuclear Safety Regulators Group), dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Iaea) delle Nazioni unite, dei Wenra (Western european nuclear safety association)l'associazione delle autorità di sicurezza nucleare dei Paesi dell'Unione europea più la Svizzera e l'Ucraina, nella quale l'Italia è rappresentata sin dalla sua istituzione dall'ISPRA –, nonché alle attività concernenti un accordo di cooperazione da tempo in atto tra istituto, quale autorità di regolamentazione competente per la sicurezza nucleare e la radioprotezione e l'omologa Autorità di sicurezza nucleare slovena (Snsa — Slovenian nuclear safety administration). Essi derivano altresì dalle attività di supporto che l'istituto fornisce all'autorità di protezione civile per la pianificazione e la risposta alle emergenze nucleari e radiologiche.
  La Slovenia, dove è installata la centrale di Krško, ha ratificato da anni la convenzione sulla sicurezza nucleare e recepito nella sua legislazione la direttiva del Consiglio dell'Unione europea n. 70/2009/Euratom che stabilisce un quadro comunitario sulla sicurezza delle installazioni nucleari. La SNSA è altresì un membro del WENRA (Western european nuclear regulators association) ed ha partecipato alle attività di elaborazione di livelli di riferimento per la sicurezza nucleare per gli impianti nucleari in esercizio nei paesi europei, assumendo l'impegno a darne attuazione per la centrale di Krško.
  Ciò premesso, si riportano le seguenti informazioni sugli aspetti di sicurezza della centrale di Krško, con particolare riferimento alla problematica sismica.
  La centrale nucleare di Krško è del tipo ad acqua leggera pressurizzata costruita nel 1974 come un progetto congiunto degli operatori elettrici della Slovenia e della Croazia, sulla base delle normative e degli standard statunitensi. L'esercizio della centrale fu avviato nell'agosto 1982. Nel corso degli anni sono stati attuati continui miglioramenti dell'impianto, secondo gli avanzamenti tecnologici, gli standard internazionali e le prassi derivanti dagli enti di controllo per la sicurezza nucleare.
  La problematica della sicurezza della centrale a fronte di eventi sismici è sempre stata oggetto di valutazioni e di indagini fin dalla costruzione dell'impianto, e molti degli interventi ingegneristici di miglioramento sono stati attuati per incrementare i margini di sicurezza a fronte di tali eventi.
  Nel 1994 fu condotta la prima revisione periodica sulla sicurezza dell'impianto (Periodic safety review – PSR), aggiornata poi ogni dieci anni. Tale revisione portò, tra l'altro, a rivalutare i parametri di riferimento per la caratterizzazione sismica dell'area. In particolare, il valore di Pga (Peak ground acceleration) assunto pari a 0,3 g quale riferimento di progetto all'epoca della costruzione della centrale, fu rivalutato a 0,42 g. Nel 2004, a seguito della successiva PSR, tale valore fu aggiornato a 0,56 g. Su tale base sono stati effettuati interventi di miglioramento delle caratteristiche di resistenza sismica dell'impianto.
  Inoltre, nel 2011, dopo l'incidente nucleare di Fukushima, il Consiglio dell'Unione europea invitò gli stati membri a svolgere una revisione di sicurezza straordinaria, denominata «Stress Test», dei propri impianti, analizzando le capacità di risposta dell'impianto a fronte di eventi naturali estremi quali sisma ed allagamento. Le conseguenze da analizzare per tali scenari riguardavano la perdita delle alimentazioni elettriche e dei sistemi di raffreddamento necessari per evitare gravi scenari incidentali come il danneggiamento del reattore. Tale revisione, svolta sulla base di specifiche elaborate dai regolatori europei per la sicurezza nucleare, ha portato alla redazione, da parte di ciascun paese, di un rapporto nazionale sullo stato degli impianti installati sul proprio territorio.
  Successivamente, nel 2012 tali rapporti sono stati revisionati da gruppi di esperti provenienti dalle varie autorità di regolamentazione competenti di tutti gli Stati membri dell'Unione europea con lo scopo di valutare i margini di sicurezza esistenti e gli interventi migliorativi individuati da ciascuno stato per i propri impianti. L'attuazione di tali interventi, mediante specifici piani di azione nazionali, è oggetto di verifica da parte del gruppo di regolatori europei (Ensreg).
  Le valutazioni effettuate nell'ambito della prima fase degli «Stress Test» hanno confermato la scelta, già operata dalle autorità slovene, di aggiornare i riferimenti per la caratterizzazione sismica dell'area. È stato altresì valutato che l'impianto può far fronte al nuovo valore della sollecitazione sismica pari a 0,6 g. Dalle analisi condotte risulta che un tale sisma non causerebbe rotture del circuito primario e secondario e pertanto l'evoluzione incidentale può essere mitigata con opportuni sistemi di raffreddamento e spegnimento del reattore in grado di resistere alle sollecitazioni indotte dal sisma. Nell'ambito delle valutazioni sui margini esistenti è stato poi evidenziato che un incidente severo comportante il danneggiamento del reattore potrebbe verificarsi a seguito di un sisma solo nel caso in cui comportasse una Pga (Peak Ground Acceleration) di almeno 0.8 g, evento caratterizzato da un tempo di ritorno atteso dell'ordine di 50.000 anni.
  A seguito del processo di revisione degli «Stress Test» è stato raccomandato alle autorità slovene di aggiornare, per le modifiche d'impianto previste dal piano d'azione, le basi di progetto relative al sisma secondo i nuovi riferimenti e conseguentemente il modello dell'associato studio probabilistico sismico di sicurezza. Negli ultimi due anni sono stati poi svolti ulteriori importanti studi sulle caratteristiche geologiche e sismiche dell'area, in particolare in relazione al programma di realizzazione nel sito di un nuovo impianto, per determinare le potenzialità delle faglie vicine (in particolare la faglia di Libna). L'autorità di sicurezza nucleare slovena ritiene che tali studi abbiano confermato le conclusioni già raggiunte nel 2004.
  Le valutazioni del rischio sismico ed i conseguenti adeguamenti dell'impianto sono parte essenziale del National Action Plan sloveno, che si fonda su di un preciso programma di interventi di miglioramenti della sicurezza (Safety Upgrading Programme-Sup), approvato dall'autorità slovena nel 2009 e successivamente via via aggiornato, anche a seguito dell'incidente di Fukushima e degli «Stress Test». Il programma prevede una serie di modifiche molto significative, in larga parte già attuate, con una previsione di completamento per un'ulteriore parte nel 2018 e per la parte restante nel 2021.
  Con le misure del «Safety upgrading programme» la Slovenia prevede di fronteggiare scenari ben al di là di quelli assunti a riferimento per le basi di progetto dell'impianto. Scenari ulteriormente degradati potranno invece essere fronteggiati grazie alla disponibilità di un insieme di componenti ed attrezzature portatili gestiti secondo opportune procedure di emergenza.
  Va poi evidenziato che durante un incontro svoltosi sulla base dell'accordo bilaterale tra l'Ispra e l'Snsa il 18 ottobre 2006, ospitato dalla prefettura di Trieste, l'autorità slovena ha ribadito, in merito alle analisi sismologiche condotte, l'assenza di una posizione unanime da parte del mondo scientifico in merito al rischio sismico associato all'impianto di Krško e che a tale riguardo l'autorità slovena è anche in attesa della pubblicazione del rapporto conclusivo del workshop internazionale «Fact Finding Workshop on the Active Tectonics of the Krško Kegion» organizzato dal Ministero dell'ambiente austriaco tenutosi il 7 aprile 2016. In merito l'ISPRA ha contattato il Ministero dell'ambiente austriaco che ha assicurato di inviare all'istituto gli atti del workshop, non appena disponibili.
  Ulteriori studi sulle caratteristiche geologiche e sismiche dell'area verranno svolti nei prossimi due anni ed un aggiornamento dei parametri di caratterizzazione del rischio sismico dell'area verrà pertanto considerato una volta acquisiti gli esiti di detti studi. L'ISPRA ha già concordato con l'autorità di sicurezza slovena un successivo incontro per acquisire le risultanze di detti approfondimenti.
  Ciò detto, va inoltre precisato che, trattandosi di una problematica che investe un impianto sito in un paese estero, occorre tener presenti i principi sanciti negli strumenti di diritto internazionale applicabili, quali la convenzione sulla sicurezza nucleare e le direttive comunitarie in materia. Ci si riferisce in particolare al fatto che la sicurezza delle installazioni nucleari ricade in primo luogo sotto la responsabilità dei singoli stati, più specificatamente dell'esercente, con il controllo e la supervisione dell'autorità di regolamentazione competente nazionale e nel rispetto degli obblighi posti dai succitati strumenti. Peraltro, in relazione alle possibili implicazioni di natura transfrontaliera di eventuali incidenti, gli stessi strumenti di diritto internazionale sanciscono specifici obblighi per i singoli paesi in relazione ai livelli di sicurezza da garantire, ivi incluso l'obbligo di sottoporre il proprio sistema di regolamentazione e controllo e gli impianti a processi di peer review internazionale. Risulta al riguardo che la Slovenia si sottopone da anni a tali processi, e, a tale riguardo, durante il VII Review Meeting svoltosi dal 27 marzo al 7 aprile scorso, la Slovenia ha confermato che in maggio ospiterà sull'impianto di Krško, sulla base di una propria richiesta, la quarta missione Osart (Operational Safety Review Team) della Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, formata da esperti internazionali che condurranno ispezioni sull'impianto per verificare la sicurezza operativa dell'impianto in diverse aree inerenti la gestione in sicurezza dell'impianto nel suo complesso e nel caso di eventuali incidenti.
  Ad ogni modo, i livelli di protezione a fronte di eventuali situazioni incidentali si basano sull'approccio della difesa in profondità, caratterizzato da numerose barriere e predisposizioni atte a prevenire rilasci significativi di radioattività all'ambiente, nonché sulle predisposizioni di risposta all'emergenza, attraverso apposite pianificazioni, nel caso si dovesse verificare un incidente. In tale ambito, il sistema italiano di risposta ad un eventuale incidente nucleare che dovesse verificarsi in una centrale nucleare straniera tra quelle più vicine ai confini nazionali, quale l'impianto nucleare di Krško in Slovenia, è disciplinato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 marzo 2010 «Piano nazionale delle misure protettive contro le emergente radiologiche». Il piano, prendendo a riferimento eventi incidentali anche molto gravi (come quello di Fukushima), individua le misure necessarie per fronteggiare le conseguenze di tali incidenti, che richiedono azioni di intervento coordinate a livello nazionale. A tale scopo, esso definisce le procedure operative per la gestione del flusso delle informazioni tra i diversi soggetti coinvolti, l'attivazione e il coordinamento delle principali componenti del Servizio nazionale della protezione civile, e descrive il modello organizzativo per la gestione dell'emergenza con l'indicazione degli interventi prioritari da disporre a livello nazionale ai fini della massima riduzione degli effetti indotti sulla popolazione italiana e sull'ambiente dall'emergenza radiologica.
  L'attivazione del piano può avvenire con le diverse modalità operative previste dal sistema nazionale di allertamento. In particolare, ai sensi delle convenzioni internazionali in materia, nonché, per i paesi comunitari, in linea con quanto stabilito dalla Unione europea, il paese in cui dovesse verificarsi un incidente nucleare ha l'obbligo di notificare tempestivamente ai paesi limitrofi ed alla comunità internazionale la situazione di emergenza. In tale contesto, l'ISPRA è punto di contatto nazionale e autorità competente per la ricezione delle notifiche di incidente e per lo scambio rapido delle informazioni nel corso di una emergenza nucleare. Inoltre, sono in essere accordi bilaterali con i paesi confinanti presso i quali sono in esercizio impianti nucleari di potenza (Francia, Svizzera e Slovenia), nel cui ambito sono previsti sistemi di allertamento immediato tra le Autorità di sicurezza nucleare (l'ISPRA per l'Italia) in caso di eventi incidentali che possano portare al rilascio di radioattività all'ambiente.
  Quale elemento di ridondanza, anche in caso di un fallimento dei sistemi di pronta notifica, sono in funzione su tutto il territorio nazionale, ed in particolare nelle regioni più esposte al rischio di un incidente nucleare oltre frontiera, le reti automatiche di monitoraggio della radioattività ambientale ai fini del pronto-allarme, la cui strumentazione è in grado di segnalare automaticamente e tempestivamente la presenza di radioattività nell'ambiente. Tra queste si segnalano quelle di livello nazionale dell'ISPRA e del Ministero dell'interno, gestita dal corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché le reti che a livello regionale sono gestite dalle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente.
  Il piano prevede una attivazione con due livelli di gravità: il livello di «pre-allarme», nel caso di un incidente nucleare che si verifichi in uno degli impianti che operano entro una distanza di 200 km dai confini italiani; il livello di «allarme», in caso di aggravamento dello scenario precedente con interessamento del territorio nazionale ed eventuale attivazione delle misure protettive previste dal Piano stesso.
  Al riguardo, in caso di piena attivazione del piano, sulla base delle previsioni di diffusione della nube radioattiva sul territorio nazionale elaborate dal centro emergenze nucleari dell'ISPRA, ovvero in base ai dati delle reti di monitoraggio, nonché delle informazioni disponibili sullo stato dell'impianto nucleare, il comitato operativo della protezione civile può decidere di invitare la popolazione residente nelle aree interessate dal passaggio della nube radioattiva, a restare in luoghi chiusi, come pure di attivare le procedure per la distribuzione di compresse di iodio stabile agli individui della popolazione maggiormente radiosensibili (bambini e ragazzi di età inferiore a 18 anni, donne in gravidanza o in allattamento). La distribuzione di ioduro di potassio a scopo di profilassi viene assicurata dal Servizio sanitario regionale, secondo una pianificazione concordata tra la regione interessata, il dipartimento della protezione civile e il Ministero della salute.
  È inoltre prevista l'attuazione di misure finalizzate ad evitare l'assunzione di acqua e di alimenti contaminati da parte della popolazione e degli animali destinati alla produzione di alimenti.
  Al fine di caratterizzare l'impatto conseguente l'eventuale ricaduta radioattiva, il piano prevede l'attivazione di un vasto programma di monitoraggio radiologico dell'ambiente e degli alimenti che deve estendersi nel tempo e coprire le aree interessate. Al riguardo, tutte le reti di monitoraggio che operano sul territorio nazionale devono far confluire le misure al «Centro di Elaborazione e Valutazione Dati», CEVaD, di cui all'articolo 123 del decreto legislativo n. 230 del 1995. Il CEVaD, composto da esperti di diverse amministrazioni competenti in materia, è attivato presso il Centro emergenze nucleari dell'ISPRA che ne coordina le attività.
  Tra i suoi compiti, il CEVaD, valutati i livelli di radioattività nell'ambiente, ne stima l'impatto sulla popolazione indicando alle autorità di protezione civile le opportune misure protettive da adottare, e fornendo gli elementi di base alle autorità competenti per l'informazione alla popolazione.
  Per quanto attiene all'informazione alla popolazione nel corso di una emergenza nucleare nazionale, l'autorità competente è il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Da ultimo, va evidenziato che, in relazione alla centrale di Krško, è da tempo in atto tra l'ISPRA e l'ARPA Friuli Venezia Giulia una collaborazione finalizzata allo scambio di informazioni e delle correlate valutazioni, in particolare per eventuali situazioni anomale o incidentali.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio, tenendosi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il sito nazionale di Bussi è contaminato da solventi clorurati, metalli e diossina;
   per l'Arta vi è contaminazione degli alberi circostanti la discarica Tremonti, alti valori di Cov nel soil-gas presso la stessa discarica;
   inoltre, si conferma la fuoriuscita dei contaminanti dal sito;
   l'Istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo ha evidenziato valori oltre i limiti di legge per il mercurio nelle carni di alcuni pesci a valle del sito inquinato sul fiume Pescara;
   recentemente, è stato assegnato l'appalto dell'importo di circa 45 milioni di euro per la bonifica delle discariche 2A e 2B;
   la provincia di Pescara risulta inadempiente rispetto all'individuazione del responsabile della contaminazione ex articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006, tanto che il Forum H2O già nel 2016 ha depositato un esposto sulle omissioni degli enti;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in seguito a un ulteriore sollecito del Forum ha richiamato la provincia nel verbale della conferenza di servizi del 30 novembre 2016 e nel febbraio 2017 ha inviato una nuova lettera alla provincia in merito alle aree 2A e 2B;
   la società Edison, proprietaria della discarica Tremonti, il 30 novembre 2016 ha proposto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ulteriori integrazioni, nonostante vi sia un piano di caratterizzazione del sito redatto e regolarmente approvato dal commissario delegato, costato un milione di euro di fondi pubblici;
   il comune di Bussi ha deliberato di voler acquisire per un euro le aree attualmente inquinate delle discariche 2A e 2B, attraverso un accordo di programma con Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Abruzzo e Solvay, la società cedente;
   l'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001 ammette l'occupazione temporanea delle aree per progetti di pubblica utilità come la bonifica;
   l'articolo 12, comma 1-ter, del decreto-legge n. 98 del 2011 vieta agli enti locali l'acquisizione di immobili se non indispensabili, cosa ovviamente non rilevabile in questo caso, vista la possibilità di intervenire con l'occupazione temporanea con costi assai limitati vista la condizione delle aree;
   il decreto legislativo n. 152 del 2006 consente allo Stato di recuperare l'eventuale differenza di valore acquisita attraverso la bonifica escludendo vantaggi per l'attuale proprietaria;
   la proprietà di un'area inquinatissima pone problemi rilevanti di gestione, ad esempio della falda, nonché di sorveglianza, e rischi di ogni genere;
   un primo tentativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 2013 di imporre ad Edison la bonifica immediata delle discariche 2A e 2B fallì davanti al Consiglio di Stato nel 2015 per un errore formale;
   larga parte dell'area industriale è da anni dismessa e, ciononostante, non sono state attivate le procedure di bonifica, pur essendo la stessa area sgombra da impianti –:
   per quali motivi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si sia concentrato esclusivamente sulle discariche 2A e 2B e non sia stato chiesto alla provincia di individuare il responsabile della contaminazione anche per l'area industriale;
   se intenda attivare i carabinieri del Noe per monitorare lo stato dei luoghi e quali iniziative di competenza intenda assumere in relazione alla mancata attivazione delle misure di messa in sicurezza;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere nei confronti di Edison, per la discarica Tremonti visto che sono passati altri sette mesi dalla conferenza dei servizi e non sono state attivate ulteriori misure di messa in sicurezza né è stato presentato il progetto di bonifica;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia avallato l'acquisto delle aree inquinate 2A e 2B da parte del comune e, in caso affermativo, su quali basi giuridiche ciò sia avvenuto. (4-16814)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle procedure di bonifica delle aree inquinate di proprietà della Solvay presso il sito di Bussi sul Tirino (PE), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Il sito di interesse nazionale di «Bussi sul Tirino» è stato istituito e perimetrato con decreto ministeriale del 29 maggio 2008 e in data 28 febbraio 2011 è stato sottoscritto – tra il Ministero dell'ambiente, la regione, la provincia di Pescara, la provincia di Chieti e i comuni ricadenti all'interno del perimetro del Sin – l'accordo di programma «per la definizione degli interventi di messa in sicurezza, caratterizzazione e bonifica delle aree comprese nel sito di interesse nazionale Bussi sul Tirino», che prevede il finanziamento, con risorse pari euro 3.100.000 (3 milioni di euro stanziati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e 100.000 euro dalla regione), di una serie di interventi pubblici, tra i quali figurano anche interventi «eventualmente in via sostitutiva dei soggetti inadempienti responsabili dell'inquinamento».
  Con nota del 27 settembre 2011, la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche alla luce degli interventi previsti nel citato accordo di programma del 28 febbraio 2011, ha chiesto alle province di Pescara e di Chieti di attivare le procedure previste dall'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006, concernenti l'avvio e la conclusione del procedimento volto ad identificare l'eventuale responsabile dell'inquinamento nonché la diffida dell'eventuale responsabile a provvedere.
  Con nota del 26 marzo 2014, indirizzata a, tutte le province, il Ministero ha ricordato le competenze loro attribuite dalla parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 (rifiuti e bonifiche) ed ha chiesto agli stessi enti di voler procedere alle necessarie indagini e verifiche per individuare i responsabili dello stato di contaminazione riscontrato nei siti di interesse nazionale di appartenenza, nonché alla verifica e dimostrazione della causalità rispetto alle attività svolte dai soggetti che operano sul sito, trasmettendo al ministero un rapporto documentato dell'istruttoria effettuata e dei relativi risultati.
  Ad oggi, la provincia di Pescara ha emanato l'ordinanza ex articolo 244 del 23 settembre 2015 nei confronti della società Edison s.p.a., individuandola quale responsabile dell'inquinamento dell'area ex Montecatini, sita in località Piano d'Orta nel comune di Bolognano, ordinando alla Edison, in qualità di successore giuridico della Montecatini/Montedison, di provvedere alla messa in sicurezza e bonifica, ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006 entro il termine di 30 giorni.
  Per quanto riguarda sia le aree interne (in particolare area ex Medavox, per cui era prevista la reindustrializzazione) sia le aree esterne allo stabilimento industriale Solvay (oggetto della procedura di gara bandita a dicembre 2015 dal Commissario delegato ex ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3614 del 2007), con nota del 17 giugno 2015, la provincia di Pescara, tra l'altro, ha comunicato che le indagini di competenza per l'individuazione del responsabile della contaminazione erano ancora in corso, e, pertanto, non era possibile dichiarare l'estraneità all'inquinamento di alcun soggetto.
  La conferenza di servizi tenutasi il 30 novembre 2016 ha richiesto alla provincia di Pescara di dare corso, avvalendosi di ARTA Abruzzo, alle indagini tecniche e amministrative necessarie per identificare il responsabile della contaminazione riscontrata nelle succitate aree (sia interne che esterne allo stabilimento industriale) ai sensi e per gli effetti degli articoli 242, comma 12, 244 e 312, comma 2, del decreto legislativo, n. 152 del 2006.
  In considerazione della procedura di affidamento per la progettazione ed esecuzione dei lavori di bonifica delle «aree esterne Solvay» (gara bandita dall'ex commissario delegato), con nota del 22 febbraio 2017 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha successivamente sollecitato la provincia di Pescara a portare a conclusione, con la massima solerzia, il procedimento ex articolo 244 decreto legislativo 152 del 2006 finalizzato all'individuazione del responsabile della contaminazione.
  Si segnala, inoltre, che le aree in questione sono oggetto di attività di controllo costante da parte di ARTA Abruzzo. Qualora ARTA dovesse segnalare difficoltà nell'esecuzione delle attività di controllo, si valuterà in primis l'attivazione di un supporto nell'ambito del sistema nazionale per la protezione dell'ambiente di cui alla legge n. 132 del 28 giugno 2016, nonché eventuali iniziative straordinarie di attivazione del NOE.
  Peraltro, con riferimento alle misure di prevenzione è stato attivato un apposito tavolo tecnico al quale partecipano ARTA, ISPRA e ISS e regione Abruzzo, nel quale vengono esaminate le risultanze delle attività di monitoraggio delle misure di prevenzione presentate dalle aziende e vengono fornite puntualmente indicazioni sull'efficientamento delle stesse.
  Occorre evidenziare, altresì, che, su richiesta della conferenza di servizi del 30 novembre 2016 e alla luce dell'ulteriore documentazione resa nota dalla regione Abruzzo solo il 29 dicembre 2016 («Piano di caratterizzazione – modello concettuale definitivo» del sito «Tre Monti» e relativo decreto di approvazione del Commissario delegato del 17 dicembre 2015), in data 3 marzo 2017 si è tenuta una riunione presso il Ministero dell'ambiente con i rappresentanti degli enti interessati e gli istituti scientifici nazionali (ISPRA e ISS) che hanno espresso parere positivo sulle indagini integrative proposte da Edison, formulando alcune prescrizioni. Nella stessa data del 3 marzo 2017, il Ministero dell'ambiente ha richiesto ad Edison, ai soli fini della progettazione definitiva e dell'attuazione dei necessari interventi di bonifica, l'avvio delle indagini entro 60 giorni, nonché l'adozione di idonee misure di prevenzione.
  La società Edison ha avviato le attività e, con note di aprile e maggio 2017, ha comunicato lo stato di avanzamento delle indagini propedeutiche alla progettazione degli interventi nonché l'implementazione delle misure di prevenzione in recepimento delle osservazioni espresse dagli enti nel corso della riunione del 13 aprile 2017, durante la quale sono state condivise dagli enti tecnici (ISPRA, ARTA regione Abruzzo) le modalità di esecuzione dell'indagine geosismica proposta da Edison, ed è stata richiesta l'aggiunta di un ulteriore piezometro alla rete di monitoraggio delle acque di falda.
  Con nota del 6 giugno 2017, la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente ha convocato un tavolo tecnico per il giorno mercoledì 14 giugno — richiedendo la partecipazione di rappresentanti di ISPRA, ISS, ARTA Abruzzo, ASL di Pescara, regione Abruzzo, provincia di Pescara e comune di Bussi sul Trino – per le valutazioni istruttorie sulla documentazione trasmessa da Edison.
  Con riferimento all'acquisto delle aree in questione, in considerazione della preminenza dell'interesse pubblico alla tempestiva esecuzione dei lavori di bonifica e in attuazione di quanto disposto dall'OCDPC n. 365 del 8 agosto 2016, in data 3 maggio 2017, è stato stipulato tra le parti interessate (Ministero dell'ambiente, regione Abruzzo, comune di Bussi sul Tirino e Solvay) un accordo di programma finalizzato a garantire la prosecuzione della gara per gli interventi di bonifica delle aree 2A e 2B (disponibile su sito web del Ministero al link http://www.bonifiche.minambiente.it/adp–OCDPC–39.html).
  Tale accordo non comporta alcun onere in capo all'amministrazione comunale, in quanto il trasferimento delle aree è vincolato all'aggiudicazione definitiva dei lavori. Infatti ai sensi dell'articolo 2, commi 2 e 3 di detto accordo di programma «Il passaggio di proprietà delle aree Solvay, così come disciplinato dal presente articolo, sarà comunque subordinato alla stipula del contratto tra il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, o di ogni altra amministrazione all'uopo delegata alla gestione della procedura di gara, e il soggetto aggiudicatario della stessa, nelle modalità definite dalla legge, dal disciplinare e dalla documentazione di gara così come approvati dal decreto del Commissario delegato n. 240 del 14 dicembre 2015. Il passaggio di proprietà delle aree Solvay non potrà in alcun caso avvenire in caso di mancata aggiudicazione della procedura di gara nonché in caso di mancata stipula del contratto. In tal caso le parti dichiarano sin d'ora non avere nulla a pretendere l'un l'altra in ragione del mancato verificarsi di tali presupposti.»
  Quanto sopra riportato è stato previsto al fine di garantire che il passaggio delle aree, a titolo gratuito, non avvenga senza la garanzia contrattuale dell'esecuzione dei lavori di bonifica da parte del soggetto aggiudicatario.
  Pertanto, l'accordo di programma non trasferisce alcuna passività ambientale in capo al comune di Bussi sul Tirino, essendo garantiti gli interventi di bonifica in qualità di sottoscrittore dell'atto. Si segnala, altresì, che il trasferimento delle aree, essendo atto di natura privatistica tra comune e Solvay diverso e successivo dall'accordo di programma, così come chiarito dall'articolo 2, comma 5 dell'accordo medesimo, non è soggetto ad alcun consenso da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ne prende atto ai soli fini della continuità amministrativa della procedura di gara.
  Si rassicura, comunque, che il Ministero dell'ambiente prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione in merito alla questione in oggetto.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Corriere della Sera del 7 ottobre ed altri articoli di stampa locale e on line riportano la notizia del ritrovamento di un altro esemplare di orso marsicano morto nel Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm);
   si teme che il sopraddetto animale sia stato avvelenato. Dubbia appare l'ipotesi di morte naturale o di un combattimento tra orsi. Saranno gli accertamenti del centro veterinario specialistico di Grosseto a chiarire se si tratti di morte per veleno. Il corpo dell'orso, che aveva meno di due anni, si trovava nel bosco della Difesa, nel comune di Villavallelonga (L'Aquila), nella zona dei Prati d'Angro;
   questo ritrovamento avviene a circa tre mesi dopo quello dell'orso marsicano nominato Stefano ucciso a fucilate e per cui l'interrogante ha presentato l'atto di sindacato ispettivo n. 4-01346 senza aver ottenuto, nonostante i solleciti, ancora risposta dal Ministro delegato –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sia a conoscenza dell'ennesimo grave fatto che vede la morte di un prezioso esemplare di fauna protetta, per cui se fosse chiarita la natura dolosa dell'avvenimento potrebbe configurarsi come un altro gesto intimidatorio nei confronti dell'Ente parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise;
   quali iniziative urgenti, di concerto anche con l'Ente parco, il Corpo forestale dello Stato e il Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, intenda il Ministro interrogato mettere in campo per chiarire l'accaduto e, nel caso, favorire l'individuazione dei responsabili. (4-02139)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al rinvenimento nel comune di Villavallelonga di alcune parti ossee appartenenti ad un orso marsicano di circa due anni, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è a conoscenza di quanto lamentato dall'interrogante, così come segue da anni con attenzione tutte le vicende legate alla conservazione dell'orso marsicano.
  I resti dell'esemplare in questione sono stati inviati all'istituto zooprofilattico Lazio e Toscana, centro di referenza nazionale per la medicina forense veterinaria di Grosseto. Il referto è stato consegnato al Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) in data 2 dicembre 2013. Il referto attesta che non è possibile determinare le cause di morte e non si riscontrano residui di sostanze tossicologiche che potrebbero far attribuire la morte dell'orso all'ingestione di bocconi avvelenati, seppure gli esiti di tale necroscopia sono stati condizionati dal tempo trascorso tra il ritrovamento della carcassa e la data presunta del decesso (verosimilmente da 3 a 6 mesi) dell'esemplare, che è risultato essere una femmina di circa 2 anni.
  Per ciò che concerne invece le cause di morte dell'orso denominato «Stefano» rinvenuto nel versante molisano del Pnalm nel luglio del 2013, si rappresenta che il 15 novembre 2013 il Ministro dell'ambiente ha convocato una riunione per individuare azioni concrete per migliorare la conservazione dell'orso marsicano. Tenuto conto che esiste un Piano d'azione per la tutela dell'orso marsicano (Patom) che delinea le azioni per la conservazione della specie, ma che esiste una difficoltà operativa legata all'ampiezza del territorio interessato e alle diverse competenze coinvolte, è stata rafforzata la collaborazione fra tutti gli enti territorialmente competenti. Tale coordinamento è stato formalizzato il 27 marzo 2014 attraverso uno specifico Protocollo d'intesa per l'attuazione delle priorità d'azione previste nel Patom, tra regione Abruzzo, regione Molise, regione Lazio, parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  L'attuazione del Protocollo ha permesso di:
   rafforzare la collaborazione e le sinergie fra le diverse amministrazioni;
   dare impulso alle azioni previste dal Patom;
   promuovere misure per ridurre la mortalità causata da incidenti stradali;
   incentivare le azioni di prevenzione per contrastare i problemi sanitari;
   limitare gli impatti della caccia, in particolare regolamentando la caccia al cinghiale nelle aree di presenza dell'orso;
   gestire in modo coordinato la lotta al bracconaggio, in collaborazione con il Corpo forestale dello Stato (Cfs), ora Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare (Cutfaa), anche potenziando il ricorso ai cani antiveleno che hanno prodotto importanti risultati.

  Il Protocollo di intesa è scaduto nel marzo 2016, ma in ragione dei risultati positivi conseguiti si è deciso di procedere ad un nuovo accordo che includesse anche altre amministrazioni territorialmente coinvolte. È stato quindi sottoscritto l'accordo tra pubbliche amministrazioni per l'implementazione del piano di azione per la tutela dell'Orso bruno marsicano, 2016-2018, che oltre alle amministrazioni firmatarie del primo protocollo include anche il Parco nazionale della Majella e il Cutfaa.
  Si fa presente che in seguito alla sottoscrizione dei sopra citati accordi, la competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare segue l'implementazione del Patom, convoca regolarmente le riunioni dell'Autorità di gestione del Patom, monitora costantemente lo stato di attuazione delle azioni previste, cercando anche di individuare nuove soluzioni per il futuro nel medio e lungo termine.
  Della questione sono interessate anche altre Amministrazioni, pertanto laddove dovessero pervenire nuovi elementi informativi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le proprie attività di monitoraggio con il massimo grado di attenzione sulla questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da alcuni quotidiani locali, nazionali e da media online, quali il Corriere della Sera, il Messaggero, LatinaOggi e Latina24Ore.it, tra la notte di sabato 6 maggio e domenica 7 maggio 2017 si è registrata a Sabaudia una moria di pesci, forse dovuta ad agenti chimici inquinanti nell'acqua. Stavolta non nel lago costiero di Paola ma all'interno del «Canale romano», che collega il bacino alla foce di Torre Paola e quindi al mare;
   sono stati infatti notati moltissimi animali morti, anguille, cernie e molte altre specie acquatiche;
   anche nel recente passato, l'area del parco del Circeo, così come il lago di Paola sono stati purtroppo al centro di episodi di grave inquinamento, tra le cause potrebbe esserci lo scarico abusivo o irregolare di case e fabbricati nel lago o in mare, il conferimento di fitofarmaci, la presenza di tensioattivi, alghe, nitrati provenienti dalle coltivazioni agricole;
   il lago di Paola (detto anche «laguna di Sabaudia» o «lago di Sabaudia») è uno dei pochi esempi nazionali di lago salmastro costiero, ha una superficie di circa 3,9 chilometri quadrati (completamente compresa all'interno del comune di Sabaudia e del parco nazionale del Circeo) ed è un sito di alto interesse ambientale e paesaggistico da preservare e valorizzare, minacciato da continui episodi di contaminazione dolosa –:
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda e se, per quanto di competenza, non intenda assumere iniziative per verificare le cause della sopracitata vicenda di inquinamento, anche per tramite degli istituti di indagine ambientale che fanno capo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare compreso il Nucleo operativo ecologico dell'Arma dei Carabinieri. (4-16516)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ad una moria di pesci nel lago di Sabaudia, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dalla capitaneria di porto di Gaeta per il tramite del reparto ambientale marino (RAM) del corpo delle capitanerie di porto, nonché dall'autorità di bacino del Tevere, si rappresenta quanto segue.
  Come è noto, il lago di Paola è un ambiente di significativa valenza ambientale e naturalistica riconosciuta dalla sua inclusione nella rete natura 2000 (il lago rappresenta il SIC IT60013, inserito in un «sistema» più ampio all'interno del quale si relazionano la ZPS IT6040015 dell'area del Parco nazionale del Circeo e il SIC IT6040018 delle dune del Circeo), nel sistema delle aree protette nazionali (Parco nazionale del Circeo) e dalla sua individuazione come zona umida di importanza internazionale ai sensi della convenzione di Ramsar sulle zone umide.
  Nel piano regionale delle acque approvato dalla regione Lazio nel 2007, è classificato tra le «acque di transizione», cioè quei corpi idrici che sono parzialmente di natura salina a causa della loro vicinanza e interazione con le acque costiere.
  Il lago ha quindi caratteristiche ecologiche peculiari ma costituisce proprio per questo un ecosistema di estrema fragilità ambientale, soggetto per sua natura ad una estrema variabilità dei parametri fisico-chimici che possono arrivare, in determinate condizioni, a situazioni di stress ricorrenti.
  Ciò accade in condizioni di alta temperatura e scarso idrodinamismo, che portano alla riduzione delle concentrazioni di ossigeno, a situazioni di anossia diffusa e alla produzione di idrogeno solforato, che culminano con l'innesco di una crisi distrofica.
  Queste crisi distrofiche possono essere causa di morie di pesce all'interno del lago costiero.
  Per far fronte a questa criticità, l'ente parco del Parco nazionale del Circeo, per quanto di propria competenza, ha autorizzato i seguenti interventi: di dragaggio dei due canali di Caterattino (a nord) e di Paola (a sud – cosiddetto Canale romano) per collegare il lago al mare e favorire il sistema immissione-emissione di acqua per il suo ricambio, e di installazione di una pompa presso la foce di Caterattino.
  Per quanto riguarda la recente moria di pesci verificatasi tra il 6 ed il 7 maggio 2017, si segnala tuttavia che l'evento in questione risulta anomalo, in quanto non riconducibile a quei fenomeni distrofici sopra descritti che, ciclicamente nei periodi estivi, possono interessare l'intero bacino lacustre.
  Tra l'altro, la moria di pesci risulta essere localizzata solo all'interno della foce del lago di Paola, nel cosiddetto Canale romano, senza interessare l'interno del lago costiero.
  Alla luce di quanto sopra esposto, la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha provveduto a richiedere urgenti informazioni alla regione Lazio, all'ARPA Lazio e all'ente Parco.
  La regione, in data 10 maggio 2017, ha comunicato di avere interessato l'ARPA, per lo svolgimento delle necessarie analisi scientifiche e chimiche delle acque utili per individuare le cause della problematica, nonché l'Arma dei carabinieri, ed in particolare il coordinamento territoriale carabinieri per l'ambiente del Parco nazionale del Circeo ed il Comando unità per la tutela forestale, ambientale ed agroalimentare, per l'avvio delle indagini di competenza.
  Secondo quanto riferito dal RAM, si fa presente che, a seguito della segnalazione dell'ARPA Lazio, tramite gli uffici dipendenti, si provvedeva ad acquisire ulteriori informazioni, al fine di circoscrivere l'area interessata dall'evento. Dalle notizie raccolte si apprendeva che personale dei vigili del fuoco di Latina, congiuntamente ai tecnici ARPA, erano intervenuti per effettuare campionamenti di acqua e di alcuni esemplari animali da sottoporre a successive analisi. Il personale del comando della polizia locale di Sabaudia, intervenuto immediatamente, riferiva inoltre che il fenomeno rilevato era apparso circoscritto al tratto di canale compreso tra il «ponte rosso» che delimita il confine della proprietà Scalfati e l'idrovora a monte che congiunge il canale al lago e che la portata della moria al momento dell'intervento risultava essere di modesta entità come evidenziato dal fascicolo di rilievi fotografici forniti.
  Quale ulteriore dato, pare utile segnalare che le condizioni meteomarine presenti in zona al momento dell'evento (bassa marea e mare in peggioramento) hanno verosimilmente determinato una concentrazione del fenomeno nell'area circoscritta del canale individuata dall'estratto, a ridosso delle chiuse presenti in prossimità dell'accesso al lago.
  I sopralluoghi effettuati in mare, sulle spiagge limitrofe e nei canali adiacenti, infatti, non hanno evidenziato ulteriori elementi di criticità che potessero far ricondurre l'evento ad un inquinamento marino.
  Nei giorni seguenti, personale della dipendente delegazione di spiaggia di Sabaudia ha effettuato ulteriori sopralluoghi lungo il canale, dall'imboccatura sino al luogo dell'evento, non riscontrando la presenza di situazioni degne di nota e/o fenomeni di inquinamento in atto, registrando la non persistenza del fenomeno.
  In data 17 maggio 2017, sono stati trasmessi dall'ARPA i risultati dei campionamenti effettuati, i quali individuano un'alterazione delle condizioni chimiche dei campioni prelevati, in particolare delle componenti azotate, cloro residuo libero e tensioattivi anionici.
  Per completezza di informazione, si rappresenta infine che già nel 2014, il personale dell'ARPA, congiuntamente a guardia costiera e corpo forestale, ha effettuato un'attività di verifica, mediante il tracciante fluoresceina, sulla presenza e il funzionamento delle fognature annesse alle attività ed abitazioni presenti sulle sponde del lago di Paola. In quell'occasione tutti gli scarichi degli insediamenti presenti sono risultati confluire in una vasca di sollevamento, con allaccio alla pubblica fognatura.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, mantenendo alta l'attenzione sulla questione, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprendono dei dati sconcertanti sulle vittime a causa dell'inquinamento atmosferico, in particolare, nella provincia di Udine che risulta essere, sotto questo aspetto, il centro più inquinato in regione;
   ogni anno, a Udine muoiono un centinaio di persone a causa dell'inquinamento atmosferico. Circa una persona ogni tre giorni, sulla base dei calcoli statistici, si ammala e perde la vita contraendo malattie legate alla qualità dell'aria che si respira;
   il grave inquinamento del capoluogo friulano è conseguenza sia dell'alta concentrazione di traffico sia degli impianti di riscaldamento. Gran parte delle emissioni sono causate dagli impianti di riscaldamento a gas e a biomassa;
   da una panoramica sul numero di controlli e ispezioni effettuati sugli impianti è emerso che in 12 anni sono state eseguite 77.500 ispezioni, ma negli ultimi anni, il monossido di carbonio — un problema per l'ambiente ma anche per la sicurezza dei cittadini — non risulta essere sotto la soglia accettabile, il che dimostra che la manutenzione degli impianti è diminuita;
   se ad Udine si abbassassero i livelli di polveri sottili, e dell'ozono, portandoli sotto il valore della soglia limite, i decessi si ridurrebbero del 50 per cento. Sono questi i dati illustrati dal responsabile del servizio di Allergo-Pneumologia della clinica pediatrica dell'università di Udine, Mario Canciani, intervenuto al convegno «Impatto ambientale in Friuli»;
   pertanto, si ritiene necessario adottare urgenti provvedimenti affinché venga diminuita la presenza di polveri inquinanti nonché mettere in atto iniziative di sensibilizzazione sulle tematiche ambientali, promuovendo una politica di consumo più consapevole e attenta, anche per correggere errate abitudini della popolazione che contribuiscono all'inquinamento dell'aria –:
   se i Ministri interrogati sono a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali siano i loro orientamenti, per quanto di loro competenza;
   se e quali iniziative intendano adottare, con la concertazione degli enti territoriali competenti, per contrastare la presenza delle polveri inquinanti nell'aria, in Friuli Venezia Giulia alla luce dei dati emersi soprattutto rispetto alla provincia di Udine;
   se e quali iniziative siano state adottate per diminuire l'inquinamento atmosferico a livello nazionale, anche rispetto alla promozione di una campagna di informazione rivolta alla popolazione per correggere le abitudini a pratiche che possano nuocere all'ambiente e alla salute dei cittadini. (4-07568)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Per la normativa nazionale (decreto legislativo n. 155 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni) le regioni e le province autonome sono le autorità competenti in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria. A queste compete quindi il monitoraggio degli inquinanti atmosferici, la predisposizione dei piani per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria (compresa l'individuazione dei soggetti deputati all'attuazione di tali piani quali ad esempio la regione stessa o i sindaci), nonché la trasmissione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle relative informazioni per l'invio alla Commissione europea.
  Nel nostro Paese, il mancato rispetto dei limiti imposti dalle norme comunitarie, in particolare relativamente al materiale particolato PM10 ed al biossido di azoto NO2, riguarda ampie aree del territorio nazionale, situate presso la maggior parte delle regioni.
  Tale situazione è però differenziata sul territorio nazionale: infatti, mentre per le regioni del centro-sud il mancato rispetto dei valori limite è localizzato in piccole aree, appartenenti per lo più ai principali centri urbani, nel bacino padano i superamenti, anche a causa di condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli, sono diffusi su tutto il territorio.
  Con specifico riferimento alla provincia di Udine, sulla base dei dati acquisiti dall'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Friuli Venezia Giulia (Arpa Fvg) si rappresenta che dal 2011 la città di Udine non presenta superamenti dei limiti di legge relativi alle PM10 (polveri sottili) nelle stazioni di fondo urbano (sono quelle utilizzate per valutare l'esposizione della popolazione ai sensi del decreto legislativo n. 155 del 2010) né in termini di superamenti giornalieri (tabella 1) né in termini di concentrazioni medie annue (tabella 2). Maggiori concentrazioni di materiale particolato si possono osservare nelle immediate vicinanze delle strade ad alta densità di traffico (e.g., via San Daniele). Queste aree, per loro natura, sono comunque molto limitate.
  Inoltre, sempre dal 2011 la città non presenta superamenti dei limiti di legge relativi alle PM2.5 (polveri fini) nelle stazioni di fondo urbano. Dal 2012 il valore medio annuo di PM2.5 è anche inferiore all'obiettivo a lungo termine la cui entrata in vigore è prevista dal 2020 (tabella 3).
  Diversamente, dal 2011 la città presenta superamenti significativi della soglia prevista per l'ozono quale valore obiettivo. Ad ogni modo la città di Udine non risulta come la maggiormente inquinata della regione né in termini di materiale particolato (le aree con maggior concentrazione di polvere sono quelle del pordenonese e della bassa pianura friulana), né in termini di ozono (l'intera pianura presenta analoghi superamenti della soglia di legge).
  Nel riportare, di seguito, le tabelle dei dati specifici trasmessi da Arpa Fvg, si segnala, comunque, che le relazioni relative allo stato della qualità dell'aria in Friuli Venezia Giulia e nello specifico dell'area udinese sono disponibili sul sito internet di Arpa FVG; sullo stesso sito internet sono inoltre disponibili in modalità open i dati di qualità dell'aria dal 2005.

Immagine prelevata dal resoconto

  Con particolare riferimento alle ispezioni sugli impianti termici in provincia di Udine, si premette che nell'anno 2002 è stato implementato il catasto degli impianti termici con i dati relativi agli impianti del comune di Udine e della provincia di Udine. Successivamente il catasto ha integrato gli impianti termici presenti sui territori dei comuni delle province di Gorizia, prima, e di Pordenone subito dopo. Attualmente, stante la competenza in materia di energia della regione, sono in atto le procedure di integrazione dei restanti territori che disponevano di catasto autonomo.
  I dati catastali riportano che, sui poco più dei 150 mila impianti termici installati sulla provincia di Udine, risultano attivi 182.876 generatori, essendoci più impianti che hanno al loro servizio generatori multipli. L'attività di accertamento, ai sensi dei disposti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 74 del 2013, viene svolta con continuità per tutto l'esercizio. Secondo quanto riferito, si fa presente che le principali difformità, che hanno determinato l'esito negativo delle ispezioni, sono riconducibili essenzialmente a non conformità di origine tecnica. Pur essendoci elevata attenzione su questa tipologia, i dati confermano che le anomalie gravi sono in diminuzione e comunque sono una parte decisamente marginale sul totale delle negatività; inoltre, per quanto riguarda lo sforamento dei limiti di legge delle emissioni di monossido di carbonio, potenzialmente impattanti sulla qualità dell'aria, i rilevamenti sul campo non sono particolarmente elevati.
  Ad ogni modo, a livello nazionale, si fa presente che la situazione di inquinamento atmosferico non è specifica per l'Italia, in quanto risulta che siano state aperte procedure di infrazione per almeno 16 Stati membri in merito ai superamenti dei valori limite del PM10 e per 10 Stati a causa dei superamenti del biossido di azoto NO2.
  L'analisi dei dati di qualità dell'aria sull'intero territorio italiano evidenzia come negli ultimi anni i livelli degli inquinanti si siano ridotti, per quanto tale miglioramento non abbia permesso di garantire il rispetto dei limiti di qualità dell'aria. In particolare tra il 2002 ed il 2015 si registra un trend di riduzione del numero di zone di superamento del valore limite annuale degli inquinanti PM10 e NO2. Per il PM10 si ha una riduzione delle zone di superamento che va dal 48 per cento circa del 2002 del totale delle zone presenti sul territorio nazionale al 14 per cento circa del 2015. Per l'NO2 si passa dal 44 per cento circa nel 2002 al 30 per cento circa nel 2015.
  Per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico, si segnala che a livello nazionale, stante la competenza primaria delle regioni in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato da tempo una strategia condivisa con gli altri ministeri aventi competenza su settori emissivi quali trasporti, energia, inclusi gli usi civili, attività produttive ed agricoltura, per l'individuazione di misure da attuare congiuntamente nel territorio nazionale al fine di contrastare i reiterati superamenti delle concentrazioni limite di materiale particolato PM10 e di biossido di azoto NO2 registrati in ampie zone del territorio nazionale.
  In tale contesto, il 18 dicembre 2013, è stato sottoscritto un accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole e della salute e le regioni e province autonome del bacino padano (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Valle d'Aosta, provincia autonoma di Trento e provincia autonoma di Bolzano), finalizzato all'individuazione e attuazione di misure coordinate e congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano. In particolare tale Accordo ha previsto l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile, risparmio energetico, industria e agricoltura) e di individuare, per ogni settore, specifiche misure di intervento analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socio economici. Inoltre si evidenzia, per l'adozione delle misure individuate, l'impegno delle regioni nell'ambito del citato Accordo ad adeguare i propri vigenti piani regionali di qualità dell'aria.
  Su questi impegni sono state investite risorse e il giusto sforzo di coesione istituzionale perché c’è la consapevolezza che lo smog non si combatte da un giorno all'altro, ma solo con misure strutturali e coordinate sul territorio, misure che a lungo purtroppo sono mancate. Non c’è un intervento che risolve, ma una miriade di azioni da fare in maniera coordinata tra le regioni interessate.
  Nel bacino padano, il lavoro con le regioni interessate sta dando risultati: quest'anno sono stati approvati per la prima volta i 4 piani qualità dell'aria delle regioni della pianura padana, che contengono sia le misure sia i tempi di rientro nei limiti previsti dalla normativa europea. Nella fattispecie è stato previsto il rientro dei limiti entro il 2020.
  Infine si segnala che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante Protocollo d'Intesa tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Conferenza delle regioni e province autonome e l'associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane. In particolare tale protocollo prevede tra le misure urgenti, da attivare dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola 7 giorni) le seguenti: abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Tale protocollo prevede importanti misure di sostegno agli interventi regionali e locali di risanamento, come la destinazione di circa 12 milioni di euro al finanziamento di misure dirette ad incentivare il trasporto pubblico locale e la mobilità alternativa al trasporto privato. Il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di indirizzo circa la destinazione e l'utilizzo delle risorse, così come quello direttoriale di fissazione della regolamentazione del programma sono stati già pubblicati sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (decreto ministeriale DEC-2016-316 del 10 novembre 2016 e decreto direttoriale RIN-DEC-2016-0000125 del 22 novembre 2016).
  Nel protocollo si prevede inoltre un impegno a precisare le attività da finanziare con strumenti di incentivazione esistenti (fondo per la mobilità sostenibile, fondo per la realizzazione di reti di ricarica elettrica, fondo per la riqualificazione energetica delle scuole e degli edifici pubblici), per un importo totale di circa 350 milioni di euro. In tale ambito sono già stati attivati 6 milioni di euro per il finanziamento di interventi di mobilità sostenibile ed efficienza energetica nelle città di Bologna, Roma, Milano e Torino, nonché 35 milioni di euro destinati al programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro al fine di finanziare progetti predisposti da uno o più enti locali e riferiti a un ambito territoriale con popolazione superiore a 100.000 abitanti, diretti a incentivare iniziative di mobilità urbana alternative all'automobile privata.
  Un ulteriore contributo, infine, è atteso dall'attuazione della nuova direttiva sui tetti alle emissioni.
  Lo scorso 14 dicembre è stata adottata infatti la direttiva 2016/2284/UE, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, la cosiddetta direttiva Nec (National emission ceilings). Tale direttiva stabilisce obiettivi di riduzione delle emissioni nazionali per gli inquinanti biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili non metanici (Covnm), ammoniaca (NH3) e polveri PM2,5 da raggiungere entro il 2020 e il 2030.
  Tali obiettivi sono individuati come percentuali di riduzione delle emissioni dei singoli inquinanti rispetto ai valori registrati nel 2005 e mirano a garantire una riduzione generalizzata dell'inquinamento atmosferico sul territorio dell'Unione europea.
  La riduzione delle emissioni, necessaria a raggiungere gli obiettivi, deve essere perseguita tramite la predisposizione, l'adozione e l'attuazione di specifici «programmi di controllo» nazionali. Il programma dovrà, in particolare, definire le priorità politiche ed il loro rapporto con le priorità stabilite in altri settori d'intervento pertinenti, compresi i cambiamenti climatici, l'agricoltura, l'industria e i trasporti; dovranno, infine, essere chiarite le responsabilità attribuite alle diverse autorità (nazionali, regionali e locali).
  Tale rilevante programma, di carattere nazionale e che dovrà essere elaborato in collaborazione con tutti i Ministeri aventi competenza su settori emissivi (trasporti, industria ed agricoltura) costituirà un ulteriore tassello, rispetto a quanto già sopra citato, dell'azione portata avanti a livello centrale per la lotta all'inquinamento atmosferico. Tenuto conto che il recepimento della direttiva NEC dovrà avvenire entro la metà dell'anno 2018, un primo programma dovrà essere adottato entro la metà del 2019, da aggiornare, secondo quanto previsto dalla direttiva, ogni 4 anni.
  Al riguardo, si segnala che si è svolto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, promotore dell'iniziativa, un confronto tra i Ministeri a vario titolo coinvolti (trasporti, sviluppo economico, politiche agricole alimentari e forestali) per un punto della situazione sulle misure messe in campo di contrasto allo smog.
  L'obiettivo dei ministeri è accelerare il percorso di attuazione della direttiva europea Nec, che come detto prevede la definizione di un programma di misure nazionali per la qualità dell'aria e, allo stesso tempo, arrivare alla chiusura dei tavoli tecnici istituiti per nuove misure di contrasto allo smog nell'area del bacino padano.
  In particolare, è stato definito con le regioni padane un accordo che sarà implementato con nuovi interventi concordati e coordinati e siglato in giugno in occasione del G7 Ambiente a Bologna.
  Si rassicura comunque che, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio e supporto alle amministrazioni locali, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione sulla questione, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SECCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Nove, in provincia di Vicenza, è in corso l’iter amministrativo per la costruzione di un edificio produttivo per la lavorazione di biomassa legnosa vergine e l'installazione di un impianto di cogenerazione alimentato a biomassa legnosa;
   con l'avvio dell'impianto ci sarà un aumento della concentrazione di polveri sottili nel territorio circostante, abitato da centinaia di famiglie e comprensivo di un parco naturale, zona a protezione speciale (ZPS) e sito ad interesse comunitario (SIC) – sito SIC – ZPS IT3260018 «zone umide e Grave della Brenta» – con i presupposti per rientrare nelle aree non idonee all'installazione di impianti per la produzione di energia alimentati da biomasse;
   l'uso ragionevole delle biomasse può essere d'aiuto per trovare delle fonti di energia rinnovabile, ma non si capisce il senso di un impianto di questo tipo lontano da boschi, costruito tra due rogge, a ridosso di un'area protetta;
   non si ha ancora contezza del tipo di emissioni, né di quanto si incrementerebbe il traffico pesante, né se la biomassa utilizzata sarà «esclusivamente» legnosa o «principalmente» legnosa;
   in zona limitrofa scorre un canale artificiale che alimenta un bacino di acqua sotterranea ad uso della popolazione;
   tra le centrali a biomasse, quelle a combustibile comportano un considerevole impatto ambientale e sanitario, poiché il cippato di legno è un combustibile povero, a basso potere calorifico, che essendo solido brucia male;
   nel comune di Nove non esiste la centralina di rilevamento delle polveri sottili ed in particolare del Pm2.5, parametro di riferimento obbligatorio per legge per la valutazione dell'impatto ambientale da polveri sottili;
   l'Organizzazione mondiale della sanità sostiene che le polveri sottili sono pericolose anche a concentrazioni inferiori agli attuali limiti, con incidenza sullo sviluppo di malattie respiratorie soprattutto per i bambini –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per tutelare aree di elevato pregio ambientale che costituiscono zone di protezione speciale e siti di interesse comunitario dai rischi connessi agli effetti della dispersione di emissioni tossiche di varia natura, anche alla luce degli impegni derivanti dalla normativa europea. (4-16798)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ad un impianto per la lavorazione di biomassa legnosa nel comune di Nova (Vicenza), sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La normativa italiana ha recepito le direttive in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente coerentemente con la normativa nazionale in materia di decentramento delle competenze statali, per cui le autorità competenti sul territorio nazionale in materia sono le regioni e le province autonome.
  A queste ultime amministrazioni compete il monitoraggio degli inquinanti atmosferici, la predisposizione ed attuazione di misure e piani di qualità dell'aria volti a prevenire i superamenti dei valori limite previsti dalla normativa per i vari inquinanti, la divulgazione di dati ed informazioni di settore comprese le comunicazioni alla Commissione europea di dati ed informazioni sulla valutazione annuale della qualità dell'aria (quest'ultima avviene per il tramite del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare). In tale contesto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha un ruolo fondamentale di coordinamento e di impulso all'attività regionale.
  Nell'ambito di tale ruolo, si segnala che negli ultimi anni il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha incoraggiato e promosso la predisposizione ed adozione di misure condivise ed omogenee su scala sovra regionale e nazionale, che ad oggi vede la stipula di importanti intese tra le regioni dell'area del bacino padano, la più vasta area del territorio nazionale dove insistono condizioni orografiche e meteo climatiche particolarmente sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti e si verificano eventi di inquinamento atmosferico particolarmente critici.
  La prima intesa stipulata risale alla fine del 2013. Trattasi di un accordo di programma con i Ministri dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole e della salute e con le regioni Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano, finalizzato all'individuazione e attuazione di misure coordinate e congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria sia a livello nazionale che nell'area del bacino padano.
  A seguire il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto, sempre su impulso del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un protocollo d'intesa con la conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane. In particolare, tale protocollo prevede una serie di misure urgenti, da attivare nei casi di reiterati superamenti del valore limite giornaliero del PM10.
  Nella direzione tracciata dei citati atti, la regione Veneto ha continuato e prosegue il suo impegno per il miglioramento della qualità dell'aria anche mantenendo un continuo confronto e dialogo con le altre regioni ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per lo studio di ulteriori iniziative comuni da porre in essere nell'area del bacino padano.
  Si segnala che tale confronto negli ultimi mesi è stato particolarmente intenso, sia sul piano politico che tecnico, portando all'individuazione di un ulteriore set di misure coordinate e sinergiche da adottare a scala di bacino per contrastare i superamenti dei valori limite che continuano ad essere registrati per gli inquinanti materiale particolato, biossido di azoto e benzo(a)pirene.
  L'applicazione di tale set di misure nei prossimi mesi avverrà nell'ambito dell'attuazione di un nuovo accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna stipulato il 9 giugno 2017.
  Tale accordo prevede impegni a carico di queste regioni, ma anche del Ministero dell'ambiente che dovrà attivare apposite interlocuzioni con i Ministeri dell'economia e delle finanze, delle infrastrutture e dei trasporti, dello sviluppo economico e delle politiche agricole, alimentari e forestali per promuovere iniziative di natura finanziaria e legislativa finalizzate alla tutela della qualità dell'aria, che porterà benefici non solo nelle aree del bacino padano ma su tutto il territorio nazionale.
  Con riferimento al fatto che il suddetto impianto verrà realizzato in prossimità del sito Natura 2000 — SIC/ZPS IT3260018 «Zone umide e Grave della Brenta» si precisa che, secondo quanto verificato sul portale dell'amministrazione di Nove, risulta che la delibera del consiglio comunale n. 9 del 9 marzo 2017, abbia tenuto in considerazione l'applicazione dell'articolo n. 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, sulla base delle procedure disciplinate dalla regione del Veneto con deliberazione della giunta regionale n. 2299 del 9 dicembre 2014, recante «Nuove disposizioni relative all'attuazione della direttiva comunitaria 92/43/CEE e decreto del Presidente della Repubblica 357/1997 e successive modificazioni e integrazioni. Guida metodologica per la valutazione di incidenza. Procedure e modalità operative».
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a svolgere le proprie attività mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 13 marzo 2016 si è verificato un pericoloso incidente sulle coste delle isole Kerkennah, nella regione di Sfax in Tunisia, che ha causato uno sversamento di petrolio in mare, quindi un problema ecologico molto grave che deve essere risolto il più rapidamente possibile;
   la stampa italiana ne ha parlato poco e con notizie contrastanti, poiché le poche fonti a disposizione non riportano notizie univoche;
   problemi ambientali si sono comunque verificati sin dall'inizio dell'attività di trivellazione nel golfo di Gabes perché l'inquinamento collegato alle attività estrattive ha fatto diminuire drasticamente il numero delle spugne esistenti nell'area e il pescato;
   il Ministro dell'ambiente, Nejib Derouiche, ha viaggiato per la zona e ha chiesto al governatore di Sfax di indire una riunione d'emergenza della Commissione ambiente regionale per organizzare le operazioni di bonifica e per chiarire le cause della perdita. Anche il procuratore del primo tribunale di Sfax, informato dell'incidente, ha iniziato un'indagine per accertare le cause e per individuare i responsabili;
   come detto, l'incidente è stato praticamente ignorato dalla stampa e le poche fonti disponibili sostengono che per le autorità tunisine la situazione sarebbe sotto controllo sorvolando sui danni arrecati alla società in conseguenza della catastrofe ecologica che ha ricoperto di greggio molti chilometri di spiaggia in una località dove l'economia è basata in gran parte ancora sulla pesca;
   la scarsità di notizie sul fatto grave accaduto in una località posta a soli 120 chilometri a sud dell'isola di Lampedusa, avviene a pochi giorni dallo svolgimento del referendum del 17 aprile 2016 sulle trivellazioni in mare nel nostro Paese, evento anch'esso poco pubblicizzato;
   per il sovrintendente del mare per la regione siciliana, la notizia della marea nera che si è formata da una settimana al largo dell'arcipelago Kerkennah deve preoccupare anche il Governo perché potrebbe raggiungere le coste italiane: «Da quel che ci risulta la marea si sposta verso nord e dunque verso Lampedusa, ma tutto dipende dal vento. In ogni caso è la prova dei rischi che si corrono puntando sul petrolio» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti e quali iniziative intendano assumere al fine di avere informazioni attendibili dal Governo tunisino;
   quali iniziative urgenti di competenza intendano a assumere per evitare che la macchia nera possa raggiungere le coste italiane, in particolare prevedendo un monitoraggio satellitare per verificare eventuali rischi di arrivo dell'olio, materiale altamente inquinante, nelle acque territoriali italiane. (4-12621)

  Risposta. — Con riferimento alla interrogazione in esame, relativa all'incidente, con conseguente fuoriuscita di petrolio, vicino le coste delle isole Kerkennah, in Tunisia, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si evidenzia che, ad oggi, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non sono pervenute notizie dettagliate sul suddetto incidente, né tantomeno richieste ufficiali di cooperazione da parte delle autorità tunisine.
  Sulla base degli elementi forniti dal Ministero dello sviluppo economico, si riferisce quanto segue.
  Sulla stampa italiana sono apparse notizie, anche contrastanti tra loro, di una chiazza di petrolio allargata, presente a 120 chilometri da Lampedusa. La chiazza sembrerebbe riconducibile ad un incidente avvenuto il 13 marzo 2016 in una piattaforma offshore situata a 7 chilometri al largo delle isole Kerkennah, nella regione tunisina di Sfax. In particolare, tra le notizie si riporta che una squadra dell'agenzia nazionale tunisina per la protezione dell'ambiente, è stata inviata sul posto e la Thyna petroleum services ha confermato una leggera perdita di petrolio alla testa del pozzo Cercina — 7, perdita che si suppone sia derivante da una rottura della provetta di controllo, un tubo dal diametro di 10 millimetri.
  Sempre il Ministero dello sviluppo economico segnala di aver ottenuto attraverso gli accordi per la sicurezza, alcuni riscontri dei risultati dell'analisi effettuata dal centro nazionale di ricerca dipartimento istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente, a seguito di una sollecitazione da parte del servizio previsione dispersione idrocarburi dell'istituto per l'ambiente marino costiero (Iamc) del Cnr, a proposito dei possibili eventi di dispersione di idrocarburi dalla piattaforma 07 – Cercina (Tunisia). I risultati mettono in evidenza che dall'avvenimento del presunto incidente ad oggi, la possibile traccia di oil slick non si è mai spostata. Questo dato, a più giorni dall'evento, conferma in modo evidente che il presunto oil slick sia imputabile alla traccia della conformazione morfologica e fisiografica dell'isola. In sintesi, l'effetto prodotto dalle immagini SAR «è conseguente al fondale basso della zona che, probabilmente in presenza di effetti di marea (bassa), rende la zona una specie di laguna con acque che retro-diffondono in modo sostanzialmente speculare il segnale radar, da cui l'effetto simile a quello di un oil slick».
  Inoltre, per quanto concerne gli aspetti relativi all'attività di monitoraggio, si rappresenta che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha attivato a livello nazionale, da oltre un ventennio, in conformità alle normative vigenti in materia, un sistema finalizzato alla prevenzione e lotta agli inquinamenti marini lungo tutti i circa 7.500 chilometri di costa italiana, mediante l'impiego di unità navali specializzate.
  Attualmente, a seguito del contratto stipulato il 23 giugno 2015 ed operativo dal 1o agosto 2015 con la Castalia consorzio stabile S.c.p.a. in esito a una gara comunitaria, la struttura antinquinamento si compone di 36 unità navali, di cui 9 di altura e 27 costiere, dislocate lungo il perimetro costiero nazionale con pronto impiego h/24, quindi pronte a intervenire nel caso in cui fenomeni inquinanti dovessero minacciare le nostre coste.
  Inoltre, le coste adriatiche e quelle a sud della Sicilia, dove sono ubicate le piattaforme petrolifere in acque italiane, sono giornalmente monitorate da un sistema di controllo integrato satellitare, aereo e navale di avvistamento di eventuali macchie inquinanti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato, nonché a svolgere un'attività di monitoraggio.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha avviato nei confronti dell'Italia varie procedure d'infrazione riguardo alla gestione dei rifiuti;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la causa C 297/08, successivamente alla procedura d'infrazione 2007/2195, ha condannato lo Stato Italiano in relazione alla crisi del sistema di gestione dei rifiuti della regione Campania, in quanto è venuta non è stato rispettato l'articolo 260 del Trattato sul finanziamento dell'Unione europea;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea (causa C 196/13), nell'aprile del 2013, ha condannato lo Stato Italiano in quanto, su tutto il territorio italiano ed anche in diversi siti campani, vi sono numerose discariche, contenenti anche rifiuti speciali e pericolosi, in merito alle quali le autorità nazionali non hanno eseguito le necessarie attività di messa in sicurezza e/o bonifica (con la sentenza del 2 dicembre 2014 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro per non essersi conformata alla prima sentenza di condanna emessa nel 2008 e una penalità semestrale di 42.800.000 euro che dovrà essere pagata sino a quando non saranno state compiute le necessarie operazioni di messa in sicurezza e/o bonifica) –:
   se il Governo possa indicare quali somme siano state versate dallo Stato italiano all'Unione europea per le suddette sentenze dal dicembre del 2014 ad oggi. (4-16065)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Com’è noto, il 2 dicembre 2014 la corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia al pagamento di una sanzione forfettaria di circa 40 milioni di euro e di una penalità semestrale, calcolata per il primo semestre a partire da un imposto iniziale di 42,800 milioni di euro, in ragione della mancata esecuzione della sentenza di condanna del 26 aprile 2007 da parte delle amministrazioni comunali e regionali nel cui territorio ricadono le discariche non in regola con la direttiva rifiuti 75/442/Commissione europea e con la direttiva 91/689. Da tale importo si devono detrarre 400.000,00 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000,00 euro per ogni altra discarica messa a norma. La sentenza di condanna riguardava complessivamente 200 discariche.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche con l'organizzazione della struttura di missione presso il dipartimento delle politiche europee (DPE), ha immediatamente intensificato l'azione di supporto tecnico-amministrativo alle regioni ed ai comuni coinvolti, per coadiuvarli nelle attività di messa a norma delle discariche in infrazione, attività che richiedono interventi strutturali. Le questioni in argomento hanno rappresentato, infatti, fin da subito un obiettivo primario del Governo.
  In seguito a tale attività, a valle della prima scadenza del 2 giugno 2015, la Commissione europea ha stralciato 15 siti (decisione del 15 luglio 2015), riducendo il numero di quelli in infrazione da 200 a 185.
  Successivamente, per la seconda scadenza del 2 dicembre 2015, la Commissione europea ha accolto favorevolmente e quindi eliminato dalla procedura di infrazione 30 siti, (decisione dell'8 febbraio 2016). Pertanto le discariche in infrazione si sono ridotte da 185 a 155.
  Per la scadenza del 2 giugno 2016, i servizi tecnici della Commissione europea hanno ritenuto regolarizzati ulteriori 22 siti (decisione del 15 settembre 2016), facendo ridurre le discariche da 155 a 133.
  Ad oggi, con la notifica dell'ingiunzione di pagamento della quarta penalità semestrale, con la decisione della Commissione europea SG Greffe (2017) D/6030 del 18 aprile 2017, sono state messe in regola 98 discariche per una detrazione complessiva di 21,20 milioni di euro.
  Per quanto riguarda, infine, l'ammontare complessivo delle somme fino ad ora pagate dall'Italia all'Unione Europea, si fa presente che, ad oggi, l'Italia ha pagato la somma complessiva di euro 141.000.000,00 così ripartiti:

Sanzione N. discariche sanzionate Importo della sanzione
Sanzione forfettaria – Sentenza della corte di Giustizia
del 2 dicembre 2014;
200 euro 40.000.000,00
Penalità I semestre successivo alla pronuncia della sentenza (periodo dal 2 dicembre 2014 al 2 giugno 2015); 185 euro 39.800.000,00
Penalità II semestre successivo alla pronuncia della sentenza (periodo dal 2 giugno 2015 al 2 dicembre 2015); 155 euro 33.400.00,00
Penalità III semestre successivo alla pronuncia della sentenza (periodo dal 2 dicembre 2015 al 2 giugno 2016); 133 euro 27.800.000,00

  Si segnala, inoltre, che in data 18 aprile 2017 è pervenuta la decisione della Commissione Europea che ha comunicato la unzione relativa alla IV penalità semestrale che è pari a euro 21.400.000,00 e riguarda 102 discariche. Pertanto, alla data odierna restano in procedura di infrazione, e quindi soggetti al pagamento della sanzione semestrale, 102 siti rispetto ai 200 iniziali.
  Per 58 siti, inoltre, lo scorso 24 marzo, è stato nominato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri il generale Giuseppe Vadalà dell'Arma dei carabinieri quale commissario governativo per il superamento di tale criticità.
  Si rappresenta infine che le informazioni e i dati richiesti sono pubblicati on line sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai sensi del decreto-legge 24 giugno 2016 n. 113, articolo 22, comma 7-ter, al seguente indirizzo: http://www.minambiente.it/pagina/discariche-abusive.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TERZONI, CECCONI, GALLINELLA, CIPRINI, MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle regioni Marche e Umbria è in fase di realizzazione il progetto della Quadrilatero, opera viaria che è stata inserita nell'allegato infrastrutture collegato al documento di economia e finanza, approvato in data 10 aprile 2015, in quanto ritenuta «ponte indispensabile» per favorire il collegamento tra regioni, mari e corridoi europei;
   il 12 aprile 2015 in base alle dichiarazioni di un operaio, che ha preferito mantenere l'anonimato, e che ha partecipato ai lavori della galleria «La Franca», nel tratto tra Foligno (Perugia) e Civitanova Marche (Macerata), rilasciate al programma tv di Rai3 «Report», sono emersi alcuni aspetti che destano non poche preoccupazioni;
   i fatti sopra menzionati sono stati dettagliati nell'interrogazione a prima firma Terzoni n. 5-05328;
   il Sottosegretario per le infrastrutture e dei trasporti Del Basso De Caro, in data 4 giugno 2015 ha risposto all'interrogazione sopracitata confermando le criticità sollevate;
   a seguito di questi eventi la Società ANAS ha effettuato ulteriori controlli;
   le gallerie della Quadrilatero s.p.a. sono finite al centro dell'inchiesta giornalistica di Report e su cui è stato aperto un fascicolo anche dalla procura della Repubblica di Spoleto; 
   in data 17 gennaio 2015 è stato inaugurato il tratto Colfiorito-Serravalle: Statale 77 della «Val di Chienti», circa 9 chilometri con 5 gallerie (3 naturali e 2 artificiali), la più lunga delle quali è quella di Varano che si allunga per circa 3.4 chilometri, e 2 svincoli per un investimento di 218 milioni di euro; l'investimento per l'intero tratto Foligno-Pontelatrave ammonta a 1.140 milioni di euro per 35 chilometri e allo stato attuale le lavorazioni hanno raggiunto uno stato d'avanzamento del 94 per cento; alla cerimonia inaugurale, di scena in prossimità della galleria Bavareto (Serravalle di Chienti, provincia di Macerata), avevano partecipato anche l'ex Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi, oltre naturalmente ai governatori dimissionari di Umbria e Marche, Catiuscia Marini Gian Mario Spacca, l'ex presidente dell'Anas Pietro Ciucci, quello della società Quadrilatero Guido Perosino e i presidenti delle province di Perugia e Macerata Nando Mismetti e Antonio Pettinari; 
   il Ministro pro tempore Lupi ha percorso in auto i 9 chilometri aperti al traffico: «Raccolgo il lavoro iniziato da altri, ma le opere servono a una comunità, ai cittadini alle imprese non a un Governo a o un altro ed è doveroso ricordare il valore delle cose, in questi momenti economicamente difficili servono più che mai i fatti, che dimostrano, l'utilità di queste opere, come ho potuto appurare percorrendo il tratto che oggi inauguriamo»;
   in data 2 luglio 2015 si apprende in una nota della stessa società autostradale: «Nel quadro delle verifiche già disposte su tutte le opere d'arte della Quadrilatero Marche-Umbria, Anas ha disposto la chiusura al traffico del tratto compreso tra lo svincolo di Colfiorito e lo svincolo di Serravalle in entrambi i sensi di marcia. La chiusura consente l'esecuzione da parte di Anas dei controlli urgenti sui rivestimenti delle due gallerie Serravalle e Varano, comprese nel tratto. Il traffico viene deviato sulla Ss 77»;
   sono state quindi chiuse per verifiche urgenti le gallerie Serravalle e Varano della Foligno-Civitanova, ubicate nel tratto aperto il 17 gennaio 2015 al pubblico e che quindi ha già visto il passaggio di migliaia di automobilisti;
   dal sito www.cronachemaceratesi.it si legge «da prime indiscrezioni sarebbero arrivati anche i primi risultati delle Gallerie Serravalle e Varano e non sarebbero incoraggianti» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti, se intenda fare chiarezza sulla correttezza dei procedimenti e dei controlli previsti dalle normative vigenti e quali siano gli indirizzi del Governo in merito all'opera viaria Quadrilatero, alla luce di quanto emerso, prima della sua apertura al traffico automobilistico prevista per l'inizio del 2016;
   se il Ministro non ritenga opportuno fornire elementi in merito ai risultati del report effettuato da ANAS s.p.a. su questa tratta;
   se il Ministro non intenda effettuare ulteriori controlli, non solo per i tratti ancora in costruzione ma anche in tutte le altre tratte dell'opera viaria Quadrilatero già aperte al traffico, per garantire e tutelare la sicurezza degli automobilisti; 
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, per quanto di competenza, per individuare eventuali responsabilità dei soggetti che hanno concorso alla non corretta esecuzione dei lavori e, nel caso, valutare l'opportunità che sia avviata un'azione per chiedere il risarcimento dei danni. (4-09699)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni fornite dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali e dalla società Quadrilatero Marche-Umbria.
  Al fine di garantire la massima attendibilità delle verifiche condotte sulla qualità esecutiva degli interventi realizzati nelle gallerie lungo la direttrice Foligno-Civitanova Marche, nell'ambito del progetto Quadrilatero Marche-Umbria, la società ANAS ha disposto, tramite gara pubblica, l'affidamento a due laboratori specializzati di ulteriori e approfondite indagini su tutte le gallerie realizzate.
  Detti controlli hanno confermato in alcune gallerie, tra le quali la galleria La Franca, la presenza di vuoti e di sottospessori del rivestimento, già evidenziati dalle precedenti campagne di indagine effettuate dal contraente generale.
  Dette indagini hanno, altresì, accertato che non esistono rischi di natura statica delle gallerie stesse.
  A valle delle puntuali analisi e verifiche disposte dall'ANAS e dalla società Quadrilatero Marche-Umbria sulle tipologie di intervento proposte dal progettista per ripristinare le performance di progetto delle gallerie in termini di resistenza e di durabilità, sono state avviate da parte del contraente generale le operazioni di risanamento delle parti non conformi.
  Gli interventi di risanamento sono stati approvati da Quadrilatero a seguito delle istruttorie tecniche svolte con il supporto di Anas, sono stati eseguiti dal contraente generale nel periodo aprile-luglio 2016. In data 25 maggio 2016 il contraente medesimo, ha dato comunicazione dell'ultimazione dei lavori del nuovo asse stradale SS 77/Var, per la quale sono state attivate le relative verifiche da parte della direzione lavori e dell'alta sorveglianza, i cui esiti non hanno consentito a tutt'oggi di certificare l'ultimazione di tutti i lavori contrattualmente previsti.
  In conformità alla procedura di cui all'articolo 230 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 l'asse principale SS 77/Var è stato aperto al traffico in data 28 luglio 2016, sulla scorta dei collaudi statici eseguiti e delle verifiche di competenza della direzione lavori, delimita sorveglianza e della commissione di collaudo.
  A seguito degli ingenti ritardi accumulati rispetto ai termini di ultimazione contrattuali sono state applicate dalla società Quadrilatero le penali previste dal capitolato speciale di affidamento, fino alla concorrenza del limite del 10 per cento previsto dalla norma.
  I suddetti ingenti ritardi nell'ultimazione delle opere, le non conformità rilevate nell'esecuzione delle gallerie e i mancati pagamenti di diversi affidatari hanno costituito motivo, tra l'altro, per la proposizione di atto di citazione nei confronti del contraente generale in data 7 novembre 2016 da parte di ANAS e Quadrilatero, innanzi al tribunale delle imprese di Roma, per il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dalla parte pubblica. Nell'udienza tenutasi il 4 luglio 2017, il giudice ha verificato la regolarità del contraddittorio e la causa è stata rinviata all'udienza del 18 dicembre 2017 per l'ammissione di mezzi istruttori.
  Da ultimo, la società Quadrilatero ha riferito che a seguito degli eventi sismici di agosto e ottobre 2016 che hanno duramente colpito il centro Italia, in particolare l'evento del 30 ottobre ha raggiunto la magnitudo di 6,5 gradi Richter con epicentro prossimo alla Strada statale 77/Var, il nuovo asse stradale è risultato pienamente efficiente e costituisce oggi il miglior collegamento alle aree interne di Umbria e Marche interessate dal sisma.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   VALERIA VALENTE, CARLONI, DI LELLO, IMPEGNO, MANFREDI e PALMA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ricorrendo alla procedura di riequilibrio ex articolo 243-bis del decreto legislativo n. 267 del 2000, il comune di Napoli ha approvato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale nel gennaio 2013 per assorbire un disavanzo accertato in 850,2 milioni di euro e ridotto nei successivi aggiornamenti;
   questa consistente riduzione è stata possibile mediante la contabilizzazione dell'accesso alle anticipazioni di liquidità (articolo 1 del decreto-legge n. 35 del 2013), e grazie al rilievo contabile evidenziato dalle sezioni riunite della Corte dei Conti in riferimento alla passività derivante dalla restituzione del fondo di rotazione (articolo 243-ter del T.U.E.L.), che, come è stato recepito nella delibera del comune di Napoli C.C. n. 84/2014, non richiede di essere contabilizzata;
   a fronte della riduzione del disavanzo conseguente ai suddetti fattori tecnico-contabili, il risanamento attivato dal comune di Napoli individuava sei leve strutturali di finanza pubblica, su cui si impegnava la politica di bilancio dell'amministrazione;
   nelle relazioni per l'anno 2016 sullo stato di attuazione e sul raggiungimento degli obiettivi intermedi del piano di riequilibrio, l'organo revisore ha rilevato un perdurante scostamento complessivo tra l'andamento degli interventi di riequilibrio e il piano finanziario pluriennale previsto;
   ancora nella relazione relativa al secondo semestre 2016, i revisori evidenziano che le due direttrici decisive del piano, ossia l'incremento strutturale delle riscossioni e il piano di dismissione di parte del patrimonio immobiliare del comune, non hanno raggiunto i loro obiettivi, rivelandosi così, in maniera preoccupante, almeno per ora inefficaci allo scopo di superare gli squilibri strutturali di bilancio;
   a queste costanti criticità si aggiungono i debiti fuori bilancio, la mancata ricostituzione della cassa vincolata a cui l'ente comunale ricorre puntualmente, e, a partire dal 2016, l'utilizzo dell'anticipazione di cassa, anch'essa non restituita al tesoriere entro il termine dell'esercizio;
   il consiglio comunale di Napoli con deliberazione n. 15 del 30 settembre 2016 ha proceduto a una rimodulazione del piano di riequilibrio pluriennale, come consentito dall'articolo 1, commi 714 e 714-bis, della legge n. 208 del 2015;
   con l'approvazione del rendiconto 2016, il comune di Napoli ha preso atto del mancato raggiungimento degli obiettivi di recupero del disavanzo relativi agli esercizi 2015 e 2016, fissando complessivamente a 1.890 milioni di euro il disavanzo di amministrazione al 31 dicembre 2016;
   inoltre, la sezione autonomie della Corte dei Conti con deliberazione n. 36/SEZAUT/2016/QMIG, pur specificando che nell'esame dello stato di attuazione del piano la sezione regionale deve considerare la situazione complessiva, compreso ogni eventuale elemento sopraggiunto, ha però ribadito che il piano di riequilibrio deve produrre innanzitutto un percorso graduale di effettivo risanamento dell'ente;
   dunque, al momento le risultanze di bilancio presentano molteplici elementi per giudicare il comune di Napoli lontano sia dall'equilibrio dei conti, sia da un effettivo percorso di risanamento, tanto da far considerare, ad avviso degli interroganti, la possibilità che si sia determinato quel «grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano» che costituisce condizione per l'avvio della procedura di dissesto guidato di competenza del prefetto (comma 7, dell'articolo 243-quater, del T.U.E.L) –:
   se il Ministro interrogato, anche in ragione delle funzioni istruttorie demandate alla Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali operante presso il Ministero dell'interno, sia a conoscenza della seria e preoccupante situazione relativa all'attuazione del piano di riequilibrio da parte del comune di Napoli e se – anche alle luce dell'attività di competenza della citata Commissione sulle modifiche ai piani di riequilibrio pluriennale indicate dalla Corte dei Conti con la deliberazione n. 9/SEZAUT/2017/QMIG – esistano elementi tali da offrire rassicurazioni riguardo alla possibilità di evitare una eventuale procedura di dissesto che sarebbe sicuramente dannosa per la città e i suoi abitanti. (4-17036)

  Risposta. — In merito al l'interrogazione in esame, si rappresenta che, con deliberazione consiliare n. 58 del 30 novembre 2012 il comune di Napoli ha attivato, la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale di cui all'articolo 243-bis del Tuoel.
  Con successiva deliberazione consiliare n. 3 del 28 gennaio 2013, l'amministrazione ha adottato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale di durata decennale, con decorrenza dall'esercizio 2013, prevedendo l'accesso al Fondo di rotazione di cui all'articolo 243-ter del Tuoel, piano che, con successiva deliberazione consiliare n. 33 del 15 luglio 2013, è stato modificato a seguito di una concessione di anticipazione di liquidità da parte della Cassa depositi e prestiti, ai sensi del decreto-legge n. 35 del 2013.
  Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 marzo 2013 è stata, infatti, concessa al comune di Napoli, ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge n. 174 del 2012, una prima anticipazione a valere sul predetto Fondo di rotazione pari a 58.746.430,47 euro, sull'importo totale di 234.985.721,72 euro, successivamente integralmente erogato, importo che l'Ente sta restituendo secondo le modalità previste dall'articolo 5 del decreto ministeriale 11 gennaio 2013.
  Sul piano di riequilibrio la Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali ha formulato una prima richiesta istruttoria (ex articolo n. 243-quater, comma 2, del Tuoel) nel maggio 2013, alla quale il comune ha dato riscontro il mese dopo.
  Successivamente, in applicazione dell'articolo 1, comma 15, del decreto-legge n. 35 del 2013, convertito dalla legge n. 64 del 2013, l'Ente ha proposto una modifica al piano di riequilibrio con la già citata deliberazione consiliare n. 33 del 15 luglio 2013. Su tale modifica al piano è stata formulata una nuova richiesta istruttoria con nota del 17 settembre 2013 alla quale l'Ente ha risposto il 4 ottobre 2013.
  Nel piano veniva ipotizzato il raggiungimento dell'obiettivo di ripianare entro il 2022 la massa passiva, fondando la parte preponderante dell'attività di risanamento del disavanzo di amministrazione su operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare e di quote delle società partecipate. Tuttavia, non venivano forniti riscontri sulla percorribilità, sui tempi e sugli importi stimati, di tali operazioni di dismissione. Altrettante criticità risultavano nella prospettata operazione di alienazione delle quote di partecipazioni societarie per la mancanza di un'analisi di mercato in grado di valutare l'attendibilità dell'operazione prospettata. Mancava, infine, nel piano una concreta ristrutturazione della spesa corrente ed un efficientamento della riscossione delle entrate proprie.
  Nella seduta del 29 ottobre 2013, la commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali ha esaminato la documentazione e ha redatto la relazione finale, inviandola alla sezione regionale di controllo per la Campania della Corte dei conti la quale, con deliberazione n. 12, adottata nell'adunanza del 20 gennaio 2014, non ha approvato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale predisposto dal comune di Napoli, avendone valutata la non congruenza ai fini del riequilibrio.
  Avverso la mancata approvazione, il comune di Napoli ha proposto impugnazione innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione, ai sensi dell'articolo 243-quater, comma 5, del Tuoel, che ha accolto il ricorso e pertanto il piano di riequilibrio finanziario pluriennale è stato approvato e risulta in fase di monitoraggio presso la sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi dell'articolo 243, comma 6, Tuoel.
  Con ordinanza n. 39 del 5 luglio 2017 la sezione regionale di controllo per la Campania della Corte dei conti è stata convocata per il prossimo 21 luglio per l'esame dello stato della procedura di riequilibrio pluriennale del comune di Napoli, procedura per la quale la sezione risulta aver formulato osservazioni su alcuni punti di criticità.
  Nel caso la sezione non dovesse considerare superate le criticità e fosse accertato, ai sensi dell'articolo 243-quater, comma 7, del Tuoel, il grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano, ci sarebbero le condizioni per applicare l'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, con l'assegnazione al consiglio comunale, da parte del Prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la dichiarazione di dissesto finanziario.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   VALLASCAS, NICOLA BIANCHI e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 13 marzo 2015, la società Anas ha provveduto d'urgenza a interdire al traffico veicolare (tra il chilometro 0,00 e il chilometro 6,5) la strada statale 554-bis, che collega l'area metropolitana di Cagliari con il territorio del Sarrabus;
   la decisione è stata presa a seguito del formarsi, all'altezza del chilometro 3,1, di alcune profonde voragini lungo la carreggiata che, allo stato attuale, risulta gravemente compromessa e inagibile lungo le quattro corsie;
   il crollo sarebbe stato causato, secondo una prima verifica dei tecnici, dallo smottamento del rilevato stradale per effetto delle piogge dei giorni precedenti e per una presunta insufficienza nel funzionamento del sistema di drenaggio delle acque;
   non è la prima volta che la strada viene chiusa al traffico con le stesse motivazioni: cedimento dell'asfalto lungo quel tratto della strada;
   inaugurata nel 2004, era stata interdetta al transito dei veicoli nel 2011 e sottoposta ai lavori di ripristino per un importo di circa 420mila euro;
   nel 2011 venne avviata una prima inchiesta della procura della Repubblica di Cagliari proprio per verificare la natura dei cedimenti, mentre una seconda inchiesta è stata avviata a seguito dell'ultimo crollo;
   in particolare, sembrerebbe che gli agenti del Corpo forestale della Sardegna, impegnati nelle indagini, starebbero verificando la qualità e la natura del materiale con cui sono stati realizzati il rilevato e le basi di sostegno;
   a tale proposito, alcuni organi di stampa avrebbero riportato la notizia che sarebbero stati effettuati dei carotaggi lungo il tratto di terreno interessato;
   in questo contesto, acquista particolare rilevanza, e inquietudine per i risvolti che potrebbe avere, un servizio giornalistico proposto dall'emittente televisiva locale Videolina, nell'edizione del 14 aprile 2015;
   il servizio, realizzato proprio nel tratto di strada dove l'asfalto ha ceduto (tratto peraltro privo di strumenti di interdizione dell'accesso nonché di personale di vigilanza), metteva in risalto la presenza nel rilevato stradale, di materiale di risulta e di rifiuti, accessibile alla vista per effetto del dilavamento delle acque;
   l'ipotesi prospettata nel servizio è stata avvalorata dalle dichiarazioni di un testimone con il volto travisato, che ha dichiarato che all'epoca della costruzione della strada avrebbe visto riversare, per la realizzazione del rilevato stradale, del materiale che appariva alla vista come materiale di risulta o rifiuti;
   se risultasse fondato il contenuto del citato servizio giornalistico si delineerebbe una situazione di estrema gravità sotto il profilo della sicurezza per i fruitori della struttura viaria e per quanto concerne lo sperpero di risorse pubbliche;
   questo stato di cose, oltre alla necessità di recuperare e ripristinare l'infrastruttura viaria compromessa, richiederebbe con urgenza una verifica con l'individuazione delle eventuali responsabilità di coloro che avrebbero dovuto vigilare sulla corretta conduzione dei cantieri interessati –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa;
   se non ritenga opportuno disporre, per quanto di competenza, un'indagine ministeriale al fine di verificare la fondatezza di quanto esposto e le eventuali responsabilità che ne derivano;
   quali iniziative intenda adottare per ripristinare al più presto la viabilità compromessa a causa dei continui cedimenti e del crollo dell'asfalto della strada statale 554-bis. (4-08898)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni fornite dalla direzione generale strade, autostrade, vigilanza e sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società Anas.
  Il 19 luglio 2016 Anas ha aggiudicato i lavori urgenti per il consolidamento del versante in frana e per il ripristino del corpo stradale della strada statale (SS) 554 «Cagliaritana» nel tratto situato al chilometro 21+000 corrispondente al chilometro 3 della ex 554-bis.
  Le lavorazioni iniziali su tale tratto, aperto provvisoriamente al transito, si sono limitate alle opere che non precludevano la percorribilità agli utenti stradali, in modo da ridurre eventuali disagi durante il periodo estivo.
  Il successivo 20 settembre Anas ha consegnato all'impresa appaltatrice i lavori contrattualmente previsti, disponendo la contestuale chiusura al traffico della statale dal chilometro 18+200 al chilometro 24+500 con deviazione del traffico su viabilità alternativa.
  Il 27 dicembre 2016 è stato sospeso l'intervento dovendo procedere ad ulteriori indagini geognostiche e geofisiche previste nell'elaborato progettuale; per tali verifiche Anas si è avvalso di esperti professionisti del dipartimento di ingegneria civile ambientale ed architettura dell'Università degli studi di Cagliari.
  Anas fa presente che le intense precipitazioni abbattutesi in Sardegna nel mese di gennaio 2017, hanno fortemente interessato anche la zona nella quale si sviluppa il tracciato stradale in argomento, provocando la riattivazione dei movimento franoso con un arretramento del ciglio superiore del versante in sfaldamento.
  Il 10 aprile 2017, a conclusione delle indagini sopracitate e allo stabilizzarsi dello smottamento, è stato possibile riavviare le lavorazioni.
  Anas ha programmato di proseguire i lavori in due fasi distinte e procedere all'apertura al traffico, seppure parziale, entro il corrente mese.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come già ricordato nell'interrogazione n. 5-05937, la strada statale 554-bis (nota anche come nuova 554) è un'arteria fondamentale della viabilità regionale sarda. Il suo tracciato presenta caratteristiche di superstrada, con due corsie per senso di marcia. L'arteria si raccorda con la nuova strada statale 125 e consente il collegamento dell'area metropolitana di Cagliari alle località turistiche della costa sud orientale, sino a Villasimius, proseguendo poi per Costa Rei e Muravera, per raggiungere infine l'Ogliastra;
   sin dalla sua inaugurazione, la carreggiata della nuova 554 ha subito fenomeni di dissesto, particolarmente drammatici nel tratto ricompreso tra il chilometro 0,000 e il chilometro 6,500 che sono stati gli inequivocabili segnali premonitori degli attuali, gravissimi cedimenti strutturali;
   dal marzo scorso, l'ANAS ha annunciato gli interventi di ripristino provvisorio del tratto stradale interessato. Il suddetto cantiere è situato al chilometro 3,100 della strada statale 554, nel comune di Quartucciu e più volte è comparsa sulla stampa locale la promessa di un parziale ripristino della viabilità, almeno in un senso di marcia, entro la fine del mese di giugno 2015;
   tale attività di ripristino della viabilità, sempre secondo quanto riferito dalla stampa locale, avrebbe subito un blocco temporaneo, nella seconda metà di giugno, in seguito al sequestro di un tratto della strada statale 554, a seguito dell'apertura di un'indagine da parte della magistratura;
   il 19 giugno 2015 Anas si impegnava a presentare in tempi brevi una motivata istanza di dissequestro (vedasi L’Unione Sarda 20 giugno 2015), allo scopo di poter completare le opere necessarie al ripristino provvisorio del tratto stradale, per garantire un più accettabile smaltimento dei grandi flussi di traffico estivi. Il perdurare dell'interruzione della viabilità tra l'area di Cagliari e il litorale sud orientale comporta infatti drammatiche conseguenze per la viabilità locale e per il turismo del sud Sardegna;
   coerentemente con tali necessità e con gli impegni pubblicamente assunti dall'ANAS, in data 2 luglio, durante il question time in Commissione Infrastrutture, il Governo, rispondendo all'interrogazione n. 5-05937 presentata dall'interrogante, ha comunicato che lo scorso 4 giugno 2015 è stata effettuata la consegna dei lavori di ripristino provvisorio della strada statale 554 Cagliaritana (chilometro 3+000 della ex strada statale 554-bis);
   nella stessa circostanza, il Governo ha anche precisato che l'azienda appaltatrice dell'opera ha garantito il completamento dei lavori in venti giorni e che, alla data del 2 luglio 2015, gli scavi sono pressoché ultimati;
   la risposta del Governo, che in nessuna misura accenna alla eventuale persistenza di un provvedimento di sequestro giudiziario che insista sul cantiere di ripristino parziale della viabilità, autorizza ad ipotizzare la consegna dell'opera entro quindici giorni;
   nel frattempo, i primi week end della attuale stagione turistica hanno confermato come il tracciato della vecchia strada provinciale 17 (la strada litoranea, con due sole corsie) sia del tutto insufficiente a reggere il traffico estivo, con la inevitabile conseguenza delle lunghissime code di auto che — nelle giornate di punta — si creano nel tratto compreso tra il Margine Rosso e l'imbocco della nuova strada statale 125, all'altezza di Terra Mala;
   tale situazione è ovviamente fonte di straordinari disagi per tutte le famiglie che sono costrette a movimenti automobilistici pendolari per raggiungere in giornata le località balneari della costa sud orientale, che sono soggette ad aggravi di consumo di carburante e — soprattutto — di tempi morti di percorrenza, a causa della predetta interruzione della viabilità;
   il disagio nella rete viaria ha inoltre effetti dissuasivi sulle destinazioni turistiche della costa sud orientale, diventate più difficilmente raggiungibili e crea pertanto un danno economico a tutte le attività recettive e turistiche di tale regione della Sardegna;
   la ricerca di percorsi alternativi da parte degli automobilisti disperati sta caricando di traffico alcune strade locali di penetrazione (come la scorciatoia di Niu Crobu-Santu Lianu), assolutamente inadeguate a far fronte ai nuovi, incongrui volumi di traffico, con gravi situazioni di pericolo per i residenti –:
   se sia confermata l'imminenza della praticabilità della bretella, come si deduce dalla risposta all'interrogazione n. 5-05937;
   se l'attività di sequestro posta in essere della magistratura sia stata rimossa, come si dedurrebbe dalla risposta del Governo che non accenna in alcun modo ad impedimenti di ordine giudiziario alla conclusione dei lavori, oppure comporti persistenti interferenze nella consegna dei lavori del cantiere;
   se, nel caso in cui tale attività di sequestro giudiziario interferisse con il completamento dei lavori, l'ANAS abbia attivato un piano alternativo per la riabilitazione del traffico e sia comunque in grado di definire quando sarà disponibile una nuova bretella;
   qualora fosse difficile ipotizzare una soluzione alternativa in tempi accettabili, se l'ANAS e il Ministero dei trasporti abbiano segnalato al prefetto la gravità dei disagi eventualmente determinati dalla condizione di blocco del cantiere di transito parziale e abbiano conseguentemente individuato una soluzione che consenta l'immediato sblocco dell'attività di cantiere, permettendo la conclusione dei lavori e la parziale risoluzione dell'attuale disastrosa situazione della viabilità.
(4-09719)


   VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la nuova strada statale 554 è, in Sardegna, il paradigma negativo dell'incapacità dello Stato e di Anas di risolvere i problemi dei trasporti sardi;
   non rappresenta soltanto l'ultimo tratto dell'indispensabile collegamento tra Cagliari e Ogliastra, ma è anche l'elettiva via di trasporto per tutto il traffico automobilistico estivo che insiste sull'asse viario ricompreso tra il capoluogo e le località balneari della costa orientale, sopportando carichi di traffico veicolare tra i più importanti dell'Isola;
   collaudata nel 2007, l'arteria ha iniziato ad essere colpita da fenomeni di dissesto, particolarmente drammatici tra il chilometro 0,00 e il chilometro 6,500, determinando ricorrenti disservizi nel traffico, sino alla chiusura completa prima e durante l'estate del 2015;
   l'interrogante affrontò già il problema con un question time in Commissione, ottenendo rassicurante risposta sulla riapertura definitiva entro giugno 2015;
   gli impegni non furono rispettati da Anas e la strada venne riaperta parzialmente al termine di una disastrosa estate, in data 10 settembre 2015, per venire nuovamente chiusa nel settembre 2016, al fine di dar corso a lavori per un importo di 2.782.000 euro, per definitiva soluzione del problema;
   la nuova strada statale 125 è tuttora interrotta tra gli svincoli di Ganni (al chilometro 18.200) e Santu Lianu (al chilometro 24.500) e, a più riprese, l'Anas ha garantito che tali lavori si sarebbero conclusi definitivamente entro il 30 giugno 2017;
   il 19 aprile 2017, l'Anas ha comunicato che non riuscirà a completare i lavori necessari entro la scadenza prevista. L'azienda ha comunicato la propria intenzione di realizzare una bretella temporanea, a carreggiata unica e doppio senso di circolazione, per restituire parziale transitabilità estiva alla strada;
   tale situazione appare inaccettabile in previsione del carico di lavoro che la strada è destinata a sopportare nell'imminente stagione estiva e configura la certezza di creare immensi disagi;
   in data 16 maggio 2017, l'Anas ha confermato il ritardo nella consegna definitiva dei lavori, slittata a fine ottobre;
   nel weekend del 20-21 maggio 2017, le condizioni atmosferiche ottimali hanno spinto moltissimi cagliaritani a recarsi nelle località turistiche della costa orientale. La chiusura della strada statale 544 ha sin d'ora comportato effetti disastrosi sulla viabilità del rientro a Niu Crobu, lungo la via San Martino e nella via dell'Autonomia regionale, assolutamente inadeguate a reggere grandi moli di traffico, prese d'assalto dai gitanti come soluzione alternativa;
   è impensabile che il sud della Sardegna possa essere costretto ad affrontare una nuova estate di disservizi con conseguenze economiche negative sul piano del turismo, dell'inquinamento e del trasporto;
   regione e sindaci hanno chiesto nei giorni scorsi al prefetto di Cagliari la convocazione urgente del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica –:
   se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non ritenga opportuno avviare un'immediata verifica per acclarare quali siano le motivazioni di tale situazione e se vi siano responsabilità nel ritardo nella riapertura della strada statale 554, prevista per il 30 giugno;
   se e quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per evitare un eventuale ritardo nella riapertura della strada che verrebbe percepito in Sardegna come un vero e proprio fallimento dello Stato e delle sue aziende e che pertanto costituzionali un vulnus nel rapporto tra il cittadino sardo e le istituzioni nazionali;
   se non ritenga utile intervenire immediatamente nei confronti dell'Anas per ribadire la strategicità del risanamento urgente del tratto franato della strada statale 554 e la conseguente necessità di rispettare la data di riapertura definitiva del 30 giugno 2017 anche attraverso l'impegno straordinario di risorse umane e tecnologiche aggiuntive nel cantiere, con apertura delle attività h24, sette giorni su sette. (4-16701)

  Risposta. — Con riferimento agli atti di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni fornite dalla direzione generale strade, autostrade, vigilanza e sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società Anas.
  Il 19 luglio 2016 Anas ha aggiudicato i lavori urgenti per il consolidamento del versante in frana e per il ripristino del corpo stradale della strada statale (SS) 554 «Cagliaritana» nel tratto situato al chilometro 21+000 corrispondente al chilometro 3 della ex 554-bis.
  Le lavorazioni iniziali su tale tratto, aperto provvisoriamente al transito, si sono limitate alle opere che non precludevano la percorribilità agli utenti stradali, in modo da ridurre eventuali disagi durante il periodo estivo.
  Il 20 settembre 2016 Anas ha consegnato all'impresa appaltatrice i lavori contrattualmente previsti, disponendo la contestuale chiusura al traffico della statale dal chilometro 18+200 al chilometro 24+500 con deviazione del traffico su viabilità alternativa.
  Il 27 dicembre 2016 è stato sospeso l'intervento dovendo procedere ad ulteriori indagini geognostiche e geofisiche previste nell'elaborato progettuale; per tali verifiche Anas si è avvalso di esperti professionisti del dipartimento di ingegneria civile ambientale ed architettura dell'università degli studi di Cagliari.
  Anas fa presente che le intense precipitazioni abbattutesi in Sardegna nel mese di gennaio 2017, hanno fortemente interessato anche la zona nella quale si sviluppa il tracciato stradale in argomento, provocando la riattivazione del movimento franoso con un arretramento del ciglio superiore del versante in sfaldamento.
  Il 10 aprile 2017, a conclusione delle indagini sopracitate e allo stabilizzarsi dello smottamento, è stato possibile riavviare le lavorazioni.
  ANAS ha programmato di proseguire i lavori in due fasi distinte e procedere all'apertura al traffico, seppure parziale, entro il corrente mese.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.