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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 31 luglio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni X e XI,
   premesso che:
    recentemente, la multinazionale Nestlé ha diramato una nota ufficiale nella quale si legge che «A giugno 2018 terminerà il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, che non sarà più rinnovabile. Data l'impossibilità di fare ulteriore ricorso agli ammortizzatori sociali emerge l'esigenza di procedere ad un riequilibrio occupazionale che, ad oggi, stimiamo possa coinvolgere circa 340 addetti alle attività di produzione e logistica, ai quali – nei prossimi anni – non sarà possibile assicurare la continuità occupazionale presso l'Unità di Perugia, se non in funzione della stagionalità tipica delle produzioni dolciarie»;
    lo stabilimento Perugina-Nestlé rappresenta una delle realtà imprenditoriali più significative della regione Umbria per le ricadute di carattere occupazionale ed economico sul territorio: lo stabilimento, infatti, conta circa 1.000 dipendenti ed è la sede di produzione di importanti marchi quali Baci e Nero Perugina, esportati in cinquantacinque Paesi;
    in data 7 aprile 2016, presso la sede di Confindustria Umbria, la Nestlé Italiana spa e la rappresentanza sindacale unitaria del sito di Perugia assistita dalle segreterie provinciali Faicisl, Flai-Cgil e Uila-Uil, hanno proceduto con la firma di un accordo che prevedeva un investimento di 60 milioni di euro nei successivi tre anni;
    tale robusto piano pluriennale si articolava, da un lato, in un disegno di investimenti commerciali per un valore pari a 45 milioni di euro «focalizzati a perseguire precisi obiettivi di crescita nelle produzioni a base cioccolato, sia sul mercato interno, sia soprattutto sui mercati esteri, che possono offrire interessanti opportunità di progressiva destagionalizzazione delle produzioni»;
    dall'altro lato, l'azienda proponeva «S. Sisto come centro di produzione di riferimento per la fornitura di biscotti per gelato alle consociate della zona Emena, comprese eventuali articolazioni in «joint venture» – confidando sulla capacità di esprimere un costo competitivo derivante dal pieno utilizzo della capacità produttiva installata e dalla piena espressione delle competenze professionali disponibili – al fine di intensificare, nell'immediato, un'attività fortemente contro stagionale rispetto alle produzioni a base cioccolato», con investimenti tecnici per complessivi 15 milioni di euro per rafforzare la vocazione strategica di S. Sisto, polo produttivo di eccellenza del cioccolato, e consolidarne la posizione competitiva all'interno dell'apparato industriale della zona Emena del gruppo Nestlé;
    per di più, lo stesso piano contemplava, inoltre, accanto alla dismissione della produzione di alcuni marchi, il rilancio dell'importante prodotto il «Bacio Perugina», un « global brand», simbolo del « made in Italy» e dell'eccellenza italiana nel mondo, valorizzando il più possibile il legame con il territorio, senza però la necessità di ricorrere ad esuberi di personale e a decisioni unilaterali dell'azienda per tutta la durata del piano, quindi almeno fino al 2018;
    tale accordo era stato ratificato a larga maggioranza anche dai lavoratori e salutato con entusiasmo dalla stessa presidente della regione Umbria, che ha testualmente affermato che «Si è trattato di un incontro molto importante, nel corso del quale abbiamo preso atto delle informazioni che il management di Nestlé ci ha fornito relativamente al piano industriale, con specifico riferimento alle politiche industriali, commerciali e degli investimenti che possano garantire il mantenimento e la valorizzazione dei livelli occupazionali per lo stabilimento di San Sisto a Perugia»;
    il nuovo piano industriale era riuscito ad arginare in maniera efficace il fenomeno di crisi che aveva colpito lo stabilimento, originato soprattutto dalla carenza di investimenti e di innovazione dei suoi sistemi di produzione, avendo prodotto una crescita delle vendite dei prodotti dell'azienda, tra cui figurano i famosi «baci» e le tavolette di cioccolato;
    nonostante la multinazionale avesse registrato dati confortanti relativi all’export del settore del cioccolato, il management aziendale, in una nota del 24 febbraio 2017, ha confermato l'intenzione di procedere ad un ridimensionamento dei livelli occupazionali dello stabilimento di San Sisto. Si legge infatti che «Purtroppo sull’export l'aumento del 44 per cento non si traduce in volumi importanti, tali da assicurare un conseguente aumento produttivo». È necessario sottolineare come i dati riportino un incremento a doppia cifra registrato in molti Paesi stranieri (Usa, Brasile ed Australia), con punte fino al 60 per cento in Canada e Cina;
    sebbene la rappresentanza sindacale unitaria avesse espresso un giudizio positivo sull'andamento del piano, il 6 aprile 2017 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha approvato il programma di riorganizzazione aziendale autorizzando la corresponsione – per il periodo dal 16 gennaio 2017 al 15 luglio 2018 – del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinari in favore di 819 lavoratori impiegati presso lo stabilimento di San Sisto;
    la stessa rappresentanza sindacale aveva del resto considerato la firma della cassa integrazione guadagni speciali come «il prosieguo del percorso avviato nella scorsa primavera quando fu siglato l'accordo che prevede un investimento totale sulla fabbrica perugina di 60 milioni di euro». Allora fu definito, infatti, il percorso per il biennio 2017-2018, che «prevede da un lato degli investimenti, al fine di rendere lo stabilimento sempre più performante e supportare i marchi Perugina nel mondo, dall'altro, la richiesta della cassa integrazione come strumento per la gestione della forza lavoro in questo biennio di attuazione del Piano»;
    tuttavia, a maggio 2017, la società ha comunicato, tramite Leo Wencel, capo mercato del gruppo Nestlé in Italia, l'intenzione di ridurre, al termine del periodo di cassa integrazione guadagni straordinari, l'organico di circa 340 unità, non essendo in grado di riassorbire tutte le unità lavorative;
    conseguentemente, preoccupati per il forte contraccolpo che tale progetto potrebbe avere sul tessuto sociale della città di Perugia, i sindacati hanno prontamente reagito denunciando i citati esuberi previsti per lo stabilimento di San Sisto che metterebbero a rischio, dunque, il futuro di circa 340 dipendenti. A seguito di ciò, la regione Umbria aveva deciso di convocare un «tavolo istituzionale», con la partecipazione delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori e rappresentanti dell'azienda, per il 15 giugno 2017, al fine di discutere, acquisire le necessarie informazioni ed avere, conseguentemente, un quadro più organico rispetto alla vicenda complessivamente considerata;
    dall'incontro istituzionale tenutosi a giugno 2017 tra i vertici aziendali di Nestlé, le rappresentanze sindacali unitarie, la regione ed il comune di Perugia, tuttavia non sembra essere emersa una soluzione definitiva della questione. I primi, infatti, non fanno nessun passo indietro sui 340 esuberi, ma si sono dichiarati disponibili a partecipare ad un tavolo al Ministero dello sviluppo economico, con l'obiettivo di fare di Perugia «una fabbrica efficiente e competitiva che possa svilupparsi anche nel futuro e di ricercare tutte le soluzioni possibili per gestire le persone, in modo da trovare prospettive occupazionali per tutti». Dal canto suo, la presidente della regione Umbria, Catiuscia Marini, ha ribadito con forza che «questo anno sia messo a frutto per un lavoro di mantenimento della capacità industriale, ma anche per evitare che la riorganizzazione dell'azienda si traduca in una riduzione di posti di lavoro e in un'emergenza sociale per i lavoratori»;
    nell'ambito del citato incontro del 15 giugno 2017, Nestlé italiana ha inoltre respinto in modo deciso le accuse di non rispettare gli accordi sottoscritti, confermando la scelta del gruppo di fare di San Sisto il polo di eccellenza nella produzione dei Baci Perugina e del cioccolato Perugina, per l'Italia e per l'estero, e ha smentito le voci su presunti disinvestimenti, ridimensionamenti e passi indietro dell'azienda rispetto agli accordi presi, anche alla luce della decisione aziendale di investire sui «Baci» per farne un brand globale. Seppure tale scelta sia stata considerata positiva dalla presidente della regione e dal sindaco del comune di Perugia, questi hanno aggiunto che a tale proposta occorre affiancare necessariamente «una proposta nuova di carattere industriale, che possa, interessare la regione e il territorio»;
    secondo quanto si apprende da diverse fonti, il 27 luglio 2017 sarebbe stato convocato un tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico con la partecipazione dei vertici aziendali della società Nestlé, le organizzazioni sindacali e le istituzioni regionali e locali interessate ad avviare un confronto rispetto all'annuncio degli esuberi e al possibile ridimensionamento del sito della Perugina. In questo stesso periodo, il fondo d'investimento americano Third Point avrebbe comunicato di essere diventato uno degli azionisti più importanti della società Nestlé dopo aver acquisito oltre 40 milioni di azioni, pari all'1,3 per cento di tutto il capitale;
    la Perugina rappresenta prima di tutto un'azienda con un'importante produzione, uno storico marchio dell'industria dolciaria italiana. Confluita nel 1998 nella Nestlé italiana spa, multinazionale svizzera del gruppo, quest'ultima ha saputo proteggere e salvaguardare i valori che hanno caratterizzato da sempre la storica azienda che, attualmente, rappresenta uno dei principali stabilimenti europei per la produzione di cioccolato;
    il sito produttivo umbro rappresenta altresì una parte decisiva della storia e dell'identità recente di Perugia e dell'Umbria intera e, quindi, una circostanza come quella sopra descritta rappresenterebbe un evento drammatico per tutta la comunità regionale,

impegnano il Governo:

   ad intraprendere iniziative volte al monitoraggio delle risultanze del tavolo di confronto con la partecipazione dei vertici aziendali della società Nestlé, delle organizzazioni sindacali e delle istituzioni regionali e locali interessate, allo scopo di favorire la predisposizione di misure dirette a garantire il mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali del sito di San Sisto di Perugia e a scongiurare i prospettati esuberi;
   ad assumere le necessarie iniziative di competenza al fine di tutelare i livelli occupazionali attuali dello stabilimento della Nestlé-Perugina e, congiuntamente di garantire la salvaguardia di una realtà strategica per la regione Umbria e la città di Perugia, per lo sviluppo della quale è di fondamentale importanza procedere ad una difesa e ad un rilancio della citata fabbrica;
   ad assumere le opportune iniziative di competenza allo scopo di dare concreta attuazione al citato accordo del 2016, ritirando il piano dei preannunciati 340 esuberi.
(7-01328) «Polverini, Minardo, Laffranco, Polidori».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, per sapere – premesso che:
   dei 301338 chilometri quadrati dell'Italia il 42 per cento è collinare, il 33 per cento montuoso (75 per cento);
   questa orografia racconta di un Paese ricco di zone marginali, disagiate;
   il deficit di collegamenti incrementa disagi e marginalità;
   oltre un terzo di italiani vive nelle città maggiori, dove attività e servizi concentrano le risorse;
   vi sono poi le «megalopoli policentriche», cioè i centri abitati situati sulle arterie principali, che formano una rete di rapporti, economie, servizi;
   residuano le zone collinari e montane, con paesi «lontani da tutto» e con popolazione più anziana;
   non si fa l'apologia delle zone disagiate, ma si discute delle competenze di coordinamento della Presidenza del Consiglio, nonché delle materie proprie del Ministro per la salute. Né si parla di «sindacato di territorio», che, se non integrato da una cornice valoriale, impoverisce questa problematica, riducendola nei confini delle rivendicazioni sull'efficienza dei servizi e sui miglioramenti che sarebbero necessari nei territori interessati;
   la questione coinvolge i principi fondanti della Repubblica e il principio europeo di coesione territoriale;
   l'articolo 3 della Costituzione sancisce la «pari dignità sociale» e «l'eguaglianza dinanzi alla legge» e riguarda ogni genere di status (soggettivo e oggettivo). Ovunque la persona viva ha diritto alla pari dignità e all'eguaglianza dinanzi alla legge. Ciò che ha un cittadino di Milano o di Poggibonsi, per i livelli di servizi sanitari essenziali di assistenza, deve essere eguale a quello che può avere un cittadino di Bibbiena-Arezzo o di Santa Sofia-Forlì;
   si arriva allo stesso risultato anche da altro verso, visto che fra le «condizioni sociali» che non escludono la pari dignità e l'eguaglianza c’è anche il luogo di residenza;
   inoltre, fra i diritti fondamentali della persona, l'articolo 16 della Costituzione prevede la libertà di andare e risiedere dove si vuole;
   comunque si affronti la questione, si evidenziano problematiche fondamentali per la vastità del territorio interessato, per il numero e la qualità dei servizi per i cittadini, per i principi in gioco (articoli 3, 16, 32 della Costituzione). Infine, la natura dinamica della Carta (articolo 3, comma 2) sancisce l'azione della Repubblica per la rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. A ciò si aggiunga il principio europeo di coesione, cioè di riequilibrio delle aree, che si estende a servizi e diritti;
   invece, con riguardo ad alcune strutture essenziali, come ad esempio le piste per elisoccorso è stata ridefinita la loro dislocazione sul territorio, diviso in zone teoricamente sostenibili, che hanno comportato per gli interpellanti un peggioramento di servizi sanitari; infatti molte strutture inserite naturalmente in zone marginali e disagiate vengono riclassificate, riaccorpate, per essere «annichilite» sotto il profilo della marginalità ed essere poi, per effetto della «razionalizzazione delle prestazioni» impoverite, dismesse, quando magari erano stati investiti cospicui fondi per migliorarle;
   la forza del linguaggio burocratico piega alle necessità di bilancio la sostanza dell'assistenza sanitaria e dei diritti costituzionali, secondo l'erronea convinzione che il risparmio sia lo scopo di una buona politica manageriale sanitaria. Questa corsa al risparmio e al depotenziamento di strutture in zone disagiate e marginali, apre talvolta le porte all'intervento privato, che gioca sul bisogno lasciato insoddisfatto, e che spesso si pone l'obiettivo di lucrare sulla situazione avvalendosi dello smantellamento di servizi pubblici e offrendo strutture e servizi a pagamento, per altro fonte di spese per la sanità pubblica, in quanto convenzionati;
   il problema emerge da alcune vicende, annose e note, quali ad esempio quella relativa all'ospedale di Bibbiena-Arezzo, unico presidio ospedaliero nella valle cieca del Casentino, là dove l'Arno ha le sue sorgenti, le montagne incombono, le strade sono fra le più pericolose d'Italia e solo un trenino collega la valle in tempi biblici;
   si tratta di un ospedale ristrutturato con spese ingenti, ma del quale molti servizi sono stati smantellati (fra i quali un punto nascita di eccellenza della provincia); l'ospedale dovrebbe essere accorpato con un ospedale della valle del Tevere, che si trova cioè in un altro bacino con altre montagne e passi da valicare; l'ospedale di Bibbiena-Arezzo non ha infatti avuto il riconoscimento di ospedale in zona marginale, col pretesto, secondo gli interpellanti, della presenza nell'area di una pista di elisoccorso; potrebbe quindi aversi nell'area un probabile intervento del privato, con un programma di alti profitti;
   se si considera che la spesa sanitaria in Italia è fra le più basse d'Europa e che gli sprechi si annidano nella superfetazione burocratica autoreferenziale e in continua riorganizzazione per scopi propri o per obbiettivi politici, negli sprechi in medicinali, macchinari non utilizzati, incuria, interessi privati prevalenti, non si comprende perché non si garantisca l'esercizio del diritto costituzionale alla salute dei cittadini delle zone disagiate e marginali;
   per la prima volta nella storia del Paese la vita media si è abbassata di ben 6 mesi, a causa della povertà incombente per la grave crisi economica, la risoluzione dei servizi sanitari nelle zone disagiate aggrava la situazione, mentre una presenza adeguata di servizi sanitari sul territorio incentiverebbe il ripopolamento delle zone disagiate e disincentiverebbe gli esodi;
   infine, la perdurante ondata migratoria, pone i centri sanitari dinanzi a nuove sfide anche per l'assistenza ai migranti;
   secondo la normativa, nelle zone disagiate e marginali, gli ospedali dovrebbero rendere almeno queste prestazioni: a) un reparto di 20 posti letto di medicina generale con un proprio organico di medici e infermieri; b) un reparto di chirurgia elettiva in cui siano effettuati interventi con ricovero giornaliero o plurigiornaliero; c) un pronto soccorso medico, con un organico medico interamente dedicato all'emergenza; d) la possibilità di eseguire indagini radiologiche con trasmissione di immagini collegate all'ospedale più vicino; e) un servizio per il trasporto di pazienti dall'ospedale di zona disagiata all’«hub» o allo «spoke» più vicini; f) la presenza di una emoteca –:
   quali iniziative di competenza urgenti il Governo intenda adottare al fine di ottemperare al combinato disposto degli articoli 3, 16 e 32 della Costituzione, nonché al principio europeo di coesione territoriale, rispetto al cosiddette «necessità» di bilancio per le zone marginali e disagiate, prevedendo che le zone disagiate e marginali siano classificate tenendo conto delle concrete necessità in modo tale che si possa rispondere alle esigenze delle comunità di tali territori con presidi sanitari ad hoc, non consentendo accorpamenti e suddivisioni meramente teoriche e altri espedienti organizzativi, che si rivelano per gli interpellanti, contrari all'effettivo perseguimento dei fini costituzionali della tutela del diritto alla salute.
(2-01905) «Bianconi, Pisicchio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DAGA, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il tracciato cosiddetto «verde», della strada statale n. 675 «Umbro-Laziale», tratto «Monte Romano Est-Civitavecchia», individuato da Anas spa, è localizzato nella vallata del fiume Mignone, una delle aree più incontaminate del centro Italia, tutelata dalle direttive 92/43/CEE «Habitat» e 2009/147/CEE «Uccelli», ed inserita nella Rete Natura2000;
   in relazione a tale tracciato, in data 3 agosto 2015, Anas ha avviato la procedura di valutazione di impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, nell'ambito di tale procedura, la Commissione di valutazione di impatto ambientale ha espresso parere contrario al progetto, preso atto che «il proponente non ha dato risposta adeguata alla richiesta d'integrazioni, né ha presentato gli approfondimenti richiesti delle fasi 2, 3 e 4 della Valutazione d'Incidenza»;
   l'Anas, nell'ambito della Valutazione di incidenza ambientale riferita al progetto, ha infatti redatto uno studio di incidenza ambientale fermandosi alla fase 1 (screening), concludendo che il tracciato selezionato «non produrrà incidenze significative»;
   la Commissione di valutazione di impatto ambientale, in data 17 giugno 2016, ha quindi presentato richiesta d'integrazioni ad Anas, ritenendo che lo studio di incidenza dovesse procedere ai livelli successivi di analisi/valutazione (fase 2, 3 e 4), non essendo stati adeguatamente valutati né l'impatto paesaggistico, né quello ambientale («l'intervento modificherà in modo sostanziale, permanente e irreversibile il paesaggio dell'area, distruggendone la naturalità attuale»), compresi i rischi connessi all'inquinamento atmosferico e acustico;
   la stessa opinione formulata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stata espressa dalle associazioni ambientaliste e dai comitati locali che hanno evidenziato come l'Anas si sia sempre rifiutata di redigere una seria valutazione di incidenza ambientale relativa alle aree Zps e Sic della Valle del Mignone;
   in sede di conferenza di servizi, tutti gli altri soggetti chiamati ad esprimersi, inclusa la gigione Lazio, hanno dato parere favorevole all'opera, tranne il comune di Tarquinia, che ha espresso parere contrario, avanzando possibili alternative al tracciato di colore verde;
   anche il sindaco di Civitavecchia, che ha manifestato una posizione favorevole al completamento dell'opera, ha ritenuto inopportuno, da parte del Governo, non considerare il parere negativo della Commissione di valutazione di impatto ambientale al tracciato verde, auspicando l'individuazione di una alternativa sostenibile;
   il Ministro Delrio ha dichiarato che il finanziamento del tracciato «verde» sarà approvato, entro l'estate con delibera del Cipe, cui seguirà, con deliberazione del Consiglio dei ministri, il via libera definitivo alla realizzazione dell'opera –:
   se, il Governo intenda deliberare a favore del tracciato «verde», nonostante il parere negativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed in contrasto con le direttive «Habitat» ed «Uccelli», ricorrendo, al fine del superamento della contrarietà espressa dalla Commissione di valutazione di impatto ambientale, alla logica della «legge obiettivo», di fatto a più riprese giudicata superata dallo stesso Governo, a seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice degli appalti. (5-12007)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il progressivo espandersi dell'evoluzione tecnologia ha portato alla nascita di nuove fattispecie criminose attuate tramite la rete internet come la pedofilia e la pedopornografia;
   la legge n. 38 del 2006 «Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet» introduce delle modifiche alle disposizioni già contenute nella legge n. 269 del 1998;
   infatti, già la citata legge n. 269 del 3 agosto 1998, aveva introdotto nel codice penale ed in quello di procedura penale importanti novità atte a permettere, alle forze di polizia ed alla magistratura, un contrasto maggiormente incisivo del fenomeno dello sfruttamento sessuale dei minori, con particolare riguardo alla cosiddetta pedofilia on-line;
   l'Italia è stata tra i primi Paesi a dotarsi di una specifica normativa in materia aderendo ai principi della Convenzione sui diritti del fanciullo e a quanto sancito dalla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, alla luce della considerazione che, così come specificato all'articolo 1 della legge sopra citata, «la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, costituisce obiettivo primario perseguito dall'Italia;
   la legge 1o ottobre 2012, n. 172, di ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa del 2007 per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale (Convenzione di Lanzarote), detta alcune norme di adeguamento dell'ordinamento interno volte a modificare il codice penale (introducendo i nuovi reati di adescamento di minorenni, anche attraverso internet, e di istigazione e apologia di pratiche di pedofilia e di pedopornografia), il codice di procedura penale e l'ordinamento penitenziario;
   in occasione della giornata contro la pedofilia, il 5 maggio 2017, l'associazione Telefono Azzurro ha presentato il dossier «Abuso sessuale e pedofilia. Storie, contesti e nuove sfide», evidenziando come «la maggior parte degli abusi sessuali segnalati vengano messi in atto da persone conosciute, perlopiù appartenenti al nucleo familiare. L'aumento delle segnalazioni che riguardano, invece, un responsabile estraneo è in linea con l'elevato numero di casi di abusi perpetuati attraverso Internet (adescamento e pedopornografia), luogo in cui è più probabile che i ragazzi stabiliscano relazioni potenzialmente rischiose con estranei»;
   Antonello Soro, presidente del garante per la protezione dei dati personali, durante l'esposizione della relazione annuale 2016 alla Camera dei deputati, ha evidenziato come «secondo recenti ricerche la pedopornografia in rete sarebbe in crescita vertiginosa, quasi il doppio rispetto all'anno precedente. Fonte involontaria sarebbero i social network in cui genitori postano le immagini dei figli». Ciò avviene per la difficoltà di circoscrivere, sui social network, i potenziali destinatari delle comunicazioni;
   secondo la rubrica Digital Crime di Paolo Galdieri, avvocato e docente di informatica giuridica, pubblicata sul quotidiano online Key4biz, «quotidianamente apprendiamo degli aumenti di fatturato delle organizzazioni criminali che operano nel settore della pedopornografia, dell'enorme numero di minori coinvolti e, quindi, l'apertura di procedimenti penali a carico di soggetti che agiscono da ogni parte del territorio nazionale e oltre confine»;
   Galdieri, analizzando i processi celebrati negli ultimi anni e le condanne inflitte, ha constatato che «con estrema facilità sono puniti i soggetti che fruiscono del materiale e che lo ricedono, o distribuiscono, su piccola scala. A cavarsela sono, invece, proprio coloro che esprimono maggiore pericolosità sociale ovvero coloro che impiegano i minori come beni di consumo, sfruttandoli dal punto di vista sessuale per farne ingenti profitti»;
   «Tale impunità ha ragioni agevolmente individuabili, derivanti dal fatto che molti Paesi si rifiutano di cooperare sul piano giudiziario, non consentendo l'individuazione dei siti da cui parte la distribuzione del materiale. Stesso discorso per quanto attiene il turismo sessuale che, seppur apparentemente perseguito nei Paesi ove ha massima diffusione, viene troppo spesso tollerato dagli stessi, se non addirittura incentivato. Risulta agevole rilevare che un effettivo contrasto a questi fenomeni può avvenire solo attraverso una seria attività diplomatica, che imponga la sottoscrizione di accordi, al momento inesistenti, pena l'interruzione di rapporti anche commerciali» –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di promuovere una maggiore attività di controllo e verifica, sia in ambito nazionale che internazionale, con l'obiettivo comune di proteggere e tutelare bambini e ragazzi dal fenomeno criminale citato in premessa;
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di prevenire e contrastare in maniera rapida ed efficiente la pedopornografia;
   alla luce dei fatti sopraesposti, se intendano promuovere una chiara attività diplomatica internazionale volta a reprimere la pedopornografia, una delle realtà criminali che ha maggiormente fruito delle innovazioni introdotte dalla «società dell'informazione». (4-17530)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   è vigente anche per i comuni della provincia di Trento la legge 6 novembre 2012, n. 190, recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», emanata in attuazione dell'articolo 6 della Convenzione Onu contro la corruzione del 31 ottobre 2003 ed in attuazione degli articoli 20 e 21 della Convenzione penale sulla corruzione adottata il 27 gennaio 1999;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 6, della suddetta legge, i comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti possono aggregarsi per definire in comune, tramite accordi ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il piano triennale per la prevenzione della corruzione (Ptpc), secondo le indicazioni contenute nel piano nazionale anticorruzione (Pna) di cui al comma 2-bis. Ai fini della predisposizione del Ptpc, il prefetto, su richiesta, fornisce il necessario supporto tecnico e informativo agli enti locali, anche al fine di assicurare che i piani siano formulati e adottati nel rispetto delle linee guida contenute nel Pna;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 8, l'organo di indirizzo di ogni amministrazione definisce gli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, i quali costituiscono contenuto necessario dei documenti di programmazione strategico-gestionale e del Ptpc. L'organo di indirizzo adotta il piano su proposta del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (Rpc) entro il 31 gennaio di ogni anno;
   all'articolo 1, comma 12, si prevede inoltre l'imputazione di una responsabilità dirigenziale, disciplinare ed amministrativa in capo al Rpc per il caso in cui all'interno dell'amministrazione vi sia una condanna per un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato. La responsabilità è esclusa se il responsabile della prevenzione prova entrambe le circostanze di cui alle lettere a) e b) del medesimo comma;
   ai sensi degli articoli 6, 8 e 10 del decreto legislativo n. 33 del 2013, i documenti contenenti atti oggetto di pubblicazione obbligatoria sono pubblicati tempestivamente sul sito istituzionale dell'amministrazione nella sezione «Amministrazione trasparente»;
   secondo l'articolo 3, comma 5, del Testo unico delle leggi regionali sull'ordinamento dei comuni della regione autonoma Trentino-Alto Adige (decreto del Presidente della regione 1o febbraio 2005 n. 3/L e successive modificazioni), ove il sindaco, o chi ne esercita le funzioni, non adempia ai compiti attinenti alle attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale, il commissario del Governo può nominare un commissario per l'adempimento delle funzioni stesse. Alle spese per il commissario provvede l'ente interessato;
   da un monitoraggio effettuato, con beneficio di inventario, nel luglio 2017 su 177 amministrazioni comunali della provincia autonoma di Trento, all'interrogante risulta che n. 31 amministrazioni non hanno pubblicato il Ptcp 2017-2019 sul proprio sito istituzionale e n. 33 amministrazioni non hanno pubblicato il Ptcp 2016-2018 –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo abbia assunto o intenda assumere, anche per il tramite del Commissario del Governo di Trento, per garantire la corretta applicazione degli obblighi previsti dalle disposizioni della legge n. 190 del 2012 e dal decreto legislativo n. 33 del 2013, con particolare riferimento alla tempestiva pubblicazione sul sito istituzionale degli atti di cui in premessa. (4-17533)


   PAGLIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 luglio 2017 Unicredit spa ha dato notizia di aver subito in due momenti diversi intrusioni informatiche;
   queste avrebbero riguardato complessivamente i dati di oltre 400.000 persone e avrebbero avuto origine da un collegamento con un partner commerciale esterno italiano;
   le notizie disponibili lasciano intendere che si tratti di posizioni relative al settore del credito al consumo, potenzialmente molto sensibili dal punto di vista della privacy della clientela;
   l'istituto ha reso noto che non sarebbero state sottratte password operative, ma soltanto Iban e anagrafiche;
   il numero dei soggetti coinvolti fa tuttavia temere che possano essere stati estratti dati utili ad aprire falle ulteriori nel sistema, potendo arrivare potenzialmente a lambire segmenti di interesse nazionale;
   non si sa, infatti, a chi si riferiscano esattamente le anagrafiche coinvolte e quali dati siano stati esattamente trafugati e, di conseguenza, è impossibile sapere che tipo di utilizzo possa eventualmente esserne fatto;
   è infatti noto che i dati personali, soprattutto se dettagliati, possono essere usati in molti modi potenzialmente più nocivi della semplice movimentazione di conto corrente;
   non può quindi tranquillizzare la semplice informazione che non sarebbero a rischio i conti correnti dei clienti coinvolti;
   da ultimo, va considerato che Unicredit e il Ministero dell'interno hanno concluso uno specifico accordo per la prevenzione e il contrasto degli attacchi informatici –:
   se si sia attivato, per quanto di competenza, per approfondire, in collaborazione con Unicredit spa, modalità dell'intrusione, tipologia dei dati sottratti, ampiezza del potenziale utilizzo;
   se il Governo sia a conoscenza delle motivazioni di quella che appare all'interrogante una non tempestiva comunicazione della notizia e se, nel tempo che è trascorso dal primo attacco, sia stato fatto un utilizzo illecito di quei dati, ad esempio attraverso modalità di spear phishing;
   se sia noto agli interessati, fornitore e clienti, se siano stati usati i citati dati per modalità di intrusione informatica e privilege escalation, con metodiche da ingegneria sociale;
   se sia nota la metodica di esfiltrazione dei dati sottratti e, in particolare, se l'attacco sia stato possibile per la fragilità della supply chain;
   se risulti se la banca e il fornitore seguano i 15 controlli essenziali di sicurezza elaborati dal laboratorio nazionale di cybersecurity e le previsioni della normativa sui «databreach»;
   se la sottrazione delle anagrafiche di 400.000 clienti di uno dei maggiori istituti di credito nazionali possa rappresentare una potenziale minaccia alla sicurezza nazionale;
   quale sia lo stato dei sistemi di cybersicurezza delle principali aziende nazionali e, in particolare, di quelle che per dimensioni e settori di intervento siano particolarmente significative per l'interesse nazionale. (4-17541)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI, ZARATTI e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende anche da diversi articoli di stampa, il 18 luglio 2017 i tecnici della «Goletta Verde» — imbarcazione di Legambiente atta al monitoraggio della salute del mare e dei litorali hanno riscontrato nelle acque del Mar Piccolo e, precisamente, nella foce del fiume Galeso, parametri microbiologici altamente inquinanti ed in pieno contrasto con quanto previsto dal decreto legislativo 116 del 2008;
   i risultati ottenuti denotano lo stesso inquinamento di quelli raccolti dalla stessa associazione nel 2104, nonostante negli ultimi 4 anni e mezzo si siano avvicendati due commissari atti alle bonifiche del sito in questione, di cui l'ultimo appena riconfermato in ruolo;
   nello specifico gli interventi previsti per il Mar Piccolo sarebbero numerosi, così come diversi i milioni di euro stanziati per la loro messa in pratica: bonifica e riqualificazione ambientale delle sponde;
   rimozione dei rifiuti antropici presenti sui fondali; interventi per la mitigazione degli impatti derivanti dagli scarichi superficiali e per l'abbattimento delle fonti di contaminazione; interventi di bonifica e/o di messa in sicurezza dei sedimenti che, contenendo materiali tossici, possono danneggiare la salute umana e l'ambiente; tutela, monitoraggio e traslocazione di specie. Ad oggi, però, risulta solo una imponente azione di studio di cui, peraltro, non si conoscono gli esiti e le valutazioni relative;
   nella legislatura in corso sono state già assunte iniziative parlamentari dalla prima firmataria del presente atto volte a sbloccare la situazione in questione, come l'interrogazione n. 4-04425 del 2014 e l'ordine del giorno 9/04200-A/018 del febbraio 2017 –:
   quali iniziative immediate e concrete intenda adottare il Ministro interrogato, per quanto di competenza, per rendere nota la provenienza degli scarichi abusivi e per iniziare fattivamente la rimozione dei rifiuti, la manutenzione delle aree degradate (previste dal progetto «Verde amico»), la liberazione dei fondali del Mar Piccolo dalle carcasse di auto, natanti, fusti metallici, pneumatici e cassonetti che lo occupano, definendo inoltre un dettagliato crono programma degli interventi futuri e implementando per essi i fondi stanziati, al fine di eliminare definitivamente tutti gli agenti inquinanti che devastano il Mar Piccolo e, specificatamente, la foce del fiume Galeso. (5-12009)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FAUTTILLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi sono state arrestate 22 persone accusate di essere responsabili della realizzazione e della gestione di una enorme discarica abusiva nel territorio di Aprilia, località Tufetto, zona sottoposta a vincolo idro-geologico;
   le stesse persone sono anche accusate di aver sversato nella discarica abusiva enormi quantitativi di rifiuti pericolosi;
   le indagini sono scaturite dall'attività svolta dalla polizia di Stato, a partire dal mese di marzo 2016, su un anomalo e intenso traffico di veicoli pesanti che, anche in orario notturno, accedevano in via Corta di Aprilia, diretti nell'area in cui insiste una cava di pozzolana dismessa da anni;
   le indagini rilevavano che all'interno della cava venivano realizzati invasi nei quali erano sversati rifiuti di varia natura dai quali, in molti casi, esalavano fumi colorati che si sprigionavano dai cumuli di materiale subito dopo lo sversamento dei rifiuti, che in alcuni casi rimanevano per giorni al sole prima di essere coperti;
   i rilievi fotografici confrontati con le immagini satellitari, consentivano di accertare che alcune delle enormi buche erano di recentissima realizzazione;
   venivano quindi installate diverse telecamere, che consentivano di acquisire contezza delle attività illecite svolte all'interno del sito. In particolare, veniva rilevata la presenza di un escavatore con cui venivano realizzate buche ampie e profonde nel terreno, dove avvenivano sversamenti di ogni sorta di rifiuti solidi urbani, rifiuti da costruzione e demolizione;
   le intercettazioni telefoniche ed ambientali hanno consentito di delineare, sin dalla fase iniziale, la catena di comando delle iniziative illecite sopra ricordate, oltre che di individuare molte delle aziende, delle province di Roma e Latina, da cui provenivano i rifiuti sversati e vari soggetti che partecipavano alle attività illecite, tra i quali tanti soggetti operanti proprio nel settore del recupero e dello smaltimento di rifiuti che, in luogo di rivolgersi a canali di smaltimento ufficiali e leciti, si servivano del sito abusivo;
   la descritta attività avrebbe consentito sia agli «smaltitori» che ai «conferitori» elevatissimi profitti, successivamente reimpiegati nel circuito economico legale;
   infatti, secondo le accuse mosse dagli inquirenti i primi avrebbero interamente incamerato, sottraendole al fisco, le somme illecitamente percepite per i singoli sversamenti, mentre i secondi, avrebbero ottenuto un considerevole risparmio di spesa, evitando i maggiori costi derivanti dall'osservanza delle procedure previste per lo smaltimento autorizzato di rifiuti, mentre veniva anche evidenziata la sproporzione tra i redditi dichiarati dai soggetti coinvolti ed il patrimonio dagli stessi posseduto;
   inoltre, le indagini delineerebbero anche condotte delittuose di trasferimento fraudolento di valori ed autoriciclaggio; esse hanno portato al sequestro preventivo di 9 società, 11 quote societarie, 7 fabbricati di civile abitazione, 8 fabbricati industriali, 7 locali di deposito, 37 appezzamenti di terreno, 60 tra autovetture e mezzi d'opera aziendali, nonché numerosi rapporti bancari, tutti riconducibili agli indagati ed ai loro familiari e prestanome, per un valore complessivo di circa 15 milioni di euro;
   nei confronti degli enti coinvolti a vario titolo nel traffico illecito è stata contestata la violazione decreto legislativo n. 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa da reato degli enti, in relazione ai reati in materia ambientale commessi dai soggetti che vi rivestivano posizioni apicali, mentre a carico delle aziende «conferitrici» e dei rispettivi titolari è stato disposto il sequestro anche della somma complessiva di 200.000 euro circa, ritenuta profitto degli illeciti sversamenti –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato, nelle more dell'indagine in corso, per limitare per quanto possibile gli effetti disastrosi dell'interramento abusivo di rifiuti sopra ricordato e che comporta evidenti rischi per la salute dei cittadini, oltre che, a parere dell'interrogante, un vero e proprio disastro ambientale. (4-17528)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 152 del 2006 recante il Testo unico ambientale all'articolo 5 definisce l'inquinamento come l'introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, calore o agenti chimici nell'acqua, che potrebbero causare perturbazioni agli ecosistemi;
   dalla documentazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si evince che la centrale termoelettrica a ciclo combinato di Simeri Crichi (Catanzaro) è autorizzata a prelevare acqua di mare per un volume pari a 36 milioni di metri cubi annui, equivalente ad una media di 4.500 metri cubi oraria. Di questi, 2.300 metri cubi sono «utilizzati per il raffreddamento dell'impianto a ciclo combinato» (di cui 800 metri cubi di acqua salata dispersi in atmosfera per via di evaporazione tramite «pennacchio di vapore acqueo di lunghezza superiore a 300 metri»), e 2.200 metri cubi «per la produzione di 270 m3/h di acqua dissalata». Al termine del ciclo produttivo, la soluzione salmastra viene restituita al mare insieme all'acqua demineralizzata utilizzata per i processi industriali, impregnata di «biocidi, anticorrosivi e antialga», con una salinità di 52,5 g/l e ad una temperatura compresa tra i 29,5 gradi (inverno) e i 32,5 gradi (estate), a fronte di una temperatura media estiva compresa tra i 25,5 e i 26,5 gradi centigradi. Una quantità d'acqua impressionante, corrispondente a circa 300 autobotti che ogni ora sversano a mare un flusso continuo di acqua calda e salata, contenente biocidi, senza distinzione tra inverno e estate in grado di alterare la naturale salinità, PH, e temperatura della colonna d'acqua, soprattutto d'inverno, quando la temperatura del mare è minore. Queste informazioni dovrebbero indurre a studi più approfonditi per capire se e come l'ambiente marino e la colonna d'acqua reagiscono a queste immissioni di energia, e — in particolare — per verificare le lamentele dei pescatori locali, secondo cui la produttività del mare sia stata completamente azzerata;
   da quanto si apprende dalle rassicurazioni presenti nella documentazione tecnica ministeriale, lo scarico a mare è posto a circa 250 metri dalla costa, «la diluizione iniziale è molto elevata ed il delta termico è inferiore ad 1oC già a pochi metri dallo scarico», ma basta dare un'occhiata su Google Map per vedere che tutto il tratto di costa antistante la centrale ha un colore molto chiaro acqua calda) e diventa blu (acqua fredda) solo allontanandosi dalla costa, segno che è in atto una stratificazione nella colonna d'acqua, ovvero manchi il naturale ricircolo delle acque profonde in superficie;
   a giudicare dalle valutazioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, supportate da perizie di parte, le interferenze indotte dal funzionamento della centrale sono «assolutamente trascurabili», sebbene nella valutazione di impatto ambientale si dica pure che l'Oasi di Scolacium ospiti una specie «papaveracea molto rara» nonché la «presenza di siti di deposizione delle uova di tartarughe Caretta caretta», mentre per quanto riguarda l'area marina protetta Fondali di Stalettì si affermi che essa «è stata istituita con il fine di preservare quello che rimane di un posidonieto (Posidonia Oceanica) che caratterizzava i fondali dell'area e che oggi è ridotto a sporadici frammenti relitti» –:
   se non ritenga opportuno che vengano approfonditi gli effetti delle variazioni termiche e di salinità sulla flora e sulla fauna marina nel tratto di costa antistante la centrale termoelettrica a ciclo combinato di Simeri Crichi caratterizzato della presenza di numerosi siti di interesse comunitario, quali l'Oasi di Scolacium, i Fondali di Stalettì, lo Steccato di Cutro e la Costa del Turchese;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere la valutazione di impatto ambientale o revocare l'autorizzazione integrale ambientale alla luce dei descrittori e dei traguardi ambientali previsti dalla direttiva europea 56/2008. (4-17534)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Calabria esiste un problema di depurazione, troppo spesso carente o del tutto assente. Solo pochi giorni fa, il dirigente regionale Pallaria, nel corso di una intervista tv alla RAI Calabria, ha affermato che: in Calabria «siamo ancora all'anno zero» in fatto di depurazione. Nonostante siano stati spesi ben 900 milioni di euro in opere tampone, non si assiste ancora alla realizzazione di quegli interventi strutturali, cui peraltro siamo obbligati per via della procedura di infrazione comunitaria del 2004 e della relativa sentenza di condanna della Corte di giustizia europea del 2007 (Causa C-135/05);
   nel piano d'ambito della regione, si legge che, su 409 comuni calabresi, esistono 765 impianti di depurazione censiti. Di questi, ben il 13 per cento «richiede adeguamenti tecnologici». Inoltre, ben 29 comuni «risultano sprovvisti di impianti per il trattamento di acque reflue», mentre 18 agglomerati urbani sono oggetto della citata infrazione. Per quanto riguarda invece i collettori, esiste una rete di 597 chilometri, con un'età media di 20 anni, e occorre realizzare ulteriori 893 chilometri di condotte per adeguare la realtà calabrese alla normativa prevista dal decreto legislativo n. 152 del 1999. In totale, è stato calcolato che la spesa per gli interventi necessari al mantenimento e la realizzazione delle nuove condotte è di circa 326 milioni di euro. Si ha dunque una rete vecchia, complicata da gestire (fatta di pozzi di sollevamento, condotte sottomarine), ma soprattutto fragile e costosa (se si considera che basta un blocco elettrico o una mareggiata per mandarli in tilt), e questi costi vengono traslati sui contribuenti che già oggi si vedono addebitare costi elevati per un servizio pessimo;
   l'attenzione pubblica è concentrata sugli scarichi illegali e finora poco o nulla si è detto sulla presenza di scarichi legali, autorizzati ma con livelli non compatibili con la presenza di aree naturalisticamente sensibili o protette: questo è il caso del canale di scolo del depuratore di Lamezia Terme (CZ) che attraversa, in maniera evidente il Sito di interesse comunitario (SIC IT9330089) «Dune dell'Angitola» prima di sfociare in mare, ed è ubicato all'interno di un'area già dichiarata dalla regione Calabria ad «alta vulnerabilità da nitrati» e ad «alta vulnerabilità degli acquiferi». Il canale di scolo dell'impianto di Lamezia Terme che è tarato per più di 100.000 abitanti equivalenti (fonte Asicat) – non risulta segnalato in maniera chiara né nella cartografia ufficiale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, né in quella della regione Calabria; inoltre in base ai limiti di legge per fosforo totale e azoto totale, nell'area in questione questi dovrebbero essere rispettivamente minori o uguali a 1 mg/l e minori o uguali a 10 mg/l;
   considerata l'interferenza ecologica del depuratore sul confinante sito Sic «dune dell'Angitola», a norma del decreto legislativo n. 152 del 2006 il depuratore dovrebbe attenersi ai valori limite disposti dalla tabella 2 dell'allegato 5 alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, ed invece sorprendentemente l'impianto è autorizzato dalla provincia di Catanzaro ad attenersi alla tabella 1 e alla tabella 3 –:
   per quale motivo il canale di scolo dell'impianto di Lamezia Terme non risulti segnalato in maniera chiara nella cartografia ufficiale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e come ciò si concili con le prescrizioni imposte dalla direttiva 56/2008;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, per quanto di competenza, per garantire la tutela di un'area che si trova all'interno del perimetro del Sito di interesse comunitario «Dune dell'Angitola», per il quale valgono gli obblighi previsti dalla Direttiva «Habitat» e che potrebbe essere danneggiata dalle presenza di acque reflue provenienti dal depuratore di cui in premessa. (4-17535)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   GIULIETTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la Scuola lingue estere dell'Esercito di Perugia (Slee), compreso il suo distaccamento di Roma, è in procinto di perdere la sua funzionalità; una gara d'appalto è stata appena lanciata sul MePa (Mercato della pubblica amministrazione) senza nessun preavviso per togliere al corpo docente della Slee l'affidamento dei corsi al personale militare;
   i docenti della Slee sono stati accuratamente selezionati e formati dalla stessa istituzione per la preparazione linguistica di militari dispiegati in teatri altamente sensibili, di personale Nato e diplomatico, generali, figure di spicco delle istituzioni nazionali ed europee, nonché magistrati antimafia; si tratta di attività che richiedono la massima riservatezza e non permettono la più piccola fuga di notizie e che quindi richiedono grande professionalità, alto profilo morale e coscienza del proprio dovere; tutte attività garantite in questi anni dai docenti della Slee;
   i medesimi docenti hanno elaborato materiale didattico specifico, usato in ambito Nato, che necessita di costante aggiornamento, e che durante questa pluriennale collaborazione con tali istituzioni, hanno svolto lavori di traduzione ed interpretariato di contenuti altamente sensibili;
   qualora si dovesse intraprendere la strada dell'affidamento dei corsi al personale militare a ditte private, i docenti della Slee non avrebbero alcuna garanzia di essere contrattualizzati e di mantenere il proprio livello stipendiale dal momento che i parametri di selezione di tali ditte per l'interrogante sarebbero dettati da pure motivazioni economiche e non dall'esigenza di mantenere alti livelli di qualità;
   si pensa erroneamente che, con tale provvedimento, la Difesa risparmierà risorse, mentre per l'interrogante avverrà semplicemente un trasferimento di fondi dalla busta paga dei docenti alle casse delle ditte intermediarie –:
   se il Governo intenda assumere iniziative normative per riconoscere alla Scuola lingue estere dell'Esercito di Perugia uno status peculiare in modo da consentire la stipula di contratti a termine con i docenti sopracitati, anche alla luce di quanto prevede il «Jobs Act»;
   se il Ministro della difesa intenda favorire un rapporto di lavoro diretto con i suddetti docenti provvisti di partita Iva, estendendo la suddetta modalità a tutti i titolari di corsi per consentire che non vi siano discenti di «serie A» e «serie B»;
   se si intendano assumere iniziative per mantenere il rapporto di lavoro diretto con i docenti della Scuola lingue estere dell'Esercito di Perugia nel rispetto delle graduatorie di anzianità e revocare e/o sospendere la procedura di affidamento dei corsi a docenti di scuole private, evitando così il decurtamento dello stipendio agli attuali docenti, la perdita di qualità e sicurezza garantita ai militari della formazione offerte dalla Scuola lingue estere dell'Esercito di Perugia e la delocalizzazione dei corsi da Perugia ad altra sede, che determinerebbe, peraltro, un conseguente indebolimento del capoluogo umbro. (4-17531)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda Alitalia è molto complessa se si considera come si sono evoluti nel tempo gli eventi che hanno portato al terzo fallimento dell'azienda in otto anni;
   eclatante è stata, ad avviso degli interroganti, la decisione del giudice di dichiarare lo stato di insolvenza dell'Alitalia senza avere in mano un bilancio certificato: secondo le ultime cifre rese note dall'azienda e commentate dal professor Arrigo dell'università la Bicocca di Milano, le perdite del 2016 ammonterebbero a 496 milioni di euro che però sono compensate da partite attive per centinaia di milioni di euro con il risultato che le perdite sarebbero più contenute;
   poiché il fatturato è di circa 3 miliardi di euro e molte voci di costo potrebbero essere facilmente aggredite (carburante pagato circa il 30 per cento in più, leasing fuori mercato, costi legati alla manutenzione ampiamente anti-economici solo per citarne alcuni), l'azienda potrebbe essere addirittura in attivo;
   l'azionista di maggioranza relativa, Etihad, che deteneva il 49 per cento di una compagnia che ha dichiarato fallimento, ha depositato una proposta di acquisto non vincolante, consegnando allo Stato una compagnia insolvente, chiedendo l'intervento di commissari per risanarla e candidandosi a riacquistare una compagnia già in suo possesso a maggio 2017;
   di fatto Etihad avrebbe accumulato 3 miliardi di euro di debito in soli tre anni di gestione; ciononostante, aspira ancora a gestire una compagnia che evidentemente non è profittevole –:
   se i fatti di cui in premessa trovino conferma e quali iniziative intenda assumere il Governo affinché venga fatta chiarezza sulla gestione dell'ex compagnia di bandiera. (4-17538)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   BIANCONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 settembre 2016 veniva nominato prefetto di Arezzo l'avvocato Clara Vaccaro, di anni 55, proveniente dal Ministero dell'interno. Costei, a fronte di episodi di degrado e di criminalità che allarmavano fortemente la popolazione in ordine alla tenuta socio-organizzativa di un quartiere importante della città capoluogo (tanto che tutti i media locali, e non solo, lanciavano appelli allarmati ed il sindaco era arrivato al punto di reclamare l'intervento dell'Esercito), rilasciava dichiarazioni assai criticate come è verificabile nei media locali;
   così il prefetto rilasciava ulteriori dichiarazioni di rassicurazione che si rifacevano a statistiche tranquillizzanti, ma che venivano valutate in contrasto alla realtà constatabile, ictu oculi, circa il degrado e l'insicurezza del quartiere;
   come è agevolmente constatabile da un semplice sguardo ai media locali (e non solo), tali dichiarazioni stimolavano critiche generalizzate e scaldavano ancor di più gli animi di una popolazione, peraltro nota per il suo senso civico e l'estrema ragionevolezza;
   un giornalista locale individuava nelle parole del prefetto che avevano scatenato le prime reazioni, la copiatura integrale di interi brani tratti da pubblicazioni in rete, riportandone gli estremi e definendo l'esternazione prefettizia «un (...) copia e incolla di testi raccattati da Internet»;
   inoltre, a fronte di tutto questo, a parere dell'interrogante, le esternazioni del prefetto hanno un chiaro orientamento politico e non denotano certo l'imparzialità che dovrebbero avere le comunicazioni del rappresentante dello Stato;
   inoltre, tutto questo si svolge in un territorio in recessione economica, dove le condizioni, a parere dell'interrogante, di assoluto privilegio (ufficio lussuoso nel palazzo della prefettura, il più bel palazzo del ’900 della città, benefit, «auto blu», spese di rappresentanza, in netto contrasto, col bisogno di continenza avvertito dai cittadini) non sembrano migliorare le cose;
   dal curriculum dell'avvocato Vaccaro si desume che, benché 55enne, non ebbe mai esperienze di prefetto nelle sedi decentrate, essendosi la sua carriera svolta in mansioni dirigenziali al Ministero con esperienze di commissario e sub commissario fra provincia e comune di Roma;
   lasciando da parte l'opportunità, a parere dell'interrogante, dell'abolizione della carica stessa di prefetto, appare, sempre a parere dell'interrogante, chiara l'inopportunità di trattenere nella sede l'avvocato Vaccaro per palese inidoneità all'incarico –:
   se non ritenga sussistano i presupposti per assumere iniziative volte a trasferire il prefetto di Arezzo;
   se si intendano assumere iniziative al riguardo, e di quale natura;
   quali siano i costi annuali della prefettura di Arezzo;
   se e quali benefit siano concessi al prefetto in carica e ai viceprefetti;
   se e quante auto blu siano a disposizione della prefettura e quali altre agevolazioni definite dai media «privilegi», siano previste;
   se si intenda intervenire, in che modo e in che tempi per sanare la situazione di insicurezza, degrado e allarme sociale del quartiere detto di «Saione» della città di Arezzo. (3-03199)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOSCATT. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni il Parlamento è stato interessato dalla tematica sociale dell'ampliamento dei casi per il riconoscimento della cittadinanza italiana, argomento che ha avuto ampia risonanza sui mass-media e posizioni contrapposte tra i cittadini con risultati ancora non definitivi;
   l'interrogante, nel restare in tema di cittadinanza, intende farsi portavoce dei connazionali emigrati e residenti all'estero ed in particolare di quelli dell'America Latina (Argentina, Uruguay, Brasile) che, pur essendo titolari di un diritto riconosciuto dalla Costituzione, « Jure sanguinis», per motivi burocratici e di contrastanti interpretazioni normative, non riescono ad ottenere la cittadinanza italiana, malgrado gli avi o uno di essi abbiano mantenuto tale cittadinanza;
   il problema si trascina da anni senza soluzione, causato dalla grave carenza di personale delle strutture consolari italiane in relazione al rilevante numero di cittadini inscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, con l'amara conseguenza che per questi è diventato pressoché impossibile l'acquisizione del diritto soggettivo maturato fin dalla nascita e che, invece, dovrebbe essere riconosciuto in tre mesi;
   anche in occasione di recenti visite in Argentina e Uruguay dei più alti livelli istituzionali, sono riaffiorate le mai sopite aspettative dei connazionali che hanno inteso manifestare la problematica con una lettera aperta a firma dell’Unione Sudamericana Emigrati Italiani;
   di fronte a tale situazione molti di questi cittadini hanno ottenuto la cittadinanza con richiesta fatta a municipalità italiane;
   pur se risultano numerosissime le cittadinanze così legittimamente ottenute, si è davanti ad interpretazioni non univoche della normativa da parte degli uffici di stato civile italiani, con la conseguenza che siffatto diritto soggettivo viene riconosciuto da alcune municipalità e negato da altre;
   nel merito, si richiama la circolare n. K 28.1 (questa circolare ricorre diverse volte e in diversi provvedimenti normativi) dell'8 aprile 1991, la quale mantiene intatto il principio dei requisiti di sangue da comprovare attraverso la necessaria documentazione ed i necessari controlli, ma ispira ancora al principio ormai «tramontato» della residenza per «dimora abituale»;
   siffatto requisito viene richiesto ancora da molti comuni, malgrado siano intervenute nel tempo le circolari del Ministero dell'interno n. 28 del 2002, n. 32 del 2007 «Chiarimenti in applicazione della legge 28 maggio 2007, n. 68» e n. 52 del 28 settembre 2007, dirette a velocizzare il procedimento e a garantire agli istanti in tutta Italia parità di trattamento; secondo le citate fonti, viene individuata nell'iscrizione anagrafica la condizione necessaria per l'avvio dell’iter per il riconoscimento della cittadinanza e non è più richiesta la residenza come «intesa» dalla circolare K 28.1;
   sostanzialmente, per i soggiorni di durata inferiore a tre mesi, l'articolo 1 della legge n. 68 del 2007 non prevede più il permesso di soggiorno, ma una dichiarazione di presenza che si sostanzia, per quanti non provengono da Paesi dell'area Schengen, in una dichiarazione fatta all'autorità di frontiera mentre per chi proviene da Paesi dall'area Schengen in una dichiarazione fatta alla questura entro otto giorni dall'ingresso;
   la ricevuta di tale dichiarazione costituisce titolo valido ai fini dell'iscrizione anagrafica di coloro che intendono avviare in Italia la procedura per il riconoscimento della cittadinanza « jure sanguinis», in relazione a quanto disposto con la circolare n. 29 del 2002 –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per fare chiarezza sul concetto di residenza di cui alla circolare n. K 28.1, che appare ormai in netto contrasto con il regolamento dello stato civile, di rango più elevato nella gerarchia delle fonti normative, e con le circolari sopracitate secondo il principio cronologico, ciò anche al fine di una corretta informazione ai soggetti istituzionali preposti per garantire un diritto che viene riconosciuto da alcune municipalità italiane e negato da altre. (4-17537)


   FASSINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   gli stabili in uso alla polizia di Stato presentano una situazione di progressivo degrado e molti di questi non risulterebbero in regola per quanto concerne le previste certificazioni di idoneità antisismica e sugli impianti;
   per lo stabile attualmente in uso al commissariato Civitavecchia, il Ministero dell'interno paga un canone annuo notevole;
   le organizzazioni sindacali hanno ripetutamente segnalato le pessime condizioni dell'edificio dovute a criticità strutturali, mancata manutenzione ordinaria e straordinaria e conseguente inutilizzabilità di alcuni locali interni;
   la sera del 4 gennaio 2017 si è verificato un principio di incendio, nei locali del generatore elettrico, con conseguente sprigionamento di fumi che hanno messo a rischio l'incolumità del personale presente all'interno del commissariato e reso necessario l'intervento dei vigili del fuoco, i quali hanno dichiarato temporaneamente inagibili i locali del piano terra;
   l'episodio ha inoltre provocato danni all'impianto elettrico, impedendo l'operatività della strumentazione e quindi la funzionalità della sala operativa, con negative ricadute sul sistema di controllo del territorio;
   dal 20 novembre 2001, a quanto risulta all'interrogante, sono stati consegnati all'allora dirigente del commissariato i locali destinati alla «nuova sala operativa», ristrutturati con l'utilizzo di fondi pubblici, la cui messa in esercizio non è mai avvenuta per la semplice mancanza di arredo tecnico, mantenendo così in funzione la vecchia sala operativa in locali fatiscenti per oltre 15 anni;
    in più occasioni, il personale in servizio e le organizzazioni sindacali di categoria hanno più volte sollecitato il trasferimento del commissariato in una struttura idonea ed efficiente per assicurare i servizi alla cittadinanza;
   la direzione centrale dei servizi tecnico logistici e della gestione patrimoniale, il 12 giugno 2013, in attuazione della legge n. 135 del 2012 (spending review), ha emanato la circolare 600/C/CC/2013, indirizzata ai prefetti e ai questori, nella quale ha rappresentato l'esigenza di perseguire gli obiettivi di forte contenimento della spesa pubblica e fornito specifiche indicazioni per i contratti disdetti con l'invito a porre in essere attività di ricerca per il reperimento di nuove ipotesi locative più vantaggiose per l'amministrazione e la stipula di nuovi contratti per evitare occupazioni sine titulo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione dello stabile, condotto a titolo oneroso, in uso al commissariato di Civitavecchia;
   per quale motivo, a distanza di oltre 7 anni, il Ministero dell'interno continui ad occupare uno stabile, a titolo oneroso con la corresponsione di un notevole canone che appare non idoneo a garantire l'importante servizio istituzionale rivolto alla cittadinanza;
   quali iniziative si intendano adottare per la definitiva soluzione logistica;
   quali siano stati i costi per la ristrutturazione dei locali, completati nel 2001, per la predisposizione della «nuova sala operativa», non ancora entrata in funzione. (4-17539)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARZANA, D'UVA, VACCA, BRESCIA, DI BENEDETTO, CHIMIENTI, LUIGI GALLO e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 374 del 1o giugno 2017 ha disposto l'aggiornamento di II e III fascia delle graduatorie di circolo e di istituto per il personale docente ed educativo per il triennio scolastico 2017/20;
   l'aspirante può richiedere un massimo di 20 istituzioni scolastiche, appartenenti alla medesima provincia, con il limite, per quanto riguarda la scuola dell'infanzia e primaria, di 10 istituzioni di cui, al massimo, 2 circoli didattici;
   per la presentazione del modello, la compilazione deve avvenire con modalità web attraverso le istanze online del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dal 14 luglio fino al 25 luglio 2017: dovranno compilare i modelli di domanda e il modello B coloro che hanno presentato domanda per le graduatorie d'istituto di II e III fascia per il 2017/2020;
   un punto critico in merito alla domanda per la scelta delle scuole con il modello B per le graduatorie di istituto 2017/2020 riguarda i docenti che sono stati immessi nelle graduatorie ad esaurimento con riserva, ma che non sono stati inclusi, automaticamente, nella prima fascia delle graduatorie di istituto ai sensi del decreto ministeriale n. 62 del 13 luglio 2011, articolo 4, comma 4, numero 9;
   difatti la «Faq 30» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e illustra quanto segue: «D: I docenti inseriti in GAE con riserva, che non hanno sedi di I fascia, possono presentare il modello di scelta delle sedi per insegnamenti di II e/o III fascia ? E in quale provincia?;
   R: Coloro che sono iscritti in GaE con riserva e non hanno sedi in I fascia delle graduatorie di istituto, potranno scegliere le sedi per la II o III fascia in qualsiasi provincia, anche diversa da quella delle GaE, ma non compariranno in I fascia in nessuna scuola neanche se verrà sciolta la riserva in GaE»;
   in sostanza il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con questa «Faq» ha indicato che se non si era inseriti in I fascia si poteva cambiare provincia, inducendo in errore quei docenti inseriti in Gae con riserva, ma che per evidente inadempienza degli uffici scolastici provinciali o degli istituti scolastici non erano stati automaticamente inseriti in I fascia, a chiedere di essere inseriti in una provincia diversa;
   infatti, non avendo sedi in I fascia, centinaia di questi docenti hanno tentato di cambiare provincia, ma non hanno potuto compilare il modello B, perché nel sito istituzionale è apparsa loro la dicitura: «L'aspirante ha sede in I fascia nella provincia del precedente triennio; rivolgersi alla scuola di competenza»;
   molto probabilmente il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha dunque considerato come avvenuto l'inserimento automatico in I fascia (con riserva) dei docenti inseriti in Gae con riserva, escludendoli dalla possibilità di compilare il modello B e di conseguenza mettendoli nell'impossibilità di aggiornare la loro posizione in graduatoria per le supplenze del prossimo triennio;
   invero, la «Faq» del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avrebbe dovuto chiarire che i docenti che sono stati inseriti nelle Gae con riserva non avrebbero potuto cambiare le sedi scelte nel 2014, anche nel caso in cui non fossero stati ancora inseriti nella prima fascia di istituto –:
   come il Ministro interrogato intenda procedere alla risoluzione della problematica di cui in premessa e consentire ai docenti, che sono stati indotti in errore dalla citata «Faq», di procedere agli adempimenti necessari per l'aggiornamento delle suddette graduatorie, assicurando loro la possibilità di ricoprire posti a tempo determinato anche per il triennio 2017-2020;
   se il Ministro interrogato, visti i molteplici disagi provocati dal sistema informatico, intenda assumere iniziative per concedere un ulteriore periodo di proroga per la presentazione dei relativi modelli di aggiornamento e considerare valida la presentazione tramite modello cartaceo;
   se il Ministro interrogato, intenda assumere le iniziative di competenza per assicurare tempestivamente l'inserimento in 1a fascia d'istituto (con riserva) ai docenti che sono stati inseriti in Gae con riserva. (5-12008)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALGANO, MARZANO, MUCCI, MENORELLO, VEZZALI e CATALANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sono oltre cinquanta i dirigenti scolastici delle scuole umbre che hanno firmato una lettera aperta, per chiedere «la messa in atto di tutte le azioni, sia in termini di programmazione che di attuazione degli interventi, necessarie a far sì che tutte le scuole rappresentino luoghi sicuri per i lavoratori e per gli utenti»;
   i dirigenti, scolastici hanno richiamato l'attenzione di tutti sulle criticità in materia di sicurezza, evidenziando che la maggior parte delle scuole non sono provviste delle certificazioni contemplate dalla normativa vigente;
   inoltre, ottantotto presidi della regione Umbria hanno dichiarato, durante un'assemblea pubblica nel mese di maggio 2017, che, se non verranno fatti gli opportuni adeguamenti per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, non consentiranno la riapertura delle scuole;
   sono quindi necessarie azioni immediate per mettere in sicurezza le scuole, affinché diventino luoghi sicuri per tutti coloro che le frequentano;
   l'evidente sproporzione esistente tra le responsabilità in capo ai dirigenti scolastici in materia di sicurezza e gli strumenti a loro disposizione è un chiaro segnale che la gestione complessiva sia da rivedere;
   i dirigenti chiedono modifiche al decreto legislativo n. 81 del 2008 che delimitino in modo chiaro i compiti e le responsabilità del dirigente scolastico in materia di sicurezza e che definiscano le forme di attuazione del decreto medesimo nelle scuole –:
   quali iniziative, anche normative, il Ministro interrogato intenda intraprendere per:
    a) verificare quale sia la situazione in Umbria e in tutta Italia;
    b) consentire, ove necessario, gli interventi immediati e non più rinviabili previsti dalle normative vigenti in materia di sicurezza, assegnando risorse da destinare per azioni strutturali, impiantistiche e di manutenzione, così da conseguire le certificazioni previste dalla legge;
    c) definire in modo chiaro quali siano i compiti e le responsabilità del dirigente scolastico in materia di sicurezza;
    d) delineare le forme di attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008. (4-17532)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MICCOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Inapp Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche è la nuova denominazione assunta dall'Isfol dal 1o dicembre 2016;
   nel quadro dell'implementazione del Jobs Act, l'articolo 10 del decreto legislativo n. 150 del 2015 ha ridefinito i compiti attribuiti all'Inapp/Isfol, nell'ambito del più complessivo riordino dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, stabilendo che, entro 60 giorni dal rinnovo degli organi, si provvedesse alla modifica dello statuto e del regolamento dell'ente, cosa ad oggi ancora non verificatasi;
   il 23 maggio 2017 il presidente dell'Inapp, ha presentato una proposta per la ridefinizione dei compiti dell'ente che sembrerebbe porsi in discontinuità con il citato articolo, in particolare rispetto ai compiti in tema di formazione, lavoro e inclusione sociale. Tale proposta, infatti, individua come prioritaria la costituzione di una unità interna all'Inapp, esplicitamente dedicata al policy advice, che dovrebbe proiettare l'istituto verso nuove frontiere in termini di tematiche, costituendosi a regime come Fondazione e impiegando 35 unità di personale;
   da anni l'Inapp, per coprire le spese di funzionamento e i costi del personale, compreso quello a tempo indeterminato, ricorre alle risorse del Fondo sociale europeo. Sino al 2016 l'istituto ha ricevuto tali finanziamenti quale ente beneficiario dalle Autorità di gestione dei programmi operativi nazionali (Pon) Sistemi di politiche attive per l'occupazione (Spao) e inclusione sociale, a seguito delle presentazione e dell'approvazione di piani di attività che concorrono alla realizzazione degli stessi Pon. I vertici dell'Inapp hanno proposto di trasformare l'istituto da ente beneficiario a organismo intermedio, per disporre di maggiori margini di autonomia nell'utilizzo delle risorse del Pon-Spao, che, da gennaio 2017, ha come autorità di gestione l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. Poiché il processo di costituzione dell'ente quale organismo intermedio, dopo molti mesi dal suo avvio, non è ancora arrivato a compimento, l'istituto si trova a fronteggiare una situazione di incertezza sia sul piano finanziario che organizzativo. Quest'ultima pesa, in particolare, sul personale assunto nel 2008, a seguito di concorso pubblico, con contratto a tempo determinato in scadenza al 31 dicembre 2020;
   a quanto consta all'interrogante vi sarebbero rapporti talmente tesi tra l'Inapp e l'Anpal da non consentire l'individuazione di soluzioni ai problemi di riassetto dell'ente. Ciò sarebbe testimoniato dalle organizzazioni sindacali e dalla sottoscrizione di una petizione di 250 dipendenti dell'istituto – oltre la metà del totale – a supporto di un rappresentante della rappresentanza sindacale unitaria, sottoposto a procedimento disciplinare –:
   a che punto sia la ridefinizione dello statuto dell'Inapp e se possano essere confermati i compiti assegnati allo stesso dall'articolo 10 del decreto legislativo n. 150 del 2015 o se sia in atto una riconfigurazione strategica che attribuisce all'ente compiti diversi;
   se si intenda portare a compimento e, in caso affermativo, con quale tempistica il processo di costituzione dell'ente come organismo intermedio per accedere alle risorse del Fondo sociale europeo, o se si stia provvedendo ad intraprendere altre strade che possano garantire all'Inapp di svolgere le funzioni assegnate con adeguata disponibilità di risorse;
   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative per la stabilizzazione delle circa 200 unità di personale ancora con contratto a tempo determinato da quasi dieci anni;
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alle criticità lamentate dai firmatari della petizione di cui in premessa. (5-12010)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 1, comma 8, della legge n. 190 del 2012, ogni amministrazione entro il 31 gennaio di ogni anno adotta il piano triennale di prevenzione della corruzione (Ptpc);
   ai sensi del regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio dell'Anac per l'omessa adozione dei Ptpc di cui alla delibera del 9 settembre 2014, l'omessa adozione consiste nella mancata adozione della deliberazione dell'organo competente che approva i provvedimenti. Equivale a omessa adozione: a) l'approvazione di un provvedimento puramente ricognitivo di misure, in materia di anticorruzione, in materia di adempimento degli obblighi di pubblicità; b) l'approvazione di un provvedimento il cui contenuto riproduca in modo integrale analoghi provvedimenti adottati da altre amministrazioni, privo di misure specifiche introdotte in relazione alle esigenze dell'amministrazione interessata; c) l'approvazione di un provvedimento privo di misure per la prevenzione del rischio nei settori più esposti, privo di misure concrete di attuazione degli obblighi di pubblicazione di cui alla disciplina vigente;
   da un monitoraggio, effettuato a luglio 2017, con beneficio di inventario, sulle n. 177 amministrazioni comunali della provincia autonoma di Trento ed avente ad oggetto la modalità di compilazione dei Ptpc, all'interrogante risulta:
    1) relativamente al triennio 2016-2018:
     la mancata elaborazione dell'analisi del contesto esterno/interno da parte di 22 amministrazioni comunali sulle n. 144 amministrazioni che hanno pubblicato il Ptpc 2016-2018 (15,3 per cento);
     la mera riproduzione da parte di 117 amministrazioni comunali (81,3 per cento) dei contenuti dell'analisi del contesto esterno di un documento standard predisposto dal Consorzio dei comuni di Trento. Tale documento riporta sinteticamente e selettivamente parte degli esiti del «Rapporto sulla sicurezza nel Trentino 2014» (Transcrime, 2014), il cui oggetto della ricerca è l'andamento dei cosiddetti reati della criminalità comune e non i reati contro la pubblica amministrazione e che si conclude con la seguente frase: «Nel processo di costruzione del presente Piano si è tenuto conto della suddetta analisi, ma anche delle risultanze dell'ordinaria vigilanza sui possibili fenomeni corruttivi. Nel corso dei monitoraggi sinora effettuati nell'Ente non sono emerse irregolarità attinenti al fenomeno corruttivo e non sono state irrogate sanzioni. Si può quindi fondatamente ritenere che il contesto interno è sano e non genera particolari preoccupazioni»;
    2) relativamente al triennio 2017-2019
     la mancata elaborazione dell'analisi del contesto esterno/interno da parte di 12 amministrazioni comunali sulle n. 146 che hanno pubblicato il Ptpc 2017-2019 (8,2 per cento);
     la mera riproduzione da parte di n. 129 amministrazioni comunali (88,4 per cento) dei contenuti dell'analisi del contesto esterno/interno del suddetto documento predisposto dal Consorzio dei comuni di Trento;
     l'analisi del contesto esterno è stata integrata, da almeno una cinquantina di amministrazioni comunali, con quella che appare all'interrogante una mera e acritica riproduzione delle conclusioni dell'indagine annuale statistica online prodotta dal gruppo di lavoro in materia di sicurezza nominato con deliberazione della giunta provinciale 4 settembre 2014, n. 1492, e presentata dal presidente della giunta provinciale nella conferenza stampa del 25 ottobre 2015 (comunicato dell'ufficio stampa della giunta provinciale 2265/2015);
   appare evidente all'interrogante un'analisi del contesto esterno/interno basata su modello standard, proposto dal Consorzio dei comuni trentini e adottato in maniera acritica, attestando di fatto l'inesistenza di qualsiasi presupposto di rilievo che richieda misure di prevenzione della corruzione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di indicati in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per favorire la corretta applicazione della normativa per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione anche nei comuni della provincia autonoma di Trento. (4-17536)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il «caso Gala» evidenzierebbe un'esposizione finanziaria (in procedura di concordato con riserva) che, secondo diverse fonti stampa, avrebbe raggiunto complessivamente i 4-500 milioni di euro;
   oltre a E-distribuzione, anche Unareti e Inrete avrebbero risolto il contratto di trasporto con la società e il settore si interroga su come verrà coperto l'ammanco in questo caso, e in generale, nei casi di morosità;
   il presidente di Acea Luca Lanzalone ha quantificato in «qualche centinaio di milioni di euro» l'esposizione delle società, prefigurando che l'importo «ricadrà sugli utenti»;
   anche Areti avrebbe risolto il contratto anche se il provvedimento era stato in un primo momento sospeso dal tribunale. Lo stesso avrebbero fatto infine tre distributori locali del Trentino;
   si parla anche di garanzie presentate dalla società a copertura del rischio di inadempienza rivelatesi poi inadeguate. Si parla di garanzie risultate non escutibili, in un caso per fallimento del soggetto emittente, un operatore finanziario dell'Est Europa, e in un altro perché non riconosciute dal soggetto emittente (italiano) e le garanzie sarebbero state acquisite attraverso un broker;
   nel frattempo il 12 luglio 2017 il tribunale di Roma ha respinto il ricorso di Gala contro la sentenza con cui è affermata la validità dei contratti di trasporto di E-distribuzione e Areti a dispetto dell'annullamento da parte del giudice amministrativo delle delibere in cui l'Autorità affermava lo stesso principio;
   il tribunale avrebbe ritenuto, tra l'altro, che gli oneri di sistema siano oneri «fiscali», rivolti alla generalità dei cittadini, che E-distribuzione riversa integralmente allo Stato, che gli stessi sarebbero stati da Gala considerati come dovuti e, pertanto, regolarmente corrisposti per sette anni, senza alcuna contestazione, che, anche se l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (come ritiene il Consiglio di Stato) non avrebbe il potere di integrare i contratti, le parti avrebbero disciplinato volontariamente nel contratto di trasporto il trattamento degli oneri generali di sistema, sia per quanto attiene al relativo versamento sia per quanto riguarda la determinazione delle garanzie e che sarebbe logico un sistema che fa gravare su coloro che hanno contatto con i clienti finali, il rischio del loro mancato pagamento;
   i giudici avrebbero inoltre dichiarato infondata la denuncia avversaria di abuso di posizione dominante e la denuncia avversaria di violazione, da parte di E-distribuzione, della normativa europea di settore e del principio di libera concorrenza del mercato elettrico; 
   nel corso delle audizioni annuali dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, A2A, senza citare Gala, avrebbe parlato di «una società di vendita» inadempiente, che ha prestato garanzie non utilizzabili, creando un «buco» a fronte del quale A2A si sta preparando ora a fare uno stanziamento in bilancio «importante»;
   il presidente dell'Autorità avrebbe ribadito che nel medio termine la soluzione alla situazione dovrà essere quella proposta dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico di una «maggiore fiscalizzazione. Dico maggiore, non completa, che metterebbe in difficoltà la fluidità» del meccanismo per tutti i soggetti beneficiari degli oneri;
   dal 18 luglio 2017 migliaia di utenze servite da Gala, se non sono nel frattempo passate ad un altro operatore, saranno servite in regime di ultima istanza, così come annunciato da una nota di Acquirente unico trasmessa a tutti i clienti finali di Gala;
   nel breve termine l'Autorità tornerà a intervenire, considerando che le sentenze della giustizia amministrativa, «si rispettano ma hanno travisato la materia». Senza escludere la socializzazione, prosegue il presidente, che però dovrebbe essere l’«ultima spiaggia»;
   «La richiesta di socializzare — avrebbe dichiarato Bortoni — sarà l'ultima spiaggia, non si andrà subito a socializzare il buco. Dovremo riformare le decisioni della giustizia che non stanno in piedi, pur rispettandole». Nel contempo, ha aggiunto, dovremo definire «formule di sopravvivenza da qui al nuovo assetto ’a canone Rai, spero che il transitorio sia di alcuni mesi, vedremo» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se gli oneri non pagati dai morosi dovranno andare nella generalità delle bollette degli utenti italiani;
   quale sia il maggior costo sopportato dagli aderenti alla gara Consip che andranno «in salvaguardia»;
   se il rischio di «socializzazione» delle perdite sia una possibilità realistica e quali siano le prospettive al riguardo secondo le informazioni a disposizione dei Ministri interrogati. (5-12011)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il piano nazionale «Industria 4.0» è stato presentato a Milano il 21 settembre 2016 dall'ex Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi e dal Ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda, e prevede un insieme di misure organiche e complementari in grado di favorire gli investimenti per l'innovazione e per la competitività del Paese;
   il sito www.engage.it ha informato come «negli ultimi anni il mercato dell’e-commerce sia cresciuto estendendo la propria offerta anche a settori inizialmente molto lontani come il fashion, il food, il design»;
   secondo quanto elaborato dal portale web Statista, «il comparto del fashion ha registrato un incremento di circa il 42 per cento per un valore di 391 miliardi di dollari, seguito dal beauty con il 42 per cento pari a 84,5 miliardi e, infine, il design che registra una crescita di oltre il 36 per cento con 133 miliardi di dollari. Questi dati di crescita non sono però ancora sufficienti per considerare il settore dell’e-commerce maturo o capace di esprimere appieno le sue potenzialità, il digitale risulta essere la strada necessaria per le aziende che vogliono competere con successo nei prossimi anni, e la rivoluzione digitale non è uno scenario a medio-lungo termine, ma un fenomeno che sta già cambiando profondamente i consumatori e il modo di fare impresa»;
   il 18 luglio 2017 a Milano si è tenuto il primo convegno Netcomm Focus Lifestyle, organizzato da Netcomm in collaborazione con Pambianco. Durante l'incontro è stata presentata un'analisi della trasformazione in atto nelle imprese dei comparti simbolo del made in Italy, impegnati a cogliere le opportunità offerte dall'ecosistema digitale;
   l'Ansa ha riportato le conclusioni emerse dal convegno, sottolineando come «il mondo della moda e del lifestyle chieda di estendere il Piano Industria 4.0 all’e-commerce e agli investimenti in favore di un miglioramento della relazione con il cliente raggiungibile grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie»;
   Roberto Liscia, presidente di Netcomm, ha dichiarato che «Industria 4.0 non ha dato abbastanza peso all'innovazione sulla trasformazione digitale della relazione commerciale verso il mercato» e ha esortato «il ministro Calenda, il quale ha dichiarato che l’e-commerce è un canale sottodimensionato rispetto al potenziale, a fare un passo ulteriore affinché gli incentivi del Piano 4.0 non vadano solo sul miglioramento della produttività e del cambiamento della parte machinary, ma avanzino anche verso investimenti mirati nella trasformazione digitale della distribuzione». La scommessa per il retail, infatti, «sta nella relazione a lungo termine con il cliente, quindi, bisogna conoscerlo sempre di più e in maniera diretta», investendo «in modelli predittivi, banche dati, sistemi di informatica avanzata»;
   Il Sole 24 ore, nell'articolo del 19 luglio 2017, ha riportato i dati presentati nel corso dell'evento. «Nel 2016 sono stati acquistati beni e servizi online del valore di 2.600 miliardi di dollari e i consumatori digitali hanno raggiunto la quota di 1,5 miliardi di persone. Per il Made in Italy è un'importante opportunità da cogliere. Le previsioni di crescita dell’e-commerce sono importanti: le vendite online di prodotti moda nel 2021 supereranno i 633 miliardi di dollari, mentre quelle di beauty e design toccheranno rispettivamente i 145 e i 213 miliardi»;
   David Pambianco, amministratore delegato di Pambianco Strategie di impresa, ha comunicato di aver deciso, in partnership con Netcomm, di dedicare ai settori moda, beauty e design un summit che analizzi ed approfondisca le sfide e le opportunità offerte dal digitale. «Ritengo che oggi saper gestire al meglio questa rivoluzione sia strategico per aziende come quelle lifestyle in cui l'immagine e la relazione con i propri consumatori sono leve di successo fondamentali.». Inoltre, evidenziando l'aspetto innovativo del settore moda, ha sostenuto come «il comparto abbia investimenti altissimi in ricerca sui materiali, sui tessuti, sui modelli. Ma gli sforzi che la moda cerca di attuare sono quasi sempre al di fuori dei benefici fiscali di legge. Auspico quindi una maggiore attenzione alle specificità degli investimenti del settore» –:
   alla luce di quanto esposto, se e quali iniziative di competenza intenda assumere per ampliare le disposizioni già in vigore nell'ambito del piano «industria 4.0», al fine di incentivare gli investimenti delle aziende italiane in materiali, strumentazioni, tecnologie, know-how, personale qualificato e consulenze relativi al settore dell’e-commerce;
   se intenda assumere iniziative per potenziare il piano «industria 4.0», al fine di prevedere ulteriori strumenti volti ad incentivare ogni tipo di investimento che possa favorire il processo di trasformazione digitale delle imprese operanti nel settore del made in Italy. (4-17529)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono enti pubblici locali non territoriali dotati di autonomia funzionale. Ai sensi della legge n. 580 del 1993, svolgono, nell'ambito della circoscrizione territoriale di competenza e sulla base del principio di sussidiarietà di cui all'articolo 118 della Costituzione, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell'ambito delle economie locali;
   come riportato dalle agenzie di stampa, il 23 maggio 2017 la presidente della regione Debora Serracchiani ha inviato una missiva al Ministro interrogato nella quale informa che «la regione Friuli Venezia Giulia continua a sostenere un progetto di riordino che preveda la costituzione di un unico Ente camerale regionale»;
   il presidente della Camera di commercio Venezia Giulia, Antonio Paoletti, durante un'audizione in consiglio comunale, svoltasi il 10 luglio 2017, ha ricordato che la Camera di commercio Venezia Giulia era nata «per tutelare le specialità geoeconomiche dei territori» e che dunque, prima di prevedere un piano di razionalizzazione delle Camere di commercio italiane bisognerà ascoltare le controparti. Inoltre, Paoletti ha specificato che «le Camere di commercio di Trieste e Gorizia si sono fuse iniziando tale percorso già nel 2014, con l'obiettivo di unire le istituzioni per congiungere un territorio storicamente, culturalmente ed economicamente compatibile e rafforzarne le specialità»;
   Paoletti ha altresì sottolineato che «la Camera di Commercio Venezia Giulia, nel piano approvato da Unioncamere nazionale trova tutela al pari degli altri enti camerali già accorpati in Italia, in quanto il piano riprende le tutele normative stabilite per le Camere di commercio che hanno seguito già nel 2014 le indicazioni ministeriali, addivenendo ad accorpamenti fondati su quelli che sarebbero stati i contenuti della riforma stessa»;
   il consiglio comunale di Trieste il 10 luglio 2017 ha approvato all'unanimità una mozione, presentata dal gruppo di Forza Italia e condivisa anche dagli altri gruppi politici, in cui si impegnano sindaco e l'assessore competente a farsi parte attiva presso gli enti competenti affinché sia difesa la scelta delle Camere di commercio di Trieste e di Gorizia di fondersi in quella della Venezia Giulia, in considerazione dell'unicità del territorio ricompreso tra Trieste e Gorizia e la necessità di tutelarlo;
   come riportato dalle maggiori agenzie di stampa del 27 luglio 2017, il Ministro interrogato considera «accoglibile» la posizione dell'amministrazione regionale sull'istituzione di un'unica Camera di commercio in Friuli Venezia Giulia la cui richiesta sarebbe stata discussa nella giornata del 26 luglio in sede di riunione tecnica della commissione attività produttive e gruppo misto Stato-regioni in materia di riordino delle Camere di commercio;
   la valutazione da parte della Conferenza Stato-regioni del decreto complessivo di riordino delle Camere di commercio, nel quale è contenuta la definizione relativa all'unificazione degli enti camerali del Friuli Venezia Giulia che si sarebbe dovuta svolgere il 27 luglio è stata rinviata;
   ad avviso dell'interrogante, la linea intrapresa dalla presidente del Friuli Venezia Giulia è quella di assumere una posizione meramente mediatica sulla fusione delle Camere di commercio, quando in realtà tale scelta provocherebbe ulteriori costi per le imprese e i cittadini della regione –:
   se il Ministro interrogato non intenda fornire gli opportuni chiarimenti in merito alla vicenda descritta in premessa nonché rendere noti, per quanto di competenza, gli intendimenti del Governo rispetto al progetto della costituzione della Camera di commercio unica del Friuli Venezia Giulia, anche alla luce del fatto che la fusione tra Trieste e Gorizia è andata nella direzione indicata dal Governo stesso. (4-17540)

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione Agostinelli n. 5-11273, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 788 del 3 maggio 2017.

   AGOSTINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'agosto 2016 l'imprenditore napoletano Giuseppe Palumbo ha rilevato la società Isa Yacht srl di Ancona, salvandola dal fallimento, investendo 4 milioni di euro ed avviando la produzione di due yacht. È nata, così, la società Palumbo Ancona Shipyard Isa Yacht srl, azienda specializzata nella produzione di yacht di lusso;
   attualmente nello stabilimento lavorano 50 operai in cassa integrazione su un totale di 85, con la possibilità di reintegrare fino a 60-70 lavoratori in caso di un'eventuale terza commessa;
   in data 18 aprile 2017 l'azienda ha notificato il licenziamento in tronco ad Emiliano Fava della Fiom, unico rappresentante Rsu e referente per la sicurezza dello stabilimento;
   a portare al licenziamento di Fava sono state tre sanzioni disciplinari comminate dall'azienda al lavoratore, l'ultima lo scorso 27 marzo. La prima sanzione è stata accettata dal dipendente, con tre giorni di sospensione dal lavoro, le altre sono state impugnate (una innanzi al tribunale, l'altra innanzi al collegio arbitrale dell'ufficio del lavoro). A far scattare i provvedimenti sono state alcune mail inviate da Fava, considerate minacciose dall'azienda, oltre ad alcuni commenti su una pagina Facebook;
   licenziando Fava, Palumbo ha praticamente azzerato le relazioni sindacali all'interno del cantiere. Secondo Fiom «la legge prevede che in ogni posto di lavoro ci siano almeno uno o più rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. (...) Inoltre il delegato è stato preso di mira dall'agosto dell'anno scorso con la dichiarata volontà da parte dell'azienda di farlo fuori prima o poi»;
   il lavoratore licenziato, aveva più volte denunciato, nel corso della propria attività sindacale, l'impossibilità di svolgere le sue mansioni di controllo sulla sicurezza del cantiere, a causa del comportamento dell'azienda;
   tra le verifiche che Fava aveva chiesto di poter fare c'erano quelle relative alle procedure per l'abbattimento di alcuni capannoni interni allo stabilimento che potrebbero presentare amianto;
   Fava è anche tra quegli otto lavoratori in cassa integrazione a zero ore e senza rotazione che si sono rifiutati di sottoscrivere gli accordi sulle buone uscite, firmati da 27 lavoratori su 35;
   il licenziamento segue ad una fase di tensione delle relazioni sindacali, aggravatesi quando l'azienda ha rifiutato un tavolo di confronto con la regione Marche e le organizzazioni sindacali;
   i motivi di tensione riguardano la mancata applicazione della rotazione per la cassa integrazione, la mancanza di certezze sulle commesse, i contatti diretti tra azienda e personale per favorirne l'esodo;
   la Fiom ha annunciato di voler impugnare in sede giudiziaria il licenziamento e di denunciare l'azienda per condotta antisindacale ex articolo 28 dello statuto dei lavoratori –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione alla vicenda sopra riportata, se siano stati rispettati gli accordi sindacali e se si intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere, per quanto di competenza, una verifica presso tutte le sedi dell'azienda tramite le competenti strutture ministeriali, anche in relazione alla normativa concernente la sicurezza sul luogo di lavoro. (5-11273)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Locatelli n. 4-15337, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 730 del 25 gennaio 2017.

   LOCATELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge sulla «procreazione medicalmente assistita, legge n. 40 del 2004, prevede all'articolo 11 l'istituzione, presso l'Istituto superiore di sanità, di un registro nazionale delle strutture autorizzate all'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, degli embrioni formati e dei nati a seguito dell'applicazione delle tecniche medesime. Tale iscrizione è obbligatoria. I dati sono raccolti e diffusi dall'Istituto superiore di sanità al fine di consentire massima trasparenza e pubblicità alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e ai risultati conseguiti;
   le strutture sono, inoltre, tenute a fornire agli osservatori epidemiologici regionali e all'Istituto superiore di sanità i dati per le finalità indicate sopra citate, nonché le informazioni utili per il controllo e l'ispezione da parte delle autorità competenti;
   l'Istituto predispone, entro il 28 febbraio di ciascun anno, una relazione annuale sulla base dei dati raccolti, sull'attività delle strutture autorizzate, con particolare riferimento alla valutazione epidemiologica delle tecniche e degli interventi effettuati;
   il Ministro della salute presenta poi, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione al Parlamento sull'attuazione della suddetta legge;
   alla luce del dettato sopra indicato risulta che, dal Registro, è possibile consultare l'elenco delle strutture autorizzate ad applicare tutte le tecniche di procreazione medicalmente assistita;
   tra le tecniche applicabili possono essere effettuate, su richiesta della coppia, indagini cliniche diagnostiche ai sensi degli articoli 14, comma 5, (I soggetti... sono informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell'utero) e 13, comma 2, (La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative);
   con sentenza della Corte Costituzionale n. 96 del 2015 è stata dichiarata: «l'illegittimità costituzionale degli articoli 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge n. 40/2004, nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all'articolo 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194, accertate da apposite strutture pubbliche». Pertanto, indagini cliniche diagnostiche possono essere applicate anche le coppie fertili portatrici di patologie genetiche che possono accedere a tali tecniche;
   nel Registro inoltre, sono raccolti anche i dati sulle indagini cliniche diagnostiche sull'embrione (indagini genetiche preimpianto);
   nelle relazioni al Parlamento presentate il 30 giugno 2016 e 2017 e visionabile sul sito dell'istituto superiore di sanità non risultano riportati dati in merito ai trattamenti di procreazione medicalmente assistita cui sia stata applicata la cosiddetta «Diagnosi Preimpianto», in particolare:
    le percentuali di impianto degli embrioni su cui sia stata applicata la tecnica diagnostica;
    il numero degli eventuali embrioni crioconservati che a seguito di Diagnostica genetica preimpianto (PGD) non sono stati trasferiti in utero per non creare nocumento alla salute della donna nel rispetto della sentenza n. 151 del 2009 –:
   quali siano i motivi per cui nella relazione al Parlamento relativa alla legge n. 40 del 2004, con riferimento agli anni 2016 e 2017, manchino i dati sulle tecniche di indagini cliniche sull'embrione applicate per le coppie infertili e del numero degli embrioni non idonei per una gravidanza che risultano crioconservati.
(4-15337)

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in commissione Businarolo e Zolezzi n. 5-11977 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 842 del 26 luglio 2017. Alla pagina 49289, prima colonna, dalla riga trentatreesima alla riga trentaquattresima deve leggersi: «dipartimento Arpav, in risposta al consigliere comunale della Lega nord, Davide Pedrotti,» e non come stampato.