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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 27 luglio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    sono settimane che l'Italia è sotto scacco di una infinita quantità di incendi dolosi ed è stata devastata in un periodo di fondamentale importanza biologica per la fauna selvatica;
    in diversi distretti territoriali della penisola, con caratteristiche geografiche diverse e con ecotipi diversi, non si può agire nel medesimo modo; occorre mettere a disposizione le esperienze pregresse acquisite per utilizzare le buone pratiche e fornire sostegno alla fauna selvatica in momenti così critici quanto delicati;
    è necessario informare che non sarà la fine degli incendi a rappresentare la fine delle problematiche per gli animali selvatici, anzi; la situazione di questo periodo talmente critico deve essere meglio conosciuta: presumibilmente gli animali superstiti saranno costretti a spostarsi e la competizione anche per le poche risorse disponibili aumenterà in ragione della diminuzione drastica degli habitat ed è altrettanto presumibile che molte specie subiranno una drastica riduzione della consistenza della popolazione proprio per il danno subito;
    le specie terricole, come ricci e altri piccoli mammiferi, hanno subito i danni maggiori; si è stati testimoni della totale assenza di coordinamento negli interventi di soccorso, per altro obbligatori per legge, della fauna selvatica;
   questi animali hanno un habitat devastato ed è più che presumibile che i superstiti tendano a muoversi e a cercare nuovi territori; quindi, è d'obbligo rammentare con specifici provvedimenti, operativi e amministrativi, che si tratta di specie tutelate dalla normativa vigente;
    è necessario valutare i bisogni di disponibilità di acqua e cibo di questi animali consentendo loro di sopravvivere, ed è altresì necessario consentire che essi trovino riparo in specifici ambienti messi a disposizione che siano consoni ed adeguati per ogni specie;
    in considerazione della devastazione degli habitat, dell'impatto su tutta la biodiversità e degli anni che saranno necessari solo per poter far riprendere la vita in quegli ambienti, si rende improcrastinabile considerare una moratoria sulla caccia, su ogni tipo di impatto antropico in quei territori, se non finalizzato al ripristino dei luoghi (laddove fosse possibile), ed impegnare il Governo in azioni di informazione ai cittadini mirate al rispetto della biodiversità sopravvissuta,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per prevedere, una moratoria sulla caccia in tutte le regioni colpite dagli incendi, dolosi e non dolosi, in considerazione del grave impatto che la biodiversità ha subito e per favorire la sopravvivenza degli animali scampati agli incendi con specifici interventi che possono essere traslati dalle esperienze internazionali in azioni di intervento post incendi;
2) a definire, promuovendo apposite campagne di informazioni, una serie di dovuti interventi sul campo che anche il singolo cittadino possa realizzare, a partire da iniziative per assicurare la disponibilità di acqua fino ad una gestione coerente e corretta dell'approvvigionamento di cibo per le specie e gli animali che ne necessitano;
3) ad assumere iniziative per educare, con specifiche campagne informative, i cittadini delle aree colpite dagli incendi in ordine ai possibili comportamenti degli animali scampati agli stessi che, impauriti, possono vagare in cerca di nuovi habitat, di cibo e di soccorso;
4) a definire, in modo coerente e adeguato, un sistema a rete nazionale di intervento e soccorso per la fauna selvatica, del tutto inesistente o insufficiente nel nostro Paese, e a renderlo efficace e pienamente operativo.
(1-01675) «Paolo Bernini, Micillo, Luigi Gallo, Di Benedetto, Sibilia, Ruocco, Tripiedi, Pesco, Alberti, Tofalo, Corda, Vacca, Grande, D'Uva».


   La Camera,
   premesso che:
    l'intero sistema sanitario italiano è ormai da anni sottoposto a numerose criticità: i continui tagli della spesa pubblica, la riduzione delle risorse umane e strutturali, il notevole incremento dei costi a carico dei cittadini e l'eccessiva attesa per l'accesso alle prestazioni. Sono proprio questi i fattori che concorrono ad aggravare la poco felice condizione della sanità italiana;
    con decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015 sono stati fissati gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi per garantire i livelli essenziali di assistenza. Il decreto ministeriale n. 70, al punto 9.2.2, detta le linee guida per i presidi ospedalieri di base siti in zone particolarmente disagiate, tra le quali sono annoverate le aree periferiche, le zone montane e le isole;
    in particolare, il citato decreto ministeriale prevede che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere presidi ospedalieri di base per zone particolarmente disagiate, distanti più di 90 minuti dai centri hub o spoke di riferimento (o 60 minuti dai presidi di pronto soccorso), superando i tempi previsti per un servizio di emergenza efficace. I tempi devono essere definiti sulla base di oggettive tecniche di misurazione o di formale documentazione tecnica disponibile;
    tali situazioni esistono in molte regioni italiane per presidi situati in aree considerate geograficamente e meteorologicamente ostili o disagiate, tipicamente in ambiente montano o premontano con collegamenti di rete viaria complessi e conseguente dilatazione dei tempi, oppure in ambiente insulare; nella definizione di tali aree deve essere tenuto conto della presenza o meno di elisoccorso e di elisuperfici dedicate;
    l'accordo del 16 dicembre 2010 tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane sul documento concernente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» ha sancito l'impegno a procedere ad una riorganizzazione regionale del percorso nascita, ha individuato 10 linee di attività che regioni e province autonome devono implementare ai fini della sicurezza del percorso nascita, ha dettato requisiti e standard di tipo strutturale, tecnologico ed organizzativo per la ridefinizione delle unità di ostetricia e neonatologia e delle terapie intensive neonatali;
    l'intero percorso nascita, sulla base di tale accordo, va predisposto e pianificato, su base regionale, utilizzando preferenzialmente modelli di rete organizzativa di assistenza perinatale, quali il sistema hub and spoke che vede il coinvolgimento, oltre che delle strutture ospedaliere anche del territorio attraverso un'azione più strutturata e capillare dei consultori, nonché il coinvolgimento dei pediatri di libera scelta;
    il Comitato percorso nascita nazionale (CPNn), costituito con decreto ministeriale 12 aprile 2011, come previsto dal citato accordo tra Governo, regioni ed enti locali del 16 dicembre 2010, ha definito le linee di indirizzo sull'organizzazione del sistema di trasporto materno assistito (STAM) e del sistema in emergenza del neonato (STEN), ove si riporta che «una corretta e appropriata gestione della donna in gravidanza e del neonato presuppongono, inoltre, l'organizzazione di un adeguato sistema di trasporto della madre e/o del neonato nei casi in cui situazioni di rischio o di vera e propria emergenza impongano il trasferimento di questi in strutture in grado di gestire tali condizioni». In tal senso, l'accordo del 16 dicembre 2010, nella prima delle 10 linee di attività da implementare, relativa a misure di politica sanitaria e di accreditamento, ha indicato che è necessario che, in connessione con la riorganizzazione dei punti nascita, si proceda all'assicurazione dei servizi di trasporto assistito materno (STAM) e neonatale d'urgenza (STEN) e che, nel processo di ridefinizione della rete di assistenza materna e neonatale siano espressamente previste e realizzate l'attivazione, il completamento e la messa a regime del sistema di trasporto assistito materno e neonatale d'urgenza;
    nelle succitate linee d'indirizzo elaborate dal Comitato percorso nascita nazionale si evidenzia che «i protocolli operativi devono definire le modalità di trasporto e i tempi minimi di attivazione di ciascuna modalità, tenendo conto che la scelta della modalità di trasporto è ampiamente determinata dalla distanza tra ospedali, dalle condizioni orografiche e meteorologiche, dalle condizioni del paziente e dalle apparecchiature disponibili nei veicoli dedicati al trasporto»;
    molte sono le realtà esistenti nelle varie regioni italiane con presidi sanitari situati in aree soggette a condizioni considerate geograficamente e meteorologicamente ostili e disagiate. Proprio in queste aree occorre prevenire i casi di «malasanità», eliminare qualsiasi disparità e garantire la massima efficienza, efficacia e sicurezza del servizio sanitario in modo da assicurare ai cittadini il diritto alla salute tutelato dall'articolo 32 della Costituzione;
    è da considerare, tra i tanti casi delle diverse realtà sanitarie regionali, quello specifico del comune de La Maddalena che dista circa un'ora dal comune di Olbia verso il quale sono trasferite in particolare le partorienti e le situazioni di emergenza. In caso di mancanza di coincidenze con gli orari del traghetto, nonché in caso di condizioni climatiche avverse che non consentono neppure l'utilizzo del servizio di elisoccorso, risultano necessarie almeno due ore per raggiungere il comune di Olbia. Tali problematiche hanno avuto concrete ripercussioni su quello che dovrebbe essere il normale svolgimento del servizio sanitario, nonché sulla vita degli stessi cittadini con casi di decesso a seguito del mancato tempestivo intervento dei soccorsi; il Comitato percorso nascita nazionale, nell'ambito dell'attività di monitoraggio concernente lo stato di attuazione dell'accordo del 16 dicembre 2010, in riferimento alla regione Sardegna e al punto nascita «Paolo Merlo La Maddalena», al 31 dicembre 2014, ebbe a rilevare che in considerazione delle condizioni di insularità, il programma di disattivazione del punto nascita era condizionato alla piena efficacia del sistema di elisoccorso regionale e alla definizione e attuazione di un piano specifico di emergenza che garantisca la possibilità di affrontare le urgenze ostetriche; da tale monitoraggio emerge che nella regione Sardegna «i sistemi di trasferimento materno e neonatale, a livello regionale, devono essere pianificati e realizzati quanto prima considerato che, rappresentano il sistema più efficace per garantire appropriatezza, sicurezza, efficacia ed efficienza all'assistenza perinatale rispondendo così a quanto dettato dall'accordo 16 dicembre 2010»;
    un caso analogo riguarda la provincia autonoma di Trento, dove ben tre punti nascita sono stati destinati alla chiusura già dallo scorso anno, quelli di Arco, Tione di Trento e il Cavalese, che, nonostante la deroga ottenuta dal Ministero, è stato ridotto negli orari sin dal 25 novembre 2015 e sospeso dal marzo 2017, minando ulteriormente i diritti delle donne e delle mamme;
    quanto alla struttura di Arco, il cui bacino d'utenza non è limitato alla sola area dell'Alto Garda ma è esteso, in termini geografici e numerici, all'intero territorio del Trentino sud-occidentale a seguito della chiusura del punto nascita di Tione di Trento. Il bacino include peraltro anche i comuni limitrofi del Veronese e del Bresciano contraddistinguendosi pertanto per una valenza logistica di livello interregionale, significativamente superiore rispetto a quanto dichiarato dai competenti organi provinciali. Il raggiungimento quindi dei 500 parti minimi non è una chimera se la struttura ospedaliera fosse messa nelle condizioni di funzionare a pieno regime, vista anche la presenza al proprio interno di un centro di eccellenza di procreazione medicalmente assistita e dal relativo indotto;
    in riferimento al caso di Arco, la tempistica dichiarata dall'assessorato alla sanità di Trento sulla viabilità non coincide con i dati ufficiali e certificati dell'ufficio viabilità della stessa provincia di Trento: la percorrenza del tragitto dalla Valle di Ledro, dalla Valle del Chiese e dall'Alto Garda ai centri ospedalieri di Trento e/o Rovereto è, infatti, significativamente superiore rispetto ai valori utilizzati per la formulazione della domanda di deroga. A tal riguardo, la situazione si aggrava ulteriormente nel periodo estivo con l'afflusso turistico, a causa della mancanza di infrastrutture viarie idonee ed alternative, e nel periodo invernale, come si può evincere sempre dal dato ufficiale di consumo di sale per le strade ghiacciate, il più alto del Trentino, è rallentata di molto la percorrenza in condizioni di sicurezza per la partoriente;
    le popolazioni delle Valli di Fiemme, Fassa e Cembra hanno invece ampiamente manifestato la loro preoccupazione alla chiusura della struttura di Cavalese proponendo soluzioni concrete che hanno permesso, nei mesi precedenti alla riduzione dell'orario, l'accoglienza di partorienti provenienti da fuori Valle (e talvolta da fuori provincia) e di attirare l'attenzione di un primario di pediatria recentemente assunto. Non deve sfuggire l'evidenza che un punto nascita è l'unico servizio che obbliga la presenza 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 di un pediatra, un ginecologo e un anestesista permettendo il funzionamento in sicurezza degli altri reparti e assicurando il mantenimento dei reparti di ginecologia, ostetricia e pediatria indispensabili in aree montane abitate ad alto afflusso turistico e riconosciute come disagiate e troppo lontane dall'ospedale di Trento. La proposta politica formulata dalla provincia di Trento e percorribile anche per gli altri punti nascita che hanno ottenuto la deroga consiste nell'adattare il decreto n. 66 attraverso una diversa «strutturazione» del servizio che attualmente obbliga a reperire ed assumere 6 pediatri, 6 ginecologi e 6 anestesisti;
    ancora, in provincia di Parma, a Borgo Val di Taro gli stessi cittadini sono scesi in piazza per protestare contro la chiusura del punto nascita e la stessa giunta della regione Emilia-Romagna è intervenuta in questi giorni per chiedere una deroga di 6 mesi e quindi di non sospendere l'attività di assistenza al parto dei punti nascita in Appennino, a Castelnovo ne’ Monti (Reggio Emilia), Borgo Val di Taro (Parma), Pavullo nel Frignano (Modena), in pianura a Scandiano (Reggio Emilia) e nel cratere colpito dal sisma, a Mirandola (Modena) e Cento (Ferrara);
    sono numerosi i presidi che si avviano verso la chiusura, ispirati più dal taglio dei costi che dalla salute delle partorienti, tradendo lo spirito, allora dichiarato, dell'accordo Stato-regioni del 2010, ossia quello della promozione e del miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita;
    sulla chiusura dei punti nascita siciliani di Mussomeli, Petralia Sottana, Lipari e Santo Stefano di Quisquina, attualmente non in deroga, si sta procedendo senza aver attivato il servizio di trasporto per le emergenze neonatali e il servizio di trasporto materno assistito, lasciando di fatto un pericoloso vuoto proprio in tema di sicurezza;
    risulta, dunque, necessario dare attuazione al decreto ministeriale 11 novembre 2015, che integra i compiti e la composizione del Comitato percorso nascita nazionale (CPNn), e che prevede, all'articolo 1, commi 1, 2 e 3, la possibilità che le regioni e le province autonome possano presentare al tavolo di monitoraggio di cui al decreto ministeriale 29 luglio 2015 eventuali richieste di mantenere in attività punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti annui e in condizioni orograficamente difficili (decreto n. 70 del 2015) in deroga a quanto previsto dall'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010;
    lo Stato italiano, come ribadito anche nella proposta di legge approvata in questo ramo del Parlamento e concernente le «Misure per il sostegno e la valorizzazione dei comuni con popolazione pari o inferiore a 5.000 abitanti e dei territori montani e rurali, nonché deleghe al Governo per la riforma del sistema di governo delle medesime aree e per l'introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ambientali», in coerenza con gli obiettivi di coesione economica, sociale e territoriale di cui all'articolo 3 del Trattato sull'Unione europea e di pari opportunità per le zone con svantaggi strutturali e permanenti di cui all'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ha il compito di promuovere e sostenere lo sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale dei piccoli comuni, promuovendo l'equilibrio demografico del Paese, favorendo la residenza in tali comuni e tutelando e valorizzando il loro patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico, agevolando quindi l'adozione di misure in favore dei residenti nei predetti comuni e delle attività produttive ivi insediate, con particolare riferimento al sistema dei servizi essenziali, al fine di contrastarne lo spopolamento e di incentivare l'afflusso turistico;
    ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ai fini della determinazione della quota capitaria, in sede di ripartizione del fondo sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 12, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro della sanità, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, può vincolare quote del fondo sanitario nazionale alla realizzazione di specifici obiettivi del piano sanitario nazionale, con priorità anche per i progetti sulla tutela della salute materno-infantile e, ai sensi del successivo comma 34-bis dell'articolo 1 della medesima legge 23 dicembre 1996, n. 662, le regioni elaborano specifici progetti approvati, su proposta del Ministero della salute, con accordo in sede di Conferenza Stato-regioni;
    nell'ambito delle suddette disposizioni, il 30 luglio 2015 lo Stato e le regioni hanno sancito un'intesa per l'assegnazione alle regioni della quota accantonata del fondo sanitario nazionale per la realizzazione di progetti in tema di ottimizzazione dell'assistenza sanitaria nelle isole minori e nelle località caratterizzate da eccezionali difficoltà di accesso, a valere sul fondo sanitario nazionale 2011, 2012 e 2013;
    nell'ambito della citata intesa del 2015 si evince la realizzazione di un progetto pilota interregionale nato dalla considerazione che il servizio sanitario nazionale ha, tra i compiti, anche quello di assicurare ai cittadini, in relazione al fabbisogno assistenziale, l'accesso e la fruizione appropriata dei servizi sanitari e tale considerazione – si legge nell'intesa – assume un'ulteriore valenza, in coerenza con quanto stabilito dal trattato di Lisbona, laddove inserita in un contesto socio-sanitario «difficile» quale quello presente nelle isole minori e nelle località caratterizzate da eccezionale difficoltà di accesso;
    la medesima intesa definisce zone disagiate quelle ubicate a distanza superiore a 60 minuti dalle più vicine strutture di riferimento di livello superiore e/o per condizioni meteomarine che impediscono, o quanto meno rendono difficoltosi, i collegamenti con la terra ferma; tra gli obiettivi specifici del progetto pilota allegato all'intesa vi è anche quello di assicurare i punti nascita, anche in deroga all'accordo del 2010;
    si ritiene che la vita e la sussistenza dei presidi situati in aree particolarmente disagiate debba essere garantita in maniera obbligatoria e non in via facoltativa o eventuale sulla base di accordi e pareri in deroga alla normativa prevista. Così come si ritengono inaccettabili le penalizzazioni di carattere economico comminate alle regioni che non si adeguano alla normativa, per garantire la tutela della salute delle donne e dei bambini, e che sono dichiarate inadempienti rispetto ai livelli essenziali di assistenza;
    dal combinato disposto degli articoli 3 e 32 della Carta fondamentale, deriva che le esigenze di bilancio non possano assurgere a motivi fondanti dell'impoverimento dei diritti fondamentali, tra cui si annovera il diritto alla salute del cittadino,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative affinché il Comitato percorso nascita nazionale, istituito presso il Ministero della salute, produca una mappatura dei punti nascita, la cui chiusura sia stata ritenuta penalizzante in ragione delle condizioni disagiate del territorio;
2) ad assumere iniziative affinché siano destinate ulteriori risorse, a valere sul fondo sanitario nazionale, per la realizzazione di nuovi progetti specifici in tema di ottimizzazione dell'assistenza sanitaria nelle isole minori e nelle località caratterizzate da eccezionali difficoltà di accesso, con particolare riferimento alla necessità di garantire continuità ad un servizio di primaria importanza per le aree disagiate, qual è il percorso nascita;
3) ad assumere iniziative per rimodulare la rete dei punti nascita basandosi non solo su mere soglie fisse ma sulle reali esigenze e condizioni del territorio, tenendo conto anche delle gravissime carenze infrastrutturali dei territori interessati che mettono a repentaglio la sicurezza delle partorienti che devono raggiungere i cosiddetti punti nascita «sicuri» e sono costrette a lunghi viaggi spesso in elicottero o ambulanza, in condizioni psicofisiche di stress, o a trasferirsi direttamente dal centro di residenza, nonché tenendo conto di quei casi in cui il presidio sanitario risulti assolutamente indispensabile considerate anche le caratteristiche territoriali e le proibitive condizioni meteorologiche in alcuni periodi dell'anno;
4) a riaprire un confronto coi territori per valutarne le situazioni caso per caso, facendo delle scelte che abbiano come interesse supremo la salute di madri e bambini;
5) ad individuare, di concerto con le regioni, delle soluzioni basate sui reali bisogni dei territori e dei cittadini;
6) ad assumere iniziative per sopprimere, per i punti nascita detti «periferici», la guardia attiva inserendo il regime di reperibilità notturna, posto che questo adeguamento della norma permetterà di passare da 6 a 4 medici obbligatori per ogni specializzazione, accordando agli ospedali situati in zone orograficamente disagiate quella sostenibilità logistica e finanziaria che permetterà loro di evitare una chiusura imposta dalla burocrazia.
(1-01676) «Corda, Fraccaro, Colonnese, Baroni, Mantero, Silvia Giordano, Lorefice, Grillo, D'Uva, Cancelleri, Nesci, Cecconi, Basilio».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 30 della Costituzione prevede il dovere nonché il diritto dei genitori di occuparsi dei figli, anche se nati fuori dal matrimonio, con specifico riferimento non solo all'adempimento dell'obbligo del mantenimento, ma anche dell'istruzione e dell'educazione;
    il diritto dei figli di mantenere rapporti con i loro genitori è un principio consolidato da tempo in molti ordinamenti europei ed è sancito in diversi strumenti giuridici internazionali tra cui la «Convenzione sui diritti dei fanciulli» sottoscritta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176;
    il principio della bigenitorialità è un diritto legittimo del minore a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, anche nel caso questi siano separati o divorziati, poiché, anche se viene meno il legame matrimoniale non può considerarsi estinto il diritto/dovere di essere genitore;
    il nostro ordinamento, con la legge 8 febbraio 2006, n. 54, approvata durante il mandato del Governo Berlusconi III, ha riconosciuto il principio della bigenitorialità attraverso l'affido condiviso, per i figli di coppie separate, anche non sposate, stabilendo con il nuovo articolo 155 del codice civile che «anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale»;
    con la formula «affidamento condiviso» non si intende che i genitori provvedano con divisione matematica – 50 per cento ciascuno – al benessere del proprio figlio, bensì che, in quanto genitori, conservino totalmente le proprie responsabilità;
    attraverso la legge 8 febbraio 2006, n. 54, il giudice non si trova più di fronte ad un bivio, poiché non deve individuare chi tra i due genitori sia più idoneo ad occuparsi del figlio – come accadeva prima della riforma citata – bensì «valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori»;
    la legge 8 febbraio 2006, n. 54, ha dunque innovato in modo sostanziale il contenuto dell'articolo 155 del codice civile rendendo efficaci anche in Italia le disposizioni contenute nella citata legge 27 maggio 1991, n. 176;
    successivamente, il legislatore con il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, all'articolo 54, ha provveduto a sostituire, all'articolo 337, del codice civile la parola «potestà» con «responsabilità genitoriale», rimarcando, dunque, che è il minore il solo soggetto dei diritti, mentre entrambi i genitori sono gravati dei conseguenti doveri;
    la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato, in molte occasioni, che per un genitore e un figlio la capacità di vivere insieme è parte essenziale della vita familiare che deve essere salvaguardata ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
    il Consiglio d'Europa, con la risoluzione n. 2079 (2015), prevede che il ruolo di vicinanza dei padri ai loro figli deve essere maggiormente riconosciuto e valorizzato e che la corresponsabilità parentale implica che i genitori abbiano nei confronti dei loro figli diritti, doveri e responsabilità, ricordando altresì che lo sviluppo della corresponsabilità parentela contribuisce a liberarsi degli stereotipi di genere che riguardano i ruoli assegnati alla donna e all'uomo in seno alla famiglia;
    i principali problemi che si riscontrano nell'affido condiviso e che si concretizzano in un ostacolo alla condivisione effettiva si individuano principalmente nella questione della residenza del minore comprese l'assegnazione della casa coniugale e l'attribuzione dell'assegno di mantenimento; infatti, nella maggior parte dei casi di affidamento condiviso i figli hanno come casa principale quella di uno dei due genitori che viene definito «genitore collocatario»;
    il rapporto dell'Istat del 2016 evidenzia che nel 2015 le separazioni con figli in affido condiviso sono circa l'89 per cento contro l'8,9 per cento di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre, ma, si specifica che al di là dell'assegnazione formale dell'affido condiviso, per altri aspetti, come l'assegnazione della casa coniugale e l'assegno di mantenimento, non si rinviene un'effettiva applicazione;
    come riportato dall'Istat «ci si attendeva, infatti, una diminuzione della quota di separazioni in cui la casa coniugale è assegnata alle mogli e invece si registra un lieve aumento, dal 57,4 per cento del 2005 al 60 per cento del 2015; questa proporzione, nel 2015, raggiunge il 69 per cento per le madri con almeno un figlio minorenne. Per quanto riguarda le disposizioni economiche, infine, non vi è nessuna evidenza che i magistrati abbiano disposto il mantenimento diretto per capitoli di spesa, a scapito dell'assegno: la quota di separazioni con assegno di mantenimento corrisposto dal padre si mantiene nel decennio stabile (94 per cento del totale delle separazioni con assegno)»;
    nonostante il quadro normativo sia ineccepibile, quello sostanziale legato alla corretta applicazione della norma risente di una sostanziale «fatica» del sistema tanto che la prassi giurisprudenziale evidenzia l'intenzione di mantenere la quasi totalità delle separazioni in una condizione ante riforma;
    in questo modo la maggioranza delle sentenze continua, a prevedere che sia la madre a trascorrere con i figli la maggior parte del tempo e continua a disporre, a carico della madre, un assegno di mantenimento per i figli che nella ratio della legge avrebbe dovuto restare residuale ed esclusivamente perequativo;
    alla luce di quanto riportato, l'affidamento condiviso è ancora su carta e l'importante rivoluzione culturale, prevista dalla legge, non può dirsi ancora compiuta;
    al fine di porre rimedio a quanto illustrato precedentemente, molti comuni italiani si sono dotati del registro della bigenitorialità che, senza alcuna rilevanza ai fini anagrafici, consente di far comparire il minore come domiciliato presso le residenze di entrambi i genitori, agevolando, in tal modo, le istituzioni, che occupandosi del minore, possono conoscere i riferimenti di entrambi i genitori;
    oltre al fondamentale ruolo dei genitori, è altresì rilevante evidenziare quello svolto dai nonni nella vita dei propri nipoti che è stato riconosciuto dall'articolo 42 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, in esecuzione della delega prevista dall'articolo 2 della legge n. 219 del 2012 che ha sostituito l'articolo 317-bis del codice civile espressamente dedicato ai «rapporti con gli ascendenti»;
    il decreto legislativo n. 154 del 2013, novellando l'articolo 317-bis del codice civile, ha attribuito agli ascendenti la legittimazione a promuovere un giudizio in cui far valere il loro diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni; nella stessa novella, è stato modificato l'articolo 38, primo comma, delle disposizioni attuative del codice civile, inserendo, nell'ambito della competenza del tribunale per i minorenni, anche il giudizio promosso ai sensi dell'articolo 317-bis del codice civile;
    l'articolo 317-bis del codice civile prevede che «l'ascendente al quale è impedito l'esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell'esclusivo interesse del minore» e tale assetto normativo ha di fatto riconosciuto un vero e proprio diritto in capo ai nonni, diritto che rappresenta il simmetrico contraltare di quello già riconosciuto ai nipoti di poter continuare a frequentare i primi;
    il rapporto tra nonni e nipoti rientra tra i legami familiari tutelati a norma dell'articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo che garantisce all'individuo la non ingerenza dello Stato nella vita privata e familiare di ognuno, ma non solo, poiché la norma impone anche che le autorità si adoperino per rendere effettivi tali diritti;
    la Corte europea dei diritti dell'uomo, con sentenza del 20 gennaio 2015, Manuello e Nevi c. Italia, ha condannato l'Italia per non aver compiuto sforzi adeguati e sufficienti al fine di preservare il rapporto di parentela tra i nonni e la loro nipote, a seguito della separazione dei genitori e del sospetto di abuso sessuale nei confronti della minore da parte del padre;
    nello specifico, nella sentenza sopra citata, la Corte considera che le autorità nazionali non si siano impegnate in maniera adeguata e sufficiente per mantenere il legame familiare tra i ricorrenti e la nipote e che abbiano violato il diritto degli interessati al rispetto della loro vita familiare sancito dall'articolo 8 della Convenzione dei diritti dell'uomo;
    alla luce del difficile adattamento della normativa in vigore nel nostro ordinamento, guardando oltre i propri confini nazionali, si rinviene nel sistema giurisdizionale civile spagnolo una diversa organizzazione specializzata che prevede in capo a determinati tribunali specializzati la facoltà di giudicare su determinate categorie di persone o materie; tra questi, vi sono i tribunali di famiglia composti da magistrati specializzati per risolvere le vicende riguardanti i minori e le coppie;
    si assiste quindi a numerose resistenze culturali da parte degli operatori del diritto nei confronti dell'affidamento condiviso nonché della tutela del rapporto tra ascendenti e discendenti, con un conseguente svuotamento dei contenuti più qualificanti che inducono sostanzialmente a considerare ancora oggi l'affidamento mono-genitoriale come la forma da privilegiare, nonché a sottovalutare completamente il rapporto di continuità tra nonni e nipoti, oltre che ad una mancanza di omogeneità nei provvedimenti adottati, recanti decisioni apertamente contraddittorie non solo fra tribunali di diverse città, ma anche tra diversi giudici dello stesso tribunale,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, alla luce di quanto descritto in premessa e in particolare al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 54 del 2006, in modo da tutelare il diritto dei genitori a svolgere un ruolo genitoriale in condizione paritetica nella cura, nell'educazione e nell'istruzione e il diritto del minore ad avere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori;
2) a sostenere e promuovere la formazione degli operatori del diritto per una corretta interpretazione della legge n. 54 del 2006, al fine di incentivare una cultura della separazione rispettosa dei diritti dei minori e dei soggetti più deboli, mirante alla effettiva salvaguardia dei figli nel difficile contesto della separazione;
3) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per prevedere l'istituzione in tutti i comuni di un apposito registro della bigenitorialità, poiché tale strumento consentirebbe ad entrambi i genitori di legare la propria domiciliazione a quella del figlio residente nel comune interessato, agevolando, in tal modo, le istituzioni, che, occupandosi del minore, possono conoscere i riferimenti di entrambi i genitori;
4) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per assicurare l'osservanza dell'articolo 317-bis del codice civile al fine di tutelare il diritto al rispetto della vita privata e familiare, garantendo concretamente il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti assidui e significativi con i discendenti in armonia con lo spirito della legge n. 219 del 2012;
5) a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte ad una revisione del sistema giudiziario italiano, prefigurando l'istituzione di tribunali specializzati per la famiglia, sul modello spagnolo, con il compito di giudicare in merito alle controversie relative ai minori e alle coppie.
(1-01677) «Centemero, Brunetta».


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo polacco, dal 2015 è guidato dal partito di estrema destra ed euroscettico «Diritto e Giustizia» (PiS), che sta introducendo una serie di riforme del sistema giudiziario che sono state giudicate illiberali dalle opposizioni e da molti osservatori internazionali;
   recentemente, il Parlamento polacco ha approvato una legge che permette al Governo di far «andare in pensione» tutti i giudici della Corte Suprema polacca, prescindendo dalla loro età, e di nominare i loro sostituti. Inoltre, ha votato una normativa che attribuisce al Governo il potere di nominare 22 dei 25 funzionari che scelgono i giudici e ne propongono i loro avanzamenti di carriera;
   secondo Maciej Kisilowski, un professore di diritto della Central European University, il Governo polacco attraverso il controllo del sistema giudiziario e sulla Corte Suprema può riuscire a far approvare le proprie leggi più facilmente. Va evidenziato, che la Corte Suprema polacca ha anche il potere di invalidare o convalidare i risultati delle elezioni legislative;
   le leggi appena approvate, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono incompatibili con la separazione dei poteri su cui si basano le democrazie europee;
   l'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea recita: «L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini»;
   l'articolo 7 del medesimo Trattato stabilisce che il Consiglio possa accertare l'esistenza di un «evidente rischio di violazione» dei valori sanciti dall'articolo 2 dei Trattati da parte di uno Stato membro e anche di una «violazione grave e persistente» da parte di Uno Stato membro dei valori enunciati nell'articolo 2 del Trattato, e ne disciplina la procedura. Qualora il Consiglio accerti che sono state effettuate delle violazioni da parte dello Stato membro può deciderne anche la sospensione del diritto di voto;
   l'Unione europea ha recentemente annunciato una procedura d'infrazione verso l'Ungheria che ha introdotto nel suo ordinamento una norma che danneggia le organizzazioni che ricevono finanziamenti stranieri. La Commissione europea ha dichiarato in merito: «la norma è discriminatoria e interferisce indebitamente con i diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in particolare il diritto alla libertà di associazione». Inoltre, è stato inviato un monito da Bruxelles a Budapest, anche sulla riforma della pubblica istruzione, in quanto sarebbe in contrasto con il diritto alla «libertà accademica, all'educazione e alla libertà di condurre affari»;
   per molti giorni migliaia di manifestanti sono scesi in piazza a. Varsavia e in altre città polacche con candele, bandiere e rose bianche, simbolo del movimento civico, per chiedere al Presidente Duda di porre il veto sulla riforma della giustizia che avrebbe messo in ulteriore rischio la democrazia polacca;
   il capo dello Stato polacco ha deciso di porre il veto alle leggi sulla Corte suprema e sul Consiglio nazionale della magistratura. Il Presidente polacco ha dichiarato che il suo ufficio elaborerà un nuovo progetto di legge in due mesi,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi attivamente affinché, nelle competenti sedi dell'Unione europea, sia monitorata l'evoluzione della normativa polacca in questione al fine di verificarne la conformità allo stato di diritto e ai principi democratici sanciti dai Trattati europei e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
2) ad adoperarsi affinché l'Unione europea – ove accertasse la contrarietà di tale normativa ai suddetti princìpi – avvii nei confronti della Polonia l’iter previsto dall'articolo 7 del Trattato sull'Unione europea;
3) ad assumere iniziative – ai sensi dell'articolo 259 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea – per sottoporre alla Commissione europea la questione, ai fini dell'eventuale avvio di una procedura di infrazione nei confronti della Polonia per violazione dei citati princìpi e dello stato di diritto.
(1-01678) «Galgano, Monchiero, Pisicchio, Menorello, Mucci, Catalano, Oliaro, Matarrese, Vargiu, Quintarelli, Matteo Bragantini, Prataviera, Sberna».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    l'aeromobile a pilotaggio remoto o APR, noto come drone, è ampiamente utilizzato dall'Aeronautica militare per la sorveglianza e la ricognizione aerea;
    gli APR, o UAV (unmanned aerial vehicles) rappresentano, sotto il profilo politico-militare un ottimo investimento in termini di sorveglianza di vaste aree di terreno, in considerazione delle loro caratteristiche in termini di autonomia e raggio d'azione, capacità di rilanciare in tempo reale le immagini raccolte ed elevata economicità d'impiego dovuta all'assenza di personale a bordo;
    la legge 14 luglio 2004, n. 178, recante «disposizioni in materia di aeromobili a pilotaggio remoto delle Forze Armate» non esclude la possibilità di utilizzare gli APR anche nelle situazioni di emergenza di competenza della protezione civile;
    gli APR sono stati accostati in maniera diretta al monitoraggio ambientale e delle aree colpite gravemente da terremoti e inondazioni. Un esempio sono gli APR americani Global Hawk che hanno sorvolato la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, in Giappone, addentrandosi nella zona vietata (no go zone), col fine di monitorare i reattori dopo le esplosioni causate dal terremoto del Tōhoku del 2011, scattando anche foto con i sensori a infrarossi. L'alta radioattività rendeva, infatti, impossibile l'avvicinamento di esseri umani; gli APR possono essere utilizzati anche per monitorare nel tempo gli impianti di produzione di energia elettrica, o più in generale impianti industriali, utilizzando degli appositi sensori (termocamere, camere multispettrali e altro); gli APR possono svolgere un ruolo importante nelle operazioni di ricerca e soccorso consentendo di effettuare delle ricognizioni in tempi rapidi, in particolare a seguito del verificarsi di situazioni di emergenza;
    gli UAV italiani svolgono missioni di ricognizione da dodici anni per contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina nel Mediterraneo ed in svariati contesti operativi come, ad esempio, in Iraq, Afghanistan, Balcani, Libia, Kuwait. I sensori elettro-ottici, infrarossi e radar posti sotto la fusoliera, permettono capacità di osservazione e di rilevamento uniche, in grado di operare anche di notte. Il sensore radar ad apertura sintetica, in particolare, consente con ogni condizione di tempo, la capacità di ottenere immagini ad alta definizione;
    il sistema per la sorveglianza e la difesa passiva tipo Ground-Based Operational Surveillance System (G-BOSS), in dotazione alle forze armate italiane, è dotato di diverse tipologie di sensori posizionati all'apice di un traliccio per la sorveglianza anche a lungo raggio dell'area circostante una base;
    in varie regioni d'Italia divampano sempre più spesso durante la stagione estiva incendi di vasta dimensione, con roghi che hanno coinvolto non solo aree verdi ma anche aziende agricole e aree industriali. Il 2016 è stato segnato da 4.635 roghi che hanno mandato in fumo 27 mila ettari. Le persone denunciate, tra piromani, eco criminali ed eco mafiosi sono stati 322, mentre quelle denunciate 14;
    molte critiche giornalistiche e politiche sono state accese sui ritardi nella programmazione delle campagne antincendio, sull'assenza di presidi e sullo scioglimento del corpo forestale dello Stato, come potenziali cause dei gravi danni causati dagli incendi boschivi;
    in diverse regioni del centro-sud la situazione è stata da subito molto critica, nell'ultimo mese le fiamme hanno divorato un'area della Penisola grande quasi come quella bruciata in tutto il 2016: 26 mila ettari di boschi andati in fumo, di cui la metà nella sola Sicilia;
    gli incendi non hanno risparmiato le aree protette, sempre più nel mirino degli ecocriminali a partire dal Vesuvio. Majella, Gargano, Alta Murgia, Pollino, Sila e Aspromonte dovranno tutti fare i conti con i danni anche al patrimonio di biodiversità;
    è paradossale quanto avvenuto presso la pineta di Castelfusano alle porte di Roma: le fiamme si sono ripresentare con cadenza quasi giornaliera, mettendo in risalto l'inefficienza della prevenzione degli incendi, anche alla luce delle circostanze che riporterebbero alla matrice dolosa l'innesco contemporaneo di focolai;
    il dipartimento della protezione civile ha attivato il servizio di mappatura satellitare operativo a livello europeo per la richiesta di mappatura del danno a seguito degli incendi. Il servizio è già stato attivato per il rilievo degli effetti in Campania e in Sicilia, con particolare riferimento alle immagini satellitari relative all'area vesuviana;
    contro il governo regionale sono in molti a puntare il dito; i sindacati lamentano che il governo regionale non ha programmato le risorse per organizzare con mezzi, uomini e attrezzature la campagna antincendio e la manutenzione del territorio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di dare mandato alle Forze armate di avviare un'operazione di ricognizione aerea costante, tramite gli APR e gli altri sistemi di videosorveglianza e sorveglianza passiva, per attività di deterrenza e controllo dei reati contro il patrimonio ambientale e delle aree boschive maggiormente a rischio di incendi, secondo criteri individuati di concerto con le prefetture ed in collaborazione con il Centro operativo aereo unificato presso il dipartimento di protezione civile, al fine di segnalare immediatamente al personale preposto allo spegnimento di incendi eventuali focolai e procedere al controllo dei soggetti eventualmente sospettati di aver innescato gli stessi.
(7-01326) «Rizzo, Basilio, Corda, Frusone, Tofalo, Cancelleri, D'Uva, Di Benedetto, Grillo, Lupo, Lorefice, Marzana, Villarosa, Cozzolino, Massimiliano Bernini».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 6 del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, il cui disegno di legge di conversione è stato approvato definitivamente il 27 luglio 2017, introduce misure di ristoro per gli investitori che siano persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti o i loro successori mortis causa che, al momento dell'avvio della liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal medesimo decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, detenevano strumenti finanziari di debito subordinato emessi da Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza ed acquistati nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime banche emittenti prevedendo la possibilità per gli stessi di accedere alle prestazioni del fondo di solidarietà previsto dall'articolo 1, comma 855, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, secondo quanto stabilito dall'articolo 1, commi 856, 857, 858, 859, 860 e 861 e successive modificazioni della medesima legge;
    inoltre, per i suddetti investitori si applicano le disposizioni in materia di accesso al fondo di solidarietà con erogazione diretta di cui all'articolo 9 del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119. Ai sensi delle disposizioni di cui al medesimo articolo 9, l'indennizzo forfetario è limitato all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti finanziari di debito subordinato;
    infine, le misure di ristoro disciplinate dall'articolo 6 del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, al pari di quanto previsto per gli investitori detentori di strumenti finanziari di debito subordinato emessi da Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca Marche, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e Cassa di Risparmio di Chieti, sono limitate agli strumenti finanziari di debito subordinato sottoscritti o acquistati entro il 12 giugno 2014 data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale europea della direttiva per il risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie 2014/59/UE «BRRD»;
    è doveroso precisare che la problematica del misselling dei prodotti finanziari distribuiti ai risparmiatori retail privi di un adeguato profilo di rischio prescinde da ogni genere di presunzione di conoscenza del grado di rischio degli strumenti finanziari – che si fa risalire quindi alla data del 12 giugno 2014 – soprattutto se la prestazione dei servizi di investimento viene posta in essere dagli addetti del settore in violazione della normativa di riferimento. Per tal motivo la limitazione dell'indennizzo forfetario all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti finanziari di debito subordinato previsto dall'articolo 9 del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, rappresenta ad avviso dei firmatari del presente atto una irragionevole violazione del principio di tutela del risparmio di cui all'articolo 47 della Costituzione, soprattutto se gli strumenti finanziari di debito subordinato sono stati sottoscritti o acquistati in violazione della normativa in materia prestazione di servizi di investimento;
    il principio di tutela del risparmio di cui all'articolo 47 della Costituzione appare essere ulteriormente violato dalla limitazione del citato indennizzo forfetario agli strumenti finanziari di debito subordinato sottoscritti o acquistati nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con le banche emittenti. La circolazione degli strumenti finanziari non è subordinata ad alcuna forma di restrizione e per tal motivo tali strumenti possono essere collocati anche da intermediari diversi dalle banche emittenti. La limitazione in commento non è giustificata da nessuna ratio legis o valutazione di carattere finanziario e regolamentare. In aggiunta a quanto appena precisato, la limitazione dell'indennizzo forfettario agli strumenti finanziari di debito subordinato collocati da banche o società di investimento annoverate nel gruppo bancario dell'emittente risulta essere ancor più grave ed irragionevole,

impegna il Governo

  ad assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, volta a:
   a) aumentare la percentuale di indennizzo forfettario di cui all'articolo 9 del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, al 100 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti finanziari di debito subordinato;
   b) estendere l'indennizzo forfettario di cui all'articolo 9 del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, anche agli strumenti finanziari di debito subordinato sottoscritti o acquistati nell'ambito di un rapporto negoziale indiretto con le banche emittenti.
(7-01327) «Villarosa, Sibilia, Alberti, Pesco, Ruocco».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il diritto di accesso ai documenti amministrativi è stato espressamente introdotto e disciplinato nel nostro ordinamento al Capo V, articoli 22 e seguenti, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché dal regolamento di attuazione della disciplina, quale, da ultimo, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2006, n. 184;
   il diritto di accesso a documenti amministrativi, come sancito dall'articolo 22, terzo comma, legge n. 241 del 1990, «attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza» ha trovato ampio sostegno nella Commissione per l'accesso a documenti amministrativi, costituita ex articolo 27 della legge n. 241 del 1990, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri-dipartimento per il coordinamento amministrativo, onde deflazionare il relativo contenzioso giurisdizionale amministrativo e assicurare ai cittadini un riesame con valore di determinazione amministrativa;
   i soggetti passivi dell'accesso sono individuati all'articolo 22, comma 1, lettera e), della legge n. 241 del 1990, in «tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario», mentre l'articolo 29, comma 2-bis, della medesima legge, stabilisce che le disposizioni in tema di accesso alla documentazione amministrativa attengono ai livelli essenziali delle prestazioni ex articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione;
   l'Autorità garante per la protezione dei dati personali, istituita con legge n. 675 del 1996, costituisce l'autorità amministrativa indipendente in materia di tutela della privacy e l'articolo 23 della legge n. 241 del 1990, prevede l'applicazione della normativa in materia di accesso anche alle autorità amministrative indipendenti nell'ambito dei rispettivi ordinamenti;
   risulta all'interrogante che in sede d'istanza d'accesso all'unità lavoro pubblico e privato del Garante per la protezione dei dati personali, finalizzata per ragioni di tutela all'ostensione degli atti inerenti all'attivazione di un procedimento sanzionatorio a carico di terzi, il ridetto ufficio ha denegato l'accesso sostenendo l'assenza di un interesse diretto, concreto ed attuale collegato ai, documenti oggetto d'accesso;
   la Commissione per l'accesso a documenti amministrativi (C.A.D.A.) con decisione, n. 100 del 26 aprile 2017, pronunciandosi in sede di gravame avverso il ridetto diniego, ha accolto il ricorso invitando l'amministrazione al riesame della decisione negativa;
   l'unità lavoro pubblico e privato del Garante con nota del prot. 20794 del 9 giugno 2017, ha confermato il diniego all'accesso opponendo che le decisioni della Commissione per l'accesso non sono applicabili al Garante, per cui «la C.A.D.A. non ha il potere di pronunciarsi nei confronti di questo Garante», aspetto che appare agli interroganti illegittimo poiché il regolamento del Garante in tema di diritto d'accesso n. 1/2006 (doc.web1320021), acconsente all'esercizio del diritto in conformità alla legge n. 241 del 1990 e risulta che altri uffici del Garante medesimo abbiano ottemperato a precedenti decisioni della Commissione per l'accesso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra richiamati;
   se intenda assumere iniziative normative al fine di chiarire che la disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi si applica integralmente anche al Garante per la protezione dei dati personali e particolarmente la tutela avanti la Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. (5-11997)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   risiede nel nostro Paese un certo numero di esuli istriani e dalmati nati in territori già appartenuti all'Italia dopo l'entrata in vigore dei trattati che hanno determinato l'attuale configurazione dei confini internazionali della Repubblica con la Jugoslavia e relativi Stati successori;
   nei documenti rilasciati a questi concittadini provenienti dall'Istria e dalla Dalmazia, ivi nati dopo la loro formale cessione alla Jugoslavia, figurano riferimenti alla loro nascita in Stato estero;
   molti concittadini nati dopo la cessione dell'Istria e della Dalmazia, a loro rischio e pericolo, si dichiararono di nazionalità italiana anche all'interno della Jugoslavia di Tito;
   per diversi concittadini nati in Istria e Dalmazia dopo la cessione di questi territori alla Jugoslavia, e specialmente per quelli che ciò malgrado optarono nello Stato titino per il mantenimento della nazionalità italiana, ogni riferimento alla loro nascita in Stato estero è vissuto come un'umiliazione se non, addirittura, come una negazione della propria identità;
   il problema si porrebbe soprattutto in relazione al codice fiscale e potrebbe essere risolto semplicemente inserendo al suo interno il vecchio codice catastale dei comuni un tempo appartenuti allo Stato italiano, anche quando il titolare del documento vi sia nato dopo i trattati che sancirono la mutilazione postbellica del territorio del nostro Paese, sempre se di nazionalità italiana;
   l'eventuale adeguamento del codice fiscale potrebbe essere agevolato aprendo appositi sportelli –:
   se il Governo ritenga possibile venire incontro alla legittima aspirazione identitaria degli italiani nati nei territori perduti in Istria e Dalmazia dal nostro Paese dopo la seconda guerra mondiale, che abbiano mantenuto la nazionalità italiana anche nello Stato jugoslavo, assumendo apposite iniziative normative al fine di modificare i codici fiscali di questo gruppo di cittadini ed agevolare le relative pratiche secondo quanto riportato in premessa. (4-17490)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della legge 7 aprile 2017, n. 45, di conversione del decreto-legge 9 febbraio 2017, n. 8, recante nuovi interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e del 2017 veniva inserito nel citato decreto-legge l'articolo 7-bis, «Interventi volti alla ripresa economica»;
   il suddetto articolo 7-bis prevede la concessione di contributi per la ripresa produttiva delle imprese del settore turistico, dei servizi connessi, dei pubblici esercizi e del commercio e dell'artigianato, nonché delle imprese che svolgono attività agrituristica che hanno subìto il cosiddetto danno indiretto, ubicate nelle province delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria;
   il limite complessivo di spesa previsto in relazione alle disposizioni di cui al succitato articolo è di 23 milioni di euro per l'anno 2017;
   ad oggi non risulta attivata alcuna misura atta a consentire alle suddette imprese di usufruire di tali contributi –:
   se siano stati erogati tali contributi e in che misura e, in caso contrario, quali tempistiche siano previste per adempiere alle disposizioni di cui all'articolo citato in premessa. (4-17491)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il numero di stranieri discendenti da italiani emigrati all'estero è cresciuto negli ultimi anni, arrivando a circa due milioni, con oltre 160 mila pratiche di richiesta di cittadinanza italiana in corso;
   le richieste di cittadinanza italiana nel mondo, soprattutto in America Latina, sono 300 mila, 116 mila solo in Brasile;
   a spiegare la situazione è stato nei giorni scorsi, il Vice Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Mario Giro, che ha dichiarato: «la nostra legge è così ampia e tollerante che il numero complessivo degli aventi potenzialmente diritto a vedersi riconosciuta la cittadinanza italiana è di 80 milioni. Più degli abitanti odierni della Penisola»;
   dietro ciò, secondo il Vice Ministro, vi sarebbe «soprattutto il tentativo di garantirsi un passaporto europeo in un momento di difficoltà economiche e tensioni politiche e sociali»;
   a parere dell'interrogante si tratta di dichiarazioni gravi, dal momento che una pratica per gli italiani di «sangue» deve superare più di una probatio e ci vogliono più di dieci anni perché vada in porto, mentre il Governo tenta di assicurare ogni facilitazione ai figli degli immigrati nati in Italia attraverso iniziative per il riconoscimento dello ius soli;
   non esistono studi e analisi sulla maggiore integrabilità in Italia di figli di immigrati vissuti spesso in famiglie e comunità tutt'altro che integrate nel nostro Paese, rispetto a figli e nipoti di italiani emigrati all'estero che tengono alla cittadinanza italiana perché sentono di appartenere all'Italia;
   resta, altresì, tanto da fare per la promozione della lingua italiana e nella supervisione dei programmi educativi;
   in particolare, da quanto si apprende, la gestione della promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo sarà affidata totalmente alla società «Dante Alighieri»;
   si tratterebbe, a parere dell'interrogante, di un atto profondamente ingiusto a danno di una straordinaria e dinamica realtà associativa di enti e volontari, pluralista come orientamento politico e, per questo, meritevole di essere sostenuta e non distrutta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per dare maggiori garanzie ai nostri connazionali residenti all'estero che portano nel mondo la cultura e le imprese italiane, nonché per assicurare pluralità nella gestione della promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo, garantendo che le risorse pubbliche siano impiegate effettivamente ed efficacemente per le comunità italiane all'estero e non per finanziare l'insegnamento dell'italiano agli immigrati e ai clandestini. (4-17499)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   a seguito degli incidenti avvenuti nella città di Amburgo nel corso delle proteste contro il vertice del G20 nella notte tra il giorno 7 e 8 luglio 2017 la polizia tedesca traeva in arresto numerosi manifestanti;
   in particolare tra i numerosi fermati figuravano 16 cittadini italiani;
   numerose sono le segnalazioni di comportamenti estremi da parte delle forze dell'ordine e di un particolare accanimento nei confronti dei manifestanti provenienti dal nostro Paese;
   i fermi sono stati effettuati basandosi su indizi che appaiono all'interrogante assolutamente risibili e arbitrari;
   nel complesso sui 51 fermi di polizia, per la maggioranza di cittadini non tedeschi, la quasi totalità si è rivelata basata su elementi a giudizio dell'interrogante arbitrari;
   ad oggi, risultano ancora trattenuti presso le carceri tedesche sei cittadini italiani: Emiliano Puleo, Riccardo Lupano, Orazio Sciuto, Alessandro Rapisarda, Maria Rocco e Fabio Vetorel. La quasi totalità dei cittadini di nazionalità tedesca risulta, invece, già scarcerata;
   le condizioni di trattenimento dei manifestanti e quindi anche dei nostri connazionali sarebbero contrarie alle norme europee, come per altro testimoniato dal deputato tedesco Martin Dolzer, con difficoltà nel contatto con gli avvocati, divieto di accedere alla biblioteca del carcere, difficoltà nella consegna dei pacchi con vestiario provenienti dall'Italia;
   in nessun caso sono emersi elementi probatori tali da giustificare il trattenimento in carcere dei nostri connazionali, addirittura nel caso della Rocco la stessa è stata tratta in arresto mentre portava soccorso ad una ragazza ferita con una frattura scomposta alla gamba;
   appare grave l'accanimento evidenziato contro i manifestanti non tedeschi, tanto nei giorni delle manifestazioni quanto nel corso degli adempimenti successivi e nelle condizioni carcerarie;
   particolare accanimento traspare anche dal rifiuto delle autorità tedesche di concedere ai nostri connazionali misure alternative alla permanenza in carcere, quali il «rilascio su cauzione» e la «domiciliazione» in territorio tedesco;
   altrettanto grave e, a giudizio dell'interrogante, evidente appare il tentativo delle autorità tedesche di coprire mancanze ed eccessi del sistema di sicurezza attraverso iniziative puramente repressive, scaricando sui manifestanti non tedeschi comportamenti violenti pur in mancanza di ogni evidenza probatoria;
   in questo contesto appare mancante un'iniziativa decisa e concreta da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale che rafforzi l'azione dell'ambasciata in Germania. Soprattutto in considerazione della mancanza di elementi probatori a carico degli arrestati e della scarsa consistenza dei reati ascritti che non sarebbero compatibili con la carcerazione –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intrapreso per ottenere la scarcerazione dei sei cittadini italiani attualmente ancora reclusi presso istituti carcerari tedeschi;
   quali iniziative siano state assunte per verificare le condizioni di detenzione dei connazionali sopra citati;
   se siano stati chiesti adeguati chiarimenti e quali eventuali risposte siano state date da parte delle autorità tedesche, a seguito delle precise e gravi accuse di accanimento nei confronti dei manifestanti di nazionalità italiana e considerato che appare grave la lesione dei diritti civili dei manifestanti durante il vertice G20 di Amburgo. (4-17511)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DURANTI, ZARATTI e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende anche dal comunicato della Fiom-Cgil Ilva del 7 luglio 2017, in data 6 luglio una cappa di fumo ha ricoperto l'intera area industriale della acciaieria, oltre che buona parte della città capoluogo jonico;
   la nube – evidentemente causata da una fuoriuscita non controllata di emissioni non convogliate, ovvero diffuse e fuggitive – sarebbe la risultanza della prosecuzione della produzione industriale in contrasto con le normative vigenti e ciò risulterebbe – ad avviso degli interroganti – inaccettabile, specialmente ove sia considerato inaccettabile, specialmente ove sia considerato il regime di commissariamento straordinario cui è sottoposto il polo industriale;
   nonostante le richieste delle organizzazioni sindacali – indirizzate nello specifico al direttore dello stabilimento e ai commissari straordinari – non vi è stata risposta circa le reali cause che hanno portato alla diffusione della cappa di fumo fra il 5 ed il 6 luglio 2017 e gli eventuali rischi per la salute di lavoratori e cittadini;
   a giudizio degli interroganti sarebbe utile e necessario che l'Arpa Puglia informi quanto prima circa i dati rilevati il giorno degli eventi dalle centraline posizionate sia all'interno che all'esterno dello stabilimento, con particolare riferimento ad eventuali superamenti –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda – per quanto di competenza – attivarsi immediatamente per riscontrare le cause che hanno prodotto il diffondersi della nube ed il suo impatto sulla città. (5-11987)


   GAGNARLI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   recentemente BirdLife International, la più grande federazione mondiale per la conservazione degli uccelli selvatici, ha aggiornato lo stato di conservazione delle specie di uccelli in Europa attraverso gli studi noti come Birds in Europe (BirdLife international 2017, National responsibilities for European bird populations: a contributing conservation priorities. Cambridge, Regno Unito: BirdLife International, e il volume in stampa Burfield, I.J. et al. (submitted) Birds in Europe 3: Species of European Conservation Concern);
   tale studio è essenziale per valutare lo stato di salute degli uccelli europei e per le politiche e le azioni a loro tutela, ed è stato ritenuto essenziale dalla Commissione europea (come si evince dalla Guida alla disciplina venatoria ai sensi della direttiva uccelli della stessa Commissione), dagli istituti scientifici e dalle amministrazioni pubbliche, italiane incluse;
   da tale aggiornamento si evince che cinque specie inserite nella lista delle specie cacciabili in Italia risultano ora classificate «SPEC 1», ovvero come specie globalmente minacciate; esse sono: la coturnice (ex «SPEC 2»), il moriglione (ex «SPEC 2»), la tortora selvatica (ex «SPEC 3», la pavoncella (ex «SPEC 2», il tordo sassello (ex «non-SPEC»);
   per tali specie si rende necessaria l'adozione di misure di conservazione, da programmare e porre in essere in un lasso di tempo ragionevole, ma anche di misure di protezione urgentissime, da attuarsi immediatamente, a partire dall'inevitabile esclusione di tali specie dalle liste delle cacciabili;
   in data 14 aprile 2017 la Lipu-BirdLife Italia ha chiesto all'Ispra l'emissione di un parere ad hoc, da trasmettere alle regioni in funzione, ovvero a correzione della redazione dei calendari venatori per la stagione 2017/18, relativamente all'opportunità di esclusione di tali specie dall'elenco delle specie cacciabili, ai sensi, tra gli altri, degli articoli 1-bis e 2 della legge nazionale n. 157 del 1992;
   in data 19 maggio l'Ispra ha risposto alla Lipu-BirdLife Italia, assicurando che avrebbe esperito le necessarie valutazioni, non appena avesse avuto nelle disponibilità lo studio di BirdLife International, al fine di indicare alle pubbliche amministrazioni le più opportune misure di tutela per le specie «SPEC» oggetto di prelievo venatorio;
   in data 14 giugno 2017 la Lipu-BirdLife International ha scritto nuovamente all'Ispra sollecitando il rilascio del parere, anche in considerazione della particolare urgenza, riguardo le specie «SPEC 1» inserite nell'elenco delle specie cacciabili, fornendo tutti i riferimenti necessari, affinché il personale dell'Istituto potesse immediatamente accedere al volume di BirdLife International recante lo studio sullo stato di conservazione;
   allo stato attuale l'Ispra non solo non ha prodotto alcun parere, ma non ha ancora ufficialmente risposto alla seconda richiesta della Lipu-BirdLife Italia;
   dallo studio di BirdLife International si evince la gravità assoluta dello stato di conservazione in cui versano le cinque specie citate e a fronte di questa situazione, è necessario adottare misure di conservazione immediate ed urgenti al fine di evitare che la situazione degeneri ulteriormente;
   la maggior parte delle regioni italiane ha prodotto il proprio calendario venatorio non tenendo conto dell'avvenuto aggiornamento relativamente alle specie in questione, pur a fronte dell'informazione che la Lipu ha fornito a tutte le regioni;
   le regioni, in assenza di novità, continueranno a consentire che tali specie siano oggetto di prelievo venatorio;
   la stagione di caccia 2017/2018 è oramai prossima ed è necessario intervenire tempestivamente affinché ai calendari venatori già deliberati siano apportate le necessarie modifiche, e quelli in via di definizione prevedano le opportune misure di tutela, consistenti anzitutto nel divieto di caccia a tali specie e nella limitazione della caccia alle specie ad esse simili, come ad esempio il tordo bottaccio nel caso del tordo sassello;
   in assenza di un atto ufficiale da parte dell'Ispra, che determini le necessarie correzioni ai calendari venatori regionali, il danno che si arrecherebbe alle specie interessate sarebbe dunque di massima gravità –:
   per quale ragione l'Ispra non abbia ancora prodotto l'urgentissimo parere richiesto, a distanza di oltre tre mesi dalla prima richiesta e di oltre un mese dal sollecito;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative affinché l'Ispra fornisca urgentemente il parere in questione e siano adottate su tutto il territorio nazionale le misure necessarie, a partire dal divieto di caccia alle cinque specie «SPEC 1» succitate, assicurando altresì la tutela delle specie simili a queste (ad esempio, tordo bottaccio), anche al fine di consentire allo Stato italiano di ottemperare agli obblighi derivanti dagli articoli 1 e 7 della direttiva 2009/74/CE. (5-11995)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU e MATARRESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il tema della gestione delle risorse idriche rappresenta oggi una sfida globale che condiziona le opportunità di sviluppo di intere aree geografiche;
   l'Italia ha già pagato ampiamente il prezzo delle «tropicalizzazioni climatiche» con drammatici eventi alluvionali che hanno moltiplicato le criticità territoriali connesse al dissesto idrogeologico;
   sempre più spesso, le stagioni alluvionali sono alternate a lunghi periodi siccitosi, che mettono a dura prova i sistemi di raccolta e di distribuzione della risorsa idrica, causando problemi sempre più drammatici alle utenze agricole e industriali e persino alla disponibilità di acqua potabile delle famiglie, degli ospedali, delle attività commerciali;
   in tale contesto appare vieppiù fondamentale il tema dell'efficienza delle reti di distribuzione idrica;
   i dati diffusi nel 2017 dall'Istat sulle perdite delle reti forniscono numeri impressionanti: le perdite sono quasi al 40 per cento assai più drammatiche nel Sud e nelle isole, proprio laddove le condizioni climatiche necessiterebbero di maggior efficienza delle reti;
   la Sardegna presenta una situazione particolarmente preoccupante: la rete idrica di Cagliari arriva ad accumulare perdite pari al 59,3 per cento, la terza peggior performance italiana, dopo Campobasso e Potenza;
   secondo l'Istat, Cagliari è il comune capoluogo che presenta la maggior dispersione quotidiana d'acqua per chilometro di rete: 161,5 metri cubi. Non molto meglio va nel resto della regione: anche Sassari, Iglesias e Tempio sono sopra i 100 metri cubi per chilometro di rete;
   il Blue Book 2017 di Utilitalia certifica che gli interventi di efficientamento delle reti idriche sono purtroppo limitati ad una media di 34/euro/pro capite/anno, che scendono addirittura a 12 euro/anno/ pro capite nelle aree di maggior disagio, contro medie europee tra 80 e 120 euro/anno/pro capite;
   il MIT di Boston ha appena messo a disposizione una nuova tecnologia robotizzata (Pipeguide) in grado di «entrare all'interno delle tubazioni della rete», scoprendo le perdite e addirittura riparandole –:
   se non ritenga urgente definire una strategia idrica nazionale che contenga uno specifico piano di investimenti per l'ammodernamento delle reti di distribuzione idrica e che abbia la doverosa, particolare attenzione per la Sardegna che, a causa dell'isolamento insulare, della certificata obsolescenza delle reti e delle particolari condizioni siccitose climatiche, sta oggi pagando prezzi sempre più insostenibili per la propria economia.
   (4-17496)


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la discarica di Baricella (Bologna) si trova a nord-est del comune di Baricella;
   nel luglio del 2013 la giunta provinciale dava il benestare ad un ampliamento del sito di Baricella secondo un progetto presentato da «Herambiente spa»; nell'ottobre 2013, però, Herambiente dichiarava l'intenzione di non procedere all'ampliamento;
   ciononostante, il 23 marzo 2016 veniva pubblicato sul Bollettino ufficiale della regione Emilia-Romagna l'avviso di deposito degli elaborati progettuali per l'effettuazione della procedura di valutazione d'impatto ambientale relativa al progetto «Ampliamento della discarica di rifiuti non pericolosi di Baricella» con proponente Herambiente;
   con la pubblicazione sul Bollettino ufficiale della regione Emilia-Romagna 79/2016 (parte seconda) è stata avviata la «Procedura in materia di valutazione di impatto ambientale» relativa al progetto citato, che riguarda l'ampliamento dell'esistente discarica per rifiuti non pericolosi «per una volumetria lorda pari a 1.147.000 m3 (esclusa la copertura finale), corrispondenti a un aumento della capacità di stoccaggio dell'impianto per un quantitativo di rifiuti pari a circa 1.850.000 tonnellate»;
   il nuovo progetto presentato da Herambiente andrebbe a triplicare il quantitativo di rifiuti previsto nell'iniziale progetto che aveva ricevuto il via libera a livello provinciale. Inoltre, l'ampliamento della discarica di Baricella andrebbe a configurarsi come una vera e propria riapertura di un impianto che è inattivo dal 2011;
   oltre ai rifiuti, il progetto prevedrebbe l'ingresso all'impianto anche di limitate quantità di materiali inerti provenienti da cave di prestito che, nel corso della vita della discarica, saranno necessari al fine di garantire una corretta gestione della stessa; per quanto attiene la tipologia di rifiuti essi si suddividono in rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi stabili e non reattivi. Tra le macrotipologie di rifiuti che potrebbero entrare in discarica, ci sarebbero: scorie di combustione per il 20-30 per cento fanghi di varia tipologia per il 30-40 per cento; rifiuti contenenti amianto per una quota inferiore al 5 per cento, polverini di depurazione fumi inertizzati per il 35-45 per cento;
   come specificato nella relazione tecnica allegata alla domanda di «autorizzazione integrata ambientale» (paragrafo «a.6 criteri di accettabilità dei rifiuti in discarica»), Herambiente chiede: «al fine di garantire l'effettiva possibilità di conferimento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi nelle modalità e nei quantitativi previsti, l'ottenimento di specifiche deroghe sui criteri di ammissibilità in discarica dei rifiuti rispetto a quanto previsto dal decreto ministeriale 27 settembre 2010»;
   contro l'ipotesi di ampliamento della discarica si è costituito il «Comitato pro ambiente e contro ampliamento discarica di Baricella» che ha raccolto l'adesione di quasi 1500 residenti: l'area destinata all'ampliamento dista solo 3 chilometri dal centro abitato di Baricella e sarebbe attigua a quella della discarica per rifiuti solidi urbani esaurita nel 2011, il cui impatto è stato mitigato attraverso la realizzazione di un'area di riequilibrio ambientale;
   in prossimità dell'area della discarica è presente il sito SIC-ZPS «Biotipi e ripristini ambientali di Budrio e Minerbio» (IT4050023), costituente la Rete Natura 2000 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza degli sviluppi concernenti la discarica di Baricella e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per tutelare le aree, di rilevante pregio ambientale prossime alla discarica medesima che costituiscono sito da bonificare di interesse nazionale e zona di protezione speciale;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative normative finalizzate a disincentivare la realizzazione di impianti di grandi dimensioni e di forte impatto ambientale come quello sopra richiamato e a favorire la riduzione dei rifiuti indifferenziati e dei conferimenti in discarica. (4-17506)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle regioni il 30 giugno 2010, «il turismo è un'attività economica di rilievo, con un impatto assai positivo sulla crescita economica e l'occupazione in Europa. È inoltre un elemento sempre più importante della vita dei cittadini europei, sempre più numerosi a viaggiare, per motivi sia privati che professionali. Il turismo, in quanto attività che coinvolge il patrimonio culturale e naturale, come pure le tradizioni e le culture contemporanee dell'Unione europea, illustra in modo esemplare la necessità di conciliare crescita economica e sviluppo sostenibile, senza dimenticare la dimensione etica. Si tratta inoltre di un importante strumento per rafforzare l'immagine dell'Europa nel mondo, diffondere i nostri valori e promuovere l'interesse per il modello europeo, che è il risultato di secoli di scambi culturali, di diversità linguistica e di creatività»;
   l'Unione europea, ai sensi dell'articolo 195 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dispone della possibilità di adottare delle misure legislative specifiche nel settore del turismo, aventi lo scopo di essere complementari alle azioni degli Stati membri;
   il sito online Ttgitalia.it, nell'articolo del 6 luglio 2017, ha riportato come «per l'Unione europea le prossime sfide nel turismo saranno: la digitalizzazione dei canali di distribuzione, lo sviluppo della nuova economia del consumo collaborativo, la crescente concorrenza delle mete emergenti e meno costose di paesi terzi, il cambiamento del comportamento dei consumatori, il passaggio a un'economia dell'esperienza, la richiesta di servizi di qualità per la clientela, la necessità di attrarre e trattenere personale qualificato, i cambiamenti demografici e la stagionalità»;
   il magazine di informazione turistica ha spiegato che «purtroppo non segue a tale chiara ed evidente analisi, un altrettanto forte dispiegamento di misure attuative. In particolare, il turismo non dispone di una linea dedicata nel bilancio UE. (...) Inoltre, nonostante i proclami sul ruolo strategico del turismo per il rafforzamento dell'identità europea, non è stata presa in considerazione la possibilità di creare una sezione dedicata esclusivamente a questo settore nel prossimo quadro finanziario pluriennale, in quanto il turismo dovrebbe essere meglio riconosciuto come un'attività economica distinta in termini di bilancio e di interventi, anziché essere finanziato dai bilanci di altri settori politici»;
   «Le Pmi del settore turistico, che sono la netta maggioranza dell'industria turistica europea, continuano ad attraversare notevoli difficoltà a causa dei pesanti oneri normativi e fiscali ed a non beneficare degli effetti della liberalizzazione, soprattutto in relazione al commercio online e per l'accesso ai finanziamenti, diversamente dalle imprese più grandi. Manca inoltre ancora un approccio integrato al turismo che garantisca che gli interessi e le esigenze di tale settore siano presi in considerazione nella formulazione e nell'attuazione delle altre politiche dell'Ue»;
   in ultimo, secondo Ttgitalia.it «un'ipotesi concreta per superare tale impasse dell'Unione europea potrebbe essere la creazione di un'Agenzia europea del turismo che abbia la competenza di vendere il brand “Europa”, in coordinamento e supporto con le singole politiche nazionali per il turismo, al fine di liberare le relative risorse finanziarie sullo schema di come già avviene fra ente nazionale del turismo e regioni le quali hanno competenze esclusive legislative in materia turistica» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, di concerto con l'Enit e gli enti locali, affinché l'Unione europea assuma decisioni chiare concernenti lo sviluppo del turismo, in modo da garantire un quadro politico consolidato che tenga conto delle nuove priorità dell'Unione europea delineate nella sua strategia «Europa 2020»;
   alla luce di quanto esposto in premessa se intenda assumere iniziative, in sede di Unione europea, per creare un'Agenzia europea del turismo. (5-11994)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da un comunicato della Dirstat (Federazione fra le associazioni ed i sindacati nazionali dei dirigenti, vice dirigenti, funzionari, professionisti e pensionati della pubblica amministrazione e delle imprese) si apprende che presso alcuni enti militari (Marinarsen-Augusta, Marinarsen-La Spezia, Cima-Aulla, Persomil) sono stati recentemente conferiti incarichi di funzione dirigenziale civile ad ufficiali militari, preventivamente posti in aspettativa. Detti incarichi sembra abbiano generato agitazione dei dirigenti e funzionari della Difesa, i quali si ritengono ingiustamente penalizzati dalla privazione di numerosi posti di funzione tabellarmente attribuiti al personale civile. Sul punto, l'attribuzione degli incarichi in questione secondo la Dirstat appare in contrasto anche con le disposizioni del «Libro bianco» che prescrivono di perseguire l'obiettivo di una maggiore «civilizzazione» nell'ambito del Ministero della difesa –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
   se non intenda assumere iniziative per verificare che gli incarichi in questione siano stati conferiti in conformità alla normativa in materia e, in particolare, all'articolo 97 della Costituzione alla luce di quanto lamentato dalla Dirstat. (5-11996)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale di Catania del 25 luglio 2017, convocato il giorno prima – il 24 luglio 2017 – con procedura di urgenza, aveva all'ordine del giorno: «l'approvazione del rendiconto dell'esercizio 2016 (...)»;
   la commissione bilancio del comune di Catania, nella sua seduta straordinaria del 24 luglio 2017, non ha potuto esprimere il proprio parere sul rendiconto dell'esercizio 2016, in quanto dal verbale della riunione si legge: «Considerata la mancanza dei tempi necessari per l'approfondimento dell'atto, non potendo la stessa esprimere un parere, all'unanimità decide di rinviare la predetta proposta di deliberazione alla discussione e votazione del consiglio comunale»;
   il giornale on-line www.sudpress.it in un suo articolo del 25 luglio 2017 riporta quanto segue: «Nell'atto ufficiale di convocazione del consiglio comunale si fa riferimento alla “nota prot. n. 275045 del 24/07/2017 dell'Assessore al Bilancio con la quale richiede alla Presidente la convocazione urgente della seduta del Consiglio Comunale per l'approvazione del Rendiconto dell'esercizio 2016, ai fini dell'ottenimento dei fondi ministeriali, poiché l'ultima convocazione dell'apposita Commissione è prevista per il prossimo 26 luglio, prospettando che il mancato trasferimento dei fondi ministeriali entro il corrente mese, condizionato all'approvazione della delibera, impedirebbe il pagamento degli stipendi del mese di luglio, nonché l'erogazione dei servizi del mese di agosto”»;
   il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, all'articolo 152 (regolamento di contabilità) prevede, al comma 3: «Il regolamento di contabilità stabilisce le norme relative alle competenze specifiche dei soggetti dell'amministrazione preposti alla programmazione, adozione ed attuazione dei provvedimenti di gestione che hanno carattere finanziario e contabile, in armonia con le disposizioni del presente testo unico e delle altre leggi vigenti»;
   il medesimo decreto legislativo, all'articolo 227 (rendiconto della gestione), comma 2, prevede: «Il rendiconto della gestione è deliberato entro il 30 aprile dell'anno successivo dall'organo consiliare, tenuto motivatamente conto della relazione dell'organo di revisione. La proposta è messa a disposizione dei componenti dell'organo consiliare prima dell'inizio della sessione consiliare in cui viene esaminato il rendiconto entro un termine, non inferiore a venti giorni, stabilito dal regolamento di contabilità»; –:
   di quali notizie disponga il Governo circa l'approvazione del rendiconto 2016 del comune di Catania e, in particolare, circa il rispetto delle tempistiche previste dalla normativa vigente, di cui all'articolo 227 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
   se il Governo intenda intraprendere iniziative, per quanto di competenza, anche promuovendo una verifica da parte di servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato, per accertare la situazione contabile, amministrativa e finanziaria del comune di Catania, ente che risulta già strutturalmente deficitario, alla luce delle pesanti criticità derivanti da quanto sopra esposto. (5-11998)

Interrogazione a risposta scritta:


   CASTIELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la commissione consiliare di controllo del comune di Casoria in data 6 luglio 2017 ha trasmesso alla procura regionale della Corte dei conti per la Campania, una ricca ed articolata documentazione relativa all'attività messa in essere dalla società Casoria Ambiente s.p.a., partecipata interamente dal comune di Casoria;
   dalla documentazione emerge che la società in parola ricorre con continuità, per la fornitura di beni e servizi, ad affidamenti diretti ed alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara con oltre 300 ordinativi solo nell'anno 2016;
   nella specie a mero titolo esemplificativo si è proceduto a liquidare una spesa di circa 300 euro per un pernottamento dell'amministratore delegato; si è liquidata una spesa di 420 euro per un pranzo, si attribuiscono numerosi incarichi legali, a quanto risulta all'interrogante, senza concorrenza, si è proceduto ad una convenzione con un consulente esterno per la gestione del personale nell'ordine di euro 7.200, pur avendo nell'organico dell'Ente il personale per svolgere tali attività;
   dall'organico della società risultano in servizio ben 17 funzionari, amministrativi e tecnici. Risulta sempre dalla relazione sul personale il ricorso sistematico allo straordinario per l'anno 2013 per un totale di 33.201 ore che, diviso per il totale del personale di 140 unità, porta ad una distribuzione annua di 250 ore a testa;
   in sede di approvazione nella sede consiliare del piano economico finanziario (delibera 6 del 2017) non sono stati rispettati i requisiti di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999 come si evince anche da un articolo riportato sulla stampa periodica locale;
   sull'attività della partecipata Casoria Ambiente, come risulta dalla stampa periodica sono state avviate indagini di natura penale e contabile;
   sempre sull'attività della predetta società, il Ministero dell'economia e delle finanze aveva depositato in data 17 settembre 2013 le conclusioni di una relazione ispettiva (S.I. 2452N), che aveva evidenziato numerose irregolarità contabili e violazioni normative;
   in proposito va tenuto conto che vi è una indagine della Procura regionale della Corte dei conti (v. 563/2013), e che già in passato la Corte dei conti ha condannato per danno erariale gli amministratori pro tempore del comune di Casoria e gli amministratori della società Casoria Ambiente s.p.a.; la stessa società, inoltre, utilizzerebbe, a quanto consta all'interrogante, risorse pubbliche per sponsorizzare feste ed associazioni che non rientrerebbero nei compiti della partecipata comunale –:
   quali elementi intenda fornire il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se si intenda promuovere una ulteriore verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello. Stato, anche in sinergia con l'ispettorato per la funzione pubblica, in relazione alle numerose e gravi anomalie che caratterizzerebbero l'attività della società Casoria Ambiente e che si rifletterebbero di fatto anche sulla situazione finanziaria del comune. (4-17510)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   SPESSOTTO e COZZOLINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 1o novembre 2016, Maria Teresa Trovato Mazza, da tutti chiamata Sissi, giovane agente della polizia penitenziaria in servizio presso il carcere della Giudecca, comandata ad eseguire un controllo di routine all'ospedale civile di Venezia nei confronti di una detenuta che aveva da poco partorito, è stata rinvenuta all'interno di un ascensore dell'ospedale, ferita da un colpo di arma da fuoco alla testa, ed è tuttora in coma, dopo oltre 8 mesi, lottando tra la vita e la morte;
   nonostante il totale riserbo delle indagini, secondo gli inquirenti, vi sarebbero diversi elementi che lascerebbero pensare che la ragazza abbia tentato di spararsi con la sua pistola d'ordinanza, tesi che non ha mai convinto i familiari e gli amici della giovane, che la descrivono come una persona solare e amante della vita;
   alla trasmissione televisiva «Chi l'ha visto», i genitori di Sissi hanno ribadito di non credere all'ipotesi del tentato suicidio ed hanno dichiarato come la figlia avesse parlato loro di presunti maltrattamenti e della presenza di droga nel carcere della Giudecca, dove lavorava;
   nel corso della citata trasmissione di Rai 3 sono stati analizzati i luoghi in cui il fatto è avvenuto, nonché gli effetti dei colpi di pistola sul corpo dell'agente ed alla luce degli elementi acquisiti, sia pure in maniera informale, sembra essere messa in dubbio la tesi del suicidio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se ritenga opportuno, per quanto di competenza, assumere iniziative per avviare una verifica all'interno dell'amministrazione penitenziaria, al fine di accertare eventuali anomalie nel funzionamento del carcere della Giudecca e contribuire a fare chiarezza sulla vicenda. (4-17502)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TARICCO, GNECCHI, REALACCI, GINEFRA, GRIBAUDO, BORGHI e FALCONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il tunnel stradale del Colle di Tenda, inaugurato nel 1882, con i suoi 3182 metri, è uno dei più vecchi in esercizio;
   nel 1898 fu ultimato anche il tunnel ferroviario, più lungo di quello stradale (8.099 metri) e parallelo ad esso; nel settembre 1947, con lo spostamento del confine tra Italia e Francia verso nord, il tunnel divenne il primo collegamento internazionale italiano tra due Stati;
   attualmente la larghezza è circa 6 metri, l'altezza per i mezzi in transito è di 3,9 metri, dimensioni incompatibili con i flussi di traffico odierni né con gli attuali criteri gestionali e di sicurezza delle infrastrutture sotterranee;
   dopo lo stanziamento di risorse del 2006, e l'approvazione del progetto nel 2009 da parte del consiglio di amministrazione di Anas, nel 2012 la Grandi Lavori Fincosit, si è aggiudicata i lavori per la costruzione di una canna mono-direzionale di carreggiata pari a 6,50 metri;
   i lavori sono iniziati il 21 novembre 2013, a seguito della condivisione del progetto esecutivo da parte della Commissione intergovernativa per le Alpi del sud (CIG), con previsione di ultimazione entro febbraio 2020;
   dal 2011, il tunnel si può attraversare solo a senso unico alternato, con attese di 27 minuti ai semafori;
   i lavori all'aperto, in territorio italiano, sono limitati all'adeguamento degli imbocchi, del piazzale di accesso e della viabilità locale, mentre in territorio francese, è prevista la realizzazione di una nuova opera di scavalco del Fosso della Cà e il rifacimento dei tornanti sino all'attuale ponte di Romanin;
   in base dati dell'Anas, sono stati scavati circa 1400 metri (940 lato Italia, 460 lato Francia) con rivestimento per 970 metri (650 lato Italia e 320 lato Francia) e 3 by-pass (luoghi sicuri per eventi incidentali) di cui due in Francia e uno in Italia. Il ritardo dal lato francese parrebbe causato dalla presenza di materiale sciolto comportante preconsolidamento; il cantiere avrebbe accumulato ritardo di circa nove mesi;
   a seguito di intercettazioni nel mese di maggio 2017 la magistratura di Cuneo apriva un'inchiesta e disponeva il sequestro del cantiere, emettendo misure cautelari con otto persone nel registro indagati per furto aggravato, frode in pubbliche forniture (detenzione illecita di esplosivi), in base alle informazioni stampa, ci sarebbero tra costoro responsabili e operai della Fincosit, un dirigente dell'Anas e consulenti esterni;
   sono state inoltre richieste verifiche sul muro di terra rinforzata con paramento in blocchetti Mac Wall alto 11 metri che «protegge» la Rd 6204; le autorità francesi avevano prudenzialmente chiuso per tre giorni la strada; la Commissione tecnica, riunita a Nizza per valutare la situazione, avrebbe stabilito che la rottura di blocchetti riscontrata rientrava negli assestamenti di questa tipologia di opera, per sua natura deformabile;
   è notizia di questi giorni che i sindaci di Breil e Fontan in val Roya hanno vietato, con ordinanza, il passaggio dei mezzi di peso superiore alle 19 tonnellate sulla Rd 6042;
   la sospensione del transito, l'incertezza sui tempi del cantiere e del sequestro giudiziario e, infine, il divieto di transito per i mezzi pesanti stanno cagionando notevoli danni alla programmazione turistica delle valli e ai tantissimi lavoratori transfrontalieri cuneesi, oltre a incidere in modo pesante sui costi dell'interscambio commerciale del cuneese;
   nei giorni scorsi sono state espresse dall'Anas e dalle autorità francesi, valutazioni divergenti in merito alla sicurezza e, in generale, riguardo alla situazione del cantiere e della RD 6042 –:
   se non ritenga urgente intervenire per verificare l'effettivo stato dei lavori e dell'infrastruttura, per garantire la necessaria tranquillità e sicurezza ai cittadini e per evitare ulteriori danni al territorio, salvaguardando la mobilità e l'indotto economico collegato a questa fondamentale opera stradale transfrontaliera. (5-11992)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 giugno 2017, con provvedimento della magistratura, è stato posto sotto sequestro il cavalcavia n. 22 sito nel territorio del comune di Sperone, in provincia di Avellino, lungo l'autostrada A16;
   stando ai rilievi tecnici della procura della Repubblica di Avellino, che dal mese di marzo 2017 ha avviato un'indagine sulla sicurezza dei viadotti in Irpinia, il cavalcavia rischia di crollare, specie in caso di attraversamento di mezzi pesanti come camion e autobus;
   da quando le autorità hanno posto i sigilli a detto cavalcavia, impedendone l'attraversamento a qualsiasi tipo di mezzo, la Euronut di Sperone, un'azienda che da 21 anni produce semilavorati per l'industria dolciaria occupando ben 25 persone, rischia di chiudere i battenti, non essendo più raggiungibile in ragione, appunto, della chiusura di detto cavalcavia;
   la Euronut ha sede in una parte di quella Irpinia che ha dato ad un tipo di nocciola il nome di «Avellana», particolarmente conosciuta per le sue specifiche caratteristiche organolettiche;
   dal momento in cui il cavalcavia è stato posto sotto sequestro per rischio di crollo, la Euronut è costretta ad usare i carrelli per consegne e trasferimenti della merce fino al punto in cui, al di là del cavalcavia, è raggiungibile da automezzi, il tutto con un significativo aggravio di costi che pesa non poco sulle economie della piccola azienda;
   tale condizione rischia di mettere in ginocchio la Euronut e con essa l'economia legata all'indotto fatta da decine e decine di produttori di nocciole;
   occorre trovare una soluzione in tempi celeri prima che sia definitivamente compromessa la produttività dell'azienda con conseguenze molto negative sui livelli occupazionali;
   a giudizio dell'interrogante, è necessario un intervento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al fine di affrontare e risolvere il problema, consentendo un rapido avvio dei lavori di messa in sicurezza del viadotto, anche in ragione dell'avvicinarsi della campagna di raccolta delle nocciole che comporta, solitamente, un aumento sensibile delle esigenze dell'azienda –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, per quanto di competenza, per la rapida messa in sicurezza del cavalcavia n. 22 dell'autostrada A16 e consentire così alla Euronut di Sperone, in provincia di Avellino, di continuare ad operare come ha sempre fatto in questi ultimi 20 anni con risultati positivi per sé e per l'economia della zona. (4-17492)


   GAGNARLI e GALLINELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i lavori infrastrutturali alla galleria dell'interconnessione pari di Orte sud, direzione nord, comporteranno alcune variazioni di orario per il periodo estivo, alcune soppressioni e, in alcuni casi, raddoppio dei tempi di percorrenza, su tutte le stazioni umbre e toscane della tratta Roma-Firenze;
   ad esempio, il treno IC 598 in partenza da Roma alle ore 18,16 sarà anticipato di 50 minuti, alle ore, 17,25, determinando un evidente disagio per i pendolari della tratta Terontola-Roma che lavorano nella capitale, i quali si vedrebbero costretti ad anticipare l'orario di uscita da lavoro, non sempre possibile, oppure a partire da Roma Termini alle ore 19,25, con arrivo a Terontola alle ore 22 circa, dopo oltre 16 ore fuori casa;
   anche la percorrenza prevista per il periodo estivo (1 ora e 56 minuti per Orvieto; 2,19 per Chiusi; 2,37 per Terontola-Cortona) scoraggia i pendolari e, nel complesso, questa situazione risulta difficilmente compatibile con le esigenze lavorative e di vita di qualsiasi persona;
   in data 25 luglio 2017 gli interroganti hanno chiesto spiegazioni di tali variazioni anche ai vertici di Trenitalia dai quali si attendono risposte –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Ministro interrogato non ritenga opportuno, per il periodo interessato dai lavori, promuovere l'individuazione da parte di Trenitalia di una soluzione che non penalizzi così tanto i pendolari dei territori maggiormente coinvolti, come la Valdichiana. (4-17494)


   SIBILIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 luglio 2016, a causa di un importante movimento franoso del Monte Tuoro, venne chiuso al traffico veicolare il tratto di strada denominata «Ofantina» all'altezza dello svincolo per il comune di San Mango sul Calore, in provincia di Avellino;
   la chiusura comportò grandi disagi per i viaggiatori in transito su quell'arteria, costretti ad utilizzare strade secondarie e in molti casi anch'esse dissestate, nonché ad allungare il proprio tragitto di molti chilometri. Vengono segnalati, tuttora, frequenti episodi di rischiose inversioni di marcia in quel punto;
   a distanza di un anno i lavori per il ripristino della viabilità non sono stati ultimati con gravi conseguenze, anche economiche, sia per il nucleo industriale e area «Pip» di San Mango sia per i comuni di Paternopoli, Luogosano, Sant'Angelo all'Esca, Gesualdo, Fontanarosa e Mirabella Eclano;
   le popolazione del comprensorio, da tempo, invocano interventi di messa in sicurezza del Monte Tuoro, interessato spesso da fenomeni di dissesto idrogeologico, a cui va posto rimedio nell'interesse delle comunità locali e del tessuto produttivo dell'intera zona –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano porre in essere per garantire il superamento delle condizioni di criticità che si riverserebbero sulla sicurezza della circolazione nei tratti di strada sopra richiamati e sulla incolumità dei cittadini. (4-17500)


   CORDA e NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 26 giugno 2017, il volo della compagnia Meridiana, Napoli-Cagliari, si è rivelato una vera e proprio odissea. Un incubo iniziato già prima di salire sull'aereo. La partenza, infatti, era prevista per le ore 15,40 ma soltanto alle 17,00 i passeggeri sono stati accompagnati sul velivolo;
   un altro imprevisto si è verificato una volta in pista, quando i passeggeri si sono accorti che il volo sarebbe stato effettuato da un datato e fatiscente velivolo della compagnia Astra Air Lines, invece che da un aereo della compagnia Meridiana. Saliti a bordo c’è stata un'altra sorpresa, poiché l'aria condizionata risultava spenta, nel velivolo non si respirava, il volo era pieno e la temperatura, sia all'esterno che all'interno, era alta. I passeggeri hanno iniziato a manifestare la loro disapprovazione dovuta non solo al ritardo ma anche alle condizioni di permanenza sullo stesso aereo;
   data la situazione, alcuni passeggeri hanno iniziato ad avvertire malori; una ragazza ha avuto problemi di respirazione, un'altra ragazza ha perso i sensi e si è reso necessario l'intervento di un medico presente tra i passeggeri;
   alcuni dei passeggeri coinvolti hanno chiesto il rimborso alla compagnia Meridiana, la quale, però, ha negato tale rimborso, ritenendo che il ritardo di quasi tre ore fosse di lieve entità e che in seguito ad alcuni sopralluoghi avvenuti sul velivolo, l'aria condizionata fosse funzionante e che in ragione del vigente regolamento (CE) 261/2004, non sia stato possibile accogliere nessuna richiesta di risarcimento –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda adottare per fare chiarezza su quanto accaduto e assicurare la tutela dei consumatori a fronte di criticità e disservizi che appaiono molto gravi. (4-17504)


   BERRETTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 luglio 2017 si è verificato un grave disservizio che ha comportato notevoli disagi agli utenti e un grave danno di immagine all'isola di Ustica;
   senza alcun preavviso, l'aliscafo «Tiziano», tornato in attività poco tempo addietro sulla linea Palermo-Ustica, dopo molti mesi di assenza a causa di manutenzione straordinaria, è stato dirottato su altra linea e sostituito con altro mezzo, che si è palesato non idoneo ad affrontare la tratta Palermo-Ustica;
   l'aliscafo sostitutivo «AliJumbo Messina» ha ritardato la partenza della corsa delle ore 15,30 da Palermo ad Ustica di un'ora e mezza e, giunto ad Ustica, è ripartito per Palermo con altrettanto ritardo. Durante il viaggio, secondo le numerose testimonianze dei passeggeri, l'aliscafo avrebbe effettuato svariate soste in mare aperto arrivando al porto di Palermo con significativo ritardo;
   i disservizi sopra descritti hanno, inoltre, causato la cancellazione di una corsa Palermo-Ustica del 16 luglio 2017 e della prima corsa mattutina del 17 luglio da Ustica a Palermo, causando ulteriori disagi;
   nella stessa giornata di domenica 16 luglio 2017 la motonave «Antonello da Messina» ha anticipato inspiegabilmente la partenza dal porto di Ustica, senza adeguata informazione;
   il caos determinatosi nei collegamenti marittimi ha lasciato allo sbaraglio centinaia di turisti e moltissimi residenti;
   in data 17 luglio 2017, a quanto risulta all'interrogante, il sindaco di Ustica, Attilio Licciardi, ha inviato formale segnalazione di disservizio e richiesta di ripristino dell'Aliscafo «Tiziano» sulla linea Ustica-Palermo all'assessore alle infrastrutture e trasporti, al dirigente generale assessorato infrastrutture e trasporti, al servizio 1 dipartimento-regionale infrastrutture della regione siciliana;
   la condizione di insularità dei territori comporta, per le popolazioni residenti nelle isole minori e per i turisti, un particolare disagio legato ai collegamenti marittimi, vista la programmazione messa in atto dalla compagnia di navigazione, a giudizio dell'interrogante insufficiente e inadeguata;
   ad oggi gli amministratori locali dei suddetti territori ritengono gli itinerari e gli orari predisposti dalla compagnia preposta non rispondenti alle esigenze di mobilità né della popolazione residente, pregiudicandone gravemente il diritto alla continuità territoriale previsto dalla Costituzione, né dei turisti;
   in generale, i disservizi continui nel sistema dei collegamenti marittimi con le isole minori non possono essere ulteriormente tollerati –:
   se non ritenga di intervenire, per quanto di competenza, attuando i dovuti controlli nonché assumendo ogni iniziativa volta all'osservanza degli obblighi a cui è tenuta la compagnia nel rispetto delle popolazioni del territorio;
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di assicurare, attraverso un'adeguata copertura di itinerari e opportuni orari, i diritti della popolazione delle isole minori, garantendo l'attuazione del principio di continuità territoriale previsto dalla Carta costituzionale. (4-17507)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, è stato aperto un centro di accoglienza straordinaria presso una struttura alberghiera a quattro stelle sita sulla strada provinciale per Brindisi, a pochi chilometri dal centro di prima accoglienza di Restinco, il più grande della provincia;
   la struttura, il «Resort dei Normanni», insiste in una zona turistica, qualificata come tale a seguito di una delibera comunale e di una conseguente variante al piano regolatore varate nel 2011, ed è inserita in un contesto di altre strutture ricettive turistiche di pregio e di innumerevoli case di campagna che i sanvitesi affittano nei periodi estivi;
   sembrerebbe, a quanto consta all'interrogante, che l'albergo in questione abbia beneficiato di fondi europei, la cui concessione è vincolata alla destinazione d'uso turistica della struttura;
   la presenza dei circa duecento immigrati che dovrebbero essere ospitati nel resort danneggia le strutture alberghiere limitrofe e rischia di comportare seri problemi di sicurezza e di decoro urbano;
   il comune di San Vito, inoltre, ha già emesso un bando anche per l'apertura di un centro Sprar;
   il turismo rappresenta una risorsa primaria della provincia brindisina –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire una equilibrata distribuzione dei migranti e il rigoroso rispetto delle normative vigenti in materia. (4-17497)


   CASTIELLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'accoglienza di migranti nel comune di Casoria, che ospita 84 immigrati, costa all'erario pubblico, annualmente, la somma di 1.127.588 euro di cui 56.379,50 gravano sul bilancio comunale;
   il costo del servizio prevede vitto, alloggio, assistenza sociale e legale, insegnamento della lingua, integrazione abitativa ed inserimento lavorativo;
   per il triennio 2014/2016 si è fatto ricorso all'affidamento diretto del servizio accoglienza con rapporto convenzionale con l'Arci Napoli, la cui scadenza era nota ai dirigenti e agli amministratori del comune di Casoria;
   in data 19 dicembre 2016, a pochi giorni dalla scadenza, con determina dirigenziale 1494/2016, si procedeva ad una proroga tecnica del rapporto convenzionale fino al 30 giugno 2017;
   solo in data 11 maggio 2017, con determina dirigenziale 556/2017, si sceglieva la strada di un bando di gara ai sensi dell'articolo 60 del decreto legislativo n. 50 del 2016 per il periodo 1o luglio 2017-31 dicembre 2019;
   il bando di gara prevede la possibilità di aggiudicare il servizio, anche in presenza di una sola offerta valida, purché ritenuta congrua;
   il ritardo nell'assunzione del provvedimento di gara comporterà, per i tempi tecnici necessari, una nuova proroga che favorisce la precedente scelta a trattativa privata;
   il primitivo bando di gara, illegittimo, è stato sospeso e sostituito con nuovo bando con un importo di appalto per 2.818.970 euro, Iva esclusa;
   il nuovo bando di gara presenta vistose anomalie che riguardano il capitolato di appalto ed il disciplinare di gara;
   per il capitolato: l'articolo 6, commi 3 e 5, prevede un piano di monitoraggio e proposte migliorative senza ulteriori specifiche; l'articolo 7, commi 5 e 6, prevede una dimostrazione di piena disponibilità di unità immobiliari per civili abitazioni ed una copertura assicurativa per un massimale di un milione di euro che secondo l'interrogante, tenderebbe di fatto a favorire chi ha già svolto il servizio ed ha il possesso degli immobili; l'articolo 9, comma 2, prevede un termine massimo di 10 giorni per fornire i nominativi del personale impegnato che tenderebbe ancora a favorire chi ha già svolto il servizio;
   per il disciplinare di gara si segnalano: la mancata previsione delle misure di sicurezza, che anzi vengono escluse; l'ammissione alla gara sulla scorta dei requisiti di fatturato (articolo 8.2) per il biennio 2015-2016 e di esperienza complessiva di 24 mesi nel triennio 2014-2016 (articolo 8.3) che di fatto finirebbe per agevolare l'impresa che ha già in carico il servizio di accoglienza; la valutazione della proposta tecnica (articolo 15.1) con la previsione di 60 punti per la modalità di realizzazione del programma, anch'essa tale a giudizio dell'interrogante, da privilegiare gli operatori in servizio;
   i rilievi sopra esposti sono riportati anche dalla stampa che richiede l'intervento delle competenti autorità;
   occorrerebbe accertare eventuali responsabilità per non aver proceduto in tempo utile a bandire la gara con ricorso ad una proroga, a giudizio degli interroganti, in contrasto con la normativa (articolo 106, comma 11, del decreto legislativo n. 50 del 2016) e con la delibera dell'Autorità anticorruzione n. 32/2016, articoli 5 e 38; sarebbe altresì opportuno un intervento della medesima Autorità per la verifica degli atti di gara, onde appurare se sia stata consentita la massima partecipazione, e perché venga superata la clausola secondo la quale si può procedere all'affidamento, anche in presenza di una sola offerta, ove gli immobili locati risultino provvisti della relativa abitabilità –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, con particolare riferimento ai motivi per cui si è fatto ricorso per il triennio 2014-2016 all'affidamento a trattativa privata del servizio di accoglienza dei migranti di cui sopra e, successivamente, non si sia proceduto in tempo utile a bandire la necessaria procedura di gara come evidenziato;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per garantire un impiego corretto e trasparente delle risorse statali impegnate per le attività di accoglienza dei richiedenti asilo sopra richiamate;
   se, alla luce delle criticità che emergono dalla vicenda descritta, il Governo non intenda assumere iniziative normative per ottimizzare la disciplina delle procedure di gara in tale settore, al fine di limitare la facoltà di ricorrere alla trattativa privata e alla proroga degli affidamenti in corso e di assicurare condizioni tali da permettere la massima partecipazione alle procedure medesime da parte di tutti gli operatori qualificati in condizioni di parità. (4-17509)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, NICCHI, MARTELLI, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, FERRARA, FOSSATI, SCOTTO, MELILLA, PIRAS, QUARANTA, DURANTI, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nonostante a giugno 2017 nelle Marche si sia registrata una riduzione complessiva delle richieste di cassa integrazione guadagni del 32,95 per cento rispetto alle rilevazioni del primo semestre dell'anno precedente, permangono delle criticità evidenti in alcuni territori della regione;
   in particolare, si segnala il dato delle province di Ascoli Piceno e Fermo che registrano un aumento del 76 per cento delle richiesta di cassa integrazione guadagni ordinaria (fonte: Cronache Fermane.it 26 luglio 2017);
   inoltre, si registrano aumenti delle richieste di cassa integrazioni in alcuni settori: da quelli contenuti della meccanica (+ 1,2 per cento) e della chimica-gomma-plastica (con il + 11,9 per cento), ai più rilevanti + 62,2 per cento dei trasporti e telecomunicazioni e del settore chimico, che passa dalle 14 mila ore del 2016 alle 37 mila del 2017;
   come rileva anche la Cgil, non è al momento chiaro quale sia l'impatto dei licenziamenti degli scorsi anni e dell'aumento del «costo» della cassa integrazione per le aziende sui dati richiamati;
   la ripresa economica annunciata dal Governo non sta producendo, per ora, alcun effetto significativo sull'aumento dell'occupazione, che registra nelle Marche livelli al di sotto della media nazionale –:
   quali politiche di sostegno all'occupazione intenda adottare il Ministro interrogato, in riferimento alla regione Marche ed in particolare per le realtà territoriali (Fermo e Ascoli Piceno) e produttive (trasporti e telecomunicazioni, chimica) che, al momento, vedono addirittura un aumento del ricorso alla cassa integrazione. (5-11988)


   MINNUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 21 luglio 2017, circa 200 lavoratori della sede di Roma della nota società Ericsson, a cui si aggiungono altri 61 lavoratori della sede di Genova della stessa società, si sono visti recapitare una lettera di licenziamento al proprio indirizzo di posta elettronica;
   i predetti licenziamenti sarebbero il risultato di una non meglio specificata, e tanto meno giustificata, ristrutturazione di un'azienda che, peraltro, sebbene colpita anch'essa dal periodo di crisi economico generale, ha un fatturato costantemente in attivo;
   fino ad oggi sono stati inutili anche i tentativi, effettuati dai Ministri interrogati, di istituire un tavolo di confronto con la società e i rappresentanti sindacali dei lavoratori al fine proprio di evitare quanto si è verificato in questi giorni;
   Ericsson, infatti, si è limitata a comunicare che la predetta ristrutturazione e gli attuali esuberi dichiarati con la procedura di licenziamento collettivo non hanno permesso di trovare una soluzione, facendo ricorso agli ammortizzatori sociali previsti a legislazione vigente, e che pertanto sarebbe stato inutile qualsiasi confronto in merito;
   le circa 200 lettere di licenziamento recapitate a Roma, peraltro attraverso una metodologia piuttosto discutibile soprattutto con riferimento alla dignità personale di ogni singolo lavoratore, non solo sono un grave episodio occupazionale, ma rappresentano anche un grave colpo al tessuto produttivo di Roma e del Lazio, che vede svanire così ulteriori figure professionali, tra cui molte anche di un elevato livello –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione sopra descritta e quali iniziative intendano intraprendere sia al fine di salvaguardare i lavoratori coinvolti, sia al fine di regolamentare un settore, quale quello delle telecomunicazioni, ormai caratterizzato, da una parte, da un contratto collettivo di lavoro bloccato da ben tre anni e, dall'altra, da un costante utilizzo del sistema dei licenziamenti collettivi. (5-11989)


   CARRA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 luglio 2017 i circa 40 lavoratori del calzificio Marygold di Solferino hanno indetto uno sciopero per protestare contro il licenziamento del loro collega Masud al Quayum, delegato di Uiltec-Uil nella rappresentanza sindacale unitaria aziendale;
   il citato lavoratore è stato licenziato dopo 19 anni con un provvedimento che appare del tutto sproporzionato rispetto al merito della questione sollevata;
   il 16 giugno 2017 lo stesso dà la propria disponibilità, su richiesta di un responsabile, a un cambio turno con qualche ora di straordinario in cambio di due ore di permesso per il successivo 23 giugno;
   la motivazione di questo cambio è nella volontà di aiutare un nipote all'inaugurazione di un'attività commerciale «kebab» che hanno aperto insieme dove, tra l'altro, invita tutti i colleghi e datori di lavoro;
   il 23 giugno, in occasione della inaugurazione del locale, il proprietario della Marygold si dice stupito di vederlo alla festa, anziché in fabbrica, dove avrebbe dovuto svolgere il turno di notte;
   il lavoratore il citato turno lo svolgerà a partire dalle 23 certo di poter contare su quel permesso a suo dire accordato una settimana prima con il benestare del responsabile;
   il 26 giugno Masud al Quayum viene però convocato dai vertici aziendali che gli comunicano la sospensione cautelare con effetto immediato e l'intenzione di procedere con il licenziamento;
   il sindacato Uil invia all'azienda nei termini di legge una raccomandata in difesa del lavoratore con cui si chiedeva anche un incontro con la controparte;
   prima ancora che la lettera fosse recapitata, Masud al Quayum viene licenziato sostenendo che la giustificazione non era arrivata;
   questo fa scattare la decisione di procedere con la mobilitazione dei lavoratori e di attivare, al contempo, tutte le procedure necessarie per un ricorso davanti al giudice del lavoro contro il licenziamento;
   in base alla ricostruzione degli accadimenti sembrerebbe che al dipendente sia stato negato il legittimo diritto alla difesa e il diritto alla presentazione delle giustificazioni in merito alle accuse mosse dalla proprietà, quindi, in palese violazione dello statuto dei lavoratori –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere ogni iniziativa di competenza per verificare quanto accaduto e assicurare che venga garantito il pieno rispetto delle garanzie previste dalla legge n. 300 del 1970. (5-11991)


   CARRA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   presso il sito della Belleli Cpe di Mantova si è registrato un ennesimo episodio di frizione tra azienda e sindacati;
   l'episodio in questione riguarda la sospensione dal lavoro e la decurtazione dello stipendio nei confronti del responsabile della sicurezza dei lavoratori;
   secondo quanto riportato dalla Fiom-Cgil il responsabile per la sicurezza dei lavoratori in data 6 luglio 2017 nel corso della pausa pranzo è andato ad ispezionare una postazione di lavoro;
   nel corso di questa iniziativa si sarebbe accorto che una piattaforma aerea che serve per i carro ponti stava lavorando con un peso superiore alla sua portata comportando pericolo per i lavoratori;
   alcuni responsabili aziendali avrebbero chiesto al delegato responsabile per la sicurezza dei lavoratori di fare una segnalazione per iscritto, cosa che è stata regolarmente presentata al capo reparto;
   l'azienda ha contestato l'insubordinazione perché ha abbandonato il posto di lavoro senza avvisare il capo reparto e non avrebbe chiesto 24 ore prima il permesso sindacale;
   la lettera di contestazione nei confronti del delegato è arrivata il 13 luglio e il 19 luglio sono state formulate le controdeduzioni;
   in data 20 luglio è stato comunicato il provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore;
   non è il primo episodio di manifesta ostilità nei confronti dei lavoratori da parte dell'azienda e già in altre circostanze si sono verificati episodi inquietanti come, ad esempio, il licenziamento di un lavoratore malato che ha richiamato l'attenzione dei media –:
   se il Ministro non ritenga di acquisire informazioni su quanto riportato in premessa e di valutare l'opportunità ove emergessero comportamenti antisindacali o profili critici sul versante della sicurezza sul luogo di lavoro, di promuovere per quanto di competenza, iniziative considerata la rilevanza del tema, per garantire il rispetto della normativa vigente. (5-11993)

Interrogazione a risposta scritta:


   COZZOLINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le funzioni dei centri per l'impiego riguardano la gestione dei servizi di collocamento e preselezione, la promozione di iniziative e interventi di politiche attive del lavoro sul territorio, il coordinamento territoriale per informare in modo integrato sulle attività di formazione e orientamento;
   essi rappresentano per questo motivo una componente indispensabile del sistema italiano delle politiche attive e passive del lavoro, oltre che il principale strumento pubblico per gestire e contrastare la disoccupazione, fase delicatissima e spesso drammatica nella vita professionale dei lavoratori;
   questo strumento diviene cruciale specialmente in una regione come il Veneto che rappresenta una di quelle più dinamiche, dal punto di vista produttivo, dell'intero Paese;
   da ciò che è emerso da notizie di stampa, tuttavia, la provincia di Padova avrebbe deciso di chiudere sei centri per l'impiego durante la settimana di ferragosto;
   la causa di tale decisione sarebbe legata alle difficoltà finanziarie derivanti dalla decurtazione delle risorse disponibili da parte dello Stato che costringerebbe, peraltro, all'utilizzo di personale precario nelle strutture;
   in due anni i sei centro per l'impiego padovani avrebbero perso 15 lavoratori, passando da 50 a 35 addetti, di cui 12 con contratto part-time;
   inoltre, dal 1o settembre cesserà la propria attività anche il centro di formazione professionale padovano Ettore Bentisk gestito dalla regione Veneto, ritenuto un ente di eccellenza nell'ambito della formazione e dell'orientamento dei disoccupati e dei lavoratori adulti;
   i 10 lavoratori del centro Bentisk verranno riversati nei centri per l'impiego del territorio provinciale, benché non siano in alcun modo in possesso dei requisiti che sarebbero necessari per rispondere alle esigenze dei disoccupati –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se risultino in altre realtà del territorio nazionale situazioni analoghe a quella del Veneto e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche sul piano dei trasferimenti statali agli enti locali, per evitare le descritte pesanti ripercussioni sulla funzionalità dei centri per l'impiego. (4-17501)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 30 dicembre 2016 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge n. 242 del 2 dicembre 2016 «Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa»;
   all'articolo 6 si dispone che, con decreto, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, compatibilmente con la normativa europea in materia di aiuti di Stato, destina annualmente una quota delle risorse disponibili a valere sui piani nazionali di settore di propria competenza, nel limite massimo di 700.000 euro, per favorire il miglioramento delle condizioni di produzione e trasformazione nel settore della canapa;
   sulla base dell'autorizzazione di spesa di cui alla legge 23 dicembre 1999, n. 499, si possono finanziare progetti di ricerca e sviluppo per la produzione e i processi di prima trasformazione della canapa, finalizzati prioritariamente alla ricostituzione del patrimonio genetico e all'individuazione di corretti processi di meccanizzazione –:
   a che punto sia l’iter di adozione del decreto ministeriale previsto dall'articolo 6 della legge di cui in premessa. (5-11990)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è tra i primi produttori di ortofrutta in Europa, con un quantitativo prodotto di circa 36 milioni di tonnellate, di cui 18 milioni di frutta, 14 di ortaggi e 4 milioni di agrumi;
   l'anomalo andamento climatico di quest'anno ha alterato i tempi di maturazione delle colture ortofrutticole provocando uno squilibrio della produzione in diverse aree del bacino del Mediterraneo, mettendo a serio rischio la redditività degli agricoltori italiani senza i quali non ci sarebbe più materia prima per l'agroalimentare made in Italy, fatto che ridimensionerebbe inevitabilmente la filiera nazionale del settore;
   in Veneto, nel 2016, la produzione agricola ha raggiunto un valore di 5,5 miliardi di euro e l'attuale crisi delle aziende ortofrutticole veronesi mette seriamente a rischio circa 40.000 posti di lavoro tra settore agricolo, commercio, servizi e produzioni dedicate, come imballaggi, trasporti e distribuzione;
   nel Veronese, una crisi senza precedenti sta colpendo le colture di pesche e nettarine, che restano invendute e, in qualche caso, non vengono neppure raccolte, pregiudicando il futuro di circa 2.300 aziende agricole a causa della caduta dei prezzi;
   secondo Confagricoltura Verona «il mercato europeo è invaso da prodotto proveniente da Spagna e Grecia, proposto a prezzi stracciati, e quello italiano non ha sbocchi di vendita. Una situazione drammatica, che sta portando molti produttori in provincia di Verona a procedere all'espianto degli alberi, ritenendo che non sia più sostenibile mantenere i frutteti senza prospettive di una ripresa del settore. Andando avanti di questo passo ci sarà l'abbandono delle campagne come luogo di lavoro, con la scomparsa di buona parte delle strutture di servizio attuali» –:
   quali iniziative s'intendano adottare per far fronte alla grave crisi che ha colpito la produzione di pesche nel Veronese;
   se il Governo non ritenga necessario promuovere iniziative a tutela della produzione di pesche italiane sui mercati esteri. (4-17498)


   MINARDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno del caporalato nel mondo dell'imprenditoria e del lavoro agricoli nella provincia del Libero consorzio comunale di Ragusa in Sicilia è un fenomeno radicato nel tempo e, nonostante il cambio di rotta degli ultimi anni, ancora tristemente presente in tante importanti aziende agricole;
   le recenti operazioni delle forze dell'ordine, che hanno preso di mira sistematicamente l'odioso fenomeno del caporalato, meritano subito un nuovo e più severo supporto regolamentare e normativo che garantisca i lavoratori impegnati in agricoltura, ma anche i tanti imprenditori onesti che non ricorrono a scorciatoie o sotterfugi, sfruttando lo stato di bisogno di lavoratori e lavoratrici, indispensabili per garantire il corretto flusso di mano d'opera nelle aziende agricole;
   si apprende dalla stampa di un altro successo delle forze dell'ordine, accaduto, poche ore fa, nell'ambito della seconda fase dell'operazione «Alto Impatto Freedom», operazione su scala nazionale proprio contro il caporalato e lo sfruttamento dei lavoratori irregolari, con tre arresti e 9 denunce anche nel ragusano;
   due aziende agricole di Ragusa e Ispica, in particolare, sfruttavano circa 40 braccianti con paghe ridicole ed in condizioni di degrado. Un totale di 126 braccianti agricoli identificati, sottoposti a condizioni di lavoro inaccettabili, sfruttati e sottopagati. Di questi 27 sono italiani;
   una situazione ancora prolifica, nonostante le numerose denunce, a causa secondo dell'interrogante anche della scarsa incisività dell'Unione europea e dello Stato, mai intervenuti in maniera strutturale per debellare il fenomeno;
   nel ragusano le manette sono scattate per 3 imprenditori agricoli, che si aggiungono agli altri 3 arrestati negli scorsi giorni. Le indagini erano scaturite da un'attività di routine della polizia stradale, che, ad un normale controllo di un autoarticolato, aveva scoperto, nascosti nel vano di carico, 13 operai coperti da un telone di plastica;
   contratti di lavoro inesistenti, dipendenti clandestini, paghe da fame, gravissime condizioni di degrado nei magazzini trasformati in alloggi improvvisati per i braccianti: questo il prospetto che si è presentato agli occhi della polizia;
   i successi di operazioni del genere sono sicuramente positivi, ma non sufficienti per smorzare un fenomeno radicato nel settore. È necessario, a giudizio dell'interrogante, premiare gli imprenditori in linea con il rispetto dei contratti di lavoro e con le corrette procedure di assunzione, per limitare il ruolo degli intermediari e consentire una progressiva emersione del lavoro nero e sottopagato;
   allo stesso tempo, vanno forniti alle forze dell'ordine tutti gli strumenti necessari per accelerare verifiche ed indagini, inasprendo, ove possibile, le pene e le sanzioni economiche per chi approfitta del bisogno dei più deboli, lucrando su turni massacranti e paghe inferiori a quelle previste nei contratti collettivi di lavoro –:
   se i Ministri interrogati non intendano adottare le opportune iniziative per verificare la possibilità di istituire un tavolo tecnico che possa proporre una revisione della normativa di tale difficile materia, anche avvalendosi dell'esperienza della prefettura di Ragusa, il cui territorio è stato particolarmente attenzionato dalle indagini di questi giorni, e nel cui ambito operano centinaia di imprenditori agricoli che forniscono occupazione e reddito a migliaia di lavoratori. (4-17505)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   COLLETTI, MANTERO, COLONNESE e DADONE. — Al Ministro della salutePer sapere – premesso che:
   il codice deontologico dei medici (approvato nel 2014) relativamente all'attività medico-legale stabilisce, attraverso il nuovo articolo 62, comma 3, che: «Il medico legale, nei casi di responsabilità medica, si avvale di un collega specialista di comprovata competenza nella disciplina interessata (...)»;
   questa prescrizione deontologica sembra porsi in contrasto con la normativa vigente che regolamenta l'attività medico-legale nei casi di responsabilità medica, di sinistri stradali, oltre che con la disciplina della concorrenza;
   innanzitutto, dalla lettura della nuova normativa sulla responsabilità civile medica di cui alla legge n. 24 del 2017 (articolo 15), oltre che degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, emerge la centralità della figura del medico legale che non deve necessariamente avvalersi dell'opera professionale di un altro medico specialista, per la valutazione delle ipotesi di responsabilità medica e di danno biologico;
   inoltre, la citata prescrizione deontologica appare una misura limitativa della concorrenza in quanto restringe la stessa libertà, indipendenza e autonomia del professionista medico legale, che si vede costretto ad avvalersi di un altro collega specialista, nei casi di responsabilità medica, probabilmente al fine di limitare le eventuali consulenze nei confronti dei colleghi;
   l'Ordine dei medici è un ente di diritto pubblico, dotato di una propria autonomia gestionale e decisionale, posto sotto la vigilanza del Ministero della salute e coordinato nelle sue attività istituzionali dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri;
   il medico legale è già egli stesso uno specialista formatosi, dopo il conseguimento della laurea in medicina e chirurgia, presso la scuola di specializzazione in medicina legale attraverso lo studio di materie specialistiche. Alla fine di tale percorso di studio lo stesso è autorizzato a redigere specifiche relazioni tecniche, previa visita medica, con le quali stabilisce l'esistenza di un danno e la sua gravità nei casi di sinistro, di incidenti sul lavoro o di responsabilità medica;
   lo stesso quindi valuta i postumi biologici ed il nesso di casualità di mal practice medica o di eventi traumatici attraverso l'esame di tutta la relativa documentazione sanitaria, comprese le certificazioni mediche di pronto soccorso, e degli stessi colleghi medici specialisti o di base;
   infine, il codice deontologico costituisce un complesso di regole che gli operatori di specifici settori adottano, autonomamente, per disciplinare l'esercizio dell'attività svolta (tanto nei rapporti interni alla categoria interessata, quanto nei confronti dei soggetti cui l'attività stessa è indirizzata), ma in conformità alle prescrizioni scaturenti dall'ordinamento giuridico vigente;
   alla luce di ciò, si può affermare che, contrariamente a quanto disposto dall'articolo 62, comma 3, del codice deontologico dei medici e da quanto emerge dalla normativa vigente, la disciplina medico-legale sarebbe l'unica deputata a decidere e discriminare in ambito di responsabilità professionale medica, oltre che in tema di sinistri stradali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se, nell'ambito della propria funzione di vigilanza nei confronti dell'Ordine dei medici, intenda assumere le iniziative di competenza perché quest'ultimo adegui il proprio codice alla normativa vigente, con riferimento all'attività medico-legale e con particolare riguardo ai profili sopra evidenziati. (4-17493)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti di stampa che il 28 giugno 2017 il magistrato di sorveglianza di Bologna ha accolto la domanda di trasferimento per il pianista teatino Fabrizio P., che l'8 giugno 2016 è stato arrestato per «presunto tentativo di coltivazione di cannabis» ossia per aver tentato di coltivare alcune piantine di cannabis, ancora allo stato di germogli. Dopo due mesi di detenzione nel carcere di Chieti, Fabrizio P. ha scontato la pena ai domiciliari presso un alloggio fornito da parroci e diaconi di Crevalcore, una località in provincia di Bologna, e trascorrerà la parte residua della pena, che terminerà il 26 luglio, nella sua casa in provincia di Chieti;
   il suo difensore Vincenzo Di Nanna ha dichiarato che: «l'odissea giudiziaria è agli sgoccioli, ma quella sanitaria continua»;
   Fabrizio aveva cominciato a coltivare cannabis per provare a lenire il dolore, insopportabile, che gli provoca la fibromialgia che è una patologia caratterizzata da dolore muscolare cronico, diffuso, fluttuante e migrante, associato a rigidità, astenia, insonnia o disturbi del sonno che spesso impedisce in chi ne soffre anche di lavorare. L'utilizzo dei cannabinoidi è l'unico modo per Pellegrini per ovviare a questa malattia, poiché, fin da bambino, soffre di allergie ai farmaci cortisonici, agli antidolorifici e di asma bronchiale;
   per i motivi suddetti la asl locale ha certificato per il signor Fabrizio la necessità di una terapia a base di cannabinoidi dal costo di 500 euro al mese, che lui, proprio per l'impossibilità di lavorare dovuta alla fibromialgia, non può permettersi di pagare privatamente;
   la regione Abruzzo, però, per Fabrizio P. non ha mai attivato il fondo previsto dalla legge regionale n. 4 del 4 gennaio 2014 «Modalità di erogazione dei farmaci e dei preparati galenici magistrali a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche»;
   nel frattempo, lo stesso è costretto a procurarsi la cannabis terapeutica a pagamento con il sostegno economico di alcuni amici e dell'associazione LaPiantiAmo;
   si ricorda, inoltre, che il consiglio regionale abruzzese il 4 gennaio 2017 ha approvato la risoluzione n. 25 del 25 ottobre 2016 per il «Riconoscimento, individuazione e cura della fibromialgia o sindrome fibromialgica come malattia invalidante», impegnandosi, tra l'altro, ad attivarsi per il riconoscimento di tale patologia nell'ambito del sistema sanitario regionale e per l'inserimento della malattia nei livelli essenziali di assistenza regionali –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza, anche normativa, affinché il signor Fabrizio P. e coloro che si trovano in condizioni analoghe possano avere accesso alla terapia a base di cannabinoidi. (4-17503)


   MIOTTO, NACCARATO e CAMANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto n. 70 del 2015 sono state dettate norme per orientare la riorganizzazione della rete ospedaliera prevedendo la copertura dei bisogni assistenziali con servizi che garantiscono la continuità assistenziale in ambito territoriale;
   per le iniziative di continuità ospedale-territorio sono essenziali le strutture intermedie, strutture sanitarie a valenza territoriale di ricovero e di assistenza per pazienti dimessi da reparti per acuti, per i quali è necessario consolidare le condizioni fisiche, continuare il processo di recupero funzionale o accompagnare il paziente con fragilità individuale o sociale nella prima fase del post-ricovero. Una delle tipologie individuate è rappresentata dall'ospedale di comunità;
   il consiglio regionale del Veneto con legge regionale n. 23 del 2012 ha approvato il piano socio-sanitario 2012-2016 individuando come obiettivo strategico regionale lo sviluppo dell'assistenza territoriale anche mediante gli ospedali di comunità, dopo una sperimentazione avviata nel 2004, prevedendo l'apertura di due ospedali di comunità di 20 e 40 posti letto, allocati dopo le procedure di selezione, presso il Craup di Piove di Sacco e la casa di riposo di Camposampiero, sulla base delle valutazioni operate in sede di Conferenza dei sindaci, recepite nel piano aziendale dell'azienda sanitaria;
   il piano di riorganizzazione ospedaliera ha comportato la riduzione di oltre 1.200 posti letto nei reparti per acuti, prevedendone la riconversione in altrettanti posti letto nelle strutture intermedie;
   sono trascorsi 5 anni senza dare attuazione in Veneto alla predetta norma che, anzi, è stata sospesa nella sua attuazione nel mese di ottobre 2016;
   con delibera 433/2017, la giunta regionale del Veneto ha modificato sia i profili assistenziali ed economici delle prestazioni mediche previste negli ospedali di comunità, sia i criteri per l'accreditamento;
   la delibera di giunta regionale n. 433 pone a carico degli enti gestori i costi per l'assistenza medica fissando la tariffa in euro 130/die, afferma la necessità di evitare la «frammentazione del sistema di cure mediche erogate all'interno delle strutture» e sostituisce la definizione «strutture di residenzialità extra-ospedaliera a carattere temporaneo» con «strutture di ricovero intermedio», sottopone alla valutazione di un organo tecnico (Crite) l'attualità della programmazione locale, prescindendo dalle autorizzazioni accordate, omettendo ogni riferimento al criterio della accessibilità all'ospedale di comunità da parte dei cittadini e ignorando di fatto l'orientamento dei sindaci espresso in sede di valutazione sulla riorganizzazione ospedaliera;
   in ordine all'ammontare delle tariffe, il Veneto prevede standard assistenziali pari a 264 minuti/die/paziente (secondo standard più elevato in Italia), mentre la tariffa è inferiore a quella di Marche, Lazio e Sardegna, che peraltro assicurano standard inferiori del 30 per cento rispetto al Veneto;
   le procedure introdotte e l'aggravamento dei costi tale da compromettere la sostenibilità finanziaria stanno preoccupando gli amministratori locali della Saccisica ove opera da oltre un secolo il Craup di Piove di Sacco, soprattutto per il fatto che l'apertura dell'ospedale di comunità a Piove di Sacco corrisponde ad un livello essenziale di assistenza da garantire ai cittadini di quel territorio –:
   se il Ministro sia al corrente di quanto sopraesposto;
   se ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza affinché possano essere pienamente garantiti i livelli essenziali di assistenza, attraverso la realizzazione degli ospedali di comunità sul territorio nazionale, con particolare riferimento al Veneto;
   se non ritenga di dover assumere iniziative, di concerto con le regioni e anche sul piano normativo, affinché i sistemi tariffari siano commisurati ai costi effettivi, al fine di non compromettere, per mere esigenze di cassa, la qualità delle prestazioni assistenziali che sono livelli essenziali di assistenza da garantire su tutto il territorio nazionale, in modo da evitare casi come quello della regione Veneto in cui la tariffazione appare troppo bassa per garantire gli standard organizzativi prefissati. (4-17508)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   BORGHI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento UE n. 1303/2013 disciplina l'attuazione, tra gli altri, del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr). All'articolo 32 tale regolamento afferma che lo sviluppo locale di tipo partecipativo è gestito da gruppi di azione locale composti da rappresentanti degli interessi socio-economici locali sia pubblici che privati. All'articolo 34 vengono elencate le funzioni dei gruppi di azione locale, in particolare si stabilisce che i gruppi di azione locale elaborano e attuano strategie di sviluppo locale di tipo partecipativo e che gli Stati membri stabiliscono i rispettivi ruoli del gruppo di azione locale e delle autorità responsabili dell'esecuzione dei programmi interessati concernenti tutti i compiti attuativi con essi alla strategie di sviluppo locale di tipo partecipativo;
   il decreto legislativo n. 175 del 2016, all'articolo 4, comma 6, prende atto della natura dei gruppi di azione locale e recita «è fatta salva la possibilità (per le amministrazioni pubbliche) di costituire società o enti in attuazione dell'articolo 34 del Regolamento UE n. 1303/2013» – quindi i gruppi di azione locale – ma al contempo li assoggetta a tutte le disposizioni in esso presenti. Tra queste, in particolare, l'articolo 20 del medesimo decreto, normando i piani di razionalizzazione annuale delle partecipate pubbliche, prevede che il suddetto piano sia adottato laddove le amministrazione pubbliche rilevino, tra le altre cose: società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti; le partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro; partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio di interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti;
   tutti i 164 gruppi di azione locale del nostro Paese ricadono in almeno una delle condizioni suddette; si crea quindi per l'interrogante il paradosso secondo cui, da un lato, si dà la possibilità formale alle amministrazioni pubbliche di partecipare ai gruppi di azione locale, dall'altro, però, se ne inficia la partecipazione sostanziale in sede di piani di razionalizzazione delle partecipate;
   il programma di sviluppo locale di tipo partecipativo, denominato Leader non è un'opzione dei singoli piani di sviluppo rurale bensì è parte integrante dell'attuazione della Politica agricola comune e dell'Accordo di partenariato tra la Commissione europea e l'Italia; occorre evitare che i gruppi di azione locale si trovino nelle condizioni di perdere i soci pubblici altrimenti verrebbe minata la loro natura normativa di partenariato pubblico-privato e perderebbero di conseguenza la titolarità a gestire lo sviluppo locale di tipo partecipativo e i fondi concessi attraverso bandi e progetti. Questa circostanza, inoltre, potrebbe determinare il disimpegno automatico delle risorse allocate al programma Leader dalle singole regioni –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo affinché sia uniformata la normativa nazionale alla disciplina normativa europea in relazione alla presenza degli enti locali nei gruppi di azione locale, al fine di assicurare in modo adeguato l'impiego dei fondi europei per lo sviluppo rurale. (4-17495)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Nicchi e altri n. 7-01323, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 luglio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Argentin.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Grillo e altri n. 5-11967, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 luglio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cancelleri, D'Uva, Marzana, Rizzo, Villarosa.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Garavini n. 4-09392 del 9 giugno 2015.