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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 27 giugno 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e XII,
   premesso che:
    le sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), interferenti endocrine e cancerogene in classe IARC 2B (potenzialmente cancerogene), hanno contaminato un'area di quasi 150 mila chilometri quadrati in Veneto, più di 300 mila persone sono esposte agli agenti chimici e almeno tre province sono colpite, Vicenza, Verona e Padova. Secondo gli investigatori della procura di Vicenza da tempo erano disponibili le prove del grave inquinamento dei terreni e delle acque intorno a Trissino (Vicenza), ma sono state tenute riservate per anni dall'azienda che produce le Pfas composti impiegati per rendere impermeabili i fondi delle pentole e i tessuti e a scopo militare. Trent'anni di ritardi e di silenzi. Trent'anni di studi tenuti in un cassetto, mentre la contaminazione da Pfas si propagava nella falda acquifera del Veneto fino a raggiungere l'estensione mostruosa di oggi. La contaminazione è poi emersa nel 2013 in seguito a uno studio del Cnr (intrapreso a partire dal 2006) sui bacini fluviali, innescando l'emergenza sanitaria e ambientale in Veneto, dove le sostanze sono arrivate a interessare l'acqua potabile. In realtà anche in Lombardia (torrente Lura nel nord di Milano e altri corsi d'acqua) erano state trovate concentrazioni di Pfas superiori a 1.000 ng/litro;
    una relazione dei carabinieri del Noe di Treviso, resa nota in data 14 giugno 2017 dal Tgr Veneto, e inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, all'Istituto superiore di sanità e agli enti locali, punta il dito contro la Miteni, la fabbrica chimica incastonata tra le risorgive della Valle del Chiampo che produce Pfas da quasi mezzo secolo. Secondo il Noe in almeno cinque occasioni, «negli anni 1990, 1996, 2004, 2008 e 2009» la Miteni ha dato incarico a società di consulenza ambientale di verificare lo stato di inquinamento del suo sito industriale: ma l'azienda, pur avendo «l'obbligo giuridico di comunicare agli enti competenti le risultanze emerse – continuano i carabinieri – sino ad oggi non ha mai trasmesso le citate indagini». Fin dal 1990 quindi, secondo la documentazione esaminata dagli investigatori, i consulenti dell'azienda avevano rilevato la contaminazione dei terreni e delle falde da benzotrifluoruri e, in seguito, da perfluoroottanoato di ammonio (Pfoa, un composto della famiglia Pfas), ma «la condotta omissiva del gestore ha comportato che l'inquinamento da Pfas – prosegue il Noe – si propagasse nella falda a chilometri di distanza, provocando il deterioramento dell'ambiente, dell'ecosistema, nonché probabili ricadute sulla salute della popolazione residente che, per anni, potrebbe aver assunto inconsapevolmente acqua contaminata». Nemmeno dopo l'avvio della bonifica del sito nel 2013, nel corso delle conferenze dei servizi, le informazioni contenute negli studi sarebbero state comunicate agli enti, impedendo così di «comprendere ed affrontare efficacemente la problematica». Accuse pesanti, condensate in un passaggio chiave: per quasi trent'anni, in questo modo, la sorgente dell'inquinamento «non è mai stata rimossa e ha continuato a contaminare il terreno e la falda sino ad oggi»;
    finora la Miteni, la cui proprietà è passata più volte di mano negli ultimi anni (dalla Marzotto all'Enichem, dalla Mistubishi alla Icig), ha sempre rigettato le contestazioni avanzando distinguo rispetto alle gestioni passate: «L'attuale gestione – fa sapere l'azienda chimica vicentina – non ha evidenza di alcuna rilevazione effettuata sui terreni prima di quella del 2013. Quelle relazioni che citano i carabinieri noi non le abbiamo mai viste. Quando nel 2013 abbiamo effettuato la caratterizzazione dell'area abbiamo prontamente e volontariamente informato le autorità della presenza di sostanze nell'acqua di falda. L'operato dell'attuale gestione e proprietà è stato sempre improntato al rispetto della legge e alla massima trasparenza». Ma per gli investigatori del Noe la gravità e l'estensione dell'inquinamento, che «potrebbe comportare gravi rischi per la salute umana», rende ormai necessario l'intervento diretto degli organismi nazionali. Se la Miteni avesse comunicato per tempo l'inquinamento chimico di cui era a conoscenza, concludono i Noe, «la ditta avrebbe dovuto sostenere una ingente spesa per la rimozione e lo smaltimento del terreno contaminato, oltre alla necessità di smantellare parte dell'impianto produttivo»;
    secondo la relazione sull'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) in alcune aree della regione Veneto della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati approvata dalla suddetta Commissione nella seduta dell'8 febbraio 2017, oltre il 97 per cento dei Pfas presenti nell'ambiente veneto è dovuto agli scarichi della Miteni. Si legge in tale relazione che l'origine della contaminazione è stata individuata da Cnr-Irsa, comunicata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, successivamente, anche dall'Arpa, negli scarichi dell'azienda chimica Miteni spa, posta nel comune di Trissino, la quale si è attivata con la realizzazione, in fasi successive nel tempo, nell'area sud dello stabilimento e nell'area all'interno dello stabilimento, di venti pozzi barriera, per una portata complessiva di progetto di circa 360 mc/h, in continuo emungimento, e trattamento solo di una parte delle acque con carboni attivi (circa 120 mc/h);
    per quanto riguarda gli scarichi nel collettore consortile A.Ri.C.A., che trasferisce nel canale Fratta-Gorzone, all'altezza di Cologna Veneta (Verona), i reflui depurati di cinque depuratori (Trissino, Arzignano, Montecchio, Montebello Vicentino e Lonigo, per un totale circa 2.300.000 abitanti equivalenti), l'Arpa, già nel 2013, aveva appurato:
     1) che l'incidenza della contaminazione esistente nel corso d'acqua anzidetto era dovuta alla rilevante presenza di sostanze perfluoro-alchiliche nello scarico industriale della ditta Miteni spa, allacciata all'impianto di depurazione di Trissino, che contribuisce per il 96,989 per cento all'apporto totale di Pfas scaricati nel Fratta-Gorzone;
     2) che l'inquinamento delle acque era determinato dal fatto che gli impianti di depurazione in questione non sono sufficientemente in grado di abbattere questo tipo di sostanze, non essendo dotati di tecnologia adeguata, mentre la diminuzione della concentrazione allo scarico è dovuta esclusivamente all'effetto diluizione;
    l'Arpa ha imposto alla società Miteni una serie di prescrizioni, volte a ridurre la presenza nel collettore A.Ri.C.A. delle sostanze perfluoroalchiliche, mediante una corretta e costante gestione dei sistemi di filtrazione;
    gli interventi hanno prodotto qualche miglioramento, considerato che vi è un trend in diminuzione di tali sostanze sia in concentrazione, sia in flusso di massa;
    peraltro, la presenza dei composti a 8 atomi di carbonio (Pfoa e Pfos) è andata scemando nel tempo ed è stata sostituita dalla presenza di composti a 4 atomi (Pfba e Pfbs), come emerge dalla relazione Arpa del mese di marzo 2015 e dalla successiva relazione di aggiornamento del 19 giugno 2016, riguardante l'intero periodo di osservazione, a partire dal 25 giugno 2013 al 4 giugno 2016;
    comunque, la diminuzione di Pfoa e Pfos non è dovuta solo all'efficacia dei sistemi di trattamento, dal momento che – come si è osservato – gli stessi non sono adeguati ad abbattere in modo completo tutti i Pfas presenti nei vari flussi, ma è stata principalmente determinata dal fatto che la Miteni non impiega più il Pfoa e il Pfos nei propri processi produttivi, avendoli sostituiti con il Pfba e con il Pfbs a catena corta;
    tuttavia, quand'anche la Miteni completasse l'attività di barrieramento, attualmente in essere, al fine di renderla efficace, mediante la realizzazione di ulteriori pozzi per l'emungimento delle acque a valle dello stabilimento industriale e il trattamento delle acque emunte con carboni attivi e riuscisse a trattenere le acque inquinate, i problemi non sarebbero risolti, posto che – come si è rilevato – l'azienda Miteni è insediata in area di ricarica di falda, in presenza di un acquifero indifferenziato, sicché è altamente probabile che questa contaminazione, non ancora definita nella sua complessità, contribuisca all'inquinamento della falda acquifera a valle, tanto più che la presenza pluridecennale sul sito di queste tipologie di produzioni fa presagire una contaminazione di natura storica;
    infine, le verifiche effettuate dall'Arpa Veneto sulle acque utilizzate per il raffreddamento degli impianti della Miteni – che vengono tuttora scaricate direttamente nel torrente Poscola senza essere convogliate nello scarico aziendale, collettato al depuratore di Trissino – hanno riscontrato, nel corso delle analisi eseguite nel 2014, ancora alcuni valori fuori dai limiti fissati dalla regione nell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata con decreto del 30 luglio 2014, n. 59, che, però, andranno ancora riverificati con i successivi controlli;
    la situazione sulle acque di scarico nel torrente Poscola, dunque, appare migliorata, se si considera che i Pfas totali, riscontrati dall'Arpa Veneto, a seguito dei campionamenti effettuati l'anno precedente, in data 4 luglio 2013, nelle acque di scarico della Miteni nel pozzo A (che comunica direttamente con il torrente Poscola) erano di 28.320 ng/l, mentre i Pfoa erano di 16.067 ng/l e i Pfos di 3.460 ng/l e che il complesso di tali sostanze, dai controlli recenti, risulta diminuito. In ogni caso, si è comunque in presenza di concentrazioni di Pfas ancora notevolmente elevate;
    invero, sulla base degli accertamenti effettuati dall'Arpa, che hanno posto in evidenza il dato per cui il 97 per cento dell'apporto di Pfas scaricati nel Fratta-Gorzone proviene dagli scarichi della Miteni nella fognatura e quindi nel depuratore di Trissino (senza considerare gli altri scarichi inquinati da Pfas che la Miteni scarica nel torrente Poscola) – allo stato – risulta sufficientemente acclarato che proprio da questo sito, giunge la quasi totalità dell'inquinamento dei Pfas nell'area del vicentino. Pertanto appare necessario e urgente intervenire direttamente all'origine del problema, in via preventiva, depurando tutti gli scarichi della società e, dunque, non solo quelli che recapitano in corso d'acqua superficiale (torrente Poscola), già regolati nell'autorizzazione AIA (Pfos 30 ng/l, Pfoa 500 ng/l, altri Pfas 500 ng/l), ma anche quelli che recapitano in fognatura e poi confluiscono al depuratore consortile di Trissino, gestito da Alto Vicentino Servizi Spa. In particolare, dovrebbero essere installati idonei impianti di trattamento che abbattano efficacemente tutti i Pfas, non solo, quelli a 8 atomi di carbonio, ma anche quelli a 4 atomi di carbonio;
    dai fatti sopra esposti risulta:
     1) che le acque che la Miteni scarica nel depuratore consortile e anche nel torrente Poscola contengono sostanze perfluoroalchiliche, con concentrazioni rilevanti di Pfoa e di Pfos;
     2) che tali sostanze appartengono alla classe dei composti organici alogenati, con la conseguenza che rientrano nell'elenco delle sostanze pericolose di cui al n. 15 (composti organici alogenati) della tabella 5 dell'allegato 5, parte terza, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
     3) che, per quanto sopra osservato sulla particolare natura dei terreni, le acque contaminate percolano nell'acqua di falda idropotabile;
     4) che il principale veicolo dei Pfas è l'acqua, sia per uso potabile che per uso agricolo e zootecnico;
     5) che la popolazione esposta assorbe le sostanze perfluoroalchiliche, che si accumulano nel sangue in concentrazioni molto più alte rispetto alla popolazione non esposta;
    così descritta la situazione in fatto, secondo i presentatori del presente atto, i responsabili della contaminazione sopra descritta potrebbero essere accusati di aver commesso il reato di cui all'articolo 439 del codice penale (avvelenamento di acque destinate all'alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo). In realtà, alla luce della giurisprudenza sopra citata, l'avvelenamento delle acque di cui all'articolo 439 del codice penale sussiste quando le stesse sono potenzialmente idonee a produrre effetti tossico-nocivi per la salute, e non solo inquinate. Afferma ancora la giurisprudenza che non deve trattarsi necessariamente di potenzialità letale, essendo sufficiente che il composto inquinante abbia la potenzialità di nuocere alla salute;
    in conclusione, nella consulenza tecnica allegata alla relazione della commissione d'inchiesta, il professor Farinola sottolinea che la persistenza ambientale e la tendenza ad accumularsi nell'organismo per esposizioni prolungate, in combinazione con la sospetta associazione con l'insorgenza di alcune patologie, rappresentano i maggiori fattori di preoccupazione riguardo la presenza di queste sostanze nelle acque potabili e negli alimenti, anche in basse concentrazioni. Come si è ampiamente sopra illustrato, si tratta di conclusioni suffragate:
     1) da uno studio epidemiologico sull'uomo, denominato Progetto Salute C8 in Ohio, effettuato nel 2006, su campioni di sangue di circa 69.000 soggetti residenti nei pressi dell'industria DuPont's in West Virginia, che ha accertato la probabile associazione tra l'esposizione a Pfoa ed effetti sanitari nella comunità, per quanto riguarda le seguenti patologie: ipercolesterolemia, colite ulcerosa, malattie tiroidee, tumori del testicolo e del rene, ipertensione indotta dalla gravidanza e precalmpsia;
     2) da uno studio congiunto tra l'Istituto superiore di sanità e il Policlinico Umberto I di Roma, eseguito negli anni 2008-2009, su 38 donne in gravidanza che vivono a Roma, che ha misurato le concentrazioni di inquinanti persistenti nel sangue delle donne (la misura è stata fatta nel siero del sangue) e le concentrazioni ritrovate nel siero del sangue dei neonati, accertandone il passaggio da madre a figlio;
     3) da uno studio condotto dall'Enea che, con riferimento al periodo 1980-2011, ha accertato nei comuni contaminati da Pfas, appartenenti alle province di Vicenza, Padova, Verona e Rovigo, per entrambi i sessi eccessi statisticamente significativi per la mortalità generale (9 per cento e un 10 per cento in più, rispettivamente, negli uomini e nelle donne), per le malattie cerebrovascolari (22 e 18 per cento in più, rispettivamente, negli uomini e nelle donne) e per l'infarto miocardico acuto (11 e 14 per cento in più, rispettivamente, per uomini e donne) arrivando a stimare 1.260 decessi aggiuntivi nella zona rossa dei Pfas;
     4) da uno «Studio sugli esiti materni e neonatali in relazione alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas)», a cura del Registro Nascita – Coordinamento malattie rare regione Veneto29, che ha preso in considerazione il periodo compreso tra il 2003 e il 2015. Dallo Studio delle popolazioni dei 21 comuni più esposti ai Pfas delle province interessate (Vicenza, Verona e Padova), facenti parte della cosiddetta «area rossa», popolazioni meno esposte o non esposte degli altri comuni della regione Veneto, emerge, in percentuali significative, l'incremento della preeclampsia, del diabete gestazionale, dei nati con peso molto basso alla nascita, dei nati SGA e di alcune malformazioni maggiori, tra cui anomalie del sistema nervoso, del sistema circolatorio e cromosomiche. Va osservato che le malformazioni sono eventi rari che necessitano di un arco temporale di valutazione più esteso per giungere a più sicure affermazioni ma che gli effetti sulla gravidanza riguardano l'effetto dell'esposizione avvenuta in un breve e recente arco temporale. Durante il periodo indagato sono avvenuti in Veneto 556.314 parti di donne residenti, 15.365 dei quali hanno riguardato madri residenti nei comuni dell'area rossa. I nati nella stessa area ammontano a 15.582, essendo alcuni parti di tipo gemellare. L'estensione del campione è davvero ragguardevole;
    con riferimento agli esiti in gravidanza: il decorso della gravidanza viene riferito dalle donne come fisiologico da oltre l'80 per cento (83,2 per cento in area rossa versus 81,6 per cento in Veneto). Indagando, attraverso le schede dimissioni ospedaliera (SDO), la presenza di specifiche patologie emerge invece che le madri dell'area rossa hanno un rischio più elevato di preclampsia (4,46 per cento versus 3,6 per cento) e di diabete gestazionale (5,35 per cento versus 3,13 per cento), maggiore del Veneto nell'insieme, ma anche di tutte le altre aree se considerate separatamente, confermando quanto emerge dalla letteratura al riguardo. In particolare, si evidenzia una quota progressivamente minore di donne affette da diabete allontanandosi dall'area rossa;
    dal 2003 al 2013, nell'area rossa, la prevalenza di SGA (bimbi piccoli per età gestazionale) è più elevata (3,6 per cento e 3,5 per cento) rispetto a tutte le altre aree indagate e quindi del Veneto (3,0 per cento e 2,9 per cento), avvalorando anche per tale esito quanto emerge dalla letteratura. Solo nell'ultimo biennio (dopo l'utilizzo dei filtri per gli acquedotti) nell'area rossa la prevalenza di SGA subisce un decremento raggiungendo valori sovrapponibili alla media del Veneto (3,1 per cento). Analizzando i bassissimi pesi (<1.000 grammi), spicca la crescita in area rossa registrata nel periodo 2014-2015 (5,4 per cento versus 3,1 per cento);
     5) da uno studio di contaminazione di interesse, anche se di dimensioni più limitate, è quello citato dal direttore generale della direzione prevenzione sanitaria presso il Ministero della salute, Raniero Guerra, nel corso dell'audizione in commissione d'inchiesta del 6 luglio 2016. Lo studio compiuto a Tarragona, (Spagna) dimostrò un accumulo di Pfas a catena corta in fegato, polmoni, ossa, rene e cervello in materiale autoptico derivato da una settantina di cadaveri. I Pfas a catena corta (PFBA e PFBS per esempio) sono ancora prodotti a Trissino, mentre i Pfas a catena lunga non sono più prodotti in tale sede dal 2011 ma utilizzati in svariate manifatture in Veneto, Lombardia e Toscana perlomeno. Questi dati mettono in dubbio la sicurezza dei nuovi Pfas a catena corta che dovrebbero non essere bioaccumulabili a lungo termine secondo i dati aziendali;
     6) esaminando il caso della regione del Sauerland in Germania, la prima scoperta fu fatta nel 2006 da D. Skutlarek e altri autori, D. Skutlarek, M. Exner, H. Farber 2006 – « Perfluorinated surfactants in surface and drinking waters» Environ. Sci. Pollut Res. Int. 13, 299-307 – che riportavano livelli di insieme di 7 PFC (composti perfluoroalchilici) nell'acqua potabile tra 26 e 598 ng/l. Il composto più abbondante osservato era il Pfoa, i cui valori nell'acqua potabile oscillavano tra 22 e 519 ng/l. In sei città di quest'area furono trovate concentrazioni sopra i 100 ng/l. La proporzione di Pfoa sul totale delle sostanze perfluorurate (PFC) rilevate era 50-80 per cento. La fonte di immissione si rivelò costituita da rifiuti industriali con elevata concentrazione di PFC, che erano stati immessi nel suolo da una compagnia di smaltimento rifiuti e disseminati da agricoltori nella regione agricola del Sauerland. Questi dati devono a parere dei presentatori del presente atto far riflettere in merito ai rischi per il territorio della provincia di Mantova caratterizzati da abbondanti spandimenti di fanghi, digestati e percolati provenienti dalle aree contaminate del Veneto, da captazione di acqua da pozzi, dati che riprenderemo puntualmente;
    i Pfc immessi nel suolo erano poi stati dilavati dall'area altamente contaminata in piccoli ruscelli e acque di superficie (fiumi Ruhr, Mohne), dai quali l'acqua potabile veniva prelevata per l'approvvigionamento di molti milioni di residenti nel distretto della Ruhr. Un controllo effettuato tra il mese di luglio del 2006 e il mese di agosto del 2007 mostrò che la somma di Pfos e Pfoa nell'acqua potabile da 17 impianti di fornitura di acqua potabile lungo il fiume Ruhr era al di sotto di 300 ng/l e che i livelli medi erano tra 50 e 100 ng/l. Nel punto più contaminato di Mohnebogen, il trattamento con carbone attivo si dimostrava efficace nel rimuovere oltre il 50 per cento del Pfoa dall'acqua potabile. La concentrazione iniziale di Pfoa maggiore di 500 ng/l, osservata nel maggio 2006, declinava rapidamente a valori molto al di sotto di 100 ng/l, dopo l'uso di filtri a carbone. Questa concentrazione fu dunque stabilita come uno standard di qualità a lungo termine derivante da valori precauzionali per la salute. Un dato interessante riguardo il caso in Germania è costituito dalle concentrazioni di Pfoa misurate nel plasma sanguigno dei cittadini di Arnsberg, la cui sorgente di acqua potabile nel 2006 era il fiume Mohne contaminato. Tali concentrazioni risultavano da 4.5 a 8.3 volte superiore, rispetto a quello di popolazioni di riferimento nelle città vicine (Siegen, Brilon). Uno studio di follow-up ha dimostrato che l'eliminazione dei Pfc dal corpo umano avviene lentamente (10 per cento all'anno per gli uomini, 17 per cento per le donne e 20 per cento per i bambini). In queste zone, dopo la contaminazione, le concentrazioni di Pfoa e Pfos nell'acqua potabile erano di 640 ng/l, mentre la commissione per l'acqua potabile in Germania aveva derivato una concentrazione critica di 300 ng/l, quale soglia massima per lunghe esposizioni. E rilevante il fatto che le concentrazioni dei Pfas nelle acque di superficie erano pressoché simili a quelle rilevate nelle acque potabili, a causa della enorme idrosolubilità di questi composti. Questi dati fanno riflettere sul fatto che la contaminazione di suoli e falde in breve tempo arriva nei rubinetti dei cittadini;
    in tale quadro, altamente problematico sugli effetti tossici dei Pfas sulla salute umana, si inserisce una relazione del 23 novembre 2016 del professor Giovanni Costa dell'Università di Milano sul monitoraggio annuale effettuato – verosimilmente per conto della società Miteni – sui lavoratori della stessa società, a partire dall'anno 2000 fino all'anno 2016, nonché un estratto delle relazioni sull'attività di sorveglianza svolta dallo stesso professor Costa sui lavoratori della Miteni nell'ultimo quinquennio (2010-2015), con le relative conclusioni per ciascuna annualità74, ma i cui dati di riferimento, cioè gli esami emato-chimici e urinari, sono stati coperti da omissis. Non è stata eseguita in ogni caso alcuna verifica dell'effettivo stato di salute dei lavoratori, dopo anni di assorbimento di sostanze perfluoroalchiliche, che come si è visto sono potenzialmente pericolose specie per lunghe esposizioni, nonché di lentissima espulsione dall'organismo umano;
    tutto ciò precisato a proposito del probabile avvelenamento delle acque e delle sostanze alimentari, determinato dalle sostanze perfluoroalchiliche, deve essere tenuto ben presente che proseguendo, com’è pacifico, l'inquinamento ambientale, a dispetto dei pozzi e dei piezometri installati dalla Miteni, non v’è dubbio che, a partire dal 29 maggio 2015, con l'entrata in vigore della legge n. 68 del 2015, potrebbe essere configurabile, secondo i presentatori del presente atto, il reato di omessa bonifica di cui all'articolo 452-terdecies del codice penale;
    a ciò deve essere aggiunto l'ulteriore fatto che gli scarichi della Miteni, sia quelli che passano attraverso il depuratore consortile di Trissino e poi recapitano nel corso d'acqua Fratta-Gorzone, sia quelli che recapitano direttamente nel torrente Poscola, hanno deteriorato le acque superficiali, facendo superare il limite dello standard di qualità di 0,65 ng/l. Si tratta quindi di una chiara causa-effetto di danno ambientale, per altro misurabile, poiché vi è un limite di riferimento di legge (previsto nel decreto legislativo 13 ottobre 2015, n. 172) e, pertanto, appare configurabile secondo i presentatori del presente atto, nella sua attualità, anche il reato di inquinamento ambientale di cui all'articolo 452-bis del codice penale;
    infine, deve essere posto in evidenza che la Miteni ha anche superato i limiti allo scarico nel torrente Poscola, imposti con l'autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla regione il 30 luglio 2014, in quanto gli accertamenti eseguiti da Arpa hanno appurato il superamento dei valori limiti del Pfoa allo scarico in data 30 ottobre 2014, nonché in data 11 dicembre 2014;
    l'Arpa dovrà effettuare nuove verifiche su tali scarichi anche nel 2016 e, nel caso in cui tali superamenti venissero oggi confermati dall'Arpa, si configurerebbe la violazione della norma contenuta nell'articolo 29-quattordecies, commi 3 e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modifiche interveniate (reato contravvenzionale). Sul punto va ricordato che le prescrizioni dell'Autorizzazione integrata ambientale sul rispetto dei limiti allo scarico da parte della Miteni sono operative a partire dal 30 luglio 2015, cioè a decorrere da un anno dalla data del decreto di autorizzazione AIA, emesso in data 30 luglio 2014;
    emerge evidente la grande confusione che regna nella gestione delle sostanze perfluoroalchiliche da parte della regione e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, gestione che ha minato l'efficacia dei risultati;
    invero, i limiti dei vari Pfas fissati nelle varie matrici ambientali sono incompleti e si riferiscono a sostanze diverse da matrice a matrice. La breve sintesi che segue chiarisce la situazione:
     scarichi della Miteni in corso d'acqua superficiale: fissati dalla Regione con l'autorizzazione AIA, su tutte le sostanze perfluoroalchiliche (Pfos 30 ng/l, Pfoa 500 ng/l e altri Pfas 500 ng/l). Si tratta di limiti uguali a quelli fissati per le acque potabili;
     Csc nelle acque di falda: fissati dalla regione Veneto solo per il Pfoa (500 ng/l);
     standard di qualità delle acque superficiali: fissati con il decreto legislativo 13 ottobre 2015, n. 172, per il Pfos (0,65 ng/l) e per altre 5 sostanze, con i limiti indicati nella tabella riportata nel capitolo 2 della presente relazione;
     scarichi della Miteni in fognatura: stabiliti da Alto Vicentino Servizi Spa, gestore del depuratore di Trissino, che li ha fissati solo per un numero limitato di Pfas e, per di più, con valori altissimi, del tutto privi di efficacia;
     scarichi del depuratore di Trissino nel collettore A.Ri.C.A.: stabiliti da A.Ri.C.A., gestore dei collettore, che li ha fissati con valori ancora molto alti, dapprima in 15.000 ng/l, per la somma Pfoa + Pfos, e poi differenziati come segue PFPeA: 3.500 ng/l, PFHxA 3.500 ng/l, Pfoa: 1.500 ng/l e Pfos: 300 ng/l, anch'essi privi di qualsiasi efficacia;
    i limiti dello scarico Miteni in fognatura, recapitante nel depuratore Alto Vicentino Servizi Spa, sono rispettati, così come sono rispettati i limiti dello scarico Alto Vicentino Servizi Spa nel collettore A.Ri.C.A;
    tuttavia, tali limiti vengono rispettati dalla Miteni solo in ragione del fatto che, per gli stessi, è stata fissata una soglia elevata, molto al di sopra degli standard di qualità dei corsi d'acqua superficiali;
    sono altresì rispettati i limiti di versamento nel torrente Poscola delle acque utilizzate dalla Miteni per la lavorazione e per il successivo raffreddamento degli impianti, considerato che tali acque dopo il prelievo dalla falda vengono trattate con i carboni attivi;
    viceversa, non sono rispettati i limiti della CSC della falda acquifera sotterranea, fissati dalla regione Veneto solo per il Pfoa, posto che i valori riscontrati sono pari a circa sei volte il valore massimo di 500 ng/l, fissato dalla regione, mentre valori molto elevati presentano i Pfos e la somma dei Pfas, per molte migliaia di nanogrammi per litro, come illustrato nello schema contenuto nella «Tabella 3 – Risultati analitici piezometro MW18», riportato nel capitolo numero 6 della relazione sopra citata. Naturalmente, il grave inquinamento della falda determina anche l'inquinamento delle acque superficiali e anche dello stesso torrente Poscola, a causa del prelievo delle acque di falda per l'utilizzo come acque di processo e di raffreddamento, poi scaricate nel torrente, cui consegue in modo quasi circolare il successivo ritorno in falda di tali acque, da cui viene prelevata anche l'acqua potabile, anch'essa naturalmente gravemente inquinata;
    sul punto, è sufficiente un semplice raffronto tra i valori-limite sopra riportati per le acque potabili, prima, del loro trattamento con i carboni attivi, e quelli proposti in ambito US-EPA (400 ng/l per Pfoa e 200 ng/l per Pfos) o tedeschi (100 ng/l, per la somma dei perfluorurati per una esposizione decennale), per rendersi conto della gravità dell'inquinamento tuttora in essere nell'area compresa nelle province di Vicenza, Verona e Padova;
    infine, la regione Veneto, in data 19 dicembre 2016, ha inviato due relazioni, accompagnate dai relativi allegati di riferimento;
    la prima relazione riguarda la «contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (PFASs) nelle acque ad uso umano» (documento di sintesi aggiornato al 31 agosto 2016). In tale documento di sintesi vengono riportati gli esiti dell'aggiornamento relativo alle concentrazioni delle sostanze perfluoroalchiliche nelle acque destinate al consumo umano, sia della rete acquedottistica, sia della rete dei pozzi privati, anche con riferimento alle acque di pozzo privato per abbeverata;
    i risultati delle elaborazioni statistiche sulle analisi effettuate, nel periodo da luglio 2013 a giugno 2016, pongono in evidenza che, per quanto riguarda i pozzi pubblici, la presenza delle sostanze Pfoa e Pfos risulta essere ampiamente contenuta entro i livelli dei limiti di performance fissati dall'Istituto superiore di sanità, mentre per gli altri Pfas, pur essendo i valori di concentrazione rilevati entro i limiti di performance, gli stessi si avvicinano ai livelli limite fissati dall'Istituto superiore di sanità;
    viceversa, per quanto riguarda i prelievi effettuati nei pozzi privati – sempre nel periodo compreso tra il mese di luglio 2013 e il mese di giugno 2016 – eseguiti su 1.064 pozzi per un totale di 1.228 campionamenti, le elaborazioni analitiche pongono in evidenza il superamento dei livelli limite di performance fissati dall'Istituto superiore di sanità nel 17 per cento dei campioni per il Pfoa, nel 9 per cento dei campioni per il Pfos e nel 23 per cento dei campioni per gli altri Pfas;
    in conclusione, sul punto, le analisi eseguite costituiscono la conferma che il fenomeno di inquinamento delle acque potabili da Pfas, è ancora in atto e che le misure poste in essere per il suo contenimento non sono completamente efficaci;
    l'aggiornamento a dicembre 2015 del monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) nelle acque superficiali del Veneto (periodo di riferimento luglio 2013-dicembre 2015) conferma che la fonte dell'inquinamento parte dall'area occupata dalla società Miteni e che il barrieramento in atto dentro e fuori lo stabilimento industriale è tuttora insufficiente a bloccare la diffusione delle sostanze perfluoroalchiliche nei bacini idrografici direttamente collegati alla, fonte della contaminazione;
    infine – come si è visto – la regione Veneto ha promosso una vasta azione sanitaria, per verificare la presenza e gli eventuali effetti su persone e alimenti dei Pfas, mediante l'approvazione di due importanti piani di intervento, un «piano di sorveglianza sulla popolazione esposta alle sostanze perfluoroalchiliche» e un «piano di campionamento per il monitoraggio degli alimenti in relazione alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) in alcuni ambiti della regione dei Veneto». I due piani di intervento prevedono lo screening sanitario su una popolazione di 85.000 persone residenti nella, cosiddetta «area rossa», quale individuata per gli elevati livelli di contaminazione delle acque superficiali e sotterranee ed estesa in ventuno comuni, compresi nelle province di Vicenza, Verona e Padova, nonché il monitoraggio degli alimenti, allo scopo di verificare il livello di contaminazione da Pfas nelle principali produzioni agro-zootecniche dell'area, a rischio e individuare i livelli di sicurezza, di tali contaminanti negli alimenti. I risultati ottenuti dovranno essere correlati ai dati sui consumi alimentari della popolazione della zona a rischio, al fine di stimare l'esposizione per via alimentare, ivi compresa la fonte idrica;
    il direttore della sanità veneta Mantoan risulta essersi sottoposto a plasmaferesi dopo aver riscontrato elevati valori ematici di Pfas nel suo sangue, non sono noti gli esiti di tale trattamento;
    nel percolato di molte discariche del Veneto sono presenti sostanze perfluoroalchiliche in concentrazioni rilevanti, mediamente nella misura di circa 30 mila ng/l. Si tratta di un dato che emerge dalle note dell'ARPA di Verona del mese di ottobre 2016;
    dalle note l'ARPA risulta altresì che il percolato così inquinato non viene trattato solo presso impianti insistenti nella regione Veneto, ma viene esportato presso impianti di altre regioni;
    il documento della Commissione europea del titolo « Occurrence and levels of selected compounds in European Sewage Sludge Samples» del 2012 del titolo precisa che il processo di biodegradazione degli inquinanti organici inizia negli impianti di depurazione (waste water treatment plants – WWTPs), che fungono da fonti puntuali di Pfass sia per gli ecosistemi acquatici, che per l'ambiente terrestre attraverso l'applicazione dei fanghi di depurazione nel suolo e in agricoltura. L'applicazione di fanghi di depurazione come fertilizzante per agricoltura è ampiamente utilizzato in diversi Paesi. L'applicazione di fanghi di depurazione per il suolo può, quindi, essere una potenziale via per i Pfass per entrare nell'ambiente terrestre. Recenti studi hanno dimostrato che l'applicazione di Pfass biosolidi contaminati (fanghi di depurazione) può avere effetti importanti sugli ambienti locali. Sono conosciuti globalmente i gravi inquinamenti in Alabama (USA) con alti livelli di Pfass in campioni di terreno (Pfoa fino a 320 ng/g; Pfos fino a 410 ng/g da Pfass), ma forse il più noto degli inquinamenti da Pfass è avvenuto in Germania (caso Sauerland): nello studio di Robert Loos, del Joint Research Centre, del 21 ottobre 2013, realizzato in collaborazione con l'Ispra, dal titolo « Perfluorinated Chemicals, especially Perfluorinated Alkyl Sulfonates and Carboxylats: European Distribution and legislation» furono pubblicati i risultati degli studi sulle acque superficiali lungo il fiume Mohne contaminate da PFC, la cui causa principale di inquinamento era rinvenibile nell'uso abnorme di inquinati ammendanti sui terreni agricoli. L'ammendante venne distribuito su più di 1.300 terreni agricoli tra il 2000 e il 2006, con la massima concentrazione di Pfoa e Pfos, che si aggiravano tra i 2,4 e 33 mg/Kg; le matrici ambientali principalmente colpite furono la contaminazione di acqua potabile, mentre i campioni di suolo contenevano più Pfos che Pfoa. Un biomonitoraggio umano ha rivelato 4-8 volte l'aumento delle concentrazioni ematiche di Pfoa nei residenti esposti ad acqua potabile contaminata rispetto alla popolazione di riferimento;
    in pratica, anche i fanghi di depurazione civile prodotti in queste aree risentono della contaminazione, addirittura concentrando tali sostanze che verranno riversate nuovamente sui suoli con lo spandimento. In Italia non risulta alcun monitoraggio della presenza dei Pfas nei fanghi di depurazione neppure nelle regioni più impattate (Veneto, Lombardia, Toscana) e prosegue un fiorente «turismo dei fanghi» con oltre 100.000 tonnellate di fango tal quale che viaggiano ogni anno dal Veneto alla Lombardia per non parlare di percolati di discariche giunti per esempio a Castiglione delle Stiviere (Mantova) dalla discarica di San Martino Buonalbergo (Verona) e trattati senza alcun filtro per i Pfas, scaricati in corpo idrico superficiale; è in discussione in commissione ambiente alla Camera la risoluzione Zolezzi 7-00925 che intende impegnare il Governo anche su tale argomento,

impegnano il Governo:

   a predisporre iniziative normative per la dichiarazione dello «stato di emergenza» nell'area sopra indicata, prevedendo in tale contesto un'azione coordinata con gli enti locali volta alla immediata chiusura della Miteni di Trissino (Vicenza) e alla successiva bonifica;
   ad assumere iniziative per vietare la produzione di Pfas a lunga e corta catena su tutto il territorio nazionale e a monitorare con grande attenzione il rispetto dei limiti per gli stabilimenti che eseguono manifattura su composti che li contengano;
   ad assumere le iniziative di competenza per applicare il principio del «chi inquina paga» e per rivalersi al più presto sulla Miteni e su altri eventuali inquinatori per il danno ambientale;
   a promuovere uno studio epidemiologico e di sorveglianza sanitaria sui lavoratori della Miteni degli ultimi 20 anni;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per il ricollocamento di tutti i lavoratori della Miteni;
   ad assumere iniziative di competenza per garantire un approvvigionamento idrico sicuro in tutte le aree colpite e per finanziare nuovi allacciamenti idrici nei territori più colpiti;
   ad assumere iniziative per uniformare i limiti dei Pfas a quelli più stringenti esistenti a livello internazionale;
   ad assumere iniziative per avviare una procedura per avere prodotti con marchio « Pfas free»;
   ad assumere iniziative per finanziare la ricerca per trovare metodi alternativi ai filtri a carbone per il filtraggio delle acqua e la bonifica dei terreni;
   a verificare la presenza di inquinanti nei prodotti destinati all'alimentazione umana (come uova, pesce, carne e altro) e ad assicurare la rimozione degli stessi dal mercato;
   ad assumere iniziative per finanziare la ricerca per trovare sistemi per depurare il sangue dai Pfas, valutando fra l'altro l'efficacia della plasmaferesi;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per promuovere monitoraggi sui fanghi di depurazione e sui percolati dell'area inquinata trattandoli come rifiuti speciali pericolosi e bloccando il «turismo dei rifiuti» che sta portando sui suoli di altre regioni tali gravi inquinanti senza alcuna cautela;
   a promuovere, per quanto di competenza, monitoraggi dei Pfas in tutte le regioni italiane potenzialmente colpite dall'inquinamento e a pubblicare i risultati in tempi brevi.
(7-01297) «Zolezzi, Nesci, Benedetti, Businarolo, Busto, Daga, De Rosa, Fantinati, Micillo, Spessotto, Terzoni, Vignaroli».


   La X Commissione,
   premesso che:
    tra i principi che l'Unione europea pone a fondamento del suo operato, acquistano particolare rilevanza le misure volte a tutelare la salute dei suoi cittadini, così come ribadito nella stessa Carta dei diritti fondamentali;
    la tutela della salute si esplica, tra le altre cose, attraverso la libera circolazione dei prodotti di consumo sicuri, principio stesso del mercato unico e fonte di fiducia per i consumatori al momento dell'acquisto dei beni;
    al fine di garantire la piena sicurezza dei prodotti commercializzati nel mercato interno, assume carattere di urgenza la necessità di introdurre misure e procedimenti che garantiscano l'identificazione e la tracciabilità dei prodotti lungo la catena della produzione;
    le citate misure consentirebbero una più agevole identificazione degli operatori economici e, conseguentemente, l'adozione di misure di contrasto come l'eventuale ritiro mirato delle merci;
    le merci dovrebbero conseguentemente riportare le informazioni, necessarie all'identificazione dei produttori e, nel caso, degli importatori, quali paese d'origine, nome e indirizzo dell'impresa produttrice;
    i dati citati consentirebbero un'immediata identificazione dell'origine delle produzioni, con la conseguente adozione di misure di contrasto alla diffusione di prodotti non sicuri, in un contesto in cui sarebbero molteplici, oggi, i casi di produttori che, per errore nelle comunicazioni o per volontà, risulterebbero irrintracciabili ovvero di indirizzi forniti difformi da quelli effettivi di produzione;
    le citate informazioni, che si inserirebbero in un trasparente ed efficiente sistema di tracciabilità dei prodotti, darebbero un significativo contributo alle autorità di vigilanza dei mercati nelle attività di individuazione dei siti di produzione effettivi, oltre che rendere possibile una migliore collaborazione e un più efficace scambio di dati con le autorità del Paese d'origine, nel quadro della cooperazione bilaterale o multilaterale sulla sicurezza dei prodotti di consumo, al fine di intraprendere eventuali azioni di monitoraggio;
    l'articolo 7 della proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei prodotti di consumo COM(2013)78, in discussione a Bruxelles, prevede l'obbligo, a carico di fabbricanti e importatori, dell'indicazione dell'origine dei prodotti, secondo quanto dispone il codice doganale comunitario;
    è il caso di rilevare che il dibattito attorno al citato articolo 7 della proposta di regolamento avrebbe fatto emergere alcune criticità e alcuni ritardi;
    in particolare, c’è da segnalare che, nonostante un primo voto favorevole dell'europarlamento nel 2014, il Consiglio «competitività», presieduto, tra l'altro, dal Governo italiano, deliberò di procedere ad uno studio tecnico sui costi/benefici dell'obbligo di indicazione dell'origine;
    al fine di superare questa fase di stallo nell'esame del provvedimento, situazione determinata dalla posizione assunta da alcuni Stati membri, sono state avanzate, senza però alcun seguito, diverse proposte sia per quanto concerne l'eventualità di applicare temporaneamente e settorialmente l'articolo 7, sia per quanto riguarda il raggiungimento di un compromesso sull'introduzione dell'etichettatura obbligatoria, riguardante un periodo limitato di 3 anni e solo in cinque settori manifatturieri (calzaturiero, tessile, abbigliamento, ceramica, legno arredo e oreficeria), ovvero quei settori che trarrebbero più vantaggi dall'introduzione del «made in» obbligatorio;
    il progetto di un marchio ad uso volontario noto come «contrassegno made in Italy», in discussione presso il Ministero dello sviluppo economico, pur presentando indubbi profili positivi, non può in alcun modo ovviare alla mancanza di una norma comunitaria sull'indicazione dell'origine;
    in materia di indicazione dell'origine, la sensibilità degli Stati membri sono molto diverse, tanto che, un numero significativo di essi si è sempre dichiarato a favore dell'introduzione del made in Italy e considerato che l'articolo 20 del Trattato sull'Unione europea prevede la possibilità di instaurare una cooperazione rafforzata nel quadro delle competenze non esclusive dell'Unione;
    con la dichiarazione di Roma adottata il 25 marzo 2017, gli Stati membri hanno ribadito il loro impegno a continuare ad agire congiuntamente, ma se necessario a ritmi e con intensità diversi, procedendo nella stessa direzione, in linea con i Trattati e lasciando la porta aperta a coloro che desidereranno associarsi successivamente,

impegna il Governo

a verificare con urgenza la disponibilità di altri Stati membri ad instaurare una cooperazione rafforzata, aperta a tutti gli altri, nel settore della sicurezza di alcuni prodotti di consumo, con l'obiettivo di introdurre l'obbligo dell'indicazione dell'origine nei settori delle calzature, del tessile-abbigliamento, della ceramica, del legno per arredo e dell'oreficeria e di avanzare in tal senso formale richiesta alla Commissione europea, a norma dell'articolo 329 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
(7-01298) «Vallascas».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   una scandalosa gestione delle risorse idriche nel comprensorio irriguo del Cixerri tra Iglesias, Domusnovas e Villamassargia sta mettendo in ginocchio centinaia di attività agricole;
   l'irresponsabilità nella gestione delle risorse idriche nel primo comprensorio irriguo del Consorzio di bonifica del Cixerri è la rappresentazione grave di quanto stia avvenendo nella gestione della crisi idrica;
   in questi ultimi anni vi è stata una gestione dissennata delle risorse idriche sia della diga di Punta Gennarta che di quella di Medau Zirimillis, ormai ai minimi termini, ma, nel contempo, non si sono attivate tutte quelle connessioni esistenti finanziate e realizzate con interventi statali e in particolar modo attraverso i poteri commissariali in capo al presidente della regione tra il 2001-2003 per spostare l'acqua dai bacini pieni verso le aree deficitarie;
   si registra una situazione che da settimane sta facendo mancare l'acqua ai consorziati creando enormi danni all'economia agricola del territorio, da Iglesias, Villamassargia e Domusnovas;
   la negligenza si registra nella gestione e nella programmazione della risorsa idrica e, in particolar modo, quelle opere emergenziali che furono realizzate negli anni passati e che ora risultano gravemente inutilizzate;
   i responsabili di questa situazione si trincerano tutti dietro il «non c’è acqua»;
   tutto questo, ad avviso dell'interpellante, non solo non corrisponde a realtà, ma conferma l'incapacità di dare risposte serie ad un problema grave;
   il bacino del Cixerri è nelle condizioni di essere connesso direttamente con il sistema del Flumendosa e con lo stesso Tirso proprio in virtù di quella politica delle interconnessioni dei due grandi bacini idrografici che furono avviate e realizzate dal commissario governativo per l'emergenza idrica e presidente della regione tra il 2001 e il 2003;
   l'acqua si può far arrivare dalla diga di Gonna is Abis (Uta) sino al primo comprensorio irriguo del Cixerri (Iglesias);
   le condotte realizzate allora dal commissario governativo con i fondi statali per l'emergenza idrica avevano consentito e consentono di portare l'acqua dalle miniere di Iglesias a Cagliari;
   si tratta di opere concepite per essere bidirezionali, ovvero con l'acqua che può essere trasferita a Cagliari, ma può anche fare il percorso inverso;
   basterebbe questo elemento per non far mancare l'acqua nemmeno un'ora nel comprensorio irriguo del Cixerri, visto che la diga di Genna is Abis (Uta) è al massimo invaso;
   tutto questo non solo non è avvenuto, ma si sta lasciando che i campi da settimane siano privi della necessaria continuità irrigua con danni gravissimi soprattutto per le colture ortive;
   è evidente che se non ci saranno risposte immediate con il ripristino dell'erogazione si configura una vera e propria interruzione di pubblico servizio, considerato che, tra l'altro, nelle campagne vivono migliaia di persone;
   si registra un'assenza grave di una politica gestionale delle risorse idriche nel Sulcis e la gestione dei consorzi è, secondo l'interpellante, semplicemente scandalosa insieme al governo della risorsa idrica a livello regionale;
   si sta omettendo il pieno utilizzo della connessione del sistema Flumendosa col Cixerri, con la Diga di Medau Zirimillis a Siliqua e col sistema Basso Sulcis con la Diga di Bau Pressiu, finanziata con fondi statali e commissariali nel 2002;
   si stanno mortificando, tenendole inutilizzate, opere realizzate sin dal 1991 per rimpinguare il bacino di Punta Gennarta sin dagli inizi ritenuto deficitario. Dalla captazione del Rio Spirito Santo alla traversa sul Rio S. Giovanni di Domusnovas, subito a valle delle grotte;
   si tratta di risorse idriche che potevano essere recuperate e accumulate nella diga di Punta Gennarta, vista la carenza, e che sono, invece, finite irresponsabilmente a mare;
   a questo si aggiunge che alcune stazioni di pompaggio sono state letteralmente vandalizzate, impedendo l'utilizzo delle reti di connessione tra le acque del Flumendosa, Genna is Abis e il Sulcis a partire dalla diga di Medau Zirimillis;
   la pompa di rilancio nella stazione di pompaggio di Villamassargia, a quanto consta all'interpellante, è stata impunemente rubata con vari soggetti che si rimpallano le responsabilità, con il risultato che le campagne sono a secco nonostante l'esistenza delle infrastrutture per far arrivare l'acqua da più fronti;
   è necessario attivare immediatamente la connessione con il Flumendosa (Genna is Abis) e il primo comprensorio irriguo, Iglesias, Domusnovas e Villamassargia;
   è necessario riattivare immediatamente la stazione di rilancio di Villamassargia con la diga di Medau Zirimillis;
   si registrano già milioni di euro di danni ed enormi disagi a carico dei cittadini e degli agricoltori sardi che sono un disastro di cui qualcuno deve rispondere –:
   se non intenda il Governo assumere ogni iniziativa di competenza per l'esercizio di poteri commissariali in relazione all'emergenza idrica, alla pari di quanto avvenuto nel 2002-2003 per dare risposte immediate già dai prossimi giorni;
   se non intenda adottare iniziative urgenti, per quanto di competenza, al fine di evitare che venga procrastinata l'interruzione di pubblico servizio nell'area del Sulcis Iglesiente e nel resto della Sardegna.
(2-01856) «Pili».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   dal 1o luglio 2017 l'Agenzia delle Entrate-riscossione, agenzia che subentra ad Equitalia, potrà provvedere direttamente al pignoramento dei conti correnti bancari dei contribuenti in caso di debiti fiscali, senza richiedere l'apposita autorizzazione al giudice; pertanto sarà possibile il pignoramento dei conti correnti di agricoltori e pastori in caso di debiti fiscali; questi potrebbero anche perdere quindi i contributi del Psr (Piano di sviluppo rurale) che lo Stato dovesse decidere di erogare dopo anni di ritardi;
   si tratta per l'interpellante di una vera e propria «beffa» ancora un provvedimento che segna un nuovo grande attacco alle aziende agropastorali della Sardegna;
   si tratta di un'operazione senza precedenti visto che il decreto istitutivo della agenzia che subentra ad Equitalia avrà il potere di prelievo diretto nei conti senza bisogno di autorizzazione del giudice;
   se il Governo dovesse decidere di pagare le centinaia di milioni di euro arretrati dei fondi dello sviluppo rurale, in un attimo quei contributi passerebbero dal conto corrente di pastori e agricoltori a quelli dell'Agenzia delle Entrate – Riscossione, per saldare eventuali mancati pagamenti della cartella esattoriale;
   tutto questo per colpa di quei fondi che lo Stato avrebbe dovuto erogare già due anni fa e che, invece, ha tenuto per sé, facendo indebitare tutto il sistema agricolo della Sardegna;
   questo prelievo forzoso va bloccato sul nascere prima che sia troppo tardi;
   il mondo delle campagne non può sopportare un ulteriore assalto e gli effetti sarebbero devastanti sotto ogni punto di vista;
   sarebbe opportuno per l'interpellante che il Governo predisponga un decreto per dichiarare impignorabili i fondi compensativi del reddito agricolo e degli stessi investimenti del piano di sviluppo regionale, raccogliendo in tal modo la pressante e allarmata preoccupazione del mondo delle campagne rispetto ad un provvedimento che rischia di essere letale per l'agropastorizia sarda;
   i gravissimi ritardi nei pagamenti del piano di sviluppo rurale regionale della Sardegna hanno provocato tre drammatici effetti:
    1) gli agricoltori hanno fatto gli investimenti, indebitandosi, consapevoli della copertura di quei finanziamenti, ma quei fondi non sono mai arrivati; sono fermi da anni;
    2) per realizzare gli investimenti gli agricoltori hanno dovuto fare ricorso alle banche; per pagare i debiti e salvare le aziende gli agricoltori e i pastori hanno dovuto rinunciare, loro malgrado, a pagare gli oneri fiscali e i contributi esorbitanti previdenziali, in attesa di potervi provvedere in tempi migliori;
    3) ora, con la crisi delle campagne, la siccità, il crollo dei prezzi, gli indebitamenti, i mancati pagamenti, le aziende agropastorali della Sardegna sono sotto attacco. Un dramma senza precedenti e l'Agenzia delle Entrate – Riscossione è pronta a prelevare dai conti correnti bancari degli agricoltori e pastori le somme inevase; attendendo solo che lo Stato versi il dovuto;
   di fatto lo Stato, secondo l'interpellante, con una mano restituirà alle campagne il dovuto e con l'altra, tramite l'Agenzia delle Entrate – Riscossione e le Banche, se lo riprenderà senza colpo ferire;
   quei 200 milioni e passa di euro che lo Stato e la regione devono agli agricoltori entreranno direttamente nelle casse dello Stato e il gioco sarà fatto;
   si genera una voragine incredibile, senza precedenti, viste le sofferenze del settore agricolo e zootecnico sardo in campo fiscale e previdenziale;
   l'Agenzia delle Entrate avrà libero accesso alle banche dati Inps e alle informazioni dei contribuenti e, dal 1o luglio 2017, potrà disporre il pignoramento del conto corrente senza l'autorizzazione giudiziaria. E la partita sarà chiusa: lo Stato si sarà ripreso quello che poco prima aveva restituito agli agricoltori per i marcati e ritardati pagamenti;
   occorre bloccare quella che appare all'interpellante un'azione sconsiderata dello Stato. È impensabile che lo Stato, generatore di ritardi, mancati pagamenti e indebitamenti possa compiere un atto come questo;
   le somme destinate agli investimenti in agricoltura devono essere dichiarate impignorabili;
   si tratta di un duplice danno agli agricoltori, mancati pagamenti e prelievo forzoso dai conti correnti, significa distruggere agricoltura e pastorizia;
   è in gioco il futuro di un settore chiave dello sviluppo e della vita della Sardegna: l'agropastorizia –:
   se non ritenga il Governo di dover assumere iniziative normative urgenti per rendere impignorabili le somme relative alle indennità compensative, fondi del Piano di sviluppo rurale e fondi destinati allo sviluppo infrastrutturale ed economico delle aziende agricole, con particolare riferimento alla Sardegna;
   se non ritenga di dover assumere iniziative urgenti per riconoscere lo stato di emergenza nazionale legato alla siccità e contemplare nello stesso provvedimento la misura di impignorabilità di quelle somme destinate allo sviluppo agricolo, anche affidando poteri commissariali ad organi della regione sia per garantire l'urgente pagamento degli arretrati in agricoltura, sia per gli interventi infrastrutturali urgenti per fronteggiare l'emergenza idrica in Sardegna.
(2-01857) «Pili».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   con lettera del 13 giugno 2017 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha proposto la nomina dell'attuale assessore regionale dei trasporti della Sardegna a presidente dell'Autorità di sistema portuale del mare di Sardegna;
   il 15 settembre 2016 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 169 del 2016 recante norme per la riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della disciplina concernente le autorità portuali, che attua normativamente quanto delineato nel Piano strategico nazionale della portualità e della logistica con riferimento alla riduzione del numero e alla riforma della governance delle autorità portuali, che vengono soppresse e sostituite dalle nuove 15 Autorità di sistema portuale;
   il nuovo assetto normativo prevede che il presidente dell'Autorità di sistema portuale è nominato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il presidente o i presidenti delle regioni interessate, restando la nomina assoggettata al parere parlamentare ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 14 del 1978;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha indicato – ai fini dell'acquisizione della prescritta intesa – l'attuale assessore regionale dei trasporti della regione Sardegna, sul quale la regione Sardegna ha espresso l'intesa il 9 giugno 2017;
   appare sin troppo evidente che tale proposta di nomina presenta, per l'interpellante, profili di assai dubbia legittimità, considerate le norme vigenti in materia di incompatibilità e inconferibilità sia temporale che funzionale e risulta condizionata e gravata da valutazioni politiche, correntizie e di rapporti personali e amicali, con condotte amministrative discutibili, con operatori commerciali privati;
   la norma disciplinata da decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 reca: disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190 e prevede, all'articolo 7 «Inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale», stabilendo che: «1. A coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della regione che conferisce l'incarico, ovvero nell'anno precedente siano stati componenti della giunta o del consiglio di una provincia o di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti della medesima regione o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione, oppure siano stati presidente o amministratore delegato di un ente di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione ovvero da parte di uno degli enti locali di cui al presente comma non possono essere conferiti: a) gli incarichi amministrativi di vertice della regione; b) gli incarichi dirigenziali nell'amministrazione regionale; c) gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello regionale; d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico di livello regionale»;
   è fin troppo evidente che tale disciplina di inconferibilità debba intendersi riferita ad incarichi di natura pubblica la cui funzione amministrativa interessi l'insieme del territorio regionale e non già la sola istituzione regione;
   le caratteristiche insulari che racchiudono le competenze dell'autorità di sistema nell'ambito esclusivo del territorio regionale della Sardegna fanno sì che tale nomina rientri senza alcun dubbio nell'ambito della inconferibilità di cui alla norma richiamata;
   «l'intesa» del presidente della regione rende ancora più cogente ed esemplare la «concorrenza paritaria» tra Stato e regione della nomina del presidente del Sistema portuale della Sardegna;
   l'intesa richiamata conferma e conferisce ancora maggiore pregnanza alla considerazione di analogia dell'Autorità portuale della Sardegna con gli enti e le autorità richiamate esplicitamente nella norma relativa alla inconferibilità e incompatibilità funzionale e temporale dell'incarico stesso;
   è utile richiamare la modifica di natura statutaria intervenuta nella modifica dell'articolo 8 dello Statuto speciale della regione Sardegna laddove, attraverso norma ordinaria, è stata introdotta una modifica di competenze che ha attribuito di fatto «la continuità territoriale» alla competenza primaria della regione Sardegna;
   è, dunque, fin troppo evidente che tale nomina seppur di competenza formale del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con la vincolante e obbligatoria intesa del presidente della regione, riguarda esplicitamente per l'interpellante una competenza che è quantomeno concorrente;
   l'esclusiva delimitazione alla regione Sardegna, intesa come territorio, dell'Autorità richiamata costituisce chiarissimamente ulteriore condizione di evidente inconferibilità dell'incarico stesso ad un membro della giunta regionale della Sardegna;
   la stessa evidente condizione obbligatoria e vincolante dell'intesa con la regione Sardegna conferisce, a giudizio dell'interpellante, a tale incarico un'evidente pertinenza regionale sia sul piano territoriale, che per quanto riguarda la stessa concorrente emanazione –:
   se non si ritenga ci siano i presupposti per revocare tale decreto di nomina alla luce di quelli che appaiono all'interrogante i profili di più che dubbia legittimità richiamati in premessa relativamente all'inconferibilità di incarichi relativi ad enti demandati al governo di realtà regionali o con la diretta obbligatoria e vincolante concorrenza con la stessa regione.
(2-01858) «Pili».

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le organizzazioni sindacali marchigiane del comparto scuola esprimono molta preoccupazione in vista del nuovo anno scolastico nelle aree colpite dal terremoto;
   dopo aver sollecitato per circa sette mesi un incontro tra la regione, l'ufficio scolastico regionale e i sindaci del cratere, finalmente nei giorni scorsi c’è stata la notizia dell'avvenuta riunione;
   i sindacati dichiarano che: «L'esito dell'incontro, da quanto risulta, ha visto confermate le priorità che le Organizzazioni Sindacali avevano già individuato e incluso in numerosi documenti, compresi quelli presentati in audizione davanti al Ministero della Pubblica Istruzione il 30 gennaio scorso. Temiamo però che – i toni della nota si fanno più pungenti – l'azione della Regione rappresenti purtroppo lo sforzo tardivo di mettere mano a una situazione delicata che avrebbe meritato attenzione immediata e ben altre tempistiche di intervento. Le soluzioni individuate (mantenimento di classi e Organici precedenti al sisma per tre anni) durante l'incontro con i sindaci, per quanto corrette, rischiano di essere vanificate dalla già avvenuta definizione delle dotazioni organiche, soprattutto per quanto riguarda la scuola dell'infanzia, l'istruzione primaria e secondaria di primo grado»;
   per tutelare il futuro dei territori colpiti dal sisma e la professionalità del personale docente, occorre che sia approvato in tempi rapidi il decreto finalizzato allo sblocco di risorse specifiche per l'organico aggiuntivo a servizio delle scuole del cratere sismico il cui iter è in corso da molto tempo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per la firma del Presidente;
   gli studenti marchigiani dei centoquaranta comuni del cratere sismico, grazie a un accordo tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Associazione editori avranno la possibilità di ottenere i libri di testo gratuiti, tuttavia rischiano non vedersi garantite scuole e personale docente –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, e quali iniziative intenda mettere in campo, per quanto di competenza, per garantire l'organico aggiuntivo a servizio delle scuole del cratere sismico, necessario per il futuro di studenti, territorio e personale scolastico;
   quali siano i motivi che non consentono l'approvazione immediata del decreto del Presidente del Consiglio finalizzato a destinare le risorse necessarie all'aumento dell'organico di docenti, amministrativi e collaboratori. (4-17087)


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 1994, in località Pantanizzi, nel comune di Siderno (Reggio Calabria), è esploso un reattore del Laboratorio/BP – intermedi organici farmaceutici. Sarebbero, da notizie di stampa, ben 77 le sostanze cancerogene, genotossiche, teratogene, ecotossiche, irritanti e corrosive contenute all'interno di centinaia di bidoni, a tutt'oggi, abbandonati a Siderno (Reggio Calabria). Due sono i principali rischi: l'emissione di veleni nell'aria (l'idrazina ed il diclorobenzene arrecano danni cronici anche a bassissime concentrazioni) e lo sversamento nel terreno e, dunque, l'infiltrazione nelle falde acquifere con danni irreparabili per l'ambiente e per la salute umana;
   con ordinanza del commissario n. 2467 del 5 maggio 2003 è stata disposta ed eseguita una prima parziale bonifica con la quale sono state smaltite 549 tonnellate di rifiuti tossici, ben al di sopra delle 300 inizialmente previste dal piano dei lavori. Ciononostante, sarebbero 900 le tonnellate ancora da smaltire a soli 50 metri dalle case e non molto lontano dal centro cittadino che verrebbe coinvolto in caso di imprevisti;
   molti dei fusti contenenti i rifiuti sono deteriorati e si assiste alla fuoriuscita di materiale e alla conseguente propagazione nell'atmosfera delle sopra esposte sostanze tossiche;
   a Siderno sono in aumento tumori e morti per leucemia ed il sindaco, in più occasioni, ha chiesto, senza ottenerlo, un intervento urgente della regione Calabria e del Governo e sta informando – l'ultima nota è del 20 giugno 2017 – sui danni per l'ambiente e la salute dei cittadini che vi abitano;
   negli ultimi tredici anni, a quanto consta all'interrogante, negli archivi del dipartimento ambiente della regione Calabria non vi è traccia di alcuna domanda formale di inserimento nei piani di bonifica della suddetta area –:
   se con urgenza non ritenga di promuovere, per quanto di competenza, iniziative atte a verificare il livello di inquinamento del territorio in questione, anche attraverso il comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, nell'ottica di pervenire a una efficace quanto urgente messa in sicurezza dell'area citata che i cittadini attendono da ben 13 anni. (4-17090)


   PAGLIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per lo sport. — Per sapere – premesso che:
   Dal 2 al 4 giugno 2017 si è svolta a Pesaro l'unica tappa italiana delle World League 2017 di pallavolo, con la partecipazione di 4 tra le migliori 8 squadre di volley a livello internazionale (Brasile, Polonia, Iran, Italia);
   nel corso della tre giorni di eventi sportivi, attivisti dell'associazione Neda Day – che si occupa dei diritti delle donne iraniane spesso e volentieri negati dal Governo di Teheran – e militanti politici dei locali partiti di sinistra hanno attivato manifestazioni pubbliche a favore della campagna «Let Iranian Women Enter Their Stadiums», consistenti nella distribuzione di magliette con questa scritta agli spettatori, nonché nell'esposizione di striscioni riproducenti il medesimo slogan, in occasione delle partite che avrebbero visto coinvolta la nazionale iraniana;
   tali volontà erano state pubblicamente espresse, risulterebbe agli interroganti, sia attraverso un'informativa alla Digos, una conferenza stampa e un presidio presso il Palasport (Adriatic Arena) di Pesaro, teatro degli incontri sportivi, sia tramite una lettera che il presidente dell'associazione Neda Day, dottor Taher Djafarizad, ha inviato al Coni e alle Federazioni nazionali e regionali di pallavolo;
   durante la giornata del 2 giugno (Festa della Repubblica), in occasione della partita Italia-Iran, gli attivisti hanno distribuito circa 200 magliette, non riscontrando alcun problema all'ingresso del Palasport; successivamente, una delegazione di 8 persone, guidata dal presidente dell'associazione Neda Day è entrata per esporre due striscioni; se dapprima non si sono registrate reazioni, dopo circa mezz'ora dall'inizio della partita, gli uomini dell'organizzazione (FIVB) avrebbero chiesto ai manifestanti di spostare gli striscioni in modo che non fossero ripresi dalle telecamere (la partita era trasmessa in diretta in più Paesi, tra cui l'Iran), ottenendo che lo striscione più grosso fosse effettivamente spostato; di fronte al diniego di una ragazza belga di origine iraniana di spostare anche lo striscione più piccolo, l'organizzazione ha ritenuto di fare intervenire polizia e carabinieri per raggiungere lo scopo, arrivando a portarla via di peso – come dimostrano diversi video pubblicati anche da testate giornalistiche nazionali – e a scortarla e circondarla in un atrio del Palasport fino al termine della gara;
   come affermato in una nota ufficiale della Fipav (Federazione italiana pallavolo) «la decisione di far intervenire le forze dell'ordine per rimuovere alcuni striscioni inneggianti la richiesta di permettere l'ingresso negli impianti di gioco alle donne iraniane è stata presa dalla Federazione Internazionale rappresentata nell'occasione dal Supervisor della competizione che ha accolto la richiesta del team manager dell'Iran. Il dirigente iraniano ha infatti minacciato il Supervisor che in caso di non intervento la tv iraniana avrebbe interrotto la trasmissione in diretta della partita nel proprio paese»;
   la Costituzione italiana, all'articolo 21, garantisce a tutti la libertà di pensiero e di espressione – e gli interroganti ritengono che la scritta «Let Iranian Women Enter Their Stadiums» impressa sugli striscioni incriminati non sia «contraria al buon costume» – e che negli stadi italiani sia spesso lasciato libero sfogo alla proclamazione delle peggiori nefandezze, talvolta permettendo comportamenti delle tifoserie che si ispirerebbero ad ideologie fasciste ponendosi in contrasto con i principi costituzionali; non si comprende pertanto il motivo per cui sia stata impedita un'azione in favore dei diritti delle donne, peraltro su quella che appare agli interroganti un'inaccettabile pressione di uno Stato estero su uno Stato sovrano –:
   se il Governo non intenda chiarire in maniera dettagliata l'azione delle forze dell'ordine nel caso in oggetto, nonché contribuire a far piena luce, per quanto di competenza, su quali passaggi si siano attivati e su pressione di chi;
   se non intendano acquisire elementi in merito alle ragioni di quello che appare un comportamento censorio della FIVB, che ha poi portato a una palese limitazione di un diritto costituzionalmente garantito. (4-17094)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SPADONI, GRANDE e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano online sigmagazine.it, ha pubblicato una notizia relativa alla nomina a Grand'Ufficiale dell'Ordine della Stella d'Italia, carica prestigiosa assegnata dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, del Chief Executive Officer (CEO) di British American Tobacco, dottor Nicandro Durante;
   la British American Tobacco (BAT) ha in passato largamente finanziato la fondazione OPEN riconducibile all'ex Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, oltre che ad altri ex ministri, nonché membri del Governo attualmente in carica, come Maria Elena Boschi (la BAT risulta essere uno dei primi finanziatori con 150 mila euro versati in due anni, come si può evincere dal sito online fondazioneopen.it) –:
   quali siano stati gli elementi che hanno portato alla proposta di assegnazione dell'onorificenza, quali siano stati i meriti del CEO della British American Tobacco e se tale procedimento possa essere risultato condizionato da fattori estranei ai requisiti previsti dalla normativa vigente, nonché se non ritenga che una così alta onorificenza vada di fatto in contrasto con la Convenzione internazionale per il controllo sul tabacco (FCTC) siglata e ratificata anche dallo Stato italiano. (5-11660)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 dicembre 2016 è stata approvata la relazione di aggiornamento sulla situazione dei lavori di bonifica del sito di interesse nazionale Laghi di Mantova e polo chimico della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati;
   è stata evidenziata la permanenza di notevoli criticità di tipo ambientale all'interno del sito (superamento dei limiti di legge del parametro pcdd/pcdf scarsamente solubile nell'area IES ex Belleli, presenza di benzene fino a 177.000 volte i limiti di legge);
   è stata riscontrata: la presenza di cloruro di vinile e benzene in piezometri ubicati oltre gli sbarramenti idraulici presenti nel polo chimico; si conferma la presenza di contaminazione di natura idrocarburica in alcuni piezometri e pozzi ubicati in area di proprietà Versalis lungo il canale diversivo che svolge un'azione di richiamo della falda, a causa della struttura drenante presente sotto l'alveo;
   questi dati confermano la persistenza di passaggio di sostanze inquinanti nell'ambiente esterno sito di interesse nazionale e in particolare nel fiume Mincio;
   l'elaborazione dei livelli di falda misurati durante la campagna acque 2015 ha messo in evidenza l'elevata influenza esercitata dai corsi d'acqua superficiali, ed in particolare il fiume Mincio, il canale Sisma e il canale Diversivo:
    il fiume Mincio costituisce l'elemento idrografico più importante alla cui quota la falda tende a livellarsi e stare in equilibrio; il Mincio e le aree umide ad esso collegate costituiscono di fatto il bersaglio ultimo della contaminazione presente nel polo chimico;
    il canale Sisma non dovrebbe oggi rappresentare un bersaglio della contaminazione;
    il canale Diversivo esercita, invece, un'importante azione drenante nei confronti della falda anche in sponda destra, lato petrolchimico, a causa delle caratteristiche costruttive che vedono sotto l'alveo lastricato in cemento uno spessore di circa 3 metri di ciottoli di grandi dimensioni finalizzato ad evitare le sottopressioni idrauliche; il Diversivo costituisce di fatto un bersaglio della contaminazione;
   il flusso di falda verso il canale Diversivo stato confermato anche dal modello matematico predisposto da Versalis per lo stabilimento Eni, secondo cui nei periodi dell'anno in cui il livello idrico del canale Diversivo viene mantenuto basso può verificarsi un flusso dall'interno dello stabilimento verso il canale; la fascia interessata sarebbe, secondo il modello predisposto da Versalis, limitata ad un buffer di circa 100 metri dal canale. I risultati della Campagna acque 2015 indicano, però, che le acque sotterranee in questa fascia sono contaminate da idrocarburi, composti organici aromatici e solventi clorurati. Inoltre, secondo le elaborazioni sulla profondità della falda effettuata da Arpa utilizzando anche i livelli freatimetrici misurati in aree esterne allo stabilimento Eni, sembrerebbe che il richiamo del canale Diversivo sia più esteso ed arrivi fino alle aree poste più a nord (Industria Colori Freddi, deposito nazionale IES, Itas, Sogefi, Enipower);
   pertanto, tenuto conto che la società Versalis svolge un costante monitoraggio idrologico ed idrogeologico, nella relazione viene ribadita la necessità che Versalis calcoli la portata e l'altezza idrica minima del canale Diversivo necessaria ad evitare che si instauri l'azione drenante e siano invece preponderanti i meccanismi di alimentazione della falda –:
   se i Ministri interrogati abbiano acquisito i dati idrogeologici raccolti da Versalis e intendano interfacciarsi con l'Aipo per ottenere la garanzia della portata e dell'altezza idrica minima del canale Diversivo necessaria ad evitare che si instauri l'azione drenante e siano invece preponderanti i meccanismi di alimentazione della falda;
   se i Ministri interrogati intendano adoperarsi per bloccare il passaggio di contaminanti fuori dal sito di interesse nazionale di Mantova, in particolare attraverso il canale Diversivo. (5-11666)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la relazione della Commissione per la verifica degli atti relativi alle discariche private in esercizio per rifiuti non pericolosi site nel territorio siciliano, istituita presso la regione sicialiana, a marzo 2014 scrive:
    a) la discarica di Contrada Tiritì del comune di Motta Sant'Anastasia risulta essere stata autorizzata, per le sue attività la prima volta il 16 settembre 1983; la proprietà della ditta era di Proto-Pappalardo;
    b) il 24 aprile 2006 la proprietaria Pappalardo Nunzia donò la ditta ai figli che, contestualmente, la trasformarono in società a responsabilità limitata denominata Oikos srl; in data 14 giugno 2007 la Oikos srl si trasformò in società per azioni Oikos spa;
    c) nel 1997 la tipologia dei rifiuti autorizzati per la discarica comprendeva esclusivamente rifiuti urbani, assimilati e fanghi di depurazione;
    d) in una nota del 2007 della ditta Oikos in risposta alla Usl di Catania, si faceva notare che erano già presenti un nuovo impianto di recupero energetico del biogas ed una nuova struttura per la frantumazione degli inerti; tali decisioni, di fatto, ampliarono la discarica;
    e) nel maggio 2010 la ditta chiese la possibilità di realizzare una tettoia per ricovero mezzi in prossimità della discarica ma su terreni di proprietà della ditta; i terreni ricadenti in Contrada Valanghe, nel tempo, sono stati oggetto di richieste di autorizzazioni (...), la ditta Oikos aveva richiesto (poi autorizzata) quell'area come ampliamento della discarica di contrada Tiritì;
    f) il recupero del biogas presso la discarica è stato effettuato fino al dicembre 2011 da ditta terza e dalla ditta Oikos in data non determinata, ma successiva a novembre 2011;
   la discarica di Contrada Tiritì del comune di Motta Sant'Anastasia si espande per una superficie di trenta ettari, accogliendo i rifiuti di diciannove comuni; da molti anni l'intera zona è interessata da forti emissioni odorigene;
   il laboratorio mobile di olfattometria dell'Università di Catania, con tre recettori, due dei quali nel centro abitato di Misterbianco ed uno nel centro abitato di Motta Sant'Anastasia, dal 6 luglio 2016 al 25 luglio 2016, per una durata di 19 giorni, ha condotto uno studio sulla qualità dell'aria. È stata rilevata la variazione ricorrente della concentrazione di metano nelle ore notturne e nelle prime ore del mattino. Le oscillazioni di concentrazione rilevate sono comprese tra i valori di 2.5 e 10 volte la concentrazione media del fondo naturale;
   il consiglio di giustizia amministrativa della regione Siciliana, come scrive il quotidiano La Repubblica on line dell'11 aprile 2017, ha messo fine alla partita delle autorizzazioni per la discarica gestita da Oikos a Motta Sant'Anastasia: il collegio ha dato il via libera ambientale alla struttura, che potrà dunque continuare a lavorare –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra descritta e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per far fronte al grave inquinamento determinato dalle forti emissioni odorigene e dalla presenza di concentrazioni rilevanti di metano nell'ambiente dei comuni Misterbianco e Motta Sant'Anastasia;
   quali iniziative di competenza il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda intraprendere per mettere in sicurezza la discarica di contrada Tiritì e le zone circostanti sottoposte ad elevato inquinamento ambientale e se non ritenga di promuovere un intervento del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, per verificare il grado di alterazione ambientale dell'area;
   se disponga di elementi circa i soggetti proprietari dei terreni sui quali è impiantata la discarica di Contrada Tiritì nel comune di Motta Sant'Anastasia;
   se il Ministro della salute non intenda valutare se sussistano i presupposti per, eventualmente, avviare un'indagine epidemiologica che coinvolga la popolazione dei comuni di Motta Sant'Anastasia e di Misterbianco per controllare l'incidenza dei fattori inquinanti sullo stato di salute di tutti i cittadini. (5-11680)

Interrogazione a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan), adottato con decreto 22 gennaio 2014, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, reca l'attuazione della direttiva 2009/128/CE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi;
   il Pan prevede, ai punti A.5.4 e A.5.5, che entro due anni dalla sua entrata in vigore i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e delle politiche agricole alimentari e forestali, con il supporto del servizio fitosanitario nazionale, adottino criteri ambientali minimi (di seguito Cam) da inserire obbligatoriamente negli affidamenti e nei capitolati tecnici delle gare d'appalto per l'esecuzione dei trattamenti fitosanitari sulle o lungo le linee ferroviarie e sulle o lungo le strade e le autostrade;
   a tal fine, è stato emanato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con quello della salute e delle politiche agricole alimentari e forestali, il decreto 15 febbraio 2017 «Adozione dei criteri ambientali minimi da inserire obbligatoriamente nei capitolati tecnici delle gare d'appalto per l'esecuzione dei trattamenti fitosanitari sulle o lungo le linee ferroviarie e sulle o lungo le strade»;
   all'articolo 4 dell'allegato a tale decreto sono presenti le specifiche relative ai Cam: le aziende candidate all'appalto devono dimostrare, ad esempio, di aver adottato un sistema di gestione ambientale al proprio interno, di disporre di personale con le competenze tecniche necessarie a realizzare correttamente il servizio, riducendo gli impatti ambientali, o devono escludere i fitosanitari che contengono sostanze classificate per la cancerogenesi, la mutagenesi e la tossicità riproduttiva in categoria 1A e 1B, nonché i fitosanitari che recano in etichetta le frasi di rischio R50, R53, R50/53 o le indicazioni pericolo H400, H410, H413 –:
   di quali strumenti il Governo si sia dotato per monitorare il rispetto dei criteri ambientali minimi (Cam) nelle gare di appalto e delle disposizioni del decreto 15 febbraio 2017; 
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere un finanziamento di metodi alternativi al diserbo chimico e un'opportuna formazione degli operatori «ecologici», con relativa certificazione professionale;
   se non ritenga di assumere iniziative nella direzione della limitazione dei pesticidi di sintesi nelle aree agricole marginali, anche in considerazione delle indicazioni del Pan e delle disposizioni già previste per la gestione dei margini delle autostrade e delle linee ferroviarie, come disposto dal decreto ministeriale 17 febbraio 2017, ai fini della tutela agricola, ambientale e della salute umana. (4-17078)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   BONAFEDE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   risale a sei anni fa lo scandalo che aveva come oggetto gli appartamenti, a Firenze, di proprietà del demanio pubblico nel giardino di Boboli, i quali erano concessi in locazione a dirigenti, ex e non, a cifre irrisorie;
   il costo di tale locazione era di circa trecento euro al mese, per abitare in case di cento metri quadrati in un contesto esclusivo con posto auto «custodito», appartamenti che, se lasciati al libero mercato, per la loro posizione, frutterebbero almeno il quintuplo;
   la gestione di questi appartamenti è concessa alla stessa Soprintendenza per i beni architettonici di Firenze, essendo di proprietà del demanio che la esercita, sin dal maggio 2005;
   da notizie di stampa risalenti alla fine di gennaio del 2016, si è appreso che la soprintendente ai beni architettonici Alessandra Marino dichiarò che sarebbe intervenuta sulle tabelle per rendere più equi gli affitti. Dopo cinque anni, la soprintendente ha spiegato che i cambiamenti sono stati fatti, ma sono ancora in una bozza al vaglio delle autorità competenti dichiarando: «Il regolamento con i nuovi tariffari è già pronto e ci sono stati molti correttivi, con aumenti legati alle diverse situazioni lavorative. Non è stato semplice preparare la nuova tabella, anche perché l'avvicendamento delle competenze non ci ha aiutato. Il lavoro che abbiamo fatto è stato molto approfondito e la bozza dovrebbe essere approvata entro l'estate. Ricordo che, comunque, la commissione regionale dei beni culturali ha in programma di realizzare regolamenti unitari» (Rif. http://www.lanazione.it);
   occorre inoltre evidenziare il fatto che le case in questione si trovano in un parco d'eccezione, un complesso monumentale, la cui natura richiede una particolare garanzia di affidabilità dei locatari; in tutto si tratta di circa 65 alloggi: 25 tra Palazzo Pitti e Boboli, 25 nelle ville medicee, 15 nelle vicinanze di Piazza Pitti;
   consta all'interrogante che ad oggi la situazione è rimasta quasi immutata, nonostante varie ispezioni ministeriali. Dopo sei anni, inoltre, ci sono state solo piccole percentuali di rialzo, quando anche un aumento del 60 per cento non avrebbe comunque raggiunto cifre considerevoli, visto che il canone di affitto rimane basso, troppo, il tutto a discapito delle casse dello Stato –:
   se il Governo sia a conoscenza delle suddette notizie di stampa e dei fatti sopra esposti;
   se il Governo non ritenga opportuno disporre apposite verifiche al fine di rendere noti i nominativi dei proprietari degli appartamenti ubicati nel giardino di Boboli;
   se il Governo intenda chiarire criteri e le modalità utilizzate per l'assegnazione in affitto dei suddetti appartamenti;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per apportare un adeguamento alle tabelle dei tariffari con cifre più consone e vicine al valore reale di mercato degli affitti nelle suddette zone. (4-17080)


   VALERIA VALENTE, CARLONI, DI LELLO, MANFREDI, PARIS e SALVATORE PICCOLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come apparso sugli organi di stampa, la Intesa Sanpaolo Group Services S.c.p.a., del Gruppo Intesa Sanpaolo S.p.A., ha deciso di mettere in vendita palazzo Carafa a Napoli, già sede del Monte di Pietà, sito in via S. Biagio dei Librai, nel pieno centro storico cittadino, a sua volta già Patrimonio mondiale Unesco dal 1995, a pochi passi da altri monumenti di valore universale;
   l'edificio storico monumentale del Monte di Pietà fu realizzato quando alcuni nobili napoletani, acquistando il palazzo, ne affidarono il restauro all'architetto Gian Battista Cavagna, che nel 1598 vi realizzò anche la Cappella, ad oggi l'elemento di maggiore pregio architettonico e artistico dell'edificio;
   il Monte di Pietà di Napoli, oltre a possedere un patrimonio storico-artistico con opere realizzate da Bernini, Caracciolo, Santafede, Fanzago, mobili e arredi di assoluto valore, rappresenta anche un capitolo fondamentale della storia sociale e civile della città, essendo stato prima una istituzione operante nel sostegno di coloro che non erano in grado di provvedere neppure al minimo per la propria sussistenza, poi come primo e solido germe del Banco di Napoli;
   l'intero complesso, comprendente il Palazzo del Monte e la Cappella, costituisce un bene architettonico e culturale di indiscutibile interesse artistico;
   vista la sua posizione nel mezzo dell'area cittadina a più elevata capacità di attrazione turistica e vista la ricchezza del suo patrimonio monumentale e artistico, il Monte di Pietà possiederebbe pienamente il profilo adeguato per diventare una istituzione museale in grado di mantenersi in autogestione come altre ve ne sono nel centro storico di Napoli;
   in merito alla destinazione del citato complesso monumentale, il Gruppo Intesa San Paolo, ancora nel luglio 2016, in occasione di un incontro con le rappresentanze sindacali, aveva dichiarato che nell'edificio, di concerto con la Soprintendenza alle Belle Arti, erano in corso interventi di ristrutturazione che avrebbero dovuto portare al suo pieno recupero, alla messa in sicurezza e, dunque, ad una prossima riapertura, in modo da garantirne la fruibilità per i cittadini napoletani e per il pubblico;
   alla luce delle ultime notizie che concernono la messa in vendita dell'immobile, quello preannunciato dalla società proprietaria non sembra più essere il destino del Monte di Pietà; al contrario, appare concreta la possibilità che il palazzo possa, in futuro, venire riconvertito in struttura con finalità commerciali o ricettive, senza tra l'altro che, a quanto consta agli interroganti, le istituzioni interessate, a cominciare dal comune e dalla giunta cittadina, sino ad arrivare a quelle territoriali preposte alla tutela dei beni culturali, siano state fino ad oggi interpellate ed eventualmente coinvolte in un complessivo ragionamento di prospettiva che possa valorizzare in pieno questa risorsa culturale, civile e turistica che la città di Napoli possiede –:
   se il Ministro interrogato sia informato sulle condizioni attuali del plesso monumentale del Monte di Pietà e se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per assicurare una sua tutela come bene culturale;
   sulla base delle intenzioni di vendita della società che ha in disponibilità l'immobile, se il Ministro interrogato intenda impegnarsi nel proporre e agevolare soluzioni alternative, in collaborazione con le istituzioni locali, allo scopo di evitare che il Monte di Pietà cambi totalmente utilizzo e profilo, disperdendo così il carico artistico, simbolico e culturale che necessariamente dovrebbe essere disponibile per la cittadinanza e il pubblico interessato. (4-17085)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto dello straordinario nasce con l'introduzione dell'orario di lavoro per il personale militare di cui alla legge n. 231 del 1990 che ha comportato il diritto al recupero compensativo, ovvero al compenso in denaro, per le prestazioni rese in eccedenza a tale orario;
   il lavoro straordinario non può essere usato come fattore ordinario di programmazione del lavoro e può essere svolto solo per soddisfare le esigenze volte al conseguimento dei fini istituzionali delle forze armate cui non si possa far fronte durante il normale orario delle attività giornaliere;
   il provvedimento di concertazione recato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 163 del 2002, modificando la forma prioritaria di remunerazione delle prestazioni straordinarie precedentemente prevista, ha stabilito con l'articolo 11, comma 3, che le ore eccedenti l'orario di lavoro settimanale possono essere pagate con il compenso per lavoro straordinario nell'ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio, entro i limiti massimi previsti dalle disposizioni vigenti e tenuto contro delle esigenze di servizio;
   il mancato rispetto delle norme che regolano l'istituto dello straordinario, sia da parte di chi lo dispone che da parte di chi lo effettua può determinare responsabilità disciplinari, amministrative, civili: ad esempio, danni arrecati al personale per effetto di lesione di diritti materiali e/o morali, anche con possibili profili penali;
   la remunerazione dello straordinario può avvenire tramite compenso in denaro o recupero compensativo;
   a tutti i volontari di truppa non in servizio permanente, indipendentemente dai mesi di servizio, ed ai militari di truppa in servizio di leva non compete il compenso per lavoro straordinario, salvo espresse deroghe previste da appositi provvedimenti normativi (ad esempio, operazione «Strade Sicure»);
   recenti notizie di stampa richiamano l'allarme sul taglio dei budget per gli straordinari e sui gravi ritardi di pagamento in corso sia tra gli appartenenti alle forze dell'ordine tra le forze armate –:
   se la Ministra intenda fornire elementi sul numero di ore di straordinario non ancora remunerate e sui giorni di recupero compensativo non ancora goduti da parte del personale delle forze armate e dell'Arma dei carabinieri suddivisi tra ufficiali, sottoufficiali, graduati e truppa in servizio nell'ambito dell'operazione «Strade sicure», anche con indicazione dei valori espressi in euro, evidenziandone l'andamento nel tempo a partire dal 2014;
   se siano mai state superate le soglie massime di monte-ore annuo retribuibile di straordinario previste dalle direttive di forze armate e dell'Arma dei carabinieri, indicandone, eventualmente, la suddivisione tra ufficiali, sottoufficiali, graduati e truppa in servizio nell'ambito dell'operazione «Strade sicure» a partire dal 2014 e quali iniziative siano state assunte nei confronti del comandante di Corpo/capo ufficio;
   relativamente al personale militare impiegato nell'operazione «Strade sicure» a quanto ammontino le ore di straordinario da remunerare e i recuperi compensativi da godere suddivisi anche tra giorni feriali, notturni, festivi e festivi notturni nel periodo 2014-2017;
   quali iniziative siano già in atto o al vaglio della Ministra interrogata al fine di sanare tutte quelle situazioni di criticità afferenti al mancato pagamento degli straordinari e al mancato recupero compensativo, con particolare attenzione al personale impiegato nell'operazione «Strade sicure». (5-11659)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FANUCCI, MARCO DI MAIO, CARBONE, BOCCADUTRI, BONIFAZI, BARBANTI, CAPOZZOLO, COPPOLA, COVA, DONATI, FREGOLENT, GADDA, GALPERTI, GIULIETTI, LODOLINI, MORANI, MORETTO e PARRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   fino al 2015, la normativa in materia di risoluzione delle crisi bancarie prevedeva l'applicazione del cosiddetto burden sharing, ossia la riduzione del valore nominale delle azioni e delle obbligazioni subordinate in caso di dissesto;
   in base a questa disciplina, il Governo e la Banca d'Italia hanno avviato la procedura di risoluzione della crisi di quattro banche in amministrazione straordinaria – Banca Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, CariChieti, a novembre 2015;
   l'onere del salvataggio è stato, conseguentemente posto a carico degli investitori in azioni e obbligazioni subordinate, ma anche del sistema bancario italiano mediante il Fondo di risoluzione, separando, per ciascun delle banche la parte «buona» da quella «cattiva» del bilancio;
   in particolare, nella bad bank sono stati concentrati i prestiti in sofferenza che residuavano una volta fatte assorbire le perdite dalle azioni e dalle obbligazioni subordinate e, per la parte eccedente, da un apporto del fondo di risoluzione: tali prestiti in sofferenza sono stati svalutati, su richiesta della Commissione europea, al 17,5 per cento, pari a 1,5 miliardi dall'originario valore di 8,5 miliardi, mentre mediamente, in Italia, sono iscritti nei bilanci delle banche al 40 per cento circa del valore originario;
   nel burden sharing, la necessità di chiedere il contributo degli obbligazionisti è causata dall'eccessiva svalutazione dei crediti deteriorati;
   per la valutazione delle sofferenze destinate a essere cedute, le disposizioni applicabili, in particolare l'articolo 36 della Bank Recovery and Resolution Directive, prevedono che il prezzo di trasferimento rifletta il valore economico di mercato del sottostante;
   a quanto si apprende da fonti di stampa, sembrerebbe che, pochi giorni prima dell'approvazione del decreto di risoluzione delle quattro banche, avvenuto il 22 novembre 2015, siano state fornite alla direzione concorrenza della Commissione europea, da parte di alcuni dirigenti del Ministero dell'economia e delle finanze, informazioni in merito all'ultima operazione di cessione, compiuta da Banca Etruria, in quel momento commissariata dalla Banca d'Italia, di un pacchetto di NPL (non performing loans) che riguardava 1.860 propri clienti e aveva un valore lordo di 302 milioni di euro;
   secondo le medesime fonti di stampa, sarebbero state comunicate le modalità di una operazione, perfezionatasi solo nel febbraio 2016, di cessione al credito fondiario del citato pacchetto a un prezzo netto pari al 14,7 per cento del valore effettivo, mentre per operazioni simili negli anni e nei mesi precedenti non si era mai scesi al di sotto del 20 per cento;
   tale comunicazione avrebbe cambiato radicalmente le condizioni di cui si stava discutendo poiché dagli atti della Commissione europea sembrerebbe che, fino ad allora, l'orientamento fosse quello di chiedere all'Italia una svalutazione dei crediti compresa tra il 20 e il 22 per cento del valore, analogamente a quanto richiesto in precedenza ad altri Stati membri: la media del prezzo dell'operazione con gli orientamenti della Commissione avrebbero, pertanto, determinato il 17,5 per cento contenuto nel decreto di risoluzione;
   in una audizione tenuta il 19 aprile 2016, il Governatore della Banca d'Italia ha affermato che i valori di cessione sono stati oggetto di verifica da parte di esperti indipendenti che hanno determinato nel 22,3 per cento il valore di trasferimento delle sofferenze delle quattro banche: un valore che, se realizzato, non avrebbe comportato l'azzeramento delle obbligazioni subordinate –:
   se il Ministro ritenga opportuno effettuare una verifica interna per accertare la veridicità dei fatti riportati in premessa e, qualora accertata l'iniziativa personale e non rispondente alle decisioni dei vertici del Ministero dell'economia e delle finanze, quali iniziative intenda assumere nei confronti dei dirigenti che hanno comunicato informazioni riservate. (5-11674)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti stampa si apprende della protesta della polizia penitenziaria nel carcere Capanne a Perugia;
   le cause di tale protesta vanno ricercate sia nel mancato adeguamento degli stipendi del personale operante nel carcere, sia nell'insufficiente quantità di personale demandato a gestire i detenuti;
   la pianta organica, secondo quanto si apprende dalle dichiarazioni dei rappresentati sindacali del personale penitenziario, prevede 298 unità, a fronte della 215 realmente effettive, con inevitabili lacune anche nei servizi amministrativi, di dipartimento, di amministrazione penitenziaria e di servizi presso il provveditorato regionale;
   il personale, ormai esasperato, non riesce più a far fronte ai turni di lavoro né ad usufruire dei riposi che, per esigenze di servizio, vengono spesso annullati, creando una situazione di malessere e disagio, che si somma alle problematicità legate all'accorpamento dei provveditorati, Toscana ed Umbria: l'aumento del numero di detenuti da accogliere, specie quelli provenienti dalla Toscana, e la necessità di gestire anche detenuti psichiatrici di altre regioni, detenuti che hanno esigenze e necessità ben diverse dal resto della popolazione carceraria;
   la questione dei detenuti psichiatrici merita, inoltre, una riflessione attenta, poiché spesso essi non riescono a trovare una giusta collocazione e un corretto trattamento in Umbria. Anche le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) infatti, che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari, non sono presenti in numero adeguato sul territorio né dotate della quantità e tipologia di personale adatto;
   in questa difficile situazione, inoltre, il carcere di Perugia, che è considerato una struttura dinamica in cui i detenuti svolgono attività di recupero e puntano ad una riabilitazione nella società, rischia di fallire di fronte a questa, ormai costante, emergenza;
   la minaccia del personale penitenziario è quella di proseguire la protesta in maniera «continuata», mettendo a repentaglio la sicurezza della struttura –:
   se sia conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, nell'ambito delle proprie competenze, non intenda intervenire per trovare una prima soluzione, anche temporanea, alla difficile situazione del personale penitenziario del carcere di Capanne e, allo stesso tempo, individuare una soluzione che garantisca, nel lungo termine, stabilità ed efficienza del servizio penitenziario della struttura perugina.
(4-17082)


   FRATOIANNI, DANIELE FARINA e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto interministeriale del 30 dicembre 2016 ha definito il meccanismo di accesso al bando per lo svolgimento del tirocinio presso gli uffici giudiziari, come previsto dall'articolo 73 del decreto-legge n. 69 del 2013;
   l'affiancamento a magistrati con compiti di studio, ricerca e redazione di bozze, è risultato particolarmente prezioso, considerate le carenze di organico della giustizia;
   il positivo lavoro dei tirocinanti è stato apprezzato dal Consiglio superiore della magistratura, con delibera 29 aprile del 2014, con cui è stato espresso l'auspicio di una sua maggiore diffusione;
   nel 2014 il Governo ha istituito una borsa di studio, con risorse pari a 8.000.000 di euro a valere sul Fondo unico giustizia;
   nel 2016, nonostante l'aumento di tirocinanti, le risorse rimaste invariate sono risultate insufficienti per erogare 1300 borse;
   la mancata copertura è anche dovuta all'utilizzo del discutibile metodo di assegnazione;
   il decreto del 30 dicembre 2016 prevede che «l'accesso al beneficio della borsa di studio ha luogo fino ad esaurimento delle risorse disponibili, secondo l'ordine di graduatoria, formata, a norma dell'articolo 3, in base al valore crescente dell'Isee calcolato per le prestazioni erogate agli studenti nell'ambito del diritto allo studio»;
   l'assenza del limite massimo Isee ha indotto molti tirocinanti ad inoltrare domanda senza poter operare una valutazione sulle possibilità di accedere al beneficio;
   molti tirocinanti hanno appreso della propria esclusione con la pubblicazione dell'elenco provvisorio in data 15 giugno 2017;
   il Ministero della giustizia ha comunicato che il limite massimo dell'indicatore Isee per l'attribuzione del beneficio è di 42.023,21 euro, ad esaurimento, per i tirocini presso gli uffici della giustizia ordinaria e del Consiglio di Stato e di 32.238,13 euro per i tirocini presso i Tar;
   inoltre, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera f), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, che disciplina il nuovo Isee, ai fini del calcolo del reddito del nucleo familiare, devono sommarsi anche i «trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari»; anche la borsa di studio prevista per i tirocinanti degli uffici giudiziari – equiparato quella del diritto allo studio universitario – rientrerebbe in questa categoria di «trattamenti». Il successivo comma 5 dell'articolo prevede poi un'esenzione a favore di colui per il quale viene richiesta la prestazione; se il richiedente è già beneficiario di trattamenti di cui al comma 2, lettera f), ai soli fini dell'accertamento dei requisiti per il mantenimento del trattamento stesso, al valore dell'Isee è sottratto l'ammontare del trattamento percepito dal beneficiario nell'anno precedente;
   il combinato disposto delle disposizioni citate potrebbe determinare che l'esenzione valga solo per il richiedente. La borsa di studio potrebbe determinare la perdita della borsa universitaria per un altro componente del medesimo nucleo familiare;
   se sia vero che, come specificato all'articolo 73, comma 8 del decreto-legge n. 69 del 2013, «lo svolgimento dello stage non dà diritto ad alcun compenso e non determina il sorgere di alcun rapporto di lavoro subordinato o autonomo né di obblighi previdenziali e assicurativi», l'apporto dei tirocinanti non può restare privo dell'indennità riconosciuta obbligatoriamente per gli stage extra-curricolari ex articolo 1, comma 34 della legge n. 49 del 2012, ricordando che l'articolo 1, comma 340 della legge n. 232 del 2016, ha sancito l'esistenza di un vero e proprio «diritto all'attribuzione della borsa di studio» per i tirocini in parte disciplinati dall'articolo 50-bis del decreto-legge n. 90 del 2014, che ha aggiunto il comma 8-bis dell'articolo 73 del decreto-legge n. 69 del 2013 –:
   se il Governo intenda assumere iniziative volte a individuare risorse per garantire la borsa di studio a chi ha svolto il tirocinio a prescindere dall'Isee del nucleo familiare. (4-17086)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


  FRANCO BORDO, FOLINO, MOGNATO, LAFORGIA, SPERANZA, SCOTTO, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, BERSANI, BOSSA, CAPODICASA, CIMBRO, D'ATTORRE, DURANTI, EPIFANI, FAVA, FERRARA, FONTANELLI, FORMISANO, FOSSATI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, LEVA, MARTELLI, MATARRELLI, MELILLA, MURER, NICCHI, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, QUARANTA, RAGOSTA, RICCIATTI, ROSTAN, SANNICANDRO, STUMPO, ZACCAGNINI, ZAPPULLA, ZARATTI e ZOGGIA. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   i vertici del gruppo Ferrovie dello Stato S.p.a, società a partecipazione pubblica chiamata a garantire il diritto alla mobilità, hanno da qualche tempo spostato il campo delle attività dell'azienda dalle reti ferroviarie ai mezzi di trasporto su gomma;
   in particolare, Ferrovie dello Stato S.p.a, attraverso la controllata Busitalia, è già in controllo dei mezzi pubblici di città come Firenze e Padova e gestisce i trasporti lacuali, come quelli del lago Trasimeno;
   ancora di recente, Ferrovie dello Stato S.p.a ha rilevato il 36,7 per cento di M5 S.p.a, diventando l'azionista di maggioranza. La società ha, infatti, acquistato la quasi totalità della quota di Astaldi, il costruttore dell'opera, che ha mantenuto il 2 per cento;
   si tratta di operazioni che hanno richiesto, nonostante gli ingenti contributi pubblici che Ferrovie dello Stato S.p.a riceve dallo Stato, l'attivazione di strumenti finanziari a debito, come la recente emissione obbligazionaria da 1 miliardo di euro;
   il diritto alla mobilità ferroviaria, ad avviso dei firmatari del presente atto, e in particolare quella a carattere pendolare, subisce di giorno in giorno un progressivo deterioramento, come peraltro denunciato da alcune forze sindacali (Fit-Cisl Toscana e Lombardia) che lamentano condizioni sempre più critiche come ad esempio treni senza aria condizionata a 40 gradi centigradi e ritardi continui –:
   se ritenga coerenti con gli obiettivi della politica nazionale dei trasporti, in particolare con il sistema nazionale delle infrastrutture di trasporto per il potenziamento della mobilità ferroviaria a carattere pendolare, nonché con una sana e prudente gestione finanziaria di una società partecipata dallo Stato, i recenti orientamenti strategici assunti dai vertici del gruppo Ferrovie dello Stato italiano nello spostare il campo delle attività dell'azienda dalle reti ferroviarie ai mezzi di trasporto su gomma. (3-03109)


  RABINO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   pensata decenni fa e intrapresa su iniziativa dell'Anas, l'autostrada A33, Asti-Cuneo, successivamente affidata ad una società concessionaria compartecipata è rimasta incompiuta per la mancata realizzazione di due lotti centrali, 2.5 e 2.6, ed è concretamente inutilizzabile;
   con le conferenze dei servizi, svoltesi il 14 marzo e il 19 aprile 2012, venne concordata tra enti locali, concessionario ed Anas una sostanziale modifica al lotto 2.5, che riduceva sensibilmente il costo dell'opera, ma da allora nessun atto concreto è stato compiuto;
   quella che lo stesso Ministro interrogato ha definito «l'ennesima incompiuta», attende la costruzione dei due lotti mancanti in corrispondenza della città di Alba che la renderebbero totalmente percorribile e fruibile da un numero di veicoli certamente superiore a quello attuale e che oggi risulta ovviamente scarso rispetto alle attese del concessionario, proprio a causa dell'incompiutezza dell'infrastruttura;
   allo studio ci sono state tre ipotesi di completamento, quello con galleria a due canne, quello ad una canna sola e quello senza galleria, quest'ultima, secondo quanto affermato dal Ministro interrogato in quest'aula il 18 gennaio 2017, dovrebbe essere la soluzione prescelta, per il minor costo – circa 300 milioni di euro – e per i tempi di realizzazione stimati in 37 mesi;
   a quanto si apprende da fonti di stampa, nei giorni scorsi è stato raggiunto un accordo di massima per la proroga di 4 anni, quindi fino al 2028, della concessione della Torino-Milano al gruppo Gavio. Con gli utili derivanti dovrebbe essere finanziato il completamento dell'Asti-Cuneo, senza toccare la voce pedaggi –:
   se l'accordo relativo al completamento della Asti-Cuneo con le istituzioni europee e il concessionario è stato definito e quando avranno inizio i lavori, specificando quale soluzione progettuale verrà adottata. (3-03110)


  GRIBAUDO, TARICCO, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A33 Asti-Cuneo rappresenta un'infrastruttura fondamentale per il collegamento e lo sviluppo dei due capoluoghi piemontesi;
   essa è gestita dall'Autostrada Asti-Cuneo SpA, controllata dal gruppo Gavio, costituita il 23 marzo 2006, in qualità di concessionaria del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e per effetto della convenzione di concessione approvata con decreto interministeriale del 21 novembre 2007;
   il primo finanziamento per la costruzione dell'opera risale a 17 anni fa per il tramite della legge n. 295 del 1998;
   la costruzione dell'Asti-Cuneo è ferma da anni nel tratto Roddi-Cherasco e nell'area di Verduno a causa della mancanza di accordo sul progetto definitivo, per il quale sono state previste negli anni tre soluzioni alternative con costi molto diversi fra loro;
   il Ministro Graziano Delrio il giorno lunedì 6 marzo 2017 durante la sua visita a Cuneo ha dichiarato possibile terminare l'infrastruttura in tre anni nel caso di accordo con il concessionario, ipotizzando come maggiormente plausibile, visti i minori costi, la soluzione esterna alla collina di Verduno; ha affermato inoltre che un'ipotesi di accordo con la concessionaria sarebbe stata possibile entro giugno 2017;
   recentemente, la società concessionaria ha comunicato ai privati interessati la sospensione degli espropri nel lotto 2.6;
   in base a quanto riportato dai media il giorno 19 giugno 2017, il Ministero avrebbe trovato la disponibilità della Commissione Europea alla proroga delle concessioni autostradali a Satap, controllata del gruppo Gavio, che consentirebbe il finanziamento della costruzione del tratto mancante dell'Asti-Cuneo –:
   quali siano, alla luce dell'incontro con la Commissione Europea e di quanto riportato dai media, le novità in merito al finanziamento e ai tempi previsti per la costruzione del tratto mancante dell'autostrada A33 Asti-Cuneo da tempo atteso dalla comunità piemontese e fondamentale per lo sviluppo del Nord-Ovest. (3-03111)


  PRESTIGIACOMO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11 del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169 prevede che i comitati di gestione siano composti dal Presidente dell'Autorità di sistema portuale; da un componente designato dalla regione o da ciascuna regione il cui territorio è incluso, anche parzialmente, nel sistema portuale; da un componente designato dal sindaco delle città metropolitane ove presente; da un componente designato dal sindaco dei comuni ex sede di autorità portuale inclusi nell'AdSP e da un rappresentante dell'autorità marittima designato dalle direzioni marittime competenti per territorio;
   allo stato attuale non si è ancora provveduto alla pubblicazione del decreto ministeriale 25 gennaio 2017 che fissa la sede dell'autorità portuale del Mar di Sicilia Orientale nel porto di Catania provocando in questo modo uno stallo di tutta l'attività dell'intero sistema portuale della regione siciliana;
   nell'Autorità di sistema portuale del mar di Sicilia orientale non si è ancora provveduto alla costituzione del comitato di gestione e, secondo quanto consta all'interrogante, sembra che si voglia procedere alla nomina del sindaco di Catania in rappresentanza del proprio ente pur non avendo, ad avviso dell'interrogante, i requisiti necessari per rivestire un ruolo all'interno del medesimo comitati;
   l'auto-designazione dei sindaci, come riportato dalle maggiori agenzie di stampa, è già avvenuta in altre autorità portuali in contrasto a quanto stabilito dalla circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella quale si evince chiaramente che «nel comitato di gestione dovranno far parte soggetti aventi competenza professionale omogenea a quella del Presidente dell'AdSP, con la conseguenza che vanno escluse esperienze legate esclusivamente a incarichi politici e/o istituzionali e comunque quelle non riferite ai settori dell'economia dei trasporti e portuale»;
   la situazione di completo immobilismo che sta coinvolgendo l'autorità portuale citata è aggravata dal fatto che nella riforma delle autorità portuali, la nomina del segretario generale, figura essenziale per lo svolgimento delle attività delle stesse autorità, è legata all'insediamento del comitato di gestione ai sensi dell'articolo 11, comma 5, lettera m) del decreto legislativo n. 169 del 2016 –:
   quali iniziative di sua competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di garantire il regolare svolgimento dell'attività dell'autorità portuale del Mar di Sicilia orientale attraverso la pubblicazione del decreto ministeriale 25 gennaio 2017 e l'insediamento del comitato di gestione. (3-03112)


  GAROFALO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno l'Istat ha rivisto in netto rialzo la crescita del primo trimestre del 2017, con un PIL in aumento dell'1,2 per cento su base annua, il rialzo più forte da ben sette anni. Anche le stime della Banca d'Italia, basate su fonti di tipo diverso, convergono sulle medesime valutazioni;
   è necessario tuttavia guardare più da vicino ai dati macroeconomici, per ricavare un quadro più chiaro dei punti di forza e dei punti di debolezza dell'azione di governo e trarne indicazioni sull'apporto che il governo del Paese deve ancora dare al rilancio dell'economia;
   se è da salutare senz'altro favorevolmente la recente decisione governativa di destinare 47 miliardi ad investimenti infrastrutturali, tuttavia rimangono vischiosità che impediscono l'effettiva traduzione di queste decisioni di spesa in spesa reale;
   i più recenti dati sui bandi di gara per investimenti infrastrutturali (ANCE, maggio 2017) ci dicono che ad un anno dall'entrata in vigore del nuovo codice degli appalti, si registra una frenata sia nel numero (-4,7 per cento) che nel valore posto in gara (-10,8 per cento) rispetto ad aprile 2016;
   se si scompone questo dato, risulta che a fronte di un andamento positivo per Ferrovie, si ha una performance negativa nei bandi di gara pubblicati da ANAS. In particolare su quest'ultima si stanno scaricando gli effetti di gravi ritardi negli adempimenti istituzionali, a partire dalla mancata approvazione del contratto di programma;
   alla luce di importanti studi sugli impatti macroeconomici connessi alla realizzazione di infrastrutture (fra gli altri, Banca d'Italia, 2012, Deloitte-LUISS, 2015), ci si domanda quale effetto sul PIL si registrerebbe oggi se anche in questo fondamentale comparto economico si potesse osservare quella ripresa che invece ancora non sembra esserci;
   secondo il Fondo Monetario Internazionale un aumento permanente dell'1 per cento degli investimenti in infrastrutture produrrebbe un aumento del Pil a breve dello 0,4 per cento –:
   quali azioni – al di là degli scenari delineati nell'Allegato infrastrutture al DEF – intenda intraprendere per la ripresa delle gare, per la effettiva cantierizzazione di opere infrastrutturali, per la garanzia di una efficiente regìa del Ministero, soprattutto nelle principali opere trasportistiche essenziali allo sviluppo del Paese, favorendo una razionale individuazione delle priorità, aumentando l'informazione a disposizione degli investitori privati sui progetti infrastrutturali e sulla loro potenziale profittabilità e valorizzando l'effetto leva dei fondi pubblici, europei e nazionali. (3-03113)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le piazzole di sosta lungo il raccordo autostradale Potenza-Sicignano e la strada statale n. 407, Basentana in entrambe le direzioni sono piene di rifiuti di ogni genere;
   con le elevate temperature in queste piazzole è difficile persino aprire lo sportello per l'odore nauseabondo ed è un rischio per la salute;
   i rifiuti sono inoltre un richiamo per animali selvatici che possono costituire un serissimo problema per la sicurezza degli automobilisti che percorrono questa arteria;
   inoltre non è certamente un bel biglietto da visita per una terra di forte richiamo turistico –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di richiamare l'Anas ad una migliore e più attenta gestione delle piazzole di sosta lungo il raccordo autostradale Potenza-Sicignano e della strada statale n. 407 Basentana, bonificandole dalla enorme quantità di rifiuti presenti e rendendole effettivamente usufruibili dagli automobilisti. (5-11662)


   PELUFFO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 febbraio 2003 è stato approvato il progetto preliminare alla variante della strada statale n. 33 del Sempione, cosiddetta «Sempione-bis», come opera inerente la viabilità per Malpensa. Il documento di progetto preliminare raccoglieva varie esigenze avanzate dai comuni coinvolti dalla variante e modificava la prima versione del progetto Anas per un costo complessivo di 420 milioni di euro;
   il 22 giugno 2003 Anas ha presentato agli enti locali il progetto preliminare, con lo studio di impatto ambientale. Gli enti locali hanno presentato alla regione le proprie prescrizioni;
   il 6 ottobre 2003, la regione Lombardia ha emanato delibera di approvazione con prescrizioni del progetto;
   il progetto è stato pubblicato da Anas nel dicembre 2003 e nel novembre 2004 è iniziata l'istruttoria del Cipe per l'approvazione del progetto e l'inserimento in legge obiettivo. Il progetto è quindi passato all'esame della commissione speciale di Valutazione d'impatto ambientale che ha espresso parere favorevole nel corso del 2005. Il Cipe non ha poi approvato il progetto preliminare per la mancanza di copertura finanziaria dell'opera;
   lo stralcio funzionale individuato dall'Anas successivamente, utilizzando il finanziamento disponibile, non è stato favorevolmente accolto dagli enti territoriali interessati i quali, a loro volta, hanno rappresentato l'urgente necessità di realizzare una rotatoria a livelli sfalsati in corrispondenza dell'attuale intersezione a raso che svincola la stessa strada statale n. 33 con la viabilità provinciale in corrispondenza dei confini comunali di Rho, Lainate e Pogliano Milanese;
   nell'approssimarsi di Expo 2015 (deliberazione della giunta regionale 10 febbraio 2011, n. VIII/11394), l'opera era poi stata considerata strategica e «necessaria» anche per garantire una migliore accessibilità al sito espositivo;
   dei fondi originariamente previsti per la realizzazione risultavano disponibili, ancora alla vigilia di Expo, nel 2014, 42,4 milioni di euro;
   era stato definito, nei tavoli di lavoro istituiti, di destinare i 42,4 milioni di euro disponibili per sviluppare il primo stralcio funzionale dell'intera infrastruttura ai fini di riqualificare il tratto Rho-Lainate-Pogli Milanese, già oggetto di progettazione preliminare da parte di Anas sottoposta all'approvazione del Cipe;
   in attesa del finanziamento per lotti funzionali, la regione Lombardia intendeva valutare la possibilità di terminare la progettazione e avviare i lavori perlomeno per il tratto riguardante l'intersezione tra la strada statale n. 33 e la strada provinciale n. 229, mediante una rotonda da realizzarsi su due livelli con interramento;
   in data 2 dicembre 2014, il consiglio regionale della Lombardia ha approvato la mozione n. 334 avente come primo firmatario il consigliere Carlo Borghetti, con cui si impegnava l'assessore alle infrastrutture e mobilità e la giunta regionale a continuare ad attivarsi per l'ultimazione del progetto definitivo riguardante la rotonda all'intersezione tra la strada statale n. 33 del Sempione e la strada provinciale n. 229, e per la realizzazione dell'opera nel minore tempo possibile;
   il tratto di strada statale n. 33 interessata è soggetto a forte criticità viabilistica e, a causa dell'attuale configurazione, teatro di numerosi incidenti anche mortali –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati;
   se i fondi originariamente stanziati dal Cipe e segnatamente i 42,4 milioni di euro siano ancora disponibili in conseguenza, quale sia la tempistica di realizzazione dell'opera da parte di Anas;
   sei sia possibile da parte di Anas modificare l'attuale configurazione della rotonda, inibendo il passaggio dei veicoli nel tratto interessato dal maggior numero di incidenti. (5-11663)

Interrogazione a risposta scritta:


   CARIELLO e L'ABBATE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le fonti di stampa hanno recentemente e ripetutamente posto in gran risalto che nel territorio nazionale – nell'ambito del servizio di trasporto passeggeri su gomma a media e lunga percorrenza – opera una società italiana, la Flixbus Italia S.r.l., interamente controllata dal socio unico tedesco «FlixMobility GmbH», cui si contesta di operare in «regime di concorrenza sleale» per il fatto di mettere in atto una politica tariffaria e un modello di business insostenibili per qualunque altra impresa del settore;
   l'azienda tedesca, infatti, sta «destabilizzando un mercato non in crescita», praticando prezzi sottocosto pagati da autisti e imprese partner locali, su cui ricade interamente il rischio d'impresa. Ciò sarebbe reso possibile in quanto Flixbus non è «un operatore», bensì semplicemente «una software house, un portale», cui pertanto non andrebbero accordate neppure le autorizzazioni ministeriali necessarie per esercitare il servizio di autotrasporto;
   la società, invero, non possiede autobus e non ha autisti alle proprie dipendenze, ma si limita a offrire una biglietteria online unificata a un sempre più vasto network di aziende di trasporto locali, le quali investono nell'acquisto degli autobus in cambio della pianificazione delle linee, dei servizi di marketing, della visibilità e del servizio di vendita garantiti dall'azienda madre;
   dai bilanci di esercizio depositati e pubblicati dalla Flixbus Italia s.r.l. non risulta alcuna posta attiva da sottoporre a tassazione nonostante:
    a) il bilancio abbreviato d'esercizio chiuso al 31 dicembre 2015 evidenzi un finanziamento da parte del socio controllante pari a 2.975.000 euro, a fronte di perdite di esercizio per 2.446.536 euro, nonché disponibilità liquide di 1.065.000 euro (non sussisterebbero invece investimenti per immobilizzazioni materiali di proprietà e di start up);
    b) alle aziende partner, a quanto risulta agli interroganti, venga riconosciuto un corrispettivo pari al 70 per cento del ricavo netto generato dalla vendita dei biglietti da parte della FlixMobility GmbH, con un minimo garantito di 0,65 euro per chilometro notevolmente inferiore a quello medio di mercato (pari a 1,50 euro per chilometro);
   l'accertata esistenza di finanziamenti all'impresa da parte del titolare o dei soci sono spesso sintomo di condotte evasive e/o elusive, se non sorretti da adeguate ragioni economiche, in quanto potrebbero trarre origine da corrispettivi non contabilizzati (cfr. circolari n. 1/2008 del Comando generale della Guardia di finanza; n. 175/E/99; n. 289/E-11A-680; n. 246/E/11-4-217559);
   come risulta dai titoli di viaggio, il prezzo del biglietto on-line viene versato direttamente su conti correnti intestati alla società tedesca (la controllante FlixMobility GmbH). Detta circostanza, unitamente all'utilizzo da parte di Flixbus del particolare sistema della piattaforma digitale, non consente, ad avviso degli interroganti, di avere contezza della «gestione» operata dall'azienda italiana, né delle certificazioni fiscali eventualmente emesse ed idonee, secondo la normativa di settore, a documentare i corrispettivi della prestazione di servizio resa (decreto ministeriale 30 giugno 1992; articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 696 del 1996; decreto ministeriale del 24 gennaio 2004) –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto e quali iniziative normative intenda avviare al riguardo, promuovendo altresì verifiche da parte delle diverse autorità competenti (Agenzia delle Entrate, Guardia di finanza, perché questa situazione non abbia a perpetuarsi, comportando essa una grave violazione della par condicio delle imprese esercenti tale pubblico servizio, con conseguente eventuale perdita di migliaia di posti di lavoro. (4-17084)

INTERNO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   nella giornata di venerdì 17 marzo 2017 il quotidiano l'Adige di Trento pubblicava l'articolo: «Porfido: scontro duro sulla gestione» in cui erano riportati stralci di una dettagliatissima relazione del marzo 2017, redatta dal segretario comunale dottor Marco Galvagni, in cui si evidenziavano fenomeni di infiltrazione della ‘ndrangheta calabrese nel settore estrattivo del porfido, nella provincia di Trento; tale relazione era stata preventivamente inviata in data 6 marzo 2017 dal redigente dottor Marco Galvagni sia ai sindaci dei quattro comuni interessati: Lona Lases, Albiano, Segonzano, Sover, sia all'Autorità nazionale anti corruzione;
   nella relazione si tratta del fallimento dell'azienda estrattiva Marmirolo Porfidi srl, già attenzionata dall'autorità giudiziaria, e di alcuni personaggi politici della zona;
   tra le persone richiamate nella predetta relazione risulta, tra gli altri, il signor Michele Pugliese, nato a Crotone nel 1976 e condannato dal tribunale di Bologna nel settembre 2016 – processo operazione «Zarina Aurora» – alla pena detentiva di sette anni e otto mesi di reclusione in quanto membro della cosca Arena-Nicosìa;
   nella medesima relazione figura il signor Antonio Muto (nato a Catanzaro 18 novembre 1971), già arrestato a Trento con l'accusa di bancarotta fraudolenta e comunque tra i soci della immobiliare «San Francisco srl», assieme a Pugliese Michele, Giglio Giulio, Grande Aracri Salvatore; il mondo del porfido trentino, nell'agosto 2014, è stato interessato, tra l'altro, da indagini internazionali sul traffico di droga: nei carichi di porfido veniva occultata cocaina (inchiesta «Piedras Blancas», Spagna in: quotidiano il manifesto 19 agosto 2014);
   il Testo unico delle leggi regionali sull'ordinamento dei comuni della regione autonoma Trentino-Alto Adige pone in capo al presidente della giunta provinciale di Trento poteri di ispezione, ma questi non sembrano essere stati attivati;
   la provincia autonoma di Trento aveva precedentemente nominato quale commissario straordinario del comune di Lona Lases il commercialista Mauro Dallapiccola, che risulta avere svolto attività professionale per alcune della ditta del porfido richiamate nella relazione informativa;
   gli elementi sopra esposti appaiono di per sé gravi e tali da ritenere necessaria anche una tutela del segretario comunale denunciante dottor Marco Galvagni, che ad oggi parrebbe essere stato inspiegabilmente rimosso dall'incarico ricoperto, così come risulta dall'articolo del quotidiano l'Adige «Comuni del porfido e anticorruzione» del 27 marzo 2017 –:
   di quali elementi dispongano sulle vicende sopra richiamate, anche per il tramite del Commissario del Governo, in particolare in ordine al mancato esercizio di poteri ispettivi di cui in premessa, e quali eventuali iniziative di competenza si intendano adottare al riguardo.
(2-01855) «Turco, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Pisicchio».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, la sera di martedì 20 giugno 2017, avrebbe dovuto svolgersi presso il Centro di accoglienza straordinario (CAS) «la Vincenziana» di Magenta un'iniziativa culturale e di festa promossa da alcune associazioni del territorio e patrocinata dall'amministrazione comunale allo scopo di coinvolgere la cittadinanza sui temi dell'accoglienza, integrazione ed inclusione. Questa non si è potuta tenere presso la struttura che da due anni ospita i richiedenti asilo, in quanto la prefettura di Milano ha negato alla cooperativa che gestisce il CAS i permessi necessari, obbligando gli organizzatori a trovare in tempi rapidi un'altra sede nelle strutture parrocchiali;
   si porta a conoscenza del Ministro che già nei mesi scorsi, espletati gli adempimenti burocratici previsti dalla legge e dai regolamenti d'istituto, la predetta cooperativa e alcuni studenti del liceo «S. Quasimodo» di Magenta hanno svolto, all'interno del CAS (solo negli ambienti comuni destinati alla formazione) attività di alfabetizzazione e di educazione multiculturale con i giovani ospiti richiedenti asilo. È doveroso puntualizzare che il fine di integrazione del progetto perseguito dalla scuola e dalla cooperativa non può essere messo a confronto con quello d'iniziative aventi uno scopo essenzialmente ispettivo. È altresì importante informare il Ministro che, senza un intervento chiarificatore sul tema, difficilmente potranno essere attivati nei locali del CAS, nell'ambito del percorso di Alternanza scuola-lavoro, i progetti di alfabetizzazione, che gli studenti vorrebbero avviare già dal prossimo anno scolastico;
   si fa presente in fine, che l'Agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR) ha attivato proprio in occasione della Giornata mondiale del rifugiato la campagna «#WithRefugees» con l'intento di rafforzare l'incontro tra comunità locali, rifugiati e richiedenti asilo al fine di promuovere la conoscenza reciproca, a cui si lega, in piena sintonia, l'iniziativa in questione –:
   se sia nelle intenzioni del Ministro interpellato intervenire presso le prefetture al fine di semplificare le procedure di autorizzazione legate ad attività promosse in collaborazione tra i gestori del CAS e la società civile, per garantire e incentivare iniziative nelle sedi di accoglienza come quella descritta in premessa al fine di favorire le politiche di inclusione e integrazione tra richiedenti asilo e comunità locali.
(2-01861) «Prina, Cova, Casati, Gasparini, Cinzia Maria Fontana».

Interrogazione a risposta immediata:


  DIENI, DADONE, PARENTELA, NESCI, COZZOLINO, CECCONI, D'AMBROSIO e TONINELLI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11, comma 1 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 prevede che «sono sospesi di diritto dalle cariche indicate al comma 1 dell'articolo 10: a) coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all'articolo 10, comma 1, lettera a), b) e c)» tra cui rientrano quelli commessi ai sensi dell'articolo 323 del codice penale;
   la Corte di Cassazione civile sezioni unite con ordinanza, 28 maggio 2015, n. 11131 ha precisato che in tema di enti pubblici locali, la sospensione dalla carica elettiva, a norma dell'articolo 11 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, consegue direttamente ed esclusivamente alla condanna penale dell'eletto, in quanto il decreto prefettizio che accerta la sussistenza della causa di sospensione è provvedimento non discrezionale, ma vincolato che si limita ad accertare l'effetto di sospensione prodotto ope legis e non ha, dunque, efficacia costitutiva;
   nella città Villa San Giovanni (RC), a seguito delle elezioni dell'11 giugno 2017 Giovanni Siclari otteneva più voti rispetto agli altri candidati sindaco e in data 12 giugno alle ore 21,00 circa, il presidente della prima sezione elettorale lo proclamava vincitore;
   Siclari nominava immediatamente Maria Grazia Richichi vicesindaco;
   Giovanni Siclari il 10 novembre 2016, ricoprendo la carica di assessore, era tuttavia stato condannato in primo grado dal Collegio del Tribunale Penale di Reggio Calabria, per abuso di ufficio in concorso con il sindaco di allora ed altri membri dell'amministrazione;
   in conseguenza di tale condanna già il 12 novembre 2016, il prefetto comunicava la «sussistenza della causa di sospensione» nei suoi confronti;
   in data 13 giugno 2017, secondo quanto comunica la prefettura, dopo la proclamazione, è stato tempestivamente adottato il provvedimento di sospensione dalla carica del neo eletto sindaco di Villa San Giovanni;
   come ricordato, la sospensione dalla carica elettiva, secondo l'articolo 11 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, consegue alla condanna penale dell'eletto e non al provvedimento del prefetto e dunque il decreto di nomina del vicesindaco adottato da un sindaco già sospeso ope legis, peraltro già precedentemente sospeso da altra carica, andrebbe considerato nullo per difetto assoluto di attribuzione –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda adottare ogni iniziativa di competenza volta a chiarire in maniera univoca gli effetti di situazioni quali quella segnalata in premessa.
(3-03120)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARCON e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 20 giugno 2017, in occasione della giornata mondiale del rifugiato, Amnesty International ha organizzato un flash mob al Pantheon;
   all'iniziativa ha preso la parola un attivista di Resistenze Meticce, esprimendo il suo parere contrario sul decreto «Orlando-Minniti»;
   subito dopo l'intervento, l'attivista è stato avvicinato e fermato da due agenti che gli hanno chiesto i documenti e lo hanno identificato. Secondo quanto appreso dagli interroganti, alla fine un dirigente di polizia ha riferito che il reato contestato sarebbe vilipendio;
   dalle immagini disponibili sul sito Youmedia, ad avviso degli interroganti, emerge con chiarezza che in nessun modo le parole utilizzate dall'attivista possono integrare il reato di vilipendio, né sono individuabili altre espressioni costituenti reato;
   in un regime democratico, quale è quello instaurato dalla Costituzione repubblicana, sono ammesse critiche, anche severe, alle istituzioni e alle leggi, onde assicurarne l'adeguamento alla coscienza sociale e ai suoi mutamenti;
   nel caso di specie le critiche espresse appaiono del tutto urbane e rispettose delle istituzioni –:
   per quale motivo l'attivista di Rete Resistenze Meticce sia stato fermato ed identificato dalle forze dell'ordine durante il flash mob organizzato da Amnesty per la giornata mondiale del rifugiato;
   nel caso l'intervento delle forze dell'ordine non sia risultato conforme alla legge, quali iniziative si intendano intraprendere in relazione alle condotte messe in atto dalle forze dell'ordine medesime.
   (5-11664)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROBERTA AGOSTINI e MORASSUT. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 1950 viene inaugurata a Roma, su via Tiburtina, in zona San Basilio, una fabbrica di penicillina da Sir Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina, come il più grande polo di produzione in Europa, per coprire il fabbisogno nazionale e permetterne l'esportazione su vasta scala;
   nel 1971 la casa farmaceutica «Leo» cede lo stabilimento alla I.S.F. S.p.a.. L'impianto rimane operativo fino alla metà degli anni novanta, quando la I.S.F. cessa la sua attività e l'edificio viene abbandonato;
   ancora oggi la situazione è la stessa. Un immenso edificio, svuotato in gran parte delle sue attrezzature, immerso nella spazzatura e nel degrado;
   il 17 gennaio 2014, in seguito ad un sopralluogo da parte del comune e delle forze dell'ordine, l'area viene sottoposta a sequestro penale da parte del comando dei carabinieri;
   nonostante il sequestro, l'edificio viene occupato dai senza dimora. La scorsa settimana c’è stato l'ennesimo sgombero da parte delle forze dell'ordine che ha visto l'allontanamento di 70 persone, per lo più cittadini africani e di etnia rom. Nel novembre 2016 è stato teatro di uno stupro ai danni di una giovane donna;
   ovviamente c’è anche un problema ambientale: residui chimici e rifiuti speciali abbandonati nella fabbrica;
   questa enorme struttura abbandonata non trova da anni una credibile ricollocazione. Si è parlato nel tempo, di farla diventare un albergo e della possibilità di utilizzare l'area ad uso abitativo e sportivo. Ma la situazione è sempre la stessa e gli abitanti della zona chiedono con forza un intervento per riqualificare l'area –:
   quali iniziative, di concerto con il comune di Roma, si intendano adottare al fine di garantire la sicurezza pubblica nell'area di cui in premessa, anche con riferimento alla problematica dei senza fissa dimora;
   se il Governo non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per rimuovere i residui chimici e i rifiuti speciali abbandonati nella fabbrica, e verificare che detti rifiuti non abbiano comportato e comportino rischi per la salute pubblica. (4-17077)


   BINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende che il dipartimento di pubblica sicurezza avrebbe presentato alle organizzazioni sindacali, un documento, che nell'ambito di un piano complessivo volto alla razionalizzazione dei presidi di polizia, prevede la soppressione, tra le altre, della sezione polizia postale di Pistoia;
   il Ministero, per adeguarsi alle nuove necessità operative e alla trasformazione che ha subito il settore, avrebbe rappresentato la necessità di operare una vasta razionalizzazione, nelle province nelle quali non vi sarà più la sezione di polizia postale sarà istituita nelle questure una «sezione reati informatici» all'interno delle squadre mobili;
   la polizia postale sarà composta da 20 compartimenti regionali, 8 sezioni distrettuali e solo da 21 sezioni provinciali in tutta Italia;
   la razionalizzazione troverebbe la sua ratio nella necessità di fare economia; non appare, tuttavia, corretto, affermare che la chiusura delle sezioni di polizia postale possa comportare risparmi economici, dal momento che esse vengono sovvenzionate dalla società Poste Italiane s.p.a., società privata che assume sul proprio bilancio tutti i costi di gestione;
   la chiusura comporterebbe un aggravio ulteriore di spesa per dotare il personale, trasferito ad altra sede, di computer, attrezzature tecnologiche ed informatiche, arredi, autovetture di servizio (anche quelle con colori di istituto), consumi di energia, affitti dei locali ed altro, il cui costo, ad oggi, è a carico della società privata Poste Italiane s.p.a.;
   non è corretto affermare che la chiusura delle sezioni porti ad una razionalizzazione delle risorse umane, poiché non si utilizzerà al meglio il personale già specializzato, ma esso verrà disperso in attività di carattere generale, vanificando quella esperienza e professionalità acquisita nel corso degli anni anche attraverso numerosi e di corsi di specializzazione;
   il personale potrebbe essere dirottato presso le locali squadre mobili dove dovrebbe svolgere il medesimo lavoro: mancano, però, elementi che permettano di individuare il coordinamento tra le varie attività;
   l'attuale assetto consente un tempestivo ed ordinato flusso delle informazioni tra il centro e la periferia a vantaggio del coordinamento spedito e dell'immediato intervento su tutto il territorio;
   le sezioni della polizia postale svolgono nelle province un'attività specifica di prevenzione e repressione volte ad osteggiare i reati informatici e quei reati che si avvalgono delle tecnologie informatiche, attraverso il rapporto diretto con il cittadino, con la quotidiana attività di front office per acquisire denunce, esposti, richieste di ogni genere, incontri e convegni con le scolaresche, i genitori, gli insegnanti ed i comitati, per informare e svolgere attività di sensibilizzazione che, alla luce dei recenti accadimenti, appare sempre più indispensabile;
   per quanto riguarda l'attività di repressione, in caso di indagini specifiche nel campo informatico è evidente che la presenza sul territorio consente di acquisire immediatamente la notitia criminis ed attivare di indagini, ponendo immediato contrasto alla consumazione del reato, come la possibilità di fermare flussi di denaro da frodi informatiche, estorsioni, clonazioni di carte di credito e truffe in genere;
   si è in un'epoca nella quale le truffe on line, l'adescamento minorile tramite i social network, le sex extorsion, la pedopornografia e il cyberbullismo, sono reati informatici in crescita esponenziale, e contro i quali l'azione della polizia postale, sempre più specializzata, costituisce un presidio fondamentale –:
   se il Ministro non ritenga di dovere ripensare radicalmente il piano di razionalizzazione suesposto nella parte che riguarda la chiusura dei presidi della polizia postale in Toscana, con particolare riferimento alla sezione della polizia postale di Pistoia, anche al fine di garantire un'adeguata lotta al crescente crimine informatico sul territorio, nonché per salvaguardare le professionalità acquisite. (4-17079)


   PASTORELLI, LOCATELLI e LO MONTE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2017 si è tenuto l'incontro organizzato dal questore Gagliardi, con le organizzazioni sindacali, con riferimento ad un progetto di rimodulazione di alcuni uffici della questura di Venezia;
   nel documento viene paventata la possibile chiusura del commissariato di Marghera che determinerebbe, a detta del questore, un aumento del numero di volanti sul territorio. La struttura in questione è considerata un presidio di legalità e di ordine pubblico in un territorio del comune di Venezia storicamente davvero difficile. Verrebbe infatti chiuso, in via Cosenz, l'ufficio denunce, e delocalizzato in via Nicolodi, sempre a Marghera nella stessa sede degli uffici d'immigrazione e primo ingresso, mentre ci sarà una pattuglia con una volante che presidierà il territorio costantemente;
   il sindacato di polizia Coisp si è subito dimostrato fortemente contrario a questa ipotesi di riorganizzazione affermando in una nota che: «(...) Questo presidio non serve solo Marghera come quartiere, ma anche la zona del Porto, l'area della Gazzera, di Chirignago, di Asseggiano e Malcontenta. Una volta chiusi gli uffici siamo sicuri non riapriranno più». Inoltre, il portavoce del sindacato di polizia fa capire che con la chiusura degli uffici la situazione potrebbe diventare intollerabile. «Le prostitute che controlliamo ogni giorno e che sono quasi tutte cittadine comunitarie senza il nostro lavoro arriveranno ad esercitare nel centro di Marghera nel giro di pochissime settimane. Per non parlare di risse e spaccio di droga»;
   anche i cittadini si sono sollevati contro questa ipotesi e il portavoce dei residenti, ha spiegato che: «Non vogliamo in alcun modo che il degrado si impossessi del nostro quartiere. Il commissariato di polizia di via Cosenz è un'istituzione per Marghera da decenni. Già ora la situazione è difficile, figuriamoci quando gli uffici di polizia saranno chiusi»;
   è inevitabile che se si dovesse procedere a tale «riorganizzazione degli uffici» la zona di Marghera perderebbe l'unico presidio di polizia presente sul territorio disperdendo non solo professionalità ma soprattutto una serie di servizi indispensabili, specialmente in un periodo come questo in cui le minacce terroristiche, la microcriminalità e il degrado richiedono ancora di più la presenza ed il presidio da parte degli uffici di polizia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative urgenti abbia intenzione di assumere affinché il commissariato di Marghera continui ad essere per l'intera collettività punto di riferimento per l'ordine e la sicurezza in un territorio particolarmente complicato che, semmai, abbisogna di maggior attenzione. (4-17088)


   PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ai profughi residenti nel nostro Paese è garantito, ai sensi degli articoli 17 e 18 della legge n. 137 del 1952, il diritto di riscatto nell'ambito dell'edilizia residenziale pubblica, quindi un diritto di acquisto della piena proprietà. Acquisto che, alla luce dell'articolo 1, comma 24, della legge n. 560 del 1993, può avvenire al prezzo di miglior favore;
   Gregorio Canneti, profugo rimpatriato dalla Libia, dopo aver acquistato un appartamento assegnatogli al prezzo determinato ai sensi della suddetta legge, chiede la condanna dell'Aler (Azienda lombarda per l'edilizia residenziale di Milano) a restituire la differenza tra quanto pagato e il prezzo di miglior favore, ossia il 50 per cento del costo di costruzione dell'immobile;
   in primo grado, il tribunale di Milano nel 2007 rigetta la domanda, poiché l'appartamento controverso non è stato costruito con fondi specificamente dedicati ai profughi, cosicché le condizioni di vendita devono essere quelle in generale applicate nei casi di edilizia residenziale pubblica;
   la legge n. 137 del 1952 («assistenza a favore dei profughi») disegna due tipi di situazioni abitative per i profughi: da un lato gli alloggi riservati e dall'altro quelli dedicati ex articolo 18 della suddetta legge;
   la Corte d'appello di Milano ha ribaltato la situazione, facendo leva sulla legge finanziaria n. 350 del 2003 che, all'articolo 4, comma 223, avrebbe avallato, a parere della Corte d'appello, la fine di ogni distinzione tra soggetti che abbiano ottenuto alloggi costruiti con fondi destinati e non;
   intanto, nel 2013, è intervenuta la Corte Costituzionale, dichiarando illegittima una legge della regione Toscana che estendeva il regime privilegiato di acquisto a tutti i profughi, sulla falsariga di quanto già stabilito dalla finanziaria del 2003;
   alla luce di tale intervento della Consulta, la Corte di Cassazione 8 con sentenza 09119/2017 accoglie il ricorso dell'Aler e annulla la sentenza di secondo grado, rigettando la domanda del ricorrente Gregorio Canneti;
   due anni prima, però, un'altra sentenza nomofilattica fu favorevole ai profughi di Bologna sulla base della legge n. 388 del 2000 la quale unificava gli articoli 17 e 18 della legge n. 137 del 1952, riconoscendo loro il principio del prezzo di miglior favore; ha inoltre dichiarato la non pertinenza e la non incidenza dell'interpretazione della Consulta nel contesto della causa bolognese –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di dovere assumere iniziative normative volte a fare chiarezza in materia, anche e soprattutto alla luce di quella che appare all'interrogante una confusione tra le sentenze nomofilattiche;
   se il Governo abbia contezza della situazione regione per regione relativamente all'applicazione corretta della normativa in questione e se non ritenga opportuno avviare un monitoraggio in merito;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire l'omogeneità delle modalità applicative delle leggi riguardanti l'acquisto della casa da parte dei profughi, e per assicurarne l'applicazione in tutto il territorio italiano. (4-17095)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


  GIGLI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   il 13 giugno 2017, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, congiuntamente con il Ministero della salute, ha pubblicato il decreto interministeriale con il quale si identificano i requisiti e gli standard per ogni tipologia di Scuola di Specializzazione medica, nonché gli indicatori di attività formativa ed assistenziale necessari per le singole strutture di sede e per la rete formativa di ognuna di esse, prevedendo l'aggiornamento annuale della relativa Banca Dati, quale riferimento ai fini della istituzione, accreditamento e attivazione delle Scuole di specializzazione;
   prende avvio una opportuna e complessa fase adeguamento e riordino delle Scuole, in modo da meglio assolvere alla loro mission formativa;
   gli standard, i requisiti e gli indicatori di performance previsti nel decreto trovano immediata applicazione;
   tutte le scuole dovranno sottoporsi alla procedura di accreditamento, con possibilità che lo stesso venga negato con esclusione dal prossimo bando per i contratti di formazione medica specialistica, oppure con la concessione di un termine massimo di due anni per l'adeguamento;
   in tutti gli atenei italiani e in molte aziende sanitarie si è messa in moto una complessa macchina, per la quale il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dal 22 giugno ha aperto la Banca dati sull'offerta formativa delle Scuole di specializzazione, disponibile per la compilazione da parte degli atenei fino al 3 luglio;
   appare evidente la volontà di allineare alla procedura di accreditamento il prossimo bando per i contratti, del quale è prevista la pubblicazione in settembre, completando le selezioni del concorso nazionale in tempo per l'inizio del prossimo anno accademico;
   a parere dell'interrogante non mancano errori, incongruenze, contraddizioni, che ignorano la situazione di prolungata sofferenza degli Atenei Italiani;
   appare assurda la presunzione di contare su un attendibile flusso informativo nell'arco di soli 10 giorni, facendo temere la paralisi del sistema oppure il mancato controllo delle dichiarazioni eventualmente erronee o mendaci;
   alcuni dei dati richiesti sono ancora codificati a mano dalle Aziende sanitarie o comunque non sono estraibili dai programmi gestionali delle aziende sanitarie se non a seguito di procedure farraginose;
   apparirebbe, quindi, necessario uno slittamento di almeno tre mesi per l'immissione dei dati, sganciando la procedura di accreditamento dal prossimo bando per i contratti di formazione 2017-2018, prevedendone fin d'ora l'applicazione al concorso per l'anno accademico 2018-2019 –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato, per evitare quanto su esposto, evitando situazioni che non potrebbero che essere caotiche e foriere di gravi errori.
(3-03115)


  AIRAUDO, PANNARALE e MARCON. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   il dipartimento di Agraria dell'Università di Torino non avrebbe rinnovato il contratto di una sua ricercatrice, Barbara Dal Bello, in ragione del suo stato di gravidanza;
   ufficialmente il mancato rinnovo non è legato alla maternità, ma la ricercatrice ha dichiarato che il Dipartimento pur avendo messo in previsione un fondo per rinnovarle la collaborazione, dopo aver appreso che era incinta l'ha liquidata dicendole: «Le cose cambiano»;
   la ricercatrice ha raccontato che, come gestante, non poteva più lavorare nei laboratori dove svolge di solito i suoi studi a causa dei solventi organici che vengono utilizzati, ma poteva essere applicata per molte altre attività;
   per oltre 15 anni, la sua carriera presso l'Ateneo torinese è stata fatta di collaborazioni continuative: dopo il dottorato ha avuto per quattro anni assegni di ricerca, mentre negli ultimi due borse di studio, da 1.100 euro netti al mese, che non le danno diritto alla maternità e all'indennità di disoccupazione;
   la ricercatrice ha denunciato il suo caso allo «Sportello precari» dell'Università di Torino, voluto dal Coordinamento Ricercatori Non Strutturati (CRNSU-TO) e dalla Flc Cgil, ed è uno dei tanti di cui si è discusso il 16 giugno all'assemblea nazionale dei precari della ricerca convocata a Torino;
   infatti i ricercatori precari sono una realtà molto diffusa: hanno titoli e grande competenza professionale, ma sono precari, non fanno carriera, guadagnano poco rispetto alle loro qualifiche e, quando sono donne, sono discriminate se fanno un figlio;
   il rettore dell'Ateneo, professor Gian Maria Ajani, ha dichiarato che più volte è stato denunciato un vuoto normativo: «Uno dei problemi della precarietà negli atenei è che c’è una vera giungla di contratti, ma sono pochi quelli dove ci sono diritti e garanzie». Sulla vicenda della ricercatrice spiega: «Al termine del suo contratto non è previsto nessun tipo di tutela, diverso sarebbe se avesse avuto un assegno di ricerca, ma purtroppo lei aveva già usufruito per il numero massimo di anni di questo tipo di contratto. Come atenei abbiamo le mani legate, è necessario un intervento del governo e del legislatore che abbiamo già chiesto in tante occasioni» –:
   quali iniziative intenda assumere, anche di concerto con gli altri soggetti istituzionali coinvolti, in relazione a casi come quello della ricercatrice Dal Bello, per porre un limite alla precarietà e alla discriminazione nel settore della conoscenza, attraverso un piano di stabilizzazione e di riconoscimento delle competenze dei giovani ricercatori. (3-03116)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo pubblicato sul quotidiano online www.repubblica.it in data 22 maggio 2017 a firma della giornalista Greta Maria, dal titolo «Medicina, test copiato dal web ? Boom sospetto di ricerche su Wikipedia durante le ore del concorso» sono state paventate preoccupanti irregolarità nello svolgimento del test per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina e chirurgia negli anni 2015-2016;
   in particolare, la giornalista riferisce che «Alle denunce e ai ricorsi segue la controprova: un gruppo di medici concorrenti ha interrogato l'enciclopedia online sulle definizioni-chiave dei concorsi per le scuole di specializzazione di Medicina e Chirurgia 2015-16. Concetti quasi mai cercati divengono “popolarissimi” proprio nelle due ore in cui si svolgevano le prove»;
   infatti, secondo una ricerca effettuata da alcuni medici che hanno partecipato al concorso, nelle date (e soprattutto nelle ore) in cui si sono svolte le prove selettive, sia nel 2015 che nel 2016, vi è stato un record di consultazioni della nota enciclopedia online raggiungibile all'indirizzo web www.wikipedia.it, proprio con riferimento agli argomenti oggetto delle domande del test di ammissione alle scuole di specializzazione;
   la giornalista prosegue segnalando che «Parole chiave cercate quasi mai dal 2008 al 2017, ma super cliccate da raggiungere volumi storici il 28 luglio 2015 e il 19 luglio 2016. Record di interesse per il “legamento epatoduodenale”: 73.81 pageviews su Wikipedia, esattamente alle 12 di mattina. E se contiamo anche le ricerche su altri siti, i numeri aumentano: si arriva anche a 1300 ricerche nella stessa ora, nello stesso giorno, per lo stesso e unico motivo. Lo stesso per “volumi polmonari”, “pancreatite acuta”, “nitroprussiato di sodio”, “lemnisco mediale”, “scala Hounsfield” e tanti altri. Salti vertiginosi da uno a cento nella scala di ricerche Wikipedia e per di più nell'arco di otto anni. Come mai “Muscoli sopraioidei” raggiunge più di 100 pageviews su Wikipedia giusto il 19 luglio 2016 alle ore 12 ? E il 4 luglio dello stesso anno o giorno 8, o 10, o il 24 non riesce a raggiungere nemmeno 20 pagine viste ? E come mai “fattore di crescita derivato dalle piastrine” è diventato magicamente di interesse comune un'ora prima dell'esame del 19 luglio 2016 raggiungendo le 50 pageviews durante il test ? E prima non l'aveva cercato nessuno.»;
   sicché, stante la nota del 13 maggio 2017 con cui il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha annunciato che per l'anno in corso i test di ammissione si svolgeranno nel mese di ottobre e alla luce di quanto reso noto dall'articolo pubblicato dal quotidiano online www.repubblica.it in data 22 maggio 2017, sussiste il preoccupante pericolo che la procedura concorsuale possa venire alterata dalla consultazione di informazioni sul web da parte dei concorsisti durante l'espletamento, così come dimostrerebbero i dati sopra riportati –:
   se il Ministro interrogato in occasione dell'espletamento della prova di accesso alle scuole di specializzazione di medicina e chirurgia dell'anno 2017, intenda assumere iniziative per organizzare un'adeguata attività di sorveglianza tramite l'ausilio di specifici strumenti che interdicano il collegamento alla rete internet di dispositivi cellulari o tablet, al fine di garantire un corretto svolgimento della prova medesima ed assicurare a ciascun partecipante la parità di chance ed il riconoscimento del merito, impedendo che candidati preparati possano essere superati a causa di condotte illecite. (5-11658)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRIGNONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in relazione al nuovo concorso di cui al bando Ddg n. 106 del 2016 previsto dalla legge n. 107 del 2015 e, in particolare, riguardo la procedura selettiva espletata a Roma per la classe di concorso AJ55 – strumento musicale nelle scuole secondarie di secondo grado – pianoforte – regione Lazio – sono state riscontrate diverse anomalie e irregolarità;
   a quanto consta all'interrogante le griglie di valutazione non risulterebbero pubblicate, la commissione di esame sarebbe composta da membri che non appaiono esperti nella materia ma ancor più grave è che tra gli stessi membri della commissione compaiono anche gli attuali docenti in utilizzazione;
   tale composizione di esame appare all'interrogante potenzialmente orientata a mantenere lo status quo negando le idoneità e garantendo continuità agli insegnanti già presenti;
   infatti, ne è conseguito che il numero dei non ammessi per tale classe di concorso è stato rilevantissimo raggiungendo quasi il 70 per cento dei candidati e detta circostanza, secondo l'interrogante, non consente di avere una procedura oggettiva e trasparente, nonché rispettosa delle norme che devono governare qualunque selezione;
   inoltre, a causa della composizione della commissione d'esame, tra cui docenti in utilizzo, potrebbe venire meno la mancata immissione in ruolo dei vincitori del concorso e, anche per tali ragioni, gli interessati hanno deciso di partecipare a manifestazioni per protestare verso il concorso in tale materia, nonché di proporre ricorso amministrativo al Tar Lazio per ottenere l'annullamento del concorso;
   in Lombardia, il presidente della commissione esaminatrice concorso per docenti di composizione musicale (classe di concorso A64) previsto dalla legge n. 107 del 2015, aveva espresso su un quotidiano nazionale, dubbi sull'opportunità di esaminare nuovi docenti da immettere poi in un tessuto specialistico quale quello dei licei musicali, poiché a suo dire nei licei interessati vi sono docenti utilizzati da anni che dovrebbero lasciare il posto ai vincitori, generando gravi effetti sulla continuità didattica per l'improvvisa e radicale sostituzione della maggioranza degli insegnanti in servizio;
   a tale proposito, il Tar di Milano, con ordinanza 23 novembre 2016, n. 1486, ha sospeso in Lombardia il concorso per docenti di composizione musicale (classe di concorso A64) previsto dalla legge n. 107 del 2015 con la seguente motivazione secondo cui: «I commissari d'esame non possono esprimersi sull'utilità del concorso in cui sono coinvolti» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intenda assumere in relazione alla partecipazione di docenti in utilizzo, in qualità di membri, alla commissione d'esame della classe di concorso per docenti di composizione musicale di cui al bando Ddg n. 106 del 2016 previsto dalla legge n. 107 del 2015 e, in particolare, riguardo alla procedura selettiva espletata a Roma per la classe di concorso AJ55;
   considerata l'evidente carenza di imparzialità di alcuni membri della commissione esaminatrice del concorso di cui sopra, che non può garantire la parità di trattamento, se non ritenga opportuno assumere iniziative per sospendere le prove e procedere ad una diversa composizione della commissione, al fine di evitare che, successivamente alla nomina dei vincitori, il giudice amministrativo presso il quale pendono diverse cause, possa statuire l'annullamento del concorso con evidenti danni economici, che andrebbero a pesare sul bilancio pubblico, e disagi nei confronti dei candidati. (4-17093)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XI Commissione:


   GRIBAUDO, GNECCHI, PARIS, PATRIZIA MAESTRI, ARLOTTI, ALBANELLA e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 25 maggio 2017 la Conferenza Stato-regioni ha approvato le nuove «Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento», ai sensi dell'articolo 1 commi da 34-36, della legge n. 92 del 2012;
   tali linee guida prevedono che il tirocinio di formazione e orientamento attivabile da neolaureati e neodiplomati nei primi 12 mesi dal conseguimento del titolo di studio abbia una durata che passa dai 6 mesi della precedente normativa a ben 12 mesi, con un importo minimo dell'indennità di partecipazione per il tirocinante di soli 300 euro;
   viene previsto inoltre che sia possibile attivare un tirocinio anche nell'ipotesi in cui il tirocinante abbia svolto prestazioni di lavoro accessorio per il medesimo soggetto ospitante per non più di 30 giorni, anche se non consecutivi, nei sei mesi precedenti l'attivazione;
   viene esclusa la cumulabilità di tirocini extra-curriculari con tirocini curriculari, permettendo così un'espansione imprevedibile dei tirocinanti nelle aziende, vista anche la desueta normativa oggi in vigore per i tirocini curriculari; vengono inoltre sommati (dipendenti a tempo determinato ai dipendenti a tempo indeterminato per il calcolo dei tirocinanti ammessi nello stesso soggetto ospitante, con ulteriori clausole di deroga ai limiti nel caso di assunzione di precedenti tirocinanti;
   il monitoraggio previsto all'articolo 13 e contenuto anche nell'accordo del 24 gennaio 2013 è stato completamente disatteso in questi anni e non esistono oggi dati nazionali sul numero di tirocinanti attivi, ad esclusione dei report di «Garanzia Giovani»; viene inoltre indicata nel suddetto articolo la partecipazione di Italia Lavoro alla redazione del report nazionale, la cui denominazione è oggi Anpal-Servizi e vede oggi a rischio 800 unità a tempo determinato;
   il tirocinio si prefigura così come un taglio del costo del lavoro per le imprese e come uno strumento alternativo ai più strutturati e coerenti percorsi previsti dai contratti di apprendistato, mancando inoltre il naturale legame di questa normativa con l'alternanza scuola-lavoro e risultando assente una revisione dei tirocini curriculari –:
   se non ritenga di assumere iniziative per la modifica delle norme sopra descritte, nell'ottica di favorire da parte delle imprese l'adozione di contratti di lavoro formativo maggiormente strutturati e che garantiscano maggiori diritti e tutele, quale ad esempio l'apprendistato, nonché una più equa retribuzione basata su quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, al contempo rivedendo la disciplina sui tirocini curriculari, al fine di dare alla stessa maggiore uniformità e proficuità a beneficio degli studenti che necessitano di orientamento e di partecipare ad attività realmente formative per i loro percorsi scolastici, accademici e professionali.
(5-11667)


   MOTTOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 1 comma 195 e seguenti della legge 11 dicembre 2016, n. 232 – legge di bilancio 2017, si è modificato il comma 239 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012 estendendo l'istituto del cumulo per gli enti di previdenza di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, prevedendo altresì che la predetta facoltà possa essere esercitata per la liquidazione del trattamento pensionistico, a condizione che il soggetto interessato abbia i requisiti anagrafici previsti dal comma 6 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e il requisito contributivo di cui al comma 7 del medesimo articolo 24, ovvero, indipendentemente dal possesso dei requisiti anagrafici, abbia maturato l'anzianità contributiva prevista dal comma 10 del medesimo articolo 24;
   sono state emanate dall'Inps con la circolare n. 60 del 16 marzo 2017 le disposizioni applicative limitatamente ai casi di cumulo dei periodi assicurativi non coincidenti da parte degli iscritti a due o più forme di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti e autonomi, alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, mentre per quanto riguarda gli enti di previdenza di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, la stessa circolare nella premesse recita: «Con successiva circolare verranno diramate le istruzioni applicative delle disposizioni in argomento con riferimento ai casi di cumulo dei periodi assicurativi non coincidenti anche presso le Casse professionali»;
   al punto 3 della richiamata circolare, viene altresì chiarito dall'Istituto che: «In tutti i predetti casi le domande presentate da soggetti che risultino in possesso di periodi assicurativi presso le Casse professionali, non dovranno essere respinte ma tenute in apposita evidenza in attesa delle relative istruzioni»;
   ad oggi nulla è dato sapere sulla tempistica per l'emanazione delle ulteriori istruzioni per l'esercizio dell'istituto del cumulo da parte degli iscritti alle casse professionali –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di assumere urgentemente iniziative affinché gli enti di previdenza pubblici e privati procedano ad emanare le disposizioni applicative della norma richiamata in premessa, approvata con la legge di bilancio 2017. (5-11668)


   POLVERINI e LAFFRANCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da diverse fonti giornalistiche, la multinazionale Nestlé avrebbe diramato una nota ufficiale, nella quale si afferma che «A giugno 2018 terminerà il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, che non sarà più rinnovabile. Data l'impossibilità di fare ulteriore ricorso agli ammortizzatori sociali emerge l'esigenza di procedere ad un riequilibrio occupazionale che, ad oggi, stimiamo possa coinvolgere circa 340 addetti alle attività di produzione e logistica, ai quali – nei prossimi anni – non sarà possibile assicurare la continuità occupazionale presso l'Unità di Perugia, se non in funzione della stagionalità tipica delle produzioni dolciarie»;
   in data 7 aprile 2016, la Nestlé ed i sindacati avevano proceduto con la firma di un accordo che prevedeva un investimento di 60 milioni di euro nei successivi tre anni, destinati all'innovazione tecnologica di macchinari e strutture (15 milioni) e politiche di marketing di marchi e prodotti legati al cioccolato (45 milioni). Lo stesso piano contemplava, inoltre, anche la dismissione della produzione di alcuni marchi, senza però la necessità di ricorrere ad esuberi di personale e a decisioni unilaterali dell'azienda per tutta la durata del piano, quindi almeno fino al 2018. Tale accordo era stato ratificato a larga maggioranza anche dai lavoratori;
   dal mese di maggio 2017, anche i sindacati hanno denunciato i citai esuberi previsti per lo stabilimento di San Sisto; dal canto suo, la regione Umbria ha convocato un «tavolo istituzionale», con la partecipazione delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori e di rappresentanti dell'azienda, in programma per il 15 giugno 2017, al fine di discutere, acquisire le necessarie informazioni ed avere, conseguentemente, un quadro più organico rispetto alla vicenda complessivamente considerata;
   la Perugina non è soltanto un'azienda con un'importante produzione, un marchio conosciuto in tutto il mondo, ma anche una parte decisiva della storia e dell'identità recente di Perugia e dell'Umbria intera e, quindi, una circostanza come quella sopra descritta rappresenterebbe un evento drammatico per tutta la comunità regionale –:
   se il Ministro interrogato intenda intraprendere le opportune iniziative al fine di tutelare i livelli occupazionali attuali dello stabilimento della Nestlé-Perugina, che rappresenta una realtà strategica per la regione Umbria e la città di Perugia, per lo sviluppo della quale è di fondamentale importanza procedere ad una difesa e ad un rilancio della citata fabbrica, nonché al fine di dare concreta attuazione al citato accordo del 2016. (5-11669)


   SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi alcune interpretazioni da parte delle autorità competenti (Spresal e direzioni territoriali del lavoro) in merito ai controlli nei cantieri ha creato, nel territorio biellese, una problematica piuttosto rilevante per le microimprese artigiane;
   la questione scaturisce dalla considerazione della figura del titolare di impresa artigiana nell'ambito dei cantieri edili e dall'idea falsata che la presenza in tali cantieri di titolari di impresa artigiana senza dipendenti sia in realtà un tentativo di «camuffamento di lavoratori di fatto dipendenti»;
   ne consegue che tale interpretazione ostacola, di fatto, la possibilità di appaltare lavori a coloro che rientrano nella fattispecie di imprese artigiane, proprio perché gli stessi non hanno nella propria organizzazione aziendale lavoratori subordinati alle proprie dipendenze;
   invero, equiparare tali figure a quella dei lavoratori autonomi non è corretto, perché secondo le norme civilistiche il lavoratore autonomo non è un'impresa, mentre l'impresa artigiana è a tutti gli effetti un'impresa, sia pure senza dipendenti (L'impresa artigiana può essere esercitata sia in forma individuale che in forma collettiva (...). L'esercizio di impresa artigiana può essere svolto in forma societaria anche sotto forma di consorzi e cooperative, o dal singolo imprenditore mediante ditta individuale o (...));
   peraltro sembrerebbero emergere talune contestazioni basate non già sul diritto bensì su valutazioni soggettive degli ispettori in modo del tutto presuntivo, generando l'automatico obbligo di avviare adempimenti impossibili in riferimento alla normativa sulla sicurezza nei cantieri di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008;
   il persistere in tale interpretazione ostativa e restrittiva pone una rilevante quantità di micro imprese artigiane del biellese in una situazione marginale e di esclusione dal mercato;
   l'interrogante, peraltro, è a conoscenza della realtà biellese in quanto rappresentante di quel territorio, ma nulla esclude che la problematica investa anche altre regioni;
   è indubbia, dunque, la necessità di fare chiarezza garantendo al contempo la sicurezza nei cantieri e la tutela delle piccolissime imprese artigiane che operano nel comparto del «sistema casa» –:
   se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro interrogato intenda adottare con urgenza per risolvere la problematica di cui in premessa, come ad esempio emanare delle «linee guida interpretative univoche», che sappiano coniugare le regole civilistiche sottese ai contratti di appalto con gli adempimenti richiesti dalla normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. (5-11670)


   DALL'OSSO, CHIMIENTI, TRIPIEDI, LOMBARDI, COMINARDI e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la situazione dell'azienda Breda di Bologna continua, secondo le notizie apprese, ad essere in bilico ovvero non serena per i lavoratori;
   nel dicembre del 2014 a seguito di un incontro presso il Ministero dello sviluppo economico erano stati prefissati ben tre obiettivi ovvero: dare nuovo impulso alla produzione di autobus in Italia, rilanciare l'occupazione e valorizzare la professionalità dei lavoratori di Bologna e Valle Ufita con il sostegno all'utilizzo del trasporto pubblico;
   il nuovo amministratore delegato Del Rosso, ha annunciato il 6 maggio 2017 ai dipendenti l'avvio delle procedure di licenziamento per 46 persone su 184 ancora impiegati nella fabbrica di via San Donato, a causa del mercato in crisi e del mancato finanziamento da parte del Governo del fondo per il trasporto pubblico;
   nell'ultimo incontro al Ministero dello sviluppo economico è stata descritta una situazione di tranquillità lavorativa, che garantiva la saturazione degli organici attraverso la costruzione di 220 veicoli certi in forza di contratti e a portafoglio ordini 2016; allo stato attuale le cose non sembrano funzionare come promesso;
   a Torino sono entrati in servizio autobus usati, nel caso specifico Solaris Urbino 12, passati attraverso l'intermediazione dell'azienda comasca Basco Bus: 44 veicoli provenienti dalla Polonia;
   più volte i lavoratori ovvero le organizzazioni sindacali hanno partecipato a incontri in sede ministeriale;
   già in altre occasioni si è interrogato il Governo in merito alla vicenda di Breda –:
   cosa intenda fare il Governo, allo stato attuale, per preservare i posti di lavoro nelle due sedi italiane. (5-11671)


   AUCI e SOTTANELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'11 luglio 2016, presso il Ministero interrogato, si è svolto un incontro per l'esame congiunto propedeutico alla sottoscrizione di accordo di Cassa integrazione guadagni in deroga per il settore della pesca;
   all'interno del verbale, è precisato che il trattamento per la Cassa integrazione guadagni in deroga non è riconosciuto agli armatori ed ai proprietari-armatori imbarcati sulle navi dai medesimi gestite, in quanto non è configurabile, nei loro confronti, un rapporto di lavoro subordinato;
   il suddetto incontro, che ha definito l'accordo in sede governativa, ha stabilito che entro il mese di marzo del 2017, l'Inps avrebbe provveduto al monitoraggio e quantificazione della previsione di spesa necessaria per i pagamenti di competenza per il 2016;
   la direzione centrale prestazioni a sostegno del reddito ha comunicato alle sedi regionali dell'Inps con messaggio del 26 novembre 2016 che: «a fronte dell'allegazione da parte del richiedente la prestazione, dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il socio e la società proprietaria dell'imbarcazione, l'Istituto, qualora intendesse disconoscere tale rapporto, avrà l'onere di dimostrare la mancanza del vincolo di subordinazione»;
   l'Ente ha specificato che «il lavoratore, inquadrato come autonomo alla stregua degli artigiani e commercianti, non ha diritto a percepire la prestazione in quanto finalizzata solo ai lavoratori dipendenti»;
   la sede Inps di Teramo non ha provveduto alla liquidazione delle pratiche di Cassa integrazione guadagni in deroga a diversi dipendenti della categoria, adducendo la loro qualifica di «armatori» esclusivamente in ragione dei codici 73 o 63 indicati nell'Uniemens (circolare n. 527 R.C.V. del 1980 ex legge 29 febbraio 1980 e decreto-legge n. 663 del 1979) incompatibili con la qualifica di lavoratore dipendente;
   con tali motivazioni, contrastanti con la norma e con il verbale di accordo in sede governativa nonché con la successiva precisazione della direzione centrale sopra citata, l'Inps di Teramo ha dunque rigettato analoghe istanze;
   il 25 maggio 2017 con una nota inviata al direttore dell'Inps della regione Abruzzo è stato sollecitato l'Istituto al fine di dirimere in tempi brevi la controversia interpretativa –:
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda intraprendere nei confronti dell'Inps, al fine di dirimere la controversia e disporre la liquidazione delle domande di Cassa integrazione guadagni in deroga in favore dei lavoratori delle imprese di pesca abruzzesi che ne hanno fatto richiesta. (5-11672)


   MARTELLI, GIORGIO PICCOLO e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge di conversione del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, è stata approvata definitivamente dal Senato della Repubblica in data 15 giugno 2017. La legge di conversione è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale a distanza di otto giorni, nel supplemento ordinario n. 31 del 23 giugno 2017, entrando in vigore il giorno successivo, a ridosso della scadenza del limite di sessanta giorni previsto per la conversione del decreto-legge;
   in data 22 giugno 2017, sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio è stata pubblicata una nota dell'ufficio stampa di Palazzo Chigi nella quale si dava notizia che, in occasione della promulgazione della legge di conversione del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, la Presidenza del Consiglio aveva provveduto ad inviare un appunto al Quirinale esplicativo delle norme approvate in tema di lavoro occasionale, anche in relazione agli ordini del giorno approvati in materia dalla Camera dei deputati;
   il giorno successivo il giornale la Repubblica pubblicava un articolo dal titolo «Voucher, il Quirinale chiede di fare chiarezza», nel quale si da notizia di chiarimenti e rassicurazioni fornite dal Governo in merito alla portata delle norme approvate in materia di lavoro occasionale;
   le stesse norme erano state già oggetto di rilievi critici formulati all'interno di un documento pubblicato dall'Ufficio parlamentare di bilancio in data 16 giugno 2017 –:
   quali siano le motivazioni che hanno indotto il Governo ad inviare una comunicazione illustrativa della nuova disciplina alla Presidenza della Repubblica, procedendo anche a darne pubblicità nelle forme riportate in premessa. (5-11673)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PELLEGRINO, FRATOIANNI, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società Wartsila spa è una società specializzata nella metalmeccanica e in tecnologie marine, con sede centrale in Finlandia, che ha una importante rilevanza nel tessuto economico del Friuli Venezia Giulia;
   la società Wartsila spa è stata notevolmente supportata dalla regione Friuli Venezia Giulia e dal Governo che hanno partecipato anche recentemente ai tavoli di trattativa per evitare esuberi nello stabilimento di Trieste;
   la società Wartsila spa, per evitare licenziamenti, si è vista assegnare 900.000 euro dalla regione Friuli Venezia Giulia e 2,8 milioni di euro dal Governo, risorse provenienti dal fondo per la crescita sostenibile, per sostenere il progetto di sviluppo da parte della società di tecnologie innovative nella unità produttiva di Trieste;
   in tale contesto, si inserisce al vicenda di Sasha Colautti, dipendente della Wartsila spa nello stabilimento di Trieste, ex dirigente della Fiom, ora dirigente dell'Usb, che dopo il termine di un periodo di distacco sindacale, con la Fiom, ha chiesto all'azienda di rientrare in fabbrica;
   l'ufficio del personale della Wartsila spa ha comunicato nella mattina del 6 giugno 2017, a Sasha Colautti, che sarebbe rientrato in fabbrica ma non nella sede di Trieste bensì nella sede di Taranto che dista circa 1.000 chilometri, in quanto la sede di Bagnoli non era disponibile a seguito della ristrutturazione degli organici;
   a giudizio degli interroganti il mancato rientro del lavoratore nella sede di Trieste e il suo trasferimento a Taranto ovvero a circa mille chilometri di distanza, con la motivazione addotta, colpisce di fatto un lavoratore scomodo, impegnato sindacalmente, evidenziando una condotta da parte dell'azienda che appare del tutto in contrasto con i diritti sindacali senza alcuna giustificazione plausibile e dando luogo a un trasferimento che non può non essere letto come arbitrario e punitivo;
   il 3 luglio 2017 Sasha Colautti dovrà presentarsi a Taranto ed è del tutto evidente che i tempi per una pronuncia del giudice non sono compatibili con la citata data;
   l'Usb ha promosso una serie di mobilitazioni a sostegno e a difesa di Sascha Colautti, una manifestazione era prevista per il 24 giugno 2017 a Trieste per chiedere il ritiro del trasferimento e il ritorno in fabbrica nella sede di Trieste di Sascha Colautti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti citati in premessa e quali siano i suoi orientamenti in proposito;
   quali iniziative, intenda assumere, per quanto di competenza, per favorire il rientro nello stabilimento di Trieste di Sascha Colautti, nel rispetto delle disposizioni vigenti, ed evitare comportamenti aziendali come quelli messi in atto dalla società Wartsila spa, nei confronti del citato dirigente sindacale, che a giudizio degli interroganti ledono i diritti sindacali e paiono dettati da motivazioni politiche.
   (5-11665)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XIII Commissione:


   MUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 17 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (codice dell'amministrazione digitale), come modificato, da ultimo, dal decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179, prevede che: «Le pubbliche amministrazioni garantiscono l'attuazione delle linee strategiche per la riorganizzazione e la digitalizzazione dell'amministrazione definite dal Governo in coerenza con le regole tecniche di cui all'articolo 71. A tal fine, ciascuno dei predetti soggetti affida a un unico ufficio dirigenziale generale, fermo restando il numero complessivo di tali uffici, la transizione alla modalità operativa digitale e i conseguenti processi di riorganizzazione finalizzati alla realizzazione di un'amministrazione digitale e aperta, di servizi facilmente utilizzabili e di qualità, attraverso una maggiore efficienza ed economicità (...)»;
   a tutt'oggi, la nomina del responsabile alla transizione digitale, per quanto concerne il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali non risulta ancora effettuata;
   la società Sin spa – originariamente Sin srl – istituita il 29 novembre 2005, ai sensi della legge 11 novembre 2005 n. 231, di conversione del decreto-legge 9 settembre 2005, n. 182, con il compito di gestire e sviluppare il Sistema informativo agricolo nazionale quale sistema di servizi complesso ed interdisciplinare a supporto delle competenze istituzionali del comparto agricolo, agroalimentare, forestale e della pesca, è una società mista, a capitale pubblico/privato;
   Sin spa, partecipata dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea) al 51 per cento del capitale, possiede al proprio interno adeguate professionalità tecniche;
   la commistione tra parte pubblica e parte privata in Sin spa non parrebbe idonea a garantire un effettivo potere di indirizzo e controllo in capo al settore pubblico nei confronti della parte privata;
   se abbia intenzione di assumere iniziative volte a nominare il responsabile della transizione alla modalità operativa digitale, come previsto dall'articolo 17 del codice dell'amministrazione digitale conseguentemente spostando parte delle professionalità tecniche presenti in Sin spa in Agea in modo che, realizzandosi una divisione netta tra pubblico e privato, la parte pubblica possa effettivamente indirizzare e controllare la parte privata.
(5-11675)


   BENEDETTI, GAGNARLI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la scarsa disponibilità di risorse idriche in diverse regioni d'Italia sta diventando un'emergenza sempre più allarmante, aggravata dal periodo di siccità cominciato già ad aprile 2017, mentre il Governo si è attivato soltanto di recente, il 22 giugno, per deliberare la dichiarazione dello stato di emergenza nel territorio delle province di Parma e Piacenza. Il quadro della siccità si presenta tuttavia più ampio;
   la siccità in Veneto superava, ancor prima dell'inizio dell'estate, un record storico rispetto al dato statistico dell'indice «Wsi», calcolato da anni dall'Arpav sul bacino montano del Piave; i rilevamenti del 31 maggio 2017 evidenziano una siccità che supera il record statistico precedente e che raggiunge il livello di 0,12, con una perdita del 30 per cento di valore in sole due settimane;
   in Piemonte i dati di Arpa Piemonte rivelano come il bacino del Po sia sotto la media storica: meno 65 per cento rispetto alla media mensile degli anni precedenti. Le riserve idriche del fiume raggiungono solo il 60 per cento della capacità massima;
   in Sicilia nell'ultimo anno si registra un calo delle riserve idriche del 15 per cento. Secondo i dati dell'Osservatorio regionale sulle acque, nelle 23 dighe «presentinella» della regione mancano oltre 80 milioni di metri cubi di acqua. L'ultimo bollettino mensile di siccità riporta dati allarmanti a tal riguardo;
   in Friuli Venezia Giulia, già a gennaio 2017 si rilevava un inverno siccitoso; anche a maggio e giugno 2017 la pioggia è stata scarsa, con valori ben al di sotto della media del periodo. Nel bacino montano del Tagliamento le precipitazioni sono state il 54 per cento del valore medio mensile, mentre in pianura sono oscillate tra il 65 per cento e il 72 per cento;
   le precipitazioni registrate in Sardegna tra il 2015 e il 2016 sono state tra il 30 e il 45 per cento in meno rispetto alla media. Deficit che arrivano al 70 per cento nei mesi primaverili; per la problematica è stato già chiesto lo stato di emergenza per calamità naturale –:
   quali iniziative, e con quale cronoprogramma, intenda assumere per la riprogettazione delle opere irrigue e per il restauro della rete consortile al fine di favorire un'agricoltura in grado di sostenere i periodi di siccità, che diventeranno un elemento non più straordinario nel panorama climatico italiano. (5-11676)


   ZACCAGNINI e STUMPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'intero settore della produzione risicola è ormai a rischio di sopravvivenza. Il comparto è particolarmente danneggiato dalla concorrenza sleale del riso di importazione, che entra in Europa a dazio zero e a prezzi troppo bassi, proveniente da Cambogia, Vietnam e Birmania, ma in generale da tutto l'Estremo oriente;
   le caratteristiche del riso italiano sono qualitativamente superiori ad altre produzioni a livello mondiale. La coltivazione del riso fa parte della storia e del paesaggio italiano. Difendere la produzione locale significa non solo tutelare un comparto produttivo di qualità, ma anche salvaguardare il territorio e proteggere il consumatore;
   le importazioni a dazio zero di riso dalla Cambogia, di qualità indica, hanno registrato un incremento esponenziale e la qualità indica occupa il 40 per cento della superficie a riso italiana;
   le speculazioni sull’import del riso asiatico stanno mettendo in ginocchio i produttori italiani che, visti gli scarsi guadagni, stanno riconvertendo le loro produzioni verso altre più redditizie, mettendo a rischio il posto di lavoro per migliaia di addetti;
   alla luce dell'andamento dei prezzi del riso e dell'aumento delle importazioni a dazio zero dai Paesi meno avanzati, a parere degli interroganti, bisognerebbe integrare il dossier già aperto con la Commissione per rinnovare la richiesta di attivazione della clausola di salvaguardia prevista dal regolamento (UE) n. 978/2012. Dal monitoraggio del comparto, infatti, si evidenziano almeno due nuovi elementi oggettivi, che determinano ulteriori effetti negativi, aggravando la situazione di difficoltà. Nello specifico, si tratta del costante trend negativo registrato sulle principali piazze nazionale ed anche europee delle quotazioni del risone. Inoltre, c’è un oggettivo incremento degli stock, sia a livello di Unione europea (546.000 tonnellate, +24 per cento dal 2014/15) sia a livello nazionale (260.111 tonnellate, +45 per cento dal 2015/16): variabili queste ultime che determinano un'azione sinergica negativa, deprimendo ulteriormente il mercato –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di includere fra le priorità politiche quella di presentare, nelle competenti sedi dell'Unione europea, la proposta dell'introduzione di programmi e clausole di salvaguardia di blocco temporaneo delle importazioni di riso, grano e altro, superando e innovando le normative vigenti e rivedendo la politica italiana ed europea favorevole ai trattati di libero scambio (Ceta, Ttip) e ad un approccio alla globalizzazione senza regole che produce sempre maggiori disuguaglianze, invece di riequilibrare le relazioni commerciali in modo che siano «Fair Trade» e rispettino le economie locali. (5-11677)


   FABRIZIO DI STEFANO e RUSSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 24 marzo 2012, n. 27, aveva previsto l'attivazione dei nuovi «contratti di filiera», finanziati e gestiti a livello nazionale dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, grazie ai quali si prevedeva la possibilità di promuovere investimenti nel settore agricolo e alimentare;
   sulla base delle notizie diffuse in precedenza dagli ambienti ministeriali, si era prospettata l'imminente pubblicazione di un bando contenente tutte le indicazioni per la raccolta delle domande di partecipazione dei potenziali beneficiari, ai programmi interprofessionali di rilevanza nazionale riguardanti le maggiori filiere produttive, ivi compresa quella energetica;
   la preannunciata pubblicazione del bando coincideva con una fase di transizione, all'interno della quale i programmi di sviluppo rurale (P.S.R.) 2007-2013 erano entrati nel periodo finale della loro programmazione, con un conseguente esaurimento delle relative risorse finanziarie; agli stessi si affiancava la nuova programmazione per gli anni 2014-2020;
   in data 8 gennaio 2016 il Ministero ha pubblicato il decreto n. 1192, con il quale ha disciplinato i criteri, le modalità e le procedure per l'attuazione dei «contratti di filiera» e dei «contratti di distretto», nonché le relative misure agevolative per la realizzazione di progetti proposti dai soggetti della filiera aderenti ad un accordo di filiera o dai soggetti del distretto aderenti ad un accordo di distretto;
   in seguito, è stato pubblicato in data 3 agosto 2016 un altro decreto, «Condizioni economiche e modalità di concessione dei finanziamenti agevolati per i Contratti di filiera e i Contratti di distretto», nel quale si stabilisce che «Fermo restando quanto stabilito dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali con il decreto dell'8 gennaio 2016, per i Contratti di filiera e i Contratti di distretto attivabili a valere sulle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca, trovano applicazione le disposizioni del presente decreto»;
   ad oggi non risulta che i bandi di accesso alle agevolazioni, menzionati nei citati decreti ministeriali, siano stati ancora pubblicati, causando di fatto un cospicuo ritardo rispetto ai tempi previsti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di fornire gli opportuni chiarimenti in merito alle tempistiche entro le quali si intenda procedere all'emanazione dei suddetti bandi, considerando che dal primo annuncio della pubblicazione dei bandi sono passati oltre diciotto mesi e pendono presso il Ministero numerose domande di accesso alle agevolazioni. (5-11678)


   OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, CARRA, COVA, CUOMO, DAL MORO, DI GIOIA, FALCONE, FIORIO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, SANI, TARICCO, TERROSI, VENITTELLI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 16 marzo 2016, è stato sottoscritto a Roma un protocollo d'intesa su monitoraggio e vigilanza sulla gestione del sistema informativo agricolo nazionale, con l'obiettivo principale di garantire qualità ed efficacia dei servizi, legalità e buon andamento nelle procedure;
   ritardi e criticità si registrano nei pagamenti da parte di Agea nei confronti delle aziende agricole beneficiarie delle risorse comunitarie;
   decine di migliaia di aziende agricole meridionali si trovano in assoluta difficoltà per i ritardi nella erogazione dei fondi 2007-2013;
   una situazione grave si manifesta anche nel sistema delle assicurazioni agevolate e, più in generale, della gestione del rischio in agricoltura: le risorse finanziarie; pari a 1,6 miliardi di euro, sono disponibili, ma Agea non è in grado di erogarle;
   i finanziamenti alle assicurazioni agevolate del 2015 sono stati erogati, in misura inferiore al 50 per cento, solo nei primi mesi del 2017; non vi è ancora il bando per le domande di sostegno 2016 e non risultano pagamenti in tale anno; nel frattempo, gli agricoltori si sono già impegnati con le assicurazioni del 2017;
   il sistema dei Consorzi di difesa, un'eccellenza del sistema italiano sulle assicurazioni agevolate, sta soffrendo gravi conseguenze per i ritardi dei pagamenti, per elevati oneri finanziari e per difficoltà a far fronte alla gestione ordinaria;
   occorre intervenire rapidamente sul malfunzionamento del sistema informatico rendendolo rapido, efficiente e ad accesso immediato, semplificare gli oneri burocratici a carico degli agricoltori, come, ad esempio, nel caso dei premi «accoppiati» o che riguardano le superfici a pascolo, garantire il pagamento immediato dei premi e dei finanziamenti per le assicurazioni agevolate e assicurare piena operatività dei registri vitivinicoli;
   i ritardi pregiudicano la programmazione 2014/2020 con ulteriori danni al comparto –:
   quali immediate iniziative intenda assumere al fine di superare tali criticità consentendo agli agricoltori di ricevere le spettanze arretrate e i sostegni previsti dalla programmazione 2014-2020.
(5-11679)

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da nord a sud, l'Italia sta facendo i conti con la siccità. Dopo un inverno poco piovoso, in cui anche la neve ha tardato a far visita, le risorse idriche stanno ora soffrendo; in base ai dati diffusi dal National Climatic Data Centre, si capisce che il problema non è solo italiano. A livello planetario, la temperatura media registrata sulla superficie della terra e degli oceani è stata la seconda più elevata mai registrata, addirittura superiore di 0,29 gradi rispetto a quella del ventesimo secolo;
   da fonti stampa si apprende che per le province di Parma e Piacenza, il Governo ha dichiarato lo stato d'emergenza e già stanziato 8 milioni e 650 mila euro per far fronte alla crisi; ai tavoli di confronto attivati dalle regioni si cercano soluzioni per tutelare agricoltori e allevatori dai possibili danni economici. Tra le regioni in difficoltà c’è anche la Toscana. Il governatore Rossi ha firmato in questi giorni la dichiarazione dello stato di emergenza regionale, a cui seguirà la richiesta della dichiarazione dello stato di emergenza nazionale alla Presidenza del Consiglio, e dovrebbe presentare, entro le prossime settimane, un piano straordinario di interventi per mitigare gli effetti della carenza idrica. A questo si aggiungono le cattive previsioni stagionali del consorzio LaMMA (Laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale per lo sviluppo sostenibile) che a breve termine non annunciano un andamento estivo tale da lasciar presupporre una ricarica delle riserve idriche del territorio toscano;
   il report mensile idrometrico, riferito a maggio 2017, mostra una diminuzione delle portate medie mensili registrate nei punti di monitoraggio rispetto allo stesso mese negli anni precedenti. C’è un deficit di pioggia, nel maggio 2017, rispetto ai valori del precedente trentennio medio sulla quasi totalità del territorio regionale, con valori marcati in corrispondenza dei principali bacini idrografici, dell'ordine del 50 per cento corrispondente a 50-60 mm di pioggia in meno rispetto al periodo medio di riferimento per il periodo 1987/2016;
   l'assessore all'agricoltura Remaschi ha annunciato una richiesta al Governo di stato di calamità in deroga al decreto legislativo n. 102 del 29 marzo 2004 e successive modificazioni e integrazioni, per provare a ricomprendere anche le colture assicurabili, come già successo nel 2012, anno di grave siccità –:
   quali siano le intenzioni del Governo merito alla richiesta annunciata dall'assessore Remaschi;
   se risulti sufficiente la dotazione attuale del fondo di solidarietà nazionale di cui all'articolo 15 del decreto legislativo n. 102 del 2004, per far fronte alle crescenti richieste di emanazione di decreti recanti declaratoria dell'eccezionalità degli eventi avversi, anche in deroga al decreto legislativo n. 102 del 2004. (4-17083)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   al momento l'Italia non ha ancora un piano nazionale contro l'antibiotico-resistenza, nonostante la Ministra Lorenzin da mesi annunci la sua imminente approvazione;
   il 24 gennaio 2017 è stata approvata la mozione n. 1-01463, a prima firma Mantero, con la quale il Governo si è impegnato ad adottare varie iniziative volte a contrastare il preoccupante fenomeno dell'anti microbico resistenza;
   in data 2 maggio 2017 il Ministero, con lettera, ha esplicitato lo stato di attuazione degli impegni presi con la succitata mozione, illustrando tutte le iniziative già intraprese e da intraprendere, ma da cui emerge che il piano nazionale all'anti microbico resistenza è in corso di finalizzazione e che tuttavia le relative azioni non saranno prive di costi;
   l'Italia è il primo Paese europeo per uso di antibiotici umani secondo i dati dell'Istituto superiore di sanità (ISS) e dall’European Surveillance of Antimicrobial Consumption Network, (Esac-Net) e il terzo per l'utilizzo sugli animali negli allevamenti intensivi, secondo i dati dell'Agenzia europea per i medicinali, European Medicine Agency (EMA);
   il 31 maggio 2017 è stata inviata una lettera alla Ministra Lorenzin firmata da circa 20 associazioni per la tutela del cittadino e dell'ambiente volta a chiedere un incontro con la Ministra della salute Lorenzin sul piano d'azione contro la resistenza antibiotica, come previsto dal manuale per redigere i piani d'azione nazionali prodotto da OMS, Word Organization for Animal Health (01E) e la FAO;
   un report di AMP Capital, una delle più grandi società di investimenti australiane «Gli allevamenti intensivi ci fanno ammalare ?» ha stimato intorno ai 15 morti al giorno solo in Italia (7 mila all'anno) per l'antibiotico-resistenza, 700 mila morti nel mondo nel 2016, 10 milioni di morti entro il 2050;
   una relazione dei 2016 commissionata dal Governo britannico Review on Antimicrobial Resistance, ha stimato che l'impatto economico della resistenza agli antibiotici provocherebbe una riduzione dal 2 per cento al 3,5 per cento del prodotto interno lordo mondiale entro il 2050: circa 100 trilioni di dollari USA;
   secondo molti studi all'origine di questa emergenza ci sarebbe principalmente l'utilizzo spropositato di antibiotici negli allevamenti intensivi che da soli consumano oltre il 70 per cento degli antibiotici prodotti nel mondo;
   le pessime condizioni igieniche e sanitarie degli allevamenti intensivi, il sovraffollamento dei luoghi, le escoriazioni e le infezioni dilaganti tra il bestiame e l'alto livello di stress si traducono in un calo delle difese immunitarie degli animali negli allevamenti e in un aumento delle dosi di antibiotici utilizzati, spesso, a scopo puramente preventivo;
   molti studi scientifici, nonché l'Organizzazione mondiale della sanità parlano di una vera e propria emergenza sanitaria globale, una nuova pandemia, definita pericolosa al pari dell'Aids e dell'ebola nonché del rischio di un'era post-antibiotica;
   alcuni Paesi del nord Europa quali Danimarca, Svezia, Finlandia, Islanda e Norvegia hanno scelto di introdurre restrizioni e controlli all'interno degli allevamenti intensivi. Inoltre, l'Olanda in soli 5 anni ha ridotto del 70 per cento l'uso degli antibiotici negli allevamenti e, ad oggi, è una delle nazioni al mondo con il più basso indice di infezioni antibiotico resistenti;
   l'Unione europea ha bandito l'uso di antibiotici al fine di stimolare la crescita degli animali da allevamento sin dal 2006 –:
   di quali dati disponga il Ministro interrogato relativamente alla tendenza nell'uso di antibiotici e alla frequenza di isolamento di batteri resistenti negli allevamenti, nonché in ordine alla mortalità umana legata all'antimicrobico resistenza;
   se non ritenga necessario intervenire anche con un'iniziativa normativa d'urgenza, al fine di introdurre opportune misure volte ad arginare il dilagante fenomeno della resistenza agli antibiotici, che incombe anche sulla sicurezza delle cure e sull'efficacia terapeutica, tanto da poter compromettere nel breve futuro alcuni interventi chirurgici chiave;
   quando il piano nazionale di contrasto all'antimicrobico resistenza sarà finalmente ultimato e se disponga delle necessarie risorse per l'attuazione delle azioni ad esso connesse, dal momento che, come dichiarato nella nota del Ministro interpellato relativa all'attuazione degli impegni di cui alla mozione citata in premessa, permetteranno un importante risparmio economico e di vite umane già nel prossimo futuro.
(2-01860) «Busto, Mantero, Benedetti, Lorefice, Colonnese, Grillo, Silvia Giordano, Nesci, Baroni, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Incà, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANTERO, FERRARESI, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, DI VITA, COLONNESE e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le preparazioni magistrali di origine vegetale a base di cannabis possono essere allestite in farmacia dietro presentazione di prescrizione medica non ripetibile;
   la sostanza attiva a base di cannabis denominata Cannabis FM-2, prodotta dallo Stabilimento farmaceutico militare di Firenze (Scfm), è costituita da infiorescenze essiccate e triturate, contiene percentuali di THC compresa tra il 5 e l'8 per cento e di Cannabidiolo (CBD) tra il 7,5 e il 12 per cento;
   la convenzione tra Ministero della salute-Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico e Agenzia industrie difesa, per conto dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze («S.C.F.M.»), prevede che la distribuzione alle farmacie avvenga sotto la responsabilità dello Scfm, ad un prezzo di euro 6,88 al grammo, Iva esclusa;
   la cannabis importata dall'Olanda è acquistata dalle farmacie italiane ad un prezzo che varia dagli 8 euro ai 10 euro + IVA al 22 per cento al grammo;
   i farmacisti che allestiscono preparazioni magistrali a base di cannabis dovranno attenersi alle Norme di buona preparazione (Nbp) ricordando che eventuali attività di estrazione prevedono la titolazione del/dei principio/principi attivo/i dell'estratto, anche per la redazione dell'etichetta con la definizione della stabilità opportunamente indicata (farmacopea ufficiale, XII edizione 2008 pagina 1415 e seguenti). La sostanza attiva vegetale, dopo l'estrazione, deve essere accantonata e smaltita come i medicinali inutilizzabili. La vigilanza sulle attività delle farmacie è esercita dalle Asl competenti per territorio, ai sensi dell'articolo 14, comma 3, lettera n) della legge n. 833 del 1978 e successive modificazioni ed integrazioni nell'ambito delle attività di vigilanza periodica sulle farmacie;
   il Ministero della salute ritenendo necessario consentire l'accesso alle terapie a base di cannabis infiorescenze a costi adeguati e tenuto conto sia della fluttuazione dei costi di produzione che della media dei costi di distribuzione, con il decreto ministeriale 23 marzo 2017, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 127 del 3 giugno 2017, di modifica del decreto ministeriale 18 agosto 1993, ha determinato che il prezzo di vendita al pubblico delle infiorescenze di cannabis è di euro 9,00 al grammo;
   quali siano le ragioni sottese alla determinazione del prezzo di vendita al pubblico delle infiorescenze di cannabis, pari a 9 euro al grammo, come indicato nel decreto ministeriale 23 marzo 2017;
   se sia prevista una riduzione del prezzo di vendita alle farmacie, alle Asl e gli ospedali della cannabis FM-2, prodotta dallo Stabilimento farmaceutica militare di Firenze;
   se il prezzo di vendita delle inflorescenze di cannabis di 9 euro al grammo, previsto dal decreto citato, corrisponda al prezzo massimo di vendita al pubblico per tutte le preparazioni galeniche a base di cannabis (ad esempio olio, cartine, e altro);
   come si intenda evitare che la riduzione del prezzo di vendita delle inflorescenze di cannabis, prevista nel decreto ministeriale 23 marzo 2017, possa mettere a rischio un'adeguata disponibilità del preparato per i malati.   (5-11661)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   esistono numerose investigazioni operate da associazioni animaliste internazionali che dimostrano quanto il mercato della macellazione di cani e gatti destinati anche ad essere impiegati per la realizzazione di pelli e pellicce per l'esportazione sia un mercato tutt'altro che diminuito;
   nello specifico in una delle ultime indagini l'associazione internazionale Peta ha dimostrato con delle immagini fin troppo chiare quale sia la condizione e il trattamento che questi animali subiscono per essere mangiati e per confezionare capi da esportare (fonte https://investigations.peta.org);
   in passato, numerose interrogazioni sono state presentate anche alla Commissione europea a seguito delle prove fornite dalle organizzazioni di tutela degli animali relative alle incredibili crudeltà di taluni Paesi asiatici in merito alla soppressione di gatti e cani per la loro pelliccia, successivamente esportata in altri Paesi inclusa l'Unione europea. «Tale prassi comporta talvolta l'impiccagione e la scuoiatura da vivi degli animali e altri terrificanti atti di crudeltà. La pelliccia è spesso sostituita illegalmente ad altri tipi di pellicce e persino venduta come sintetica.». Grazie a queste iniziative si è arrivati alla approvazione del regolamento (CE) n. 1523/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2007, che vieta la commercializzazione, l'importazione nella Comunità e l'esportazione fuori della Comunità di pellicce di cane e di gatto e di prodotti che le contengono (GUCE del 27 dicembre 2007);
   in ragione del regolamento (Ce) 1523/2007 gli Stati membri hanno il compito di uniformarsi al divieto, predisporre le tecniche di identificazione delle pellicce, prevedere eventuali deroghe (didattiche e tassidermia) e definire le sanzioni. Secondo il regolamento deve quindi essere garantito il divieto di vendita, d'offerta in vendita e di distribuzione delle pellicce di cane e di gatto e dei prodotti che le contengono. Più che l'esportazione – che risulta in ogni caso espressamente vietata come pure la produzione a scopo di esportazione – è l'importazione ad essere al centro dell'attenzione del legislatore europeo, poiché la grande maggioranza dei prodotti contenenti pellicce di cane e di gatto presenti nell'Unione sembra provenire da Paesi terzi;
   è noto che l'Italia importi una infinita quantità di capi di abbigliamento di varia natura per esempio dalla Cina, che il mercato sia fiorente, che sia spesso, privo dei dovuti controlli e che vi siano una infinta quantità di nomi fantasiosi con cui il mercato asiatico esporta in realtà capi realizzati con cani e gatti;
   l'interrogante stesso ha recentemente comunicato al comandante del nucleo dei carabinieri forestali (Cutfaa) la presenza non solo di pellicce di animali in Cites, ma anche di pellicce di origine sospetta presso il noto mercato domenicale romano di Porta Portese. Vi è infatti il terribile sospetto che per tramite di questi banchi sia presumibile che possa avvenire un commercio illegale di pellicce di cane e gatto, in quanto alcuni capi di nuova realizzazione avevano una chiara etichetta cinese –:
   se i Ministri interroganti non intendano effettuare una serie di controlli su tutto il territorio italiano in ragione della massiccia importazioni di merci dalla Cina;
   se i Ministri intendano assumere iniziative per garantire che in Italia, nel rispetto del regolamento europeo (Ce) 1523/2007 e delle norme interne, non vi sia un mercato di pelli e pellicce di cane e di gatto;
   se i Ministri, in osservanza del regolamento (Ce) 1523/2007, abbiano assunto ogni iniziativa di competenza per metterne a regime l'applicazione e in che modo abbiano proceduto e quali siano i centri di referenza preposti alle tecniche di identificazione delle pellicce cui rivolgersi in caso di rinvenimento di capi sospetti. (4-17081)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI, TERZONI e BASILIO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 177 del 2016 ha soppresso il Corpo forestale dello Stato con il contestuale suo assorbimento nell'Arma dei carabinieri e l'assegnazione dei suoi dipendenti per aliquote differenziate ai carabinieri, ai vigili del fuoco, alla polizia di Stato, alla Guardia di finanza nonché al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   gli agenti e i tecnici amministrativi «ex forestali» avrebbero potuto optare per il passaggio in altra pubblica amministrazione sulla base di regole, modalità ed una ricognizione dei posti disponibili, stabiliti con apposito decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri e relativi allegati da adottarsi, come da articolo 12, comma 4, del decreto legislativo n. 177 del 2016, entro 60 giorni dalla entrata in vigore dello stesso;
   ai sensi dell'articolo 20, il decreto legislativo n. 177 è entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, avvenuta il 12 settembre 2016, mentre il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stato approvato il 21 novembre 2016 e pubblicato sul sito www.mobilità.gov.it in data 23 novembre 2016;
   è del tutto evidente come il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione sia stato adottato con notevole ritardo rispetto al termine perentorio dei 60 giorni e, aspetto ancor più grave, non pubblicato attraverso gli strumenti di pubblicità legale, ovvero la Gazzetta Ufficiale e il Bollettino ufficiale del Corpo forestale dello Stato;
   la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è avvenuta solo il 3 gennaio 2017 nella serie generale n. 2;
   a partire dalla pubblicazione sul portale della mobilità nella pubblica amministrazione, sono stati previsti solo 20 giorni per la formalizzazione dell'opzione da parte dei dipendenti del Corpo forestale dello Stato;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ha previsto solo 607 posti a fronte di circa 8.000 potenziali «ex forestali» da ricollocare, a giudizio degli interroganti, con evidente irrazionalità del rapporto tra opzioni e fruitori; i posti sono stati offerti sulla base del ruolo e della qualifica ricoperta al momento del passaggio;
   in diverse regioni per alcuni ruoli e/o qualifiche, non sono stati previsti posti, ciò costituendo di fatto, secondo gli interroganti, un deterrente e una forma di discriminazione che ha inficiato la libera scelta del singolo che si è trovato di fronte «o la sede o lo status civile»;
   gli aderenti alla procedura di mobilità hanno avuto la possibilità di partecipare ad un «interpello interno» in cui sono emersi posti disponibili in regioni e province che però non erano presenti all'atto della suddetta ricognizione;
   l'apertura di una procedura di mobilità, ad avviso degli interroganti, per molti aspetti non conforme alla legge è stata di nocumento per una scelta ponderata e informata degli «ex forestali» –:
   quali criteri siano stati adottati dalle varie pubbliche amministrazioni per l'individuazione dei posti disponibili e per l'inserimento degli «ex forestali» che abbiano optato per la procedura di mobilità;
   se, alla luce di quelle che gli interroganti giudicano gravi anomalie nella pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, non intendano assumere iniziative per riaprire i termini per la mobilità per il personale «ex forestali» transitato nei carabinieri, in Guardia di finanza, in Polizia di Stato e nei vigili del fuoco;
   quali siano le ragioni per le quali, ad oggi, non vengano prese in considerazione le poche domande presentate da alcuni «ex forestali» al Dipartimento della funzione pubblica, dopo la pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in Gazzetta Ufficiale. (4-17091)

SPORT

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per lo sport. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 della Costituzione italiana garantisce e tutela il principio di uguaglianza, prevedendo, in primo luogo, che lo Stato e le sue Istituzioni si facciano carico di assicurare l'effettiva rimozione di ogni forma di discriminazione, anche in ambito sportivo, attraverso un'equiparazione di trattamento nelle discipline sportive professionistiche;
   l'ordinamento italiano, tuttavia, non prevede una disciplina organica adeguatamente strutturata per le attività sportive professionistiche praticate dagli atleti di entrambi i sessi, dal momento che oggi si definisce, di fatto, professionistica esclusivamente l'attività agonistica svolta dagli atleti di sesso maschile, generando in tal modo un evidente squilibrio nella parità di genere;
   le federazioni sportive nazionali hanno riconosciuto, infatti, come professionistiche solo sei discipline sportive su sessanta, le quali, a oggi, si sono ridotte solamente a quattro, il calcio, il golf, il basket e il ciclismo, e tutte esclusivamente afferenti al solo settore maschile;
   la legge 23 marzo 1981, n. 91, concernente «Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti» è l'unico provvedimento che regola attualmente il professionismo sportivo; con tale normativa si interviene per garantire e tutelare i lavoratori in ambito sportivo, la quale, tuttavia, non assicurando direttamente le tutele per tutti gli atleti, ha generato una serie di inevitabili criticità e disparità di trattamento tra uomini e donne anche sul piano retributivo;
   in particolare, l'articolo 2 della legge ha demandato al Coni e alle federazioni sportive la definizione di professionismo sportivo, distinguendola dall'attività dilettantistica, determinando tuttavia un profondo elemento discriminatorio che nel corso degli anni ha penalizzato le donne che praticano sport in maniera professionistica;
   le discriminazioni di genere sono causate, secondo gli interpellanti, non dalla diretta attuazione dall'articolo richiamato, ma dal conseguente inadempimento del Coni e delle federazioni in relazione alla necessità di definire il settore professionistico per gli atleti di entrambi i sessi;
   lo stesso orientamento si ritrova anche il decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, concernente il «Riordino del Comitato Olimpico Nazionale Italiano – CONI», che ha ridimensionato il potere delle federazioni devolvendo al Coni il compito di fissare i criteri della distinzione tra sportivo professionista e sportivo dilettante;
   il quadro attuale che ne deriva è quello per cui le atlete italiane che fanno dello sport il loro lavoro sono penalizzate e costrette a gareggiare da sportive dilettanti, dal momento che, in assenza di un quadro giuridico definito, nessuna federazione permette loro di accedere all'attività professionistica, anche nei casi in cui le stesse federazioni abbiano riconosciuto per i colleghi di sesso maschile la qualifica di atleta professionista;
   negli ultimi anni sono state promosse petizioni e avviate campagne di sensibilizzazione, ma i titolari della potestà normativa non hanno comunque inteso provvedere ad eliminare tale difformità;
   la principale conseguenza della mancata applicazione della qualifica di atleta professionista determina per le donne pesanti ricadute in termini di assenza di tutele fondamentali, tra le quali quelle previdenziali, e la mancanza di trattamenti salariali adeguati all'effettiva attività svolta;
   nello specifico, le atlete donne non percepiscono né il trattamento di fine rapporto, né gli indennizzi o altre tutele per i casi di maternità e sono escluse dalla maggior parte delle forme di tutela presenti nel mondo del lavoro; inoltre, in alcuni casi, al verificarsi di infortuni, le spese di cura e di riabilitazione sono a carico delle stesse;
   per ovviare a queste evidenti discriminazioni e per ricevere delle tutele, molte atlete entrano a far parte delle Forze armate o di un corpo di polizia; alle Olimpiadi di Londra 2012, ad esempio, su 290 atleti, 194 erano anche dipendenti statali: 29 arrivavano dall'Aeronautica militare, 9 dalla Marina, 25 dall'Esercito, 31 dalla Polizia, 22 dai Carabinieri, 18 dalla Polizia penitenziaria, 18 dalla Guardia forestale, 41 dalla Guardia di Finanza, 1 dai Vigili del fuoco;
   l'attuale assetto dello sport professionistico in Italia, pertanto, costituisce un'inaccettabile e preoccupante situazione che necessita un'urgente regolamentazione, anche in riferimento alle citate tutele costituzionali che imporrebbero l'urgente rimozione delle condizioni discriminatorie tra i lavoratori di sesso diverso;
   risulta indispensabile, a distanza di 34 anni dall'entrata in vigore della legge del 23 marzo 1981, n. 91, che il Coni e le federazioni individuino la definizione stessa di professionista sportivo per gli atleti di entrambi i sessi, condizione necessaria ai fini dell'applicabilità delle garanzie previste dalla stessa legge –:
   se non ritenga opportuno, nei limiti delle sue competenze, assumere iniziative volte al superamento del quadro normativo che attualmente registra la non piena attuazione della disciplina in materia di attività sportive professionistiche, fornendo ogni utile chiarimento sulle motivazioni che hanno determinato la mancata estensione della disciplina professionistica anche al mondo sportivo femminile da parte delle federazioni che hanno inteso regolamentare la stessa limitatamente agli atleti di sesso maschile.
(2-01859) «Simone Valente, Di Benedetto, Marzana, Brescia, D'Uva, Luigi Gallo, Vacca».

Interrogazione a risposta immediata:


  GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro per lo sport. – Per sapere – premesso che:
   è notizia pubblicata su diversi quotidiani quella dell'apertura di un'inchiesta per danno erariale da parte della Corte dei Conti nei confronti del Comitato a sostegno della candidatura di Roma ai giochi olimpici 2024;
   anche al Coni, alla cui presidenza è stato appena riconfermato per il secondo quadriennio Giovanni Malagò, i conti sembrano non tornare; si parla di cifre folli, undici milioni di euro la crescita dei debiti dal 2015 al 2016, 18 milioni per sole forniture, metà da parte dei Comitati territoriali;
   già con diversi atti di sindacato ispettivo il gruppo della Lega Nord e Autonomie ha chiesto delucidazioni in merito alle suddette spese, con un elenco dettagliato degli interventi che con le medesime somme potrebbero essere realizzati per l'impiantistica sportiva di base quali maggiori e migliori servizi ai cittadini –:
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso verificare quanto pubblicato a mezzo stampa e nella fattispecie su dove e per cosa siano state spesi i soldi pubblici, nonché assumere elementi, per quanto di competenza, in ordine alla regolarità delle procedure di affidamento di gara o dirette.
(3-03114)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


  SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2016, la bolletta elettrica è risultata più cara per gli italiani anche a causa dell'importante aumento di una sua componente: il cosiddetto «uplift» e i costi per il sistema, riconducibili solo a questa voce, sono stati pari a due miliardi e duecento milioni di euro, a fronte di un importo per il 2015 di un miliardo e due, quasi un raddoppio da un anno all'altro;
   a partire dal mese di marzo 2016 si è assistito ad una progressiva impennata dei prezzi nel mercato dei servizi di dispacciamento nell'area Sud, dovuti essenzialmente alle offerte accettate da Terna sugli impianti di Brindisi Sud (Enel) e di Modugno Palo del Colle (Sorgenia): il costo complessivo dei primi 5 mesi del mercato dei servizi di dispacciamento (msd) 2016 arrivava a circa 600 milioni di euro contro i circa 150 milioni di euro del 2015;
   Enel e Sorgenia hanno spento le centrali in Puglia, perché consapevoli che Terna avrebbe dovuto comunque fare appello alla loro produzione nell'area, che avrebbero potuto offrire a prezzi altissimi. Solo per gli impianti Enel di Brindisi, nel 2016 gli extra costi per il sistema sono stati pari a 400 milioni di euro in bolletta e proprio questi presunti fenomeni speculativi su MSD rientrano fra le cause dell'aumento del 4,3 per cento della bolletta per il trimestre luglio-settembre; tale vicenda è stata illustrata sulla stampa, di settore e generalista, con numerosi articoli, per ultimo sul quotidiano nazionale La Notizia del 12 maggio 2017;
   ora, l'Autorità ha avviato una serie di procedimenti per recuperare quelli che ritiene i sovracosti per il sistema, ma solo dai trader e non anche dai produttori, reali responsabili, per i quali si è limitata nella sola segnalazione all'Antitrust senza alcun recupero di risorse per l'anno 2016;
   l'analisi storica del periodo 2012-2016 dimostra che gli sbilanciamenti di tutti i trader hanno rappresentato il 6 per cento del totale, a fronte del 94 per cento dei costi indotti dai soli produttori. Ma i colpevoli per l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico a cui chiedere la restituzione delle risorse sono solo i trader e non anche i produttori;
   l'Autorità, ad avviso degli interroganti, ha sostanzialmente «assolto» Enel, chiudendo il procedimento n. 342 del 2016 in data 5 maggio 2017;
   la strategia dell'ex monopolista, peraltro controllato dal Governo, che ne nomina i vertici, ha portato a un aggravio di quasi un miliardo di euro sulle bollette di tutti i cittadini italiani, ma vengono sanzionati solo i trader –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, il Governo intenda assumere per cercare di sanare questa ingiusta situazione e trovare un modo per restituire agli italiani quanto speso ingiustamente, incamerato principalmente dai produttori nell'anno 2016. (3-03117)


  MUCCI. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 145 del 23 dicembre 2013, cosiddetto «Destinazione Italia» prevede l'adozione di interventi per il finanziamento a fondo perduto alle PMI, tramite voucher di importo non superiore a 10.000 euro, per l'acquisto di software, hardware o servizi per il miglioramento dell'efficienza aziendale, la modernizzazione dell'organizzazione del lavoro, la connettività a banda larga e ultralarga, la formazione qualificata del personale;
   il comma 2 rimette a un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze la determinazione dell'ammontare dell'intervento nella misura massima di 100 milioni di euro, a valere sulle risorse della programmazione 2014-2020 o della collegata pianificazione dei fondi strutturali comunitari. La somma è ripartita dal Cipe tra le regioni in misura proporzionale al numero delle imprese registrate presso le camere di commercio di ciascuna regione;
   il successivo comma 3 prevede che, con decreto del Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, siano stabiliti lo schema standard di bando e le modalità di erogazione dei suddetti contributi;
   con decreto ministeriale 23 settembre 2014 sono stabilite le modalità di attuazione relative al contributo di cui all'articolo 6 del decreto-legge «Destinazione Italia». L'articolo 8 di tale decreto ministeriale rinvia ad un decreto del direttore generale per gli incentivi alle imprese del Ministero dello sviluppo economico la definizione dei moduli per la domanda di accesso al contributo e dei termini di apertura dello sportello telematico, oltre all'indicazione del riparto su base regionale delle risorse finanziarie disponibili;
   con decreto ministeriale 7 luglio 2016 è determinato in circa 32 milioni di euro l'ammontare delle risorse per la digitalizzazione dei processi aziendali e l'ammodernamento tecnologiche delle PMI a carico della programmazione 2014-2020, ripartite dal Cipe tra le regioni «meno sviluppate» e «in transizione». L'individuazione delle restanti risorse per le altre regioni, a valere sul fondo sviluppo e coesione, è demandata ad apposita delibera Cipe che ne definisce anche le modalità di ripartizione;
   l'ufficio investimenti per l'ambiente, le imprese e le aree urbane del Cipe ha reso noto che la delibera attesa da parte del Cipe era prevista all'ordine del giorno del 3 marzo 2017, dal quale però è stata espunta –:
   quali iniziative si intendano adottare affinché venga al più presto emanata la delibera Cipe per determinare l'ammontare delle risorse per favorire la digitalizzazione dei processi aziendali e l'ammodernamento delle PMI nelle restanti regioni italiane, rendendo finalmente operativi i suddetti finanziamenti non solo nel Mezzogiorno ma anche nelle regioni del centro-nord. (3-03118)


  TAGLIALATELA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO e TOTARO. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   in Campania il comparto aeronautico ha storicamente una presenza industriale significativa, soprattutto per effetto della presenza sul territorio di numerosi stabilimenti facenti parte del gruppo Alenia Finmeccanica;
   nella primavera del 2015, dopo una lunga trattativa che ha visto coinvolti sindacati e parti imprenditoriali, si è pervenuti alla cessione della Alenia Aermacchi in favore di una nuova società, la Atitech Manufacturing srl, partecipata da Finmeccanica, con il passaggio dei circa centottanta dipendenti a tempo indeterminato e dei capannoni industriali realizzati nell'aria aeroportuale di Capodichino;
   tale cessione era stata decisa anche per effetto di un accordo tra le parti datoriali e sindacali nel quale la nuova proprietà si impegnava entro dicembre 2015 al passaggio dei dipendenti ed alla incorporazione della Atitech Manufacturing srl in Atitech spa, anche essa partecipata Finmeccanica;
   tale accordo prevedeva uno sviluppo industriale che doveva garantire non solo il mantenimento, ma anche l'aumento dei livelli occupazionali, soprattutto grazie a nuove commesse esterne ad Alenia Aermacchi;
   alla data odierna alcuno dei due impegni sottoscritti ha avuto effettiva concretizzazione e, anzi, lo scorso 19 giugno l'azienda ha ufficialmente comunicato che «tutto il personale sarà interessato dalla CIGS e pertanto verrà sospeso e posto in regime di cassa integrazione straordinaria a partire da giovedì 22 giugno»;
   la crisi della Atitech Manufacturing e della stessa Atitech SpA sarebbe da ricondurre alla mancata assegnazione di alcune commesse promesse da Alitalia –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di salvaguardare i livelli occupazionali dell'azienda e per preservare l'eccellenza nella manutenzione aeronautica realizzata in Campania. (3-03119)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PANNARALE, FRATOIANNI e GINEFRA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la C.S.A. (Consorzio servizi avanzati) è una società consortile a responsabilità limitata con sede e unità produttiva a Taranto e unità produttive anche a Bari, Lecce, Foggia, Potenza, Matera, Crotone;
   la C.S.A. è stata costituita, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, della legge n. 580 del 1993, per iniziativa delle camere di commercio di Puglia e Basilicata e della società consortile di informatica delle camere di commercio «Infocamere», ed è interamente partecipata da camere di commercio di Puglia, Basilicata e Calabria;
   la C.S.A. svolge attività di assistenza e di sostegno alle camere di commercio consorziate, finalizzata al miglioramento qualitativo dei servizi erogati dalle stesse, in particolare sulla scorta di appalti « in house» nei settori informatico e facility management;
   la società conta un numero complessivo di 126 dipendenti, suddivisi in 22 operai, 101 impiegati, 3 quadri;
   per effetto di quanto previsto dall'articolo 28 del decreto-legge n. 90 del 2014, gli enti camerali hanno subito un taglio progressivo di risorse, nella misura del 35 per cento dal 2015, 40 per cento dal 2016, e 50 per cento a partire dal 2017; questo ha comportato per le camere di commercio una ridotta capacità di spesa e un conseguente calo delle richieste di attività e servizi resi in house dalla C.S.A;
   a quanto consta all'interrogante la contrazione dei servizi erogati avrebbe comportato per la C.S.A., con riferimento all'esercizio 2016, una perdita economica di oltre 200 mila euro, pari al 20 per cento del capitale sociale;
   il dimezzamento del diritto annuale, un tributo versato dalle imprese e sul quale si basa il sostentamento delle camere di commercio, ha limitato l'autonomia economico-finanziaria delle stesse, determinando criticità in relazione alla possibilità di mantenere e salvaguardare i servizi resi dal C.S.A. attraverso i suoi dipendenti;
   i dipendenti del C.S.A. rappresentano un elevato livello di professionalità ed esperienza a disposizione delle camere di commercio, che rischia di essere disperso –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere o abbia già assunto, per quanto di competenza, per evitare che, a causa del taglio progressivo delle risorse derivante dal tributo versato dalle imprese, nonché dalla razionalizzazione delle sedi delle camere di commercio nella regione Puglia, si verifichi una riduzione dei livelli occupazionali per i dipendenti del C.S.A.
(4-17089)


   MINARDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sono oramai 2 anni che si parla del progetto della «Super Camera di Commercio del Sud» quella che prevede l'accorpamento delle tre camere di commercio di Catania, Ragusa e Siracusa;
   la regione siciliana si è pronunciata a favore dell'autonomia di Catania (perché in possesso d requisiti di legge anche come città metropolitana) e di un accorpamento degli enti camerali di Ragusa e Siracusa;
   la definizione dell'accorpamento della camera di commercio di Ragusa è stata affidata al Ministero dello sviluppo economico;
   secondo l'interrogante e secondo gli stessi esponenti del governo regionale, l'accorpamento Catania-Ragusa-Siracusa sarebbe oltremodo penalizzante per il territorio ibleo, per gli imprenditori e per l'economia, ma è altresì improponibile la proposta avanzata da alcune associazioni avente per oggetto l'autonomia della camera di commercio di Ragusa, per mancanza di alcuni requisiti di legge;
   è, quindi, necessario per l'interrogante concentrare gli sforzi sulla soluzione più condivisa, ovvero quella di un accorpamento delle camera di commercio di Ragusa-Siracusa, creando tutti i presupposti, affinché la sede principale della nuova camera di commercio di Ragusa e Siracusa, possa essere fissata a Ragusa;
   la sede a Ragusa appare la soluzione più logica, tenuto conto della ricchezza, dell'importanza e del prestigio del territorio ibleo, nonché della capacità manageriali della imprenditoria operante su di esso, dei volumi produttivi e del prodotto interno lordo, oltre che della condizione economica e patrimoniale dell'ente camerale ragusano –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, non intenda, per quanto di competenza, accantonare definitivamente l'ipotesi di accorpamento delle camere di commercio di Catania-Ragusa-Siracusa, che penalizzerebbe oltremisura il territorio e puntare, invece, sull'accorpamento delle camere di commercio di Ragusa-Siracusa e se non intenda altresì prendere in considerazione l'ipotesi più logica di stabilire la sede principale della nuova camera di commercio di Ragusa e Siracusa, a Ragusa;
   se il Ministro interrogato non intenda valutare già in questa fase di assumere iniziative di natura finanziaria affinché gli enti accorpati siano messi in una condizione patrimoniale di pari entità.
   (4-17092)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Nesci e altri n. 1-01647, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lorefice.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Brunetta n. 2-01849, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 817 del 20 giugno 2017.

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   il 14 giugno 2017 il Consiglio di amministrazione della Rai ha approvato la delibera riguardante il «Piano organico di criteri e parametri per l'individuazione e la remunerazione dei contratti con prestazioni di natura artistica», che, anziché applicare quanto stabilito dalla legge n. 198 del 2016, individua criteri da adottarsi per la definizione di prestazioni per le quali sia possibile il superamento del limite retributivo dei 240.000 euro annui;
   il piano ha sostanzialmente recepito le indicazioni contenute nel parere dell'Avvocatura dello Stato, in merito all'interpretazione della legge n. 198 del 2016, sull'applicabilità del limite di 240.000 euro annui alle collaborazioni artistiche della Rai che propenderebbe per la tesi che non include, nel periodo di applicazione del suddetto limite, i contratti caratterizzati da prestazioni di natura artistica e che viene argomentata con espressioni perplesse e dubbiose;
   si sostiene, innanzitutto, che la clausola, contenuta nell'articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007, di esclusione delle prestazioni artistiche dall'ambito applicativo del tetto alle retribuzioni pubbliche continui ad operare, in quanto mai abrogato (né espressamente, né tacitamente). È evidente come tale tesi non possa essere condivisa;
   è infatti irragionevole fare riferimento al contenuto della legge n. 244 del 2007; nel frattempo, sono passati 10 anni e il legislatore è intervenuto ancora, in quattro occasioni diverse: con la legge n. 69 del 2009, il decreto-legge n. 201 del 2011, il decreto ministeriale n. 166 del 2013 e la legge n. 189 del 2016, regolando la medesima materia dei limiti alle retribuzioni erogabili dalle pubbliche amministrazioni o dalle società pubbliche, disciplinandone presupposti applicativi, contenuti, effetti e limitazioni, senza mai prevedere alcuna eccezione circa l'applicabilità del tetto ai compensi delle star;
   a fronte di un'eccezione prevista in una legge del 2007 e in difetto del richiamo di quella deroga nei provvedimenti normativi che sono successivamente intervenuti a regolare la fattispecie, appare davvero difficile sostenere che non si sia prodotto un effetto di abrogazione tacita ai sensi dell'articolo 15 delle preleggi;
   l'Avvocatura dello Stato sostiene, inoltre, che in ogni caso il personale artistico non può essere ascritto alla categoria dei «collaboratori», ma, a tal proposito, basta osservare che la nozione di collaboratore dev'essere intesa come riferita a tutti soggetti che svolgono una prestazione lavorativa in favore di un'amministrazione o di una società, non sembra convincente nemmeno l'argomento cosiddetto sistematico, fondato sul regime concorrenziale nel quale deve operare la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, e che resterebbe fortemente compromesso dall'applicabilità del «tetto» anche agli artisti;
   con interpellanza urgente n. 2-01777, discussa in data 27 aprile 2017, il sottoscritto ha chiesto al Governo se ritenesse opportuno assumere iniziative per chiarire definitivamente che il tetto alle retribuzioni pubbliche deve intendersi applicabile anche ai titolari di contratti aventi ad oggetto prestazioni artistiche in favore della Rai, e se intendesse, nell'ambito della propria facoltà di iniziativa legislativa, proporre una deroga specifica alla predetta limitazione;
   il Sottosegretario Giacomelli ha risposto sostenendo che la norma prevista nella legge n. 198 del 2016 «non include in alcun modo le prestazioni artistiche all'interno del limite ai compensi», sostenendo che «il Governo non condividerebbe una iniziativa assunta dai parlamentari o forze politiche che, al contrario, modificasse l'assetto normativo attuale»;
   la Corte di Cassazione (sezioni unite civili n. 27092 del 22 dicembre 2009) ha affermato che alla Rai va riconosciuta «la natura sostanziale di ente assimilabile a un'amministrazione pubblica nonostante l'abito formale che riveste la società per azioni; (...) ne discende la qualificabilità come erariale del danno cagionato dai suoi agenti, nonché da quelli degli enti pubblici azionisti, con conseguente loro assoggettabilità all'azione di responsabilità amministrativa davanti al giudice contabile»;
   l'adozione da parte del Consiglio di amministrazione della Rai della citata delibera potrebbe prefigurare, a giudizio dell'interpellante, una responsabilità per danno erariale dei consiglieri stessi, considerato che, come stabilito dall'articolo 49-bis del decreto legislativo n. 177 del 2005, l'amministratore delegato e i Consiglieri di amministrazione della Rai «sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali»;
   il 23 giugno 2017 il Consiglio di amministrazione della Rai ha approvato la delibera con cui è stato rinnovato il contratto in esclusiva per quattro anni al conduttore Fabio Fazio che, come riportato dalle maggiori agenzie di stampa, ammonterebbe a circa  11,2 milioni di euro, ovvero 2,8 milioni annui, mentre quello precedente era di 1,8 milioni di euro annui;
   il contratto in questione, che ha conosciuto un vertiginoso aumento rispetto al precedente, è da considerarsi, ad avviso dell'interpellante, contra legem poiché il Consiglio di amministrazione della Rai ha palesemente violato quanto previsto dall'articolo 9 della legge n. 198 del 2016 sul limite retributivo di 240.000 euro annui da applicare ai contratti di collaborazione e di natura artistica;
   con l'approvazione della delibera citata il Consiglio di amministrazione della Rai, secondo l'interpellante, ha altresì violato la delibera precedente, adottata il 4 giugno 2017, attraverso la quale è stata prevista una riduzione dei compensi in misura almeno pari al 10 per cento che, senza alcuna ragione, fissa un limite dei compensi delle «star» difforme rispetto a quanto stabilito dalla summenzionata disposizione di legge;
   ad avviso dell'interpellante, oltre alla violazione di legge si ravvisa una evidente lesione del principio di trasparenza, poiché entrambe le delibere non risultano pubblicate né pervenute ai membri della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, principale organo di controllo del Parlamento sulla tv di Stato –:
   se, alla luce di quanto riportato in premessa, il Governo non ravvisi, per ogni eventuale profilo di responsabilità, la violazione delle disposizioni previste dall'articolo 9 della legge n. 198 del 2016, in merito all'applicazione del limite retributivo di 240.000 euro annui ai contratti di collaborazione e di natura artistica, nonché la lesione di un principio generale di trasparenza in merito alla mancata pubblicazione delle delibere adottate dal consiglio di amministrazione della Rai.
(2-01849) «Brunetta».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Artini n. 4-16253 dell'11 aprile 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Dall'Osso n. 5-11547 del 13 giugno 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Mucci n. 5-11586 del 15 giugno 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Airaudo n. 5-11605 del 20 giugno 2017;
   interrogazione a risposta scritta Segoni n. 4-17049 del 22 giugno 2017.