Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 22 giugno 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione, all'articolo 114, stabilisce che la Repubblica è costituita da comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato e che comuni, province, città metropolitane e regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione;
    gli articoli 117 e 118 della Costituzione attribuiscono alle province funzioni amministrative, mentre l'articolo 119 attribuisce loro autonomia finanziaria di entrata e di spesa e risorse autonome con cui finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite;
    la legge n. 56 del 2014, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», non potendosi con legge ordinaria abolire le province, le ha trasformate in enti di secondo livello, in attesa di una loro soppressione attraverso una riforma del titolo V della Costituzione;
    la cosiddetta «legge Delrio» ha mantenuto in capo alle province, quali enti con funzioni di area vasta, alcune funzioni fondamentali, come la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché la tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, l'autorizzazione e il controllo in materia di trasporto privato, nonché la costruzione e gestione delle strade provinciali e la regolazione della circolazione stradale; la programmazione provinciale della rete scolastica; la raccolta ed elaborazione di dati, la assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; la gestione dell'edilizia scolastica; il controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;
    il testo della riforma costituzionale approvato dal Parlamento non ha affrontato nel suo complesso il tema di una revisione organica dei diversi livelli di governo, a partire dalle regioni, limitandosi alla soppressione delle provincie e alla loro trasformazione in «enti di area vasta», con l'attribuzione a comuni e regioni delle funzioni fondamentali che la «legge Delrio» aveva mantenuto in capo alle province, lasciando agli enti di area vasta e alle città metropolitane le competenze residuali;
    l'esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, lasciando inalterato il testo della carta costituzionale, ha quindi avuto come conseguenza quella di mantenere l'autonomia istituzionale, finanziaria e organizzativa delle province. Ne consegue che diviene necessario un intervento normativo che adegui cospicue parti della citata legge n. 56 del 2014, alla filosofia di fondo del dettato costituzionale, voluto dai Costituenti o, quantomeno, ponga chiarezza nelle modalità con cui è avvenuto – e sta avvenendo – il trasferimento alle regioni e ai comuni delle competenze sottratte alle province;
    la mancata attuazione della riforma costituzionale e la conseguente mancata abrogazione delle province a seguito della «bocciatura» del referendum confermativo del 4 dicembre 2016 insieme alle ulteriori riduzioni di risorse operate nel corso degli anni 2015 e 2016 nei confronti delle stesse, ha lasciato queste amministrazioni in una situazione di estrema gravità dal punto di vista amministrativo rendendo impossibile in molti casi svolgere le funzioni, anche di natura fondamentale, che la legge attribuisce loro;
    la «bocciatura» della riforma costituzionale, pone anche un ulteriore problema: la «riforma Delrio» ha previsto l'eliminazione del suffragio universale diretto per la scelta degli organi politici, che sono stati affidati a una rappresentanza di secondo livello. Tale scelta, motivata da logiche «anti-casta» e da deboli argomentazioni di ordine economico, pare ora, con il mantenimento della capacità impositiva, ex articolo 119 Costituzione, ledere uno dei principi cardine del costituzionalismo, quello del no taxation without representation e quindi negare la possibilità per i cittadini di influire direttamente nella determinazione dell'indirizzo politico provinciale, valutando, conseguentemente, l'operato dei propri rappresentanti;
    non è in nessun caso in discussione la necessità che a tutti i livelli istituzionali siano perseguite serie e credibili politiche di revisione e razionalizzazione della spesa ed è lo stesso dettato costituzionale a prevedere che le province «concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea». Tuttavia, ancor prima della conclusione dell’iter ex-articolo 138 della Costituzione e del successivo svolgimento del referendum confermativo, il Governo ha operato drastici tagli ai bilanci provinciali che hanno posto tali enti in una condizione di grave difficoltà amministrativa;
    la logica del Governo di operare come se alle province fossero già state tolte funzioni fondamentali in materia di trasporti, strade, rete scolastica e tutela ambientale ha portato un intero comparto istituzionale a non essere in grado non solo di approvare i bilanci, ma, fatto ancora più grave, all'impossibilità di erogare i servizi;
    la Corte dei conti ha ripetutamente messo in guardia parlamento ed Esecutivo su questo modo di intervenire: già durante i lavori preparatori della «legge Delrio» aveva evidenziato come il riordino prospettato avrebbe potuto comportare «aggravi di spesa, confusione ordinamentale e moltiplicazione di oneri»; nell'aprile 2015 la magistratura contabile denunciava come le province fossero state di fatto poste in una condizione tale da annullare qualsiasi capacità programmatoria; infine, nel febbraio 2017, nel rapporto alle Camere sulla situazione dei bilanci delle province, evidenziava la manifesta irragionevolezza della forte riduzione delle risorse destinate a funzioni esercitate con carattere di continuità ed in settori di notevole rilevanza sociale, con grave deterioramento delle condizioni di equilibrio strutturale dei bilanci delle province;
    i presidenti delle province nel febbraio 2017 hanno denunciato l'impossibilità di poter erogare servizi fondamentali per la collettività, quali la manutenzione degli edifici scolastici di competenza e la manutenzione dei 130 mila chilometri di strade provinciali;
    neppure in sede di conversione del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, si è previsto di allocare almeno le risorse strettamente necessarie per risolvere questa situazione paradossale, tanto che il presidente dell'Unione provinciale italiana ha dovuto constatare come sia «mancata la volontà di risolvere la grave emergenza per i servizi assicurati dalle province: una emergenza causata da tagli irragionevoli e ingiustificati di cui evidentemente ancora non si vuole ammettere l'errore»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, anche normative, necessarie per garantire alle province italiane di poter far fronte alle proprie funzioni istituzionali, in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, e nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione, con particolare attenzione alla manutenzione delle strade e all'edilizia scolastica;
2) ad aprire un confronto in ogni opportuna sede parlamentare al fine di:
   a) rivalutare la distribuzione delle funzioni attribuite alle province dalla legge n. 56 del 2014, anche alla luce del voto referendario del 4 dicembre 2016;
   b) rivedere la disciplina relativa agli organi provinciali e alla loro durata, ripristinandone l'elezione a suffragio diretto degli organi rappresentativi;
   c) valutare la possibilità di procedere ad un'organica revisione del testo unico degli enti locali, per adeguarlo alle novità in materia di comuni, province e città metropolitane;
3) ad assumere iniziative per ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti, attraverso la soppressione del comma 420 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014;
4) ad assumere iniziative per consentire alle province in via straordinaria, anche per il 2017, di utilizzare gli avanzi di amministrazione per assicurare gli equilibri dei bilanci.
(1-01649) «Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    in base al dettato costituzionale le province sono enti essenziali dello Stato, «titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze», e dotate di autonomia finanziaria di entrata e di spesa al fine di consentire alle stesse «di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite»;
    in base al Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000. n. 267, alla provincia spettavano le funzioni, amministrative che riguardavano vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale nei seguenti settori: la difesa, del suolo, la tutela e valorizzazione dell'ambiente e la prevenzione delle calamità; la tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; la valorizzazione dei beni culturali; viabilità e trasporti; la protezione della flora e della fauna; la caccia e la pesca nelle acque interne; la gestione dei rifiuti e dell'inquinamento; servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica; compiti connessi all'istruzione, compresa l'edilizia scolastica;
    nel 2014, con l'approvazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, cosiddetta legge Delrio, è stata operata una profonda riforma dell'assetto istituzionale delle province, che sono state trasformate in enti amministrativi di secondo livello, con elezione dei propri organi a suffragio ristretto, sono state ridotte le funzioni ad esse spettanti e, infine, è stata prevista la trasformazione di dieci province in città metropolitane;
    in particolare, la legge ha abolito la giunta provinciale, redistribuendo le deleghe di governo all'interno del consiglio provinciale, molto ridimensionato nel numero dei suoi membri, e ha previsto che un nuovo organo, assemblea dei sindaci, assuma il compito di deliberare il bilancio ed eventuali modifiche statutarie;
    delle funzioni rimaste in capo alle province dopo l'intervento del 2014 alcune sono essenziali per garantire l'erogazione dei servizi ai cittadini; tra queste figurano, in primissimo luogo, la cognizione e gestione delle strade provinciali, il trasporto pubblico e privato, la programmazione provinciale della rete scolastica, la gestione dell'edilizia scolastica, la polizia provinciale;
    la «legge Delrio», quindi, non ha affatto previsto una cancellazione delle province, che sarebbe dovuta avvenire in una fase successiva con il varo definitivo della legge di revisione costituzionale, e, di fatto, mai, realizzata a causa della «bocciatura» del relativo referendum popolare, ma è intervenuta in modo confuso su un riordino delle loro competenze, creando una situazione molto può caotica di quella preesistente, con risparmi illusori, che prevede un processo di attuazione decisamente lungo e complesso, e che ha privato i cittadini della libertà di scegliere da chi desiderano essere amministrati;
    l'errore di intervenire «a valle» e non «a monte» sull'assetto istituzionale dello Stato, vale a dire con una legge ordinaria invece di una legge di rango costituzionale, e i rischi che ne derivavano erano già emersi durante l'esame della «legge Delrio» in Parlamento, quando autorevoli giuristi e professori di diritto costituzionale avevano ribadito come non fosse possibile con legge ordinaria sformare gli organi di Governo da direttamente a indirettamente elettivi, e avevano sottolineato l'esigenza di procedere, invece, ad una «riforma razionale del sistema delle autonomie locali»;
    in quella fase erano stati numerosi, altresì, i dubbi sull'utilità economica della paventata riforma «mascherata» da abolizione, rispetto alla quale la Corte dei conti nella sua relazione aveva affermato che «I risparmi effettivamente quantificabili sono di entità contenuta, mentre è difficile ritenere che una riorganizzazione di così complessa portata sia improduttiva di costi»;
    stando ai dati relativi ai costi delle province prima che il Governo Renzi intervenisse sulle stesse contenuti nell'aggiornamento al documento di economia e finanza di settembre 2013 e nel sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici raccolti dalla Unione delle province italiane aggiornati a marzo 2014, queste costavano meno di tutti gli altri enti, vale a dire l'1,27 per cento della spesa pubblica contro l'8 per cento dei comuni, il 20 per cento delle regioni, il 60 per cento delle amministrazioni centrali e l'11 per cento degli interessi sul debito pubblico, equivalenti, in termini assoluti, in 10 miliardi di euro spesi dalle province a fronte di 67 miliardi spesi dai comuni e 164 spesi dalle regioni;
    dei 10,2 miliardi di euro di spese la quasi totalità era destinata all'erogazione di servizi essenziali alla popolazione, servizi necessari la cui prestazione a legislazione vigente non è certo scomparsa, a meno di non voler abbandonare le strade provinciali a sé stesse più di quanto non lo siano al momento o bloccare la costruzione di istituti superiori e licei, o fermare il funzionamento degli istituti scolastici provinciali;
    quello che sta accadendo, invece, in seguito ai maldestri interventi di riforma da parte del Governo è proprio questo, posto che dal 2013 al 2016 le entrate delle province sono scese del 43 per cento e la spesa complessiva si è quasi dimezzata, con una diminuzione del 47 per cento;
    inoltre, l'82 per cento delle entrate proprie vengono sottratte dai territori e trattenute nel bilancio dello Stato, in palese violazione del dettato costituzionale, che all'articolo 119 prevede che tali entrate siano destinate a finanziare i servizi locali;
    nell'ottica della riduzione delle funzioni attribuite alle province, già con la legge di stabilità per il 2015, a carico delle province è stato disposto un contributo alla finanza pubblica di 1 miliardo nel 2015, 1 miliardo nel 2016 e 1 miliardo nel 2017, cui si è aggiunta l'estensione al 2018 del contributo già previsto dal decreto-legge n. 66 del 2014 di 585,7 milioni di euro;
    tali contributi si configurano come un vero e proprio prelievo di risorse dai bilanci delle province, una sottrazione di risorse proprie derivanti dalle entrate dai tributi locali, incoerente rispetto all'articolo 199 che prevede che le stesse siano destinate alla copertura integrale delle funzioni attribuite;
    il presidente dell'Unione delle province ha affermato in proposito che si tratta di «un quadro scoraggiante, che oltre a rappresentare chiaramente lo stato di crisi finanziaria delle province dimostra come da tre anni a questa parte ci sia stato impedito di fare programmazione. La nostra capacità di investimento è crollata del 62 per cento e il patrimonio pubblico che gestiamo, 130 mila chilometri di strade e tutte le 5.100 scuole superiori italiane, si sta deteriorando in maniera pericolosa»;
    il Comitato direttivo dell'Unione delle province d'Italia, riunitosi a Roma il 1o giugno 2017, ha stigmatizzato come il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, e iniziative a favore degli enti territoriali, che avrebbe dovuto destinare finanziamenti aggirativi alle province per assicurarne lo svolgimento delle funzioni fondamentali e i servizi alle popolazioni residenti abbia «previsto risorse assolutamente insufficienti a garantire la sicurezza della viabilità, dell'edilizia scolastica e della tutela ambientale»;
    la carenza di risorse che grava sulle province sta impedendo lo svolgimento delle funzioni fondamentali ad esse spettanti,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per destinare alle province le risorse sufficienti ad assicurare la piena erogazione dei servizi a favore delle comunità, secondo parametri che identifichino i fabbisogni finanziari reali e consentire l'avvio dei cantieri per le opere di messa in sicurezza delle scuole, delle strade e del territorio, promuovendo lo sviluppo dell'economia locale;
2) ad adottare le iniziative opportune affinché le province siano dotate della necessaria autonomia organizzativa e siano messe in condizioni di predisporre un bilancio triennale che consenta la programmazione dell'attività amministrativa;
3) ad assumere iniziative per lasciare nei bilanci delle province le entrate derivanti dalla riscossione dei tributi locali e dai risparmi conseguiti nell'esercizio delle proprie attività, affinché le stesse possano reimpiegarle nei servizi alla collettività, nel rispetto del dettato costituzionale.
(1-01650) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e IX,
   premesso che:
    l’Integrated Noise Model (INM) è lo storico modello matematico-statistico statunitense, sviluppato dalla FAA (Federal Aviation Administration), che è stato utilizzato fino al 2015, per calcolare le curve di isolivello, relative a specifici indicatori acustici, nei pressi degli scali aeroportuali, al fine di identificare l'entità delle emissioni sonore e valutare la misura degli interventi di riduzione delle stesse;
    i dati ottenuti attraverso questo modello, che prende a riferimento l'indice Lva calcolato come valore medio di rumore registrato nelle 3 settimane caratterizzate dal più elevato volume di movimenti aerei sono stati fino ad oggi utilizzati per stimare l'impronta acustica aeroportuale e, nonostante il modello non venga aggiornato da ormai due anni continua a venire utilizzato per la redazione dei nuovi Masterplan e per l'elaborazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale e valutazione ambientale strategica;
    l'Inm è stato sostituito, nel maggio 2015, a seguito dell'elaborazione di un modello più aggiornato conosciuto come sistema integrato aviation environmental design tool (AEDT) in grado di rilevare non solo le emissioni sonore ma anche quelle gassose;
    in particolare, stando a quanto riportato sul sito della Faa, l'Aedt è un sistema di software in grado di misurare le performance spazio-temporali degli aerei per stimarne il consumo di carburante, le emissioni inquinanti, il rumore aeroportuale e le relative conseguenze sulle qualità dell'aria;
    di recente anche l'EASA – l'Agenzia europea per la sicurezza aerea, con il Notice of proposed Amendment 2017-01, ha proposto di adottare in tempi brevi, anche in Europa, l'utilizzo del modello matematico USA-FAA AEDT, entro la fine del 2018;
    ad oggi, l'unico modello di calcolo approvato in Italia dall'Ispra e l'Inm e la quasi totalità delle stesse zonizzazione acustiche, là dove in vigore, come quelle ancora da definire e completare, è stata eseguita modellizzando il traffico aereo e le relative mappe sonore con il sistema Integrated Noise Model, da considerarsi ormai superato;
    le caratteristiche del sistema di monitoraggio del rumore aeroportuale sono definite dalla legge 26 ottobre 1995, n. 447, dal decreto ministeriale 31 ottobre 1997, recante «Metodologia di misura del rumore aeroportuale», dal decreto 3 dicembre 1999 recante «Procedura antirumore e zone di rispetto negli aeroporti», dal decreto 29 novembre 2000 recante «Criteri per la predisposizione, da parte delle società e degli enti gestori dei servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture, dei piani degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore», dal decreto del Ministero dell'ambiente 20 maggio 1999, recante «Criteri per la progettazione dei sistemi di monitoraggio per il controllo dei livelli di inquinamento acustico in prossimità degli aeroporti nonché criteri per la classificazione degli aeroporti in relazione al livello di inquinamento acustico»,

impegnano il Governo:

   a seguito della sostituzione dell'Inm model e della conseguente estensione del modello Aedt per il calcolo dell'impronta acustica aeroportuale a tutti i Paesi europei, ad assumere iniziative per adeguare la normativa di riferimento sulle valutazioni del rumore e dell'inquinamento acustico ai nuovi standard, attraverso l'aggiornamento dei decreti ministeriali di settore e delle relative circolari dell'Enac sul rumore aeroportuale, anche alla luce degli investimenti aeroportuali programmati e dei volumi di traffico previsti per i prossimi anni;
   ad assumere iniziative per aggiornare le mappe acustiche aeroportuali, alla luce dei nuovi modelli matematici utilizzati per la definizione delle mappe acustiche nell'ambito delle commissioni aeroportuali e nelle analisi relative ai masterplan aeroportuali, alla valutazione di impatto ambientale e strategico (VIA e VAS) al 2025-2030-2040, al fine di indirizzare correttamente la pianificazione territoriale in funzione delle criticità connesse all'inquinamento acustico e atmosferico.
(7-01293) «Spessotto, Daga, De Lorenzis, De Rosa».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'impatto economico e sociale derivante dai cambiamenti climatici è una questione ormai ineludibile anche in considerazione della previsione dell'incremento, in frequenza ed intensità, degli eventi meteorologici estremi;
    le crisi ambientali connesse ai cambiamenti climatici e la scarsità di risorse idriche rappresentano fonti di rischio per l'economia mondiale. In tale situazione particolare rilevanza assumono le misure decise nell'ambito dell'accordo internazionale di Parigi per un'azione collaborativa volta a contrastare il surriscaldamento del clima terrestre;
    sono necessari interventi diffusi sul territorio, finalizzati, da un lato, a ridurre i gravissimi danni derivanti dal mutato regime delle piogge che crea dissesto idrogeologico e, dall'altro, a porre in essere politiche finalizzate a consentire disponibilità di risorse idriche indispensabili non solo all'agricoltura ma a tutte le attività industriali, commerciali e turistiche;
    il settore primario, in tale contesto, appare particolarmente esposto sia per quanto riguarda le produzioni, perché la distribuzione delle piogge non è conforme alle esigenze vegetative delle piante, sia con riguardo specifico ai livelli qualitativi che devono caratterizzare le produzioni per rispondere idoneamente alla concorrenza dei mercati;
    in Italia la piovosità media annuale è circa 1.000 millimetri, ma in alcune aree piovono 2.000 millimetri e in altre 300 millimetri. Il cambiamento climatico in atto determina un'intensità delle precipitazioni, con punte anche superiori a 300 millimetri al giorno (3.000 mc/ettaro), da novembre a febbraio e gravi carenze nel periodo primaverile/estivo, quando l'acqua risulta fondamentale per l'agricoltura, il turismo, la produzione energetica;
    nel nostro Paese, inoltre, la situazione è ulteriormente aggravata dalla drastica riduzione delle precipitazioni nevose nei mesi invernali; le nevicate di febbraio marzo non hanno lo stesso valore, perché la neve, a causa delle temperature primaverili, non riesce a stratificarsi e ad assicurare le necessarie fluenze estive nei corsi d'acqua;
    la situazione risulta particolarmente preoccupante in Emilia Romagna (che ha già richiesto lo stato di emergenza), Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna, insomma praticamente in tutto il Paese;
    le associazioni di categoria stimano che i danni alle produzioni agricole ammontino a quasi 1 miliardo di euro;
    la possibilità di produrre ortaggi, frutta, vino, fieno per le produzioni animali (carne, latte, formaggi) dipende dalla disponibilità di acqua nel periodo primaverile ed estivo;
    la perdurante siccità e le temperature sopra la media stagionale determinano gravi danni alle falde che in alcune zone registrano un abbassamento notevolissimo, con conseguente forte aumento delle probabilità di intrusione del cuneo salino;
    il 17 agosto 2016, in occasione della giornata mondiale delle Nazioni Unite contro la desertificazione e la siccità (istituita fin dal 1984 dall'ONU), la gravità della situazione nel nostro Paese è stata denunciata da molte regioni, sia del Nord che del Sud, che hanno richiesto lo stato di emergenza;
    l'Unione europea ha più volte rimarcato l'improcrastinabile esigenza di azioni per mitigare le conseguenze del cambiamento climatico, nel cui spettro rientra prepotentemente l'irrigazione quale imprescindibile strumento per garantire la sicurezza alimentare e per contrastare la desertificazione, senza trascurare il ruolo svolto nel settore delle energie rinnovabili;
    in tale ambito svolgono un ruolo fondamentale i consorzi di bonifica e irrigazione che, in regime di sussidiarietà e di autogoverno, con le loro attività polivalenti diffuse sul territorio, provvedono a realizzare e gestire azioni finalizzate nel contempo alla sicurezza territoriale, alimentare ed ambientale; nelle più qualificate sedi tecnico-scientifiche ed istituzionali è emersa già da tempo l'esigenza di indispensabili interventi finalizzati all'ammodernamento di importanti impianti pubblici esistenti, di azioni di manutenzione straordinaria e di introduzione di innovazioni tecnologiche finalizzate sia a una migliore efficienza degli impianti irrigui, che alla raccolta delle acque per evitarne la dispersione a mare durante le stagioni di pioggia, con la realizzazione, ad esempio, di casse di espansione e l'utilizzazione di cave dismesse; di recente, il Governo ha destinato 300 milioni di euro per il finanziamento di azioni nel settore irrigazione, finalizzandoli al miglioramento dell'efficienza del sistema di reti pubbliche di distribuzione irrigua ed al completamento degli impianti;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha recentemente reso noto che, nell'ambito degli investimenti per lo sviluppo infrastrutturale del Paese, gli sono stati assegnati 107,65 milioni di euro per la realizzazione di interventi riguardanti infrastrutture irrigue e di difesa del suolo, allo scopo di garantire una maggiore efficienza delle reti irrigue e di realizzare importanti sistemazioni idrauliche;
    tali investimenti, pur attestando la particolare attenzione riservata al settore dell'agricoltura irrigua, non risultano però sufficienti per realizzare tutte le opere necessarie a limitare i danni conseguenti al cambiamento climatico;
    risulta quindi necessario un incremento dell'impegno economico finalizzato alla disponibilità dell'acqua irrigua e alla lotta alla desertificazione, per garantire sia la sicurezza territoriale, alimentare e ambientale sia la valorizzazione delle risorse locali con il sostegno alle attività produttive, turistiche, artigianali e civili, in una prospettiva di sviluppo sostenibile dell'economia e dell'occupazione,

impegna il Governo:

   ad assumere in tutte le sedi competenti iniziative per:
    a) destinare risorse aggiuntive straordinarie alla realizzazione di interventi infrastrutturali mirati a raccogliere l'acqua in eccesso, evitandone gli effetti catastrofici, e a conservarla per il periodo primaverile/estivo, mitigando così la scarsità di risorse idriche necessaria a fini irrigui;
    b) destinare risorse mirate in modo specifico alla progettazione e realizzazione di tecniche innovative di ricarica degli acquiferi e di gestione delle risorse idriche a fini irrigui, attualmente nel patrimonio conoscitivo e progettuale dei consorzi di bonifica;
    c) accelerare le procedure necessarie al tempestivo utilizzo delle risorse finanziarie già disponibili per il settore irriguo, tenuto conto della esistenza di idonei progetti già cantierabili presso i consorzi di bonifica;
    d) introdurre misure che consentano di assicurare forme di riduzione del consumo dell'acqua in agricoltura, al tal fine favorendo la diffusione di meccanica e tecnologia di precisione che consenta di monitorare l'uso di acque reflue e di irrigazione;
    e) favorire, mediante l'individuazione di apposite risorse, la realizzazione di impianti aziendali per la raccolta, lo stoccaggio e l'uso irriguo sostenibile e ad alta efficienza della risorsa idrica.
(7-01292) «Oliverio, Sani, Fiorio, Luciano Agostini, Antezza, Capozzolo, Carra, Cova, Dal Moro, Di Gioia, Falcone, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, MELILLA, ZARATTI, EPIFANI, FOSSATI, CIMBRO, D'ATTORRE, SCOTTO, PIRAS, QUARANTA, NICCHI, DURANTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, ROBERTA AGOSTINI, ZOGGIA, STUMPO, CARLO GALLI e FOLINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la testata Repubblica.it in un reportage del 20 giugno 2017, intitolato «Terremoto, la ricostruzione nel caos: in strada il 92 per cento delle macerie», riporta diverse criticità relative alla ricostruzione post sisma, principalmente legate alle farraginose procedure burocratiche;
   tra gli esempi citati, quello per l’iter burocratico relativo alla costruzione dei moduli prefabbricati che prevederebbe almeno undici passaggi tra comune, Protezione civile, genio civile regionale, procedure per l'esproprio, società incaricata del layout, autorizzazione del comune, della regione, (dalla quale parte poi l'incarico della progettazione) e i passaggi successivi agli enti per l'abitazione pubblica. Procedure che hanno portato ad avere a disposizione solo un esiguo numero di prefabbricati rispetto alle richieste avanzate;
   altro elemento estremamente critico quello delle continue modifiche del quadro normativo che dovrebbe regolare la fase post sisma. Il decreto n. 189 del 2016 è stato già emendato o integrato da altri testi, come il «decreto Gentiloni» o la cosiddetta «manovrina»; mentre l'ufficio del Commissario straordinario alla ricostruzione ha già emesso 29 ordinanze, alcune delle quali a modifica delle precedenti;
   secondo una stima richiamata dal quotidiano citato, ci sarebbero 2,3 milioni di tonnellate di macerie ancora da rimuovere. Dal sisma del 24 agosto 2016 si è riusciti a rimuovere solo 176 mila e 700 tonnellate, pari a circa l'8 per cento del totale;
   le attività di rimozione sono partite con tempi diversi nelle varie regioni, con un ritardo significativo nelle Marche, dove tali attività sono iniziate solo ad aprile, raccogliendo appena 65 mila tonnellate su un milione;
   l'articolo di stampa richiamato cita in particolare modo i casi delle province di Macerata, Fermo e Ascoli, dove «ci sono voluti cinque mesi e sette autorizzazioni perché la Conferenza dei servizi autorizzasse la ditta Htr a portare macerie nel sito di stoccaggio di Arquata»;
   problemi legati alle procedure amministrative si riscontrano anche sul fronte delle assunzioni straordinarie presso le amministrazioni locali, previste con il decreto n. 189 del 2016 che prevede, all'articolo 50-bis, la possibilità di assumere personale a tempo determinato, 350 persone a divide nelle varie amministrazioni. Il problema è che il decreto consente di scegliere le persone da assumere seguendo procedure ordinarie, attingendo da graduatorie pubbliche vigenti. Scelta che risponde a opportune esigenze di trasparenza in un contesto di normalità, ma che, in una situazione di emergenza, costituisce una ulteriore ragione di rallentamento nelle attività di supporto alla ricostruzione;
   si segnalano, infine, i rischi dei ritardi nei sopralluoghi e nella redazione delle schede Aedes. Le schede sono necessarie per ottenere i contributi statali ai privati per la ricostruzione degli immobili di proprietà danneggiati o distrutti dal sisma. Il termine per richiedere tali contributi è fissato al 31 luglio 2017, mentre i sopralluoghi effettuati ad oggi sarebbero circa 184.700 su 208.000, con una concentrazione dei sopralluoghi mancanti nelle Marche (19.200 su 23.000). Le domande che non rispetteranno il termine andranno incontro all'inammissibilità –:
   quali iniziative d'urgenza intenda adottare il Governo per affrontare le criticità illustrate in premessa. (4-17041)


   SCAGLIUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante, ormai da anni, si occupa del tema delle adozioni internazionali e a più riprese ha sottolineato l'inefficienza e l'assoluta «anarchia» in cui opera la Commissione adozioni internazionali (Cai);
   in questi anni, tale commissione non si è mai riunita, non ha mai dato risposte alle famiglie in attesa di adozione e non ha mai svolto appieno il proprio ruolo di controllore sugli enti autorizzati. Il risultato è che nel settore delle adozioni internazionali, secondo gli ultimi dati disponibili sul sito della Cai, dal 2010 al 2014, si è registrato un calo del 50 per cento;
   dopo una piccola parentesi che ha visto la Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi prendere in carico le adozioni internazionali con risultati, a parere dell'interrogante, insoddisfacenti, è uscita di scena Silvia Della Monica, vicepresidente della citata Commissione, e al suo posto il 15 giugno si è insediata il giudice minorile Laura Laera;
   nell'articolo online apparso sul sito ilfattoquotidiano.it del 15 giugno 2017 il giornalista Thomas Mackinson scrive che «Dalle carte di un'indagine per truffa a carico di una onlus savonese, che sfocerà in processo nel prossimo ottobre, emerge anche il ruolo a dir poco singolare di Silvia Della Monica che [...] nel cuore della notte si sincerava di far sparire dal suo ufficio «documenti pericolosi» che finiranno in un cassonetto della spazzatura. Ai titolari di enti sotto indagine l'ex magistrato e senatore Pd consigliava poi di “non usare il cellulare”»;
   lo stesso articolo sopra menzionato fa riferimento inoltre alle novemila pagine dell'indagine per truffa depositate al processo in corso a Savona a carico dei vertici della onlus Airone. Come si legge nel medesimo articolo: «Le carte dell'indagine dei pm liguri documentano un crescendo di comportamenti inspiegabili e ai limiti del lecito da parte di chi era a capo dell'autorità di controllo sulle adozioni: l'ex magistrato Silvia Della Monica»;
   ascoltata il 26 novembre 2014 come persona informata dei fatti, alla Della Monica vengono poste domande sul suo ruolo nella vicenda Airone in Kirghizistan, oggetto dell'inchiesta per truffa e associazione a delinquere per la quale oggi si sta celebrando il processo a Savona, per capire se la stessa abbia assecondato in qualche modo il disegno di alcuni responsabili di enti finalizzato ad aggirare la revoca della onlus di Albenga tramite una fusione tra enti o l'uso di enti «prestanome», così da continuare a utilizzarne le autorizzazioni e gestirne le procedure adottive;
   il sostituto Daniela Pischetola parla anche di atti distrutti nel cuore della notte del 31 luglio 2014 quando, alle ore 3:45 del mattino, Della Monica chiama la sua più stretta collaboratrice per dirle «ci siamo scordati il sacchetto in ufficio». Quest'ultima a sua volta avvisa una collega, che nottetempo lo riapre e va a buttare gli atti in un cassonetto di sotto. Materiale che nelle intercettazioni telefoniche descriveva come «molto pericoloso»; durante l'audizione veniva indicato che tale materiale si componeva di minute di una contestazione disciplinare a carico di una dirigente della segreteria tecnica che voleva rimuovere, intercettata a sua volta mentre dice a una collega che vuole vuotare il sacco: «Stanno manomettendo tutti i fascicoli di Airone, fanno le ore piccole per distruggere le carte. Vogliono riammettere l'ente revocato che ha fatto le truffe» –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se, anche alla luce di quanto emerge dal processo, siano rilevabili irregolarità di natura amministrativa nella condotta di Silvia Della Monica;
   per quali ragioni, alla luce delle circostanze di cui sopra, non siano state assunte già prima iniziative volte alla rimozione della vicepresidente. (4-17058)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   LOCATELLI, LO MONTE e PASTORELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la scuola di gomme di Khan al Ahmar, realizzata nel 2009 dalla organizzazione non governativa Vento di Terra, con il contributo della Cooperazione italiana, della Conferenza episcopale italiana e di una rete di enti locali lombardi ospita 8 classi, per un totale di circa 200 minori, nei Territori occupati palestinesi;
   essa è simbolo del diritto all'istruzione e della difesa dei diritti delle comunità beduine che non hanno accesso all'acqua, alla corrente elettrica e permangono in una situazione di indigenza; inoltre, la difficoltà di movimento, imposta loro, rende estremamente problematico l'accesso ai servizi di base;
   la scuola, per caratteristiche costruttive e materiali utilizzati, è un esempio nell'ambito dell'architettura bioclimatica. È una struttura senza fondamenta, realizzata con pneumatici usati, progettata dallo studio Arcò di Milano per rispondere alle complesse normative imposte dal Governo israeliano e alle specifiche esigenze delle comunità locali;
   la difesa del diritto allo studio degli alunni beduini di Alhan al Ahmar è stata possibile in passato grazie all'apertura un ombrello diplomatico e mediatico sulla scuola;
   la maggior parte degli alunni appartengono alla tribù Jahalin, stanziata nell'area denominata «Corridoio E1» da una quarantina d'anni, e sono profughi registrati presso l'agenzia Unrwa. Il corridoio congiunge Gerusalemme a Gerico ed è parte del territorio palestinese uscito dagli Accordi di Oslo quale «Area C» e come tale, dal 1994, sotto controllo militare e amministrativo israeliano: è il primo edificio pubblico costruito in questa area dal 1967;
   la scuola è stata costantemente attaccata dal movimento dei coloni, che la ritiene una «minaccia all'esistenza dello Stato di Israele». A fronte della causa intentata dallo Stato israeliano, dalle colonie limitrofe e dalla società stradale pubblica Maan, la Corte suprema israeliana si è espressa una prima volta nel novembre 2009, invitando le parti a trovare un accordo e ribadendo il valore sociale della struttura;
   il 29 agosto 2016 ha deliberato una richiesta di demolizione immediata della scuola e dopo alcuni rinvii, si è espressa a favore dello «spostamento» della struttura. A fronte di un appello delle comunità, era stata fissata una nuova scadenza a fine aprile di quest'anno, ulteriormente posticipata al 25 settembre 2017;
   l'intenzione espressa dell'Esecutivo israeliano è «riallocare» in tempi brevi gli alunni nel plesso di Al Jabal, distante una decina di chilometri. La deportazione dei residenti rappresenterebbe per gli interroganti una grave violazione del diritto internazionale (articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra del 1949; articolo 43 della Convenzione dell'Aia). Un segnale particolarmente incisivo è giunto il 4 aprile 2017, da parte dell'Ambasciatore dell'Unione europea Lars Faaborg-Andersen: «Le pratiche quali trasferimenti forzati (...) e l'ostruzionismo verso l'assistenza umanitaria sono contrari agli obblighi di Israele in tema di diritto internazionale. Chiediamo quindi ad Israele, in quanto potenza occupante, di adempiere ai propri obblighi nei confronti della popolazione palestinese (...), fermare completamente queste demolizioni e confische e consentire il pieno accesso agli aiuti umanitari»;
   l'area dove sorge la scuola è considerata strategica dal Governo di Tel Aviv, che ivi vorrebbe completare il «Muro di Separazione», dopo di che ciò che rimane dei Territori occupati palestinesi verrebbe così diviso in due tronconi e definitivamente separato da Gerusalemme;
   la demolizione della scuola creerebbe un pericoloso precedente, ponendo le basi, a giudizio degli interroganti, per l'avvio dell'annunciato piano di deportazione delle comunità beduine dell'Area C e per l'annessione del Corridoio E1 da parte di Israele –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere per la tutela dei diritti umani fondamentali e del diritto all'istruzione delle comunità beduine e per la difesa della scuola di Gomme, affinché gli scolari di Khan al Ahmar possano avere un futuro. (4-17047)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SENALDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da anni è in corso lo smantellamento degli impianti di produzione e ricerca di energia nucleare ed è stata creata la società di Stato Sogin per il decommissioning e la gestione dei rifiuti radioattivi compresi quelli provenienti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare;
   passo fondamentale per la prosecuzione dei lavori di smantellamento e messa in sicurezza è l'individuazione e la costruzione del deposito nazionale in cui stoccare in totale sicurezza tutti i rifiuti radioattivi;
   la Sogin ha provveduto a formulare la proposta di Carta nazionale dell'aree potenzialmente idonee;
   nel frattempo vengono gestiti sul territorio nazionale diversi depositi temporanei di scorie radioattive nei pressi degli impianti oggetti del decommissioning;
   in particolare, nel centro JRC di Ispra (VA) si sta provvedendo alla ultimazione di un nuovo capannone con funzione di deposito per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi presenti e di quelli che verranno prodotti dallo smantellamento dei due reattori di ricerca presenti nell'area, operando altresì nella cementazione dei fusti e delle parti di impianto secondo le modalità e le direttive più recenti –:
   a quale punto sia l’iter di identificazione del sito in cui collocare il deposito nazionale e se di conseguenza verranno rispettate le tempistiche previste al fine di poter definitivamente liberare i depositi temporanei di stoccaggio;
   se il Governo intenda confermare ed assicurare che nel nuovo deposito temporaneo previsto presso il JRC di Ispra verranno allocati esclusivamente rifiuti radioattivi già presenti o derivanti da dismissione dei reattori del sito. (5-11640)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, PRODANI e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Fluorsid s.p.a., ubicato nel comune di Assemini, Cagliari, è stato oggetto di riesame per quanto concerne l'autorizzazione integrata ambientale nel 2014 e nel 2016;
   la legge impone che il sindaco dei comuni territorialmente interessati dalle installazioni soggette ad autorizzazione integrata ambientale debba esprimere parere sanitario;
   il Tar del Lazio, sezione di Latina, con sentenza n. 819 del 2009, ha precisato che: a) il parere sanitario è di competenza del sindaco e non della giunta perché rientra nelle sue competenze di massima autorità sanitaria e quindi non può essere rilasciato dal dirigente; b) il parere sanitario non può essere superato e/o sostituito dal parere dell'Arpa nella conferenza di servizi propedeutica alla decisione finale sull'autorizzazione integrata ambientale; c) il parere sanitario negativo del sindaco, se adeguatamente motivato, può essere di ostacolo al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale dopo la conclusione della conferenza di servizi –:
   se sia stato espresso, da parte del sindaco del comune di Assemini, il prescritto parere sanitario in sede di autorizzazione integrata ambientale e quali siano i contenuti di tale parere, ovvero, in caso contrario, su quali basi il procedimento di autorizzazione integrata ambientale sia stato finalizzato. (4-17042)


   NARDUOLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la cura e l'implementazione del verde urbano (parchi, giardini, aree verdi) e la riforestazione delle aree agricole rappresentano sicuramente uno dei fronti più importanti per ripristinare e consolidare pratiche vitali di riqualificazione urbana e rurale e per incentivare le politiche di prevenzione del dissesto idrogeologico nonché il miglioramento della qualità dell'aria e, complessivamente, dell'ambiente;
   alcuni provvedimenti legislativi, in particolare la legge n. 113 del 29 gennaio 1992 («Obbligo per il comune di residenza di porre a dimora un albero per ogni neonato, a seguito della registrazione anagrafica») e la legge n. 10 del 14 gennaio 2013 («Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani»), hanno stabilito numerose disposizioni per valorizzare l'ambiente e il patrimonio arboreo e boschivo;
   nello specifico, la legge n. 10 del 2013 ha stabilito l'obbligo per i comuni sopra i 15 mila abitanti di provvedere alla piantumazione di «un albero per ogni nuovo nato» e di effettuare, alla fine di ogni mandato amministrativo, un rendiconto sulla consistenza del proprio patrimonio «verde» e dello stato complessivo della sua manutenzione;
   le stesse disposizioni legislative prevedevano l'istituzione del Comitato per lo sviluppo del verde pubblico presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il compito di monitorare l'attuazione della legge n. 113 del 1992 (vedi articolo 3 della legge n. 10 del 2013) –:
   quale sia lo stato complessivo dell'attuazione della normativa vigente in riferimento alla piantumazione di «un albero per ogni nuovo nato» ed il grado di rispetto della stessa, con particolare riferimento alle aree urbane del Veneto;
   quali iniziative si intendano assumere in relazione ai casi in cui, per negligenza o sottovalutazione, non sono stati ottemperati dalle amministrazioni locali gli obblighi previsti. (4-17045)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SECCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   poco a nord dello storico Ponte Vecchio di Bassano del Grappa, a sinistra del fiume Brenta, è stata progettata una centrale per la produzione di energia elettrica ad iniziativa di una ditta privata (Belfiore ’90 del signor Bortoli di Nove);
   dopo un travagliato iter, il progetto è stato approvato dalla direzione difesa del suolo (decreto giunta regionale del Veneto n. 189 del 27 novembre 2016), con il voto contrario del comune di Bassano del Grappa e con l'assenza della Soprintendenza archeologica belle arti e paesaggio competente, dovuta a tempi strettissimi di convocazione;
   lo stesso giorno erano stati convocati il Comitato Via alle ore 11.30 e la conferenza dei servizi decisoria alle ore 12;
   questa fretta decisoria ha impedito un'adeguata valutazione dell'intervento, a fronte di tutta una serie di qualificate riserve di tipo scientifico e storico-monumentale;
   in questo senso va intesa anche la precisazione della Soprintendenza di Verona che, con nota nella stessa data del 26 ottobre 2016, dichiarava l'impossibilità a partecipare alla commissione, evidenziando che detta assenza non poteva considerarsi ai fini del silenzio assenso e chiedeva una successiva convocazione ai sensi dell'articolo 14-ter del decreto legislativo n. 127 del 2016;
   si rileva che l'inserimento di questo impianto di produzione altera pesantemente l'equilibrio del contesto fluviale e del paesaggio storico, architettonico e monumentale, a ridosso del famoso ponte che, come noto, fu progettato da Andrea Palladio, qualche decennio dopo la metà del ’500;
   ciò è in sostanziale contrasto con il vincolo dell'area, decretato in data 4 dicembre 1954 dal Ministro Jervolino della pubblica istruzione, in cui si prescriveva esplicitamente l'intangibilità della zona vecchi Mulini, immediatamente contigua all'area del progettato impianto;
   tra i contrari alla costruzione del nuovo impianto sono state raccolte ben 13.000 firme di bassanesi o residenti nel territorio;
   autorevoli studiosi hanno giudicato pericoloso l'inserimento dell'opera prevista, dal punto di vista statico, geologico ed idrogeologico che potrebbe compromettere la stabilità degli edifici storici e dell'edificato immediatamente confinante a sud e ad est;
   tra questi si segnala la «Villa Priuli – ora Caregnato Vettori», decorata di significativi affreschi ed architettonicamente pregevole, che insiste sul canale della centrale di cui si prevede in prossimità del fabbricato una notevole modifica del fondale e delle sponde a ridosso;
   all'attenzione della ricerca storica e della conservazione dei beni culturali è prepotentemente emersa negli ultimi anni l'esistenza a poche decine di metri dal progettato impianto di un poderoso torrione tardo medioevale, che costituiva la testata orientale di un ponte-diga realizzato nel 1402, funzionale alla deviazione del Brenta, in caso di guerra, con un canale immediatamente a monte del bacino e ancora riconoscibile per circa 16 chilometri nel territorio vicentino;
   il Castello insiste su una zona del colle geologicamente fragile il cui movimento franoso è già stato monitorato negli anni novanta dal Consiglio nazionale delle ricerche. Ancora oggi il pendio del colle, sopra la progettata centrale, reca i segni di un vistoso crollo di un settore della cinta esterna del castello, avvenuto nel 1928;
   l'alterazione complessiva del fragile sistema, provocata dalla centrale, costituisce un rischio per la tenuta dell'intero contesto monumentale: castello, torrione, Via Pustrela e Villa Priuli;
   questo nucleo del paesaggio storico bassanese, incentrato sulla ricchezza di civiltà e di opere sulle rive del Brenta, deve essere perciò mantenuto e valorizzato per evitare inoltre che esso costituisca un dannoso precedente per la manomissione del contesto e con il rischio di ulteriori gravi smottamenti –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere il Ministro interrogato a difesa del luogo e della sua irripetibile qualità paesaggistica, ambientale storico e monumentale. (5-11638)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 maggio 2017 con sentenza n. 6171, il Tar del Lazio ha disposto l'annullamento della selezione pubblica indetta dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per il conferimento dell'incarico di direttore di alcuni musei italiani, indetta con bando del 7 maggio 2015;
   in data 27 maggio 2016, con decreto, è stata indetta una seconda selezione pubblica per il conferimento dell'incarico di direttore di altri 9 musei; tale selezione è stata condotta con procedure analoghe alla prima;
   in particolare, la commissione, con verbale della riunione del 7 novembre 2016, ha fissato criteri per la valutazione dei titoli dei candidati che non differiscono da quelli della selezione annullata dal Tar;
   la commissione ha inoltre previsto criteri di discrezionalità che esulano dalla necessaria ragionevolezza, stabilendo che «La commissione può individuare per la selezione ulteriori criteri di valutazione e provvede alla distribuzione dei punteggi tra tutti i criteri»;
   il colloquio finale della selezione si è svolto nei giorni dal 18 al 21 gennaio 2017;
   in data 17 gennaio 2017, subito prima del colloquio, si dimetteva il responsabile del procedimento, dottoressa Anna Conticello, per dichiarati «sopraggiunti ed indifferibili impegni personali»;
   in data 18 gennaio 2017, mentre si svolgevano le sedute del colloquio, la direzione generale organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sostituiva con apposito decreto il suddetto responsabile del procedimento con la dottoressa Cristina D'Urso;
   in data 1o febbraio 2017, a soli 14 giorni dalla nomina, anche la suddetta dottoressa D'Urso si dimetteva dall'incarico di responsabile del procedimento, senza che nel decreto di surroga ne venissero indicati i motivi;
   con decreto del 6 febbraio 2017, veniva nominato del procedimento di cui trattasi il dottor Roberto Bernardi, che riveste a tutt'oggi l'incarico;
   i candidati designati a seguito della succitata selezione ad almeno due musei, il parco archeologico di Ostia e quello dei Campi Flegrei, Fabrizio Delussu ed Adele Campanelli, già soprintendente dell'area metropolitana di Napoli, sono stati revocati: il primo per attestazioni non corrispondenti alla reale qualifica nella la documentazione prodotta, la seconda in quanto sottoposta agli arresti domiciliari dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli, nell'ambito di un'inchiesta sulle infiltrazioni della camorra negli appalti pubblici;
   la CISL funzione pubblica segnalava in un suo comunicato del 17 marzo 2017 che la stessa Campanelli non aveva proceduto a informare il Ministero e la commissione degli avvisi di garanzia già ricevuti;
   nonostante apposite ricerche, all'interrogante non risulta siano stati espletati adeguati controlli per evitare che si verificassero fatti gravi del genere –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e, quindi, dei motivi alla base delle dimissioni dall'incarico di responsabile del procedimento di selezione dei suddetti funzionari;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per garantire la necessaria trasparenza ed il rispetto delle norme vigenti nella nomina di direttori dei principali musei ed aree archeologiche italiane. (4-17050)

COESIONE TERRITORIALE E MEZZOGIORNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nel «patto per la Puglia» sono previsti interventi, per l'importo complessivo di euro 2.071.500.000, per i quali, con riferimento alla delibera del Cipe n. 26 del 2016, è dichiarata la immediata disponibilità;
   le modalità di erogazione dei fondi, in relazione ad ognuno degli interventi previsti, è dettagliatamente disciplinata e si prevede l'immediata anticipazione del 10 per cento dell'importo, previo inserimento degli interventi medesimi nella Banca dati unitaria presso il Ministero dell'economia e delle finanze;
   fra i progetti è inserito quello della cosiddetta «metropolitana di superficie» (elettrificazione della linea sino al comune di Gagliano e messa in sicurezza dei passaggi a livello), per l'importo di euro 130.000.000;
   ancora di recente, si è verificato un (nuovo) incidente ferroviario che solo per circostanze fortunate non ha avuto conseguenze gravissime e, fra le cause dell'incidente medesimo, è senz'altro da considerare lo stato della infrastruttura ferroviaria –:
   visto quanto esposto in premessa, se sia vero che l'intervento anzi indicato non è ancora stato attivato e, in caso di risposta affermativa, quali siano le ragioni che, nel più vasto contesto del «patto per la Puglia», ne hanno impedito l'attivazione.
(2-01851) «Massa, Amato, Bargero, Basso, Benamati, Borghi, Brandolin, Bratti, Covello, De Menech, Dell'Aringa, Di Lello, D'Ottavio, Ermini, Fabbri, Ferrari, Ferro, Fiorio, Fragomeli, Fusilli, Ginoble, Giorgis, Lattuca, Lauricella, Marantelli, Marchi, Mazzoli, Misiani, Montroni, Morani, Andrea Romano, Sani, Giovanna Sanna, Sgambato, Simoni, Tullo, Valeria Valente, Ventricelli, Verini».

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 24 maggio 2017 è stato approvato in via, definitiva dal Consiglio dei ministri il decreto legislativo n. 92 del 2017 che introduce una nuova disciplina per l'attività dei «compro oro» in attuazione dell'articolo 15, comma 2, lettera l), della legge n. 170 del 2016;
   il provvedimento introduce una disciplina ad hoc che consente di monitorare il settore dei «compro oro» e di censirne il numero e la tipologia. La finalità è quella di contrastare sempre più efficacemente le attività criminali e i rischi di riciclaggio riconducibili alle attività di compravendita di oro e oggetti preziosi non praticate da operatori professionali;
   attualmente non ci sono regolamentazioni particolari per l'apertura di un negozio di compro oro poiché è sufficiente ottenere una licenza per il commercio di oggetti preziosi, mentre il privato che vuole vendere oggetti di valore a un negozio di compro oro deve solamente esibire un documento di identità, senza dover certificare la provenienza di tali oggetti;
   la nuova normativa, invece, impone ai titolari dei compro oro una serie di adempimenti per rendere tracciabile la compravendita e la permuta di oggetti preziosi, nonché prevenirne l'utilizzo illecito, compreso il riciclaggio. In particolare, il decreto prevede l'istituzione di un registro degli operatori compro oro professionali e l'obbligo di iscrizione per lo svolgimento dell'attività; la previsione di specifici obblighi di identificazione del cliente e di descrizione dell'oggetto prezioso scambiato; la piena tracciabilità delle operazioni di acquisto e vendita dell'oro; la previsione di sanzioni, con particolare riferimento all'esercizio abusivo dell'attività; l'abbassamento da 1.000 a 500 euro della soglia per l'uso del contante per le attività del settore;
   il provvedimento include anche gli orafi artigiani tra i soggetti che devono rispettare i rigorosi obblighi imposti a chi svolge soltanto attività di compravendita di metalli e oggetti preziosi;
   durante il dibattito parlamentare che ha preceduto l'emanazione del decreto, le organizzazioni di categoria hanno richiesto ai due rami del Parlamento la distinzione all'interno delle categorie merceologiche, nonché che la normativa non caricasse di nuova burocrazia gli orafi artigiani che svolgono attività di compravendita di oro usato soltanto in forma marginale e occasionale: una posizione accolta e condivisa dalle commissioni competenti di entrambe le Camere ma non recepita dal Governo in sede di approvazione definitiva del decreto legislativo –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative di carattere normativo per modificare la nuova disciplina per l'attività dei «compro oro» che, pur essendo positiva per il controllo del settore e per combattere pratiche illegali e rischi di riciclaggio, minaccia di mettere in gravissima difficoltà gli operatori economici del settore dell'oreficeria artigiana, penalizzandoli fortemente nella loro attività. (4-17046)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Melito di Napoli con la sentenza emessa in data 22 marzo 2017 dal tribunale di Napoli nord è stato condannato al pagamento di un risarcimento di venti milioni di euro in favore della società «Progetto casa 2000»;
   la predetta società si era, infatti, vista assegnare delle concessioni edilizie, poi revocate a causa dell'annullamento della delibera di giunta comunale che ne aveva autorizzato il rilascio;
   la delibera di giunta comunale del 26 febbraio 2001, n. 39, era infatti stata annullata dalla commissione straordinaria prefettizia a causa di una serie di irregolarità, non ultima il fatto che un atto concessorio di licenze, edilizie avrebbe dovuto essere approvato dal consiglio comunale e non dalla giunta;
   va rilevato che il sindaco in carica al momento dell'adozione della delibera, nel 2001, è attualmente ricandidato a sindaco –:
   se il Governo sia informato dei fatti di cui in premessa e se intenda promuovere, per quanto di competenza, una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica in ordine ai riflessi finanziari e contabili connessi al pesante onere recato dalla sentenza del tribunale di Napoli nord. (4-17059)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOGNATO, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il porto di Chioggia è collocato all'interno dell'area lagunare di Venezia, e fa parte della neo costituita autorità di sistema portuale del mare Adriatico settentrionale;
   il porto di Chioggia si articola nei due scali marittimi di val di Rio e dell'Isola Saloni, e ha una potenzialità di movimentazione merci di circa 2 milioni di tonnellate/anno;
   per la sua collocazione il porto di Chioggia assolve ad un ruolo strategico di nodo di connessione tra l'alto Adriatico e la dorsale padana da Mantova e Cremona fino a Piacenza e Milano;
   trattandosi di un porto sviluppatosi all'interno dell'area lagunare, risulta fondamentale per garantire l'accessibilità l'opera di scavo e adeguamento della profondità dei canali;
   in questo senso la Camera dei deputati aveva già impegnato il Governo pro tempore, con l'ordine del giorno n. 9/03444-A/107 del 19 dicembre 2015 a «valutare l'opportunità di finanziare l'adeguamento dell'accessibilità del porto di Chioggia, in quanto intervento immediatamente cantierabile ai sensi di quanto previsto dall'articolo 1 comma 153 d la legge n.190 del 2014 — tabella E»;
   risulta, anche da segnalazioni effettuate dalle categorie portuali interessate, che la mancata effettuazione dei lavori di scavo e di adeguamento dei canali del porto di Chioggia rischi di compromettere l'accessibilità agli scali del medesimo, con conseguenza serie e gravi sull'operatività dell'infrastruttura e quindi sul tessuto socio-economico della città di Chioggia;
   i pescaggi del porto di Chioggia non vengono approfonditi da 5 anni, e nei pressi di alcune banchine sono ridotti a 5,5 metri, mentre per essere concorrenziale rispetto ai dimensionamenti attuali il porto necessita di almeno 9 metri di pescaggio sul medio mare –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, per verificare con l'autorità di sistema portuale del mare Adriatico settentrionale l'accessibilità del porto di Chioggia, avuto riguardo in particolare ai livelli batimetrici dei canali, per assicurare di conseguenza i lavori di scavo e di adeguamento atti a garantirne la piena operatività e funzionalità in entrata e in uscita dal canale portuale, e per garantire nuovi pescaggi sotto la banchina di val di Rio.
(5-11637)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DELL'ORCO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in sede di conversione del decreto-legge n. 50 del 24 aprile 2017, è stata introdotta una disposizione che abroga il regio decreto n. 148 del 1931, riferimento legislativo importante che disciplina il rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri insieme alla contrattazione collettiva;
   la disposizione in questione entra in una discussione già avviata con la «riforma Madia» della pubblica amministrazione di cui alla legge n. 124 del 2015, e con il decreto attuativo sui servizi pubblici locali di interesse economico generale. Sebbene infatti negli ultimi anni la contrattazione collettiva abbia progressivamente acquisito rilevanza lasciando al regio decreto minore spazio di applicabilità (ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 12 luglio 1988, n. 270, che ha definitivamente sancito la derogabilità del decreto ad opera della contrattazione collettiva prevedendo che «le disposizioni contenute nel regolamento allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148, ivi comprese le norme di legge modificative, sostitutive ed aggiuntive a tale regolamento, possono essere derogate dalla contrattazione nazionale di categoria ed i regolamenti d'azienda non possono derogare ai contratti collettivi»), tuttavia come era già stato rilevato dalle organizzazioni sindacali in sede di discussione parlamentare dello schema di decreto sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, il decreto rappresenta ancora oggi l'unica regolamentazione per un'ampia serie di aspetti che riguardano la vita degli autoferrotranvieri; proporre dunque un rinnovo dei contratti collettivi nazionali in funzione dell'abolizione del suddetto regio decreto significa aprire ad una stagione di turbolenze considerando che la realtà italiana del rinnovo dei contratti collettivi è assai travagliata e che l'ultimo contratto collettivo nazionale del lavoro degli autoferrotranvieri ha atteso otto anni prima di trovare un accordo;
   l'abolizione del decreto regio inoltre significa scardinare completamente la concezione pubblicistica dei servizi pubblici attraverso la possibilità di applicare ai rapporti di lavoro degli autoferrotranvieri la più flessibile disciplina del rapporto di lavoro subordinato come disciplinato nelle recenti riforme. Il suddetto allegato A, in tema di licenziamento, riconosceva inoltre al datore di lavoro il potere di «procedere ai necessari esoneri di agenti nelle qualifiche in cui risultino le eccedenze», nell'ipotesi di «riduzione di posti per limitazione, semplificazione o soppressione di servizi, debitamente dichiarata dall'autorità governativa», con obbligo di répéchage anche per mansioni inferiori; ciò significa che in tali settori troverà invece applicazione la nuova formulazione della disciplina sui licenziamenti illegittimi come modificato dalla recente riforma del Jobs Act, quella sul contratto di lavoro a tempo indeterminato e sulla nuova forma di previdenza ed assistenza sociale;
   le nuove norme vanno lette inoltre anche all'interno di quel processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali che punta ad una libera concorrenza nel mercato europeo. In questo scenario però il provvedimento sui servizi pubblici locali di interesse economico vorrebbe introdurre una normativa molto più rigida rispetto alla normativa europea sulla gestione diretta, lasciandola solo come ipotesi residuale. Una privatizzazione totale come quella che sembra promuovere il Governo potrebbe non dare la garanzia di continuità di quei servizi; la politica del trasporto pubblico locale del Governo sembrerebbe dunque focalizzata maggiormente sulla tutela della concorrenza e degli aspetti aziendali perdendo così di vista la tutela della mobilità che dovrebbe essere garantita per ogni cittadino –:
   se siano stati stimati dal Governo gli effetti dell'abrogazione del regio decreto n. 148 del 1931 in termini di garanzia di continuità e qualità del servizio di trasporto pubblico locale nonché in termini di garanzia dei lavoratori del settore e quali iniziative di competenza intendano assumere per evitare una stagione di facili licenziamenti con pesanti ricadute sul welfare pubblico. (4-17053)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo pubblicato sul quotidiano La Nazione in data 28 maggio 2017, l'interrogante ha appreso che il presidente dell'autorità di sistema portuale del Mare Tirreno settentrionale, ingegnere Stefano Corsini, ha respinto la candidatura del sindaco Filippo Nogarin proposta dal comune di Livorno come proprio rappresentante nel comitato di gestione della stessa autorità di sistema portuale;
   nello stesso articolo si evidenzia come per le città di Genova, Trieste e Civitavecchia, le candidature dei sindaci siano state accettate come rappresentanti dei rispettivi comuni nei comitati di gestione;
   non è chiara, quindi, la ragione per la quale il presidente Corsini abbia respinto la candidatura del sindaco di Livorno Nogarin, considerata anche la sua esperienza maturata nel settore, come presidente dell'Anci città portuali, e nei numerosi convegni sulla tematica portuale e la collaborazione manifestata in occasione del piano di sviluppo dei porti e della logistica e in occasione dell'espressione dei pareri sullo schema di decreto legislativo in attuazione della «legge Madia»;
   va tenuto altresì conto che quando la «regione Friuli Venezia Giulia ha proposto come propria rappresentante nel comitato di gestione dell'autorità di sistema portuale del Mare Adriatico orientale la presidente Deborah Serracchiani, nessuno ha avuto nulla da eccepire e la stessa è stata nominata –: 
   se il Ministro interrogato, in qualità di organo vigilante sulle autorità di sistema portuale, intenda assumere iniziative per verificare la correttezza della decisione di escludere il sindaco di Livorno, anche alla luce delle nomine dei sindaci di Genova, Trieste e Civitavecchia, nonché della presidente della regione Friuli Venezia Giulia, posto che la preclusione sul sindaco medesimo appare all'interrogante il frutto di una mera discriminazione basata sulla appartenenza politica del sindaco;
   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per risolvere la situazione che, di fatto, impedisce il regolare funzionamento del comitato di gestione dell'autorità di sistema portuale del mare Tirreno settentrionale, con grave nocumento allo sviluppo dell'attività portuale, in quanto impedisce la formazione del comitato di gestione che attualmente è privo proprio del rappresentante del principale porto del sistema. (4-17055)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   i fatti occorsi in Portogallo nel fine settima del 17 e 18 giugno 2017, in cui un'ampia area di area boschiva a Pedrógão Grande è stata coinvolta in un incendio che ha provocato 62 vittime, dovrebbero spingere le istituzioni italiane a prepararsi adeguatamente per l'imminente stagione estiva, che si profila di particolare pericolosità su questo fronte;
   a portare a questa conclusione sono anzitutto ragioni climatiche: come rilevato da Coldiretti il rischio di incendi è particolarmente elevato nel nostro Paese per effetto del caldo e della prolungata siccità, con una «primavera climatologica» che è stata la seconda più calda dal 1800 ad oggi, con un'anomalia di +1,9 gradi e la terza più asciutta con un deficit di quasi il 50 per cento dopo che anche l'inverno si era classificato al terzo posto tra i più asciutti, con il 48 per cento di precipitazioni in meno e valori di temperatura superiori di 0,49 gradi alla media di riferimento secondo il Cnr;
   a seguito di questa allarmante situazione appaiono ancor più rilevanti i deficit che riguardano il Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   com’è noto, a seguito dell'approvazione della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dei successivi decreti di attuazione, il Corpo forestale dello Stato è stato soppresso e la lotta agli incendi boschivi, che spetta alle regioni, è oggi un compito cui concorrono i vigili del fuoco che l'hanno in parte ricompreso, senza però disporre di un numero sufficiente di uomini e di mezzi;
   come sottolineato da Conapo, sindacato autonomo, oltre a questo fatto la carenza di 3 mila pompieri mette in crisi l'intero sistema di spegnimento tanto a livello aereo, quanto a terra, dal momento che l'Italia registra un vigile ogni 15 mila abitanti, rapporto molto al di sotto alla media europea, mentre l'età media degli appartenenti al Corpo sarebbe intorno ai 50 anni;
   oltre a questo, molte regioni non avrebbero ancora stipulato le convenzioni che stanziano i fondi di potenziamento del servizio o lo avrebbero fatto in modo insufficiente;
   anche sul fronte dei mezzi, la carenza degli stessi porta ad un'inadeguata capacità di risposta dei vigili del fuoco rispetto al rischio di incendi: a mancare sarebbero autopompe, serbatoi, autoscale e autobotti, molti dei quali fuori servizio e dunque inutilizzabili;
   anche considerando la disponibilità di mezzi aerei resta problematica l'integrazione con il Corpo forestale, con un mancato sfruttamento delle risorse disponibili;
   particolarmente grave sarebbe in particolare quanto registrato presso la caserma Ciuffelli, strategica per gli interventi nel Centro Italia, in cui gli elicotteri della Forestale sarebbero ancora negli hangar e gli spazi non sarebbero stati ancora ripartiti coi carabinieri;
   tutto questo avviene mentre in metà degli interventi, nei casi di spegnimento dei fuochi, ci si rivolgerebbe a soggetti esterni, come la multinazionale Babcock, per l'impiego di elicotteri e canadair –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare in vista della prossima stagione, estiva, in cui si prospetta elevato il rischio di incendi;
   se trovi conferma l'impegno di investire sul personale oltre 20 milioni di euro nel 2017 per le assunzioni extra turn-over e di oltre 70 milioni di euro per il 2018;
   quali iniziative si intendano intraprendere per risolvere le criticità rilevate e per garantire un pieno utilizzo dei mezzi e degli uomini del Corpo forestale e dello Stato.
(2-01850) «Cozzolino».

Interrogazione a risposta orale:


   AIRAUDO, FRATOIANNI, MARCON, DANIELE FARINA, COSTANTINO e PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo i fatti di Torino, durante la finale di Champions, la sindaca di Torino ha adottato un'ordinanza che dispone il divieto di vendita di alcolici e superalcolici da asporto, a partire dalle ore 20, nelle zone della movida di Torino;
   la settimana scorsa, nell'area di piazza Santa Giulia, la presenza delle forze dell'ordine che effettuavano controlli sul rispetto dell'ordinanza era stata contestata;
   lo stesso era accaduto nella notte tra sabato e domenica, ai Murazzi del Po, ad alcuni carabinieri che effettuavano controlli a venditori abusivi di bibite;
   il 20 giugno 2017, invece, la questura ha scelto di fare una grande prova di forza, inviando a piazza Santa Giulia, per i controlli sull'ordinanza, una cinquantina di agenti con tanto di scudi antisommossa;
   dopo due ore di presidio, accompagnato da qualche coro e piccole provocazioni cadute nel vuoto, gli agenti anti-sommossa sono andati via, lasciando però indietro un gruppo di poliziotti, tra cui la responsabile del commissariato. A questo punto, secondo la cronaca riportata da La Stampa, la piazza si è coalizzata, la gente della movida si è saldata con i 20 ragazzi dei centri sociali che hanno contestato gli agenti;
   che cosa scateni la piazza e la violenza è un mistero, aggiunge La Stampa. Fatto sta che i poliziotti rimasti a presidiare la piazza sono stati aggrediti e in un attimo sono ritornati gli agenti del reparto anti-sommossa, le cui cariche, a quanto consta agli interroganti avrebbero colpito indiscriminatamente manifestanti e avventori dei tanti locali della zona;
   nel bar dove fanno l'aperitivo dei bambini, c'erano mamme con i piccoli in braccio, padri che giocavano e scherzavano. Volano manganellate e la gente scappa. Sono dieci minuti di delirio che lasciano un tappeto di rottami;
   La Stampa scrive che quella della piazza è stata una reazione isterica, che la gente è esasperata. E aggiunge che lo si è visto qualche attimo prima che gli agenti in borghese fossero assaliti «quando dei ragazzi “normali” si sono messi ad urlare insulti e minacce in faccia ad una poliziotta senza divisa: “Vai via p... ! Devi andare te via da qui, vai via”»;
   resta ferma la condanna per tutti gli atti violenti, ma due dati sembrano emergere: da un lato, che l'ordinanza sindacale, a giudizio degli interroganti, applica in modo solerte e rigido il «decreto Minniti» sulla gestione del decoro nei centri storici, dall'altro, che il modo in cui la questura sta applicando l'ordinanza sembra agli interroganti portare ad una somma di eccessi che rischia di limitare le libertà dei cittadini, che si traduce nel controllo dei documenti a chiunque entri nelle vie, che rischia di confondere la distribuzione illegale di alcool con quella delle regolari attività di commercio e ludico-ricreative, che porta alla prova di forza che si è verificata il 20 giugno 2017 provocando una decina di feriti, di cui quattro agenti –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire le ragioni del comportamento tenuto dalla questura di Torino da cui sembra emergere una inadeguatezza nella gestione dell'ordine pubblico e la necessità di un intervento per riportare tale gestione nell'ambito di una logica di buon senso e non securitaria. (3-03106)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 dicembre 2016, n. 232, all'articolo 1, comma 434, prevede che gli enti locali che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale prima dell'approvazione del rendiconto per l'esercizio 2014 possono rimodulare o riformulare il predetto piano, entro il 31 maggio 2017;
   il giornale on-line www.sudpress.it del 5 giugno 2017, in merito alla seduta del consiglio comunale di Catania che trattava la rimodulazione del piano dei rientro dei debiti che doveva essere approvato entro il 31 maggio del 2017 (approvato invece alle ore 00,39 del 2 giugno) riporta una dichiarazione del ragioniere generale del comune di Catania (...) che afferma:
    a) «Fermo restando il concetto di perentorietà del termine (...), che il concetto di continuità di seduta, atteso che siamo in prosecuzione garantisce il mantenimento del termine (...)»;
    b) «La decisione che assuma oggi il Consiglio in questo momento è un'adozione di una rimodulazione del piano la cui efficacia per legge è posticipata all'approvazione definitiva da parte della Corte dei conti previo il parere della Cosfel (Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali), organo di controllo del Ministero degli interni»;
   lo stesso articolo del quotidiano riporta una dichiarazione del vice segretario generale dell'amministrazione comunale di Catania che afferma:
    1) «(...) ho sentito le osservazioni del ragioniere generale in qualità di proponente dell'atto sotto i profili dello stesso confermo la circostanza che questa seduta è una seduta in prosecuzione ed in quanto tale gli effetti dell'atto devono ricondursi all'inizio delle operazioni assembleari che sono state ovviamente avviate il 31 maggio u.s.(...)»;
    2) «(...) Approvazione nella quale ovviamente la Corte dei Conti e prima ancora il Ministero dell'Interno effettueranno tutte le valutazioni in ordine ai profili di eventuale legittima dello stesso, quindi ritengo di condividere le valutazioni del Ragioniere Generale»;
    il vice presidente del consiglio comunale ha chiesto ai due dirigenti di fornire copia dei pareri degli organi competenti e della giurisprudenza citati dal ragioniere generale a sostegno della tesi dell'amministrazione Bianco; la presidente Raciti ha assicurato che sarebbero stati prodotti, ma non pare ve ne sia traccia, degli atti –:
   se gli uffici del Ministero dell'interno preposti alla finanza locale abbiano ricevuto, con comunicazioni scritte, dal comune di Catania, la notizia del mancato rispetto del termine di presentazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, fissato al 31 maggio 2017 e slittato, invece, al 2 giugno 2017;
   se le decisioni assunte dal comune di Catania, che derogano a quanto stabilito all'articolo 1, comma 434, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, possano, eventualmente, invalidare l'approvazione del piano di riequilibrio finanziario;
   se sia in possesso del parere della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali in merito alla vicenda sopra descritta e ritenga di renderlo disponibile per i chiarimenti di merito.
   (5-11639)


   RUBINATO e CASELLATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in base alle previsioni di pianta organica la sottosezione polizia ferroviaria di Treviso avrebbe dovuto contare su 36 unità;
   a seguito di una serie di adeguamenti tale dotazione è stata ridotta a 23 e attualmente in organico vi sono in realtà solo 9 unità con una età media ormai superiore ai 50 anni;
   contestualmente alla riduzione delle unità in servizio presso la Polfer, sono invece cresciuti i compiti di questa specialità, con l'aumento dei chilometri di tratta da controllare, nonché le attività in materia di prevenzione e di vigilanza, anche in relazione all'aumento della soglia di attenzione sul rischio terrorismo;
   va considerato che il territorio comprende la stazione di Treviso, che collega anche il locale aeroporto con oltre 2 milioni di passeggeri all'anno e con 6 milioni di utenti annuali su rotaia con altre stazioni di significativa dimensione, come Oderzo, Preganziol, Montebelluna, per le quali è pure indispensabile assicurare una presenza della Polfer;
   è diventato molto più complesso e difficile assicurare una capillare presenza sul territorio h 24 con numeri di personale in grado di coprire solamente un turno;
   nonostante l'abnegazione e lo spirito di servizio del personale è quindi assai complicato garantire presenze complete sui turni pomeridiani e ancor di più serali e notturni;
   l'ufficio della Polfer trevigiana è un punto di riferimento per la cittadinanza, anche perché si trova in una posizione strategica, essendo ubicato al centro della città –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle criticità illustrate in premessa e quali iniziative intenda assumere in tempi brevi al fine di evitare ulteriori riduzioni di personale e assicurare un adeguato servizio nel comprensorio di Treviso da parte della specialità del dipartimento di pubblica sicurezza, avvicinando il numero delle unità di personale in servizio a quanto previsto dalla pianta organica ministeriale con l'obiettivo di una presenza più capillare e un maggiore controllo.
(5-11641)


   CARNEVALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella scorsa tornata elettorale amministrativa, per il rinnovo del indaco e del consiglio comunale di Sermide e Felonica, in provincia di Mantova, è stata presentata e ammessa una lista denominata «Fasci italiani del lavoro», con simbolo riecheggiante il fascio littorio;
   l'ammissione alle elezioni di una lista che si richiama dichiaratamente a nomi e immagini del partito fascista desta forti perplessità sul piano giuridico, in quanto sembra contrastare con le norme costituzionali e legislative che vietano la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista: nello specifico il primo comma della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione e la legge 20 giugno 1952, n. 645, attuativi della norma costituzionale citata;
   occorre ricordare inoltre che le «istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature», emanate nel mese di maggio 2017 dal Ministero dell'interno, stabiliscano chiaramente come le commissioni elettorali circondariali debbano ricusare i contrassegni in cui siano contenute espressioni, immagini o raffigurazioni che facciano riferimento a ideologie autoritarie; come tali vietate dalla Costituzione;
   a seguito della segnalazione del caso in questione da parte dei media il prefetto di Mantova ha revocato le designazioni dei funzionari componenti la sottocommissione elettorale circondariale che era competente per il comune di Sermide-Felonica;
   il movimento politico in questione ha già partecipato alle elezioni dal 2002. Otto anni prima aveva presentato una lista dal nome «Fascismo e Libertà», in quel caso bloccata dalla sottocommissione elettorale. I Fasci italiani del lavoro si sono poi candidati anche nelle competizioni elettorali del 2007 e del 2012;
   appare opportuno, ad opinione dell'interrogante, un'attenta verifica sull'attività del movimento alla base della lista elettorale in questione e sull'eventuale propaganda di ideologie espressamente vietate dalla Costituzione –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare il Ministro interrogato per fare piena luce sui gravi fatti elencati in premessa, e impedire, per il futuro, il verificarsi di analoghe vicende.
   (5-11643)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ALLASIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 18 giugno 2017, a Torino, un controllo condotto ai Murazzi e a Piazza Vittorio da tre carabinieri in borghese per assicurare il rispetto di un'ordinanza emanata dal comune contro la vendita abusiva di alcoolici nelle ore notturne, è sfociato in un'aggressione ai tutori dell'ordine;
   i tre carabinieri, in effetti, sono stati circondati da una cinquantina di persone intervenute in difesa di due giovani bengalesi che erano intenti a vendere bottiglie di birra;
   due giorni dopo, il 20 giugno sera, al termine di un presidio da parte delle forze dell'ordine attuato con agenti anti-sommossa alla Vanchiglia durato due ore, si verificavano ulteriori intimidazioni;
   alcuni giovani protagonisti della movida torinese, infatti, si coalizzavano con una ventina di ragazzi provenienti dai centri sociali per circondare, insultare e minacciare nei pressi di via Giulia di Barolo una funzionaria della polizia di Stato e i pochi agenti in borghese rimasti sul posto dopo il ritiro dell'unità anti-sommossa già schierata alla Vanchiglia;
   se l'intento dell'iniziale spiegamento di forze da parte della polizia era quello di stabilire una sorta di deterrenza nei confronti dei giovani che, in condizioni più o meno pronunciate di alterazione, provocano disordini notturni a Torino, l'operazione ha avuto certamente esiti fallimentari –:
   quali misure il Governo intenda assumere al fine di evitare che la vita notturna dei giovani torinesi si trasformi in una costante fonte di disordini e gratuite provocazioni alle forze dell'ordine;
   di quali elementi disponga il Governo in merito ai centri sociali di appartenenza dei giovani che hanno circondato ed insultato il personale della polizia di Stato nella sera del 20 giugno 2017 alla Vanchiglia;
   se il Governo non ritenga utile assicurare un presidio più consistente e continuativo delle zone di Torino a maggior rischio di disordini notturni. (4-17037)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Monfalcone intende dotare il personale appartenente alla propria polizia locale di uno strumento denominato tonfa;
   il sindaco di Monfalcone, in data 1o giugno 2017, ne ha dato notizia al prefetto di Gorizia, che il 9 giugno, con propria lettera scritta, gli ha risposto escludendo che ciò sia possibile, asserendo che il tonfa è di fatto assimilabile ad uno sfollagente, a sua volta un'arma propria il cui possesso sarebbe riservato dalla legge alle sole Forze armate ed ai Corpi armati dello Stato;
   il personale delle polizie locali potrebbe portare soltanto la pistola e, in occasione dei servizi di rappresentanza, la sciabola;
   il tonfa è certamente un'arma meno letale della pistola ed è oggetto anche di pratiche sportive;
   le tipologie di armamento impiegabili dalle polizie locali sono attualmente determinate dal decreto del Ministro dell'interno 4 marzo 1987, n. 145 –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato circa l'interpretazione molto restrittiva data dal prefetto di Gorizia alle norme concernenti l'armamento di cui gli appartenenti alle polizie locali possono essere dotati;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per modificare la lista delle armi proprie a disposizione del personale delle polizie locali, includendovi anche il tonfa, che è certamente meno letale della pistola già attualmente in uso alle forze municipali di polizia. (4-17038)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Angelo Niceta è il testimone di giustizia che sta raccontando alla magistratura gli affari e le collusioni della mafia siciliana, chiamando in causa, tra l'altro, la famiglia Guttadauro e Matteo Messina Denaro;
   i Niceta a Palermo sono un cognome che conta: il loro grande magazzino nella centralissima via Roma è stato il primo di tutta la Sicilia nel settore tessile e per la biancheria della casa;
   in quel grande magazzino la famiglia Niceta intratteneva rapporti con i massimi esponenti di Cosa Nostra, da Bernardo Provenzano, ai fratelli Carlo, Giuseppe e Filippo Guttadauro e persino con Matteo Messina Denaro;
   presa coscienza dei rapporti pericolosi che si consumavano nell'azienda di famiglia, ad un certo punto Angelo Niceta ha deciso di dire basta e di parlare con i magistrati;
   a Palermo i magistrati Nino Di Matteo e Pierangelo Padova hanno chiesto per lui lo status di testimone di giustizia, per aver reso dichiarazioni come persona informata sui fatti;
   la richiesta inizialmente è stata accolta dalla Commissione centrale del Ministero dell'interno, ma oggi però, pur non essendo mai stato indagato per mafia, Angelo si ritrova (con la moglie e i loro quattro figli) bollato come «collaboratore di giustizia», abbandonato e senza nessuna protezione;
   in seguito alla comunicazione della Commissione centrale del Ministero dell'interno che negava il riconoscimento dello status di testimone di giustizia, Angelo Niceta rifiutò lo status di collaboratore di giustizia e rinunciò alle misure di protezione ritenendo quell'atto non adatto alla sua situazione;
   nonostante l'importanza oggettiva delle sue dichiarazioni, riconosciuta dalla procura di Palermo che ha richiesto per lui speciali misure di protezione, gli viene negato il ruolo di testimone di giustizia e perfino la scorta;
   quest'atto della Commissione centrale del Ministero dell'interno potrebbe creare un precedente tale da disincentivare la collaborazione con le istituzioni di altri cittadini che vivono la stessa condizione del soggetto in questione –:
   quali siano le motivazioni che hanno portato a rifiutare il riconoscimento delle misure di protezione collegato allo status di testimone di giustizia;
   se le informazioni fornite da Niceta non mettano a rischio l'incolumità dello stesso e dei suoi familiari;
   quali misure si intendano adottare per assicurare l'incolumità e la sicurezza della famiglia Niceta, attivando la scorta e le altre misure di protezione previste dalla legge;
   quali iniziative di competenza s'intendano adottare per far sì che venga riconosciuto lo status di testimone di giustizia e assicurare allo Stato, tramite le informazioni ricevute dal Niceta, di raggiungere ulteriori obbiettivi nel contrasto alla mafia e nella cattura dei latitanti di cui Niceta parla;
   quali iniziative di competenza intenda assumere in relazione all'attuale gravissima situazione di isolamento sociale ed indigenza economica che si è creata a causa della sua «scomoda» testimonianza.
(4-17051)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 giugno 2017 ricorreva la celebrazione della giornata mondiale del rifugiato e per l'occasione l'associazione Amnesty international insieme ad altre organizzazioni e reti che si occupano di tutela dei diritti umani organizzavano un flash mob in piazza del Pantheon a Roma;
   nel corso dell'iniziativa prendevano parola diversi attivisti, avvocati e rappresentanti delle organizzazioni; 
   in particolare, al termine dell'intervento di un avvocato che aveva preso la parola per spiegare gli effetti del decreto cosiddetto «Orlando-Minniti» esprimendo il suo parere contrario, lo stesso veniva avvicinato e poi fermato per l'identificazione da agenti della polizia di Stato lì presenti in piazza;
   come si evince dal video pubblicato dalla testata giornalistica Fanpage.it, la stessa sorte toccava agli altri attivisti lì presenti che chiedevano spiegazioni rispetto a quanto stesse accadendo;
   inoltre, sempre dal video pubblicato da Fanpage si vede il funzionario di polizia che sorprendentemente chiede a un attivista di Amnesty se intenda dissociarsi dalle parole pronunciate dall'avvocato durante il suo intervento;
   ad opinione dell'interrogante quanto accaduto rappresenta un fatto gravissimo e un pericoloso precedente; ci si chiede da quando esprimere un'opinione comporta l'identificazione da parte delle forze di polizia posto che non costituisce reato criticare i provvedimenti adottati dal Governo e dal Parlamento in Italia nè è vietato citare pubblicamente il nome dei ministri della Repubblica; soprattutto non ci si spiega come sia stato possibile che le forze dell'ordine abbiano chiesto pubblicamente se intendessero dissociarsi a persone partecipanti all'evento su parole pronunciate da altri nel corso di iniziative pubbliche;
   sembrerebbe, quindi, che a Roma il 20 giugno 2017 sia andata in scena quella che appare all'interrogante una brutta pagina di oscurantismo e di sospensione di fatto dei diritti costituzionali garantiti dalla Repubblica, inaccettabile per un Paese democratico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, quale sia il suo orientamento al riguardo e come intenda procedere su quanto accaduto;
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere per evitare che simili gravi episodi si ripetano in futuro. (4-17054)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 15 giugno 2017 nel centro storico di Roma si è svolto un corteo di protesta di militanti di Forza Nuova contro il provvedimento sullo Ius soli in discussione al Senato;
   circa 50 attivisti del movimento di estrema destra hanno cercato di raggiungere la sede del Senato, esplodendo fumogeni e petardi, sventolando bandiere di Forza Nuova e tricolori, urlando insulti contro cariche istituzionali e alzando più volte il braccio destro per il saluto romano;
   a giudizio degli interroganti, cortei e manifestazioni di stampo fascista sono il più delle volte tollerati e sottovalutati e le denunce difficilmente si traducono alla fine in condanne giudiziarie. Nel caso di Roma, per le persone fermate dalla polizia, è scattata la denuncia per manifestazione non autorizzata, violenza e resistenza a pubblico ufficiale e apologia di fascismo, sulla base di quanto disposto dalla legge 20 giugno 1952, n. 645 (contenente «Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione»);
   in Italia, dove la «legge Mancino» del 1993 (che vieta e sanziona ogni discriminazione razziale, etnica e religiosa) è raramente applicata, dilagano manifestazioni ed espressioni di vecchia e nuova estrema destra che si richiamano in modo esplicito all'ideologia del Ventennio. La velocità di diffusione è agevolata soprattutto dalla rete, in cui è facile trovare spazi pubblici dove ostentare ideologie e simboli fascisti vietati dalla legge: 3.600 pagine Facebook legate all'estrema destra, di cui 500 dichiaratamente apologetiche del fascismo;
   è evidente che le forme di contrasto finora adottate sono state insufficienti: prova ne è anche quanto accaduto in un piccolo comune del Mantovano, dove domenica 11 giugno la lista «Fasci italiani del lavoro» ha potuto presentarsi alle amministrative (la commissione deputata non ha respinto il simbolo del fascio littorio) raccogliendo un inquietante 10 per cento dei voti;
   per ovviare a leggi nazionali inapplicate, alcuni comuni italiani, tra i quali Chiaravalle (Ancona), Sarzana (La Spezia), Cavarzene (Venezia), hanno deliberato provvedimenti di potenziamento per arginare ogni estremismo fascista e manifestazione di discriminazione. Il comune di Pavia ha apportato una modifica al regolamento di polizia urbana che vieta – richiamando l'articolo 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, gli articoli 2 e 3 della Costituzione e la XII disposizione che vieta la riorganizzazione del partito fascista, ma anche la legge Mancino – banchetti, presidi o cortei dai contenuti contrari ai principi richiamati sul proprio territorio, autorizza l'uso di suolo pubblico pavese solo a chi sottoscrive una dichiarazione di antifascismo e sanziona con 500 euro chi non rispetta le nuove, regole;
   il 27 maggio 2017 in tutta Italia si è tenuta la giornata antifascista. L'iniziativa è stata lanciata dall'Anpi per il «contrasto giuridico, sociale e culturale ai fascismi» e per sensibilizzare sul problema dell'intensificarsi del fenomeno e della minaccia neofascista, dei razzismi, della xenofobia in Italia e nel mondo, e sulla necessità di una piena attuazione dei principi e dei valori della Costituzione –:
   se il Governo sia a conoscenza delle iniziative deliberate dai comuni citati in premessa e se non ritenga opportuno intervenire per sostenere interventi simili nel resto del Paese;
   se il Governo non ritenga urgente assumere iniziative, anche normative, per il potenziamento di ogni forma di contrasto all'allarmante dilagare di espressioni associative e gruppi di chiaro riferimento fascista e orientati alla discriminazione razziale, etnica e religiosa, così come sollecitato dall'Associazione italiana partigiani d'Italia. (4-17057)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il problema dell'abbigliamento consono delle studentesse e degli studenti nelle scuole è un problema sempre più di attualità e non riguarda una «moda», ma è inerente al comportamento e al rispetto che si devono avere a scuola;
   in quasi tutti gli istituti scolastici di primo e secondo grado, vengono emanate circolari al fine di indicare un dress code cui gli studenti devono attenersi e nella maggior parte di questi è stato ormai adottato un regolamento di istituto che disciplina l'accesso alla scuola solo se adeguatamente vestiti;
   i concetti di «consono» e «decoroso» non attengono alla sfera interpretativa dei singoli, ma all'ambiente sociale e al luogo cui ci si riferisce e nelle circolari emanate i dirigenti scolastici sono soliti riportare un elenco degli indumenti non adatti;
   le stesse circolari e i regolamenti d'istituto prevedono le eventuali sanzioni conseguenti al mancato rispetto delle regole indicate che possono andare dalla non ammissione a scuola a semplici richiami;
   alla fine di ogni anno scolastico si ripropongono criticità in merito alla questione della sobrietà dell'abbigliamento con i conseguenti diverbi tra organi di dirigenza dei singoli istituti scolastici e studenti – che in alcuni casi chiedono rispetto delle regole riguardanti anche le altre componenti scolastiche – nonché tra genitori e le scuole;
   l'abbigliamento indossato è spesso oggetto di confronto tra le studentesse e gli studenti e può comportare anche discriminazioni o, nei casi peggiori, forme di denigrazione, e rilevare anche il diverso status socio-economico della famiglia –:
   quali iniziative intenda assumere la Ministra interrogata, per quanto di competenza, per stabilire in maniera definitiva e a livello nazionale, un codice di comportamento o adottare un abbigliamento scolastico, come avviene in altri Paesi, che riservi alla scuola nel suo complesso il giusto rispetto e l'adeguato comportamento da parte di tutte le componenti. (3-03105)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO e BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'introduzione della «no-tax area» per gli studenti con redditi sotto i 13.000 euro di Isee è stata un grande passo in avanti verso il necessario abbassamento della contribuzione studentesca in Italia, al momento la terza più alta d'Europa;
   la legge n. 232 del 2016 (legge di stabilità 2017) ha stanziato 55 milioni di euro per il 2017 e 105 milioni di euro dal 2018 in poi come incremento del fondo per il finanziamento ordinario delle Università per poter dare attuazione a tale no-tax area ed alla fascia calmierata;
   ciononostante, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha provveduto a fornire agli atenei alcun riparto di questa cifra, obbligandoli a fare delle ipotetiche (e quasi mai plausibili) proiezioni;
   il riparto dovrà infatti avvenire moltiplicando il costo standard dell'ateneo per il numero di idonei alla borsa di studio nel 2016/2017, ma questi dati al momento non sono pubblici e sono in possesso del solo Ministero;
   ciò ha portato numerosi atenei a chiudersi in una posizione di estrema cautela per via dell'insicurezza sulla quantità dei fondi da ricevere, negando così molti dei potenziali miglioramenti per gli studenti che si sarebbero potuti ottenere conoscendo da subito il riparto dei fondi;
   molti atenei, anzi, hanno risposto all'incertezza di cui sopra con un generale progressivo aumento delle tasse per tutti gli studenti non presi in considerazione dalla normativa, oppure prevedendo un'impennata della tassazione per gli studenti che all'interno della no-tax area e della fascia calmierata non rispettano i criteri di merito;
   in pratica, si finanziano la no-tax area e la fascia calmierata, applicando forti maggiorazioni su quegli studenti che, pur se all'interno di quegli importi, non rispettano i requisiti di merito;
   dunque, la quasi totalità degli atenei sta facendo pesare l'incertezza del riparto dei 55 milioni di euro direttamente sulle tasse degli studenti, «compensando» l'introduzione della no-tax area con la creazione di un doppio binario: da un lato, quello classico aderente ai criteri della legge di stabilità e alle vecchie norme sulla contribuzione, dall'altro un secondo creato per appesantire la contribuzione di chi non raggiunge i crediti formativi universitari da ottenere ogni anno o va fuoricorso;
   mentre l'introduzione della nuova normativa voleva basare la contribuzione sul reddito, si rischia che di fatto essa venga invece basata sul merito;
   ciò rischia di costringere ancor di più gli studenti a laurearsi in fretta per essere meritevoli e non fuoricorso, senza badare invece alla qualità del loro percorso formativo, facendo venir meno in tal modo l'obiettivo di maggiore equità nella contribuzione studentesca perseguito dall'introduzione della no-tax area;
   l'occasione perfetta per sanare questo problema poteva essere la cosiddetta «manovrina», ma il Governo, dopo aver proposto in Commissione un emendamento in materia, lo ha ritirato all'ultimo momento senza chiarirne le motivazioni (tanto da generare forte preoccupazione anche nella Conferenza dei rettori delle università italiane, che ha chiesto per bocca del suo presidente un intervento urgente);
   al contempo, veniva invece approvato un emendamento che, introducendo una sanatoria sulla questione dell'Iva per gli enti del diritto allo studio, prevede consistenti tagli sul diritto allo studio medesimo, annullando delle detrazioni Iva precedentemente in essere in via di prassi;
   in questo modo si rischia di togliere da un lato ciò che verrebbe dato dall'altro, peggiorando ulteriormente le condizioni già drammatiche del sistema universitario italiano (con molti atenei pubblici a rischio di default) e privando le nuove generazioni del diritto allo studio che la Costituzione garantisce a tutte e a tutti –:
   quali iniziative intenda assumere con urgenza il Governo al fine di sanare i problemi citati in premessa e garantire la piena tutela del diritto costituzionale allo studio. (4-17040)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   COZZOLINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'interpellanza n. 2-00489 del 2 aprile 2014 il sottoscritto sottoponeva al Ministro del lavoro e delle politiche sociali la problematica di un numero di verbali di accertamento dell'Inps, che varia dai 12 ai 15 mila, recapitati ad altrettanti soggetti ai quali si contesta il mancato rispetto dell'articolo 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, il quale stabilisce che, ai fini della tutela previdenziale, i produttori di terzo e quarto gruppo sono soggetti all'obbligo di iscrizione all'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti degli esercenti attività commerciali;
   con il messaggio n. 16291 dell'11 ottobre 2013 il direttore generale Nori precisava che «in considerazione dei contrastanti orientamenti giurisprudenziali che si sono succeduti nel tempo (da ultimo Corte d'appello di Bologna 623/12 che contravviene all'orientamento dell'Istituto), si potrebbero ritenere ravvisabili i presupposti di cui al comma 15 lettera a) dell'articolo 116 della legge 388/00, che consentono la riduzione alla misura degli interessi legali delle sanzioni civili, relative ai casi di mancato o ritardato pagamento dei contributi. Tale riduzione non è riferibile alle fattispecie già definite, ovverosia quelle coperte da giudicato ovvero per le quali vi è stato un pagamento senza riserva di ripetizione, mentre sarà applicata, a richiesta del soggetto interessato, ai periodi contributivi la cui scadenza di versamento si colloca entro la data di pubblicazione del messaggio che chiarisce questi punti»;
   appare pertanto essenziale, visti i numeri significativi, e considerata la scarsa chiarezza di ciò che è previsto nella normativa, oltre alla carente informazione da parte delle compagnie assicurative per le quali i produttori prestavano l'opera, delineare un quadro chiaro su quanti siano i soggetti che risultino non in regola con il disposto del già citato dell'articolo 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, anche dopo l'emanazione da parte dell'Inps del messaggio n. 16291 dell'11 ottobre 2013, per verificare l'opportunità di un eventuale ulteriori interventi anche a scopo chiarificatorio;
   se infatti a coloro che risultavano inadempienti per il periodo precedente all'ottobre 2013 era possibile applicare la riduzione alla misura degli interessi legali delle sanzioni civili, relative ai casi di mancato o ritardato pagamento dei contributi, coloro che risultano ancora inadempienti saranno chiamati pagare interessi e sanzioni per intero, con un ingente esborso economico –:
   quanti siano gli intermediari assicurativi, produttori di terzo e quarto gruppo, che risultino non in regola con il disposto del già citato dell'articolo 44, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per il periodo precedente e quanti per quello successivo all'11 ottobre 2013. (4-17044)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DADONE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a fronte dell'aumento dello sfruttamento delle risorse boschive, come nel caso dei prodotti del sottosuolo, si registra paradossalmente una contrazione, in particolar modo per i tartufi; secondo quanto riportato dal Borsino del Tartufo con riferimento ad Asti e Alba, due delle piazze più rinomate a livello internazionale, anche il 2016 è stato definito dagli addetti ai lavori, come l'anno precedente, «il peggiore di sempre»;
   i consumatori hanno potuto usufruire di un ribasso dei prezzi del 25 per cento nonostante una riduzione delle estrazioni pari al 30 per cento. In termini comparativi si pensi che i circa cinquemila tartufai del Piemonte nel 2015 estrassero 70 quintali di cosiddetto bianco (Tuber magnatum Pico) per un prezzo a mercato di 240 euro e al dettaglio di 370 euro. Nel 2016 si è giunti a 50 quintali per un prezzo medio a mercato di 165 euro e al dettaglio di 275 euro. Si tratta di un dato ancora più preoccupante se confrontato con quello del 2014: oltre 100 quintali di estratto; 
   al tempo stesso, si registrano segnalazioni di importazioni fraudolente dalla Cina di Tuber indicum Cooke & Massee o Tuber Himalayensis;
   con l'articolo 29 della legge 7 luglio 2016, n. 122 (legge europea 2015-2016) si è disposto un atteso e necessario intervento sul trattamento fiscale delle attività di raccolta dei tartufi, sottoponendo a ritenuta i compensi corrisposti ai raccoglitori occasionali di tartufi e assoggettando i tartufi all'aliquota Iva del 10 per cento;
   a tale intervento in materia fiscale, dovuto a seguito al contenzioso EU Pilot 8123/15/TAXU, peraltro già oggetto di una risoluzione presentata dagli interrogati, deve seguire un intervento organico e complessivo sulla disciplina che norma il settore dei tartufi. In tal senso, nel corso della primavera del 2017 si è presunto di definire tale questione attraverso la presentazione di un piano nazionale della filiera del tartufo 2017-2020;
   il piano, seppur apprezzabile in linea di principio, presenta diverse criticità che, secondo le ricostruzioni della testata La Verità, pubblicate in data 28 maggio 2017, si presume possano essere il risultato di contrapposizioni tra interessi territoriali ed economici che si innesterebbero nei rapporti di forza politici con il rischio di intaccare l'interesse nazionale e un effettivo sviluppo della filiera;
   tra gli elementi maggiormente critici gli addetti ai lavori individuano l'ipotesi di limitazione alle autorizzazioni delle tartufaie controllate, la previsione del pagamento di una tassa di scopo nella regione di residenza che però darebbe la possibilità di raccogliere tartufi in tutto il resto d'Italia, nonché l'introduzione di un calendario unico nazionale;
   l'approvazione del piano e delle modifiche necessarie al fine d'evitare una normativa che gli interroganti e gli addetti ai lavori hanno già definito inadeguata risultano inoltre fondamentali per l'equilibrio delle casse pubbliche, poiché, a seguito dell'intervento richiamato, di cui alla legge n. 122 del 2016, si rischia di restare senza la copertura corrispondente all'abbassamento dell'Iva –:
   quali iniziative di competenza Ministro intenda assumere al fine di evitare il rischio di squilibro finanziario riportato in premessa e per superare dinamiche politiche e territoriali che potrebbero danneggiare la filiera del tartufo e gli interessi del Paese favorendo interessi di parte e localistici. (5-11642)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il carrubo è una pianta tipica del bacino del Mediterraneo e in Italia è presente nelle regioni del Sud, in particolar modo nella Sicilia sud-orientale, nelle province di Ragusa e Siracusa, di cui caratterizza il paesaggio;
   da qualche anno questa specie vegetale è a rischio di estinzione a causa di una fitopatia dovuta ad un coleottero scolitide – Xylosandrus compactus Eichhoff – che penetra nel legno producendo delle gallerie;
   la carruba siciliana è venduta in tutto il mondo; il suo utilizzo è ampio: nei preparati alimentari, nel campo dolciario, nel settore farmaceutico o come semplice foraggio per gli animali; inoltre, la farina di carrube è un alimento molto diffuso, ricercato ed esportato anche all'estero;
   la malattia del carrubo siciliano sta causando un danno economico e patrimoniale non indifferente che sta mettendo in ginocchio le attività legate a questo tipo di coltivazione e produzione, ma non si riscontrano in tal senso, nonostante i solleciti, azioni da parte della regione volti ad avviare quanto meno i primi interventi per la tutela della pianta e per il contenimento del parassita;
   gli agricoltori e i produttori lamentano la mancanza di informazioni e di istruzioni sulle modalità di azione utili per arginare l'epidemia, mentre il comparto e l'intera filiera stanno collassando –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario e urgente intervenire e quali iniziative intenda adottare al fine di predisporre un piano di prevenzione e di profilassi volto ad arginare e contenere i danni causati dal coleottero indicato in premessa ai carrubi siciliani;
   se non ritenga necessario adottare iniziative per il sostegno e il rafforzamento del settore agricolo colpito da questa infestazione di difficile cura, anche individuando a tal fine le necessarie risorse economiche e finanziarie. (4-17039)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, COZZOLINO, GALLINELLA, PARENTELA e SPESSOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la scarsa disponibilità di risorse idriche in Veneto sta diventando un'emergenza sempre più allarmante, aggravata dal periodo di siccità cominciato già ad aprile 2017, che ha portato lo stesso presidente della regione ad emanare l'ordinanza n. 46 del 18 aprile 2017 in cui si dichiarava lo stato di crisi idrica su tutto il territorio regionale;
   la siccità in Veneto superava, ancor prima dell'inizio dell'estate, un record storico rispetto al dato statistico dell'indice «Wsi», calcolato da anni dall'Arpav sul bacino montano del Piave; «Tanto minore risulta il Wsi, tanto è rinforzato lo scostamento rispetto ai valori normali e quindi è più forte l'anomalia della situazione» (Arpav); da 15 anni l'indice di scarsezza idrica massima registrata è stato di 0,13; i rilevamenti del 31 maggio 2017 evidenziano una siccità che supera il record statistico precedente e che raggiunge il livello di 0,12, con una perdita del 30 per cento valore in sole due settimane a causa delle alte temperature registrate nella seconda metà di maggio;
   si evince, altresì, che le portate registrate dall'Arpav per tutti i principali fiumi sono nettamente inferiori alle medie storiche;
   a fine maggio 2017 la situazione è ancora caratterizzata da livelli freatici molto bassi, in particolare nei settori di media-alta pianura centrale (bacino del Brenta), dove i valori sono prossimi, o al di sotto, dei minimi assoluti di riferimento (anni 2002-03); nella zona di Cittadella si è al –136 per cento, la minima degli ultimi 20 anni; nel Veronese si è tra il –111 per cento e il –87 per cento; a questi dati vanno ad aggiungersi le situazioni in cui la contaminazione delle falde di diverse origini limita ulteriormente la disponibilità, come ad esempio nella «zona rossa» interessata dal piume d'inquinamento da Pfas che ha obbligato la chiusura di centinaia di pozzi –:
   posta la necessità di una politica di riprogettazione delle opere irrigue e di un sostanziale restauro della rete consortile che distribuisca l'acqua necessaria per un'agricoltura di qualità e considerato il fatto che la siccità continuerà ad aumentare a causa delle alte temperature estive, se il Governo non ritenga di dover tempestivamente assumere ogni iniziativa di competenza per fronteggiare le gravi problematiche descritte in premessa legate alla emergenza idrica, anche attraverso lo stanziamento di adeguate risorse.
(4-17043)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 giugno 2017  La Gazzetta del Mezzogiorno pubblicava il seguente articolo dal titolo «Bari, sequestrato maxi carico di 50 mila tonnellate di grano» nel quale si descriveva: «[...] Sequestrato, nel porto di Bari, il carico di grano (50 mila tonnellate) giunto dal Canada nelle stive della “Cmb Partner”, proveniente da Vancouver, attraccata l'8 giugno, dopo oltre 40 giorni di navigazione. Il provvedimento sarebbe stato eseguito dai Carabinieri forestali dopo le prime analisi sui campioni di cereale che avrebbero rilevato la presenza di sostanze nocive in percentuali superiori ai limiti consentiti dalla legge. Il sequestro ha riguardato anche il cargo»;
   l'associazione GranoSalus, fondata da produttori di grano duro che persegue fra i diversi obiettivi quello del controllo della qualità sulla pasta per verificarne gli standard di qualità, dal proprio sito internet specifica come: «da molti anni ormai circa il 99 per cento della pasta è prodotta utilizzando semola ottenuta mischiando il sano e buono grano italiano con grano importato, non sempre di ottima qualità. [...]. Il grano importato proviene per lo più da paesi con clima continentale dove il grano, a causa del freddo e dell'umidità, arriva al momento del raccolto ancora verde. Per permetterne la raccolta, viene disseccato artificialmente con il gliphosate (messo al bando in Italia e nell'UE). Questo può sviluppare malattie da noi non presenti quale la fusariosi. [...]. I campioni di cereali stranieri risultati irregolari contengono una percentuale di pesticidi pari allo 0,8 per cento, mentre si scende ad appena lo 0,3 per cento nel caso di quelli di produzione nazionale.». Ciò nonostante, spiega associazione GranoSalus, «il Ministero della salute non specifica se il glifosate viene analizzato oppure no. [...] leggendo l'ultimo rapporto del Ministero della Salute (Vigilanza e controllo degli alimenti – anno 2015), Il glifosate è escluso dall'analisi dei pesticidi e necessita di una ricerca ad hoc. Un dato è certo: nel grano canadese il glifosate è presente. Noi lo abbiamo dimostrato non solo attraverso le analisi della pasta (Test Granosalus) che hanno fatto tanto clamore. Adesso lo certificano pure le analisi che abbiamo realizzato su alcuni campioni di grano canadese che, pur essendo nei limiti, confermano la presenza dell'erbicida»;
   quando il grano esce sdoganato dal porto diventa grano europeo che non dovrebbe circolare liberamente se contiene glifosato: le norme italiane ed europee, infatti, vietano l'uso di glifosato in pre-raccolta e vietano la circolazione di camion con grano pieno di glifosato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano intraprendere al riguardo;
   se non reputino opportuno e necessario – considerato che le importazioni di grano dal Paese nordamericano rischiano di essere favorite dall'approvazione dell'accordo Ceta (Comprehensive economic and trade agreement) tra Unione europea e Canada, primo esportatore di grano duro in Italia – adottare ogni iniziativa atta tutelare il prodotto made in Italy prima della ratifica da parte del Parlamento europeo di questo accordo –:
   se i Ministri interrogati non reputino opportuno svolgere controlli, più serrati che includano specifici test in grado di rintracciate il glifosato;
   se i Ministri interrogati – considerato che al momento sull'etichetta non vi sono informazioni sulla presenza di residui dannosi, che l'unica informazione è che i produttori si mantengono sotto le soglie consentite e che le soglie stabilite dall'Unione europea sono altissime (nonostante l'uso del glifosato sia vietato) e tarate sul consumo medio europeo, ben più basso del consumo medio italiano – non reputino necessario assumere iniziative un'etichettatura più chiara che tuteli sia il made in Italy che la sicurezza del consumatore, indicando chiaramente in etichetta la percentuale di residui dannosi.
   (4-17052)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   NACCARATO, CRIMÌ, MIOTTO, CAMANI, NARDUOLO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera di Padova è sede della più importante e prestigiosa scuola medica universitaria d'Italia;
   oltre alle normali attività assistenziali, nella suddetta azienda ospedaliera, vengono effettuate attività di ricerca scientifica e di didattica per gli studenti di medicina e per i medici in formazione specialistica;
   la mole di lavoro è particolarmente gravosa per i reparti e per questo negli anni passati la direzione dell'azienda sanitaria ha deciso di aprire numerosi contratti di collaborazione libero-professionale per personale medico specialista da impiegare nelle varie strutture;
   questi contratti di collaborazione libero-professionale, a quanto risulta agli interroganti, inquadrano il personale medico specialista come personale precario e senza alcuna garanzia, pur richiedendo di eseguire mansioni identiche a quelle dei medici strutturati dell'azienda assunti con contratti a tempo determinato o indeterminato;
   nella maggior parte dei casi i contratti di collaborazione libero-professionale riguardano giovani medici specialisti che rappresentano una importante risorsa per il sistema sanitario regionale del Veneto e, in particolare, per la stessa azienda ospedaliera di Padova;
   all'inizio del mese di giugno la direzione dell'azienda ospedaliera di Padova ha comunicato, con un solo mese di preavviso, ai vari reparti la chiusura della gran parte dei contratti libero-professionali attivati;
   i medici interessati, che in alcuni casi hanno lavorato per l'azienda ospedaliera più di 4 anni consecutivi con rinnovi annuali del contratto, si troveranno di fatto licenziati senza alcuna garanzia o tutela e con un solo mese di preavviso;
   non sono stati banditi concorsi per l'assunzione di un numero pari di medici e non è stato comunicato come l'azienda intenda sopperire alla grave riduzione della capacità assistenziale e curativa che, seppur con contratti incongrui, i giovani medici specializzati garantivano;
   tali contratti finiscono di fatto per sostituire nuovi assunzioni –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga necessario, vista la grave mancanza nelle strutture pubbliche di personale medico specializzato, assumere ogni iniziativa di competenza per rimuovere il blocco delle assunzioni stabilito nel 2010, anche al fine di garantire i livelli di eccellenza della sanità padovana;
   quali ulteriori iniziative di competenza, anche normative, intenda intraprendere per tutelare i medici specialisti con contratto libero–professionale di cui in premessa, anche nell'ottica di garantire la qualità assistenziale e curativa.
(4-17056)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Atitech S.p.A. è una società al 60 per cento controllata da Meddie, con una partecipazione di Leonardo (25 per cento) e Alitalia (15 per cento), che si occupa di manutenzione e revisione degli aerei;
   il 27 maggio 2015 è stato sottoscritto un accordo tra Alenia Aermacchi s.p.a. e Atitech, costituendo una «Newco» denominata Atitech Manufacturing per la cessione, in favore di questa, dello stabilimento produttivo situato nell'area aeroportuale di Capodichino di proprietà di Alenia;
   tale accordo, in seguito al quale Atitech Manufacturing contava 178 dipendenti ex Alenia, si fondava sull'assunto che il mercato delle manutenzioni aeronautiche fosse in forte crescita e che, pertanto, dovesse procedersi alla costituzione di un polo delle manutenzioni; la Società Atitech Manufacturing aveva pertanto implementato un piano industriale da svilupparsi nel periodo 2016-2020 avente ad oggetto l'espansione delle proprie attività e delle conseguenti opportunità occupazionali. Tale piano prevedeva un livello di investimenti pari a 12 milioni di euro finalizzato al ripristino funzionale delle facility già nella disponibilità di Alenia ed alla qualificazione del personale oggetto della cessione;
   Alenia Aermacchi cedeva lo stabilimento di Capodichino a seguito della concentrazione delle proprie attività a Caselle, per realizzare economie di scala, atteso che ivi si effettuavano assemblaggio e messa in volo finale del velivolo da trasporto C27J, la cui sola attività di costruzione della fusoliera era svolta a Capodichino;
   su tali premesse, con l'impegno di Atitech di garantire la continuità occupazionale e di incrementarne progressivamente i livelli, nonché l'impegno di Alenia di non ridurre la presenza nel settore delle aerostrutture e mantenere anche in Campania gli investimenti nell'ipotesi di sviluppo e lancio di un nuovo velivolo regionale turboprop, si procedeva alla cessione dei 178 dipendenti citati di Alenia in favore della Atitech Manufacturing;
   con riferimento a tali lavoratori, nell'accordo del maggio 2015 Finmeccanica (ora Leonardo) si impegnava nel senso che «nell'ipotesi in cui dovessero sopravvenire condizioni di cessazioni collettive del rapporto di lavoro per i dipendenti oggetto della cessione di ramo (...) Finmeccanica-Alenia si impegna ad attivare un tavolo per verificare le più adeguate risposte organizzative per la salvaguardia degli aspetti occupazionali in aziende del gruppo in area campana»;
   di questi giorni è la notizia della richiesta della Cassa integrazione guadagni straordinaria per 177 lavoratori ex Alenia, nei confronti dei quali non sarebbe così applicabile la clausola prevista dall'accordo del maggio 2015 e sopra illustrata;
   la crisi che ha investito l'azienda Atitech Manufacturing, lungi dal poter essere imputata al solo blocco delle attività dovuto a problematiche di natura edilizia, testimonia, piuttosto, il fallimento del progetto e delle previsioni di mercato posti a fondamento della cessione dello stabilimento di Capodichino da parte di Alenia;
    la cessione, peraltro non adeguatamente remunerata, dello stabilimento di Capodichino con l'unico campo volo di Alenia presente in regione Campania, ha di fatto relegato i siti campani ad attività meramente produttive, contribuendo al processo di smantellamento del settore aeronautico;
   quanto innanzi riportato lascia emergere la grave crisi che sta interessando il settore aeronautico in Campania –:
   se i Ministri interrogati ritengano di attivarsi affinché siano ricercate, a tutti i livelli istituzionali, soluzioni per rilanciare l'industria aeronautica campana, anche attraverso l'affermazione della centralità strategica dello stabilimento di Capodichino e delle sue professionalità, restituendoli alla Leonardo-Finmeccanica ed individuando proposte concrete volte a consentire la produzione di un prodotto completo con l'utilizzo anche del campo volo di Capodichino;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di tutelare i livelli occupazionali nel settore, nonché al fine di individuare le cause reali che hanno determinato l'attuale drammatico ridimensionamento del settore aeronautico campano, unitamente alle eventuali conseguenti responsabilità. (4-17048)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2016, la bolletta elettrica è risultata più cara per gli italiani anche a causa dell'importante aumento di una sua componente: il cosiddetto «uplift» e i costi per il sistema, riconducibili solo a questa voce, sono stati pari a due miliardi e duecento milioni di euro, a fronte di un importo per il 2015 di un miliardo e due, quasi un raddoppio da un anno all'altro;
   a partire dal mese di marzo 2016 si è assistito ad una progressiva impennata dei prezzi nel mercato dei servizi di dispacciamento nell'area Sud, dovuti essenzialmente alle offerte accettate da Terna sugli impianti di Brindisi Sud (Enel) e di Modugno Palo del Colle (Sorgenia): il costo complessivo dei primi 5 mesi del mercato dei servizi di dispacciamento (msd) 2016 arrivava a circa 600 milioni di euro contro i circa 150 milioni di euro del 2015;
   Enel e Sorgenia hanno spento le centrali in Puglia, perché consapevoli che Terna avrebbe dovuto comunque fare appello alla loro produzione nell'area, che avrebbero potuto offrire a prezzi altissimi. Solo per gli impianti Enel di Brindisi, nel 2016 gli extra costi per il sistema sono stati pari a 400 milioni di euro in bolletta e proprio questi presunti fenomeni speculativi su MSD rientrano fra le cause dell'aumento del 4,3 per cento della bolletta per il trimestre luglio-settembre; tale vicenda è stata illustrata sulla stampa, di settore e generalista, con numerosi articoli, per ultimo sul quotidiano nazionale La Notizia del 12 maggio 2017;
   ora, l'Autorità ha avviato una serie di procedimenti per recuperare quelli che ritiene i sovracosti per il sistema, ma solo dai trader e non anche dai produttori, reali responsabili, per i quali si è limitata nella sola segnalazione all'Antitrust senza alcun recupero di risorse per l'anno 2016;
   l'analisi storica del periodo 2012-2016 dimostra che gli sbilanciamenti di tutti i trader hanno rappresentato il 6 per cento del totale, a fronte del 94 per cento dei costi indotti dai soli produttori. Ma i colpevoli per l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico a cui chiedere la restituzione delle risorse sono solo i trader e non anche i produttori;
   l'Autorità, ad avviso degli interroganti, ha sostanzialmente «assolto» Enel, chiudendo il procedimento n. 342 del 2016 in data 5 maggio 2017;
   la strategia dell'ex monopolista, peraltro controllato dal Governo, che ne nomina i vertici, ha portato a un aggravio di quasi un miliardo di euro sulle bollette di tutti i cittadini italiani, ma vengono sanzionati solo i trader –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, il Governo intenda assumere per cercare di sanare questa ingiusta situazione e trovare un modo per restituire agli italiani quanto speso ingiustamente, incamerato principalmente dai produttori nell'anno 2016. (4-17049)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Pili n. 5-11528, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Molea;

  L'interrogazione a risposta scritta Marcon e altri n. 4-17005, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giancarlo Giordano;

  L'interrogazione a risposta in Commissione Massimiliano Bernini e altri n. 5-11618, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dadone;

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Zaratti n. 5-11622, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputata Kronbichler;

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione De Rosa e altri n. 5-11625, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Crippa.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Ricciatti n. 1-01641, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 808 del 1o giugno 2017.

   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, è entrata in vigore il 28 dicembre 2006, dopo quasi tre anni di lavoro e un iter legislativo particolarmente complesso, per i contrasti politici che ha incontrato e che ne hanno modificato la formulazione iniziale;
    essa viene anche denominata «direttiva servizi» o «direttiva Bolkenstein», dal nome del commissario europeo per il mercato interno, Fritz Bolkenstein, della Commissione presieduta da Romano Prodi, che ha curato e sostenuto questa direttiva. La direttiva «servizi» è basata sugli articoli 43-48 (Il diritto di stabilimento) e 49-55 (I servizi) del Trattato che istituisce la comunità europea e si pone l'obiettivo di facilitare la circolazione e la fruibilità dei servizi nell'Unione europea, secondo i criteri tracciati dalla Strategia di Lisbona;
    il comma 1 dell'articolo 1 chiarisce che la direttiva contiene «disposizioni generali che permettono di agevolare l'esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi». Questo obiettivo è declinato nelle seguenti azioni strategiche: 1) facilitare la libertà di stabilimento dei servizi nell'Unione europea. A tal fine, gli Stati membri si impegnano ad eliminare gli ostacoli che impediscono o scoraggiano gli operatori di altri Stati membri a stabilirsi sul loro territorio; 2) facilitare la libertà di prestazione dei servizi nell'Unione europea. Per potenziare l'offerta transfrontaliera di servizi, la direttiva precisa il diritto dei destinatari ad utilizzare servizi di altri Stati membri; 3) promuovere la qualità dei servizi. La direttiva mira a rafforzare la qualità dei servizi incoraggiando ad esempio la certificazione volontaria delle attività o l'elaborazione di carte di qualità e incoraggiando l'elaborazione di codici di condotta europei, in particolare da parte di organismi o associazioni professionali; 4) stabilire una cooperazione amministrativa effettiva tra gli Stati per favorire la crescita del mercato dei servizi, per garantire una protezione equivalente su questioni generali e per garantire un efficace controllo dei servizi;
    la direttiva servizi doveva essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 28 dicembre 2009. Il Consiglio medesimo ha riconosciuto che affinché il mercato dei servizi diventi una realtà, dovranno essere eliminati gli ostacoli legislativi, ma anche non legislativi presenti nei diversi Stati membri. Infatti, non è sufficiente una semplice legge per applicare la direttiva «servizi», ma sono necessari anche un impegno importante di razionalizzazione del diritto amministrativo e una serie di iniziative concrete, di carattere organizzativo e di sostegno delle azioni finalizzate ad assicurare le informazioni per i prestatori e per i destinatari;
    la direttiva «servizi» si presenta come una «direttiva quadro». Essa non mira a dettare norme specifiche per la regolamentazione della materia dei servizi, ma tratta le questioni con un approccio orizzontale, con l'obiettivo di perseguire l'armonizzazione della materia nel tempo;
    secondo la direttiva «servizi», gli Stati membri devono esaminare ed eventualmente semplificare le procedure e le formalità applicabili per accedere ad un'attività di servizi ed esercitarla. Le procedure autorizzative possono essere mantenute solo se rispettano i principi di non discriminazione e di proporzionalità; i requisiti richiesti per rilasciare le autorizzazioni possono essere mantenuti solo se siano giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di salute pubblica, di tutela dell'ambiente;
    con il decreto legislativo n. 59 del 2010, lo Stato italiano ha dato attuazione alla direttiva comunitaria per la liberazione dei servizi nel mercato interno. Il decreto è diviso in tre parti. Nella prima si stabiliscono i princìpi generali a cui tutte le pubbliche amministrazioni dovranno attenersi nell'applicazione del decreto: l'ambito di applicazione, le definizioni, le modalità di accesso, i regimi autorizzatori, la semplificazione amministrativa, la tutela dei destinatari, la qualità dei servizi e la collaborazione amministrativa fra Stati. Nella seconda parte si disciplinano alcuni procedimenti riconducibili alla competenza di indirizzo e vigilanza di alcuni ministeri, gestiti in buona parte dai comuni. Nella terza parte, oltre a modifiche e abrogazioni, viene normato il rapporto tra la legge statale e le leggi regionali, in materia di applicazione della direttiva «servizi»;
    nel difficile rapporto tra governo del territorio e libertà d'iniziativa economica – che pone al centro la potestà di conformazione dei suoli attribuita ai pubblici poteri – il recepimento della direttiva Bolkestein nel nostro ordinamento con particolare riferimento alle attività commerciali incontra ancora forti resistenze a livello regionale/locale nel favorire – lì dove non vi siano limiti ambientali, culturali o della sicurezza pubblica – l'impulso comunitario diretto all'affermazione della libertà del mercato e nel mercato;
    si tratta di resistenze non incomprensibili se si pensa alla forte connessione tra la presenza di concessioni demaniali o di altro tipo e la generazione di economie locali che rappresentano spesso una delle poche fonti di reddito capaci di mantenere la coesione socio-economica, in un momento di estrema difficoltà sociale ed economica per il contesto italiano;
    le tensioni che si vengono a creare ogni qualvolta si reintroduce il tema della concreta applicazione della direttiva «servizi» nei vari contesti territoriali italiani non possono dunque essere ridotte ad una mera rigida presa di posizione a tutela di interessi economici incancreniti, ma anche all'incapacità degli attori coinvolti di trovare il corretto bilanciamento tra interessi economici e interessi lato sensu pubblici, riguardando in particolare le modalità attraverso le quali le amministrazioni operano le loro scelte di conformazione dei suoli e la loro destinazione edificatoria e d'impresa;
    presso questo ramo del Parlamento sono in discussione una serie di provvedimenti l'applicazione della direttiva Bolkestein su vari rami dell'economia. Tra questi, il disegno di legge che reca una delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo;
    anche le guide turistiche stanno correndo il rischio di non vedere più riconosciuta la loro qualificazione professionale, a seguito del processo di revisione della direttiva Bolkestein. La guida turistica, per definizione, è specializzata nell'illustrazione del patrimonio di un territorio. Le conoscenze e competenze acquisite nel Paese di origine non sono automaticamente trasferibili nel Paese ospitante. La guida turistica sembra l'unica professione che, perdendo la competenza territoriale, perde la sua competenza specifica. L'adozione della tessera professionale europea per professioni come quella di guida turistica, in cui la formazione è diversa tra lo Stato di origine e quello ospitante, rischia di eliminare le prove compensative. La qualificazione verificata dallo Stato di origine non è sufficiente. Una guida che esercita in una città d'Europa potrebbe effettuare visite guidate ed illustrare l'identità culturale di 27 Paesi, senza dimostrare di possederne la conoscenza,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte ad una revisione del decreto legislativo n. 59 del 2010, garantendo l'estensione del regime del periodo di proroga transitoria delle concessioni demaniali, marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo, al fine di contenere le ripercussioni negative sul tessuto economico e sociale;
2) ad avviare iniziative volte a censire tutte le strutture destinate a regime concessorio demaniale nelle zone marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo, al fine di garantire la trasparenza, il regime di accesso e la tutela degli interessi pubblici e, di valutare l'introduzione di una politica di revisione dei canoni concessori;
3) a valutare di assumere iniziative per l'esclusione del regime di applicazione della direttiva «servizi» per l'ambito professionale delle guide turistiche, a salvaguardia dell'interesse prevalente alla tutela del patrimonio artistico- culturale del Paese e delle alte competenze professionali che vi operano.
(1-01641)
«Ricciatti, Epifani, Ferrara, Bersani, Laforgia, Nicchi, Scotto, D'Attorre, Duranti, Sannicandro, Martelli, Albini, Fossati, Piras, Franco Bordo, Folino, Melilla, Quaranta, Carlo Galli, Zoggia, Matarrelli, Kronbichler, Zappulla, Mognato».

Trasformazione di un documento del Sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Secco n. 4-15782 del 3 marzo 2017 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-11638.

ERRATA CORRIGE

  Nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2017, alla pagina 48226, seconda colonna, dopo la riga trentunesima inserire le seguenti parole:

  Apposizione di firme ad una risoluzione  48276;

  Alla pagina 48276, prima colonna, dopo la riga ventinovesima inserire le seguenti parole:

« Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Benedetti e altri n. 7-01288, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 14 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sani, Oliverio, Zaccagnini, Luciano Agostini, Antezza, Carra, Cova, Cuomo, Dal Moro, Di Gioia, Falcone, Fiorio, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Terrosi, Venittelli, Zanin».

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 aprile 2017 si è svolto lo sciopero nazionale del personale autostradale, indetto a seguito del mancato accordo fra le organizzazioni sindacali rappresentative dei lavoratori e le società concessionarie delle autostrade, relativamente ai presidi minimi previsti presso i caselli: da anni ormai si registra la tendenza ad organizzare il lavoro ai caselli affidandolo alle postazioni automatiche, sguarnendo via via in misura maggiore i presidi. In particolare, nelle ore notturne, tale tendenza è già concreta in varie situazioni;
   sono innumerevoli, però, le casistiche nelle quali la presenza del personale è indispensabile per assicurare il servizio all'utenza, e lo stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con circolari reiterate, di cui l'ultima è del 7 febbraio 2017, ribadisce alle società concessionarie l'esigenza di assicurare la presenza di personale h24 presso ogni casello autostradale, a tutela dell'utenza e della sua sicurezza;
   la stessa indicazione è stata ribadita il 28 marzo 2017 presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel corso di una riunione alla presenza dei rappresentanti delle società concessionarie. Nonostante tutto ciò, non pare di intravedere mutamenti concreti nella gestione dei presidi, in particolare nelle ore notturne, durante le quali, invece, il presidio sarebbe ancora più importante proprio per le tipologie di emergenze che si presentano all'utenza in difficoltà;
   lo sciopero ha visto una partecipazione piuttosto significativa, nonostante la difficoltà da parte dei lavoratori a rendere pienamente efficace il proprio diritto allo sciopero, perché le società concessionarie agevolmente possono sostituire la forza lavoro utilizzando i caselli automatici: proprio per evitare questo, gli accordi fra le società concessionarie e le organizzazioni sindacali prevedono le modalità di funzionamento dei caselli in caso di sciopero, ma non sempre queste vengono rispettate dalle società stesse; inoltre, numerose tipologie di lavoratori del settore autostradale sono oggetto di precetto in caso di sciopero;
   ad oggi ci si trova in una situazione di stallo e pare indispensabile un'azione specifica, che vada nella direzione di assicurare che le indicazioni relative alla gestione dei caselli vengano rispettate –:
   quali iniziative si intendano assumere per:
    a) verificare il rispetto, da parte dei concessionari, delle indicazioni contenute nelle circolari emanate, circa il presidio fisico dei caselli, nell'ottica della sicurezza e del miglior servizio per l'utenza;
    b) assicurare il rispetto delle citate indicazioni e sanzionare in caso di inadempienza i concessionari.
    c) inserire nei bandi di gara per le concessioni future specifiche clausole sul mantenimento dei presidi minimi ai caselli autostradali h24. (4-16730)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Alla direzione è ben nota la problematica relativa alla presenza di personale di esazione e presidio fisico alle barriere/caselli ad elevata automazione, che è da sempre oggetto di particolare monitoraggio.
  Infatti, come riportato dall'interrogante, da ultimo in data 7 febbraio 2017 – nell'ambito del potere di vigilanza, controllo e di direttiva in capo a questo ministero quale soggetto concedente – sono state emanate specifiche disposizioni alle società concessionarie volte a tutelare gli utenti, ribadendo la richiesta di presidio fisico presso tutte le stazioni.
  In particolare, facendo seguito a numerose segnalazioni pervenute da parte dell'utenza autostradale e relative alla mancata assistenza presso alcune barriere di esazione, è stata ribadita la necessità di prevedere per ogni stazione un presidio fisico ventiquattro ore su ventiquattro finalizzato a garantire all'utenza autostradale un'assistenza immediata nei casi di cattivo funzionamento dei sistemi o in qualsiasi altra ipotesi in cui il cliente si trovi in difficoltà.
  La richiesta del presidio fisico è stata motivata dalla necessità di rimuovere tutte quelle situazioni di criticità non risolvibili da remoto e che mettono a rischio l'incolumità dell'utente assicurando, così, adeguati livelli di qualità del servizio.
  È stato altresì rappresentato che ogni esigenza di modifica delle attuali condizioni di servizio per l'utenza autostradale dovrà essere preventivamente comunicata e quindi concordata con la citata direzione generale.
  La verifica del rispetto da parte dei concessionari di quanto richiesto con la suddetta circolare avviene periodicamente nell'ambito delle previste attività di controllo e verifica dei livelli di servizio della rete autostradale.
  In caso di inadempienza è già prevista l'irrogazione di sanzioni, ai sensi dell'articolo 2, comma 86, lettera d), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, secondo il quale il concedente può irrogare – in caso di inosservanza degli obblighi convenzionali e dei propri provvedimenti – sanzioni amministrative pecuniarie da un minimo di euro 25.000,00 ad un massimo di euro 150.000.000,00.
  Infine, la competente direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali ha comunicato che in occasione della predisposizione dei futuri bandi di gara per l'affidamento delle concessioni autostradali in scadenza valuterà la possibilità di inserire specifiche clausole sul mantenimento dei presidi minimi ai caselli autostradali.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   BRUNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la carenza delle reti infrastrutturali dei trasporti sul territorio calabrese in alcuni casi ha assunto caratteri emergenziali che provocano disagi alle relazioni, all'economia e allo sviluppo del nostro territorio;
   particolari difficoltà sono provocate dai lavori di ammodernamento della strada statale 534, che collega lo svincolo autostradale di Firmo con la Piana di Sibari e, di conseguenza, con la strada statale 106, la Sibaritide e la parte adriatica del Paese. Questi lavori hanno relegato nell'isolamento l'intero comune di Cassano allo Ionio e rendono difficile l'accesso a tutta l'area;
   attualmente il cantiere dell'ANAS è sospeso da circa sei mesi e non si hanno notizie in merito alla ripresa dei lavori, mentre, in previsione del periodo estivo, si immagina che i disagi possano solo aumentare;
   i dati dicono che gli spostamenti sistematici di persone interni all'area interessata dai lavori ammontano a circa 33.000 all'anno;
   il centro abitato di Cassano allo Ionio ha una popolazione di 17.565 abitanti, 219 unità locali di produzione e 267 unità locali di commercio. È sede di diocesi, di scuole superiori, di uno stabilimento termale e ha un ricco patrimonio culturale, religioso e naturalistico;
   il percorso alternativo studiato dall'ANAS per raggiungere il centro abitato di Cassano allo Ionio è tortuoso, contorto e difficoltoso sia da comprendere che da percorrere;
   anche il percorso sostitutivo della strada statale 534 fino al collegamento con la strada statale 106 è piuttosto trafficato e pericoloso. Tale percorso alternativo ha, inoltre, tagliato fuori un intero quartiere di Cassano: il centro abitato di Doria –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al di fine di alleviare il disagio della popolazione di Cassano allo Ionio, per mettere in sicurezza il territorio, ripristinando attraverso l'intervento dell'Anas il vecchio svincolo della strada statale 534 di Cassano-Castrovillari-Spezzano che costituirebbe una soluzione immediata e poco onerosa;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per limitare i disagi agli abitanti di Doria, anche attraverso modesti interventi che aumentino la sicurezza stradale del tipo di rallentatori, bitumazioni, limiti, divieti e percorsi alternativi per i mezzi pesanti almeno nei mesi estivi.
(4-12746)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo ministero e dalla società Anas.
  L'andamento del cantiere per i lavori di ammodernamento della strada statale 534 è stato condizionato principalmente da carenze organizzative dell'associazione temporanea di imprese aggiudicataria dell'appalto, che hanno determinato un andamento discontinuo dei lavori e ritardi tali da indurre Anas S.p.A. a disporre, in data 16 febbraio 2016, la risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo n. 163 del 2006.
  L'Anas, quindi, ha provveduto all'attivazione della procedura di interpello ex articolo 140 del citato decreto legislativo n. 163 del 2006, chiamando i soggetti che avevano partecipato alla gara e scalando la relativa graduatoria, al fine di pervenire, nel minor tempo possibile, alla stipula di un nuovo contratto per l'affidamento del completamento dei lavori.
  Anas informa che ad esito della procedura, i rimanenti lavori, necessari per il completamento dell'opera in questione, sono stati affidati all'impresa Intercantieri Vittadello S.p.A., nonché consegnati alla medesima ditta, lo scorso 6 giugno 2016.
  La suddetta società comunica altresì, che l'ultimazione dei lavori è prevista per il mese di dicembre del corrente anno, con apertura al traffico per gli inizi del prossimo mese di luglio di un 1o tratto funzionale ammodernato a doppia carreggiata di circa 7,6 chilometri, sui complessivi 14,1 chilometri. Tale tratta è compresa tra il chilometro 16+500 e il chilometro 14+100, tra lo svincolo di Torre Mordillo, di collegamento con la strada statale 283, e fine intervento mentre i rimanenti 6,5 chilometri della tratta iniziale, di collegamento all'autostrada del Mediterraneo, saranno aperti al traffico, come detto entro fine anno.
  Per quanto riguarda le difficoltà nei collegamenti tra i comuni situati a monte e a valle della strada statale 534, è necessario evidenziare che nell'intento di minimizzare, per quanto possibile, i disagi dell'utenza, è stata garantita la continuità di percorrenza mediante la deviazione del traffico sulla viabilità secondaria, appositamente, realizzata e terminata prima della chiusura della vecchia sede, in modo da consentire l'intervento di ampliamento della strada statale 534.
  In particolare, nel caso del centro abitato di Doria, Anas evidenzia che si è provveduto alla deviazione del traffico sulla viabilità secondaria (nuova strada complanare e strada provinciale), limitrofa alla preesistente strada statale 534, con l'unico disagio derivante da una maggiore percorrenza per la sola utenza proveniente dalla A2, di circa 6 chilometri, mentre è rimasta inalterata la percorrenza dal lato dello Ionio.
  Detta difficoltà verrà meno con l'apertura del lotto prevista per gli inizi del prossimo mese di luglio in quanto il traffico sarà canalizzato sulla nuova arteria, sulla quale l'utenza diretta dal lato Ionio a Doria e da questa verso Spezzano Albanese e Firmo potrà utilizzare le rampe appositamente realizzate e facenti parte nel costruendo svincolo per «Cassano-Doria», mentre per la direzione opposta si dovrà continuare ad utilizzare la già realizzata complanare e dirigersi verso Cassano-Doria utilizzando uno dei sottovia già realizzati, senza gravame di maggiori percorrenze: il tutto per poter completare il prima richiamato svincolo per «Cassano-Doria».
  Infine, per quanto attiene al centro abitato di Cassano, Anas riferisce che lo stesso può essere raggiunto proseguendo sul percorso stradale per raggiungere Doria, ovvero, per chi proviene dallo svincolo di Firmo dell'A2, utilizzando un percorso alternativo (strade provinciali 174 e 241) e poi lo svincolo la strada statale 534 e la strada provinciale 241. Per quest'ultima alternativa il percorso è più lungo di circa 8 chilometri. Tale ultimo intervento riguarda il ripristino della viabilità che porta a Cassano-Castrovillari-Spezzano Albanese, rientrante nel costruendo svincolo previsto, per tali località, con i lavori di adeguamento della strada statale 534.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   COCCIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni abbiamo assistito all'interno del carcere Regina Coeli di Roma a casi di suicidio di due detenuti;
   tali episodi vanno inseriti in un contesto assai complesso per la vita dei detenuti nelle nostre carceri: il numero degli agenti penitenziari sotto organico, la presenza insufficiente di psicologi per l'assistenza dei detenuti, il perdurare dell’«emergenza caldo» che ha fatto aumentare in modo significativo le segnalazioni di sofferenza e preoccupazione da parte dei detenuti, dei loro familiari e dei legali;
   le cifre e le carenze del sistema carcerario italiano emergono dal nono rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione «Senza Dignità» stilato dall'associazione Antigone: l'Italia è il Paese con le carceri più sovraffollate dell'Unione europea. Ci sono 140 detenuti ogni cento posti, mentre il tasso d'affollamento medio in Europa è del 99,6 per cento. In totale i detenuti negli istituti italiani sono 66.685. Ben 1.894 in più rispetto al gennaio 2010, quando fu decretato lo stato d'emergenza per il sovraffollamento carcerario;
   nei primi mesi del 2014 sono tornati ad aumentare i casi di suicidio nelle nostre carceri: il 40 per cento dei decessi avvenuti nelle celle è rappresentato da suicidi. Un dato che torna a crescere dopo una leggera flessione registrata nel 2013, quando i detenuti che si suicidarono furono il 30 per cento dei detenuti complessivamente deceduti;
   la Società italiana di psichiatria riporta un altro dato emblematico per capire la grave condizione vissuta negli istituti di pena: sono circa diecimila, infatti, le persone che soffrono di una patologia psichiatrica, su un totale di sessantaquattromila detenuti (circa il 16 per cento);
   appare evidente la necessità di adottare misure tempestive in grado di fronteggiare le numerose criticità che investono le strutture penitenziarie italiane nelle quali molti detenuti vivono in una condizione di gravissimo disagio –:
   quali iniziative urgenti si intendano intraprendere al fine di introdurre misure volte a facilitare le condizioni di vita dei detenuti e come intenda estendere tali interventi a tutte le strutture penitenziarie del Paese. (4-10084)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato indicato in esame, l'interrogante, richiamando il suicidio di due persone detenute verificatisi, nel mese di luglio 2015, all'interno dell'istituto penitenziario Regina Coeli di Roma, chiede quali iniziative si intendano intraprendere per scongiurare analoghi, drammatici eventi, e per migliorare le condizioni di vita dei detenuti.
  L'argomento investe, evidentemente, un tema di estrema delicatezza, su cui è concentrato il massimo impegno da parte del ministero.
  Il fenomeno, di cui i casi di Roma sono manifestazione, è alla mia costante attenzione, e mi vede direttamente impegnato in ogni iniziativa, necessaria ed utile, alla prevenzione del rischio di gesti di autolesionismo in ambiente carcerario.
  Finalità alla cui attuazione certamente concorre l'istituzione e la nomina, con decreto del Presidente della Repubblica 1o febbraio 2016 e decreto del Presidente della Repubblica 3 marzo 2016, del garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
  Nella consapevolezza della drammaticità di ogni atto di autolesionismo, occorre osservare, sotto il profilo statistico, che a partire dal 2013 il numero di suicidi all'interno degli istituti penitenziari ha avuto un sensibile decremento.
  Tra il 2009 e il 2012 infatti, il numero di casi è stato sempre annualmente superiore a 55, con un picco di 63 nel 2011, mentre pari a 45 e 46 sono stati gli eventi degli anni 2007 e 2008.
  Grazie al miglioramento della situazione nei nostri penitenziari, il numero si è ridotto in maniera significativa, registrandosi 42 casi di suicidio nel 2013, 43 nel 2014, 39 nel 2015, 39 nel 2016 e 10 sino al 28 febbraio 2017.
  Il dato relativo agli ultimi due anni risulta essere il migliore dal 1992.
  Sul piano comparativo, poi, l'Italia, secondo le statistiche ufficiali del Consiglio d'Europa, registra uno dei tassi più bassi di casi di suicidio. Nell'ultima rilevazione del 2013, si registra un tasso di 6,5 su 10.000 in Italia, 12,4 in Francia, 7,4 in Germania, 8,9 nel Regno Unito.
  I dati restano, in ogni caso, allarmanti e impongono un eccezionale sforzo dell'amministrazione penitenziaria, cui è demandata l'attuazione dei modelli di trattamento necessari alla prevenzione di ogni pericolo.
  Alla luce delle analisi e delle riflessioni degli stati generali dell'esecuzione della pena, il 3 maggio 2016 ho adottato una specifica «Direttiva sulla prevenzione dei suicidi», indirizzata al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, prescrivendo la predisposizione di un organico piano d'intervento per la prevenzione del rischio di suicidio delle persone detenute o internate, il puntuale monitoraggio delle iniziative assunte per darvi attuazione e la raccolta e la pubblicazione dei dati relativi al fenomeno.
  In attuazione della direttiva, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha predisposto un «Piano Nazionale per la prevenzione delle condotte suicidarie in ambito penitenziario», cui hanno fatto seguito circolari attuative trasmesse ai provveditorati regionali.
  Le misure adottate dall'amministrazione penitenziaria attengono alla formazione specifica del personale, alla raccolta ed elaborazione dei dati ed all'aggiornamento progressivo dei piani di prevenzione.
  Sono state, inoltre, impartite istruzioni ai provveditorati regionali ed alle direzioni penitenziarie per la conclusione di intese con regioni e servizi sanitari locali, al fine di intensificare gli interventi di diagnosi e cura, nonché l'attuazione di misure di osservazione e rilevazione del rischio.
  L'amministrazione ha anche operato sul piano dell'organizzazione degli spazi e della vita penitenziaria, con incentivazione di forme di controllo dinamico volte a limitare alle ore notturne la permanenza nelle celle, in modo da rendere agevole l'osservazione della persona in ambiente comune e ridurre le condizioni di isolamento.
  Allo stesso scopo, sono state adottate misure volte a facilitare, anche attraverso l'accesso protetto ad Internet, i contatti con i familiari.
  Lo scorso 3 marzo, inoltre, si è svolta presso il Ministero della giustizia una riunione nel corso della quale ho incontrato, con il capo di gabinetto, tutti i referenti centrali e periferici dell'amministrazione penitenziaria, al fine di fare il punto sulle modalità di esecuzione, al livello locale prossimo agli istituti penitenziari, delle disposizioni contenute nella direttiva sulla prevenzione dei suicidi e sollecitarne, ove necessario, la completa e rapida attuazione.
  Sono state, inoltre, programmate attività di monitoraggio e verifica periodica degli interventi di prevenzione delineati, attività che saranno svolte istituto per istituto.
  Con la riunione del 3 marzo si è dato l'avvio ad un tavolo in convocazione permanente che esaminerà costantemente i dati relativi allo stato di attuazione della direttiva che ogni referente è tenuto a raccogliere ed a trasmettere attraverso apposito monitoraggio. Le successive riunioni del tavolo, a partire dalla prima, si svolgono con stringente cadenza periodica.
  La prevenzione dei suicidi rappresenta uno degli obiettivi prioritari del complesso di iniziative volte al miglioramento in generale delle condizioni di vita dei detenuti, i cui risultati hanno trovato, anche a livello europeo, significativi riconoscimenti.
  In questo quadro vanno ricordati, nella consapevolezza dell'importanza dell'efficienza delle strutture penitenziare per il benessere di quanti sono ivi ristretti e vi lavorano, gli investimenti per la realizzazione delle nuove opere finanziate attraverso il piano carceri, nonché gli interventi di recupero e ammodernamento delle strutture esistenti.
  La realizzazione delle nuove opere di edilizia penitenziaria, secondo le stime della competente articolazione ministeriale, porterà nel corso dell'anno corrente ad un aumento di 1.497 nuovi posti mentre gli interventi di ammodernamento consentiranno il recupero di complessivi 1.800 posti detentivi ulteriori.
  Sempre al miglioramento della condizioni di vita all'interno degli istituti penitenziari tendono, inoltre, le iniziative per l'assunzione di nuovo personale appartenente alla polizia penitenziaria, tra le quali si colloca, con la recente conversione del decreto milleproroghe, l'ingresso in ruolo di un numero pari a 887 unità di personale.
  L'azione sin qui intrapresa risulterà ulteriormente rafforzata dalle misure contenute nella riforma dell'ordinamento penitenziario, appena approvata dal Senato, che permetterà di introdurre strumenti adeguati per garantire una funzione davvero recuperatoria e risocializzante, in chiave costituzionalmente orientata, all'esecuzione penale.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   COMINELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono attive, in tutte le regioni, 2273 bande musicali. A titolo esemplificativo, come segnalato dall'Associazione bande musicali di Brescia, in questa sola provincia lombarda sono attive 113 bande che a livello di tavolo permanente con le federazioni associate rappresentano circa 700 bande musicali, e oltre 50.000 mila tra allievi e musicanti;
   si tratta di un patrimonio di grande valore artistico, sociale, culturale e formativo, nonché espressione delle comunità locali. Le bande musicali sono, infatti, da secoli un fenomeno culturale tipico del territorio italiano, centri di aggregazione sociale per diverse generazioni in grado di avvicinare un ampio pubblico alla conoscenza e alla fruizione della musica popolare, la cui importanza è sancita dall'articolo 117 della Costituzione, oltre a rappresentare un importante vivaio per i Conservatori di musica italiani;
   inoltre la banda come realtà che ha sempre fatto da sfondo all'immaginario collettivo italiano, rappresenta un fenomeno sociale di grande importanza: la banda è un fenomeno vivo e, sia pure in maniera frammentaria, rimane uno dei modi fondamentali di fare musica nel nostro Paese, parte integrante della nostra storia popolare, erede della grande tradizione musicale italiana;
   un importante riconoscimento al ruolo delle formazioni bandistiche è arrivato con il decreto ministeriale prot. 529 del 30 giugno 2016, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che attribuisce alle bande il ruolo di insegnamento nelle scuole per l'apprendimento pratico della musica per tutti gli studenti;
   con la legge di stabilità 2016 era stata introdotta la possibilità per i contribuenti di destinare il due per mille Irpef alle associazioni culturali, ma ciò non è stato confermato e quindi reso possibile anche per l'anno 2017 e le bande sono state escluse dall'elenco delle associazioni che potevano beneficiare di del contributo –:
   se non ritenga opportuno assumere le necessarie iniziative normative per tornare indietro su questa decisione che incide negativamente su un segmento importante della cultura musicale del nostro Paese e di fatto penalizza direttamente migliaia di musicisti e studenti. (4-16276)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede al Ministero se intenda assumere iniziative normative per ripristinare la destinazione del due per mille Irpef alle associazioni culturali, non più previsto dalla legge di stabilità 2017.
  Da elementi pervenuti dalla direzione generale spettacolo di questo Ministero e dal dipartimento delle finanze direzione legislazione tributaria e federalismo fiscali del Ministero dell'economia e delle finanze, si fa presente quanto segue.
  L'articolo 1, comma 985, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016) ha introdotto per il solo anno 2016 la possibilità per i contribuenti di destinare il 2 per mille dell'irpef alle associazioni culturali che, secondo quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 marzo 2016, avessero avuto, secondo il rispettivo atto costitutivo o statuto, la finalità di svolgere e/o promuovere attività culturali e fossero risultate esistenti da almeno 5 anni al momento della presentazione della domanda di iscrizione all'apposito elenco istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. La misura riguardava il solo esercizio finanziario 2016 e, quindi, l'anno d'imposta 2015.
  Si evidenzia, comunque, che la legge 28 dicembre 2015, n. 208, articolo 1, comma 359, a tutela di un settore di particolare rilievo culturale, quale è anche quello bandistico, ha autorizzato la spesa di un milione di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018 per il finanziamento di festival, cori e bande.
  Successivamente con decreto ministeriale 26 febbraio 2016 è stato indetto un bando di selezione per la partecipazione al progetto di «Salvaguardia del patrimonio musicale tradizionale» che si è concluso con l'assegnazione di contributi disposti con decreto interministeriale 4 novembre 2016, n. 505, recante la concessione dei contributi a favore di progetti – presentati da organismi pubblici o privati, senza scopo di lucro – per la «Salvaguardia del patrimonio musicale tradizionale».
  Inoltre si comunica che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del decreto ministeriale 1o luglio 2014, nell'ambito della ripartizione del fondo unico per lo spettacolo, è stato assegnato con proprio decreto 25 marzo 2016, n. 128, un contributo pari ad euro 200.000,00 a favore della Feniarco Federazione nazionale italiana associazioni regionali corali, ente esponenziale a livello nazionale, con sede in San Vito al Tagliamento (Pordenone), quale organismo risultato vincitore dell'avviso pubblico 15 dicembre 2015 «Progetto nazionale attività musicale non professionistica».
  È necessario sottolineare che il Ministero, in linea con la vigente normativa, ha posto in essere procedimenti finalizzati al sostegno economico del settore bandistico, non sottacendo, comunque, che la tipicità del fenomeno culturale rappresentato dalle bande musicali riveste una realtà strettamente locale, che investe il proprio territorio di appartenenza e come tale proprio nell'ambito locale potrà essere maggiormente valorizzato e sponsorizzato.
  I competenti uffici del Ministero assicurano, in ogni caso, la massima attenzione alle questioni evidenziate nell'interrogazione.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   D'ARIENZO, CRIVELLARI e NARDUOLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tratta ferroviaria Verona-Rovigo è stata dichiarata tra le peggiori dieci linee ferroviarie italiane nel rapporto «Pendolaria» di Legambiente;
   il servizio sulla tratta in questione è svolto dalla società Sistemi Territoriali s.p.a, che opera nel trasporto pubblico regionale in relazione al contratto di servizio di trasporto pubblico locale e al programma di gestione del contratto medesimo con la regione del Veneto;
   i treni e il personale sono della medesima società Sistemi Territoriali s.p.a, controllata dalla regione del Veneto, per il tramite Veneto Sviluppo s.p.a per il 99,83 per cento;
   i problemi sono diversi: lungo i 96,6 chilometri che collegano Verona a Rovigo viaggiano mezzi con vecchia tecnologia, alimentati a gasolio, con tempi di percorrenza troppo lunghi e i passeggeri denunciano che l'unica carrozza è un vero e proprio carro bestiame;
   i disagi e i disservizi sono all'ordine del giorno, nonostante insista un pendolarismo importante di studenti e lavoratori, anche a causa del fatto che la linea è a binario unico;
   la situazione già disastrosa fa ancora più specie nel confronto tra quella linea e le altre gestite dalla stessa società;
   la qualità del servizio è stata certamente stabilita nel contratto di servizio tra la regione e Sistemi Territoriali spa, anche se non risulta pubblicamente nessun report di valutazione;
   la situazione descritta, secondo gli interroganti, coinvolge pienamente la sicurezza dei passeggeri;
   la sicurezza dei passeggeri è di competenza dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie –:
   se non sia il caso di promuovere, per quanto di competenza, doverose e urgenti verifiche volte ad accertare la sussistenza degli standard minimi di sicurezza.
(4-11838)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta pervenuti dalla direzione generale per i sistemi di trasporto ed impianti fissi e il trasporto pubblico locale di questo ministero e da Rete ferroviaria italiana.
  Come già riferito il 3 maggio 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta in Commissione Camera, si ricorda preliminarmente che le funzioni e i compiti di amministrazione e programmazione in materia di servizi ferroviari regionali sono stati attribuiti alle regioni ai sensi del decreto legislativo n. 422 del 1997 e del Titolo V della Costituzione.
  Tuttavia, ai fini di incentivare l'efficienza del settore e la riprogrammazione dei servizi medesimi, l'articolo 16-
bis del decreto-legge n. 95 del 2012 ha istituito il fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri per l'esercizio del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, per le regioni a statuto ordinario; in tale fondo sono confluite risorse pari a circa 5 milioni di euro/anno corrispondenti a circa il 75 per cento del fabbisogno annuale di settore.
  La stessa norma ha previsto una ripartizione del fondo condizionata a una riprogrammazione dei servizi secondo criteri dì efficienza, efficacia ed economicità verificati annualmente con appositi indicatori.
  Quanto a specifici interventi sulla relazione ferroviaria Verona-Rovigo, Rete ferroviaria italiana (RFI) riferisce che ad oggi viene regolarmente svolta attività di manutenzione ordinaria effettuata nel rispetto degli standard approvati dall'Agenzia nazionale di sicurezza ferroviaria (ANSF) oltre a interventi straordinari sulla linea. In particolare, per il prossimo dicembre è prevista l'attivazione del nuovo ACC (Apparato centrale computerizzato) di Legnago e il rinnovo dei binari tra isola della Scala-Cerea.
  Circa, poi, l'attività di manutenzione fabbricati e decoro, nel 2016 sono stati effettuati lavori di imbiancamento esterni/tinteggiatura interni/rifacimento copertura e in generale di cura del decoro negli impianti di Villa Bartolomea, Castagnaro, Badia Polesine, Fratta, Costa, Lendinara; in corso d'anno sono previsti interventi nei rimanenti impianti della linea.
  Infine, sempre RFT riferisce che a seguito dell'incontro svolto il 10 febbraio 2017 con i sindaci dei comuni interessati dalla linea e con l'assessore regionale ai trasporti sono state concordate azioni congiunte per la valutazione di fattibilità per la realizzazione di opere sostitutive o di viabilità alternativa sui passaggi a livello e la cessione in comodato delle aree delle stazioni.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   DIENI, MANLIO DI STEFANO, DADONE, COZZOLINO, TONINELLI, CECCONI e D'AMBROSIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   più volte il Governo ha dichiarato il proprio impegno per l'accoglienza dei profughi provenienti da zone di conflitto, combattendo contro i soggetti che lucrano nel traffico di esseri umani;
   in un'epoca storica in cui si è fatta evidente la minaccia terroristica di soggetti radicalizzati, la cautela esige però che questo fenomeno vada gestito con tutte le accortezze del caso, attraverso un serio monitoraggio del fenomeno dei profughi provenienti da zone in cui sono attivi gruppi armati estremisti e che possono pertanto aver ricevuto una specifica formazione all'utilizzo di armi ed esplosivi;
   da quanto emerge, tuttavia, dall'articolo «Iraq, scandalo al consolato italiano «Visti venduti per 10 mila euro», apparso sul Corriere della sera del 28 febbraio 2017, sarebbero state compiute gravi irregolarità preso il consolato italiano nella regione curda con sede ad Ebril tanto da Visametric, l'agenzia incaricata di preparare le domande ufficiali per l'ottenimento del visto, quanto da funzionari della stessa amministrazione dello Stato;
   secondo quanto scritto dal giornalista Lorenzo Cremonesi, infatti, «è ormai quasi un anno che dalla sede della rappresentanza italiana a Erbil giungono voci di bustarelle e soprattutto operazioni poco pulite per ottenere l'agognato visto che permette l'accesso all'area Schengen»;
   il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale avrebbe aperto un'inchiesta su 152 visti ottenuti pagando cifre esorbitanti e comunque molto più alte delle tariffe ordinarie, rilasciati in modo irregolare;
   tra le persone che avrebbero ricorso a questo strumento vi sarebbero curdi, ma anche arabi iracheni e persino profughi siriani;
   il nuovo portavoce del Ministro degli affari esteri avrebbe dichiarato che il Ministero è «ben al corrente dei problema» e ha sostenuto che nel caso in cui i sospetti venissero provati, se ne dovrebbe occupare la Procura di Roma;
   a quanto si apprende dal sito della società Visametric, quest'ultima deriva dall'unione, avvenuta nel 2013, tra iDATA Consulting inc. (iDATA) e Visa management service (VMS), che aveva lo scopo di espandere ulteriormente l'offerta di servizi di supporto per la gestione in outsourcing delle pratiche di richiesta visto;
   appaiono incomprensibili agli interroganti, i motivi per cui il Ministero degli affari esteri, vista l'inaffidabilità del partner privato, continui ad avvalersi dei suoi servizi, dato che sul sito del Ministero (http://vistoperitalia.esteri.it) continua a comparire l'indicazione del sito di Visametric «al fine di facilitare la presentazione delle domande di visto» nei consolati italiani in Iraq –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Ministro degli affari sociali e della cooperazione internazionale per ripristinare la corretta gestione nel rilascio dei visti nel consolato italiano con sede ad Ebril e se non intenda sospendere in via cautelativa i propri rapporti con la società Visametric;
   se siano state predisposte verifiche sulle 152 persone, che hanno ottenuto il visto tramite procedure di dubbia legittimità e se sia stato accertato che queste non rappresentino minacce sul fronte della sicurezza. (4-15789)

  Risposta. — La società VisaMetric, con sede principale a Baghdad e un ufficio periferico ad Erbil, ha stipulato, in esito ad una procedura ad evidenza pubblica nella quale risultò vincitrice, il contratto di concessione del servizio (cosiddetto outsourcing) sottoscritto dalla nostra ambasciata a Baghdad il 15 novembre del 2013 con durata quinquennale. In vista dell'avvio della piena autonomia del consolato di Erbil nel settore dei visti, gli effetti del contratto vennero estesi anche a detta circoscrizione con addendum sottoscritto sempre dall'ambasciata in data 31 luglio 2016. Il ricorso alla collaborazione di fornitori esterni di servizi svolge ormai un ruolo chiave per una ordinata ed efficace gestione della materia dei visti di ingresso da parte della nostra rete diplomatico-consolare in presenza dell'ingente carico di lavoro. Non è solo l'Italia ad avvalersi di questa metodologia. Anche i nostri principali partner dell'area Schengen vi fanno ampio ricorso dal 2010, quando la materia venne disciplinata tramite il codice visti (Regolamento CE n. 810/2009). Le sedi diplomatico-consolari rimangono comunque le uniche titolari dell'istruttoria sulle domande e della decisione finale sul rilascio o il diniego del visto d'ingresso. I soggetti terzi sono solo chiamati a svolgere mere procedure materiali, precedenti e successive all'attività di rilascio dei visti.
  In particolare, ad Erbil la missione ispettiva ha rilevato che nonostante il non elevato numero di appuntamenti giornalieri gestiti (in media 12) i servizi resi dalla società VisaMetric non sono del tutto soddisfacenti sul piano logistico e organizzativo. Il nuovo manager del centro si è dichiarato consapevole delle carenze riscontrate ed ha assicurato che la società sta cercando una nuova sede in cui gli spazi dedicati agli utenti del consolato d'Italia saranno più consoni.
  Le carenze rilevate di natura logistica e organizzativa non sono state considerate tali da imporre la revoca del contratto di concessione. Tuttavia, nel rispetto della normativa del codice visti, l'operato della VisaMetric continuerà ad essere sottoposto a costante monitoraggio, soprattutto sotto il profilo della regolarità della gestione del servizio offerto.
  Con riguardo all'operato del consolato, l'ispezione ad Erbil ha condotto verifiche su circa 800 domande di visto, tra quelle trattate dalla sede nel periodo intercorrente tra il principio di agosto e il principio di dicembre 2016. Da tale approfondito esame è emerso un quadro di irregolarità particolarmente gravi e ripetute, sulla base del quale sono stati presi provvedimenti organizzativi, con l'invio di due missioni di supporto, intesi a ripristinare una corretta gestione nel rilascio dei visti ed è stato avviato un procedimento disciplinare.
  Il rapporto ispettivo è stato naturalmente trasmesso alla procura della Repubblica di Roma per le valutazioni di competenza.
  Infine, per quanto riguarda il dato numerico di 152 visti citato nel testo dell'interrogazione, giova precisare che il dato non risulta dalla relazione ispettiva. Del resto, tutti i visti emessi dalla nostra rete diplomatico-consolare della Farnesina – e dunque anche quelli rilasciati dal nostro consolato ad Erbil secondo procedure riscontrate irregolari – sono sottoposti a preventivi controlli di sicurezza nazionali ed europei, il cui esito favorevole è condicio sine qua non per il loro stesso rilascio.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sul sito delle Biblioteca Estense Universitaria di Modena – da sempre vanto per la città – è stato pubblicato un avviso con cui si avvertono i fruitori che la sala lettura rimarrà chiusa dal 9 gennaio;
   la decisione della direttrice delle Gallerie Estensi, Martina Bagnoli, ha creato sconcerto e stupore tra gli studenti universitari, soprattutto in relazione alle recenti dichiarazioni rilasciate dalla direttrice, con le quali si sottolineava la necessità di «musei aperti e dinamici», in grado di accogliere tutta la cittadinanza;
   anche le organizzazioni sindacali contestano la scelta della dottoressa Bagnoli, sottolineando quanto sia «strano che a fronte di un incremento di visitatori presso i siti culturali modenesi, si pensi di ridurre i servizi piuttosto che individuare soluzioni diverse»;
   a giudizio dell'interrogante, la chiusura della sala lettura della biblioteca non sembra la scelta più appropriata soprattutto se si considera che i lavoratori hanno sempre espressi la volontà di implementare il funzionamento della sala;
   al coro di voci critiche si aggiungono i rappresentanti degli studenti di UDU, l'Unione degli universitari, che si domandano come sia possibile «aprire i musei, renderli luoghi della vita sociale, presenti nei momenti importanti della collettività cittadina e regionale» [27/12/2016], riducendo di fatto i servizi culturali fino ad ora offerti anche agli studenti iscritti ai corsi di laurea dell'Università di Modena e Reggio Emilia;
   l'Unione degli universitari si chiede se questa scelta possa, realmente, contribuire a quella «valorizzazione» sovente rivendicata dalla «riforma Franceschini» e da quelle che appaiono all'interrogante retoriche del Ministero –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative di competenza si intendano adottare al fine di riaprire la sala di lettura della Biblioteca estense e con quali tempistiche si intenda operare al riguardo. (4-15357)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento alla pubblicazione di un avviso che annuncia la chiusura della sala di lettura della Biblioteca estense universitaria di Modena, a partire dal 9 gennaio 2017, chiede quali iniziative si intenda adottare al fine di riaprire tale sala e con quali tempistiche si intenda operare.
  Riguardo a quanto segnalato dall'interrogante la direzione delle gallerie estensi, di cui fa parte la Biblioteca, ha comunicato di aver disposto la chiusura della sala di lettura per le ragioni di seguito illustrate.
  Negli ultimi anni l'utenza della Biblioteca estense è diminuita sensibilmente. Il motivo di tale diminuzione è da cercarsi in parte con il fatto che la Biblioteca non serve più il pubblico universitario, che già da anni gode di numerose biblioteche di ateneo. Inoltre da parecchi anni, la Biblioteca estense non acquisisce più materiale didattico per le università. A questo si aggiunga che la sala di lettura non offre materiale di consultazione elettronico, postazioni digitali, possibilità di accesso a internet o wi-fi.
  Oltre alla sala di lettura, la Biblioteca estense dispone di altre due sale di consultazione («periodici» e «rari»), contigue con le collezioni librarie. Anche queste sono scarsamente usate.
  La direzione ha ritenuto che gli utenti della sala di lettura possono essere comodamente accomodati nelle altre due sale di consultazione. Ad oggi nessuno è stato mandato via per mancanza di spazio.
  La stessa direzione ha rappresentato che la Biblioteca estense ha una grave carenza di organico. La chiusura della sala di lettura ha consentito di assegnare il personale, che prima offriva servizi di guardiania e reference, alla catalogazione delle nuove acquisizioni, dei doni e al recupero del pregresso.
  La mancanza di un catalogo informatizzato completo dei fondi librari, infatti, è stato un altro dei fattori che hanno contribuito al calo dell'utenza: l'utente remoto, non potendo cercare ciò di cui ha bisogno, si dirige verso altri istituti che dispongono di cataloghi informatizzati, consultabili sul web, da remoto.
  La direzione delle gallerie estensi ha avviato una fase di intensa catalogazione del patrimonio librario per portare la Biblioteca al passo coi tempi e per attirare nuove ricerche sugli importanti fondi librari posseduti.
  La responsabile dell'istituto ha anche evidenziato le gravi carenze di spazio espositivo di cui soffrono le gallerie estensi e la necessità di migliorare e incrementare l'offerta culturale, al momento estremamente ridotta per tali carenze.
  La sala verrà utilizzata, pertanto, per presentare le collezioni delle gallerie estensi (fondi librari in primis) e per altre attività culturali rivolte a valorizzare e far conoscere il patrimonio dell'istituzione culturale a un pubblico sempre più vasto.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   DANIELE FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il carcere di Como, cosiddetto Bassone, progettato negli anni ’70, è stato aperto nel 1985, in localizzazione non ottimale, per ospitare 170 persone in celle singole;
   negli anni ’90, con i nuovi parametri carcerari, è stato portato ad una capienza di 500 persone;
   le strutture ora risultano, a parere dell'interrogante, in parte fatiscenti sebbene ultimamente, alcuni detenuti siano stati direttamente coinvolti per sistemare spazi, corridoi, servizi;
   i detenuti sono circa 400 persone tra uomini e donne;
   il «Bassone» sconta oggi un più tenue legame con il territorio rispetto al passato;
   in numero dei volontari appare infatti diminuito;
   in questo contesto tre detenuti si sono suicidati in rapida successione: Galver Cuevas Ivan Andre il 12 ottobre 2014, Riunno Maurizio il 31 ottobre 2014, Rosa Massimo il 19 novembre 2014 –:
   quali azioni intenda intraprendere per scongiurare ulteriori drammatici eventi;
   se non ritenga necessario un intervento ispettivo ministeriale per ricostruire tutti i passaggi che hanno portato alla difficoltà della situazione attuale.
(4-07042)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato indicato in esame, l'interrogante, richiamando il suicidio di tre persone detenute verificatisi, tra i mesi di ottobre e novembre 2014, all'interno della casa circondariale di Como, chiede quali iniziative si intendano intraprendere per scongiurare analoghi, drammatici eventi.
  L'argomento investe, evidentemente, un tema di estrema delicatezza, su cui è concentrato il massimo impegno da parte del ministero.
  Nella consapevolezza dell'importanza delle condizioni delle strutture penitenziarie per il benessere di quanti vi sono ristretti e vi lavorano, evidenzio che, con recente nota del mio ufficio di gabinetto, è stata avanzata richiesta al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di comunicare quali siano gli interventi programmati e le iniziative attuate per il miglioramento e la manutenzione della casa circondariale di Como.
  Quanto ai casi che hanno riguardato specificamente l'istituto penitenziario, la competente articolazione ministeriale ha ricostruito gli atti di autolesionismo nei termini che seguono.
  In data 12 ottobre 2014 il detenuto Galvez Cuevas Ivan Andrei poneva in essere il gesto autosoppressivo, per impiccagione, all'interno della propria camera detentiva. Sebbene immediatamente soccorso dal personale addetto alla vigilanza e dal personale medico, i sanitari del 118 ne constatavano il decesso.
  Il Galvez risultava aver fatto ingresso in istituto il 2 ottobre 2014.
  In data 31 ottobre 2014, nel corso del controllo svolto dal personale addetto alla vigilanza della sezione osservazione, veniva rinvenuto, privo di sensi in seguito ad impiccagione, il detenuto Riunno Maurizio, legatosi alle sbarre della finestra con un lenzuolo.
  Il detenuto veniva immediatamente soccorso dal personale di polizia e dal medico di turno che, dopo aver posto in essere le manovre rianimatorie, ne constatava il decesso.
  Il detenuto aveva fatto ingresso presso l'istituto comasco il 21 ottobre 2014.
  In data 19 novembre 2014, il detenuto Rosa Massimo veniva rinvenuto dall'operatore addetto alla vigilanza della sezione privo di sensi, con al collo un laccio di scarpe legato alle sbarre della finestra del bagno della propria camera detentiva.
  Il detenuto aveva fatto ingresso in istituto il 17 luglio 2014.
  Alla luce dei tragici eventi, succedutisi nell'autunno 2014, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha riferito di aver disposto un'indagine amministrativa, svolta con il coinvolgimento anche dei rappresentanti dei detenuti ed affidata al competente provveditorato regionale della Lombardia, finalizzata ad accertare le cause, le circostanze e le modalità dei fatti.
  Oltre ad attivarsi per l'attuazione delle relative visite ispettive e proprio in relazione alle ripetute criticità verificatesi nella sede comasca, consta che il provveditore regionale, in data 28 novembre 2014, ha tenuto una conferenza generale con i ruoli apicali dell'istituto.
  I risultati degli accertamenti ispettivi, comunicati dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, hanno escluso elementi di responsabilità del personale penitenziario.
  Secondo quanto comunicato, risulta come gli interventi di soccorso siano stati definiti tempestivi, così come le attività di prevenzione sono state ritenute adeguate. In particolare, l'amministrazione ha evidenziato come i tre detenuti, dopo analisi degli staff multidisciplinari, fossero stati presi in carico dai servizi psicologici e, in un caso, psichiatrici.
  Lo stesso dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha comunicato, inoltre, che anche i procedimenti penali aperti dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Como sono stati archiviati, non essendo emerse responsabilità di terzi nella causazione dei decessi.
  Il fenomeno di cui i casi di Como sono manifestazione è alla mia costante attenzione, e mi vede direttamente impegnato in ogni iniziativa, necessaria ed utile, alla prevenzione del rischio di gesti di autolesionismo in ambiente carcerario.
  Finalità alla cui attuazione certamente concorre l'istituzione e la nomina, con il decreto del Presidente della Repubblica del 1o febbraio 2016 e con il decreto del Presidente della Repubblica del 3 marzo 2016, del garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
  Nella consapevolezza della drammaticità di ogni atto di autolesionismo, occorre osservare, sotto il profilo statistico, che a partire dal 2013 il numero di suicidi all'interno degli istituti penitenziari ha avuto un sensibile decremento.
  Tra il 2009 e il 2012, infatti, il numero di casi è stato sempre annualmente superiore a 55, con un picco di 63 nel 2011, mentre pari a 45 e 46 sono stati gli eventi degli anni 2007 e 2008.
  Grazie al miglioramento della situazione nei nostri penitenziari, il numero si è ridotto in maniera significativa, registrandosi 42 casi di suicidio nel 2013, 43 nel 2014, 39 nel 2015, 39 nel 2016 e 10 sino al 28 febbraio 2017.
  Sul piano comparativo, poi, l'Italia, secondo le statistiche ufficiali del Consiglio d'Europa, registra uno dei tassi più bassi di casi di suicidio. Nell'ultima rilevazione del 2013, si registra un tasso di 6,5 su 10.000 in Italia, 12,4 in Francia, 7,4 in Germania, 8,9 nel Regno Unito.
  I dati restano, in ogni caso, allarmanti e impongono un eccezionale sforzo dell'amministrazione penitenziaria, cui è demandata l'attuazione dei modelli di trattamento necessari alla prevenzione di ogni pericolo.
  Alla luce delle analisi e delle riflessioni degli stati generali dell'esecuzione della pena, il 3 maggio 2016 ho adottato una specifica «Direttiva sulla prevenzione dei suicidi», indirizzata al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, prescrivendo la predisposizione di un organico piano d'intervento per la prevenzione del rischio di suicidio delle persone detenute o internate, il puntuale monitoraggio delle iniziative assunte per darvi attuazione e la raccolta e la pubblicazione dei dati relativi al fenomeno.
  In attuazione della direttiva, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha predisposto un «Piano Nazionale per la prevenzione delle condotte suicidiarie in ambito penitenziario», cui hanno fatto seguito circolari attuative trasmesse ai provveditorati regionali.
  Le misure adottate dall'amministrazione penitenziaria attengono alla formazione specifica dei personale, alla raccolta ed elaborazione dei dati ed all'aggiornamento progressivo dei piani di prevenzione.
  Sono state, inoltre, impartite istruzioni ai provveditorati regionali ed alle direzioni penitenziarie per la conclusione di intese con regioni e servizi sanitari locali, al fine di intensificare gli interventi di diagnosi e cura, nonché l'attuazione di misure di osservazione e rilevazione del rischio.
  L'amministrazione ha anche operato sul piano dell'organizzazione degli spazi e della vita penitenziaria, con incentivazione di forme di controllo dinamico volte a limitare alle ore notturne la permanenza nelle celle, in modo da rendere agevole l'osservazione della persona in ambiente comune e ridurre le condizioni di isolamento.
  Allo stesso scopo, sono state adottate misure volte a facilitare, anche attraverso l'accesso protetto ad Internet, i contatti con i familiari.
  Lo scorso 3 marzo, inoltre, si è svolta presso il Ministero della giustizia una riunione nel corso della quale ho incontrato, con il capo di gabinetto, tutti i referenti centrali e periferici dell'amministrazione penitenziaria, al fine di fare il punto sulle modalità di esecuzione, al livello locale prossimo agli istituti penitenziari, delle disposizioni contenute nella direttiva sulla prevenzione dei suicidi e sollecitarne, ove necessario, la completa e rapida attuazione.
  Sono state, inoltre, programmate attività di monitoraggio e verifica periodica degli interventi di prevenzione delineati, attività che saranno svolte istituto per istituto.
  Con la riunione del 3 marzo si è dato l'avvio ad un tavolo in convocazione permanente, che esaminerà costantemente i dati relativi allo stato di attuazione della direttiva che ogni referente è tenuto a raccogliere ed a trasmettere attraverso apposito monitoraggio. Le successive riunioni del tavolo, a partire dalla prima, si svolgono con stringente cadenza periodica.
  L'azione sin qui intrapresa risulterà ulteriormente rafforzata dalle misure contenute nella riforma dell'ordinamento penitenziario, appena approvata dal Senato, che permetterà di introdurre strumenti adeguati per garantire una funzione davvero recuperatoria e risocializzante, in chiave costituzionalmente orientata, all'esecuzione penale.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   GARAVINI, FEDI, GIANNI FARINA, LA MARCA, TACCONI, PORTA e BERLINGHIERI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel quadro della diminuzione del numero di strutture diplomatico-consolari imposta da esigenze di ordine finanziario, nel 2010, si è proceduto a chiudere il consolato di Manchester, sostituendolo con uno sportello consolare di prima categoria dipendente dal consolato generale d'Italia a Londra, che, a sua volta, è stato chiuso nel 2014;
   anche a seguito di questa vicenda, la circoscrizione consolare di Londra ha raggiunto il numero di 280.000 iscritti all'Anagrafe degli italiani all'estero (Aire), divenendo la seconda al mondo per numero di iscritti e la più estesa in Europa;
   questi livelli di densità degli iscritti dell'Aire, per altro, non tengono conto di coloro che, pur risiedendo in quella circoscrizione consolare, non hanno regolarizzato anagraficamente la loro posizione, anche perché protagonisti della sempre più diffusa mobilità temporanea di studio e di lavoro;
   questo processo di accentramento è avvenuto, in parallelo, con scelte di contenimento dell'invio di personale amministrativo all'estero e con l'entrata a regime dei sistemi di contatto telematico tra amministrazione e utenti che, alla prova dei fatti, si è dimostrato meno agevole ed efficiente di quanto fosse lecito attendersi;
   tra le altre cose, anche l'ipotesi di inviare personale aggiuntivo al consolato di Londra, per fronteggiare il grande carico di lavoro, si scontra con i limiti logistici dello stesso consolato, che non consentono di ospitare personale e materiali oltre il limite già raggiunto;
   è prevedibile che, a seguito delle vicende legate alla Brexit, le esigenze di ricorso ai servizi consolari da parte di un'utenza così vasta e dispersa tendano a crescere, con ulteriori prevedibili disagi per i nostri connazionali e crescente congestione delle attività amministrative che il consolato dovrà affrontare;
   in occasione della sua recente seduta plenaria, lo stesso Consiglio generale degli italiani all'estero, (Cgie) ha richiamato l'attenzione del Governo sull'insostenibilità di tale situazione e sulla opportunità di provvedere mediante la creazione di una struttura capace di decongestionare il consolato generale di Londra –:
   se a fronte di una situazione di così evidente necessità e urgenza il Ministro interrogato non ritenga di disporre la riapertura del consolato di Manchester al quale affidare la missione di assolvere ai servizi indispensabili per i nostri connazionali residenti non solo nelle aree circostanti a Manchester, ma in tutto il Nord dell'Inghilterra. (4-16172)

  Risposta. — La soppressione del consolato a Manchester, risalente all'ottobre 2011, si inserisce nel quadro delle misure di riorganizzazione della rete all'estero resesi necessarie alla luce degli obblighi di contenimento della spesa pubblica. Tali misure, dal 2007 ad oggi, hanno comportato la chiusura di oltre 60 strutture tra ambasciate, consolati ed istituti di cultura e inciso fortemente sul turn-over del personale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  Per quanto riguarda nello specifico la rete consolare, nel corso degli anni l'opera di razionalizzazione ha interessato principalmente l'Europa, tenuto conto del maggior grado di omogeneizzazione delle normative e dei servizi a livello europeo nonché della maggiore integrazione delle comunità italiane ivi residenti. Le aree interessate dalla soppressione degli uffici sono state selezionate anche sulla base della diffusione dello strumento informatico: grazie ad esso le comunità italiane in Europa hanno più facile accesso ai servizi consolari, alcuni dei quali fruibili interamente online.
  Nel caso di Manchester, fino a luglio 2014 vi operava uno sportello consolare dipendente dal consolato generale di Londra. Con l'obiettivo di offrire alla collettività italiana residente in loco misure sostitutive e compensative di assistenza consolare, nel 2015 è stato attivato a Manchester un consolato onorario, in grado di assicurare una presenza costante sul territorio.
  Il consolato onorario di Manchester non è, fra l'altro, la sola struttura ad occuparsi dei connazionali nel nord dell'Inghilterra: il consolato onorario di Liverpool, il vice consolato onorario di Birmingham e l'agenzia consolare onoraria di Newcastle assicurano servizi consolari in tutta l'Inghilterra settentrionale, nell'ambito delle rispettive funzioni.
  Inoltre, per semplificare le procedure di rilascio dei passaporti, le strutture onorarie di Manchester, Liverpool e Birmingham sono state dotate, a partire dal 2014, di kit per il rilevamento dei dati biometrici (esperimento pilota avviato dalla Farnesina in Inghilterra e Galles che ha interessato anche le città di Bedford e Cardiff) che consentono ai nostri connazionali nel nord di non recarsi a Londra per rilasciare le impronte digitali.
  Negli ultimi anni, a fronte della citata contrazione degli stanziamenti e del blocco del turn-over, grazie a un'attenta opera di ottimizzazione dell'utilizzo di tutte le risorse residue, l'amministrazione ha affiancato alla razionalizzazione della rete sopra descritta un limitato piano di aperture di uffici in Paesi emergenti o di forte interesse strategico per il nostro Paese (Ulaanbaatar, Erbil, Chongqing, Ho-Chi-Min City, Niamey e, prossimamente, Conakry) in applicazione delle decisioni prese da Parlamento e Governo.
  Ciò premesso, si comprendono gli auspici dell'interrogante, anche alla luce della crescita della comunità residente in Inghilterra e della possibilità che, al termine dei negoziati sulla Brexit, si determini un mutamento delle condizioni di soggiorno dei connazionali rispetto al regime attuale. In questa prospettiva, la Farnesina, tenendo conto delle risorse umane e finanziarie disponibili, deve necessariamente svolgere un'analisi aggiornata sulle modalità più efficienti per erogare servizi consolari ad una collettività residente cresciuta nel tempo. E più in generale a quella che risiede nel nord dell'Inghilterra, area attualmente coperta da Londra. In tale contesto valuteremo anche l'ipotesi di una riapertura di un ufficio consolare a Manchester.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta scritta n. 4-13926, a firma dell'interrogante, venivano posti quesiti e chiesti chiarimenti in merito ai numerosi e gravi problemi sotto il profilo igienico-sanitario, oltreché dell'ordine e della sicurezza pubblica, segnalati dagli abitanti di una palazzina di via Asiago 8/D a Monza dove, dal novembre 2015, sono stati collocati dalla prefettura, a più riprese, un numero sempre maggiore di immigrati, fino ad arrivare, come risultava dalla stampa, a 126 distribuiti in 13 appartamenti dello stabile, a fronte di soli 34 cittadini italiani ivi residenti;
   in seguito nella risposta dal Ministero dell'interno D/5296 del 26 ottobre 2016 si è ufficialmente appreso che in via Asiago sono ospitati 116 immigrati, anziché 126, distribuiti in 16 alloggi di varia metratura, di cui 38 ancora in attesa di formalizzare l'istanza di asilo e solo 7 già auditi dalla competente commissione territoriale, essendo tutti gli altri ancora in attesa di essere auditi dalla Commissione stessa;
   sempre dalla medesima risposta si evince altresì che a seguito di «numerosi sopralluoghi» effettuati anche da personale della locale A.T.S. Brianza (ex A.S.L.), quest'ultimo avrebbe «evidenziato una buona situazione degli alloggi sotto il profilo igienico-sanitario e formulato prescrizioni, relative anche alla loro capienza massima, alle quali l'ente ha ottemperato»;
   a seguito del sopralluogo effettuato in data 8 agosto 2016, il personale tecnico e medico dell'A.T.S. Brianza (ex A.S.L.) aveva accertato la presenza di 127 immigrati ospitati in via Asiago, dislocati in 16 alloggi di varia metratura (dagli 80 ai 120 metri quadri) in due distinti complessi condominiali di via Asiago: 116 presso lo stabile sito al civico 8/D scala C ed 11 presso lo stabile sito al civico 8/B interno;
   sempre dalla medesima relazione stilata dall'A.T.S. si evidenziava, in particolare, che per i 116 immigrati ospitati presso lo stabile sito al civico 8/D scala C erano utilizzati 14 appartamenti, nei quali, durante il sopralluogo, erano state riscontrate diverse carenze igienico-sanitarie e la mancanza di una serie di requisiti igienico sanitari di abitabilità anche in alcuni locali utilizzati a scopo abitativo posti al piano mansardato/sottotetto ed infine che, in relazione anche alla normativa in vigore, che il numero massimo di persone ospitate nelle strutture visionate non avrebbe potuto essere comunque superiore a 97;
   pertanto, a seguito di tali risultanze l'A.T.S. avrebbe formulato delle prescrizioni alla Società Trattoria Mercato ed al Consorzio Madre Santina, ognuno per le proprie parti di competenza, tra cui lo sgombero dei locali ad uso abitativo posti al piano mansardato/sottotetto dello stabile 8/D scala C, demandando comunque al sindaco la verifica dei requisiti di abitabilità degli immobili per i seguiti di competenza –:
   quale sia l'effettivo numero degli appartamenti utilizzati per l'ospitalità degli immigrati nella palazzina di Via Asiago 8/D scala C, stanti le diverse indicazioni contenute nella risposta del Ministero dell'interno e nella relazione dell'A.T.S. Brianza; se risultino, dunque, ospitate nelle strutture sopra citate un numero di persone superiore a quello consentito dalla normativa vigente anche secondo le prescrizioni dell'A.T.S. sopra riportate, ed in caso affermativo quali iniziative siano state adottate sia intenzione del Ministro interrogato promuovere; se e quando siano stati effettuati i lavori prescritti dall'A.T.S., compreso lo sgombero dei locali ad uso abitativo, quali controlli successivi risultino essere stati effettuati, anche dall'amministrazione comunale, onde verificare i requisiti di abitabilità dei locali utilizzati per l'accoglienza in via Asiago a Monza. (4-15329)

  Risposta. — Presso la struttura di accoglienza situata al civico 8/d scala C di via Asiago, cui si riferisce l'interrogazione, erano ospitati nel mese di aprile 2017 86 migranti, distribuiti in 14 appartamenti.
  La situazione dell'accoglienza negli appartamenti è comunque in continua evoluzione e prosegue il processo di sostituzione degli ospiti presenti con nuclei familiari. Attualmente, nelle citate unità abitative sono presenti 9 nuclei familiari con 15 minori, 55 uomini e una donna single.
  Per quanto riguarda il sopralluogo effettuato il 9 agosto 2016 dall'Agenzia per la tutela della salute (ATS) di Monza e della Brianza, si precisa che, il successivo 21 settembre, la polizia locale di Monza ha effettuato un ulteriore sopralluogo, finalizzato a verificare il rispetto delle prescrizioni dell'ATS medesima.
  All'esito di tale controllo, è emerso che l'ente gestore ha realizzato gli interventi di adeguamento richiesti dall'ATS in occasione della predetta visita ispettiva.
  In particolare, le cappe di aspirazione poste sul piano cottura degli ambienti cucina di tutti gli appartamenti sono state collegate alla relativa canna di esalazione, sfociante oltre il colmo del tetto, già predisposta in fase di costruzione dell'immobile; inoltre, i locali non destinati ad abitazione, posti nel sottotetto dello stabile sono stati sgomberati.
  Infine, il proprietario dell'immobile ha provveduto anche a completare le richieste di agibilità degli appartamenti, tutti di nuova costruzione, integrando l'istanza in un primo tempo presentata, in quanto riferita solo alle unità abitative inizialmente occupate.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   LAFFRANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto ferroviario in Umbria versa in condizioni, a dir poco, critiche. La situazione generale è preoccupante, con alcune situazioni croniche che gravano sulla qualità del trasporto (e della vita) dei cittadini delle zone interessate: si pensi ai cantieri di lavoro per il raddoppio del tratto Spoleto — Campello del Clitunno (aperti nel 2002) o Ai lavori di raddoppio della tratta Spoleto — Terni, che intralciano da anni il regolare traffico di treni;
   un trasporto ferroviario così deficitario incide pesantemente sull'economia dell'Umbria, a 360°: sul turismo (già provato dal terremoto), sul benessere di cittadini e turisti stessi e sulla vivibilità della zona;
   da tempi non sospetti si ravvisa la necessità di un collegamento all'alta velocità per sopperire all'isolamento attuale del trasporto umbro, in special modo verso il Nord Italia;
   il collegamento alla linea Frecciarossa, ad esempio, di Perugia, quasi dimezzerebbe i tempi attuali di viaggio con Milano, come già fatto notare nell'atto di sindacato ispettivo n. 3-02709 del 18 gennaio 2017;
   il Ministro interrogato si è espresso in passato sulla questione, condividendo l'interesse strategico di un collegamento all'alta velocità anche per l'Umbria (sia verso Milano e il Nord del Paese, sia verso Napoli, in direzione Sud) e confermando la necessità di studi sulle possibilità di istituire questo collegamento, nonché l'intenzione di convocare Trenitalia e Ntv per valutare benefici e modalità dell'operazione;
   gli attuali snodi garantiti ai cittadini, ricordati dallo stesso Ministro (due coppie di intercity da Perugia su Roma, una coppia di treni intercity Roma-Firenze, via Terontola, una coppia di intercity Terni-Milano e due coppie di intercity Roma-Ancona, via Foligno, Spoleto e Terni, più i collegamenti Freccialink) non sono assolutamente sufficienti se rapportati all'importanza e alla strategicità dell'area –:
   se il Ministro interrogato, già espressosi favorevolmente sulla possibilità di attivare una linea Frecciarossa da e per Perugia, intenda convocare un tavolo di studio e lavoro per verificarne la fattibilità del progetto al più presto, perché per l'interrogante non si può perdere ulteriore tempo e lasciare la regione, i cittadini e i turisti nel disagio quotidiano. (4-15423)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta pervenuti dalla direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie di questo Ministero e da Ferrovie dello Stato italiane.
  Come già riferito il 23 maggio 2017, in occasione dello svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in Commissione Camera, si ricorda che i servizi richiesti costituiscono parte integrante dell'autonoma strategia commerciale delle due imprese ferroviarie operanti nel settore liberalizzato dell'alta velocità, cioè Trenitalia e NTV.
  Naturalmente, questo Ministero è sempre disponibile ad avviare un tavolo con le imprese ferroviarie interessate.
  In effetti, a seguito di un primo interessamento da parte di questo Ministero e della regione Umbria, la stessa Trenitalia, pur non manifestando l'intenzione di avviare servizi alta velocità (AV) direttamente da Perugia per le motivazioni di seguito descritte, ha tuttavia avviato un servizio di collegamenti Freccialink proprio per collegare il capoluogo umbro con la rete AV; in particolare su Firenze, per permettere ai viaggiatori interessati di proseguire con treni Freccia verso le città del Nord Italia.
  Peraltro, il predetto servizio, insieme agli attuali collegamenti Intercity (IC), svolgono la funzione di collegare le aree dell'Umbria interessate con le grandi città, così da favorire, insieme ai collegamenti regionali, una mobilità pendolare e turistica tale da ridurre l'isolamento nel quale altrimenti si troverebbero alcune realtà locali in assenza di servizi a mercato.
  Circa la possibilità di servire la regione Umbria con collegamenti AV da/per il Nord (Milano), Ferrovie dello Stato italiane (Fsi) riferisce che negli ultimi mesi sono emerse, a livello istituzionale locale, due ipotesi che sono state da Trenitalia adeguatamente approfondite.
  Nella prima ipotesi si prospettava l'eventualità di servire stazioni quali Terni. Foligno e Perugia deviando una coppia di treni AV, che percorrono la linea Direttissima (Frecciarossa o Frecciargento da/per Roma) via Orte-Terontola e viceversa. In questo primo caso le caratteristiche dell'infrastruttura tra Foligno e Terontola non consentono velocità superiori a quelle previste per gli IC o i treni regionali e, quindi, sul percorso umbro, i tempi di percorrenza rimarrebbero invariati (e tra Perugia e Milano sarebbero comunque sensibilmente superiori alle 3 ore ipotizzate); di contro, con tale instradamento, la durata complessiva del viaggio di un eventuale Frecciarossa o Frecciargento subirebbe un aumento rilevante, con conseguente perdita di competitività del servizio sui bacini che sviluppano i maggiori volumi di traffico, non compensata dalla domanda incrementale del nuovo collegamento che risulterebbe, pertanto, secondo quanto riferito da Ferrovie dello Stato italiane economicamente non sostenibile.
  La seconda ipotesi prevedeva, invece, un collegamento diretto tra Foligno/Perugia e il nord, via Terontola. ottenuto attraverso l'arretramento a Perugia o Foligno della coppia di «Frecciarossa» Arezzo-Milano e viceversa. Anche in questo caso i tempi di percorrenza sul percorso umbro rimarrebbero invariati. In merito, Ferrovie dello Stato italiane precisa che la coppia di Frecciarossa Arezzo-Milano e viceversa è inserita in una maglia cadenzata la cui modifica comporterebbe sovrapposizione di servizi; inoltre, la stessa società evidenzia che gli attuali orari di partenza del Frecciarossa 9500 (alle ore 6.11 da Arezzo e alle 6.53 da Firenze), sono funzionali alle esigenze di un vasto bacino di utenti; lasciando (necessariamente) invariati gli orari di partenza da Arezzo e Firenze, l'eventuale partenza dalle città umbre dovrebbe, pertanto, essere prevista in orari assolutamente inappetibili dal punto vista commerciale (intorno alle 4,30 del mattino da Foligno e intorno alle 5,00 da Perugia) ciò renderebbe ugualmente insostenibile economicamente tale prolungamento.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 16 febbraio 2017 la polizia municipale, nucleo Fenomeno degrado urbano e sociale del I Gruppo Trevi, di Roma, ha eseguito un'ordinanza del tribunale di Roma e sequestrato lo stabile Rialto Sant'Ambrogio, al Portico d'Ottavia. I locali sono tornati così a disposizione del dipartimento patrimonio di Roma Capitale, indipendentemente dall'utilizzo che se ne farà;
   l'azione messa in campo, senza alcun preavviso, ha visto nei fatti la riacquisizione coatta del suddetto immobile, dando seguito a quella che appare agli interroganti la nefasta delibera n. 140 del 2015 che vede mettere a rischio 750 spazi in tutto il territorio capitolino tra realtà sociali e culturali e, di fatto, sancisce la chiusura delle attività di produzione culturale, incontro e costruzione di percorsi partecipati e democratici che da anni animano un luogo sottratto al degrado e punto di riferimento della cittadinanza anche per l'inusuale collocazione nel centro storico urbano, in una città dove tali esperienze sono sempre più marginalizzate nelle periferie;
   da diversi mesi le associazioni che nell'edificio hanno le loro sedi – associazione Rialtoccupato, associazione Arci Roma, circolo Gianni Bosio, associazione Acqua Bene Comune onlus, Forum italiano dei movimenti per l'acqua, associazione per il Rinnovamento della Sinistra, associazione Trasform ! Italia, Forum Ambientalista, I.I.C.A. (Istituto internazionale consumo e ambiente), Austel (Associazione utenti servizi telefonici), Adp (Associazione diritti pedoni di Roma e Lazio), Cammina Città (Federazione italiana diritti pedoni e salvaguardia ambiente), associazione Attac Italia, MaschilePlurale, Archivio rivista Critica Marxista – si battono per trovare una soluzione alla vicenda, chiedendo il riconoscimento del valore sociale e culturale delle loro attività in questi spazi;
   alla fine degli anni ’90, l'ex scuola di via Sant'Ambrogio 4 era un edificio abbandonato e in rovina, e le associazioni, con il loro lavoro e a loro spese, l'hanno rimesso a nuovo e trasformato in un luogo di cultura e di politica di base fondamentale per la città di Roma. Il Rialto è un punto di riferimento per il teatro di avanguardia e per le arti figurative; il circolo Gianni Bosio, nel corso di questi anni, ha svolto almeno quattrocento concerti e duecento seminari, incontri, laboratori musicali (come ad esempio, l'unico corso di zampogna a Roma) ed è un punto di riferimento internazionale sulle culture orali e popolari; il forum ha promosso il referendum sull'acqua pubblica e le relative campagne di sensibilizzazione e altro;
   senza entrare nel merito del sequestro dello stabile, a giudizio degli interroganti, 750 spazi simili a quello del Rialto Sant'Ambrogio – perennemente in attesa di soluzioni e a rischio chiusura – in una città altamente popolosa come Roma, rappresentano una maniera alternativa per produrre cultura e informazione, e costituiscono una realtà diffusa e consolidata, rivolta a fasce di cittadini che altrimenti non ne usufruirebbero, che andrebbe valorizzata e sostenuta e mai osteggiata;
   in attesa di una legge che dopo 70 anni riformi, inquadri e regoli il teatro e lo spettacolo dal vivo, il 22 febbraio 2017 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha diffuso una pubblicazione, «Cultura e turismo, tre anni di Governo» sulle attività svolte, dove sottolinea il merito di aver dato, in questi anni, «sostegno pubblico alla prosa» che «ha cambiato radicalmente il sistema teatrale nazionale, ora più aperto alla ricerca e all'innovazione e all'incontro di nuovi pubblici» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se, nell'ambito delle sue competenze, intenda assumere iniziative, anche normative, per garantire un più ampio sviluppo del sistema teatro nazionale, e per sostenere in particolare i progetti innovativi che permettano la realizzazione di attività culturali e associative come quelle descritte in premessa.
(4-15743)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, prendendo spunto dalla situazione critica in cui si trovano numerose associazioni culturali a Roma, private di spazi a seguito della riacquisizione coattiva degli stessi da parte del comune di Roma, chiede quali iniziative il Governo intenda assumere per garantire un più ampio sviluppo del sistema nazionale del teatro e per sostenere progetti innovativi, proposti da realtà associative e culturali.
  Il teatro Rialto Sant'Ambrogio, per il triennio 2015/2017, non è beneficiario di alcun intervento di sostegno finanziario a carico del fondo unico per lo spettacolo in quanto non ha presentato domanda di contributo per nessuno degli ambiti di intervento previsti.
  L'attuale disciplina normativa riguardante l'erogazione di contributi ai settori dello spettacolo è costituita dal decreto ministeriale 1o luglio 2014. Tale decreto prevede e definisce i settori di intervento, le tipologie dei soggetti che, sulla base del possesso di determinati requisiti – quali, a titolo di esempio, il certificato di agibilità rilasciato dall'Inps, gestione ex Enpals un certo numero di giornate lavorative, di produzione e/o di programmazione, e altro – possono fare richiesta di contributo, la cui determinazione è commisurata al risultato ottenuto dalla valutazione dei progetti triennali presentati, riguardo alla loro qualità artistica e alla loro dimensione quantitativa.
  Luoghi e attività di spettacolo come quelli del Teatro Rialto e di altri gruppi o associazioni simili appartengono non tanto al profilo di spazi strutturati per la programmazione di spettacoli, quanto piuttosto al vasto fenomeno dei centri pluridisciplinari a carattere innovativo, sia sotto l'aspetto gestionale che per quello afferente ai contenuti e alle modalità dell'offerta culturale. Si tratta di spazi e iniziative che sono raramente adeguati a rispondere alle condizioni richieste dall'attuale normativa, sia in caso di attività a carattere produttivo che di ospitalità e programmazione, per accedere ai contributi.
  Presso la 7a Commissione Cultura Senato è in corso di esame il disegno di legge n. 2287-bis, presentato dal Ministro Franceschini, riguardante «Delega al Governo per il codice dello spettacolo». La proposta normativa mira a un complessivo riordino del sistema, comprensivo anche del sistema di erogazione dei fondi pubblici.
  Prima di affrontare l'esame della proposta di legge, la Commissione ha svolto una ampia fase di consultazione, dedicata all'ascolto delle categorie e delle rappresentanze di diverse espressioni delle professionalità dello spettacolo, tra le quali anche le realtà innovative che rappresentano inediti e originali spazi di incontro, di socializzazione e di creatività, tra le quali quelle che l'interrogante ha richiamato nell'atto ispettivo in esame, e che è opportuno che siano valorizzate.
  Pertanto, nell'ambito del disegno di legge di cui sopra, in considerazione della funzione dello sviluppo di nuove modalità di accesso e della fruizione di nuovi spazi, sono allo studio misure di sostegno anche dell'attività di tali centri, anche come possibilità di attingere ad agevolazioni per la ristrutturazione dei luoghi, adeguandoli agli standard e ai requisiti richiesti dalla normativa, sia sul piano della agibilità che della dotazione tecnica.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   MARTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di aprile 2016 l'Anas ha annunciato lo stanziamento di 7 milioni di euro per l'ammodernamento della strada statale n.16 nel tratto Maglie – Otranto, finalizzato al completamento dei lavori avviati nel 2010, (attraverso un progetto finanziato dal Governo Berlusconi) le cui opere nel corso dei successivi anni, hanno subito una serie di interruzioni e ritardi;
   l'interrogante segnala, che nel corso dell'avvio dei lavori, attraverso le sollecitazioni degli amministratori locali, il medesimo progetto fu integrato attraverso la realizzazione della complanare per l'uscita di Minervino di Lecce, sulla stessa strada statale n.16 Maglie – Otranto, considerata in precedenza irrealizzabile;
   nel 2012 la regione Puglia deliberò, tuttavia, che la suddetta complanare non sarebbe stata più realizzata, comunicando tale decisione al comune di Palmariggi, in provincia di Lecce, direttamente interessato dal passaggio della suddetta strada statale;
   al riguardo, l'interrogante rileva che, a seguito dei lavori eseguiti e in fase di ultimazione, nonostante la complanare sia stata realizzata, sebbene parzialmente e fra l'altro asfaltata soltanto per 3 metri, le condizioni attuali sono di estrema difficoltà nella viabilità, con gravi rischi per la sicurezza e l'incolumità degli utenti della strada;
   l'interrogante evidenzia, altresì, come ulteriori profili di criticità riguardino le difficoltà nel passaggio dei mezzi di trasporto nelle corsie del medesimo tratto stradale, considerate troppe strette, nonché le complicazioni per gli automobilisti obbligati a transitare nel, comune di Palmariggi per recarsi a Minervino di Lecce;
   gli effetti negativi e penalizzanti del mancato completamento dello svincolo, nonché dei complessivi ritardi dell'ammodernamento del tratto della strada stradale n. 16 Maglie – Otranto in prossimità di Minervino di Lecce, si ripercuotono, a giudizio dell'interrogante, in modo grave e netto sull'economia locale, soprattutto quella turistica, i cui dati nazionali riportano risultati particolarmente positivi ed in crescita, in termini di attrattività, specie negli ultimi anni;
   a tal fine, occorre rilevare come quell'area territoriale, che interessa numerosi comuni, fra i quali Minervino di Lecce e Uggiano la Chiesa, sia caratterizzata da numerose strutture ricettive e villaggi turistici particolarmente frequentati nel periodo estivo, il cui numero di turisti) così importante, accresce di conseguenza i rischi in termini di sicurezza e viabilità del traffico veicolare;
   risulta pertanto incomprensibile, a parere dell'interrogante, il ritardo nella realizzazione del completamento della complanare per Minervino di Lecce, sia con riferimento ai discutibili annunci della commissione regionale dell'Anas, che di recente ha sostenuto l'impossibilità nel proseguire i lavori a causa della mancanza dei fondi, (nonostante nel progetto iniziale stati invece inseriti) che della scarsa in relazione alla scarsa attenzione e alla trascuratezza, da parte dello stesso gestore della rete stradale, nei riguardi delle comunità locali interessate, considerato che è fondamentale la connessione tra efficienza delle infrastrutture legate ai collegamenti stradali, con il successo del sistema turistico, che nel Salento rappresenta un elemento imprescindibile per la crescita e l'occupazione –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se sia a conoscenza dei ritardi esistenti per il completamento della complanare nella strada statale n.16 Maglie – Otranto, in prossimità dello svincolo per Minervino di Lecce;
   se corrisponda al vero che l'interruzione dei lavori stradali sia causata dalla mancanza dei fondi previsti ora progetto, come di recente dichiarato dall'Anas;
   in caso affermativo, se non ritenga urgente e necessario assumere iniziative, al fine di prevedere lo stanziamento di risorse aggiuntive per la realizzazione definitiva dell'opera stradale interessata;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché l'ente gestore della rete stradale – Anas velocizzi la conclusione dei lavori stradali nel tratto esposto in premessa, nel caso in cui le risorse siano effettivamente disponibili nell'ambito del progetto, evitando la prosecuzione delle difficoltà e degli ostacoli per le comunità locali interessate (quasi otto mila abitanti tra Minervino di Lecce e Uggiano la Chiesa), che attualmente sono escluse dalla strada statale n. 16 Maglie – Otranto, con evidenti ripercussioni negative per le attività commerciali e turistiche locali. (4-13907)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e della società Anas.
  L'ammodernamento della strada statale 16 adriatica, tra il chilometro 985+000 e il chilometro 999+100 prevedeva l'ampliamento da 2 a 4 corsie con carreggiate separate, la realizzazione di una viabilità di servizio (complanari), la ricucitura (con la realizzazione di nuovi sottovia e cavalcavia) e la sistemazione di molti tratti della viabilità secondaria esistente per migliorare l'accessibilità nell'entroterra salentino dagli svincoli dislocati lungo l'asse principale.
  Il 5 agosto 2016 è stato aperto al traffico Passe principale della statale 16 e successivamente sono stati completati i restanti lavori.
  Per quanto attiene alla complanare per l'uscita di Minervino di Lecce, Anas segnala che il progetto definitivo di ammodernamento della statale, approvato in conferenza di servizi nel 2006, non prevedeva la realizzazione di uno svincolo diretto sulla strada provinciale 59, «Palmariggi-Minervino» di Lecce né preesisteva alcuna connessione diretta tra la strada statale e la suddetta strada provinciale.
  Il progetto esecutivo, nel confermare la soluzione prevista nel progetto definitivo, per garantire il collegamento della citata provinciale 59 alla statale 16 prevedeva la realizzazione dello svincolo di «Palmariggi Est» (ubicato a circa 900 metri più avanti rispetto alla strada provinciale 59 e a poco più di 300 metri dall'esistente incrocio a raso da dismettere), che con una pericolosa manovra in curva (a sinistra) si innestava sulla viabilità di penetrazione a Palmariggi e successivamente sulla strada provinciale 59.
  Tale svincolo avrebbe consentito il superamento dell'asse principale per i veicoli provenienti da Maglie, attraverso un cavalcavia le cui rampe si sarebbero dovute innestare su una strada di servizio, a sinistra rispetto alla direzione Maglie-Otranto, dalla quale era possibile raggiungere la strada provinciale per Minervino.
  La complanare cui fa riferimento l'interrogante era, invece, contemplata nel progetto approvato in conferenza di servizi, a destra rispetto alla direzione Maglie-Otranto, ma non prevedeva alcun innesto sulla strada provinciale sopracitata, essendo destinata a servizio dei frontisti.
  Per quanto riguarda la complanare per Minervino, si rappresenta che la regione Puglia con deliberazione di giunta n. 972 del 21 maggio 2013 ha rilasciato in sede di intesa Stato-Regione relativamente al tratto tra lo svincolo di Palmariggi Ovest (escluso) e lo svincolo di Otranto (compreso) il relativo parere paesaggistico, mentre ha rilasciato l'attestazione di compatibilità paesaggistica per l'intero tronco Maglie- Otranto, in deroga alle prescrizioni di base del piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio (PUTT/P) con il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica a condizione che non venisse realizzato il cavalcavia precitato previsto allo svincolo di Palmariggi est e che venisse semplicemente bitumata la viabilità rurale esistente in luogo del previsto allargamento della stessa.
  Attenendosi, pertanto, alle prescrizioni ricevute dalla regione Puglia, per i veicoli provenienti da Maglie è necessario utilizzare il precedente svincolo di «Palmariggi Ovest per raggiungere la strada provinciale per Minervino e per quelli provenienti da Otranto occorre utilizzare il successivo svincolo di Giurdignano stazione. Il primo percorso obbliga gli utenti all'attraversamento dell'abitato di Palmariggi, mentre il secondo prevede un tragitto extraurbano con l'utilizzo della viabilità complanare a sinistra» con un allungamento del tragitto, tra andata e ritorno, di circa 2 chilometri.
  Anas fa presente che non si è verificato alcun ritardo nel completamento della complanare per Minervino (quella a destra) poiché la perizia di variante, che ha recepito le prescrizioni dei vari enti comprese quelle della regione Puglia, ha previsto la sola risagomatura della viabilità rurale preesistente (peraltro già realizzata) senza alcun allargamento della sede stradale evitando, in questo modo, la distruzione dei muri a secco, l'abbattimento delle querce vallonee e degli ulivi monumentali.
  Anas riferisce, altresì, di aver prestato attenzione nei riguardi delle comunità locali interessate dai lavori di ammodernamento della statale: il responsabile del procedimento dei lavori ha più volte incontrato i sindaci e gli amministratori locali, effettuando anche sopralluoghi sulla viabilità rurale come richiesto durante una audizione convocata dalla V commissione consiliare della regione Puglia in data 6 aprile 2016.
  All'esito dei suddetti incontri Anas ha illustrato, nell'audizione in V commissione del 27 aprile 2016, l'unica soluzione che permetteva di accogliere le richieste avanzate dai comuni di Palmariggi, Minervino di Lecce e Uggiano la Chiesa, condivise peraltro, dalla commissione consiliare regionale, dall'assessore regionale all'assetto del territorio e dal sindaco di Minervino.
  In tale sede Anas ha precisato che per la realizzazione dell'uscita diretta per Minervino sarà necessario avviare l’iter approvativo previsto dalla normativa vigente e che tale progetto potrà trovare adeguata copertura finanziaria dai ribassi d'asta rivenienti dall'appalto di alcune opere di completamento previsti nel quadro economico dei lavori principali.
  Entrando, poi, nel merito della soluzione proposta, Anas evidenzia che per quanto riguarda i veicoli provenienti da Otranto e diretti a Minervino e per quelli provenienti da Minervino e diretti a Maglie, viene confermato il percorso previsto nel progetto approvato in conferenza di servizi. Per gli utenti provenienti da Maglie e diretti a Minervino sarà perfezionato il progetto presentato in sede di audizione, attraverso la realizzazione di una uscita diretta dalla strada statale 16 con l'innesto sulla strada provinciale 59, tramite un'intersezione a rotatoria, soluzione di gran lunga migliorativa rispetto a quella prevista nel progetto originario.
  Infine, per i veicoli provenienti da Minervino e diretti ad Otranto, l'immissione sulla statale avverrà attraverso lo svincolo di Giurdignano stazione, percorrendo la strada complanare in sinistra, come già previsto nel progetto originario, che prevedeva un tragitto coincidente fino alla rotatoria per il santuario di Montevergine. Da tale punto, poiché è stato soppresso il cavalcavia di Palmariggi est, gli utenti proseguiranno, senza sensibile allungamento dei tempi di percorrenza, sino al predetto svincolo di Giurdignano stazione.
  Anas riferisce, infine, che ha già in corso di redazione la progettazione del nuovo svincolo ed è in contatto con i sindaci dei comuni interessati dalla nuova opera, i quali sono stati rassicurati sulla tempistica di avvio dei lavori, che prevede l'invio degli elaborati da sottoporre all'approvazione degli enti competenti entro la fine dell'anno in corso e successivamente la predisposizione degli atti di gara necessari.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   MATARRESE, DAMBRUOSO, VARGIU e PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   L'analisi dei dati del monitoraggio sullo stato della programmazione e della realizzazione delle infrastrutture strategiche al 31 dicembre 2016 evidenzia un divario di investimenti dello Stato tra le regioni del centro nord e quelle del sud;
   le risorse assegnate alla data del 31 dicembre 2016 (al netto dei fondi Fsc del Piano operativo infrastrutture approvato dal CIPE) per le opere prioritarie sono 4,357 miliardi di euro ripartite in 2,902 miliardi al centro nord e 1,455 miliardi al sud. Il 97 per cento del suddetto importo è per infrastrutture ferroviarie;
   il costo delle opere prioritarie al dicembre 2016 è di 89,6 miliardi di euro suddiviso in 53,606 miliardi al centro nord (60 per cento) ed in 35,964 miliardi al sud (40 per cento);
   la disponibilità dei suddetti importi è del 76,75 per cento al nord e del 63,60 per cento al centro sud che ha quindi un maggior fabbisogno di risorse. Di conseguenza, la distribuzione territoriale delle risorse, in termini di disponibilità, è la seguente: 65 per cento, al Centro-Nord e 35 per cento per il Sud;
   i lavori in corso nel centro nord sono pari a 53,6 miliardi di euro, mentre al sud sono 35,964 miliardi dei quali solo 1,9 miliardi sono per lavori con contratto da iniziare, mentre al centro nord i medesimi lavori ammontano a 14,6 miliardi. I lavori senza contratto al sud sono pari al 50 per cento dei lavori in corso mentre nel centro nord sono il 18 per cento;
   analogamente, il costo per opere non prioritarie al centro nord è di 136 miliardi di euro (72 per cento), dei quali il 43 per cento già esaminate dal CIPE, mentre al sud è di 50,5 miliardi (28 per cento), dei quali il 28 per cento esaminati dal CIPE. La disponibilità finanziaria al centro nord è doppia rispetto al sud (58,536 miliardi al centro nord e 21,593 miliardi al sud);
   per le infrastrutture al sud, al netto dei fondi comunitari e FSC in arrivo, vi sono meno risorse rispetto al resto del Paese, con una minor copertura dei finanziamenti in termini di disponibilità, una ridotta quantità di lavori da iniziare in tempi brevi, un minor numero di opere esaminate dal CIPE;
   il primo Documento pluriennale di pianificazione (DPP), da adottare entro il 19 aprile 2017, dovrà definire una nuova disciplina per la programmazione delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese e individuare un nuovo elenco di opere prioritarie;
   il Piano operativo infrastrutture, approvato dal Cipe il 1° dicembre 2016, prevede 11,5 miliardi di euro di interventi infrastrutturali da appaltare entro il 2019 e rappresenta, insieme ai programmi dei fondi strutturali che prevedono circa 12 miliardi di euro di investimenti infrastrutturali per il Sud, una risorsa fondamentale i cui tempi di attivazione risultano tuttavia molto deludenti. Dopo 4 mesi, la delibera CIPE di approvazione del Piano operativo infrastrutture FSC deve ancora essere pubblicata mentre i programmi dei fondi strutturali, ed in particolare la relativa componente infrastrutturale, stentano a decollare. Secondo la Commissione europea, infatti, nel corso dell'autunno 2016, l'Italia era al 21° posto in Europa per percentuale di progetti selezionati nell'ambito della nuova programmazione, con un tasso di progetti selezionati pari al 14,1 per cento rispetto a una media UE del 20,1 per cento –:
   se i dati in premessa corrispondano al vero, quali siano le motivazioni alla base della penalizzazione che interessa gli investimenti infrastrutturali al Sud Italia e quali iniziative di propria competenza intenda adottare al fine di riequilibrarli e consentire che siano realizzati in tempi brevi per recuperare un divario che persiste da troppo tempo. (4-16155)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame sulla base delle informazioni pervenute dalla struttura tecnica di missione (STM) di questo Ministero si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Per quanto riguarda i dati indicati nella premessa dell'interrogazione, si fa presente che con il superamento, formale e sostanziale, della legge obiettivo (legge n. 443 del 2001) e l'emanazione del nuovo codice degli appalti (decreto legislativo n. 50 del 2016), è venuto meno l'obbligo normativo di predisporre l'aggiornamento annuale del programma delle infrastrutture strategiche, (PIS) proprio perché già nel 2016, e a maggior ragione nel 2017, l'allegato infrastrutture al Def aggiornato sia tale programma, sia il quadro di riferimento per le politiche dei trasporti, dando il via alla nuova stagione imperniata sul processo di riforma in atto.
  I dati di monitoraggio riportati si riferiscano quindi ad una fase conclusa, di cui sono stati analizzati, in vari contesti, tutti i limiti e le criticità; proprio partendo da tale analisi, si è avviato il nuovo corso della politica dei trasporti e delle relative strategie di programmazione e pianificazione. Di seguito, in risposta all'ultimo quesito posto dagli interroganti, si illustra sinteticamente il nuovo quadro relativamente alla programmazione degli interventi prioritari per il Mezzogiorno.
  In ogni caso, considerando le sole opere prioritarie del Pis 2015 (dati al 31 dicembre 2016) dalla banca dati «Open-cantieri» è possibile evincere un dato fondamentale per quanto riguarda la capacità di ripresa degli investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno, quello che evidenzia la percentuale dei lavori realizzati (registrati tramite Stato avanzamento lavori) rispetto al contrattualizzato: per le opere del Mezzogiorno tale percentuale è pari al 60,89, a fronte di un dato nazionale pari al 56,80 per cento.
  Come evidenziato di seguito, la ripresa dello sviluppo infrastrutturale del Mezzogiorno è quindi un processo ormai in atto, e l'evidenza degli effetti di tale processo è attesa nel medio ma anche già nel breve periodo.
  In merito, poi, al quesito circa le motivazioni alla base della penalizzazione che interessa gli investimenti infrastrutturali al sud Italia, si ricorda che la residuale penalizzazione esistente per quanto riguarda gli investimenti infrastrutturali realizzati ed in corso nel sud Italia, rispetto al resto del Paese, è legata a ragioni storiche, di cui sono ancora percettibili gli effetti, ma la prospettiva auspicata è che tale penalizzazione vada ad esaurirsi velocemente, alla luce delle numerose iniziative messe in atto, grazie ai nuovi strumenti di pianificazione e programmazione delle opere infrastrutturali e delle relative risorse finanziarie.
  Nel periodo 2001-2013 era infatti tornato ad allargarsi lo storico divario di produzione e reddito tra nord e sud Italia: il Pil prodotto nel Mezzogiorno è risultato pari solo al 20 per cento del Pil nazionale; la quota di export prodotta nel sud è risultata ancora più bassa, il 10 per cento; il tasso di occupazione è risultato essere del 42,6 per cento contro un dato nazionale al 56,3 per cento (dati 2015). La politica industriale basata su iniziative produttive volte a costituire «poli» di sviluppo nel territorio meridionale, ha finito per generare un modello economico a macchie di leopardo, penalizzato ulteriormente da una scarsa attrattività degli investimenti, da difficoltà di accesso al credito anche per le imprese sane, dal mancato sostegno alle iniziative imprenditoriali più avanzate – tanto sul piano tecnologico quanto su quello organizzativo. A questo quadro di contesto è andata ad aggiungersi una inadeguata capacità di programmazione che aveva dimostrato in quegli anni la pubblica amministrazione, ostacolata anche dalle sovrapposizioni di competenze tra livelli di governo e da una mancata valorizzazione del fattore umano.
  Nonostante queste premesse, l'economia del Mezzogiorno presentava e presenta evidentemente notevoli potenzialità, essendo una realtà viva che potrebbe contribuire alla ripresa produttiva dell'intero Paese: i punti di forza più evidenti del tessuto economico meridionale possono infatti costituire un volano per la trasformazione dell'insieme dell'economia del territorio, se collocati nel contesto attuale di politica industriale innovativa e in uno scenario di infrastrutture e servizi adeguati e facendo leva sul coinvolgimento delle istituzioni meridionali e della società civile. Per questo, gli stanziamenti di risorse pubbliche italiane ed europee, da destinare alla politica di coesione nel periodo di programmazione 2014-2020 (che produrrà spesa a tutto il 2023) sono rilevanti e non possono considerarsi inadeguati: le risorse aggiuntive pari a 11,5 miliardi di euro stanziate tramite il piano operativo, 2014-2020 di competenza di questo ministero, in attuazione alla delibera Cipe n. 25 fondo sviluppo e coesione del 10 agosto 2016, ne costituiscono solo l'ultimo tassello in ordine di tempo; in questi primi mesi del 2017 si stanno mettendo a sistema le diverse fonti di finanziamento disponibili per perseguire il nuovo corso, ormai avviato da più di un anno, anche grazie all'istituzione del Fondo unico per gli investimenti, previsto dall'articolo 1 comma 140 della legge n. 232 del 2016.
  Infine, in merito all'ultimo quesito, si fa presente che uno degli obiettivi dei nuovi strumenti di pianificazione e programmazione delle opere infrastrutturali in Italia è proprio quello di garantire livelli minimi di accessibilità anche alle aree più periferiche del Paese, colmando in tempi brevi il divario esistente tra regioni del nord e regioni del sud Italia. I nodi del sistema Paese, che dovrebbero essere sempre più fortemente interconnessi tra loro, sono infatti costituiti dalle principali aree urbane e metropolitane, dai poli manifatturieri, dai centri turistici e culturali che, pur rappresentando l'ossatura del sistema economico nazionale, vivono tutt'oggi situazioni di marginalità, proprio per la scarsa accessibilità dei territori, soprattutto per quanto riguarda il sud.
  Il recentissimo allegato al Def 2017 «Connettere l'Italia: fabbisogni e progetti di infrastrutture» appena pubblicato, in continuità con la nuova stagione delle politiche infrastrutturali avviata da questo Ministero, anticipa le linee di indirizzo strategico per l'individuazione dei fabbisogni infrastrutturali al 2030, che costituiranno parte integrante del primo documento pluriennale di programmazione sulla base delle quali saranno individuate le priorità di intervento per Paese: tra i criteri di identificazione di tali priorità, coerentemente con la strategia generale di «Connettere l'Italia», particolare rilevanza assumono lo stato di maturità progettuale, le risorse già investite ed il fabbisogno finanziario delle opere, la condivisione con il territorio, per poter dare concreta e immediata attuazione alle innovazioni proposte, garantendo nello stesso tempo continuità rispetto agli impegni assunti in passato, soprattutto se sono presenti obbligazioni vincolanti. Per garantire livelli minimi di accessibilità a tutte le aree del Paese e colmare il divario esistente tra Mezzogiorno e centro-nord, nel nuovo allegato, su circa un centinaio di interventi e programmi prioritari, almeno la metà sono investimenti destinati alle regioni del Mezzogiorno: 7 programmi di interventi (su un totale di 14) riguardano altrettante città metropolitane del centro-sud con l'obiettivo di potenziare i sistemi di trasporto rapido di massa, completando le realizzazioni in corso e sviluppando i nuovi piani urbani della mobilità sostenibile; 10 programmi sono relativi all'efficientamento e allo sviluppo dei sistemi portuali, con attenzione mirata alle realizzazioni di ultimo miglio ferroviario e stradale per la connessione alla rete dei porti e degli interporti e per il rilancio dei porti del sud (Napoli, Gioia Tauro, Bari, Salerno, Taranto, Palermo); un programma di investimenti è dedicato ai collegamenti degli aeroporti, tramite metropolitana o rete Rfi (Rete ferroviaria italiana), con i principali nodi urbani (fra cui per il Centro-Sud, Napoli, Catania e Lamezia Terme): su 20 direttrici stradali che saranno valorizzate e potenziate, il 50 per cento è costituito da interventi che coinvolgono il Mezzogiorno. Un discorsi particolare merita lo sviluppo del sistema ferroviario passeggeri e merci del sud Italia: la modalità ferroviaria, infatti, è quella, per la quale, attualmente, è possibile osservare un'enorme disomogeneità territoriale tra nord Italia e Mezzogiorno. L'allegato al Def 2017 si è voluto porre, tra gli obiettivi, il superamento di questo gap, garantendo alle direttrici ferroviarie del sud ben 6 programmi di intervento, su un totale di 13 potenziamenti, con la previsione di ottenere importanti benefici, come la netta riduzione dei tempi di percorrenza, l'inclusione territoriale e l'avvicinamento delle grandi aree metropolitane.
  A livello di risorse economiche, solo per il completamento degli interventi considerati «invarianti» sono necessari ulteriori 35 miliardi di euro, rispetto alle risorse già finanziate dai canali disponibili fino al 31 dicembre 2016.
  A livello esemplificativo, se si considerano i soli sistemi di trasporto rapido di massa delle città metropolitane, il 77 per cento delle risorse economiche da reperire per il loro completamento, pari a circa 6.3 miliardi di euro sarà destinato al centro-sud.
  Per la copertura del fabbisogno residuo, il nuovo codice degli appalti ha previsto all'articolo 202 l'istituzione di un Fondo infrastrutture, finanziabile con le risorse di cui al comma 3 del medesimo articolo. Inoltre, il già citato fondo investimenti (articolo 1 comma 140 della legge n. 232 del 2016), caratterizzato da un orizzonte programmatorio molto lungo e da una forte interazione con gli obiettivi e le strategie di «Connettere l'Italia», prevede una concentrazione dei finanziamenti nella prima fase programmatoria, destinati ad infrastrutture e ad interventi che discendono da tali obiettivi e strategie. Successivamente, il fondo verrà rimodulato anno per anno anche in base all'effettiva capacità di spesa consuntivata.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   MONGIELLO, BOCCIA, GRASSI, MICHELE BORDO, VENTRICELLI, LOSACCO, MASSA, CAPONE, MARIANO, GINEFRA e DI GIOIA. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la rivista « Il Test-Salvagente» ha promosso una petizione denominata «StopTriclosan: togliete l'antibatterico pericoloso da dentifrici e saponi intimi», tramite la quale si chiede a determinate aziende del settore di articoli di profumeria, saponi e prodotti per toletta e per l'igiene personale, di eliminare il «triclosan» come ingrediente antibatterico nei loro saponi, detergenti o altri cosmetici per l'igiene della persona;
   l'iniziativa della petizione è scaturita a seguito del divieto emanato dalla statunitense Food and Drug Administration (FDA), di produrrei saponi antibatterici che contengono una delle 19 sostanze raccolte in una lista (tra cui il triclosan nei saponi liquidi e il trilocarban nei solidi). La decisione riguarda circa 2.100 prodotti, che dovranno essere riformulati o ritirati dal commercio entro anno;
   il triclosan, come anche descritto in numerosi rapporti riscontrabili sui sistemi informativi di settore (vedasi ad esempio www.saluteme.it), è un antibatterico presente in innumerevole prodotti per la casa, per la cura della persona, nei cosmetici, in ambito medico e, insieme al bisfenolo A, ad alti livelli, può essere associato, negli adulti, ad una minore capacità del sistema immunitario;
   secondo i dati dello studio dell’University of Michigan School of Public Health, che ha condotto una ricerca per vedere gli effetti che l'uso dei prodotti detergenti hanno nel lungo periodo, l'eccessivo uso di prodotti per l'igiene, sembra associato ad un aumento delle allergie;
   del triclosan è stata certificata la sua persistenza ad accumularsi negli organismi e ne sono state ritrovate tracce perfino nel latte materno. Si teme che nel tempo possa anche rafforzare i batteri contro l'azione dei comuni antibiotici;
   il triclosan può causare mutazioni genetiche che possono provocare un aumento delle difese dei batteri contro gli antibiotici;
   di fronte a questi dati, indubbiamente allarmanti, sarebbe il caso che anche l'Europa prendesse le opportune misure di precauzione. Questa sostanza attualmente non è vietata in Europa, nonostante venga considerata un potenziale interferente endocrino (ha struttura molecolare e formula chimica simili a quelle della diossina). L'altro rischio è di favorire lo sviluppo di antibioticoresistenza. L'uso prolungato e continuo di questi prodotti può, infatti, alterare la normale flora batterica cutanea, favorendo la crescita di batteri potenzialmente nocivi e resistenti ai farmaci. Un pericolo che in alcuni cosmetici, come i dentifrici e i saponi per l'igiene intima, è particolarmente grave –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati in merito ai rischi per la salute dei consumatori, derivanti dall'utilizzo del triclosan come ingrediente antibatterico nei prodotti per l'igiene della persona e più in generale nei saponi e nei prodotti di cosmesi;
   se, alla luce di quanto descritto, i Ministri non intendano attivarsi, per quanto di competenza, affinché siano rivisti tutti i parametri per l'uso del triclosan e, contestualmente, entro i limiti consentiti dalla normativa comunitaria e nazionale allo scopo applicabile, se non si intendano fornire utili indirizzi per proteggere i consumatori dai rischi per la salute che tale antibatterico può procurare. (4-14235)

  Risposta. — Il triclosan è un agente antibatterico, riconosciuto come ingrediente con funzioni di conservante e deodorante nei prodotti cosmetici.
  Lo « Scientific Committee on Consumer Safety» (SCCS), comitato scientifico per la sicurezza dei consumatori, istituzione dell'Unione europea, il quale fornisce pareri sui rischi per la salute e riguardo alla sicurezza dei prodotti di consumo non alimentari, tra cui cosmetici e loro ingredienti, sulla base di nuovi dati presentati ed in accordo all'articolo 31 del Regolamento (CE) 1223/2009, ha rivisto e valutato il profilo di sicurezza d'uso in varie categorie di prodotti ed ha emesso un parere in data 22 marzo 2011, che costituisce un «addendum» alla precedente «opinion» del gennaio 2009.
  Secondo tale parere, l'impiego di triclosan ad una concentrazione massima dello 0,3 per cento in dentifrici, saponi, saponi per il corpo/gel doccia e deodorante stick, è considerato sicuro, così come l'uso aggiuntivo di triclosan nelle ciprie e correttori di macchia a questa concentrazione.
  L'uso di triclosan in altri prodotti (ad esempio, lozioni per il corpo) non è considerato sicuro per il consumatore a causa delle conseguenti elevate esposizioni.
  L'esposizione per inalazione di triclosan da prodotti spray (ad esempio, deodoranti) non è stata valutata.
  Per quanto concerne l'uso di triclosan in collutori a un limite di concentrazione di 0,15 o 0,2 per cento, esso è considerato sicuro per il consumatore dal punto di vista tossicologico; non è considerato invece sicuro l'uso a più alte concentrazioni (0,3 per cento).
  L'esposizione dei consumatori ad un utilizzo ulteriore del triclosan in prodotti per unghie ad una concentrazione di 0,3 per cento, è considerato trascurabile (sicura), in base alle disposizioni della destinazione d'uso e frequenza (ogni 3 a 4 settimane, o ogni 2 settimane come caso peggiore).
  Sulla base di tale parere, con il recente Regolamento (Ue) n. 358 del 2014 della Commissione europea del 9 aprile 2014, il triclosan è stato normato come sostanza soggetta a restrizioni d'uso nei prodotti cosmetici, alla voce numero 25 dell'allegato V del regolamento (CE) n. 1223 del 2009.
  Sulla base di quanto ivi previsto, il triclosan è ammesso esclusivamente ad una percentuale non superiore allo 0,3 per cento in dentifrici, saponi per le mani, per il corpo/gel doccia, deodoranti (non spray), ciprie e correttori, prodotti per le unghie, per la pulizia delle unghie delle mani e dei piedi prima dell'applicazione di unghie artificiali, ed in una percentuale non superiore allo 0,2 per cento nei collutori.
  L'impiego in altre tipologie di cosmetici o a percentuali superiori a quelle ora indicate non è consentito.
  Queste restrizioni sono state adottare proprio per garantire il rispetto dei criteri di sicurezza dei prodotti come indicati dall'SCCS, per assicurare l'uniformità di regolamentazione per questa tipologia di prodotti, nel rispetto dell'articolo 9 del regolamento (CE) n. 1223 del 2009 («Gli Stati membri non rifiutano, vietano o limitano, per motivi inerenti alle esigenze contenute nel presente regolamento, la messa a disposizione sul mercato di prodotti cosmetici conformi ai requisiti stabiliti nel presente regolamento»).
  È necessario evidenziare che il provvedimento restrittivo dell'Autorità statunitense, di cui all'interrogazione parlamentare in esame, è riferibile ad una tipologia di prodotto diversa dai cosmetici: il provvedimento, infatti, concerne prodotti aventi funzione antisettica ed antibatterica (ad esempio, saponi antibatterici), non rientranti nella disciplina del Regolamento (CE) n. 1223 del 2009).
  In ogni caso, in presenza di rischi potenziali per la salute umana e/o sulla base del progresso tecnico e scientifico, l'articolo 31 del Regolamento (CE) n. 1223 del 2009 consente sempre, previo parere dell'SCCS, la modifica dei propri allegati che disciplinano le restrizioni o divieti di utilizzo delle sostanze nei prodotti cosmetici; in tal senso, con specifico riguardo al triclosan, il Ministero della salute, quale autorità competente italiana in materia di prodotti cosmetici, parteciperà attivamente e con la dovuta cura a tutte le iniziative che saranno instaurate a livello comunitario per valutare eventuali nuovi dati per la sicurezza di tale sostanza.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   MURGIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 1998 è stato definitivamente chiuso l'Ospedale psichiatrico provinciale Villa Clara di Cagliari, ed è stato creato un fondo che raccoglie, le sedicimila cartelle cliniche dei pazienti approdati nella struttura nei cento anni sua attività;
   ciascun fascicolo reca sul frontespizio il numero di matricola corrispondente al paziente ricoverato e contiene tutti i documenti relativi alla sua permanenza nella struttura, non solo quelli strettamente medici ma anche le lettere dell'ammalato che non sono mai state spedite, come anche quelle rivolte dai familiari alla direzione dell'ospedale;
   in origine i faldoni contenenti le cartelle erano collocati negli uffici dell'ospedale, ma nel 2010 sono stati trasferiti all'Archivio di Stato di Cagliari, contestualmente incaricato di provvedere alla loro conservazione e inventariazione, dopo che nel 2004 la soprintendenza archivistica per la Sardegna aveva effettuato un primo censimento generale con la schedatura di settecento cartelle cliniche, e nel 2007 era stato avviato un nuovo censimento coi l'obiettivo di digitalizzare i dati, progetto poi sospeso a causa dell'inagibilità dei locali della Asl;
   il trasferimento del fondo era stato disposto proprio perché la competente azienda sanitaria locale di Cagliari non era in possesso degli strumenti e delle tecniche necessarie per evitare il rischio della dispersione di un patrimonio documentario di così grande interesse storico, ma ad oggi il fondo è abbandonato e l'inventario non è neppure iniziato per mancanza di personale;
   le persone che desiderano ricevere delle informazioni sui pazienti dell'ospedale Villa Clara possono solo rivolgersi alla competente azienda sanitaria locale la quale rilascia esclusivamente dei dati amministrativi relativi alla permanenza presso la struttura;
   gli anni trascorsi potrebbero aver già danneggiato il contenuto di alcuni fascicoli ed è urgente intervenire affinché questo enorme patrimonio di umanità, rappresentato dalle storie dei pazienti di Villa Clara non sia disperso e per restituire legittimamente ai parenti, dopo tanti anni, un pezzo della loro storia familiare –:
   se siano a conoscenza dei fatti riportati in premesse e quali iniziative intendano assumere in merito, garantendo la conservazione, la classificazione e l'accessibilità dei citati documenti. (4-15783)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento al fondo archivistico del ex ospedale psichiatrico provinciale Villa Clara di Cagliari, che raccoglie circa sedicimila cartelle cliniche dei pazienti ospitati da tale struttura, chiede quali iniziative si intenda assumere per garantirne la conservazione, la classificazione e l'accessibilità.
  In relazione alla questione oggetto dell'atto ispettivo cui si risponde, la direzione generale archivi ha comunicato quanto segue.
  L'archivio dell'ex ospedale psichiatrico di Cagliari (estremi cronologici 1896-1998) è costituito dalle cartelle cliniche dei ricoverati, che in origine erano in parte collocate entro armadi lignei con antine chiuse e in parte su scaffalature metalliche. La differente collocazione era legata alla costituzione di due diverse serie principali: una formata dai fascicoli considerati correnti (anche quelli dei pazienti ricoverati nella sezione staccata di Dolianova, un comune nei pressi di Cagliari) e l'altra dai fascicoli dei malati deceduti quando ancora si trovavano ricoverati.
  Ogni fascicolo ha annotato sulla coperta uno o più numeri di identificazione che si riferiscono al numero di matricola attribuito all'ammalato a ogni suo ricovero.
  La procedura d'ingresso prevedeva che l'ammalato fosse registrato su un apposito registro cronologico in ordine progressivo per data di ricovero (che ricominciava ogni anno dal numero 1) e che, contestualmente, gli fosse attribuito un numero di identificazione o di matricola. Tale numero è progressivo fino al 1978, anno in cui per effetto della legge n. 180 del 1978, fu costituita una serie di fascicoli degli ammalti presenti in ospedale a quella data, che aumentò negli anni successivi con gli ingressi di coloro che potevano ancora essere ricoverati in manicomio perché erano già stati ospitati in quella struttura prima della legge n. 180.
  Le carte sanitarie erano tenute in reparto per tutta la durata della degenza e, quando l'ammalato veniva dimesso, erano ricongiunte al resto del fascicolo e collocate in archivio in base all'ultimo numero di identificazione attribuitogli.
  Per ottenere una quantificazione approssimativa delle unità archivistiche è necessario riferirsi alle rubriche alfabetiche per paesi, dove a fianco al nome del paziente erano annotati gli anni dei ricoveri. Il dato cronologico dava la chiave di ricerca nel registro di ingresso e di conseguenza il numero di identificazione del fascicolo che veniva così prelevato.
  Le rubriche alfabetiche per paesi sono varie: due, piuttosto voluminose, riguardano tutti i paesi della Sardegna, altre cinque sono state ricopiate solo con le annotazioni riguardanti i pazienti provenienti dai paesi più popolosi della provincia di Cagliari o da quelli che hanno dato il contributo più cospicuo di ricoverati.
  Completano i mezzi di corredo sei rubriche alfabetiche per nome di ricoverato. Lo stesso sistema di registrazione era seguito nella sezione staccata di Dolianova.
  Con l'emanazione della legge n. 180 del 1978 fu necessario individuare i malati che a quella data erano presenti nella struttura e che non potevano essere dimessi a causa del loro stato di salute. Questa disposizione di carattere normativo incise nella tenuta dell'archivio. I fascicoli degli ammalati che non potevano essere dimessi furono, infatti, prelevati, nuovamente numerati progressivamente a partire dall'1 al 750: da questo momento il numero di matricola rimase, per ciascun malato, sempre lo stesso per ogni ricovero.
  Per la ricerca fu impiantato uno schedario con cartellini rosa per le donne e azzurri per gli uomini, disposti in ordine alfabetico, recanti l'identificazione del numero di fascicolo.
  Usando i dati riassuntivi presenti nelle rubriche alfabetiche per paese di provenienza si è calcolato che i ricoverati a Villa Clara sono stati complessivamente poco più di 16.000.
  Risale già al 2004 il censimento generale del fondo e la schedatura di 700 cartelle cliniche a cura della soprintendenza archivistica per la Sardegna.
  Nel 2007 fu avviato un nuovo censimento finalizzato alla digitalizzazione dei dati, che però fu sospeso per inagibilità dei locali. La documentazione era, infatti, conservata in un container di anguste dimensioni, del tutto privo di impianti antifurto e antincendio.
  Nello stesso anno, a cura di Anna Castellino e Anna Paola Loi, è stata allestita dalla soprintendenza al palazzo regio di Cagliari una mostra dal titolo «Pazzescamente», che valorizzava il materiale documentario di quest'archivio.
  Nell'aprile 2010 il fondo è stato versato all'archivio di Stato di Cagliari, ai sensi dell'articolo 41, comma 4, del decreto legislativo n. 42 del 2004 (versamento degli archivi degli enti pubblici estinti nell'archivio di Stato territorialmente competente), non essendone garantita la conservazione nei locali della Asl.
  Si segnala che la documentazione amministrativa dell'ospedale è compresa nell'archivio della provincia di Cagliari.
  L'archivio comprende fascicoli personali dei ricoverati, registri d'ingresso e rubriche alfabetiche a essi collegati.
  Nei fascicoli sono confluite: ordinanze di ricovero corredate dalle relazioni dei medici di famiglia, dalle lettere dell'ammalato mai spedite e da quelle dei familiari al direttore, dalla corrispondenza tra l'ospedale e la provincia di Cagliari o il municipio di soccorso o altri enti ancora, quali il tribunale o il Ministero della difesa; così pure l'intera storia clinica dei pazienti, riassunta nella tabella nosologica e nella cartella clinica compilate dai medici.
  Dalla fine della II guerra mondiale in avanti sono presenti anche le foto dei pazienti e i referti di analisi cliniche.
  I fascicoli sono materialmente divisi in due serie principali: 1) ricoverati deceduti in manicomio, 2) ricoverati dimessi. A parte sono poi archiviati i fascicoli di una terza serie relativa ai ricoverati nella «Sezione staccata di Dolianova» che operò per alcuni anni, in tempi relativamente recenti. All'interno della terza serie i fascicoli sono ordinati esclusivamente in base al numero di matricola assegnato al paziente in occasione dell'ultimo ricovero.
  La direzione generale archivi ha promosso da molti anni il progetto «Carte da legare. Archivi della psichiatria in Italia». Nel sito dedicato al progetto (www.cartedalegare.san.beniculturali.it) sono pubblicate tutte le informazioni sopra riportate dalle quali è evidente come l'archivio non sia stato abbandonato, ma anzi è ben conosciuto e monitorato da questa Amministrazione.
  In relazione alle criticità rilevate dell'interrogante, si rammenta che il trasferimento all'archivio di Stato di Cagliari è stato disposto con urgenza nel 2010, benché l'istituto fosse già all'epoca in carenza di spazi e di personale, per scongiurare il rischio concreto di perdita del materiale archivistico (costituente bene culturale, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, lettera b), del codice dei beni culturali e del paesaggio) dovuto alle condizioni di conservazione assolutamente non idonee. Le carte pervennero stipate in scatole senza indicazioni esterne che potessero orientare la ricerca. Ciò nonostante l'archivio di Stato ha sempre fatto il possibile per rispondere alle richieste di consultazione pervenute sia direttamente che tramite la Asl.
  Nel luglio 2015 la nuova direttrice dell'archivio di Stato ha provveduto ad acquistare armadi destinati a ospitare la documentazione dell'ex ospedale psichiatrico e, grazie alla collaborazione del personale dell'Istituto, ha avviato un lavoro di ricognizione del materiale contenuto nelle scatole.
  A seguito di un appello promosso dal giornalista Alessandro Zorco, pubblicato nel pomeriggio del 14 febbraio 2017 sulla piattaforma change.org, la direzione generale archivi ha chiesto informazioni circa lo stato delle carte oggetto dell'appello alla direzione dell'archivio di Stato di Cagliari e ha sollecitato la predisposizione di un progetto di intervento da realizzarsi anche ricorrendo agli strumenti informatici (software Arcanamente) predisposti dalla direzione stessa nell'ambito del progetto «Carte da legare». La direttrice dell'archivio di Stato ha trasmesso il progetto richiesto, comprensivo di spostamento dei materiali e collocamento nei nuovi armadi, nonché di schedatura delle cartelle cliniche con il software Arcanamente. La direzione generale ha disposto lo stanziamento di 1000,00 euro (così come richiesto) per la movimentazione del materiale archivistico con ordine di accreditamento sui fondi del capitolo 3030, piano gestionale 16, e sta provvedendo a reperire ulteriori risorse, nell'ambito di quelle disponibili, per la schedatura delle cartelle cliniche.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   NACCARATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la casa di reclusione «Due Palazzi» di Padova è stata teatro negli scorsi mesi di gravi episodi che hanno generato un'inchiesta giudiziaria dalla quale è emerso un traffico di stupefacenti e di schede Sim per telefonia cellulare all'interno del carcere con il coinvolgimento di detenuti e di alcuni addetti alla sorveglianza;
   di fronte a questi eventi il Ministro della giustizia ha tempestivamente disposto un intervento di controllo del penitenziario per far luce sull'accaduto e per ripristinare le normali condizioni all'interno del carcere;
   all'esito dell'intervento, nel mese di ottobre 2015, è stato disposto l'avvicendamento delle figure apicali della dirigenza dell'istituto;
   nonostante l'intervento del Ministero, in questi giorni si sono verificati alcuni fatti che destano preoccupazione e che meritano ulteriore attenzione;
   nei primi giorni del mese di novembre 2015, nel corso di una perquisizione, sono stati rinvenuti 8 telefoni cellulari nella disponibilità dei detenuti, dei quali rimane ancora sconosciuta la provenienza;
   inoltre, da qualche tempo la casa di reclusione compare in un profilo facebook dal quale si diffondono messaggi distorti e poco consoni ad un ufficio pubblico dai compiti così delicati;
   in particolare, nel profilo casa reclusione N.C. Di Padova «due Palazzi» appaiono immagini che inneggiano al regime fascista e scritte che negano il valore rieducativo della pena –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per far luce sui recenti episodi citati e per rafforzare i controlli sull'amministrazione del carcere Due Palazzi di Padova. (4-11022)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante – pur prendendo atto delle iniziative intraprese da questo ministero nel mese di ottobre 2015, a fronte degli incresciosi episodi che hanno interessato la casa di reclusione di Padova «Due Palazzi» e che hanno dato luogo ad un'inchiesta giudiziaria per traffico di stupefacenti e introduzione illecita di telefoni cellulari all'interno dell'istituto – rappresenta che, ciononostante, nel mese di novembre 2015, nel corso di una perquisizione, sono stati nuovamente rinvenuti 8 telefoni cellulari nella disponibilità di alcuni detenuti; rileva, inoltre, che l'istituto compare in un profilo Facebook da cui verrebbero diffusi messaggi inneggianti al fascismo e che negano il valore rieducativo della pena.
  Su tali premesse, chiede di conoscere quali iniziative si intendano adottare per far piena luce sui fatti in parola e per rafforzare i controlli sull'amministrazione del carcere di Padova.
  In relazione alle questioni prospettate, come riferito dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, all'indomani dei gravi fatti accaduti presso il predetto istituto veniva svolta apposita visita ispettiva – precisamente dal 29 giugno al 1o luglio 2015 – all'esito della quale venivano impartite al direttore dell'istituto di Padova una serie di prescrizioni volte ad intensificare e programmare, in modo sistematico, le attività di controllo e perquisizione delle celle, dei locali e dei detenuti, unitamente al rafforzamento delle misure di prevenzione di illecite forme di introduzione.
  E proprio grazie all'intensificazione dei controlli disposti dal nuovo direttore dell'istituto, in ottemperanza alle prescrizioni dell'ufficio ispettivo e alle disposizioni impartite dal direttore generale del personale e della formazione, già nel mese del suo insediamento (ottobre 2015) e nel mese successivo è stato possibile rinvenire, all'interno del carcere, ulteriori telefoni cellulari (8 nel mese di ottobre e 5 nel mese di novembre dell'anno 2015).
  Le operazioni di controllo, proseguite sistematicamente anche nell'anno 2016, hanno consentito il rinvenimento di ulteriori 12 telefoni cellulari ed altri 5 sono stati rinvenuti nell'anno in corso.
  Al fine di identificare gli autori di ogni forma di illecita introduzione, preme evidenziare come anche l'autorità giudiziaria è stata notiziata del traffico illecito di stupefacenti e di schede sim all'interno dell'istituto di Padova, cui l'interrogazione si riferisce.
  La procura della Repubblica di Padova, interpellata sui fatti, ha comunicato che per tale vicenda sono state svolte indagini preliminari negli anni 2013-2014, nell'ambito del procedimento penale n. 10201 del 2013 R.G.N.R.
  In particolare, ha riferito che le attività illecite risultavano poste in essere anche con la complicità di alcuni agenti della polizia penitenziaria: tra giugno e dicembre 2014, sono state, infatti, eseguite numerose ordinanze cautelari, 8 delle quali a carico di agenti di polizia penitenziaria. Il processo è attualmente in fase dibattimentale, ma numerose posizioni sono già state definite con patteggiamento e altri riti alternativi.
  La procura della Repubblica di Padova ha, inoltre, comunicato che, nell'ambito di ulteriori indagini ancora in corso, sono stati eseguiti numerosi sequestri di telefoni cellulari, schede sim e sostanze stupefacenti.
  Ha precisato, infine, che nulla è mai emerso nel corso delle indagini sin qui svolte relativamente a fatti di apologia del regime fascista o a messaggi di critica o disprezzo circa la funzione riabilitativa della pena, che sarebbero stati diffusi tramite il profilo Facebook della casa di reclusione di Padova; né che l'ufficio sia stato notiziato dalla direzione dell'istituto dell'esistenza di un profilo Facebook, riferibile all'istituto medesimo.
  Rispetto a tale ultima questione, anch'essa oggetto dell'atto di sindacato ispettivo, l'amministrazione penitenziaria ha assicurato l'assoluta estraneità ai fatti.
  Sulla base degli elementi forniti, emerge che sono state prontamente adottate tutte le iniziative necessarie a reprimere il fenomeno e i responsabili dei fatti accertati sono stati adeguatamente e tempestivamente perseguiti.
  Più in generale, si rassicura l'interrogante che l'amministrazione penitenziaria presta la massima attenzione alla questione, purtroppo non limitata all'istituto di Padova, nella piena consapevolezza della delicatezza della medesima, provvedendo, con iniziative a livello centrale, a monitorare i casi di ingresso illecito negli istituti dei telefoni cellulari ed impartendo direttive volte a rafforzare i controlli da parte del personale di polizia penitenziaria.
  Con specifico riguardo alla questione relativa al profilo Facebook riconducibile alla casa di reclusione di Padova, mi preme rappresentare che, più in generale, il tema del contrasto alte diffusione on line di messaggi di odio riveste carattere prioritario per il Ministero che rappresento, nella piena consapevolezza che il compito dello Stato è proteggere le vittime dell'odio, ma anche aiutare i soggetti a reagire e a difendersi, utilizzando la potenza stessa del web.
  In questa prospettiva, ho presentato, il 3 novembre scorso, insieme ai rappresentanti di Facebook, le linee guida «Pensa prima di condividere», per l'utilizzo consapevole dei social media e per la sicurezza online, e ancora, recentemente, ho incontrato molte delle associazioni della società civile per individuare un percorso condiviso per costruire un'alleanza, una roadmap contro la propaganda d'odio veicolata sulla rete.
  Ho, inoltre, avviato un monitoraggio, d'intesa anche con il Ministero dell'interno e l'UNAR presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, sui provvedimenti giudiziari relativi ai reati d'odio ed è in corso di elaborazione un disegno di legge che prevede ulteriori meccanismi inibitori e di rimozione dei contenuti lesivi dalle piattaforme internet.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   NASTRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza della Corte di Cassazione relativa al maxi processo cosiddetto «Eternit», emessa la scorsa settimana, che ha prosciolto tutti gli imputati del processo iniziato nel 2009, volto ad individuare i responsabili delle oltre tre mila vittime e centinaia di malati causati dal contatto con l'amianto utilizzato negli stabilimenti della multinazionale di Casale Monferrato, in provincia di Torino, ripropone il tema della difficile quanto complessa rivisitazione della normativa relativa al cosiddetto reato di prescrizione breve, in questo caso riferito al disastro ambientale;
   l'annullamento delle condanne e dei risarcimenti in favore delle parti civili ha infatti evidenziato le complicazioni croniche dell'intero sistema sistema e a giustizia italiana e le criticità derivanti dall'introduzione nel 2005 della revisione dei tempi che ha dimezzato i termini della prescrizione, vanificando spesso il lavoro investigativo e istruttorio dei magistrati e delle forze dell'ordine;
   l'interrogante evidenzia come la dolorosa vicenda Eternit e la decisione di procedere in via prioritaria a un intervento normativo per modificare la legge cosiddetta ex Cirielli, all'indomani della citata sentenza conclusasi con l'annullamento della condanna del magnate elvetico Stephan Schmidheinyset, probabilmente sospinta dall'indignazione trasversale che ha coinvolto la maggior parte delle forze politiche, risultino paradossali; si fa riferimento ad alcune dichiarazioni del Governo ed in particolare del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale a tal proposito, ha dichiarato come occorra intervenire rapidamente per modificare il reato di prescrizione breve;
   a tal proposito l'interrogante rileva come in tema di riforma della prescrizione, il Presidente del Consiglio dei ministri, avesse sin dal mese di aprile 2014 manifestato l'intenzione d'intervenire in tal senso, annunciando il provvedimento lo scorso 29 agosto; in realtà, esso non è mai effettivamente giunto all'attenzione del Parlamento;
   la vicenda relativa alla sentenza Eternit, a giudizio dell'interrogante, dimostra quanto sia micidiale la normativa vigente e che urge a tal proposito modificarla in tempi rapidi, in particolare con riferimento alla legislazione in materia ambientale e di reati connessi –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se intenda confermare l'intenzione del Governo, di assumere ogni iniziativa di competenza per avviare in tempi rapidi la riforma della prescrizione, il cui disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 29 agosto 2014, non è mai giunto all'attenzione del Parlamento. (4-06993)

  Risposta. — Richiamando importanti arresti giurisprudenziali in tema di estinzione del reato di disastro colposo, con l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante chiede quali iniziative normative il Governo intenda assumere al fine di riformare l'istituto della prescrizione.
  Va, a riguardo, premesso che – come noto – la Corte di cassazione, con sentenza del 19 novembre 2014, n. 7941, ha annullato, senza rinvio, la sentenza della corte d'appello di Torino, che aveva condannato l'imputato Schmidheiny Stephan, nella qualità di effettivo gestore della società Eternit S.p.a., per il reato di cui all'articolo 434 del codice penale, dichiarandone la prescrizione in seguito alla determinazione del momento consumativo, risalente all'epoca della condotta, e non già al tempo della compiuta realizzazione dell'evento.
  In buona sostanza, ed in estrema sintesi, la suprema corte ha definito la nozione di disastro e ne ha circoscritto il momento di consumazione, emettendo le conseguenti statuizioni in ordine alla decorrenza del termine di prescrizione dei reati contestati.
  È noto, difatti, come le gravi patologie, in vari casi aventi conseguente mortali, addebitabili, a seguito di adeguata valutazione probabilistica, alla prolungata inalazione di fibre di amianto da parte dei lavoratori addetti, insorgano a notevole distanza temporale dall'esposizione.
  Siffatta cesura temporale tra l'esposizione al rischio e l'insorgenza della malattia, cui spesso consegue la morte, impone la necessità di previsioni normative adeguate a tutelare la salute e la vita delle persone esposte.
  In linea generale, la considerazione per cui le valutazioni scientifiche sulla pericolosità dell'amianto hanno richiesto articolati percorsi di sintesi non può giustificare la stratificazione di una normativa disorganica e frammentaria, che moltiplica competenze diverse e non coordinate, e che finisce per risolversi in un vuoto di tutela.
  Non è stato, difatti, sinora raggiunto l'obiettivo unitario di conferire coerenza alle diverse forme di tutela attraverso un assetto normativo sistematico, capace di garantire adeguatamente l'uniformità e l'effettività delle decisioni giudiziarie, la salvaguardia dei beni comuni e la tutela dei diritti di rango costituzionale.
  Si iscrivono, però, in questa prospettiva recenti iniziative normative, che manifestano la chiara volontà del Governo di assicurare forme sempre più efficaci di difesa dell'ambiente, della salute e di tutela delle vittime, attraverso il riconoscimento di maggiori diritti e strumenti di ristoro.
  La protezione dell'ambiente ha conosciuto un deciso potenziamento grazie agli sforzi profusi per varare la riforma degli «ecoreati».
  Con la legge n. 68 del 22 maggio 2015 è stato, difatti, introdotto nel codice penale un nuovo titolo, specificamente dedicato ai reati contro l'ambiente, all'interno del quale hanno trovato ingresso i nuovi delitti di inquinamento ambientale, di disastro ambientale, di traffico e abbandono di materiale radioattivo e di impedimento al controllo. In relazione a tali condotte, finalmente inquadrate in puntuali fattispecie di reato, è stato previsto un trattamento sanzionatorio severo ed è, inoltre, stata prevista la responsabilità della persona giuridica nei casi in cui il reato sia commesso nell'interesse di una società.
  Con specifico riferimento al tema della prescrizione, va sottolineato come i termini di cui all'articolo 15 del codice penale siano stati raddoppiati, nella prospettiva di potenziare l'effettività della tutela, anche in considerazione dell'orientamento interpretativo, evocato nell'atto di sindacato ispettivo, secondo cui «Nel delitto previsto dal capoverso dell'articolo n. 434 del codice penale, il momento di consumazione del reato coincide con l'evento tipico della fattispecie e quindi con il verificarsi del disastro, da intendersi come fatto distruttivo di proporzioni straordinarie dal quale deriva pericolo per la pubblica incolumità, ma rispetto al quale sono effetti estranei ed ulteriori il persistere del pericolo o il suo inveramento nelle forme di una concreta lesione» (Cass. Pen. Sez. I, n. 7941 del 19 novembre 2014 cit.).
  La tutela delle vittime dell'amianto si colloca, ancora, entro le coordinate tracciate, più in generale, dalla recente legislazione, che ha conferito un rinnovato ruolo nella dinamica del procedimento penale alla persona offesa dal reato, in applicazione del principio del superiore interesse della vittima, ora recepito con il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212.
  Il decreto attua la «Direttiva vittime di reato», in vigore dal 20 gennaio 2016, che realizza in concreto il diritto a garanzie nel contesto dei servizi di giustizia riparativa, in una rinnovata prospettiva di elisione ed attenuazione delle conseguenze antigiuridiche del reato, nel doveroso adeguamento agli standard europei.
  Le istanze di complessiva razionalizzazione della materia in un unitario disegno di legge sono, inoltre, rimesse alle iniziative normative elaborate dalla II assemblea nazionale sull'amianto, promossa, nello scorso novembre, dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro.
  Il disegno di legge (Atto Senato 2702) intende costituire un vero e proprio «Testo unico sull'amianto» a tutela della salute collettiva, e si propone il riordino, il coordinamento e l'integrazione della normativa in materia di amianto.
  Viene istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, l'agenzia nazionale amianto con compiti multidisciplinari, tra i più importanti dei quali vi è il coordinamento della vigilanza in materia ambientale, assicurativa, previdenziale e di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
  Il provvedimento normativo interviene, inoltre, nella materia della prescrizione modificando l'articolo 157 del codice penale, segnatamente sui termini di prescrizione dei reati di danno, dolosi e colposi, nonché dei reati di pericolo.
  Si propone, inoltre, il raddoppio dei termini di prescrizione per l'irrogazione delle sanzioni amministrative da reato agli enti collettivi.
  Quanto agli aspetti processuali, infatti, si modificano gli articoli 221 e 225 del codice penale; i termini delle indagini preliminari e della prescrizione vengono raddoppiati quando si proceda per i reati di disastro, lesioni e morte per malattie asbesto-derivate; si stabilisce l'obbligo di assunzione della testimonianza e della perizia con le forme dell'incidente probatorio, anticipandole dunque nella fase delle indagini, per tener conto del rischio che le vittime dell'amianto abbiano una ridotta aspettativa di vita.
  È, inoltre, contemplata l'ammissione delle vittime e dei loro familiari al patrocinio a spese dello Stato nei processi per disastro, omicidio, lesioni.
  Siffatta disciplina si muove in linea con le finalità di accelerazione dell'accertamento processuale, nel rispetto delle garanzie, perseguite, in generale, dal disegno di legge sul processo penale, appena approvato dal Senato, che contiene sostanziali innovazioni anche del regime della prescrizione.
  La definitiva approvazione delle riforme in itinere consentirà di salvaguardare più efficacemente anche i diritti delle vittime dell'amianto, nel profondo convincimento che dall'effettività della tutela giudiziaria passi davvero il grado di civiltà di una comunità.
  Sotto il profilo del potenziamento delle ulteriori forme di tutela, la cosiddetta legge di stabilità 2016 ha già previsto che «Le prestazioni assistenziali di cui all'articolo 7, comma 116, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, a favore dei malati di mesotelioma che abbiano contratto la patologia o per esposizione familiare a lavoratori impiegati nella lavorazione dell'amianto ovvero per esposizione ambientale comprovata e che siano deceduti nel corso dell'anno 2015 possono essere erogate agli eredi, nella misura fissata dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 4 settembre 2015 ripartita tra gli stessi, su domanda, corredata di idonea documentazione, presentata dai medesimi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le prestazioni di cui al presente comma sono erogate a valere sulle disponibilità presenti nel Fondo per le vittime dell'amianto, di cui all'articolo 1, comma 241, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, istituito presso l'INAIL, nei limiti delle somme individuate dal citato decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 4 settembre 2015 e destinate alla copertura delle spese per le prestazioni in favore degli aventi diritto per l'anno 2015».
  Il comma 250 dell'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, cosiddetta legge di stabilità 2017, ha altresì introdotto, entro alcuni limiti finanziari, il diritto alla pensione di inabilità per i soggetti affetti da alcune malattie connesse all'esposizione lavorativa all'amianto anche per i casi in cui manchi il presupposto dell'inabilità assoluta.
  La norma ha, inoltre, previsto modifiche ai relativi requisiti contributivi.
  Le azioni risarcitone per danni conseguenti alla nocività dell'ambiente lavorativo determinata dall'esposizione all'amianto trovano, invece, il loro generale riferimento nel disposto dell'articolo 2087 del codice civile, in relazione alle fonti disciplinanti gli obblighi del datore di lavoro di adottare le necessarie misure di prevenzione del rischio.
  Al fine di assicurare la massima tempestività nella decisione delle relative controversie, le predette forme di tutela sono azionabili secondo le disposizioni generali dettate per il contenzioso in materia di lavoro e previdenza obbligatoria.
  Anche la ricerca di maggiore celerità di questi processi si inserisce nel solco delle iniziative, normative ed organizzative, che negli ultimi tre anni ho posto in essere per la maggiore efficienza dei processo civile.
  Merita, infine, di essere segnalata la costituzione, nel maggio 2016, di un tavolo interistituzionale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per l'individuazione delle misure del piano nazionale amianto che richiedono adeguate coperture finanziare, l'aggiornamento periodico del piano stesso, l'individuazione delle misure prioritarie e l'indizione di una conferenza nazionale sull'amianto, a cadenza periodica.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si legge sui giornali calabresi, nei giorni scorsi si sarebbe verificato un nuovo presunto caso di malasanità nella regione;
   un uomo i 61 anni, Giuseppe Delfino, è deceduto – secondo quanto riportato in un esposto degli avvocati Aurelio Chizzoniti e Francesco La Salvia – mercoledì 3 giugno 2015, al «Sant'Anna Hospital» di Catanzaro;
   nel suddetto atto vengono ricostruite le ultime ore di vita del signor Delfino a cui, il 27 maggio scorso, dopo essere stato sottoposto a esame coronografico al «Sant'Anna Hospital» di Catanzaro, è stato consigliato un intervento urgente a causa di un'occlusione circolatoria. L'operazione è avvenuta due giorni dopo. «Il decorso operatorio – è scritto nell'esposto – era scandito dall'assoluta normalità dei valori di riferimento, al punto che il paziente, collocato in terapia intensiva, riusciva addirittura ad alimentarsi»;
   secondo quanto si legge sul portale della testata «Il Corriere della Calabria», «domenica scorsa, però, la moglie di Delfino nota un «mostruoso» gonfiore lungo tutto il corpo del marito. Il medico, subito contattato, dice che la situazione è sotto controllo. Ma la notte successiva qualcosa va male: i familiari vengono a sapere dalla clinica che il paziente deve essere sottoposto al più presto a un nuovo intervento, «sulla cui ratio venivano fornite notizie vaghe e ambigue». Dopo l'operazione, Delfino «in buona sostanza era mantenuto in vita meccanicamente»;
   a parere dell'interrogante, sono legittimi i pesanti dubbi espressi dai familiari della vittima (e che hanno portato gli stessi a presentare l'esposto succitato) circa l'operato dei medici della clinica Sant'Anna, anche per quanto verificatosi nelle ore successive al decesso;
   secondo quanto denunciato nell'esposto, infatti, l'avvocato Chizzoniti ha chiesto copia della cartella clinica, ma il medico «insisteva furbescamente perché il paziente, oramai in procinto di essere sottratto al meccanismo cuore-polmone, quindi praticamente deceduto, venisse sottoposto a esame autoptico presso la stessa clinica Sant'Anna, che però “concedeva” ai familiari la possibilità di farsi assistere da un medico di fiducia»;
   secondo quanto si legge su «Il Quotidiano del Sud» del 4 giugno 2015, a tale summenzionata «controfferta» della clinica, «la famiglia non ci sta e formalizza il diniego direttamente alla direzione amministrativa, che viene contestualmente informata dell'orientamento della famiglia di denunciare i fatti alla Procura di Catanzaro chiedendo altresì il sequestro della cartella clinica e l'autopsia sul cadavere del congiunto»;
   stando a quanto risulta all'interrogante, nonostante la volontà dei familiari di far eseguire l'autopsia ad un consulente tecnico di parte esterno all'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro (richiesta presentata formalmente alla Procura), la clinica si sarebbe opposta, informando i familiari «che sarebbe stata comunque effettuata l'autopsia, indipendentemente dalle azioni dei familiari del deceduto, mascherandola come urgenti accertamenti medico-legali». Da qui la richiesta del legale al procuratore di un «urgentissimo sequestro probatorio della cartella clinica afferente l'attività sanitaria espletata», «disponendo altresì l'esame autoptico sulla salma al fine di accertare le reali cause del decesso»;
   a parere dell'interrogante la strenua opposizione della clinica Sant'Anna alle richieste — legittime e lecite — dei familiari della vittima, non troverebbero apparenti e validi motivi;
   urge, anche in virtù di quanto accaduto nelle ore successive al decesso (pur rimanendo all'autorità giudiziaria il potere e dovere di disporre le perizie del caso) fare chiarezza sui trattamenti sanitari ricevuti dal paziente, poi deceduto;
   per quanto precisato, allora, appare fondamentale verificare che vi sia stato un rispetto delle procedure mediche previste, nel caso di specie, in relazione ai problemi di salute del paziente in argomento –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere al fine di acquisire elementi in merito alla vicenda descritta in premessa. (4-09548)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione parlamentare in esame, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base dei dati acquisiti a cura della prefettura – ufficio territoriale del Governo di Catanzaro.
  In data 28 luglio 2013, il paziente della casa di cura «Clinica S. Anna» di Catanzaro, venne sottoposto ad intervento chirurgico per «by-pass coronarico», presso il reparto di cardiochirurgia.
  Il 3 giugno 2015, il paziente decedeva e, nella stessa giornata, il figlio presentava una denuncia-querela per «omicidio colposo», presso la caserma dei Carabinieri di Catanzaro «Bellamena», per non avere ricevuto dai medici indicazioni univoche sulle cause del decesso del proprio genitore.
  Immediatamente informata, la competente procura della Repubblica disponeva la messa a disposizione dell'autorità giudiziaria della salma.
  Nella tarda serata dello stesso giorno, i congiunti del defunto si recavano presso la stessa caserma dei carabinieri per depositare un'altra querela, con la quale si chiedeva alla procura della Repubblica di Catanzaro l'urgentissimo sequestro probatorio ex articolo 253 del codice di procedura penale della cartella clinica e l'esecuzione dell'esame autoptico del paziente.
  La cartella clinica veniva quindi acquisita agli atti da personale della sezione di Polizia giudiziaria del nucleo investigativo salute e ambiente.
  In data 4 giugno 2015, la stazione Carabinieri di Catanzaro «Bellamena» ha trasmesso gli atti alla procura della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro.
  Il dirigente generale del dipartimento tutela della salute della regione Calabria ha fatto sapere di avere richiesto all'azienda sanitaria provinciale (ASP) di Catanzaro, competente per territorio, lo svolgimento di un «audit clinico», avvenuto in data 24 giugno 2015, alla presenza dei sanitari coinvolti nell'evento, nel quale è stata esaminata tutta la relativa documentazione.
  Il citato dipartimento ha, inoltre, riferito che dall'esame della predetta documentazione e dall'acquisizione di ulteriori elementi emersi nel corso dell’«audit clinico», è stata esclusa la presenza di criticità nel percorso diagnostico-terapeutico del paziente durante il ricovero presso la «Clinica S. Anna», pur non riuscendo ad individuare le cause del decesso; così come nelle conclusioni della relazione del referente per l’«audit clinico», risulta dimostrata la assiduità delle cure prestate al paziente, oltre alla acquisizione di tutti i consensi informati da parte dello stesso.
  Lo stesso dirigente generale del dipartimento ha sottolineato come anche la casa di cura «Clinica S. Anna», in occasione della improvvisa morte del paziente, avesse richiesto all'ASP di Catanzaro il riscontro autoptico, ai sensi dell'articolo n. 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990, al fine di accertarne le cause.
  In merito all'esame autoptico eseguito, in data 14 ottobre 2016 la procura della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti di «ignoti», ha avanzato al giudice per le indagini preliminari la «richiesta di archiviazione» per infondatezza della notizia di reato.
  Dalla voluminosa relazione sull'esame autoptico, in sintesi, si rileva che la morte del paziente «è riconducibile a shock cardiogeno con sindrome da bassa gittata a seguito di esteso infarto miocardico acuto durante degenza postoperatoria dopo rivascolarizzazione miocardica chirurgica (...) in conclusione non è possibile correlare causalmente il decesso alla condotta dei sanitari che eseguirono il secondo intervento alle ore 1,25 del 1o giugno 2015, pur confermando le censure avanzate dalla consulenza e ciò perché non è possibile documentare scientificamente (...) che una diversa scelta chirurgica avrebbe con criterio di quasi certezza evitato il decesso».
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PANNARALE, DURANTI, COSTANTINO, MELILLA e RICCIATTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa, si apprende del decesso di un detenuto nel carcere di Bari, avvenuto in data 28 maggio 2014;
   questi era ristretto nell'istituto di pena in attesa di giudizio per reati contro il patrimonio e la persona;
   il detenuto ventinovenne, pur non versando in condizioni di salute fisiche e mentali tali da far presagire un evento così tragico, si sarebbe suicidato, impiccandosi;
   tale evento critico si è verificato lo stesso giorno in cui è scaduta la moratoria della Corte europea, che poco più di un anno fa ha condannato l'Italia, per l'ennesima volta, a causa del mancato rispetto delle norme della Convenzione europea per i diritti dell'uomo in tema di divieto di trattamenti inumani e degradanti, e che si appresta a valutare se i provvedimenti italiani siano sufficienti a scongiurare ulteriori e numerose condanne;
   secondo una nota del Cosp (Coordinamento sindacale penitenziario), dall'inizio dell'anno, per quanto attiene alla popolazione carceraria, sarebbero sei i suicidi avvenuti in Italia e otto i tentativi di suicidio sventati;
   inoltre, da una nota del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) si apprende che negli ultimi tre anni, si sarebbero tolti la vita circa 190 detenuti (49 solo nel 2013) e più di 30 poliziotti penitenziari –:
   di quali informazioni disponga il Ministro circa l'evento drammatico citato in premessa, e se in qualche modo potesse essere evitato;
   quali elementi possa fornire circa l'idoneità delle strutture sanitarie del carcere di Bari a garantire adeguate cure alla popolazione penitenziaria, anche e soprattutto a seguito del trasferimento al Servizio sanitario nazionale (e quindi alle asl di competenza locale) dell'assistenza sanitaria negli istituti penitenziari (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° aprile 2008, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 30maggio 2008);
   più in generale, rispetto ai rilievi della Corte europea nei confronti del nostro Paese (sentenza «Torreggiani»), quali siano state le iniziative intraprese per migliorare le condizioni di vivibilità all'interno delle carceri e per scongiurare il ripetersi di tragici episodi, quale quello citato in premessa. (4-04996)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante segnala la vicenda di Alessandro Simone, deceduto il 28 maggio 2014, mentre si trovava detenuto preso l'istituto penitenziario di Bari, per suicidio.
  L'argomento rappresenta, evidentemente, un tema di estrema delicatezza, su cui è concentrato il massimo impegno da parte del ministero.
  Quanto allo specifico caso, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che ha disposto accertamenti ispettivi, non ha rilevato «specifiche responsabilità da parte degli operatori penitenziari in servizio presso la Casa Circondariale di Bari in ordine al decesso» di Alessandro Simone.
  Secondo quanto riferito, il detenuto, sin dall'ingresso in carcere, era stato preso in carico dai servizi di supporto psicologico e psichiatrico e sottoposto al regime di «grande sorveglianza».
  Nel corso del periodo di detenzione – ha rilevato l'amministrazione penitenziaria – Alessandro Simone aveva posto in essere, oltre ad atti di violenza verso terzi, anche gesti di autolesionismo, qualificati dagli specialisti, anche sulla scorta di quanto dichiarato dallo stesso detenuto, come atti dimostrativi funzionali ad ottenere il ricovero in un reparto ospedaliero.
  L'osservazione multidisciplinare costante e la collocazione del detenuto presso una cella, posta nelle immediate vicinanze del corpo di guardia, in compagnia di altri detenuti ad uno dei quali era stato affidato un ruolo di ausilio e controllo, non avevano, purtroppo, impedito l'evento del 28 maggio 2014.
  Secondo quanto riferito dalla competente articolazione ministeriale, il detenuto era stato tempestivamente soccorso dal personale di polizia penitenziaria e da quello medico in servizio nell'istituto che, dopo avere praticato gli interventi rianimatori di rito, ne aveva dovuto constatare il decesso.
  Escludendo, all'esito dell'inchiesta amministrativa, profili di responsabilità disciplinare, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha, altresì, rappresentato che la procura della Repubblica presso il tribunale di Bari ha avanzato, il 3 maggio 2016, richiesta di archiviazione del procedimento penale relativo al decesso di Alessandro Simone.
  Quanto all'idoneità della struttura di Bari a garantire adeguate cure alla popolazione detenuta, il medesimo dipartimento ha rilevato che «all'interno dell'istituto insiste un Centro Clinico ed è, inoltre, assicurata l'assistenza medica con la presenza di professionisti in 15 branche specialistiche».
  Il fenomeno, di cui il caso di Alessandro Simone rappresenta triste manifestazione, è alla mia costante attenzione, e mi vede direttamente impegnato in ogni iniziativa, necessaria ed utile, alla prevenzione del rischio di gesti di autolesionismo in ambiente carcerario.
  Finalità alla cui attuazione certamente concorre l'istituzione e la nomina, con decreto del Presidente della Repubblica del 1o febbraio 2016 e decreto del Presidente della Repubblica del 3 marzo 2016, del garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
  Nella consapevolezza della drammaticità di ogni atto di autolesionismo, occorre osservare, sotto il profilo statistico, che a partire dal 2013 il numero di suicidi all'interno degli istituti penitenziari ha avuto un sensibile decremento.
  Tra il 2009 e il 2012, infatti, il numero di casi è stato sempre annualmente superiore a 55, con un picco di 63 nel 2011, mentre pari a 45 e 46 sono stati gli eventi degli anni 2007 e 2008.
  Grazie al miglioramento della situazione nei nostri penitenziari, il numero si è ridotto in maniera significativa, registrandosi 42 casi di suicidio nel 2013, 43 nel 2014, 39 nel 2015, 39 nel 2016 e 10 sino al 28 febbraio 2017.
  Sul piano comparativo, poi, l'Italia, secondo le statistiche ufficiali del Consiglio d'Europa, registra uno dei tassi più bassi di casi di suicidio. Nell'ultima rilevazione del 2013, si registra un tasso di 6,5 su 10.000 casi in Italia, di 12,4 in Francia, di 7,4 in Germania, di 8,9 nel Regno Unito.
  I dati restano, in ogni caso, allarmanti e impongono un eccezionale sforzo dell'amministrazione penitenziaria, cui è demandata l'attuazione dei modelli di trattamento necessari alla prevenzione di ogni pericolo.
  Nella delineata prospettiva e alla luce delle analisi e delle riflessioni svolte nell'ambito degli stati generali dell'esecuzione della pena, il 3 maggio 2016 ho adottato una specifica «Direttiva sulla prevenzione dei suicidi», indirizzata al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, prescrivendo la predisposizione di un organico piano d'intervento per la prevenzione del rischio di suicidio delle persone detenute o internate, il puntuale monitoraggio delle iniziative assunte per darvi attuazione e la raccolta e la pubblicazione dei dati relativi al fenomeno.
  In attuazione della direttiva, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha predisposto un «Piano Nazionale per la prevenzione delle condotte suicidiarie in ambito penitenziario», cui hanno fatto seguito circolari attuative trasmesse ai provveditorati regionali.
  Le misure adottate dall'amministrazione penitenziaria attengono alla formazione specifica del personale, alla raccolta ed elaborazione dei dati ed all'aggiornamento progressivo dei piani di prevenzione. Sono state, inoltre, impartite istruzioni ai provveditorati regionali ed alle direzioni penitenziarie per la conclusione di intese con regioni e servizi sanitari locali, al fine di intensificare gli interventi di diagnosi e cura, nonché l'attuazione di misure di osservazione e rilevazione del rischio.
  L'amministrazione ha anche operato sul piano dell'organizzazione degli spazi e della vita penitenziaria, con incentivazione di forme di controllo dinamico volte a limitare alle ore notturne la permanenza nelle celle, in modo da rendere agevole l'osservazione della persona in ambiente comune e ridurre le condizioni di isolamento. Allo stesso scopo, sono state adottate misure volte a facilitare, anche attraverso l'accesso protetto ad internet, i contatti con i familiari.
  Il 3 marzo 2017, inoltre, si è svolta presso il Ministero della giustizia una riunione nel corso della quale ho incontrato, con il capo di gabinetto, tutti i referenti centrali e periferici dell'amministrazione penitenziaria, al fine di fare il punto sulle modalità di esecuzione, al livello locale prossimo agli istituti penitenziari, delle disposizioni contenute nella direttiva sulla prevenzione dei suicidi e sollecitarne, ove necessario, la completa e rapida attuazione. Sono state, inoltre, programmate attività di monitoraggio e verifica periodica degli interventi di prevenzione delineati, attività che saranno svolte istituto per istituto.
  Con la riunione del 3 marzo 2017 si è dato l'avvio ad un tavolo in convocazione permanente, che esaminerà costantemente i dati relativi allo stato di attuazione della direttiva che ogni referente è tenuto a raccogliere ed a trasmettere attraverso apposito monitoraggio. Le successive riunioni del tavolo, a partire dalla prima, si svolgono con stringente cadenza periodica.
  Il tema è stato, inoltre, affrontato anche nella riunione con i referenti dei tavoli tematici degli stati generali dell'esecuzione penale che, nell'ambito delle attività di monitoraggio dell'attuazione delle linee di intervento ivi declinate, si è tenuta il 22 marzo 2017.
  Relativamente alle condizioni detentive in ambito nazionale, infine, occorre evidenziare che la situazione sta progressivamente migliorando grazie ad un impegno politico intenso e costante, che è stato articolato in contestuali interventi di carattere normativo, organizzativo e di edilizia penitenziaria.
  Il riconoscimento a livello europeo dei risultati raggiunti dall'Italia nel settore del sovraffollamento carcerario, diminuito in maniera sensibile e non episodica, rappresenta la conferma della bontà del percorso intrapreso.
  L'azione sin qui svolta risulterà, infine, ulteriormente rafforzata dalle misure contenute nella riforma dell'ordinamento penitenziario, appena approvata dal Senato, che permetterà di introdurre strumenti adeguati per garantire una funzione davvero recuperatoria e risocializzante, in chiave costituzionalmente orientata, all'esecuzione penale.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Italia le disposizioni in materia di accesso all'esame di teoria informatizzato, per il conseguimento della patente di guida della sottocategoria AM e delle categorie A e B, presentano forti criticità per i soggetti affetti da disturbo specifico dell'apprendimento;
   secondo l’International Dyslexia Association «la dislessia è una disabilità dell'apprendimento di origine neurobiologica; è caratterizzata dalla difficoltà ad effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura. Queste difficoltà derivano da un deficit nella componente fonologica del linguaggio. Conseguenze secondarie possono includere problemi di comprensione nella lettura del testo scritto e una ridotta crescita del vocabolario e della conoscenza generale, conseguente ad una ridotta pratica nella lettura»;
   dal 6 luglio 2006, a seguito dell'introduzione dell'esame in modalità informatica, non è più possibile conseguire la valutazione per la patente di guida in forma orale. Il 25 ottobre 2007, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato la circolare prot. 98013 permettendo ai candidati con dislessia (previa consegna di regolare diagnosi medica attestante il disturbo), qualora ne necessitassero, di fruire dei file audio durante la prova teorica dell'esame. Tuttavia, come evidenziato dall'Aid, «tale strumento non risulta essere adeguato e sufficiente a garantire idonee condizioni di espletamento della prova». Piuttosto, secondo l'Aid risulterebbe efficace predisporre tempi più lunghi per lo svolgimento delle valutazioni;
   la legge n. 170 del 2010, normativa di riferimento in materia di dislessia, ha riconosciuto la necessità di applicare valide strategie relative allo svolgimento di esami di Stato per ogni ordine e grado di istruzione, di test di ammissione alle università e successivi esami e anche per concorsi statali;
   all'articolo 2, comma 1, lettera h), indica espressamente, tra le finalità, di «favorire il successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di supporto, garantire una formazione adeguata e promuovere lo sviluppo delle potenzialità» e di «adottare forme di verifica e di valutazione adeguate alle necessità formative degli studenti» con l'obiettivo di «assicurare eguali opportunità di sviluppo delle capacità in ambito sociale e professionale»;
   questi propositi non sembrano essere garantiti dalle attuali modalità di svolgimento degli esami citati in premessa;
   secondo un articolo di roma.corriere.it, «la legge non prevede disposizioni specifiche in materia di prove per l'acquisizione della patente di guida, ma come rilevato da Elena Dioli dell'Aid, «il termine «scolastico» può essere esteso in maniera conforme anche alla scuola guida e al relativo esame. Inoltre, lo sviluppo delle capacità sociali e professionali non può escludere un ambito come quello della patente. L'auto permette, infatti, ai ragazzi di lavorare e sviluppare la propria personalità sociale»;
   nel 2011, a seguito della legge n. 170 del 2010, l'Aid ha inviato una lettera al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per chiedere di concedere dei tempi maggiorati per lo svolgimento delle prove teoriche della patente ai concorrenti affetti da Dsa;
   nel decreto ministeriale n. 5669 del 12 luglio 2011, articolo 6, comma 3, è stata chiaramente espressa l'esigenza di riservare in sede di esami di Stato, ai candidati con disturbo specifico di apprendimento, «tempi più lunghi di quelli ordinari per l'espletamento delle prove da sostenere, oltre che l'utilizzazione di idonei strumenti compensativi»;
   in data 10 marzo 2015 l'Aid ha inoltrato nuovamente una missiva al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con la quale, ha lamentato che gli attuali strumenti utilizzati durante lo svolgimento degli esami per esaminandi affetti da DSA, «non risultano essere adeguati e sufficienti a garantire idonee condizioni di espletamento della prova»;
   l'associazione, inoltre, facendo riferimento alle vigenti normative previste dal decreto ministeriale menzionato per gli esami di ogni ordine e grado di studio, ha richiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'adeguamento di tali previsioni anche per la prova teorica per il conseguimento della patente;
   nello specifico, ha chiesto di introdurre nuovi strumenti compensativi come i testi scritti con caratteri tipografici ad alta leggibilità e l'utilizzo di file audio con sintesi vocale a più alta intelligibilità. Inoltre, l'Aid ha invitato il Ministro interrogato a semplificare i testi evitando la presenza delle doppie negazioni, e a prevedere, qualora venga richiesto dai candidati, l'esame orale –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, ritenga opportuno accogliere le istanze pervenute dall'Aid;
   quali iniziative intenda assumere, in relazione alle modalità di svolgimento degli esami per il conseguimento della patente di guida da parte dei candidati Dsa e secondo quali modalità intenda dare piena attuazione a tutti gli obiettivi previsti dall'articolo 2 della legge n. 170 del 2010, tali da assicurare, a tutti gli esaminandi, uguali opportunità di sviluppo delle proprie capacità in ambito sociale e professionale. (4-16242)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la motorizzazione di questo ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Attualmente, gli esami di teoria per il conseguimento di tutte le categorie di patenti di guida si svolgono con il sistema informatizzato. Il candidato visualizza su un monitor touch screen i quiz cui deve rispondere toccando, sullo schermo, la casella V (se ritiene vera la proposizione) o F (se, invece, la ritiene falsa).
  Detta procedura d'esame, ormai in uso dal 2007, garantisce il rispetto dei criteri di trasparenza, efficienza ed economicità cui deve informarsi la pubblica amministrazione nel rispetto dell'articolo 97 della Costituzione e si pone in linea con i programmi e gli indirizzi del Ministro della funzione pubblica in materia di codice dell'amministrazione digitale e conseguente smaterializzazione delle procedure amministrative cartacee.
  Peraltro, la direzione generale, pur con l'obiettivo primario di tutelare al massimo grado possibile la trasparenza e l'imparzialità delle procedure d'esame per il conseguimento delle patenti di guida, ha sempre tenuto conto, nell'emanazione delle disposizioni in materia, delle difficoltà che possono incontrare alcuni soggetti nella comprensione della lingua o la lettura dei testi.
  Per quel che concerne, in particolare, i candidati dislessici, la direzione generale, sentita l'associazione italiana dislessia, ha emanato, specifiche disposizioni sin dall'avvio della nuova procedura. Infatti, la circolare n. 98013/23 marzo 2005 del 25 ottobre 2007 consente a candidati che soffrono di disturbi specifici dell'apprendimento di ascoltare l'audio delle domande, superando, così, le difficoltà derivanti dalla semplice lettura dei quiz d'esame.
  Nel corso degli anni la procedura è stata attuata senza che, agli uffici competenti di questo ministero, siano state riscontrate criticità se non in rarissimi casi (ad oggi, sono stati segnalati solo due casi), per cui la direzione generale non ritiene necessario né opportuno accogliere le istanze presentate dall'associazione italiana dislessia, rappresentata dagli interroganti, per i motivi che seguono.
  Alcune di dette richieste, come l'utilizzo di font ad alta leggibilità o la semplificazione del testo evitando le doppie negazioni, non appaiono giustificate.
  Infatti, per quanto riguarda i font si è utilizzato il carattere più ampio possibile in relazione allo spazio a disposizione per il testo (e, ad oggi, non vi è stata, da parte delle migliaia di candidati che annualmente si sottopongono all'esame, alcuna richiesta di cambiamento del formato o della grandezza del font), mentre, per quel che concerne le doppie negazioni, è stata dedicata la massima attenzione per evitare di inserirne nelle domande d'esame, sin dalla modifica dei quiz del 2004 per il conseguimento delle patenti di guida delle categorie A e B. Pertanto attualmente non sono presenti domande con doppia negazione.
  Inoltre, circa l'utilizzazione di sintesi vocale a più alta intelligibilità, si consideri che l'amministrazione utilizza i sistemi attualmente più evoluti, appunto per offrire ai candidati che hanno difficoltà di comprensione dei testi la migliore definizione audio possibile.
  In merito all'applicazione, durante la fase di verifica dell'esame per il conseguimento della patente di guida, delle disposizioni previste dalla legge 8 ottobre 2010, n. 170, recante nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico, si evidenzia che dette disposizioni sono obbligatorie in ambito scolastico e non estendono la loro portata anche alle prove di abilitazione di cui all'articolo 121 del codice della strada.
  Alla luce dell'esperienza fin qui maturata la direzione generale non ritiene di dover apportare modifiche alla procedura dell'esame di teoria in uso stante gli esiti positivi a cui ha dato luogo. Peraltro, occorre considerare che una personalizzazione della procedura (come ad esempio sostenere la prova oralmente), richiesta, come sopra riferito, soltanto da un numero estremamente esiguo di candidati, può apparire, invece, discriminatoria nei confronti di tutti gli altri candidati con disturbi specifici dell'apprendimento, che giornalmente svolgono l'esame di teoria secondo il sistema tradizionale.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   RUSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   oltre 3 milioni di cittadini europei vivono e/o lavorano in Gran Bretagna;
   la «Brexit» è oramai alle porte e, fonti di Governo britannico, indicano che Theresa May avrebbe scelto il 15 marzo 2017 come data per invocare l'articolo 50 del Trattato di Lisbona, ovvero il via ai negoziati ufficiali per la «separazione» di Londra da Bruxelles;
   in preparazione di questi negoziati per la Brexit, il Governo britannico sta attivando una serie di procedure per ufficializzare a quali immigrati comunitari garantire o meno i diritti di residenza;
   per questo, migliaia di cittadini europei stanno cercando di acquisire lo status di «residenti stabili» che rappresenterebbe una sorta di garanzia legale per tutelare i diritti acquisiti dopo che Londra avrà lasciato definitivamente l'Unione europea;
   prima del 2015, i cittadini europei presenti in maniera permanente, da almeno 5 anni, in Gran Bretagna divenivano automaticamente residenti;
   alla fine del 2015 è stato rilasciato un questionario dal Governo inglese la compilazione del quale è conditio sine qua non per l'ottenimento dello status di residente;
   tale questionario si compone di ben 85 pagine (18 solo di istruzioni !) ed è pieno di richieste a giudizio dell'interrogante «cervellotiche», complesse quando non incomprensibili;
   a dimostrazione di ciò, si documenta, da 2 anni a questa parte, la fioritura di un vero e proprio businness di consulenti che si propongono di spiegarne la compilazione, con tariffario a partire dalle 1000 sterline in poi;
   tra le richieste più astruse si annotano: la richiesta di aver vissuto e lavorato in Gran Bretagna con continuità nell'ultimo quinquennio, producendo una serie di documenti di difficilissima reperibilità, o registrare quante (e tutte) le volte che un cittadino europeo ha lasciato il Regno Unito nel quinquennio in questione (impossibile: da tempo non ci sono più i timbri sul passaporto per spostamenti nella Unione europea);
   scrive un articolo de Il Corriere della Sera del 1° marzo 2017: «Vogliono buste paga, contratti di impiego, lettere dei datori di lavoro: richiesta impervia per tutti quelli che hanno operato nell'economia informale. In caso di lavoro autonomo, vogliono fatture ed estratti conto bancari. E se una è casalinga ? Che s'arrangi. In più, pare che al Ministero dell'interno siano diventati molto più rigidi nel valutare le richieste, sé non altro perché le domande sono triplicate dopo il referendum dell'anno scorso. I tempi d'attesa possono dilatarsi per mesi, durante i quali bisogna pure fare a meno del passaporto»;
   il Governo di Londra, inondato da richieste e proteste, ha dichiarato che si sta adoperando per rendere il processo più rapido possibile e che sta facilitando l’iter con una procedura online;
   da alcuni mesi si assiste, purtroppo, alla rinuncia da parte di molti cittadini a proseguire la loro permanenza in Gran Bretagna a vantaggio di un più percorribile trasferimento in altro Paese dell'Unione europea; ancora dall'articolo de Il Corriere della Sera sopracitato: «Londra. Bruno ed Emma hanno già deciso di fare le valigie e trovare riparo in Scandinavia. Lui, ricercatore francese nel campo delle energie rinnovabili, ha vissuto in Gran Bretagna per vent'anni. Ma è lei, la moglie inglese, la più incredula: il marito s’è visto respingere la domanda di residenza permanente. E allora, nel clima di incertezza della Brexit, meglio alzare i tacchi e partire» –:
   se il Governo interrogato sia a conoscenza di quella che all'interrogante appare l'inaccettabile situazione che subiscono i cittadini italiani (e tutti i cittadini europei) che vivono e/o lavorano in Gran Bretagna e se non intenda assumere ogni utile iniziative di competenza per dare loro sostegno ed evitare che siano costretti a lasciare il Regno Unito per procedure burocratiche imposte e non per loro reale volontà. (4-15847)

  Risposta. — Il processo di uscita del Regno Unito dall'Unione europea ex articolo 50 del Trattato sull'Unione europea (TUE) ha preso formalmente inizio il 29 marzo 2017, a seguito della notifica britannica di recesso dall'Unione europea.
  Il Governo italiano attribuisce carattere prioritario allo status dei connazionali nel Regno Unito e ai loro diritti acquisiti. Il giorno stesso della notifica britannica, il Ministro Alfano si è recato a Londra e ha personalmente sollevato la questione con il suo omologo britannico Johnson, ricevendo assicurazioni che i diritti e la presenza dei cittadini italiani nel Regno Unito saranno tutelati. La questione viene inoltre sistematicamente sollevata dal Governo italiano nelle discussioni in corso presso le istituzioni dell'Unione europea.
  Nella visione italiana, la condizione dei cittadini dell'Unione europea nel Regno Unito e di quelli britannici della Unione europea dovrà essere affrontata e determinata non appena avviati i negoziati tra Unione europea e Regno Unito, anche nella prospettiva di risolvere una questione estremamente sensibile, che tocca direttamente centinaia di migliaia di cittadini italiani ed europei.
  In particolare la Farnesina, anche per il tramite dell'ambasciata a Londra, è impegnata a vigilare per evitare discriminazioni nei confronti dei propri connazionali nel Regno Unito sino all'effettiva uscita del Regno Unito dall'Unione, nonché a lavorare per assicurare la più alta tutela possibile dei diritti acquisiti dei cittadini dell'Unione europea nel Regno Unito dopo il recesso (prevedibilmente entro il 2019), a condizione di reciprocità con i cittadini britannici nell'Unione europea. Da parte britannica è stata più volte confermata un'analoga impostazione sulla questione che sarà regolata, una volta aperti i negoziati, nell'accordo di recesso.
  Sul piano pratico, l'ambasciata italiana a Londra è in costante contatto con le autorità britanniche per assicurarsi che non si verifichino forme di discriminazione di fatto basate sulla nazionalità.
  Fino a che il Regno Unito rimarrà nell'Unione europea il diritto di residenza dei cittadini dell'Unione europea in tale Paese continuerà ad essere garantito ai sensi dei Trattati dell'Unione europea ed, in particolare, dalla direttiva 2004/38. Essa prevede il diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
  Al momento, il permanent residence document non costituisce pertanto un documento necessario per i cittadini dell'Unione europea, ma rappresenta un'opzione che i cittadini dell'Unione europea possono esercitare per provare a vario fine il loro diritto di residenza permanente in territorio britannico. Il PRD è un certificato di residenza permanente nel Regno Unito che può essere emesso dall’Home office britannico dopo 5 anni dal primo ingresso nel Paese da parte del soggetto richiedente.
  L'unico caso in cui è necessario presentare una richiesta di certificato di residenza permanente è quello in cui il cittadino dell'Unione europea voglia avviare la procedura per l'ottenimento della cittadinanza britannica. In questa ipotesi il previo ottenimento di un certificato di residenza permanente costituisce un prerequisito procedurale necessario all'acquisizione della cittadinanza britannica.
  Dopo l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea potrebbe diventare necessario anche per i cittadini dell'Unione europea presentare la richiesta di certificato permanente per potersi vedere riconosciuto il proprio diritto di residenza nel Regno Unito. Le modalità e condizioni per la concessione di tale certificato potrebbero essere anche diverse da quelle attuali a seguito dell'esito dei prossimi negoziati tra Unione europea e Regno Unito sulla Brexit ex articolo 50 del TUE.
  Ciò premesso, la Farnesina, anche per il tramite dell'ambasciata a Londra, è impegnata a vigilare per impedire che si verifichino forme di discriminazione di fatto basate sulla nazionalità, connesse all'aggravio di oneri amministrativi posti a carico di quei connazionali nel Regno Unito che intendono fare domanda del certificato di residenza permanente all’Home office britannico.
  A tal riguardo, si segnala che, anche grazie ai passi compiuti dall'ambasciata italiana presso le competenti autorità britanniche, le richieste di certificato di residenza permanente nel Regno Unito possono essere presentate – oltre che per posta ordinaria compilando un modulo di 85 pagine in formato cartaceo – anche online: in questo caso le Autorità britanniche non trattengono fisicamente il passaporto, ma, attraverso il sistema european passport return service, è possibile limitarsi a mostrare personalmente il passaporto che viene quindi immediatamente restituito al titolare.
  Da ultimo, l'ambasciata d'Italia a Londra, in collaborazione con i consolati generali di Londra e di Edimburgo, ha deciso di avviare un servizio speciale di assistenza dedicato ai cittadini italiani, con la creazione di una «Pagina Brexit» sul sito web dell'ambasciata.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   SANTELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ex carcere lametino era un convento costruito nel 1400 e diventato carcere nel 1800;
   nel 2004 viene ristrutturato nella parte adibita a sezioni detentive ed adeguato agli standard previsti dall'ordinamento penitenziario (si pensi che è uno dei pochi carceri con le docce nelle camere detentive);
   negli anni 2013 e 2014 è risultato il carcere più sovraffollato d'Italia, con il 172 per cento dei detenuti in più rispetto alla capienza (30 detenuti è il numero previsto per la capienza regolamentare ma ne sono stati ospitati oltre 80);
   il 28 marzo 2014, su decisione del provveditore regionale, Salvatore Acerra, si realizza la chiusura del carcere di Lamezia pur in assenza di decreto di chiusura ministeriale. La chiusura non preannunciata ed immediata ha, ad avviso dell'interrogante, i caratteri di un «blitz»;
   i circa 80 detenuti ristretti vengono trasferiti dal carcere di Lamezia ad altri istituti della Regione;
   solo il giorno precedente era stato inaugurato in quel carcere, con la partecipazione della provincia, uno sportello lavoro per il reinserimento dei condannati;
   già dal mese successivo, aprile 2014, il sindaco di Catanzaro Sergio Abramo, tuttora sindaco, premesso che la legge n. 395 del 1990 indica Catanzaro come sede del provveditorato regionale per la Calabria, avanza al provveditore regionale, Salvatore Acerra, offerte di locazione a titolo gratuito di diversi immobili siti nella città di Catanzaro, tra cui i locali dell'ex consorzio universitario in via San Brunone di Colonia, per la cui ristrutturazione il Comune dichiara di mettere a disposizione la somma di 300 mila euro derivante da un contenzioso che vede l'amministrazione penitenziaria debitrice nei confronti dell'amministrazione comunale (che intende pertanto rimettere il debito nel caso specifico che il provveditorato conservi la sede nella città di Catanzaro);
   il sindaco ricorda al provveditore regionale, anche per iscritto che il 30 novembre 2011, il dipartimento di giustizia minorile – direzione generale risorse materiali, beni e servizi – ufficio II – gestione immobili, aveva dato il nulla osta alla dismissione dell'edificio denominato L1 all'interno dell'area demaniale dell'istituto penale minorile di Catanzaro per consentire il successivo trasferimento al provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria, tramite l'Agenzia del demanio, quale sede per i propri uffici;
   allo stesso tempo, era stata garantita anche la massima disponibilità per le fasi progettuali, considerato che l'edificio in questione era già stato oggetto di una progettazione esecutiva curata dai tecnici del provveditorato alle opere pubbliche di Catanzaro;
   solo il 22 aprile 2015, il Ministro Orlando firma il decreto di chiusura del carcere (peraltro ancora non pubblicato su Gazzetta Ufficiale della Repubblica), dal quale si evincerebbe che l'amministrazione penitenziaria regionale ha previamente acquisito il parere favorevole delle autorità cittadine, ma la smentita ufficiale delle stesse non tarda ad arrivare; infatti in un comunicato stampa, il procuratore della Repubblica ed il presidente del tribunale di Lamezia Terme, Domenico Prestinenzi e Bruno Brattoli, comunicano che non c’è stata alcuna condivisione del provvedimento di chiusura del carcere di Lamezia Terme con amministrazione penitenziaria;
   il provveditore regionale della Calabria, dottor Salvatore Acerra, ha reso pubblica l'intenzione di riconvertire la struttura detentiva dell'ex carcere di Lamezia Terme per adibirla a sede del provveditorato regionale, attualmente ubicato nel centro del capoluogo regionale presso immobile non di proprietà dell'amministrazione;
   un'amministrazione trasparente e votata ai principi dell'efficienza e dell'efficacia, prima di consentire che gli uffici del provveditorato regionale vengano trasferiti in altra città rispetto a quella prevista e disposta dalla, legge, e peraltro in un'ex carcere del 1400, a giudizio dell'interrogante dovrebbe motivare adeguatamente il diniego alle offerte di comodato gratuito del sindaco di Catanzaro;
   allo stesso modo dovrebbe motivare adeguatamente il diniego di trasferire gli uffici del provveditorato presso il complesso ove sono attualmente ubicati il centro di giustizia minorile ed il tribunale per i minorenni, a Catanzaro, ove insiste un'intera palazzina vuota;
   ancora dovrebbe motivare adeguatamente il diniego di trasferire gli uffici del provveditorato presso lo stesso carcere di Catanzaro-Siano, ove già è ubicata la C.O.R., centrale operativa regionale, strutturalmente e funzionalmente dipendente dal provveditorato (sin dalla sua istituzione), e ove saranno presto resi disponibili interi piani dei locali della palazzina dinanzi alla direzione;
   il sindaco di Lamezia Terme, Paolo Mascaro, di concerto con il sindaco della città di Catanzaro, Sergio Abramo, nell'individuare una soluzione che non penalizzi entrambe le città, si è attivato proponendo il mantenimento della struttura penitenziaria ipotizzando una conversione in «istituto penitenziario femminile», pertanto senza aggravio di spese di manutenzione straordinaria, mantenendo in entrambe le città i due già esistenti presidi –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare in merito a quanto sopra esposto;
   quali siano le ragioni per cui l'amministrazione penitenziaria non abbia considerato il trasferimento del provveditorato regionale presso un immobile nella città di Catanzaro a titolo gratuito, così consentendo sia il rispetto della legge, sia un enorme risparmio per le casse dello Stato, sia il mantenimento della struttura carceraria di Lamezia Terme, secondo i principi di risparmio, efficienza, e tutela dei lavoratori, anche considerato che tutti gli uffici con cui il provveditorato quotidianamente ha rapporti diretti sono ubicati nel capoluogo di regione, Catanzaro. (4-12652)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo in esame l'interrogante, dopo aver ricostruito le vicende che hanno portato alla chiusura della Casa circondariale di Lamezia Terme ed all'elaborazione di un progetto per il possibile spostamento, previa ristrutturazione degli immobili già facenti parte dell'istituto penitenziario, del provveditorato regionale per la Calabria dalla sede di Catanzaro a Lamezia Terme, richiede quali siano le ragioni del predetto trasferimento, in luogo del mantenimento del provveditorato in Catanzaro, presso immobile messo a disposizione dall'amministrazione comunale.
  La vicenda in argomento rappresenta la manifestazione di una maggiormente ampia politica di revisione dei circuiti penitenziari, attraverso la definizione di un sistema integrato di istituti a livello regionale, avente l'obiettivo di incentivare l'attività trattamentale e di ottimizzare l'impiego delle risorse umane.
  Ridisegnare il quadro dei circuiti detentivi, infatti, può consentire un miglioramento delle condizioni di vita sia del personale sia delle persone detenute, realizzando un impiego efficiente delle risorse, finanziarie e umane, disponibili.
  Quanto alle motivazioni che hanno portato all'adozione del decreto ministeriale 22 aprile 2015 di chiusura della struttura carceraria di Lamezia Terme, si premette che l'istituto penitenziario aveva una capacità ricettiva modesta, pari a 48 posti.
  L'entrata in funzione del nuovo padiglione annesso alla casa circondariale di Catanzaro, con conseguente aumento della capienza di 300 posti, ha imposto la scelta della chiusura della struttura di Lamezia, in vista del maggior fabbisogno di personale penitenziario presso il nuovo padiglione.
  Quanto al dissenso che sarebbe stato manifestato dai rappresentanti di enti locali e uffici giudiziari interessati dal progetto, il provveditorato regionale per la Calabria ha comunicato, per il tramite del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria:
   di aver incontrato il procuratore generale presso la Corte d'appello di Catanzaro ed il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Lamezia Terme, ai quali ha esposto il programma di chiusura della struttura carceraria ed il possibile trasferimento del provveditorato regionale, riscontrando da parte degli stessi ampia condivisione;
   di aver interpellato il presidente del tribunale di Lamezia nel corso di una riunione cui hanno partecipato anche il coordinatore dell'ufficio G.I.P. ed il presidente della sezione penale, ed anche in questo caso sono stati manifestati pareri conformi all'intendimento dell'amministrazione penitenziaria;
   di aver incontrato il sindaco di Lamezia Terme dal quale, in linea generale, veniva manifestato apprezzamento per la proposta, ma veniva mostrata «qualche lieve perplessità su una definitiva soppressione a Lamezia della Casa circondariale e su eventuali rimostranze del personale di Polizia penitenziaria che si vedesse trasferito in una sede molto distante», perplessità sulle quali riceveva rassicurazioni.

  Quanto al trasferimento del provveditorato regionale da Catanzaro a Lamezia Terme, l'amministrazione penitenziaria ha riferito come, proprio al fine di individuare la migliore scelta strategica, ha svolto i necessari approfondimenti, provvedendo alla predisposizione di stime di spesa ed elaborati progettuali.
  L'analisi ha consentito una valutazione comparativa, sotto il profilo dei costi e dei tempi di realizzazione, delle differenti ipotesi prospettabili per l'individuazione della nuova sede del provveditorato.
  A seguito dei sopralluoghi effettuati, che hanno consentito di appurare lo stato reale delle diverse strutture, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha riferito di aver individuato, quale soluzione più idonea, quella di accettare i locali messi a disposizione del comune di Catanzaro e dall'amministrazione provinciale di Catanzaro. La dismessa casa circondariale è risultata, infatti, inadatta ad ospitare gli uffici del provveditorato, in considerazione dei necessari e importanti interventi strutturali da eseguire per la diversa destinazione d'uso.
  Non appena formalizzata l'intesa, volta all'acquisizione dell'immobile in comodato gratuito per un congruo arco di tempo da concordare con le amministrazioni concedenti, sarà compito dell'amministrazione penitenziaria avviare la procedura per la restituzione al Demanio del complesso immobiliare penitenziario di Lamezia Terme.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie apparse sulla stampa, risulta che, pochi giorni fa, nel centro di accoglienza per richiedenti asilo a Villa Ottino, nel comune di Occhieppo Superiore, in provincia di Biella, nel corso di una ispezione da parte delle forze dell'ordine, nell'ambito di una indagine investigativa per contrastare il dilagante spaccio di sostanze stupefacenti nello stesso comune, siano stati rinvenuti sia dei quantitativi di droga, ventitré dosi per complessivi cento grammi circa, nascosti all'interno di un cestino per la raccolta dei rifiuti, situato in un locale ad uso comune dello stesso centro di accoglienza, e altresì, del denaro contante;
   la notizia desta particolare preoccupazione e allarme, in quanto non si tratta di un fatto isolato, essendo stati denunciati già negli scorsi mesi, sempre per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, altri immigrati, e precisamente, nel novembre 2016 un cittadino nigeriano, ancora, successivamente, il 19 gennaio 2017, un cittadino del Gambia e solo pochi giorni dopo, il 21 gennaio, un altro cittadino nigeriano, fino a pochi giorni fa, quando sono stati rinvenuti quantitativi di droga nello stesso centro di accoglienza a Villa Ottino, a seguito di un controllo mirato, a cui ha partecipato anche il Nucleo cinofili di Volpiano;
   la notizia del blitz antidroga nel centro d'accoglienza di Villa Ottino a Occhieppo Superiore ha scatenato legittime preoccupazioni tra i residenti e accese polemiche per quanto sta accadendo nel centro di accoglienza stesso e per gli episodi criminosi sempre più diffusi nel comune;
   nonostante la gravissima situazione a Occhieppo Superiore, secondo quanto disposto dall'ultimo bando della prefettura per il 2017, è previsto un ulteriore aumento, di circa 125 unità, degli immigrati ospitati nel medesimo centro di accoglienza;
   anche la proposta del sindaco, che vorrebbe semplicemente sostituire la struttura tramite l'adesione del comune stesso ad un progetto del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), distribuendo gli ospiti su tutta la Valle Elvo, secondo l'interrogante, non fa che spostare il problema creatosi a Occhieppo Superiore ed anzi, in mancanza di adeguate dotazioni alle forze dell'ordine per l'adozione di misure di contrasto e prevenzione dei reati, a diffonderlo sempre più su tutto il territorio provinciale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza d gravissimo episodio accaduto nel centro di accoglienza a Villa Ottino e, in particolare, quali controlli siano stati disposti negli ultimi mesi al fine di prevenire i reati di cui sopra ed in particolare nel comune di Occhieppo Superiore e nel centro di accoglienza sopra richiamato; quali iniziative di competenza il Governo abbia assunto e nei confronti degli immigrati, autori dei reati citati in premessa, e se gli stessi siano già stati destinatari di provvedimenti di allontanamento, immediata espulsione e rimpatrio; quali iniziative siano state adottate nei confronti dei gestori della struttura e, data la gravità dei reati e della situazione creatasi nel comune, e non ritenga opportuno assumere iniziative per procedere alla immediata chiusura del centro di accoglienza di cui in premessa. (4-15400)

  Risposta. — La situazione relativa allo spaccio di sostanze stupefacenti da parte di alcuni richiedenti asilo, ospitati presso le strutture di accoglienza presenti sul territorio di Biella è costantemente monitorata e attentamente seguita dalle Forze di polizia.
  Si informa che il 1o giugno 2016, la questura di Biella, con l'ausilio di unità cinofile, ha effettuato una perquisizione all'interno di un centro di accoglienza sito a Ronco Biellese, a seguito della quale sono stati deferiti all'autorità giudiziaria due ospiti, trovati in possesso di modici quantitativi di hashish e marijuana; nel corso del controllo, sono stati, altresì, rinvenuti in una zona comune e sequestrati a carico di ignoti 340 grammi di marijuana e 6 grammi di hashish.
  Analoga perquisizione è stata effettuata dall'Arma dei Carabinieri il 27 gennaio 2017 presso il centro denominato «Villa Ottino» sito nel comune di Occhieppo Superiore, oggetto dell'interrogazione. Nel corso dell'operazione, sono stati sequestrati circa 96 grammi di marijuana, suddivisi in 23 dosi occultate in un locale ad uso comune.
  L'attività di controllo in parola era stata disposta in quanto il 19 e il 21 gennaio scorsi, due ospiti di «Villa Ottino» erano stati sorpresi, rispettivamente, a Biella e a Occhieppo Superiore nell'atto di consegnare dosi di sostanza stupefacente (hashish e marijuana) a terzi. Il 15 novembre 2016, a seguito di perquisizione personale, un altro ospite di «Villa Ottino» era stato trovato in possesso di dieci dosi di marijuana e una di hashish.
  Nei confronti dei migranti segnalati (pari a circa l'1 per cento dei migranti ospitati nei centri di accoglienza straordinari attivi in provincia), la prefettura ha emanato altrettanti provvedimenti di cessazione della misura dell'accoglienza, ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 142 del 2015. Nessuna misura sanzionatoria è stata adottata nei confronti del gestore della struttura.
  D'altra parte, si evidenzia che, a seguito delle sollecitazioni da parte del sindaco del comune di Occhieppo Superiore, l'ente religioso proprietario di Villa Ottino ha comunicato l'intenzione di non rinnovare la locazione dell'immobile all'attuale gestore, il quale ha avviato ricerche finalizzate a reperire un numero sufficiente di appartamenti ove poter distribuire i migranti e consentire così la definitiva chiusura del centro.
  Il 23 gennaio 2017, la prefettura ha pubblicato l'avviso pubblico per l'affidamento per il 2017 del servizio di accoglienza e assistenza per i richiedenti la protezione internazionale. In sede di gara, i partecipanti dovevano documentare la disponibilità delle strutture nelle quali svolgeranno il servizio e Villa Ottino non rientrava tra queste. La procedura si è conclusa con verbale del 27 aprile 2017, pubblicato sul sito della prefettura.
  In ogni caso il centro di Villa Ottino è stato chiuso e allo stato attuale non ne è previsto l'ulteriore utilizzo.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   VECCHIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda sanitaria provinciale di Messina (ASP ME) con delibera n. 1493 dell'11 maggio 2006, all'epoca azienda unità sanitaria locale n. 5 (AUSL 5), ha bandito una selezione per il conferimento di numero uno incarico quinquennale per la copertura del posto di direttore medico con incarico di direzione di struttura complessa di cardiologia presso il presidio ospedaliero di S. Agata di Militello;
   il 25 agosto 2006 veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana il bando di «selezione, per titoli e colloquio, per il conferimento di numero uno incarico quinquennale di direttore di struttura complessa, disciplina di cardiologia, in esecuzione della delibera del direttore generale n. 1453 dell'11 maggio 2006, esecutiva ai sensi di legge»;
   l'8 marzo 2007 l'azienda ospedaliera di Messina ha provveduto, con la delibera n. 701, alla nomina della commissione di esperti prevista dall'articolo 15 del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni;
   nel gennaio 2008 l'ASP di Messina ha disposto lo svolgimento delle prove concorsuali;
   il 21 gennaio 2008 l'ASP di Messina con delibera n. 133 ha approvato l'elenco degli idonei predisposto dall'incaricata commissione di esperti;
   dopo oltre tre anni dall'approvazione dell'elenco degli idonei, con delibera n. 1248 adottata il 7 aprile 2011, l'ASP di Messina, ha conferito l'incarico per cui venne bandito il concorso ad uno degli idonei assegnandolo al presidio ospedaliero di Sant'Agata di Militello e contestualmente, in pari data, con delibera n. 1249 la medesima azienda ospedaliera ha conferito un secondo incarico ad un altro idoneo del medesimo elenco, assegnandolo al presidio ospedaliero di Patti;
   l'elenco degli idonei predisposto dalla commissione, ad avviso dell'interrogante, non poteva essere utilizzato per l'assegnazione del ruolo a distanza di oltre tre anni dalla sua approvazione, ai sensi dell'articolo, 35, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che, in tema di graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche, dispone che le stesse rimangano vigenti per un termine non superiore a tre anni dalla data di pubblicazione;
   l'unità operativa complessa di cardiologia di Sant'Agata di Militello è stata creata successivamente alla pubblicazione del bando di selezione per l'assegnazione della direzione della stessa, con i provvedimenti di riordino del piano ospedaliero dell'assessorato regionale alla salute, decreto assessoriale del 25 maggio 2010 n. 1374 con cui è stato approvato il piano di riordino della rete ospedaliera relativo all'ASP di Messina, nonché al successivo decreto assessoriale del 7 marzo 2011 n. 392, con cui è stata approvata la dotazione organica della ASP ME e con la delibera della giunta comunale n. 120 del 25 settembre 2012, recepiti dell'azienda sanitaria provinciale di Messina, con delibera del direttore genere n. 977 del 24 marzo 2011;
   a quanto risulta all'interrogante, l'incarico presso il presidio ospedaliero di Patti non è mai stato bandito, né il relativo avviso è mai stato pubblicato così come previsto dall'articolo 15, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni;
   l'attribuzione dell'incarico di direzione di struttura complessa del presidio ospedaliero di Patti effettuata dal direttore generale dell'ASP di Messina, a quanto consta all'interrogante, non è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana ai sensi dell'articolo 15-ter, comma 2, del decreto legislativo n. 502 del 1992, introdotto dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 229 del 1999;
   è evidente che l'ASP di Messina non avrebbe potuto in alcun modo utilizzare l'elenco degli idonei selezionati per il ruolo di direttore di struttura complessa dell'unità complessa di cardiologia del presidio ospedaliero di Sant'Agata di Militello per designare la direzione di struttura complessa del presidio ospedaliero di Patti, ma avrebbe dovuto bandire una selezione ad hoc;
   ai sensi dell'articolo 117 Cost., del decreto legislativo n. 502 del 1992, del decreto legislativo n. 517 del 1993, del decreto legislativo n. 229 del 1999 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 484 del 1997 la competenza in materia è regionale e, quindi, nella fattispecie di competenza della regione siciliana –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se le determinazioni dell'ASP di Messina siano compatibili con l'attuazione del piano di rientro da disavanzi sanitari, considerato che esse non possono essere ritenute prive di effetti sotto il profilo dell'efficienza e dell'economicità della gestione del settore sanitario in tale area. (4-13277)

  Risposta. — In merito alla questione delineata nella interrogazione parlamentare in esame, la prefettura – ufficio territoriale del Governo di Messina ha provveduto ad acquisire elementi informativi presso l'assessorato della salute della regione Sicilia.
  Riguardo alla legittimità dell'assegnazione, da parte dell'azienda sanitaria provinciale di Messina, di incarichi presso le unità operative complesse di cardiologia degli ospedali di S. Agata Militello e Patti, detto assessorato ha rammentato che l'articolo 4 del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012, ha introdotto modifiche nell'ambito delle procedure di selezione, prevedendo che le regioni disciplinano i criteri e le procedure in tema di modalità di attribuzione degli incarichi di direzione di strutture complesse per la dirigenza sanitaria, medica e non medica, ad esclusione dei dirigenti professionali, tecnici ed amministrativi.
  Con tale disciplina legislativa è stata introdotta anche la previsione secondo cui l'azienda sanitaria interessata può preventivamente stabilire che, nei due anni successivi alla data dell'attribuzione dell'incarico, nel caso di dimissioni o decadenza, si procede alla sostituzione con uno dei due professionisti facenti parte della terna iniziale, ipotesi non contemplata nella precedente normativa.
  L'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 158 del 2012, nel testo convertito in legge, ha statuito che le modifiche introdotte non si applicano ai procedimenti di nomina, tra l'altro, dei direttori di struttura complessa, pendenti alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, così come le modifiche non si applicano agli incarichi già conferiti e fino alla loro scadenza.
  Con il decreto assessoriale n. 2274 del 24 dicembre 2014, la regione Sicilia ha recepito le disposizioni nazionali con le linee guida recanti i criteri e le procedure per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa a dirigenti sanitari.
  In relazione al contenuto dell'atto di sindacato ispettivo in argomento, l'assessorato regionale della salute ha rappresentato che la direzione aziendale dell'azienda sanitaria provinciale (ASP) n. 5 di Messina, con deliberazione del maggio del 2005, ha indetto un avviso pubblico (contenuto nella deliberazione n. 1453/2005), per il conferimento di un incarico quinquennale per la copertura del posto vacante di direttore medico, con incarico di direzione di struttura complessa di cardiologia, per il presidio ospedaliero di Sant'Agata Militello.
  La direzione aziendale dell'ASP 5 di Messina, con deliberazione n. 133 del 21 gennaio 2008, ha approvato gli atti trasmessi dalla commissione di esperti nominata (con deliberazione fin. n. 701 del 2007) per il conferimento del predetto incarico, dichiarando idonei i candidati partecipanti alla procedura selettiva in questione.
  Nel medesimo provvedimento l'azienda si è riservata di procedere, con successivo atto, all'individuazione dell'aspirante a cui conferire l'incarico quinquennale di direttore medico della predetta struttura complessa di cardiologia.
  Per effetto del blocco delle assunzioni imposto anche alle amministrazioni regionali dal decreto assessoriale n. 437 del 13 febbraio 2007, l'ASP n. 5, nel novembre del 2010, ha chiesto all'assessorato regionale della salute l'autorizzazione a procedere all'immissione in servizio dei vincitori di concorso, oltre che dei dirigenti medici, anche dei direttori medici di struttura complessa, le cui procedure erano già state espletate o erano in fase di espletamento.
  Di seguito all'autorizzazione concessa dal citato assessorato, la direzione aziendale dell'ASP n. 5 ha conferito (con deliberazioni n. 1248/2011 e n. 1249/2011), due incarichi quinquennali di direttore medico di struttura complessa, di cui uno per l'unità operativa di cardiologia dell'ospedale di Sant'Agata Militello ed uno per quella di Patti, dove « medio tempore» si era reso vacante il relativo posto.
  Sulla procedura seguita per il conferimento degli incarichi in argomento, l'assessorato regionale della Salute ha evidenziato come questa, prevista dall'articolo 75-ter, comma 2, del decreto legislativo n. 502 del 1992, non ha carattere concorsuale, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 63, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001, in quanto si articola secondo uno schema che prevede, in luogo dello svolgimento di prove selettive con formazione di graduatoria finale, una scelta di carattere essenzialmente fiduciario, operata dal direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale di riferimento, nell'ambito di un elenco di soggetti ritenuti idonei da un'apposita commissione, sulla base di requisiti di professionalità e capacità manageriali.
  Nelle informazioni acquisite dall'ASP 5 di Messina, è stato specificato che la validità delle graduatorie concorsuali è stata, nel tempo, ripetutamente prorogata dalle leggi finanziarie, in considerazione del blocco delle assunzioni.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   VILLAROSA, BARONI, MANTERO, LOREFICE, GRILLO, SILVIA GIORDANO e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Sicilia, insieme ad altre regioni italiane, e sottoposta a piano di rientro finalizzato a verificare la qualità delle prestazioni e a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali. Il Ministero della salute, attraverso il Siveas affianca le regioni in questa difficile operazione, cercando di aiutare gli enti regionali, anche quelli a statuto speciale come la Sicilia, al raggiungimento degli obiettivi previsti dai piani di rientro;
   il difficile compito di rimettere in equilibrio il sistema di salute pubblica tra deficit finanziario ed erogazione di livelli essenziali di assistenza non dovrebbe, appunto, precludere l'erogazione di assistenza essenziali e, oltre ciò, dovrebbe suggerire ai vertici delle varie aziende sanitarie locali la massima prudenza e la totale osservanza della normativa vigente in modo da limitare al massimo il rischio di spese inutili derivanti da eventuali nomine di dubbia legittimità;
   l'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo del 30 novembre 1992, n. 502, indica i requisiti che devono essere posseduti da coloro i quali svolgono l'incarico di direttore amministrativo delle aziende del Servizio Sanitario, in particolare, la norma in questione specifica che «il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione»;
   con decreto dell'assessore alla salute della regione siciliana n. 21/2009, pubblicato nella G.U.R.S. n. 21, parte I, del 15 maggio 2009, sono stati approvati gli avvisi pubblici per la formazione dell'elenco permanente ed aggiornamento periodico degli idonei alla nomina di direttore amministrativo delle aziende del servizio sanitario della regione siciliana;
   detto avviso, nel richiamare la disciplina di cui all'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502, specifica (lettera c)) che l'aspirante all'inserimento nell'elenco deve «avere svolto, per almeno cinque anni, qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa, in enti o strutture sanitarie pubbliche o private, di media o grande dimensione con qualifica dirigenziale e diretta responsabilità delle risorse umane, finanziarie e strumentali», precisando anche che «per esperienza quinquennale di direzione tecnico-amministrativa verrà considerata esclusivamente l'effettiva attività di direzione con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie – svolta a seguito di formale inquadramento nella qualifica di dirigente – con riguardo all'intera organizzazione dell'ente, azienda, struttura od organismo ovvero ad una delle principali articolazioni e, comunque, con riguardo a strutture complesse, escludendo le funzioni di mero studio, consulenza, ricerca, ispezione», inoltre, «la permanenza dell'iscrizione nell'elenco, tenuto conto del periodico aggiornamento dello stesso effettuato dall'Assessorato regionale della Salute, è subordinato al permanere nel tempo dei requisiti sopra elencati»;
   pertanto, il compendio normativo sopra citato prescrive che, ai fini dell'accesso e della permanenza nell'elenco in questione, necessita il contemporaneo possesso, in capo all'aspirante direttore amministrativo ed al soggetto che già ricopre detto incarico, fra gli altri, anche del seguente requisito: esperienza di effettiva attività di direzione tecnico-amministrativa quinquennale continuativa, a seguito di formale inquadramento nella qualifica di dirigente, almeno con riguardo ad unità operative complesse (U.O.C.);
   a fronte della predetta normativa, nel sopra menzionato elenco degli idonei alla nomina di direttore amministrativo delle aziende del servizio sanitario della regione siciliana, allegato al decreto assessoriale, del 22 ottobre 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana n. 48, parte I, del 1° novembre 2012, ed emanato a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana n. 22, parte I, del 1° giugno 2012, dell’«Avviso per l'aggiornamento degli elenchi degli idonei alla nomina a direttore amministrativo ed a direttore sanitario delle Aziende del servizio sanitario della regione siciliana», risulta inserita, a seguito di sua istanza, corredata da curriculum vitae, la dottoressa Daniela Costantino, sebbene a giudizio degli interroganti non presenti requisiti adeguati;
   invero, alla data di pubblicazione del decreto assessoriale, la dottoressa Costantino aveva ricoperto incarichi rilevanti al fine dell'inserimento nell'elenco per un periodo inferiore ai cinque anni richiesti dalla superiore normativa che a quanto consta agli interroganti, erano peraltro non continuativi. Inoltre, in conseguenza dell'inserimento nell'elenco del 2012, il commissario straordinario dell'A.s.p. di Messina, dott. Manlio Magistri, con delibera n. 1519/CS del 22 aprile 2014, ha nominato direttore amministrativo la dottoressa Daniela Costantino, la quale ha, quindi, ricoperto l'ufficio, in assenza dei presupposti legittimanti. Alla data di affidamento dell'incarico (22 aprile 2014) la dottoressa Costantino a giudizio degli interroganti non possedeva detti presupposti, poiché si trattava di incarichi non esclusivamente di direzione di UOC e non continuativi;
   con deliberazione n. 2293/DG del 2 luglio 2014 del nuovo direttore generale dell'A.s.p. di Messina, dottor Gaetano Sirna, è stato conferito l'incarico di direttore amministrativo dell'azienda sempre alla dottoressa Daniela Costantino, stavolta traendola dall'elenco permanente di cui al decreto assessoriale n. 819/14 del 20 maggio 2014. L'inserimento in detto elenco era stato effettuato, ancora una volta, a seguito di presentazione, da parte della dottoressa Daniela Costantino, di apposita domanda corredata da curriculum vitae al 18 aprile 2014;
   tuttavia, già dal curriculum vitae si apprende dell'assenza, alla data di inserimento nell'elenco, del possesso, in capo aria dottoressa Daniela Costantino, del requisito temporale sopra più volte menzionato. In realtà, persino alla data di nomina, a quanto risulta agli interroganti, i requisiti in questione non sarebbero stati maturati, e ciò anche laddove si ritenesse di contabilizzare pure il periodo in cui ha espletato l'incarico di direttore amministrativo a seguito della succitata delibera n. 1519/CS del 22 aprile 2014, esitata dal commissario straordinario dell'A.s.p. di Messina;
   ma a tutto voler concedere, se pure si considerasse rilevante un incarico secondo gli interroganti assegnato con dubbia legittimità, la dottoressa Daniela Costantino non avrebbe, comunque, posseduto il requisito Consistente nell'aver maturato un'esperienza di effettiva attività di direzione tecnico-amministrativa quinquennale, continuativa, con riguardo ad unità operative complesse (U.O.C.);
   inoltre, ed in generale, l'esperienza quinquennale rilevante è, per gli interroganti solo quella svolta a seguito di formale inquadramento nella qualifica di dirigente di unità operative complesse, invece la stessa dottoressa Daniela Costantino ha dichiarato nel curriculum vitae di essere vincitrice di concorso pubblico per dirigente amministrativo a tempo indeterminato presso l'azienda Usl n. 5, oggi A.s.p), assegnata all'unità operativa programmazione e controllo di gestione, la quale è una unità operativa semplice e non una unità operativa complessa; basterebbe già solo questo elemento ad impedire secondo gli interroganti l'accesso agli elenchi sopra menzionati;
   da tutto quanto sopra esposto discende che tutt'oggi la dottoressa Daniela Costantino ricopre un ufficio pubblico che non avrebbe potuto esserle affidato ed è stata inserita con dubbie modalità a parere degli interroganti nell'elenco permanente di cui al decreto assessoriale 819/14 del 20 maggio 2014 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   occorrerebbe approfondire le motivazioni che hanno consentito l'inserimento della dottoressa Daniela Costantino nell'elenco permanente pubblicato sulla G.U.R.S. n. 48, Parte I, del 9 novembre 2012, secondo gli interroganti in assenza dei requisiti necessari, nonché nell'elenco permanente di cui al decreto assessoriale 819/14 del 20 maggio 2014 e che le hanno permesso l'assunzione dell'incarico di direttore amministrativo dell'A.s.p. di Messina a seguito di delibera n. 1519/CS del 21 aprile 2014 del commissario straordinario della medesima A.s.p., dottor Manlio Magistri, nonché l'incarico attualmente espletato su nomina operata da parte del direttore generale in carica, sempre della stessa A.s.p., dottor Gaetano Sirna, con deliberazione n. 2293/DG del 2 luglio 2014 –:
   se intenda, per quanto di competenza, anche nell'ottica del contenimento della spesa, in particolare per le regioni sottoposte a piano di rientro, assumere iniziative per arginare il gravissimo fenomeno di emanazione di atti di dubbia legittimità destinati a soccombere in un eventuale giudizio e aventi come conseguenza un ulteriore aggravio di spesa e, contestualmente, se non ritenga opportuno che questi atti siano oggetto di attenzione nell'ambito del tavolo di verifica del disavanzo sanitario. (4-12804)

  Risposta. — In merito alla situazione segnalata nell'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura – ufficio territoriale del Governo di Messina ha acquisito elementi informativi presso l'assessorato della salute della regione Sicilia e l'azienda sanitaria provinciale (ASP) n. 5 di Messina.
  Con decreto dell'assessore della salute n. 21/2009, la ragione Sicilia ha approvato l'avviso pubblico per la formazione dell'elenco dei soggetti idonei alla nomina a direttore amministrativo e a direttore sanitario delle aziende del servizio sanitario regionale.
  Fra i requisiti richiesti, è stato previsto che i candidati dovessero aver svolto per almeno cinque anni «qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture pubbliche o private di media o grande dimensione con qualifica dirigenziale o diretta responsabilità delle risorse umane, finanziarie e strumentali».
  All'esito della procedura, sulla base delle professionalità inserite nel citato elenco, il commissario straordinario pro tempore dell'azienda sanitaria provinciale n. 5 di Messina ha nominato la dottoressa Daniela Costantino quale direttore amministrativo dell'ASP 5 di Messina, con deliberazione n. 1519 del 22 aprile 2014.
  Nei confronti della nomina effettuata dall'ASP 5 di Messina, tuttavia, è stato presentato all'assessorato regionale della salute un esposto, in cui sono state denunciate delle presunte irregolarità riferite, in particolare, al mancato possesso, da parte della dottoressa Costantino, del requisito della esperienza quinquennale maturata, al momento della presentazione della domanda, nella direzione tecnica/amministrativa di strutture complesse.
  Poiché l'accertamento del possesso dei requisiti richiesti per la nomina a direttore sanitario o di direttore amministrativo viene effettuato dal direttore generale dell'azienda prima del conferimento dell'incarico, l'assessorato regionale della salute ha invitato il direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale di Messina ad effettuare una verifica sul possesso, da parte della dottoressa Daniela Costantino, dei requisiti richiesti dall'avviso di selezione pubblica.
  All'esito di tale approfondimento, l'ASP n. 5 ha trasmesso all'assessorato regionale della salute la documentazione da cui si evince che la dottoressa Daniela Costantino, alla data della presentazione della propria candidatura per l'incarico in argomento, era in possesso di tutti i requisiti previsti dal bando e dalla normativa di riferimento, avendo, tra l'altro, maturato un'esperienza nella direzione tecnica/amministrativa di strutture complesse superiore ai cinque anni.
  L'assessorato regionale della salute ha precisato che la commissione istituita per l'esame delle istanze presentate a seguito della pubblicazione dell'avviso per la copertura di direttore amministrativo dell'ASP 5, nel verbale introduttivo dei lavori, ha ritenuto valutabili, ai fini dell'iscrizione nel relativo elenco, anche gli incarichi di facente funzione e, comunque, l'effettivo espletamento dell'attività.
  Il consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana, chiamato a pronunciarsi su controversie afferenti il conferimento di incarichi di direttore generale di aziende sanitarie, ha statuito il principio, ritenuto dalla Regione applicabile anche al caso di specie, secondo cui «per accedere all'elenco [...] non risulta necessario il possesso di una formale qualifica dirigenziale, tanto meno apicale [...] essendo, invece, sufficiente il requisito dell'esperienza quinquennale di direzione [...] in enti o strutture che per la loro natura sostanziale [...] siano tali da configurare una posizione dirigenziale», come indicato nelle sentenze n. 242 del 2008, n. 249 del 2012 e n. 250 del 2012.
  Sulla scorta degli approfondimenti svolti, tanto l'assessorato regionale della salute che l'ASP 5 di Messina hanno ritenuto legittimo il conferimento dell'incarico in argomento alla dottoressa Daniela Costantino, evidenziando come l'esperienza quinquennale di direzione tecnica amministrativa di struttura complessa non debba avere necessariamente durata continuativa, non essendo previsto né dalla normativa primaria né da quella secondaria.
  L'ASP 5 ha riferito di aver avviato un'ulteriore istruttoria, volta alla verifica dei requisiti posseduti dalla dottoressa Costantino all'atto del conferimento dell'incarico di direttore amministrativo dell'azienda: il riesame delle certificazioni prodotte dalla predetta funzionaria ha confermato il possesso dei requisiti specifici prescritti dalla normativa vigente.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.