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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 26 maggio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    i processi di depurazione nel ciclo delle acque determinano la produzione di considerevoli quantitativi di fanghi che possono essere riutilizzati come nutrienti dei terreni in agricoltura, attivando una filiera del tutto coerente con la logica dell'economia circolare; la produzione nazionale di fanghi è di circa due milioni di tonnellate all'anno, con una percentuale di riutilizzo pari a circa il 35-40 per cento del totale;
    a norma dell'articolo 184, comma 3, lettera g), del decreto legislativo n.152 del 2006 sono classificati come rifiuti speciali i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque, dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi;
   il decreto legislativo n. 99 del 1992, di attuazione della direttiva 86/278/CEE sulla protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, con riferimento alla utilizzazione dei fanghi depurazione in agricoltura, definisce i fanghi «residui» come quelli derivanti dai processi di depurazione delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili, delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi, delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi;
    l'incremento del numero di impianti di depurazione e della loro produttività – in termini di capacità depurativa – ha portato ad un considerevole aumento, nel tempo, della quantità di fanghi da smaltire e ad una elevata concentrazione di sostanze tossiche nei fanghi di depurazione;
    secondo il rapporto Rifiuti speciali – edizione 2015 – dell'Ispra, il 40 per cento dei fanghi di depurazione viene impiegato nel settore agricolo, per integrare il suolo con sostanze organiche ed elementi nutritivi essenziali per la produttività delle colture; i fanghi sono infatti componenti di compost e digestati, e fonte essenziale di fosforo e di altri elementi quali carbonio organico, azoto, magnesio, potassio, calcio, zolfo, micronutrienti essenziali per la struttura e la fertilità del suolo;
    ciò ha significativi vantaggi sia per la riduzione dello smaltimento dei rifiuti in discarica – si pensi al recupero di rifiuto sui suoli agrari – incentivato con la legge 915 del 1982 – sia per l'incremento delle fonti di nutrienti riciclabili da impiegare come materia prima per fertilizzanti, concimi organici ed ammendanti sia per il riutilizzo delle acque reflue in agricoltura, ai fini irrigui;
    l'impiego agronomico dei fanghi di depurazione – senza particolari cautele e prescrizioni – presenta notevoli criticità per la presenza, nei fanghi, di composti organici nocivi, di metalli pesanti e di microrganismi patogeni;
    la raccolta, la gestione e l'utilizzo incontrollato di fanghi in agricoltura implica rilevanti rischi igienico-sanitari e per l'ecosistema, tra cui: il bio accumulo nel suolo e nell'ambiente di sostanze tossiche e nocive; il degrado delle produzioni agricole; miasmi maleodoranti nelle vicinanze dei terreni aspersi, con disagi e disturbi per la popolazione e per le attività commerciali e turistico-ricettive ed evidenti ed insuperabili vincoli alla valorizzazione di beni ambientali e culturali della zona;
    occorre tener presente che il suolo immagazzina gli inquinanti, talvolta con effetti permanenti, o, comunque, perduranti nel tempo; questo problema può rendere inutilizzabili a fini agronomici molti terreni o può rendere necessario ricorrere a costose bonifiche non sempre – o non del tutto – capaci di una completa restitutio ad integrum dei suoli trattati;
    alcune regioni impiegano considerevoli quantitativi di fanghi in agricoltura – in particolare Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Piemonte e Campania; la Lombardia – secondo i dati forniti a Arpa – ha una produzione annua di circa 790.000 tonnellate: di queste, il 40 per cento proviene da impianti di trattamento di reflui urbani, il 30 per cento da impianti di trattamento di reflui industriali, e solo il 30 per cento da aziende agroalimentari;
    in alcuni fanghi e compost, è stata riscontrata la presenza, in quantità significativa, di microinquinanti organici; sono seguite denunce e procedimenti penali, tuttora in corso;
    problemi rilevanti emergono in relazione allo smaltimento delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sostanze chimiche di sintesi ampiamente utilizzate in applicazioni civili ed industriali per rendere resistenti ai grassi e all'acqua tessuti, tappeti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti; residui significativi sono stati trovati nell'acqua potabile, negli alimenti, nell'aria e nel suolo contaminato;
    nel 2006 il progetto europeo Perforce ha avviato un'indagine per stabilire la presenza di perfluoroderivati nelle acque e nei sedimenti dei maggiori fiumi europei; dall'indagine è emerso che il fiume Po presenta le massime concentrazioni di acido perfluorottanico tra tutti i fiumi europei, con rilevanti rischi ecologici e sanitari; i siti più contaminati sono risultati quelli che ricevono reflui di depurazione;
    occorre notare che per alcuni inquinanti – ad esempio, diossine, Ipa, Pcb, idrocarburi, fenoli – non esistono specifici limiti di legge; non è possibile, pertanto, determinare quale sia la concentrazione di tali sostanze oltre la quale è necessario vietare lo spargimento di fanghi e fertilizzanti sui terreni agricoli;
    recenti studi hanno sottolineato i rischi per l'ambiente e la salute connessi alla presenza nei fanghi di inquinanti come i farmaci: i residui presenti nelle acque di scarico, nei fiumi, nel suolo, mediante i fanghi provenienti dagli impianti di depurazione urbana rientrano nella catena alimentare, anche perché pochi farmaci sono biodegradabili;
    la disciplina normativa vigente in materia – decreto legislativo n. 99 del 1992 di recepimento della direttiva 86/278/EEC – stabilisce alcuni principi fondamentali l'utilizzazione in agricoltura dei fanghi è consentita a determinate condizioni: se non contengono sostanze tossiche e nocive e/o persistenti, e/o bioaccumulabili in concentrazioni dannose per il terreno, per le colture, per gli animali, per l'uomo e per l'ambiente in generale; se la concentrazione di uno o più metalli pesanti nel suolo non superi i valori limite fissati nell'allegato I al decreto legislativo 99 del 1992 o se tali valori limite non vengano superati a motivo dell'impiego dei fanghi; in base alla direttiva, è possibile, per lo Stato, solo adottare previsioni più restrittive, ai sensi dell'articolo 12 della direttiva medesima;
    è necessario integrare il quadro normativo per una serie di importanti ragioni: per prescrivere controlli adeguati sui fanghi, e analisi sugli effetti dell'utilizzo di tali sostanze sull'ambiente e sui suoli agricoli; per aggiornare le regole e i valori limite stabiliti per i controlli, posto che le regole e le soglie attuali derivano da conoscenze tecnico-scientifiche di oltre trenta anni fa; appare essenziale – oltre a definire un quadro di riferimento uniforme – individuare criteri, limiti di riferimento, procedure e modalità di gestione, da rispettare rigorosamente nel processo di trattamento e recupero dei fanghi da utilizzare come fertilizzanti in agricoltura;
    l'utilizzo agricolo dei fanghi di depurazione – molto conveniente per l'agricoltore, che mette a disposizione gratuitamente i terreni, anche quelli in affitto, mentre tutti i costi connessi al conferimento sono a carico del «fanghista» – è preferibile rispetto ad altri sistemi di smaltimento rifiuti (incenerimento e discarica) ma sull'interesse a smaltire correttamente i rifiuti in un'ottica «circolare» prevale l'esigenza prioritaria di tutelare la salute umana, l'ecosistema, la sicurezza alimentare, la qualità delle produzioni e la competitività delle imprese agricole,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per garantire la qualità dei fanghi destinati alle colture agricole, definendo criteri e modalità per la tracciabilità dell'intero processo: analisi dell’input di fanghi negli impianti di trattamento; individuazione delle caratteristiche essenziali dei medesimi impianti e dei sistemi di stoccaggio dei fanghi; fissazione di criteri di qualità del prodotto finale dei fanghi di depurazione; selezione di sostanze organiche e inorganiche da analizzare nei fanghi a regolari scadenze per verificare l'apporto di nutrienti per il suolo escludendo la tossicità; individuazione delle soglie massime ammissibili delle sostanze potenzialmente tossiche ad elevate concentrazioni;
    ad assumere iniziative per garantire un utilizzo «sicuro» dei fanghi di depurazione, precludendo l'utilizzo di fanghi di depurazione inquinanti, perché derivanti da processi produttivi che impiegano sostanze pericolose e prescrivendo controlli alla fonte e sulla gestione dei fanghi, in modo da escludere l'impiego in agricoltura di fanghi con concentrazioni di sostanze e di metalli pericolosi sopra la soglia considerata di sicurezza;
    ad adottare iniziative per integrare – in base alle conoscenze scientifiche più avanzate – la lista delle sostanze dannose e aggiornare le soglie di ammissibilità delle sostanze elencate nel decreto legislativo n. 99 del 1992;
    a promuovere – anche con opportuni incentivi – i sistemi di trattamento che favoriscono la «stabilizzazione» dei fanghi, quali il compostaggio o la digestione anaerobica;
    ad adottare iniziative per introdurre sistemi di certificazione dei fanghi analoghi a quelli più, avanzati in Europa, integrando, nell'organismo preposto alla certificazione dei fanghi per l'agricoltura, le aziende di gestione del ciclo di depurazione delle acque, le associazioni di categoria più rappresentative nel settore agricolo, sia nella produzione che nel commercio dei prodotti agricoli, le associazioni dei consumatori, l'Agenzia per la protezione dell'ambiente (si veda il sistema di certificazione svedese – REVAQ – gestito da Swedish Water & Waste Water Association (associazione svedese delle acque), dalla Federation of Swedish Farmers (agricoltori svedesi), dalla Swedish Food Federation and the Swedish Food Retailers Federation (le federazioni dei produttori e dei dettaglianti di cibo) in stretta collaborazione con l'Agenzia svedese per la protezione dell'ambiente;
    per escludere pericolose contaminazioni, ad attivare nell'immediato – in collaborazione con le aziende di gestione del ciclo di depurazione delle acque – sistemi di tracciabilità dei fanghi da utilizzare in agricoltura, fissando standard di qualità dei prodotti fertilizzanti finali;
    ad assumere iniziative per garantire che i prodotti finali, siano essi ammendanti, concimanti o correttivi, non comportino alcun rischio per la contaminazione dei terreni e per i prodotti agricoli trattati, tenendo presente anche i rischi connessi alla mobilità delle sostanze contenute nei fanghi di depurazione dai terreni aspersi verso quelli confinanti e le possibili migrazioni di contaminanti e batteri verso le falde;
    ad adottare iniziative per definire un quadro normativo di riferimento per uniformare sul territorio nazionale le condizioni e le modalità di controllo e di utilizzo dei fanghi in agricoltura;
    ad adottare iniziative per stabilire regole uniformi per controlli omogenei ed efficaci su tutto il territorio nazionale in tutte le fasi di produzione (raccolta, gestione, trattamento dei fanghi destinati a terreni agricoli) definendo altresì una disciplina che obblighi a misurare il valore di fondo (cosiddetto «bianco») del suolo e delle acque di falda prima dell'aspersione e ad effettuare un monitoraggio costante nel lungo periodo delle acque superficiali e sotterranee, dei terreni aspersi e di quelli limitrofi, e dei prodotti agricoli.
(7-01269) «Bratti, Realacci, Bergonzi, Stella Bianchi, Borghi, Braga, Carrescia, Cominelli, De Menech, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Massa, Mazzoli, Morassut, Giovanna Sanna, Valiante, Zardini».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    il Titolo terzo della Costituzione italiana detta una serie di principi di importanza fondamentale in materia di lavoro e di tutela dei diritti dei lavoratori. In tal senso, vengono in particolare rilievo, tra gli altri, l'articolo 35 che, al primo comma, afferma la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, l'articolo 36, che sancisce il diritto all'equo compenso, con specifico riferimento ad una misura del compenso sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa, l'articolo 37, che stabilisce il diritto delle lavoratrici donne di una retribuzione identica a quella dei lavoratori uomini, a parità di lavoro svolto e, infine, l'articolo 39, che sancisce al primo comma la piena libertà di organizzazione sindacale;
    se si guarda al mondo del lavoro italiano il quadro che emerge in alcuni suoi aspetti e settori sembra disattendere alcuni dei principi recati dalla nostra Costituzione in materia di tutela del lavoro e affermazione dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori; in alcuni casi, la non piena e concreta applicazione dei dettami costituzionali è conseguenza di fenomeni, anche di natura culturale, di lungo periodo. In altri casi, le cause risiedono in fattori di natura diversa e più composita che possono essere individuati nell'evoluzione dei cicli economici a livello internazionale, nella grave crisi economica che dal 2008 ha prodotto effetti fortemente recessivi su tutta l'economia mondiale, e nella nascita, anche a seguito del continuo sviluppo tecnologico, di nuove attività e professioni che ad oggi sono prive di una specifica regolamentazione;
    la netta prevalenza dell'offerta di lavoro sulla domanda ha prodotto una generale dequalificazione di numerose attività lavorative ed una progressiva riduzione, che in alcuni casi ha raggiunto punte allarmanti, delle retribuzioni in quei settori non regolamentati da accordi collettivi e contratti nazionali;
    un problema strutturale del mondo del lavoro italiano è il così detto gender pay gap tra le lavoratrici donne e i lavoratori uomini. Le donne lavoratrici guadagnano di meno rispetto agli uomini, oltre ad avere più difficoltà nell'accesso a determinate professioni e nella progressione della carriera. Con riferimento ai dati Irpef relativi al 2015, se si considera esclusivamente il parametro della retribuzione oraria la differenza retributiva tra donne e uomini nel settore privato è pari al 19,6 per cento. Se il calcolo viene raffinato, tenendo conto anche del numero di donne inoccupate e disoccupate, il differenziale di genere per l'Italia si attesta al 43,7 per cento;
    è necessario e urgente porre in essere una serie di interventi finalizzati a fronteggiare la progressiva dequalificazione di molte attività lavorative, la persistenza di retribuzioni eccessivamente basse a fronte della prestazione lavorativa effettuata e l'esistenza di un gran numero di lavoratori privi di qualsiasi tutela relativa all'accesso, anche in forma minima ad un sistema di ammortizzatori sociali;
    in tal senso, l'obiettivo da perseguire, oltre alla definizione di un sistema più ampio e inclusivo e universale di ammortizzatori sociali, è quello di riaffermare il principio dell'equo compenso per tutte quelle attività lavorative che ad oggi non sono ricomprese all'interno della regolamentazione prevista dai contratti nazionali e dagli accordi collettivi,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa utile, in collaborazione con le organizzazioni sindacali e con quelle dei datori di lavoro, volta a sancire il diritto che ogni prestazione di lavoro deve essere compensata in modo equo, in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, superando il così detto gender pay gap, e individuando come parametro le attività regolate da accordi collettivi e contratti nazionali, in quanto compatibili;
   ad assumere iniziative per ampliare e rafforzare l'attuale sistema di ammortizzatori sociali al fine di garantire l'accesso alle tipologie di lavoratori che attualmente ne sono esclusi.
(7-01268) «Martelli, Giorgio Piccolo, Zappulla».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nel dicembre 2016 è stato introdotto, ancorché in via sperimentale, l'obbligo di indicare nell'etichetta del latte e dei prodotti da esso derivati, commercializzati in Italia, la duplice menzione del Paese di mungitura e quello di condizionamento o trasformazione, ovvero dei «Paesi Ue» o «non Ue» nel caso in cui le predette operazioni avvengano in più Stati membri o Paesi terzi;
   analoga sperimentazione è in corso di finalizzazione relativamente alla filiera delle materie prime grano-pasta, a dimostrazione del fatto che la tracciabilità del prodotto è senz'altro veicolo prezioso per la valorizzazione e promozione del « made in Italy», oltre che strumento indispensabile per la determinazione di scelte consapevoli da parte del consumatore;
   sarebbe opportuno, alla luce delle criticità che investono alcuni comparti significativi del settore agroalimentare italiano, estendere tali sperimentazioni al settore del pomodoro;
   tra le produzioni agroalimentari nazionali che necessitano di essere valorizzate la filiera del pomodoro da industria si contraddistingue per i profili di qualità e genuinità che sono alla base delle produzioni derivate e configurano il pomodoro italiano come una delle eccellenze a livello mondiale;
   giova ricordare che, fin dal 2006, per la sola passata di pomodoro è stato introdotto l'obbligo di indicazione in etichetta dell'origine della materia prima utilizzata a testimonianza del fatto che anche per i derivati di pomodoro la piena tracciabilità delle produzioni è un imprescindibile elemento di competitività e distintività;
   la filiera del pomodoro costituisce, inoltre, una preziosa riserva occupazionale, posto che, nel settore dei prodotti derivati dalla trasformazione, operano oltre 8 mila imprenditori agricoli che coltivano circa 72.000 ettari le 120 industrie, con oltre 10 mila occupati ed un valore della produzione superiore a 6 miliardi,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per introdurre, ancorché in via sperimentale, anche per la filiera del pomodoro da industria l'obbligo di indicare in etichetta il Paese di produzione ovvero l'origine della materia prima, al fine di salvaguardare e valorizzare un comparto importante dell'agroalimentare nazionale, posto che i prodotti che ne derivano esprimono una qualità molto superiore rispetto ad analoghi prodotti esteri e con il loro indotto offrono preziose ed indispensabili opportunità occupazionali.
(7-01270) «Gallinella, Cecconi, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Parentela, Lupo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nel dicembre 2016 è stato introdotto, ancorché in via sperimentale, l'obbligo di indicare nell'etichetta del latte e dei prodotti da esso derivati commercializzati in Italia, la duplice menzione del Paese di mungitura e quello di condizionamento o trasformazione, ovvero dei «Paesi Ue» o «non Ue», nel caso in cui le predette operazioni avvengano in più Stati membri o Paesi terzi;
    analoga sperimentazione è in corso di finalizzazione relativamente alla filiera delle materie prime grano-pasta, a dimostrazione del fatto che la tracciabilità del prodotto è senz'altro veicolo prezioso per la valorizzazione e promozione del « made in Italy», oltre che strumento indispensabile per la determinazione di scelte consapevoli da parte del consumatore;
    sarebbe opportuno, alla luce delle criticità che investono alcuni comparti significativi del settore agroalimentare italiano, estendere tali sperimentazioni al settore cunicolo;
    relativamente alla filiera cunicola, il regolamento (UE) 1169/2011 non include la carne di coniglio tra quelle per le quali vige l'obbligo di indicazione del Paese di origine, anche se l'Italia, precedentemente alla sua entrata in vigore, introdusse tale obbligo, seppur per motivazioni di natura sanitaria, per le carni di pollame, poi ricomprese a pieno titolo nell'ambito di applicazione del citato regolamento che, come detto, inspiegabilmente esclude la carne di coniglio da quelle sottoposte a tracciabilità;
    ad aprile 2014 la Commissione agricoltura ha approvato la risoluzione conclusiva di dibattito 8-00048 che impegna il Governo pro tempore, tra le altre cose, ad intervenire con urgenza presso le competenti istituzioni europee, per l'introduzione dell'obbligo di etichettatura di origine anche per le carni di coniglio e per i prodotti trasformati a base di coniglio, sia intero che porzionato, al fine di garantire una maggior certezza giuridica a tutti gli operatori della filiera e una corretta informazione ai consumatori,

impegna il Governo

ad adottare ogni necessarie e ulteriore iniziativa di competenza per introdurre, nel più breve tempo possibile, anche per la filiera cunicola, l'obbligo di indicare in etichetta il Paese di produzione, ovvero l'origine della materia prima, al fine di salvaguardare un comparto importante della zootecnia nazionale.
(7-01271) «Gallinella, Cecconi, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Parentela, Lupo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   si è tenuto a Ginevra il gruppo di lavoro dell'Onu incaricato di coordinare il percorso verso un Trattato di messa a il bando degli ordigni nucleari ha diffuso a bozza base di lavoro;
   il testo si fonda sul diritto umanitario internazionale e riprende molti suggerimenti della prima sessione di negoziato tenutasi presso la sede delle Nazioni Unite di New York dal 27 al 31 marzo 2017:
   tale bozza di testo fungerà da base alla seconda sessione di negoziazioni per un Trattato di messa al bando delle armi nucleari, in sede Onu;
   tale importante fase di confronto cui hanno partecipato 132 Stati ha visto l'assenza dell'Italia e dei Paesi attualmente possessori di ordigni nucleari;
   i negoziati, con il testo diffuso in queste ore come base di lavoro, riprenderanno il 15 giugno 2017 per concludersi il 7 luglio 2017;
   la pubblicazione di questo testo nell'attuale clima di tensione suscitato dalle minacce lanciate dalla Corea del Nord è da considerarsi un importante passo nello sforzo di mettere al bando queste armi di distruzione di massa, ricordandone gli impatti inumani e catastrofici;
   una volta adottato, questo trattato costituirebbe un passo in avanti decisivo verso la totale eliminazione delle armi nucleari;
   il testo di base è ancorato ai princìpi della legislazione umanitaria che si fonda sulle esperienze già in vigore di proibizione di armi inaccettabili, come quelle chimiche e biologiche, le mine anti-persona, le munizioni cluster;
   gli Stati partecipanti hanno condiviso le posizioni iniziali e gli obiettivi di linguaggio del Trattato. Quasi tutti si sono concentrati sul costo umanitario dell'uso delle armi nucleari e sulla minaccia che la loro stessa esistenza pone per ogni Paese. La maggioranza dei diplomatici ha anche confrontato la messa al bando delle armi nucleari con gli accordi di divieti all'uso di armi specifiche del recente passato: iniziative che hanno avuto un impatto significativo e hanno cambiato il comportamento internazionale;
   la bozza di testo per il Trattato è di pubblico dominio e gli Stati nucleari (e i loro alleati, tra cui l'Italia) dovrebbero cogliere l'occasione per accettare un coinvolgimento e un dibattito produttivo nelle discussioni relative. I negoziati sono aperti a tutti gli Stati (anche quelli che hanno votato contro l'istituzione di questo percorso, come purtroppo successo anche per l'Italia) e sebbene ogni Paese possa aderire al trattato e ratificarlo anche dopo la sua approvazione è evidente come una non partecipazione ai negoziati rappresenterebbe una scelta politicamente negativa;
   questo trattato proibirebbe la produzione, il trasferimento, la minaccia di uso e l'uso di queste armi affinché nessun Paese debba sperimentarne di nuovo gli orrori; sarà pertanto cruciale la partecipazione del maggior numero possibile di Stati, allo scopo di identificare i punti di convergenza fra le esigenze di sicurezza nazionale e di difesa, e l'obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari;
   le organizzazioni della società civile italiana come Senzatomica e Rete italiana per il disarmo hanno rinnovato l'appello al Presidente del Consiglio Gentiloni e al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Alfano affinché modifichino la posizione espressa in questi ultimi mesi dall'Italia e partecipino alla seconda sessione di negoziati, da metà giugno, per inserirsi nel dibattito in corso sul disarmo nucleare e rendere onore alla tradizione di grande impegno multilaterale del nostro Paese –:
   per quali motivi il Governo abbia deciso di non partecipare finora al percorso preparatorio alla redazione del trattato, partecipazione prevista anche per i Paesi che si sono dichiarati contrari;
   se il Governo intenda partecipare alla prossima sessione del negoziato, dimostrando la propria dichiarata attenzione, al fine di spingere i Paesi con ordigni nucleari ad affrontare comunque una discussione in sede Onu e ad accedere alla prospettiva della ripresa di un effettivo negoziato sul disarmo nucleare, che il percorso preparatorio di un trattato per la messa al bando potrebbe positiva ente rilanciare.
(2-01815) «Fossati, Albini, Duranti, Fontanelli, Carlo Galli, Martelli, Murer, Nicchi, Zaratti».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   con una nota stampa diffusa dal Ministero dell'interno si afferma che al momento un gruppo di lavoro composto da rappresentanti del Viminale e delle regioni, sta lavorando per individuare i nuovi centri di permanenza per il rimpatrio previsti dalla «legge Minniti» uno per regione, per una capienza di 1.600 posti;
   nello stesso comunicato si asserisce che 10 località sono state già indicate e si attende ora l’«ok» da parte delle regioni. In Sardegna – prosegue la nota – il centro di permanenza per i rimpatri è stato individuato ad Iglesias, con la previsione di 100 posti nell'ex casa mandamentale che si sta riadattando;
   appare singolare che in un primo capoverso della nota stampa si affermi che si è in attesa del parere favorevole delle regioni, mentre nel successivo si asserisce che l'ex carcere mandamentale si sta riadattando;
   da tale ultima affermazione sembrano ricavarsi due elementi: la regione Sardegna avrebbe già manifestato il suo consenso per quella localizzazione e il comune di Iglesias avrebbe dato il proprio assenso a lavori di riadattamento e di cambio di destinazione d'uso;
   tale eventualità, smentita sia da comune che regione, sarebbe, secondo l'interpellante, in totale contrasto con l'ordinamento costituzionale e regionale;
   nella fattispecie esistono due evidenti elementi ostativi: sia regione che comune commetterebbero a giudizio dell'interpellante un abuso e nel contempo ciò costituirebbe un danno economico rilevante per la regione stessa;
   per quanto riguarda il cambio di destinazione d'uso è evidente l'impossibilità di accogliere l'istanza tendente ad ottenere il permesso al mutamento di destinazione d'uso di un immobile, da carcere a struttura residenziale, proprio con riferimento alla incompatibilità della nuova destinazione d'uso con la classificazione prevista dallo strumento urbanistico vigente per l'area ove è ubicato l'immobile interessato;
   la richiesta di cambio della destinazione d'uso di un fabbricato, qualora non inerisca all'ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a inquadrarsi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì di un'alterazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede;
   il cambio di destinazione d'uso concerne una struttura carceraria, e come tale con un carico urbanistico ben individuato e limitato, da trasformare in un insediamento stabile di residenza collettiva per un numero di persone imprecisato ma di certo non annoverabile in un modesto carico di nuove esigenze sia sul piano dei servizi che della compatibilità della struttura con il contesto urbanistico circostante;
   le strutture carcerarie non possono essere minimamente equiparate né sul piano del diritto internazionale né su quello sostanziale urbanistico a quelle previste per un centro permanente di rimpatri trattandosi di strutture caratterizzate dall'aspetto stanziale/detentivo degli utenti, nel primo caso, di vera e proprio residenzialità, nel secondo;
   per quanto riguarda l'applicazione dell'articolo 14 dello statuto alle carceri di Iglesias-Cagliari-Oristano e Sassari appare evidente che tale patrimonio deve essere immediatamente ceduto al patrimonio regionale con il passaggio eventuale ai comuni che ne facciano richiesta;
   l'articolo 14 dello statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1948, n. 58), infatti, dispone: 1) la regione, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo; 2) i beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione. I beni immobili situati nella regione, che non sono di proprietà di alcuno, spettano al patrimonio della regione;
   le disposizioni contenute nei primi due commi dell'articolo 14 dello statuto della regione Sardegna di rango costituzionale dispongono che la regione succeda, nell'ambito del suo territorio, nei beni e nei diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare, regola generale esplicitata nel primo comma –:
   se il Governo non ritenga di dover revocare ogni qualsivoglia decisione per quanto riguarda il territorio della regione Sardegna, sia per le richiamate ragioni statutarie sia per le sue speciali prerogative;
   se non si ritenga di dover avviare le procedure per la cessione del patrimonio che abbia cessato di avere funzione statale direttamente alla regione Sardegna, in modo trasparente e senza ulteriori indugi;
   se non si ritenga di dover assumere iniziative per trasferire al demanio regionale i carceri di Iglesias, Cagliari, Sassari e Oristano, già dismessi e in totale stato di abbandono, evitando comportamenti dilatori che disattendono la norma statutaria richiamata.
(2-01817) «Pili».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'AGOSTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le Officine Meccaniche Irpine (Omi), situate nell'area industriale di Calaggio, in provincia di Avellino, sono minacciate da una frana che dal 2001 persiste nella zona;
   a tale rischio sono soggette anche altre aziende situate nei paraggi della Omi, come la Irpinia Zinco;
   nei giorni scorsi, si è tenuta una conferenza di servizi convocata dal comune di Lacedonia che ha visto riunite tutte le parti coinvolte: l'area di sviluppo industriale, Confindustria, l'amministrazione provinciale di Avellino, l'autorità di bacino e la comunità montana;
   da tale conferenza di servizi è venuta fuori la richiesta alle istituzioni di giungere in tempi brevi alla soluzione di un problema che si protrae ormai da troppo tempo;
   già in passato la Omi è stata costretta a sospendere le proprie attività al fine di consentire la ripulitura degli stabilimenti invasi dal fango in occasione di piogge particolarmente copiose;
   i vertici dell'azienda irpina hanno paventato il rischio di una definitiva chiusura dello stabilimento qualora si dovesse verificare uno smottamento;
   tale eventualità metterebbe a serio rischio alcune centinaia di posti di lavoro in un'area già di per sé particolarmente colpita dalla crisi economica di questo ultimi anni;
   la vicenda si è trascinata per troppo tempo ed è necessario intervenire in tempi rapidi per scongiurare tale ipotesi;
   il comune di Lacedonia, in collaborazione con l'Asi e la provincia di Avellino, ha disposto la realizzazione di sondaggi geologici per accertare lo stato della frana e per effettuare un monitoraggio costante della stessa;
   stando a quanto emerso nella conferenza di servizi, occorre definire chi debba intervenire sulla frana per porre in essere le opere temporanee necessarie a prevenire smottamenti;
   la condizione della Omi e delle altre aziende operanti nell'area richiede importanti risorse per gli interventi necessari a sottrarre dette aziende dal rischio di essere invase da fango e detriti in caso di uno smottamento;
   le province, compresa quella di Avellino, versano in una condizione di grave difficoltà economica determinata dal taglio di risorse che si è susseguito nel corso degli ultimi anni in seguito alla «riforma Delrio» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di fronteggiare i pericoli per l'incolumità pubblica e supportare le amministrazioni e gli enti nel realizzare le opere necessarie di messa in sicurezza, in modo da sottrarre le Officine Meccaniche Irpine e le aziende irpine presenti nell'area industriale del Calaggio dal rischio di uno smottamento che avrebbe conseguenze gravissime dal punto di vista occupazionale e sociale. (5-11446)


   LABRIOLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un programma trasmesso da un noto canale della televisione nazionale, andato in onda il 14 maggio 2017, e a numerosi articoli on line si è diffuso in maniera galoppante la notizia del gioco denominato « blue whale» ossia «balenottera azzurra». Si tratterebbe di una specie di gioco collegato ai social media tramite un’« app» che spingerebbe gli adolescenti al suicidio;
   il gioco si svolgerebbe come un vero e proprio rituale, consistente in una cinquantina di prove da superare fino al passo definitivo verso la morte, e comprende l'incidersi sul braccio la figura del mammifero con una lama, oltre che tagliarsi anche altre parti del corpo, secondo le istruzioni inviate da un «curatore» o « tutor»;
   secondo le notizie circolanti sul web ideatore del gioco sarebbe un russo, Philipp Budeikin, un ex studente di psicologia, nato attorno al 1996, ed espulso dall'università. Inoltre, sembrerebbe che il ragazzo sia stato arrestato già nel novembre del 2016, ma i notiziari avrebbero diffuso la notizia solo lo scorso metà maggio;
   il fenomeno « blue whale» sembrava essere circoscritto alla sola Russia, ma purtroppo si sarebbe esteso anche in Brasile, Europa e quindi in Italia; in base al reportage televisivo solo in Russia gli omicidi ammonterebbero a 157 ed il Governo russo avrebbe considerato il gioco «una guerra contro i Bambini. Una vera a propria attività criminale» ed avrebbe emanato un decreto in cui verrebbero inasprite le pene per chiunque istighi al suicidio ragazzi giovani o promuova azioni pericolose che possano portare minori alla morte;
   secondo una nota pubblicata il 23 maggio 2017 dall'agenzia stampa AGI il vice questore aggiunto e membro del pool della polizia postale, Elvira D'Amato, in un'intervista al giornale « il Giorno» avrebbe confermato che gli investigatori italiani stiano lavorando su « Blu Whale challenge» e che si sospetti sia arrivato in Italia dopo il suicidio di un quindicenne di Livorno, avvenuto lo scorso febbraio;
   inoltre, sembrerebbe che a seguito delle informazioni dei media relativi al gioco siano arrivate innumerevoli segnalazioni che parlerebbero anche di più persone: un gruppo o un'intera scolaresca. Attualmente la polizia postale starebbe indagando su circa 40 casi;
   il fenomeno scoperto in Italia solo ora suscita molta preoccupazione e poiché i dati sono allarmanti è necessario un intervento decisivo delle istituzioni, per arginare la diffusione del gioco e tutelare la vita dei ragazzi –:
   se il Governo sia in possesso di ulteriori dati in merito a quanto espresso in premessa e quali siano;
   se il Governo abbia posto in essere, per quanto di competenza, iniziative volte al controllo dei social network più incriminati ed, in caso negativo, come intenda agire e quale sia la tempistica;
   se il Governo ritenga opportuno attivarsi tramite i media per programmare una campagna di informazione volta a raggiungere tutte le famiglie, mettendole in guardia sul pericoloso gioco. (5-11457)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 23 maggio 2017 sul sito dell'agenzia di stampa «Agenparl» è stato pubblicato un articolo dal titolo «Difesa, Comellini (Pdm): il volo militare per portare a casa il ministro Pinotti era stato programmato già tre giorni prima»;
   nello scritto si evidenzia che presso il tribunale militare di Roma si è svolto il processo a carico di un maresciallo dell'Aeronautica militare accusato di aver rivelato notizie di carattere riservato inerenti al volo effettuato il 5 settembre 2014 dal velivolo Falcon 50 matr. 62029 con nominativo IAM 3122 sulla tratta da Ciampino a Genova Sestri sul quale aveva viaggiato come passeggera la Ministra della difesa Roberta Pinotti;
   sempre nell'articolo si legge: «Dalle carte del processo emerge chiaramente, oltre al fatto che le informazioni relative al volo in questione non erano sicuramente riservate ed erano conosciute da una ampia pluralità di soggetti, che la missione addestrativa sulla tratta Ciampino Genova per la sera del 5 settembre 2014 era stata disposta già il giorno due settembre dalla Sala Situazione di Vertice e che fu l'ufficiale Capo Sezione Pianificazione dell'Ufficio Operazioni del 31o Stormo in servizio quel giorno ad attribuirgli immediatamente la sigla “IAM3122” che identifica la presenza a bordo del Ministro della difesa – tiene a precisare Luca Marco Comellini, segretario del Partito per la tutela dei Diritti di Militari e Forze di polizia»;
   sempre dalle carte processuali emerge che lo stesso ufficiale aveva ritenuto che la procedura per disporre la missione non era consuetudinaria, ma non escludeva che fosse stata eseguita altre volte e precisava che solitamente l'attività addestrativa veniva programmata dai due gruppi di volo che compongono lo stormo;
   dalle dichiarazioni di un membro dell'equipaggio che ha effettuato il volo la sera del 5 settembre, definito di addestramento, si apprende come lo stesso non abbia escluso di essere stato informato da almeno due giorni del fatto che la Ministra Pinotti sarebbe stata a bordo come passeggera;
   Luca Comellini rileva: «Tra gli atti del fascicolo sono anche presenti i messaggi di posta elettronica acquisiti nel corso delle indagini presso l'ufficio di Gabinetto della Ministra, sia quelli del giorno 3 settembre 2014 relativi alla prenotazione e all'emissione dei biglietti per il volo Alitalia sulla tratta Fiumicino-Genova per le ore 10:20 del giorno 6 settembre, sia quello delle ore 10:09 del 5 settembre relativo all'annullamento dei medesimi biglietti. Il ministro in quell'occasione dichiarò, testualmente: “Quella sera tornavo da un vertice NATO in Galles e c'era un volo addestrativo dell'Aeronautica in partenza da Ciampino: sarebbe partito ugualmente, con me o senza di me”»; 
   è facilmente comprensibile a chiunque che tale coincidenza appare quantomeno singolare e sarebbe opportuno fugare ogni dubbio circa il fatto che il volo in questione sia stato predisposto per soddisfare l'esigenza del vertice del Ministero che altrimenti avrebbe dovuto attendere il giorno successivo per far rientro a Genova;
   nel corso del dibattimento le deposizioni di alcuni testimoni hanno evidenziato che tra il personale del 31o stormo dell'Aeronautica militare impiegato come equipaggio sugli aerei della flotta di Stato vi è l'abitudine di schernirsi definendo «tassinari» coloro che durante i fine settimana svolgono missioni di volo per il trasporto di Ministri o altri membri del Governo –:
   quanti siano stati i voli addestrativi disposti ed effettuati dal 31o stormo dell'Aeronautica militare con gli aerei della flotta di Stato nelle giornate di venerdì, sabato, domenica o lunedì, dall'inizio della legislatura, se abbiano trasportato passeggeri civili e chi fossero. (5-11459)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCON, PALAZZOTTO e MARTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto « Plan Condor» rappresentò, negli anni ’70 ed ’80, il coordinamento delle dittature latino-americane (in particolare del Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Bolivia) per la repressione, la sparizione, la tortura e l'uccisione degli oppositori politici. I vertici militari di questi Paesi realizzarono tale piano attraverso la condivisione di informazioni, azioni e metodi di interrogatorio, tortura, carcerazione, sparizione di persone;
   si arrivò a bollare come «marxista», e quindi come «terrorista», anche chi solo manifestava l'idea di opporsi, pur se appartenente a formazioni sindacali, religiose o studentesche, senza aver mai aderito alla lotta armata. La repressione si estese a dismisura, nel momento in cui fu considerato «nemico» anche chi esprimeva semplicemente dissenso. Da qui le dittature organizzarono un vasto e sistematico piano repressivo, che si cercò di rendere invisibile, tenendolo il più possibile sotto silenzio, con il ricorso sistematico alla tortura dei sequestrati e con la loro « desaparición» affinché le prove dei delitti fossero cancellate;
   in questa terribile macchina repressiva finirono migliaia di persone alcune delle quali avevano anche la cittadinanza italiana;
   nel 2000 è stato istruito a Roma un processo contro l'uccisione di due sindacalisti di origine sarda, Martino Mastinu e Mario Marras, che lavoravano nei cantieri navali di Tigre, vicino a Buenos Aires. Il procedimento si è concluso, quando in Argentina i processi non erano ancora cominciati, con la condanna dei responsabili: sei militari e un prefetto argentino. La loro storia è stata ricostruita in un libro del giornalista Carlo Figari: «El Tano. Desaparecidos italiani in Argentina» (AM&D Edizioni);
   a gennaio 2017, la terza Corte d'assise di Roma ha emesso la sentenza del processo contro alcuni degli esponenti delle dittature civico-militari latino-americane, responsabili del « Plan Condor», per la morte di vittime di origine italiana: su 27 richieste di ergastolo per alcuni carnefici e protagonisti dell'orrore, la Corte ne ha riconosciute solo 8 (tutti già in prigione nei loro Paesi). Il Governo italiano si è costituito parte civile;
   si tratta di un importante risultato che, come giustamente ricordato dall'ambasciatore cileno in Italia, Fernando Ayala, fa onore al nostro Paese e in particolare alla sua magistratura e avvocatura, nonché a tutte le associazioni che si sono impegnate in tale ambito;
   la sentenza ha visto, però, l'assoluzione di diciannove imputati, 13 uruguaiani, 5 cileni e 1 peruviano, per gli omicidi contestati, tra cui quelli degli italo-uruguaiani Raul Borrelli, Yolanda Casco, Edmundo Dossetti, Raul Gambaro, Ileana Garcia, e Julio D'Elia;
   i giudici hanno ritenuto insufficienti gli elementi di prova a loro carico per quanto riguarda gli omicidi compiuti, sebbene fossero colpevoli dei sequestri (nel frattempo però prescritti) e fosse del tutto chiaro e pacifico il loro ruolo di fondamentali rotelle dell'ingranaggio omicida che ha portato alla sparizione, tortura e morte delle vittime;
   pesano, al riguardo, certamente, secondo gli interroganti, le inadempienze dell'ordinamento italiano riguardo all'applicazione di fondamentali convenzioni internazionali come quella contro le sparizioni e contro la tortura. Occorre, peraltro, aggiungere che esistono già, all'interno dell'ordinamento, strumenti giuridici idonei alla condanna di tutti gli imputati e bisogna augurarsi che l'opera iniziata sia completata dalla Corte d'assise d'appello;
   il 1o giugno 2017 scadranno i termini per presentare appello alla sentenza sopra citata –:
   se non reputi necessario valutare se sussistono i presupposti per richiedere al pubblico ministero di proporre impugnazione contro le assoluzioni contenute nella sentenza della terza corte d'assise di Roma;
   quale mandato abbia eventualmente dato il Governo all'Avvocatura dello Stato in relazione alla causa di cui in premessa, alla luce della necessità di garantire che sia fatta giustizia in ordine ai delitti del « Plan Condor», per far emergere la verità e per onorare la memoria delle vittime italiane delle dittature latino-americane. (4-16720)


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio del 2017 un servizio della trasmissione Le Iene, denunciava l'erogazione da parte dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di 55 mila euro contro la discriminazione ad associazioni come Anddos tra le cui attività ci sarebbe stata anche la promozione di eventi in cui veniva praticata la prostituzione omosessuale;
   a seguito dello scandalo Francesco Spano, presidente dell'Unar ed iscritto alla stessa associazione destinataria dei fondi, si dimetteva il 20 febbraio 2017, mentre la Presidenza del Consiglio dichiarava in un comunicato che «per, quanto non si ravvisino violazioni della procedura prevista e d'accordo con il dottor Spano, disporrà la sospensione in autotutela del Bando di assegnazione oggetto dell'inchiesta giornalistica, per effettuare le ulteriori opportune verifiche. I relativi fondi, comunque, non sono stati ancora erogati»;
   secondo quanto emerge da fonti di stampa i fondi sarebbero stati in effetti bloccati, ma il segretario generale Paolo Aquilanti non avrebbe disposto alcuna inchiesta interna sullo scandalo dell'Unar;
   Francesco Spano secondo voci che, per il quotidiano La Verità, circolerebbero insistentemente a Palazzo Chigi, «sarà presto ripescato con un incarico di docente. Il tutto mentre, a distanza di oltre due mesi, si aspetta lo straccio di un'inchiesta interna»;
   la cattedra, secondo il medesimo articolo «sarebbe una sorta di premio per il modo in cui Spano ha lasciato, senza far troppe storie, la sua poltrona di responsabile dell'ufficio contro le discriminazioni» –:
   se trovino conferma i fatti esposti in premessa e se non ritengano, prima di affidare qualsivoglia incarico ad un soggetto che potrebbe aver utilizzato impropriamente fondi pubblici, disporre urgentemente un'inchiesta interna, mettendo eventualmente a conoscenza delle risultanze della stessa la magistratura.
   (4-16744)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TIDEI e CHAOUKI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo recita «Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato»;
   secondo l'articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea «Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata compiuta, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima»;
   la quarta convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra, all'articolo 37, statuisce, al primo comma, che «Le persone protette che si trovano in detenzione preventiva o che subiscono una pena privativa della libertà personale saranno, durante la loro detenzione, trattate con umanità». Il successivo articolo 38 statuisce che, in ogni caso alle persone protette, sono accordati i seguenti diritti: a) ricevimento dei soccorsi individuali o collettivi che fossero loro inviati; b) assistenza medica e cure cliniche nella stessa misura che i cittadini dello Stato interessato; c) professare la loro religione e ricevere l'assistenza spirituale dei ministri del loro culto; d) godimento, per i fanciulli di età inferiore a quindici anni, le donne incinte e le madri di bambini di età inferiore a sette anni; di qualsiasi trattamento preferenziale;
   il 17 aprile 2017 circa 1.500 prigionieri palestinesi, su iniziativa del leader di Al Fatah Marwan Barghouti, anch'egli detenuto, hanno lanciato uno sciopero della fame di massa per protestare contro le difficili condizioni umanitarie nelle carceri israeliane e sensibilizzare la comunità internazionale e l'opinione pubblica mondiale circa le condizioni degradanti e inumane cui sarebbero costretti nelle carceri israeliane;
   con tale gesto i prigionieri politici rivendicano: a) il diritto alle visite dei familiari; b) la possibilità di comunicare al telefono con avvocati e familiari a cui è vietato l'ingresso in Israele; c) il diritto di ricevere cibo, libri e vestiti dai familiari; d) la presenza di un prigioniero palestinese in cucina per verificare il vitto; e) il diritto alle cure, oggi negate, per 870 prigionieri che soffrono di malattie croniche; f) il rilascio dei malati di cancro; g) la chiusura del carcere di Ramle, dove 19 prigionieri con paralisi vivono in condizioni disumane; h) la fine del regime d'isolamento in gabbie o buche, applicato anche ai minori;
   l'organizzazione non governativa, Club des prisonniers palestiniens, operante nei Territori palestinesi ha denunciato che «l'amministrazione penitenziaria ha confiscato tutti i beni che erano nelle celle dei detenuti che hanno aderito alla protesta e ha iniziato a trasferirli in altre prigioni»;
   Marwan Barghouti, già menzionato sopra, in un recente articolo dal titolo « Why We Are on Hunger Strike in Israel's Prisons», pubblicato sul quotidiano statunitense New York Times, ha denunciato «che i prigionieri palestinesi stanno soffrendo torture, trattamenti degradanti e inumani e negligenza medica, alcuni sono stati uccisi in custodia». Proprio a seguito della risonanza internazionale di tale articolo, le autorità israeliane avrebbero inasprito le condizioni detentive del leader palestinese –:
   se non ritenga opportuno promuovere ogni iniziativa di carattere politico e diplomatico nei confronti del Governo israeliano, preferibilmente di concerto con partner ed istituzioni comunitarie, al fine di assicurare il pieno rispetto dei diritti umani nonché di tutte le obbligazioni giuridiche nei riguardi dei detenuti politici palestinesi. (5-11458)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la situazione politica e dell'ordine pubblico in Venezuela non accenna a migliorare;
   lo scontro tra il Governo del Presidente Nicholas Maduro e le opposizioni si acuisce ogni giorno che passa, facendo registrare violenze crescenti contro le persone e le cose;
   la circostanza è motivo di preoccupazione in relazione alla presenza in Venezuela di una folta comunità di cittadini del nostro Paese — composta da non meno di 160 mila persone iscritte all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero — e al rischio che incombe sulla loro incolumità; 
   costituirebbe un'aggravante del pericolo la circostanza che simpatizzi per l'opposizione a Maduro la maggioranza dei concittadini italiani residenti in Venezuela e, più in generale, della comunità italo-venezuelana che rappresenterebbe il 5 per cento della popolazione locale;
   l'ulteriore deteriorarsi della situazione potrebbe indurre molti fra i nei concittadini italiani in Venezuela a considerare troppo rischiosa la scelta di rimanere in quel Paese, con la conseguenza di ipotizzare un ritorno in Italia che a quel punto dovrebbe essere organizzato o quanto meno agevolato dal Governo italiano;
   evacuare dal Venezuela i cittadini italiani che intendessero abbandonarlo non è tuttavia operazione da prendere sottogamba, comportando la predisposizione di un ponte aereo o di un'evacuazione via mare a grande distanza dai confini nazionali, da pianificare per tempo –:
   se il Governo stia monitorando l'evolversi della situazione in Venezuela anche sotto il profilo della sicurezza dei concittadini che vi risiedono, e se siano o meno allo studio piani per la tutela della loro incolumità e sicurezza. (4-16723)


   CARUSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il consolato generale d'Italia a Toronto ha sede in un edificio denominato «Casa Italia»;
   Casa Italia è stata edificata nel secolo scorso nel periodo tra le due guerre dalla comunità italiana che ha finanziato interamente la costruzione, acquistando il terreno nonché tutti i materiali necessari alla sua realizzazione;
   nel 1940, allo scoppio del conflitto che vedeva Italia e Canada combattere su fronti opposti, il Governo canadese ha requisito Casa Italia in quanto struttura di proprietà di una comunità proveniente da un Paese in guerra con il Canada;
   nel dopoguerra il Governo canadese ha restituito alla comunità italiana in Canada, e non al Governo italiano, tutto il complesso «Casa Italia» che è diventato patrimonio della comunità italiana per essere destinato a sede del consolato generale di Toronto;
   con il passare del tempo, «Casa Italia», oltre ad assumere una rilevanza dal punto di vista storico, artistico e culturale, è assurta ad emblema della comunità italiana e delle sue battaglie per mantenere e riconoscersi, con tanti sacrifici ma anche tanto orgoglio, nelle radici del Paese d'origine;
   in modo che appare all'interrogante del tutto arbitrario il consolato di Toronto, il quale, si ribadisce, non ha alcun diritto di proprietà, essendo «Casa Italia» patrimonio della comunità italiana, ha di recente avallato il progetto finalizzato alla vendita dell'edificio del consolato e delle aree di pertinenza;
   da tale vendita si ricaverebbero locali da destinare a sedi degli organismi di rappresentanza del Governo italiano in Toronto e, presumibilmente, una cospicua somma di denaro da far confluire nelle casse del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   la comunità italiana, con la sola esclusione di coloro che sono coinvolti nel citato progetto di vendita, si è dichiarata contraria a tale iniziativa;
   anche di recente, il Ministro e il presidente del Consiglio generale degli italiani all'estero (C.G.I.E.) ha ribadito la gravità, dal punto di vista politico ed economico – commerciale, della decisione di vendere le sedi diplomatiche;
   quella che, a giudizio dell'interrogante, si configura come una vera e propria operazione di speculazione edilizia, reca un gravissimo danno all'immagine non solo della comunità italiana in Canada ma dell'Italia stessa nei confronti del Governo canadese –:
   se il Ministro sia al corrente di quanto sopra esposto e quali urgenti iniziative intenda porre in essere per evitare che la realizzazione del progetto di alienazione di alienazione di Casa Italia rechi un danno non solo all'immagine della comunità italiana di Toronto ma anche agli interessi economico-commerciali del nostro Paese in territorio canadese.
   (4-16731)


   LOSACCO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la situazione politica e le relative gravi ripercussioni economiche del Venezuela sono fonte di grande preoccupazione da parte di tutta la comunità internazionale, tanto che, come annunciato nel corso dell'informativa del 17 maggio 2017 in Senato, sarà all'ordine del giorno della prossima riunione del Consiglio di sicurezza dell'ONU;
   tra le voci che hanno espresso preoccupazione, vi sono quelle di Paesi che da sempre hanno rapporti di grande amicizia con il Venezuela, tra cui le autorità brasiliane, il già presidente dell'Uruguay José Mujica; anche ai più alti livelli istituzionali italiani è stata richiamata l'esigenza di rispettare la volontà popolare e i princìpi fondamentali della democrazia;
   anche il Santo Padre ha ribadito come «i gravi problemi del Venezuela si possono risolvere se c’è la volontà di costruire ponti, di dialogare seriamente e di portare a termine gli accordi raggiunti»;
   il Venezuela, durante gli anni ‘50 e ‘60, è stato uno dei luoghi in cui si è maggiormente concentrata l'emigrazione meridionale e della Puglia in particolare, motivo per cui quello che sta accadendo oggi in quel Paese è fonte di preoccupazione anche per tutti quelli che lì oggi hanno amici e parenti. Oggi vivono lì circa 150 mila connazionali, cui si aggiungono le tante imprese italiane, che, nonostante il clima di forte incertezza istituzionale e le gravissime difficoltà economiche, continuano ad operare nel Paese, a riprova del forte legame che da sempre esiste tra l'Italia e questo Paese;
   a riprova della preoccupazione che serpeggia anche nel nostro Paese, non mancano in queste settimane appelli di varia natura e iniziative di carattere istituzionale, come ad esempio quella del consiglio comunale di Triggiano, che in Venezuela ha una propria forte e riconosciuta comunità. Su proposta del Partito Democratico e di altre forze politiche, è stata approvata una mozione con la quale si impegna il Governo a fare il possibile affinché cessino le violenze e si ripristini un corretto dialogo democratico, al fine anche di superare la difficile crisi economica e sociale che affligge il Paese;
   diversi sono gli atti di indirizzo presentati in Parlamento per impegnare il Governo a mettere in campo le opportune iniziative finalizzate alla tutela dei concittadini e delle imprese italiane e ad affrontare nelle sedi internazionali la delicatissima situazione del Venezuela –:
   quali concrete iniziative il Governo intenda porre in essere per la tutela dei connazionali e delle imprese italiane, al fine anche di rispondere alle preoccupazioni di quelle tante realtà del nostro Paese che sono legate, per via dei processi di emigrazione, da uno storico legame con il Venezuela, con la sua storia, con il suo popolo. (4-16745)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli Stati membri devono adottare misure per proteggere l'ambiente acquatico e le fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei pesticidi (direttiva 2009/128/CE) e preferire pesticidi classificati come non pericolosi per l'ambiente acquatico (regolamento (CE) n. 1272/2008) e che non contengano sostanze pericolose prioritarie (direttiva 2000/60/CE);
   negli anni, l'Ispra ha registrato un aumento della copertura territoriale e della rappresentatività delle indagini, ma rimane ancora una disomogeneità dei controlli fra le regioni del Nord e quelle del Centro-sud, dove ad oggi il monitoraggio è poco rappresentativo dell'uso dei pesticidi sul territorio. Inoltre, c’è la necessità di un aggiornamento continuo dei programmi di monitoraggio che tenga conto delle nuove sostanze immesse sul mercato;
   durante il convegno «Agricoltura e salute» del 20 maggio 2017, a Terracina, è emerso che:
    nei territori di Sabaudia e Pontinia sono presenti pesticidi sopra i limiti di legge: nelle acque sotterranee e superficiali sono stati rilevati alaclor, metolaclor e terbutilazina;
   le indagini, a giudizio dell'interrogante, lacunose, eseguite dalle agenzie regionali e provinciali del Lazio (rapporto dell'Ispra 2016) mostrano che la rete di monitoraggio e il numero delle sostanze cercate (57) sono molto limitate, largamente sotto i valori della media nazionale, e non rappresentative del possibile impatto dei pesticidi nelle acque;
   il Lazio ha 5 punti di monitoraggio per le acque superficiali e 21 per quelle sotterranee (necessiterebbe di 400 punti), non monitora la densità dei punti della rete sotterranea e le sostanze più frequentemente rinvenute nei corpi idrici delle altre regioni (glifosato) e più spesso responsabili del superamento dei limiti di legge;
   pur non potendo esprimere un giudizio adeguato sullo stato di qualità delle acque del Lazio, sicuramente il livello di contaminazione è superiore ai limiti di qualità ambientale (acque superficiali: 2 punti; acque sotterranee: 1 punto);
   sono state rinvenute 12 sostanze tra cui terbutilazina, metolaclor, metamitron, oxadixil, e benfuracarb;
   l'oncoematologa Gentilini ha mostrato come i pesticidi rappresentino, soprattutto per i feti, fattori di rischio per le patologie degenerative, oltre che per infertilità, tumori e leucemie, disfunzioni ormonali e intellettive e la superiorità dell'agricoltura biologica su quella convenzionale in termini di fertilità del suolo, dispendio energetico, riduzione gas serra, guadagno economico;
   secondo un'indagine condotta dall'Università di Washington, l'agricoltura biologica è la «chiave per la sostenibilità a livello globale»;
   secondo la Royal Society, «aumentare la percentuale di agricoltura che utilizza metodi biologici e sostenibili non è una scelta, è una necessità. Non possiamo semplicemente continuare a produrre cibo senza prenderci cura del nostro suolo, dell'acqua e della biodiversità» –:
   quali iniziative intendano adottare per ridurre e regolamentare l'uso dei pesticidi al fine di contenere il danno ambientale e diminuire il rischio di contaminazione dell'ambiente ed il conseguente sviluppo di patologie gravi nella popolazione;
   se intendano assumere iniziative per modificare il piano nazionale sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari introducendo vincoli più stringenti per l'uso degli agrofarmaci e misure sanzionatorie per quelle regioni che non presentino i dati relativi ai pesticidi presenti nelle acque italiane;
   quali iniziative urgenti intendano adottare per mettere in sicurezza i pozzi e gli acquedotti destinati al consumo umano di acqua, in relazione alle regioni ed alle zone inquinate dalle sostanze citate;
   con quali modalità si intendano effettuare i controlli di sicurezza alimentare sulla commercializzazione di beni alimentari, al fine di verificare le concentrazioni delle sostanze citate ed eventualmente ritirare dal mercato gli alimenti contaminati;
   quali iniziative intendano adottare per incentivare lo sviluppo dell'agricoltura biologica;
   se intendano attuare programmi di sensibilizzazione ed informazione dell'opinione pubblica volti alla tutela dell'ambiente e della salute, in particolare sui rischi derivanti dall'assunzione delle sostanze inquinanti citate. (5-11449)

Interrogazione a risposta scritta:


   MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni molteplici sono stati gli incendi che hanno colpito gli impianti di trattamento, stoccaggio o recupero dei rifiuti; le aziende danneggiate dal fuoco in due anni sono forse più di un centinaio;
   l'incendio di plastica riciclata avvenuto nel maggio del 2017 a Pomezia è solamente il più recente di una sequenza di decine di aziende date alle fiamme;
   alcuni degli incendi sono avvenuti nelle seguenti zone e durante i periodi indicati: Sicilia: Trapani frazione Belvedere (luglio 2016), Agrigento zona industriale (gennaio 2016), Pace, Messina (aprile 2017); Carini, Palermo (maggio 2017); Calabria: San Mauro Marchesato, Crotone (ottobre 2016); Puglia: Bari zona industriale (febbraio 2017); Foggia (maggio 2017); Campania: Paolisi, Benevento (gennaio 2017), Ercolano, Napoli (agosto 2016); Carinaro, Caserta (ottobre 2016); Villa Literno, Caserta (marzo 2017); Lazio: Pomezia, Roma (maggio 2017); Onano, Viterbo (settembre 2016); Abruzzo: Chieti scalo (marzo 2017); Pineto, Teramo (novembre 2016); Toscana: Le Strillaie, Grosseto (aprile 2017); Piombino, Livorno (ottobre 2016); Marche: Apiro, Macerata (aprile 2017); Emilia-Romagna: Raibano Riccione, Rimini (settembre 2016); Liguria: Ceparana, La Spezia (agosto 2016); Genova Campi, Genova (Aprile 2016); Stella, Savona (aprile 2016); Cisano sul neva, Savona (febbraio 2017); Veneto: Caorle, Venezia (settembre 2016); Monselice, Padova (ottobre 2016); Lombardia: Calcinatello, Brescia (marzo 2017); Bolgare, Bergamo (gennaio 2017); Alzano, Bergamo (febbraio 2017); Gaggiano, Milano (aprile 2017); Lainate, Milano (settembre 2016); Piemonte: Piossasco, Torino (agosto 2016); Pinerolo, Torino (aprile 2017); La Loggia, Torino (aprile 2017);
   Roberto Pennisi, magistrato della direzione nazionale antimafia esperto di crimini ambientali, sugli incendi alle ditte ed aziende che operano nel settore dei rifiuti, ha dichiarato: «Le imprese che trattano rifiuti hanno interesse ad acquisirne il più possibile, perché più acquisiscono, più aumentano gli introiti». «Oggi in Italia c’è una gestione dei rifiuti deviata, in cui la regola è questa: il rifiuto meno lo tocchi più guadagni. Ragione per la quale l'interesse di chi ha acquisito i rifiuti sarebbe quello di portare tutto in discarica». Ma poiché la normativa ambientale prevede la necessità di trattamento, e dunque costi, «per evitare di toccare questi rifiuti tante volte arriva il benedetto fuoco. Quello che brucia va in fumo e il fumo non si tocca più». Non solo: anche i casi di autocombustione, continua Pennisi, possono essere «un segnale di una gestione illegale, in cui sono stati messi in discarica o stoccati rifiuti che non avrebbero dovuto essere collocati in quei luoghi per le loro caratteristiche che li rendono predisposti alla combustione. O che non avrebbero dovuto stare insieme»;
   questi incendi producono alti valori di diossine e di altri composti altamente inquinanti, pericolosi per la salute dei cittadini –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere affinché questa vera e propria escalation di incendi si fermi;
   se non ritenga opportuna un'iniziativa normativa affinché l'uso della video sorveglianza – nei luoghi dove si svolgono attività di trattamento, di stoccaggio o recupero dei rifiuti – diventi obbligatorio per quelle aziende che richiedo una nuova autorizzazione ovvero un rinnovo.
   (4-16721)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FANUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Villa Medicea di Poggio a Caiano (Prato), risalente al 1480, fu commissionata da Lorenzo il Magnifico e realizzata su progetto di Giuliano da Sangallo, oggi ospita due nuclei museali ed è da poco diventata patrimonio dell'Unesco (2013). Essa è gestita dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo-Polo museale della Toscana e tutelato dalla Soprintendenza ai beni architettonici;
   la sera del 6 marzo 2017 intorno alle ore 20,30, una porzione delle mura di cinta della Villa Medicea è crollata a causa delle forti piogge, seppellendo parzialmente e distruggendo alcune auto parcheggiate;
   i volumi interessati dal crollo sono pari a circa 450 metri cubi. Nello specifico, l'area soggetta al crollo interessa una lunghezza di circa 22 metri un'altezza di circa 5 metri ed uno spessore massimo di circa 4 metri;
   dopo le prime tempestive ed efficaci operazioni di rimozione delle macerie da parte dei vigili del fuoco e le ordinanze comunali di chiusura al transito veicolare dell'area, il polo museale ha comunicato che i lavori di messa in sicurezza, subito avviati in data 7 marzo 2017, all'indomani del crollo avvenuto nella notte tra il 6 ed il 7 marzo, sono stati completati in data 24 marzo. Le porzioni di muro ai lati della parte franata sono state messe in completa sicurezza, così come è stata assicurata la stabilità del terreno rimasto libero a seguito della frana;
   la zona colpita è vitale per il comune di Poggio a Caiano, dal punto di vista delle attività commerciali presenti, del turismo, delle attività formative e culturali del paese (a margine del muro della Villa Medicea si trovano le Scuderie Medicee di proprietà comunale che ospitano la biblioteca, il Museo Ardengo Soffici e del ’900 italiano, sale conferenze, spazi espositivi), oltre ad essere un'importante via di transito della cittadina, vero e proprio crocevia per gli spostamenti nell'area Firenze-Prato-Pistoia;
   la Villa Medicea di Poggio a Caiano, necessita di importanti investimenti pubblici per salvarla al presente e conservarla a beneficio del turismo nazionale, internazionale e delle future generazioni –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di garantire sia il tempestivo ripristino complessivo di tutte le mura perimetrali della Villa Medicea che l'implementazione di un piano di investimenti programmato negli anni a seguire per risolvere problemi che da tempo si aggiungono senza soluzione, nonostante l'impegno della direzione della Villa e del Polo museale della Toscana.
   (5-11448)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il parco archeologico di Paestum, è stato dotato di «autonomia speciale» a seguito della riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, nonché del successivo decreto ministeriale 23 dicembre 2014, e del decreto ministeriale 15 ottobre 2015;
   il parco ha finora svolto, con la direzione di Gabriel Zuchtriegel, ben coadiuvato dal consiglio di amministrazione e dal comitato scientifico, una preziosa azione di valorizzazione e promozione, con lusinghieri risultati ed effetti significativi;
   nel 1998 l'Unesco iscrisse nella lista del patrimonio dell'umanità «I paesaggi culturali del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano con le emergenze archeologiche di Paestum e di Velia e con la certosa di Padula»;
   anche in vista del redigendo «piano di gestione» del predetto sito dell'Unesco, appare necessario ed opportuno accorpare in capo all'autonomia di Paestum gli scavi di Velia;
   il sito archeologico di Elea-Velia ha uno straordinario valore archeologico, paesaggistico e culturale, ed è noto anche per essere stato culla della scuola eleatica di Parmenide, uno dei capisaldi della filosofia occidentale;
   di recente sia il parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, con deliberazione del consiglio nazionale n. 23 del 22 dicembre 2016, che il comune di Ascea, con deliberazione consiliare n. 3 del 31 gennaio 2017, hanno chiesto al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di aggregare, «dal punto di vista organizzativo e gestionale, il sito di Elea-Velia e la Certosa di Padula al Parco archeologico di Paestum, prevedendo una gestione unitaria ed integrata dei tre siti»;
   di tale accorpamento Velia trarrebbe sicuro beneficio, laddove invece differenti ipotesi esporrebbero ad ulteriore marginalizzazione entrambe, peraltro già fortemente penalizzate dalla posizione geografica e da problematiche infrastrutturali relative ai collegamenti viari e alla raggiungibilità;
   dal punto di vista amministrativo e funzionale, il parco archeologico di Paestum, anche attraverso l'opportuno e già previsto completamento e potenziamento della pianta organica con archeologi e architetti, potrebbe sicuramente garantire la gestione integrata e coordinata dei tre siti succitati con la dovuta cura ed attenzione, dando così luogo ad un'esperienza pilota molto significativa ed interessante per l'intero comparto;
   il 16 maggio 2017, con una decisione molto importante e con tanti riflessi positivi, è stato sottoscritto fra il Polo museale della Campania ed il comune di Padula l'accordo per la valorizzazione e la gestione integrata – grande attrattore Unesco della Certosa di San Lorenzo di Padula; un accordo strategico molto significativo per la gestione più funzionale ed efficiente di un monumento di straordinario pregio e ricco di arte e di storia, che può essere sempre più sede di eventi culturali prestigiosi;
   in risposta ad una precedente interrogazione del firmatario del presente atto, nella seduta della VII Commissione, il Governo ha dichiarato che per il predetto accorpamento al Parco di Paestum «è in fase istruttoria un provvedimento ministeriale in tal senso» –:
   se il Ministro interrogato, per le ragioni sopraesposte, intenda assumere iniziative per accorpare l'area archeologica di Velia all'autonomia amministrativa e gestionale del parco archeologico di Paestum, anche al fine di uniformarla coerentemente all'iscrizione nella lista dell'Unesco del patrimonio dell'umanità, assicurando così una gestione unica e sinergica dei tre siti indicati in premessa. (5-11450)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO, RIZZO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 14 maggio 2017 il motopesca Ghibli Primo, iscritto al compartimento marittimo di Mazara del Vallo, è stato fermato in acque internazionali antistanti la Libia. Il fermo del motopesca è avvenuto in acque internazionali a circa 25 miglia nord nord-est dalla zona di Bomba, nell'area di Tobruk. Il motopesca è stato affiancato da un'imbarcazione con a bordo miliziani libici armati che hanno intimato al comandante e agli altri sei membri dell'equipaggio (tre italiani e tre tunisini) di fermare l'attività di pesca e di seguirli;
   dopo due giorni il sequestro è terminato e l'equipaggio è stato rilasciato;
   dal 2015 è attiva l'operazione «Mare sicuro», un dispositivo aeronavale con il compito di svolgere, in applicazione della legislazione nazionale e degli accordi internazionali vigenti, attività di presenza, sorveglianza e sicurezza marittima nel Mar Mediterraneo centrale in prossimità delle coste libiche;
   al dispositivo sono assegnate fino a cinque unità navali e due sommergibili che operano in maniera continuativa in mare, garantendo in tal modo un alto livello di operatività ed una costante vigilanza nell'area di operazioni –:
   quali siano le ragioni che hanno impedito alle unità della Marina militare impegnate nell'operazione «Mare sicuro» di intervenire a tutela del motopesca Ghibli Primo e del suo equipaggio;
   quale sia la reale composizione del dispositivo aeronavale in seno all'operazione «Mare sicuro», con particolare riferimento ai giorni in cui è avvenuto il sequestro del peschereccio;
   quali siano i risultati ascrivibili all'operazione «Mare sicuro» dal suo avvio ad oggi in termini di sicurezza marittima e di tutela degli interessi nazionali;
   se non ritenga di dover promuovere, di concerto con le competenti autorità militari, una rimodulazione dell'operazione «Mare sicuro» alla luce dei fatti citati. (4-16732)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PESCO, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, ZOLEZZI, VILLAROSA, ALBERTI, BATTELLI, VACCA e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Fatto Quotidiano il 24 maggio 2017 pubblica un articolo dal titolo «La lobby del credito – Crediti fiscali, le banche fanno i bilanci a spese dello Stato» nel quale si legge «Nei giorni scorsi il Fatto ha raccontato il gelo tra Unicredit e Palazzo Chigi seguito alla risposta negativa dell'amministratore delegato Federico Ghizzoni alla richiesta di Maria Elena Boschi di salvare la Popolare dell'Etruria. Dopo il no dell'allora ad (inizi 2015), Unicredit non sarebbe riuscita a ottenere norme per poter sfruttare più agevolmente le famose Dta (deferred tax asset), in sostanza svalutazioni e perdite che si possono trasformare in crediti d'imposta. Unicredit ne ha una mole gigantesca. La storia delle Dta è vecchia: nel 2010 l'Eba, l'Autorità bancaria europea impose alle banche italiane di avere un capitale di rischio pari all'8 per cento degli impieghi. Apriti cielo. Per evitare un'ondata di aumenti di capitale, la lobby bancaria ottenne dal governo una soluzione ingegnosa (oltre a Bankitalia e Consob che si giravano dall'altra parte mentre venivano piazzate le obbligazioni subordinate alle famiglie): rendere le Dta trasformabili in crediti d'imposta, che quindi contribuiscono a costituire il patrimonio di rischio su cui si concentra la vigilanza bancaria. Oggi le Dta sono di due tipi: rimborsabili o da usare in detrazione per imposte future sugli utili. Con i governi Berlusconi, Monti e Renzi la normativa si è spostata sempre più sul primo tipo (le altre, per evitare una sanzione europea, si possono mantenere pagando un canone)...»;
   dal quotidiano si apprende anche che le dta (deferred tax asset) dei 15 maggiori istituti di credito italiani, nel «2016 ammontano a 50,6 miliardi, a fronte di un patrimonio netto di 162 miliardi (un terzo del totale). Si va dai 13,8 miliardi di Unicredit ai 12,2 di Intesa Sanpaolo, dai 4 di Mps ai 2 di Carige. Sono crediti con il fisco che si trasformeranno in minori entrate per l'Erario. In questo modo probabilmente le banche recuperano parte delle svalutazioni fatte sui crediti non più esigibili (tipo Unicredit)...»;
   secondo il regolamento (UE) n. 549/2013, capitolo 20, paragrafo 168, crediti di imposta non pagabili rappresentano una riduzione del gettito fiscale; per contro, questo non vale per quelli pagabili, che devono essere classificati come spesa e registrati come tali per il loro importo totale –:
   se intenda fornire:
    a) la quantificazione esatta dell'ammontare del saldo residuo dei crediti d'imposta delle banche con sede in Italia nei confronti dello Stato italiano, con dettaglio degli importi relativi a Dta residue al 31 dicembre 2016 suddivise per categorie: importo Dta pagabili e importo Dta detraibili, con evidenza della loro corretta quantificazione nel bilancio pubblico come da regolamento (UE) n. 549 2013, anche ai fini di competenza;
    b) la consistenza delle Dta utilizzate dal sistema bancario in detrazione di imposte e/o rimborso dal 2008 in avanti. (5-11455)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da un'elaborazione realizzata dall'ufficio studi della Cgia è emerso che i fornitori avanzano dallo Stato una cifra che potrebbe essere vicina ai 46 miliardi di euro;
   nel 2016 la pubblica amministrazione italiana ha fatturato ai propri fornitori e alle imprese appaltatrici, per gli acquisti di beni e servizi e gli investimenti fissi lordi, 160 miliardi di euro;
   si stima che di quest'ultimo importo, fra 32 e 46 miliardi di euro non sono stati pagati a causa di ritardi e procedure burocratiche;
   nell'amministrazione pubblica le fatture vengono saldate fra 30 giorni e 6 mensilità o a 60 giorni come avviene nella sanità;
   una parte della quantificazione dei debiti dello Stato e i ritardi con i quali verrebbero pagati ricade nella voce «termini non ancora scaduti» come previsto dalla legge;
   secondo l'Istat, l'importo – riferito solo ai debiti di parte corrente – quelli notificati alla Commissione europea per l'anno 2016, è pari a 51 miliardi di euro; la Banca d'Italia, invece, stima un importo pari a 65 miliardi di euro relativi all'anno 2015;
   a leggere queste cifre, i debiti della pubblica amministrazione sarebbero enormi;
   i creditori dell'amministrazione pubblica, per essere pagati, hanno l'obbligo di emettere la fattura elettronica;
   secondo le procedure in vigore, il documento informatico è tracciato elettronicamente dal Ministero dell'economia e delle finanze che lo segue in tempo reale avendo sempre conto delle uscite;
   non tutte le transazioni, però, avvengono su questa piattaforma e, in non pochi casi, i pagamenti superano la tempistica prevista per legge –:
   considerata la totale assenza di dati ufficiali, se intenda chiarire a quanto ammonta complessivamente il debito nei confronti dei fornitori;
   se sia effettivamente possibile che una parte delle fatture non transiti dalla piattaforma e venga saldata in tempi superiori a quelli previsti dalla legge;
   se e in che tempi si possa ridurre l'importo di questo debito che sottrae liquidità alle aziende fornitrici. (4-16724)


   RUSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con delibera della giunta regionale della Campania n. 459/2014 venivano assegnate risorse attribuite con delibera del Cipe n. 79/2012 all'obiettivo di servizio (OdS) «istruzione» nell'importo di 30 milioni di euro;
   con delibera della giunta regionale n. 22/2015 si destinavano tali risorse a misure di recupero e riqualificazione del patrimonio infrastrutturale degli istituti scolastici individuando quali soggetti attuatori per la realizzazione di interventi tesi alla riqualificazione del tessuto edilizio scolastico le province, competenti sulle scuole di secondo grado, dove maggiormente è concentrato il fenomeno della dispersione scolastica;
   in tal senso, con la medesima deliberazione veniva attribuito alle province campane un importo pari a 27 milioni di euro, ripartito sulla base di criteri direttamente proporzionali, per un terzo, al numero dei plessi esistenti, per un terzo, alla numerosità della popolazione scolastica, e per un ultimo terzo, in quota fissa;
   la medesima deliberazione stabiliva inoltre:
    a) i criteri di priorità sulla base dei quali le province avrebbero dovuto proporre progetti di intervento sugli edifici scolastici tenendo conto, tra l'altro, del tasso di dispersione scolastica sia dal punto di vista della distribuzione territoriale che in relazione alla tipologia dell'indirizzo di studio;
    b) gli iter procedurali e i cronoprogrammi di spesa degli interventi proposti che avrebbero dovuto essere coerenti con la tempistica indicata dal Cipe per le risorse «obiettivi di servizio» del fondo per lo sviluppo e la coesione nelle delibere nn. 166/2007, 79/2012 e 21/2014, che individuavano il 31 dicembre 2015 per l'assunzione di obbligazioni giuridicamente vincolanti e il termine del 31 dicembre 2018 per la spesa;
   in ossequio al deliberato n. 22/2015 le province presentavano le loro proposte progettuali in relazione ai fabbisogni individuati, comprensive di cronoprogrammi e coerenti con le priorità stabilite dalla regione;
   con la delibera 491/2015 la giunta regionale procedeva alla revoca della delibera n. 22/2015, nonostante il responsabile della programmazione unitaria con nota prot. n. 2015.0021375/UDCP/GAB/VCG1 dell'11 dicembre 2015, avesse certificato la conformità dell'atto alle linee di indirizzo del programma di Governo, raccomandando di garantire la copertura del fabbisogno dell'edilizia scolastica, anche mediante l'individuazione di ulteriori risorse;
   con medesima deliberazione n. 491 del 21 ottobre 2015 avviava una nuova programmazione di azioni connesse all'obiettivo istruzione destinando l'intera dotazione finanziaria di 30 milioni di euro ad azioni esclusivamente di tipo formativo, escludendo qualsiasi misura di recupero e riqualificazione del patrimonio infrastrutturale degli istituti scolastici;
   in conseguenza della «legge Delrio» sono emerse gravi difficoltà finanziarie delle province campane, che hanno portato la provincia di Caserta a dover deliberare la chiusura di alcuni istituti scolastici, in quanto non era in grado di assicurare i livelli minimi di sicurezza;
   la giunta De Luca non ha ancora provveduto ad individuare ulteriori risorse come previsto e raccomandato nella delibera della giunta regionale n. 491/2015;
   a distanza di quasi due anni, non risultano peraltro ancora spesi i 30 milioni di euro programmati con la delibera della giunta regionale n. 22/2015, né individuate risorse strutturali in grado di garantire in termini di sicurezza l'incolumità degli studenti e, dunque, il regolare svolgimento dell'anno scolastico a venire –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e alle motivazioni per cui, a distanza di due anni, non siano stati impiegati i fondi statali destinati al Cipe, e quali iniziative di competenza intenda assumere per monitorare la situazione e consentire il recupero e la riqualificazione delle infrastrutture scolastiche in una realtà già fortemente penalizzata dalla esiguità delle risorse. (4-16733)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   alla Procura della Repubblica di Siracusa è stato nominato circa 4 anni fa (luglio 2013) il dottor Paolo Giordano procuratore della Repubblica;
   in questi anni l'azione della magistratura siracusana, coordinata dallo stesso procuratore, ha svolto un ruolo importante di presenza e di controllo del territorio con provvedimenti di grande rilevanza nella lotta alla criminalità e al malaffare;
   grazie all'egregio lavoro di diversi magistrati e all'azione rigorosa del procuratore della Repubblica sono stati attivati diversi fascicoli di indagini e relativi provvedimenti sulle attività dei vari comuni della provincia e, in particolare, sul comune di Siracusa;
   tali iniziative hanno visto coinvolti funzionari, imprenditori, responsabili di associazioni, consiglieri comunali, assessori e lo stesso sindaco della città di Siracusa;
   si è aperto uno scontro politico e mediatico contro la magistratura e in particolare contro quei magistrati più direttamente impegnati nei vari fascicoli di indagini;
   in questi anni è ripresa a crescere la credibilità nelle istituzioni giudiziarie e nella magistratura anche grazie all'egregio lavoro e azione realizzato dalla procura della Repubblica;
   sono ripresi i veleni nel palazzo di giustizia con ricorsi vari anche contro lo stesso procuratore della Repubblica;
   una consigliera comunale di Siracusa del Mdp signora Simona Princiotta ha recentemente, in una specifica conferenza stampa, denunziato pressioni, intimidazioni, tentativi di costruire falsi dossier contro di lei al chiaro scopo di delegittimarla sul terreno politico e personale;
   la stessa consigliera riferisce di un esposto documentato e presentato al Consiglio superiore della magistratura in relazione alla posizione di tre pubblici ministeri in forza alla procura della Repubblica di Siracusa, ovvero i pubblici ministeri Antonio Nicastro, Davide Lucignani e Andrea Palmieri;
   dal quadro degli eventi riferito emergerebbe una situazione assolutamente preoccupante che vedrebbe il coinvolgimento degli stessi per fatti e titoli diversi e per rapporti delicati tra avvocati e giudici;
   nella documentazione ufficializzata alla stampa la signora Princiotta chiede provvedimenti, tra l'altro, anche contro i suindicati singoli magistrati accusati di essere parte della lobby di interessi;
   la consigliera comunale, dal quadro di documentazione e di trascrizioni di registrazioni effettuate e già depositate, sarebbe stata vittima di una vera e propria persecuzione di stampo complottista, essendo considerata politicamente pericolosa e incontrollabile nelle sue ripetute denunce;
   in particolare la campagna diffamatoria innestata contro la Princiotta è stata basata su dichiarazione di un pentito di mafia che l'ha ripetutamente chiamata in causa in varie vicende passate e comunque non riconducibili all'attività politica; lo stesso pentito ha dichiarato di essere stato istigato a dire il falso dagli uomini più vicini al primo cittadino di Siracusa;
   in ragione di queste false dichiarazioni, il sindaco di Siracusa Giancarlo Garozzo ha rilasciato dichiarazioni pubbliche che hanno fatto scattare l'interesse delle Commissioni regionali e nazionali antimafia, Commissioni che hanno chiamato in audizione la stessa Princiotta;
   c’è stata, nelle settimane scorse, l'audizione di una delegazione della 1a Commissione del Csm nel palazzo di giustizia di Siracusa;
   nel rispetto dell'autonomia della magistratura e dei suoi organi di autogoverno, l'interrogante è però, fortemente inquietato dalle notizie suindicate e preoccupato dalle indiscrezioni apprese dalla stampa relativamente alla procedura aperta per incompatibilità proprio del procuratore della Repubblica, ovvero lo stesso che ha ridato lustro e credibilità alla procura della Repubblica di Siracusa; in questo senso, appare all'interpellante, paradossale che possano in qualche forma risultare danneggiati proprio quei magistrati che con tanto rigore e serietà stanno tentando di fare luce e giustizia sulle tante vicende legate alla corruzione, al malaffare e alla criminalità;
   è lecito denunziare il rischio che, accertati i fatti e verificate fondate le denunzie della consigliera comunale Simona Princiotta relativamente ad una lobby complottista fatta da avvocati – politici – operatori dell'informazione e alcuni magistrati, non solo si sia attentato alla libertà dell'esercizio dell'attività politica ma si sia messo seriamente in discussione il prestigio della stessa autorità giudiziaria –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza della situazione della procura di Siracusa;
   se non intenda avviare con urgenza un'attività ispettiva presso la procura di Siracusa ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di competenza.
(2-01816) «Zappulla».

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRACÌ. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il minore A.G.B., nato a Taraz (Kazakistan) il 15 settembre 2013 con passaporto rilasciato dalla Repubblica italiana il 23 aprile 2015, nell'ottobre 2015, è stato sottratto dalla madre, A.B.A. nata a Taraz il 10 luglio 1982, dall'abituale residenza in Brindisi per essere condotto illecitamente all'estero, in Kazakistan;
   a quanto risulterebbe all'interrogante, il bambino sarebbe stato trasferito, clandestinamente e senza alcuna autorizzazione del padre, in luogo avulso, lontanissimo dalla famiglia;
   il padre, signor G.B., negli sporadici contatti, a quanto risulta all'interrogante, avrebbe riscontrato che il figlio non godrebbe della dovuta assistenza e del dovuto sostegno;
   i fatti sopra rappresentati venivano denunciati dal signor G. B. presso la questura di Brindisi perché si procedesse ai necessari accertamenti per le ipotesi di reato consumate dalla predetta coniuge. Acquisiti gli atti investigativi e compiute le necessarie indagini, la procura della Repubblica presso il tribunale di Brindisi, con apposito decreto a giudizio, disponeva la citazione della signora A.B.A. avanti al tribunale penale di Brindisi (n. 9690/2015 RGNR), giudice dottoressa Almiento, per il delitto di cui all'articolo 574-bis del codice penale (sottrazione internazionale di minore e trattenimento all'estero) con condotta perdurante dal 29 ottobre 2015. Il processo si chiudeva il 16 febbraio 2017 con sentenza di condanna (n. 368/2017) della signora A.B.A. alla pena della reclusione di 2 anni (senza condizionale) e alla sospensione della responsabilità genitoriale;
   tale sentenza è irrevocabile dal 2 marzo 2017, quindi essa ha efficacia di cosa giudicata;
   nel febbraio 2016 in Kazakistan, su istanza della signora A.B.A., veniva istruito dinanzi alla Corte di Taraz un giudizio per separazione, con affido del minore. Tale giudizio, previa dichiarazione di contumacia del signore G.B., si chiudeva in poche battute, con la separazione coniugale e affido del bambino alla madre;
   successivamente, i legali del padre del bambino impugnavano suddetta sentenza pronunciata dalla Corte di Taraz il 22 febbraio 2016, per violazione del diritto di difesa dello stesso, quindi la Corte di 2o grado, con sentenza del 7 aprile 2017, accoglieva tale ricorso e disponeva l'annullamento del giudizio di primo grado;
   di seguito, si apriva un ulteriore procedimento che portava allo scioglimento del matrimonio;
   con riferimento alla questione della residenza del bambino, che è all'origine della controversia tra i coniugi, il giudice segnalava alle parti la facoltà di rivolgersi al competente organo giurisdizionale per le questioni riguardanti i minori;
   di conseguenza verrà celebrato altro giudizio innanzi alla Corte minorile di Taraz che tratterà nel merito l'affidamento del minore, valutando anche gli aspetti contenuti nella sentenza penale italiana;
   in tale ottica, l'interrogante ritiene che la situazione risulti di fatto gravissima, riguardando direttamente un minore di appena tre anni e che, pertanto, si profilerebbe necessario un intervento del Ministero della giustizia affinché sia dato immediato corso alle procedure per l'esecuzione della detta sentenza penale;
   un ritardo nei tempi di giustizia potrebbe, per contro, essere estremamente pregiudizievole –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intendano assumere affinché si attivino nell'immediato tutte le procedure per l'esecuzione della sentenza penale n. 368/2017 resa dal tribunale penale di Brindisi, irrevocabile dal 2 marzo 2017;
   in che modo intendano garantire che, ottemperanza a quanto disposta dalla succitata sentenza, vi sia il rientro immediato del minore in Italia, per la tutela suprema dello stesso. (4-16739)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TERROSI, LUCIANO AGOSTINI, BENI, MAZZOLI e VERINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto di Legamebiente «Pendolaria 2016», il numero dei pendolari che giornalmente usufruisce del trasporto ferroviario ammonta a 5,5 milioni, in leggero aumento (+0,2 per cento) rispetto al 2015;
   in particolare, risulta pari a 2 milioni e 832 mila il numero di persone che giornalmente usufruiscono del servizio non metropolitano (Treni Intercity, Regionali veloci);
   dall'analisi riportata nel rapporto suddetto emerge la tendenza, consolidatasi negli anni, di uno piccato aumento delle diseguaglianze nella offerta di servizi ferroviari tra le diverse regioni e una marcata differenza nell'attenzione dedicata alla cosiddetta Alta Velocità, da un lato, e al cosiddetto trasporto pubblico locale che contempla i treni regionali e gli Intercity di media-lunga percorrenza, dall'altro;
   negli ultimi anni di forte affermazione dell'Alta Velocità, i pendolari hanno progressivamente visto diminuire l'offerta di treni regionali e Intercity e il peggioramento delle condizioni di viaggio, in modo pressoché generalizzato, con la sola eccezione in quelle regioni che hanno aumentato gli investimenti nel trasporto pubblico locale;
   per quanto concerne in particolare le linee Roma-Orte e Roma-Firenze, con ripercussioni che hanno riguardato le destinazioni toscane, umbre e marchigiane, negli ultimi mesi si è verificato un intensificarsi di disagi manifestatisi con crescente frequenza;
   a partire dal mese di marzo 2017 infatti, si sono succeduti ritardi, a volte anche molto consistenti dovuti, secondo quanto comunicato da Rete ferroviaria italiana, a guasti che hanno interessato direttamente i treni (IC596) o la linea elettrica, in entrambi i casi con un ritardo compreso tra i 30 e i 90 minuti (con punte di 150 minuti), con grave disagio per i pendolari;
   nei giorni 16 e 18 maggio 2017 i treni in circolazione sulla tratta Roma-Orte, hanno maturato ritardi fino a 90 minuti. Le motivazioni comunicate agli utenti sono state rispettivamente la presenza di estranei sulla linea e il verificarsi di problemi agli impianti di circolazione;
   dal tardo pomeriggio del 19 maggio 2017 si sono registrati ritardi tra gli 84 e i 170 minuti ai treni in partenza da Roma verso la Toscana, l'Umbria e le Marche che ha generato disagi gravissimi, con deviazioni sulla cosiddetta linea lenta nel tratto Roma-Orte e costretto i passeggeri a condizioni di viaggio proibitive per la numerosità dei viaggiatori, per la impossibilità di usufruire di posti a sedere e per la temperatura molto elevata. La circolazione è tornata alla regolarità piena solo nella giornata di domenica 21 maggio –:
   se le motivazioni del ritardo del 16 maggio 2017 comunicate da Rete ferroviaria italiana e quali iniziative intenda assumere Rete ferroviaria italiana per scongiurare il ripetersi della presenza di estranei sulla linea;
   in cosa sia consistito «il problema agli impianti di circolazione» verificatosi in data 18 maggio 2017;
   quali siano stati i guasti tecnici che hanno generato i gravi ritardi del giorno 19 maggio 2017;
   se i problemi che hanno generato i disagi della settimana dal 15 al 19 maggio 2017 siano stati completamente risolti e se abbiano avuto il carattere della emergenza o se, viceversa, ci si debba attendere il verificarsi di situazioni analoghe;
   se i suddetti problemi siano da correlare con eventuali ritardi nella manutenzione delle linee e degli impianti di circolazione e, in questo caso, quali siano le iniziative che il Ministro intenda adottare. (5-11453)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 19 maggio 2017 si sono verificati due incidenti a distanza di un'ora, sulla strada statale 626 Caltanissetta-Gela, strada molto trafficata da quando è chiuso il viadotto San Giuliano sulla strada statale 640;
   come riporta il sito dell'Anas, nel 2015 furono stanziati circa 3 milioni di euro vincolati alla ricostruzione della campata crollata del ponte Petrulla attraverso l'utilizzo di nuove travi a cavi scorrevoli interni ed esterni e alla riparazione degli impalcati esistenti per un miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti. Inoltre, è prevista la sostituzione dei giunti esistenti e il rifacimento della pavimentazione e dell'impermeabilizzazione dell'impalcato. Con un termine previsto per l'esecuzione dei lavori di 240 giorni consecutivi, a partire dalla data del verbale di consegna;
   la strada statale 626, chiusa da luglio del 2014 da quando – a causa di un cedimento strutturale il ponte sul viadotto Petrulla – si spezzò in due rischiando di far morire alcuni automobilisti in transito, non sarà riaperta a maggio come previsto, causando continui disagi per gli automobilisti che devono spostarsi da Licata verso l'entroterra siciliano e viceversa;
   da quando il viadotto Petrulla è crollato, l'unica strada che collega Licata con Campobello di Licata, Ravanusa e Canicattì ma anche con alcuni centri del nisseno, è la vecchia statale 123 che passa da contrada Sant'Oliva e che poi, grazie ad una serie di tornanti, si inerpica fino a raggiungere la zona collinare. Strada che allunga di molto i tempi di percorrenza tra le città collegate e per lo più è molto scomoda;
   la mancanza di questo importante collegamento, che consente ai cittadini dell'entroterra di raggiungere il mare e le spiagge di Licata, sta danneggiando gli operatori turistici che, in particolare nella stagione scorsa, hanno subito un grave danno in termini economici e li continueranno a subire se non si dovesse intervenire;
   la viabilità siciliana è indispensabile per la crescita turistica, quindi economica dell'isola. Non si può ancora permettere ritardi alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade in Sicilia –:
   se il Ministro interrogato non intenda verificare che i 3 milioni di euro stanziati siano stati utilizzati per gli interventi sopraelencati;
   se il Ministro non intenda appurare eventuali responsabilità da parte dell'Anas e quali iniziative intenda assumere per esercitare un controllo puntuale in relazione all'esecuzione delle opere, assicurando la conclusione in tempi brevi delle stesse e chiarendo il motivo dei cambiamenti e dei ritardi nel completamento dei lavori sulla strada statale 626. (4-16722)


   MINNUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 298 del 1974 ha istituito l'Albo nazionale degli autotrasportatori con il fine di individuare e qualificare correttamente gli operatori del trasporto che svolgono specifiche attività di elevato contenuto professionale;
   la citata legge ha avuto, tra l'altro, il pregio di individuare anche i requisiti necessari per l'iscrizione all'albo che devono consistere nell'attitudine dell'organizzazione aziendale e nella idoneità professionale, da accertarsi mediante esame, e in particolari garanzie assicurative connesse con la natura dell'attività da svolgere;
   la legge n. 298 del 1974 e la legislazione successiva in materia non hanno previsto l'inserimento nell'albo di una particolare categoria di autotrasportatori, i «traslocatori», categoria che è stata addirittura esclusa dai servizi di trasporto dall'articolo 6 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno;
   l'assenza di una specifica disciplina di definizione della categoria e di individuazione dei requisiti necessari per appartenere alla stessa ha creato confusione e incertezza e ha permesso, di fatto, a molti di intraprendere tale attività senza possedere i requisiti essenziali previsti per gli autotrasportatori dalla legge n. 298 del 1974, in danno di quelle imprese che, al contrario, operano nel settore traslochi nel pieno rispetto delle norme in materia di autotrasporto;
   di recente, l'Associazione imprese traslocatori italiani si è fatta portatrice, presso il Ministero delle infrastrutture dei trasporti, della proposta di istituire un'apposita sezione speciale per le attività di trasloco nell'albo dell'autotrasporto, al fine di superare la situazione esposta e regolare, in modo univoco e preciso, il settore dando così la possibilità alla categoria, di avere pieno riconoscimento giuridico –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative intenda assumere, anche attraverso apertura – in tempi brevi – di un tavolo di confronto, affinché il settore dei traslochi possa trovare pieno riconoscimento giuridico, anche mediante l'istituzione di una sezione speciale per l'attività di trasloco, nell'ambito dell'albo nazionale degli autotrasportatori di cose per conto terzi.
(4-16725)


   PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   è noto che il fenomeno dell'acqua alta che, ciclicamente interessa la città di Venezia, è complesso e per molti aspetti problematico;
   con il termine acqua alta si indica il fenomeno dei picchi di marea particolarmente pronunciati che si verificano con periodicità nell'Adriatico e più intensamente nelle aree urbane di Venezia e Chioggia;
   sono stati, di conseguenza, approntati diversi piani operativi di intervento che riguardano i servizi di navigazione in caso di emergenza per l'acqua alta che, comunque, limitano e rallentano la circolazione delle persone creando notevoli disagi;
   infatti, le varie quote di marea possono condizionare il transito sotto i ponti o rendere inagibile il pontone di attracco di conseguenza; così la centrale operativa navigazione Actv decide, di volta in volta, di apportare variazioni ai servizi di navigazione;
   se, dunque, l'altezza della marea è + 95 centimetri non è più possibile il transito sotto i ponti del Rio di Cannaregio, del Canale della Scomenzera e del Canale Brentella (tra Tronchetto e piazzale Roma). Le linee interessate sono quelle del Giracittà 4.1 – 4.2 – 5.1 – 5.2 – 6 e la linea 2 che subiscono la modifica di percorso o il frazionamento della linea, secondo le seguenti modalità: quanto alla linea 4.1/4.2 viene sospeso il transito nel tratto tra Tre Archi e piazzale Roma e viceversa e la linea subisce due frazionamenti: a Tre Archi i mezzi di linea 4.1 in arrivo (direzione piazzale Roma) evoluiscono e ripartono come linea 4.2 in direzione F.te Nuove-Murano; a S. Zaccaria i mezzi di linea 4.2 in arrivo (direzione Giudecca) evoluiscono e ripartono come linea 4.1 per F.te Nuove-Murano. L'approdo previsto di S. Zaccaria Jolanda viene sospeso e la fermata viene trasferita all'approdo di Monumento Vittorio Emanuele al fine di favorire l'interscambio della linea Giracittà con la linea 2 (da e per Giudecca-Tronchetto); quanto alla linea 5.1/5.2 viene sospeso il transito nel tratto tra Tre Archi e piazzale Roma e viceversa. Il tratto Lido-piazzale Roma si effettua via Canal Grande con fermate intermedie ad Accademia e Ferrovia. Il tratto Tre Archi-Lido e viceversa via F.te Nuove viene effettua o regolarmente con partenze come da orario ufficiale; per la linea 6, il percorso viene dirottato via Canal Grande con fermate intermedie ad Accademia e Ferrovia. Le partenze dai capilinea di piazzale Roma e Lido si effettuano come da orario ufficiale;
   si deve tener conto che il numero di passeggeri annui trasportati dalle linee sopra citate è notevole e si aggira intorno ai 6 milioni e mezzo di passeggeri –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle problematiche esposte in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, abbiano intenzione di porre in essere al fine di superare le criticità relative all'attraversamento dei ponti di cui sopra. (4-16726)


   PAOLA BRAGANTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 aprile 2017 si è svolto lo sciopero nazionale del personale autostradale, indetto a seguito del mancato accordo fra le organizzazioni sindacali rappresentative dei lavoratori e le società concessionarie delle autostrade, relativamente ai presidi minimi previsti presso i caselli: da anni ormai si registra la tendenza ad organizzare il lavoro ai caselli affidandolo alle postazioni automatiche, sguarnendo via via in misura maggiore i presidi. In particolare, nelle ore notturne, tale tendenza è già concreta in varie situazioni;
   sono innumerevoli, però, le casistiche nelle quali la presenza del personale è indispensabile per assicurare il servizio all'utenza, e lo stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con circolari reiterate, di cui l'ultima è del 7 febbraio 2017, ribadisce alle società concessionarie l'esigenza di assicurare la presenza di personale h24 presso ogni casello autostradale, a tutela dell'utenza e della sua sicurezza;
   la stessa indicazione è stata ribadita il 28 marzo 2017 presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel corso di una riunione alla presenza dei rappresentanti delle società concessionarie. Nonostante tutto ciò, non pare di intravedere mutamenti concreti nella gestione dei presidi, in particolare nelle ore notturne, durante le quali, invece, il presidio sarebbe ancora più importante proprio per le tipologie di emergenze che si presentano all'utenza in difficoltà;
   lo sciopero ha visto una partecipazione piuttosto significativa, nonostante la difficoltà da parte dei lavoratori a rendere pienamente efficace il proprio diritto allo sciopero, perché le società concessionarie agevolmente possono sostituire la forza lavoro utilizzando i caselli automatici: proprio per evitare questo, gli accordi fra le società concessionarie e le organizzazioni sindacali prevedono le modalità di funzionamento dei caselli in caso di sciopero, ma non sempre queste vengono rispettate dalle società stesse; inoltre, numerose tipologie di lavoratori del settore autostradale sono oggetto di precetto in caso di sciopero;
   ad oggi ci si trova in una situazione di stallo e pare indispensabile un'azione specifica, che vada nella direzione di assicurare che le indicazioni relative alla gestione dei caselli vengano rispettate –:
   quali iniziative si intendano assumere per:
    a) verificare il rispetto, da parte dei concessionari, delle indicazioni contenute nelle circolari emanate, circa il presidio fisico dei caselli, nell'ottica della sicurezza e del miglior servizio per l'utenza;
    b) assicurare il rispetto delle citate indicazioni e sanzionare in caso di inadempienza i concessionari.
    c) inserire nei bandi di gara per le concessioni future specifiche clausole sul mantenimento dei presidi minimi ai caselli autostradali h24. (4-16730)


   LUIGI DI MAIO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la riforma dei porti sono state istituite le autorità di sistema portuale che saranno governate da comitati di gestione, i cui rappresentanti sono designati dai legali rappresentanti di regione, città metropolitana e comune, ai sensi del primo comma dell'articolo 9 della legge 28 gennaio 1994, n. 84;
   il sindaco di Livorno Filippo Nogarin ha visto rifiutarsi la propria auto-designazione per una candidatura che sarebbe stata ritenuta dal presidente dell'autorità di sistema portuale Stefano Corsini giuridicamente non conforme allo spirito della legge;
   il sindaco di Civitavecchia Antonio Cozzolino, che analogamente si è auto-designato, non ha ancora visto formalizzata la propria nomina per presunti dubbi di rispondenza ai requisiti della legge sollevati da parte del presidente dell'autorità di sistema portuale Francesco Maria Di Majo nel corso del consiglio comunale di Civitavecchia del 16 maggio 2017;
   le stesse motivazioni non si sono addotte per il presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, auto-designatasi come componente per conto della regione, o per il sindaco della città metropolitana di Genova, Marco Doria, o per il sindaco del comune di Trieste, Roberto Dipiazza, tutti auto-designatisi in rappresentanza del proprio ente pur non avendo, a quanto consta agli interroganti, curriculum con esperienze portuali al riguardo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, per evitare che le nomine nei comitati di gestione delle autorità di sistema portuale siano effettuate con valutazioni diverse in casi analoghi, vista la macroscopica differenza di trattamento riservata ai sindaci del MoVimento 5 Stelle rispetto ai loro colleghi di altre città. (4-16737)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI, PIRAS, CARLO GALLI, SCOTTO, SANNICANDRO, RICCIATTI, MELILLA, FOSSATI e BOSSA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 maggio 2017, i Ministri dell'interno di Italia e Germania hanno inviato lettera indirizzata alla Commissione europea chiedendo la predisposizione di una «missione dell'Unione europea al confine tra la Libia ed il Niger il più presto possibile»;
   in un successivo articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica del 17 maggio 2017 venivano pubblicate alcune indiscrezioni sulla natura della missione e sulla sua consistenza. Nell'articolo, sebbene si specificasse che al momento non è stata presa alcuna decisione dal Governo, si evidenziava che lo Stato Maggiore della difesa stesse lavorando a una ipotesi di intervento con l'obiettivo di bloccare il flusso di migranti che arrivano in Libia, in cui «serviranno almeno cinquecento uomini, con veicoli blindati ed elicotteri, che dovranno venire interamente rifornite con gli aerei e saranno costretti a muoversi sempre nella sabbia»;
   il Ministero della difesa ha smentito nello stesso giorno la notizia pubblicata da la Repubblica, sottolineando che al momento «non vi è nessuna ipotesi operativa», ma allo stesso tempo confermando l'attività degli Stati maggiori in tal senso, giustificandola come «normale attività addestrativa degli stati maggiori e riguardante le principali aree di crisi»;
   anche il vice ministro agli affari esteri, Mario Giro, smentiva la notizia, aggiungendo in giornata: «chi conosce da vicino la situazione sa che non è mandando 500 persone nel deserto africano che si risolve il problema. Su questo tema c’è troppa improvvisazione». Tuttavia, lo stesso Vice ministro, a margine della riunione del Consiglio affari esteri tenutosi il 19 maggio a Bruxelles affermava: «Tutti hanno espresso il loro accordo sulla lettera congiunta Germania-Italia firmata da De Maiziere e Minniti sul fatto che bisogna intervenire a terra», affermando in modo chiaro che le missioni già messe in campo dall'Unione europea al momento «non bastano»;
   secondo le parole del Vice ministro, l'azione a cui fa riferimento la lettera – e discussa nel Consiglio – dovrebbe concretizzarsi in una «missione civile di appoggio alla polizia di frontiera» tra il Niger e la Libia, anche se da più parti è stato evidenziato che, al momento, date le circostanze, non è fattibile alcuna missione che non preveda anche una copertura militare, a meno che non si voglia delegare a una o più delle tante milizie presenti in quell'area –:
   quali obiettivi, regole di ingaggio, quale consistenza avrebbe la missione proposta dai Ministri dell'interno di Italia e Francia e, in particolare, se preveda una qualsiasi copertura militare, apparentemente già allo studio degli Stati maggiori europei. (5-11456)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sulla stampa da giorni si parla di «Blue Whale», la «balena blu», e lo si definisce un gioco;
   entrando nel merito si scopre che è un percorso macabro a cui si accede dai social network, fatto di inni all'autolesionismo, sfide sempre più dolorose, prove folli;
   digitando hashtag come #cut, #depressed o #autolesionismo, si apre un mondo tenebroso popolato da adolescenti che fanno a gara a chi si fa più male;
   un percorso fatto di 50 «step» dal quale, una volta entrati, non si riesce a uscire, perché si subiscono ricatti e minacce;
   molto diffuso nei Paesi dell'Est, « Blue Whale», si sta diffondendo in Europa, soprattutto Spagna, Portogallo, Francia e adesso anche in Italia;
   ci sarebbero già state oltre 150 vittime in tutta Europa anche se è difficile ricondurre alcuni suicidi o incidenti a questa sfida;
   le notizie in merito sono tantissime e incontrollate, si parla perfino di fake news;
   quello che viene chiamato gioco ha lo scopo di condurre una persona psicologicamente debole al suicidio dopo aver affrontato 50 giorni di prove ben precise ordinate da un «curatore», una specie di tutor che invia i messaggi con le schede delle prove da compiere e da documentare con foto;
   in rete è possibile recuperare la lista delle prove;
   «Blue Whale» si è diffuso sulla piattaforma VKontakte, una sorta di Facebook molto popolare nei Paesi dell'Est e poi su Instagram;
   con la sequenza che segue «svegliami alle 4:20, F57 e F58» si chiede di poter iniziare la sfida e di essere contattati per dare inizio al gioco;
   inutile dire che il proliferare di gruppi che scimmiottano l'originale, fa correre il rischio concreto di emulazione di questa pratica da parte di tanti ragazzi che hanno voglia di emozioni forti;
   una ragazza di soli 13 anni di Pescara è oggi ricoverata all'ospedale pediatrico Salesi di Ancona, centro di riferimento per le malattie neuropsichiatriche infantili. Ha raccontato che è tutto vero, che ha superato tutte le prove delle sofferenze auto-inflitte, prima di quell'ultimo step che la terrorizzava: buttarsi dall'ottavo piano di un palazzo. I segni che ha sulle braccia sono inequivocabili. Per fortuna si è fermata in tempo, aiutata dalle amiche e dalla famiglia –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative per attivare forme di collaborazione con le autorità di polizia europee al fine di capire l'effettiva portata del fenomeno descritto;
   cosa si stia facendo per arginare questo fenomeno in Italia;
   se si intendano assumere iniziative per bloccare tutte le pagine internet dalle quali si accede a questo tipo di percorsi, vere e proprie esche per adolescenti fragili e in difficoltà. (4-16736)


   ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con un comunicato stampa, il 22 maggio 2017, l'Unione sindacale di base dei vigili del fuoco provinciale ha denunciato la grave situazione in cui versa il porto di Ravenna per la mancanza di controllo a garanzia di misure adeguate di sicurezza;
   dagli anni ’90 nel porto di Ravenna, dopo la tragedia della Mecnavi in cui morirono 13 persone durante le operazioni di manutenzione straordinaria della nave gasiera Elisabetta Montanari, il comando provinciale dei vigili del fuoco ha sempre garantito l'operatività di una squadra terrestre che, in ausilio del personale specialista nautico, garantisse la sicurezza nell'area;
   la presenza continuativa di vigili del fuoco ha permesso maggiori controlli nel porto soprattutto in considerazione della notevole presenza di traffico marittimo e mercantile – dotato anche di terminal passeggeri – e di tante attività soggette alla normativa «Seveso III» che costituiscono quasi il 50 per cento delle attività soggette a rischio rilevante esistenti in tutto il territorio regionale;
   nel comunicato si fanno presenti le difficoltà in seguito alla chiusura del distaccamento terrestre operante al porto, provocata dal progetto di riordino del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che ha ridotto del 33 per cento il numero di personale specialista nautico nella sede di Ravenna (da 36 unità a 24) e dalle carenze di organico del 15 per cento (da 24 unità a 20), oltre che dalla modifica dell'assetto organizzativo territoriale, come la nascita del distaccamento permanente di vigili del fuoco a Cervia;
   il solo distaccamento specialistico riesce con estrema difficoltà – e non sempre – a garantire il soccorso in mare aperto, mentre per quel che riguarda gli interventi in porto (dove sono collocate tutte le aziende ad alto rischio) non vi è più la possibilità di intervenire prontamente e bisogna attendere l'arrivo della squadra operativa dalla sede centrale che, se disponibile, arriva dopo oltre 20 minuti, oppure di altre squadre provenienti da altre località più lontane –:
   se il Governo sia a conoscenza della grave situazione creatasi nell'area del porto di Ravenna e come intenda ripristinare condizioni adeguate a garanzia della sicurezza delle popolazioni e del territorio;
   se non ritenga urgente promuovere iniziative, anche normative, affinché vengano destinate risorse aggiuntive per integrare il numero del personale specialista nautico e del personale organico del Corpo dei vigili del fuoco, per la riapertura del distaccamento terrestre operante al porto di Ravenna, e sia ripristinata pienamente una situazione di pronto intervento in tutta l'area. (4-16742)


   SCOTTO e BOSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   «Ciro a Mare» è stato, per oltre 50 anni, il più rinomato ristorante del waterfront di Portici e dell'intero vesuviano;
   come, purtroppo, spesso accade nell'area, ciò ha suscitato l'interesse della criminalità organizzata locale, che, a più riprese, ha provato ad approcciare la proprietà del locale con richieste estorsive;
   Raffaele Rossi, proprietario di «Ciro a Mare», ha sempre denunciato i tentativi di estorsione, tanto che alcuni esponenti del clan Vollaro sono stati arrestati e condannati proprio grazie alle sue denunce e testimonianza;
   dopo numerose minacce ed una bomba molotov, il 4 gennaio del 2009 la struttura è stata distrutta da un attentato incendiario;
   da allora, il locale, nonostante la proprietà abbia una concessione in fitto di oltre 1000 metri quadri per costruire un ristorante con una licenza edilizia, non è mai stato riaperto;
   Raffaele Rossi ha più volte manifestato l'intenzione di acquistare il terreno dal comune, ma tanto gli ultimi due sindaci (Vincenzo Cuomo e Nicola Marrone), quanto i due commissari prefettizi che si sono succeduti, di fatto, non hanno sbloccato tale cessione;
   in ultimo sembrava essersi raggiunto un accordo con il commissario prefettizio, ma il 27 aprile 2017 la trattativa si è ancora una volta arenata, perché, a quanto consta agli interroganti nessun dirigente comunale si è reso disponibile a firmare la vendita del suolo;
   questi ritardi e queste strane dinamiche, considerato l'interesse più volte manifestato da figure ambigue con modalità di dubbia legittimità sul suolo in questione (si vocifera dell'esistenza di un progetto per un porto turistico di circa 450 posti barca) sono inquietanti e pericolosi;
   l'eventuale resa delle istituzioni a fronte di pressioni da parte della camorra rappresenterebbe un gravissimo precedente e potrebbe provocare un pericolosissimo effetto a catena;  
   i fatti narrati sono stati oggetto, tra l'altro, di un servizio mandato in onda dal TG regionale campano RAI nell'edizione delle 19,30 del 23 maggio 2017 –:
   se non ritengano doveroso, necessario ed urgente intervenire, con ogni iniziativa di competenza al fine di individuare e verificare le ragioni che bloccano la cessione del suolo alla proprietà di «Ciro a Mare», nonché contrastare le eventuali pressioni operate dalla criminalità organizzata così da porre fine ad una brutta storia che dura ormai da troppi anni. (4-16743)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della legge n. 264 del 1999, così come modificata e integrata negli anni successivi alla sua approvazione, è stato disciplinato, limitandolo, l'accesso ai corsi universitari in medicina e chirurgia, in medicina veterinaria, in odontoiatria e protesi dentaria, in architettura, ai corsi di laurea specialistica delle professioni sanitarie, nonché ai corsi di diploma universitario concernenti la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, in asserita «conformità alla normativa comunitaria vigente e alle raccomandazioni dell'Unione europea che determinano standard formativi tali da richiedere il possesso di specifici requisiti»;
   le limitazioni all'accesso previste dalla normativa riguardano, altresì, i corsi di laurea in scienza della formazione primaria e alle scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario, i corsi di formazione specialistica dei medici, le scuole di specializzazione per le professioni legali, nonché «i corsi universitari di nuova istituzione o attivazione, su proposta delle università e nell'ambito della programmazione del sistema universitario, per un numero di anni corrispondente alla durata legale del corso»;
   si tratta, per lo più, di corsi universitari a carattere prettamente scientifico, che richiedono un'assidua attività didattica presso le facoltà e l'utilizzo di peculiari attrezzature e laboratori;
   contestualmente alle limitazioni all'accesso previste dalla legge, è consentito finanche alle singole università di regolamentare l'accesso: a) ai corsi di laurea per i quali l'ordinamento didattico preveda l'utilizzazione di laboratori ad alta specializzazione, di sistemi informatici e tecnologici o comunque di posti-studio personalizzati, b) ai corsi di diploma universitario per i quali l'ordinamento didattico prevede l'obbligo di tirocinio come parte integrante del percorso formativo, da svolgere presso strutture diverse dall'ateneo, c) ai corsi o alle scuole di specializzazione individuate dai decreti attuativi delle disposizioni di cui all'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni;
   senonché, il potere di introdurre l'accesso programmato a singoli corsi, coniugato all'operato del Ministero che, per un verso, ha, secondo l'interrogante, irragionevolmente decurtato i finanziamenti alle università, per altro ha imposto – da ultimo con decreto del 16 dicembre 2016 – requisiti sempre più stringenti per l'accreditamento periodico e dunque la sopravvivenza degli stessi, ha portato gli atenei italiani a ricorrere indiscriminatamente alla conversione dei corsi prima ad accesso libero in corsi a cosiddetto «numero chiuso», impedendo l'accesso all'istruzione di numerosissimi cittadini, in grave violazione di diritti costituzionalmente garantiti;
   come recentemente riportato dal quotidiano online milano.repubblica.it in data 16 maggio 2017, finanche all'università statale di Milano i vertici dell'ateneo stanno cercando di introdurre l'accesso programmato ai corsi di laurea, con l'aggravio che siffatte determinazioni riguardano, nel caso di specie, le facoltà umanistiche, per le quali la limitazione degli iscritti non è in alcun modo correlata ad esigenze strutturali quanto, piuttosto, all'esiguità di personale docente e risorse economiche;
   il programma europeo Horizon 2020 impone inoltre che entro l'anno 2020 il numero di laureati si attesti almeno al 40 per cento, laddove in Italia si arresta ancora oggi al di sotto di quota 30 per cento;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine di impedire il preoccupante proliferare della conversione dei corsi ad accesso libero in corsi ad accesso programmato e con numero di posti limitato, frutto esclusivo del depauperamento dei finanziamenti alle università, da cui consegue, secondo l'interrogante non solo una grave discriminazione per gli studenti e la violazione di fondamentali diritti costituzionali ma risulta altresì una situazione totalmente contrastante con la politica europea di incremento della percentuale di laureati, basata sul condivisibile presupposto che investire nell'istruzione è la più sicura garanzia di successo contro ogni sfida, presente e futura. (5-11451)

Interrogazione a risposta scritta:


   RUSSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 595 del 24 giugno 2015 sono stati assegnati alla regione Campania euro 15.603.742 per la fornitura dei libri di testo in favore degli alunni meno abbienti della scuola dell'obbligo ed euro 5.127.861 per quelli delle scuole secondarie superiori per l'anno scolastico 2015/2015;
   tale decreto autorizzava la giunta ad iscrivere nel bilancio regionale 2017, per competenza e per cassa, le somme trasferite ai sensi dell'articolo del decreto legislativo n. 118 del 2011;
   la delibera n. 18, con la quale sono stati approvati i criteri di riparto del sopracitato fondo statale, è stata emanata in data 26 gennaio 2016, cioè sette mesi dopo la pubblicazione del decreto ministeriale;
   la stessa deliberazione di giunta rinviava, ad avviso dell'interrogante inspiegabilmente, a successivo provvedimento l'acquisizione al bilancio 2016 delle predette somme, accertate e riscosse nell'anno 2015;
   la stessa demandava alla direzione generale per l'istruzione, la formazione, il lavoro e le politiche giovanili, con il supporto dell'UOD istruzione, la predisposizione del relativo piano di riparto;
   tale piano di riparto è stato reso ed approvato con decreto dirigenziale n. 59 del 20 maggio 2016;
   dalla data di emanazione del decreto ministeriale n. 595 del 2015 ad oggi sono trascorsi ben 21 mesi senza che si sia provveduto all'iscrizione delle relative risorse nel bilancio 2017;
   tale circostanza, oltre a riverberarsi negativamente sull'attività di gestione finanziaria delle amministrazioni comunali campane, ha creato gravi disagi alle famiglie campane in difficoltà economiche;
   dinanzi alle richieste avanzate dai comuni, gli uffici regionali hanno così risposto «(...) si comunica che non è stato possibile adottare il provvedimento di liquidazione dei fondi statali, essendo lo stanziamento assegnato dal MIUR sottoposto ai vincoli derivanti dal rispetto degli equilibri di bilancio, come sanciti dalla legge 208/2015 (legge di stabilità statale), la quale prevede che le regioni a statuto ordinario assicurino il loro contributo, garantendo un avanzo sul pareggio di competenza. Tale previsione ha reso impossibile procedere alla reiscrizione dell'avanzo vincolato, garantendo la spesa soltanto entro i limiti assegnati alle singole strutture con la DGR n. 181 del 3 maggio 2016, avente ad oggetto “Pareggio di Bilancio – legge 28 dicembre 2015, n. 208, articolo 1 commi 710 e 711”» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali siano gli orientamenti del governo, per quanto di competenza, in relazione a tale situazione che grave pregiudizio sta arrecando ai comuni e quali siano le corrette modalità per assicurare il rispetto dei vincoli di finanza pubblica;
   quale iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di assicurare le necessarie risorse ai comuni.
   (4-16747)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   PRATAVIERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   visti i recenti andamenti alla borsa di Milano e le varie acquisizioni fatte negli ultimi mesi, si può affermare che la crisi per le aziende italiane e, in maniera particolare per quelle situate nel cosiddetto Nord-est del Paese, è oramai alle spalle;
   il mercato vola, altrettanto non si può dire per il salario dei lavoratori, i quali aspettano ancora la restituzione del fiscal drag dal lontano 2007 (Governo Prodi-Ministro del lavoro e delle politiche sociale pro tempore Cesare Damiano);
   il taglio del cuneo fiscale comportò una vera e boccata d'ossigeno, abbassando di fatto il costo del lavoro com’è giusto che sia visto che quello italiano e il più alto della media europea per un importo complessivo di circa 2,45 miliardi di euro per il 2007, di 4,41 miliardi per il 2008 e di 4,68 miliardi per il 2009 – ex articolo 1, commi 266-720, della legge finanziaria per il 2007. Durante il Governo Prodi si sono trasferite alle aziende, con il cuneo fiscale e lo sconto sull'Ires e l'Irap, più risorse di quante gli stessi imprenditori avrebbero potuto mai immaginare persino di chiedere negli ultimi quindici anni;
   visti i ritardi, sarebbe ora di restituire il fiscal drag ai lavoratori che avanzano da oltre dieci anni, con effetti sicuramente migliori rispetto ai semplici 80 euro dati a macchia di leopardo;
   in questi anni, molto si è parlato, anche in Italia, delle diverse forme di partecipazione agli utili aziendali; ma solo marginalmente alcune aziende private hanno dato vita a specifici protocolli e/o accordi aziendali;
   la possibilità della partecipazione dei lavoratori alla proprietà, e quindi agli utili di impresa, è, tra l'altro, prevista dal nostro ordinamento, in particolare dagli articoli 46 e 47 della Costituzione e dell'articolo 2349 del codice civile;
   l'azionariato dei dipendenti si inquadra all'interno dell'ampia categoria degli strumenti di partecipazione dei lavoratori alla proprietà e al controllo dell'impresa, basterebbe ottemperare alla raccomandazione n. 92/443/CEE del Consiglio del 27 luglio 1992 o le risoluzioni C4-0019/97 del 15 gennaio 1998 e COM 364 del 5 giugno 2003;
   esperienze importanti, al riguardo, sono state realizzate negli Stati Uniti, in Francia e in Svezia, mentre in Germania vige una forma di partecipazione dei dipendenti al controllo delle imprese svincolata dal possesso di azioni;
   di tali esperienze, le più significative rispetto al quadro delle compatibilità economiche e delle potenzialità come strumento di promozione della produttività appaiono quella americana e quella francese;
   l'articolo 4, commi 62 e 63, della legge n. 92 del 2012 – cosiddetta legge Fornero – aveva attribuito una delega al Governo, non esercitata, per l'introduzione di una disciplina normativa sulla partecipazione dei lavoratori agli utili dell'impresa e all'attuazione dei piani industriali, con previsione di forme di accesso dei rappresentanti sindacali alle informazioni sull'andamento dei piani medesimi;
   il testo unico delle imposte sui redditi – decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 – prevede una specifica agevolazione in favore dell'azionariato dei lavoratori, tant’è che ai fini delle imposte sui redditi non concorre alla formazione dell'imponibile il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti;
   l'articolo 1, comma 180, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il fondo per l'incentivazione di iniziative rivolte alla partecipazione dei lavoratori al capitale e agli utili delle imprese e alla diffusione dei piani di azionariato rivolti ai lavoratori dipendenti e ancora non si hanno dati su quante aziende hanno aderito;
   l'azionariato diffuso ai dipendenti può avvenire anche tramite le stock grant, per cui al dipendente vengono attribuite le azioni della società a titolo gratuito –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quali siano i loro orientamenti al riguardo e quali iniziative intendano adottare per incentivare le soluzioni sopra esposte;
   se non ritengano di dover assumere iniziative normative in tema di partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa e all'attuazione dei piani industriali secondo quanto indicato in premessa e quali elementi intendano fornire circa lo stato di attuazione di quanto disposto dall'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147;
   se non ritengano di dover impartire indirizzi specifici, nei modi e nei tempi dovuti, in tal senso alle aziende con partecipazioni statali. (4-16735)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROMANINI, BARUFFI, GHIZZONI, GANDOLFI, IORI, MARCHI, PATRIZIA MAESTRI, ARLOTTI, MONTRONI, DE MARIA, PAGANI, FABBRI e ZAMPA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è in fase di prossima emanazione il decreto ministeriale contenente la XVII revisione dell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali;
   tale elenco, aggiornato annualmente, viene pubblicato sulla base delle disposizioni dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173, e del decreto ministeriale 8 settembre 1999, n. 350, di alcune circolari ministeriali, nonché, da pochi mesi, dell'articolo 12, comma 1, della legge 12 dicembre 2016, n. 238;
   le denominazioni inserite in elenco riguardano produzioni le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura sono praticate sul territorio regionale in maniera omogenea e secondo regole tradizionali e protratte nel tempo, comunque per un periodo non inferiore ai venticinque anni;
   si ritiene altresì che le denominazioni inserite nell'elenco debbano essere compatibili con le vigenti disposizioni comunitarie e nazionali, in particolare quelle che regolano l'uso delle denominazioni e la produzione ed etichettatura di determinati generi alimentari;
   tale XVII revisione dell'elenco conterrebbe, in seguito all'istruttoria eseguita per propria competenza dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, la denominazione «aceto balsamico trentino»;
   attualmente sono registrate, ai sensi della normativa comunitaria sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, le seguenti dop e igp, elaborate nel territorio emiliano: aceto balsamico tradizionale di Modena dop, aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia dop, aceto balsamico di Modena igp;
   è noto inoltre che sono in corso varie vertenze con giudizio civile pendente sul corretto uso dei termini «aceto balsamico» e «balsamico» per prodotti comparabili alla Igp aceto balsamico di Modena. Tali vertenze incidono anche sulla protezione e tutela delle denominazioni di origine protette aceto balsamico tradizionale di Modena e aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia;
   sulla legittimità dell'uso dei singoli elementi di una denominazione composta, come stabilito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, è chiamato a decidere il giudice nazionale che applica la normativa comunitaria e, in ultima istanza, la stessa Corte di giustizia dell'Unione europea;
   inoltre, la legge 12 dicembre 2016, n. 238, all'articolo 49, stabilisce che la denominazione «aceto» sia seguita all'indicazione della materia prima da cui deriva. Ciò fa presumere che il prodotto che utilizza la parola «aceto» debba avere le caratteristiche indicate dal suddetto articolo di legge, e in quel caso debba essere seguito dall'indicazione della materia prima;
   considerazioni, in tal senso, sono state espresse dal Consorzio di tutela dell'aceto balsamico di Modena (Ctabm), chiamato a esprimere eventuali osservazioni nel corso dell'istruttoria ministeriale;
   sulla base di evenienze storiche e documentali, il Consorzio di tutela dell'aceto balsamico di Modena sostiene infatti che non sussistano elementi tali da comprovare che le metodiche di produzione del cosiddetto aceto trentino siano state praticate, ai sensi del decreto ministeriale n. 350 del 1999, «in maniera omogenea e secondo regole tradizionali e protratte nel tempo, comunque per un periodo non inferiore ai venticinque anni» –:
   se il Ministro interrogato, in attesa di decisioni in merito al corretto uso dei termini «aceto balsamico» e «balsamico» e nel dubbio sul possesso delle caratteristiche di «aceto» e sul corretto uso anche di tale termine in relazione al prodotto contraddistinto dalla denominazione «aceto balsamico trentino», non ritenga opportuno evitare che tale denominazione sia inserita nell'elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, nelle more di una pronuncia definitiva dei giudici nazionali e, in ultima analisi, della Corte di giustizia dell'Unione europea.
(5-11447)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   secondo i dati dell'ISTAT, nell'anno 2011 sono decedute 173.636 persone a causa di patologie oncologiche;
   attualmente, secondo la stima effettuata dall'Associazione italiana registri tumori, ci sarebbero 3 milioni di pazienti affetti da cancro;
   nonostante i casi di guarigione aumentino, molti ospedali non hanno le risorse per provvedere alle cure dei pazienti e questo dà luogo ad un imponente fenomeno di migrazione sanitaria;
   pertanto, si è dimostrata gravemente carente l'attuazione del piano oncologico nazionale 2013/2016. Al riguardo, si consideri che le reti oncologiche sono operative soltanto in 6 regioni italiane;
   l'attuazione delle reti oncologiche, in considerazione del loro ruolo cruciale per l'efficacia, la qualità e l'appropriatezza delle cure, era già fra gli obiettivi di rilievo nazionale per gli anni 2014, 2015 e 2016, come pianificato ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-bis della legge 23 dicembre 1996, n. 662;
   l'Italia è capofila di una Joint Action sul cancro della comunità europea che sta producendo dei policy paper utili a supportare a livello tecnico le politiche nazionali;
   i livelli essenziali di assistenza sono stati recentemente ridefiniti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502;
   ad oggi, non si hanno informazioni sulla eventuale adozione di un nuovo piano oncologico nazionale (PON);
   secondo la commissione tecnico- scientifica del progetto «La salute un bene da difendere, un diritto da promuovere» coordinato dall'associazione pazienti Salute donna onlus, un punto fondamentale che dovrebbe essere affrontato nella predisposizione del nuovo piano risiede nella mancata definizione per le regioni di obiettivi effettivamente misurabili attraverso indicatori predefiniti, oltre all'assenza di sanzioni per quelle regioni che non dovessero raggiungerli;
   il progetto «La salute un bene da difendere, un diritto da promuovere» che intende, in particolare, contrastare i ritardi e le gravi disparità che ancora sussistono nell'assistenza e cura dei pazienti oncologici tra le diverse regioni italiane, si avvale anche della collaborazione di un intergruppo parlamentare che intende svolgere una specifica azione di stimolo sul Governo che, nell'ambito di questo progetto, è stato anche impegnato attraverso una mozione (n. 1-01327) a mettere a disposizione dei pazienti italiani i trattamenti oncologici più innovativi disponibili sul mercato –:
    se il Ministro interpellato abbia intenzione di definire il piano oncologico nazionale e, in caso affermativo, entro quali tempi;
   se esista una commissione tecnica che si stia occupando della stesura del piano e quali siano i suoi componenti;
   quali iniziative il Ministro interpellato intenda porre in essere per la definizione di obiettivi misurabili attraverso indicatori predefiniti da raggiungere a livello regionale, tali da consentire di calcolare con sufficiente verosimiglianza le spese sostenute dalle regioni e valutare compiutamente il fenomeno della migrazione sanitaria.
(2-01814) «Rizzetto, Rampelli».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la legge che regolamenta lo smaltimento dei rifiuti radioattivi provenienti dalle lavorazioni industriale è il decreto legislativo n. 230 del 1995 che, all'articolo 157, regolamenta la sorveglianza radiometrica su materiali o prodotti semilavorati metallici in caso di attività di importazione, raccolta, deposito o che esercitano operazioni di fusione di rottami o altri materiali metallici di risulta a scopo industriale o commerciale, o di esercizio di attività di importazione di prodotti semilavorati metallici a scopo industriale o commerciale (obbligo di effettuare la sorveglianza radiometrica sui predetti materiali o prodotti, al fine di rilevare la presenza di livelli anomali di radioattività o di eventuali sorgenti dismesse, per garantire la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione da eventi che possono comportare esposizioni alle radiazioni ionizzanti ed evitare la contaminazione dell'ambiente);
   per quanto riguarda le discariche di rifiuti il decreto ministeriale del 27 settembre 2010 sui criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, modificato con decreto del 24 giugno 2015, non prevede obblighi di controllo radiometrico in fase di ingresso in discarica di rifiuti solidi urbani e speciali, pericolosi o meno;
   in Italia la normativa che regola la sicurezza nella gestione dei materiali e rifiuti radioattivi è la direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio, del 5 dicembre 2013, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall'esposizione alle radiazioni ionizzanti;
   nella direttiva si fa riferimento a stoccaggio e smaltimento di materiale radioattivo, ma non esiste un esplicito riferimento alla prevenzione di possibili abusi e illeciti o alla gestione di eventuali illeciti risalenti;
   in Italia esistono alcune realtà caratterizzate da inquinamento storico dove sono stati conferiti storicamente materiali e rifiuti anche transfrontalieri con tracciatura non precisa;
   esempi sono la discarica di rifiuti industriali definita «Collina dei veleni» nel sito di interesse nazionale di Mantova e l'Ilva di Taranto con l'annesso deposito di scorie radioattive a Statte;
   a Mantova, secondo la ricostruzione dell'ingegnere Paolo Rabitti, potrebbero essere finite perfino le diossine di Seveso, forse in parte combuste dentro lo storico inceneritore del polo chimico;
   la «collina dei veleni» ricade sotto la gestione della società Syndial, nata nel 2003 da Enichem, che è la società di Eni dedicata al risanamento ambientale. Nell'ambito delle attività industriali di Eni è possibile individuare la presenza di radionuclidi naturali per accrescimento di concentrazione dei radionuclidi naturali (Tenorm) legati a due processi industriali, la produzione di fertilizzanti con utilizzo della fosforite naturale e l'estrazione di idrocarburi per la presenza di radionuclidi naturali; rifiuti da tali attività non dovrebbero essere presenti nella collina per cui a norma di legge non vengono eseguiti dosaggi radiometrici, nel perimetro di 1.205 metri sottoposto recentemente a palancolatura per la necessità di procedere ad asportazione dei rifiuti in parte pericolosi;
   a Statte nel deposito dell'ex Cemerad sono contenuti oltre 8000 fusti contenenti materiale radioattivo. In parte provengono anche dall'Ilva di Taranto; in ripetute missioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti e emersa l'ipotesi che i rifiuti radioattivi provenienti dall'Ilva dipendano dall’«evento Chernobyl», parole di Vera Corbelli (attuale commissario alle bonifiche);
   i «filtri da evento Chernobyl» sarebbero quelli dei camini in funzione durante il disastro di Chernobyl e il successivo fall out, che avrebbe determinato passaggio di alti volumi di aria contaminata nelle ciminiere, nonostante la zona di Taranto sia fra le meno contaminate a livello nazionale tale da spingere a osservare altri siti industriali a livello nazionale (acciaierie, centrali e a carbone); dato che non risulta agli interpellanti;
   presso l'Ilva la sorveglianza epidemiologica ha documentato un eccesso di patologie oncologiche potenzialmente correlabili a esposizione a radiazioni (carcinoma tiroideo, per esempio). Nella relazione al Parlamento del 25 luglio 2016 dei commissari dell'Ilva Carrubba, Gnudi e Laghi si legge infatti che fra i circa 15.000 lavoratori dell'officina di carpenteria (CAP), fra il 2005 e il 2014, si sono riscontrati 29 casi di carcinoma della tiroide, patologia riferibile a esposizione a radiazioni, con un'incidenza molto maggiore rispetto alla popolazione generale italiana e tarantina. Il tempo di latenza (10-30 anni) riporta appunto a esposizioni relative a metà anni ’80, anni ’90. Dopo il 2014 non risultano altri casi;
   presso l'Ilva avviene il controllo radiometrico in ingresso di materiali ferrosi o prima del conferimento di rifiuti metallici in discariche interne, a norma di legge;
   non vengono controllati da un punto di vista radiometrico i rifiuti in uscita dal perimetro aziendale, inviati per esempio in provincia di Mantova e a Mellili (Siracusa), discarica oggetto dell'inchiesta «Piramidi»;
   l'archivio cartaceo di Statte è in corso di analisi da parte della Commissione d'inchiesta, dopo il sequestro del materiale avvenuto nel dicembre 2016; risultano verosimili sottrazioni di materiale documentale nel periodo di giacenza presso la ex-Cemerad a Statte –:
   se i Ministri interpellati intendano verificare la presenza di contaminazione radioattiva ascrivibile all’«evento Chernobyl» in altri impianti nazionali similari all'Ilva di Taranto funzionanti nel 1986;
   se intendano assumere iniziative per prevedere l'obbligo di accertamenti radiometrici in uscita da discariche o impianti produttivi complessi e/o oggetto di illeciti e in entrata in tutte le discariche per rifiuti speciali su tutto il territorio nazionale.
(2-01813) «Zolezzi, Vignaroli, Daga, De Rosa, Busto, Micillo, Terzoni».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Società italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) da anni impegnata nella definizione di modelli organizzativi-strutturali della medicina e chirurgia di accettazione e di urgenza, in collaborazione con il Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva, ha dedicato al tema del sovraffollamento del pronto soccorso la «Settimana nazionale del Pronto soccorso 2017», svoltasi dal 13 al 21 maggio 2017, in molti ospedali italiani con l'obiettivo di creare un'occasione di dialogo con la cittadinanza sulle problematiche dei pronto soccorso, che spesso rischiano di sfociare in conflitto fra pazienti e operatori;
   purtroppo, il sovraffollamento dei pronto soccorso è il problema principale del sistema di emergenza-urgenza nazionale e la Simeu, nell'ambito dello studio effettuato, ha reso noto che il 48 per cento delle MeCau ha elaborato un piano di gestione del sovraffollamento, ma, tuttavia, nei fatti non è sempre applicato;
   i dati dimostrano anche che, al di fuori di eventi eccezionali come il periodo influenzale, oltre 3.000 pazienti attendano nei pronto soccorso un posto letto, attesa che potrebbe protrarsi anche per diversi giorni e nella maggior parte dei casi su barelle o letti di fortuna senza alcuna privacy;
   dal sondaggio, che ha coinvolto 64 dipartimenti di emergenza e accettazione (Dea) di secondo livello e 122 dipartimenti di emergenza e accettazione di primo livello, compare come la maggiore difficoltà sia concentrata nei grandi presidi ospedali metropolitani, ospedali che nel piano nazionale Esiti 2015 mostrano una permanenza in pronto soccorso oltre le 12 ore;
   la gravità della situazione del sovraffollamento sta mettendo a dura prova la tenuta e la capacità di offrire un servizio sicuro per i pazienti che necessitano di un reale pronto intervento e ciò mostra come nel sistema sanitario italiano i reparti d'urgenza e le unità di osservazione breve intensiva si stiano trasformando in propri ricoveri;
   le strutture di pronto soccorso in molti casi si trovano ad essere le sole a fornire risposta sanitaria, dovendo accogliere pazienti gravi e urgenti, ma anche quelli in situazione di disagio sociale e quelli che vi si recano per paure infondate;
   a peggiorare la situazione è l'incapienza di posti letto, di medici, di infermieri, di operatori socio-sanitari, di risorse finanziare, di formazione che sempre di più rende incompatibili assistenza, sicurezza delle cure e rispetto dei diritti e della dignità degli utenti;
   c’è da sottolineare che molti cittadini sono costretti a recarsi in pronto soccorso, perché mancano servizi sul territorio e perché non sono più in grado di sostenere le spese dei ticket diventato insostenibile per larghe fasce di popolazione e la struttura; pertanto, la struttura di emergenza è vista come la soluzione «veloce» senza alcun pagamento;
   tuttavia, va evidenziato che molto spesso si mette a rischio la sicurezza dei pazienti, poiché, a causa dei tagli, il personale medico, infermieri e ausiliari sono costretti a effettuare gli straordinari con turni raddoppiati da 7 a 14 ore per affrontare l'emergenza e garantire un servizio pubblico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali siano gli strumenti che si intendono mettere in campo al fine di ottimizzare flussi ospedalieri di emergenza;
   in particolare, quali iniziative si intendano mettere in campo affinché vi sia uno strumento validato di definizione del sovraffollamento e dell'osservazione breve intensiva per la gestione clinica in pronto soccorso dei pazienti in attesa di definizione clinica;
   quali iniziative si intendano adottare per la gestione dei posti letto intraospedalieri, della holding area per la facilitazione del ricovero in attesa di posto letto definitivo, della visibilità in tempo reale della disponibilità dei posti letto, dei percorsi post triage, fast track e post dimissione di pronto soccorso. (5-11445)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'audizione nelle Commissioni bilancio di Camera e Senato in sede di esame del documento di economia e finanza, l'Istat ha presentato il rapporto 2017;
   il dossier di economia e finanza rileva, in particolare, la difficoltà dei cittadini ad accedere alle cure sanitarie a causa dell'impoverimento progressivo e sottolinea che soprattutto le persone anziane e i disoccupati rinunciano alle prestazioni di tipo sanitario;
   i dati peggiori riguardano le regioni del Sud Italia, dove si registrano le maggiori percentuali di meno abbienti e la popolazione più povera;
   tali numeri evidenziano specialmente la drammatica diseguaglianza nell'accesso ai servizi sanitari pubblici, rilevando che se i cittadini hanno a disposizione pochi servizi, anche di tipo sociale, sono i più soggetti a stare meno in salute, in particolare le classi più povere;
   la crisi che sta vivendo il nostro Paese ha influito pesantemente sull'accesso ai servizi sanitari; infatti, i cittadini che hanno rinunciato a una visita specialistica negli ultimi dodici mesi sono stati, secondo la rilevazione del 2015, il 6,5 per cento della popolazione, contro il 4 per cento del 2008, mentre al Sud sono il 10,1 per cento contro il 6,6 per cento del 2008;
   mentre il 14,2 per cento – contro l'8,7 per cento del 2008 – sono le persone che hanno rinunciato alle cure per ragioni economiche tra i meno abbienti;
   si evince pertanto che sono i più svantaggiati, a partire da chi vive in famiglie di donne anziane sole e giovani disoccupati, a non poter accedere alle prestazioni sanitarie;
   sono più di sette milioni le persone che in Italia vivono in grave deprivazione materiale;
   i provvedimenti, se pur importanti, messi in campo dal Governo, per la lotta alla povertà, probabilmente non sono sufficienti a ristabilire equità tra i ceti della popolazione italiana;
   inoltre, va ricordato che ad oggi il nuovo reddito di inclusione (Rei) deve ancora partire –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   considerata la notevole differenza tra la popolazione del Nord e quella del Sud, dove si trovano le maggiori difficoltà ad accedere alle cure sanitarie a causa della sempre maggiore povertà, quali iniziative si intendano mettere in campo affinché sia assicurato il diritto alle cure e alle prestazioni sanitarie a ogni cittadino;
   considerato che un cittadino che non accede alle cure sanitarie a causa della difficoltà economica è senza dubbio un cittadino che, con l'aggravarsi delle eventuali patologie, costerà maggiormente al bilancio dello Stato, quali siano i tempi previsti affinché si pervenga all'attivazione del nuovo reddito di inclusione, strumento necessario per quei milioni di cittadini che versano in condizioni di grave deprivazione materiale. (4-16727)


   BOSSA. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni mesi gli organi di stampa riportano notizie relative alle gravi difficoltà di ordine economico che stanno attraversando i tre centri Dimensione Azzurra a Torre del Greco, Plinio a Ercolano e Aurora a Portici, specializzati nell'erogazione di prestazioni di fisioterapia, logopedia e psicomotricità in regime di accreditamento con il servizio sanitario nazionale;
   le criticità finanziarie e gestionali sarebbero imputabili al mancato rinnovo della convenzione annuale da parte dell'azienda sanitaria locale Napoli 3 sud, a causa di un consistente debito maturato dalla proprietà delle suddette strutture; il contenzioso tra quest'ultima e la citata azienda sanitaria locale ha portato alla decisione della dirigenza dei centri di non corrispondere gli emolumenti ai dipendenti per le prestazioni rese;
   appare pertanto drammatica la situazione che si è venuta a determinare dal punto di vista sociale e occupazionale, in quanto presso i tre centri operano oltre duecento persone che danno assistenza a più di 1.000 utenti all'anno, in maggioranza persone affette da importanti patologie (molti bambini e giovanissimi con rilevanti deficit, affetti da autismo o da disturbi mentali), che verosimilmente non hanno altre soluzioni terapeutiche nel comprensorio;
   sussiste il rischio ormai concreto che, in mancanza di una rapida soluzione della vertenza, i centri possano chiudere con il licenziamento degli operatori sanitari (i quali, al momento, assicurano la continuità dell'assistenza, nonostante il mancato pagamento degli stipendi e degli accessori da molti mesi) e gravi ripercussioni sui pazienti delle fasce più deboli, privati degli unici presidi in grado di fornire le necessarie terapie –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, per pervenire a una soluzione che consenta di superare la situazione di stallo sopra descritta, conciliando le esigenze di recupero di quanto dovuto dal servizio sanitario con la continuità funzionale dei centri, e per tutelare la posizione del personale, delle loro famiglie e degli utenti. (4-16728)


   D'INCÀ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la pubblicazione del «maxi appalto» da oltre 300 milioni di euro, destinato a coprire il servizio pasti di tutti i presidi regionali, la regione Veneto ha effettuato un riordino complessivo ed imponente della gestione della ristorazione ospedaliera veneta. Questo significa che le usl non pubblicheranno più singoli bandi, ma che faranno capo al vincitore di quello regionale. Il «super appalto» ha la durata di 5 anni (ma le aziende sanitarie potranno chiedere di rinnovarlo per altri due) ed è diviso in sei lotti a cui fanno capo le diverse usl;
   gli appalti in corso arriveranno a scadenza naturale, dopodiché subentrerà il vincitore della «gara zero» ed una delle prime usl che è interessata a questo cambio di gestione è la usl 4 Veneto. Tra le aziende ospedaliere di quest'ultima vi è l'ospedale di Agordo, dove la somministrazione dei pasti avviene con il sistema tradizionale «fresco-caldo» con cucina interna, che deve essere servito entro le due ore dalla preparazione e che presenta aspetti di sostenibilità ambientale, legame con il territorio, sostegno all'economia locale, minor utilizzo di sistemi di trasporto, imballaggio, energia e che determina una maggiore responsabilità e controllo sociale con ricadute in termini di salute sulla collettività. Inoltre, la cucina dell'ospedale di Agordo prepara ben 500 pasti al giorno, per i degenti della residenza sanitaria assistenziale, per i pasti a domicilio, gli studenti del doposcuola, dipendenti comunali e unione montana. Il cambio di modalità di erogazione dei pasti interesserebbe quindi anche queste categorie di utenti;
   vincitrice del suddetto bando è risultata essere la società Serenissima ristorazione, che effettua il sistema di preparazione dei pasti con il metodo « Cook & Chill». Tale assegnazione però è stata annullata a causa di un ricorso al Tar della seconda classificata, la società Dussmann Service;
   il Tar, in accoglimento delle istanze della società Dussmann service, ha contestato al colosso della ristorazione ospedaliera, il fatto di servire i pasti preparati con il sistema di cook & chill il sesto giorno, anziché il quinto, così come previsto dalle linee guida ministeriali, mentre la società Serenissima ritiene che il termine di somministrazione di 5 giorni è relativo al sistema di cottura e confezionamento del cibo con il sistema «classico» e sale a 2/3 settimane quando il cook & chill avviene in «atmosfera modificata» così come prevederebbero le linee guida della regione Veneto;
   contro tale decisione, a quanto risulta all'interrogante, la regione ha deciso di fare ricorso urgente al Consiglio di Stato, mentre la direzione dell'azienda sanitaria interessata sta valutando l'annullamento in autotutela. Come si evince dal documento «Linee indirizzo nazionale-Conferenza Stato-regioni del 2011», redatte in base anche alle linee guida emanate dal Consiglio d'Europa, relative alla corretta alimentazione negli ospedali, le amministrazioni ospedaliere vengono esortate a porre maggiore attenzione alla ristorazione, intesa come mezzo di prevenzione della malnutrizione che deve iniziare sin dai primi momenti del ricovero, per proseguire fino alla dimissione, con la prescrizione della terapia dietetico-nutrizionale da seguire a domicilio. In esse si stabilisce come una corretta alimentazione costituisca uno straordinario fattore di salute e la nutrizione va dunque inserita a pieno titolo nei percorsi di diagnosi e cura. Dove, peraltro, è specificatamente previsto, il termine ultimo di giorni per la somministrazione dei pasti in modalità cook & chill –:
   se intenda assumere iniziative per monitorare il rispetto delle linee di indirizzo nazionali, a garanzia e tutela del servizio di somministrazione dei pasti in ambito ospedaliero;
   se intenda adottare iniziative normative che consentano alle strutture con cucine interne in linea con i parametri sia sanitari che economici, di non abbandonare il sistema tradizionale a favore del cook & chill. (4-16738)


   PAGANO, ATTAGUILE, BUSIN e INVERNIZZI. CASTIELLO, SALTAMARTINI, ALLASIA e SIMONETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'8 maggio 2017 scadeva il termine per la registrazione alla 70a sessione della Assemblea mondiale della sanità (AMS) e quest'anno, a differenza dei precedenti 8 anni, Taiwan non ha ricevuto l'invito per parteciparvi;
   nel 2009, dopo aver ottenuto un vasto sostegno internazionale – nell'ambito del quale si ricorda la mozione approvata dalla Camera dei deputati nel maggio 2004 – Taiwan è stata invitata, quale «"Osservatore», alla 62a sessione della Assemblea mondiale della sanità e, da allora, tale partecipazione si è regolarmente e proficuamente ripetuta fino al 2016;
   il contributo di Taiwan ai lavori della Assemblea mondiale della sanità, e agli incontri tecnici e operativi dell'organizzazione mondiale della sanità, è stato unanimemente giudicato come positivo sia per la concreta collaborazione alle attività proprie della organizzazione mondiale della sanità sia per il generoso e importante contributo alla cooperazione sanitaria con Paesi in via di sviluppo dell'Asia-Pacifico, America Latina e Africa;
   dal maggio 2016, con la democratica vittoria elettorale del presidente Tsai Ing-wen e del suo Partito democratico progressista (DPP), i rapporti tra il Governo taiwanese e quello cinese si sono raffreddati a motivo della ostilità di Pechino nei confronti della nuova amministrazione taiwanese e della sua mancata accettazione del cosiddetto «consenso del 1992» sulla base del quale, dal 2008 al 2016, si erano sviluppate le relazioni con il precedente governo del Partito nazionalista KMT;
   l'esclusione di Taiwan dalla Assemblea mondiale della sanità/organizzazione mondiale della sanità potrà determinare rischi a livello sanitario – nella prevenzione, profilassi e cure di malattie ed epidemie – e a livello alimentare, essendo l'Isola il 17o Paese esportatore al mondo e il 18o quale importatore, secondo i dati del 2015, e transitando annualmente, dai suoi scali aeroportuali, 60 milioni di persone;
   quanto sta accadendo tra l'Assemblea mondiale della sanità e Taiwan è, inoltre, molto grave perché smentisce i doveri, le responsabilità e le finalità che l'Assemblea mondiale della sanità, in base al suo atto costitutivo, si prefigge di promuovere e di difendere. Infatti, il mancato invito a Taiwan alla riunione annuale e l'ostracismo imposto dalle autorità cinesi, nei confronti di un libero e democratico Paese di 23 milioni di pacifici cittadini, ha per stessa pubblica dichiarazione del Ministro cinese della sanità – una motivazione politica inerente agli esclusivi interessi di parte del suo Governo, motivazione che, rappresenta una scandalosa violazione dei predetti doveri, responsabilità e finalità della Assemblea mondiale della sanità e della organizzazione mondiale della sanità;
   la gravità e l'assurdità dell'evento è, poi, a tutti evidente per il fatto che malattie, virus ed epidemie non conoscono né confini nazionali, territoriali, marittimi ed aerei, né il colore dei Governi e dei regimi politici come invece irrealisticamente pretende e impone il Governo –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione e se non ritengano doveroso intervenire – come hanno già fatto le autorità di Stati Uniti, Australia, Germania, Canada e di molti altri Paesi di ogni continente – a difesa del carattere apolitico e super partes della Assemblea mondiale della sanità e della organizzazione mondiale della sanità, nonché per sostenere il diritto di Taiwan di partecipare alle loro attività umanitarie, in rappresentanza e a tutela dei suoi 23 milioni di cittadini e nell'interesse globale del genere umano. (4-16746)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRIBAUDO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in base all'ultima rilevazione voluta dal Ministro interrogato, risultano circa 300 idonei dirigenti del comparto dello Stato non ancora entrati in ruolo pur avendo legittimamente superato un concorso pubblico per esami;
   le graduatorie dei dirigenti dello Stato non scorrono o ormai da anni in ragione dei blocco del turn-over e per consentire le assunzioni negli enti di area vasta della Croce rossa italiana (Cri);
   ai sensi dell'articolo 1, comma 219, della legge n. 208 del 2015, nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge n. 124 del 2015, e dell'attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 sono stati resi indisponibili i posti dirigenziali prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, vacanti alla data del 15 ottobre 2015;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 aprile 2017 non prevede, di fatto, alcuna assunzione dirigenziale; fanno eccezione Ministero dello sviluppo economico, Aci e Aifa per i quali in totale sono stati autorizzati 25 posti da dirigente da bandire, in contrasto con la norma di cui all'articolo 4, comma 3-quinquies, del decreto-legge n. 101 del 2013 secondo cui, già a decorrere dal 1o gennaio 2014, il reclutamento dei dirigenti comuni a tutte le amministrazioni pubbliche, di cui all'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001, si svolge mediante concorsi pubblici unici organizzati dal Dipartimento della funzione pubblica;
   dopo la sentenza del Corte costituzionale n. 37 del 2015, sancita l'incostituzionalità di circa 1200 dirigenti delle agenzie fiscali per assenza di procedure concorsuali, non si è proceduto allo scorrimento delle graduatorie degli idonei dirigenti dello Stato;
   nel passaggio dei dipendenti della Cri, ai sensi dell'articolo 1, comma 234, della legge n. 208 del 2015, vengono assunti nelle amministrazioni pubbliche dirigenti che non hanno mai superato un concorso pubblico per esami, non permettendo, in tal modo, lo scorrimento delle graduatorie degli idonei dirigenti;
   l'articolo 9 del decreto-legge n. 93 del 2016 prevede l'assorbimento dei dirigenti di Equitalia (società di diritto privato) nell'ambito dell'Agenzia delle entrate-riscossione (soggetto pubblico) nell'attività di recupero dei crediti attraverso una semplice «selezione e verifica delle competenze», consentendo nuovamente l'assorbimento di posti dirigenziali senza il relativo concorso;
   assumere gli idonei dirigenti, oltre che creare economie di scala, è pienamente in linea con la ratio della riforma sulla dirigenza pubblica, che prevede un ruolo unico di dirigenti ed una graduatoria unica per il comparto dello Stato e dispone che i dirigenti possano svolgere l'incarico presso qualsiasi amministrazione del comparto medesimo;
   la mancanza di un dirigente di sede e la necessità di sopperire a posti in organico vacanti attraverso continue e sistematiche nomine di dirigenti ad interim, o addirittura deleghe di firma, incrementa la deresponsabilizzazione dei procedimenti, creando ampie lacune di gestione, coordinamento e pianificazione strategica;
   a tutt'oggi, nonostante si siano esaurite le procedure di assunzione dei dipendenti di area vasta e della Cri, Ministeri ed enti centrali non hanno proceduto ad assumere alcun dirigente attingendo dalla graduatorie medesime;
   le carenze presso le agenzie statali e i Ministeri sono tali da consentire un rapido collocamento dei dirigenti idonei ancora in graduatoria –:
   se non sia opportuno e necessario assumere iniziative per assicurare l'assunzione di tutti i dirigenti idonei dello Stato, anche a tempo determinato, onde evitare ulteriori stabilizzazioni illegittime e/o carenze di organico difficilmente colmabili, garantendo il riconoscimento del merito e la messa a frutto delle capacità e qualità professionali di coloro che hanno già superato il concorso, nell'ottica di favorire maggiore efficacia ed efficienza nella pubblica amministrazione. (5-11452)

Interrogazione a risposta scritta:


   TOFALO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in vista della emanazione del decreto legislativo in materia di riorganizzazione dei processi di gestione del pubblico registro automobilistico, i dipendenti di Aci Informatica che gestiscono i servizi informatici di Aci, sono entrati in assemblea permanente, perché sembrerebbe che gli effetti dell'applicazione dello stesso produrranno più costi per i cittadini, la cancellazione di un servizio pubblico e efficiente come il pubblico registro automobilistico ed il licenziamento di 600 lavoratori di Aci Informatica considerata una società modello della pubblica amministrazione;
   dal Sole24ore si legge che il personale ACI entrerà in stato di agitazione che comporterà la complicazione dei semplici passaggi di proprietà almeno fino al 26 maggio 2017 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per riportare la situazione alla normalità. (4-16729)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili è regolata dalla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, recepita dal nostro Paese con il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE);
   il comma 1 dell'articolo 4 di detto decreto legislativo stabilisce che, al fine di favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili e il conseguimento, entro il 2020, degli obiettivi stabiliti relativamente alla quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e alla quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto, la costruzione e l'esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili siano disciplinati secondo speciali procedure amministrative semplificate, accelerate, proporzionate e adeguate, sulla base delle specifiche caratteristiche di ogni singola applicazione;
   il 23 giugno 2016 il Ministero dello sviluppo economico emanava il decreto «Incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico»;
   tale decreto, anziché semplificare, ha aperto numerosi dubbi interpretativi (in particolar modo, l'articolo 5), che hanno portato all'apertura di diversi contenzioni di fronte del tribunale amministrativo regionale del Lazio;
   a seguito dell'intervento delle associazioni di settore (Anev, CPEM e altre) il Gestore dei servizi energetici (GSE) sta per emanare una circolare esplicativa;
   il citato decreto ministeriale estende gli incentivi previsti dalla normativa vigente al 29 giugno 2017 (purché gli impianti siano entrati in esercizio entro tale data), e comunque fino al raggiungimento del tetto massimo stanziato pari a 5,8 miliardi di euro annui;
   fino al 1o dicembre 2017 vengono assicurati incentivi molto più bassi (si passa da 268 euro megawatt a 190 megawatt);
   come comunicato dal GSE, il costo indicativo cumulato di tutte le tipologie di incentivo degli impianti a fonte rinnovabile, è passato da quasi 5,8 miliardi di euro dell'anno scorso agli attuali 5,4 miliardi di euro, con proiezione al 2020 a 5,2 miliardi di euro;
   da quanto appreso dall'interrogante, risulterebbe che l’iter procedurale con E-distribuzione, la società del gruppo Enel che si occupa della distribuzione di energia elettrica in Italia, non è inferiore ai dieci mesi, per colpa delle centinaia di domande di allaccio presentate, cui gli attuali organici della società non sono in grado di far fronte, anche a causa del temporaneo trasferimento di molti dirigenti e tecnici in Abruzzo per la recente drammatica emergenza sismica;
   tale situazione rischia di non consentire la certezza degli allacci entro il 29 giugno 2017, in particolare, di moltissimi impianti del cosiddetto «mini-eolico», con il concreto rischio di danneggiare una vasta platea di piccoli investitori;
   ad oggi, inoltre, ancora nulla si sa sugli incentivi per il triennio 2018/2020 rendendo, quindi, ulteriormente incerto il futuro di un settore che vede impegnate molte aziende italiane e conta diverse migliaia di addetti, con il rischio concreto che in Paese non raggiunga le quote minime di energia da fonte rinnovabile concordate a livello comunitario –:
   se non ritenga di dover quanto prima assumere iniziative per provvedere al rinnovo, almeno fino al 31 dicembre 2017, dell'attuale entità dell'incentivo o, quantomeno, prospettare una soluzione per chi, per cause indipendenti dalla sua volontà, si trova nelle situazioni riportate in premessa;
   se si intenda adottare quanto prima il decreto ministeriale per il triennio 2018/2020 al fine di assicurare un periodo relativamente lungo, necessario agli imprenditori per poter programmare gli investimenti. (3-03052)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 dicembre 2016 è stato pubblicato sui siti del Ministero dello sviluppo economico e sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della tutela del territorio e del mare un avviso di selezione pubblica per l'istituzione di un elenco di esperti per l'affidamento di incarichi di supporto alla difesa erariale nell'ambito di arbitrati internazionali;
   gli esperti avrebbero lo quindi dovuto essere selezionati per l'affidamento di incarichi di supporto all'Avvocatura generale dello Stato nei procedimenti arbitrali internazionali in materia di investimenti nel settore energetico;
   in data 1o febbraio 2017 la commissione di valutazione istituita ai sensi dell'avviso di selezione del 5 dicembre 2016, in fase di formazione del primo elenco ha ritenuto non idonei i curricula di tutti i candidati alla sezione II e alla sezione III dell'elenco esperti;
   successivamente il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha deciso di provvedere all'aggiornamento dell'elenco consentendo la presentazione di nuove domande di ammissione all'elenco di esperti per l'affidamento di incarichi di supporto alla difesa erariale nell'ambito di arbitrati internazionali –:
   da chi sia composta la commissione valutatrice di cui in premessa;
   se i colloqui ai candidati previsti per la selezione nel bando di selezione debbano essere intrapresi dalla commissione valutatrice;
   quale istruttoria seguirà l’iter di valutazione. (5-11444)


   GINEFRA e VICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a Bari, nel 1993, è stato progettato il primo prototipo di pompa ad alta pressione common rail. Sempre a Bari il prototipo è stato sviluppato ed industrializzato fino alla produzione di serie. Dal 1998 ad oggi decine di milioni le pompe CP1, CP3 e CP1H – varie evoluzioni di questo componente del sistema di iniezione diesel common rail – sono state prodotte nello stabilimento della multinazionale tedesca Bosch;
   nelle scorse ore i responsabili baresi della multinazionale, hanno illustrato ai sindacati, nel corso di un incontro nella sede di Confindustria Bari, le prospettive di mercato con stime che vanno a un minimo di 450 a un massimo di 850 esuberi entro cinque anni;
   lo stabilimento Bosch di Bari, infatti, risentirebbe vistosamente degli effetti dell'onda lunga del «Dieselgate», lo scandalo sulle emissioni dei motori diesel scoppiato nel 2015;
   le motivazioni risiederebbero principalmente nel fatto che lo stabilimento barese produce principalmente componenti per motori diesel, che sono in crisi profonda dal momento in cui sono state scoperte le centraline della Volkswagen «falsificate» per alterare i risultati sulle emissioni;
   nel corso del medesimo incontro l'azienda ha presentato la previsione quinquennale dell'andamento di mercato da qui al 2022: se la situazione proseguirà secondo i trend attuali Bosch sarebbe costretta a presentare esuberi per 850 dipendenti, ovvero il 40 per cento del totale degli attuali 1.890 dipendenti presenti nella fabbrica barese;
   un secondo scenario, meno negativo ma altrettanto preoccupante, così come l'edizione pugliese del quotidiano La Repubblica rappresenta, prevede invece «l'arrivo di nuove produzioni nello stabilimento barese e il contenimento di esuberi a quota 450 unità»;
   al termine dell'incontro la stessa azienda ha rilasciato un comunicato stampa in cui ha spiegato la situazione di difficoltà in cui si trova, in quanto il mercato «automotive» starebbe attraversando una trasformazione epocale causata dalla crescita dei motori elettrici e ibridi che avrebbe, come conseguenza, una rapida e imprevedibile riduzione delle quote di mercato dei motori tradizionali, in particolare diesel. A ciò si aggiungerà la messa al bando dal 2025 delle auto diesel. Lo scenario peggiore per Bosch Bari, che produce pompe per il settore diesel, che si troverà quindi a far fronte a un rapido e costante calo dei volumi produttivi. Vittima principale del crollo sarà il prodotto di riferimento dello stabilimento barese, la pompa ad alta pressione Cp1h, «le cui previsioni di vendita a partire dal 2019 sono in significativo decremento». Sempre nel comunicato stampa, l'azienda parla infine di nuovi investimenti per diversificare la produzione con componenti elettrici e a benzina, ma che occuperà appena 50 dipendenti –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della suddetta vertenza e se non ritenga opportuna una rapida convocazione delle componenti datoriali, sindacali e delle rappresentanze dell'amministrazione regionale pugliese e di quella comunale barese per verificare quali eventuali strumenti mettere in campo per scongiurare l'annunciata riduzione di organici. (5-11454)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da un articolo pubblicato il 20 maggio 2017 sul sito online de La Repubblica, il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato, a fine 2016, un'indagine nei confronti di Telecom Italiana spa, da cui è emerso che numerose persone siano risultate intestatarie di utenze a loro insaputa;
   a far luce sulla vicenda è stato il reclamo di un abbonato inconsapevole che, nel 2011, ha scoperto che il suo codice fiscale era associato a 826 telefoni. Secondo la compagnia telefonica «il caso è imputabile al cambio di sistema gestionale avvenuto tra il 2003 e il 2004. Da allora il problema non è stato ancora risolto»;
   il 25 gennaio 2017, da un controllo a campione effettuato dall'Autorità sui codici fiscali associati a un numero di utenze di rete fissa maggiore o uguale a cinque «sono emersi errori su 644 clienti, complessivamente intestatari di oltre 7.000 linee»;
   inoltre, la negligenza di Telecom Italia spa si è estesa anche al «Rac», la banca dati giudiziaria interrogata per i tabulati e le intercettazioni, «sistema la cui delicatezza è di tutta evidenza essendo preordinato a consentire la corretta effettuazione di verifiche da parte di polizia e magistratura. Questo significa che nel caso in cui uno degli utenti risultasse indagato e quindi intercettato, le intercettazioni potrebbero essere erroneamente attribuite a numeri di telefono che l'indagato non utilizza. Tanto più che, secondo il Garante, quando qualche utente ha sollevato la questione, Telecom su reclamo ha aggiornato i dati reali, ma non ha tenuto conto dell'errore, lasciando così desumere la pregressa titolarità delle numerazioni in capo ai soggetti interessati dai disallineamenti»;
   pertanto, secondo l'Autorità, «la condotta negligente e omissiva tenuta dalla società evidenzia una poco attenta gestione dei sistemi che rappresentano i gangli vitali della propria infrastruttura informativa, interessando direttamente la clientela». Infine, ha già preannunciato sanzioni amministrative, oltre che l'obbligo di una «bonifica degli errori nel sistema informatico dato che sembrerebbe che le intestazioni non corrispondenti alla realtà riguardano un ampio novero di clienti. Anomalie di cui Telecom non è stata in grado di dare conto. La Società, ad ogni modo, ha fatto sapere di avere avviato specifiche azioni finalizzate a rafforzare i nuovi sistemi di gestione a favore della tutela dei dati personali dei propri clienti» –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti sopra esposti e se intenda adottare iniziative volte a rendere più stringente la normativa in materia per evitare il ripetersi di vicende simili a danno dei consumatori, garantendo l'effettiva tutela dei dati personali. (4-16734)


   VEZZALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende dai giornali, nei sui sistemi informatici di Telecom Italia, migliaia di numeri di telefono risultano intestati a utenti a loro insaputa;
   vi sono persone dichiarate morose per utenze che non appartengono alle stesse e persone finite nella banca dati giudiziaria, a cui fa riferimento la magistratura per le intercettazioni, per conversazioni che non hanno mai fatto;
   fatto questo già censurato dal Garante per la protezione dei dati personali che, oltre ad annunciare sanzioni amministrative, ha ordinato la bonifica degli errori nel sistema informatico, l'avviso agli utenti interessati e le apposite annotazioni che lascino traccia nella banca dati giudiziaria;
   nel 2011 è capitato ad un abbonato di scoprire che al suo codice fiscale Telecom ha collegato 826 utenze;
   Telecom si è difesa spiegando che, tra gennaio 2003 e febbraio 2004, c’è stata un'anomalia software nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema gestionale;
   l'Autorità ha avviato un'ispezione da cui è emerso che le associazioni sbagliate hanno interessato un numero non predisabile di clienti;
   da un secondo controllo su quei codici fiscali che sono associati a più di cinque telefoni emergono disallineamenti riguardanti 644 clienti complessivamente intestatari di oltre 7.000 linee;
   è emerso che questi utenti potrebbero avere problemi anche con la giustizia italiana perché gli errori nel travaso informatico si propagano anche nel «Rac» (banca dati giudiziaria interrogata per i tabulati e le intercettazioni), «sistema la cui delicatezza è di tutta evidenza essendo preordinato a consentire la corretta effettuazione di verifiche da parte di polizia e magistratura». In caso di intercettazione, infatti, i numeri posti sotto controllo dalla magistratura potrebbero essere attribuiti a persone che con quelle chiamate non hanno nulla a che fare;
   il gestore sembra all'interrogante aver sottovalutato l'ampiezza del problema visto che 644 clienti e oltre 7000 linee non sono pochi e che il numero dei clienti interessati dal disallineamento resta imprecisato;
   è necessario che gli inconsapevoli intestatari tornino ad essere proprietari solo dell'utenza o delle utenze per le quali hanno sottoscritto regolare contratto;
   coloro i quali hanno subito la violazione della privacy, hanno diritto ad essere risarciti –:
   di quali elementi disponga il Governo, in relazione a quanto sopra esposto e alla cause di un disallineamento di questa gravità emerso solo a seguito della messa in mora di un cliente che avrebbe avuto 826 linee telefoniche associate al suo codice fiscale;
   se non ritenga utile assumere iniziative per definire un sistema di controlli sui software che possa garantire la situazione pregressa sia normalizzata e che per il futuro non possa ripetersi un fatto simile.
   (4-16740)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a gennaio 2015 nasce la società Industria Italiana Autobus, partecipata all'80 per cento da King Long Italia spa e al 20 per cento da Finmeccanica Spa;
   IIA spa incorpora BredaMenarini spa, storica azienda bolognese attiva nella progettazione e produzione di autobus, di proprietà di Finmeccanica, e lo stabilimento ex Irisbus di Flumeri;
   l'operazione ha l'esplicito supporto del Ministero dello sviluppo economico e del Governo Renzi, che facilitano l'ingresso di Finmeccanica, garantiscono l'attivazione di ammortizzatori sociali finalizzati a permettere la riorganizzazione aziendale, informano circa la riattivazione di programmi di acquisto di autobus da parte dei soggetti gestori del trasporto pubblico locale, grazie a nuovi fondi programmati nazionalmente;
   nel corso del 2015-2016-2017 si evidenziano più volte serie criticità rispetto al progresso del piano industriale, che non riesce di fatto a garantire la ripresa prevista della produzione di mezzi;
   la cosa è particolarmente evidente nel sito di Bologna, tanto che nel maggio 2016 la società comunica il licenziamento di 46 lavoratori su 184, poi rientrato grazie ad un accordo quadro fra regione, Ministero dello sviluppo economico, comune e città metropolitana, sindacati e azienda;
   solo apparentemente migliore è la situazione del sito di Flumeri, dove l'attività è ripresa, ma a ritmi ridottissimi e comunque solo dopo l'intervento di Invitalia e la sottoscrizione nel settembre 2017 di un accordo che prevede finanziamenti a fondo perduto per 6,8 milioni di euro e a tasso agevolato per 11 milioni;
   ad aprile 2017 torna la tensione sullo stabilimento di Bologna, dopo la denuncia delle organizzazioni sindacali di offerte pervenute a tutti i lavoratori di uscita incentivata per 15.000 euro, chiaro preludio alla volontà di dismissione della produzione;
   nonostante le ripetute rassicurazioni di società e Ministero dello sviluppo economico, si arriva al 22 maggio, quando numerosi Tir cominciano a svuotare lo stabilimento di Bologna in direzione Flumeri, senza peraltro che sia chiaro il piano di sviluppo della stessa ex Irisbus;
   si arriva così all'incontro al Ministero dello sviluppo economico del 25 maggio, che avrebbe confermato una difficoltà dell'azienda a confermare i target di produzione stimati nel piano industriale, a causa della carenza di commesse;
   a quanto si apprende, i bandi emessi tanto da Busitalia, società di Ferrovie dello Stato italiane spa, quanto da Consip, non avrebbero consentito la partecipazione di Industria Italiana Autobus, favorendo di fatto concorrenti con base produttiva all'estero;
   a parere dell'interrogante, pur in un quadro di gare internazionali, se questo fosse confermato si tratterebbe di un fatto discutibile, perché la tutela di filiere produttive italiane non può essere un obiettivo trascurato dalle stazioni appaltanti, soprattutto se sono coinvolte aziende partecipate dallo Stato;
   la politica industriale passa infatti anche per la capacità di valorizzare il know how nazionale e la sua mobilitazione a fini produttivi, con ovvie conseguenze sul piano della tutela occupazionale;
   appare quindi chiara la sollecitazione delle organizzazioni sindacali a che il Governo nel suo complesso e nella persona del Presidente del Consiglio si attivi immediatamente per scongiurare il fallimento di un piano di rilancio importante per l'industria italiana, garantendo fino in fondo gli impegni presi nel 2015, senza escludere alcuna ipotesi di intervento –:
   se e come il Governo intenda intervenire per garantire la continuità produttiva e occupazionale dei siti di Bologna e Flumeri. (4-16741)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Di Battista e altri n. 2-01404, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesci.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione La Marca n. 5-11297, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 maggio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Quartapelle Procopio.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta orale Capozzolo n. 3-02972 del 21 aprile 2017.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in attesa dell'adeguamento delle linee secondarie pugliesi alle nuove forme di sicurezza, che secondo le previsioni richiederà non meno di 2 anni e una somma compresa fra i 200 e i 300 milioni di euro, dal 1° ottobre 2016 le tratte ferroviarie non dotate di sistema SMCT devono essere percorse ad una velocità di 50 chilometri orari;
   il problema del trasporto ferroviario pugliese non consiste solo nel completare l'installazione del sistema di controllo della marcia sui treni, quanto soprattutto nell'eliminazione dei passaggi a livello privati: 400 sulle Sud-est e 30 su FerGargano, oltre alle complicazioni causate dal passaggio di competenze fra Ufficio speciale a impianti fissi e Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, che sembra aver bloccato tutto per i prossimi 6 mesi;
   i rallentamenti, che arrivano anche a registrare maggiorazioni di 10 minuti su ogni tratta, stanno inevitabilmente dirottando la domanda verso i servizi su gomma, con il conseguente sovraffollamento degli utenti nelle tratte e negli orari in cui viaggiano i pendolari;
   l'integrazione annunciata dei trasporti a favore degli utenti della tratta Barletta-Bari, è stata disattesa e nella stazione di Corato, ad eccezione di un paio di casi, tra l'arrivo dell'autobus e la partenza del treno si attendono mediamente 20 minuti;
   è inaccettabile che per collegare due capoluoghi di provincia distanti appena 50 chilometri si impieghino circa 90 minuti, pagando, fra l'altro, un biglietto o un abbonamento che non è stato minimamente ridotto –:
   se non ritenga opportuno farsi promotore, per quanto di competenza, dell'istituzione di un tavolo di concertazione che coinvolga tutti i soggetti interessati, al fine di addivenire ad una soluzione condivisa che tuteli il diritto alla mobilità degli abitanti pugliesi che si servono dei treni nella tratta Barletta-Bari per recarsi regolarmente a scuola o lavoro. (4-14455)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni assunte presso la Direzione generale per i sistemi di trasporto ad impianti fissi ed il trasporto pubblico locale e l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansf).
  Va premesso che le funzioni ed i compiti di amministrazione e programmazione in materia di servizi ferroviari regionali sono stati conferiti alle regioni in applicazione del disposto di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 422 del 1997, rimanendo esclusi i soli compiti riguardo la sicurezza ferroviaria.
  Riguardo questo ultimo aspetto, si evidenzia che, dal 15 settembre 2016, con l'entrata in vigore del decreto per l'individuazione delle reti ferroviarie rientranti nell'ambito di applicazione decreto legislativo 15 luglio 2015, n. 112 per le quali sono attribuite alle regioni le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione, firmato il 5 agosto 2016 da questo Ministero, sono state trasferite le competenze in materia di sicurezza ferroviaria all'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansf), riguardo le ferrovie di cui all'elenco allegato al citato decreto, in cui è ricompresa anche la tratta richiamata dall'interrogante.
  Inoltre, si fa presente che Ansf nella nota n. 9956/2016 del 26 settembre 2016, (https://www.ansf.it/documents/19/804616/0099562016_260916.pdf), ha individuato 11 requisiti che le ferrovie di cui al decreto ministeriale 5 agosto 2016 devono soddisfare con urgenza, fermo restando per esse l'obbligo di mettere in atto tutti gli adempimenti derivanti dall'applicazione del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162 attuazione delle direttive 2004/49/CE e 2004/51/CE relative alla sicurezza e allo sviluppo delle ferrovie comunitarie.
  Con la stessa nota n. 9956/2016, Ansf ha disposto che le aziende, rientranti nell'ambito di applicazione del decreto legislativo n. 112 del 2015, trasmettano il programma dei provvedimenti che devono attuare per soddisfare i requisiti e le misure adottate nell'immediato.
  A seguito di tale nota tutte le aziende ferroviarie hanno inviato le loro risposte ad Ansf, che le sta analizzando.
  Le aziende, come stabilito da Ansf, possono attuare misure minime alternative a quelle dettate dalla stessa Ansf purché dimostrino che siano almeno altrettanto efficaci per la sicurezza della circolazione.
  La stessa Ansf si è peraltro dichiarata disponibile per qualsiasi chiarimento, anche attraverso un tavolo di discussione che coinvolga tutti i soggetti interessati, tenendo altresì presente che la materia, in conformità al decreto legislativo n. 162 del 2007, è di propria esclusiva competenza e non può essere oggetto di concertazione.
  Infatti, Ansf ha programmato con le aziende ferroviarie degli incontri bilaterali al fine di fornire nei tempi più rapidi possibili il supporto necessario alle aziende medesime per uniformarsi agli adempimenti tecnico-organizzativi e procedurali a cui le stesse sono obbligate dal contesto normativo delineato dal decreto legislativo n. 162 del 2007 e dalle correlate norme europee e nazionali e dagli atti emanati dalla stessa Ansf.
  Per completezza d'informazione, l'Ansf comunica che la società Ferrotranviaria, con nota del 25 ottobre 2016, ha trasmesso alla medesima agenzia il programma dei provvedimenti da attuare per soddisfare i requisiti urgenti da rispettare e le misure minime da adottate immediatamente nelle more dell'adeguamento.
  L'Ansf riferisce, altresì, che relativamente al sistema di protezione della marcia dei treni, la direzione dell'esercizio di Ferrotramviaria, con un ordine di servizio n. 95 del 30 settembre 2016, ha disposto nelle tratte che ne sono sprovviste la velocità massima di 50 km/h sia nelle tratta a semplice binario sia nella tratta a doppio binario, in conformità alla misura minima prescritta.
  L'Ansf segnala che in conformità al decreto legislativo n. 162 del 2007 condurrà le ispezioni e le indagini per verificare l'esistenza dei requisiti di sicurezza e delle misure minime adottate dall'impresa ferroviaria Ferrotramviaria.
  In tal modo, detta l'agenzia riferisce di aver agito in conformità al decreto ministeriale 5 agosto 2016 articolo 3, comma 3 nell'ambito di applicazione del decreto legislativo n. 112 del 2015, che impone all'agenzia di garantire la continuità del servizio ferroviario in virtù dei provvedimenti precedentemente rilasciati dalle autorità ed amministrazioni competenti pro tempore per le reti individuate dal sopraccitato decreto.
  Inoltre, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 3, comma 1, del suddetto decreto ministeriale 5 agosto 2016, l'azienda Ferrotramviaria ha presentato istanza ad Ansf per ottenere il rilascio dell'autorizzazione di sicurezza, ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162. La relativa documentazione è tuttora al vaglio dei competenti uffici di questo Ministero.
  Ad oggi, Ferrotramviaria risulta aver soddisfatto i requisiti di cui ai punti 1, 2, 7 ed 11, ha adottato per i punti 4, 5, 9 e 10 le misure minime da adottate immediatamente nelle more dell'adeguamento proposte da Ansf e descritte nella nota; inoltre, per quanto concerne il punto 3, in relazione all'impianto di Fresca S. Girolamo, ha adottato una misura alternativa alla misura minima proposta da Ansf e, pertanto, dovrà produrre una apposita analisi del rischio, mentre, in relazione all'impianto di Bari centrale, ha adottato la misura minima proposta da Ansf. Per quanto concerne i requisiti ai punti 6 ed 8, gli stessi non risultano applicabili alla rete ferroviaria in gestione a Ferrotramviaria.
  Inoltre, Ansf ha chiesto a Ferrotramviaria di trasmettere il programma dei provvedimenti finalizzati a soddisfare definitivamente i requisiti di cui ai punti 5 e 10.
  Infine, relativamente ai passaggi a livello, Ansf è dell'avviso che la soluzione migliore sarebbe quella di sopprimerli, soluzione questa che, tuttavia, risulta essere onerosa e non sempre attuabile. Tenuto conto di ciò, si fa presente che, tra i requisiti urgenti da rispettare, Ansf ha stabilito che i passaggi a livello devono essere muniti di dispositivi che, al passaggio del treno, inibiscano il transito lato strada (barriere, semibarriere, segnali luminosi e acustici, e altre, mentre i passaggi a livello in consegna agli utenti devono essere attrezzati con dispositivi tecnologici di apertura a richiesta che garantiscano l'assenza di circolazione ferroviaria durante l'attraversamento dei passaggi a livello medesimi da parte degli utenti.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un motociclista svizzero è morto in data 18 marzo 2017 travolto da una frana sulla strada statale 34 del lago Maggiore, tra Cannero Riviera e Cannobio, in frazione Carmine;
   i massi, che si sono staccati dalla parete della montagna, sotto la quale corre la strada, hanno colpito anche una macchina e altre due persone sono rimaste ferite. Il motociclista, 68enne del Canton Ticino, è stato subito soccorso, ma è deceduto dopo essere stato trasportato in ospedale con l'elicottero;
   il tratto interessato dalla frana è interessato da oltre due anni da lavori per la messa in sicurezza;
   nell'ottobre del 2014 si erano già verificate due grosse frane, a distanza di un mese l'una dall'altra;
   da quanto si apprende dai media locali, in data 29 marzo 2017 sarebbe stata inviata una missiva sul tema indirizzata al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e al presidente della regione Piemonte da parte delle autorità del Canton Ticino;
   nella lettera, firmata dal presidente del Consiglio di Stato Paolo Beltraminelli e dal cancelliere Arnoldo Coduri, si rammenterebbe come sulla litoranea viaggino numerosi ticinesi e circa duemila frontalieri italiani ogni giorno. Si andrebbe a ricordare poi che, dinanzi a fenomeni di una certa gravità, verificatisi in territorio italiano, non sono stati effettuati significativi investimenti come quelli che, oltreconfine, il Cantone ha profuso per le medesime emergenze in tratti diversi;
   in data 3 aprile 2017 si è tenuto un incontro a Torino, con presenti il Ministro Graziano Delrio, il presidente della regione Piemonte Sergio Chiamparino, il vicepresidente Aldo Reschigna, l'assessore alle opere pubbliche Francesco Balocco, il presidente della provincia del Verbano Cusio Ossola Stefano Costa, il prefetto di Verbania Iginio Olita, i vertici Anas e i sindaci dei territori attraversati dalla «34» da cui è emerso l'impegno di ultimare, entro fine mese, una bozza di accordo di programma per la messa in sicurezza del tratto stradale in oggetto e poi a seguire per favorire la stipula dell'intesa tra Stato, regione, Anas ed enti locali con il contestuale sopralluogo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   non si hanno notizie se durante l'incontro si sia accennato alla strada provinciale della Val Cannobina, per la quale sarebbe in corso una trattativa con Anas affinché questa arteria di collegamento tra le due strade statali n. 337 e n. 34 torni di competenza dello Stato e venga ammodernata, anche in previsione del periodo in cui proprio la strada statale n. 337 sarà chiusa per lavori, deviando il traffico sulla Cannobina, tratto stradale di competenza della provincia del Verbano Cusio Ossola;
   il tratto stradale in oggetto è fra quelli per cui il presidente della provincia del Verbano Cusio Ossola Costa si è di fatto dichiarato impossibilitato per quanto ne concerne la gestione, con l'esposto cautelativo prot. n. 4929 depositato in data 7 marzo 2017 e indirizzato alla procura della Repubblica del tribunale di Verbania, la prefettura del Verbano Cusio Ossola e la sezione regionale piemontese della Corte dei conti;
   si ricorda poi quanto riportato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-14652, in cui si andava interrogare il Governo circa il mancato rimborso di due cittadine coinvolte in un incidente stradale nella medesima zona e non si sono viste ricevere alcun rimborso per le spese mediche da parte dell'assicurazione della provincia –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti di cui in premessa;
   come si intendano velocizzare ulteriormente le pratiche e i lavori di messa in sicurezza sulla strada statale n. 34 in modo da evitare in futuro tragedie come quella del 18 marzo 2017;
   considerando le difficoltà esposte dai vertici del provincia di Verbania e l'impossibilità di sostenere i cittadini con aiuti economici da parte delle assicurazioni degli enti, quali iniziative di competenza il Governo intenda mettere in campo al fine di risolvere questa situazione che ormai è emergenziale. (4-16159)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di competenza, sulla base delle informazioni pervenute da Anas s.p.a.
  Il 18 marzo 2017, a seguito di una frana, è stato interdetto al transito veicolare il tratto della strada statale (SS) 34 del lago Maggiore tra Cannobio e Cannero-Riviera.
  Attraverso l'impegno congiunto della stessa Anas, della regione Piemonte, della provincia del Verbano-Cusio-Ossola, del comune di Cannobio e di questo Ministero, è stato possibile eseguire i lavori necessari per mettere in sicurezza i versanti in frana e riaprire l'arteria.
  Infatti, come confermato da Anas, in data 6 aprile 2017, è stata riaperta al transito la SS 34, a senso unico alternato, a partire dalle ore 4 del mattino, inoltre, entro le trascorse festività pasquali, è stata installata una nuova barriera paramassi.
  Per quanto attiene, invece, allo stato manutentivo della strada in argomento, sono in fase di esecuzione i lavori di ripristino della pavimentazione, in tratti saltuari, per un importo complessivo di circa 1,4 milioni di euro.
  Inoltre, Anas ha programmato i lavori di manutenzione straordinaria per il risanamento superficiale è profondo della pavimentazione stradale in tratti saltuari dal km 77+000 al km 127+000 e per il rifacimento della segnaletica orizzontale, per un importo pari a circa 1,3 milioni di euro.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'emanazione della circolare n. 98/81 del 1° settembre 1981 il Ministero dei trasporti autorizzava, l'applicazione, e la relativa immatricolazione, di un carrello elevatore «muletto» sugli autoveicoli destinati al trasporto di cose, per il carico e scarico delle merci trasportate dagli stessi autoveicoli. L'immatricolazione prevedeva che l'allestimento, consistente nella sistemazione di un carrello elevatore sullo sbalzo posteriore, fosse considerato parte integrante del mezzo, in conformità alle previsioni del codice della strada in vigore in quel periodo;
   questa disposizione ha rappresentato una importante novità, che ha agevolato sia le industrie produttrici di grandi macchinari sia gli autotrasportatori, contribuendo a velocizzare le operazioni di carico/scarico dei mezzi al di fuori dei magazzini aziendali ed a ridurre i costi conseguenti alla movimentazione delle merci;
   il 9 gennaio 2008 lo stesso Ministero emanava la circolare protocollo n. 2118 con la quale, di fatto, il predetto allestimento non è più consentito per effetto del mutato quadro normativo di riferimento, in quanto non è riconducibile ad una modifica della carrozzeria con un allestimento permanentemente installato, ma è da ricondursi ad un carico trasportato a sbalzo, specificando infatti «si osserva che a norma dell'articolo 164, del codice della strada, concernente la “sistemazione del carico sui veicoli”, un'eventuale sporgenza longitudinale posteriore del carico è ammessa, nei limiti prescritti, soltanto se trattasi di carico indivisibile, le cui dimensioni non ne consentono la sistemazione all'interno del contenitore di carico del veicolo. Il predetto requisito dell'indivisibilità del carico non era invece prescritto dall'articolo 119, del previgente codice della strada, in vigenza del quale furono emanate le disposizioni contenute nella circolare A078 98/81»;
   a causa di questa disposizione, dal gennaio 2008, non possono essere più immatricolati mezzi con muletti agganciati;
   a conseguenza di ciò, la disciplina italiana si pone in netto contrasto con quella di molti altri paesi europei, limitrofi e concorrenti, come ad esempio quella francese (Code de route, articolo R312-21) dove non si opera alcuna distinzione tra carico divisibile ed indivisibile, consentendo l'applicazione di carrelli elevatori, purché la sporgenza longitudinale posteriore non superi i limiti fissati dalla suddetta disposizione;
   questo comporta importanti e forti penalizzazioni a danno dei trasportatori nazionali a tutto vantaggio dei competitori stranieri. Infatti, la nostra legislazione pur non consentendo l'immatricolazione ne permette la circolazione, pertanto, molte aziende del settore al fine di ottenere l'omologazione sono costrette ad andare in altri paesi europei Austria, Francia, Germania, Olanda seguendo un iter, che prevede: la radiazione del rimorchio in Italia, omologazione in altro paese, radiazione e re-immatricolazione in Italia, aggirando così la normativa con il solo aggravio di costi, spesso anche esosi, e dispendio di tempo –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative di carattere normativo al fine di consentire nel nostro Paese, l'omologazione degli autoveicoli attrezzati con carrelli elevatori sullo sbalzo, così come consentito dalla normativa europea, dando seguito all'impegno assunto dal Governo con l'approvazione dell'ordine del giorno 9/5626/62 accolto nella seduta dell'assemblea del 13 dicembre 2012, verificando in tal senso la possibilità di apportare modifiche all'articolo 164 del codice della strada, al fine di agevolare le numerose aziende di trasporto italiane che altrimenti sono pesantemente penalizzate rispetto alla concorrenza europea ed evitare così anche il rischio che le stesse aziende Italiane, che necessitano di questo tipo di servizi di autotrasporto, siano incentivate a servirsi di autotrasportatori stranieri. (4-15910)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In relazione ai contenuti dell'ordine del giorno segnalato, relativo alla sistemazione di un carrello elevatore sullo sbalzo posteriore degli autoveicoli destinati al trasporto di cose, la direzione generale per la motorizzazione di questo Ministero comunica quanto segue.
  Tale valida soluzione, utile per rendere più efficiente la movimentazione delle merci trasportate dal medesimo autoveicolo, la medesima direzione generale ritiene ammissibile da un punto di vista tecnico, stabilite, ovviamente, precise condizioni di sicurezza.
  Come già evidenziato nell'interrogazione, allo stato attuale della normativa, non risulta essere possibile il suddetto allestimento, in quanto lo stesso risulta essere in contrasto con quanto disciplinato dall'articolo 164 del nuovo codice della strada (C.D.S.) «sistemazione del carico sui veicoli»;
  Peraltro, come precisato nell'interrogazione, con la nota prot. 2118 del 9 gennaio 2008 della medesima direzione generale, si chiarì che non era ammissibile l'allestimento di un carrello elevatore installato sullo sbalzo posteriore degli autoveicoli destinati al trasporto di cose in quanto lo stesso risultava, allora come adesso, in contesto con quanto disciplinato dal citato articolo 164 del c.d.s.
  Si comunica, tuttavia, che nel testo del disegno di legge 1638 (delega per la modifica del codice della strada), attualmente in discussione alla 8a commissione del Senato, è previsto, all'articolo 2, comma 2, lettera b) che il Governo dovrà emanare, tra gli altri, un regolamento di «disciplina della sagoma limite e della massa limite dei veicoli adibiti all'autotrasporto e dei carichi sporgenti trasportati, di cui agli articoli 61 e 62 del codice della strada, anche consentendo l'installazione a sbalzo dei carrelli elevatori».
  Al riguardo, gli uffici competenti di questa amministrazione non sarebbero contrari alla modifica citata.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   FEDRIGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la fabbricazione di autovetture costituisce, nel panorama industriale del nostro Paese, una delle componenti più significative e di maggiore impatto, sia dal punto di vista economico che occupazionale;
   per assicurare la competitività dell'industria automobilistica nazionale si sono, nel tempo, sperimentate e attuate una serie di innovazioni logistiche, tutte connesse all'esigenza di diminuire i tempi di allestimento delle vetture, ridurre le immobilizzazioni in materiali ed i tempi di approvvigionamento, evitare scarti e difetti intervenendo alla base del processo, coinvolgendo le imprese della filiera logistica;
   per quanto concerne il montaggio delle ruote sulle autovetture, di solito si procede con approvvigionamenti di componenti premontati, ovvero di pneumatici già montati su cerchioni e personalizzati sia nella scelta dei cerchi (pressofusi, in lamiera, in lega, e altro) che delle marche e delle tipologie degli pneumatici di prima installazione;
   queste ruote personalizzate vengono trasportate in gabbie costituite da quattro elementi, e viaggiano su vettore stradale in carichi che comprendono obbligatoriamente fino ad un massimo di 152 gabbie, fra loro sovrapposte, per giungere allo stabilimento solo in concomitanza dell'assemblaggio della vettura a cui sono destinate, al fine di evitare inutili periodi di stoccaggio o carichi e scarichi delle gabbie;
   la particolare conformazione delle gabbie e l'esigenza di trasportare le ruote in posizione verticale, fa sì che l'altezza del veicolo, comprensiva delle gabbie, superi l'altezza massima prevista dall'articolo 61, comma 1, lettera b) del Codice della strada, che fissa in 4 metri l'altezza standard del veicolo stradale e del suo carico;
   per tenere conto di particolari esigenze industriali, l'articolo 10 del Codice della strada, ha previsto delle eccezioni per alcuni particolari tipologie di trasporti e alcuni particolari veicoli, ad esempio quelli il cui carico indivisibile sporge posteriormente oltre la sagoma del veicolo di più di 3/10 della lunghezza del veicolo stesso;
   tali veicoli sono legittimati a circolare senza essere considerati trasporti eccezionali e quindi non necessitano di tutte le autorizzazioni necessarie all'effettuazione dei trasporti eccezionali –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative normative al fine di parificare, ai fini della circolazione, il trattamento dei trasporti stradali di componenti industriali costituiti da pneumatici premontati su cerchioni, destinati all'allestimento di autovetture presso stabilimenti automobilistici che lavorino a ciclo continuo, trasportati in gabbie sovrapposte collegate tra loro, con il trattamento previsto per i trasporti di cui all'articolo 10, comma 3, lettera e) del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. (4-15980)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la sicurezza stradale di questo Ministero.
  Occorre premettere che il trasporto in condizioni di eccezionalità è ammesso solo per le cose indivisibili, ossia per quelle cose di cui non è possibile ridurre le dimensioni o le masse senza comprometterne la funzionalità o pregiudicare la sicurezza del trasporto.
  Tale concetto, esplicitato dall'articolo 10, comma 4, del nuovo codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 1992), è ripreso dal medesimo articolo 10, comma 3, lettera e), che riconosce la qualifica di trasporto in condizioni di eccezionalità ai veicoli, isolati o costituenti complessi veicolari, adibiti al trasporto esclusivo di contenitori o casse mobili unificate.
  Tali fattispecie sono utilizzate nel trasporto combinato e intermodale, e considerate come cose indivisibili che comportano il superamento del limite di altezza di 4,00 metri stabilito dall'articolo 61, comma 1, lettera b), del suddetto codice.
  Ciò premesso, si osserva che quanto richiesto dall'interrogante non può trovare accoglimento; il trasporto di pneumatici non è infatti riconducibile a quello di cose indivisibili, giacché è sempre possibile ridurne il numero in modo da rientrare nei limiti dimensionali fissati dall'articolo 61; viene meno, pertanto, il requisito che giustificherebbe l'eccedenza dei limiti.
  Si osserva, inoltre, che l'esenzione dall'autorizzazione per i veicoli il cui carico indivisibile sporge posteriormente per più di 3/10 della lunghezza del veicolo stesso sussiste per il trasporto esclusivo di contenitori e casse mobili unificate, purché l'altezza sia contenuta entro i 4,30 metri, non vengano superati gli altri limiti fissati dagli articoli 61 e 62 del codice della strada, e alle ulteriori condizioni stabilite dall'articolo 10, comma 6, lettera b-bis).
  Ciò stante, si ritiene di non dover assumere alcuna iniziativa normativa anche per non innescare richieste similari che sconvolgerebbero il settore dell'autotrasporto.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   LAFFRANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il completamento della superstrada Rieti-Terni sembrava essere ad un punto di svolta quando, nel 2014, la conferenza di servizi di Anas-direzione generale dei lavori, raccolti tutti i pareri necessari aveva avallato la realizzazione degli ultimi 800 metri e, in particolare, aveva rilasciato il nulla osta per la costruzione del sistema di rotatorie e svincoli che avrebbero collegato la superstrada a Colli sul Velino sino all'intera dorsale dei comuni reatini confinanti con l'Umbria, per arrivare poi a Leonessa;
   la consegna prevista per la fine del 2015 nella zona ternana a tutt'oggi non si è ancora realizzata a causa non solo dei ritardi nell'esecuzione dei lavori, ma soprattutto per l'inchiesta che ha investito la Tecnis spa, la società di costruzioni edili impegnata nella realizzazione dell'ultimo tratto umbro della Rieti-Terni e nello specifico delle gallerie lungo la Salaria, tra Micigliano e Posta;
   la procura della Repubblica siciliana, su richiesta della direzione distrettuale che ha coordinato le indagini dei carabinieri dei Ros di Catania, il 23 febbraio 2016 ha disposto l'amministrazione giudiziaria e il sequestro delle quote e delle azioni della Tecnis spa. Al provvedimento si è abbinata la nomina di un amministratore giudiziario per sei mesi, ulteriormente rinnovabili, al fine di risanare e reimmettere nel mercato l'azienda, in modo che possa operare nel rispetto delle regole e al riparo da interventi della criminalità organizzata;
   a seguito del provvedimento sopra citato si deduce facilmente che almeno per un anno i lavori per il completamento della Rieti-Terni saranno bloccati e analoga situazione si vivrà a Micigliano, dove lo stesso ostacolo si verificò anche cinque anni fa, con l'impresa dell'epoca, la Safab, che fu raggiunta da un'interdittiva antimafia e a cui l'Anas applicò la risoluzione del contratto di appalto;
   a protestare per primi sono stati gli operai al lavoro nel cantiere al confine con l'Umbria che, supportati dalle organizzazioni sindacali ternane, già a ottobre avevano proclamato lo stato di agitazione. Stato di agitazione che lo scorso gennaio, nel cantiere di Micigliano sulla Salaria per Ascoli, si era subito trasformato in tre giorni di sciopero –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda che interessa il cantiere della superstrada Rieti-Terni e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di giungere quanto prima al completamento dell'ultimo tratto stradale la cui ultimazione è di fondamentale importanza per il collegamento dell'intero territorio umbro, nonché di evitare eventuali ripercussioni occupazionali a discapito degli operai del cantiere in questione.
(4-12253)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di competenza sulla base delle informazioni pervenute da Anas spa.
  A seguito delle vicende giudiziarie che hanno interessato la Tecnis spa, impegnata, tra l'altro, nella realizzazione dell'ultima tratto umbro della strada Terni-Rieti, Anas riferisce di aver avuto numerose interlocuzioni con l'amministratore giudiziario professor Ruperto, nominato dal prefetto di Catania, il quale ha formalizzato l'intendimento di portare a termine i lavori del cantiere della Terni-Rieti; per detti lavori erano già a disposizione a piè d'opera i materiali necessari al completamento dell'impalcato del viadotto sul fiume Velino.
  Il commissario, professor Ruperto, ha individuato quali condizioni indispensabili alla ripresa delle attività, la riduzione dell'importo minimo per il pagamento del S.A.L. (stato avanzamento lavori) ed il pagamento diretto dei sub-appaltatori.
  Anas ha accettato le condizioni sopra riassunte e sta procedendo secondo quanto richiesto da Tecnis.
  Inoltre, Anas ha provveduto a liquidare tutti i pagamenti maturati al momento della ripresa dei lavori da Tecnis.
  Nonostante l'impegno assunto da Tecnis, i lavori proseguono a rilento; Anas stima quindi possano essere completati entro ottobre 2017.
  Per quanto concerne invece il lotto di completamento della Terni-Rieti in territorio laziale, Anas comunica che detto intervento è stato aggiudicato in via definitiva il 13 luglio 2016 in favore dell'impresa Ircop Costruzioni generali s.p.a. «Songeo Srl» e in data 16 febbraio 2017 è stato stipulato il contratto. In data 23 marzo 2017 sono stati consegnati parzialmente i lavori il cui tempo contrattuale per la realizzazione delle opere è di 900 giorni.
  Da ultimo, per completezza d'informazione, si fa presente che, per quanto concerne i lavori in corso lungo la strada statale 4 Salaria, presso il comune di Micigliano, su richiesta dell'amministratore giudiziario, la società Tecnis ha richiesto ad Anas la modifica delle modalità di pagamento previste in contratto – proponendo un pagamento mensile basato sulla effettiva produzione di cantiere anziché il pagamento al raggiungimento di uno stato di avanzamento lavori pari ad euro 1.500.000,00 – oltre che il pagamento diretto da parte di Anas dei subappaltatori. Dette richieste sono state esaminate da Anas il 25 luglio 2016 il presidente di Anas ha autorizzato, a fronte della richiesta avanzata, il pagamento diretto dei subappaltatori e la sola riduzione dell'importo dello stato avanzamento lavori a euro 750.000,00.
  Di recente la società Tecnis ha richiesto una ulteriore riduzione dell'importo a euro 150.000,00 per il pagamento legato allo stato avanzamento lavori.
  Anas fa presente che i cantieri non sono ancora ripartiti, ma si prospetta un imminente riavvio dei lavori.
  Infine, Anas riferisce che la gestione commissariale della società Tecnis è terminata in data 21 marzo 2017 con remissione da parte del tribunale di Catania del decreto n. 14/17 R.D. di revoca della misura di prevenzione dell'amministrazione giudiziaria, e che la stessa Tecnis ha avanzato istanza di ricorso, ex articolo: 182-bis, comma 6, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), innanzi al tribunale di Catania.
Il Viceministro dell'internoRiccardo Nencini.


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento Pescara-Foggia con treni regionali ad oggi continua ad essere poco efficiente e addirittura più costoso rispetto a situazioni analoghe;
   nel resto d'Italia, infatti, per relazioni come Pescara-Ancona, Ancona-Bologna, Bologna-Milano opera un unico treno regionale; nel caso della tratta Pescara-Foggia i treni diventano due: il primo Pescara-Termoli, il secondo Termoli-Foggia;
   in questo modo si penalizzano fortemente i pendolari della tratta sia in termini di costi che in termini di qualità del servizio –:
   se non si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a migliorare il trasporto ferroviario in Abruzzo secondo criteri di efficienza, qualità e riduzione di costi per l'utenza.
(4-14477)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie di questo Ministero e dalla società Ferrovie dello Stato.
  In applicazione del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, la programmazione dei servizi di trasporto ferroviario regionale, e di competenza delle singole regioni i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da appositi contratti di servizio, nell'ambito dei quali vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche che ciascuna regione, destina al trasporto ferroviario nel proprio territorio.
  Per quanto riguarda la tratta Pescara – Foggia, Ferrovie dello Stato segnala che la regione Abruzzo assicura con il proprio contratto di servizio e con fondi regionali il collegamento da Pescara fino a Termoli, con fermata nelle località abruzzesi; mentre la regione Puglia, con il proprio contratto di servizio, garantisce il collegamento in coincidenza con destinazione Foggia, con fermate intermedie sul territorio pugliese.
  Inoltre, la società Ferrovie dello Stato informa che l'offerta commerciale di Trenitalia prevede 20 collegamenti giornalieri da Pescara a Foggia (19 nel senso inverso), tra treni regionali, Frecciabianca, Intercity e Intercity notte; di questi, soltanto i treni regionali con partenza alle ore 5:05 e 6:40 da Pescara centrale, prevedono il cambio a Termoli.
  La suddetta società evidenzia, infine, che i treni frecciabianca, Intercity e Intercity notte hanno come provenienza/destinazione le stazioni di Milano-Torino-Venezia e, quindi, assicurano la mobilità su tutta la direttrice adriatica.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   NASTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio del 2006 è stato illustrato a Re, ultimo comune della Val Vigezzo, nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola, (situato a circa 700 metri sul livello del mare e distante 7 chilometri prima del confine svizzero) il progetto di sistemazione della strada statale n. 337 che collega la Valle Vigezzo, con la Confederazione elvetica;
   nel progetto citato è prevista la realizzazione di alcune opere di primaria importanza volte a garantire la migliore fruibilità e la sicurezza di numerosi utenti, con la conseguente chiusura dell'arteria stradale anche per un lungo periodo, con prevedibili ripercussioni del traffico sulla strada provinciale n. 75 della Valle Cannobina, che rappresenta (per tanti utenti della zona e gli oltre 500 frontalieri) l'unica via alternativa di collegamento tra l'alta Valle Ossola e il Cantone Ticino;
   l'interrogante segnala come la strada provinciale n. 75 risulti già fortemente compromessa in larghi tratti a causa della mancanza di interventi di ordinaria manutenzione (numerosi muri di contenimento evidenziano preoccupanti situazioni di cedimento ed il manto stradale è in pessime condizioni), nonché dei pericoli per la sicurezza stradale derivanti dal passaggio dei mezzi pesanti utilizzati per la realizzazione di gallerie per le centrali idroelettriche;
   al riguardo, l'interrogante rileva come nel giugno del 2015 si sia verificato un crollo del ponte che, solo per fortuita casualità, non ha determinato conseguenze drammatiche per gli utenti stradali;
   il tratto stradale tra Orasso e Cursolo Orasso (comuni anch'essi della provincia di Verbano Cusio-Ossola) per circa 3,5 chilometri è caratterizzato da una carreggiata larga pochi metri, che comporta notevoli difficoltà per il passaggio dei veicoli, le cui complessità rischiano di diventare insostenibili per effetto dell'imminente chiusura al traffico della strada statale n. 337, a causa del traffico dirottato sul tratto stradale in precedenza richiamato;
   l'interrogante evidenzia, altresì, che gli effetti negativi e penalizzanti derivanti dalla precarietà della situazione stradale, dal punto di vista turistico e dell'immagine internazionale, rischiano di ripercuotersi sull'intera economia locale piemontese, se si valuta che i numerosissimi «camperisti» in prevalenza olandesi e tedeschi che quotidianamente percorrono tali tratti stradali, con ogni probabilità s'indirizzeranno in altre località turistiche, abbandonando il territorio italiano;
   si rileva inoltre che la provincia di Verbano-Cusio-Ossola, cui compete la gestione del tratto stradale citato, attualmente possiede le risorse disponibili per tutte le strade di pertinenza, pari a 1,6 milioni di euro per interventi urgenti, a fronte di un importo stimato in 33 milioni di euro per una migliore sistemazione; pertanto, si tratterebbe comunque del minimo indispensabile, non essendo previste nell'importo stimato ipotesi di allargamento dei tratti viari;
   la strada provinciale n. 75, secondo quanto si è appreso in via informale, è prossima a essere controllata da Anas; alla società di gestione spettano comunque le decisioni intraprese in merito alla chiusura al traffico della strada statale n. 337, che coinvolge non solo la Valle Cannobina ma anche la Valle Vigezzo;
   a giudizio dell'interrogante, in definitiva, risulta urgente ed indispensabile, chiarire da parte del Ministro interrogato, quali siano le effettive condizioni della viabilità derivanti dalla decisione di chiusura per i lavori stradali della tratta n. 337, posto che lo spostamento del traffico sulla strada provinciale n. 75 rischia di accrescere le già gravi difficoltà relative alla sicurezza del tratto in questione, anche a causa del congestionamento dovuto all'aumento dei mezzi di trasporto –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere, per quanto di competenza, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se sia a conoscenza delle effettive condizioni di viabilità delle strade di cui in premessa;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere al fine di utilizzare i fondi già esistenti per l'ammodernamento della strada statale n. 337 e della strada provinciale n. 75 in tempi brevi, anche attraverso la convocazione di un tavolo urgente con i comuni interessati, la provincia di Verbano-Cusio-Ossola e l'Anas. (4-15498)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e della società Anas.
  Per quanto riguarda l'intervento di sistemazione della strada statale 337 della Val Vigezzo denominato: «Adeguamento Strada statale S 337, tra il comune di Re ed il ponte Ribellasca dal km 23+900 al km 29+668» la società Anas ha comunicato di aver redatto il progetto di fattibilità tecnico economica dell'intervento che è stato presentato alle comunità locali in occasione di un incontro svoltosi in data 13 giugno 2016 a Santa Maria Maggiore.
  Detto progetto prevede la chiusura della statale nel solo tratto compreso tra le progressive 3+950 e 4+500 con deviazione del traffico transfrontaliero sulla strada provinciale 75.
  L'Anas informa che sono in fase di attivazione le procedure propedeutiche alla progettazione definitiva dell'intervento nell'ambito della quale verranno adottati tutti gli accorgimenti tecnici necessari a ridurre la durata del periodo di chiusura al traffico della suddetta strada statale.
  Anas evidenzia, altresì, che per garantire la sicurezza della circolazione stradale saranno previsti interventi di manutenzione del tratto di Strada provinciale 75 utilizzato come viabilità alternativa alla strada statale 337.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   PALMIZIO e VITO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2016 il compartimento della polizia ferroviaria dell'Emilia Romagna ha comunicato il progetto di Trenitalia che prevede il ricollocamento del personale in servizio alla polizia ferroviaria di Bologna presso la nuova caserma nello scalo ferroviario di San Donato;
   nel gennaio successivo sono terminati i lavori di ristrutturazione di questo nuovo plesso ed è stata fissata al 28 febbraio la data per il trasferimento di tutti gli alloggiati nella caserma San Donato con l'abbandono della caserma Casarini;
   nel 2004, con atto ispettivo presentato al Senato, indirizzato al Ministro dell'interno, emerse che: «Il 10 agosto 2004, con prot. n. 58755/04, il servizio sanitario regionale, dipartimento di sanità pubblica dell'Ausl di Bologna, sosteneva che «la situazione dell'edificio di via Casarini 23 è stata relazionata alle competenti autorità già in data 19 febbraio 2003 evidenziando un grave rischio igienico, sanitario e di sicurezza. Da un sopralluogo eseguito in data 9 agosto 2004 s’è constatato il perdurare della situazione di degrado interno/esterno allo stabile e quindi s’è nuovamente provveduto ad informare gli organi competenti»;
   considerata la situazione di sostanziale illegalità e degrado evidenziata oltre dieci anni fa e successivamente allo sgombero degli occupanti abusivi dello stabile s'era inteso aprire una caserma delle forze dell'ordine per riqualificare il quartiere e aumentare il livello di sicurezza;
   l'ente ferroviario si sobbarcò l'onere economico dell'affitto dello stabile, così nacque la caserma della polizia ferroviaria; per dieci anni il quartiere ha ospitato un presidio di polizia con 50 uomini e donne in divisa che transitavano h24 nella via, a vantaggio della sicurezza;
   dieci anni dopo, per ragioni di ordine economico, viene certificata l'impossibilità per i poliziotti di continuare ad utilizzare lo stabile;
   i 50 poliziotti si ritroveranno a vivere nella periferia della città, dentro uno scalo ferroviario chiuso al pubblico, in uno stabile che si trova a diversi chilometri da strade e da fermate di mezzi pubblici;
   la scelta dell'ente ferroviario è volta solo al contenimento delle spese e pare essere stata avallata dai vertici della polizia ferroviaria;
   dal 1956, per legge, le Ferrovie dello Stato hanno l'onere di provvedere, d'intesa con il Ministero dell'interno, all'accasermamento del personale dei servizi di polizia ferroviaria;
   il Sindacato autonomo di polizia (Sap) non ha accettato la scelta imposta e ha chiesto ad autorità e soggetti responsabili di poter concertare un'altra soluzione alloggiativa («La decisione unilaterale di Trenitalia è stata effettuata per scelte puramente economiche come peraltro già annunciato da una circolare di un anno fa e di cui tutte le Sigle sindacali sono pienamente a conoscenza. Non è certo dovuta a delle segnalazioni riservate che questa organizzazione sindacale preoccupata della salute e del benessere dei colleghi (ai quali, lo ricordiamo ai più smemorati, mancava lo scorso inverno l'acqua calda ed il riscaldamento), in qualità di RSU, ha inviato al dg del Compartimento, in qualità di datore di lavoro (...). A noi del Sap questo non piace. Siamo certi che, con un impegno (finalmente) concreto della dirigenza del Compartimento, con l'interessamento della comunità e delle istituzioni bolognesi e con un serio e deciso cambio di rotta da parte del cartello sindacale sicuramente sarà possibile trovare delle valide alternative sulle quali, comunque, stiamo già lavorando»);
   le massime autorità felsinee hanno sposato la tesi del Sap assumendo l'impegno di trovare soluzione alternativa (dal sindaco Merola, con tutto il consiglio comunale, nel mese di ottobre, al Prefetto Sodano, impegnatosi il 25 gennaio ad indire un tavolo tecnico con sindaco e vertici ferroviari per evitare lo spostamento della caserma;
   il 28 febbraio 2017 il Sap (insieme ad altri sindacati) è stato convocato per un incontro dal prefetto, ma l'incontro, per stessa ammissione del Sap, si è concluso con un nulla di fatto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per risolvere la questione, considerando che a Bologna sussistono diversi luoghi nella disponibilità di Trenitalia per ospitare i poliziotti;
   se il Ministro interrogato, anche in considerazione dei delicati risvolti della vicenda, in particolare dell'esigenza di salvaguardare la dignità ed il decoro dei lavoratori e la sicurezza dei luoghi di transito ferroviario, intenda esaminare, per quanto di competenza, la ragionevolezza e l'opportunità dell'attuale determinazione in fase di adozione, che appare agli interroganti di mero stampo aziendalistico, e che di fatto tratta i lavoratori alla stregua di una sorta di merce di scambio. (4-16671)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante chiede di rivedere la determinazione di ricollocare gli alloggi di servizio del personale della polizia ferroviaria in servizio presso la stazione di Bologna, dalla caserma di via Casarini a quella ubicata presso lo scalo di San Donato.
  Si premette al riguardo che l'immobile di via Casarini, in cui è stata ospitata la caserma Polfer sin dal 2006, è di proprietà della società Ludis, che l'ha concesso in locazione al gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.
  I vertici del gruppo Ferrovie hanno rappresentato serie difficoltà a ottenere, da parte della società proprietaria, tempestivi interventi di manutenzione straordinaria necessari a fronteggiare le numerose problematiche di natura strutturale e impiantistica rilevate nello stabile.
  Pertanto, nel mese di gennaio 2016, il gruppo Ferrovie ha proposto al Ministero dell'interno di trasferire gli alloggi di servizio del personale della polizia ferroviaria presso la struttura del Ferrotel, sita nello scalo merci di Bologna San Donato.
  Nel contempo, le stesse Ferrovie dello Stato hanno preannunciato che, nel quadro di un processo di razionalizzazione dei costi, avrebbero proceduto alla risoluzione del contratto di locazione dell'immobile di via Casarini. Tale decisione è stata ufficialmente comunicata nel successivo mese di giugno, unitamente alla notizia che i lavori di adeguamento della nuova sede degli alloggi di servizio sarebbero stati ultimati presuntivamente nel mese di novembre 2016.
  A seguito di ciò, il dipartimento della pubblica sicurezza – su conforme avviso del dirigente del compartimento Polfer per l'Emilia-Romagna e a seguito di specifico sopralluogo – ha espresso parere favorevole al trasferimento degli alloggi collettivi presso la struttura di San Donato.
  Si è addivenuti a tale decisione solo dopo aver constatato l'assenza di valide alternative da parte del gruppo Ferrovie dello Stato e tenendo conto delle problematiche correlate alla necessità degli interventi manutentivi e di messa a norma della caserma di via Casarini e alla competenza all'effettuazione degli stessi.
  Occorre, inoltre, sottolineare altri due aspetti che hanno influito sulla determinazione assunta dal dipartimento della pubblica sicurezza.
  È stato valutato che la ricollocazione, da un lato, non avrebbe pregiudicato in alcun modo l'operatività del personale e, quindi, l'efficienza del dispositivo di vigilanza; dall'altro, avrebbe comportato un sensibile miglioramento delle condizioni alloggiative del personale, in quanto, grazie ai lavori di adeguamento della nuova struttura, i 60 operatori di polizia avrebbero alloggiato in camere singole, ciascuna fornita di servizi igienici indipendenti e – non ultimo – in un immobile pienamente conforme alla normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
  Pertanto, nello mese di marzo 2017, gli alloggi di servizio per il personale del compartimento di polizia ferroviaria per l'Emilia Romagna sono stati trasferiti presso la nuova caserma, ove, tra l'altro, al fine di favorire la mobilità del personale, il dirigente del citato compartimento ha disposto un servizio navetta da e per il settore operativo di Bologna centrale e la sede compartimentale. Allo stesso fine, è stata, inoltre, avanzata agli organi comunali competenti la richiesta di istituire una fermata del trasporto pubblico cittadino in un'area prossima allo scalo di San Donato.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre del 2016 il dirigente del compartimento della polizia ferroviaria dell'Emilia Romagna ha reso noto il progetto di Trenitalia relativo al ricollocamento del personale Polfer precedentemente alloggiato nella caserma di via Casarini a Bologna;
   secondo quanto denunciato dai sindacati di polizia Siulp, Siap Silp-Cgil, Ugl Polizia, Fed, Uil Polizia e Consap-Anip, la notizia è stata ufficializzata da una circolare emanata dal medesimo dirigente, con la quale si precisava che lo stabile di Via Casarini dovrà essere restituito in quanto è stata attivata la procedura di risoluzione del contratto di locazione da parte delle Ferrovie;
   sempre secondo i sindacati, l'unico immobile disponibile per i poliziotti sarebbe sito nello scalo merci ferroviario di San Donato, «una desolante collocazione, a più di 10 km dalla stazione, nel bel mezzo di binari abbandonati»;
   se tale decisione fosse confermata, il personale in servizio alla polizia ferroviaria di Bologna si ritroverà a vivere nell'estrema periferia della città, all'interno di uno scalo ferroviario chiuso al pubblico, in uno stabile lontano dalle strade della città e dai cittadini;
   tale scelta, imposta unilateralmente dall'ente ferroviario, sarebbe stata dettata, a quanto consta all'interrogante, da puri motivi ragionieristici, volti al contenimento delle spese, senza che secondo l'interrogante sia stata effettuata alcuna valutazione circa le conseguenze sui livelli di sicurezza garantiti alla cittadinanza o sui disagi per gli agenti;
   le Ferrovie dello Stato hanno l'onere di provvedere, d'intesa con il Ministero dell'interno, all'accasermamento del personale assegnato ai servizi di polizia ferroviaria –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la veridicità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda assumere per convocare un tavolo tecnico coinvolgendo rappresentanti del Sindacato autonomo di polizia e tutti i soggetti interessati, al fine di poter concertare una soluzione alloggiativa alternativa che coniughi le esigenze delle Ferrovie, da un lato, con il bisogno di sicurezza dei cittadini e la dignità di chi la garantisce, dall'altro. (4-15832)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante chiede di rivedere la determinazione di ricollocare gli alloggi di servizio del personale della polizia ferroviaria in servizio presso la stazione di Bologna, dalla caserma di via Casarini a quella ubicata presso lo scalo di San Donato.
  Si premette al riguardo che l'immobile di via Casarini, in cui è stata ospitata la caserma Polfer sin dal 2006, è di proprietà della società Ludis, che l'ha concesso in locazione al gruppo Ferrovie dello Stato Italiane.
  I vertici del gruppo Ferrovie hanno rappresentato serie difficoltà a ottenere, da parte della società proprietaria, tempestivi interventi di manutenzione straordinaria necessari a fronteggiare le numerose problematiche di natura strutturale e impiantistica rilevate nello stabile.
  Pertanto, nel mese di gennaio 2016 il gruppo Ferrovie ha proposto al Ministero dell'interno di trasferire gli alloggi di servizio del personale della polizia ferroviaria presso la struttura del Ferrotel, sita nello scalo merci di Bologna San Donato.
  Nel contempo, le stesse Ferrovie dello Stato hanno preannunciato che, nel quadro di un processo di razionalizzazione dei costi, avrebbero proceduto alla risoluzione del contratto di locazione dell'immobile di via Casarini. Tale decisione è stata ufficialmente comunicata nel successivo mese di giugno, unitamente alla notizia che i lavori di adeguamento della nuova sede degli alloggi di servizio sarebbero stati ultimati presuntivamente nel mese di novembre 2016.
  A seguito di ciò, il dipartimento della pubblica sicurezza – su conforme avviso del dirigente del compartimento Polfer per l'Emilia-Romagna e a seguito di specifico sopralluogo – ha espresso parere favorevole al trasferimento degli alloggi collettivi presso la struttura di San Donato.
  Si è addivenuti a tale decisione solo dopo aver constatato l'assenza di valide alternative da parte del gruppo Ferrovie dello Stato e tenendo conto delle problematiche correlate alla necessità degli interventi manutentivi e di messa a norma della caserma di via Casarini e alla competenza all'effettuazione degli stessi.
  Occorre, inoltre, sottolineare altri due aspetti che hanno influito sulla determinazione assunta dal dipartimento della pubblica sicurezza.
  È stato valutato che la ricollocazione, da un lato, non avrebbe pregiudicato in alcun modo l'operatività del personale e, quindi, l'efficienza del dispositivo di vigilanza; dall'altro, avrebbe comportato un sensibile miglioramento delle condizioni alloggiative del personale, in quanto, grazie ai lavori di adeguamento della nuova struttura, i 60 operatori di polizia avrebbero alloggiato in camere singole, ciascuna fornita di servizi igienici indipendenti e – non ultimo – in un immobile pienamente conforme alla normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
  Pertanto, nel mese di marzo 2017, gli alloggi di servizio per il personale del compartimento di polizia ferroviaria per l'Emilia Romagna sono stati trasferiti presso la nuova caserma, ove, tra l'altro, al fine di favorire la mobilità del personale, il dirigente del citato compartimento ha disposto un servizio navetta da e per il settore operativo di Bologna centrale e la sede compartimentale. Allo stesso fine, è stata, inoltre, avanzata agli organi comunali competenti la richiesta di istituire una fermata del trasporto pubblico cittadino in un'area prossima allo scalo di San Donato.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 7 febbraio 2017 numerosi articoli di stampa hanno dato la notizia di tariffe «gonfiate», sia dei prezzi dei singoli biglietti che degli abbonamenti, per le tratte ferroviarie sovra regionali; un algoritmo errato nella procedura di calcolo ha falsato l'importo dovuto per tale tratte comportando rincari di oltre il 30 per cento;
   tale illegittimo sovraprezzo è stato scoperto da Assoutenti, una nota associazione a tutela dei diritti degli utenti dei servizi pubblici, a seguito di lamentele di pendolari del trasporto ferroviario sovra regionale che hanno constatato come l'importo da essi pagato risultava superiore alla somma delle singole tratte regionali. Insomma, pur sommando il costo delle tratte regionali secondo i prezzi in vigore in ciascuna regione e applicando il correttivo matematico, che tenesse conto di una serie di fattori come stabilito dai contratti di servizio regioni Trenitalia, il risultato economico non combaciava con le effettive tariffe applicate;
   come ammesso dalla stessa Trenitalia, con nota del 7 febbraio 2017 «(...) L'algoritmo cui fanno riferimento oggi i media è quello definito e approvato in sede di Commissione trasporti della conferenza delle regioni e delle province autonome nel luglio del 2007», confermando, pertanto, che tale problematica risale addirittura al 2007. Inoltre, Trenitalia riferisce che «(...) l'unica sede titolata per decidere in materia, ossia la predetta Commissione Trasporti della Conferenza» era già stata da tempo avvertita della questione «senza però che si giungesse alla definizione e alla delibera di un nuovo modello di calcolo». Emerge chiaramente che la società Trenitalia fosse da tempo a conoscenza di tale problematica e che informate le regioni queste non siano intervenute;
   tale grave versione è stata subitaneamente contestata dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, che con il suo presidente, Stefano Bonaccini, in un'intervista (la Repubblica «Le Regioni contro Trenitalia: sapeva dell'algoritmo che ha beffato i pendolari») ha dichiarato esattamente il contrario, ovverossia che: «(...) è prassi che le manovre tariffarie sovra regionali vengano preventivamente condivise con Trenitalia. Trovo sorprendente che l'azienda oggi si mostri estranea alla definizione dell'algoritmo che fu essa stessa a proporre. La modalità di calcolo fu non solo condivisa ma richiesta da Trenitalia per sopperire a un precedente algoritmo. La nuova modalità ha dimostrato le difformità che oggi Trenitalia riconosce. Da più Regioni è venuta in questi anni la richiesta di riconsiderazione delle tariffe. È inaccettabile che l'azienda oggi dichiari di essere venuta a conoscenza del problema nel 2015». Affermazioni queste che, se confermate, rileverebbero una grave e diretta responsabilità di Trenitalia, di cui è sostanzialmente azionista unico il Governo, nel perseguimento di una condotta dagli evidenti profili di dubbia legittimità con cui l'azienda, ad avviso dell'interrogante, ha prodotto a se stesso un ingiusto profitto, con probabili esiti risarcitori e danni erariali e di immagine passibili di accertamento da parte della Corte dei Conti;
   dagli stessi dati diffusi da Trenitalia sono all'incirca 7 mila gli abbonamenti interessati dai non dovuti sovraprezzi. In media un più 35 euro al mese che sommati per gli ultimi 10 anni fanno per sommi capi 30 milioni di euro di indebito guadagno. Fondi che necessariamente dovranno essere restituiti e per cui i vertici di Trenitalia dovranno essere chiamati a rispondere –:
   quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere, in primis per assicurare l'applicazione di un modello di calcolo tariffario scevro da alterazioni, in secundis per il ristoro di quanto indebitamente versato dai pendolari in tutti questi anni e in terzis per verificare eventuali responsabilità di quanto accaduto. (4-15574)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta, sulla base delle informazioni assunte presso direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie e la società Ferrovie dello Stato.
  La determinazione delle tariffe nel trasporto regionale rientra tra le competenze di ciascuna regione provincia autonoma per i treni che servono il proprio territorio mentre, per i treni che servono il territorio di due o più regioni, sino al 2007, si applicava la tariffa nazionale (le cui variazioni erano deliberate dal Cipe), che era col tempo divenuta notevolmente più bassa delle singole tariffe deliberate dalle regioni.
  Pertanto, in sede di commissione trasporti della Conferenza delle regioni e delle province autonome si stabilì di introdurre la cosiddetta tariffe regionale, con applicazione sovraregionale, calcolata sommando il costo delle singole tratte regionali – secondo i prezzi in vigore in ciascuna regione – e applicando alla somma un correttivo matematico che tenesse conto di una serie di fattori; questo correttivo è un «algoritmo» che venne definito e approvato da detta Commissione nel 2007.
  Come ha riferito Trenitalia, alcuni abbonati e associazioni di consumatori hanno evidenziato che, nel corso del tempo, quel metodo di calcolo ha prodotto delle sostanziali differenze di prezzo rispetto a percorrenze analoghe svolte, però, all'interno di ogni singola regione, soprattutto per effetto della forte e differenziata dinamica delle tariffe attuata negli ultimi anni dalle regioni.
  Ascoltate queste istanze, Trenitalia ha ritenuto di sottoporle all'attenzione della predetta commissione trasporti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, che ha – quindi – attivato un tavolo di approfondimento per l'analisi e l'eventuale revisione dell'algoritmo che, però, ha interrotto i lavori nel 2015.
  A seguito del rincontro svoltosi in sede di commissione trasporti della Conferenza, il 15 febbraio 2017, Trenitalia ha sviluppato uno studio riguardante quattro ipotesi di nuovo algoritmo (come richiesto dalla commissione stessa e dalle associazioni dei consumatori), evidenziando le rispettive caratteristiche, la variazione dei prezzi dei biglietti di corsa semplice e degli abbonamenti e stimando, per ognuno» gli impatti sui ricavi: lo studio in questione è stato consegnato alla commissione per l'esame e le determinazioni di competenza.
  Va in ogni caso, tenuto conto che il servizio ferroviario regionale si regge sull'equilibrio economico tra i costi di produzione e i ricavi provenienti sia da tariffe che da corrispettivi pubblici, contrattualmente fissati dai contratti di servizio tra le regioni e Trenitalia. I ricavi da tariffa sovraregionale concorrono a determinare quell'equilibrio.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   negli scorsi giorni Yasser Arman, segretario del Sudan People's Liberation MovementNorth (SPLM-N), gruppo ribelle che opera in Sud Kordofan, regione meridionale del Sudan contesa dal Sud Sudan, ha dichiarato di essere in possesso di informazioni secondo cui esisterebbe un piano dell'Unione europea per finanziare le Rapid Support Forces (RSF, nome ufficiale dei gruppi «janjaweed»);
   in particolare, secondo Arman la Germania metterebbe a disposizione ingenti somme di denaro, mentre all'Italia sarebbe stato affidato il supporto logistico;
   queste pesanti accuse sono state confermate alla rivista online «Africa ExPress» anche da fonti diplomatiche dell'Organizzazione delle Nazioni Unite a Khartoum;
   i «janjaweed» sono una milizia filo-governativa sudanese composta da predoni appartenenti alla famiglia estesa dei Baggara, protagonista di gravissime nefandezze nella regione del Darfur ed insediata nel Sudan Occidentale e nel Ciad Orientale;
   secondo Arman l'accordo tra Unione europea e milizie della RSF sarebbe stato stipulato, affinché queste ultime provvedano a combattere l'immigrazione irregolare verso l'Europa, il terrorismo ed il traffico di esseri umani;
   tuttavia, in tal modo si garantirebbe legittimazione internazionale ad un gruppo che per oltre dieci anni ha agito per conto del Governo sudanese terrorizzando la popolazione civile di origine africana, assalendo villaggi, saccheggiandoli, bruciando abitazioni, uccidendo gli uomini adulti e violentando le donne nella speranza di dargli un figlio arabo;
   si parla di un gruppo che ha rapito centinaia di bambini e ragazzi, trasformando i maschi in fanciulli soldato o schiavi e rendendo le femmine proprie concubine;
   gruppi di investigatori inviati in Darfur dall'ONU hanno confermato il carattere omicida dei gruppi «janjaweed» già alcuni anni or sono;
   lo stesso Presidente sudanese, Omar Al Bashir, salito al potere con un golpe il 30 giugno 1989, è stato incriminato dalla Corte penale internazionale di genocidio e crimini contro l'umanità, e contro di lui è stato spiccato un mandato di cattura;
   attualmente i «janjaweed» operano sotto il comando del NISS (National Intelligence and Security Service), i servizi segreti del regime sudanese;
   secondo lo stesso Arman sarebbero stati stanziati circa 100 milioni di euro per l'operazione, grazie ai quali i «janjaweed» riuscirebbero a procurarsi veicoli ed equipaggiamento logistico che, con ogni probabilità, verrebbe in seguito utilizzati più negli scontri interni che per la lotta all'immigrazione irregolare;
   assumono, dunque, un significato più profondo ed inquietante le parole pronunciate il 2 settembre dal leader di questi gruppi Mohamed Hamdan Dagl, che in conferenza stampa aveva dichiarato di combattere gli migrati illegali a nome dell'Europa;
   i fatti narrati sono riportati, tra gli altri, anche nell'articolo pubblicato dalla rivista online «Africa ExPress» dal titolo «Sudan: nella guerra contro i migranti l'Italia finanzia e aiuta i janjaweed» –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda a verità;
   quali siano gli attuali rapporti tra l'Unione europea (ed in particolare l'Italia) e le Rapid Support Forces;
   laddove quanto denunciato dal Sudan People's Liberation Movement-North, trovasse conferma se non ritenga doveroso ed urgente assumere iniziative per porre immediatamente termine a qualsiasi forma di collaborazione tra il nostro Paese, l'intera Unione europea e le RSF. (4-14198)

  Risposta. — In merito al presunto finanziamento dei janjaweed, il 6 settembre 2016 Bruxelles ha chiarito che l'impegno dell'Unione europea (Ue) per rafforzare la cooperazione con i Paesi africani in ambito migratorio è fermamente ancorato al diritto internazionale umanitario e agli standard internazionali dei diritti umani e che l'assistenza dell'Unione europea al Sudan è fornita a livello bilaterale e regionale, attraverso agenzie internazionali ed organizzazioni non governative (Ong), non tramite il Governo sudanese. L'Unione europea ha dunque assicurato che non è stato fornito alcun tipo di supporto alle Rapid Support Forces.
  L'Unione europea ha inoltre ribadito che la cooperazione con Khartoum in ambito migratorio ha lo scopo di agire sui quei fattori, come la disoccupazione e la mancanza di servizi di base, che incoraggiano la spinta a migrare; ciò portando avanti una serie di azioni per la prevenzione e la lotta al traffico di esseri umani. Il Sudan è infatti Paese di origine, transito e destinazione di importanti flussi migratori. Dal Sudan sono sbarcati in Italia 8.932 migranti irregolari nel 2015 e 9.327 nel 2016. La rotta sudanese è una delle principali direttrici di traffico per i migranti diretti verso le coste libiche. Più di 2 milioni di rifugiati e sfollati sono ospitati in Sudan.
  La proposta della Commissione europea consiste, in un emendamento al regolamento 230/2014 che istituisce uno strumento inteso a contribuire alla stabilità e alla pace, finalizzato ad estendere l'assistenza dell'Unione europea anche alle forze armate dei Paesi partner in specifiche circostanze, con un obiettivo di sviluppo.
  L'azione europea in Sudan è pienamente compatibile e rispettosa delle previsioni dell'articolo 3 del Trattato sull'Unione europea. L'idea è di consentire ai Paesi partner cui lo strumento è destinato (non solo africani: esso ha portata globale) di sviluppare la propria capacità di gestire con maggiore autonomia le crisi, così contribuendo alla stabilità e alla sicurezza nazionali e regionali e, in ultima analisi, alla costruzione di società pacifiche ed inclusive.
  La proposta legislativa prevede un aumento della dotazione finanziaria complessiva dello strumento sopra citato pari a 100 milioni di euro fino al 2020. Si tratta di fondi provenienti dal bilancio Unione europea e non dai bilanci degli Stati membri. La proposta legislativa è frutto dell'esercizio del quasi-monopolio dell'iniziativa legislativa della Commissione europea in ambito Unione europea e entrerà in vigore solo una volta adottata dal legislatore europeo (Consiglio e Parlamento europeo congiuntamente).
  I negoziati promossi e condotti dall'Italia per la definizione di intese con alcuni Paesi africani ritenuti prioritari dal punto di vista migratorio si inseriscono nel quadro degli sforzi bilaterali ed europei rispetto al cruciale tema dei flussi migratori. Tra tali intese, finalizzate a realizzare forme di collaborazione operativa nel settore della identificazione e del rimpatrio di migranti irregolari rintracciati sul territorio nazionale non richiedenti protezione internazionale, si inserisce il Memorandum of understanding firmato dai capi della polizia di Italia e Sudan il 3 agosto 2016 a Roma.
  Con specifico riferimento ai rimpatri, l'accordo in parola definisce gli impegni delle Parti per assicurare che le misure in tale ambito vengano stabilite nel pieno rispetto della dignità umana e delle libertà fondamentali dei migranti, nonché delle pertinenti norme nazionali ed internazionali. Si tratta di temi sui quali da parte italiana si è insistito molto in fase negoziale. Sempre a livello bilaterale, la Cooperazione-italiana considera il Sudan come «Paese prioritario» e interviene essenzialmente nel settore dei servizi sanitari a favore delle fasce più vulnerabili della popolazione, gestendo anche un programma di cooperazione delegata dell'Unione europea nel cruciale settore idrico, nonché in quello dell'assistenza ai migranti e agli sfollati, anche attraverso interventi umanitari e di emergenza. L'attuazione delle iniziative di cooperazione avviene in gestione diretta ovvero mediante le principali organizzazioni internazionali e del sistema delle Nazioni Unite, come Unicef e Unhcr.
  Oltre all'azione condotta sul piano bilaterale, l'Italia svolge un lavoro di primo piano per sostenere i meccanismi multilaterali istituti in ambito Onu per la tutela e la promozione dei diritti umani in Sudan.
Il Viceministro degli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.