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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 23 maggio 2017

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCON e COSTANTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Segretario di Stato americano, Rex Tillerson, parlando il 3 maggio 2017 al personale del Dipartimento di Stato, ha offerto la propria visione su come gli Stati Uniti devono declinare la politica dell’«American first», propugnata dal nuovo Presidente Trump, nelle relazioni con tutti gli altri Stati;
   nelle sue testuali parole, il Segretario di Stato ha sostenuto che «dobbiamo veramente capire, in ogni paese o regione del mondo con cui trattiamo, quali siano i nostri interessi di sicurezza nazionale, quali siano gli interessi della nostra prosperità economica, e solo dopo se possiamo promuovere e far avanzare i nostri valori»;
   ma spesso, ha aggiunto, farsi condizionare troppo dal fatto che altri Paesi adottino i valori promossi dagli Usa è un ostacolo per l'avanzamento degli altri interessi americani. In tutto il resto del suo discorso, il Segretario di Stato ha parlato dei temi impegnativi della politica estera americana nei vari Paesi, senza citare neppure una volta le parole, valori, democrazia o diritti umani;
   con un solo discorso, Tillerson ha cancellato almeno quattro decenni di politica condivisa da democratici e repubblicani americani, durante i quali i diritti umani e la democrazia sono stati considerati parti essenziali della prosperità economica e della sicurezza nazionale degli Usa e non solo valori americani, ma valori universali che gli Stati Uniti, insieme agli altri Stati occidentali hanno adottato come stella polare del loro costituzionalismo e nelle relazioni internazionali;
   c’è sempre stato uno scarto profondo secondo gli interroganti, tra i valori professati dagli Stati Uniti e dagli altri Paesi, inclusa l'Italia, e le politiche estere praticate, come dimostra, ad esempio, la vendita di armi a Paesi che violano sistematicamente i diritti umani e la promozione di guerre;
   tuttavia, i diritti umani e la democrazia sono stati e devono continuare ad essere considerate le radici e la struttura portante di ogni azione degli Stati democratici per promuovere sviluppo, sicurezza, pace e il futuro del genere umano;
   la leadership dei Paesi democratici non può essere espressa con la forza militare, l'innalzamento di muri e il rafforzamento dei propri esclusivi interessi economici;
   il programma di Tillerson, e di converso dell'Amministrazione americana, è, secondo gli interroganti, profondamente contrario alla Costituzione italiana, alla tradizione politica è giuridica italiana e a tutto ciò in cui la comunità nazionale crede –:
   se il Governo non ritenga di porre il tema della tutela dei diritti umani nel corso del prossimo G7 di Taormina, e in ogni altra sede, perché sia riaffermata la loro centralità e siano rafforzate tutte le agenzie e gli organi che li garantiscono.
(4-16682)


   MARCON, CIVATI, FRATOIANNI, COSTANTINO, AIRAUDO, BRIGNONE, DANIELE FARINA, FASSINA, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, ANDREA MAESTRI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PASTORINO, PELLEGRINO e PLACIDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la sfilata militare del 2 giugno a Roma, in occasione della festa della Repubblica, è costata dal 2010 al 2016, complessivamente, oltre 17 milioni di euro;
   le forze armate italiane hanno già una loro festa, che si celebra ogni anno il 4 novembre;
   al di là della coerenza con lo spirito repubblicano di una festa della Repubblica che sia centrata su una parata militare, ogni giorno la nostra Repubblica spende quasi 50 milioni di euro in spese militari (48 nel 2016 per la precisione) di cui quasi 13 per l'acquisto di nuovi armamenti. Spese che continuano a crescere, immuni da tagli, nonostante la Difesa continui a sostenere il contrario;
   in un periodo di crisi economica sarebbe utile destinare, secondo gli interroganti, le risorse della parata militare ad interventi di tipo sociale, ad esempio per la lotta alla povertà oppure consentendo a migliaia di giovani in più di svolgere un'attività di servizio civile, garantendo importanti servizi sociali a favore di anziani, persone disabili, minori;
   la festa della Repubblica può essere celebrata con eventi e iniziative a carattere civile, che coinvolgano tutta la popolazione, mettendo in evidenza il grande patrimonio della cultura italiana e celebrando i principi della nostra Costituzione, a partire dall'importanza del lavoro;
   già in altre diverse occasioni, a partire dal 1976, la sfilata militare del 2 giugno è stata sospesa e non è stata effettuata per motivi di sobrietà e responsabilità di fronte alle condizioni del Paese –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per sospendere, per il 2017, l'organizzazione della parata militare che gli interroganti ritengono «sfarzosa» e poco coerente con gli sforzi che sta facendo il Paese di fronte di una grave crisi economica;
   quali saranno i costi, nel caso venisse effettuata, della parata militare del 2 giugno;
   se, qualora la parata sia effettuata, sfileranno anche mezzi militari, quali carri armati e blindo;
   se sia stato valutato l'impatto ambientale e acustico, sulla base della normativa vigente, di una manifestazione così imponente su un'area di così particolare pregio archeologico e architettonico.
(4-16683)


   MARCON. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 19 maggio 2017 il Corriere della sera ha pubblicato una intervista alla sottosegretaria Vicari, nella quale le si chiede di parlare della vicenda del Rolex del valore di 5.800 euro avuto in dono dall'armatore Morace, che — grazie ad un emendamento «caldeggiato» dalla sottosegretaria — avrebbe risparmiato circa 7 milioni di euro di tasse;
   a parte ogni considerazione sulla vicenda in sé, risalta in maniera macroscopica il passaggio nel quale la Vicari chiede di poter dire una cosa «anche se può suonare un po’ antipatico» affermando che «Ci sono ministri che hanno preso non uno, ma tre Rolex e sono ancora in carica» –:
   quali chiarimenti intenda fornire il Governo in relazione a quanto esposto in premessa. (4-16689)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FUCCI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sessione plenaria dell'Assemblea mondiale della Sanità (Ams), organismo decisionale dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) — in corso di svolgimento a Ginevra vede, per la prima volta dopo nove anni, l'assenza di Taiwan in veste di osservatore;
   tale assenza, molto grave a parere dell'interrogante, sarebbe dovuta esclusivamente alle pressioni della Repubblica popolare cinese che ha imposto l'esclusione di Taiwan per sue ragioni politiche — come ha esplicitamente dichiarato il Ministro della salute cinese — di avversione e contrasto all'attuale Governo taiwanese, democraticamente eletto nel 2016;
   l'esclusione di Taiwan colpisce un Paese, libero e democratico, di 23 milioni di abitanti che rappresenta un pilastro economico e tecnologico dell'Asia orientale, ed è pericolosa perché l'Ams/Oms secondo il proprio statuto, tradito secondo l'interrogante in questa circostanza, dovrebbe perseguire soltanto la tutela e la promozione della salute dell'umanità intera, la lotta alle malattie e alle epidemie senza distinzioni di tipo politico, razziale e religioso;
   Taiwan, inoltre, ricopre un ruolo centrale sul piano geostrategico trovandosi in una posizione di crocevia tra l'America e l'Asia-Pacifico, ovvero in una «direttrice» sulla quale si spostano milioni di persone con la necessità — come fu dimostrato dal cruciale ruolo di Taiwan nel contenere e quindi bloccare la crisi della epidemia Sars — di un presidio essenziale anche sul piano della prevenzione e della sicurezza sanitarie –:
   quali iniziative di competenza si intendano assumere, anche nel quadro della politica estera europea, affinché sia garantita a Taiwan la partecipazione all'Ams, come proficuamente avvenuto dal 2008 al 2016, e non debba ripetersi questa inaccettabile e assurda discriminazione.
(5-11424)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   la Fluorsid è una azienda che opera in Sardegna dal 1969 per la produzione di fluoroderivati con l'impiego di materie prime locali;
   a quanto si apprende da diversi organi di stampa, il 16 maggio 2017 sono stati arrestati i vertici della suddetta azienda. Nello specifico, sono stati tradotti in carcere M.L., direttore dello stabilimento, S.C., direttore del settore sicurezza ambiente della società, l'ingegnere A.F. e due dipendenti di una ditta appaltatrice, insieme al proprietario della stessa, ai domiciliari per ragioni di età. È indagato anche il direttore tecnico della società;
   fra le accuse mosse verso i vertici della Fluorsid vi è l'associazione a delinquere in disastro ambientale per grave inquinamento del suolo, dell'aria e degli allevamenti;
   come si legge fra le contestazioni mosse dalla procura ed accolte dal giudice per le indagini preliminari, vi sarebbe stata «una grave contaminazione dell'aria, per effetto della dispersione delle polveri nocive, altamente concentrate, provenienti dallo stabilimento Fluorsid dal cantiere di Terrasili. Una grave contaminazione del suolo ascrivibile anzitutto alla diffusione delle polveri, e dimostrata dalle analisi dei campioni di suolo e di vegetali (di specie pabulari), prelevati da aree prossime allo stabilimento; contaminazione delle falde acquifere di metalli pesanti e composti inorganici» (con valori superiori a 3.000 volte il consentito). «In particolare» si legge ancora – «è acclarato che alcuni capi ovini allevati a Macchiareddu, in zone raggiunte dalle polveri emesse da Fluorsid e interessata da illeciti sversamenti di rifiuti analoghi a quelli di cui si è fin qui parlato, avevano contratto la Fluorosi, una grave malattia»;
   gli abitanti di Assemini (dove fra le altre cose è stata sequestrata una intera area), inoltre, «Lamentavano che, specie quando spirava il vento, le polveri si infilavano in casa anche attraverso gli infissi, creando dappertutto una densa patina biancastra. Tutti avevano lamentato bruciori agli occhi ed alle vie respiratorie, e riferito dell'odore acre e acido delle polveri. Alcuni avevano notato effetti nocivi sui figli minori, e altri li avevano paventati». È stato contestato anche «l'interramento e sversamento di rifiuti pericolosi quali: fluorsilicati, fanghi acidi, amianto, oli, rifiuti di varia natura, nonché la lavorazione all'aperto di sostanze velenose, come la criolite, lo sversamento di cloruro. Hanno certamente determinato una contaminazione delle matrici ambientali in misura che va ancora esattamente quantificata, ma che è in atto ed è grave come è dimostrato dalle patologie e dalla pressoché totale scomparsa della vegetazione nelle aree adibite a discarica – ribadisce il giudice –. Da ultimo va ricordato che lo sversamento di fanghi acidi nella laguna di Santa Gilla è un fatto che si è accertato reiterato e non occasionale»;
   l'area interessata dal disastro ambientale di cui sopra è già oggetto di diversi e pesanti fattori inquinanti derivanti da una storica presenza industriale, in particolare del petrolchimico. A giudizio degli interpellanti, quindi, quanto compiuto dalla Fluorsid rischierebbe seriamente di compromettere definitivamente il territorio tutto –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda attivarsi immediatamente – per quanto di competenza – al fine di avviare un completo monitoraggio ai fini della valutazione del danno ambientale subito dal territorio;
   se non intenda assumere iniziative per prevedere, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto del codice ambientale, lo stanziamento di adeguate risorse affinché vengano messe in atto tutte le procedure volte alla messa in sicurezza e al ripristino di tutti i luoghi interessati;
   se non ritenga necessario promuovere, per quanto di competenza, un tavolo di confronto con le parti interessate al fine di farsi garante della soluzione più idonea a ripristinare la salubrità del territorio contaminato e continuare a monitorare la situazione, mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.
(2-01808) «Piras, Roberta Agostini, Albini, Bersani, Franco Bordo, Bossa, Capodicasa, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Epifani, Fava, Ferrara, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Laforgia, Leva, Martelli, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».

Interrogazione a risposta immediata:


  LEVA, LAFORGIA, KRONBICHLER, NICCHI, MARTELLI, MELILLA, ZOGGIA, FRANCO BORDO, SCOTTO, FOSSATI, FERRARA, ROBERTA AGOSTINI, ZARATTI, CIMBRO, FONTANELLI, ROSTAN, MATARRELLI e SANNICANDRO. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   il gasdotto Tap rappresenta un'opera di grande impatto ambientale che interessa un'area ad alto valore paesaggistico;
   il progetto ha una storia antica e nel Salento ha dato vita, nel corso degli anni, a forti perplessità e mobilitazioni da parte di cittadini, comitati e istituzioni che chiedono di spostare l'approdo dell'opera per non deturpare un'area caratterizzata dalla presenza di un patrimonio inestimabile che la rende unica sotto il profilo ambientale;
   già tempo addietro 94 sindaci della zona hanno dato voce alle istanze del territorio chiedendo di aprire un dialogo;
   il dottor Serravezza è diventato nel Salento il simbolo della resistenza al gasdotto. Il noto oncologo di Casarano, infatti, da giorni sta portando avanti uno sciopero della fame e della sete per sensibilizzare la politica e chiedere di riaprire il dialogo tra istituzioni e territorio rispetto alla vicenda dell'approdo del gasdotto Tap sulle coste di Melendugno;
   nonostante la battaglia condotta dal dottor Serravezza e il pericolo per la sua stessa vita, le richieste di quest'ultimo (e dell'intero territorio salentino) restano a tutt'oggi senza risposta;
   la battaglia civile del dottor Serravezza e dell'intera popolazione salentina non può e non deve rimanere senza risposta;
   in alternativa al progetto da realizzare a San Foca sono state proposte, nel tempo, alternative di approdo a maggiore sostenibilità ambientale;
   la stessa regione e le istituzioni locali hanno comunicato in diverse occasioni la contrarietà all'approdo sulle coste di San Foca –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di promuovere l'apertura di un tavolo istituzionale con le parti interessate, per preservare il territorio da eventuali danni irreparabili e valutare concretamente una deviazione dell'approdo in una zona diversa del Salento, dove l'impatto ambientale e paesaggistico sarebbe meno invasivo, così da aprire il dialogo necessario ad affrontare il dissenso del territorio sul progetto del gasdotto Tap e impedire che la battaglia del dottor Serravezza risulti vana. (3-03040)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   REALACCI e BRATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da articoli apparsi su stampa nazionale e locale, così come da ripetuti allarmi lanciati da associazioni ambientaliste, quali Legambiente, Legambiente Veneto, Greenpeace e dal comitato «Acqua Libera dai PFAS», a partire dal 2013 in seguito ad eventi verificatisi negli USA con il caso Dupont, anche in Europa vennero avviate ricerche su queste sostanze chimiche presenti nell'acqua ad uso umano e agricolo;
   secondo la relazione del febbraio 2017 sull'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, in Italia, tali sostanze sono da «tenere sotto controllo» per la loro pericolosità perché bio-accumulabili e nocive;
   uno studio del Cnr determinò la presenza di Pfas in molte aree d'Italia, in particolare in Veneto. Ben trenta comuni distribuiti tra le province di Vicenza, Verona e Padova sono interessati da tale inquinamento. Per questo motivo la regione Veneto e l'Arpav sono state invitate illo tempore dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ad intraprendere una campagna di determinazione di queste sostanze dannose per l'ambiente e per la salute umana e a svolgere un'attenta analisi della loro diffusione;
   a seguito degli studi intrapresi è stata individuata l'azienda «Miteni», nel comune di Trissino, come principale fonte di contaminazione, essendo l'unica azienda in tutto il Nord-est a produrre sostanze perfluoroalchiliche. Nel medesimo territorio insistono poi grandi insediamenti conciari e industrie farmaceutiche;
   secondo Legambiente e Greenpeace più di 200 mila persone in Veneto nel 2016 «sono state esposte ad acqua potabile non considerata sicura per la salute umana» per la presenza dei Pfas;
   anche la relazione sul «Veneto» elaborata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati ha confermato il grave inquinamento da Pfas nel Vicentino e nel Padovano –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare, di concerto con le regioni coinvolte, un'iniziativa urgente per individuare ed eventualmente vietare tutti gli scarichi di Pfas nelle aree colpite dalla contaminazione al di sopra di determinate concentrazioni, assicurando altre fonti di approvvigionamento idrico ad uso potabile e, quindi, se non si intenda mettere in campo un piano di controllo delle acque potabili e ad uso agricolo con la ricerca dei sopraddetti inquinanti, quali ad esempio i Pfas, in tutto il territorio nazionale, estendendola anche ai fanghi di depurazione. (5-11431)


   ZARATTI, RICCIATTI, FERRARA, FRANCO BORDO, FOLINO, NICCHI, GREGORI, MARTELLI, MELILLA, PIRAS e QUARANTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 agosto 2016, a partire dalle ore 10,15, forti esalazioni di idrocarburi sono state avvertite su tutta la spiaggia e la città di Falconara Marittima (Ancona), interessando anche il quartiere Collemarino di Ancona;
   dal rapporto di servizio n. 90/2016 della capitaneria di porto e da una nota del settore logistica di API Raffineria di Ancona spa, emergono rilievi sui quali gli interroganti ritengono opportuno ricevere chiarimenti;
   dalla relazione di Api raffineria di Ancona spa – Logistica emerge come «Durante la giornata precedente la nave aveva effettuato operazioni di discarica di Virgin Nafta e di Gasolio Semilavorato. [...] La nave veniva ormeggiata alle ore 11.30. La fase di attacco dei bracci di carico veniva completata alle ore 12.12. La discarica della Virgin Nafta avveniva mediante la linea L107 verso il TK61 dalle ore 12.24 alle ore 16.42. La discarica del Gasolio semilavorato avveniva mediante la linea L107 verso il TK61 dalle ore 17.42 alle ore 23.36. Il personale operativo in turno il giorno 27 agosto 2016 non segnalava anomalie durante la discarica»; un'altra possibile fonte di diffusione delle esalazioni è rappresentata dal serbatoio TK61 nel quale è stato pompato sia virgin nafta che gasolio semilavorato a partire dalle ore 12,24 fino alle ore 23,36 del 27 agosto;
   valutata la dislocazione logistica del serbatoio TK61, la rotazione dei venti su Falconara Marittima, i valori degli idrocarburi non metanici e del benzene rilevati dalla centralina Falconara Acquedotto della RRQA, si ritiene opportuno acquisire informazioni più dettagliate circa la movimentazione che ha interessato il serbatoio TK61 della raffineria API di Ancona Spa nelle giornate del 27 e 28 agosto 2016 –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per rendere disponibile la documentazione in merito alla vicenda esposta, con particolare riferimento ai rapporti di prova sulle verifiche dei sistemi di monitoraggio delle emissioni, così come reso obbligatorio da Ispra – servizio interdipartimentale per l'indirizzo, il coordinamento ed il controllo delle attività ispettive, con circolare del 4 marzo 2011, e alle schede di richiesta di interventi di manutenzione al terminale petrolifero/isola dal 1o gennaio 2016 al 28 agosto 2016, comprese le schede degli interventi di manutenzione effettuati al terminale petrolifero/isola dal 1o gennaio 2016 al 28 agosto 2016, nonché alle segnalazioni dei rappresentanti sindacali dei lavoratori per la sicurezza relative alle problematiche rilevate al terminale petrolifero/isola dal 1o gennaio 2016 al 28 agosto 2016. (5-11432)


   VELLA e SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la compagnia operativa della centrale Nuklearna Elektrarne Krsko, che resterà in attività fino al 2043, è co-posseduta dalla compagnia slovena «Gen-Energija» e dalla compagnia statale croata Hrvatska elektroprivreda;
   la centrale sopra citata è situata a 125 chilometri da Trieste, nella direzione in cui soffia la Bora, ponendo in condizioni di pericolosità tale territorio ed, in particolar modo, l'intera zona del Friuli Venezia Giulia ricca di allevamenti, coltivazioni e pregiati vigneti;
   sono state evidenziate, da più parti, le condizioni critiche in cui versa la centrale stessa alla luce di numerosi episodi registrati negli anni. In particolar modo, nel 2005 il reattore è stato arrestato per problemi al sistema di contenimento di una ventola per il trattamento dei vapori; nel 2007 la centrale è stata isolata e chiusa per un mese per interventi urgenti; nel 2008 si è verificata una fuga di acqua di raffreddamento del reattore e, da ultimo, nel febbraio 2017 si è registrato un arresto del rettore nucleare per via di un guasto alla valvola che regola il flusso di acqua per il raffreddamento del reattore;
   oltre alle problematiche di funzionamento sopra riportate, bisogna altresì considerare il fatto che la centrale sopra citata è costruita in una zona sismica di livello medio-alto e che il verificarsi di un evento eccezionale potrebbe comportare un disastro di grandi dimensioni;
   in poco più di un secolo, la regione di Krsko è stata sede di episodi sismici: nel 1880 si è registrato un terremoto di magnitudo Richter 6,3 a 60 chilometri a est di Krsko, nel 1917 di magnitudo Richter 5,7-6,2 nelle immediate vicinanze dell'impianto e nel 2015 di magnitudo 4,2 a 26 chilometri di distanza dalla centrale nucleare;
   i risultati dei cosiddetti «stress test» della centrale resi noti dal Ministero per l'ambiente della Repubblica di Slovenia rilevano che la centrale potrebbe subire incidenti e danni rilevanti per scuotimenti del terreno;
   la centrale, a ridosso del territorio nazionale, costituisce oggettivamente un pericolo per l'Italia alla luce dei numerosi episodi di malfunzionamento registrati nel tempo, nonché della peculiare caratteristica sismica –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di verificare i livelli di rischio per il territorio italiano collegati all'attività della centrale nucleare di Krsko, chiedendo informazioni chiare e dettagliate alla Repubblica Slovena sullo stato attuale e sui livelli di sicurezza dello stesso impianto. (5-11433)


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella relazione sul Veneto della Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti è riportato il caso della autostrada Valdastico Sud, dove ai lotti 4, 5, 6 furono assegnati rifiuti tossici invece che materia prima seconda, con superamenti importanti di fluoruri, rame, bario, cromo. Una parte di questi rifiuti proveniva dal Consorzio Cerea spa di Cerea (Verona), tramite Portamb srl, appaltante di Serenissima Costruzioni. Le certificazioni aziendali erano conformi all'allegato 3 del decreto ministeriale 1998, n. 186, e alla specifica normativa in materia;
   il Consorzio Cerea spa è stato coinvolto anche in un processo penale per un vero e proprio rifiuto macinato, immesso come sottofondo nell'autostrada Valdastico Sud; il prezzo di vendita di tali materiali è stato di 35.775,54 euro (0,50 euro/metri cubi), mentre il costo del loro trasporto è stato di 445.012,00 euro; sull'autorizzazione rilasciata dalla regione Veneto (autorizzazione integrata ambientale, pagina 13) appare scritto: «i materiali destinati alla formazione dei conglomerati cementizi sono esonerati dall'analisi del test di cessione. Le loro caratteristiche intrinseche non possono rappresentare controindicazioni ambientali, in quanto l'inertizzazione mediante additivazione di cemento è uno dei processi tipici di inertizzazione»;
   qualcosa di analogo avverrebbe in Lombardia ed Emilia-Romagna; i conglomerati cementizi con aggregati ottenuti da ceneri pesanti di inceneritore sono contemplati anche ai sensi del decreto ministeriale n. 186 del 2006, ma in esso non sono incluse, nella categoria dei conglomerati cementizi, i misti cementati o i conglomerati cementizi di scarsa qualità, destinati a sottofondi, contenenti quantità di cemento molto basse e privi della capacità di fissare e/o inglobare i metalli pesanti in essi contenuti –:
   se il Ministro interrogato non intenda monitorare l'applicazione della normativa di settore, su tutto il territorio nazionale, per evitare l'immissione nell'ambiente di materiali potenzialmente pericolosi sotto forma di misti cementati o conglomerati cementizi di scarsa qualità in contraddizione con quanto disposto dall'articolo 184-ter, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 152 del 2006, contestualmente valutando l'assunzione di iniziative per rivedere la definizione di «conglomerato cementizio» e considerando con attenzione se possano rientrare in essa anche i «misti cementati» o i conglomerati cementizi di qualità non precisate.
(5-11434)


   PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3652/2015, annullava il decreto di valutazione di impatto ambientale 21 luglio 2011 e le autorizzazioni conseguenti, per l'elettrodotto di Terna in Friuli Venezia Giulia;
   la sentenza del Consiglio di Stato era stata rafforzata dalla sentenza della Corte di cassazione del 15 novembre 2016 e dal parere dell'Avvocatura di Stato, un parere che non è stato possibile acquisire, in quanto l'Avvocatura dello Stato ha opposto ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 200 del 1996 il segreto professionale;
   la Soprintendenza belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia, con nota n. 3156 del 13 giugno 2016, ha espresso parere negativo all'opera, ritenendo che l'elettrodotto determina l'intrusione e un elevato impatto paesaggistico;
   il 17 giugno 2016, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo esprimeva il parere negativo secondo il quale il progetto non appare essere significativamente mitigabile;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per superare il contrasto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, attivava la procedura prevista all'articolo 5, comma 2, lettera c-bis, della legge n. 400 del 1988;
   il 10 agosto 2016 il Consiglio dei ministri deliberava di fare propria la posizione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in merito al progetto presentato da Terna spa, a condizione che fossero rispettate le prescrizioni contenute nel parere n. 2136/2016 della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale;
   il Ministero dello sviluppo economico ha emanato il 14 febbraio 2017 il decreto autorizzativo dell'elettrodotto Udine Ovest-Redipuglia, numero 239/EL-146bis/245/2017;
   nel marzo 2017 i comuni di Mortegliano, San Vito al Torre, Trivignano Udinese, Lestizza, Palmanova, Basiliano e Pavia di Udine contestando la Via e la nuova autorizzazione alla infrastruttura, hanno presentato ricorso al Tar Lazio, sottolineando l'inopportunità della ripresa dei lavori prima del pronunciamento del Tar;
   secondo i comuni, la delibera del Consiglio dei ministri, che supera il parere negativo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, presenti pareri di sospetta illegittima, perché cerca di superare un parere tecnico con una decisione politica sul tema della tutela del paesaggio, bene tutelato dalla Costituzione e quindi non disponibile –:
   quali elementi si intendano fornire in ordine a quanto sopra esposto e quali cautele e prescrizioni siano state previste in relazione ai rischi per l'ambiente e il paesaggio connessi alla realizzazione dell'elettrodotto di Terna, tenuto conto del parere contrario espresso dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e della pronuncia dell'Avvocatura dello Stato. (5-11435)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a oltre due settimane dal rogo che il 5 maggio 2017 ha avvolto la ditta di stoccaggio rifiuti a Pomezia, fuoco e fumo si alzano a intervalli preoccupanti dalle macerie dell'azienda;
   molti abitanti della zona hanno accusato malori in seguito ai fumi del rogo e all'esposizione a molteplici sostanze tossiche e cancerogene e molti di loro hanno esibito certificazione medica quando si sono rivolti all'unità di crisi costituita da Osservatorio nazionale amianto Onlus già nell'immediatezza del disastro e in data 21 maggio 2017, la Eco X ha ripreso a bruciare;
   il sito è sotto sequestro per provvedimento della procura della Repubblica di Velletri, ma è privo di vigilanza ed è ancora ricolmo dei resti della combustione e di altri rifiuti, ancora incombusti, con il concreto rischio che, ci sia la possibilità che perduri questa condizione;
   nel frattempo, l'Osservatorio nazionale amianto ha intimato per iscritto al sindaco di Pomezia di predisporre l'immediata messa in sicurezza rispetto al rischio amianto, con l'utilizzo del liquido incapsulante, in modo da evitare ogni eventuale aerodispersione di polveri e fibre di amianto e il successivo confinamento, all'esito del quale provvedere alla rimozione dei rifiuti incombusti e di eventuali componenti e/o materiali contenenti amianto –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro interrogato abbia intenzione di intraprendere in relazione a quanto esposto in premessa. (5-11436)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata:


  FASSINA, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, MARCON, AIRAUDO e PLACIDO. – Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere – premesso che:
   i lavoratori dell'associazione Avaca, che per oltre dieci anni hanno garantito all'interno della Biblioteca nazionale di Roma lo svolgimento di diverse mansioni strutturali (vigilanza agli accessi, servizio di accoglienza, ufficio prestito, catalogazione e distribuzione del materiale librario nelle sale di lettura e altro), si sono dati appuntamento per il 25 maggio 2017, alle ore 10.00, sul piazzale antistante la sede di viale Castro Pretorio, per manifestare contro la decisione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di non rinnovare, per il futuro, tutte le convenzioni in scadenza stipulate con le associazioni;
   come denunciato dagli stessi interessati, che si sono autodefiniti «scontrinisti», la loro surreale situazione è la nuova frontiera del lavoro precario e malpagato. Essendo formalmente inquadrati come lavoratori volontari, nonostante siano inseriti nel registro turni dei 130 dipendenti effettivi, non risultano contrattualizzati, tutelati, né, tantomeno, degni di una trattativa sindacale, una condizione che fino ad oggi ha permesso al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dietro la stipula di apposite convenzioni, di coprire i buchi dell'organico determinatisi con il blocco del turn over e di garantire presso le biblioteche statali gli stessi servizi un tempo forniti dal personale di ruolo, a fronte di un rimborso per spese alimentari, per ogni volontario, pari a non meno di 400 euro al mese;
   con circolare del 20 aprile 2017, emanata alle biblioteche statali, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha imposto che le stesse, con l'arrivo del servizio civile nazionale, facciano «un'attenta valutazione in merito alla sostenibilità economica del rinnovo delle convenzioni in scadenza con le associazioni» e che «qualora l'analisi della situazione economica conduca a ritenere il permanere dell'interesse a stipulare convenzioni con associazioni di volontariato, questi istituti dovranno: individuare la controparte mediante procedura di gara; prevedere la rotazione semestrale delle unità di volontari assegnati; applicare modalità organizzative atte a scongiurare qualsivoglia pretesa di riconoscimento di rapporto di lavoro subordinato»;
   da quanto premesso si evince che la prestazione volontaria dei suddetti lavoratori sarà a breve sostituita dal servizio civile e che il rapporto intercorso fino ad oggi con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sarà interrotto senza riconoscere loro alcuna forma di sostegno al reddito;
   tale modus operandi è ad avviso degli interroganti indegno e, a dir poco, scandaloso, tanto più all'interno di un luogo, come la Biblioteca nazionale, che dovrebbe farsi promotore, per definizione, della cultura di un Paese –:
   come ritenga di poter garantire ai suddetti lavoratori il giusto e doveroso riconoscimento per la generosa opera svolta fino ad oggi per l'istituzione che dirige. (3-03041)


  RAMPELLI, MURGIA, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere – premesso che:
   la riforma che sta interessando il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha concesso larga autonomia decisionale ai direttori dei principali musei italiani, nonché ha previsto in favore degli stessi direttori la facoltà di attrarre in forma diretta finanziamenti per i musei che dirigono;
   la Galleria degli Uffizi di Firenze, per quantità e qualità delle opere raccolte, costituisce uno dei più importanti musei del mondo e nel 2016, con oltre due milioni di visitatori, è stato il quarto sito museale italiano più visitato;
   nel 2016 la società «Mondomostre s.r.l.» ha organizzato a Mosca la mostra «Raffaello. La poesia del volto», curata dal direttore della Galleria degli Uffizi Dottor Schmidt e alla quale la Galleria degli Uffizi ha «prestato» alcuni capolavori ritenuti inamovibili, tra i quali i ritratti di Agnolo Doni e della moglie, nonostante il parere fortemente negativo dell'Opificio delle Pietre dure che aveva messo in evidenza i rischi di un trasferimento sulla conservazione delle opere;
   a compensazione del prestito della Muta di Raffaello concesso alla mostra di Mosca dalla Galleria nazionale di Urbino, inoltre, la Galleria degli Uffizi avrebbe concesso in prestito al museo pesarese la Venere di Tiziano, nonostante anche tale opera figurasse tra quelle inamovibili;
   con i citati prestiti di opere il direttore della Galleria degli Uffizi sembra aver dato luogo a un utilizzo di tali beni in contrasto con il codice dei beni culturali e delle norme regolamentari che lo regolano;
   nel gennaio 2017 il direttore Schmidt ha partecipato all'inaugurazione della mostra di Tiziano organizzata da «Mondomostre s.r.l.» a Tokyo, alla quale la Galleria degli Uffizi ha concesso numerosi prestiti;
   in occasione di Expo 2017 è previsto l'allestimento di una mostra della Galleria degli Uffizi ad Astana, anch'essa a quanto risulta agli interroganti organizzata dalla società «Mondomostre s.r.l.» e promossa dal direttore Schmidt;
   a parere degli interroganti il rapporto tra il direttore della Galleria degli Uffizi e la società «Mondomostre s.r.l.» presenta un carattere di esclusività che rischia di configurare una violazione delle norme sulla libera concorrenza e che contrasta con il ruolo istituzionale rivestito dal dottor Schmidt –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere al fine di tutelare il patrimonio inestimabile della Galleria degli Uffizi e garantire la trasparenza e la concorrenza nel mercato dell'organizzazione culturale.
(3-03042)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo la definizione del cantautore Roberto Vecchioni per l'Enciclopedia Treccani nel 1998, «la canzone d'autore, pur partendo da due modelli semantici preesistenti (il linguaggio poetico e la notazione musicale) non si presenta come somma aritmetica dell'uno e dell'altra. Essa è già alla sua origine unità inscindibile di racconto elaborato su figure letterarie proprie e tessuto metrico che accompagna liberamente le parole(...)»;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nel comunicato stampa del 5 maggio 2017, ha riportato l'incontro tra il Ministro Dario Franceschini e la cantautrice Patti Smith presso il Centro studi e archivio della comunicazione dell'università di Parma. In quell'occasione il Ministro ha dichiarato come «i testi dei cantautori andrebbero insegnati nelle scuole perché sono una forma d'arte, e oltretutto le parole delle canzoni dei grandi artisti internazionali e italiani sono un pezzo della formazione culturale dei valori che hanno accompagnato intere generazioni»;
   sull'insegnamento della canzone d'autore a scuola, è intervenuto anche il Club Tenco, la più importante autorità italiana per quanto concerne la valorizzazione della canzone di qualità;
   attraverso la nota stampa pubblicata l'8 maggio 2017 sul proprio sito online, ha auspicato che «l'impegno istituzionale espresso in proposito dal Ministro possa investire l'intero patrimonio della nostra canzone d'autore [...], in linea con l'attività di studio, ricerca e valorizzazione svolta in tale ambito dal Club nel corso di questi ultimi 45 anni»;
   il Fatto Quotidiano, nell'articolo dell'11 maggio 2017, ha ricordato come il Club Tenco, nel corso della sua attività, abbia anche promosso «eventi pensati appositamente per le scuole, in cui ha fatto conoscere, a centinaia di ragazzi, artisti come Piero Ciampi o Ivan Graziani. Negli anni addietro, inoltre, spesso ha coinvolto intere scolaresche: nei giorni del Premio Tenco e non solo. Il Ministero dei Beni e delle attività culturali, presumibilmente in sinergia col Miur, potrebbe intensificare gli sforzi verso un filologico e ragionato riconoscimento scolastico e culturale di questa particolare forma letteraria»;
   come riportato dal sito online www.rockol.it, «le parole del Ministro Franceschini riaprono un dibattito che va avanti da ormai diversi anni, quello sull'aggiornamento della letteratura italiana nelle scuole anche attraverso lo studio delle canzoni dei grandi cantautori italiani. Negli ultimi anni si è tornati sull'argomento più volte e lo stesso Ministro, nel 2015, in occasione di una celebrazione in memoria del cantautore Lucio Dalla, aveva detto: «È il momento di inserire lo studio dei testi dei grandi cantautori nella storia della letteratura italiana. Quali ? Baglioni, Dalla, De André, Guccini, De Gregori, Conte, potrei andare avanti a lungo»;
   il portale ha ribadito, inoltre, che «sull'argomento si è tornati più volte, tuttavia, non si è mai passati ai fatti concreti. Nell'ultimo periodo alcune importanti iniziative non sono mancate, ma si è trattato sempre di iniziative locali, come quella realizzata dall'assessorato all'istruzione della Regione Liguria, che lo scorso anno ha visto il Liceo Colombo di Genova ospitare un progetto, «Cantautori nelle scuole», con l'obiettivo di far conoscere ai ragazzi l'eredità letteraria e culturale lasciata da cantautori come Fabrizio De André, Luigi Tenco e Umberto Bindi, coinvolgendo giornalisti di musica e storici delle canzoni. (...) Ci vorrebbe una direttiva del Ministero della Pubblica Istruzione che imponga ai professori di letteratura di non ignorare i testi delle canzoni, ma di spiegarli e farli studiare al pari delle poesie (...) –:
   se i Ministri interrogati intendano accogliere la richiesta del Club Tenco;
   quali iniziative di competenza i Ministri intendano adottare per introdurre, nel sistema scolastico, l'insegnamento della canzone d'autore quale strumento di didattica della lingua italiana, nonché testimonianza storica della società e del patrimonio culturale italiano. (4-16681)


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   agli inizi di marzo del 2017 l'amministrazione comunale di Cosenza, senza alcuna autorizzazione scritta da parte della Soprintendenza, ha proceduto all'abbattimento degli edifici siti nel centro storico compresi tra via Bombini, via Gaeta e corso Telesio e, per sovrapprezzo, anche di quelli siti in altre aree che non aveva potuto abbattere nel 2014 a causa di veto opposto dall'allora soprintendente Garella;
   il sindaco Mario Occhiuto, senza aver richiesto preventivamente, a quanto consta agli interroganti, la necessaria autorizzazione, redige una ordinanza di giunta (n. 4937 del 30 luglio 2014) nella quale ordina l'abbattimento di alcuni edifici nel centro storico, per la precisione in via Santa Lucia;
   l'allora Soprintendente, architetto Luciano Garella, venuto a conoscenza, si può presumere dalla stampa, delle intenzioni del sindaco invia prontamente una nota, la n. 13118 del 7 ottobre 2014, nella quale ricorda all'amministrazione comunale di Cosenza che qualsivoglia tipo di intervento nel centro storico deve essere autorizzato dalla Soprintendenza;
   il 28 ottobre del 2014 il comando dei carabinieri del nucleo tutela del patrimonio culturale invia una nota all'amministrazione comunale di Cosenza, chiedendo di conoscere le iniziative che si intendono intraprendere in ottemperanza alle prescrizioni che la Soprintendenza ha impartito con la nota n. 13118 sopra richiamata, in cui si rappresentava che il centro storico di Cosenza è in gran parte soggetto a vincolo di tutela paesaggistica;
   in seguito a questo scambio di note il sindaco non fa eseguire l'ordinanza di demolizione succitata, ma, nel 2016, dopo esser stato rieletto, emette una seconda delibera dello stesso tenore, la n. 41 del 19 ottobre 2016, con la quale ordina di demolire alcuni palazzi nel centro storico, perché ritenuti pericolanti. La delibera riporta in oggetto: «Demolizione di opere per somma urgenza – immobili siti in Cosenza – Centro Storico – Compresi tra Via Bombini, Via Gaeta e Corso Telesio. L'importo totale dei lavori ammonta a 384.768,87 euro»;
   il nuovo soprintendente Mario Pagano, in una nota del 30 novembre 2016, risponde ad una tardiva e semplice informativa dell'amministrazione comunale di Cosenza riguardante la delibera n. 41 del 19 ottobre 2016, scrivendo che tutti gli interventi previsti nel centro storico sono sottoposti a preventiva autorizzazione da parte della Soprintendenza e, facendo cenno ad accordi verbali, e rinvia tutto ad un sopralluogo congiunto da effettuarsi in data 1° dicembre 2016, alle ore 10,30;
   gli edifici abbattuti oltre ad essere tutelati, come tutti quelli ricadenti nei centri storici, dal vincolo paesaggistico erano di particolare interesse storico ed architettonico perché comparivano già nel catasto murattiano, erano presenti nella cartografia del catasto post-unitario datato 1873 e, per di più, da documenti d'archivio si è a conoscenza del fatto che tutta quest'area era stata sede, almeno dal XVIII secolo, di botteghe artigianali. Ad ulteriore aggravante viene la consapevolezza che, agli inizi del ’900, il soprintendente Edoardo Galli, aveva trovato e segnalato la presenza di possenti muri romani proprio sotto Palazzo Cosentini che è adiacente agli edifici abbattuti fra Corso Telesio, via Bombini e via Gaeta –:
   se i Ministeri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, constatato l'abbattimento dei palazzi storici da parte dell'amministrazione comunale senza preventiva autorizzazione paesaggistica e in contrasto con gli articoli 12 e 13 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni, se siano state assunte o si intendano assumere tutte le iniziative di competenza per la tutela del patrimonio sito nel centro storico di Cosenza. (4-16687)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dal sito www.agenziaentrate.gov.it «la legge istitutiva dell'Imu dispone che, nel caso di concessione su aree demaniali, il soggetto passivo dell'imposta sia il concessionario che è tenuto al pagamento dell'Imu. Il presupposto per l'applicazione dell'imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati. Qualora le strutture portuali siano accatastate in categoria D/8, l'Imu dovrà essere assolta sulla base della rendita catastale attribuita. Se, viceversa, le strutture portuali sono accatastate in categoria E, l'Imu non è dovuta. Gli specchi acquei relativi al porto ed ai singoli posti barca non possono neppure essere censiti catastalmente e non costituiscono né fabbricato, né area fabbricabile, né terreno agricolo»;
   la sentenza della Corte di cassazione 15198/2016 ha ribadito che «i posti barca in porti turistici, così come gli stabilimenti balneari, vanno classificati nella categoria catastale D, e precisamente nella categoria D/12, anziché nel gruppo E, e precisamente nella categoria E/9. Inoltre, lo specchio acqueo e il costo di costruzione del posto barca sono oggetto di valutazione, in quanto nel calcolo del valore catastale di un porto turistico vanno ricompresi anche gli specchi d'acqua antistanti al porto e ai singoli posti barca, i quali sono censibili catastalmente in ragione della loro stabile autonomia funzionale e reddituale»;
   gli interroganti hanno analizzato la questione in merito al pagamento dell'Imu sui posti barca nell'atto n. 4-15477, ancora senza risposta;
   secondo quanto è stato riportato da Il Piccolo nell'articolo del 14 maggio 2017, «Dopo la richiesta di accatastamento dei posti barca arrivata alle diverse società nautiche da parte dei Comuni di Trieste e di Duino Aurisina ora con lo stesso obiettivo procede direttamente l'Agenzia delle entrate. Sulle migliaia di posti barca in Regione, quattromila nella sola provincia di Trieste, grava lo spettro dell'Imu»;
   il quotidiano ha informato che la ASD Nautisport Club Trieste, concessionaria di una porzione di specchio acqueo prospiciente il molo Martello, è stata la prima a ricevere una lettera da parte dell'Agenzia con la quale comunicava che il 14 giugno prossimo dei suoi funzionari dovranno accedere all'immobile. Nello specifico, «poiché è decorso inutilmente il termine di 90 giorni previsto dall'articolo 1 comma 336 della legge 311/2004, l'ufficio provvederà alla predisposizione degli atti di aggiornamento catastale in surroga, così come stabilito dalla citata legge, con un addebito di oneri e spese a carico dell'obbligato»;
   la stessa Agenzia ha riferito all'Associazione che «fino ai tre giorni precedenti il 14 giugno potrà produrre autonomamente gli atti di aggiornamento in catasto» e che «per il ritardato accatastamento sono previste sanzioni comprese da un minimo di 1.032 ad un massimo di 8.264 euro. L'importo della sanzione dipende da quanto tempo è trascorso dalla data di scadenza dei termini per l'accatastamento a quella di espletamento dell'aggiornamento catastale»;
   Paolo Volli, legale di Nautisport, e al quale, per la medesima situazione, si sono rivolte altre realtà nautiche triestine, ha specificato che «la particella catastale alla quale l'Agenzia delle Entrate fa riferimento per l'accatastamento si riferisce al Molo Martello, ma Nautisport ha in concessione solo lo specchio acqueo, il molo invece è del Demanio e in gestione dall'Autorità Portuale»;
   a tal proposito, l'avvocato si è chiesto in che modo sarà applicabile una tassa municipale come l'Imu ad uno specchio acqueo, sottolineando come «le sentenze della Cassazione su cui fanno leva i Comuni di Trieste e Duino Aurisina fanno riferimento a porti turistici come definiti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 509 del 1997: nella nostra provincia ne esistono solo due, Portopiccolo e Porto San Rocco. La Commissione Tributaria Provinciale di Trieste, per l'accatastamento degli specchi acquei e dell'area scoperta del porto turistico Porto San Rocco, ha stabilito che questi devono essere accatastati in classe E/1 anziché D/8, quindi esenti da imposte municipali»;
   Volli, in ultimo, ha dichiarato come «i posti barca nel Comune di Trieste siano «punti di ormeggio», cioè aree demaniali marittime e specchi d'acqua dotati di strutture tali da non comportare impianti di difficile rimozione, destinati all'ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di imbarcazioni e natanti da diporto» –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per chiarire, con urgenza, la corretta applicazione della normativa in materia di Imu per gli specchi d'acqua destinati a ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di imbarcazioni e natanti da diporto nelle aree demaniali marittime. (4-16684)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

II Commissione:


   SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo di Fabrizio Gatti su  L'Espresso del 3 aprile 2017 ha portato all'attenzione dell'opinione pubblica la figura di due individui che, attualmente, sono indagati dalla procura di Milano per l'omicidio del procuratore capo di Torino Bruno Caccia: Rosario Pio Cattafi e Demetrio Latella;
   il primo, scrive Gatti, 65 anni, estremista della destra eversiva, pregiudicato, faccendiere tra industrie italiane e governi esteri nella compravendita di armamenti, massone dalle conoscenze gelliane, sospettato di essere l'ambasciatore degli affari di Stato nel clan Santapaola o viceversa, attualmente è imputato in un procedimento per associazione mafiosa; il secondo, 63 anni, già inquietante fornitore di pezzi di ricambio di strumentazioni e armi delle FFAA, già killer calabrese al servizio dei catanesi a Milano e Torino;
   Latella, già membro della banda del boss catanese Angelo Epaminonda, fu condannato nel 1988 alla pena dell'ergastolo per omicidio. Nonostante tale condanna, le accuse a suo carico di svariati collaboratori di giustizia tra gli anni Novanta e gli anni Duemila e, da ultima, la scoperta della sua partecipazione, mai confessata prima, al sequestro di Cristina Mazzotti, Latella è stato premiato con la semilibertà nel 2001 e, addirittura, con la libertà condizionale nel 2007;
   Cattafi, alle spalle diverse sentenze di condanna passate in giudicato per lesioni, porto e detenzione abusivi di arma, cessione di sostanze stupefacenti e calunnia, il 24 luglio 2012 è stato oggetto di misura cautelare in carcere, con applicazione del regime del 41-bis, richiesta a seguito della conclusione delle indagini dalle quali è scaturito a Messina il processo «Gotha 3», che vede Cattafi imputato del reato di associazione mafiosa. Il 5 dicembre 2015, pochi giorni dopo la sentenza di condanna per associazione mafiosa nel processo di appello, Cattafi transita, in maniera sorprendente, dal 41-bis alla libertà;
   nel 2013 i familiari del procuratore Caccia, oggi assistiti dal consulente Mario Vaudano, magistrato legato alle indagini più delicate contro criminalità e corruzione, presentano una denuncia alla procura di Milano indicando come uno dei mandanti ed uno degli esecutori dell'omicidio, rispettivamente Rosario Cattafi e Demetrio Latella, i quali, nonostante quanto riportato, sono, ad oggi, in stato di libertà –:
   se sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se intenda valutare se sussistono i presupposti per avviare iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di cui in premessa ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di competenza. (5-11430)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 29 aprile 2016 è stata pubblicata la legge 28 aprile 2016, n. 57, di «delega al governo per la riforma organica della magistratura onoraria ed altre disposizioni sui giudici di pace»;
   a tale legge è stata già data parziale attuazione con il decreto legislativo del 31 maggio 2016, n. 92;
   nella seduta del Consiglio dei ministri del 5 maggio 2017 è stato approvato in via preliminare l'ultimo decreto legislativo attuativo della legge delega n. 57 del 2016;
   in esso si prevede, a fronte di un aumento di competenze in materia civile, con uno smaltimento dell'80 per cento del contenzioso a regime, un'indennità lorda annua di 16.410,00 euro; nella relazione accompagnatoria alla legge delega era prevista un'indennità di 25.000,00 euro lordi annui;
   si tratta di un compenso, a parere dell'interrogante, che non può garantire l'autonomia e l'indipendenza del magistrato;
   si starebbero, peraltro, disattendendo completamente, secondo l'interrogante, alle direttive della Commissione europea che ha formalmente contestato al Governo italiano il mancato riconoscimento di un periodo di ferie annuali retribuite per tale categoria professionale, il mancato riconoscimento del congedo di maternità, l'assenza di limiti alla reiterazione di contratti a termine, la disparità di trattamento rispetto ai magistrati professionali, in tema di retribuzione, indennità di fine rapporto e regimi di sicurezza sociale, ivi compresa la tutela previdenziale; tutto ciò con il rischio di trascinare l'Italia, a giudizio dell'interrogante, in una procedura d'infrazione;
   sulla base dell'ordinamento europeo, bisognerebbe applicare il principio del pro rata temporis, secondo cui il trattamento economico e previdenziale dei giudici di pace deve essere parametrato alla retribuzione e alla tutela previdenziale ed assistenziale riconosciuta al magistrato professionale, quale figura di lavoratore ad ogni effetto comparabile;
   ad oggi, nessuna iniziativa legislativa è stata assunta, malgrado sia prossimo alla scadenza il termine ultimo concesso dalla Commissione europea e dal Parlamento europeo per sanare le violazioni contestate al Governo italiano nel giugno 2016 –:
   se il Ministro interrogato, considerata la gravità dei fatti esposti in premessa, non intenda assumere con urgenza iniziative di carattere normativo, volte a venire incontro a quelle che per l'interrogante sono le legittime richieste dei giudici di pace, in particolare in merito alla questione dei compensi, e soprattutto agli altri diritti previsti per tutti i lavoratori, evitando che l'Italia finisca in una procedura d'infrazione, dal momento che la Commissione europea ha espresso riserve sulla normativa italiana relativa alla magistratura onoraria, in quanto in contrasto con i più elementari principi comunitari. (4-16688)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


  FRANCESCO SAVERIO ROMANO, ABRIGNANI, AUCI, BORGHESE, D'ALESSANDRO, D'AGOSTINO, FAENZI, GALATI, LAINATI, MARCOLIN, MERLO, PARISI, RABINO, SOTTANELLI, VEZZALI e ZANETTI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   l'iniziativa di sviluppo infrastrutturale tra Asia ed Europa «One Belt One Road» promossa di recente dal Presidente cinese Xi Jinping, nel corso del Forum per la cooperazione internazionale, è stata accolta positivamente dal Presidente del Consiglio dei ministri Gentiloni, il quale ha sostenuto come essa possa rappresentare sia una sfida che un'opportunità per l'Italia, in grado di generare vantaggi economici importanti;
   al riguardo, evidenziando il progetto internazionale cinese, cosiddetto «nuova Via della seta», che prevede di collegare il mare cinese con il Mediterraneo, egli ha rilevato l'esigenza di realizzare nuove infrastrutture, aggiungendo come esistano potenzialmente grandi benefici per i porti italiani e considerando come i cinesi siano consapevoli che, per arrivare nel Mediterraneo con maggiore facilità e collegarsi con il resto d'Europa, i percorsi più idonei sono rappresentati proprio dalle rotte marittime che interessano direttamente i porti mediterranei, situati in Italia;
   a tal fine, gli interroganti rilevano come l'area mediterranea, all'interno del quadro geopolitico cinese, non può che costituire una posizione centrale nell'ambito delle decisioni future per lo sviluppo dei porti e della logistica italiana e per il consolidamento dei traffici previsti nel quadro delle attività commerciali, all'interno degli accordi bilaterali tra la Cina e il nostro Paese;
   i porti del Mezzogiorno, in particolare quelli siciliani, ad avviso degli interroganti, s'inseriscono coerentemente nell'ambito dello scenario sopra esposto, se si valuta che quasi il 90 per cento del trasporto e della distribuzione delle merci sarà prossimamente effettuato via mare, anche grazie alla necessità di privilegiare la realizzazione di interventi in grado di creare un tessuto connettivo non solo interno al Paese, ma capace di collegare le reti infrastrutturali regionali ai principali corridoi europei e internazionali;
   lo scalo marittimo di Palermo, a tal fine, rappresenta una piattaforma dell'intera area mediterranea strategica ed importante, i cui livelli di efficienza e di sviluppo, con l'intensificarsi dei commerci asiatici, unitamente alla recente iniziativa promossa dalla Cina, possono candidare il medesimo porto quale nuova porta del Mediterraneo –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se, in considerazione anche di quanto affermato dai Governi cinese e italiano, non ritenga necessario e indispensabile assumere iniziative per includere lo scalo marittimo di Palermo tra i porti italiani sui quali investire (oltre a quelli previsti), come terminali nell'ambito dell'iniziativa «la Via della seta», anche attraverso interventi volti al potenziamento dell’hub siciliano.
(3-03047)


  DELL'ORCO, LIUZZI, SPESSOTTO, CARINELLI, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, FICO e DE LORENZIS. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   a seguito di un'indagine condotta dalla procura di Palermo nell'ambito di un'inchiesta sul settore dei trasporti marittimi, la Sottosegretaria Simona Vicari ha annunciato, in quanto indagata per corruzione, le proprie dimissioni dall'incarico di Governo;
   secondo quanto si apprende da notizie stampa, il reato di corruzione si sarebbe configurato in quanto la Sottosegretaria Vicari avrebbe fortemente caldeggiato l'abbassamento dell'Iva sui trasporti marittimi dal 10 al 5 per cento, ricevendo in regalo, subito dopo, un orologio di marca Rolex da parte del noto armatore Ettore Morace;
   di fatto, l'abbassamento dell'aliquota Iva in questione, attraverso il sostegno accordato dalla Vicari all'approvazione di un emendamento in tal senso presentato al disegno di legge di bilancio per il 2017, costituisce un importante sgravio fiscale per gli armatori e, pertanto, il prezioso dono regalato dal Morace sembra raffigurare la più classica fattispecie di scambio di favori;
   nell'ambito dell'indagine sarebbe stato fatto anche il nome del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, dottor De Vincenti, relativamente al ruolo ricoperto nell'acquisizione da parte della Liberty lines della Siremar spa, società che gestisce i collegamenti con la Sicilia, precedentemente partecipata dalla regione per oltre il 30 per cento;
   gravissime risultano agli interroganti inoltre le parole della Sottosegretaria che, in occasione di una sua intervista, avrebbe sostenuto che «Ci sono ministri che hanno preso non uno, ma tre Rolex e sono ancora in carica» –:
   di quali altri elementi disponga il Ministro in relazione ai fatti espressi in premessa e se non ritenga dunque di dover chiarire la posizione del Governo, rispetto ad una vicenda che vede coinvolto un suo esponente, ancorché abbia annunciato le proprie dimissioni. (3-03048)


  CATALANO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-10462 si è posta all'attenzione del Governo la problematicità della norma contenuta all'articolo 85, comma 4, del codice della strada che prevede che «chiunque adibisce a noleggio con conducente un veicolo non destinato a tale uso ovvero, pur essendo munito di autorizzazione, guida un'autovettura adibita al servizio di noleggio con conducente senza ottemperare alle norme in vigore, ovvero alle condizioni di cui all'autorizzazione» è soggetto a una sanzione pecuniaria, nonché alla «sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a otto mesi»;
   in particolare, si è evidenziato come il trattamento sanzionatorio dei diversi illeciti di cui all'articolo 85 del codice della strada risulti carente sia sotto il profilo della differenziazione, sia sotto quello della proporzionalità;
   nella propria risposta, il Governo ha evidenziato come esso stia «comunque lavorando ad un disegno di legge delega (...) per intervenire complessivamente sul codice e risolvere le diverse criticità riscontrate nell'attuale applicazione», ricordando poi che «sul tema specifico dei servizi ncc/taxi il Governo, consapevole dell'applicazione complessa di alcune norme, che porta a comportamenti diversi a seconda del comune interessato, spesso percepiti come vessatori dalla categoria, è intervenuto nel decreto-legge  “milleproroghe”  n. 244 del 2016»;
   risulta all'interrogante che, malgrado l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 244 del 2016, con la quale si è definitivamente risolta l'incertezza interpretativa circa la non applicabilità delle norme introdotte dall'articolo 29, comma 1-quater, del decreto-legge n. 207 del 2008, alcuni comuni, in particolare quello di Milano, continuino a irrogare sanzioni ex articolo 85 del codice della strada per presunte violazioni delle norme della legge n. 21 del 1992, la cui applicazione è attualmente sospesa –:
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative per riformare la citata disciplina sanzionatoria, adeguandola a criteri di differenziazione e proporzionalità e limitando alle sole ipotesi di illeciti di maggiore gravità la sanzione accessoria della sospensione della carta di circolazione. (3-03049)


  BALDELLI, GELMINI, BIASOTTI e BERGAMINI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   il 25 gennaio 2016 la Camera dei deputati ha approvato, sostanzialmente all'unanimità e con il parere favorevole del Governo pro tempore, la mozione n. 1-01085, a prima firma dell'onorevole Baldelli, sull'utilizzo da parte degli enti locali dei proventi delle sanzioni incassate attraverso l'uso degli autovelox, che, ex articolo 142 del codice della strada, devono essere destinati alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e del cui utilizzo i comuni devono rendere conto inviando una relazione telematica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   in quella sede, il Governo pro tempore si è impegnato, attraverso una riformulazione del dispositivo della mozione proposta dal Governo stesso, a presentare al Parlamento, entro il 30 settembre 2016, un report sullo stato di attuazione di tali disposizioni normative che, in particolare, indichi quanti e quali enti locali siano stati inadempienti rispetto agli obblighi di legge in esame;
   il Governo pro tempore, sempre in quella sede, si era anche impegnato a proporre al Parlamento «nel primo provvedimento utile, modifiche normative atte a disciplinare il meccanismo sanzionatorio attualmente previsto nell'articolo 142, comma 12-quater, ultimo periodo, sì da superare le difficoltà oggettive rappresentate dall'impossibilità di  «intercettare»  i predetti proventi – direttamente introitati dagli enti stessi, anche se inadempienti – per decurtarli della percentuale prevista a titolo di sanzione per l'inosservanza dei predetti obblighi»;
   entrambi gli impegni, sanciti con un voto sostanzialmente unanime dell'Assemblea, non risultano ad oggi essere stati mantenuti dal Governo –:
   se il Governo, dopo quasi sedici mesi, non intenda assumere iniziative per ottemperare all'impegno di presentare al Parlamento il report annunciato nella mozione e intervenire, in tempi rapidi, con proposte normative specifiche volte a sanzionare effettivamente le distorsioni e le violazioni del codice della strada perpetrate dalle amministrazioni locali che aggirino o trasgrediscano quanto disposto dalla legge. (3-03050)


  VALERIA VALENTE, DI LELLO, CARLONI, TULLO, PALMA, SALVATORE PICCOLO, PARIS, CHAOUKI, CAPOZZOLO, FAMIGLIETTI, TINO IANNUZZI, MANFREDI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   l'esito del referendum tra i dipendenti di Alitalia, «bocciando» la proposta di adottare i cambiamenti richiesti dall'ulteriore peggioramento dei conti dell'azienda, ha accelerato una crisi che perdurava da tempo e reso necessario un intervento urgente e drastico capace di ridare una prospettiva industriale strategica alla compagnia aerea;
   le più recenti vicende societarie del vettore, in mancanza di un esito ancora ben definito, mettono a rischio, oltre all'intero sistema aeroportuale del Paese, anche la tenuta di molta parte dei comparti dell'indotto, dove operano le società che offrono servizi di terra, di manutenzione, di catering, legate ad Alitalia da specifici contratti tramite cui vengono garantiti al vettore le attività indispensabili per il regolare corso del servizio di trasporto aereo, di passeggeri e di merci;
   a titolo esemplificativo per la grave situazione specifica, valgano i casi di Atitech manifacturing e del gruppo GH Italia s.r.l.; di quest'ultimo fanno parte numerose società di handling operanti presso alcuni rilevanti scali italiani (tra cui Fiumicino, Napoli, Bari, Brindisi, Palermo), che si trovano ad oggi in una situazione particolarmente critica a causa del mancato pagamento di ingenti corrispettivi dovuti da parte di Alitalia; in questo caso lo stato di insolvenza, in altri l'incertezza relativa all'esito della crisi minacciano la prosecuzione dei contratti in essere e talvolta la stessa sopravvivenza di società per le quali le commesse Alitalia pesano in misura determinante sul totale; basti pensare che per alcune di esse Alitalia copre quasi per intero il portafoglio clienti;
   considerato poi che la complessa situazione attuale per molti soggetti dell'indotto coinvolti segue a pochi anni dalla precedente crisi occorsa tra dicembre 2008 e primi mesi 2009, è facile comprendere che le conseguenze rischiano di riflettersi non soltanto sul versante finanziario, ma innanzitutto sul livello occupazionale; sempre il caso GH Italia s.r.l. presenta un rischio di esuberi che coinvolgerebbe una parte consistente dei 3.500 dipendenti del gruppo, distribuiti su diversi scali italiani e meridionali in particolare;
   dunque, a partire dalla fase attuale di gestione attraverso i commissari nominati, la crisi della compagnia si trasferirà immediatamente su tutti i settori dell'indotto, quindi sui lavoratori e sui fornitori, che offrono alla compagnia aerea di bandiera servizi fondamentali e imprescindibili –:
   se e quali iniziative siano previste o in fase di studio da parte del Governo, in condivisione con comuni e regioni coinvolte, allo scopo di favorire la stabilità finanziaria, laddove occorra anche attraverso la garanzia dei crediti maturati verso Alitalia, e occupazionale delle società dell'indotto coinvolte, nonché la possibilità di adempiere agli obblighi previsti, inclusi quelli nei confronti dei dipendenti, allo scopo di evitare una crisi occupazionale profonda che avrebbe ripercussioni su alcuni grandi centri del territorio italiano. (3-03051)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINNUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, ha previsto l'avvio di nuove procedure di nomina dei vertici delle autorità di sistema portuali che, per questo, sono attualmente alle prese con le nomine dei componenti dei relativi comitati di gestione;
   per quanto riguarda, nello specifico, l'autorità portuale del Mar Tirreno centro settentrionale, si sono create negli ultimi mesi alcune situazioni che rischiano di bloccare uno dei pochi motori dell'economia laziale, capace di moltiplicare in pochi anni il proprio utile ed investire continuamente in nuove infrastrutture;
   si fa riferimento, in particolare, alla decisione del sindaco di Civitavecchia, Antonio Cozzolino, di nominare sé stesso quale componente del comitato, a giudizio dell'interrogante in modo non conforme alle disposizioni normative in materia;
   infatti, si sottolinea che la nuova normativa prevede, innanzitutto, l'istituto della designazione e non della delega e, soprattutto, stabilisce che il componente designato abbia gli stessi requisiti del presidente, ossia che sia «scelto fra i cittadini dei Paesi membri dell'Unione europea, aventi comprovata esperienza e qualificazione professionale nei settori dell'economia dei Trasporti portuali»;
   secondo le circolari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del 6 e 13 dicembre 2016, tale specificazione porta ad escludere esperienze legate esclusivamente a incarichi politici e/o istituzionali, come sarebbe quella appunto del sindaco di Civitavecchia, peraltro ingegnere informatico, in favore di un organo di tipo manageriale;
   lo stesso Governo, non apportando modifiche all'articolo 9 del decreto legislativo, ha di fatto avvalorato questa interpretazione, anche alla luce della sentenza n. 4768/2016 del Consiglio di Stato che ha chiarito come l'esperienza professionale, in questo frangente, sia necessariamente da intendere come «conoscenza dei problemi, delle dinamiche socio-economiche, delle concrete realtà operative e dei profili pratici del settore»;
   tale vicenda impedisce di fatto l'insediamento del comitato di gestione, tanto che, tra l'altro, attualmente il presidente Di Majo si trova senza l'ausilio del segretario generale, figura essenziale per lo svolgimento delle sue funzioni, e la cui nomina è legata proprio all'insediamento del comitato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza intenda intraprendere affinché possano essere garantiti sia la regolare costituzione, sia l'insediamento del comitato di gestione dell'autorità portuale in questione, così da permettere alla stessa di svolgere le sue funzioni secondo legge. (4-16678)


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tratta Roma-Napoli/Napoli-Roma è, in termini di flusso, una delle maggiori italiane ed è servita sia da Trenitalia che da Italo;
   per quanto riguarda Trenitalia, da Roma a Napoli viaggiano regolarmente 37 Frecciarossa, 2 Frecciargento e 1 Frecciabianca. Sono 19 i nuovi Frecciarossa 1000. Dal lunedì al venerdì, la prima partenza c’è alle 7:35 da Roma Termini e l'ultima alle ore 22:40. Il treno più veloce impiega 1 ora e 7 minuti. Il Frecciabianca impiega 1 ora e 45/47 minuti, mentre il Frecciargento 1 ore e 12 minuti;
   da Napoli a Roma la situazione è molto meno agevole per i pendolari: dal capoluogo partenopeo, infatti, partono per la Capitale 32 Frecciarossa (di cui 14 Frecciarossa 1000), 2 Frecciabianca e 2 Frecciargento. I tempi di percorrenza sono simili, ma se il primo treno da Napoli parte alle 6:10, l'ultimo non va oltre le 20:36 ed è un Frecciabianca 9878 (che impiega l'80 per cento di tempo in più rispetto al Frecciarossa). L'ultimo Frecciarossa disponibile è alle 19:30;
   questo per le disposizioni dell'orario invernale comunicato da Trenitalia ed attivo fino a tutto giugno 2017 e nonostante la stessa azienda avesse comunicato, a fine 2016, una progressiva implementazione di orari e servizi a tutto vantaggio dei pendolari;
   la realtà è ben diversa, purtroppo: chi vuole raggiungere la Capitale dalla stazione «Napoli Centrale» è costretto, dopo l'ultimo Frecciarossa delle 19.30, a partire con treni meno veloci e ad impiegare circa due ore o più;
   non solo, l'attivazione dei nuovi orari era coincisa con nuovi aumenti sui prezzi dei biglietti: i prezzi, infatti, dal mese di febbraio avevano subito incrementi medi sino al 35 per cento una situazione difficilmente sostenibile per tutte le categorie di lavoratori, turisti e pendolari;
   successivamente Trenitalia è tornata parzialmente sui suoi passi, riducendo la percentuale dell'aumento dei prezzi, ma è chiaro che, per chi usufruisce del trasporto sulle ferrovie 7 giorni su 7, permane una situazione di grave disagio rispetto ai prezzi del passato;
   il 21 aprile 2017, l'amministratore delegato di Ferrovie delle Stato italiane, Renato Mazzoncini, intervistato da La Stampa, ha dichiarato: «Alcuni treni, soprattutto al mattino, sono al 92 per cento occupati da pendolari sulla Torino-Milano o sulla Napoli-Roma. Le tariffe con cui questi pendolari viaggiano sono scontate dell'80 per cento: se hai un treno così, quel treno è in perdita, e questa è la ragione per cui Ntv (Italo) ha tolto gli abbonamenti. Noi viaggiamo in un mercato liberalizzato e se il treno non sta in piedi è un problema, non c’è nessuno che lo paga. Abbiamo ritenuto di aumentare gli abbonamenti che per tanti anni, tranne sulla Milano-Torino, non erano toccati dal 2011. Mi rendo conto che un aumento del 35 per cento sia stato vissuto molto male [...] e alla fine abbiamo trovato un compromesso per il momento per noi accettabile, abbiamo ridotto gli aumenti del 50 per cento, e ci siamo detti con il Ministro Delrio che bisogna affrontare questa tematica»;
   il comportamento di Trenitalia, sia in relazione agli orari difformi tra andata e ritorno della tratta Roma-Napoli, sia in relazione ai rincari, ad avviso dell'interrogante rischia di compromettere la corretta erogazione del servizio pubblico comprimendo i diritti dei cittadini e penalizzando le forti connessioni tra le economie dei territori –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare tutte le iniziative di competenza affinché siano ripristinati i vecchi prezzi della tratta Roma-Napoli e sia garantita la stessa disponibilità di orari e servizi anche per il percorso inverso Napoli-Roma, per superare i notevoli disagi riscontrati dai pendolari. (4-16679)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la caserma Andolfato è collocata nel centro abitato di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), a ridosso di insediamenti residenziali (anche di residenza agevolata) e commerciali insistenti oltre che in tenimento di Santa Maria Capua Vetere, anche nel limitrofo comune di Capua;
   come già segnalato dai funzionari della caserma con certificazione del 24 aprile 2017, la Caserma è infatti sita a circa 200 metri dal comune di Capua e nelle dirette vicinanze vivono circa 500 famiglie;
   all'interno della caserma Andolfato è stato allocato un centro di permanenza per i rimpatri. Il sito prescelto è non solo inopportuno, ma soprattutto inadeguato e contrastante con lo spirito e i principi della legge 13 aprile 2017, n. 46, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13; recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale;
   in particolare, la scelta di tale sito è in netto contrasto con il dettato dell'articolo 19 del menzionato decreto-legge, il quale, appunto, detta i criteri per la localizzazione del centro di permanenza per i rimpatri precisando che: «La dislocazione dei centri di nuova istituzione avviene, sentito il presidente della regione interessata, privilegiando i siti e le aree esterne ai centri urbani che risultino più facilmente raggiungibili e nei quali siano presenti strutture di proprietà pubblica che possano essere, anche mediante interventi di adeguamento o ristrutturazione, resi idonei allo scopo, tenendo conto della necessità di realizzare strutture di capienza limitata idonee a garantire condizioni di trattenimento che assicurino l'assoluto rispetto della dignità della persona»;
   non si riesce dunque a comprendere come possa essere stata prescelta la caserma Andolfato, la quale non solo si trova all'interno del centro abitato, ma non è neppure «facilmente raggiungibile», non essendo vicina a stazioni, aeroporti civili o centri di imbarco;
   la cosa che preoccupa maggiormente è che tale situazione di fatto possa incidere sulla concreta fruizione dei diritti umani e dei requisiti di vivibilità ed igiene previsti dalla legge;
   nell'aprile del 2011, infatti, all'interno della caserma venne istituito un centro di identificazione ed espulsione, scelta, che immediatamente causò una vera e propria emergenza di ordine pubblico e di violazione dei diritti umani;
   tanto che nei primi di giugno dello stesso anno, il procuratore della Repubblica di S. Maria Capua Vetere, adottò un provvedimento di sequestro probatorio della struttura, in considerazione di accertati fatti eloquenti di devastazione che hanno reso oggettivamente inutilizzabile il Cie di S. Maria Capua Vetere, come ebbe modo di dichiarare pubblicamente il capo della procura di S. Maria Capua Vetere, in data 8 giugno 2011;
   pertanto, devono ritenersi noti i disordini che furono determinati dalla difficoltà di contenere gli immigrati all'interno della struttura, le ripetute violazioni dei diritti umani denunciate e la inidoneità della struttura stessa ad assolvere funzioni connesse alla ospitalità in condizioni accettabili;
   a ciò deve aggiungersi, che il piccolo territorio cittadino, così come in passato, non sarebbe in grado di gestire l'impatto di tale struttura che, peraltro, si trova nelle immediate vicinanze dell'area archeologica dell'antica Capua (sito di rilevanza nazionale) –:
   se e quali iniziative intenda adottare al fine di evitare la temuta allocazione del centro di permanenza per i rimpatri nel territorio sammaritano.
(2-01809) «Sgambato, Gelli, Cuomo, Ragosta, Bargero, Marantelli, Oliverio, Magorno, Pes, Mazzoli, Giovanna Sanna, Palma, Tino Iannuzzi, Rostellato, Zan, Paolo Rossi, Pagani, Miccoli, Carloni, Manfredi, Sbrollini, Paola Boldrini, Tartaglione, Giuliani, Incerti, Capozzolo, Berretta, D'Incecco, Impegno, Coccia, Rubinato, Beni, Amato, Famiglietti, D'Ottavio, Valiante, Manzi».

Interrogazione a risposta orale:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la campagna elettorale per il rinnovo dell'amministrazione comunale di Mira fa registrare una escalation di tensione con episodi che non vanno minimizzati;
   in particolare le cronache riportano che, mercoledì 17 maggio 2017, poco prima di un incontro organizzato a sostegno del candidato del centrosinistra, Marco Dori, presso la località Dogaletto, alcuni vandali hanno buttato dei chiodi lungo la strada che porta alla frazione;
   l'episodio è stato denunciato alle forze dell'ordine, in quanto è risultato evidente che si trattasse di una azione di boicottaggio dell'iniziativa pubblica che comunque si è tenuta regolarmente dopo che il candidato sindaco con i residenti hanno pulito la strada raccogliendo i chiodi che erano stati sparsi;
   tale gesto avrebbe potuto provocare incidenti e mettere a rischio l'incolumità di automobilisti e passanti –:
   se, in considerazione di quanto riportato in premessa, il Ministro non intenda, tramite gli uffici territoriali competenti, rafforzare le misure di controllo in occasione di eventi pubblici legati alla campagna elettorale amministrativa al fine di garantirne la massima sicurezza.
(3-03037)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni anni la situazione dell'ufficio immigrazione della questura di Verona presenta problematiche assai gravi legate non tanto alla mancanza di personale, quanto all'impossibilità oggettiva di ottenere informazioni sullo stato dei procedimenti pendenti e alla violazione sistematica dei termini previsti per la conclusione degli stessi;
   un gruppo di avvocati del foro di Verona ha proposto al dirigente della questura di Verona e al questore un protocollo che ha ricevuto anche il consenso dell'ordine degli avvocati di Verona per regolamentare l'accesso dei legali alle informazioni amministrative sullo stato dei singoli procedimenti in tempi ragionevoli e con modalità consone al rispetto e alla dignità della professione forense, nonché la partecipazione degli stessi legali ai procedimenti amministrativi in corso, al fine di favorire il buon andamento dell'azione amministrativa e consentirei una rapida definizione delle posizioni pendenti;
   ad oggi, a quanto risulta agli interroganti, nessuna risposta ufficiale è mai intervenuta a fronte di tale richiesta di apertura al dialogo e di collaborazione, né sarebbero stati indicati dal dirigente criteri e direttive certe e costanti nel rilascio dei permessi di soggiorno in contrasto con il principio di imparzialità dell'azione amministrativa;
   a fronte di ciò e dell'assoluta impossibilità di riesaminare le pratiche in autotutela si è registrato ad oggi un notevole incremento del contenzioso, con ripercussioni quindi anche sul carico degli uffici giudiziari; nell'ambito di tale contenzioso la questura di Verona che si costituisce in giudizio a mezzo dell'Avvocatura distrettuale dello Stato viene ripetutamente condannata al pagamento delle spese processuali, con inutile aggravio di costi ed oneri che poi vengono riversati sulla intera collettività;
   tutto ciò appare in contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione ex articolo 97 della Costituzione e dei criteri di efficacia, efficienza e trasparenza della azione amministrativa, allorquando si pensi che in relazione a tutte le condanne in questione vi era stata preventiva richiesta di riesame della posizione da parte dei legali degli interessati –:
   se ed in quali forme intendano intervenire prontamente, anche tramite l'invio di ispettori ministeriali, affinché si possano verificare le ragioni per le quali l'ufficio immigrazione della questura di Verona non riesamini nei termini di legge le istanze presentate dagli interessati e/o dai loro legali. (5-11425)


   PLANGGER e LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa locale, si apprende che a Taranto avvengano quasi giornalmente episodi di violenza ad opera della microcriminalità. L'ultimo attentato risale al 18 maggio 2017, in tale occasione è stato colpito un negozio di autovetture. Si tratterebbe dell'ennesimo episodio dopo quello ai danni di un supermercato ove un potente ordigno sarebbe esploso il 10 gennaio 2017 davanti alla saracinesca del market Pgs in via Minniti, alle spalle dell'ospedale Santissima Annunziata;
   l'esplosione avrebbe causato ingenti danni alla facciata dell'edificio suscitando anche preoccupazione tra i degenti ricoverati nel vicino ospedale. Sembrerebbe che l'attentato fosse legato al racket delle estorsioni;
   un altro attentato dinamitardo si sarebbe verificato il 2 gennaio 2017 davanti alla saracinesca di un parrucchiere in via Duca degli Abruzzi, danneggiando saracinesca e vetrata. A settembre 2016 un'altra bomba distrusse l'ingresso e gli arredi di un bar al quartiere Tamburi;
   sarebbero numerose anche le rapine effettuate a danno delle attività commerciali, sia in provincia che in città, unitamente ad incendi e sparatorie come quella avvenuta il 23 maggio in Via Duca degli Abruzzi contro lo studio di un noto professionista. Molti sarebbero gli episodi registrati negli ultimi mesi quali: agguato con sparatoria del 3 maggio contro un pregiudicato 27enne; arresto di 5 persone e 10 denunce per furto, ricettazione ed oltraggio il 23 aprile; incendio di macchine e cassonetti nella notte del 21 aprile; un furto in una gioielleria il 20 aprile; esplosione di colpi di arma da fuoco contro un circolo in pieno centro della città il 19 aprile; rapina in sala scommesse da parte di un minorenne il 18 aprile;
   secondo quanto emerso dall'attività della Commissione parlamentare antimafia, Taranto e il territorio ionico sono zone dove la Sacra corona unita sta diventando un sistema alternativo allo Stato, il nuovo « welfare», oltre ad allettare, per il mercato della droga, anche la ’ndragheta calabrese;
   i tarantini, oltre alle difficoltà economiche ed ambientali legate alle sorti del complesso siderurgico Ilva, vivono in uno stato di terrore ed insicurezza costanti e molte persone in stato di bisogno sono facile preda della microcriminalità organizzata locale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga inderogabile intensificare le operazioni di controllo sul territorio tarantino per la lotta alla microcriminalità in tempi rapidi e come intende garantire maggiore sicurezza per i cittadini dell'intero territorio ionico. (5-11426)


   DIENI, TONINELLI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE e D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   fonti di stampa (si vedano gli articoli Primarie PD, i migranti portati ai seggi: «Ci hanno detto di votare per Renzi» su Fanpage.it, del 2 maggio 2017, Primarie piene di brogli, tre giorni per i dati ufficiali sul Fatto quotidiano del 3 maggio 2017) riferiscono che ad Ercolano, in provincia di Napoli, nel corso delle elezioni primarie del Partito democratico svoltesi il 30 aprile 2017, alcuni immigrati del centro di accoglienza locale sarebbero stati indotti a partecipare e a votare per il candidato Matteo Renzi dagli stessi responsabili del centro, che avrebbero fornito loro i documenti necessari, i due euro e il passaggio in auto per arrivare ai gazebo nei quali si svolgevano le votazioni. Un testimone, in particolare, ha riferito di aver ritenuto che l'adempimento in relazione alla richiesta sarebbe stato dovuto in ragione dell'accoglienza offerta e che ciò avrebbe agevolato l'ottenimento del permesso di soggiorno. La gravità delle affermazioni documentate, così come la partecipazione nella sede in questione, del tutto anomala se si considera che dalle precedenti primarie dell'8 dicembre 2013 a quelle del 30 aprile 2017 si è passati da 1.853 votanti dichiarati a 5.137, inducono a chiedere che il Ministro interrogato svolga urgentemente tutti gli accertamenti necessari a far chiarezza sulla vicenda presso la struttura pubblica interessata –:
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda esposta in premessa ed intenda adottare celermente le iniziative, per quanto di competenza, al fine di fare chiarezza relativamente alle accuse ivi riportate.  (5-11427)


   COSTANTINO, MARCON, PALAZZOTTO e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 18 maggio 2017 su Il Giornale è stato pubblicato un articolo, dai toni alquanto celebrativi, dal titolo «Nasce una flotta anti-Ong: “Così faremo il blocco navale”»;
   nell'articolo si racconta che dimostranti xenofobi hanno assaltato la nave Aquarius della Ong «Sos Mediterranée», impedendole di andare a recuperare migranti al largo della Libia;
   si è trattato di un'azione dimostrativa di circa una ventina di attivisti provenienti da tutta Europa che hanno affittato a Pozzallo una imbarcazione con la quale hanno tagliato la strada alla nave umanitaria impedendole di salpare dal porto di Catania finché la Guardia costiera non li ha intercettati;
   nell'articolo un attivista dichiara che lo scopo di questa e di future azioni sarebbe quella di «smascherare chi coopera con gli scafisti per sottrarre disperati dalla miseria», per mettere alle ONG «i bastoni tra le eliche»;
   quanto è accaduto è particolarmente grave per molte ragioni. Il lavoro che le Ong svolgono nel Mediterraneo per salvare vite umane è di grande importanza. Il loro aiuto, in mare e in terra, supplisce a molte delle mancanze e delle responsabilità della politica;
   insinuare che le Ong cooperino con gli scafisti produce un grande danno. Se mai vi fossero stati comportamenti illeciti da parte di qualcuno sarà la magistratura a valutarlo, ma – come dichiarato chiaramente nelle scorse settimane dalle procure – ad oggi non esiste nessuna prova per fondare un'accusa di questo tipo;
   quello di «smascherare» qualcosa che non esiste è quindi, secondo gli interroganti, solo un pretesto per portare avanti proprie posizioni ideologiche, xenofobe e contrarie ai princìpi di solidarietà che informano l'ordinamento e cultura italiani;
   i dimostranti hanno anche lanciato una raccolta di fondi on line – che al momento ha superato 41 mila euro – per sostenere le spese di future azioni di disturbo in mare contro chi cerca di salvare vite umane –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per prevenire future azioni di disturbo e tutelare le organizzazioni non governative che con il loro lavoro salvano vite nel Mediterraneo.
(5-11428)


   SISTO e SQUERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da circa due anni risulta che diverse pubbliche amministrazioni, attraverso i propri uffici di polizia locale, stiano investendo risorse pubbliche in soluzioni tecnologiche di videosorveglianza a valore aggiunto, implementando sul territorio alcune telecamere intelligenti in grado di leggere le targhe dei mezzi in circolazione sulle strade ed avere la possibilità, attraverso piattaforme software dedicate ed un collegamento di rete configurato per connettersi direttamente al Ministero dell'interno, di ottenere in tempo reale informazioni sulla presenza di veicoli circolanti sul territorio e segnalati come «veicoli con denuncia di furto»;
   tale servizio rappresenta uno strumento utile che permette alle forze dell'ordine di intervenire in modo tempestivo e di gestire al meglio le attività investigative degli agenti preposti;
   questo servizio gratuito, erogato dal Ministero dell'interno, è venuto meno a partire dal 20 marzo 2017, senza alcuna comunicazione, informativa ministeriale, preavviso da parte degli uffici competenti;
   si apprende dalla consultazione della pagina web del Ministero dell'interno che il disservizio è generato dalla presenza di un programma, denominato «Captcha», implementato dalla direzione centrale della polizia criminale (area per il sistema informativo interforze), che impedisce a più di 4 mila comuni italiani di effettuare interrogazioni massive al database ministeriale, con l'impossibilità di controllare al meglio il territorio;
   i comuni e le unioni dei comuni italiane stanno continuando ad investire pubblico denaro su sicurezza, videosorveglianza, nonché impianti tecnologici all'avanguardia, grazie anche ai finanziamenti regionali, autentico sostegno per le forze dell'ordine;
   il disservizio ha comportato l'emergere di insoddisfazioni provenienti dai sindaci e dai comandanti degli uffici di polizia locale d'Italia, titolari di questi impianti di videosorveglianza di lettura targhe a valore aggiunto, nonché di altri corpi delle forze dell'ordine (caserme dei carabinieri e questure); i comandanti e i prefetti potrebbero usufruire degli accessi a tali impianti per gestire le indagini –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire chiarimenti sulla vicenda esposta in premessa, specificando le principali ragioni per cui, in modo improvviso, si è deciso di procedere con la sospensione del servizio, creando gravi difficoltà nell'espletamento dei controlli da parte dei vari soggetti istituzionali (comuni, carabinieri, questure) e, per quanto di specifica competenza, adottare le opportune iniziative affinché possano essere ripristinate al più presto le connessioni ai citati sistemi di videosorveglianza installati e funzionanti sul territorio, al fine di riprendere i controlli sulla presenza di veicoli denunciati come rubati e circolanti. (5-11429)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO e BOSSA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a Somma Vesuviana, comune di circa 35000 abitanti nell'area metropolitana di Napoli, l'11 giugno 2017 si terranno le elezioni amministrative;
   nei giorni precedenti la consegna delle liste elettorali, si sono verificati strani episodi inerenti il ritiro dalla contesa elettorale da parte di 3 candidati al consiglio comunale e del candidato sindaco del centrosinistra Giuseppe Bianco;
   il 7 maggio 2017 Luigi Mele, in procinto di candidarsi al consiglio comunale come capolista della lista «Somma Centro», ha consegnato nelle mani del consigliere regionale Carmine Mocerino una lettera, ritirando irrevocabilmente abilmente la sua candidatura;
   la stessa lettera è stata indirizzata dal suddetto consigliere regionale, presidente della Commissione antimafia in consiglio regionale, al prefetto di Napoli;
   da quanto si apprende dalle colonne dell'edizione locale del quotidiano «La Repubblica» del 19 maggio 2017, la missiva in questione rivelava una serie di pressioni avute dal signor Mele ad opera di esponenti delle locali forze dell'ordine, che lo avrebbero invitato a desistere dar candidarsi nella lista;
   a seguito del ricevimento da parte del prefetto di Napoli di suddetta lettera, sia Luigi Mele che Giuseppe Bianco sono stati interrogati dai carabinieri di Castello di Cisterna;
   lo stesso articolo racconta che Mele avrebbe ricevuto, in due diverse occasioni, «l'invito» a non candidarsi dal maresciallo Raimondo Semprevivo e che suddetto maresciallo avrebbe rapporti di amicizia con Celestino Allocca, candidato sindaco della coalizione di centrodestra alle prossime amministrative;
   nei giorni precedenti la presentazione delle liste, il candidato a sindaco in pectore, Giuseppe Bianco, avrebbe ricevuto telefonate e lettere anonime in cui gli veniva consigliato di farsi da parte, paventando un'idea di ricatto per un presunto abuso edilizio legato alla costruzione di una piscina;
   le ingerenze compiute da un membro delle forze dell'ordine, che sembrano emergere da quanto narrato da «Repubblica Napoli», risulterebbero, se confermate, un fatto gravissimo, capace di incidere direttamente sulla vita democratica di una comunità di circa 35000 cittadini –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere al fine di verificare se, nel caso in questione, ci siano state indebite pressioni da parte di esponenti delle forze dell'ordine che hanno potuto stravolgere la competizione elettorale;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere, nel caso in cui venissero confermati i fatti citati, per garantire il regolare e democratico svolgimento delle elezioni amministrative nel comune di Somma, Vesuviana. (4-16680)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MARCON, PALAZZOTTO, PANNARALE e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 7 aprile 2017 il comune di Napoli ha trasferito decine di famiglie Rom che vivevano nell'insediamento informale di via Sant'Erasmo alle Brecce, Gianturco, anticipando di una settimana lo sgombero disposto dalla procura della Repubblica di Napoli. Le persone erano state preparate al trasferimento con la promessa da parte di comune e regione di una «rapida ricollocazione in un'area meglio attrezzata», facendo affidamento sui circa quindici milioni di euro di fondi europei «da destinare alle politiche di inclusione e sostegno ai diritti del popolo rom»;
   come riferito da Amnesty International – che è stata lasciata entrare nell'area dello sgombero per monitorare le operazioni, mentre i giornalisti sono stati lasciati fuori – della comunità originale composta di circa 1.300 persone che abitava a Gianturco, solo 200 persone erano presenti il giorno dello sgombero: oltre mille avevano scelto «spontaneamente», dopo il « mobbing comunale» – così definito da Padre Alex Zanotelli – di lasciare il campo e cercare per tempo nuove soluzioni abitative. Di loro si sono perse le tracce;
   130 persone sono state trasferite nell'area di via del Riposo mentre altri nuclei familiari sono stati spostati al centro di accoglienza Deledda dove molti rom hanno riferito di condizioni inadeguate, senza nessuna privacy, docce comuni e nessuna cucina;
   secondo Amnesty International la collocazione in via del Riposo è «un atto di segregazione razziale». In questo campo, dove i rom hanno alloggiato fino a quattro anni fa, quando il campo fu distrutto più volte da incendi di natura dolosa, «i container sono collocati a un metro e mezzo l'uno dall'altro, il livello del terreno è stato abbassato, d'inverno diventerà una sorta di piscina con l'acqua che entrerà in tutti i container». I muri sono già stati ricoperti di scritte razziste contro i rom e l'organizzazione è stata testimone di persone a bordo di automobili che hanno attraversato il campo appositamente per urlare insulti contro la comunità. Infatti, per le forti manifestazioni di intolleranza e per scongiurare episodi di violenza, le autorità locali hanno informato i ricercatori di aver previsto un servizio di vigilanza all'ingresso del campo;
   la richiesta da parte delle persone rom è quella di incontrare le istituzioni per conoscere i motivi che impediscono di utilizzare i fondi europei e nazionali a loro diretti in modo adeguato –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per favorire soluzioni in linea con gli standard internazionali nel rispetto della strategia nazionale per l'inclusione dei rom, sinti e camminanti;
   alla luce di manifestazioni di intolleranza sempre più frequenti verso la popolazione rom, se non ritengano urgente assumere al più presto iniziative normative in tema di integrazione, riconoscimento e tutela di tali comunità. (4-16685)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 112 del 24 giugno 2016 recante «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare», ha la finalità di inserire nel sistema giuridico un apparato di protezione dei soggetti portatori di handicap;
   la legge intende favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l'autonomia delle persone diversamente abili, individuando e riconoscendo specifiche tutele per le persone con disabilità quando vengono a mancare i parenti che si sono presi cura di loro fino a quel momento;
   in tal modo, si intende garantire, l'autonomia e l'indipendenza, consentendo loro di continuare a vivere nelle proprie case o in strutture gestite da associazioni. Ad oggi, questi complessi di accoglienza per disabili risultano concentrati al Nord, ma anche al Centro e al Sud Italia c’è la necessità di avere queste strutture;
   il 23 novembre 2016 è stato firmato il decreto attuativo che fissa i requisiti per l'accesso alle prestazioni a carico dell'apposito fondo istituito dalla legge n. 112 del 2016 e stabilisce la ripartizione tra le regioni delle risorse;
   i finanziamenti previsti sono: 90 milioni di euro per il 2016, 38,3 milioni di euro il 2017 e 56,18 milioni di euro per il 2018, vale a dire meno di 400 euro l'anno per ogni persona portatrice di handicap che, accolta in strutture idonee, costerebbe allo Stato 200 euro al giorno;
   non esiste un'anagrafe per i disabili, perciò le stime in Italia sono approssimative (all'incirca due milioni sono le persone con problemi gravi); non c’è un'analisi qualitativa, che individui quali sono le difficoltà che affrontano quotidianamente i portatori di handicap. Ad esempio, le necessità di un ragazzo autistico sono diverse da uno affetto da sindrome di down;
   l'Associazione nazionale famiglie riferisce che sono oltre duecentomila le persone con queste problematiche. Da recenti dati dell'Istat risulta che nei prossimi dieci anni i disabili gravi che rimarranno senza parenti saranno 160 mila –:
   quali iniziative si intendano assumere affinché venga garantita in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale la distribuzione dei fondi di cui alla legge n. 112 del 24 giugno 2016. (3-03038)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la signora D.A.M. dal 1986 al 2010 è stata dipendente della Cgil. Ad aprile 2010, è stata licenziata, subito dopo le dimissioni dall'ospedale di Andria in cui aveva subito un grave intervento;
   i sindacati forniscono servizi di assistenza e di tutela ai lavoratori dipendenti tramite i propri patronati, chiamati dalla legge istituti di patronato e assistenza sociale. La Cgil svolge questa funzione tramite l'Inca. Al fine di regolare l'attività e il finanziamento pubblico dei patronati, è stata emanata la legge n. 152 del 30 marzo 2001. Successivamente, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha emanato il regolamento di attuazione della legge con decreto del 10 ottobre 2008, n. 152, con il quale si regola il finanziamento pubblico degli istituti di patronato. L'articolo 1 della legge qualifica i Patronati come «persone giuridiche di diritto privato che svolgono un servizio di pubblica utilità». L'articolo 13 prevede il finanziamento pubblico della attività dei patronati. Le modalità di finanziamento sono state definite con il decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sopra citato. L'articolo 6 prescrive che l'attività può essere svolta esclusivamente tramite i dipendenti del patronato o tramite dipendenti delle organizzazioni sindacali promotrici, comandati a svolgere la propria attività presso i patronati. Il finanziamento viene erogato al patronato sulla base di parametri legati alla attività e alla struttura. Il valore economico dei punti è quindi legato a caratteristiche standardizzate dei costi delle sedi e delle retribuzioni dei dipendenti. Nel caso dell'Inca, dal livello regionale in giù il patronato non ha propri dipendenti. Utilizza i dipendenti della Cgil, che il sindacato comanda a prestare il proprio servizio presso le sedi territoriali dell'Inca a norma di legge e relativo decreto di attuazione. La Cgil deve comunicare annualmente alla direzione provinciale del lavoro, l'elenco dei dipendenti comandati presso l'Inca. Il riscontro tra l'elenco dei comandati e l'effettivo esercizio di funzioni da parte di altri dipendenti potrebbe risultare interessante per verificare la rispondenza tra incassi e spese per le funzioni di patronato;
   dall'analisi del caso della dipendente citata, parrebbe che la Cgil sia libera di licenziare, perché per il sindacato non si applica l'articolo 18 dello statuto (si veda infatti la legge 11 maggio 1990, n. 108). La disciplina di cui all'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, non trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto;
   il caso suscita forti perplessità in relazione al contratto di lavoro applicabile e alle risorse impiegate per tale personale –:
   se ai dipendenti del sindacato sia applicabile l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori;
   se i dipendenti in carica alle strutture sindacali vengano pagati con risorse di origine pubblica per lo svolgimento di funzioni di pubblico interesse (come nel caso del patronato);
   in caso affermativo, come sia rendicontata questa spesa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. (4-16690)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come emerso da un'analisi della Coldiretti del marzo 2017, l'agricoltura è risultato l'unico settore a fare registrare un calo del valore aggiunto (-0,7 per cento) a causa della deflazione che ha portato ad un crollo dei prezzi riconosciuti agli agricoltori mediamente del 5,2 per cento nel 2016;
   a fonte di tale crollo, i prezzi di vendita al pubblico dei beni alimentari sono rimasti pressoché stabili in tutto il 2016. Le principali cause di questa tragedia annunciata (in alcuni casi gli agricoltori non riescono a coprire i costi di produzione) sono da ricercare sia in forme di concorrenza sleale ad opera di alcuni paesi del Mediterraneo – anche europei – le cui legislazioni in materia godono di maglie larghe, sia in una forte speculazione commerciale che allarga sempre più la forbice tra i prezzi alla produzione e quelli al dettaglio, sia alle ben note distorsioni di filiera;
   in questo fosco quadro nazionale va a collocarsi la particolare situazione del comparto ortofrutticolo lucano, che rischia il collasso a causa del crollo dei prezzi al produttore. Si tratta di una crisi drammatica e difficilmente reversibile, che sta colpendo migliaia di aziende agricole ioniche e più in generale dell'intero sud Italia, che sconta già un gap infrastrutturale e logistico rispetto al resto del Paese;
   mentre migliaia di quintali di prodotti agricoli rischiano di rimanere nei campi, allo stesso tempo alcuni prodotti pregiati di frutta (come albicocche, pesche) vengano pagati 0,30 centesimi al chilogrammo al produttore e venduti nella grande distribuzione a 4,00 euro al chilogrammo –:
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, a sostegno degli agricoltori in relazione ai danni subiti per il ribasso dei prezzi, anche al fine di garantire reddito e dignità ai produttori italiani e, allo stesso tempo, di tutelarli da forme di concorrenza sleale. (3-03036)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


  RONDINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   i dati più recenti riportano come l'86 per cento delle famiglie che vivono nei campi rom risiede nel Lazio, in Campania, in Piemonte, in Lombardia e in Toscana, con una concentrazione del 20 per cento (7.500) dei rom italiani in emergenza abitativa a Roma;
   sul totale sono circa 20 mila i minori rom che in Italia vivono in condizioni di povertà, negli insediamenti formali e informali tenuti nascosti dai centri cittadini, per i quali l'aspettativa media di vita è circa dieci anni in meno rispetto al resto della popolazione. Di questi, 4.100 bambini si trovano solo a Roma: 1.350 hanno tra zero e sei anni, 2.750 tra sette e 18 anni. E anche i campi formali, quelli progettati e gestiti dalle istituzioni, sono ormai in stato di abbandono;
   da notizie di stampa si apprende che sia stato approvato un provvedimento che reintroduce l'obbligatorietà delle vaccinazioni per l'iscrizione a scuola, rendendo obbligatori una serie di vaccini che finora erano semplicemente raccomandati;
   il decreto-legge dovrebbe prevedere una multa sino a 7.500 euro per i genitori che non vaccineranno i figli per l'accesso a scuola dai 6 ai 16 anni, con irrogazione delle sanzioni da parte delle aziende sanitarie;
   tra le previsioni del provvedimento vi sarebbe anche quella che se il genitore o l'esercente la potestà genitoriale violi l'obbligo di vaccinazione sia segnalato dall'azienda sanitaria locale al tribunale per i minorenni per la sospensione della potestà genitoriale;
   i fatti sopra esposti hanno evidenziato come, pur in una situazione di disagio gravissimo e conclamato, le autorità e le strutture preposte, raramente ed in casi estremamente limitati, si siano attivate per fare in modo che i minori che vivono nelle comunità rom fossero tolti alle famiglie che li costringevano ad un livello di vita assolutamente improponibile per bambini di cui si è sempre cercata l'integrazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di cui in premessa e quali siano le implicazioni stimate del sistema sanzionatorio riguardante l'obbligo vaccinale per i minori, sistema ad avviso degli interroganti poco equilibrato ed applicabile, visto che negli uffici di igiene delle aziende sanitarie si dovrà decidere se inviare una segnalazione al tribunale per i minorenni e alla procura riguardo ai genitori coinvolti e che si tratta di scelte delicate, che richiedono approfondimenti difficili da fare con centinaia di migliaia di casi da valutare in pochissimi mesi, e che non sono state fatte in decenni riguardo alle condizioni dei minori rom. (3-03043)


  SCOPELLITI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   il 17 novembre 2016 la struttura commissariale della sanità della regione Calabria, d'intesa con il dipartimento tutela della salute, ha adottato un decreto avente ad oggetto la terapia intensiva ad alta specialità pediatrica in Calabria. Il decreto reca la firma del sub-commissario e del commissario;
   il provvedimento prevede la realizzazione di una struttura complessa di sei posti letto da sviluppare in uno degli ospedali hub calabresi, individuato nella città di Cosenza;
   la predisposizione del decreto, per il momento, è rimasta inattuata nonostante siano state stanziate risorse economiche per l'avvio della formazione di personale specialistico che dovrebbe fare parte della costituenda struttura. Infatti, il Garante per l'infanzia ha messo a disposizione il 50 per cento del suo budget annuale finalizzato proprio alla formazione del predetto personale da impiegare nella struttura pediatrica;
   tale struttura costituisce un punto di riferimento fondamentale per il territorio calabrese e per le urgenze-emergenze pediatriche di maggiore gravità e complessità. Tra l'altro, la stessa struttura fa riferimento ad un bacino di utenza di almeno 2-3 milioni di abitanti, come indicato nelle linee guida ministeriali;
   risulta, pertanto, necessaria l'attivazione del reparto di terapia intensiva pediatrica al fine di consentire ai piccoli pazienti calabresi un adeguato trattamento di patologie che oggi richiedono il ricovero o in strutture per adulti o in strutture fuori regione, con gravi disagi e costi elevati per le famiglie della regione –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, per il tramite della struttura commissariale, al fine di agevolare la prevista realizzazione del reparto di terapia intensiva ad alta specialità pediatrica nella città di Cosenza. (3-03044)


  MATTEO BRAGANTINI, CAON e PRATAVIERA. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   l'ospedale Magalini di Villafranca è stato distrutto da un incendio nell'anno 2003 e i lavori per la sua ricostruzione sono ancora in corso;
   con ordinanza n. 3349 del 16 aprile 2004 il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, previa intesa con la regione Veneto, ha nominato il commissario delegato per l'adozione degli interventi di ripristino funzionale dell'ospedale Magalini di Villafranca di Verona;
   con delibera n. 4231 del 29 dicembre 2009 la giunta regionale ha approvato il progetto definitivo per la sistemazione definitiva dell'ospedale Magalini di Villafranca di Verona, per un costo complessivo di 40 milioni di euro, e ha confermato al commissario delegato l'incarico per gli adempimenti connessi alla progettazione, all'appalto, alla direzione dei lavori e al collaudo dell'opera, in conformità alla normativa vigente, e il modello organizzativo già disposto con la precedente delibera n. 1714 del 2004;
   l'appalto per tali opere è stato espletato ed i relativi lavori, che sono iniziati in data 18 maggio 2012, sono in fase di esecuzione ed il loro termine era inizialmente previsto per la fine del 2014;
   nel corso di questi ultimi anni, l'assessore alla sanità della regione Veneto ha più volte annunciato l'imminente apertura del nosocomio, rimandandone comunque sempre la data, al punto che in un articolo del 23 luglio 2016, ha nuovamente corretto il tiro affermando testualmente: «La consegna dei lavori, a collaudi ultimati, è prevista per fine anno. Poi ci sono 180 giorni di tempo per allestire la struttura e trasferire i reparti». Tali azioni fanno dunque presagire una riapertura non prima di giugno 2017;
   è forte, nella cittadinanza e negli operatori sanitari, un sentimento di delusione e rassegnazione perché la riapertura del nosocomio, più volte annunciata e sempre rimandata, sembra ancora un miraggio –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra esposta e quali iniziative di competenza abbia intenzione di assumere, nel quadro degli interventi di riqualificazione del patrimonio sanitario pubblico, al fine di verificare a che punto siano i lavori di rifacimento dell'ospedale di Villafranca e quale sia la data prevista di consegna. (3-03045)


  GIGLI e SBERNA. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   nell'interpellanza urgente n. 2-00800 si evidenziava che il meccanismo di azione di EllaOne è prevalentemente anti-annidamento, incompatibile con la normativa in materia che finalizza la procreazione responsabile alla tutela della donna e del concepito;
   il Consiglio superiore di sanità, richiesto dal Ministro interrogato di verificare se si possa escludere per EllaOne un effetto anti-annidamento, rispose che questo non si poteva escludere;
   l'Agenzia italiana del farmaco ha deliberato tuttavia che EllaOne sia disponibile in farmacia senza prescrizione medica per le maggiorenni e che il foglietto informativo riporti che il farmaco inibisce l'ovulazione;
   uno studio recentissimo ha definitivamente provato che EllaOne consente l'ovulazione e il concepimento, ma impedisce l'annidamento del figlio nell'utero materno;
   ogni donna è stata studiata in due cicli consecutivi: nel primo, senza farmaci, è stata valutata in termini endocrini ed ecografici per individuare il giorno dell'ovulazione. Inoltre, nel settimo giorno post-ovulatorio, nella cosiddetta «finestra di impianto», è stata effettuata una biopsia dell'endometrio per valutare l'espressione genica normale di 1.183 geni attivi nell'endometrio che, grazie al progesterone, diventa ospitale;
   nel ciclo successivo ogni donna è stata trattata con EllaOne, anti-progestinico, e controllata con gli stessi criteri. Il farmaco è stato somministrato intenzionalmente nei giorni più fertili del ciclo, i pre-ovulatori, nei quali si verifica la maggior parte dei concepimenti. Nuovamente, nel settimo giorno post-ovulatorio, è stata effettuata una biopsia dell'endometrio per valutare l'espressione dei medesimi 1.183 geni endometriali, valutando se EllaOne ne avesse modificato l'espressione;
   dopo aver assunto EllaOne nei giorni più fertili del ciclo, ogni donna ha continuato ad ovulare normalmente, smentendo che il farmaco inibisca l'ovulazione, come invece riportato nell'informativa dell'Agenzia italiana del farmaco;
   EllaOne rende, invece, l'endometrio inospitale. Tutti i geni, infatti, si esprimono in modo opposto rispetto a quanto osservato nell'endometrio fertile;
   in sintesi, l'ovulazione avviene, il concepimento può seguire, ma il figlio non può annidarsi e sopravvivere. Questo è incompatibile con la normativa vigente;
   la Società italiana procreazione responsabile (SIPRe) ha informato l'Agenzia italiana del farmaco di questi dati il 21 marzo 2017, ma senza esito;
   appare agli interroganti una grave scelta divulgare l'informazione errata che EllaOne sia anti-ovulatorio, mentre invece inibisce la sopravvivenza del figlio concepito –:
   quali tempestive iniziative intenda adottare nei confronti dell'Agenzia italiana del farmaco per tutelare il diritto della donna ad una corretta informazione sugli effetti dei medicinali, fondamentale per garantire una procreazione cosciente e responsabile e per effettuare scelte anche a tutela della sua salute. (3-03046)

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   anche in Umbria è stata individuata una «valle dei fuochi»: l'area interessata è una vasta porzione della Valnestore, localizzata intorno alla vecchia centrale di Pietrafitta, dove sono stati interrati rifiuti solidi urbani e di altra natura, coperti poi dalle ceneri di risulta della combustione di lignite, nascosti in superficie dalla vegetazione;
   le analisi compiute dall'Arpa rilevano che in 108 punti dei terreni della zona in questione, è stata accertata la presenza di sostanze altamente inquinanti come fanghi di scarti industriali e trielina;
   nella zona della Valnestore si è, inoltre, registrato, negli ultimi anni, un aumento di tumori e altre gravi patologie: la mappa interattiva del registro tumori umbro di popolazione (Rtup), tra il 2004 e il 2011, per il territorio compreso tra Pietrafitta, Tavernelle (Panicale) e Piegaro, mostra una preoccupante insorgenza di nuovi casi;
   da qui la nascita del comitato dei cittadini «Soltanto la salute» che ha promosso una propria ricerca sullo stato di salute delle persone che hanno lavorato nella zona ed è emerso che, su 500 operai occupati nella ex centrale di Pietrafitta, purtroppo 100 sono già deceduti a causa di tumore e 50 lo hanno contratto. Questo significa che il 30 per cento delle persone è stato colpito da questa terribile patologia;
   è stata promossa anche un'altra ricerca effettuata dal dipartimento di scienze agroambientali e della produzione industriale dell'Università degli studi di Perugia che ha analizzato 12 campioni di terreno prelevati nell'area intorno alla ex centrale di Pietrafitta. Dai risultati emerge che «i terreni della Valle del Nestore hanno subito un serio inquinamento a seguito delle combustioni ivi avvenute». In particolare, si evidenzia la presenza di piombo, titanio e cromo. «La situazione di quest'ultimo — si legge ancora nel testo — è particolarmente seria vista la sua nota pericolosità per la salute umana»;
   è ormai noto come le centrali termoelettriche che impiegano come combustibile il carbone rappresentino una delle principali fonti emissive di pericolosi inquinanti atmosferici con ricadute sanitarie locali che evidenziano incrementi di morbilità e mortalità: l'Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro di Lione – agenzia dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) – ha inquadrato l'inquinamento atmosferico nel gruppo 1 (cancerogeno certo per l'uomo) –:
   quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, affinché, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, vengano effettuate accurate analisi per rilevare il grado di tossicità dei terreni e delle falde, circoscrivendo le aree toccate dal fenomeno inquinante per salvaguardare la salute dei cittadini.
(3-03039)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione italiana riconosce il diritto alla salute definendolo un diritto fondamentale dell'individuo. Secondo l'articolo 32 «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»;
   l'Organizzazione delle Nazioni Unite, così come l'Organizzazione mondiale della sanità, collocano il diritto alla salute alla base di tutti gli altri diritti fondamentali che spettano agli individui senza alcuna distinzione di genere, provenienza, religione, razza e censo;
   in Italia i farmaci in fascia C con obbligo di ricetta sono totalmente a carico del cittadino, in quanto sono destinati a curare disturbi di lieve entità, come mal di denti e dolori muscolari, quindi farmaci non considerati essenziali o «salvavita». In particolare, si tratta di circa 3.800 specialità, tra cui antidolorifici, antinfiammatori, antidepressivi e anticoncezionali per i quali non è previsto alcun rimborso da parte del servizio sanitario nazionale. Farmaci talmente diffusi che ogni anno fanno spendere agli italiani 3 miliardi di euro, in media 180 euro a famiglia, vale a dire il 36 per cento della spesa farmaceutica privata;
   si tratta di un esborso considerevole, che potrebbe essere contenuto in maniera significativa con un provvedimento di liberalizzazione che consentisse anche alle parafarmacie – dove è già d'obbligo la presenza di un farmacista – la vendita in fascia C, come è già avvenuto per i farmaci da banco (o da automedicazione);
   da quanto emerge da una ricerca del Censis commissionata da Rbm Assicurazione Salute (società privata che vende polizze a copertura di spese sanitarie), presentata l'8 giugno 2016 a Roma al VI «Welfare Day», sono 11 milioni gli italiani che hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie nel 2016 a causa di difficoltà economiche;
   secondo alcune stime presentate da esponenti del settore, se i farmaci non mutuabili fossero venduti fuori dalle farmacie «potrebbero portare a un risparmio annuo che va dai 450 milioni agli 890 milioni di euro, con uno sconto a famiglia da 27 euro a 53,45 euro all'anno»;
   per sollecitare l'apertura del mercato dei farmaci di fascia C è stata lanciata una petizione online «Liberalizziamoci» a cui hanno aderito circa 170 mila cittadini e che ha incassato il sostegno di Altroconsumo e della Federazione nazionale parafarmacie italiane;
   le regioni possono anche disporre la parziale inclusione di medicinali di fascia C nell'elenco dei medicinali rimborsabili –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, anche a livello normativo, per garantire, in modo uniforme sul territorio nazionale, la gratuità dei farmaci di fascia C ai soggetti più deboli e vulnerabili da un punto di vista economico, al fine di dare attuazione ai princìpi costituzionali espressi in premessa;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per ridefinire organicamente la distribuzione e la vendita dei farmaci, nell'ottica di stimolare la concorrenza e la conseguente probabile ed auspicata riduzione dei prezzi di vendita, favorendo di fatto l'accessibilità ai farmaci per tutti i cittadini. (5-11423)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOREFICE, GAGNARLI, COLONNESE, MANTERO, NESCI, SILVIA GIORDANO, GRILLO e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Fondazione Stella Maris ha varie sedi in provincia di Pisa;
   come emerge da vari articoli del quotidiano « Il Tirreno» la residenza sanitaria e centro di riabilitazione sita in Fauglia è stata oggetto di indagini penali che hanno portato all'allontanamento dal posto di lavoro, a firma del giudice per le indagini preliminari, a causa di presunte violenze sui disabili residenti, di nove dipendenti;
   sono emerse irregolarità che riguardano la struttura stessa con chiusura dei moduli dove avveniva la riabilitazione, poiché non a norma;
   tali problematiche si riverberano pesantemente sia sui disabili, che non ricevono adeguata riabilitazione, sia sulle loro famiglie –:
   quali iniziative urgenti e straordinarie intenda assumere, per quanto di competenza, in relazione alle criticità emerse nell'attività dell'istituto Irccs Stella Maris, evitando di fare gravare sulle persone malate errori a loro non imputabili.
(4-16686)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la società «Foligno Impresa Lavoro Sviluppo s.p.a.», ora società a responsabilità limitata in liquidazione, a totale partecipazione pubblica, è stata costituita a fine anni ’90 quale «incubatore di impresa». Nel 2001/2002, il comune di Foligno ha affidato alla stessa servizi di manutenzione, dopo aver riacquistato tutte le quote in possesso dei privati;
   l'indebitamento complessivo della società, al 31 dicembre 2013, ammontava a 4.788.091 euro; il debito con l'erario e con gli istituti previdenziali per tributi e contributi sociali, non pagati, a 1.460.218;
   in conseguenza della perdita superiore ad 1/3 del capitale sociale, che si è ridotto al di sotto del minimo stabilito dall'articolo 2327 del codice civile, con delibera dell'assemblea straordinaria dei soci del 18 marzo 2014 da società per azioni è stata trasformata in società a responsabilità limitata;
   dal bilancio Fils srl 2015 risulta che la perdita di esercizio 2015 è di 500.777 euro; i debiti ammontano ad 4.892.055 euro di cui 3.618.622 euro esigibili entro l'esercizio successivo ed 1.273.433 esigibili oltre l'esercizio successivo;
   a seguito di perdite registrate nel 2012, 2013, 2014 e 2015, il 28 giugno 2016 la società è stata messa in liquidazione. La normativa vigente, infatti, dispone la messa in liquidazione delle società con perdite nell'ultimo triennio;
   attualmente lavorano in Fils 36 dipendenti: 24 operai e 12 amministrativi di cui alcuni provenienti da altra società partecipata (Foligno Nuova Spa in liquidazione) e con problemi di salute;
   nel piano industriale del 2014 è stato evidenziato lo squilibrio tra personale operaio e impiegatizio, che la società «non può più sopportare»;
   l'articolo 1, commi 563-568, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) ha previsto la mobilità del personale fra società partecipate delle pubbliche amministrazioni, anche senza il consenso del lavoratore;
   in particolare, il comma 564 ha disposto che le pubbliche amministrazioni controllanti le società partecipate devono adottare atti di indirizzo volti a favorire prima di avviare nuove procedure di reclutamento di risorse umane da parte delle medesime società, l'acquisizione del personale con le suddette procedure, ma, a quanto consta agli interpellanti, nel caso della società Fils ciò non è avvenuto;
   i successivi commi hanno disposto che: 1) le società controllate dalle pubbliche amministrazioni che rilevino eccedenze di personale sono tenute, in relazione alle esigenze funzionali, e in caso di spese di personale pari o superiori al 50 per cento delle spese correnti, ad inviare un'informativa preventiva alle rappresentanze sindacali operanti presso la società, indicando il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedentario; 2) entro 10 giorni dal ricevimento dell'informativa si procede, a cura dell'ente controllante, alla riallocazione totale o parziale del personale eccedentario nell'ambito della stessa società mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro, ovvero presso altre società controllate dal medesimo ente; 3) per la gestione delle eccedenze di personale delle società controllate, gli enti controllanti e le stesse società possono concludere accordi collettivi con i sindacati per realizzare trasferimenti in mobilità dei dipendenti in esubero presso altre società dello stesso tipo anche operanti fuori del territorio regionale della società interessata dalle eccedenze; 4) le società partecipate possono farsi carico, per non più di tre anni, di una quota (non superiore al 30 per cento) del trattamento economico del personale interessato dalla mobilità, nell'ambito del e proprie disponibilità di bilancio;
   l'articolo 28, lettera t), del decreto legislativo 18 agosto 2016, n. 175, ha abrogato l'articolo 1, commi da 563 a 568 e da 568-ter a 569-bis della citata n. 147 del 2013;
   l'articolo 25 del medesimo decreto prevede che entro sei mesi dall'entrata in vigore le società a controllo pubblico effettuano una ricognizione del personale in servizio, per individuare eventuali eccedenze. L'elenco del personale eccedente, con l'indicazione dei profili posseduti, è trasmesso alla regione competente secondo modalità stabilite da un decreto ministeriale ancora da emanare. Le regioni formano e gestiscono l'elenco dei lavoratori dichiarati eccedenti e agevolano processi di mobilità in ambito regionale. Decorsi ulteriori sei mesi, le regioni trasmettono gli elenchi dei lavoratori dichiarati eccedenti e non ricollocati all'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. Fino al 30 giugno 2018, le società a controllo pubblico, salvo particolari deroghe, non possono procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato se non attingendo ai suddetti agli elenchi, con le modalità definite dall'emanando decreto;
   con delibera 21 maggio 2014 il consiglio di amministrazione di Afam, di cui il comune di Foligno risulta essere socio al 83,68 per cento ha approvato di procedere alla formazione di una graduatoria da cui attingere per eventuali assunzioni, in caso di necessità;
   Vus spa, altra società partecipata al 49 per cento dal comune di Foligno, ha indetto una procedura aperta per l'appalto del «servizio di raccolta e trasporto, di frazione di rifiuti solidi urbani, nei comuni serviti dalla Valle Umbra Servizi s.p.a.». L'appalto è stato suddiviso in 2 lotti: il primo relativo ai comuni del dipartimento di Foligno, il secondo per i comuni del dipartimento di Spoleto; l'importo complessivo dell'appalto è di 198.000,00 euro oltre Iva, per la durata di tre mesi. La gara del lotto 2 relativa al dipartimento di Spoleto è stata aggiudicata alla Sicaf di Spoleto, mentre la gara relativa al lotto di Foligno è risultata deserta; pertanto la Vus, per l'affidamento del servizio del lotto 1, ha effettuato una procedura negoziata che è stata aggiudicata alla Sicaf di Spoleto. Il contratto è stato stipulato il 2 gennaio 2014;
   a quanto consta agli interpellanti che, in concomitanza del suddetto appalto, la Sicaf avrebbe assunto nuovo personale;
   sarebbe opportuno chiarire per quale motivo, in una situazione di esubero, sia stato assunto nuovo personale prima ancora di collocare quello in eccedenza –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, per tutelare il personale eccedente della società partecipata in liquidazione ed agevolare i processi di mobilità, in ambito regionale, così come previsti dall'articolo 25 del decreto legislativo n. 175 del 2016;
   se non sia opportuno assumere iniziative normative per prevedere sanzioni per le società partecipate che assumono ulteriore personale qualora quello in servizio sia già in eccedenza.
(2-01811) «Galgano, Monchiero».

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   a Reggio Emilia le quattro cooperative sono affossate dai debiti, con un crollo da 1,5 miliardi di euro. Un crac di 1,5 miliardi di euro e prestito sociale per almeno 70 milioni di euro «targato» Unieco, Coopsette, Cmr, Orion, colossi di un modello che non ha retto la complessità contemporanea, mostrando, nell'attuale dissesto, la propria inadeguatezza. Con la liquidazione dei due colossi Coopsette e Unieco, e i concordati di Cnr e Orion, sono stati sbriciolati 600 milioni di euro nel giro di un triennio. L'ultimo tracollo è quello di Unieco, che segue di quattro mesi la liquidazione coatta di Coopsette;
   da cassaforte queste cooperative sono diventate un buco nero: Unieco ha avuto perdite di 225 milioni di euro tra il 2012 e il 2014, Coopsette di 184 milioni. Un «gorgo» che ha inghiottito 1.500 posti di lavoro;
   queste quattro cooperative, che sono state la fucina della classe dirigente locale, hanno visto al comando uomini di partito passati dagli enti locali alla attività all'interno delle cooperative;
   il 18 aprile 2017 400 persone – soprattutto soci prestatori e pensionati che avevano lasciato i loro risparmi in cooperativa – hanno partecipato alla manifestazione promossa da Federconsumatori davanti alla prefettura di Reggio Emilia. Sono cittadini che a seguito dei fallimenti hanno perso tutto. I soci chiedono garanzie, trasparenza, vigilanza ma soprattutto chiedono un fondo che li risarcisca, un fondo risarcitorio analogo a quello previsto con il decreto cosiddetto «salvabanche» –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per porre rimedio alla suddetta situazione e quali soluzioni possibili intenda promuovere per risarcire i risparmiatori e al fine di evitare che siano i cittadini a doverci rimettere a causa di un crac che ha creato un danno economico enorme;
   se si intendano assumere iniziative per istituire, proprio come chiedono i soci, un fondo che li risarcisca.
(2-01810) «Spadoni, Chimienti, Ciprini, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi, Tripiedi, Paolo Bernini, Dell'Orco, Ferraresi, Cecconi».

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Lenzi e altri n. 5-11374, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 maggio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Burtone.

  L'interrogazione a risposta scritta Bonafede n. 4-16607, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 maggio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Terrosi e altri n. 5-11407, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 maggio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Oliverio.

  L'interrogazione a risposta scritta Vargiu e altri n. 4-16653, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 maggio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mucci.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Rizzo n. 4-16639, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 799 del 18 maggio 2017.

   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con comunicato stampa della Marina militare datato 11 maggio 2017 si dava notizia pubblica dell'incidente che ha visto coinvolti il sottomarino della Marina militare «Scirè» ed una unità mercantile;
   la notte tra il 10 e l'11 maggio 2017, durante la navigazione di trasferimento per una attività addestrativa, il sommergibile Scirè ha riportato di aver urtato una unità mercantile al largo del Golfo di Squillace (Catanzaro);
   il battello ha invertito la rotta verso la propria base di Taranto e non vi sono stati feriti nell'equipaggio, mentre la nave mercantile ha ripreso regolarmente la propria navigazione;
   alcune testate giornalistiche riferiscono che sembri non sia stata interpellata la Guardia costiera, presente nei comuni di Soverato, di Catanzaro Lido e di Crotone, competente in caso di incidenti marittimi come quello raccontato dalle cronache;
   l'omessa informazione alla Guardia costiera ha privato l'Autorità dello Stato della possibilità di esercitare il diritto/dovere di intervento PSC (port state control), attività ispettiva che regola la sicurezza e che, nel caso del mercantile coinvolto nell'incidente, potrebbe aver costituito un pericolo per la vita umana in mare e per l'ambiente;
   appare quanto mai inspiegabile quanto avvenuto vista la notevole silenziosità e le spiccate doti di occultamento che rendono il sottomarino Scirè una piattaforma particolarmente idonea alla raccolta di dati intelligence e di sorveglianza delle aree d'interesse, integrandosi in modo efficace nei dispositivi di difesa nazionali, multinazionali e Nato;
   da oltre due anni quattro sommergibili della Marina militare italiana svolgono davanti alle coste libiche un compito di importanza strategica, nascosti sotto il pelo dell'acqua, invisibili e in continuo movimento –:
   se trovino riscontro le notizie riportate sul mancato intervento della Guardia costiera per appurare dinamica e responsabilità dell'incidente descritto in premessa e, in caso affermativo, quali siano le motivazioni di tale omissione;
   se siano state avviate indagini di polizia marittima da parte della Guardia costiera;
   quale sia la nave mercantile coinvolta, quale il punto nave ove è avvenuto l'incidente e quale la lista del carico trasportato al momento dell'incidente al fine di valutare eventuali rischi per la tutela ambientale;
   quali danni siano stati riscontrati al sommergibile Scirè e quali responsabilità in ordine alla catena di comando siano state riscontrate a margine dell'indagine aperta dalla Marina militare anche nel caso in cui non sia stata avvertita la Guardia costiera. (4-16639)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Matteo Bragantini n. 4-14825 del 23 novembre 2016;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Zolezzi n. 5-10578 del 14 febbraio 2017;
   interrogazione a risposta scritta Squeri n. 4-16220 del 7 aprile 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Toninelli n. 5-11305 dell'8 maggio 2017;
   interrogazione a risposta scritta Sandra Savino n. 4-16545 dell'11 maggio 2017;
   interrogazione a risposta scritta Realacci n. 4-16591 del 15 maggio 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Spessotto n. 5-11365 del 17 maggio 2017.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BARONI, LUIGI GALLO, BRESCIA, SIMONE VALENTE, VACCA, MARZANA, D'UVA, BATTELLI, DAGA, VIGNAROLI, DI BATTISTA, LOMBARDI e RUOCCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Ministero per i beni culturali e ambientali del 21 ottobre 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 febbraio 1996 n. 34, si è incluso il comprensorio «Ad duas lauros» fra le aree di interesse archeologico indicate all'articolo 1 lettera m), della legge 8 agosto 1985, n. 431;
   lo stesso decreto ministeriale indicava la perimetrazione e le vie interne sulle quali si sviluppava il suddetto comprensorio, ivi comprese le particelle catastali che ne erano parte integrante;
   la motivazione era chiaramente espressa a seguito del parere della Soprintendenza archeologica di Roma n. 4847 del 7 marzo 1994 che evidenziava come, fra le consolari Prenestina e Labicana, vi fosse un «comprensorio di particolare valore paesistico» che conservava «caratteristiche ambientali del paesaggio storico della campagna romana ad est di Roma» e che il «sopradescritto territorio contiene testimonianze innumerevoli di mausolei e sepolcri dell'età imperiale e repubblicana», oltre a tutta un'altra serie di «considerata» che rendono il luogo estremamente importante dal punto di vista archeologico;
   nelle more di approvazione del Piano territoriale paesistico regionale approvato nel 2008 (Bollettino ufficiale della regione Lazio n. 6 del 14 febbraio 2008) sono state prorogate, a più riprese, le norme di salvaguardia (l'ultima, del 14 febbraio 2015, fino al 14 febbraio 2016), che assumono efficacia cogente per i beni soggetti a vincoli di tutela paesistica: in essi ogni modifica dello stato dei luoghi è subordinata ad autorizzazione paesistica secondo l'articolo 11 delle norme sul Ptpr;
   con D.D.D. n. 986 del 20 aprile 2015 e stato autorizzato, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 160 del 2010, intervento di sostituzione edilizia in demolizione e ricostruzione con cambio di destinazione d'uso da non residenziale (industriale/artigianale) e non residenziale (commerciale), ai sensi dell'articolo 3-quater legge regionale 21 del 2009, con contestuale rilascio di autorizzazione amministrativa all'apertura di media struttura di vendita di complessivi metri quadrati 995,00 da realizzarsi in Roma, via di Acqua Bullicante n. 248 a favore della LIDL Italia S.r.l., con permesso a costruire a nome della Immobiliare Bullicante S.r.l.;
   la suddetta area ricade nelle zone riconosciute come «paesaggio naturale di continuità» e pertanto il taglio di tutte le alberature avvenuto in data 23 maggio 2015 ad apertura dei lavori, deve ritenersi palese alterazione dello stato dei luoghi per la perdita del patrimonio naturalistico caratterizzante il paesaggio soggetto a tutela, oltre che sprovvisto di tale autorizzazione paesistica;
   a seguito di una specifica richiesta, in data 17 giugno 2015 da parte della commissione urbanistica e ambiente del V Municipio, in data 3 luglio 2015, il presidente del V Municipio di Roma, Gianmarco Palmieri, sanciva l'immediata sospensione dei lavori, già iniziati, in via di autotutela, in quanto si era riscontrato che l'area in questione era ricompresa nel decreto ministeriale precedentemente citato, comprendendo aree vincolate più esterne al centro città, ma che la cartografia ad esso allegata escludeva «erroneamente», come recita l'ordinanza di sospensione, l'area su cui dovrebbe sorgere un supermercato LIDL con annesso parcheggio;
   con nota protocollo precedente del 23 giugno 2015, la n. U 323, l'assessorato alle politiche del territorio, della mobilità e dei rifiuti della regione Lazio ha inoltrato una nota della direzione territorio, urbanistica, mobilità e rifiuti, area pianificazione paesistica e territoriale della regione Lazio, nella quale viene dichiarato che, a seguito di verifiche effettuate dalla competente area regionale, risulta «rilevata la difformità segnalata tra declaratoria del vincolo e graficizzazione» e «che si procederà alla rettifica della graficizzazione nelle procedure approvative del Ptpr, includendo l'area erroneamente rimasta esclusa»;
   in data 13 luglio 2015, in seguito a varie richieste e sollecitazioni, per quanto risulta agli interroganti la Soprintendenza archeologica di Roma, nella persona del responsabile del procedimento dottoressa Anna Buccellato, con nota protocollo n. 20128, avrebbe cercato di dirimere la questione dando la priorità alla planimetria piuttosto che alla perimetrazione attraverso toponomastica stradale, adducendo come motivazione il fatto che, quest'ultima, potrebbe sempre essere approssimativa e suscettibile di modifiche e che, nel caso specifico, «l'assenza di incrocio fra Via di S. Vito e Via di Villa S. Stefano non consente di chiudere la perimetrazione»;
   non risulta richiesta e, quindi non offerta, una risposta della Soprintendenza ai beni paesistici della regione Lazio quando risulta di tutta evidenza una discrepanza fra i confini del vincolo e le mappe del progetto LIDL;
   il parere della Soprintendenza archeologica di Roma comportava la nota protocollo 131302 della direzione territorio, urbanistica, mobilità e rifiuti, area pianificazione paesistica e territoriale della regione Lazio del 6 agosto 2015 che, prendendo atto della nota ministeriale, non avrebbe provveduto ad alcuna rettifica della tavola B del Ptpr;
   comportava, inoltre, che in data 11 agosto 2015 il Presidente del V Municipio, Gianmarco Palmieri revocasse la precedente ordinanza di sospensione dei lavori;
   nella nota protocollo suindicata, la n. 20128 della Soprintendenza, a quanto risulta agli interroganti non si fa, peraltro, alcun riferimento alla sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato 27 ottobre 2014 n. 5316 che ha affrontato un caso del tutto analogo. Nel dispositivo della sentenza in cui, come in questa fattispecie, si evidenziava «l'incongruenza tra i confini effettivi di un'area, come riportati in un decreto (parte normativa) e i confini riprodotti nella planimetria ufficiale (parte descrittiva): la quale svolge, del resto, una funzione meramente riproduttiva e figurativa della parte normativa dell'atto, che è quella che, innanzitutto, definisce l'ambito interessato dall'accertamento del pregio paesaggistico» si sottolineava, altresì come «prevalente la parte normativa su quella grafica», la quale, «di suo, deve rappresentare la fedele riproduzione dei dettati testuali provvedimentali, nel caso di specie quelli del più volte richiamato decreto» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se il Ministro intenda assume iniziative per una revisione del parere in merito, tenendo conto della sentenza del Consiglio di Stato di cui manca traccia nella nota di protocollo espressa dalla Soprintendenza archeologica di Roma, e che apparirebbe all'interrogante come dirimente nella risoluzione di questa controversia in favore di una nuova e definitiva ordinanza di sospensione dei lavori. (4-10983)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento alla realizzazione di un centro commerciale in Roma, in via dell'acqua bullicante, chiede se si intenda promuovere iniziative per la revisione del parere della ex soprintendenza archeologica di Roma, parere che contrasterebbe con la sentenza del Consiglio di Stato n. 5316 del 2014.
  La questione intorno alla quale verte l'atto ispettivo è quella della inclusione o meno della particella sulla quale è stato realizzato il centro commerciale, nella perimetrazione del vincolo adottato con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e ambientali 21 ottobre 1995, in quanto ci sarebbe discrasia tra la parte descrittiva del vincolo e l'allegata planimetria, per cui l'area del centro commerciale, secondo la parte descrittiva, risulterebbe compresa nel perimetro del vincolo mentre non sarebbe ricompresa nella planimetria allegata al provvedimento di vincolo.
  Secondo l'interrogante, la discrasia andrebbe risolta conformemente alla sentenza del Consiglio di Stato n. 5316 del 2014, secondo cui nel contrasto tra parte normativa e parte descrittiva (planimetria), salvo il caso di evidenti errori di identificazione o denominazione dei luoghi e dei toponimi, è la parte normativa quella ad avere funzione costitutiva.
  Sulla questione, la ex soprintendenza archeologica di Roma sostiene, invece, che l'area in questione è esclusa dalla perimetrazione del vincolo archeologico paesistico.
  Nel merito della controversia si è espresso il tribunale amministrativo del Lazio che, con sentenza n. 9218 del 2016, ha riconosciuto le ragioni di questo Ministero, con le motivazioni che si riportano nel virgolettato che segue: «Il Collegio osserva che il decreto in parola ha sottoposto ai vincoli e alle prescrizioni previste dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497 e dalla legge n. 431 del 1985». «Il comprensorio denominato “Ad duas Lauros” sito in Roma tra la via Prenestina e la via Labicana Antica, nelle circoscrizioni VI e VII, nei limiti sopradescritti e così come indicati nell'allegata planimetria che costituisce parte integrante del presente decreto».
  In parte motiva, il decreto individua, tra le altre vie che delimitano il comprensorio in cui ricade il vincolo e per quanto qui di interesse, la via di Villa Santo Stefano, la via di San Vito e la via acqua bullicante.
  Il decreto, tuttavia, non indica alcuna particella che consenta l'esatta identificazione catastale (per estensione e consistenza) della suddetta delimitazione (come anche per altre vie in cui ricade il medesimo vincolo).
  In parte dispositiva, il decreto rinvia all'allegata planimetria per l'esatta indicazione della estensione del vincolo.
  Una immediata conclusione è possibile trarre: non esiste alcuna discrasia tra parte descrittiva del vincolo e parte pianimetrica, atteso che la graficizzazione costituisce espressamente parte integrante del decreto laddove indica la delimitazione del vincolo, la cui perimetrazione non è stato possibile rendere edotta nella parte descrittiva del decreto.
  Al riguardo, s'appalesano plausibili le argomentazioni dell'intimato ministero secondo cui la perimetrazione attraverso l'enunciazione della toponomastica stradale si è resa necessaria tenuto conto della natura del vincolo che non prevede l'identificazione del medesimo attraverso l'indicazione delle particelle catastali. La stessa, dunque, si è resa «inevitabilmente approssimativa» nella parte descrittiva del decreto e «suscettibile di modifiche derivanti da mutamenti nella denominazione della viabilità», per cui «fa fede la planimetria allegata che definisce precisamente l'area rendendo pubblica la dichiarazione nella Gazzetta ufficiale».
  In particolare, la soprintendenza ha chiarito, con argomentazioni immuni da vizi logici e di ragionevolezza, dunque insindacabili sul piano della opinabilità tecnica, che «nel caso specifico l'assenza di incrocio tra via di San Vito e via di Villa Santo Stefano non consente la chiusura della perimetrazione». Per cui, «fa fede la planimetria allegata» che assume, nella particolarità del vincolo in esame, valore non già sostitutivo o modificativo bensì integrativo-costitutivo del vincolo medesimo.
  Per giunta, la soprintendenza ha comprovato di avere compiuto siffatta valutazione in ordine alla esclusione del vincolo in ragione della certezza degli elementi a sua disposizioni, ritenendo affidabile la cartografia perché in grado di permettere l'individuazione di aree specifiche inscritte in figure geometriche chiuse su tutti i lati; ciò che non ha potuto fare la declaratoria descrittiva del vincolo.
  La valutazione effettuata dalla soprintendenza, siccome basata su criteri di discrezionalità tecnica che il collegio non può sostituire con altri altrettanto opinabili in punto di modalità di perimetrazione del vincolo, resiste alle censure di eccesso di potere.
  Sotto questo profilo va soggiunto che l'apparente discrasia risulta in effetti anche già rettificata sul piano applicativo laddove, nell'ambito dei lavori di verifica congiunta tra la regione Lazio e la soprintendenza speciale, la prima ha preso atto della interpretazione data dall'amministrazione statale alla consistenza del vincolo mostrando di adeguarsi ad essa ai fini della pianificazione territoriale.
  La questione sottoposta all'esame del collegio va, dunque, risolta nel senso che l'area interessata dall'intervento non rientra, alla stregua di quanto plausibilmente documentato e dichiarato dalla soprintendenza speciale per Roma Capitale, nella perimetrazione del vincolo apposto ex lege n. 431 del 1985 con decreto ministeriale 21 ottobre 1995 (ora decreto legislativo n. 42 del 2005, articolo 142, lettera m)».
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, BRUGNEROTTO, COZZOLINO, GAGNARLI, GALLINELLA, LUPO e SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio di Valle Vecchia, a Caorle (VE), in base alle direttive comunitarie 79/409 e 92/43 CEE, dette, rispettivamente, «Uccelli» e «Habitat», è incluso fra le zone di protezione speciale (ZPS) ed i siti di importanza comunitaria (SIC). Quello di Vallevecchia è un progetto di riqualificazione ambientale gestito da Veneto Agricoltura, l'ente strumentale della regione Veneto che promuove e realizza interventi per l'ammodernamento delle strutture agricole, per la protezione del suolo agroforestale e la migliore utilizzazione della superficie agraria, per lo sviluppo dell'acquacoltura e della pesca, con particolare riferimento alle attività di ricerca e sperimentazione;
   il suddetto progetto di riqualificazione ambientale ha avuto inizio alla fine del 1980 con la sottopiantagione di latifoglie nella pineta artificiale. Dal 1993 gli interventi sono divenuti ben più consistenti, attraverso l'impianto di migliaia di piantine tipiche dell'orno-lecceta all'interno della pineta. In seguito ai diradamenti eseguiti a scopo fitosanitario, sono stati creati oltre 70 ettari di nuovi boschi planiziali, più di 15 chilometri di siepi campestri, 11 ettari di zone umide boscate con la funzione di fitobiodepurazione e oltre 60 ettari di zone riallagate con acqua salmastra e acqua dolce;
   l'importanza ecologica dell'area ha portato dal 1996 al 2000 ad una serie di investimenti, dalla realizzazione di zone umide a impianti di zone per la fitobiodepurazione, fino alla formazione di nuovi boschi, per investimenti del valore di 13,5 miliardi di lire;
   nel 2013 viene approvato il progetto transfrontaliero europeo Powered (Project of Offshore Wind Energy: Research, Experimentation, Development), finalizzato alla definizione di strategie e metodi condivisi per lo sviluppo dell'energia eolica offshore in tutti i Paesi e territori che si affacciano sul mare Adriatico, da Trieste, alla Puglia, dalle isole croate all'Albania. Il progetto, nella sua complessità, prevede anche l'installazione di una serie di torni anemometriche per verificare le potenzialità del vento in ognuna delle aree interessate e raccogliere una grande mole di dati che saranno poi convogliati in una rete pubblica, la cui fornitura, installazione, manutenzione e smantellamento, a fine ciclo, sarà a carico dell'Università politecnica delle Marche, referente scientifico del progetto. I risultati finali dello studio rappresenteranno un documento indispensabile per la valutazione, non solo dei costi-benefici, ma anche delle interazioni fra i parchi eolici, l'ambiente marino e le attività umane ad esso connesse;
   sul sito istituzionale di Veneto Agricoltura si legge: «Da parte sua, Veneto Agricoltura ha verificato la possibilità di installare una delle torri a Caorle (VE) all'interno della propria Azienda “ValleVecchia” (la richiesta di autorizzazione è in corso). Veneto Agricoltura sarà impegnata in particolare nell'approfondimento degli impatti delle strutture sull'ambiente marino e costiero, sulle attività economiche legate al mare Adriatico, con particolare riferimento alla pesca, e sulle opere di mitigazione/opportunità ambientali legate a queste grandi opere –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro interrogato con riferimento a quanto espresso in premessa ed in particolare se l'installazione di una torre anemometrica sia compatibile con le caratteristiche ambientali di un'area appartenente ad un sito di importanza comunitaria;
   se non ritenga, per quanto di competenza, di assumere ogni utile iniziativa affinché sia pienamente valorizzata l'importanza ecologica e di conservazione naturale dell'area di Valle Vecchia. (4-10701)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Il progetto «Powered» è un progetto finanziato nell'ambito del programma Europeo IPA Adriatico, finalizzato allo sviluppo dell'energia eolica offshore in tutti i paesi che si affacciano sul mare Adriatico.
  Il partenariato comprende soggetti istituzionali e privati afferenti all'intero bacino adriatico:
   regione Abruzzo – Lead Partner (IT);
   regione Marche (IT);
   regione Molise (IT);
   regione Puglia (IT)
   provincia di Ravenna (IT);
   Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (IT);
   Veneto Agricoltura (IT);
   Consorzio CETMA (IT);
   Università politecnico delle Marche (IT);
   Micoperi Marine contractors s.r.l (IT);
   Ministero dell'economia del commercio e dell'energia (Albania);
   Ministero dell'economia del Montenegro – dipartimento energia (Montenegro);
   comune di Komiza (Croazia).

  Tra le attività di progetto era prevista una specifica azione di valutazione sperimentale e numerica della risorsa del vento nel bacino Adriatico.
  Il partner responsabile di questo work package (WP) è l'Università Politecnica delle Marche (UNIPM).
  Il WP consisteva, tra l'altro, nell'installazione, interamente a cura dell'Unipm, di una rete di strumenti di misura (anemometri) in grado di profilare il vento con un elevato grado di dettaglio.
  Alla fine delle attività di misurazione, pari a 5 anni, le torrette verranno smantellate a cura della stessa Unipm, e le aree interessate riportate all'uso precedente (in questo caso le usuali colture agricole).
  In relazione alla procedura di valutazione di incidenza, la struttura regionale sezione demanio patrimonio e sedi, cui spettano le funzioni amministrative nella gestione anche delle aree di cui la regione Veneto è proprietaria, ha dato atto della non necessità di valutazione di incidenza, ai sensi dell'articolo 6 della direttiva 92/43/Cee.
  Ciò è avvenuto secondo le modalità fissate con l'allegato A alla D.G.R. n. 2299/2014, nel rispetto del comma 5 dell'articolo 5 decreto del Presidente della Repubblica n. 357/97 e successive modificazioni e integrazioni, secondo cui l'autorità competente all'approvazione verifica l'effettiva non necessità della procedura per la Valutazione di Incidenza (dichiarata secondo il modello riportato nell'allegato E alla predetta deliberazione regionale), e ne dà evidenza nell'atto di autorizzazione.
  Nello specifico, si è ritenuto che per caratteristiche dell'installazione e della localizzazione all'interno dell'azienda agricola pilota dimostrativa di Vallevecchia, la valutazione di incidenza ambientale non si rendesse necessaria, in quanto non risultavano possibili effetti significativi negativi sul sito di Rete natura 2000 interessato.
  Con specifico decreto (n. 103 dell'11 agosto 2014), la sezione demanio patrimonio e sedi riconosce che non risultano possibili effetti significativi negativi sui siti della rete natura 2000 coinvolti nell'installazione della torre anemometrica in parola.
  Ciò premesso, anche a seguito di esplicita prescrizione da parte delle strutture regionali competenti, Veneto agricoltura ha comunque posto in essere un monitoraggio dei possibili impatti sull'avifauna dei tiranti della torre.
  Il monitoraggio citato, in corso a cura dei tecnici di Veneto agricoltura, sarà completato, nel corso del periodo di permanenza della torre, da una campagna di monitoraggio di parte terza a conferma dei riscontri ottenuti con le verifiche e i sopralluoghi interni.
  A tale riguardo, la regione ha invitato l'agenzia Veneta per l'innovazione nel settore primario a fornire periodicamente i risultati di tali monitoraggi al fine di poter mantenere informato questo Dicastero.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO, NACCARATO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni è iniziata l'attività di disboscamento e scavo relativo al progetto «Derivazione delle Falde del Medio Brenta all'interno del Modello Strutturale degli Acquedotti del Veneto (MOSAV) e dello Schema Acquedotti Veneto Centrale (SAVEC)», nei pressi e nel letto del medio corso del fiume Brenta, destando fondati timori sia fra i cittadini che fra gli amministratori;
   nel corso degli ultimi decenni, il medio corso del Brenta (fra Bassano e Padova) è stato sottoposto all'escavazione di milioni di tonnellate di ghiaia, che hanno portato a rilevanti modifiche morfologiche e a gravi scompensi e rischi di dissesto ambientale;
   tra i vari interventi, si annovera anche la creazione del cosiddetto bacino Giaretta, sulla sponda destra del Brenta in località Camazzole (comune di Carmignano, Padova), un'enorme depressione profonda fino a 15 metri ed estesa per 90 ettari costruita negli anni 1986-88 con la motivazione di creare una vasca di laminazione, peraltro mai autorizzata come tale dall'autorità di bacino, che non ha però mai visto realizzare il completamento delle sponde arginali, e che, di fatto, ha sconvolto l'assetto idrogeologico dell'area, senza portare alcun vantaggio dal punto di vista della sicurezza idraulica;
   negli ultimi anni poi sono state proposte nuove attività di modifica morfologica del corso del Brenta, di diversa natura: scavo di nuovi pozzi per il prelievo di acqua dolce in falda; rafforzamento degli argini, ma con il prelievo «a compensazione» di ulteriore materiale; interventi per favorire la ricarica della falda;
   tali interventi, specialmente quelli di escavazione dei pozzi per il prelievo di acqua dolce, hanno conosciuto nelle ultime settimane una forte accelerazione, con l'idea di aumentare i prelievi direttamente dalla falda, con l'obiettivo di rifornire gli acquedotti della bassa pianura veneta, recentemente minacciati dalla presenza di inquinanti chimici;
   in particolare, desta perplessità la costruzione di cinque nuovi pozzi in alveo del Brenta in comune di Carmignano, per la cui protezione si prevede l'escavazione in alveo di circa centomila metri cubi di materiale, dato che quattro nuovi pozzi a ovest, fuori alveo – già previsti e autorizzati – porteranno a un prelievo di 950 litri/secondo a regime se dimostrabile, mentre i quattro pozzi già esistenti, gestiti dalla società Etra, prelevano già 800 l/s. I lavori per la costruzione di tali pozzi in alveo sono iniziati in questi giorni, destando allarme fra i cittadini e gli amministratori;
   negli ultimi mesi i rappresentanti del Gruppo ambiente di Carmignano e del Comitato «Giù le mani dal Brenta» hanno sottoposto all'attenzione del Ministero dell'ambiente, della regione Veneto, delle amministrazioni provinciali di Padova e Vicenza, del Consorzio di bonifica Brenta, del Consiglio di bacino Brenta, dei sindaci del territorio interessato e dell'Arpav numerose osservazioni e richieste di chiarimento in merito ai progetti della regione Veneto per la realizzazione di nuovi pozzi a Carmignano di Brenta;
   per quanto riguarda il progetto di difesa della sponda sinistra del Brenta, tra Cittadella, Carmignano e Fontaniva (tutti comuni siti in provincia di Padova), che prevede l'escavazione di circa 600 mila metri cubi di ghiaia a compensazione per la realizzazione di un argine di circa 600-700 metri, si evidenzia che l'intervento porterebbe a un sistematico abbassamento dell'area, in alcuni punti anche di quattro metri e mezzo, esteso da argine ad argine per qualche chilometro di lunghezza; ciò significa che tutto quello che c’è all'interno degli argini – golene, aree verdi, habitat fluviale, habitat faunistico e floreale – dovrebbe essere completamente spianato. L'ingente materiale dovrebbe essere trasportato fuori dagli argini del Brenta con l'impiego di decine di migliaia di camion e lungo una viabilità inadeguata con conseguente inquinamento ambientale;
   nel contempo, non si vede traccia di interventi sulla sponda destra del Brenta, a difesa del comune di Carmignano, che – particolarmente nella succitata località Camazzole, sul lato nord-est del bacino Giaretta – risulta fortemente indebolita, come risulta anche dalle note dell'autorità di bacino del 28 marzo 2001 e precedenti;
   sembrerebbe, invece, più ragionevole, nel caso specifico, prima di scavare nuovi pozzi in alveo, valutare l'effetto sulla falda dei già previsti nuovi pozzi costruiti extra-alveo e garantire il previsto Progetto di rimpinguamento della falda;
   va tenuto conto della grande rilevanza che il fiume Brenta occupa nell'idrografia e nell'assetto idrogeologico della pianura Padano-Veneta –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in atto per quanto di competenza, per:
    a) garantire il giusto equilibrio fra le esigenze di approvvigionamento idrico della bassa pianura veneta, il mantenimento del livello di falda nell'alta pianura e la protezione dell'ambiente fluviale del medio corso del Brenta;
    b) accelerare le opere di messa in sicurezza degli argini del medio corso del Brenta, evitando nel contempo che, con la scusa di interventi di protezione, si realizzino con il metodo della compensazione ulteriori e devastanti escavazioni di ghiaia, che rischiano di causare danni maggiori rispetto a quelli che si vorrebbero evitare. (4-12826)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha da tempo focalizzato la propria attenzione sulla questione relativa al prelievo dalla falda del Medio Brenta e la costruzione dei nuovi 5 pozzi, in particolare richiedendo alla regione Veneto di illustrare le modalità con cui si è pervenuti alla approvazione del progetto e si è valutata, in sede di procedura di concessione di derivazione, l'influenza ambientale dell'opera sullo stato di qualità fluviale e sul perseguimento degli obiettivi di qualità fissati per il corpo idrico.
  La regione ha reso noto che, pur essendo state le opere sottoposte ad apposita procedura di valutazione d'impatto ambientale regionale, a seguito della quale è stato approvato il progetto ed è stata avviata l'attività relativa alla realizzazione della derivazione, non sono state ancora espletate le procedure autorizzative relative alla concessione della derivazione medesima e, di conseguenza, non è stato ancora espresso il parere obbligatorio della competente autorità di bacino nazionale.
  La stessa regione precisa, inoltre, che il decreto favorevole di compatibilità ambientale rilasciato dalla commissione regionale VIA ha considerato e recepito le prescrizioni indicate dalla Struttura regionale competente in merito alla salvaguardia degli habitat presenti nel sito, che vengono pertanto tutelati mediante opportuni accorgimenti durante la fase di cantiere e mediante opportuno e costante monitoraggio, che prevede la redazione di un apposito piano e l'obbligo di informativa alle autorità competenti.
  La realizzazione delle opere di prelievo è, inoltre, contemplata dall'accordo di programma per la tutela delle risorse idriche superficiali e sotterranee del fiume Brenta, sottoscritto nel novembre 2012 dalla regione Veneto con tutte le amministrazioni locali, con gli enti competenti nonché con il gestore del servizio Etra S.p.A. e con la società regionale Veneto Acque S.p.A., incaricata dell'esecuzione e della gestione delle opere stesse. Tale accordo prescrive, coerentemente con il parere espresso dalla commissione regionale VIA, che la portata prelevata sarà inizialmente limitata al valore di 500 l/s e potrà essere incrementata fino ad un massimo di 950 l/s solo in relazione agli esiti favorevoli del monitoraggio dei livelli di falda. Il citato Accordo prevede, a tale scopo, una commissione tecnica e un coordinamento degli enti locali che, ad oggi, risultano già operativi.
  In merito alla localizzazione dei nuovi 5 pozzi, la regione Veneto ha fatto altresì presente che la loro realizzazione avverrà in area demaniale golenale, ma fuori dall'alveo di scorrimento del fiume e che gli stessi saranno protetti da opportuni rilevati realizzati tra l'alveo e la golena, in modo da salvaguardare le opere dalle piene ordinarie del fiume.
  Le attività avviate nella fase iniziale del cantiere hanno riguardato la pulizia dell'area, con l'estirpazione della vegetazione infestante. A compensazione della riduzione di superficie forestale, la società Veneto Acque s.p.a. ha, peraltro, provveduto al versamento della quota spettante al Fondo regionale per rimboschimenti e miglioramenti colturali compensativi. La regione informa, dunque, che non si è verificata alcuna attività di «disboscamento» indiscriminato, segnalando, inoltre, che il corpo forestale dello Stato, intervenuto in sopralluogo nel corso di tali operazioni, non ha evidenziato alcuna irregolarità nell'esecuzione delle attività preliminari.
  Sempre secondo quanto riferito dalla regione Veneto, la realizzazione del sistema di protezione del prelievo dalle piene ordinarie del fiume non comporterà alcuna «asportazione» di materiale al di fuori dell'ambito fluviale, ma un semplice riposizionamento dello stesso. La regione evidenzia, in particolare, che l'ipotesi della asportazione di materiale afferisce ad un progetto di variante a suo tempo presentato dalla Veneto Acque s.p.a., attualmente non approvato dalla regione medesima e l'istruttoria ad esso relativa è stata sospesa. Il progetto attualmente in esecuzione è pertanto esclusivamente quello già approvato con parere favorevole della commissione regionale VIA, che non prevede il reperimento di materiale dall'alveo del Brenta.
  Relativamente alla necessità di mantenere i livelli di falda e salvaguardare il bacino idrico, la regione Veneto ha fatto presente che con tale finalità sono già state realizzate due briglie pilota lungo l'asta del fiume Brenta, nei pressi di Bassano del Grappa e Nove. Il monitoraggio dei livelli di falda attuato ha, ad oggi, fornito esiti positivi sulla ricarica dell'acquifero.
  Per quanto riguarda il progetto di difesa della sponda sinistra del Brenta, la regione ha precisato altresì che si tratta, in particolare, di un sistema che consiste nella realizzazione di interventi di ripristino dell'officiosità dei corsi d'acqua conseguenti a calamità naturali o diretti a prevenire situazioni di pericolo, consistenti anche nella rimozione dagli alvei di materiali litoidi in esubero ovvero di materiale vegetale la cui presenza sia di ostacolo al libero e regolare deflusso delle acque, a «costo zero», ossia senza oneri a carico dell'Amministrazione, operando la compensazione degli oneri derivanti dalla realizzazione dell'opera con il valore del materiale estratto riutilizzabile. Allo stato attuale, il relativo progetto preliminare risulta approvato ed il soggetto affidatario dovrà provvedere alla redazione del progetto definitivo che dovrà essere completo degli elaborati necessari per l'acquisizione dei pareri di legge e sottoposto a valutazione d'impatto ambientale. In tale sede saranno, quindi, esaminate tutte le interferenze e gli effetti che i lavori in questione potrebbero avere sull'ambiente circostante e solo al termine di dette verifiche il progetto potrà essere approvato o meno, o approvato con prescrizioni.
  Pur prendendo atto delle informazioni fornite dalla regione Veneto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunque intrapreso sull'argomento in questione una intensa attività di interlocuzione tecnica con l'autorità di bacino nazionale competente, al fine di assicurare che vengano svolte tutte le analisi necessarie alla valutazione dell'effettiva compatibilità della captazione in relazione al bilanciamento tra le esigenze di approvvigionamento idrico della bassa pianura veneta e la disponibilità a livello locale e regionale, nel rispetto degli obiettivi ambientali fissati per il Brenta dal piano di gestione delle acque delle Alpi Orientali.
  Al fine di comprendere i problemi reali e definire le iniziative del caso, si sono svolti nei mesi scorsi, anche con il coinvolgimento della segreteria tecnica del Ministro, degli incontri con i comitati per la difesa del Brenta e l'autorità di bacino competente. Nell'ambito di tali incontri, tra l'altro, è stato chiesto all'autorità di bacino, in qualità di soggetto territoriale competente, con particolare riferimento al piano di gestione delle acque vigente, di acquisire ulteriori informazioni in relazione a quanto segnalato dai Comitati, anche attraverso sopralluoghi in loco. In quest'ottica il Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio sulle attività in corso programmando anche ulteriori incontri tecnici.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAPARINI, BORGHESI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Marone non può continuare a gestire in forma autonoma servizio idrico. Lo ha deciso la prima sezione del Tar di Brescia – presidente Giorgio Calderoni, estensore Mauro Pedron, consigliere Mara Bertagnolli – con una sentenza in camera di consiglio svoltasi il 14 dicembre 2016;
   il Tar, che il 27 ottobre 2016 aveva accolto la domanda di sospensione cautelare, ha respinto il ricorso presentato dal comune e dato ragione all'ufficio d'ambito e alla provincia di Brescia. «Ricorreremo al Consiglio di Stato – è la reazione a caldo del sindaco Alessio Rinaldi –. Continuiamo a ritenere di avere valide ragioni per sostenere che il nostro servizio idrico è efficiente»;
   il tema dell'efficienza, in effetti, è centrale nel dispositivo della sentenza: «Nel complesso – vi si legge – non appare dimostrato che con la prosecuzione della gestione autonoma vi sarebbe un utilizzo della risorsa idrica più efficiente di quello che si potrebbe ottenere con la gestione unitaria. Non appare dimostrato che l'attuale gestione autonoma abbia raggiunto livelli ottimali di efficienza». Determinanti le considerazioni compiute dall'ufficio d'ambito su punti di forza e criticità che presentano l'acquedotto e un tronco di fognatura di Marone, gestiti dalla municipalizzata Sebino Servizi srl: «Le osservazioni dell'ufficio d'ambito – continua la sentenza – acquisite in corso di causa nel contraddittorio con il Comune, rivelano l'esigenza di importanti azioni di miglioramento. Il Comune, d'altra parte, non ha chiarito la possibilità di effettuare tutti gli investimenti necessari nel rispetto del vincolo di copertura integrale dei costi tramite tariffa»;
   quando il Tar ha concesso la sospensiva, ha disposto nel contempo che venisse riesaminata la domanda del comune di proseguire la gestione «in house», previa la fissazione di «parametri condivisi» di misurazione dei livelli di efficienza. Al termine di una serrata interlocuzione con il municipio, la pagella depositata il 9 dicembre 2016 dall'ufficio d'ambito «ha confermato – per i magistrati – il giudizio negativo sulla prosecuzione della gestione autonoma» –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative normative al fine di consentire la gestione in house delle risorse idriche da parte delle amministrazioni comunali.
(4-16122)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Attualmente è in corso un processo di riorganizzazione del servizio idrico integrato (di seguito anche SII) avviato con l'emanazione del decreto-legge 11 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto decreto «Sblocca Italia»), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 che mira ad assicurare una governance del servizio idrico in grado di attuare efficacemente il controllo e la vigilanza sulle gestioni e garantirne la trasparenza.
  Al fine di accelerare e portare a compimento la riorganizzazione del SII, è previsto il rafforzamento del dovere di provvedere tempestivamente, con l'introduzione della responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile per l'autore del comportamento omissivo e con l'attribuzione del potere sostitutivo al Governo o alle regioni di fronte all'inerzia dell'amministrazione competente.
  Lo «Sblocca Italia», infatti, prevede la gestione unica del servizio e l'esercizio dei poteri sostitutivi, nel rispetto del principio di sussidiarietà:
   dello Stato nei confronti delle regioni che non avessero provveduto alla data del 31 dicembre 2014 ad identificare i nuovi enti di governo d'ambito (articolo 7, comma 1, lettera b)) che ha modificato l'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006). Anche a seguito delle determine della Presidenza del Consiglio dei ministri con le quali è stata avviata l'istruttoria per l'esercizio dei poteri sostitutivi, le regioni stanno provvedendo ad adeguarsi alle nuove disposizioni normative;
   delle regioni nei confronti degli enti locali che non aderiscano all'ente di Governo d'ambito o non provvedano al trasferimento delle infrastrutture al gestore unico. Laddove la regione non provveda, dovrà essere l'autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (Aeegsi), a segnalare l'inadempienza al Governo affinché questi possa esercitare i poteri sostitutivi.

  Per quanto riguarda la materia degli affidamenti, anche a seguito degli esiti referendari, per meglio comprendere il nuovo assetto regolatorio definito dal legislatore nazionale con il decreto «Sblocca Italia», si ritiene necessario formulare alcune brevi precisazioni.
  In premessa, è opportuno ricordare come, secondo la sentenza n. 325 del 2010, della Corte costituzionale, un servizio va considerato di rilevanza economica a condizione «che l'immissione del servizio possa avvenire in un mercato anche solo potenziale, nel senso che, per l'applicazione dell'articolo 23-bis, è condizione sufficiente che il gestore possa immettersi in un mercato ancora non esistente, ma che abbia effettive possibilità di aprirsi e di accogliere, perciò, operatori che agiscano secondo criteri di economicità» e che «l'esercizio dell'attività avvenga con metodo economico, nel senso che essa, considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della copertura, in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti pubblici)».
  Per quel che qui interessa, nelle sentenze n. 246 del 2009 e n. 325 del 2010 la Corte costituzionale precisa, in particolare, che la competenza legislativa dello Stato sul servizio idrico, nella misura in cui è riconducibile alla tutela della concorrenza, prevale su quella regionale, e in particolare, su quella relativa ai servizi pubblici locali. Inoltre, con la sentenza 325 del 2010 relativamente al servizio idrico integrato, la Corte afferma che «il legislatore statale, in coerenza con la menzionata (...) comunitaria e sull'incontestabile presupposto che il servizio idrico integrato si inserisce in uno specifico e peculiare mercato (come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 246 del 2009), ha correttamente qualificato tale servizio come di rilevanza economica, conseguentemente escludendo ogni potere degli enti infrastatuali di pervenire ad una diversa qualificazione». La rilevanza economica del servizio ne implica l'assoggettabilità alle regole della concorrenza nel rispetto degli articoli 14 e 106 del trattato di funzionamento dell'Unione europea, nonché ai precetti individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
  Al riguardo occorre altresì considerare gli esiti della consultazione referendaria del 12 e 13 giugno 2011.
  Il referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 riguardava 2 quesiti.
  Il primo quesito aveva ad oggetto l'abrogazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica di cui all'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, che nell'eliminare l'alternatività tra le diverse forme di gestione, di cui all'ex articolo 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (che lo stesso articolo 23-bis aveva sostituito), prevedeva che l'affidamento diretto (ovvero in house providing) costituisse una deroga possibile solo quando le particolari caratteristiche economiche, sociali, ambientali, e geomorfologiche del contesto territoriale non consentivano un efficace ricorso alle procedure ordinarie ad evidenza pubblica.
  Il secondo quesito referendario, invece, chiedeva l'abrogazione del comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, limitatamente alla parte che prevedeva che la tariffa idrica garantisse un'adeguata remunerazione del capitale investito da parte del gestore.
  All'esito di tali consultazioni referendarie si è giunti innanzi tutto all'abrogazione dell'intero articolo 23-bis. Il legislatore ha tuttavia introdotto successivamente l'articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011, che ha ripreso in larga parte la disciplina abrogata per via referendaria, sollevando dubbi di legittimità costituzionale confermati dalla successiva declaratoria di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale nella sentenza n. 199 del 2012.
  L'esito positivo della seconda consultazione referendaria ha invece prodotto l'abrogazione del comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, limitatamente alla parte che prevedeva che la tariffa idrica garantisse un'adeguata remunerazione del capitale investito da parte del gestore. Tale abrogazione non ha fatto comunque venire meno il principio europeo del full recovery cost, in base al quale la tariffa del servizio idrico deve tendere alla copertura dei costi. Gli stessi giudici costituzionali, nella sentenza in cui hanno dichiarato ammissibile il quesito referendario (sentenza n. 24 del 2010) hanno riconosciuto il carattere coessenziale della copertura dei costi, d'altronde enunciato chiaramente dalla stessa lettera del comma 1 dell'articolo 154, così come risultante dagli esiti referendari, ove si parla di «copertura integrale dei costi di investimento e di esercito secondo il principio del recupero dei costi».
  In tema è poi intervenuto il decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto Sblocca Italia). Con l'articolo 7, comma 1, lettera d), di tale atto normativo si è provveduto ad introdurre l'articolo 149-bis nel decreto legislativo n. 152 del 2006 che, nel disciplinare l'affidamento del servizio nel rispetto del piano d'ambito di cui all'articolo 149 del decreto legislativo» n. 152 del 2006 e del principio di unicità della gestione, rimanda all'ordinamento europeo relativamente alla forma di gestione, ovvero all'affidamento in house providing al ricorrere dei rigorosi presupposti imposti dalla disciplina comunitaria e consolidati dalla nutrita giurisprudenza europea sul punto («controllo analogo», «prevalenza dell'attività» e «partecipazione pubblica»).
  Inoltre, il legislatore nazionale ha ritenuto necessario che il SII sia organizzato per ambiti territoriali ottimali (ATO). L'aggregazione degli enti locali negli ATO, sancita con la legge n. 36 del 1994 prima e con il decreto legislativo n. 152 del 2006 dopo, aveva ed ha lo scopo fondamentale di consentire il superamento delle frammentazioni gestionali e conseguire livelli efficienti, efficaci ed economici del servizio idrico integrato, degli assetti produttivi e infrastrutturali a vantaggio dell'utenza e della qualità del servizio; in tale settore sussistono infatti le condizioni che favoriscono situazioni di monopolio naturale che solo il ricorso ad un unico soggetto gestore può permettere di sfruttare.
  Non è pertanto consentita la gestione diretta del servizio idrico integrato da parte dei singoli comuni. Il ruolo degli enti locali rimane tuttavia centrale nell'organizzazione del SII e nelle scelte strategiche di pianificazione e programmazione degli interventi. Gli enti locali aggregati nell'ente di governo d'ambito hanno il compito di approntare e approvare il piano d'ambito di cui all'articolo 149 del decreto legislativo 152 del 2006. Il piano d'ambito è il presupposto necessario per la procedura di affidamento e rappresenta l'oggetto dell'affidamento stesso. Infatti, nel piano d'ambito si sostanziano le scelte strategiche, di pianificazione e programmazione degli interventi, la forma gestionale ed il piano economico e finanziario. Per una migliore regolazione, controllo e vigilanza da parte dell'ente finalizzata in maniera particolare al controllo degli appalti e alla conseguente realizzazione degli investimenti, nello «Sblocca Italia» il legislatore ha stabilito che «al fine di ottenere un'offerta più conveniente e completa e di evitare contenziosi tra i soggetti interessati, le procedure di gara per l'affidamento del servizio includono appositi capitolati con la puntuale indicazione delle opere che il gestore incaricato deve realizzare durante la gestione del servizio» (articolo 149-bis, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 152 del 2006, così come introdotto dal decreto-legge n. 133 del 2014).
  Inoltre, a tutela della concorrenza e dei consumatori, la regolazione ed il controllo del settore è in capo all'autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico (di seguito Aeegsi) a cui spetta, ai sensi dell'articolo 1 della legge istitutiva n. 481 del 1995, la funzione di «garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori».
  In particolare, Aeegsi ha il compito di disciplinare una metodologia tariffaria omogenea a livello nazionale e di verificare la corretta redazione del piano d'ambito; di approvare le tariffe proposte dal soggetto competente sulla base del piano d'ambito; di adottare direttive per la trasparenza della contabilità e per la separazione contabile e amministrativa dei gestori del S.I.I., nonché la rendicontazione periodica dei dati gestionali, al fine di individuare i più efficaci strumenti regolatori che possano consentire di allineare il sistema infrastrutturale nazionale agli standard definiti in ambito europeo e agli obiettivi di qualità ambientale e della risorsa previsti sul territorio.
  L'innovativo approccio alla regolazione consentirà di esplicitare la relazione tra gli obiettivi identificati, la selezione degli interventi necessari al loro raggiungimento e che saranno coperti dalla tariffa e i risultati attesi del miglioramento di efficienza degli operatori. Contestualmente, l'Aeegsi prefigura la possibilità di prevedere schemi regolatori adottabili, anche a livello territoriale, da parte degli enti d'ambito, o dagli altri soggetti competenti alla predisposizione tariffaria, in funzione degli obiettivi specifici dai medesimi prefissati.
  In ogni caso, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAPOZZOLO, CARRA, BOCCUZZI, COVELLO, CRIMÌ, GADDA, SGAMBATO, ROTTA, ASCANI, PALMA, SBROLLINI, MICCOLI, CARLONI, MARRONI, PELUFFO, DONATI, FANUCCI, FIORIO, GRASSI, MARCO DI MAIO, VALIANTE, CRIVELLARI, PASTORINO, VENTRICELLI, CARDINALE, MARCO MELONI, PAOLA BRAGANTINI, CUOMO, FERRO, CARELLA, CAPONE, MARCO DI STEFANO, BONACCORSI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2014 il Ministero dell'interno avviava il progetto di razionalizzazione della polizia stradale, ferroviaria, postale e dei reparti speciali della polizia dello Stato;
   all'epoca molte sigle sindacali espressero dubbi in merito a tale progetto, considerato non risolutivo per i problemi inerenti alla carenza di organico, posto che avrebbe indebolito la presenza delle forze dell'ordine sul territorio;
   con decreto firmato il 31 marzo 2017 dal Ministro Minniti vengono soppressi 15 posti di polizia ferroviaria, di cui due in regione Campania, Avellino e Agropoli;
   la motivazione del provvedimento sta «nell'esigenza di adeguare l'assetto organizzativo della Polizia ferroviaria alle mutate esigenze operative: in relazione all'evoluzione del traffico la vigilanza può essere assicurata da altri uffici limitrofi»;
   la soppressione di tali presidi causa l'indebolimento della presenza delle forze dell'ordine sui territori;
   nel caso del presidio Polfer di Agropoli il territorio perde un altro importante ufficio di polizia che aveva competenza su sessanta chilometri di tratta ferroviaria, comprendente ben sette stazioni attive, da Capaccio-Roccadaspide a Pisciotta-Palinuro;
   la stazione in questione è uno degli scali a sud di Salerno con il maggiore afflusso di passeggeri;
   oltre al quotidiano rilevante numero di pendolari che utilizzano le ferrovie per mobilità lavorativa o per motivi di studio va evidenziato che si tratta di un comprensorio ad alta capacità di richiamo turistico che ogni anno ospita decine di migliaia di visitatori anche stranieri;
   sono previsti diversi interventi di potenziamento di questa stazione, tant’è che la giunta regionale della Campania ha il progetto «Cilento alta velocità Milano-Sapri», deliberando la proposta di prevedere anche la fermata ad Agropoli e che tale proposta è ora al vaglio di Trenitalia;
   l'amministrazione comunale di Agropoli intende realizzare una serie di ulteriori interventi per favorire la mobilità sostenibile –:
   se il Ministro intenda rivedere tale progetto riorganizzativo, a fronte delle innumerevoli istanze provenienti dai territori interessati e, nel caso del posto di polizia ferroviaria di Agropoli, procedere alla riapertura totale del presidio, assicurandone la piena funzionalità in considerazione di quanto riportato in premessa.
(4-16542)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si richiama l'attenzione sul recente decreto del Ministero dell'interno, con il quale sono stati soppressi 15 posti di polizia ferroviaria, tra i quali quello di Agropoli, evidenziando i riflessi negativi che derivano dalla decisione. La richiesta di mantenimento del presidio risponde alle istanze della comunità e delle istituzioni locali.
  In particolare, l'interrogante rappresenta che il provvedimento non tiene conto della vocazione turistica di quel centro che funziona anche da importante snodo per il sud della provincia di Salerno; inoltre evidenzia come l'iniziativa sia in controtendenza rispetto al rilancio di quella stazione ferroviaria previsto da una recente delibera della giunta regionale della Campania, attualmente al vaglio di Trenitalia.
  Si osserva preliminarmente che il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza, avvalendosi delle prerogative riconosciutegli dall'articolo 9, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 2001, n. 208 («Regolamento per il riordino della struttura organizzativa delle articolazioni centrali e periferiche dell'amministrazione della Pubblica Sicurezza») sta adottando provvedimenti di adeguamento organizzativo delle specialità della Polizia di Stato alle mutate esigenze operative.
  In tale ambito, il 31 marzo 2017, il predetto ha disposto la chiusura, tra gli altri, del posto di polizia ferroviaria di Agropoli. Come risulta dal preambolo del provvedimento, tale misura risulta fondata – per Agropoli come per gli altri 14 presidi soppressi contestualmente – su criteri di efficienza ed efficacia dell'operatività della rete territoriale della Polizia ferroviaria, anche in relazione alla circostanza che la vigilanza e la sicurezza degli scali in questione possono essere assicurate nell'ambito degli ordinari piani coordinati di controllo del territorio, con il concorso degli uffici della polizia ferroviaria limitrofi.
  In concreto, è stato rilevato che nell'ambito della stazione ferroviaria di Agropoli non si registrano particolari criticità e che il dispositivo di sicurezza in quel comune si avvale di stazione dell'Arma dei carabinieri e di una compagnia della Guardia di finanza. In ogni caso, i servizi di specialità saranno assicurati dalla competente sezione Polfer di Salerno e dal limitrofo posto di Battipaglia.
  Su un piano più generale, si informa che l'assetto della polizia ferroviaria è oggetto, in questo periodo, oltreché di specifiche misure organizzative ad opera del Capo della polizia, anche di analisi e approfondimento ulteriori, nell'ambito di una più ampia progettualità volta a ottimizzare la dislocazione e la funzionalità dei presidi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri su tutto il territorio nazionale, alla luce dei criteri direttivi dettati dalla cosiddetta legge Madia.
  Tale progettualità sarà poi trasposta, come indicato nell'articolo 3 del decreto legislativo n. 177 del 2016, in un decreto ministeriale da emanarsi ai sensi della legge n. 121 del 1981.
  La Polizia ferroviaria è coinvolta in tale riordino di valenza strategica, essendo evidente la necessità di adeguarne l'operatività alle notevoli trasformazioni registratesi nella sicurezza dei traffici ferroviari, in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, diventate, da semplici luoghi di transito, punti di incontro e di allocazione di attività commerciali.
  Per giungere a una compiuta definizione del progetto in questione, sono in fase di elaborazione, da parte di appositi gruppi interforze istituiti presso l'ufficio coordinamento e pianificazione delle forze di polizia del dipartimento della pubblica sicurezza, i criteri volti a rimodulare la «rete dei presidi» in rapporto alle specifiche realtà dei territori, secondo una logica che consenta di coniugare efficienza ed efficacia evitando diseconomie di scala.
  I gruppi di lavoro non hanno ancora terminato la loro attività, ma si assicura fin d'ora che ogni possibile opzione sarà oggetto di attenta valutazione, la quale non potrà mai andare a scapito della sicurezza dei viaggiatori e del personale ferroviario.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CARLONI, CAPOZZOLO, TINO IANNUZZI, MALPEZZI, MANFREDI, PIAZZONI, GIORGIO PICCOLO, SALVATORE PICCOLO, RAGOSTA, RICHETTI, SGAMBATO e MARCO DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso attraverso gli organi di stampa che, dopo la cancellazione degli abbonamenti da parte di NTV (Italo) nelle tratte tra i capoluoghi di regione, Trenitalia, pur decidendo di mantenerli, ne ha aumentato sensibilmente il costo;
   dal mese di febbraio 2017, per ottenere lo stesso livello di servizio attuale, cioè la possibilità di viaggiare sette giorni su sette in tutte le fasce orarie in seconda classe, i pendolari dovranno pagare in media circa il 35 per cento in più;
   inoltre, l'azienda ha deciso di introdurre tre nuove tipologie di abbonamento, che prevedono: la possibilità di usare i treni ad alta velocità in tutte le fasce orarie, ma solo dal lunedì a venerdì, con un incremento di costo pari a circa il 20 per cento rispetto il precedente modello di abbonamento, il quale però consentiva l'accesso a tutti i treni alta velocità in seconda classe tutti i giorni;
   le altre due nuove tipologie di abbonamento, classificate come «morbide», permettono di pagare di meno, ma hanno un importante limite in termini di fruibilità del servizio. Infatti, è previsto il solo utilizzo dei treni fra le ore 09.00 e le ore 17.00, incompatibile con i flussi di traffico che caratterizzano i fenomeni di pendolarismo;
   a riprova di quanto detto, si riportano le più significative variazioni in termini di aumento dei costi a parità di servizio (abbonamento mensile di seconda classe per tutti i giorni e tutte le fasce orarie): Torino-Milano (153 chilometri) da 340 a 459 euro; Milano-Bologna (219 chilometri), da 417 a 563 euro; Bologna-Firenze (97 chilometri, da 224 a 302 euro; Firenze-Roma (310 chilometri), da 386 a 521 euro, Roma-Napoli (213 chilometri) da 356 euro a 481 euro; Napoli-Salerno (54 chilometri) da 170 a 230 euro;
   questa variazione di costo ha determinato un aggravio nei confronti delle fasce sociali più deboli, come i pendolari, costretti a doversi spostare ogni giorno, per motivi di lavoro o studio, tra le città capoluogo di regione, senza avere la possibilità di trasferire la propria residenza;
   le città sono un campo essenziale per le politiche pubbliche e per porre le basi di una strategia di rilancio attraverso una strategia di rilancio attraverso una molteplicità di interventi, tra cui assume un assoluto rilievo lo sviluppo dei territori da perseguire anche mediante una idonea politica razionale dei trasporti collegata all'integrazione di importanti realtà territoriali e tessuti economici locali;
   l'iniziativa di Trenitalia rischia di compromettere la corretta erogazione del servizio pubblico comprimendo i diritti dei cittadini e penalizzando le forti connessioni tra le economie dei territori –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della situazione descritta in premessa, se non ritenga che sussistano i presupposti per promuovere verifiche e se intenda predisporre le iniziative necessarie per salvaguardare i diritti di chi giornalmente usufruisce di un servizio, come quello offerto da Trenitalia, esclusivamente per motivi di lavoro o di studio. (4-15260)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base degli elementi forniti da ferrovie dello stato italiane (FSI) e dall'autorità di regolazione dei trasporti (ART), si comunica quanto segue.
  Va premesso che i servizi a mercato di media/lunga percorrenza, non sono oggetto di alcun corrispettivo pubblico, sono effettuati a rischio di impresa e si sostengono solo con i ricavi da traffico; pertanto, la relativa programmazione si basa su valutazioni di carattere commerciale (rientrano tra i servizi a mercato le frecce di Trenitalia, ossia frecciarossa, frecciargento e frecciabianca, nonché i treni internazionali).
  Il servizio universale comprende quei treni di media/lunga-percorrenza che per poter essere effettuati, necessitano di un corrispettivo pubblico definito nell'ambito di un contratto di servizio Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Ministero dell'economia e delle finanze con Trenitalia, in quanto presentano un conto economico negativo. Nell'ambito di tale contratto di servizio vengono definite la quantità e le caratteristiche dei collegamenti di servizio universale da effettuare, nonché le relazioni da servire, coprendo con corrispettivi la differenza tra i ricavi da traffico previsti e i costi ammessi a remunerazione (rientrano nel servizio universale gli intercity e gli intercity notte).
  Da ultimo, i servizi regionali, che assicurano principalmente la mobilità pendolare, sono programmati dalle singole regioni, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da contratti di servizio, nell'ambito dei quali vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili dalle stesse regioni.
  In tale quadro, gli abbonamenti per i treni ad alta velocità (AV) sono una tipologia di titoli di viaggio emessa per autonoma scelta commerciale dell'impresa ferroviaria, nell'ambito di un segmento di mercato liberalizzato nel quale Trenitalia è l'unica impresa ad averli mantenuti e ad offrirli all'utenza pendolare.
  Trattandosi di treni a mercato, Trenitalia sostiene l'intero onere economico degli abbonamenti AV, senza ricevere alcuna compensazione con corrispettivi pubblici da Stato o regioni, come accade invece per altre tipologie di servizi (intercity-regionali).
  Come dichiarato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) e ribadito dall'Autorità di regolazione dei trasporti, la natura di mercato dei servizi AV implica che ciascuna impresa ferroviaria effettui le proprie scelte commerciali autonomamente, in funzione della loro redditività attesa, senza condizionamenti di alcun tipo in termini di quantità conseguentemente di prezzo, dei servizi offerti, se non il pieno rispetto di un corretto confronto concorrenziale.
  In particolare, l'ART ha adottato la delibera n. 54 del 2016 avente ad oggetto specifici diritti degli abbonati del trasporto ferroviario sulle tratte AV; tale provvedimento opera, peraltro, dal momento in cui le imprese esercenti i servizi ferroviari di AV decidono, sulla base delle loro scelte commerciali, di intervenire con l'offerta di abbonamenti. L'Autorità non ha quindi previsto un obbligo di offrire servizi in abbonamento, né avrebbe potuto prevedere tale obbligo sulla base del diritto vigente, nel cui ambito, come detto, il servizio di trasporto ferroviario AV è configurato come servizio in regime di mercato.
  L'Autorità ha, bensì, introdotto, misure specifiche a tutela e garanzia dei passeggeri che aderiscano a quelle offerte commerciali. Essa ha, altresì, espresso l'auspicio che tutte le imprese che operano il segmento dell'AV mantengano gli abbonamenti e configurino la propria offerta in modo di favorire la mobilità delle persone e la riduzione dei tempi di spostamento via ferrovia Ira grandi città continue.
  Al riguardo, come riferisce FSI, Trenitalia ha investito significative risorse sui propri sistemi informativi e sui processi di gestione, così da ottemperare anche a quanto disposto dalla citata delibera ART n. 54 del 2015; ciò, tra l'altro, ha permesso di migliorare l'utilizzazione degli abbonamenti, semplificando le modalità di acquisto e prenotazione.
  Inoltre, FSI evidenzia che per venire incontro alle diverse esigenze di viaggio dei pendolari, dal mese di febbraio 2017, l'abbonamento è stato declinato in quattro diverse versioni a prezzo crescente in relazione alla sua ampiezza d'uso. («Giorni feriali lunedì – venerdì, fascia oraria 9,00-17,00»; «Tutti i giorni» sabato e domeniche incluse, fascia oraria 9,00-17.00»; «Giorni feriali lunedì – venerdì – senza limitazioni di fasce orarie»; «Tutti i giorni, sabato e domeniche incluse, senza limitazioni di fasce orarie»). Le prime due versioni costano meno del prezzo in vigore a gennaio, le seconde due di più.
  Anche nelle versioni che consentono un più ampio spettro di utilizzo e hanno quindi prezzi più alti («Tutti i giorni, sabato e domeniche incluse, senza limitazioni di fasce orarie» e «Giorni feriali lunedì e venerdì – senza limitazioni di fasce orarie»), il costo attuale dell'abbonamento consente ai pendolari che ne fanno pieno utilizzo un forte risparmio su quanto spenderebbero acquistando singolarmente ogni viaggio. Lo sconto varia, a seconda delle tratte e della tipologia di abbonamento, dai 70 a oltre l'80 per cento (a titolo di esempio, all'estero, laddove siano presenti formule di abbonamento, i relativi prezzi – oltre ad essere più elevati – non garantiscono livelli di risparmio paragonabili a quelli di Trenitalia).
  Inoltre, FSI fa presente che il prezzo degli abbonamenti, per la quasi totalità delle tratte interessate, non subiva variazioni dal febbraio 2011.
  In ogni caso, Trenitalia ha comunicato la propria decisione di dimezzare, in via transitoria, gli aumenti degli abbonamenti AV. L'operatività dei nuovi prezzi (con aumenti ridotti temporaneamente del 50 per cento è stata prevista a valere sugli abbonamenti di marzo. Per quanto pagato in più a febbraio è stato, comunque, disposto il rimborso agli abbonati già a partire dal 9 febbraio.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   CRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   presso la strada statale 33, nel tratto tra Domodossola e Ornavasso (VCO), in occasione delle prime piogge insistenti dell'anno, si sono manifestate buche di dimensioni tali da rendere quasi impossibile la governabilità dell'autovettura e causando alcuni incidenti;
   la strada, da anni, si presenta con sobbalzi e pendenze che la rendono di per sé pericolosa e alle prime precipitazioni piovose il manto stradale si riempie di buche, si formano pozze d'acqua tali che l'automobilista è continuamente soggetto al fenomeno di acqua planning;
   la strada statale 33 e la strada su cui transitano solitamente i mezzi di soccorso e le autoambulanze al servizio di oltre 50.000 cittadini verso il futuro ospedale unico di Verbania;
   questo tratto stradale è inoltre percorso quotidianamente da molti mezzi pesanti, da centinaia di lavoratori che si recano nel cantone Vallese e da molti turisti Svizzeri  –:
   se e quali iniziative urgenti Anas intenda promuovere al fine di salvaguardare l'incolumità degli automobilisti lungo la strada statale 33 nel tratto tra Domodossola e Ornavasso, teatro di gravi e ripetuti incidenti dovuti a maltempo e alla carente manutenzione del manto stradale;
   se risulti che l'Anas intenda effettuare una valutazione della sinistrosità del tratto stradale di cui in premessa.
(4-15846)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo ministero e dalla società Anas.
  In data 22 febbraio 2017, a causa dell'alto tasso di incidentalità rilevato sulle strade statali della provincia di Verbano-Cusio-Ossola, con particolare riferimento alla strada statale 33 «del Sempione», si è tenuta una riunione presso l'omonima prefettura, nel corso della quale si è convenuto che il motivo più frequente e rilavante dei sinistri è da attribuire al mancato rispetto delle prescrizioni del codice della strada e, in particolare, al superamento dei limiti di velocità stabiliti dalle norme vigenti.
  Circa la manutenzione del manto stradale, Anas segnala che lungo la strada statale 33 sono in fase di esecuzione lavori di ripristino della pavimentazione, in tratti saltuari, per un importo complessivo di circa 1,4 milioni di euro.
  Informa, altresì, che per la suddetta arteria ha programmato lavori di manutenzione straordinaria per il risanamento sia superficiale che profondo della pavimentazione (in tratti saltuari dal chilometro 77+000 al chilometro 127+000) e per il rifacimento detta segnaletica orizzontale, per un importo di circa 1,3 milioni di euro.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 9 febbraio 2017, lungo la strada statale n. 7 Via Appia (SS 7), nel tratto definito «Ofantina bis», si è verificato l'ennesimo incidente automobilistico che ha causato la perdita di una vita umana;
   la costanza con la quale si succedono questi incidenti indica in maniera inequivocabile che ci sono interventi da operare lungo un'arteria che, evidentemente, presenta caratteristiche che la rendono particolarmente pericolosa;
   gli amministratori locali dei comuni attraversati dall'arteria hanno scritto una missiva al prefetto di Avellino con la quale chiedono che il suo ufficio provveda alla riattivazione del tavolo operativo denominato «Ofantina Sicura», al fine di elaborare un piano di interventi che servano a rendere meno pericolosa una strada che, tra l'altro, è molto trafficata;
   l'auspicio è che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si renda promotore di un'iniziativa che serva a mettere in sicurezza il tratto della strada statale n. 7, chiamato «Ofantina bis» e che ponga fine alla sequela di incidenti che caratterizzano una strada che in Irpinia è definita «la strada della morte» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per rimediare alla pericolosità della strada statale «Ofantina bis» e porre fine alla serie di incidenti, spesso mortali, che si verificano lungo l'arteria.
(4-15696)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società Anas.
  Per quanto attiene la sicurezza della strada statale 7 Appia la società Anas ha comunicato che sono in corso di definizione le procedure di affidamento dei lavori di ricostruzione dei viadotti «Parolise II e Parolise III», nel tratto compreso tra le progressive chilometriche 306+800 e 346+600, per un investimento complessivo di circa 3,7 milioni di euro.
  Inoltre, nei contratti di programma Anas 2016 e 2017, in corso di approvazione, è prevista l'esecuzione di tre distinti interventi di manutenzione.
  Il primo, consiste nell'esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria per il miglioramento della sicurezza stradale dell'area di intersezione in corrispondenza dello svincolo autostradale di Avellino Est (chilometro 306+300) e prevede un investimento di circa 2,2 milioni di euro (CdP Anas 2016).
  Il secondo riguarda l'esecuzione di interventi di manutenzione straordinaria per il miglioramento dell'infrastruttura stradale, mediante il rifacimento dei giunti e delle pavimentazioni in tratti saltuari, tra il chilometro 278+800 ed il chilometro 346+800 e prevede un investimento di circa 1 milione di euro (CdP Anas 2016).
  Il terzo intervento consiste nell'esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria per il risanamento, il consolidamento delle parti ammalorate delle opere d'arte situate tra il chilometro 312+000 e il chilometro 315+000, la regimentazione idraulica delle acque meteoriche, l'adeguamento delle barriere e prevede un investimento pari a circa euro 3,5 milioni di euro (CdP Anas 2017).
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   D'ALIA e BOSCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti (Uic) è una onlus con personalità giuridica di diritto privato, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell'interno;
   a seguito del commissariamento, avvenuto nel marzo 2016, dell'intero gruppo Uici siciliano (26 componenti) da parte del consiglio nazionale, il nuovo garante regionale ha commissariato la sede di Messina a causa della presenza di sofferenze finanziarie in un quadro di bilancio negativo. Le sezioni di Trapani e Catania avevano già subito lo stesso provvedimento di commissariamento;
   da quanto risulta agli interroganti, gli ultimi due anni di passività di bilanci della sezione di Messina scontano pesantemente il dimezzamento del contributo della regione a favore dell'Unione italiana ciechi, che da svariati mesi non riesce a pagare gli stipendi agli impiegati;
   le determinazioni di commissariamento hanno provocato sia al livello regionale sia a quello provinciale dei ricorsi di fronte al giudice ordinario per una sproporzione tra le contestazioni formulate e il tipo di provvedimenti adottati;
   per quanto riguarda la sede di Messina, la decisione del commissario regionale ha causato uno sconvolgimento improvviso nella vita associativa dell'ente e una reazione di assoluto sgomento per i soci della provincia Uici di Messina e per i molti cittadini frequentatori dell'associazione. Tali sentimenti di sorpresa e rammarico sono stati canalizzati in una assemblea straordinaria permanente durante la quale si sono registrati anche momenti di tensione, con conseguente intervento delle forze dell'ordine;
   i servizi e le attività della sede di Messina, al pari di quelle di Trapani e Catania, come l'integrazione scolastica e lavorativa dei non vedenti e degli ipovedenti, la distribuzione di libri in braille, l'accompagnamento con personale specializzato che segue i bisognosi del trattamento e le visite oculistiche gratuite ai cittadini per monitorare continuamente lo stato della propria vista, rischiano di subire un forte ridimensionamento qualitativo e quantitativo. Infatti, i commissariamenti, sia a livello regionale che provinciale, implicano una gestione verticistica da parte di un funzionario esterno, che per gli interpellanti non può conoscere nel dettaglio e affrontare con contezza di causa e piena efficacia le situazioni concrete e le storie particolari dei territori siciliani e le peculiari esigenze dei singoli cittadini;
   il compito di vigilanza sull'Uici, che pure si esplica nel rispetto dell'autonomia statutaria, non comporta la facoltà di incidere sulle delibere e contempla il potere di commissariamento governativo ex articolo 15 del decreto-legge n. 98 del 2011 solo nei casi in cui il bilancio non venga deliberato o si verifichino disavanzi per due esercizi consecutivi, è attribuito dalla legge all'Amministrazione dell'interno;
   la questione dei commissariamenti delle articolazioni territoriali dell'Uici in Sicilia ha assunto proporzioni non più trascurabili dall'amministrazione statale, investendo direttamente la politica regionale, il mondo sindacale e quello del libero associazionismo dei cittadini, con specifico riguardo alle province di Catania, Trapani e Messina –:
   quali iniziative il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, ritenga di adottare nel modo più efficace e rapido e nel quadro e con i limiti sopra ricordati relativamente ai propri poteri di vigilanza, per garantire che i rapporti tra i differenti livelli associativi dell'Unione italiana ciechi e degli ipovedenti (Uici) siano effettivamente, ispirati ai principi costituzionali e statutari di democrazia, equa partecipazione e diritto al contraddittorio e che i provvedimenti adottati dai vertici dell'associazione non pregiudichino lo svolgimento delle iniziative e l'erogazione dei servizi che le sezioni territoriali siciliane dell'Uici quotidianamente hanno garantito e garantiscono ai soci e alla cittadinanza in generale. (4-16403)

  Risposta. — Nell'atto di sindacato ispettivo indicato in esame viene richiamata l'attenzione di questa Amministrazione sui commissariamenti del consiglio regionale dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti (UICI) e delle sezioni di Messina, Trapani e Catania e sulle ricadute che si sarebbero registrate nei territori interessati a causa di tali provvedimenti di rigore; in particolare, l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative il Ministero dell'interno, ente vigilante, ritenga di adottare per garantire il rispetto dei principi statutari di democrazia e partecipazione tra i diversi livelli associativi, nonché il mantenimento di adeguati standard dei servizi erogati in favore dei soci e della cittadinanza.
  Si evidenzia innanzitutto che, come per tutti gli enti di diritto privato rientranti nel novero degli organismi di promozione sociale, le finalità istituzionali dell'Unione e la nomina degli organi direttivi sono regolate dalle norme statutarie. Peraltro, lo Statuto è stato oggetto di modifiche che la prefettura di Roma ha approvato il 18 maggio 2016, avendole ritenute conformi alla normativa vigente e coerenti con le altre disposizioni statutarie.
  In questo contesto, all'Amministrazione dell'interno spetta un potere di vigilanza, che trova la propria ratio nella circostanza che essa eroga contributi finanziari all'ente in questione.
  Come noto, si tratta di un potere di vigilanza generico. Solo nelle fattispecie di cui all'articolo 15 del decreto-legge n. 98 del 2011 e cioè quando il bilancio non venga deliberato o si verifichino disavanzi per due esercizi consecutivi, è prevista l'attivazione del potere di commissariamento governativo.
  Al di fuori di queste ipotesi, la vigilanza sull'ente deve comunque esplicarsi nel rispetto dell'autonomia statutaria e non comporta la facoltà di incidere sulle delibere, neanche quelle di più rilevante impatto.
  D'altro canto, si segnala che, non essendo prevista in capo al Ministero dell'interno la nomina di componenti dell'organo direttivo, non viene a configurarsi sotto questo profilo alcuna influenza del soggetto pubblico.
  Delimitato così il ristretto perimetro dei poteri di vigilanza del Ministero dell'interno, ci si sofferma sulle vicende riguardanti le sedi siciliane dell'Unione citate nell'interrogazione.
  Al riguardo, si rende noto che la gestione commissariale del consiglio regionale dell'Unione è terminata e, nello scorso mese di marzo, sono stati eletti gli organi previsti dallo statuto sociale.
  Anche la gestione commissariale della sezione di Catania, iniziata il 6 aprile 2016, si è conclusa con l'elezione, il successivo 18 settembre, del nuovo consiglio di amministrazione.
  L'Unione prevede che, entro breve termine, gli organi ordinari potranno essere ripristinati anche con riferimento alle sezioni di Messina e Trapani, in merito alle quali si forniscono una serie di informazioni aggiuntive.
  Quanto alla prima sezione, effettivamente il commissariamento ha tratto origine dalla situazione di dissesto finanziario causata dalla riduzione dei contributi regionali.
  Nello scorso mese di dicembre, il malcontento derivante dalla precaria situazione dell'ente, ha portato i soci di quella provincia ad inscenare una manifestazione di protesta che, sebbene sia sfociata nell'occupazione della sede provinciale dell'Unione, non ha mai comportato alcuna conseguenza sotto il profilo dell'ordine pubblico.
  Successivamente, i soci hanno mantenuto un'assemblea permanente presso il palazzo municipale di Messina conclusasi il 1o aprile 2017.
  Neanche questa iniziativa ha dato luogo a problemi di ordine pubblico.
  In quella sede, è stata approvata la relazione morale, il bilancio consuntivo per l'esercizio 2016 e si è, proceduto all'elezione del rappresentante della sezione di Messina in seno al consiglio regionale dell'Unione.
  Per completezza di informazione, si ritiene doveroso riferire l'avviso dell'Unione, secondo cui, durante le rispettive gestioni commissariali, le attività istituzionali denegazioni di Messina e Catania avrebbero continuato ad essere regolarmente erogateci non vedenti residenti in quei territori.
  Quanto alla sezione di Trapani, il commissariamento è stato determinato dalle gravi irregolarità amministrative riscontrate nella gestione dell'ente; irregolarità che, secondo quanto rilevato poi dal commissario straordinario, hanno riguardato, in particolare, la duplicazione delle deleghe alla riscossione di quote associative. Di tale vicenda il commissario ha provveduto a informare anche l'Autorità giudiziaria per gli eventuali profili di rilevanza penale.
  Il commissario straordinario – il cui incarico scadrà il 3 agosto 2017 – risulta impegnato tuttora nell'opera di risanamento amministrativo-contabile della lezione e di consolidamento del tessuto associativo anche in vista del ripristino degli organi ordinari dell'ente cui provvederà il consiglio regionale siciliano dell'Unione ciechi.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel giugno 2013 l'assessorato all'urbanistica, edilizia privata, agricoltura del comune di Milano ha proposto la dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico di immobili e aree ai sensi dell'articolo 136, comma C, del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni ed integrazioni per il quartiere sperimentale VIII Triennale di Milano – QT8, ritenendo la tutela «necessaria per salvaguardare questo rappresentativo quartiere di periferia urbana quale testimonianza storica e culturale di particolare valore identitario» (allegato 1: proposta di vincolo per QT8);
   in data 12 settembre 2013 il consiglio di zona 8, nel cui ambito territoriale si trova il quartiere QT8, ha approvato la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico di immobili e di aree comprese nell'ambito urbano del quartiere QT8 (allegato 2: delibera CdZ 8 n. 160/13);
   in data 8 novembre 2013 la giunta comunale di Milano ha preso atto della proposta di vincolo, ha dato atto che il direttore del settore pianificazione urbanistica generale avrebbe provveduto all'espletamento degli ulteriori adempimenti di propria competenza necessari e conseguenti e ha dichiarato il provvedimento immediatamente eseguibile (allegato 3: delibera giunta comunale 2232/13);
   alla data odierna non risulta che la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Milano abbia provveduto a porre sotto vincolo paesaggistico il suddetto quartiere –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno verificare, per quanto di competenza, presso la propria sede territoriale di Milano, lo stato della pratica di vincolo per il quartiere QT8;
   se il Ministro possa relazionare circa le motivazioni per le quali non sia stato ancora ultimato l’iter della suddetta pratica, stante il tempo trascorso;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere, per quanto di competenza, affinché il quartiere QT8 di Milano venga rapidamente posto sotto vincolo paesaggistico, così come richiesto e deliberato dal comune di Milano.
(4-13924)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede quali iniziative si intenda intraprendere, per quanto di competenza, affinché il quartiere QT8 di Milano venga rapidamente posto sotto vincolo paesaggistico, così come richiesto e deliberato dal comune di Milano.
  Con riferimento alla questione oggetto dell'interrogazione, è opportuno ricordare che, ai sensi della parte III del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni e delle attività culturali e del paesaggio, l'attività di dichiarazione di notevole interesse pubblico relativa ai beni paesaggistici è prioritariamente competenza delle regioni.
  La Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Milano ha avviato un percorso di approfondimento del complesso tema della sottoposizione a vincolo dell'intero quartiere (circa 16.000 abitanti) attraverso lo studio delle fonti storiche e dell'evoluzione del costruito, al fine di evidenziare i peculiari caratteri paesaggistici e architettonici che giustifichino il provvedimento di tutela.
  La Soprintendenza ha predisposto la relazione tecnica e una bozza di provvedimento da sottoporre quanto prima alla regione Lombardia per il parere di competenza.
  Stante la situazione descritta, la Soprintendenza ritiene, ragionevolmente, che l’iter di approvazione della dichiarazione di notevole interesse pubblico possa concludersi nell'anno in corso.
  I competenti uffici del Ministero, specificatamente interpellati sul punto, hanno assicurato la massima attenzione alla questione evidenziata nell'interrogazione.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   DI LELLO, VALERIA VALENTE, IMPEGNO e TARTAGLIONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 17 gennaio 2017 gli aumenti annunciati da Trenitalia per i pendolari che utilizzano il Frecciarossa sono diventati realtà. Il Gruppo, infatti, ha dato il via libera ai nuovi abbonamenti per l'alta velocità;
   in media i prezzi sono aumentati del 35 per cento con un grave aggravio di costi per tutti i pendolari che, oltre al danno, sembrano avere ricevuto anche una beffa;
   Trenitalia, infatti, a differenza di Ntv che, nei mesi scorsi, ha progressivamente cancellato gli abbonamenti per Italo nelle tratte tra i capoluoghi di regione, ha pensato di prevedere 4 tipi diversi di abbonamento, che si differenziano per costo e giorni di utilizzo: in pratica, i pendolari dei Frecciarossa dovranno scegliere se utilizzare un abbonamento completo, per tutta la settimana e valido a tutte le ore o limitato per le corse nella fascia 9-17 (e quindi fuori dall'orario di punta, per i pendolari), o ancora solo dal lunedì al venerdì in entrambe le modalità (valido sempre o limitato). L'unico aumento contenuto è quello della fascia 9-17 inutilizzabile da un pendolare che a quell'ora o deve essere già al lavoro o non è ancora uscito;
   le tratte interessate coprono tutto il territorio nazionale: si va dalla Torino-Milano, alla Bologna-Firenze, alla Firenze-Roma, alla Milano-Firenze e alla Reggio Emilia-Milano. Leggermente più contenuto è il rincaro sulla Roma-Caserta – poco più del 31 per cento – mentre i viaggiatori abituali tra Bologna e Milano saranno costretti a pagare il salasso più alto, il 37,4 per cento in più;
   mentre il Codacons anticipa che presenterà un esposto all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, l'amministratore delegato di Trenitalia afferma: «Abbiamo mantenuto quanto avevamo anticipato in tutte le sedi confermando gli abbonamenti...»;
   quella sugli abbonamenti dell'alta velocità è una battaglia che va ormai avanti da tempo e che, nel 2016, aveva fatto pensare che Trenitalia potesse eliminare gli abbonamenti, come già fatto da Ntv con Italo –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato abbia intenzione di intraprendere al fine di tutelare tutti quei pendolari che si trovano a dover subire rincari così onerosi;
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di intraprendere al fine di verificare la congruità dei costanti aumenti dei costi di abbonamenti e biglietti che Trenitalia continua a perpetrare da anni a discapito del consumatore. (4-15263)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame; sulla base degli elementi forniti da Ferrovie dello Stato italiane (FSI) e dall'Autorità di regolazione dei trasporti (ART), si comunica quanto segue.
  Va premesso che, i servizi a mercato di media/lunga percorrenza, non sono oggetto di alcun corrispettivo pubblico, sono effettuati a rischio di impresa e si sostengono solo con i ricavi da traffico; pertanto, la relativa programmazione si basa su valutazioni di carattere commerciale (rientrano tra i servizi a mercato le frecce di Trenitalia, ossia Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca, nonché i treni internazionali).
  Il servizio universale comprende quei treni di media/lunga-percorrenza che per poter essere effettuati, necessitano di un corrispettivo pubblico, definito nell'ambito di un contratto di servizio Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Ministero dell'economia e delle finanze con Trenitalia, in quanto presentano un conto economico negativo. Nell'ambito di tale contratto di servizio vengono definite la quantità e le caratteristiche dei collegamenti di servizio universale da effettuare, nonché le relazioni da servire, coprendo con corrispettivi la differenza tra i ricavi da traffico previsti è i costi ammessi a remunerazione (rientrano nel servizio universale gli intercity e gli intercity notte).
  Da ultimo, i servizi regionali, che assicurano principalmente la mobilità pendolare, sono programmati dalle singole regioni, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da contratti di servizio, nell'ambito dei quali vengono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili dalle stesse regioni.
  In tale quadro, gli abbonamenti per i treni ad alta velocità (AV) sono una tipologia di titoli di viaggio emessa per autonoma scelta commerciale dell'impresa ferroviaria, nell'ambito di un segmento di mercato liberalizzato nel quale Trenitalia è l'unica impresa ad averli mantenuti e ad offrirli all'utenza pendolare.
  Trattandosi di treni a mercato, Trenitalia sostiene l'intero onere economico degli abbonamenti AV, senza ricevere alcuna compensazione con corrispettivi pubblici da Stato o Regioni, come accade invece per altre tipologie di servizi (Intercity – Regionali),
  Come dichiarato dall'autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) e ribadito dall'ART, la natura di mercato dei servizi AV implica che ciascuna impresa ferroviaria effettui le proprie scelte commerciali autonomamente, in funzione della loro redditività attesa, senza condizionamenti di alcun tipo in termini di quantità, conseguentemente di prezzo, dei servizi offerti, se non il pieno rispetto di un corretto confronto concorrenziale.
  In particolare, l'ART ha adottato la delibera n. 54 del 2016 avente ad oggetto specifici diritti degli abbonati del trasporto ferroviario sulle tratte AV; tale provvedimento opera, peraltro, dal momento in cui le imprese esercenti i servizi ferroviari di AV decidono, sulla base delle loro scelte commerciali, di intervenire con l'offerta di abbonamenti. L'autorità non ha quindi previsto un obbligo di offrire servizi in abbonamento, né avrebbe potuto prevedere tale obbligo sulla base del diritto vigente, nel cui ambito, come detto, il servizio di trasporto ferroviario AV è configurato come servizio in regime di mercato.
  L'Autorità ha, bensì, introdotto, misure specifiche a tutela e garanzia dei passeggeri che aderiscano a quelle offerte commerciali. Essa ha, altresì, espresso l'auspicio che tutte le imprese che operano il segmento dell'AV mantengano gli abbonamenti e configurino la propria offerta in modo di favorire la mobilità delle persone e la riduzione dei tempi di spostamento via ferrovia tra grandi città continue.
  Al riguardo, come riferisce, Ferrovie dello Stato italiane, Trenitalia ha investito significative risorse sui propri sistemi informativi e sui processi di gestione, così da ottemperare anche a quanto disposto dalla citata delibera ART n. 54 del 2016; ciò, tra l'altro, ha permesso di migliorare l'utilizzazione degli abbonamenti, semplificando le modalità di acquisto e prenotazione.
  Inoltre, FSI evidenzia che per venire incontro alle diverse esigenze di viaggio dei pendolari, dal mese di febbraio 2017, l'abbonamento è stato declinato in quattro diverse versioni a prezzo crescente in relazione alla sua ampiezza d'uso, («giorni feriali lunedì – venerdì, fascia oraria 9.00 – 17.00»; «Tutti i giorni, sabato e domeniche incluse, fascia oraria 9.00 – 17.00»; «giorni feriali lunedì – venerdì – senza limitazioni di fasce orarie»; «Tutti i giorni, sabato e domeniche incluse, senza limitazioni di fasce orarie»). Le prime due versioni costano meno del prezzo in vigore a gennaio, le seconde due di più.
  Anche nelle versioni che consentono un più ampio spettro di utilizzo e hanno quindi i prezzi più alti («Tutti i giorni, sabato e domeniche incluse, senza limitazioni di fasce orarie» e «giorni feriali lunedì e venerdì – senza limitazioni di fasce orarie»), il costo attuale dell'abbonamento consente ai pendolari che ne fanno pieno utilizzo un forte risparmio su quanto spenderebbero acquistando singolarmente ogni viaggio. Lo sconto varia, a seconda delle tratte e della tipologia di abbonamento, dal 70 a oltre l'80 per cento (a titolo di esempio, all'estero, laddove siano presenti formule di abbonamento, i relativi prezzi – oltre ad essere più elevati – non garantiscono livelli di risparmio paragonabili a quelli di Trenitalia).
  Inoltre, Ferrovie dello Stato italiane fa presente che il prezzo degli abbonamenti, per la quasi totalità delle tratte interessate, non subiva variazioni dal febbraio 2011.
  In ogni caso, Trenitalia ha comunicato la propria decisione di dimezzare, in via transitoria, gli aumenti degli abbonamenti AV. L'operatività dei nuovi prezzi (con aumenti ridotti temporaneamente del 50 per cento) è stata prevista a valere sugli abbonamenti di marzo. Per quanto pagato in più a febbraio è stato, comunque, disposto il rimborso agli abbonati già a partire dal 9 febbraio.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese – alla luce del quarto pacchetto ferroviario che definisce il nuovo contesto regolatorio dell'Unione europea, che implica una riorganizzazione del mercato ferroviario e degli obblighi di servizio pubblico – diventa non più rinviabile una seria riflessione sull'assetto, l'efficienza e la competitività della rete e dei servizi ferroviari regionali includendo fra questi anche quelli delle ferrovie ex-concesse;
   queste ultime, che assommano a circa 3.500 chilometri di rete, pari quasi a un quarto dell'intera rete ferroviaria nazionale, non sono state sottoposte alle regole della riforma ferroviaria comunitaria;
   nella regione Lazio, secondo l'interrogante, com’è noto, due ferrovie concesse in particolare operano nel trasporto pubblico locale: la Roma Lido la cui infrastruttura è compresa all'interno dei confini del comune di Roma e la Roma Viterbo che va oltre i confini del comune di Roma e serve diversi comuni delle province di Roma e di Viterbo;
   quest'ultima, inoltre, vive una diversa realtà istituzionale, trattandosi di una, ferrovia concessa connessa, compresa perciò nell'elenco di cui al decreto ministeriale del 5 agosto 2005, con obblighi e norme sulla sicurezza e sull'assegnazione dalla capacità da rispettare come previsto dall'articolo 3 dello stesso decreto. Obblighi e norme che prevedevano che le regioni dovevano recepire nel proprio ordinamento i contenuti del decreto legislativo n. 188 del 2003 e dovevano perciò individuare i gestori di ciascuna rete, i soggetti responsabili dell'assegnazione della capacità, l'organismo di regolazione e, nettamente separato, il soggetto per il servizio di trasporto pubblico. Questi da individuare normalmente attraverso gara;
   la regione Lazio, secondo l'interrogante, ha disatteso le indicazioni di legge e si è limitata, invece, ad assegnare le due concesse alla gestione dell'Atac, azienda di trasporto di proprietà del comune di Roma, per svolgere insieme le funzioni di gestore della rete e del servizio di trasporto con i pessimi risultati da più parti lamentati;
   l'assessore ai trasporti della regione Lazio Civita ha denunciato in diverse occasioni, ed (anche recentemente, anche l'incapacità dell'Atac di spendere i fondi assegnati per le infrastrutture delle due ferrovie concesse;
   la ferrovia Roma Lido, come è noto, è stata recentemente fatta oggetto di una proposta di project financing da parte di alcune imprese riunite in Consorzio, fra queste la francese Ratp capofila insieme all'Ansaldo;
   la regione Lazio ha richiesto, giuste le dichiarazioni rese dal presidente Zingaretti, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di poter attingere ai fondi FAS per una somma di 200 milioni di euro per poter intervenire sulla infrastruttura oggetto della proposta di project financing;
   nel bilancio di previsione 2016-2018 della regione Lazio sono previsti, tra l'altro, investimenti per un importo di 150 milioni di euro per la linea ferroviaria regionale Roma Viterbo;
   il Ministro Delrio in occasione della presentazione dell'aggiornamento 2015 del contratto di programma Ministero delle infrastrutture e dei trasporti-Ferrovie dello Stato italiana-Rete ferroviaria italiana per gli investimenti nel settore ferroviario ha riferito di altri 8 miliardi di euro di investimento che saranno presto oggetto dell'aggiornamento 2016 e ha espresso interesse e disponibilità a farsi carico delle richieste della regione Lazio riguardanti le due ferrovie concesse;
   la regione Lazio, aveva bandito una gara europea per il raddoppio della tratta Riano Sant'Oreste poi annullata con il cambio della maggioranza politica del governo regionale che ha ritenuto di impiegare in modo diverso le relative risorse finanziarie; dal che si deduce che vi sono tutte le condizioni per procedere rapidamente alla gara qualora si volesse dar seguito alle rinnovate intenzioni della regione Lazio;
   la regione Lazio non ha dato seguito, inoltre, alla gara europea, già aggiudicata, per l'individuazione dei servizi minimi su ferro e ad oggi non è provvista degli strumenti necessari e indispensabili per la definizione degli elementi contrattuali al fine dell'effettuazione delle eventuali gare per il servizio di trasporto pubblico locale nelle due ferrovie concesse;
   la città di Roma oltre a svolgere la funzione di capitale della Repubblica, si è candidata ad accogliere le prossime Olimpiadi del 2024, con la conseguente esigenza di dar corso rapidamente alla razionalizzazione delle infrastrutture su ferro. In particolare, deve essere definita in tempi rapidi, oltre alla chiusura dell'anello ferroviario a nord e all'implementazione della rete tranviaria, sia la scelta del collegamento con Tor Vergata, sede di importanti avvenimenti delle olimpiadi oltre che del Campus Universitario, decidendo se far raggiungere dalla linea A o dalla linea C della metropolitana, sia la sorte della linea C dopo il raggiungimento della Stazione Fori Imperiali-Colosseo –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a:
    a) agevolare l'acquisizione di Rete ferroviaria italiana delle due ferrovie concesse Roma Lido e Roma Viterbo al fine dell'ammodernamento e della messa in sicurezza delle infrastrutture ferroviarie e delle relative stazioni convogliando al riguardo tutte le risorse a vario titolo ad esse destinate ivi comprese quelle eventualmente disponibili nell'integrazione prevista dalla legge di stabilità e dal decreto-legge «Sblocca Italia» per gli investimenti ferroviari;
    b) attivare tramite le strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti competenti per materia, un'attenta verifica della necessità del mantenimento della connessione della Roma-Viterbo alla rete nazionale, di cui al decreto 5 agosto 2005, e quindi delle eventuali funzioni cargo della linea stessa con la rivisitazione del progetto approvato dalla regione Lazio per l'ammodernamento della linea;
    c) verificare i presupposti per partecipare in mancanza degli strumenti adeguati da parte della regione Lazio, alla definizione degli schemi dei bandi delle gare al fine di poter svolgere una regolare competizione fra imprese per il mercato del trasporto pubblico locale nelle due ferrovie ex concesse, ciò anche alla luce dei nuovi ulteriori compiti che il Governo vuole assegnare all'ART;
    d) sperimentare nella circostanza, al fine di promuovere una più larga partecipazione alla gara, il ricorso per la disponibilità del materiale rotabile, di cui le due linee hanno urgente necessità, al «ROSCÒs» della cui istituzione si è dato conto nel corso della conferenza stampa di presentazione degli investimenti nel settore ferroviario di cui in premessa;
    e) favorire l'acquisizione da parte di Rete ferroviaria italiana di tutte le altre ferrovie concesse che a livello nazionale possano rappresentare un ulteriore contributo al miglioramento delle condizioni di trasporto per i pendolari e per il trasporto merci su ferro che costituiscono secondo gli intendimenti del Governo, più volte dichiarati, una scelta strategica di grande rilievo;
    f) far sì che i vari livelli istituzionali interessati alla definizione delle scelte delle opere ferroviarie menzionate in premessa che riguardano la Capitale facciano chiarezza in un quadro di razionalizzazione delle risorse a vario titolo impegnate, superando il caos che si sta verificando nella città di Roma che vede cantieri fermi, operai messi in mobilità, vaste aree della città impegnate da lavori di cui non si conoscono più i tempi di esecuzione e le finalità. (4-13183)


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'assessore ai trasporti della regione Lazio Michele Civita, nel corso dell'audizione presso il Senato della Repubblica riguardante la linea ferroviaria concessa Roma Lido ha affermato che è in preparazione un nuovo accordo di programma con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la utilizzazione dei fondi europei per ammodernare la ferrovia Roma-Lido;
   l'assessore ai trasporti della regione Lazio ha inoltre reso noto che, per quanto a lui risulta, allo stato non esistono all'uopo progetti o ipotesi concrete per la Roma Lido. L'ATAC concessionaria della linea, seppure in scadenza di contratto, non ha risposto infatti alle sollecitazioni della regione; dal che si deduce che non esistano progetti pronti;
   l'assessore ha quindi riferito che esiste un consorzio di imprese, i cui capofila sono Ansaldo e RATP, che ha proposto un project financing per la riqualificazione e per la trasformazione della linea in metropolitana a tutti gli effetti, con un treno ogni sei minuti nelle ore di punta e un intervallo minimo garantito di 15 minuti. Il project financing prevede la concessione dell'infrastruttura e dei servizi per un periodo di 25 anni, il rinnovo pressoché totale del parco rotabile con l'arrivo di nuovo materiale per una cifra totale pari a 447 milioni di euro, di cui 219 sarebbero contributi pubblici a carico della regione, oltre a un canone che la stessa regione dovrebbe versare pari a 44 milioni di euro per i primi tre anni e 78 milioni per i restanti anni della concessione;
   l'assessore Civita ha inoltre informato che la conferenza di servizi per esaminare il project financing è ancora in corso, ma ha anche aggiunto che «il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sostiene tecnicamente che non vi siano le condizioni per la trasformazione della linea in metropolitana» e ciò sia per il diradamento delle stazioni, sia per il grado di riempimento che non giustificherebbero questa diversa qualificazione;
   per la Roma Lido, sempre secondo le dichiarazioni dell'assessore Civita, esisterebbe al momento solo uno studio, non un progetto, effettuato dalla regione Lazio che richiederebbe un impegno di risorse pari a 180 milioni di euro, ma che si tratterebbe di una proposta tutta da verificare;
   nel corso dell'audizione presso il Senato della Repubblica l'assessore Civita ha poi riferito che la regione sta lavorando per la definizione di un nuovo contratto di servizio da sottoscrivere con ATAC per la gestione della ferrovia concessa Roma Lido. Il contratto in essere è ormai scaduto e l'ipotesi sul tavolo è quella di rinnovare fino al 2019 con previsione di rescissione con preavviso di sei mesi;
   la ferrovia Roma Lido continua, intanto, a registrare una situazione di totale abbandono, con continue interruzioni del servizio, corse soppresse, ritardi di oltre mezz'ora, treni che si fermano di continuo che costringono i pendolari a usare bus sostitutivi con le conseguenze facilmente immaginabili sopportate anche da chi ha un orario di lavoro da rispettare;
   la valutazione del Ministero sulla impossibilità tecnica della trasformazione della Roma Lido in metropolitana esclude in maniera definitiva la possibilità di accedere ai fondi europei per il project financing presentato dal Consorzio di imprese –:
   in relazione alla competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in materia di vigilanza sulle condizioni di sicurezza delle infrastrutture ferroviarie e dei treni delle ferrovie concesse, se siano stati fatti controlli e quanti e quali iniziative siano state assunte per risolvere le continue interruzioni di servizio sulla linea riguardanti sia l'infrastruttura che il materiale rotabile, anche al fine di assicurare condizioni di sicurezza per gli utenti e i lavoratori;
   se non ritenga, visto il rinnovato interesse del Governo per la cosiddetta «cura del ferro» e segnatamente per la ferrovia concessa Roma Lido e considerata la conclamata mancanza di un progetto pronto, di intervenire mettendo a disposizione le strutture tecniche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o di Rete ferroviaria italiana al fine di predisporre in tempi rapidi un progetto di ammodernamento della Roma Lido per poi impegnare le risorse europee FSC;
   se non ritenga, d'accordo con la regione Lazio, di assumere iniziative per l'acquisizione da parte di Rete ferroviaria italiana delle linee ferroviarie concesse Roma Lido e Roma Viterbo, al fine di progettare e realizzare il loro ammodernamento e consentire così in breve tempo di poter offrire, tramite gara, ai cittadini un servizio degno della Capitale, tenendo conto che ciò supererebbe ogni intenzione di rinnovare l'affidamento all'ATAC sia della gestione dell'infrastruttura, che del servizio di trasporto i cui pessimi risultati sono ormai di pubblico dominio. (4-13184)

  Risposta. — Con riferimento alle interrogazioni in esame, cui risponde congiuntamente in quanto trattano di analogo argomento, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per i sistemi di trasporto ad impianti fissi e il trasporto pubblico locale di questo Ministero.
  Si premette che la tematica trattata attiene a competenze della regione Lazio posto che le funzioni e i compiti di amministrazione e programmazione in materia di servizi ferroviari regionali sono stati conferiti alle regioni in applicazione del disposto di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 422 del 1997 e della riforma del Titolo V della Costituzione; permangono in capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le competenze relative alla sicurezza di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753, e il riparto e l'erogazione di fondi statali per il potenziamento e l'ammodernamento delle relative infrastrutture e dei rotabili.
  Occorre anche ricordare che con decreto legislativo n. 112 del 2015 è stata recepita nell'ordinamento nazionale la direttiva europea 2012/34, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico.
  In linea con l'obiettivo comunitario di agevolare il trasporto ferroviario tra gli Stati membri dell'Unione europea promuovendo lo sviluppo della competizione e la libera circolazione di persone e merci, il predetto decreto legislativo declina i principi di autonomia e indipendenza gestionale, amministrativa e contabile delle imprese ferroviarie e di indipendenza delle funzioni essenziali del gestore dell'infrastruttura relative alla determinazione e riscossione dei canoni e all'assegnazione di capacità dell'infrastruttura, di libertà di accesso al mercato dei trasporti di merci e di passeggeri per ferrovia da parte delle imprese ferroviarie a condizioni eque, non discriminatorie e trasparenti e tali da garantire lo sviluppo della concorrenza nel settore ferroviario, ponendo particolare riguardo alla tutela degli investimenti pubblici e alla necessità di garantire una maggiore partecipazione degli stakeholder circa l'uso, la disponibilità e lo sviluppo dell'infrastruttura ferroviaria.
  Dal campo di applicazione del suddetto decreto sono escluse le reti ferroviarie locali e regionali isolate adibite al trasporto passeggeri, le reti adibite unicamente alla prestazione di servizi passeggeri urbani e suburbani e le infrastrutture ferroviarie private adibite unicamente alle operazioni merci del proprietario delle stesse infrastrutture; l'esclusione si applica anche alle imprese ferroviarie che eserciscono i suddetti servizi su tali reti. Inoltre, il decreto legislativo dispone che con decreto Mit, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, siano individuate le reti ferroviarie rientranti nell'ambito di applicazione del decreto stesso e per le quali sono attribuite alle regioni le funzioni e i compiti di programmazione e amministrazione di cui al sopra detto decreto legislativo n. 422 del 1997.
  Nello specifico, la Direzione generale per il trasporto pubblico locale informa che l'attuale interconnessione della linea ferroviaria Roma – Civita Castellana – Viterbo con Rfi in località Fabrica di Roma, peraltro ubicata sulla linea Rfi Orte – Capranica da tempo sospesa all'esercizio, appare utilizzabile solo per l'inoltro di materiale per la manutenzione della linea, considerate le sue peculiari caratteristiche tecniche.
  Inoltre, la predetta Direzione generale riferisce che la regione Lazio ha segnalato come tale linea ferroviaria debba essere esclusa dall'elenco delle ferrovie interconnesse di cui al decreto ministeriale 5 agosto 2016 (Gazzetta Ufficiale n. 216 del 15 settembre 2016) finalizzato ad ottemperare a quanto previsto all'articolo 1, comma 6, del citato decreto legislativo n. 112 del 2015, in forza della delibera n. 191 del 15 aprile 2014; delibera nella quale si dichiara che detta ferrovia multa di fatto «isolata» e, quindi, ricadente nel campo di esclusione disciplinato dall'articolo 1, comma 2, lettera a), del predetto decreto.
  In merito all'acquisizione o alla gestione delle ferrovie regionali Roma – Lido e Roma – Civita Castellana – Viterbo da parte di Rfi, le scelte potranno essere assunte dalla Regione Lazio in accordo con i soggetti interessati, e comunque delineando un quadro più generale di programmazione della mobilità a livello regionale ovvero nazionale. Inoltre, la predetta Direzione generale informa che, ai fini dell'espressione di un parere tecnico-economico sulla proposta di trasformazione della linea Roma – Lido, è necessario ricevere un progetto del costo dell'intervento, oltre naturalmente al modello di esercizio da effettuare e alla conseguente domanda potenziale. Quanto al servigio effettuato attualmente da Atac sulla linea, si rammenta la piena competenza della regione sia sotto il profilo della programmazione dei servizi che della gestione degli stessi.
  Per quanto riguarda, poi, la definizione degli schemi dei bandi di gara per l'affidamento dei servizi ferroviari e della gestione dell'infrastruttura, nonché l'eventuale acquisto di materiale rotabile si ricorda la piena competenza della regione Lazio in virtù del trasferimento delle funzioni richiamate in premessa, la quale opera nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie e nel aspetto delle disposizioni e direttive dell'autorità dei trasporti.
  Infine, sulle condizioni di sicurezza delle infrastrutture ferroviarie e dei treni, la medesima Direzione generale precisa che il Mit – attraverso l'Ufficio trasporti impianti fissi di Roma – effettua regolarmente le verifiche e prove sul materiale rotabile e sugli impianti previste dalla normativa vigente.
  Da ultimo, per quanto attiene all'utilizzo dei fondi per lo sviluppo e la coesione per il periodo 2014-2020 si precisa che con la delibera Cipe n. 54 del 1o dicembre 2016 (Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2017) sono stati previsti stanziamenti a favore delle ferrovie regionali Roma-Lido per 180 Roma-Civita Castellana-Viterbo, tratta Riano-Morlupo per 154 milioni di euro.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   FEDRIGA e MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   diverse sigle sindacali – fra le quali quelle del Coordinamento nazionale dei vigili del fuoco della Cgil parte della Cgil funzione pubblica, e del Conapo – hanno recentemente stigmatizzato, in diversi comunicati stampa, alcuni aspetti della ventilata riforma della Protezione civile che concernono l'attività del corpo di appartenenza dei loro iscritti;
   i comunicati hanno in particolare sottolineato come, nel contesto della riorganizzazione della Protezione civile, si stia pensando di sottoporre i vigili del fuoco alle singole prefetture, invece di responsabilizzarle appropriatamente la dirigenza tecnica del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ponendola al centro di tutto il sistema del Soccorso tecnico in costanza d'emergenza;
   sempre secondo la sezione Cgil dei vigili del fuoco e del Conapo, incomberebbe ormai il rischio di una crescente burocratizzazione del soccorso tecnico urgente;
   secondo i sindacati dei vigili del fuoco, riconoscere al Corpo dei vigili l'autonomia che questo desidera e valorizzarne le competenze nel soccorso, anche nel corso delle emergenze che determinano l'attivazione della Protezione civile, accrescerebbe invece l'efficienza e l'efficacia degli interventi –:
   se corrisponda al vero quanto affermato dalla sezione Cgil dei vigili del fuoco e dal Conapo circa la futura sottoposizione dei vigili del fuoco alle prefetture in costanza di gravi calamità;
   qualora corrispondesse al vero, per quale motivo si sarebbe rinunciato a valorizzare l'autonomia del Corpo dei vigili del fuoco e la capacità dei loro dirigenti tecnici anche in costanza di emergenza;
   quali sarebbero i motivi che indurrebbero il Governo a rendere secondario il ruolo dei vigili del fuoco in costanza di emergenza, sottoponendoli a coordinamento prefettizio invece di sfruttarne le capacità acquisite per porli al centro del sistema nazionale di protezione civile. (4-15486)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta che il 4 aprile 2017 è entrata in vigore la legge 16 marzo 2017, n. 30, recante delega al Governo per il riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale della protezione civile.
  Il provvedimento prevede all'articolo 1 che il Governo sia delegato ad adottare, entro nove mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi di ricognizione, riordino, coordinamento, modifica e integrazione delle disposizioni legislative vigenti che disciplinano il servizio nazionale della protezione civile.
  In tale ambito, il comma 1, lettera c) individua i prefetti, insieme ai sindaci e ai presidenti delle regioni, quali autorità territoriali di protezione civile e specifica che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nell'immediatezza dell'evento calamitoso, assume la responsabilità del soccorso tecnico urgente.
  In particolare, i prefetti assicurano, a livello territoriale, il necessario raccordo funzionale tra i vari attori e livelli istituzionali presenti nel complesso sistema della protezione civile, rivestendo inoltre un ruolo essenziale nell'attivazione di tutte le forze statali presenti sul territorio.
  Detto ciò, si evidenzia tuttavia che la fondamentale funzione di coordinamento svolta dai prefetti non comporta alcuna «sottoposizione» alle prefetture dei soggetti coordinati, né rende secondario il ruolo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che resta la fondamentale componente operativa del sistema nazionale di protezione civile.
  Si sottolinea infine che tale ruolo del Corpo – al quale fa capo la responsabilità della direzione tecnica dei soccorsi in presenza di eventi calamitosi di protezione civile – potrà trovare ulteriore conferma oltreché adeguata disciplina in sede di adozione dei decreti legislativi attuativi della delega in argomento.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LAFFRANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 luglio 2016 l'ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, annunciava in pompa magna l'apertura della Perugia – Ancona (nonché della Foligno – Civitanova), promettendo il completamento definitivo dell'opera entro la fine del 2017;
   la Perugia – Ancona è una direttrice lunga circa 15 chilometri che si estende da Pianello a Sospertole, connettendo i tratti già esistenti e completando la realizzazione del tracciato in variante alla strada statale 318 di Valfabbrica, nonché il tratto umbro della direttrice. L'investimento complessivo per la realizzazione delle opere ha sfiorato i 225 milioni di euro;
   il nuovo tratto è stato aperto per consentire una riduzione dei tempi di percorrenza di circa 20 minuti (da 30 minuti a 10 minuti), con un accorciamento del percorso di 6,5 chilometri e un abbattimento della produzione di anidride carbonica stimato in 17 tonnellate al giorno;
   il transito ufficiale è iniziato alle ore 13.00 del 28 luglio 2016, con tanto di dichiarazione solenne di Matteo Renzi: «Questa strada è il paradigma del rilancio del Paese. Accade che imprese che sembravano impossibili a un certo punto realizzano. Oggi l'Italia ha deciso di smettere di arrivare in ritardo sulle infrastrutture (...). Smettere con rinvii e ritardi, questo è il senso dell'inaugurazione. (...) L'Italia che fa deve essere la locomotiva dell'Europa. Smettiamo con l'Europa dell’austerity: è una follia, quella di bloccare le infrastrutture, che non deve ripetersi più»;
   si tratterebbe di un'opera di indubbia necessità, se effettivamente funzionante ed efficiente come ci si aspettava. Ma purtroppo non è così. Già in sede di inaugurazione, l'interrogante aveva precisato che il Partito democratico fece ricorso dapprima contro la legge obiettivo (voluta dal Governo di centrodestra), poi addirittura ricorso al Tar del Lazio contro il progetto di ampliamento delle due strade di collegamento delle Marche con l'Umbria. Renzi, secondo l'interrogante, insomma si accaparrava meriti non suoi, nel rispetto del suo modus operandi;
   purtroppo, oltre a questo, in questi primi mesi di operatività del tratto, si sono registrati innumerevoli disagi: già nel mese di gennaio 2017 la strada è stata chiusa per una settimana, senza alcuna comunicazione ufficiale preventiva, per interventi di natura straordinaria sul tratto Casacastalda-Valfabbrica, tra l'altro durante copiose nevicate. Il tutto si è tradotto in una situazione insostenibile per i malcapitati transitati in quei giorni;
   a febbraio 2017 si è assistito ad una nuova chiusura del tratto Valfabbrica-Casacastalda, a causa di giunti difettosi da rimuovere o aggiustare;
   sempre nei primi mesi del 2017 si è resa necessaria una manutenzione del tratto Branca-Schifanoia, a causa di dissesti importanti che congestionano quotidianamente il traffico;
   con riferimento a galleria Picchiarella, galleria Casacastalda e viadotto Calvario, inseriti nel piano pluriennale dell'Anas, con lo stanziamento di 100 milioni di euro, si è recentemente appreso che la progettazione è prevista solo per la prossima estate e la predisposizione del bando per l'appalto addirittura per il 2018;
   nel mese di marzo il maltempo ha bloccato completamente la circolazione. A causa delle piogge abbondanti, un fiume d'acqua si è abbattuto sulla galleria di Pianello. A lanciare l'allarme sono stati gli stessi automobilisti in transito sul tratto in direzione Ancona –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell’escalation di disagi che ha colpito la Perugia – Ancona dal giorno dell'inaugurazione (solo 8 mesi fa) ad oggi e quali iniziative ritenga di mettere in atto, con tutti gli strumenti di competenza (e di concerto con Anas) per sollecitare il completamento delle opere e la loro manutenzione affinché il nuovo tratto sia effettivamente una miglioria per la circolazione degli automobilisti in transito e non un ulteriore inconveniente come nel recente passato. (4-15912)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e la Società Anas.
  Per scongiurare i disagi derivanti dalle precipitazioni di straordinaria intensità che hanno interessato il territorio umbro-marchigiano nel mese di gennaio 2017, l'Anas ha posto in essere tempestivamente i necessari interventi volti al ripristino della transitabilità della rete stradale coinvolta.
  Con particolare riguardo al tratto Casacastalda-Valfabbrica della Strada Statale 318, le attività di ripristino hanno richiesto la suddivisione dell'intervento manutentivo in due fasi distinte: la puma riguardante la direzione Casacastalda-Valfabbrica, è stata effettuata a gennaio, mentre la seconda, per il senso di marcia opposto, è stata realizzata nel mese di febbraio 2017. Anas riferisce anche che l'esecuzione di tali interventi, svolti in condizione d'urgenza e indifferibilità, è stata annunciata attraverso appositi comunicati stampa.
  Inoltre, per il tratto della SS 318 di Valfabbrica, nella proposta di Piano pluriennale 2016-2020 sono stati inseriti nuovi interventi per completare il raddoppio del tratto di strada tra la gallerie Picchiarella e Casacastalda, di cui sono in corso le relative progettazioni. In particolare, per il tratto Valfabbrica-Schifanoia sono previsti interventi di completamento del 5o lotto, 1o stralcio, parte B con raddoppio galleria Picchiarella e viadotto Tre Vescovi; l'importo è di 49,24 miliardi di euro, con proposta di finanziamento su fondo unico (Fu) e appaltabilità prevista; per il 2018.
  Sullo stesso tratto sono anche previsti interventi di completamento del 5o lotto, 2o stralcio con raddoppio galleria Casacastalda e viadotto Calvario; l'importo è di 87,06 miliardi di euro, con proposta di finanziamento su Fondo unico (Fu) e appaltabilità prevista per il 2018.
  Per quanto concerne, poi, la tratta Branca-Schifanoia – ubicata tra il km 30+000 e il km 30+700 della SS 318 e facente parte di un tracciato stradale preesistente rispetto a quello inaugurato nel 2016 – l'intervento previsto nell'ambito del contratto di programma 2016 ha consentito l'eliminazione di importanti dissesti del piano viabile ed è stato ultimato il 31 gennaio 2017.
  Anche la galleria S. Egidio (e non galleria Pianella) – situata lungo un tratto viabile non ricompreso nel tracciato recentemente inaugurato – è stata interessata da precipitazioni torrenziali tali da determinare rapporto sul piano viabile di fango e detriti provenienti dai terreni adiacenti, con conseguente accumulo di acqua sulla sede stradale. Pertanto, si è reso necessario procedere alla chiusura della carreggiata nel senso di marcia in direzione di Ancona, con deviazione della circolazione sulla carreggiata opposta; Anas è comunque intervenuta assicurando il tempestivo ripristino della transitabilità.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. – Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   in riferimento al progetto di esplorazione del sottosuolo di gas e idrocarburi «Torre del Moro», autorizzato con un decreto l'8 febbraio 2017 dal Ministero dello sviluppo economico, sono state molteplici le prese di posizione e le proteste sul territorio;
   il permesso rilasciato in favore della società australiana Po Valley Operations riguarda un'area di circa 111 chilometri quadrati nel territorio dei comuni di Cesena, Forlì, Forlimpopoli, Bertinoro e Meldola, a fronte di un canone annuo di 573 euro;
   Po Valley Operations in un'intervista pubblicata sul Resto del Carlino di mercoledì 15 marzo 2017, tramite la sua rappresentante legale Sara Edmonson, dichiara di essere stata autorizzata per studi geologici e geofisici, «Ognuna delle eventuali attività esplorative sul campo, compresa la perforazione di un pozzo esplorativo, dipenderà dal risultato degli studi effettuati», assicura che per ora «non esiste nessun giacimento. Gli Studi sono in fase iniziale», e, qualora si trovasse, «dovrà comunque sottostare a un nuovo iter autorizzativo che include nuovamente una valutazione di impatto ambientale»;
   la posizione espressa in consiglio comunale il 14 marzo 2017 dall'assessore all'ambiente del comune di Forlì, che ha dichiarato di non avere neanche ricevuto formale comunicazione, è di essere intenzionato a fare ricorso ad aprile al Tar del Lazio o entro maggio al Presidente della Repubblica insieme agli altri comuni interessati;
   nello stesso articolo summenzionato, la società australiana, agli amministratori locali che dicono di non essere stati messi a conoscenza del permesso di ricerca, ha replicato rispondendo che «i comuni di Cesena, Bertinoro, Forlimpopoli, Forlì e Meldola sono stati coinvolti sin dall'inizio nell’iter della valutazione di impatto ambientale: erano presenti alle conferenze dei servizi che si sono tenute in regione il 10 gennaio e il 29 maggio 2013, dove hanno potuto esprimere le loro osservazioni e proporre prescrizioni al progetto. Hanno infine sottoscritto il rapporto ambientale finale»;
   in realtà il ricorso al Tar Lazio, previsto dall'articolo 7 del decreto di conferimento, potrebbe essere presentato dai cittadini dei comuni coinvolti poiché ogni decisione è stata assunta senza che la popolazione interessata fosse stata coinvolta nel processo decisionale nonostante la legge regionale dell'Emilia Romagna n. 3 del 2010 promuova una maggiore inclusione e partecipazione dei cittadini e delle loro organizzazioni nei processi decisionali di competenza delle istituzioni elettive, dalla fase di progettazione a quella attuativa, e preveda anche di tenere in debita considerazione l'esito del processo partecipativo;
   il 27 luglio 2016, in risposta a una interrogazione in Commissione attività produttive della Camera dei deputati, il Governo ha segnalato che, con una sentenza dell'11 febbraio 2015, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito che, secondo il diritto europeo, mentre non c’è l'obbligo di valutazione di impatto ambientale per i progetti di ricerche di idrocarburi, c’è invece l'obbligo di sottoporli a screening–:
   se il Governo, in risposta alle legittime proteste delle popolazioni dei comuni interessati esautorati del loro diritto sancito dalla legge regionale n. 3 del 2010, non ritenga opportuno intervenire per revocare l'autorizzazione e affinché venga interrotta ogni attività di esplorazione;
   se, anche alla luce della richiamata sentenza della Corte di giustizia, intenda urgentemente verificare se, sul territorio interessato, siano state preventivamente effettuate le obbligatorie attività di screening e se voglia rendere pubblici i risultati. (4-16043)

  Risposta. — Si risponde all'atto in esame, per quanto di competenza, rappresentando ciò che segue.
  Il permesso di ricerca per idrocarburi liquidi e gassosi «Torre del moro» è stato conferito con decreto ministeriale 8 febbraio 2017, emanato a valle dell'acquisizione della delibera di giunta regionale della regione Emilia Romagna (n. 725) dei 10 giugno 2013, con la quale è stata riconosciuta la compatibilità ambientale del programma dei lavori relativo al richiesto permesso di ricerca, e a valle della delibera di Giunta della regione Emilia Romagna (n. 2124) del 21 dicembre 2015, con la quale è stata espressa l'intesa favorevole della stessa regione.
  In particolare, il rilascio di un permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, avviene a seguito di un procedimento unico al quale, ai sensi della legge n. 239 del 2004, come modificata dall'articolo 27, comma 34 della legge n. 99 del 2009, partecipano le amministrazioni statali e regionali interessate. All'interno dello stesso vengono acquisiti i pareri delle amministrazioni, l'esito della procedura di valutazione di impatto ambientale e, per la terraferma, l'intesa della regione.
  L'esito della valutazione ambientale e il rilascio di intesa da parte della regione competente hanno valore vincolante per ogni attività del Mise ai fini del successivo conferimento dei titoli minerari.
  Si fa presente che i comuni interessati sono stati sentiti in primo luogo dalla regione Emilia Romagna. Infatti, dai contenuti della citata delibera di Giunta della regione Emilia Romagna (n. 725) del 10 giugno 2013 si rileva che la stessa regione ha provveduto a dare comunicazione dell'avvio del procedimento inerente all'istanza della società PO Valley Operations mediante avvisi pubblicati presso la regione stessa, la provincia di Forlì ed i comuni di Cesena, Bertinoro, Forlimpopoli, Forlì e Meldola, nonché, con un'ulteriore pubblicazione su un quotidiano a diffusione nazionale.
  Evidenzio altresì che la stessa regione, ai fini dell'emanazione della precitata delibera, ha indetto una conferenza di servizi formata da propri rappresentati, da quelli della Provincia di Forlì e da quelli dei comuni interessati citati.
  Il Ministero dello sviluppo economico con nota del 9 febbraio 2017 ha dato comunicazione ai detti comuni, dell'avvenuta emanazione del decreto di conferimento del permesso di ricerca Torre del moro.
  Con il decreto di conferimento è stato approvato il programma dei lavori che, in base alle vigenti norme minerarie, deve prevedere in via solo programmatica la perforazione di un sondaggio esplorativo consequenziale previo svolgimento di un'attività, di indagine geologica e geofisica che si concluda con esito positivo in relazione all'effettuazione del sondaggio.
  Allo stato la società non può procedere alla perforazione di alcun sondaggio esplorativo, la cui esecuzione potrà avvenire solo a valle di uno specifico procedimento istruttorio che prevede, tra l'altro, l'acquisizione della valutazione d'impatto ambientale e l'intesa della regione.
  Al riguardo, si rappresenta che, per gli aspetti di competenza del Ministero dello sviluppo economico nell'eventuale fase autorizzatoria del pozzo esplorativo, gli enti locali saranno ulteriormente pienamente coinvolti nella decisione, come previsto dalla stessa legge n. 99 del 2009 e dal regolamento di cui al decreto direttoriale 15 luglio 2015 che contempla, tra le amministrazioni comunque interessate al procedimento unico volto all'autorizzazione alla perforazione in terraferma, oltre alla regione interessata, alla provincia e alle soprintendenze anche i comuni.
  L'autorizzazione alla perforazione del pozzo esplorativo previsto nel programma lavori del permesso di ricerca e di tutte le infrastrutture indispensabili all'attività di perforazione, è accordata con provvedimento dell'Ufficio Territoriale competente del Ministero dello sviluppo economico, a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e locali interessate svolto nel rispetto dei principi di semplificazione di cui alla legge n. 241 del 1990.
  La perforazione del sondaggio è subordinata, come sopra evidenziato, a valutazione d'impatto ambientale e intesa della regione.
  Ciò premesso si precisa che, nell'ambito dell'ulteriore procedura di autorizzazione, compresa quella di Via, finalizzata alla perforazione del sondaggio esplorativo si terrà conto di tutte le problematiche ambientali eventualmente rilevate, nonché delle opposizioni alla perforazione medesima avanzate dalle istituzioni e/o dai comitati locali e dai comuni medesimi.
  Si evidenzia, inoltre, in merito alla regolarità dell'attività di perforazione che, le attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma e in mare, sono svolte sotto il controllo continuo del Ministero dello sviluppo economico, in conformità alle disposizioni normative di settore vigenti e sulla base delle prescrizioni imposte dalla competente regione.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   MARCON. – Al Ministro per l'ambiente, tutela del territorio e del mare, al Ministro per la salute. – Per sapere, premesso che:
   Molfetta, città di quasi 60 mila abitanti, 25 chilometri a nord di Bari si affaccia sulla costa del mare Adriatico, con il quale ha sempre avuto nella storia un rapporto simbiotico;
   il mare davanti a Molfetta, è una delle più grandi discariche di bombe chimiche disseminate di tutto l'occidente. Ancora manca una ricognizione precisa dell'effettiva quantità e della dislocazione sott'acqua, ma una sostanza come l'iprite, caricata in ogive ormai corrose, sta lentamente fuoriuscendo;
   i pescatori vengono spesso a contatto con queste sostanze nocive quando le reti che tirano su si impigliano in qualche ordigno. «Succede quotidianamente, ci dice il dottor Guglielmo Facchini, che ha in cura molti pescatori». 239 sono i feriti gravemente e 5 i morti accertati ufficialmente dal 1946 alla fine degli anni 90. I numerosi e continui incidenti recenti non sono stati ancora riconosciuti;
   il nuovo porto commerciale, un vero ecomostro, costruito su un letto pieno di bombe spezza la vista dell'orizzonte prima visibile. In una situazione tale era un progetto del tutto irrealistico che non doveva mai iniziare e non potrà mai finire ha scritto la procura di Trani che nell'ottobre 2014 ha sequestrato la grande opera, non terminata, già costata 70 milioni di euro. Intanto è stato distrutto un panorama unico che era sottoposto a vincolo storico paesaggistico. Ed è sparita un'alga preziosa e rara la posidonia che si trovava in quelle acque, una pianta protetta, soppiantata da un'altra, l'alga tossica come ha denunciato Legambiente nel 2009 con un esposto;
   con il grande porto nuovo, voluto da Antonio Azzollini, sindaco di Molfetta dal 2006 al maggio 2013, e insieme presidente pro tempore della commissione bilancio del Senato si apriva il «rubinetto-porto» per finanziare qualunque attività e spese correnti come emerge dagli atti della procura di Trani che ha rinviato a giudizio Azzolini per associazione a delinquere, truffa a danno dello Stato, concussione e altri reati l'ottobre 2013. Tra i 63 rinviati a giudizio anche la Cooperativa Muratori e Cementisti (Cmc) di Ravenna, per associazione a delinquere, che è anche la maggiore azionista dei lavori per la Tav della Val di Susa. Il 6 marzo a Trani inizierà la procedura probatoria;
   Matteo d'Ingeo, coordinatore del movimento civico Liberatorio politico che da anni si batte per un'operazione verità sul porto e sulle bombe chimiche a mare, autore di numerosi esposti, indica le «zone rosse» del cantiere, così chiamate perché particolarmente affollate di bombe tanto da rendere impossibile il lavoro di dragaggio e ancor prima di ricognizione preliminare: il motivo per cui la ditta incaricata di farlo, la Locatelli di Trieste, ha rimesso l'incarico. Il dragaggio poi ha stuzzicato le bombe disseminate creando una discarica nella discarica, la cosiddetta cassa di colmata dove finivano scarti vari mischiati a ordigni;
   i lavori di bonifica dello Sdai (nucleo della Marina militare addetto allo sminamento) iniziati nel 2008 si basavano su una ricognizione solo parziale, non sistematica. 15 mila sono stimate le sole bombe caricate di sostanze chimiche come l'iprite, chiamato anche gas mustarda, il fosfogene, la lewisite, gas tossici e vescicanti contenuti in fusti e damigiane – creati per uccidere e per durare –, oltre a decine di migliaia di ordigni convenzionali affondati nel mare davanti a Molfetta;
   questo arsenale chimico si trovava nelle stive delle 17 navi inglesi e americane che nel 1943 furono sventrate da un feroce bombardamento nazista nel porto di Bari. Fu una notte d'inferno, con la città illuminata a giorno dalle fiamme e invasa da fumi tossici, coperto da un silenzio durato per decenni. Il porto di Bari andava liberato in fretta e le bombe smaltite a largo di Molfetta. Ma, non sempre arrivarono alle tre miglia e a 600 o 800 metri di profondità previsti; affidate a cooperative di pescatori pagati a tratta finirono spesso in acque più vicine;
   nel basso Adriatico, a Molfetta sono state sganciate anche le bombe Nato della guerra del Kosovo. Nel 2009 l'accordo di programma per la bonifica del basso Adriatico tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e regione Puglia riguardava la zona da Vieste a Otranto, ma ha finito per concentrarsi su Molfetta e sulla sola zona del porto;
   «Bisogna riconoscere Molfetta come zona di disastro ambientale» insiste D'Ingeo: i pescatori, ricattati tra salute e lavoro pagano il prezzo più alto venendo in contatto con le sostanze che avvelenano il mare e i pesci. Questi ultimi vengono dichiarati edibili poiché le tracce di veleno sono state trovate, ma negli organi interni e non nella carne bianca;
   sono state trovate dai ricercatori dell'Icram (Istituto centrale per la ricerca scientifica applicata al mare, oggi Ispra) anche mutazioni genetiche. Il pesce non viene pescato a riva ma a largo, fa presente Matteo d'Ingeo. Come ha dichiarato il professor Amato coordinatore dell'Icram: «I pesci dell'Adriatico sono particolarmente soggetti all'insorgenza tumori, subiscono danni all'apparato riproduttivo, sono esposti a vere e proprie mutazioni genetiche che portano a generare esemplari mostruosi». Monitorando un rettangolo di cinque miglia per due al largo di Molfetta gli esperti hanno individuato ben 102 «possibili ordigni». Solo sedici sono stati ispezionati e undici erano proprio bombe all'iprite;
   il posto più insidioso della costa molfettese è Tor Gavetone, al confine con Giovinazzo. L'acqua color turchese nasconde il più alto concentrato di bombe chimiche. È l'unica spiaggia pubblica di Molfetta, perciò nessuno rispetta lo sbrindellato cartello di divieto di balneazione e di pesca. Mentre le discariche più grandi e pericolose sono segnalate a circa 35 miglia dalla costa; di fronte a Torre Gavettone c’è un cimitero di ordigni imprigionati in una colata di cemento;
   mentre a Tor Calderina che si trova dal lato opposto, un'oasi naturale senza cemento, con gli uliveti che arrivano fino a riva, l'acqua è marrone, per via degli scarichi direttamente a mare di Molfetta e paesi limitrofi, in quanto il depuratore è rotto ed è sotto sequestro;
   si è costituito a Molfetta il «Comitato cittadino per la bonifica marina. A tutela del diritto alla salute e all'ambiente salubre». Il comitato chiede «Êla verità sul tipo di ordigni presenti sui fondali del nostro mare. La bonifica completa dal porto a Torre Gavetone. Un monitoraggio ambientale del mare nelle zone interessate dalla presenza di ordigni a caricamento chimico per verificarne la balneabilità del mare e la commestibilità del pesce. Informazione trasparente e aggiornata da parte di tutte le istituzioni coinvolte nelle attività di bonifica»–:
   se non ritengano urgente verificare, per quanto di competenza, lo stato reale dei lavori di bonifica, presentando un'apposita e dettagliata relazione sui siti esposti in premessa in modo da poter chiudere definitivamente una vicenda troppo a lungo sottovalutata e ignorata;
   se non intendano verificare, anche attraverso un monitoraggio, l'esposizione ai rischi della popolazione interessata dai dati dello studio dell'Icram esposto in premessa;
   se non intendano assumere iniziative per istituire, per quanto di competenza, una commissione finalizzata a predisporre, realizzare e completare le bonifiche, anche attraverso lo stanziamento di uomini, mezzi e fondi adeguati, di tutti i siti inquinati;
   quali iniziative intenda intraprendere per prevenire e riconoscere le ricadute sanitarie dell'esposizione ad agenti altamente tossici dispersi in mare sui cittadini esposti a tali fattori di inquinamento ambientale. (4-04515)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che, secondo quanto riferito dalla regione Puglia, in materia di bonifiche da ordigni esplosivi residuati bellici, il Ministero della difesa, in ottemperanza all'articolo 22 del decreto legislativo n. 66 del 2010, comma 1, lettera
c-bis), esercita le funzioni di vigilanza sulle attività di ricerca di ordigni; svolge l'attività di disinnesco, brillamento e rimozione degli ordigni bellici rinvenuti; svolge l'attività di cui sopra sotto il coordinamento dei prefetti competenti per territorio. La località indicata, inoltre, non rientra nel sistema delle aree protette e tutelate sulle quali il Ministero dell'ambiente svolge attività di vigilanza.
  Ad ogni modo, l'Ispra segnala che l'area portuale di Molfetta e il tratto di mare antistante la vicina località Torre Gavetone sono ingombre di decine di migliaia di residuati bellici e che, per quanto riguarda Torre Gavetone, sono attualmente in corso le attività di «bonifica sistematica» degli ordigni da parte dei Nuclei S.D.A.I. (Servizio difesa antimezzi insidiosi) della Marina militare in un tratto di mare compreso tra la battigia e la batimetrica di 50 metri. Al termine dei lavori, l'area sarà dichiarata sgombra di residuati. Per quanto concerne, invece, l'area portuale di Molfetta, sono stati oggetto di bonifica sistematica da parte dei nuclei S.D.A.I. solo i tratti di fondale rientranti nell'area di cantiere per l'ampliamento portuale. La quantità di residuati bellici recuperati e fatti brillare, in mare (residuati convenzionali caricati prevalentemente con tritolo) o a terra (residuati a caricamento «speciale», contenenti sostanze chimiche), si attesta, ad oggi, tra le circa 20.000 e le circa 30.000 unità.
  Con riferimento alla presenza sui fondali del Basso Adriatico di munizionamento «a caricamento speciale» propriamente definito «arma chimica», durante le ricerche sopra citate, condotte nel 1999 a circa 35 miglia nautiche al largo della costa pugliese, a profondità comprese tra circa 200 metri e circa 400 metri di profondità sono stati rinvenuti, osservati e segnalati all'Istituto idrografico della Marina militare, proiettili e bombe d'aereo caricate con iprite azotata e si sono studiati alcuni dei loro effetti su organismi marini «stanziali».
  Inoltre, le prospezioni dell'area portuale condotte da parte dell'Ispra nell'ambito del Programma d'indagini denominato «PRospezione Ordigni Basso Adriatico» (PRO.B.A. – 2007-2010), hanno evidenziato la presenza, in tutta l'area portuale e nella fascia esterna a questa, per un'ampiezza di circa 500 metri, una frequenza di distribuzione dei residuati sul fondale paragonabile a quella sperimentata nelle aree già bonificate.
  La valutazione effettuata ha consentito all'Istituto di proseguire l'attività di bonifica, tuttora in corso, del tratto di mare antistante Torre Gavetone; estendere le prospezioni e la bonifica dei residuati anche nei tratti dell'area portuale di Molfetta già indagati dall'Ispra ma non ancora bonificati dal nucleo sminamento S.D.A.I. della Marina militare; auspicabile, in un quadro generale di bonifica da residuati bellici presenti nelle acque nazionali, considerare la costituzione di un gruppo di esperti
ad hoc con il compito primario di indicare priorità per eventuali interventi di tutela ambientale nelle principali aree di affondamento di residuati bellici sinora individuate.
  Per quanto attiene alle attività svolte in ambito regionale, la legione Puglia fa presente che:
   ai sensi dell'articolo 52, comma 59, della Legge finanziaria 28 dicembre 2001, n. 448, sono stati destinati euro 5.000.000,00 per il risanamento ambientale delle aree portuali del basso Adriatico, con l'obiettivo di bonificare le aree dagli ordigni bellici rinvenuti e procedere alla caratterizzazione ambientale;
   con decreto del 10 marzo 2006, è stata individuata la regione Puglia quale unica interessata alla realizzazione del «Piano di Risanamento del Basso Adriatico» di cui all'articolo 52, comma 59, della legge n. 448 del 2001;
   nell'ambito dell'accordo di programma sottoscritto, fra Ministero dell'ambiente, regione Puglia, ISPRA e ARPA Puglia in data 19 novembre 2007, sono state individuate le aree portuali prioritarie, dette «di fase 1» (porto di Molfetta, Torre Gavetone, porto nuovo di Bari, porto Vecchio di Manfredonia ed isolotto di Sant'Emiliano);
   in considerazione dell'imminente avvio dei lavori di ampliamento del porto di Molfetta, il comitato di coordinamento, istituito con l'accordo sopra richiamato, ha stabilito che le attività di prospezione e bonifica partissero proprio dal porto di Molfetta;
   le attività svolte in tale area hanno evidenziato una serie di criticità (da parte di Ispra) che hanno suggerito la necessità di rimodulare l'originario accordo di programma. Pertanto, le risorse originariamente previste per l'intervento nei cinque siti di «fase 1» sono state interamente destinate alla bonifica degli ordigni nelle sole aree di Molfetta e Torre Gavetone;
   nel mese di marzo 2015, la sezione ciclo rifiuti e bonifiche della regione Puglia ha comunicato il completamento della bonifica degli ordigni su tutti i punti segnalati da ISPRA relativi alle aree portuali di Molfetta ritenute prioritarie a seguito di condivisione in sede di comitato di coordinamento. Tuttavia, a causa della carenza di fondi, non è stato possibile eseguire la bonifica dell'intera area portuale di Molfetta e le aree bonificate dagli ordigni costituiscono solo parte della superficie dell'intera area portuale;
   come previsto nell'accordo rimodulato, il nucleo SDAI ha avviato la bonifica dell'area di Torre Gavetone utilizzando una parte residua delle risorse impegnate in favore dello Stato maggiore della Marina. Lo stesso nucleo ha evidenziato che, da una prima verifica sullo stato dei luoghi, è emersa una diversa situazione rispetto a quella risultante dalle prospezioni eseguite da Ispra. Infatti, nello specchio d'acqua antistante Torre Gavetone le prospezioni hanno rivelato l'esistenza di una quantità di ordigni tale da prevedere una stima di costi per la bonifica pari a circa euro 800.000,00;
   a seguito del rinvenimento di numerosi ordigni in mare sull'area di Torre Gavetone (tra la battigia e 1000 metri dalla linea di costa), il sindaco del comune di Molfetta nel gennaio 2015 ha segnalato la necessità di intervenire in maniera efficace su quel tratto di litorale, intensamente frequentato nella stagione estiva. Data la persistenza del pericolo per la pubblica incolumità, durante l'incontro avvenuto presso la sezione ciclo rifiuti e bonifica il giorno 11 febbraio 2015, il rappresentante del nucleo SDAI ha annunciato la prosecuzione delle operazioni di bonifica nell'area di Torre Gavetone. Stando alle numerose comunicazioni pervenute dal raggruppamento subacquei ed incursori «Tesco Tesei» della Marina militare, le attività di bonifica bellica sono attualmente in corso.

  In conclusione, la regione Puglia rappresenta che tutte le risorse di cui all'articolo 52, comma 59, della legge n. 448 del 2001, pari a euro 5000.000,00, sono state utilizzate a beneficio delle aree del porto di Moffetta e di Torre Gavetone e che, in ragione della rilevante (e non prevedibile) quantità di ordigni rinvenuti, sia all'interno del porto che nell'area di Torre Gavetone, la bonifica è, ad oggi, solo parziale. È emersa, quindi, la necessità di acquisire risorse finanziarie che, come già indicato, ammontano orientativamente a circa euro 800.000,00 per la sola area di Torre Gavetone. Il fabbisogno necessario per completare la bonifica nell'area portuale di Molfetta, invece, non è, ad oggi, stimabile ed è necessario un ulteriore specifico intervento straordinario a carico dello Stato con lo stanziamento di ulteriori risorse.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, tenendo alto il livello di attenzione sulla tematica in argomento.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GIORGIA MELONI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   nel corso di un'intervista televisiva trasmessa il 29 marzo 2017 il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, ha affermato che la procura sta indagando sull'ipotesi di una sorta di «patto segreto tra gli organizzatori del traffico di migranti e alcune Ong straniere che battono con tredici navi il canale di Sicilia», e che è stato aperto un fascicolo conoscitivo su alcune delle ong impegnate nel soccorso ai migranti;
   secondo Zuccaro ci sarebbe, da un lato, il «sospetto che possano farlo per facilitare il lavoro delle organizzazioni del traffico di migranti» e, dall'altro, quello «che possano invece favorire l'accesso dei migranti in un determinato Stato piuttosto che in altri», ma «il dato oggettivo è che gli organizzatori del traffico non corrono più alcun rischio: spesso prendono contatti con le unità navali in alto mare, prima ancora che intervenga la centrale operativa italiana»;
   sempre stando alle dichiarazioni del procuratore, tra il settembre e l'ottobre del 2015 sarebbero «nate dal nulla numerose Ong. Cinque tedesche, una spagnola e una maltese che dimostrano subito di avere grande disponibilità di denaro per il noleggio delle navi, l'acquisto di droni ad alta tecnologia e la gestione delle missioni, che ci sembra molto strano possano avere acquisito senza avere un ritorno economico. Chi paga? È questo quello che dobbiamo accertare»;
   lo stesso giorno, in occasione dello svolgimento di un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea, alla Camera, presentata dal Gruppo di Fratelli d'Italia – Alleanza nazionale, in merito alle attività delle ong nel mar Mediterraneo e ai salvataggi di migranti dalle stesse messi in atto, il Governo ha dichiarato che circa il trenta per cento degli oltre centottantamila immigrati sbarcati nel 2016 sulle nostre coste è stato soccorso da assetti navali appartenenti alle ong, confermando che il loro ruolo è tutt'altro che marginale;
   già il 22 marzo 2017 l'ammiraglio Enrico Credendino, capo della missione europea Sophia, intervistato dal Corriere della Sera, alla domanda se gli interventi della missione in realtà incentivassero le migrazioni aveva risposto che «ci sono Ong che (...) attraggono molto di più. Lavorano spesso al limite delle acque libiche, la sera hanno questi grossi proiettori: gli scafisti li vedono e mandano il gommone verso questi proiettori»;
   oltre a contravvenire alle vigenti normative nazionali e internazionali sui salvataggi in mare dei migranti, l'attività di queste ong mette a rischio l'incolumità degli stessi migranti, fatti partire con imbarcazioni sempre più fatiscenti–:
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per impedire che le organizzazioni non governative proseguano nelle attività di cui in premessa. (4-16160)

  Risposta. — L'interrogazione richiama l'attenzione su un tema che, nel contesto delle complesse problematiche legate ai fenomeni migratori, riveste particolare delicatezza.
  Esso si inquadra in uno scenario che, a fronte di flussi che non accennano a diminuire – anzi, palesano evidenti indicatori di incremento –, vede un impegno deciso e determinato dell'Esecutivo per governarne i molteplici aspetti, che hanno ricadute sul piano interno, sull'applicazione delle convenzioni internazionali e sui rapporti con gli altri Stati.
  Con riferimento a quest'ultimo aspetto, lo stesso Ministro dell'interno ha in più occasioni evidenziato come il governo dei flussi migratori richieda soprattutto un'attività proiettata sull'altra sponda del Mediterraneo.
  Ne è testimonianza il memorandum siglato con la Libia il 2 febbraio 2017, volto a contenere i flussi e a contrastare la tratta degli esseri umani che, nella concreta attuazione, registra in questi giorni l'impegno del nostro Paese a contribuire a un progetto di rafforzamento della capacità di controllo del mare da parte della Guardia costiera libica, anche attraverso la fornitura di mezzi e le attività di formazione degli equipaggi. Nello scorso mese di aprile due motovedette sono state consegnate alla guardia costiera libica, con l'obiettivo di arrivare entro la fine di giugno al numero di dieci. Contemporaneamente, vi è un impegno molto forte per quanto riguarda la sicurezza e il controllo dei confini sud della Libia. Si rammenta, al riguardo, che dalla Libia passa almeno il 90 per cento dei migranti che arrivano nel nostro Paese.
  L'obiettivo è dunque fermare i flussi e vincere la sfida posta dai trafficanti di esseri umani, che non tengono in alcun conto il rispetto della vita umana. L'evoluzione più recente del fenomeno vede infatti l'utilizzo sempre più frequente di mezzi leggeri per il trasporto dei migranti.
  Tale circostanza rappresenta un elemento di incremento del rischio per l'incolumità dei migranti stessi. In questo scenario si svolge l'attività di Sophia, di Frontex, della Guardia costiera italiana e delle organizzazioni non governative.
  L'evoluzione più recente del fenomeno vede, peraltro, l'utilizzo sempre più frequente di mezzi leggeri per il trasporto dei migranti. Tale circostanza rappresenta un elemento di accrescimento del rischio per l'incolumità dei migranti.
  Appare evidente che le attività di ricerca e soccorso non possano prescindere dal rispetto del principio fondamentale della salvaguardia della vita umana, nonché di altri principi importanti, come quello di non
refoulement. Altri obblighi giuridici e morali derivano dalle tre più significative convenzioni internazionali in materia, cioè quella per la sicurezza della vita in mare (SOLAS), quella delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) e quella sul soccorso in mare (SAR).
  Le questioni sollevate con l'interrogazione non possono essere certamente sottovalutate.
  Tuttavia, per evidenti ragioni di principio, occorre evitare generalizzazioni o giudizi affrettati, attenendosi quindi ad una rigorosa valutazione degli atti. 
  In questa fase, il Governo ha aperto un canale di scambio informativo con la Commissione europea, l'Agenzia Frontex e il Servizio diplomatico dell'Unione europea per condividere ogni elemento utile alla definizione di un quadro di valutazione aggiornato.
  D'altra parte, sono ancora in corso indagini da parte di alcune procure della Repubblica.
  Inoltre, il comitato parlamentare Schengen, nell'ambito di un'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio, ha recentemente rivolto la sua attenzione allo specifico tema, attraverso audizioni programmate.
  La Commissione difesa del Senato ha a sua volta deliberato una indagine conoscitiva sull'impatto delle attività delle organizzazioni non governative sui flussi migratori, svolgendo una serie di audizioni rivolte anche ad esponenti di ONG.
  Il Governo segue lo sviluppo di tali attività parlamentari, considerando di particolare importanza acquisirne gli esiti finali, che verranno valutati con grande attenzione.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 febbraio 2017 organi di informazione davano la notizia che, a Flamanville nel Dipartimento della Manica nella Bassa Normandia, a nord della Francia, vi era stata un'esplosione e successivo incendio verificatisi in mattinata nella centrale nucleare di Edf (Électricité de France), compagnia prima produttrice e fornitrice di energia nel Paese;
   l'incendio ha coinvolto la sala macchine della centrale e, si legge, che non ci sono stati feriti gravi né che l'incidente possa avere comportato possibili rischi di contaminazione;
   il reattore numero 1, nella cui area si è verificato lo scoppio, è stato comunque fermato per precauzione. «È esploso un ventilatore nella zona non nucleare», ha specificato il prefetto Jacques Witkowski, sottolineando che «non si è trattato di un incidente nucleare. Cinque persone sono state leggermente intossicate dal fumo, ma sono indenni» (http://www.corriere.it);
   il 10 febbraio 2017 si legge che: «La prefettura ha dichiarato conclusa la fase d'emergenza. I funzionari presso la sede di Parigi non hanno rilasciato commenti» (fonte La Stampa);
   il 7 aprile 2015 si apprendeva già che «L'autorità per la sicurezza nucleare francese ha annunciato “un'anomalia” tecnica nel serbatoio del reattore EPR di Flamanville, in Normandia» e – riferiva un articolo di Repubblica on line – che «Si tratta di un problema distinto da quello annunciato lo scorso novembre (2014) dal gestore EDF sul coperchio del serbatoio della stessa centrale di ultima generazione, ha precisato ASN. L'anomalia nella copertura del reattore Epr di Flamanville, la cui costruzione è iniziata nel 2007 e dovrebbe terminare nel 2017, è emersa nel corso di una verifica di routine da parte delle due aziende responsabili del cantiere, Edf e Areva»;
   intanto, l'Arpa Piemonte, a seguito dell'incidente nucleare francese del 9 febbraio 2017, «a titolo precauzionale» ha intensificato le normali attività di monitoraggio della radioattività ambientale (rete automatica di allarme, in tempo reale e spettrometria gamma sul particolato atmosferico prelevato giornalmente). I livelli di radioattività registrati attualmente in Piemonte – si legge un articolo on line – «sono nella norma». (http://www.targatocn.it);
   di quali informazioni disponga il Governo circa l'episodio accaduto e se non ritenga, dopo una valutazione tecnica, sentita l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, di richiedere e ottenere una immediata e approfondita verifica sullo stato della centrale di Flamanville, in accordo con la Commissione europea e con la Francia, al fine di valutare il livello di sicurezza della centrale stessa per i Paesi limitrofi come l'Italia, anche prevedendo l'invio di un comitato scientifico di esperti, composto pure da tecnici italiani. (4-15568)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti da parte delle amministrazioni coinvolte, si rappresenta quanto segue.
  L'incidente d'inizio febbraio, citato dall'interrogante, che ha avuto una certa rilevanza mediatica, è avvenuto nel sito di Flamanville che ospita la centrale nucleare di Edf (Electricité de France), ma ha riguardato la parte non nucleare del complesso.
  Secondo il Ministero dell'ambiente francese non vi è stata contaminazione nucleare e quindi non sono state prese particolari misure di sicurezza al di là di quelle ritenute necessarie.
  Le autorità francesi assicurano che i danni sono stati riparati o sono in corso di riparazione e che, dopo un periodo di prova volto a testare la piena rispondenza del sito ai requisiti di sicurezza previsti dalle norme di riferimento, la centrale dovrebbe riprendere le sue attività.
  Ad ogni modo, a seguito delle informazioni relative all'incidente verificatosi il 9 febbraio 2017 presso il sito nucleare di Flamanville, Arpa Piemonte ha avviato precauzionalmente azioni di monitoraggio per evidenziare eventuali scostamenti sul territorio regionale rispetto al fondo di radioattività.
  Sono stati effettuati i seguenti approfondimenti:
   analisi della radioattività del particolato atmosferico campionato nelle stazioni di Ivrea e Vercelli;
   valutazione dei dati della rete automatica di allerta radiologica presente sul territorio regionale;
   effettuazione di un radiosondaggio per verificare il profilo di radioattività fino alla quota di circa 30000 metri.

  In particolare, al fine di valutare eventuali contaminazioni radioattive in aria sono stati campionati e analizzati i filtri per la raccolta del particolato presso le stazioni di Vercelli e Ivrea. Tali filtri sono stati analizzati con la tecnica della spettrometria gamma per identificare i radionuclidi presenti.
  Gli esiti delle analisi sono riportati nella tabella seguente:

Risultati analisi in spettrometria gamma nel particolato atmosferico nella giornata dal 9 al 10 febbraio 2017
Concentrazione Bq/m3 Punto di campionamento Ivrea Punto di campionamento Vercelli
I-131 < 6.01 x 10-4 < 6,70 x 10-3
Cs-134 < 7.43 x 10-4 < 6,30 x 10-3
Cs-137 < 9.62 x 10-4 < 6,62 x 10-4

  In tabella sono riportati i risultati relativi ad alcuni tra i più tipici radionuclidi (elementi radioattivi) che si producono nei reattori nucleari. L'unità di misura è il Bq/m3 (Becquerel al metro cubo), che indica la quantità di tali elementi radioattivi presenti in atmosfera. I risultati riportati in tabella, preceduti dal segno <, rappresentano la sensibilità della misura, cioè indicano l'assenza di tali radionuclidi a quel livello di concentrazione.
  A titolo esemplificativo, nella figura successiva, si riporta il risultato dell'analisi sul filtro prelevato presso la stazione di Ivrea. I picchi che emergono dal «rumore» di fondo sono da attribuirsi alla radioattività naturale, normalmente presente nel particolato atmosferico. Non vi è alcuna evidenza della presenza di radionuclidi artificiali attribuibili ad incidente radiologico o nucleare.

Immagine prelevata dal resoconto

  Per evidenziare eventuali scostamenti rispetto ai valori di fondo sono stati esaminati anche i dati rilevati dalla rete regionale di allerta radiologica che consiste di 29 sensori Geiger Muller dislocati sul territorio regionale lungo l'arco alpino e nei capoluoghi di provincia. Scopo di tale rete è quello di ottenere in tempo reale (ogni 10 minuti) un dato sui livelli di radioattività presenti in atmosfera, con un particolare riguardo ai possibili rilasci provenienti dagli impianti nucleari transfrontalieri.
  Anche questi dati non hanno indicato alcuna anomalia radiometrica.
  Un ulteriore approfondimento è stato effettuato con il lancio di un radiosondaggio dal sito di Cuneo-Levaldigi. Tale radiosondaggio consente, tramite sensori di tipo Geiger-Muller di rilevare il profilo di radioattività sia gamma che beta fino ad una quota di circa 30.000 metri ed evidenziare eventuali nubi radioattive.

  Il confronto tra i profili di radioattività misurati prima e dopo l'incidente verificatosi il 9 febbraio indica l'assenza di radioattività dovuta a cause diverse da quelle naturali.
  In conclusione, tutti gli approfondimenti effettuati con analisi radiometriche sul particolato e con sistemi di monitoraggio della radioattività dell'aria hanno evidenziato l'assenza di incrementi di radioattività rispetto al fondo naturale e, pertanto, l'assenza di alcun episodio di contaminazione radioattiva attribuibile ad eventi incidentali quali quello avvenuto presso il sito nucleare di Flamanville.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà comunque a tenersi informato mantenendo alto il livello di attenzione, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   NICCHI, SCOTTO e LAFORGIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la prefettura di Grosseto ha assegnato, con bandi, parte dei richiedenti asilo pervenuti sul territorio provinciale, a vari soggetti affidatari nella gestione dell'accoglienza, secondo i criteri previsti dal sistema Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati) in strutture denominate centri di accoglienza straordinari;
   l'Associazione partecipazione e sviluppo di Bagni di Lucca, Onlus che ha visto nel tempo un numero crescente di ospiti assegnati in accoglienza, ha operato e opera tra i soggetti affidatari dal 2014;
   l'associazione ha utilizzato per la gestione, nel periodo aprile 2014-dicembre 2015, n. 18 persone che sono state impiegate come volontari e con contratti a progetto;
   tali inquadramenti sono però risultati in contrasto con le norme sul volontariato (legge n. 266 del 1991) e non in conformità a quanto dichiarato e sottoscritto nella presentazione di partecipazione al bando riguardante le norme sul lavoro;
   numerose sono state le richieste dei lavoratori affinché la Onlus Partecipazione e Sviluppo regolarizzasse il rapporto di lavoro entro giugno 2015. Tali richieste sono però state completamente ignorate, e anzi, alla visita ispettiva da parte della direzione del lavoro, i dipendenti sono stati indicati come responsabili, rispetto a presunte inadempienze, della gestione dell'accoglienza nelle strutture assegnate; 
   da parte dei lavoratori sono stati effettuati tentativi di mediazione, tramite il sindacato Cgil di Grosseto e, nella fase successiva (inizio 2016), vi è stato un tentativo di conciliazione proposto dal legale incaricato dai lavoratori presso la direzione territoriale del lavoro di Grosseto. Anche in questo caso, le richieste sono state completamente disattese e l'associazione ha preferito intraprendere un contenzioso;
   la situazione descritta nei punti precedenti è stata rappresentata dai lavoratori sia verbalmente che per scritto a diverse istituzioni locali, nazionali e all'autorità giudiziaria, affinché prendessero atto di come siano state disattese le norme previste in materia di volontariato e lavoro e gli impegni sottoscritti in sede di partecipazione al bando;
   la prefettura di Grosseto ha pubblicato, per la gestione dei richiedenti asilo, un apposito bando in data 15 dicembre 2015 la cui scadenza, per la presentazione delle istanze, era fissata per il 18 gennaio 2016, indicando come presunta data di affidamento il 1° marzo 2016;
   al suddetto bando avrebbero partecipato più soggetti tra i quali l'associazione Partecipazione e Sviluppo che è risultata esclusa, per quanto consta agli interroganti, per irregolarità nella presentazione dell'istanza;
   le procedure dovevano chiudersi entro il mese di febbraio 2016 e dal 1° marzo avrebbe dovuto esserci presumibilmente l'affidamento. Così non è stato e la chiusura delle procedure è slittata di mese in mese, sino a quando, nel novembre 2016, la prefettura ha dichiarato l'annullamento della stessa con varie motivazioni;
   si deve rilevare che questa rappresenta una anomalia poiché in tutte le altre prefetture della Toscana le procedure di gara sono state chiuse nei tempi più o meno indicati e sono stati effettuati gli affidamenti ai soggetti aggiudicatari;
   nel frattempo sono state indette manifestazioni di interesse atte a reperire ulteriori posti per far fronte all'emergenza nell'arrivo di nuovi migranti;
   dette manifestazioni, attivabili in situazioni di emergenza, ossia per far fronte a flussi imprevisti di richiedenti asilo in carenza di posti disponibili, hanno portato ad avere vantaggi nelle assegnazioni alla stessa associazione;
   nel 2016, rimarcando la disponibilità di posti offerti e al di là del ricorso del comune di Capalbio al Tar che, a quanto consta agli interroganti, sarebbe stato usato come un giustificativo per l'annullamento della gara, i nuovi arrivi sono stati allocati in strutture nuove reperite con procedure d'urgenza e in strutture già presenti nei comuni del grossetano, oltre i limiti autorizzati dalle singole strutture e le capienze consentite per esercitare un'accoglienza dignitosa;
   ne citiamo una ad esempio: nel comune di Civitella Paganico, Frazione di Paganico, via della Stazione 4, la struttura denominata il Molino. Struttura autorizzata dalle autorità locali (Vigili del fuoco, Usl e comune) ad accogliere 18 persone che, invece, ha ospitato e continua, ad oggi, probabilmente, a quanto consta agli interroganti, ad ospitare molte più persone richiedenti asilo;
   a parere degli interroganti viene spontaneo chiedersi come detta struttura, autorizzata per 18 persone, possa garantire gli standard di abitabilità, igiene e sicurezza, con un numero di persone ben più ampio di quello autorizzato;
   tutto questo indurrebbe a pensare che più che occuparsi del rispetto degli standard previsti dalle norme in materia di edilizia e quelle previste dal sistema di accoglienza, che si sommano agli standard non meno importanti sulla tutela del lavoro, si vogliano valorizzare le situazioni connesse ai vantaggi economici che derivano e aumentano con l'espandersi dei numeri dei richiedenti asilo ospitati nelle strutture inserite in tale sistema;
   in merito alla questione sopra esposta sono state fatte ulteriori segnalazioni alle autorità competenti e all'Anac –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di eventuali iniziative intraprese dalla prefettura di Grosseto per valutare se l'associazione di cui in premessa possegga i requisiti necessari per gestire l'accoglienza dei richiedenti asilo e, in caso affermativo, quali ne siano stati eventualmente gli esiti;
   se sia a conoscenza della situazione della gara del 2016 indetta dalla prefettura di Grosseto che, a giudizio degli interroganti, in modo anomalo rispetto alle altre prefetture, non ha concluso, di fatto, le procedure di assegnazione;
   se, pur in presenza di bando di gara in itinere possa considerarsi regolare l'avvio da parte delle prefetture di procedure denominate «manifestazioni d'interesse» che hanno concesso l'ampliamento dei posti per l'accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati con procedure d'urgenza adottate e portate a conclusione in tempi più rapidi;
   se il Ministro interrogato non intenda intraprendere iniziative, anche di carattere ispettivo, per far luce su questa vicenda che potrebbe non essere l'unica su questo e su altri territori del Paese, al fine di evitare il ripetersi dell'ambiguità di situazioni d'ombra e che agevolano prassi di dubbia bontà. (4-16544)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame gli interroganti richiamano l'attenzione del Ministro dell'interno sulla gestione dell'accoglienza dei migranti in provincia di Grosseto, ponendo una serie di quesiti riguardanti l'operato della prefettura di quella provincia.
  Come riportato nell'atto di sindacato ispettivo, il 15 dicembre 2015 la prefettura di Grosseto ha avviato una procedura di gara per la conclusione di un accordo quadro volto ad assicurare, sino al 31 dicembre 2016, i servizi di accoglienza in favore dei richiedenti protezione internazionale destinati a quella provincia, in attuazione del piano di redistribuzione nazionale.
  Dopo la pubblicazione, in data 22 luglio 2016, dell'aggiudicazione provvisoria del servizio di accoglienza, soggetti terzi (non concorrenti) hanno instaurato nei confronti della prefettura un contenzioso giurisdizionale dinanzi al TAR Toscana.
  La prefettura ha quindi ravvisato l'opportunità di soprassedere all'aggiudicazione definitiva, in attesa dell'esito del giudizio, poi definito il successivo 22 settembre con una pronuncia di rigetto del ricorso.
  Prima dell'approvazione della graduatoria finale di gara, è sopravvenuta, l'11 ottobre 2016, una direttiva del Ministro dell'interno, rivolta ai prefetti, che, alla luce dell'esigenza di ricalibrare il sistema di accoglienza con l'adozione di criteri improntati all'accoglienza diffusa sul territorio, ha preannunciato l'imminente divulgazione di un piano operativo condiviso con l'Anci, teso a promuovere una distribuzione di migranti più equilibrata e sostenibile tra le diverse realtà locali.
  La prefettura ha rilevato la sussistenza di evidenti difformità tra i contenuti prescrittivi della direttiva ministeriale e le clausole del bando di gara.
  E quindi – siamo all'11 novembre dello scorso anno – essa ha ritenuto non già di annullare, come riportato nell'interrogazione, bensì di non procedere all'affidamento del servizio di accoglienza, avvalendosi di una clausola del bando di gara che consentiva tale opzione nel caso di sopravvenienza di «modificazioni sostanziali nella procedura di accoglienza delineata dal Ministero dell'interno».
  Nel contempo, la prefettura ha stabilito di indire una nuova procedura selettiva finalizzata a conformare il sistema di accoglienza alla nuova direttiva. Il relativo bando non è stato ancora pubblicato in quanto è intervenuta nel frattempo l'approvazione, da parte del Ministro dell'interno, del nuovo schema di capitolato d'appalto per la gestione dei centri di accoglienza sul territorio nazionale.
  In ordine a tale schema, registrato dalla Corte dei conti lo scorso 11 aprile, è pervenuta di recente alle prefetture un'articolata circolare esplicativa.
  Quindi, il prefetto di Grosseto ha assicurato che procederà all'avvio della gara di appalto, non appena avrà completato i necessari approfondimenti applicativi.
  Durante l'iter appena descritto, il territorio provinciale ha continuato ad essere interessato da un incessante afflusso di migranti. La conseguente, inderogabile necessità di assicurare la continuità del servizio di accoglienza è stata soddisfatta sia prorogando gli affidamenti già in essere, sia procedendo a nuovi affidamenti con carattere d'urgenza.
  In coerenza e attuazione dei principi di trasparenza e competitività, la prefettura ha affidato i servizi con carattere d'urgenza solo dopo aver diramato avvisi pubblici volti a raccogliere le manifestazioni di interesse degli enti locali e di qualificati operatori privati presenti sul mercato. Ciò è quanto si è verificato anche con riferimento all'Associazione Partecipazione e Sviluppo espressamente menzionata nell'atto di sindacato ispettivo.
  Giova precisare che tutti gli affidamenti sono avvenuti nel rispetto della normativa vigente, con particolare riferimento all'articolo 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015.
  Si soggiunge che in questi mesi, la prefettura, contestualmente all'adozione delle ineludibili misure d'urgenza, ha posto le basi per la costruzione di un modello condiviso di accoglienza a livello provinciale. Essa ha promosso, infatti, vari incontri con i sindaci della provincia, anche divisi per ambiti territoriali, rilevando la concreta possibilità di addivenire alla stipula con alcuni enti territoriali di atti convenzionali finalizzati alla gestione dei servizi di accoglienza.
  Venendo ad un altro quesito posto con l'interrogazione, quello relativo alle iniziative assunte dalla prefettura per appurare la sussistenza dei requisiti soggettivi di legge in capo agli enti gestori dell'accoglienza, si rappresenta che tutti i soggetti partecipanti a procedure di gara o individuati per l'affidamento con carattere d'urgenza sono sottoposti ad un sistema di controlli rinforzato, comprendente sia le verifiche di rito prescritte dalla normativa sui contratti pubblici, sia gli ulteriori accertamenti di cui alla direttiva del Ministro dell'interno del 4 agosto 2015, miranti a prevenire e contrastare eventuali fenomeni corruttivi o di infiltrazione della criminalità nel settore.
  Questi controlli sono stati effettuati, senza riscontrare controindicazioni, anche nei riguardi dell'Associazione Partecipazione e Sviluppo, che, peraltro, è risultata affidataria del servizio di accoglienza pure in altre province, quali Lucca e Sassari.
  Ci si sofferma ora su alcuni aspetti evidenziati nel preambolo dell'interrogazione.
  Riguardo all'asserito sovraffollamento delle singole strutture temporanee di accoglienza, si informa che presso la prefettura di Grosseto è stato istituito fin dal 2015 un apposito nucleo di valutazione dei requisiti di agibilità delle strutture medesime, deputato allo svolgimento di sopralluoghi in ogni immobile proposto preliminarmente alla sua effettiva destinazione al servizio di accoglienza.
  La costituzione del nucleo a composizione interistituzionale (ne fanno parte, oltreché la prefettura, il comando provinciale dei vigili del fuoco e la ASL territorialmente competente) ha risposto all'esigenza di garantire il rigoroso rispetto, in ogni struttura, delle previsioni del vigente quadro normativo.
  Il predetto organismo effettua, tra l'altro, una stima sulla capienza massima degli immobili proposti come struttura di accoglienza, in base allo stato di fatto degli immobili stessi all'atto del sopralluogo. Non di rado, tuttavia, la capienza originariamente determinata è suscettibile di essere incrementata con la successiva messa a disposizione di nuovi locali, proprio come avvenuto nel caso specifico della struttura sita nel comune di Civitella Paganico, espressamente menzionata nell'interrogazione.
  Quanto alla vicenda dei lavoratori dell'Associazione Partecipazione e Sviluppo, la prefettura ha riferito che l'attività ispettiva, svolta dalla locale direzione territoriale del lavoro il 6 ottobre 2015 presso due strutture di accoglienza gestite dall'associazione medesima, si è conclusa solo recentemente con la redazione di un verbale di contestazione di illecito amministrativo, notificato il 13 marzo 2017. Le risultanze dell'accertamento non hanno ancora acquistato natura definitiva.
  Per quanto ha formato oggetto di attività ispettiva, risulta pendente anche un contenzioso giurisdizionale dinanzi al giudice del lavoro di Grosseto.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   NUTI e TRIPIEDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'ultimo album musicale del cantante rap Fedez è stato oggetto di una comunicazione da parte del Ministero dello sviluppo economico in cui, a seguito di accertamenti non formali di cui all'articolo 170 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, era dichiarato che il marchio «Fedez presenta Pop-hoolista + Figura», cioè la copertina dell'album, non risulta essere conforme a quanto disposto dall'articolo 14, comma 1, lettera a) e b), del citato decreto legislativo, in quanto il segno è contrario all'ordine pubblico e al buon costume;
   in particolare, come riportato in un video pubblicato dallo stesso cantante, il marchio sarebbe contrario all'ordine pubblico in quanto raffigurante un funzionario di pubblica sicurezza a cavallo di un unicorno di colore bianco e arcobaleno mentre sarebbe contrario al buon costume in quanto è ritratto il medesimo cantante vomitando un arcobaleno;
   il Ministero dello sviluppo economico ha attivato la procedura prevista dall'articolo 173, comma 7, concedendo un termine di 2 mesi al cantante per formulare osservazioni proprie, dopodiché l'ufficio competente potrà decidere di respingere in tutto o in parte l'istanza di registrazione del marchio, cioè la copertina dell'ultimo album musicale dell'artista;
   il Ministero dello sviluppo economico ha replicato alle proteste del cantante con una nota in cui dichiarava che «I contenuti del marchio [...] sono sembrati all'Ufficio italiano dei marchi e dei brevetti come non rispondenti alla normativa che regola la tutela dei brand»;
   tuttavia, a giudizio dell'interrogante, comunicato del Ministero dello sviluppo economico sopra citato appare assimilabile ad una censura in quanto la copertina dell'album in oggetto non sembrerebbe costituire, a giudizio dell'interrogante, una violazione dell'ordine pubblico o del buon costume –:
   per quali ragioni siano state effettuate rilevazioni in merito al marchio «Fedez presenta Pop-hoolista + Figura», il cui contenuto è stato esposto in premessa con riferimento a violazioni di norme su ordine pubblico e buon costume. (4-11072)

  Risposta. — In riferimento alla interrogazione in esame, con la quale si chiede di sapere «per quali ragioni siano state effettuate rilevazioni [da parte di questo Ministero] in merito al marchio “Fedez presenta Pop-hoolista + Figura”», con riferimento a violazioni di norme su ordine pubblico e buon costume, si rappresenta quanto segue.
  Occorre preliminarmente richiamare l'orientamento espresso dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in merito alla circostanza che il rifiuto della registrazione – di un marchio compresa non pregiudica la libertà di espressione [vedi la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 9 marzo 2012, T-417/10].
  Peraltro, nella procedura d'esame per la registrazione di un marchio non assume alcuna rilevanza la natura artistica del segno – eventualmente tutelabile attraverso altri strumenti del diritto di proprietà intellettuale quale il diritto d'autore (di cui alla legge n. 633 del 1941) – in quanto si applicano in via esclusiva le norme del codice della proprietà industriale (decreto legislativo n. 30 del 2005, di seguito Cpi).
  Tali norme vietano la registrazione di un segno come marchio se contrario alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume (articolo 14, comma 1, lettera a) del Cpi), ovvero contenente «... raffigurazioni o parole oscene, e cioè, secondo la formula di cui all'articolo 529 codice penale, offensive del comune sentimento del pudore, raffigurazioni o parole offensive o screditanti le istituzioni, il sentimento religioso, i simboli della nazione».
  In tali casi, l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi del Ministero dello sviluppo economico è tenuto a comunicare all'interessato i motivi ostativi alla registrazione del segno come marchio d'impresa, invitando il richiedente a presentare le proprie eventuali controdeduzioni al riguardo, ai sensi dell'articolo 170, comma 3, del Cpi.
  In ragione della complessità delle valutazioni relative alla contrarietà alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume, è previsto dalla legge che l'Ufficio italiano brevetti e marchi possa richiedere un parere alle amministrazioni pubbliche competenti (ai sensi dell'articolo 10 comma 3 del Cpi) che è vincolante per l'amministrazione richiedente. La decisione è impugnabile dinanzi alla Commissione dei ricorsi, ai sensi dell'articolo 135 del Cpi.
  Nel caso di specie, riferisce il nominato ufficio del Mise, il cantante «Fedez», assistito da un professionista di propria fiducia, l'11 marzo 2015 ha depositato una domanda di registrazione di marchio d'impresa n. MI2015C002207 avente ad oggetto un segno complesso costituito dalla raffigurazione della copertina del proprio album musicale «Pop-hoolista» da egli stesso descritto come «copertina raffigurante un cavallo appoggiato sugli arti posteriori con in sella un poliziotto in assetto antisommossa che imbraccia una mazza nella mano sinistra; in primo piano, la figura dell'artista (Fedez, il richiedente), appoggiato con entrambi gli arti per terra, nell'atto di rimettere un liquido arcobaleno disegnato a fumetto. Sulla destra la scritta “Fedez presenta pop hoolista”».
  Avverso il rilievo, sollevato dall'Ufficio italiano brevetti e marchi circa la contrarietà all'ordine pubblico e al buon costume dell'immagine del marchio in parola, il richiedente ha presentato al Ministero dello sviluppo economico le osservazioni alla proposta di rifiuto.
  Nell'ambito dell'iter istruttorio di legge, con la nota n. 30082 del 4 febbraio 2016 è stato richiesto al Ministero dell'interno di esprimere il proprio parere di competenza, ai sensi dell'articolo 10, comma 3 del Cpi.
  Quest'ultimo, si è pronunciato osservando che il marchio «... risulta oggettivamente offensivo del prestigio e delle Forze dell'ordine nel loro insieme (e non solo della Polizia di Stato), rappresentate indistintamente nella figura del “poliziotto” e associate ad un atto violento, crudelmente ingiusto e gratuito nei confronti di una persona inerme. Esso quindi potrebbe essere inteso come un invito alla protesta se non alla ribellione dei confronti dell'Autorità pubblica...». Tale parere è stato confermato successivamente in data 16 gennaio 2017 dallo stesso Ministero.
  Il parere reso ai sensi del citato articolo 10, Cpi dal Ministero dell'interno, come sopra indicato è vincolante per l'amministrazione procedente, la quale non può discostarsene e, pertanto, dovrà proseguire di conseguenza.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   PAGANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel sito internet ufficiale della Bill, Hillary & Chelsea Clinton foundation, tra i donatori di somme che si aggirano tra i 100.000 e i 250.000 dollari figura l’«Italian Ministry For The Environment, Land, & Sea»;
   è noto il sostegno del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, onorevole Maria Elena Boschi, a favore della candidata Hillary Clinton nella competizione elettorale per la presidenza degli Stati Uniti d'America, testimoniato dalla sua presenza alla convenzione del Partito democratico americano a Philadelphia –:
   se trovi conferma quanto descritto in premessa;
   per quale motivo e sulla base di quale decisione il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare finanzi una fondazione estera, intitolata a persona coinvolta nella vita politica e partitica americana, già concorrente perdente alla candidatura del Partito democratico alla presidenza del 2008 e da pochi giorni candidata del Partito democratico e data attualmente perdente da alcuni sondaggi;
   da quale capitolo di bilancio siano stati attinti i fondi per tale finanziamento e quale sia l'esatta entità del finanziamento stesso;
   se sia stata verificata l'esistenza di fondazioni italiane o comunque non schierate politicamente che svolgono le stesse funzioni della Bill, Hillary & Chelsea Clinton foundation. (4-14735)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha aderito in passato alla fondazione «Clinton Global Initiative» (citata dall'interrogante come «Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation»), nello specifico per gli anni 2009-2010-2011-2013 corrispondendo, per ciascuno di questi anni, la quota associativa prevista di 20.000 dollari (ovvero 14.065 euro nel 2009, 14.570,88 euro nel 2010, 14.490 euro nel 2011 e 14.765,59 euro nel 2013).
  La ragione di tale adesione è da rinvenire nel fatto che la suddetta organizzazione, fondata dal presidente Clinton quale momento di incontro e scambio tra i governi, il settore privato e le organizzazioni non governative, investe quattro aree tematiche quali la economic empowerment, istruzione, ambiente ed energia e global health, dando vita ad azioni di avvicinamento a modelli di sostenibilità ambientale e alla presentazione di progetti nell'ambito dello sviluppo sostenibile e della convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo.
  I relativi provvedimenti di spesa, emanati con decreto direttoriale negli anni passati, sono stati effettuati a valere sui capitoli di bilancio: 2214 P.G. e P.G.1 per gli anni 2009 e 2010, 2038 P.G.1 per il 2011 e 2215 P.G.1 per il 2013.
  Da quanto sopra esposto, si evince, pertanto, che la contribuzione da parte del Ministero è stata interrotta a partire dal 2014.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 8 febbraio 2017 il Ministero dello sviluppo economico ha conferito a Po Valley Operations Pty Ltd il permesso di ricerca idrocarburi denominato «Torre del Moro»;
   il permesso di ricerca in esame riguarda un'area di circa 111 chilometri quadrati nel territorio dei comuni di Forlì, Forlimpopoli, Cesena, Bertinoro e Meldola, a fronte di un canone annuo di 573 euro;
   il programma dei lavori prevedrebbe: l'acquisto e la rielaborazione, entro 12 mesi dal conferimento del permesso, di circa 50 chilometri di linee sismiche 2D esistenti; l'esecuzione, a valle dell'attività precedente, di una campagna di acquisizione sismica 2D per circa 50 chilometri; la perforazione, entro 48 mesi dal conferimento del permesso, di un pozzo esplorativo di profondità massima circa 4.500 metri; la perforazione, entro 60 mesi dal conferimento del permesso ed in caso di esito positivo del primo, di un secondo pozzo contingente di profondità circa 4.500 metri;
   la popolazione interessata non è stata messa nella condizione di partecipare al processo decisionale e ad esprimere un parere consapevole, manifestando preoccupazione e forte mobilitazione alle prime notizie di stampa tanto da suscitare la richiesta di uno stop al progetto da parte dei sindaci di Bertinoro Gabriele Fratto, di Cesena Paolo Lucchi, di Forlì Davide Drei, di Forlimpopoli Mauro Grandini, di Meldola Gianluca Zattini tramite una lettera inviata all'attenzione del Ministro interrogato;
   i numerosi studi eseguiti negli ultimi decenni, anche dalla regione, hanno consentito di consolidare valori di subsidenza molto elevati, registrati soprattutto nei territori della pianura emiliano-romagnola, e attribuibili al massiccio prelievo di fluidi dal sottosuolo (acqua e idrocarburi) che è stato protratto in tutto il secondo dopoguerra fino ad oggi; più in generale sulle evidenze dei rischi è sufficiente fare riferimento alla struttura geomorfologica (nonché colturale-agricola) del territorio, del suolo e degli acquiferi sotterranei nonché alla collocazione in un'area a rischio sismico elevato;
   ciò nonostante, né la delibera di giunta regionale n. 725 del 10 giugno 2013, con la quale è stata riconosciuta la compatibilità ambientale del progetto di ricerca, né la delibera di giunta regionale n. 2124 del 21 dicembre 2015, con la quale è stata espressa l'intesa della regione Emilia Romagna per la concessione del permesso di ricerca di idrocarburi, riportano alcuna prescrizione al proponente in ordine ad eventuali danni derivanti da un aggravamento dei fenomeni di subsidenza nel territorio interessato; seppure, a seguito delle critiche di cittadini ed enti locali, gli stessi assessori regionali competenti predichino adesso cautela; va inoltre specificato, per onestà intellettuale e memoria storica, come rappresentanze tecniche di alcuni degli stessi comuni che adesso si dimostrano contrari al permesso, abbiano partecipato a due distinte conferenze dei servizi tenutesi nel corso del 2013, propedeutiche all'emanazione della delibera di Giunta regionale di approvazione dell'istanza delle multinazionale (la 725 del 10 giugno 2013 di cui sopra), non esprimendo particolari riserve –:
   se non ritenga di dover immediatamente adottare ogni iniziativa di competenza per ritirare o revocare il titolo autorizzativo relativo al progetto di ricerca «Torre del Moro», visti i rischi ambientali e sociali e l'evidente opposizione di cittadinanza e amministratori locali. (4-15970)

  Risposta. — Si risponde all'atto in esame, per quanto di competenza, rappresentando ciò che segue.
  Il permesso di ricerca per idrocarburi liquidi e gassosi «Torre Del Moro» è stato conferito con decreto ministeriale 8 febbraio 2017, emanato a valle dell'acquisizione della delibera di Giunta della regione Emilia Romagna (n. 725) del 10 giugno 2013, con la quale è stata riconosciuta la compatibilità ambientale del programma dei lavori relativo al richiesto permesso di ricerca, e a valle della delibera di giunta della regione Emilia Romagna (n. 2124) del 21 dicembre 2015, con la quale è stata espressa l'intesa favorevole della stessa regione.
  In particolare, il rilascio di un permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, avviene a seguito di un procedimento unico al quale, ai sensi della legge n. 239 del 2004, come modificata dall'articolo 27, comma 34 della legge n. 99 del 2009, partecipano le amministrazioni statali e regionali interessate. All'interno dello stesso vengono acquisiti i pareri delle amministrazioni, l'esito della procedura di valutazione di impatto ambientale e, per la terraferma, l'intesa della regione.
  L'esito della valutazione ambientale e il rilascio di intesa da parte della regione competente hanno valore vincolante per ogni attività del Ministero dello sviluppo economico ai fini del successivo conferimento dei titoli minerari.
  Si fa presente che i comuni interessati sono stati sentiti in primo luogo dalla regione Emilia Romagna. Infatti, dai contenuti della citata delibera di Giunta della regione Emilia Romagna (n. 725) del 10 giugno 2013 si rileva che la stessa regione ha provveduto a dare compunzione dell'avvio del procedimento inerente all'istanza della Società PO Valley Operations mediante avvisi pubblicati presso la regione stessa, la provincia di Forlì ed i Comuni di Cesena, Bertinoro, Forlimpopoli, Forlì e Meldola, nonché, con un'ulteriore pubblicazione su un quotidiano a diffusione nazionale.
  Evidenzio altresì che la stessa regione, ai fini dell'emanazione della precitata delibera, ha indetto una conferenza di servizi formata da propri rappresentati da quelli della provincia di Forlì e da quelli dei comuni interessati citati.
  Il Ministero dello sviluppo economico con nota del 9 febbraio 2017 ha dato comunicazione ai detti comuni, dell'avvenuta emanazione del decreto di conferimento del permesso di ricerca Torre Del Moro.
  Con il decreto di conferimento è stato approvato il programma dei lavori che, in base alle vigenti norme minerarie, deve prevedere in via solo programmatica la perforazione di un sondaggio esplorativo consequenziale previo svolgimento di un'attività, di indagine geologica e geofisica che si concluda con esito positivo in relazione all'effettuazione dei sondaggio.
  Allo stato, quindi, la società non può procedere alla perforazione di alcun sondaggio esplorativo, la cui esecuzione potrà avvenire solo a valle di uno specifico procedimento istruttorio che prevede, tra l'altro, l'acquisizione della valutazione d'impatto ambientale e l'intesa della regione.
  Al riguardo, si rappresenta che, per gli aspetti di competenza del Ministero dello sviluppo economico nell'eventuale fase autorizzatoria del pozzo esplorativo, gli enti locali saranno ulteriormente pienamente coinvolti nella decisione, come previsto dalla stessa legge n. 99 del 2009 e dal regolamento di cui al decreto direttoriale 15 luglio 2015 che contempla, tra le amministrazioni comunque interessate al procedimento unico volto all'autorizzazione alla perforazione in terraferma, oltre alla regione interessata, alla provincia e alle Soprintendenze anche i comuni.
  L'autorizzazione alla perforazione del pozzo esplorativo previsto nel programma lavori del permesso di ricerca e di tutte le infrastrutture indispensabili all'attività di perforazione, è accordata con provvedimento dell'ufficio territoriale competente dei Ministero dello sviluppo economico, a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e locali interessate svolto nel rispetto dei principi di semplificazione di cui alla legge n. 241 del 1990.
  Ciò premesso si precisa che, nell'ambito dell'ulteriore procedura di autorizzazione, compresa quella di Via, finalizzata alla perforazione del sondaggio esplorativo si terrà conto di tutte le problematiche ambientali eventualmente rilevate, nonché delle opposizioni alla perforazione medesima avanzate dalle istituzioni e/o dai comitati locali e dai comuni medesimi.
  Si evidenzia, inoltre, in merito alla regolarità dell'attività di perforazione che, le attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma e in mare, sono svolte sotto il controllo continuo del Ministero dello sviluppo economico, in conformità alle disposizioni normative di settore vigenti e sulla base delle prescrizioni imposte dalla competente regione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   PALMIZIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Anfiteatro romano di Rimini fu eretto tra il 119 e il 138 d.C per ospitare spettacoli gladiatori;
   di forma ellittica (come la maggioranza degli anfiteatri che Roma costruì in tutto il suo Impero), conteneva fino a 14.000 spettatori in uno spazio originario di 118 x 88 metri;
   per queste caratteristiche risulta essere uno dei più grandi in Italia, con il triste primato di essere anche quello conservato in maniera peggiore;
   nel corso del Medioevo l'area fu usata come terreno dedicato a orti, e i documenti raccontano che nel 1600 vi fu ricavato persino un lazzaretto, collegato a un monastero;
   il celebre storico riminese Luigi Tonini riscoprì il valore storico dell'area e nel 1843 diede inizio agli scavi e disegnò la prima mappa ufficiale della zona archeologica, ma, nonostante il rinvenimento, l'anfiteatro è rimasto lì, abbandonato a sé stesso, per oltre un secolo;
   sull'area archeologica dell'anfiteatro fu posto un vincolo nel 1913; in base a tale vincolo è «proibito fare qualsiasi costruzione» nell'area in questione;
   nonostante ciò, nel 1946, il Soccorso operaio Svizzero dona alla popolazione riminese, fiaccata dai bombardamenti, 13 baracche in legno con i relativi arredi smontabili, che inizialmente dovevano essere temporanee, ma che oggi, dopo vari ampliamenti, costituiscono il Ceis (Centro educativo italo svizzero), situato nell'area archeologica dell'anfiteatro;
   nel 1969 l'allora sindaco di Rimini, Walter Ceccaroni, scrisse alla Soprintendenza regionale assumendo un impegno formale (mai onorato), inteso a «trasferire, allorché necessario, la sede del Centro Educativo Italo-Svizzero in altra ubicazione diversa dall'attuale»;
   negli anni ’70, senza che, a quanto consta all'interrogante, fosse stata informata la Soprintendenza nell'area vengono addirittura eretti i primi edifici in muratura, con fondamenta in calcestruzzo, che vengono ampliati negli anni e sono tuttora esistenti;
   la coesistenza tra Ceis e zona archeologica non può persistere, se si vuole valorizzare l'anfiteatro romano, ma l'attuale presidente del Ceis, Giovanna Filippini, ha spesso ribadito il seguente concetto: «il Comune ci deve mettere a disposizione un'altra area e una struttura che sia adeguata alle nostre esigenze. Non abbiamo mai preso in considerazione l'idea di spostarci, se lo faremo dovremo avere in cambio delle garanzie. Anzi ho intenzione di fare la richiesta perché il sito diventi patrimonio mondiale dell'Unesco»;
   negli anni, sono giunte innumerevoli esortazioni al comune di Rimini per valorizzare l'antica arena di epoca romana, oggi «soffocata» da una delle strade di maggiore traffico della città (via Roma), dalle case costruite intorno e dallo stesso Ceis;
   si ricorda che il Ceis è un'associazione privata e i membri del suo consiglio di amministrazione sono nominati su proposta del comune di Rimini, che, ogni anno contribuisce cospicuamente con denaro pubblico alle sue attività;
   in 70 anni per salvaguardare l'area dell'anfiteatro è stato solo realizzato un percorso verde tra i resti dell'anfiteatro, negli anni ’90, e, dopo un lungo braccio di ferro, la rimozione del distributore di benzina che occupava una parte dell'area;
   è veramente troppo poco, a giudizio dell'interrogante, se si considerano il valore e il potenziale di un'area collocabile tra le più importanti della regione Emilia-Romagna e del nostro Paese per importanza storica, simbolica e archeologica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda esposta in premessa, davvero incomprensibile per un'area di tale valore simbolico, storico e archeologico e se intenda assumere, per quanto di competenza, per risolvere le criticità sopra evidenziate, esortando le parti interessate (Ceis compreso) a collaborare affinché venga data priorità alla riqualificazione dell'area e alla valorizzazione dell'area in cui è ubicato l'anfiteatro romano.
(4-15790)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo sopra in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento alla situazione dell'area che accoglie l'anfiteatro romano di Rimini, e a diverse criticità evidenziate, chiede quali iniziative si intende assumere, esortando le parti interessate, a collaborare affinché sia riqualificata e valorizzata l'area in cui è ubicato l'anfiteatro.
  L'anfiteatro romano di Arminum venne costruito durante l'età imperiale (come dimostra il rinvenimento, inglobata nelle murature, di una moneta dell'imperatore Adriano databile tra il 119 e il 138 dopo Cristo), inserendosi in un contesto urbanistico che già sotto il principato di Augusto appariva pienamente definito nel suo assetto monumentale, infrastrutturale e insediativo; si pensi ai monumenti più emblematici fatti costruire dal primo imperatore e tuttora visibili, come l'arco e il ponte sul Marecchia (poi terminato da Tiberio).
  La posizione scelta per la costruzione dell'edificio atto ad ospitare i ludi circenses e i munera gladiatori era piuttosto periferica rispetto alla città romana, al margine nord-orientale di questa e vicino all'antica linea di costa. La pianta del monumento, di forma ellittica, misura circa 117 metri per 88, mentre lo spazio interno corrispondente all'arena è di 73 per 44 metri; la facciata in origine doveva presentare due ordini di 60 arcate, per un'altezza di almeno 15 metri, ma quanto conservato si limita a pochi tratti dell'ordine inferiore con fornici alti poco più di 5 metri; sull'asse maggiore dell'edificio, a nord e sud, si aprivano gli ingressi principali che immettevano direttamente nell'arena, mentre il corridoio lungo il perimetro immetteva nella cavea ad un unico ordine di gradinate (nelle quali dovevano esistere settori con posti numerati, a giudicare dal ritrovamento di un frammento di lastra piana di pietra recante il numero XIII). Pur nella sobrietà compositiva e ornamentale, l'anfiteatro di Rimini doveva costituire uno degli esempi più monumentali della Regio Vili, della quale peraltro rappresenta l'unica testimonianza oggi ancora visibile.
  L'anfiteatro di Rimini ebbe vita breve: dopo poco più di un secolo, attorno al 270 dopo Cristo, l'edificio fu inglobato nel circuito di mura eretto in grande fretta per difendere la città dalle invasioni barbariche che la minacciarono a più riprese: si ritenne opportuno sfruttare l'imponente struttura come saliente verso il mare, addossandovi le murature che cingevano la città e tamponando le arcate del portico esterno. Alla compromissione della funzionalità dell'edificio si aggiunse il progressivo calo di interesse verso i munera, culminato con l'abolizione da parte di Onorio (404 dopo Cristo) dei combattimenti gladiatori.
  Il venir meno della funzionalità dell'edificio comportò la spoliazione dei materiali più utili o pregiati e al definitivo abbandono delle rovine, sepolte nel terrapieno formatosi a ridosso delle mura: del monumento, non più visibile se non per le parti inglobate nella cinta difensiva, si perse la memoria.
  Tra il cinquecento e il seicento, grazie alla rinascita degli studi sull'antico, riemerge il ricordo dell'anfiteatro, la cui esatta menzione si trova nell'opera di Cesare Clementini (Raccolto Istorico, 1617-1627), insieme a dati leggendari e fantasiosi che portarono molti studiosi successivi a metterne in dubbio anche la localizzazione.
  È grazie al metodo rigoroso dello storico riminese Luigi Tonini (cui oggi è dedicato il museo) che viene definitivamente fatta chiarezza sull'esistenza e sulla conformazione dell'anfiteatro di Rimini: tra il 1843 e il 1844, grazie all'intervento economico del comune e di alcuni privati cittadini, Tonini praticò alcuni saggi di scavo sufficienti a chiarire la natura dell'edificio e a ricostruirne la planimetria, integrata per simmetria nelle parti non indagate egli individuò anche il piano basale della struttura, tra i 4 e i 6 metri di profondità rispetto al livello della città, con un sistema di fognature che dovevano scaricare nel torrente Ausa. Acquisiti tali dati fondamentali per la conoscenza del monumento, Tonini fece reinterrare le strutture messe in luce, per l'impossibilità di garantirne diversamente la salvaguardia.
  All'inizio del novecento, l'espansione urbanistica di Rimini giunse ad interessare la zona dell'anfiteatro dopo il lungo periodo di abbandono: qui sorse, ad opera della società Case Popolari, il nuovo «quartiere Anfiteatro». Due decreti ministeriali, nel 1913 e nel 1914, avevano posto vincoli nell'area occupata dai resti del monumento, stabilendo il divieto di fare qualsiasi costruzione; nel 1927 dovette intervenire un decreto ministeriale per ordinare la demolizione di uno stradello che attraversava abusivamente la zona dell'edificio antico. L'area fu ceduta nel 1931 dalla società Case Popolari al comune di Rimini con l'impegno per quest'ultimo di migliorarla e adibirla a pubblico giardino.
  Poco prima, nel 1926, grazie a fondi comunali, erano ripresi gli scavi, diretti da Salvatore Aurigemma, allora soprintendente alle antichità: una campagna impegnativa (gli sterri superarono i 2.400 metri cubi di terreno), che riportò in luce un arco dell'ellisse di circa 80 metri e a seguito della quale si decise di lasciare a vista i resti delle murature, con i conseguenti problemi di restauro e di conservazione. All'inizio degli anni ’30 del secolo scorso, in concomitanza con le celebrazioni per il bimillenario augusteo e la programmazione di ampi sventramenti attorno all'arco e al ponte, vennero intrapresi anche altri scavi per riportare alla luce l'intero anfiteatro. Dopo un primo splateamento dell'area nel 1932, la campagna del 1934, attuata con fondi comunali, mostrò come proseguendo l'indagine verso sud la distruzione dell'edificio risultasse sempre maggiore, tanto da non trovare in alcuni punti alcuna traccia di murature in posto. Già l'anno seguente la conservazione dell'area archeologica era divenuta preoccupante: il soprintendente Aurigemma denunciava al podestà che i canali di scolo delle acque scavati l'anno precedente erano stati ostruiti, l'arena era diventata campo di gioco per i ragazzi che staccavano e spargevano frammenti di murature, la recinzione era rotta in più punti e mancante. Successivamente nuovi scavi permisero di mettere in luce altre strutture e di rilevare esattamente la pianta e di osservare come le sostruzioni dell'edificio fossero costituite da un terrapieno che riempiva tutte le concamerazioni. Tra il 1938 e il 1940 si registrano la demolizione delle mura tardoantiche che si appoggiavano all'edificio e opere di protezione e rinforzo delle murature.
  Nell'immediato dopoguerra l'area archeologica venne utilizzata come discarica per le macerie provenienti dai crolli e dalle demolizioni degli edifici cittadini. I ruderi erano oggetto di ripetuti atti vandalici e furti di mattoni, denunciati a più riprese da Carlo Lucchesi, direttore degli istituti culturali del comune di Rimini.
  Nel 1946 la parte sud e sud-est dell'area fu ceduta dal comune in uso al centro educativo italo svizzero (CEIS), che vi impiantò alcuni prefabbricati allo scopo di assicurare la presenza di una scuola in area urbana perché i bambini non fossero costretti a percorrere a piedi un tracciato troppo lungo e assicurandone il carattere di provvisorietà.
  Malgrado ciò, col passare del tempo i prefabbricati vennero sostituiti con opere in muratura e il centro, da asilo di baracche, si è trasformato in edificio stabile e polifunzionale.
  La competente soprintendenza ha rivolto innumerevoli sollecitazioni riguardo il trasferimento dell'intero complesso in ragione della provvisorietà della soluzione autorizzata, insieme a ripetute richieste di pervenire, a un «costruttivo confronto tra tutte le parti in causa».
  Nel resto dell'area, tuttavia, rimaneva un preoccupante situazione per la conservazione dei resti: la soprintendenza avviò un primo programma di recupero, che prevedeva il riempimento delle buche prodotte dalle bombe e la sistemazione a giardino della zona. Continuava però lo scarico indisturbato delle macerie, contro il quale a poco valsero i divieti, la vigilanza e le sanzioni messe in atto dal sindaco di Rimini su insistenza del soprintendente e di Lucchesi. Nel 1949 i resti dell'anfiteatro versavano in uno stato deplorevole.
  Negli anni ’50 del secolo scorso venne avviato dalla soprintendenza, con la collaborazione di Mario Zuffa, succeduto al Lucchesi, un programma di restauro conclusosi nel 1963: le strutture superstiti furono liberate dalla macerie, rafforzate e parzialmente ricostruite. Nemmeno questo poté impedire la ripresa del degrado delle strutture, inserite in un contesto urbanistico di incuria e abbandono.
  Negli anni ’80 la soprintendenza curò ulteriori interventi di restauro, pulizia generale, sistemazione dell'area e ripristino della recinzione; in seguito il comune ha dato avvio ad un programma di riqualificazione urbanistica della zona, predisponendo l'apertura al pubblico dell'area archeologica, che ora è fruibile (sempre nella metà nord, non occupata dal Ceis) e inserita nelle proposte didattiche offerte alle scuole dai musei comunali. Tale suggestiva cornice accoglie talora importanti manifestazioni culturali e momenti di rievocazione storica a cura di associazioni locali, i quali riscuotono un enorme successo di pubblico.
  L'attuale situazione dell'anfiteatro di Rimini è ben comprensibile da una vista aerea della zona: metà dell'edificio (quella che gli scavi hanno identificato come la più compromessa) è coperta da terreni di riporto sui quali si sono impostate le costruzioni del Ceis, mentre l'altra, sistemata ad area archeologica, vive tutti i problemi di degrado caratteristici delle strutture esposte agli agenti atmosferici, aggravati dalla posizione dei resti all'interno del tessuto urbanistico della città, in una zona di transito veicolare prossima alla stazione ferroviaria e a quella delle corriere, attorniata da costruzioni post-belliche prive di qualità architettonica.
  In tempi recenti si sono intensificate le segnalazioni dei cittadini a proposito dello stato di abbandono del monumento, dimostrando che l'attenzione della cittadinanza per la cura dei propri monumenti si è certamente accresciuta negli ultimi anni e non è affatto paragonabile al clima culturale dell'immediato dopoguerra, quando il valore del patrimonio culturale scivolava in secondo piano rispetto alle esigenze della ricostruzione. Si sono inoltre sviluppati accesi dibattiti, i quali hanno avuto risonanza nei media locali, riguardo alla posizione del Ceis: dibattiti il più delle volte concentrati su questioni legate ai rapporti tra questo ente e il comune più che sui reali problemi di tutela e valorizzazione dell'anfiteatro.
  L'eliminazione delle costruzioni poste all'interno dell'area dell'anfiteatro consentirebbe certamente il ripristino delle condizioni prescritte nel decreto del 1914; ma questo non corrisponderebbe di per sé ad un miglioramento della tutela del monumento, e ancor meno ciò potrebbe essere sufficiente ad assicurarne la valorizzazione.
  Dal punto di vista della conoscenza, che sta alla base di ogni attività di tutela (articolo 3 del decreto legislativo n. 42 del 2004), si segnala come il monumento sia già stato integralmente scavato, recuperandone tutti i dati relativi alla conformazione planimetrica, alla tecnica costruttiva, alla datazione. Un intervento di liberazione delle strutture a scopo di valorizzazione comporterebbe opere di sterro di notevole portata, che necessiterebbero comunque di una vigilanza archeologica permettendo un incremento dei dati archeologici che si può stimare come molto ridotto.
  Sotto il profilo della tutela, occorre osservare come la situazione delle murature esposte nell'area archeologica sia decisamente più precaria rispetto a quella di resti sepolti: il mantenimento di strutture antiche a vista pone infatti complessi problemi di manutenzione ordinaria la cui soluzione richiede un impegno tecnico ed economico sempre più difficile da sostenere per ogni amministrazione pubblica. Perciò la prassi adottata più frequente dalle soprintendenze, nel caso di ritrovamenti di interesse archeologico, è quella di reinterrare i resti, adeguatamente documentati e opportunamente protetti, salvo casi eccezionali come potrebbe essere quello dell'anfiteatro. Va quindi sottolineato come qualsiasi intervento sull'anfiteatro debba primariamente confrontarsi con le ragioni della tutela in modo da non pregiudicarne le esigenze (confrontare articolo 6 del decreto legislativo n. 42 del 2004).
  È sul piano della valorizzazione che si rivelano le maggiori criticità, dovute, come già detto, sia alla presenza delle strutture del Ceis su una porzione dell'area, sia alla generale situazione urbanistica della zona, che impediscono la piena fruizione di un monumento tanto significativo per la storia (non soltanto) riminese nonché l'accesso da parte della cittadinanza ai valori storico-artistici di cui tali resti sono testimonianza. Se il termine «valorizzazione» richiama le attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica (articolo 6 del decreto legislativo n. 42 del 2004), appare sempre più stringente la necessità di attuare un programma di recupero e riqualificazione urbanistica, il cui impegno in termini di risorse umane e materiali deve essere proporzionato al «valore» che viene attribuito all'anfiteatro di Ariminum.
  L'area dell'Anfiteatro di Rimini è di proprietà comunale e l'esercizio delle funzioni di valorizzazione del patrimonio culturale è posto in capo agli enti territoriali (articolo 117 Costituzione e articoli 6-7 del decreto legislativo n. 42 del 2004).
  La ricostruzione delle vicende che hanno interessato, in questi ultimi decenni, il monumento riminese dimostrano come le strutture periferiche del Ministero hanno più volte, anche in tempi recenti, rivolto al comune di Rimini sollecitazioni verso la presa in carico di una organica progettualità in merito, manifestando, nel contempo il proprio pieno sostegno a piani e progetti che riqualifichino e valorizzino l'anfiteatro.
  Così come nel passato, questa amministrazione non cesserà di attivarsi affinché venga data priorità alla riqualificazione dell'area.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   PASTORELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il diritto alla tutela della salute è garantito dalla Costituzione e non può essere oggetto di discriminazione territoriale;
   in generale, i laboratori ARPA sono l'unica fonte di vigilanza ambientale (acqua, aria, terreni, rifiuti, bonifiche) liberamente a disposizione del singolo cittadino; le emergenze ambientali in Arpa sono all'ordine del giorno e i laboratori servono a questo;
   la loro drastica riduzione, prevista in gran parte delle regioni italiane, comporta necessariamente un pesante ridimensionamento dei controlli effettuati sul territorio; inoltre, ciò comporterà la dispersione di professionalità specialistiche già acquisite, l'interruzione di legami e scambi di utili informazioni tra operatori di laboratorio e addetti alle attività di controllo; si spenderanno altresì ingenti risorse per il trasporto refrigerato su strada di tutti i campioni dall'intero territorio regionale verso le sedi che rimarranno operative;
   la chiusura di numerose sedi provinciali – ultima delle quali in ordine di tempo quella di Padova, il cui laboratorio di analisi, grazie all'alta professionalità dei tecnici, è stato promosso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare unica struttura nazionale che dovrà svolgere le analisi di qualità dell'aria – avrà come conseguenza un evidente abbassamento del livello di sicurezza sull'intero territorio. Si tratta di un'operazione che, ad avviso dell'interrogante, non rispetta la missione costitutiva delle Agenzie regionali di protezione ambientale, quella del controllo pubblico della qualità dell'ambiente a supporto della prevenzione sanitaria a tutela della salute pubblica; infatti, l'Agenzia è a pieno titolo parte integrante del Servizio sanitario nazionale –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati in merito a quanto sopra esposto e se e quali iniziative intendano intraprendere, anche sul piano normativo e sulla base di intese in sede di Conferenza Stato-regioni, per pervenire al potenziamento della rete deputata ai controlli ambientali, favorendo ogni soluzione utile a evitare scelte di destrutturazione come quella di cui in premessa. (4-05009)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La recente approvazione della legge 28 giugno 2016 n. 132 istituisce un sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, finalizzato ad armonizzare da un punto di vista qualitativo e quantitativo le attività delle agenzie sul territorio, nonché a realizzare un sistema integrato di controlli coordinati dall'istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
  Attraverso un sistema nazionale a rete in cui un ruolo strategico è attribuito a Ispra, e con i cosiddetti «Lepta», ovvero i livelli essenziali delle prestazioni ambientali cui dovranno adeguarsi le agenzie, si attua un vero e proprio ripensamento dell'attuale sistema, fino ad oggi scandito da una diversità di approcci da regione a regione e da una grande frammentarietà che indeboliva di fatto la protezione dell'ambiente.
  Altre importanti novità introdotte dal provvedimento sono il sistema informativo nazionale ambientale e la rete dei laboratori accreditati: si rafforzano dunque in maniera evidente la trasparenza e la qualità scientifica dei controlli.
  Il lavoro più complesso che spetta alle agenzie nei prossimi anni è quello di contribuire alla definizione di quei meccanismi di misurazione degli sforzi degli stati nel perseguire gli obiettivi ambientali.
  Sarà necessario individuare metodi inattaccabili per rendere comparabili misure e interventi molti diversi e, in questo ambito, per misurare progressi, battute d'arresto, stati di avanzamento per valutare, sia in termini di singolo paese che globali, i progressi fatti e quanto manca ai target concordati.
  In questo percorso un ruolo chiave è affidato alle agenzie per la protezione dell'ambiente, che sono chiamate alla responsabilità di fornire ai decisori politici gli strumenti necessari per definire soluzioni politiche efficaci, informate, scientificamente solide, sia a scala territoriale sia a scala internazionale.
  In ogni caso, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   durante la trasmissione del 9 settembre 2016 «L'Aria d'Estate» condotta su La7 dal dottor David Parenzo l'interrogante ha potuto ascoltare in diretta una intervista al sindaco di Riace che si vantava di aver ospitato nel suo comune oltre 500 «profughi e immigrati» come lo stesso ha dichiarato, in un rapporto tra immigrati e abitanti enormemente superiore alla media nazionale;
   l'accoglienza dei richiedenti asilo e ogni altro progetto di integrazione è un costo ingentissimo totalmente coperto da fondi pubblici;
   le cronache recenti hanno evidenziato nel passato una relazione, come nel caso di «Mafia Capitale», tra l'utilizzo spregiudicato di tali fondi e una presenza di immigrati superiore alla media –:
   quali siano, nel comune di Riace, i soggetti deputati all'accoglienza dei richiedenti asilo, e degli immigrati regolari e quali i soggetti incaricati dei progetti di integrazione;
   se possa inoltre fornire un preciso rendiconto dell'ammontare complessivo dal 2014 ad oggi dei fondi destinati al comune di Riace per tali progetti e di quali siano i soggetti destinatari dei fondi statali erogati per progetti di accoglienza e integrazione. (4-14122)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si rappresenta che, sulla base di quanto riferito dalla prefettura di Reggio Calabria, sono state 8 le associazioni deputate all'accoglienza dei richiedenti asilo e degli immigrati regolari presenti nel comune di Riace che, nel triennio 2014-2016, hanno beneficiato di fondi destinati alle strutture di accoglienza e di fondi previsti in genere per interventi di integrazione e socializzazione.
  I contributi di cui hanno fruito nel citato arco temporale tali strutture – tutte associazioni no-profit, appartenenti al cosiddetto «terzo settore» – ammontano complessivamente a 5.941.302 euro.
  Nello specifico, le associazioni sono: «Oltre Lampedusa» che ha ricevuto finanziamenti per 738.718 euro, «Riace Accoglie» per 974.620 euro, «Città futura G. Puglisi» per 1.861.043,38 euro, «Los Migrantes» per 992.078 euro, «Società Cooperativa Sociale Girasole» per 851.360 euro, «Real Riace» per 43.994 euro, «Riace a sud di Lampedusa» per 112.110 euro e «Protezione Civile SS Medici», associazione affidataria di un Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, che ha ricevuto 367.374 euro.
  Per quanto riguarda specificatamente i servizi di accoglienza, le somme erogate a titolo di rimborso dalla prefettura di Reggio Calabria al comune in argomento ammontano complessivamente a 2.479.475 euro, sempre con riferimento al periodo in esame.
  Infine, per completezza d'informazione, si rappresenta che, in base agli ultimi dati ISTAT, al 1o gennaio 2016 gli stranieri regolari residenti a Riace risultavano essere 459, a fronte di una popolazione di 2.238 unità.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   RAVETTO, BRUNETTA e VITO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, ha svolto, mercoledì 22 marzo 2017, l'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catania, Carmelo Zuccaro;
   il dottor Zuccaro ha affermato che, a partire dai mesi di settembre e ottobre 2016, si è registrato un improvviso proliferare di unità navali delle piccole organizzazioni non governative (Ong) che accompagnerebbero fino alle coste italiane i barconi dei migranti. Tale situazione rappresenterebbe una sorta di «scacco» all'attività di contrasto degli organizzatori del traffico di migranti, il cui lavoro di accompagnamento, sino al territorio italiano, dei barconi sarebbe stato sostituito dalle attività svolte da tali navi;
   il dottor Zuccaro ha proseguito affermando che la procura di Catania, nel mese di febbraio, avrebbe aperto un'indagine conoscitiva allo scopo di approfondire non solo l'evoluzione del fenomeno ma, soprattutto le cause di una proliferazione così intensa delle unità navali, nonché degli ingenti costi giornalieri, ovvero mensili da queste sostenuti a fronte di un mancato ritorno in termini di profitto economico, che porterebbe ad interrogarsi sulle fonti di provenienza del denaro necessario per fronteggiare tali costi;
   secondo il procuratore, poi, vi sarebbe la necessità di comprendere la reale volontà delle Ong di collaborare con le autorità giudiziarie, soprattutto alla luce del fatto che esse spesso lavorano in prossimità del territorio e delle coste libiche. Secondo i dati forniti, è stato calcolato che, negli ultimi quattro mesi del 2016, il 30 per cento dei salvataggi con approdi a Catania è stato effettuato dalle citate Ong mentre, nei primi mesi del 2017, tale percentuale è salita ad almeno il 50 per cento, a fronte di una mancata diminuzione del numero dei morti;
   nell'ambito della citata audizione sono stati ufficializzati ulteriori dati, sulla base dei quali il numero di morti in mare, nel 2016, ammonterebbe a 5000 e, nel triennio 2013-2015, le vittime di cui si è occupata la procura di Catania sarebbero state 2000; ciò lascerebbe intendere che la presenza di queste organizzazioni, a prescindere dagli intenti per i quali operano, non ha contribuito ad attenuare il numero delle tragedie in mare;
   le informazioni trasmesse nell'ambito dell'audizione svolta dal dottor Zuccaro confermano dunque la presenza, in acque internazionali vicino alle coste libiche, di navi riconducibili a piccole Ong che, in aperta violazione della Convenzione di Ginevra, condurrebbero i migranti salvati in mare sulle cose italiane, e non verso il porto sicuro più vicino;
   tali informazioni determinano numerosi dubbi circa l'applicabilità della Convenzione di Dublino da parte dell'Italia che, sotto tale aspetto, non dovrebbe essere costretta a sostenere gli onerosi compiti attribuiti dalla Convenzione di Dublino, non trattandosi infatti di reale Stato di primo approdo, ma di approdo deciso a discrezionalità dei comandanti delle navi nella disponibilità delle Ong;
   da ultimo si fa notare che, dal punto di vista strettamente legale, atteso che le navi nella disponibilità delle Ong, secondo quanto affermato dal dottor Zuccaro, sono battenti bandiere straniere anche di altri Stati europei, secondo il diritto internazionale, i migranti raccolti da dette navi dovrebbero ritenersi approdati negli Stati di bandiera portati dalle navi stesse –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere rispetto alla vicenda esposta in premessa, anche nelle opportune sedi europee ed internazionali, e se intendano fornire gli opportuni chiarimenti in merito alle rotte marittime effettuate dalle navi delle organizzazioni non governative nonché in merito ai rapporti delle stesse con la Guardia costiera e gli scafisti. (4-16041)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerso dal Rapporto Risk Analysis 2017 recentemente pubblicato dall'Agenzia Frontex e da numerose inchieste giornalistiche negli ultimi mesi, nonostante l'aumento delle partenze per raggiungere attraverso il Mar Mediterraneo i Paesi europei, principalmente l'Italia, le telefonate via satellite al Maritime Rescue Coordination Centre di Roma per avviare salvataggi mirati in alto mare da parte della Marina militare o delle missioni europee sarebbero, invece, diminuite;
   difatti, nel 2015 e i primi mesi del 2016 le operazioni di salvataggio avviate a seguito delle chiamate satellitari al Centro di cui sopra sono state principalmente effettuate dalle forze dell'ordine italiane, Eunavfor Med o Frontex, mentre quelle delle navi delle diverse Ong, che navigano nelle acque tra la Libia e la Sicilia, rappresentavano meno del 5 per cento;
   improvvisamente, invece, dal mese di giugno 2016 il numero di telefonate satellitari al Maritime Rescue Coordination Centre di Roma è diminuito in modo drastico mentre le operazioni di soccorso delle navi gestite dalle diverse Ong, presenti a ridosso delle acque libiche, hanno subito una rapida impennata fino ad arrivare a oltre il 40 per cento di tutti i salvataggi;
   la prima unità navale di una Ong ad intervenire nelle operazioni di soccorso è stata avvistata ad agosto 2014 e da allora i salvataggi effettuati dalle navi, sempre gestite da diverse organizzazioni umanitarie e che via via si sono aggiunte, sono passati da 1.450 nel 2014 ai 46.796 nel 2016;
   secondo l'Agenzia Frontex, a produrre, di fatto, un effetto moltiplicatore delle partenze sarebbero proprio le sempre più numerose navi delle diverse Ong che arriverebbero a spingersi al limite e occasionalmente all'interno del limite delle 12 miglia, ossia in acque libiche, con conseguenze drammatiche sia per la lotta al traffico degli esseri umani sia per il costo di vite umane, come dimostrano l'impennata delle partenze e il numero dei decessi in mare che ha registrato il record di 5.000 circa nel 2016;
   difatti, dal giugno 2016 pare che trafficanti preferiscano contattare direttamente le sempre più numerose navi delle Ong, sapendo di poter contare sul loro intervento perché più vicine alle coste libiche, e abbiano, perciò, incrementato le partenze ricorrendo a imbarcazioni sempre più malmesse e sempre più affollate: se nel 2015 ogni gommone portava una media di 90 persone, nel 2016 si è arrivati a ben 160;
   inoltre, secondo quanto dichiarato dal direttore di Frontex, Fabrice Leggeri, le Ong non collaborerebbero con l'Agenzia nella lotta al traffico di esseri umani poiché i volontari non affondano i gommoni usati, che possono quindi essere facilmente recuperati dai trafficanti che restano nell'area mentre le navi delle Ong trasportano gli immigrati sulle coste italiane;
   infine pare siano almeno tre le procure che stanno attenzionando tale fenomeno e una di esse, quella di Catania, avrebbe anche a disposizione dei rapporti riservati di Frontex, con informazioni raccolte anche in Libia, dei servizi segreti e della Marina italiana;
   quali iniziative e azioni immediate il Governo intenda adottare al fine di dare seguito alle denunce avanzate dall'Agenzia Frontex, riportate anche da diverse inchieste giornalistiche sopra richiamate. (4-15974)

  Risposta. — L'interrogazione richiama l'attenzione su un tema che, nel contesto delle complesse problematiche legate ai fenomeni migratori, riveste particolare delicatezza.
  Esso si inquadra in uno scenario che, a fronte di flussi che non accennano a diminuire – anzi, palesano evidenti indicatori di incremento –, vede un impegno deciso e determinato dell'Esecutivo per governarne i molteplici aspetti, che hanno ricadute sul piano interno, sull'applicazione delle convenzioni internazionali e sui rapporti con gli altri Stati.
  Con riferimento a quest'ultimo aspetto, lo stesso Ministro dell'interno ha in più occasioni evidenziato come il governo dei flussi migratori richieda soprattutto un'attività proiettata sull'altra sponda del Mediterraneo.
  Ne è testimonianza il memorandum siglato con la Libia il 2 febbraio 2017, volto a contenere i flussi e a contrastare la tratta degli esseri umani che, nella concreta attuazione, registra in questi giorni l'impegno del nostro Paese a contribuire a un progetto di rafforzamento della capacità di controllo del mare da parte della Guardia costiera libica, anche attraverso la fornitura di mezzi e le attività di formazione degli equipaggi. Nello scorso mese di aprile due motovedette sono state consegnate alla guardia costiera libica, con l'obiettivo di arrivare entro la fine di giugno al numero di dieci. Contemporaneamente, vi è un impegno molto forte per quanto riguarda la sicurezza e il controllo dei confini sud della Libia. Si rammenta, al riguardo, che dalla Libia passa almeno il 90 per cento dei migranti che arrivano nel nostro Paese.
  L'obiettivo è dunque fermare i flussi e vincere la sfida posta dai trafficanti di esseri umani, che non tengono in alcun conto il rispetto della vita umana. L'evoluzione più recente del fenomeno vede infatti l'utilizzo sempre più frequente di mezzi leggeri per il trasporto dei migranti.
  Tale circostanza rappresenta un elemento di incremento del rischio per l'incolumità dei migranti stessi. In questo scenario si svolge l'attività di Sophia, di Frontex, della Guardia costiera italiana e delle organizzazioni non governative.
  L'evoluzione più recente del fenomeno vede, peraltro, l'utilizzo sempre più frequente di mezzi leggeri per il trasporto dei migranti. Tale circostanza rappresenta un elemento di accrescimento del rischio per l'incolumità dei migranti.
  Appare evidente che le attività di ricerca e soccorso non possano prescindere dal rispetto del principio fondamentale della salvaguardia della vita umana, nonché di altri principi importanti, come quello di non «refoulement». Altri obblighi giuridici e morali derivano dalle tre più significative Convenzioni internazionali in materia, cioè quella per la sicurezza della vita in mare (SOLAS), quella delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) e quella sul soccorso in mare (SAR).
  Le questioni sollevate con l'interrogazione non possono essere certamente sottovalutate.
  Tuttavia, per evidenti ragioni di principio, occorre evitare generalizzazioni o giudizi affrettati, attenendosi quindi ad una rigorosa valutazione degli atti.
  In questa fase, il Governo ha aperto un canale di scambio informativo con la Commissione europea, l'agenzia Frontex e il Servizio diplomatico dell'Unione europea per condividere ogni elemento utili alla definizione di un quadro di valutazione aggiornato.
  D'altra parte, sono ancora in corso indagini da parte di alcune procure della Repubblica.
  Inoltre, il comitato parlamentare Schengen, nell'ambito di un'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio, ha recentemente rivolto la sua attenzione allo specifico tema, attraverso audizioni programmate.
  La Commissione difesa del Senato ha a sua volta deliberato una indagine conoscitiva sull'impatto delle attività delle organizzazioni non governative sui flussi migratori, svolgendo una serie di audizioni rivolte anche ad esponenti di ONG.
  Il Governo segue lo sviluppo di tali attività parlamentari, considerando di particolare importanza acquisirne gli esiti finali, che verranno valutati con grande attenzione.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con lettera circolare 1/2017 del 17 gennaio 2017 il dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno – direzione centrale risorse logistiche e strumentali ha indicato ai comandi provinciali le direttive per l'espletamento della procedura di gara per l'affidamento del servizio di ristorazione presso le sedi di servizio;
   la predetta lettera-circolare, recependo gli obblighi disposti dalla legge 11 dicembre 2016, n. 232, prevede che si renda necessario realizzare un risparmio di spesa anche sui Cap. 1951/01 e seguenti per implementare le risorse disponibili nei fondi incentivanti del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco al fine della «valorizzazione delle peculiari condizioni di impiego professionale del personale medesimo nelle attività di soccorso pubblico, rese anche in contesti emergenziali»,
   nella lettera-circolare è altresì possibile apprendere che «in considerazione della scadenza al 31 dicembre 2017 dei contratti di mensa, si rende necessario attivare una procedura di gara che recepisca le novità introdotte sia dalla Legge di Bilancio e sia dal nuovo codice dei contratti entrato in vigore il 19 aprile 2016»;
   in particolare, secondo quanto analiticamente indicato dalla relazione tecnica, allegata alla legge 11 dicembre 2016, n. 232, tali economie dovranno essere realizzate, a partire dal 2018 grazie «all'introduzione, in maniera diffusa, su tutto il territorio dell'utilizzo del buono pasto elettronico (...) in luogo del più oneroso servizio di ristorazione per il pasto serale presso le sedi operative (opzione compatibile con l'orario di inizio del servizio da parte del personale turnista)»;
   con tale sistema il personale dei vigili del fuoco non potrà più usufruire del servizio mensa confezionato presso le sedi operative, nonostante l'impegno degli operatori di tale corpo sia soprattutto fisico e necessiti, quindi, dell'assunzione di pasti con adeguato contenuto energetico che il buono pasto potrebbe non garantire;
   il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto aziende e amministrazioni autonome dello Stato ad ordinamento autonomo 1998/2001, all'articolo 50, stabilisce che, ferma restando la gratuità del servizio mensa per il personale operativo inserito nei turni di lavoro collegati al soccorso, il contatto collettivo integrativo nazionale (...) regolerà il diritto alla mensa per il personale non inserito nei turni tenendo in considerazione precisi criteri;
   in particolari situazioni di emergenza, presso i comandi, oltre al personale normalmente in servizio, possono affluire anche uomini provenienti da altre province e regioni e dunque, ad avviso dell'interrogante, non è realisticamente pensabile che il servizio di ristorazione possa essere garantito con l'erogazione dei buoni pasto;
   la necessità di perseguire obiettivi di contenimento delle spesa pubblica non sempre migliora i servizi, in questo caso infatti ne compromette, in modo evidente, il regolare svolgimento;
   l'orario di servizio dei vigili del fuoco è svolto con una articolazione in turni di 12 ore continuative e tale particolare articolazione ha consentito, fino ad oggi, di poter mantenere gli attuali standard di efficienza e tutela dei cittadini in termini di sicurezza e soccorso tecnico urgente che diversamente verrebbero a mancare –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di scongiurare la soppressione del servizio mensa durante lo svolgimento dei turni notturni per tutto il personale del settore operativo in servizio nei comandi provinciali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. (4-16109)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo in esame, occorre premettere che, per le sedi territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, è in corso di predisposizione la documentazione per una nuova procedura di gara per il servizio mensa, il cui iter dovrà concludersi entro il 31 dicembre 2017, al fine di evitare il ricorso all'istituto della proroga contrattuale.
  Si rappresenta, inoltre, che si intende dare impulso negli atti di gara alla qualità del servizio offerto e alla promozione di una corretta cultura alimentare, attraverso un'innovativa stesura del capitolato tecnico, anche alla luce delle indicazioni contenute nel nuovo codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016).
  Si soggiunge che la legge di bilancio per il 2017 (articolo 1, comma 365, lettera c) ha disposto risparmi di spesa anche sui capitoli delle mense di servizio da destinare alla «valorizzazione delle peculiari condizioni di impiego professionale del personale medesimo nelle attività di soccorso pubblico, rese anche in contesti emergenziali».
  Presso tutte le sedi territoriali, pertanto, è stata avviata una ricognizione dei dati per il calcolo delle basi d'asta per la gara, proponendo la sostituzione della mensa serale con il buono pasto, anche sulla scorta delle preferenze verso il buono pasto serale espresse in ambito locale da più parti.
  Tanto premesso, si informa che la problematica evidenziata dall'interrogante in relazione al servizio ristorazione è stata affrontata nel corso di vari incontri con le organizzazioni sindacali del personale dei vigili del fuoco.
  A seguito di una ulteriore rilevazione effettuata – tenendo conto delle osservazioni e delle richieste emerse in occasione degli incontri con le organizzazioni sindacali – è stata espressa la preferenza del buono pasto serale in luogo della mensa di servizio presso i distaccamenti dei vigili del fuoco, escluse le sedi centrali dei Comandi, quelle aeroportuali, quelle disagiate, le sedi ubicate nei comuni senza adeguate strutture ricettive (ad esempio, comuni con popolazioni inferiori a 5.000/10.000 abitanti), nonché i distaccamenti che effettuano almeno mille interventi operativi annui.
  Successivamente, sono sopraggiunti dal territorio diversi indirizzi, rappresentati dalle organizzazioni sindacali, da cui è scaturita una nuova intesa con la quale si è stabilito di mantenere il precedente modello di gestione che lascia agli accordi locali la scelta del tipo di erogazione del servizio.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   SQUERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo indiscrezioni di stampa il Governo sarebbe in possesso di proiezioni secondo le quali nel 2017 i migranti sbarcati in Italia saranno 250 mila, a fronte dei 181 mila del 2016;
   nei primi 73 giorni del 2017 i migranti soccorsi in mare sono aumentati del 67 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016, toccando quota 15.852 persone;
   i dati diffusi da Frontex segnalano che gli arrivi di migranti verso l'Unione europea continuano a calare a febbraio 2017 rispetto a un anno fa, mentre il numero di migranti arrivati nella sola Italia, tra gennaio e febbraio 2017, sale a 13.440;
   i piani di redistribuzione degli immigrati tra i comuni italiani, basati sul coefficiente di 2,5 migranti per mille residenti, erano stati elaborati su una previsione di 200 mila persona da accogliere;
   il Ministero dell'interno si trova già a gestire l'accoglienza di 173.973 persone e i minori non accompagnati continuano a sbarcare in massa, toccando quota 2.230 il 6 marzo 2017;
   secondo il rapporto del rappresentante speciale del Consiglio d'Europa per le migrazioni e i rifugiati, Tomas Bocek, basato sulla visita condotta in Italia nell'ottobre 2016, «Le debolezze del sistema italiano di rimpatri volontari e delle espulsioni forzate rischia di incoraggiare l'afflusso di un sempre maggior numero di migranti economici irregolari»;
   il Rapporto Risk Analysis 2017 di Frontex accusa le navi delle organizzazioni non governative (Ong), che effettuano circa il 40 per cento dei salvataggi in mare: «È chiaro che le missioni al limite e occasionalmente all'interno del limite delle 12 miglia, in acque libiche, hanno conseguenze non desiderate»;
   le operazioni di soccorso compiute dalle ong sono oltre il 40 per cento di tutti i salvataggi, con un'impennata del numero di persone caricate a bordo di queste imbarcazioni: 1.450 nel 2014, 20.063 nel 2015, 46.796 nel 2016. In tal modo, per l'interrogante, tutti migranti che finiscono in Italia;
   secondo notizie di stampa le navi delle ong non affondano i gommoni, che spesso vengono recuperati dagli scafisti, e prelevano i migranti direttamente nelle acque territoriali libiche –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'attività delle imbarcazioni che si spingono a prelevare i migranti a ridosso delle coste libiche per portarli in Italia;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere e altresì se intenda comunicare le previsioni in possesso del Governo sul numero di migranti in arrivo nel 2017 in Italia. (4-15955)

  Risposta. — L'interrogazione richiama l'attenzione su un tema che, nel contesto delle complesse problematiche legate ai fenomeni migratori, riveste particolare delicatezza.
  Esso si inquadra in uno scenario che, a fronte di flussi che non accennano a diminuire – anzi, palesano evidenti indicatori di incremento –, vede un impegno deciso e determinato dell'Esecutivo per governarne i molteplici aspetti, che hanno ricadute sul piano interno, sull'applicazione delle convenzioni internazionali e sui rapporti con gli altri Stati.
  Con riferimento a quest'ultimo aspetto, lo stesso Ministro dell'interno ha in più occasioni evidenziato come il governo dei flussi migratori richieda soprattutto un'attività proiettata sull'altra sponda del Mediterraneo.
  Ne è testimonianza il memorandum siglato con la Libia il 2 febbraio 2017, volto a contenere i flussi e a contrastare la tratta degli esseri umani che, nella concreta attuazione, registra in questi giorni l'impegno del nostro Paese a contribuire a un progetto di rafforzamento della capacità di controllo del mare da parte della Guardia costiera libica, anche attraverso la fornitura di mezzi e le attività di formazione degli equipaggi. Nello scorso mese di aprile due motovedette sono state consegnate alla guardia costiera libica, con l'obiettivo di arrivare entro la fine di giugno al numero di dieci. Contemporaneamente, vi è un impegno molto forte per quanto riguarda la sicurezza e il controllo dei confini sud della Libia. Si rammenta, al riguardo, che dalla Libia passa almeno il 90 per cento dei migranti che arrivano nel nostro Paese.
  L'obiettivo è dunque fermare i flussi e vincere la sfida posta dai trafficanti di esseri umani, che non tengono in alcun conto il rispetto della vita umana. L'evoluzione più recente del fenomeno vede infatti l'utilizzo sempre più frequente di mezzi leggeri per il trasporto dei migranti.
  Tale circostanza rappresenta un elemento di incremento del rischio per l'incolumità dei migranti stessi. In questo scenario si svolge l'attività di Sophia, di Frontex, della Guardia costiera italiana e delle organizzazioni non governative.
  L'evoluzione più recente del fenomeno vede, peraltro, l'utilizzo sempre più frequente di mezzi leggeri per il trasporto dei migranti. Tale circostanza rappresenta un elemento di accrescimento del rischio per l'incolumità dei migranti.
  Appare evidente che le attività di ricerca e soccorso non possano prescindere dal rispetto del principio fondamentale della salvaguardia della vita umana, nonché di altri principi importanti, come quello di non « refoulement» Altri obblighi giuridici e morali derivano dalle tre più significative Convenzioni internazionali in materia, cioè quella per la sicurezza della vita in mare (SOLAS), quella delle Nazioni unite sul diritto del mare (UNCLOS) e quella sul soccorso in mare (SAR).
  Le questioni sollevate con l'interrogazione non possono essere certamente sottovalutate.
  Tuttavia, per evidenti ragioni di principio, occorre evitare generalizzazioni o giudizi affrettati, attenendosi quindi ad una rigorosa valutazione degli atti.
  In questa fase, il Governo ha aperto un canale di scambio informativo con la Commissione europea, l'agenzia Frontex e il servizio diplomatico dell'Unione europea per condividere ogni elemento utili alla definizione di un quadro di valutazione aggiornato.
  D'altra parte, sono ancora in corso indagini da parte di alcune procure della Repubblica.
  Inoltre, il comitato parlamentare Schengen, nell'ambito di un'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio, ha recentemente rivolto la sua attenzione allo specifico tema, attraverso audizioni programmate.
  La Commissione difesa del Senato ha a sua volta deliberato una indagine conoscitiva sull'impatto delle attività delle organizzazioni non governative sui flussi migratori, svolgendo una serie di audizioni rivolte anche ad esponenti di ONG.
  Il Governo segue lo sviluppo di tali attività parlamentari, considerando di particolare importanza acquisirne gli esiti finali, che verranno valutati con grande attenzione.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'area dell'ex-discarica di via Le Lame, sita a Frosinone, insiste sulla piana del fiume Sacco, dove copre una superficie di circa 37.500 metri quadrati, e si articola in più bacini: il primo è del 1967 anche se i conferimenti sono iniziati prima, il secondo è stato operativo dal 1992 al 1994, e il terzo è stato coltivato dal 1994 al 2001 e poi riattivato per la ricezione di balle contenti sovvalli;
   nel 2014, a seguito delle indagini svolte dalla polizia giudiziaria e soprattutto in considerazione degli esiti delle analisi svolte dall'ARPA del Lazio e degli approfonditi accertamenti tecnici svolti dai consulenti nominati dalla procura, era strato disposto il sequestro preventivo dell'area e notificato a quattro persone un provvedimento di avvio d'indagine a loro carico per avvelenamento colposo delle falde acquifere;
   l'inchiesta si era concentrata, in particolare, sulla mancata bonifica dell'area dopo la chiusura della discarica, con la conseguente penetrazione nel terreno del percolato che è giunto fino ad inquinare le falde acquifere sottostanti;
   stando al comunicato stampa all'epoca rilasciato dagli inquirenti «in dipendenza della gestione della discarica in difetto di adeguate soluzioni e cautele di ordine tecnico, dell'attuazione di interventi di messa in sicurezza insufficienti e comunque non collaudati e dell'omessa attivazione delle indispensabili operazioni di bonifica del sito, è stato consentito e comunque non impedito che il percolato della discarica raggiungesse la falda acquifera sottostante inquinandola con l'apporto di minerali pesanti (in particolare alluminio, ferro, manganese, bario, nichel e piombo) in quantità notevolmente superiori ai valori definiti nelle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) normativamente previsti per le acque sotterranee, così determinando l'avvelenamento delle predette acque, potenzialmente destinabili in via diretta od indiretta al consumo umano»;
   successivamente, un'ordinanza del comune di Frosinone aveva «interdetto il prelievo e l'uso delle acque sotterranee per un raggio di 200 metri rispetto al piezometro denominato “S6” nella fascia di terreno potenzialmente contaminata compresa fra la discarica di via Le Lame e il fiume Sacco che ricade nel territorio comunale»;
   nell'ottobre del 2016 a conclusione della delicata inchiesta ambientale i magistrati hanno affermato che l'inquinamento delle falde acquifere e dei terreni circostanti la discarica di via Le Lame sarebbe stato provocato da una mancata attuazione della normativa ambientale e dalla scarsa messa in sicurezza ed impermeabilizzazione del sito, e che «seppur lo stato di inquinamento si è verificato nel 2006, lo stato dei luoghi ancora oggi risulta essere fortemente compromesso» dato che i rifiuti non sono mai stati rimossi e il percolato continua ad inquinare il sottosuolo;
   le associazioni a tutela dei consumatori che operano sul territorio, e in primo luogo il «Movimento Difesa del Cittadino» hanno in questi anni sempre agito nel senso di mantenere viva l'attenzione delle istituzioni sulla questione dell'inquinamento dell'area e dei conseguenti rischi per la popolazione residente;
   nel 2015 l'area dell'ex discarica è stata subperimetrata nell'ambito del sito di interesse nazionale «bacino del fiume Sacco» –:
   quali siano lo stato attuale dei luoghi e le procedure attivate per la bonifica dell'area di cui in premessa, e quali iniziative di competenza si intendano adottare per fronteggiare l'emergenza ambientale e sanitaria determinate dalle 625 mila tonnellate di rifiuti ancora presenti in quel territorio. (4-15809)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche ambientali dell'ex discarica di via «Le Lame» sita in Frosinone, sulla base degli elementi acquisiti si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si segnala che l'area della discarica rientrava nel perimetro dell'ex Sito di interesse nazionale (SIN) di Frosinone istituito con il decreto ministeriale n. 468 del 18 settembre 2001 e successivamente divenuto Sito d'interesse regionale con decreto ministeriale n. 7 dell'11 gennaio 2013.
  Il comune di Frosinone, soggetto responsabile dell'inquinamento del sito della discarica, da gennaio 2013 è divenuto anche il titolare delle procedure e degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica dell'area nonché ente appaltante delle opere e gestore dei finanziamenti.
  Peraltro, come noto, secondo quanto riferito dalla prefettura di Frosinone, il sito della ex discarica «Le Lame» è stato sottoposto a sequestro giudiziario preventivo con decreto del 23 dicembre 2014 della procura della repubblica presso il tribunale di Frosinone, con il quale il sindaco di Frosinone è stato delegato al ruolo di custode giudiziario per garantire la messa in sicurezza d'emergenza. Pertanto, il comune, in qualità di custode giudiziario ha provveduto e sta provvedendo alla messa in sicurezza di emergenza del sito tramite il periodico, sistematico e regolare prelievo e smaltimento del percolato, chiedendo, in data 16 febbraio 2017, ad Arpa Lazio di pianificare una campagna di indagini ambientali limitata, in questa prima fase, alle sole matrici acque sotterranee e suoli epidermici; di definire i set analitici da applicare ai campioni di acque sotterranee e di suolo predetti; di quantificare il costo omnicomprensivo per poter realizzare la campagna di indagini in questione e di indicare le modalità da seguire per la stipula della convenzione finalizzata all'affidamento delle prestazioni.
  L'Arpa Lazio ha fatto presente che, ferme restando le interlocuzioni con le autorità competenti, successivamente al 23 dicembre 2014, data di emissione da parte del Tribunale di Frosinone del provvedimento di sequestro preventivo, non ha effettuato sopralluoghi presso l'area di ex discarica «Le Lame» e nell'area ad essa circostante, utili a fornire maggiori elementi circa lo stato attuale dei luoghi. Al riguardo, come già evidenziato, il comune di Frosinone in data 16 febbraio 2017 ha chiesto all'agenzia la verifica dello stato ambientale delle matrici acque sotterranee e suolo richiedendo, tra l'altro, di indicare le modalità da seguire per la stipula di una convenzione finalizzata all'affidamento delle prestazioni richieste. A tal fine, la direzione centrale sta verificando se ricorrono le condizioni per la stipula della convenzione citata.
  Si fa presente, altresì, che successivamente l'area in questione è stata inserita all'interno del perimetro del Sin «Bacino del Fiume Sacco» (con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 21 novembre 2016), e allo stato il Ministero dell'Ambiente sta svolgendo tutte le attività necessarie all'acquisizione delle informazioni/aggiornamenti utili ad avviare le attività istruttorie finalizzate alla bonifica dell'area.
  In particolare, la prima conferenza di servizi istruttoria per il Sin «Bacino del Fiume Sacco», tenuto conto dell'interlocuzione con il comune, è prevista nel mese di aprile 2017.
  Al fine di supportare i soggetti interessati nell'ambito della procedura di bonifica, nel corso di detta conferenza di servizi, verranno illustrate le linee guida sulle procedure operative e amministrative per la bonifica, predisposte dalla divisione competente di questo Ministero, nonché le modalità di acquisizione della documentazione relativa alle aree incluse nel Sin, che avverrà per via telematica, finalizzata a definire lo stato attuale dei luoghi e lo stato dei procedimenti attivati ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per le aree incluse all'interno del perimetro del Sin, tra cui l'area dell'ex discarica «le Lame».
  Ad ogni modo, acquisita la suddetta documentazione, sarà cura di questo Ministero svolgere le proprie attività con il massimo grado di attenzione sulla questione al fine di garantire lo stato di attuazione degli interventi.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i laboratori ARPA (Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale) costituiscono l'esclusiva fonte di vigilanza ambientale (acqua, aria, terreni, rifiuti, bonifiche) a disposizione del cittadino; le emergenze ambientali in ARPA sono all'ordine del giorno e i laboratori servono anche e soprattutto a rispondere agli interessi diffusi dei cittadini e alla loro tutela;
   il piano strategico dell'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (ARPAV) 2012-2014, approvato dalla giunta regionale del Veneto con DGR 613/2012, prevede una consistente riduzione dei laboratori territoriali per le analisi ambientali nonché la chiusura di numerose sedi periferiche dell'Agenzia;
   così come sta accadendo in Veneto, la drastica riduzione delle sedi, prevista in gran parte delle regioni italiane, comporta necessariamente un pesante ridimensionamento dei controlli effettuati sul territorio; inoltre, comporterà la dispersione di professionalità specialistiche già acquisite, l'interruzione di legami e scambi di utili informazioni tra operatori di laboratorio e addetti alle attività di controllo;
   in questa regione si è già assistito alla chiusura di numerose sedi provinciali e l'annuncio della chiusura della sede di Padova avrà come conseguenza, sull'intero territorio, un evidente abbassamento del livello di sicurezza. Un'operazione che non rispetta la missione costitutiva dell'agenzia regionale di protezione ambientale, quella del controllo pubblico della qualità dell'ambiente a supporto della prevenzione sanitaria e a tutela della salute pubblica; infatti, l'Agenzia è a pieno titolo parte integrante del servizio sanitario nazionale;
   si ricorda che il laboratorio di Padova è specializzato in analisi della qualità dell'aria ed è considerato un'eccellenza a livello regionale e nazionale: il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2013 l'ha indicato come laboratorio unico nazionale per l'analisi dell'aria (polveri sottili-PM10, metalli, sostanze cancerogene-IPA, benzene ed emissioni industriali inceneritori, cementifici, acciaierie, concerie, e altro). Da anni fornisce un servizio 24h su 24h con personale altamente specializzato e strumentazione scientifica all'avanguardia ed è diventato anche centro di riferimento nazionale per il controllo delle acque minerali alla sorgente;
   si tratta dunque di una risorsa d'eccellenza non solo per il Veneto ma per l'Italia intera che, a opinione dell'interrogante, andrebbe senza dubbio non solo mantenuta ma anche rafforzata, ampliandone la portata e magari estendendo il servizio alle aziende per la prevenzione e gestione dei rischi nei luoghi di lavoro, valorizzando le professionalità presenti e offrendo un servizio valido e certamente insostituibile alla collettività –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati in merito a quanto sopra esposto e se e quali iniziative intendano intraprendere, anche sul piano normativo e sulla base di intese in sede di Conferenza Stato-regioni, per pervenire al potenziamento della rete deputata ai controlli ambientali, favorendo ogni soluzione utile a evitare scelte di destrutturazione come quella di cui in premessa. (4-06192)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La recente approvazione della legge 28 giugno 2016, n. 132, istituisce un sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, finalizzato ad armonizzare da un punto di vista qualitativo e quantitativo le attività delle agenzie sul territorio, nonché a realizzare un sistema integrato di controlli coordinati dall'istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
  Attraverso un sistema nazionale a rete in cui un ruolo strategico è attribuito a Ispra, e con i cosiddetti «Lepta», ovvero i livelli essenziali delle prestazioni ambientali cui dovranno adeguarsi le agenzie, si attua un vero e proprio ripensamento dell'attuale sistema, fino ad oggi scandito da una diversità di approcci da regione a regione e da una grande frammentarietà che indeboliva di fatto la protezione dell'ambiente.
  Altre importanti novità introdotte dal provvedimento sono il Sistema informativo nazionale ambientale e la rete dei laboratori accreditati: si rafforzano dunque in maniera evidente la trasparenza e la qualità scientifica dei controlli.
  Il lavoro più complesso che spetta alle agenzie nei prossimi anni è quello di contribuire alla definizione di quei meccanismi di misurazione degli sforzi degli stati nel perseguire gli obiettivi ambientali.
  Sarà necessario individuare metodi inattaccabili per rendere comparabili misure e interventi molti diversi e, in questo ambito, per misurare progressi, battute d'arresto, stati di avanzamento per valutare, sia in termini di singolo paese che globali, i progressi fatti e quanto manca ai target concordati.
  In questo percorso un ruolo chiave è affidato alle agenzie per la protezione dell'ambiente, che sono chiamate alla responsabilità di fornire ai decisori politici gli strumenti necessari per definire soluzioni politiche efficaci, informate, scientificamente solide, sia a scala territoriale sia a scala internazionale.
  Alle agenzie si chiede anche di intensificare le attività indirizzate alla comunicazione e all'informazione verso i cittadini, ascoltarli, coinvolgerli direttamente nelle attività di analisi e di monitoraggio (anche attraverso nuovi strumenti quali i progetti di citizen science o cittadinanza scientifica) e rispondere ai bisogni che provengono dalla società, in maniera indipendente e responsabile.
  In ogni caso, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.